Synaxis 1991 IX

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ISTITUTO PER LA DOCUMENTAZIONE ELA RICERCA S. PAOLO

IX

CATANIA 1991


ProprietĂ letteraria riservata

Stampato in Italia

Printed in ltaly

Tipolitografia ((GalateaÂť - Via Piemonte, 84 - Acireale


PRESENTAZIONE

Nel panorama bibliourafico delle tematiche etiche come pure storicolocali si colloca Synaxis IX con contributi specifici e qualificati, in grado di far luce anche su questioni generalmente evitate daiili studiosi, vuoi per la loro peculiarità, vuoi per la loro sottiRliezza. E che tali contributi, di indubbio livello scientifico, veniiano da professori e amici dello Studio Teologico S. Paolo non può non essere un ulteriore segnale tli quella vitalità che ha avuto un autorevole riconoscimento dalla S. Sede con l'agiiregazione alla Facoltà Teologica di Sicilia col compito specifico di appr()fondire i problemi etici. L'associazione culturale Istituto 11er la Docun1entazione e la Ricerca S. Paolo, volendo qualificare il suo apporto allo Studio Teologico S. Paolo, ha avvertito l'esigenza di con1piere un ulteriore passo in avanti nella caratterizzazione di Synaxis, dando notevole spazio alla tratta2ione dei problemi etici. Non volendo perdere, tuttavia, la ricchezza di contributi che la

forn1ula 111iscellanea consente di avere, si è 011tato 11er la creazione di due sezioni: la prima di natura etica, della quale è responsabile il prof Maurizio Aliotta, la seconda di natura miscellanea, di cui è responsabile il prof Adolfo Longhitano. Synaxis IX si presenta, perciò, nella sua nuova struttura offrendo az cultori di etica una serie di contributi su questioni riguardanti la fondazione della morale. Si tratta, come è noto, di un problema non nuovo e sempre bisognoso di una njlessione critica. E questo è tanto più


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Presentazione

vero oggi, }Jerché nel contesto del pensiero conten11Joraneo sfugge, o si e/ade volutamente, la possibilità di una fondazione dell'etica. Tale questione fondamenta/e ha una sua radice storica: da qui l'ampio .1pazio assegnato ulle ricerche storiche, onde evitare di discutere solamente di ciò che è dettato da moda passeggera. Secondo le scelte e lo stile che Synaxis ha avuto fin da/l'origine, oltre che alla tra{ffzione della Chiesa si continua a guardare al pensiero laico per L!ia/ogare con esso. [-:,'' auspicabile che Synaxis in questa sua nuo1'a strutturazione continui a dare quel contributo che, stando agli a1111re:::::.an1enti ricevuti, ha dato finora alla ricerca scient1jì'ca. SALVATORE CONSOLI Catania, Natale del Signore 199 J.


L'INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA MORALE NEL POSTCONCILIO"'

IVAN PER!'

Eminenza, Gran Cancelliere della Facoltà Teologica di Sicilia, Eccellenza, Moderatore dello Studio Teologico "S. Paolo", Eccellenze, Magnifico Rettore della Università degli studi ''Siculorum Gymnasium'',

Gentili Autorità Civili e Militari, Chiarissimi Presidi della Facoltà e dello Studio, Chiarissimi Professori, Signore e Signori, Già nei decenni anteriori al Vaticano Il si erano manifestate non poche tendenze, spesso accolte con delle riserve, talvolta con qualche sospetto, di un rinnovamento della teologia morale, per una più incisiva connotazione del suo carattere cristiano sia nel campo della didattica e della ricerca in sede di scienza, sia della vita in sede di coscienza.

Si trattava di tendenze intese a modificarne l'impostazione tradizionale; in concreto si auspicava: a) l'abbandono della precettistica e della casistica;

,. Sottosegretario della Congregazione per l'Educazione Cattolica. '* Relazione tenuta a Catania il 17-4-1991 in occasione della procla1nazione ufficiale della aggregazione dello Studio Teologico S. Paolo alla Facoltà Teologica di Sicilia.


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Ivan Peri b) una più netta ispirazione scriHuristica;

c) la ricerca del principio unificatore; d) una 111aggiore attenzione ai valori umani; e) una presentazione più dina1nica, 111aggiormente attenta ai segni dci te1npi e insieme rigorosainente scientifica;

f) una maggiore valorizzazione delle scienze dell'uomo;

g) la sottolineatura della tendenza personalistica di concepire la vita co1ne risposta alla chian1ata di Dio, come dialogo con lui.

I. CARA'JTERJSTICHE PRECONCILIARJ DELL'INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA MORALE

Le riflessioni che seguono pongono in evidenza, per ovvie ragioni, solo carenze e lacune dell'insegnamento preconciliare della morale; non per questo intendono però sottovaluta111e 1ninin1arnentc i riconosciuti meriti. Si era affermata, nel preconcilio, la cosiddetta morale dei manuali, che non dava il dovuto spazio alla interiorità, alla carità, fondata com'era soprattutto su un obbligo legalistico; insisteva quasi soltanto sui peccati da evitare e poco sui valori da pro1nuovere. Di conseguenza era presentata, in genere, come la scienza de licito et i!iicito, della differenza tra il bene e il male in ordine al fine ultimo; la sua attenzione si fcrrnava soprattutto su ciò che è lie JJraecejJfo (sia sub grav; sia suh levi). Ci crava1no abituati ai manuali che credevano di essere tanto più perfelli quanto più scendevano nel dettaglio, con regole di casistica, cosicché quando si era posti in situazione, dai 1nanua1i si cercava la risposta da dare, in coscienza, al proprio caso particolare. Accadeva così che la coscienza, la consapevolezza e la stessa volontà erano studiate e proposte in funzione dell'atto morale, come sue condizioni. La persona, in fondo, restava al di qua, co1ne un soggetto a cui si attribuivano gli atti buoni o cattivi.


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Si è co1nune1nentc d'accordo nel riconoscere che la n1orale, nel suo insegna1nento abituale, aveva in parte perduto il suo contatto con la sorgente scritturistica o che, per lo 111eno, questo contatto non si avvertiva.

E' nota inoltre la non sufficiente attenzione data alla costruzione della polis, della città tenena, a motivo della sottovalutazione delle realtà tenestri come valori in sé, e per il taglio alquanto individualistico del finalismo etico che influiva su tale disimpegno. La soluzione del dibattito circa la preminenza tra legge e libertà, per la determinazione dell'atto da pon-e, e quindi per la formazione della coscienza, seguiva nonne analoghe alla fmmazione del giudizio forense. Gli studiosi che guardavano con riserve, e anche con qualche sospetto, alle tendenze indicate paventavano il rischio del soggettivismo e del cosiddetto situazionismo. Manifestavano il timore che una 1norale della ca-

rità si riducesse al verbalismo, al sentimentalismo e all'abbandono dei precetti. Mettevano in guardia, altresì, contro l'idea che la carità sia il solo fondamento valido della morale cristiana o la condizione necessaria per il 111erito. Qui si avverte chiaramente la posizione - 011nai senza più seguaci, dcl Velasquez - per cui nessuna motivazione di carità (anche puramente virtuale o abituale) è necessaria alla vita morale cristiana.

C'è tuttavia da riconoscere che per alcuni spiriti superiori, i quali sapevano preservarsi dall'indebita influenza del diritto canonico in fatto di morale, vi suppliva, nel profondo, un senso autentico della teologia. Pensia1no a Venneersch, vero 1naestro che aveva il senso dei princìpi, che at-

tingeva alla loro vera fonte, anche se manteneva qualcosa del modo, allora divenuto corrente, di presentarli. Non 1neraviglia quindi che lo schema preconciliare De orchne n1orali

preparato nella linea tradizionale sia stato subito respinto dalla maggioranza dei padri nel novembre 1962. Lo schema sostitutivo fu preparato in tempi abbastanza lunghi per ragioni che potrebbero sembrare per lo meno singolari: al Concilio erano presenti pochissin1i n1oralisti. I vescovi specialisti in

teologia avevano soprattutto insegnato il dogma, l'esegesi e il diritto. Grande merito della riforma va attribuito, quindi, agli esperti e ai consultori del Concilio, molto attenti al nostro problema.


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Ivan Peri

Il. GLI ORIENTAMENTI DI FONDO DEL VATICANO Il

L'evoluzione della teologia morale e del suo insegnamento dopo il Vaticano II dipende soprattutto da alcuni orientamenti fondamentali del Concilio che ha concentrato, in particolare, la sua riflessione intorno a due punti focali: a) la Chiesa ad intra, che si esamina e si interroga per una maggiore autoco1nprensione; b) la Chiesa ad extra, che definisce i suoi rapporti col mondo. I. Il discorso sulla Chiesa ad infra ci porta a riflettere sulla sua autocomprensione, ossia sulla Chiesa come mistero della salvezza nel mistero del Cristo. Da ciò dipende anche la concezione dell'uomo, l'antropologia, la quale pone in evidenza: a) che l'uomo cotnprende e realizza pienamente se stesso nel mistero

del Cristo; b) che la vita umana va vista come risposta alla chiamata di Dio. Viene così sottolineata la universale vocazione alla santità; e) che la Chiesa, prendendo più piena e approfondita coscienza della sua esistenza nella storia della salvezza, riserva 1naggiorc attenzione alla

dimensione storica dell'uomo.

2. Il discorso sulla Chiesa ad extra ci porta a considerare i rapporti della Chiesa col mondo: la Chiesa è vista come l'universale sacramento della salvezza che realizza il mistero dell'amore di Dio per l'uomo'.

1

Cfr. Gaudilon et Spes, 45.


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In questo contesto si delinea e si chiarisce un nuovo rapporto tra la

Chiesa e il mondo: la Chiesa non è una famiglia accanto alla famiglia umana, ma nella famiglia e per la famiglia umana. La visione temporale della società non viene aggiunta alla visione cristiana, ma viene vissuta come esigenza della stessa visione cristiana. Tutto ciò compmta nella problematica della teologia morale ape1tura alle realtà terrene e valorizzazione della dimensione sociale dell'uomo. Da quanto accennato derivano altre conseguenze inevitabili per gli orientamenti morali e, quindi, pastorali della Chiesa. Di fronte al mondo in situazione di ingiustizia, la Chiesa si sente impegnata perché la dignità dell'uomo, di ogni uomo e di tutto l'uomo, venga riconosciuta, rispettata e tutelata. Essa svolge la sua azione, in questo settore, soprattutto con atteggia111ento profetico, critico e di testùnon;anza.

ill. LE INDICAZIONI DEL VATICANO Il PER L'INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA

1. Indicazioni per /'insegnlunento della teologia, ù1 genere

Il decreto conciliare Optatam totius sulla formazione sacerdotale ha stabilito il riordinamento degli studi per preparare più adeguatamente i futuri sacerdoti al ministero in un tempo segnato da profondi cambiainenti

nella cultura e nella teologia. Esso consiste in una migliore disposizione delle varie discipline teologiche e filosofiche, in una revisione dell'unità e della solidità di tutto l'insegnamento.

Il mistero del Cristo: punto di 1iferimento e centro unificatore di tutta la teologia Quando parliamo del mistero del Cristo intendiamo la rivelazione, fatta nella pienezza dei tempi, che tutte le realtà cosmiche sono ordinate a lui, come a capo supremo, che diventa così il soggetto primo della storia un1ana.


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Ivan Peri Senza voler risolvere le questioni circa la teologia teocentrica o cri-

stocentrica, il Vaticano II ha posto le basi del rinnovamento degli studi teologici - sotto il profilo metodologico e contenutistico - nell'esigenza di unità spirituale, fondata sull'aspetto personalistico della fede'; lo studio della teologia, per essere rispondente alla rivelazione ed essere efficace per la fonnazione della fede personale, deve poter orientare verso la persona del Cristo, considerato come "ricapitolatore" che continua a svolgere la sua opera salvifica per mezzo della Chiesa3• La rivelazione non è dunque una serie di affermazioni astratte, ma un messaggio nel quale si fa appello al consenso totale di colui che ascolta, perché trovi la salvezza, lo sviluppo pieno della sua esistenza, impegnandosi in un rapporto di comunione filiale con Dio'. La teologia viene così orientata a investigare più la ricchezza e la fecondità dell'esperienza cristiana che gli aspetti razionali della rivelazione. Al centro della riflessione teologica c'è quindi Dio che si rivela e la risposta personale dell'uomo. L'Optatam totius invita inoltre a ricercare la comprensione del messaggio cristiano per via genetica: p1i1na si espongono i temi biblici, quindi viene illustrato il contributo dei Padri; infine, prima di affrontare la speculazione, si espone l'ulteriore teoria del dogma vista nel quadro della storia generale della Chiesa. Con il ritorno della teologia alle "fonti" si è affer1nato il inetodo positivo-storico o storico-critico. La teologia viene invitata anche a confrontarsi con un contesto cultu-

rale profondamente cambiato, essendo la cultura odierna dominata dalle scienze en111irichc.

Il documento ha riproposto, altresì, il problema della funzione della teologia e del teologo, sottolineando la nota della pastoralità di tutto l'insegnamento. Questo indirizzo pastorale - sia detto per inciso - non significa che lo studio non debba svolgersi scientificamente o che debba preoccuparsi soprattutto dei problemi pratici: significa esigenza di propo!Tc risposte sicure e convincenti ai problemi morali e spirituali che la riflessione, la cultura e la vita presentano.

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Cfr. Dei Verbun1, 5. Cfr. L1anen Ge11tiun1, 48. 4 Cfr. Dei Verh11n1, 2. 3


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In questo quadro generale del rinnovamento delle discipline teologiche va inserito e visto il nostro specifico argomento.

2. Indicazioni per l'insegnamento della morale 2. 1. La sacra Scrittura anima della teologia morale L'Optatam totius al n. 16 ci ricorda che «lo studio della sacra Scrittura deve essere come l'anima di tutta la teologia». Il Concilio presuppone, dunque, anzi presc1ive che una teologia morale veramente cristiana e scientifica, molto più che nel passato si rivolga alla sacra Scrittura come fonte da cui attinge la sua ispirazione. Evidentemente in tale contesto la Scrittura non viene considerata in primo luogo quale miniera di argomenti di teologia morale per i singoli problemi della morale speciale. Si tratta piuttosto di orientamenti di base dell'etica cristiana in quanto tale, dei rapporti, ad esempio, fra legge e grazia, fra la fede, la carità e le opere di una vita morale, fra il vecchio uomo e quello nuovo; e, ancora, si tratta del rapporto fra l'esistenza cristiana (l'essere redento e battezzato) e il "dover-essere" cristiano. Detti orientamenti di base saranno oggi ricavati con tanta maggiore facilità poiché la teologia biblica è riuscita in misura notevole a chiarire il significato più profondo e lo sviluppo storico degli asserti biblici. A questo proposito sarà sufficiente rilevare che all'esegeta spetta indicare al moralista il contenuto etico e la trascendenza dinamica del messaggio rivelato, che supera le fo1me storiche e la stessa sensibilità culturale dell'ambiente che l'ha recepito ed espresso, e mettere in luce la novità e la portata universale della parola di Dio e delle sue indicazioni morali; questi, in base alla sua specifica competenza nelle questioni che riguardano l'uomo, la sua coscienza e la sua libertà, si impegnerà ad applicare il messaggio che viene presentato dalla parola di Dio, alla vita e alle situazioni esistenziali del cristiano, perché sappia orientare il proprio comportamento verso Dio. Senza dubbio però la Scrittura insegna anche delle norme "trascendentali" che, al di là delle azioni particolari, chiamano l'uomo nella sua totalità, diventano appello alla fede e alla carità, alla sequela del Cristo


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e alla realizzazione di un comportamento da battezzato. Parimenti indica dei comportamenti e delle vi1tù generali per detenninati settori della vita come, ad esempio, per la giustizia. Si può dire, in sostanza, che la riflessione morale ispirata alla Scrittura più che una serie particolareggiata di nonne dovrà fornire leggi-quadro, criteri che pc1mettano di illuminare le diverse situazioni culturali, personali e sociali. Il dono principale offerto dalla Scrittura alla teologia morale non è quello di una determinata normativa concreta, ma quello dell'ethos cristiano di base in essa rivelato.

2.2. 11 mistero del Cristo Dopo esserci fermati sulle esigenze formali iscritte nell'Optatam /otius (esposizione scientifica, maggiormente fondata sulla Scrittura), fisseremo ora più esplicitamente le esigenze di contenuto presentateci dal decreto: il n1.istero del Cristo e l'altezza della vocazione cristiana. I due ten1i costituiscono il cuore, l'elemento centrale della teologia morale. 11 n.14 del decreto stabilisce - come s'è visto - il punto di vista e la forma mentis o, meglio, una nonna metodologica e spirituale per affrontare il riordinamento degli studi ecclesiastici, che devono convergere concordemente alla progressiva apertura delle menti degli alunni verso il mistero del Cristo, il qnale compenetra tutta la storia del genere umano, agisce continuamente nella Chiesa e opera p1incipalmente per mezzo del ministero sacerdotale. Il n.16 dello stesso decreto ritorna sul mistero del Cristo, non più co1ne visione fondamentale della realtà cosn1ica, 1na come principio rinno-

vatore delle discipline teologiche. Solo in lui, «Primogenito di tutta la creazione» (Col 1, 15), e perciò, «Primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29), l'esistenza cristiana e la moralità cristiana diventano intelligibili; esse sono infatti la risposta alla singolarissima vocazione cristiana, il cui frutto spontaneo, perché dono di grazia anziché solo esigenza di precetto, è la carità con le sue opere.

Si tratta di riorganizzare la teologia morale in modo che renda evidente la centralità del Cristo principio vitale e ordinatore dell'uomo quando


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questi agisce, sia individualmente sia socialmente, perché possa compiere la volontà di Dio5 • Posta questa originalità del Cristo, come mistero di Dio nel mondo, la vita morale non è più affare del tutto privato, ma è momento stmico nel mistero del Cristo. Per questa ragione anche dare un bicchiere d'acqua può essere, in questa prospettiva, un fatto "storico", mentre creare un impero,

per il singolo uomo che lo crea, può essere un fallo di cronaca che davanti a Dio cade nel nulla. E quindi anche il più semplice alto del cristiano è chiamato a diventare atto storico nel mistero del Cristo; e l'atto è moralmente buono, se è inserito, in lui; è cattivo se cade dalla dignità di storia cui era stato chiamato.

2.3. La chiamala di Dio e la risposta dell'uomo I padri conciliari hanno auspicato una teologia morale il cui motivo dominante invece del decalogo delle leggi e degli obblighi fosse la vocazione cristiana. Hanno così manifestato un'opzione personalistica e dialo-

gica per una morale che ha la sua tipica connotazione con il nesso vocazione-risposta e, più ampiamente, tra fede ed etica. Una separazione delle discipline teologiche tale da attribuire la vocazione cristiana come pemo alla dogmatica, ad esempio, e non ugualmente alla morale, non potrà non provocare malintesi nei confronti della morale e dell'etica cristiana. Se la teologia morale polaiizza la sua preoccupazione maggiore nella codificazione di precetti divini anziché nella interpretazione della vita cristiana come vocazione nel Cristo, essa non risponderebbe al suo compito essenziale. Il Concilio adopera ripetutamente e in diversi documenti il concetto della vocazione cristiana. E' un concetto del resto familiare tanto all'Antico quanto al Nuovo Testa1nento. La "vocazione" indica se1npre un'iniziativa amichevole che Dio prospetta all'uomo, anzi un effetto operato da Dio nel cuore dei singoli a tal punto che l'uomo si apre alla vocazione divina accettandola nella libertà. Una tale vocazione è, per l'uomo della "caduta»" la

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Cfr. Ef 1, ](),


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redenzione, la salvezza. Nella "nuova creazione" inaugurala dalla resurrezione, l'uomo riconciliato è chia1nato a celebrare, nei gesti quotidiani, una continua "liturgia" della vita; una vita che è stata seminata con un genne di irruno11alità. E' pertanto compilo primario del moralista presentare al credente, con la centralità del mistero cristiano, la "chiamata" di Dio. Vi è qui tutta un'antropologia creaturale e di grazia. Dio chiama con una iniziativa tutta sua, che è grazia che personifica, perché chiamando, costituisce il chiamato persona capace di rispondere e dialogare con lui co1ne suo tu: in questo consiste la densità dell'essere dell'uomo come persona in tensione interpersonale e quindi di intelligente amore-comunione, con Dio e con tutti gli uomini, immagine di Dio. Secondo il personalisn10 cristiano l'io si realizza in modo totale unicamente nell'apertura, nell'incontro con Dio, il prossimo, il mondo. L'incontro con l'altro crea sempre una realtà nuova e ineffabile, al di là dell'apporlo individuale dei singoli. La salvezza è personale, ma entro una prospettiva comunitaria ecclesiale. Senza apertura all'altro (Dio, comunità ecclesiale e umana, mondo), manca la relazione di se stesso. Ogni momento (indicato biblicamente col termine kairòs) possiede un'occasione unica e irrepetibile di salvezza. Così che la singolarità dei diversi kairòi, aperti al senso ecclesiale, consente il fmmarsi della continuità della storia salvifica, secondo un piano centrato nel Cristo da Dio Padre. La persona, incamminata nel tempo entro il kairòs nel colloquio con l'altro, è destinata a una progressiva crescita, non solo in qualità essenziali operative (virtù), ma nel suo stesso essere. L'uomo è stato creato a immagine di Dio, non solamente a testimonianza di un dono ricevuto, 1na anche co1ne progrannna e impegno etico proteso alla piena autorealizzazione6 • L'etica individualistica è superala. TI Cristo è il culmine della solidarietà u1nana, che si realizza nella carità, estendendosi perfino ai ne1nici 7 • Il rispetto dei diritti dell'uomo 8 , il senso dell'interdipendenza', la giustizia

6 Cfr. T. GOFFI, Situazfr)J1e a!lua!e della teologia 111ora!e: prohlen1atica e vìsione cristiana, in Sen1i11ari11111, u.s., Il (1971) 3, 513-534. 7 Cfr. Gaudiun1 et Spes, 30, 32. 8 Cfr. ibid., 26, 27. 9 Cfr. ibid., 25.


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sociale 10 la corresponsabilità e la partecipazione 11 sono le «verità maggiori» ricordate dalla Gaudium et Spes, perché tutti ne traggano le necessarie conclusioni". Nella grave violazione di questa tensione ontologicopersonalistica, trascendente e immanente, sta il così detto "atto morale intrinsecamente cattivo" che, in fondo, è puro egotismo. Tutto questo costituisce la parte fondamentale della morale: l'antropologia dell'uomo rinnovato nel Cristo, che ora non appare soltanto come legislatore venuto a garantire l'ordine oggettivo delle cose e giudice di atti conformi o difformi dalla legge 13 • Le implicazioni di questo tema centrale della teologia morale vanno illustrate sotto l'aspetto teologico, antropologico, psicologico, etico e pedagogico. Si deve chiarire quindi che la vocazione divina non si limita ad una chiamata globale e quasi astratta, ma che sempre è già carica dei modi concreti e categoriali del nostro comportamento nel nostro mondo umano concreto.

Nella linea delle idee esposte possiamo dire che non tanto in una morale nuova (o contenuto materiale nuovo), ma nell'uomo nuovo sta l'oggetto primario del messaggio morale cristiano. Non era un nuovo codice morale ciò che l'umanità doveva aspettarsi dal Salvatore, ma la redenzione, la trasformazione del vecchio uomo in quello nuovo. Il cristiano deve diventare nuova creatura nello Spirito del Signore. Innestato realmente nell'essere del Cristo, è chiamato a paitecipare in maniera ontologicamente nuova all'essere di Dio, e la sua struttura di persona subisce una mutazione qualitativa. L'uomo nel Cristo è, in un certo senso, veramente

più persona che fuori del Cristo. C'è da rilevare inoltre che la morale tradizionale aveva regolato i problemi sociali e politici con nmme ricavate dal loro stesso intimo significato umano. Aveva poi indicato motivazioni soprannaturali, mediante le quali tali situazioni sociali potevano essere vissute soggettivamente con spirito cristiano.

IO 11

12

Cfr. ibid., 29. Cfr. ibid., 3 l. Cfr. ibid., 23.

13 Cfr. D. CAPONE, Il niistero del Cristo e la fondazione della teologia 1nora!e, in Asprenas 16 (1969) 4, 331-356.


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Nel nuovo indirizzo morale la realtà cosmico-sociale e politica viene concepita come tutta convogliata entro una visione (Weltanschauung) unitaria cristiana. La nuova etica fa risaltare, nei singoli problemi cosmici e sociali, al di là dei loro significati immediati, il senso profondo cristiano. La dottrina morale della distinzione concreta fra comportamenti buoni e cattivi non va evidentemente sottoposta all'ostracismo, visto che il cristiano, per il tempo della sua vita terrena, non gode né definitivamente né pienamente della grazia redentiva, perché è simultaneamente esposto all'influsso potente di tendenze egoistiche. Si deve però impedire che occupi un posto non suo, spingendo verso una posizione marginale il tema centrale della morale cristiana. Solo se la teologia morale ritroverà - come è suo dovere - l'aspetto dinamico della risposta che l'uomo deve dare alla chiamata divina, progredendo nell'amore in seno a una comunità di salvezza, acquisterà quella dimensione spirituale interiore che è richiesta dal pieno sviluppo dell'immagine di Dio presente in lui.

2.4. Ape1tura alle realtà terrene La vita terrena prima del Concilio appariva quasi soltanto come un tempo di prova. Il contemptus mundi, il disprezzo del mondo, orientava in gran parte l'ascesi e la morale cristiana. Solo vent'anni prima del Vaticano Il si era manifestato un movimento a favore di una teologia delle realtà terrene. Il Vaticano II gli ha dato pienamente ragione, affe1mando che laricerca dei valori umani 14 non si situa solo a livello dei mezzi in rapporto al fine ultimo"; in morale bisogna distinguere un fine primario (divinizzazione) ed un fine secondmio (umanizzazione) 16 • I valori morali non sono più i soli ad essere presentati; essi si trovano in continuità con i valori intellettuali, affettivi, sociali, politici. Diverse ragioni sono invocate per questo impegno secolare, terreno: la bontà

sostanziale della creazione, la dignità dell'uomo, la diaconia della carità, la

1

~ Cfr.

Apostolica111 Actuositatem, 7.

is

L.c.

16

Cfr. Ga11diun1 et Spes, 40, 42, 43, 57.


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"ricapitolazione" nel Cristo, il suo esempio, la portata cosmica della risurrezione, che è glorificazione dell'uomo integrale, anima e corpo 17 • Il ruolo della morale cristiana è quello di introdurre, all'interno stesso di queste realtà, il punto di vista della fede, il dinamismo della carità, la forza della grazia per meglio scoprirne il senso profondo e permettere ad esse di realizzarsi. La Gaudium et Spes al n. 23 ci presenta ancora <da dottrina cristiana circa la società umana»; c'è una moralità personale distinta da quella del cosiddetto vecchio uo1no, non c'è però un'etica o dottrina morale essenzialmente distinta da quella dell'autentica humanitas. Per questo la costituzione invita a studiare il momento attuale della storia della salvezza: l'incontro dell'umanità d'oggi - con i suoi problemi con il messaggio cristiano e l'azione salvifica della Chiesa. A questo fine, il documento introduce una novità metodologica: partire non solo dai quesiti impliciti nelle strutture costitutive dell'uomo (antropologia), ma anche dall'attuale situazione culturale e socio-economico-politica dell'umanità (divenire della storia); in tal modo la teologia è posta in grado di rendere meglio intelligibile il senso e il valore del messaggio cristiano, e suscitare e dirigere la vita cristiana. In proposito la stessa Gaudh1m et Spes si fa assai chiara. Afferma che tutto ciò che è genuinamente umano non è estraneo alla Chiesa e che la Chiesa offre all'umanità la sua cooperazione al fine di stabilire la fraternità universale degli uomini in quanto tali 18 • La Chiesa e i cristiani non vogliono dunque una società cristiana con le caratteristiche d'un ghetto nel mondo non-cristiano, e neppure una società "differenziatamente cristiana", 1na una

società veramente "umana''. Sotto questa luce è da interpretare l'idea della «legittima autonomia delle realtà te1Tene» 19 , autono1nia non ristretta al lavoro scientifico, ma estesa all'insieme della creatività culturale che plasma la vita e la convivenza u1nana.

Il Concilio puntualizza inoltre che la Chiesa non è legata ad alcuna particolare fmma di civiltà"', che dunque neanche da pmte sua progetta una

17 18

19 2

°

Cfr. Apostolican1 Actuositaten1, ?; Gaudi11111 et Spes, 43, 45, 58. Cfr. Gaudiu1n et Spes, 1, 3. lbid., 36. Cfr. ibid., 42.


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civiltà d'isolamento, potendo essa stringere un legame d'unione con ogni vera civiltà. Sul filo di queste idee la Gaudium et Spes Iipetutamente afferma che il messaggio cristiano, anziché opporsi all'impegno degli uomini di edificare il mondo dell'uomo, richiede piuttosto questo impegno". Il Cristo, infatti, «in tutti opera una liberazione, affinché nel rinnegamento dell'egoismo e coll'assumere nella vita umana tutte le forze tenene» 22 si proiettino nel futuro preparando l'avvenire del mondo, l'avvenire dell'eschaton definitivo23 •

IV. L'INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA MORALE NEI DOCUMENTI DEL POSTCONCILIO

Abbiamo la costituzione apostolica Sapientia Christiana di Giovanni Paolo II, del 1979, e l'istruzione della Congregazione per l'Educazione Cattolica: La formazione teologica dei futuri sacerdoti, del 1976. Il documento pontificio all'art. 67 §2 recita: «Le singole discipline teologiche devono essere insegnate in modo tale che, alle interne ragioni dell'oggetto proprio di ciascuna ed in connessione con le altre discipline, anche filosofiche, nonché con le scienze antropologiche, risulti ben chiara l'unità dell'intero insegnamento teologico, e tutte le discipline convergano verso la conoscenza intima del mistero del Cristo[ ... ]». Il documento della Congregazione per l'Educazione Cattolica ci ricorda che «il rinnovamento della morale voluto dal Concilio Vaticano II si inselisce negli sforzi che la Chiesa sta compiendo per comprendere meglio l'uomo d'oggi e per andare incontro alle sue necessità in un mondo che è in fase di profonde trasfonnazioni» 24 •

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Cfr. ihid., 34, 39, 43. Ibid., 38. 23 Cfr. G. FUCHS, Vocazione e speranza. Indicazioni conciliari per una morale cristiana, in Sen1inariiun, u.s., 11 (1971) 3, 491-510. 24 la forn1azione dei futuri sacerdoti, 95. 22


L'insegnamento della teologia morale nel postconcilio

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Dal momento che un insegnamento aggiornato della teologia morale concorre efficacemente a questo compito della Chiesa il dicastero della Santa Sede non ha mancato di incoraggiare un opportuno rim1ovamento, insistendo sulla necessità di chiarire innanzitutto alcune preliminari problematiche di carattere epistemologico e metodologico. A tale riguardo ha raccomandato di «determinare il modo in cui essa (la teologia morale) deve strutturarsi in stretto contatto con la sacra Scrittura, la Tradizione e in riferimento alla legge naturale». In questa occasione è stato sottolineato il legame che esiste tra la teologia morale e la dogmatica, come anche l'uso prudente che si deve fare dei risultati delle scienze dell'uomo. Su questi due ultinli aspetti fermiamo brevemente la nostra attenzione. Una teologia morale rinnovata non può dunque dispensarsi dal contatto stretto con la dogmatica, proclamando in maniera più esplicita le conclusioni etiche derivate dalla dogmatica come antropologia teologica. La tradizionale divisione tra la dogmatica e la morale è stata, per così dire, "vivisezione", che ha fatto della verità dogmatica una speculazione spesso non assimilabile dalla morale ed ha fatto della verità morale una semplice relazione di confo1mità formale alla norma. E la teologia morale generale non ha trattato tanto di valori quanto di condizioni dell'atto morale per cadere sotto la norma, e di regole per applicare la norma stessa all'atto. Questo è stato il giuridicismo, da non confondere con la nobilissima sapienza che è il diritto nel campo proprio. Dal punto di vista metodologico l'insegnamento della morale dovrà tenere in debito conto anche le acquisizioni delle moderne scienze antropologiche e dell'esperienza umana; acquisizioni, le quali, anche se non possono ovviamente fondare o addirittura creare le norme morali, possono tuttavia gettare molta luce sulla situazione e sul comportamento dell'uomo, con la sollecitazione a ricerche, revisioni, approfondimenti delle dottrine intermedie, tra i princìpi sicuri di ragione e di fede, e le applicazioni alla concretezza della vita. In questa linea la teologia morale sarà attenta a discernere i segni dei tempi, presenti nella cultura contemporanea, «alla luce del vangelo e dell'esperienza umana». Il primato che il Vaticano II attribuisce alla parola di Dio si concilia così con la fiducia da dare alla ratio, cioè all'esperienza e alla pe1izia umana, all'esperienza dei secoli e al progresso umano. Perché il messaggio evangelico possa essere tradotto per l'uomo d'oggi, e quindi


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Ivan Peri

riformulalo e riproposto alla luce dell'autocomprensione che l'uomo ha di sé e del proprio rapporto col mondo e con la stmia, è necessario mettersi iu ascolto di tulle le espressioni culturali, per mezzo dell'approccio interdisciplinare ai problemi morali: di qui l'accresciuta valorizzazione delle scienze dell'uomo, come la psicologia, la sociologia, l'etnologia, l'antropologia culturale, l'economia politica, la linguistica strutturale e le scienze dell'educazione. L'aiuto delle scienze dell'uomo permetterà di valutare al meglio l'ampiezza del divario esistente tra le due forme diverse dell'obbligazione morale: l'obbligazione di una meta da conseguire e quella di una norma da non trasgredire. La struttura della riflessione sul fatto morale non può tuttavia prescindere dal dialogo, costante e critico, non solo con le scienze antropologiche, ma anche con il pensiero filosofico e con il sapere scientifico, in uno scambio che si situi in quell'esigenza di transdisciplinarietà che caratterizza i movimenti culturali contemporanei. A questo fine occoTI"e il coinvolgimento vitale con coloro che stanno modificando e costruendo la realtà nel rischio delle scelte politiche. Perché tutto questo si possa realizzare è necessaria la precisa identificazione del ruolo del teologo morale e la qualificazione epistemologica delle sue analisi. Il suo insegnamento - ricerca sul fatto morale nelle sue componenti e nel suo dinan1ismo - deve affinarsi continuan1ente, allo scopo di aiutare gli uomini a maturare il discerni1nento che orienti nella lettura e nella soluzione dei problemi. La condizione ten1porale, in sostanza, sapiente1nente accolta e ana-

lizzata, darà alla vita morale maggiore realismo e dinamismo, facendo scopri.re il senso religioso nella temporalità. Il cristiano si sente ed è strettamente legato alla stoiia tell"ena, però sa che lo scopo e il termine della storia è trascendente. Da quanto esposto appare all'evidenza che le questioni della teologia morale toccano la vita delle singole persone, della famiglia e dell'intera società, suscitando quesiti circa gli stessi fondamenti della moralità e la sorte futura della convivenza umana. Indichiamo per i non specialisti alcuni temi meritevoli di ulteriori approfondimenti: la fondazione dei valori etici; la definizione della natura della "norma oggettiva"; la coscienza e i suoi diritti: la coscienza ha di.ritto al rispetto e all'obbedienza, nella misura in cui la persona la rispetta e ha


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per essa la cura che corrisponde alla sua dignità. Il diritto della coscienza consegue al dovere di formarla, in quanto essa - è stato detto - è un organo e non un oracolo. E un organo perché è una realtà insita in noi, che appartiene alla nostra essenza, e non qualcosa prodotto fuori di noi. E proprio perché è un organo, ha bisogno di crescere, di essere formata, di esercitarsi. A questo proposito è di fondamentale importanza rilevare che la libertà non è la possibilità di scegliere. Il libero arbitrio è dato all'uomo soltanto come mezzo per giungere alla perfetta libertà. Se prendiamo tale mezzo co1ne fine, restiamo nell'errore e non possiamo riceverè l'insegnamento rivelato che ci chiama alla vera libertà. E ancora: il dialogo tra teologia e scienza dell'uomo presenta oggi, nel contesto nuovo dello sviluppo autonomo e rilevantissimo di queste, problemi pregiudiziali nuovi e di non facile soluzione. Altri problemi che interpellano il moralista sono avvertiti e sofferti anche dal gran pubblico: quelli della bioetica, del trapianto degli organi, dell'eutanasia e dei limiti dell'intervento terapeutico, quelli dell'ecologia nei suoi rapporti con il campo dell'etica. Sono alcune piste di lavoro e di ricerca ben presenti ai nostri stimati professori, che sono consapevoli - per usare una felice espressione di Paolo VI - che la ricerca è carità intellettuale. Nella consapevolezza che il loro contributo di studio e di lettura dei segni dei tempi potrebbe suscitare perplessità nei fedeli meno preparati, i teologi moralisti si sentiranno impegnati ad esprimere le loro ipotesi di la1

voro in modo che non siano n1essi in questione Jfossequio verso la dottrina

e la disciplina vigente nella Chiesa. Eminenza, Eccellenze, Magnifico Rettore della Università degli Studi, Chiarissimi Presidi e Professori, Gentili Autorità Civili e Militari, Signore e Signori. Se dovessi sintetizzare le Iiflessioni fatte finora potrei dire: è passato il tempo in cui Escobar, nel 1686, presentava così Gesù nel suo Liher theo/ogiae moralis, in un commento ad un disegno sul frontespizio del volume: «Il Cristo cavaliere, mostrando l'arco della sua potestà, con la quale è autore e re della natura e padre della Chiesa, prescrive leggi, intima gli antichi precetti, ne .dà dei nuovi e, per alleviare il peso, concede privilegi».


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Ivan Peri

Il Vaticano II, trattando del rinnovamento della teologia, ci offre una ben diversa figura dello stesso Signore. Ci invita a partire dalla dottrina conciliare sul mistero della Chiesa; mistero che è un aspetto del mistero del Cristo. Ci fa risalire cosÏ all'unico Subiectum theologiae: Dio che si rivela all'uomo e lo chiama nella sua Parola vivente: il Cristo Salvatore, che è il termine - come ci ricorda la Gaudium et Spes, 39 - a cui tendono sia la storia salvifica di ogni uomo, sia la storia tutta della vicenda umana.


LA FONDAZIONE METAFISICA DELL'ETICA NELLA SUMMA TEOLOGICA DI SAN TOMMASO D'AQUINO

FRANCESCO VENTORINO"

1. Attualità della questione

Dopo la crisi della scolastica, iniziata nel quattordicesimo secolo con la diffusione del pensiero di Guglielmo d'Ockam, è divenuta sempre più inconcepibile una fondazione metafisica dell'etica. Guglielmo d'Ockam con il suo famoso "rasoio" (il principio per cui Entia non sunt multipli· canda praeter necessitatem) ha negato la necessità di concepire nella realtà una natura comune agli individui u1nani e non umani, cui corrispondesse nella mente di Dio una idea eterna; natura comune ed idea eterna che sino ad allora erano state considerate come il fondamento metafisico della morale. L'agire morale, infatti, veniva pensato come l'agire dell'uomo conforme alla natura del proprio essere, cioè quell'agire ordinato al proprio destino e quindi al proprio compimento: «il bene e il male dell'agire, come delle altre cose, si desume dalla pienezza o dalla incompletezza nell'essere» 1 • A questa concezione dell'etica veniva a contrapporsi un'altra secondo la quale a fondamento della morale sta la volontà positiva di Dio che, senza riferi1nento necessario ad una idea eterna e ad una natura dell'uomo, impone precetti che sono il bene morale in guanto voluti eco-

~ Docente di 01Hologia e Fondazione inetafisica della morale nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 Sununa Theologiae, I-II, q. 18, a. 2, c.


Francesco Ventorino

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mandati da Dio e non viceversa, cotnandati perché costituiscono il tracciato che l'uomo deve seguire per raggiungere quel Bene cui naturalmente tende. Il noto adagio non iussum quia bonum, sed bonum quia iussum diviene la norma del volontarismo etico e del positivismo giuridico, che si affermeranno sempre più nell'età moderna e poi in quella contemporanea, con un ritorno al principio del diritto giustinianeo: quod principi placuit legis vigorem habet. Seguendo un tale principio, che con la pace di Augusta del 1555 assunse la celeberrima formulazione del cuius regio eius religio, si fece la spartizione politica e religiosa dell'Europa, asservendo la libe1tà dei singoli e dei popoli alle mire dei potenti. Questo è stato il principio che ha fondato poi ogni assolutismo e totalitarismo'. E' questo il contesto culturale di oggi in cui si ripropone il problema della fondazione dell'etica, anche dopo la crisi delle ideologie totalitarie, come la possibilità di un bene assolnto che sia punto di riferimento per l'uomo nel suo agi.re e insieme baluardo contro ogni invasione del potere nella sfera della libe1tà della persona umana. Quando si pone questa questione, troviamo nell'ampio panorama del pensiero filosofico contemporaneo due orientamenti, che non sono di per sé in contraddizione, 1na che tendono a contrapporsi radicalmente; essi sono l'empirismo e il razionalismo 3 • Per l'uno i principi primi e i fonda1nenti della scienza 1norale vanno ricercati nell'esperienza, anche se si tratta di una particolare esperienza, per l'altro tali principi e giudizi hanno la loro origine manifesta nella ragione pura. Così e1npirismo e apriorisn10 razionalistico tendono a contrapporsi in una spaccatura irrimediabile in cui non sopravvive né l'unità né la compattezza del pensiero filosofico ed etico: «la spaccatura di natura episte1nologica se1nbra indicare anche un "astigmatismo" fondamentale dell'uomo nel campo della conoscenza, dal quale probabilmente nasce infine una inclinazione allo scetticismo e all'agnosticis1no» 4 • Proprio in un mo1nento in cui non si fa altro che porre e riproporre la questione morale come centrale per la vita del singolo e della società, la

2 Cfr. F. VENTORINO, Le grandi questioni, Edicooper, Palcnno 1987, 145-151. Cfr. K. WoJTYLA, I fo11da111e11ti dell'ordine etico, CSEO, Bologna 1980, 15-

3

35. 4

f!Jitl., 16.


La fondazione metafisica dell'etica nella Summa teologica

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morale "laica" non riesce a trovare un fondamento adeguato della stessa obbligazione morale. Né l'empirismo, che nel tempo è divenuto positivisn10, cioè scienza dei fenomeni morali, né l'apriorismo razionalistico sono in grado di fondare un'obbligazione morale assoluta, perché ambedue questa prospettive sono incapaci di cogliere un fondamento metafisico dell'agire morale. Un breve sguardo a questi due filoni di pensiero etico, che risalgono rispettivamente a Hume e a Kant, ci consentirà di apprezzare l'attualità della posizione tomistica per la soluzione del problema della fondazione ontologica della moralità.

2. En1JJirisn10 e razionalismo

Hume nella sua Ricerca sui principi della morale parte da una dichiarazione metodologica che sarebbe il frutto di un lungo itinerario filosofico: «Gli uomini sono onnai guariti della loro passione per le ipotesi e per i sistemi di filosofia della natura e non presteranno ascolto se non agli argomenti derivati dalla esperienza. E' ora che tentino una riforma simile in tutte le ricerche morali e che respingano qualunque sistema di etica, per quanto sottile e ingegnoso, che non risulti fondato sui fatti e sulla osservazione»5. Ma che cosa risulterebbe dalla ossen,azione dei fatti? «Studiate coloro che scrivono sulle leggi di natura; e troverete sempre che qualunque principio mettano avanti, sono sicuri di giungere in ultimo a questo punto e di determinare, quale ragione ultima di ogni regola che stabiliscono, l'utilità e la necessità degli uomini»'. La controprova sta nel fatto che l'utilità piace e chi si comporta in modo da favorire l'utilità comune viene stimato, mentre chi la danneggia diviene oggetto di disapprovazione e suscita «in ognuno che lo considera il più forte sentimento di disgusto e di odio>>'. E più avanti, chiaramente e decisamente egli conclude dicendo: «l'ipotesi che noi abbracciamo è sem-

5 6 7

D. HUME, Opere filosofiche, II, Latcrza, Bari 1987, 185. lbid., 206. lbid., 225.


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plice e sostiene che la moralità è determinata dal sentimento: essa definisce virtù qualunque azione o qualità mentale la quale dia a chi la considera il sentimento piacevole dell'approvazione; il vizio è il contrario. Noi allora siamo in grado di esaminare una semplice questione di fatto, cioè quali azioni producono tale risultato»' . Il fondamento stesso dell'obbligazione morale è dunque nel sentimento piacevole dell'approvazione, che si sperimenta nell'azione morale stessa: questo piacere è il sintomo della soddisfazione di quel senso naturale che ci spinge a cercare e ad approvare tutto ciò che è utile a noi e alla società. Pertanto il fondamento dell'etica e il fine ultimo dell'agire umano non possono essere ricercati nella o con la ragione: «E' evidente che dei fini ultimi delle azioni umane non si può mai, in alcun caso, rendere conto per mezzo della ragione; essi si raccomandano interamente ai sentimenti ed agli affetti dell'umanità, senza dipendenza alcuna dalle facoltà intellettive. Domandate ad una persona perché è solita fare degli esercizi fisici; essa vi risponderà di farlo perché desidera mantenersi in salute. Se voi allora domandate perché desidera la salute, vi risponderà prontamente: perché la malattia è dolorosa. Se voi spingete più in là le vostre Jicerche e desiderate conoscere la ragione per cui la persona in questione odia il dolore, è impossibile che essa vi dia mai qualche risposta. Questo è un fine ultimo che non si riferisce mai ad alcun altro oggett0>> 9• Quello che è stato più considerato e sviluppato del pensiero di Hume è il suo metodo: partire dall'osservazione di fatti, cioè da ciò che viene considerato degno o meno di approvazione morale, per stabilire in che consista il morale e l'immorale, il giusto e l'ingiusto. E' lo sviluppo positivistico del suo pensiero: <<i positivisti sono convinti che la scienza non può dare risposta alle domande: che cosa è moralmente buono, che cosa è moralmente cattivo e perché. Di conseguenza si occupano della norma esclusivamente come di un fatto - psicologico o sociologico - e non si interessano invece alla questione della motivazione ultima della nonna»'°-

8 9

Ihid., 305. lbid., 309.

10

K. WOJTYLA, op.ci!., 17-18.


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Ecco perché, in un momento in cui è tornata di moda la scienza della moralità, si viva la più radicale crisi della fondazione dell'etica: «la scienza della moralità, come psicologia o come sociologia, è una scienza delle nonne, ma non è e non può essere una scienza normativa. In questo consiste la sua fondamentale differenza dall'etica» 11 • Tornando adesso alle conclusioni cui è pervenuto Hume nella sua indagine sul fondamento della moralità, c'è da notare che avendo egli voluto connettere la moralità con la felicità, che consiste nella soddisfazione di un impulso o appetito naturale proteso verso l'utilità propria e sociale, ha professato una smta di eteronomia dell'agire morale. In un essere limitato qual è l'uomo, infatti, la soddisfazione di un appetito o di un impulso, anche se questo nasce dalla sua struttura naturale, si realizza sempre attraverso un bene esterno, di cui l'impulso sta ad indicare il bisogno. Questa eteronomia dell'agire morale umano non può essere accettata all'ipterno della visione illuministica dell'uomo sposata da Kant, il quale pertanto, per una rigorosa fondazioue dell'autonomia dell'agire morale, ha negato ogni inclusione della felicità nella virtù e quindi nell'azione morale stessa. L'etica, secondo Kant, non ha altro fondamento che la ragione pratica e il suo imperativo morale: l'agire è l'espressione della libertà che sceglie per nient'altro che per l'ossequio dovuto all'imperativo della ragione. Seguendo però l'esposizione del pensiero kantiano nella sua Critica della ragion pratica, vi si trova alla fine riproposto il problema della connessione tra virtù e felicità, anche se questo sarà risolto con il postulare un nesso estrinseco che si realizza solo nell'altra vita e per una azione specifica di Dio. Dunque: «l'autonomia della volontà è l'unico principio di ogni legge morale, e dei doveri a questa legge conformi: ogni eteronomia dell'arbitrio, per contro, non solo non fonda alcuna obbligatorietà, ma anzi è contraria al suo principio e alla moralità del volere. In altri termini, l'unico principio della moralità consiste nell'indipendenza da ogni materia della legge (cioè da un oggetto desiderato) e al tempo stesso, tuttavia, nella

i1

L.c.


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determinazione dell'arbitrio per mezzo della pura forma legislativa universale, di cui deve essere capace una massima» 12 •

Riporre il principio della moralità in altro che non sia la pura forma della ragione pratica, per es. nella materia del volere, significa introdurre il criterio della propria o altrui felicità; ma questo comporta il fondare la moralità su un bisogno e sulla sua naturale esigenza di soddisfazione. «Ma codesto bisogno non lo posso presupporre in ogni essere razionale e, comunque, non certa1nente in Dio» u. Dunque Kant va alla ricerca di una fondazione della moralità che valga, senza distinzione, per l'uomo e per Dio; e allora nell'uomo come in Dio l'unico fondamento va ricercato nell'assoluta autonomia della propria ragione 14 • Solo una legge morale che nasca dall'imperativo autonomo della ragione costituisce il fondamento di una obbligazione universale e di un dovere accettabile da parte dell'uomo; la conformità a questa legge assunta come unico movente dell'agire costituisce la moralità dell'azione. La fondazione della moralità dell'azione sta tutta nella ragion pratica e nella sua legge fondamentale: «Agisci in modo che la massima della tua volontà possa valere sempre, al tempo stesso, come principio di una legislazione universale» 15 .

D'altro canto non si può non riconoscere che solo il so111mo bene può essere «l'oggetto intero di una ragion pura pratica, cioè di una volontà pura» 16 • E' come dire che l'oggetto adeguato del volere morale dell'uomo è il sommo bene. Nel concetto di sommo bene la virtù si coniuga con la felicità, e anche se non implica in sé la felicità, la esige perché ne fa gli uomini degni: di concetto di sommo (hbchst) contiene già una ambiguità che, se non ci si bada, può cagionare dispute inutili. Sommo può infatti significare "supremo" (supremum) o anche "perfetto" (consummatum). Suprema è quella condizione che a sua volta è incondizionata, cioè non subordinata a

12

I. KANT, Critica della ragion prath·a, in ID., Fondazione della 1netafi'sica dei

costu111i e Critica def!a ragion pratica, a cura di V. Mathicu, Rusconi, Milano 1982,

217. 13

14

lhid., 219. Cfr. ihid., 218-227.

15

Ihid., 213.

16

lhid., 320.


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nessun'altra (originarium); perfetto è quel tutto che non è parte di alcun lutto maggiore della stessa specie (pe1fectissimum). Che la virtù (cioè il meritare di esser felici) sia la condizione suprema di lutlo ciò che comunque può apparire desiderabile - quindi di ogni nostra felicità - e, quindi che sia il bene supremo, è stato dimostrato nell'analitica. Ma con questo essa non è ancora il bene totale e completo, come oggetto della facoltà di desiderare di esseri razionali finiti; perché, per esser questo, dovrebbe aggiungervisi ancora la felicità: non solo agli occhi interessati dell'individuo, che fa di sé il proprio scopo, ma anche nel giudizio di una ragione imparziale, che considera la felicità in genere, nel mondo, come uno scopo in sé. Infatti, essere bisognevoli di felicità, e anche degni di essa, ma non esserne partecipi, non è cosa co1npatibile con il volere perfetto di un essere razionale, che avesse, al tempo stesso, potestà su ogni cosa (anche se noi ci rappresentiamo un tal essere solo per esperimento). In quanto, dunque, virtù e felicità insieme costituiscono, in una persona, il possesso del sommo bene - dunque, anche la felicità, ripartita esattamente in proporzione alla moralità (come valore della persona e sua dignità ad essere felice) costituisce il sommo bene in un mondo possibile questo insieme significa il tutto, il bene perfetto; in cui, però, la virtù, come condizione, è sempre il bene supremo, non avendo altre condizioni al di sopra di sé, e la felicità è sempre qualcosa che, a chi la possiede, riesce gradito, però non è buono per sé assolutamente e sotto tutti i rispetli, ma presuppone se1npre co1ne condizione, il comportamento morale conforme

alla legge» 17 • Ma« nella legge morale non si trova il benché minimo fondamento di una connessione tra la moralità e una felicità ad essa proporzionata, di un essere che appartiene al mondo e, di conseguenza, ne dipende; e che, appunto perciò, non può produrre la natura con la propria volontà, e, per quel che riguarda la sua felicità, non può con proprie forze rendere la natura intera1nente conforme ai propri principi pratici» 18 . E necessario, dunque, postulare l'esistenza di una causa suprema che coniughi nella realtà ciò che di per sé è distinto, cioè l'agire morale e la felicità, e questa è la 1

17

18

Ibid., 322-323. lbid., 340.


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causa dell'intera natura, cioè Dio, capace di accordarla, in quanto ne è l'autore, con l'intenzione morale dell'uomo". Si tenga sempre presente che l'esistenza di Dio non è il fondamento dell'obbligazione morale, la quale conserva tutta la propria autonomia; ma, al contrario, è la coscienza del nostro dovere morale che ci porta per «fede razionale» all'ammissione della sua esistenza20 • Si potrebbe, dunque, dire che Kant ha voluto fondare una morale a prescindere dalla condizione creaturale dell'uomo: ciò non implica, come abbiamo visto, la negazione di Dio, anzi è proprio l'esperienza del dovere morale che conduce l'uomo a postularne l'esistenza; ma l'imperativo morale ha il suo fondamento nell'autonomia della ragion pratica etsi Deus non daretur. E' questo il tentativo che ha dato origine alla formazione di una morale «laica» che si imporrebbe per la razionalità dei suoi principi e delle sue nonne, per cui nou ci sarebbe più bisogno di Dio per essere buoni. Questa pretesa è stata denunziata nella sua vanità da pensatori come Nietzsche e Dostojevskij, che hanno cercato di mostrare, seppure per vie diverse, come sia vero proprio il contrario, che cioè «se Dio non esiste, tutto è permesso». Oltre alle considerazioni teoretiche che si possono addurre a favore della loro tesi, è da notare come la situazione di crisi in cui versa oggi la morale "laica" abbia dato loro ragione e li abbia costituiti come profeti del nostro tempo. A questa presunzione di poter costruire una morale a prescindere dal riconoscimento della condizione creaturale dell'uomo è da ricondurre la categorica esclusione della felicità dal concetto di bene morale: essa introdurrebbe, infatti, proprio nel cuore del precetto morale la categoria del bisogno e del desiderio (cioè del limite e della destinazione naturale ad altro da sé) di cui la felicità sarebbe la soddisfazione. D'altro canto Hume, fondando la moralità sull'impulso all'utilità e alla felicità conseguente, la legava al possesso dell'empirico, e ciò era intollerabile agli occhi di Kant, perché stabiliva una dipendenza causale della libertà dell'uomo dal mondo sensibile proprio nell'atto del dovere

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Cfr. ibid., 340-341. 341-342.

° Cfr. ibid.,

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La fondazione metqfisica dell'etica nella Summa teologica

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morale, cioè in quell'atto per il quale l'uomo riconosce la propria libertà e in forza di questa si eleva al di sopra del mondo". Vedremo come nella dottrina tomistica tutte queste sane e apparentemente contraddittorie esigenze siano recuperate in una unità che è il loro vero fondamento. Moralità e felicità, libe1tà e appmtenenza creaturale costituiscono, nel ]oro insie1ne, le di1nensioni necessarie dell'agire u1nano in quanto agire di una creatura razionale fatta per vedere Dio.

3. Bene ontologico e bene morale Non è possibile comprendere la fondazione metafisica dell'etica in S. Tommaso d'Aquino se non a partire dalla sua concezione della bontà dell'essere, che è partecipata analogicamente ad ogni ente, e nello stesso tempo della prospettiva dell'intima finalità propria ad ogni ente secondo la sua natura". Secondo l'Aquinate a fondamento di ogni azione vi è un desiderio naturale del Bene: «è impossibile che uno voglia o che faccia qualcosa senza mirare al bene (nisi attendens ad bonum ); o che voglia fuggire il bene, proprio perché è bene» 23 • Così il bene si presenta come il fine a cui tende il desiderio sotteso all'agire: «il bene riguarda la facoltà appetitiva, essendo il bene ciò che ogni ente appetisce, e quindi ha il carattere di fine, poiché l'appetire è come il muoversi verso una cosa» 24 Ed essendo il bene la perfezione dell'essere, a essa ogni ente tende secondo la propria natura: «il bene è tutto ciò che è appetibile: e quindi siccome ogni natura desidera il proprio essere e la propria perfezione, è necessario affermare che l'essere e la perfezione di tutte le creature si presentano come un bene» 25 . C'è una n1isura di bene in ogni ente che è pertanto il principio e il fine del suo agire e della sua pe1fezione nell'ordine dell'universo: «la misura predetermina il modo r... ]

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22 23 24

25

Cfr. ihid., 293-316. Cfr. F. VENTOlHNO, op.rit., 91-96.

Sunnna Theo!o~iae, I, q.62, a.8, c. I, q.5, a.4, ad I. I, q.48, a.l, c.


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perché ogni essere agisce in quanto è in atto, e tende verso ciò che gli si confà secondo la sua forma. Tutto ciò è indicato dal peso e dall'ordine» 26 • Passando adesso alla considerazione dell'uomo e del suo agire, bisogna innanzitutto affermare che la bontà della sua azione va commisurata alla bontà, cioè alla perfezione del suo essere: «Ogni azione tanto ha di bontà, quanto possiede di entità: e quanto invece le manca della pienezza dell'essere dovuta all'azione umana, tanto le manca di bontà e si dice cattiva»27. Ma ciò che fa la perfezione dell'uomo è la sua razionalità, quindi è questa la misura della bontà del suo agire: «gli atti umani si denominano buoni o cattivi in rapporto alla ragione; poiché, come insegna Dionigi, il bene umano consiste 'nell'essere conforme alla ragione', e il male nell'essere 'contrario alla ragione'. Infatti per ogni cosa è bene ciò che le si addice secondo la sua forma; e male quello che è in contrasto con essa. Perciò è evidente che la differenza tra oggetto buono e oggetto cattivo ha un rapporto essenziale con la ragione, perché si considera l'oggetto in quanto concorda o non concorda con essa. Ora, certi atti sono denominati

umani, o morali, in quanto dipendono dalla ragione»'"· Si potrebbe, a prima vista, pensare di rintracciare in queste affermazioni i prodromi di quel formalismo e di quella autonomia della ragione che stanno a fondamento della morale kantiana, ma si tratta, in realtà, di tutt'altra prospettiva. Infatti Kant ha ragione nell'affe1mare che il principio della moralità sta nella ragione, ma essa non va intesa come emancipata da ogni legame e quindi come istanza chiusa e indipendente, bensì in quanto capacità di verità e pe1tanto misurata dalla verità cui essa appartiene, come la facoltà appartiene al proprio oggetto formale: è un'appartenenza radicata nella sua forma. In questo senso la ragione umana fonda la moralità dell'agire dell'uomo in quanto capacità di cogliere con le sue forze naturali o con la luce della rivelazione quella legge eterna che è la ragione divina che dà ordine e misura a tutte le cose, all'uomo e all'universo: «la ragione dell'uomo deve il fatto di essere la regola della volontà umana, e quindi la misnra della sua bontà, alla legge eterna che è la ragione di Dio. Perciò sta

26

27 28

I, q.5, a.5, c. I-II, q.18, a.l, c. I-II, q.18, a.5, c ..


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scritto: 'Molti dicono: Chi ci farà vedere il bene? Quale sigillo è impressa su noi la luce del tuo volto, o Signore'. Come per dire: la luce della ragione che è in noi, in tanto può mostrarci il bene, e regolare la nostra volontà, in quanto è luce del tuo volto, cioè derivante dal tuo volto»"- Ma questo presuppone una fiducia nella ragione umana, come immagine di quella divina, e l'accettazione della rivelazione come razionalmente possibile. Infatti, «sebbene la legge eterna sia per noi ignota, in quanto essa si trova nella mente divina, tuttavia veniamo a conoscerla in qualche modo, sia mediante la ragione naturale, che ne deriva come immagine di essa, sia mediante qualche rivelazione che vi si aggiunge» 30 .Da ciò segue che la regola prossima della moralità dell'agire dell'uomo è la sua ragione, mentre la regola suprema è la legge eterna di Dio". Secondo il pensiero di S. Tommaso, dunque, l'esistenza e la ragione eterna di Dio costituiscono il fondamento ultimo della moralità; la 1

ragione dell uomo, in tanto diviene criterio morale, in quanto manifesta o

riconosce una ragione divina eterna che è il fondamento dell'ordine ontologico dell'universo, cui l'uomo stesso appartiene e in forza del quale è chiamato ad agire secondo il posto che gli è assegnato, che è quello di creatura razionale.

4. Moralità e felicità «Quando l'atto umano tende verso il fine secondo l'ordine della ragione e della legge eterna, allora l'azione è retta: quando invece si scosta da questa rettitudine, o direzione, allora si ha il peccato» 32 • Quindi è proprio della ragione ordinare gli atti dell'uomo al fine proprio della natura di un essere razionale.

Ma qual è il fine di una creatura razionale? A questa domanda s. Tommaso dedica le prime cinque questioni della Prima Secundae della Summa Theologiae. Qui l'Aquinate comincia con l'inteffogarsi se sia con-

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30 31 32

I-li, I-II, Cfr. I-II,

q.19, a.4, c. q.19, a.4, ad 3. I-II, q.21, a.l, c. q.21, a.l, c.


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veniente all'uomo agire per un fine, e la risposta viene tratta dalla natura dell'uomo stesso che lo costituisce persona, cioè signore del proprio agire: «perciò in senso stretto si dicono un1ane le sole azioni di cui l'uomo ha pa-

dronanza. D'altra parte l'uomo è padrone dei suoi atti mediante la ragione e la volontà: difatti è stato scritto che il libero arbitrio è 'una facoltà della volontà e della ragione'. E quindi propriamente sono denominate umane le azioni che derivano dalla deliberata volontà. [ ... ]. Ora, tutti gli atti, che procedono da una data facoltà, ne derivano secondo la ragione formale dell'oggetto di essa. Ma l'oggetto della volontà è il fine e il bene. Dunque tutte le azioni u1nane saranno necessariamente per un fine» 33 . Da ciò si ricava che l'uomo in quanto tale agisce sempre per un fine e che il suo fine è il suo bene, cui naturalmente tende. Accertato che l'uomo non può agire che per un fine che è il bene, cioè la propria perfezione, s. Tom1naso si inte1Toga se è necessario avere un fine ultimo nella vita, e risponde che «è da escludersi sotto tutti gli aspetti un vero processo all'infinito tra i fini [ ... ]poiché senza ultimo fine non ci sarebbe appetizione alcuna, nessuna azione avrebbe un termine, e

l'intenzione dell'agente non sarebbe mai soddisfatta» 34 • Non solo è impossibile agire senza avere un fine ultimo, ma è proprio del fine ultimo essere unico, infatti «L'oggetto nel quale uno stabilisce il suo ultimo fine domina totalmente l'affetto di un uomo: poiché da esso questi prende la nmma di tutta la sua vita [ ... ]. E' perciò necessario che l'ultimo fine riempia talmente l'appetito dell'uomo, da non lasciare niente di desiderabile all'infuori di esso» 35 • E nello stesso luogo aggiunge un'altra ragione che, come si vedrà, avrà delle profonde conseguenze antropologiche e politiche, «poiché la natura tende a un unico termine (natura non tendit nisi ad unun1)».

In ogni ente esiste dunque un solo fine naturale, cosicché tutto ciò che l'uomo desidera e vuole, lo fa in vista del fine ultimo, cioè di quel bene nel quale ripone la propria perfezione e piena soddisfazione. Infatti: <d'uomo tutto desidera sotto l'aspetto di bene. E questo bene, se non è de-

33 34

35

I-Il, q.l, a.l, c. I-II, q. l, a.4, c. I-II, q.1, a.5, c.


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siderato come bene perfetto, cioè coine fine ultimo, sarà necessariamente

desiderato come tendente al bene peifetto: infatti l'inizio di una cosa è sempre ordinato al suo completamento[ ... ]. Perciò anche gli appetibili secondari non possono muovere l'appetito se non in vista del primo appetibile, che è l'ultimo fine»"- Non c'è istante o azione della vita nella quale ogni uomo non affeimi, nel volere qualcosa, il fine ultimo, cioè l'oggetto ultimo del suo desiderio, che è la sua perfezione e la conseguente felicità o beatitudine, anche se non tutti gli uomini la ripongono nella stessa ragione: «tutti desiderano il raggiungimento della propria perfezione, costitutivo, come si è detto della ragione di ultimo fine. Non tutti invece concordano nell'ultimo fine, quando si tratta di stabilire l'oggetto in cui la suddetta ragione si trova: alcuni infatti desiderano come bene pe1fetto le ricchezze, altri il piacere, altri ancora qualunque altra cosa» 37 . Si noti co1ne nella prospettiva tomistica sia naturale coniugare mo-

ralità e felicità, anzi è la felicità il fine dell'agire morale dell'uomo, perché la moralità non è altro che la rettitudine razionale in forza della quale l'uomo nell'azione tende al suo fine naturale, che è la propria realizzazione e quindi la beatitudine perfetta. E' con questo criterio che s. Tommaso passa in rassegna gli idoli nei quali gli uomini sogliono far consistere la loro realizzazione e la loro felicità, evidenziando argutamente di ciascuno la ragione per cui essi non possono essere il sommo bene cui l'uomo naturalmente anela. E così delle ricchezze si dice che esse «sono ricercate per un altro scopo, cioè per dare sostentamento alla natura dell'uomo: e quindi non possono essere l'ultimo fine dell'uomo, ma esse piuttosto sono ordinate all'uomo, co1ne al loro fine» 38 . E inoltre si fa rilevare acutamente che «quanto più pe1fettamente il sommo bene si possiede tanto più si ama, e si disprezzano gli altri beni; poiché uu maggiore possesso ne accresce la conoscenza»; ma per ]e ricchezze materiali si verifica il contrario: «quando si possiedono non si apprezzano, e se ne desiderano altre [ ... ]. Questo avviene perché se ne scorge meglio l'insufficienza quando si possiedono» 39 •

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!-li, q.1, a.6, c. !-II, q.1, a.7, c.

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I-II, q.2, a.l, c.

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!-Il, q.2, a. l, ad 3.


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E per quanto riguarda l'onore si fa notare che «l'eccellenza di un uomo si misura proprio dalla beatitudine, che è il suo bene pe1fetto [ ... ]. Perciò l'onore può derivare dalla beatitudine, ma non può esserne il costitutivo»40. E rifacendosi ad Aristotele aggiunge: «l'onore non è il premio per cui agiscono gli uomini virtuosi; ma al posto del premio essi ricevono l'onore degli uomini 'come da gente che non ha niente di meglio da offrire'. Ma il vero premio della virtù è la beatitudine stessa, per la quale gli onesti agiscono»41 .

Né la beatitudine dell'uomo può consistere nella fama o nella gloria, che è definita clara notitia cum laude, infatti «la conoscenza umana viene causata dagli oggetti conosciuti, mentre la cognizione divina è causa degli oggetti di conoscenza. Perciò la perfezione del bene umano, e cioè la beatitudine, non può essere causata dalla notorietà, o conoscenza degli uomini: ma questa, al contrario, deriva dalla beatitudine di un dato soggetto, e in qualche modo viene causata dalla felicità umana, iniziale o pe1fetta» 42 . Significativa interpretazione del rapporto tra fatto e notizia: solo la conoscenza di Dio crea i fatti, quella degli uomini deriva dai fatti, essa può divenire notizia del fatto. Quale vanificazione dell'essere si opererebbe qualora si pretendesse identificare il fatto con la notizia, fino a concepirlo come una creazione di questa! Mi sembra che qui ci sia in nuce tutta l'etica della comunicazione sociale.

Alla domanda se la beatitudine dell'uomo possa consistere nel potere s. Tommaso risponde che da potenza è indifferentemente buona o cattiva. La beatitudine invece è il bene proprio e perfetto dell'uomo. E quindi una certa beatitudine può trovarsi piuttosto nel buon uso del potere dovuto alla virtù, che nel potere medesimo»''· E' da sottolineare il 1ifiuto di qualunque demonizzazione del potere, che anzi viene visto come possibilità che l'uomo ha di usare le cose per il fine, possibilità nella quale si realizza lo scopo del potere stesso. Del pari è impossibile che la beatitudine possa consistere nel benessere corporale perché: «è evidente che l'uomo deve avere il suo fine in qualche cosa; poiché l'uomo non è il sommo bene. Per-

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41 42 43

I-II, I-Il, I-II, I-II,

q.2, q.2, q.2, q.2,

a.2, a.2, a.3, a.4,

c. ad !. c. c.


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ciò è impossibile che la propria conservazione sia l'ultimo fine della ragione e della volontà dell'uomo» 44 • Per quanto riguarda poi la voluttà o il piacere del corpo c'è da notare innanzitutto che «ogni godimento è un accidente proprio annesso alla beatitudine, sia totale che parziale, e quindi non può essere la beatitudine in se stessa. Infatti uno gode perché nella realtà, nella speranza o nella memoria possiede un bene per lui conveniente» 45 • Inoltre c'è da dire che il piacere corporale causato da un bene sensibile «non può essere il bene perfetto dell'uomo, ma è piuttosto un bene insignificante paragonato al bene dell'anima» 46 • Ma allora si può dire che la beatitudine consiste in un bene dell'anima? A questa domanda s. Tommaso risponde operando una distinzione tra il fine, cioè il bene cui l'uomo tende, e il suo possesso. Se si guarda dunque la beatitudine dell'uomo nel suo oggetto, cioè in ciò in cui essa consiste e da cui è generata, è impossibile dire che questa consiste in una perfezione dell'anima; se invece la consideriamo nell'atto con il quale l'uomo la raggiunge, allora questo può dirsi un bene dell'anima: «perciò la cosa stessa che è desiderata come fine constituisce l'oggetto della beatitudine (id in quo beatitudo consistit), ed è quello che rende beati: invece il conseguimento di essa è la beatitudine stessa. Dunque si deve concludere che la beatitudine è un qualche cosa dell'anima; mentre l'oggetto che costituisce la beatitudine è qualche cosa al di fuori di essa»47 • Concludendo questa analisi si può dire, dunque, che la beatitudine dell'uomo non può consistere in nessun bene creato: «Infatti la beatitudine è il bene perfetto che appaga totalmente l'appetito: altrimenti se lasciasse ancora qualche cosa da desiderare, non sarebbe l'ultimo fine. Ora l'oggetto della volontà, cioè dell'appetito umano, è il bene universale, come quello dell'intelletto è il vero nella sua universalità. E' evidente quindi che niente può appagare la volontà umana, all'infuori del bene preso in tutta la sua universalità. Esso però non si trova in un bene creato, ma soltanto in Dio: poiché ogni creatura ha una bontà partecipata. Perciò Dio soltanto può ap-

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I-Il, q.2, a.5, c. I-Il, q.2, a.6, c. 46 L.c. 47 I-II, q.2, a.7, c. 45


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pagare la volontà dell'uomo f... ]. Dunque in Dio soltanto consiste la beatitudine dell'uomo» 48 .

5. Felicità e visione di Dio In Dio soltanto consiste, dunque, la beatitudine dell'uomo perché egli solo è quel Bene che riempie la sua volontà, cioè l'appetito naturale dell'uomo: è dunque razionale che egli tenda a questo Bene in ogni sua azione e in questo consiste la moralità dell'agire umano. Ma prima di passare alla considerazione della finalizzazione dell'agire dell'uomo a quel Bene unico in cui consiste la sua beatitudine, s. Tommaso sì sofferma sull'atto con il quale si raggiunge il possesso di questo Bene che è Dio. Infatti il possesso di questo Bene è un atto, un'operazione, anzi è l'ultimo atto dell'uomo, perché con esso l'uomo consegue l'ultima perfezione". Riprendendo le parole di Boezio e dì Aristotele, s. Tommaso definisce la beatitudine come status onv1ilu11 honorun1 aggregatione pe1jèctus, per cui il beato è colui che si trova in stato boni pe1fecti"'· La beatitudine è dunque quell'azione immanente (manens in ipso agente) con la quale l'uomo acquista la propria pe!fezione". Avendo stabilito che la beatitudine si acquista in forza dì una operazione e che, trattandosi dell'uomo, questa non può essere che una operazione delJfani1na intellettiva 52 , si passa a discutere se questa operazione sia propriamente dell'intelletto o della volontà, per a1Tivare alla conclusione che essa non può essere essenzialmente un atto della volontà, per la ragione che «il godimento sopravviene alla volontà per il fatto che il fine è presente; e non è affatto vero, al contrario, che una cosa diventa presente perché la volontà ne gode. Si richiede perciò un atto diverso da quello della volontà per rendere il fine pre-

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°

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I-Il, Cfr. Cfr. Cfr. Cfr.

g.2, I-II, I-II, I-II, I-Il,

a.8, q.3, q.3, q.3, q.3,

c. a.2, c. a.2, ad 2. a.2, ad 3. a.3, c.


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sente alla volontà medesima» 53 • La beatitudine nasce da un Bene che si rende presente all'uomo e non dal desiderio o dall'amore dell'uomo nei confronti di tale Bene. Allora si tratta prop1iamente di una operazione dell'intelletto e precisamente dell'intelletto speculativo e non pratico: essa, infatti, è un atto con cui si contempla Dio che si dona alla visione dell'uomo. E qui è da riprodune interamente la celeberrima argomentazione di s. Tommaso: «La felicità ultima e perfetta non può consistere che nella visione dell'essenza divina. Per averne la dimostrazione si i1npongono due considerazioni. La

prima, che l'uomo non è perfettamente felice fino a che gli rimane qualche cosa da desiderare e da cercare. La seconda, che la perfezione di ciascuna potenza è determinata dalla natura del proprio oggetto. Ora l'intelletto, come insegna Aristotele, ha per oggetto la quiddità, o essenza delle cose. Perciò la perfezione di un intelletto si misura dal suo modo di conoscere l'essenza di una cosa. Cosicché se un intelletto viene a conoscere l'essenza di un effetto, da cui non è in grado di conoscere l'essenza o quiddità della causa, non si dirà che l'intelletto può raggiungere senz'altro la causa; sebbene possa conoscerne l'esistenza mediante gli effetti. Perciò rimane nell'uomo il deside1io naturale di conoscere la quiddità della causa, quando nel conoscere gli effetti atTiva a comprendere che essi, hanno una causa. Si tratta di un deside1io dovuto a meraviglia, come dice Aristotele, che stimola la ricerca. [ ... ). Ora, dal momento che l'intelletto umano, conoscendo la natura di un effetto creato, atTiva a conoscere solo l'esistenza di Dio; la perfezione conseguita non è tale da raggiungere davvero la cansa prima, ma gli rimane ancora il desiderio naturale di indagarne la natura. Qnindi non è perfettamente felice. Ma alla pe1fetta felicità si richiede che l'intelletto raggiunga l'essenza stessa della causa prin1a. E allora avrà la sua perfezione nel possesso oggettivo di Dio (per unionem ad Deum sicut ad obiectum ), nel quale soltanto si trova la felieità dell'uomo, come abbiamo detto»". In questa eontemplazione, nella qnale si offre la presenza del Bene ultimo desiderato, si acquieta infine l'appetito intellettuale dell'uomo che è la sua volontà, cioè il suo desiderio naturale di vedere Dfr1. Ma, come

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I-II, q.3, a.4, c. I-II, q.3, a.8, c.


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detto sopra, non è l'amore dell'uomo verso Dio a farlo felice, piuttosto il donò di Dio per il quale egli può unirsi intellettualmente a lui in· quella visione della sua divina essenza cui è ordinata la propria natura razionale: «quando iufatti qualche intelletto creato vede Dio nella Sua essenza, la stessa essenza di Dio si fa forma intellegibile di questo intelletto»".

6. F eticità e vita presente Che rapporto esiste allora tra l'agire dell'uomo nel tempo e questa beatitudine eterna? La rettitudine della volontà stabilisce il rapporto tra l'agire dell'uomo e il dono di Dio: «come la materia non può conseguire la forma, senza la dovuta predisposizione a riceverla, così nessuna cosa può conseguire il fine, senza il debito ordine verso di esso. Quindi nessuno può raggiungere la beatitudine, senza la rettitudine della volontà»56 • Ed in questo ordinarsi della volontà alla beatitudine eterna nell'agire, che poi è il compiere il dovere morale, consiste l'unico merito dell'uomo. I nostri atti, dunque, acquistano merito davanti a Dio nella misura in cui sono ordinati a lui, «in quanto è l'ultimo fine dell'uomo, infatti è doveroso riferire tutti gli atti all'ultimo fine» 57 • Pertanto «l'uomo, in tutto quello che forma il suo essere, il suo potere e il suo avere, dice ordine a Dio: e quindi ogni atto umano, buono o cattivo, ha un merito o demerito presso Dio, per quanto esso vale come atto»58 •

L'uomo non può darsi da sé la felicità, che consiste nella contemplazione di Dio nella sua essenza, ma non può riceverla senza tendere ad essa con molte azioni che vengono chiamate meritorie. Infatti «possedere per natura la beatitudine è soltanto di Dio. Perciò è proprio soltanto di Dio non muoversi verso la beatitudine con un' operazione che la preceda. Ma nessuna pura creatura raggiunge la beatitudine in 1naniera conveniente, senza un moto operativo con il quale tenda a raggiungerla». E così: «gli uomini la

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I, q.12, a.5, c.

56

I-Il, q.4, a.4, c. I-II, q.21, a.4, c. I-II, q.21, a.4, ad 3.

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raggiungono con i moti molteplici delle loro operazioni, cioè con i meriti. Cosicché la beatitudine, come si esprime il Filosofo, è anche un premio delle azioni virtuose»". Dunque l'ordinarsi razionale dell'uomo alla sua felicità, che consiste nella piena soddisfazione del suo desiderio naturale di vedere Dio, è la ragione ultima e il fondamento della moralità dell'agire umano.

In questa impostazione, come si è già notato, ogni divisione tra virtù e felicità è colmata, anzi la virtù è già una iniziale partecipazione alla felicità. Infatti l'uomo in questa vita «può acquistare la beatitudine imperfetta [ ... ],come può acquistare le virtù, negli atti delle quali[ ... ] consiste tale beatitudine»'°- E' vero che l'ordinarsi della volontà nell'azione morale alla felicità implica una dipendenza dell'uomo, ma è quella che nasce dalla sua appartenenza creaturale a Dio, essa è anzi il principio della sua signoria su ogni altra cosa, che deve essere ordinata al pieno possesso del Bene perfetto. « E' per questo che 'amare Dio al di sopra di ogni realtà è qualcosa di connaturale all'uomo 161 , e non eccede la sua capacità naturale 62 • Perché l'amare Dio come bene supremo non esclude ma autentica nella verità ogni altro amore; non esclude ma implica l'amore di ogni altro essere e in primo luogo del proprio essere, nell'ordine che implica il loro rispetto e pieno compimento. Mentre l'amore di qualsiasi bene particolare, scambiato falsamente per il bene supremo, esclude che si ami veramente il Bene infinito; ma ciò costituisce una grave perdita per l'uomo, anzi la più grave» 63 •

7. Il paradosso etico Da quanto detto l'uomo 1isulta tendere naturalmente ad un fine che non può conseguire con le sue forze naturali: da perfetta beatitudine

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I-II, q.5, a.7, c. I-II, q.5, a.5, c.

I-II, q.109, a.3, c. Cfr. I-II, q.109, a.3, ad 2. 63 U. GALEAZZI, L'etica filosofica in S. Tonunaso d'Aquù10, Città Nuova Ed., Roma 1989, 94. 62


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dell'uomo consiste, e lo abbiamo già visto, nella visione dell'essenza divina. Ora, vedere Dio per essenza non è al disopra soltanto della natura dell'uomo, ma di qualsiasi creatura, come già fu dimostrato nella Prima Parte"- Infatti la conoscenza naturale di una qualsiasi creatura segue il modo della sua sostanza[ ... ]. Ora qualsiasi cognizione che segua il modo di una sostanza creata è inadeguata per la visione dell'essenza divina, che sorpassa all 1infinito ogni sostanza creata. Dunque né l'uomo, né un'altra

creatura può conseguire l'ultima beatitudine con le sue capacità naturali» 65 • L'uomo è costituito, dunque, dal desiderio naturale di vedere Dio, ma questo desiderio si può adempiere solo per un libero dono divino. Perciò si potrebbe dire che non è in nostro potere vedere Dio, ma è nel potere di Dio farsi vedere dall'uomo: «Dio ha ordinato la natura umana a raggiungere il fine della vita eterna non con la propria virtù, ma con l'aiuto della grazia» 66 . Infatti: «l'intelletto creato non può vedere Dio per essenza se non

in quanto Dio si unisce con la sua grazia all'intelletto creato come oggetto

di conoscenza» 67 . Co1ne atteggia1nento etico-esistenziale l'uo1no è chia1nato a vivere della speranza fondata su ciò che egli è: «se pure fosse provato che colle sue sole forze colui che desidera non raggiungerà completamente l'oggetto del suo desiderio, e se anche non vi fosse nessuna ragione di sperare in un

qualunque soccorso che ve lo renda capace, il desiderio che se ne prova rimane, non ucciso 1na esasperato sino all'angoscia dal sentimento stesso

della sua impotenza». Quest'angoscia s. Tommaso la conosce; è quella di Alessandro di Afrodisia, è quella di Averroè, è quella di Aristotile: in quo satis apparet quantan1 angusticon JJatiebantur hinc inlle eorun1 ]Jraeclara ingenia; quella dell'intelletto umano stesso, che può tutto divenire, afferma l'esistenza dell'Essere partendo dal sensibile, vorrebbe divenirlo e non può. Qui, e qui soltanto, la formula così spesso ripetuta da s. Tommaso a

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Cfr. I, q.12, a.4. I-Il, q.5, a.5, c. l-11. q.114, a.2, ad 1.

I, q.12, a.4, c. Per la discussione teologica della questione si rinvia alla fa-

mosa opera di H. DE LUBAC, Le Mystère du Surnaturel, Aubicr, Parigi 1965.


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proposito di questo problema prende tutto il suo significato: impossibile est naturale desideriun1 esse inane»68 . Quello che abbiamo detto ha dei risvolti anche sul piano dell'etica della politica: se il fine dell'uomo è unico ed è un fine soprannaturale, qual è lo scopo della politica? è possibile costruire una società giusta che non sia aperta al trascendente? A tali questioni, che forano agitate già nel medioevo e alle quali nell'età modema e contemporanea si è data risposta con la presunta autonomia dell'uomo nella costmzione della città terrestre (autonomia che è stata ratificata nell'affe1mazione del doppio fine, naturale e soprannaturale, o addirittura nella negazione del fine soprannaturale dell'uomo), ha fatto recentemente eco un'opera di Claudio Napoleoni. Si tratta di un cattolico, militante comunista, che alla fine della sua vita è approdato ad un modo di sentire la questione dell'etica della politica molto più vicino allo spirito del cattolicesimo che non quello di altri catto-comunisti, come Rodano e La Valle, che anzi egli apertamente critica. Per Napoleoni, infatti, la religione non può più essere considerata come un fatto privato, nel senso che «i rapporti pubblici, sociali tra gli uomini si regolano appunto in modo laico, cioè senza riferimento ad alcuna dimensione religiosa o trascendente; questa cosa fa parte mmai della coscienza comune, e se provi a dire il contrario diventi immediatamente un

integralista» 69 .La religione ha dunque a che fare con la vita pubblica, con i rapporti sociali che gli uomini stabiliscono fra loro e con la politica, perché oggi più che mai si evidenzia che nella storia c'è «un abisso tra possibilità e realizzazione» 70 . Si può, infatti, accettare che la pace cui l'uomo anela

coITisponde alla ragione e quindi si può fare, «nel senso che nulla osta da parte della ragione che si faccia». Ma da qui a dire che l'uomo, avendo accettato questa possibilità, abbia la facoltà di fare soltanto con la propria ragione la pace sulla terra c'è una distanza abissale71 •

Napoleoni, dunque, riferendosi a De Lubac e attraverso lui a s. Tommaso d'Aquino, pone la domanda: se l'uomo è desiderio naturale di

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E. GJLSON, L'e:,prit de la philosophie médiévale, J. Vrin, Paris 1932, trad. it.: Lo spirho della .fìlosofia rnedieva/e, Morcelliana, Brescia 1964, 322. 69 C. NAPOLEONI, C'ercate ancora, Editori Riuniti, Roma 1990, 120. 70 Ibid., 119. 71

Cfr. I.e.


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Dio, può allora la società umana costruirsi autonomamente, senza tener conto di questa finalità intrinseca dell'uomo che pone l'oggetto del suo desiderio al di là di ogni immanenza? Non esige invece, proprio questa condizione creaturale dell'uomo, in particolare nella storia a noi contemporanea, «una rinnovata cooperazione» tra l'uomo e Dio, ma non appena con un Dio che sia l'origine creatrice delle energie razionali dell'uomo e l'approdo dei suoi sforzi teoretici, ma con un Dio che si fa presente nella storia e diventa per l'uomo e per la società «Un riferimento esplicito e, se la parola non fosse orrenda, tenderei a dire organizzato»72 ? Questo non significa che l'uomo non debba tentare una progettualità politica con le forze della propria ragione e restare ad aspettare questo evento; «però, tra la progettualità pienamente razionale, da perseguirsi fino ai suoi limiti, e non far niente aspettando che Egli tomi per la seconda volta, c'è una via di mezzo, che è: una volta esperite tutte le possibilità razionali, disporsi a questa possibile venuta» 73 • E questa attesa diventa una questione politica, «non nel senso che la politica la debba programmare, perché la politica non può programmare queste cose, ma nel senso che chi fa politica perché vuole la pace, si deve mettere in questa disposizione» 74 • Questo disporsi a va fatto in comune, anche se ciò implica il superamento di una concezione troppo affermata della laicità, «nel senso che si tratta di un atteggiamento che comporta il riferimento al soprannaturale, cioè comporta un atteggiamento che va al di là di ciò che una morale strettamente immanentistica può prescrivere» 75 •

8. Paradosso umano e fede cristiana E' in questo contesto che si pone la delicata questione del rapporto tra la possibilità razionale di scoprire il fondamento ontologico dell'etica e la necessità di una divina rivelazione.

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Cfr. ihid., 127-128. Ibid., 123. L.c. lbid., 124.


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E' stato già documentato come per s. Tommaso l'agire etico dell'uomo coincida con il suo ordinarsi a Dio come al suo fine ultimo, cioè alla sua beatitudine. Ma fin dal primo articolo della Summa Theologiae egli ha fatto notare che «l'uomo è ordinato a Dio come ad un fine che supera la capacità della ragione, secondo il detto d'Isaia: 'Occhio non vide, eccetto te, o Dio, quello che tu hai preparato a coloro che ti amano'. Ora è necessario che gli uomini conoscano in precedenza questo loro fine, perché vi indirizzino le loro intenzioni e le loro azioni. Cosicché per la salvezza dell'uomo fu necessario che mediante la divina rivelazione gli fossero fatte conoscere delle cose superiori alla ragione umana»76 • La logica è ineccepibile: se l'uomo è ordinato a Dio come al suo fine ultimo, egli non può dirigere ad un fine che eccede le forze della sua ragione, le sue intenzioni e le sue azioni, senza una rivelazione divina. Da qui la necessità della rivelazione all'interno di quella infinita gratuità che sta all'origine dell'essere dell'uomo. Ma c'è di più: se consideriamo la condizione storica dell'uomo, allora la rivelazione appare necessaria anche per quelle verità su Dio che la ragione umana, astrattamente parlando, potrebbe apprendere da sé: «perché una conoscenza razionale di Dio non sarebbe stata possibile che per parte di pochi, dopo lungo tempo e con la mescolanza di molti eJTori; eppure dalla conoscenza di tali verità dipende tutta la salvezza dell'uomo, che è riposta in Dio. Per provvedere alla salvezza degli uomini in modo più conveniente e più certo fu necessario che rispetto alle cose divine fossero istruiti per divina rivelazione» 77 • La rivelazione di Dio storicamente si è compiuta nella incarnazione del Verbo in Cristo. S. Tommaso sostiene che questa è la forma massimamente conveniente all'uomo: «E' convenientissimo che le cose visibili mostrino le cose divine invisibili; per questo fine il mondo è stato creato, come asserisce l'Apostolo: 'Le invisibili perfezioni di Dio appariscono chiare dalle opere sue'. Ma il mistero dell'incarnazione, dice il Damasceno, 'rivela insieme la bontà, la sapienza, la giustizia, la potenza di Dio: la bontà, perché non sdegnò la debolezza della sua creatura; la giustizia, perché fece sconfiggere il demonio dallo stesso che ne era stato

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I, q. l, a.I, c.

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L.c.


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vinto e non a forza strappò l'uomo dalla morte; la sapienza, perché trovò il saldo più generoso per il debito più insolvibile; l'infinita potenza, perché non c'è nulla di più grande di un Dio fatto uomo'. Era dunque conveniente che Dio si incan1asse» 78 . L'incarnazione è dunque il modo di rivelarsi di Dio più conveniente all'uomo, perché nulla è più adatto a lui che conoscere il mistero visibilmente, e a Dio stesso, perché nulla di più grande Dio pnò fare che farsi uomo. Infatti «la bontà tende a comunicarsi, osserva Dionigi. Di conseguenza alla somma bontà si addice di comunicarsi alla creatura in modo so1n1no. Ciò avviene precisa1nente quando Dio 'unisce a sé una natura creata così intimamente che una sola persona risulti di tre elementi: Verbo, anima, carne', come si esprime S. Agostino. E' chiaro dunque che l'inca1nazione di Dio era conveniente» 79 .

Da questa impostazione della questione circa la necessità della rivelazione e la convenienza dell'incarnazione, nella quale storica1nente la rivelazione di Dio si è attuata, sorge la domanda: dunque è necessario all'uomo, ad ogni uomo, credere nel mistero di Cristo per salvarsi? E così ci troviamo di fronte alla sorprendente risposta che, se la fede riguarda quelle cose per le quali l'uomo può conseguire la sua beatitudine ({idei obiectum per se est id per quod homo beatus efjicitur80 ), è necessario che in qualche modo ogni uomo creda nel mistero della incarnazione: «La via per cui gli uomini possono raggiungere la beatitudine è il mistero dell'incarnazione e della passione di Cristo; poiché sta scritto: 'Non c'è alcun altro nome dato agli uomini, dal quale possiamo aspettarci di essere salvati'. Perciò era necessario che il mistero dell'incarnazione di Cristo in

qualche modo fosse creduto da tutti in tutti i tempi: però diversamente secondo le diversità dei tempi e delle persone»". Ma la risposta diventa ancora più avvincente quando si tende a precisare il modo della conoscenza secondo il tempo: «Infatti prima del peccato l'uomo ebbe la fede esplicita dell'incarnazione di Cristo in guanto questa era ordinata alla pienezza della gloria; ma non in quanto era ordinata a liberare dal peccato con la passione

78 79 80 81

lii, g. I, a.I. III, q.l, a.l, c. II-II q.2, a.5, c. II-II, q.2, a.7, c.


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e con la resunezione; perché l'uomo non prevedeva il suo peccato. Invece si arguisce che prevedeva l'incarnazione di Cristo dalle parole che disse: 'Perciò l'uomo, lascerà il padre e la madre e si stringerà alla sua moglie'; parole che secondo l'Apostolo stanno a indicare 'il grande mistero esistente in Cristo e nella Chiesa'; mistero che non è credibile che il primo uomo abbia ignorato» 82 • L'uomo, dunque, non avrebbe compreso fino in fondo il valore dell'unità coniugale se non nella prospettiva aperta dall'incarnazione di Cristo: solo in essai infatti, la comunione fra l\101no e

la donna, che si consuma nella carne, diviene sacramento dell'amore di Dio e quindi inizia a quella comunione con Dio nella quale è vera beatitudine dell'uomo. «Dopo il peccato, poi, il mistero di Cristo fu creduto esplicitamente non solo per l'incarnazione, ma anche rispetto alla passione e alla resunezione, con le quali l'umanità viene liberata dal peccato e dalla morte. Altrimenti (gli antichi) non avrebbero prefigurato la passione di Cristo con dei sacrifici, sia prima che dopo la promulgazione della legge. E di questi sacrifici i maggiorenti conoscevano esplicitamente il significato; mentre le persone semplici ne avevano una conoscenza confusa sotto il velo di quei sacrifici (velatam cognitionem), credendo che essi erano disposti per il Cristo venturo» 83 • In che consista questa velata conoscenza è stato detto altrove quando si afferma che tutti gli articoli della fede cristiana sono contenuti «in alcune prime VC1ità di fede. Tutto cioè si riduce a credere che Dio esiste, e che provvede alla salvezza degli uomini, secondo l'insegnamento di S. Paolo: 'Chi si accosta a Dio deve credere che egli esiste, e che è rimuneratore di quelli che lo cercano'. Infatti nell'essere divino sono incluse tutte le cose che crediamo esistere eternamente in Dio, e nelle quali consisterà la nostt·a beatitudine; e nella fede nella provvidenza sono inclusi tutti i mezzi di cui Dio si serve nel tempo per la salvezza degli uomini, e che preparano alla beatitudine. E allo stesso modo anche tra gli mticoli subordinati alcuni sono impliciti in altri: la fede, per es., nella redenzione umana im-

s2 L.c. 83

L.c.


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Francesco Ventorino

plica e l'incarnazione di Cristo, e la sua passione, e tutte le altre cose connesse»-84. Per s. Tommaso, dunque, proprio in ordine alla salvezza è necessario per l'uomo, e quindi anche razionale, vivere l'attesa di un evento storico attraverso il quale Dio gli assicuri la rivelazione e la redenzione, di cui si sente bisognoso nella sua condizione di peccato. «Finalmente dopo la rivelazione della grazia tanto i maggiorenti che i semplici sono tenuti ad avere la fede esplicita dei misteri di Cristo; e specialmente di quelli che sono oggetto delle solennità della Chiesa, e che vengono pubblicamente proposti, come gli articoli sull'incarnazione»". Infatti, attraverso la fede nell'incarnazione di Cristo cominciamo ad avere una certa familiarità con quello che vedremo nella vita eterna: «avendo la fede come oggetto principale quanto speriamo di vedere nella patria, poiché, secondo le parole di S. Paolo, 'la fede è realtà di cose sperate', di per sé spettano alla fede le cose che ci indirizzano direttamente alla vita eterna» 86 • E in questo senso veniamo introdotti anche nella profondità del mistero trinitario di Dio. Infatti, è impossibile credere esplicitamente nel mistero di Cristo senza la fede nella Trinità di Dio: «poiché il mistero di Cristo implica l'assunzione della carne da parte del Figlio di Dio, la rinnovazione del mondo mediante la grazia, e la concezione del Cristo per opera dello Spirito Santo» 87 • Il paradosso dell'uomo, dunque, cioè di quest'essere destinato ad un fine soprannaturale, cui naturalmente tende, pur non potendolo raggiungere con le sole proprie forze, è pienamente illuminato nell'avvenimento dell'incarnazione. Solo in questo avvenimento, infatti, è racchiusa tutta la grazia in forza della quale l'uomo viene fatto capace di conseguire il suo fine. Ogni uomo, nella misura in cui si approfondisce nella esperienza della propria condizione umana si apre più o meno coscientemente a questo avvenimento e stabilisce con esso un rapporto di «esplicita» attesa. Solo questa attesa ci apre a Dio come al fine ultimo cui la nostra umanità naturalmente tende. Pertanto si può dire che l'esperienza

84 85

86 87

11-11, Il-II, 11-11, II-Il,

q.1, q.2, q.l, q.2,

a.7, a.7, a.6, a.8,

c. c. ad.I. c.


La fondazione metafisica dell'etica nella Summa teologica

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etica, cioè l'ordinarsi dell'uomo al proprio fine, è possibile solo nell'attesa del Salvatore: «anche se alcuni si salvarono senza rivelazione, non si salvarono senza la fede nel Mediatore. Perché, anche se non ne ebbero una fede esplicita, ebbero però una fede implicita nella divina provvidenza, credendo che Dio sarebbe stato il redentore degli uomini nel modo che a lui sarebbe piaciuto» 88 • Quanto più l'uomo si avventura nella impresa della propria salvezza, tanto più coglie la propria sproporzione e allora l'aiuto di Dio gli appare ragionevolmente possibile e anche necessario89 . E' dunque ancora possibile parlare di morale naturale?

9. Legge naturale e destinazione soprannaturale dell'uomo Si è già detto che per s. Tommaso la ragione umana in tanto fonda l'agire dell'uomo, in quanto essa stessa rende manifesta una legge eterna che è la ragione stessa di Dio 90. Questa legge eterna non può essere negata, come non può essere negato che l'universo è retto da una divina provvidenza". Questa legge eterna che è presente in tutte le cose, in quanto sono da questa regolate, in modo particolare è partecipata alla creatura razionale: «perciò in essa si ha una partecipazione della ragione eterna, da

cui deriva una inclinazione naturale verso l'atto e il fine dovuto. E codesta partecipazione della legge eterna nella creatura ragionevole si denomina legge naturale. Ecco perché il Salmista, dopo aver detto: 'Sacrificate sacrifici di giustizia', quasi per rispondere al quesito di chi cerca le opere della giustizia, aggiunge: Molti dicono: chi ci farà vedere il bene? e così risponde: 'Qual sigillo è impressa su noi la luce del tuo volto, o Signore', come per dire che la luce della ragione naturale, che ci permette di discernere il male e il bene, altro non è in noi che un'impronta della luce divina. Perciò è evidente che la legge naturale altro non è che la partecipazione della legge eterna nella creatura ragionevole» 92 • 1

1

,

88

II-li, q.2, a.7, ad 3.

89

Cfr. F. VENTORINO, op.cit., 19-20. Cfr. I-II, q.19, a.4, c.

9

°

91

Cfr. I-II, q.91, a.I, c.

92

I-II, q.91, a.2, c.


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Francesco Ventorino

Ma la questione che si pone subito dopo s. Tommaso è la seguente: se basti all'uomo, nella sua destinazione ad un fine cbe eccede le sue facoltà naturali e nella sua condizione storica, questa manifestazione naturale della legge divina. Ad essa l'Aquinate risponde dicendo che all'uomo, perché possa raggiungere il suo fine soprannaturale, è uecessaria, oltre alla legge naturale, una legge divinitus data, cioè rivelata. Infatti «l'uomo mediante la legge viene giudato nei suoi atti in ordine all'ultimo fine. Se egli infatti fosse ordinato solo ad un fine che non supera la capacità delle facoltà umane, non sarebbe necessario che avesse un orientamento d'ordine razio-

nale superiore alla legge naturale e alla legge umana positiva che ne consegue. Ma essendo l'uomo ordinato al fine della beatitudine eterna, la quale sorpassa, come abbiamo visto sopra, le capacità naturali dell'uomo; era necessario che egli fosse diretto al suo fine, al disopra della legge naturale ed umana, da una legge data espressamente da Dio» 93 • Inoltre, «poiché a proposito degli atti umani ci sono troppe diversità di valutazione, data l'incertezza dell'umano giudizio, specialmente riguardo ai fatti contingenti e particolari, affinché l'uomo potesse sapere senza alcun dubbio quello che deve fare, od evitare, era necessario che nei suoi atti fosse guidato da una legge rivelata da Dio, in cui non può esserci e1Tore» 94 . Questi sono i prin-

cipali motivi che s. Tommaso adduce a favore della necessità di una legge positiva rivelata.

Dunque esiste nell'uomo una legge naturale, secondo la quale in qualche modo gli è possibile ordinarsi al suo fine, una legge accessibile alla ragione dell'uomo, il cui contenuto non può mai dirsi conosciuto in modo esauriente. Essa deriva tutta dal suo primo principio: «come l'ente è la cosa assolutamente prima nella conoscenza, così il bene è la prima nella cognizione della ragione pratica, ordinata all'operazione: poiché ogni agente agisce per un fine, il quale ha sempre ragione di bene.Perciò il primo principio della ragione pratica si fonda sulla nozione di bene, essendo il bene ciò che tutti gli esseri desiderano. Ecco, dunque; il primo precetto della legge: il bene è da farsi e da cercarsi, il male è da evitarsi. E su di esso sono fondati tutti gli altri precetti della legge naturale; cosicché

93 94

I-II, q.91, a.4, c. L.c.


La fondazione metafisica dell'etica nella Summa teologica

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tutte le altre cose da fare o da evitare appartengono alla legge di natura, in quanto la ragione pratica le conosce naturalmente come beni umani» 95 . Ma è la stessa serietà, con la quale l'uomo si pone di fronte a quest'unico principio della legge naturale e alle sue conseguenze, ad aprirlo, come si è già visto, ad un oltre e a disporlo all'attesa di un avvenimento divino, di cui ha bisogno per poter attuare quello che la sua ragione gli impone di volere e di desiderare in ogni sua azione, perché questa possa dirsi pienamente umana. E' manifestamente impossibile in questa prospettiva pensare ad una fondazione dell'etica senza Dio: verrebbe a mancare l'oggetto del desiderio naturale dell'uomo e quindi il fondamento della razionalità stessa del suo agire; ma l'uo1no stesso sarebbe un assurdo, un assurdo la sua presenza, un assurdo il suo desiderio costitutivo. La legge morale, infatti, in tanto è 1nanifestativa di una volontà divina, in quanto è l'esigenza razionale di un ordine isclitto nella natura stessa dell'uomo. Senza Dio l'uomo non potrebbe essere se stesso. Ma c'è di più nel pensiero di s. Tomn1aso: senza Cristo l'uomo non può essere se stesso, perché solo in lui storicamente gli è dato di conoscere e di realizzare quel destino cui naturalmente tende e ordinarsi a esso nel suo agire. In questo ordinarsi al destino consiste il valore morale della vita dell'uomo e di ogni sua azione. Il valore morale è il peso che acquistano le azioni dell'uomo rispetto al suo fine ultimo: questa intima e profonda conoscenza è possibile solo alla luce della rivelazione cristiana e si mantiene nell'alveo che la custodisce nella storia, la Chiesa. Solo in forza della rivelazione, infatti, «si liberano nell'uomo delle forze che sono per sé "naturali", ma non si svilupperebbero al di fuori di quell'economia. L'uomo diviene consapevole di valori che per sé sono evidenti, ma divengono visibili solo in quell'atmosfera. L'idea che questi valori e questi atteggiamenti appartengano semplicemente alla evoJuzione della natura un1ana n1ostra di misconoscere il vero stato di cose; anzi, bisogna avere il coraggio di dirlo apertamente, conduce

95

1-11, q.94, a.2, c.


Francesco \lentorino

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ad una slealtà che all'osservatore attento appare caratteristica dell'immagine dell'epoca modema» 96 • Da qui deriva con sempre maggior chiarezza quale sia nel nostro tempo il compito del cristiano: più che impegnarsi con gli altri nella difesa di valori che vengono dichiarati "proprietà comune'', anche se carichi di profonde ambiguità, egli è chiamato ad evidenziare "il carattere guida della vita" proprio del dogma cristiano, come «definizione dell'esistenza e orientamento de!Ja condotta» 97 •

96

R. GUARDINI, Das Ende der Neuzeit Ein Versuch zur Orientierung, Hess Verlag, Basel 1950, trad.it.: La fine dell'epoca n1oderna, Morcelliana, Brescia 195473, 99. 9 7 Cfr. ibid., 104-106.


IL FONDAMENTO DEL RAPPORTO EDUCATIVO NEL "DE MAGISTRO" DI TOMMASO D'AQUINO

PIERO SAPlENZA'

Introduzione

La problematica educativa, inserita all'interno di una visione globale della realtà e di una concezione fondamentale dell'uomo e del suo fine ultimo, affiora un po' dovunque, a volte con brevi e chiare puntualizzazioni, nella vasta e ricca opera di Tommaso D'Aquino 1• Bisogna però dire di più: Tommaso non si limita a offrire spunti e suggestioni varie, che si proiettano sul versante educativo, ma tratta il problema pedagogico in modo esplicito, anzi, dovremmo aggiungere, lo affronta in maniera radicale, entrando nel campo della filosofia dell'educazione. E infatti, l'aquinate non si chiede semplicemente: cosa è l'educazione?, ma si pone la domanda che sta a monte: è possibile l'educazione? In altri termini: a quali condizioni si può instaurare un rapporto di comunicazione educativa tra due soggetti razionali, di cui l'uno (il maestro) trasmette delle conoscenze o dei valori morali, religiosi etc., che

* Docente di Etica nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 Vd. a esempio M. CASOTTI La pedagogia di S. Ton1n1aso, in S. TOMMASO D'AQUINO, De n1agistro, Quaestio Xl del De veritate e Quaestio CXVII della Sun1n1a theo!ogica, a cura di M. Casotti, La Scuola, Brescia 19675, VII. (Nel presente lavoro citeremo il primo dei due scritti di S. Tommaso, per brevità, con De veritate e ci riferiremo all'edizione ora menzionata a cura di Casotti). Vd. R. TASSI, Itinerari pedagogici del n1011do antico, Zanichelli, Bologna 1991, 318. Vd. D. MORANDO, Pedagogia, Morcelliana, Brescia 1951, 130 ss.


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Piero Sapienza

già possiede, all'altro (il discepolo), il quale tale sapere o valori non ha, e dovrebbe riceverli appunto tramite il processo educativo? La questione pedagogica, pertanto, non può ricondursi, secondo certe tendenze a noi conten1poranee, alla ricerca di tecniche educative e metodologie didattiche'. Ricerca, d'altronde, utile e indispensabile, ma solo a condizione che prima sia stato sciolto il nodo fondamentale legato all'interrogativo: è possibile che un uomo sia autentico maestro di un altro uomo e gli insegni qualcosa? A tal proposito è stato osservato che «nelle nostre quotidiane considerazioni pedagogiche possiamo prendere le mosse dall'esperienza didattica nel suo darsi empirico, pressati come siamo dalle urgenze dell'azione diretta: ma è ineludibile il momento in cui dobbiamo intc1rngarci sulle "condizioni" che rendono possibile simile esperienza, che ne chiariscono il senso e la legittimano. Solo per questa via la prassi didattica può peraltro sfuggire all'empiria del didatticismo; mentre la pedagogia conferisce legittiinità a se stessa coine "scienza del1'educazione"» 3 . Il dottore angelico affronta espressamente il problema sopra posto tra le Quaestiones disputatae, nel De veritate, dove alla questione Xl, intitolata appunto De magistro, attraverso quattro articoli si domanda innanzitutto se all'uomo o solo a Dio possa attribuirsi il titolo di maestro, inoltre se un uomo possa essere maestro di se stesso, e, ancora, se l'uomo possa essere istruito da un angelo, e, infine, se l'insegnan1ento sia un atto di vita attiva o contetnplativa. Lo stesso argomento viene proposto da To1nmaso, in inodo sintetico, in un articolo della Summa theologica (1, q. CXVII, art. !). Gli studiosi sono soliti raccogliere questi due scritti, data l'identità del ten1a, sotto il 1nedesi1no titolo De n1agistro 4, ricordando l'omonin1a opera di Agostino 5 , il quale, a sua volta, si era posto lo stesso problema, e

2 Cfr. M. CASOTTI, op. cii., VIII. Cfr. B. MONDJN- F. Si\LVESTRINI, Pedagogia e Storia e prob!e111i, I, Massin10, Milano 1981, 9. Cfr. L. ZANI, L'educazione

Filo.l"(~fi'c1,

nella storia, Fabbri, Milano 1988, 4s. 3 R. TASSI, op. cit., 309. 4 Vd. M. CASOTTI, op. cit. Vd. TOMMASO D'AQUINO, De 111agistro, a cura di T. Gregory, Arn1ando, Ron1a 1959. 5 S. AURELIO AGOSTINO, De n1agi.Hro, a cura di M. Casotti, La Scuola, Brescia 1974. Per quanto riguarda il valore del De 111agistro agostiniano, osscrvian10 che «è opinione consolidala nella critica» che esso «occupa un posto di rilievo nella storia


I/fondamento del rapporto educativo nel "De magistro" di Tommaso

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aveva investigato sulla possibilità o meno di fondare un genuino rapporto educativo tra maestro e discepolo, fino a mettere in crisi il valore stesso della comunicazione linguistica6. Gli interlocutori che Tommaso ha davanti nella questione dcl De magistro sono, da un lato, Agostino e i platonici, e, dall'altro lato, Aven-oè e i seguaci dell'interpretazione araba di Aristotele. L'aquinate respinge ambedue le posizioni. Tuttavia, benché la sua differisca da quella agostiniana, non le si oppone totalmente accogliendone alcune istanze. E infatti Tom1naso, nelle u1ti1ne conclusioni, si ritrova con Agostino, laddove pone in Dio l'origine prima della scienza dell'uomo. L'aquinate, però, ritiene insufficiente la spiegazione che di questo fatto fornisce Agostino, e propone la sua soluzione, che è in linea con tutta la sua impostazione filosofico-teologica. In questo nostro lavoro metteremo in rilievo quei punti che sono più strettamente connessi con la problematica agostiniana sull'argon1ento.

I. Gli interrogativi sulla possibilità de/l'insegnamento Nel De veritate, q.XI, nel primo articolo, Tommaso si chiede: «Utrum homo possit docere et dici magister, vel solus Deus». Gli argomenti più diffusi (il nostro ne raccoglie e sintetizza diciotto) sembrerebbero negare la possibilità dell'insegnamento umano a favore della tesi secondo la quale «solus Dcus doceat et magister dici debeat» 7 • La questione è uguale a quella posta nella prima parte della Summa theo/ogica, q. CXVII, art.J: «Utrum unus homo possit alium docere»,

del pensiero pedagogico, perché è uno dei pritni scritti di filosofia dell'educazione pressoché privo di consimili n1odclli nell'antichilà» (R. TASSI, op. cii., 309). 6 Agostino così apre il suo dialogo sull'insegnainento: «ÀUGUSTINUS: Quid tibi viden1ur efficere velie, cum loqui1nur? ADEODATUS: Quantu1n quiden1 n1ihi nunc occurrit, aul docerc aut disccre. AuGUSTINUS: Unun1 horu1n video et assentior: natn loquendo nos docere velie 1nanifestum est; discere aute1n quomodo?» (S. AURELIO AGOSTINO, De n1agistro, cit., 3). Sull'attualità del problema della con1unicazione linguistica in Agostino vd. L. ALICI, Il linguaggio con1e segno e con1e testimonianza. Una rilettura di Agostino, S1udiu1n, Ron1a 1976. 7 S. THOMJ\E AQUINJ\TJS, De veritate, q. XI, art.I.


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Piero Sapienza

dove la risposta più comune sembra essere negli stessi termini negativi sopra accennati: «videtur quod unus homo non possit alium docere» 8• Il dottore angelico riferisce la difficoltà sollevata da Agostino nell'individuare nel linguaggio la possibilità di una mediazione educativa'. Sembra scontato che un uomo per insegnare qualcosa a un altro possa farlo soltanto attraverso i segni linguistici (parole, scritti, gesti). E infatti, anche se noi possiamo insegnare mostrando direttamente gli oggetti, il linguaggio è ugualmente necessario perché serve ad aiutare colui che impara a cogliere l'aspetto particolare della realtà che il docente intende far conoscere, evitando, in tal modo, di equivocare sul punto essenziale della comunicazione. Così, a esen1pio, se si chiede cosa sia «cam1ninare», non basta compiere l'azione, perché si potrebbe fraintendere il camminare con qualche altro suo elemento secondario (es. l'affrettarsi o un certo modo di muoversi o altro ancora)'"· li segno linguistico, dunque, è necessario per focalizzare l'attenzione sull'oggetto specifico dell'insegnamento''· Ma, prosegue Tom1naso nel riportare l'obiezione, poiché «rerum cognitio potior est quan1 signoru1n; curn signorurn cognitio ad rerum cognitionem ordinetur sicut ad finem» 12 , allora la conoscenza delle cose non potrà essere raggiunta attraverso i segni sensibili, perché l'effetto (conoscenza delle cose) non può superare la sua causa (conoscenza dei segni)"Ne segue, perciò, che nessun uomo può essere maestro di un altro uo1no e causare in lui scienza, perché il linguaggio, unico 1nezzo a sua disposizione per comunicare, non è in grado di conseguire questo scopo. E infatti, se qualcuno, volendo insegnare, propone i segni di determinate cose, allora, co1ne già aveva rilevato Agostino, nasce un dilen1ma: «aut ille cui proponuntur, cognoscit res illas quarum sunt signa, aut

8 ID., Sun1n1a theo!ogiae, I, q.117, art. I. Vd. lD.,De veritate, art.I. 10 Vd. I.e. Agostino a tal proposito scrive: «Scisne aliud esse ambulare, aliud festinare? Nan1 et qui ambulat, non statin1 festinat; et qui festinat, non continuo a1nbulat r... ]>> (S. AURELIO AGOSTINO, op. cit., 18). 11 Vd. S. THOMAE AQUINATfS, De veri tate, art. I. 9

12

L.c.

u Vd. I.e.


Il fondamento del rapporto educativo nel "De magistro" di Tommaso

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non» 14 • Ora, se si tratta di cose che il discente già conosce, allora egli non acquista nessuna nuova scienza; se, invece, si tratta di cose per lui sconosciute, e allora non potrà comprendere nemmeno il significato dei loro segni, i quali, quindi, non saranno atti a condurre alla conoscenza di quelle determinate realtà. Così, uno non sapendo, a esempio, che questa è una pietra, non potrà capire cosa significhi il segno linguistico "pietra"''. Per Agostino, quindi, dato che attraverso il sistema linguistico non si può comunicare alcunché di nuovo, ne consegue che è impossibile instaurare tra due soggetti umani un rapporto didattico-educativo. Sviluppando queste premesse, egli, infine, risolve il problema della relazione pedagogica maestro-discepolo affermando che non esistono maestri, ma uon1ini dotti 16 , i quali non insegnano, 1na, dall'esterno, con le parole, ci ammoniscono a consultare la verità che è dentro di noi. Pertanto, l'unico e solo maestro è il Cristo, che insegna dall'interno la verità all'uomo: «Tlle autem qui consulitur, docet, qui in interiore homine habitare dictus est Christus, id est, incommutabilis Dei Virtus atque sempiterna Sapientia» 17 • Questa teoria agostiniana, com'è noto, affonda le sue lontane radici nella concezione platonica, che considera la struttura dell'uomo così fatta che il compito del maestro si riduce a quello dì uno stimolo, utile per rimuovere gli ostacoli, affinché le forme della verità e delle virtù, innate nell'anima del discepolo e in lui presenti in atto, benché latenti, possano manifestarsi chiaramente. E infatti, secondo l'antropologia platonica, la scienza è già innata nell'anima dell'uon10 «per partecipatione1n formaru1n separatarum» 18 • Ma l'anima, per il suo essere rinchiusa nel corpo, ha dimenticato la conoscenza delle verità già possedute. Il maestro, pertanto, può soltanto contribuire a disporre e a stimolare il discepolo «ad considerandum ea quo1un1 scientia1n habet>) 19 , ma non è in grado, in quanto agente esterno, di trasmettergli alcun nuovo sapere, perché esso può emergere

14

15

L.c. Vd. anche Io., Sun11na theologiae, I, q. l 17, art. i. Vd. ID., De veritate, art 1. Vd. anche S. AURELIO AGOSTINO, op. cii., 85-86.

16 Nota Agostino che con1unemcnte gli uomini «laudant, nescientes non se doctores potius laudare quam doctos» (S. AURELIO AGOSTINO, op. cit., 106). 17 !bid., 93. 18 S. THOMAE AQUINATIS, Su111111a theo/or;iae, I, q.117, art.i. 19 L.c. Vd. anche lo., De veritate, art.I.


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Piero Sapienza

solo dall'interiorità stessa dell'uomo. Perciò i platonici concludono affennando che «addiscere nihil aliud sit quam reminisci» 20 • Per quanto riguarda il problema etico e la conseguente acquisizione delle virtù morali, attraverso l'opera educativa, l'aquinate riporta, solo nel De veritate, l'opinione di coloro (ancora i platonici) i quali affennavano che nell'uomo sono innati tutti gli abiti virtuosi, però eclissati e nascosti dalle più svariate scorie. L'esercizio degli atti corrispondenti farà riemergere quelle virtù, «sicut per limationem aufertur rubigo, ut claritas ferri manifestetur»2i.

Ma Tommaso, nella sua disamina, deve fare i conti con altre due posizioni culturalmente emergenti" nel suo tempo, e cioè quella di Avicenna e quella di A ve1rnè. Il primo sosteneva che l'unico intelletto agente, «dator formarum», produce nell'anima dell'uomo, direttamente e dall'esterno, le virtù e la scienza23 . Averroè, da parte sua, ponendo un intelletto unico per tutti gli uomini, di fatto eliminava il problema della relazione intersoggettiva maestrodiscepolo, e affermava che il maestro non causa nel discepolo scienza diversa da quella che già questi possiede. L'insegnante si limita semplicemente a muovere il discepolo «ad ordinandum phantasmata in anima sua ad hoc quod sint disposita convenienter ad intelligibilem apprehensionem» 24 • Da quanto ora esposto, perciò, possiamo rilevare che sia sul piano strettamente culturale, come su quello morale, Tommaso si trova di fronte a delle impostazioni pedagogiche in cui viene svalutata la portata dell'intervento educativo, in qum1to incapace di comunicare sia il sapere che i valori n1orali.

20

ID., Sunnna theo/ogiae, I, q.117, art. I, Vd. Io., De veritate, art. I.

l.c. 22 Cfr. E. G!LSON, La filosofia nel 111edioevo, trad. it., La Nuova Italia, Firenze I 973, 64 l ss. 23 S. TJIOMAE AQUINATIS, De i 1eritate, art.1. 24 ID., Surnn1a theofogiae, I, q.117, art.I. 21


Il.fondamento del rapporto educativo nel "De magistro" di Tommaso

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2. La rivalutazione dell'opera educativa Il dottore angelico, nella sua argomentazione, dimostra la possibilità di una reale funzione pedagogica svolta dall'uomo, e respinge, qualificandole «senza fondamento»", da un lato, la teoria di Avicenna (nominalo nel De veritate) e quella di Averroè (menzionato espressamente nella Summa theologica), e, dall'altro, la dottrina platonica (e implicitamente le argomentazioni di Agostino, che, nella dimostrazione, non è citato esplicitamente). La dimostrazione di Tommaso ve11e intorno a tre punti fondamentali, che toccano: innanzitutto, il campo metafisico con la problematica della eduzione delle forme nell'essere; in secondo luogo, il piano morale per quanto riguarda la modalità dell'acquisizione delle virtù; infine, l'ambito gnoseologico per l'acquisto della scienza". Il nostro autore osserva che la posizione di Avicenna, escludendo le canse prossime e attribuendo tutti gli effetti unicamente e direttamente alle cause pri1ne, senza am1nettere alcuna 1nediazione, non tiene conto dell'ordine dell'universo, il quale è intessuto da una connessione gerarchica e armonica di cause seconde 27 . E infatti, rileva Tommaso, la causa prima, «ex e1ninentia bonitatis suae» 28 , conferisce alle altre cose non solo che esistano 1na anche che siano veramente cause nel loro ordine. Per lo stesso motivo di fondo, l'aquinate respinge l'opinione dei platonici, i quali riducono l'azione degli agenti inferiori (del maestro, nel nostro caso) a un'azione per accidens, essendo il loro compito semplicemente quello di rimuovere gli ostacoli da cui viene nascosta e impedita la manifestazione della virtù e della scienza, già preesistenti nell'uomo". Il dottore angelico sostiene che tra la prima posizione, che fa derivare forme, virtù e scienza totalmente dall'esterno, e la seconda, che tutto ritiene essere già preesistente all'interno delle cose o dei soggetti umani,

25 26 27

28 29

Vd. Io., De veritate, arL.l. Vd. /.c. Vd. I.e.

L.c. Vd. I.e.


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bisogna trovare e seguire una «media via», che è, poi, quella proposta da Aristotele10 . Pertanto) per risolvere la questione sopra accennata, Tommaso in-

troduce la nota distinzione aristotelica di atto e potenza. E innanzitutto, per quanto riguarda il problema metafisico, il nostro autore afferma che le forme naturali preesistono nella materia soltanto in potenza, e per essere tradotte in atto si rende necessario dall'esterno l'intervento delle cause prossi1ne 31 . Allo stesso modo, per guanto riguarda il problema morale, Tommaso, seguendo Aristotele, ammette che nell'uomo preesistono «quaedam virtutu1n inchoationes» 32 , che vengono attuate e realizzate pienamente attraverso il costante esercizio dei loro atti. Solo così queste potenzialità morali diventano abiti vi1tuosi--n, Lo stesso deve dirsi, infine, per l'acquisto della scienza. Infatti, preesistono in noi «quaedam scientiarum sen1ina» 34, cioè i concetti prin1i (siano essi complessi o incomplessi) che vengono da noi conosciuti immediatamente attraverso il lume dell'intelletto agente. Quando l'uomo applica questi principi universali alle conoscenze particolari, sviluppando e attuando così questi germi del sapere, allora si può dire che egli apprende una nuova conoscenza35 .

Quanto esposto fino a questo punto, possiamo definirlo come una premessa, in grado di permettere a Tommaso la fondazione di un vero rapporto educativo tra maestro e discepolo. Il maestro, infatti, come vedremo più avanti, con la sua opera educativa è una vera causa seconda (o prossima) che "educe" (e qui può essere utile ricordare che educare deriva dal verbo latino e-ducere) dalla potenza all'atto sia le inclinazioni naturali alla virtù, sia i germi del sapere, presenti nell'animo dell'educando.

30

31

Vd. I.e. Vd. I.e.

32 33

L.c.

34

L.c. Vd. I.e.

35

Vd. I.e.


Il fondamento del rapporto educativo nel "De magistro" di Tommaso

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Per spiegare come avvenga questo processo educativo nell'uomo, Tommaso continua l'illustrazione delle categorie di potenza e atto, distinguendo tra JJOtenza attiva con1pleta e potenza passiva 36 • La potenza passiva è quella che non può attuarsi in virtù di un suo principio intrinseco, ma necessita di un agente esteriore come causa principale che la faccia passare in atto. La potenza attiva completa, invece, è quella per la cui attuazione è sufficiente un principio che le è intrinseco37 • In questo secondo caso, l'eventuale azione della causa esterna al soggetto ha un ruolo secondario e coadiuvante rispetto al principio interno, che è il principale agente". Di conseguenza, la causalità estrinseca deve essere orientata e diretta in modo conforme al principio intrinseco, così da

fornirgli i mezzi e gli strumenti che favoriscano l'attuazione delle potenzialità, rispettando il noto principio secondo il quale «ars imitatur naturam in sua operatione» 39 . E Tommaso porta l'eseinpio di un a1n1nalato, il quale potrebbe guarire in duplice modo: o da se stesso, senza medicine, in forza delle difese naturali (potenza attiva completa) possedute dall'organismo e che vengono da esso sprigionate reagendo alla malattia; oppure, lo stesso ammalato potrebbe ottenere la guarigione aiutato dalle medicine (agente estrinseco secondario), che, operando secondo la natura (agente principale), l'aiutano a superare la malattia'°. Secondo Tommaso, le virtù e la scienza sono presenti nell'uomo in potenza attiva completa. Infatti dall'esperienza sappiamo che l'uomo può pervenire a nuove conoscenze senza l'aiuto di 111aestri, quindi solamente in forza di un principio interiore di scienza, che è il lume dell'intelletto agente". E questo procedimento è chiamato dal nostro: inventio 42 • Seguendo questo iter, l'uomo acquisisce nuovo sapere, giunge a nuove scoperte, applicando a determinate realtà, offertegli dall'esperienza sensibile, i

36

Vd. /.c. Vd. I.e. 38 Vd. I.e. 39 Io., Sununa theologiae, I, q.117, art. I. 40 Vd. I.e. Vd. Io., De veritate, art.I. 41 Vd. Io., S11n11na theologiae. I, q.117, arl.l. 42 Io., De veri tate, art. I. 37


Piero Sapienza

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principi universali noti per sé, e traendone conclusioni particolari ptima

sconosciute.

3. Impossibilità de/l'autodidattica A questo punto si potrebbe pensare che Tommaso, con queste ultime affermazioni, avalli le teorie pedagogiche che sostengono la possibilità dell'autodidattica. Ma bisogna subito notare che il nostro autore non identifica il procedi1nento JJer inventione111 con l'autodidattica. Anzi, secondo l'aquinate, nessun uomo può dirsi con·etta1nente

"maestro di se stesso". E infatti, occupandosi di questo problema nell'articolo II del De veritate citato, il nostro osserva che essere a se stesso «causa sciendi», co1ne avviene quando si acquisiscono nuove conoscenze attraverso l'invenzione, è cosa del tutto diversa dall'essere «sui ipsius 1nagister» ovvero autodidatta43 . La precisazione non solo non è oziosa, 1na è, anzi, abbastanza profonda. Essa si basa sulla distinzione che si trova nella metafisica aristotelica tra agente pe1.fetto e agente impe1.fetto. Il primo, nota Tommaso, «in se totum habet quod in effectu per eum causatur», e perciò ha in sé «perfecta ratio actionis» 44 •

li secondo, invece, contiene solo in parte ciò che causa nell'effetto, e pertanto «cum non sit in actu effectus inducendi nisi in parte, non erit perfecte agens»45 .

A partire da queste puntualizzazioni, l'aquinate rileva che l'insegnamento deve essere catalogato tra le azioni del primo gruppo perché implica «pe1fectam actionem scientiae in docente ve! magistro». Infatti, il maestro per essere tale deve possedere in atto, «explicite et perfecte», il sapere che vuol co1nunicare e causare nel discepolo46 .

43

Vcl. ID., De veritate, art.2.

44

L.c.

45

L.c.

46

L.c.


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Possiamo comprendere, allora, perché un 1101110 non può essere maestro di se stesso, cioè "autodidatta''. E infatti, si possono suppmTe due ipotesi. E cioè, o l'uomo possiede in atto quelle pmticolari verità, che sono oggetto della sua ricerca, e allora egli è già maestro; non potrà, pertanto, dirsi, allo stesso tempo, discepolo, perché ciò suppon-ebbe un'ignoranza riguardo a quelle medesime verità conosciute. Oppure (seconda ipotesi) l'uomo non possiede in alto quelle determinate conoscenze. In tal caso, egli può raggiungerle da se stesso, «per principium intrinsecum» 47 , senza l'aiuto di altri, attraverso l'iter dell'inventio. Ma, in questa ipotesi, sottolinea Tommaso, il soggetto non possiede il sapere che vuole acquisire se non in parte, e precisamente «quantum ad rationes se1ninales scientiae, quae sunt principia comn1unia» 48 . Egli, infatti, causa e aumenta progressivamente in se stesso le conoscenze, che va scoprendo a poco a poco, con un continuo passaggio dalla potenza all'atto, e, perciò, «proprie loquendo», non può dirsi 1naestro49 . Per Tom1naso, quindi, pretendere di essere autodidatta è una vera e propria contraddizione in terminis. Ciò, però, non significa che egli neghi all'uo1no la capacità di scoprire da se stesso nuove verità, ovvero di essere a se stesso, come abbiamo già notato, "causa di sapere''. A questo punto ci sembra opportuno osservare che le correnti o i movimenti pedagogici contemporanei, che hanno esaltato, sotto diverse angolature, l'attivismo o la spontaneità dell'educando, potrebbero appuntare le loro critiche contro la concezione to1nista adesso delineata, come se l'aquinate volesse negare l'autonomia interiore del soggetto. Ma dobbiamo rilevare che «S. 'fom1naso critica come assurdo e inam1nissibile il concetto di autoeducazione o di autodidattica: che è ben diverso dal concetto di attività o di spontaneità dello scolaro. Egli è ben lungi dal negare il metodo attivo nell'insegnamento: anzi, ne ha posto le basi affermando che lo scolaro è causa a sé di scienza (potenza attiva con1pleta) e il maestro è solo un coadiuvante od una con-causa [ ... ]» . E l'autore citalo conclude ribadendo:

47

L.c.

48 49

L.c. Vd. I.e.


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«Lo scolaro solo è causa a sé di scienza ancorché il maestro sia causa dell'insegnamento: due cose ben distinte»'°.

4. Il dinamismo nel rapporto inter-personale tra maestro e discepolo

Avendo assodato che, in linea di principio, l'uomo da solo potrebbe superare le barriere della propria ignoranza, seguendo appunto la pista dell'invenzione, a nostro avviso, però, bisogna riconoscere che emergono almeno due difficoltà. In primo luogo, non ci può essere, in senso assoluto, nessun solitario indagatore che non sia debitore, in qualche modo, verso le scoperte compiute dagli altri che lo hanno preceduto in un determinato campo. In altri tennini, non può esistere nessun ricercatore autonomo, il quale «nulla

debba all'esperienza storica accumulata nei secoli, proprio perché non è possibile una conoscenza che si formi fuori della storia»". In secondo luogo, bisogna ammettere che il procedimento conoscitivo, attraverso I'inventio, esige un notevole sforzo intellettivo e un'acuta capacità di osservazione da parte del soggetto, e si prospetta, perciò, con una possibilità maggiore di e1rnri. Pertanto, pur sostenendo l'interiore autonomia conoscitiva del soggetto umano, come sopra rilevato, bisogna riconoscere che normalmente l'uomo, nel suo cammino di apprendimento della scienza e dei valori morali, ha bisogno di essere aiutato e guidato da un altro uomo, cioè da un maestro, da un educatore, il quale dall'esterno agisce nel suo animo, anzi, meglio, inter-agisce con le sue potenzialità interiori, causando in lui il sapere, con un procedimento che Tommaso definisce con i due termini di «doctrina» e «disciplina» 52 •

L'educatore ha, quindi, il delicato compito di pmTe tutte quelle condizioni ottimali affinché si svolga il processo educativo e siano tradotte in

so M. CASOTTl, Introduzione al De veritate in S. TOMMASO D'AQUINO, De magistro, cit., 51. 51 T. GREGORY, li De n1agistro di S. Ton11naso d'Aquino, in B. NARDI, Il Medioevo, Giunline-Sansoni, Firenze 1963, 200. 52 Vd. S. THOMAE AQUINATIS, De veritate, arl.1.


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atto tutte quelle componenti gnoseologiche ed etiche, presenti potenzialmente nel discepolo. Con ciò si vuol sottolineare che l'azione del maestro non può identificarsi con «una pura trasfusione di contenuti nell'anima del discente, ma è piuttosto azione stimolatrice dell'attività stessa di quest'ultimo» 53 , il quale, perciò, rimane sempre l'agente principale del suo progresso culturale e morale. L'aquinate vede l'opera pedagogico-didattica del maestro essenzialmente così articolata e strntturata: in primo luogo, il docente deve offrire all'allievo degli aiuti, affinché il suo intelletto possa essere facilitato ad acquisire la scienza. Tali aiuti possono consistere, a esempio, nella presentazione di proposizioni meno universali, che, tuttavia, l'allievo può discernere con le nozioni già possedute. Inoltre, il maestro, tenendo conto e rispettando la struttura sensibile-intellettiva del discente, seguendo l'antico assio1na aristotelico-scolastico per cui nihil in intel/ectu quod prius non fuerit in sensu, avrà cura di proporgli e illustrargli degli "esempi sensibili", affinché il discepolo sia preparato e guidato quasi per mano («1nanuducitur») alla co1nprensione e alla conoscenza delJa verità ancora ignota54 • In secondo luogo, il maestro può intervenire, a livello di apprendimento, in quanto, in forza del suo sapere già organizzato, è capace di dirigere l'allievo, aiutandolo a non disperdersi nelle problematiche più complesse, affinché possa deduffe correttamente dai principi le debite conclusioni particolari. In tal modo, l'azione didattica del docente serve a rafforzare la «virtutem collativam» del discente, il quale per essa può legare e 1nettere nella giusta relazione principi e conclusioni55 .

53 54

T. GHEGORY, op. cit.,199. Vd. S. THOMAE AQUINATIS, Sun11na theo!ogiae, I, q.117, art.I. A tal proposito Maritain scrive: <<Per quel che riguarda le tecniche dell'educazione, la filosofia to1nista, la quale insiste sul fatto che l'uon10 è tanto corpo quanto spirito e che nulla penetra nell'intelletto se non attraverso i sensi, approva pienamente la maniera con cui in generale l'educazione progressiva sottolinea la funzione essenziale che i sensi e le mani e gli interessi naturali del fanciullo hanno nel processo educativo» (J. MARITA IN, L'educazÙ)l1e della persona, a cura di P. Viotto, trad. it., La Scuola, Brescia 1980, 27). 55 Vd. S. THOMAE AQUINATIS, S11n11na theo/ogiae, I, q.117, arl.1.


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5. L'educazione alla vita morale

Tracciando queste coordinate, a nostro avviso, Tommaso recupera il valore del rapporto educativo, ma non solo sul piano dell'istruzione e del sapere intellettuale. Infatti, ci sembra che quanto sopra delineato ci offra la base per affrontare il problema della educazione morale. E innanzitutto, osserviamo che, per l'aquinate, non può esistere un'educazione che si limiti al piano intellettuale, in quanto nella sua visione antropologica è tutto l'uomo, nella sua integralità, che deve essere educato56. E l'educazione, a cominciare da quella familiare, è necessaria perché l'individuo consegua il suo pieno sviluppo. Infatti, i genitori non possono limitare il loro compito a dare ai figli «esse et nutrimentum», ma hanno anche il dovere di dare loro «disciplinam», il cui fine è quello di condun-e il soggetto umano «usgue ad perfectum statum hominis inguantum homo est, qui est status virtutis» 57 .

Quindi, per Tommaso, l'azione pedagogica deve promuovere l'uomo e guidarlo a realizzare la pienezza della sua umanità, attraverso il conseguimento delle virtù morali. Abbiamo visto, inoltre, nelle pagine precedenti, che Tommaso ha accennato che nell'uomo preesistono «quaeda1n virtutum inchoationes».

Pertanto, la problematica educativa, relativa allo sviluppo di questi germi morali, si prospetta, per gli aspetti principali, simile a quella affrontata per l'acquisizione della scienza. Infatti, per guanto riguarda la legge morale naturale e, quindi, la pratica dei valori morali da essa derivanti, il dottore angelico rileva: «[ ... ] praecepta legis naturae hoc modo se habent ad rationem practicam, sicut principia prima demonstrationum se habent ad rationem speculativam: utraque enim sunt quaedam principia per se nota» 58 . Il primo principio, che viene appreso dalla ragione pratica, ordinata all'azione, è il bene. Perciò il primo precetto della legge morale naturale si

56

Vd. J. MARITAIN, L'educazione della persona, cit., 33. Cfr. anche F.

Storia della fi/osoji'a. La filosofia n7edioevale da Agostino a Scoto, trad. it., Il, Paideia, Brescia 1971, 404 ss. 57 S. THOMAE AQUINATIS, Sununa theologiae. Supplen1entun1, q.41, arl..1. 58 Io. Su1nn1a theologiae, I-II, -q.94, art.2.

COPLESTON,


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enuncia: «[ ... ] bonum est faciendum et prosequendum, et malum vitandum»59. Ma anche nell'ambito dello sviluppo morale, pur nel rispetto dell'autonomia interiore del soggetto, rettamente intesa, valgono le stesse difficoltà riscontrate sul piano della ragione speculativa. Come l'uomo fatica per acquisire la scienza da solo attraverso l'inventio, e può rischiare un forte margine di errore nell'applicare la sua vis collativa per cogliere l'ordine tra i principi e le conclusioni, dato che «ex debilitate intellcctualis luminis» 60 ha bisogno di procedere attraverso il ragionamento, così, allo stesso modo, possiamo dire che accade per il problema etico. E infatti, Tommaso osserva che i primi principi universali della legge morale naturale sono insiti in tutti gli uomini. Ma quando si tratta di dedurre da tali principi, comuni e noti a tutti, quelle immediate e particolari norme morali da calare nelle concrete situazioni storiche e contingenti, allora può accadere che l'uomo non abbia la necessaria chiarezza per cogliere i nessi e giungere a una prassi etica conforme alla retta ragione. Questo oscuramento della ragione umana può verificarsi per i più svariati motivi: «[ ... ] ex passione, seu ex n1ala consuetudine, seu ex mala habitudine naturae» 61 .

Pertanto, tenendo conto, sia di questi ultimi rilievi, che ci fanno intravedere la reale difficoltà in cui l'uomo si imbatte per scoprire le norme che devono regolare il suo agire morale, sia delle precedenti osservazioni, che hanno delineato la necessità di perseguire e raggiungere la virtù morale perché l'uomo realizzi se stesso, ci sembra che emerga l'importanza che Tommaso attribuisce all'opera educativa. Infatti, attraverso il rapporto con le varie agenzie educative (la famiglia, la scuola, etc.), !'educando può essere inserito nell'alveo di una sana tradizione etica, secondo la retta ragione, ed essere aiutato a poter cogliere il punto di intersezione tra i primi principi etici, comuni e generali, e il piano storico , con la sua configurazione particolare, in cui essi in tnodo specifico vengono applicati".

59 60

61 62

L.c. ID., Su111ma theologiae, I, q.58, art.3. ID., Sununa theologiae, I-II, q.94, art.4.

Con ciò non voglia1no dire che all'interno di una determinata formazione sociale non sorgano di fatto dei disvalori e non vi possano essere delle agenzie


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Inoltre, a nostro avviso, non dobbiamo dimenticare che nell'antropologia di Tommaso, l'uomo è quello storicamente tarato a causa del peccato originale. La caduta iniziale ha cmrntto la natura umana e indebolito la volontà dell'uomo'\ pertanto, ancora una volta, bisogna rilevare l'urgenza del rapporto educativo. E infatti, l'educatore, pur non imponendo nulla dall'esterno, ha il compito di correggere quelle cattive e disordinate tendenze, che la natura umana ferita è sollecitata a seguire. Egli, cioè, deve guidare il discepolo a orientare le sue inclinazioni secondo ragione 6.i. In altri tennini, potrem1no dire che il suo intervento dovrebbe essere simile a quello del contadino, il quale raddrizza l'albero che cresce storto: non violenta la sua natura, ma l'indirizza verso il suo giusto fine. L'educatore, ancora, orientando verso i valori etici l'allievo lo dovrà aiutare ad attuare i germi morali posseduti e a far sì che l'esercizio degli abiti virtuosi rafforzi la sua volontà a co1npiere se1npre il bene.

6. Il recupero del linguaggio come mediazione educativa

Ponendo le distinzioni metafisiche tra causa prima e cause seconde, atto e potenza, lume intellettuale e primi principi, l'aquinate si trova così anche in grado di risolvere il problema del linguaggio, valorizzato come n1ezzo di comunicazione interpersonale tra maestro e discepolo, e di fondare, di conseguenza, la possibilità del rapporto educativo. E infatti, To1nmaso parte da1la precisazione che «cognitio rerutn in nobis non efficitur per cognitionem signorun1» 65, bensì attraverso i principi già noti, i quali, di volta in volta, applicati all'esperienza, presentata

educative che rafforzano false opinioni 1norali e cattive abitudini. Ma questo discorso esula dal presente lavoro. 63 Vd. S. THOMAE AQUINATIS, S11n1n1a theologiae, I-II, q.82, art.I. Vd. anche ihid., q.83, art.3. Scrive a tal proposito Maritain che, fra l'altro, l'idea tornista di uon10 è quella ((di un uo1no come creatura peccatrice e ferita, chian1ata alla vita divina e alla liberazione apportata dalla grazia, la cui suprema perfezione consiste nell'amore}> (1. MARITAIN, L'educazione della persona, cit.,33). 64 Vd. S. THOMAE AQUINATIS, S11111nu1 theo/ogiae, II-Il, q.33, art.4. 65 ID., De veritate, art.I.


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attraverso i segni sensibili, di cui l'intelletto coglie le intenzioni intellegibili, ci fanno giungere alle conclusioni particolari, facendo progredire in noi la conoscenza66 .

Tra tutte le cose esteriori, da cui l'uomo coglie le intenzioni intellegibili per mezzo dell'intelletto agente, il linguaggio, attraverso il quale il maestro comunica con il discepolo, è giudicato da Tommaso come il mezzo più adatto e privilegiato, «propinquius», per causare scienza nel discepolo67. Le parole del maestro, quindi, hanno un loro grande valore e servono a insegnare. Infatti, esse «sunt signa intelligibilium intentionu1n» 61', che sono presenti nel linguaggio, il quale, secondo Tommaso, non solo non è inservibile, come concludeva Agostino, ma ha altresì una importantissima funzione pedagogica, come veicolo di comunicazione di scienza e di virtù. Osserva, a tal proposito, Casotti che nella pedagogia tomista «la parola del maestro non è né uguale, né tanto meno inferiore in valore agli oggetti esterni e, in genere, all'esperienza sensibile dello scolaro: come accadrà poi, tanto spesso, nei vari metodi "intuitivi" od "oggettivi" escogitati dalla pedagogia moderna, da Comenius in poi» 69• Quanto adesso delineato non significa che viene annullata l'importanza della esperienza sensibile, compiuta dal singolo discente, anzi, al contrario, essa è valorizzata, perché la parola del maestro aiuta a organizzare e a orientare l'esperienza stessa. E infatti, come abbiamo notato sopra, poiché la potenza intellettiva dell'uomo è «collativa», facilmente potrebbe accadere che egli sbagli nel rinvenire da solo gli aspetti essenziali di una determinata realtà o oggetto sensibile sconosciuto e a lui presentato (era la difficoltà di Agostino che Tommaso ora recupera). L'uomo avrebbe bisogno, inoltre, di un lungo iter raziocinativo per giungere a conclusioni nuove. L'intervento dell'insegnante, invece, oltre a facilitare il processo di apprendimento, eviterebbe la dispersione dell'esperienza sensibile, anzi la potenzierebbe maggimmente.

66

67

Vd. !.c. Vd. !.c.

68 69

L.c. M. CASOTII, La pedagogia di S. Tonunaso, cit., XXXVI.


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Per Tominaso, quindi, «la co1nunicazione interpersonale 111ediante segni portatori di forme intellegibili (concetti) è dunque possibile», e in più, per 1nezzo di essa, viene recuperata «la positività dell'azione del 1naestro. L'insegnamento si pone, cioè come condizione dell'apprendin1ento. Che è una delle acquisizioni cui resta ancor oggi ancorato il pensiero pedagogico»70. Da quanto delinealo finora, quindi, si può osservare che, mentre per Agostino la stt·uttura stessa dell'uomo non permette nessuna azione veramente pedagogica, per Tommaso, al contrario, l'uomo può essere realmente maestro di un altro uomo, guidarlo alla conoscenza della verità ed educarlo all'habitus virtuoso. E ciò con la dovuta precisazione che il maestro umano ha il ruolo di una causa seconda, che dall'esterno educe all'atto le potenzialità di sapere e di moralità, insite nell'educando, e che, pertanto, non può n1ai e in alcun modo sostituirsi a esso. Ma a questo punto bisogna rilevare che, nelle sue spiegazioni ultime e nelle sue conclusioni fondamentali, il discorso di Tommaso si ricollega a quello di Agostino. E infatti, l'aquinate sostiene che il lume dell'intelletto, in forza del quale può svilupparsi nell'uomo la scienza, «est nobis a Deo inditum, quasi quaeda1n si1nilitudo increatae veritatis in nobis resultantis» 71 • E quindi, ovviamente, la causa prima, per cui l'uomo può giungere alla conoscenza di nuove verità, l'origine e la sorgente di ogni sapienza e virtù è Dio. E infatti, come già per Agostino, anche per Tommaso «solus Deus est qui interius et principaliter docet» 72 . Egli, Maestro interiore, è il vero maestro per eccellenza, e, tuttavia, l'aquinate aggiunge e sottolinea che l'insegnare può applicarsi all'uon10, «proprie», perché come causa seconda questi è davvero capace di causare scienza, anche se solo dall'esterno''.

70

R. TASSl, op. cit., 322. S. TllOMAE AQUINAT!S, De veri tate, art.1. 12 L.c. 73 L.é. Vd. anche ID., Su1nrna theologiae, I, q.117, art.I. 71


I/fondamento del rapporto educativo nel "De magistro" di Tommaso

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7. L'educazione con1e arte Anche l'articolo IV del De veritate, ponendo la questione se l'insegnare sia un atto di vita contemplativa o attiva, pur nella sottigliezza delle distinzioni scolastiche, contribuisce a portare un'ulteriore precisazione e una sfumatura maggiore al problema educativo, Tommaso, affermando che l'insegnamento, per il suo fine, appartiene «ad vitam activam» 74 , pur riconoscendo che esso ha le sue radici in un'attività contemplativa75 , ribadisce quanto detto nel primo articolo, dove l'insegnare era paragonato all'arte medica, per la sua cooperazione con la natura. In altri ter1nini, possian10 affermare che per Tomn1aso educare è un'arte 76 • Quest'ultima, infatti, viene definita secondo la sua matrice classica, e cioè: «[ ... ] recta ratio factibilium» 77 , che ha come fine la produzione e la perfezione di un oggetto esterno. Infatti, precisa l'aquinate, «factio est actus transiens in exteriorem materia1n» 7H. Applicando la definizione di arte alla pedagogia, bisogna dire che questa ha il fine di portare ad attuazione e perfezionare uno stato di scienza e di virtù nel soggetto da educare, in stretta collaborazione e in u1nile servizio verso le sue potenzialità immanenti. Pertanto, l'arte pedagogica appartiene al dominio pratico-poietico, e possiamo definirla una "saggezza pratica". E poiché nel praticare quest'arte non si ha da fare con oggetti, 1na con persone, che devono essere guidate al loro compimento u1nano integrale, allora potremmo dire con Maritain che «l'educazione è un a1te 1norale (o piuttosto una saggezza pratica in cui è incorporata una detenninata arte)» 79 • L'educazione è, perciò, un'attività pratica «qua proxi1norun1 utilitati intenditur» 80 , sottolinea Tomn1aso, rafforzando, in tal modo, la sua tesi di 1

74

Io., De J'eri!ote, art.4. Vd. /.c. 76 Cfr. J. MARITAIN,L'educazio11e della persona, cit.,48. 77 S. THOMAE AQUINATIS, Sun11na theofogiae, I-II, q.57, art.4.

75

7g

L.c.

79 J. MARITAIN, L'educazione al bivio, trad. iL, La Scuola, Brescia 1966, 13. Cfr. anche M. CASOTTI, Introduzione al De veritale in S. TOMMASO D'AQUINO, De nurgistro, cit., 88. 80 S. THOMAE AQUJNATIS, De veri tate, art.4.


74

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fondo con cui dà valore e dignità all'azione educativa del maestro. Questi, a nostro avviso, cosciente di essere una causa reale di perfezione intellettuale e morale del discepolo, dovrà, innanzitutto, sentirsi maggiormente responsabile del destino di quella persona umana, con la quale dinamicamente coopera con il suo intervento pedagogico. Aggiungiamo, ancora, che siccome l'insegnamento «magis consistit in transfusione scientiae reru1n visaru1n quam in earu1n visione» 81 , di conseguenza il docente dovrà

veramente possedere l'arte e la capacità di saper trasmettere e comunicare la verità che ha sviluppato in se stesso. Infatti, potrebbe verificarsi il caso di una persona molto dotta, ma che non riesca a comunicare agli altri il proprio sapere. In tal caso, però, non ci troveremmo davanti a un inaestro, a un vero e autentico educatore,

perché gli mancherebbe il tratto essenziale: l'arte di causare scienza in altri soggetti. Potre1nmo osservare che, forse, su questo punto Tomn1aso si ri-

chiama all'esperienza dei giovani ordini mendicanti del suo tempo, in particolare all'ordine domenicano a cui egli apparteneva, che sintetizzavano il loro ideale educativo-religioso nel motto contemplata aliis tradere. Il nostro autore, infatti, precisa: «Sicut eni1n maius est illuminare quam lucere solum, ita maius est contemplata aliis tradere quam solum contemplari» 82 • Pertanto, la vita attiva, impegnata nell'insegnamento, è più perfetta della vita che è solamente contemplativa, perché presuppone «abundanliam conte1nplationis» 81 •

8. Rilievi conclusivi Concludendo possiamo dire che, per Tommaso, l'insegnamento tra gli uomini è possibile ed è causa di scienza e di promozione di virtù e di bene. Il linguaggio facilita lo sviluppo educativo intellettuale e morale della persona umana.

81 82

83

l.c. Io., Sununa theo/og;ae, II-II, q.188, art.6. Io., S11n1n1a theo/ogiae, III, q.40, art.I.


li fondamento del rapporto educativo nel "De magistro" di Tommaso

75

L'uomo, nello svolgimento del suo ruolo pedagogico, non deve mai di1nenticare che «solus Deus docet interius» 84 , e che egli, pertanto, deve agire imitando e seguendo il Maestro interiore, altrimenti la sua opera di docente non serve a educare e a edificare la vita dell'allievo, ma a distruggere. Se, infatti, l'educatore non conformasse il suo intervento pedagogico al Maestro interiore, potremmo dire che ciò causerebbe nell'educando uno squilibrio tra la luce interiore dell'intelletto, impronta di Dio nell'animo umano, che esigerebbe di essere realizzata e attuata in una precisa direzione, adeguata alla sua finalità intrinseca, e la falsa pretesa educativa del maestro, che vorrebbe guidare l'allievo su sentieri diversi. L'azione di un lale maestro sarebbe simile a quella del medico che vorrebbe curare e guarire il suo paziente senza in1itare la natura e senza confonnarsi a essa. Ci sembra opportuno osservare che da un simile contesto non sarebbe difficile scivolare in una concezione pedagogica autoritaria, dove l'educatore arbitrariamente imponebbe all'allievo il proprio progetto educativo e le proprie convinzioni morali. Si tratterebbe, per dirla con Maritain, di un'educazione «con il bastone» 85 .

Le linee pedagogiche che abbiamo trovato in Tommaso, invece, riescono, a nostro avviso, a salvare e a conciliare le sane istanze che provengono dall'attivismo pedagogico contemporaneo e dalle scuole nuove o attive di questo secolo, e quindi le esigenze di una sano spontaneismo, radicato nell'interiorità del soggetto, con un equilibrato e autorevole intervento educativo, funzionale, anzi, meglio, "ministeriale" nei confronti della stessa natura umana dell'allievo. Quest'ultimo rilievo, a nostro avviso, ci porta a sottolineare che, nello spirito della pedagogia tomista, come ha osservato Maritain, «il dono più prezioso, che un educatore possa avere, consiste in una specie di rispetto sacro e affettuoso per l'identità misteriosa del fanciullo, la quale è una realtà nascosta che nessuna tecnica può raggiungere» 86 .

84

Io., De veritate, art.I. J. MARITAIN, L'educazione della persona, cit., 86 L.c. 85

49.


76

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Ci sembra di poter affermare, infine, che scoprire e approfondire le valenze pedagogiche, presenti nel pensiero dell'aquinate, può costituire un tassello che, inserito nel vasto e ricco mosaico della sua opera, ci aiuta ad apprezzare Tommaso D'Aquino come «Umile e grande guida degli studi», e a riconoscerlo come .«Doctor I-fumanitatis», così come lo ha definito Giovanni Paolo [[87 •

87 G!OVANNJ PAOLO II, Discorso ai partecipanti al IX Congresso Ton1istico Internazionale, Roma 29.9.1990, in Doct11nenti di vita ecclesiale. Inserto redazionale dei Bollettù1i diocesani delle Chiese di Sicilia 4 (1990) 200-205: 201.


VAILA TI, JUV ALTA E IL PROBLEMA DEI FONDAMENTI DELLA MORALE: LA RECENSIONE DI VAILATI A "PROLEGOMENI A UNA MORALE DISTINTA DALLA METAFISICA"

ANTONINO CRIMALDf

Accostare il nome di Vailati a quello di un autore come Erminio Juvalta, facendo affidamento sull'unico supporto documentario di dominio pubblico idoneo a comprovare la lettura da parte di Vailati di scritti juvaltiani, la recensione ad un saggio del 190 I (dove, peraltro, non vengono prospettati esiti conclusivi sul problema dei fondamenti della morale, quanto, piuttosto, chiarimenti metodologici preliminari per una corretta impostazione di questo problema), potrebbe sembrare, a prima vista, poco più che un pretesto per stabilire affinità di interessi teoretici tra i due. E l'impressione potrebbe, altresì, essere confermata qualora si consideri il fatto che, mentre Juvalta ha dedicato l'intero percorso della sua indagine ad un'unica tematica, ed è autore di parche se pur meditate letture, Vailati, se dobbiamo attenerci ad un suo citatissimo paragone, ha svolto la sua attività di ricerca come una talpa che scava gallerie in più direzioni, ci ha lasciato un corpo di scritti in cui figurano nu1nerose e accurate recensioni di opere di economisti, psicologi, logici, storici, filosofi della scienza etc., nonché di moralisti e, pur essendo aperto a tutti i campi del sapere e a

* Ricercatore della cattedra di Storia della filosofia moderna e contemporanea nell'Università degli Studi di Catania.


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tulle le esperienze che caratterizzano la realtà umana, non nasconde la sua propensione a considerare la filosofia prevalentemente come analisi critica dci metodi della scienza. C'è, inoltre, in questo accostamento, un aspetto che a ben riflettere ha i connotati del paradosso. E' risaputo che Vailati non ha mai lesinato le sue critiche alla filosofia di Kant, ed è stato opportunamente rilevato come simile atteggiamento fosse in parte da imputare al modo in cui Vailati ha recepito i motivi peculiari del kantismo: non per diretto esame dell'opera kantiana, bensì attraverso l'interpretazione "coscienzalista" fornita, nell'ambito della cultura italiana di fine Ottocento, da una tradizione «che andava da Rosmini e giungeva a Cantoni»' (interpretazione che, tra l'altro, si poteva innestare senza trau1ni su concezioni spiritualiste 1nai sopite in

Italia neppure in pieno rigoglio positivistico), esattamente quella tradizione che era ben presente nella scuola neokantiana di Pavia, dove Juvalta fu allievo del Cantoni. Ora, la posizione di Juvalta, comunemente identificata col positivismo, appare, proprio nei confronti del kantismo da lui assimilato negli anni di fonnazione, marcata da un atteggiamento ambivalente: da un lato egli ne recepisce I1istanza critica in funzione antiscientista, nel senso che il kanti-

smo in quanto filosofia dei limiti, si configurava per lui non solo come critica della metafisica, bensì anche come critica della scienza che intende sostituirsi alla metafisica; dall'altro (è Del Noce a rilevarlo)', non si esime dal ripudiare le disinvolte operazioni dei kantiani quando concepiscono l'agire morale con1e esperienza in cui si varca «l'abisso tra feno1neno e

noumeno», né tantomeno si lascia sfuggire i rischi di manipolazione del criticismo quando esso viene utilizzato per dar vigore a tendenze spiritualistiche le quali, insistendo sui limiti della scienza, di fatto avallano la necessità di ancorare la morale a credenze metafisiche. Per dirla in breve: quella tradizione che per Vailati fu causa non ultima di un rifiuto pressoché totale delle teorie di Kant, e che fu considerata da lui sterile e improduttiva, spinse Juvalta sulla via della costituzione di

1

M. DAL PRA, Stud; sul pragn1atisn10 italiano, Bibliopolis, Napoli 1984, 73. Juvalta e Mazzantini in AA. Vv., La filosofia di Carlo Mazzandni, Ed. Studium, Roma 1985. 100 ss. 2 A. DEL NOCE,


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una scienza morale «autonoma» e gli servì per rigettare in blocco i presupposti del positivismo scientista e mateiialista, senza per questo sollevarlo dall'incombenza di un'attenta e puntuale disamina della filosofia morale kantiana condotta direttamente sui testi. Anche in Vailati fu sempre vivo e tenace l'impulso alla polemica contro il «positivismo ordinario» (Calderoni) nella duplice direzione dello scardinamento dell'agnosticismo implicito che esso esprimeva nel demarcare i confini tra conoscibile e inconoscibile, e della contestazione al suo esclusivo privilegiamento del metodo induttivo, non trascurando, in questo attacco, le "metafisiche" positiviste. Ma ciò è dovut6 al fatto che egli ebbe una conoscenza profonda dei metodi delle scienze e dei procedimenti della ricerca scientifica, più che all'influsso di una pmticolare con-ente filosofica: non è infatti azzardato affermare che egli era indotto a misurare la validità delle elaborazioni filosofiche, non escluso il pragmatismo, sulla loro capacità o meno di dm· conto e di chiarire le procedure delle varie scienze, e non viceversa. Positivista atipico, dunque, Juvalta, nella misura in cui non si lasciò imbrigliare dalle deviazioni scientiste e materialiste; critico del positivismo Vailati, nella inisura in cui cercò di denunciarne le istanze che non si accordavano con la salvagum·dia del valore scientifico della conoscenza; diversità di formazione tt·a i due che converge su una comune forma mentis, dal momento che il giudizio formulato dal Geymonat su Juvalta (del quale mette in evidenza il metodo di indagine fondato «su analisi logiche estremamente precise e sottili,che ripudiano qualsiasi ricorso ad argomenti di carattere intuitivo o comunque non controllabili e scm·samente rigorosi»), può essere sottoscritto anche per Vailati. Juvalta profuse, infatti, gran parte del suo impegno teorico nel tentativo di delimitare 1igorosamentc i termini delle questioni da risolvere e di segnalare ed eliminare le cause che si frappongono alla loro soluzione, individuandole per lo più nelle "incongruenze" di schemi argomentativi in cui il modo stesso di m·gomentare, il ricorso a funambolismi verbali, la confusione de1ivante dal pon-e alla base della intera argomentazione affe1mazioni ispirate a criteri contt·astanti, rendono i problemi stessi insolubili: insolubili perché "malposti". Attitudine mentale, questa, largamente presente in Vailati, nei cui scritti de questioni di parole», l'accertamento preliminare di che cosa si


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intenda dire o significare con una asserzione prima ancora di decidere della sua falsità o verità, «la caccia alle antitesi», l'eliminazione degli equivoci del linguaggio ordinario, rappresentano una parte cospicua del suo «esercizio analitico» (Lanaro).

Ma abbandonarsi al gioco delle cmrispondenze simmetriche tra i due autori nel modo di affrontare i problemi, a qualunque settore d'esperienza essi appartengano, lascia impregiudicata la questione se sia produttivo e legittimo un confronto sulla base dei contributi apportati nel campo d'indagine per il quale l'uno, Juvalta , mostrò un interesse esclusivo, mentre l'altro, Vailati, un interesse relativo, benché costante e niente affatto supe1i"iciale. Si è detto che l'unico scritto in cui Vailati prende in considerazione un'opera di Juvalta è la recensione a Prolego111eni ad una n1orale distinta dalla n1etqf;sica. Una recensione è pur se1npre una recensione, e non ci può essere se non di relativo conforto l'osservazione dei curatori degli scritti vailatiani posta nella premessa alla I edizione. («Le recensioni del Vailati non sono inai se1nplici riassunti infiorati di complimenti, 1na consistono

spesso in veri e propri ripensamenti personali dell'argomento del libro esaminato, tanto che alcune volte la recensione sembra, ed è, più importante dell'opera che le ha dato origine». Ma, sentiamo di dover aggiungere, questa seconda affermazione non può essere riferita alla recensione a Ju-

valta, per utilizzarla come supporto teso a rilevare affinità e divergenze tra i due sul teffcno dell'etica, benché essa, al pari delle altre recensioni, ci consenta di cogliere gli atteggiamenti di Vailati «di fronte ai vari indirizzi e problemi del pensiero contemporaneo» 1• E tuttavia, questa recensione si stacca dalle altre proprio perché esprime un consenso pressoché totale alle posizioni dell'autore recensito, e in secondo luogo perché, a differenza di altre, concernenti indagini su argo1nenti dì etica, nasconde, come avremo modo di 1nettere in chiaro, una

riserva mentale da parte di Vailati circa la possibilità di venire a capo di un particolare ordine di problemi connessi all'etica, la questione del fondamento del valore morale. Riserva mentale che avrebbe spinto Vailati stesso

3 Prefaz;one degh editori in G. VAILATI, Scritti, J. A. Barth - Successori B. Seeber, Leipzig - Firenze 191 l, Jx.


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ad una sorta di ritrosia invincibile nell'accostare detta tematica e che costi· tuisce implicitamente un ammncio profetico della scoperta dei limiti del ra· zionalismo etico a cui di lì a qualche anno sarebbe approdato l'originale, affascinante e, per certi aspetti, insuperato tentativo juvaltiano di garantire alla scienza morale una perfetta e totale autonomia non solo di oggetto, bensì di principi e criteri esplicativi. La recensione, inso1nma, esprime l'atteggiamento vailatiano nei termini del noto aforisma di Wittgenstein: «Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere»; la fatica di Juvalta invece ci offre un esempio di che cosa accada quando si lenta di adeguare la parola a ciò di cui veJTebbe più agevole tacere. Con quale bagaglio concettuale si accosta Vailati alle questioni mo· rali? Dalla triplice classificazione degli stati di coscienza tracciata da Bren· tano in rapporto al tipo di operazioni cui esse danno luogo, e cioè dal rag· gruppamento in categorie delle attitudini mentali secondo la triplice distinzione di rappresentazioni, aspettazioni, volizioni, Vailati, riscontrando

analogie illuminanti con le procedure adoperate dai logici nel classificare le proposizioni, ricavò il metodo euristico più adatto per confermare gli esiti cui erano pervenuti, nell'indagare i fondamenti dell'etica, autori come Sidgwick e Moore, la cui posizione può essere ricondotta al comune de· no111inatore di sostenere, contro ogni riduzionisino naturalistico,

l'irriducibilità del valore morale a categorie diverse dal valore stesso. Anche per Vailati, la sfera dei valori, il giudizio di valore e le pro· posizioni norn1ative in genere non possono essere chiariti se non a partire da postulali che implicano già una scelta di valore e un orientamento al valore: e l'orientamento al valore ha attinenza con i fini dell'agire, siano essi individuali o sociali, la cui detenninazione «implica qualche cosa di più che dei semplici giudizi di constatazione, ed esce dalla competenza dell'intelligenza "pura" per entrare in quella della volontà e dell'arbitrio u1nano» 4. Non si Può, dunque, «costruire un sistema 1norale senza appoggiarlo a qualche imperativo categorico» di qualunque specie esso sia.

4

138.

G. VAILATI, Scritti fi!osqfici, a cura di G. Lanaro, Nuova Italia, Firenze 1980,


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Sull'incidenza che questa distinzione tra ambito d'esercizio della intelligenza «pura» e quello della volontà e dell'arbitrio umano, tra conoscere e volere, avrebbe avuto nell'indurre Vailati a circoscrivere la giurisdizione della scienza al campo della sola attività conoscitiva, sottraendole il potere di giudicare la scelta dei fini dell'agire, non è qui il caso di insistere. Ricordiamo, però, che fu proprio in base a tale criterio discriminante che Vailati affrontò anche una serie di problemi di estrema rilevanza teorica e pratica quali, ad es., quelli connessi con l'accertamento delle cause dell'agire umano, questione non marginale per i cultori delle scienze storiche, molte volte pregiudizialmente legati a schemi di spiegazione deterministica poggianti sulla constatazione che la volontà sia determinata ad agire da circostanze esterne: spiegazione che, a parere di Vailati, costituisce un autentico ostacolo epistemologico, qualora si escluda aprioristicamente l'ipotesi che la volontà stessa possa diventare, a sua volta, seppure condizionata da fattori diversi, stimolo all'azione. Ricordiamo inoltre che tale criterio dettò a Vailati, e l'epistolario ne è la riprova, osservazioni pertinenti sulla necessità che l'esercizio della ricerca scientifica sia di diritto e di fatto avalutativo: l'attitudine del ricercatore è pur sempre mossa da un qualche interesse, pre-giudizio o scopo, che lo guida nella scelta dei problemi e nella delimitazione del campo d'indagine e perfino nella caccia alle soluzioni, ma il pregiudizio diventa impedimento conoscitivo allorché induce ad adattare le teorie che spiegano i fatti al letto di Procuste delle sue aspettazioni e volizioni. Né, d'altra parte, la constatazione che ogni giudizio di valore poggia su postulati di valore sembrò a Vailati indizio del carattere irrazionale del comportamento morale. E ciò aveva attinenza, senza dubbio, col fatto che Vailati, assimilando il magistero del pragmatismo peirciano', non mancò di mettere nel dovuto rilievo «il sussidio continuo delle attività selezionatrici

5 Sulla recezione del pragmatismo peirciano, argomento ineludibile per intendere la filosofia di Vailati nel suo complesso, un apporto di chiarimento decisivo è dato nel saggio di A. BRANCAFORTE, Ipotesi per una lettura di Vailati: dal pragn1atismo logico a una fenon1eno!ogia pragmatistica, in AA. Vv., Giovanni Vai!ati nella cultura del Novecento, Arnaldo Forni, Bologna 1989, 71 ss,


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costruttrici ed anticipatrici del nostro spirito» 5'' nei processi di conoscenza.

In geometria, ad es., le domande inerenti alla costruibilità di una data figura trovano risposta tramite il ricorso a due specie di proposizioni cbe afferiscono alla scelta di determinati postulati ed assiomi, dal momento cbe i postulati affermano la possibilità di eseguirne la costruzione, mentre gli assiomi stabiliscono le proprietà che detta figura deve avere posto che sia possibile costruirla. Analogamente, in etica, «per provare qualsiasi proposizione affermante la desiderabilità di qualche fatto od oggetto, non può bastare l'impiego di proposizioni affermanti soltanto che qualche cosa serve a qualche dato scopo, ma occorre inoltre si provi che questo altro scopo sia esso desiderabile» 6 • Detto altrimenti: come per la geometria, ma non solo per la geometria, vengono stabilite proposizioni che stiano a fondamento dell'intero processo deduttivo, senza che per questo si debba imputare alla ragione una sua presunta incapacità a dar conto anche dei postulati primi, così in etica «non si può a n1eno che far capo a qualche proposizione nella

quale la desiderabilità di qualche fatto o oggetto venga affermata senza prove, a proposizioni cioè in cui ciò che si asserjsce è qualche nostro volere[ ... ]» 7 • Osserveremo qui che l'ammissione della legittimità razionale del ricorso a postulati ed assiomi in geometria lascia aperta la questione dei criteri in base a cui si debba e si possa operare la loro scelta, e la questione, del resto, fu affrontala da Vailati nello scambio epistolare col Brentano, al quale egli manifestò con acute argomentazioni il suo disaccordo sull'ipotesi di poter selezionare i postulati seguendo il criterio dell'evidenza. L'identico problema si presenta, con modalità diverse, anche nel campo delle scienze empiriche quando si impone la scelta fra teorie equipollenti che hanno uguali probabilità di riscontro sperimentale, e non mancano certo tra gli scritti vailatiani analisi pertinenti in proposito. Lo stesso atteggiamento, però, Vailati non adottò per l'etica: egli eluse costantemente la questione della scelta dei postulati della morale; né

5 ' M. CALDERONI, Intorno al prag1natisn10 di G. \laifati, in Scritti, II, a cura di Odoardo Campa, La Voce, Firenze 1924, 355. 6

G. VAILATI, Scritti filosoji'ci, ciL, 231.

7

L.c.


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poteva essere altrimenti, date le perplessità e le riserve mentali che egli nutriva al riguardo. Ed è proprio di queste riserve mentali che la recensione a Juvalta costituisce una prova convincente. Da quanto detto in precedenza risulta che Vailati condivide l'affe1mazione del carattere irriducibile dei giudizi di valutazione morale e della autonomia della sfera assiologica. Questo suo orientamento coincide senza riserve eon quello di Juvalta, per il quale«[ ... ] rimane stabilita chiaramente e incontestabilmente, la primarietà, la indipendenza, la autoassiomaticità delle valutazioni morali», sicché si dà la conclusione incontrovertibile che «A fondamento dei giudizi morali non vi sono e non vi possono essere che dati e postulati di valutazione morale» 8• Tale convergenza fornisce, forse, la motivazione principale che spingerà Vailati a considerare la posizione juvaltiana affatto congeniale alla sua, ma certamente non sarebbe bastata, né di fatto bastò, a farlo inoltrare sul terreno accidentato e impraticabile di quello che Juvalta considerò «il problema centrale, il vero problema dell'etica; quello del fondamento»'. D'altro canto, nel saggio recensito da Vailati, uno dei primi pubblicati dal filosofo di Chiavenna, ma già robusto indizio della direzione di marcia su cui da tempo si era avviato l'autore, appare già in tutta evidenza come le distinzioni metodologiche introdotte nel delimitare il campo di indagine siano funzionali alla ricerca di una soluzione del problema dei fondamenti nel senso di una giustificazione razionale dell'etica. E' chiaro che, nel caso di Juvalta, stante !'asserita autonomia della sfera morale da altri an1biti d'esperienza, il ter1nine «giustificazione razionale» non avrebbe potuto significare chiarimento del giudizio di valore attuato con la sua subordinazione al giudizio teoretico o subordinazione del fine morale alla scienza; esso, piuttosto, è sinonin10 di deduzione rigorosa di conseguenze da premesse chiaramente individuate, sinonimo di un argomentare che, sulla base dei requisiti del rigore e dell'oggettività tipici della trattazione scientifica, possa pervenire a conclusioni suscettibili di ricevere consenso a prescindere dalle vedute «soggettive» di chi le controlla.

8 E. JuvALTA, ! !in1iti del razionalisn10 etico, a cura di L. Geymonal, Einaudi, Torino 1945, 282. 9 lbid., 333.


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Juvalta parte dalla constatazione che qualunque riflessione sull'agire morale e, di riflesso, qualunque trattazione sistematica dell'etica converge nel riconoscere come suo oggetto specifico di studio l'esigenza pratica, poiché l'etica, per sua natura, si occupa appunto dell'orientamento dell'agire in conformità al valore morale. Ma la diversità dei sistemi morali non è data dall'esigenza pratica, ammessa per ovvi motivi da tutti i moralisti, bensì dalle motivazioni che questi ultimi collocano a monte dell'esigenza pratica chiamando in causa gli apriori ideologici dei «cultori della morale», sia quando costoro sono mossi da presupposti metafisici, sia quando sono orientati a cogliere il significato del fenomeno morale attenendosi alla descrizione «genealogica» della sua dinamica, sia infine quando spiegano lo scopo della esigenza pratica assegnandole il fine di conservare determinate condizioni di vita individuale o sociale. Il tentativo di Juvalta si colloca quindi nello spazio aperto da quei settori della cultura tra fine Ottocento e Novecento che avevano fatto i conti con la crisi delle evidenze e delle certezze non solo nell'ambito delle scienze empirico-matematiche, ma anche nel campo delle scienze umane e storico-sociali. L'esistenza di 1notivazioni diverse, contrastanti, a volte aberranti, a

volte dettate da puro fanatismo ideologico, pmtate a supporto della delucidazione del fenomeno morale, erano appunto la conferma più evidente del fatto che il confronto con un universo di valori diventato irriducibilmente conflittuale e politeistico si imponeva come passaggio obbligato in ogni tentativo di far chiarezza sul terreno dell'etica. Da qui l'affermazione iuvaltiana secondo cui l'esigenza pratica è il «Calvario dei sistemi morali»w. Da quii ancora, il suo ricorso ad una tecnica di indagine che «epochizzi» in prima istanza l'appoggio aperto o surrettizio a qualsiasi fede metafisica volta a detenninare la "normatività" della norma morale.

Cosa intenda Juvalta per metafisica è argomento che richiederebbe una trattazione a paite e uno sforzo interpretativo idoneo a tt·acciare i profili della sua concezione, scoprirne gli eventuali limiti e farne emergere le vedute unilaterali. Qui importa sottolineare come il termine "metafisico" sia

lO

lhid., 3.


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per Juvalta sinonimo di "dogmatico" e come l'esclusione della metafisica dai motivi tesi a soddisfare l'esigenza pratica non escluda a sua volta le argomentazioni "antimetafisiche" ispirate ad un "sano" rispetto del principio di realtà, (quelle, per intenderci, delle spiegazioni in chiave psicologica o sociologica, che deducono la normatività della norma da un fine ad essa estrinseco, quale può essere la coesione sociale o l'autoaffermazione dell'io). E la ragione di questa duplice o triplice esclusione viene subito in chiaro se si pone attenzione a quanto Juvalla afferma allorché individua nell'esigenza pratica la compresenza di due istanze che richiedono un'analisi appropriata e pongono capo a due serie distinte di questioni. Si tratta della nota distinzione tra esigenza giustificativa ed esecutiva che val la pena di riportare con le parole di Vailati, data la chiarezza con cui rifmmula la ·teinatica juval tiana. L'esigenza giustificativa è in fondo da ricondurre alla domanda: «Per quale ragione la tal condotta, o tal n01ma, è da qualificarsi come giusta o ingiusta?»; mentre quella esecutiva conisponde al chiedersi: «Da quali 1notivi si è indotti ad agire conformemente a ciò che si riconosce co1ne giusto?» 11.

Sull'esigenza giustificativa, in realtà, Juvalta dice qualcosa in più della domanda rifonnulata da Vailati, la quale, peraltro, è presente nel testo recensito. L'esigenza giustificativa «è soddisfatta quando il fine, a cui è orientata la norma, sia giudicato da tutti come il fine superiore per tutti ad ogni altro fine, cioè tale che ciascuno debba riconoscere giusto per sé o per gli altri che sia anteposto a ogni altro, e quindi giusto che sia seguita la condotta co1Tispondente» 12 •

Definizione, questa, da cui si deduce già una caratterizzazione i1nplicita del valore morale nel senso I) della priorità del fine da esso perseguito rispetto agli altri fini, 2) della generalizzazione o tendenza universalizzante di questo fine, il quale, se e nella misura in cui è conosciuto e accettato , è riconosciuto e accettato per sé e per gli altri; 3) della sua solleci-

11

G. VAILATI,Rece11sio11e a Enninio J111'alta: Prolegomeni .. , in Scritti filosofici, cit., 140. 12 E. JUVALTA, op. cit., 25.


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!azione nei confronti della volontà, in quanto il riconoscimento della "giustezza" del fine, implica il riconoscimento che sia giusto che vi corrisponda una condotta conforme. Juvalta giunge inoltre al punto di ipotizzare le condizioni in base a cui il fine intenzionato dalla norma morale possa essere «giudicato da tutti come il fine superiore per tutti» 13 riscontrandone il carattere precipuo nella «massima desiderabilità per tutti» che non può essere garantita se non da «un fine in cui tutti ripongano la felicità [ ... ] o la condizione necessaria, e possibile a tutti, della felicità» 14 : col che egli veniva a scartare in partenza l'idea che l'universalità del fine morale potesse concernere solo gli individui e non piuttosto la società nel suo complesso o che si desse dal punto di vista morale eterogeneità di fini supremi tra individuo e società(«[ ... ] bisogna dunque che la medesima norma governi in tutte le sue esplicazioni tutta l'azione della società come tutta l'azione dei singoli» ) 15 • La rivelazione di una aporia insuperabile, l'impossibilità di assegnare contenuti univoci al fine supremo, cioè l'impossibilità di stabilire che cosa si possa intendere per "felicità per tutti" (posto che il concetto, per essere pienamente esplicitato, compreso e spiegato in senso univoco dovrebbe poggiare sull'ammissione di «una uniformità costante e universale dei desideri e del valore soggettivo dei desideri» ) 16 avrebbe imposto a Juvalta il tour deforce di determinare almeno il valore morale dalla cui attuazione dipende il raggiungimento di quello che ciascuno considera il fine supremo. Detto valore, come è noto, è costituito per Juvalta dall'ideale di giustizia. Ed è proprio ricorrendo ad una sorta di argomento ontologico, partendo cioè dal concetto di questa determinazione «ideale», dalle condizioni che rendono «ragionevoli» il riconoscimento dell'intrinseca rettitudine della norma morale ispirata al c1iterio della giustizia, che egli attribuì al postulato della giustizia il contenuto precipuo del rispetto della personalità propria e altrni.

13 14 15

16

lhid., 4. lhid., 39. L. c. L. c.


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Alla luce di queste considerazioni il postulato supremo posto alla base dell'intera costruzione dell'etica n01mativa risulta, a parere di Juvalta, quello secondo cui «Una vita universahnente e.per tutti i rispetti desiderabile sia da preferire a una vita desiderabile solo per qualche rispetto e non universalmente [ ... ]. La condotta che col criterio indicato si stabilisce e si giustifica come relativamente giusta è la condotta che un uomo ragionevole deve giudicare tale, se accetta, e ammesso che accetti, quel postulato. La giustificazione razionale dal punto di vista umano si a1Testa qui» 17. Ora, dal fatto che l'esigenza giustificativa mette capo ad un postulato di valore intenzionante un fine supren10 che ha valore «per sè» e dal fatto che l'intera etica nonnativa dipende da una accettazione e da un assenso che poggia sull'autassia del fine supremo si deve concludere che la "ragionevolezza" della condotta giusta non dipende da altro che dalla sua intrinseca rettitudine garantita dalla conformità al fine. Il valore supremo è dunque ab-soluto, a sé stante, fornito di identità propria. D'altro canto, Juvalta stesso, per indicare la relazione della coscienza uinana al valore 111orale non trovò nulla di meglio del ter1nine «riconosci1nento»; e la scelta non poteva essere più accurata per adon1brare la conseguenza che la necessaria relazione della coscienza al valore nell'agire morale non significa affatto relatività del valore alla coscienza, affermazione tipica di soggettivismo morale. Ma dalla suddetta configurazione del valore etico scaturisce anche un'altra conseguenza, in ordine al problema dei fondamenti della morale: l'impossibilità di surrogare a livello teoretico l'indigenza che costituisce la ricchezza del valore, la sua estraneità ad istanze di ordine diverso, con ragioni altre dal valore stesso. Questa gratuità del valore, la netta separazione tra valore e forza registrata da Juvalta, che in ter1nini pratici distingue «l'atto di adesione al valore dal consenso alla forza» 18 ci fornisce forse la cifra teorica più perspicua per capire la critica siste1natica da lui n1ossa ai tentativi di trovare il fondamento dell'etica in una credenza metafisica o in un qualunque settore di realtà, sia essa storica, culturale, naturale, individuale o sociale,

17 lbid., 48. 18 A. DEL NOCE, op. cit., 103.


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poiché riconoscere un qualunque corso delle cose, una qualunque autorità e piegarsi ad essi, consentire ad una forza reale o imn1aginaria che sia, non

implica riconoscerne la giustizia, la desiderabilità morale. Questo tipo di subordinazione a norme einananti da fattori extra-1norali «non sarà un vo-

lere, ma un subire» (Vailati). Lo stato di fatto, quindi, non può mai essere sussunto come fondamento di valore, ma può essere investito di un giudizio valutativo che precede o segue il suo riconoscimento. In ultima analisi, non è l'esistente a generare il valore, bensì è il valore a "valorizzare" l'esistente. Un eventuale abbinamento della forza al servizio del valore è ammessa da Juvalta solo ed esclusivamente nell'ambito della esigenza esecutiva, in vittù della quale egli non ha difficoltà ad ammettere l'incidenza che le credenze metafisiche o religiose possono avere nel far seguire in pratiche le norme inorali. Notere1no, per inciso, che l'identica posizione è espressa da Vailati quando riconosce nella religione un potente stimolo all'elevazione morale dell'umanità, seppure non celi il suo fastidio per quanti ric.orrono al credo religioso per cercare conforto al loro vacillante senso inorale.

Tornando a Juvalta, è inevitabile notare tuttavia che, mentre gli era stato agevole addossare la responsabilità di contaminazioni metafisiche nel risolvere la questione dei fondamenti all'istanza esecutiva dell'etica, la quale viene spesso a poggiare nella pratica snl potere di persnasione esercitato da credenze e motivazioni di carattere religioso, oltre che s'intende, di carattere psicologico, sociale, utilitaristico etc., non altrettando agevole gli risulta la determinazione dell'extrema ratio in base a cui sì riconosce "giusta" la norma da seguire. Il fatto è che Juvalta intravede, nell'atto stesso del profilarsi della questione, il profilarsi dì un livello di indagine «metafisico» di cui non può evitare l'ipotesi, benché determinato a neutralizzarne la suggestione. Perché, in fondo, toccare /'extrema ratio della nonna significa toccare il sostrato teorico-pratico della sua validità, ipotizzarne il carattere incondizionato e assoluto, e, dì converso, venire a capo di questa e.rtre111a rar;o approdando al valore pri1no della giustizia significava investire la giustizia di "una ragione assoluta". Ma una ragione assoluta alla giustizia può darla solo l'evidenza di un fine «che ha valore "per sé" all'infuori e al di sopra, non solo della vita finita dell'uomo e della società umana, ma di ogni interesse umano presente o 1


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avvenire [ ... ]» 19 • Diffidando del criterio dell'evidenza e convinto che la ricerca di questa ragione assoluta fosse un miraggio dall'inevitabile sbocco metafisico, dando per implicito che accogliere il valore assoluto di una norma non esime dall'indagare sul valore in sé della nmma e che questa indagine esula dai limiti di una giustificazione razionale dell'etica nel senso sopra evidenziato, Juvalta batté, a ragion veduta una strada diversa, lasciando, però, aperto il problema: «[ ... ]. Il problema metafisico sul valore in sé del fine morale, come altri problemi metafisici, rimane, comunque se ne apprezzi l'importanza, anche se del valore della norma si assegna una ragione diversa» 20 .

Juvalta, così, poté mettere al servizio dell'etica le risorse di una ragione "debole", ma pur sempre capace di accettare il paradosso di una realtà un1ana, finita, relativa, e allo stesso te1npo investita di un valore

assoluto: «Riconoscere il valore supremo di ciò che costituisce l'unità personale, di ciò per cui l'individuo si afferma ed esprime la sua volontà di essere persona, implica[ ... ] il presupposto del valore diretto, originario, incomparabile inco1n1nensurabile, cioè assoluto, della persona umana, come volontà di essere tale e come coscienza di questa volontà» 21 •

In realtà, l'intento di Juvalta di fornire una giustificazione razionale dell'etica va incontro a difficoltà insuperabili proprio in virtù dell'esclusione programmatica delle questioni da lui ritenute metafisiche; e ciò non tanto per la nota scoperta dei limiti del razionalismo etico, ché constatare come la ragione non possa né costruire né dedurre da propri principi la normatività della norma equivale a constatare come la coscienza umana non sia arbitra del valore e non sia il fondamento del criterio del bene e del male; ma precludere alla ragione stessa la possibilità di interrogarsi su questo dato di fatto, qualunque sia poi la risposta a tale ordine di problemi, non pare cosa del tutto razionale, sempre che dette questioni non si facciano rientrare in quell'ambito di interessi su cui pesa !'interdetto sancito, contro le stesse esigenze della ragione, dal razionalismo imperante nella tradizione filosofica occidentale.

19

E. JUVALTA, I fin1iti ... , cit., 26.

20

lbid., 26-27. !bid., 312.

21


. Vailati, Juvalta e il problema dei fondamenti della morale

91

Identica perplessità si può esprimere per l'epochizzazione di un altro ordine di problemi messa in atto da Juvalta: le implicanze dell'obbligatorietà della norma morale. E' da condividere l'affe1mazione di Juvalta secondo cui il fondamento del valore non risiede nell'obbligo, ma non è da condividere il suo silenzio sul riflesso che l'obbligazione morale esercita nel farci capire in che senso essa dipenda dalla volizione: che il volere avverta un obbligo nei confronti del valore significa, appunto, far esperienza di come la legittimità del valore non si fondi esclusivamente sul fatto che il valore sia "voluto". Queste riserve fanno convergere, infine, la nostra attenzione sull'aporia insuperabile dell'indagine juvaltiana, costituita dalla sua sostanziale i1npotenza a sorn1ontare i conflitti delle varie concezioni morali da un punto di vista razionale. Essa dovette pesare forse più delle altre agli occhi dello stesso Juvalta, se egli percepì con estrema chiarezza che il caos delle interpretazioni del fenomeno morale, speculare al caos esistenziale degli stili di vita e della condotta nella società contemporanea, poteva essere so1montato a livello teorico soltanto rispondendo alla domanda: «se ci sia un principio di valutazione, una affermazione diretta o primaria di valore che sia razionale in sé, e che si distingua come razionale da altre valutazioni ]Jrin1arie, che non siano in sé razionali; cioè che non sia razionale accettare, che la ragione impedisca di ammettere»"- La mancata risposta a tale domanda, la mancata risposta alla questione della verità dell'etica, rende la teoria juvaltiana disannata di fronte al conflitto degli assoluti etici al punto che il rigetto del contenuto del suo postulato etico fondamentale, il disprezzo per la personalità propria ed altrni, perseguito come opzione morale, appare inconfutabile se si resta nell'ambito delle sue certezze. Esistono criteri che possano dirimere la questione della bontà morale di due postulati di valore antitetici? che cosa significa una scelta morale "ragionevole" in rapporto ad una scelta irragionevole? Su che cosa si fonda la "ragionevolezza" del giudizio di valore se esso non compete alla ragione? Juvalta cercò di far chiarezza anche su questi inten·ogativi 2\ 1na senza raggiungere esiti apprezzabili, nella misura in

22

lbid., 348.

2

Cfr. ihid., 361 ss.

3


92

Antonino Crimaldi ,

cui, pur essendo pervenuto a formulare il carattere completamente disinteressato della valutazione morale, non poté argomentare la verità di questo disinteresse. E veniamo a Vailati. Dopo aver osservato come la trattazione juvaltiana condotta in conformità al progetto di una giustificazione razionale dell'etica intenda perveni.re alla rilevazione di fini supremi dell'agire morale, Vailati viene subito al nocciolo del problema dell'etica normativa e introduce l'interTogativo su cui convergono le pagine dei Prolegomeni: «la scelta e subordinazione» di detti fini «sono esse puramente arbitrarie e atte a variare a seconda delle speciali tendenze e aspirazioni, o delle vedute "metafisiche"[ ... ] o è possibile venire in proposito a qualche conclusione che [ ... ]non possa essere rifiutata [ ... ]?» Ancora: «I fini supremi sono suscettibili di essere caratterizzati con una sola for1nula comprensiva che tutti li riassuma e li contenga?» 24 .

L'opinione di Vailati è già contenuta in una frase che non può dare adito ad equivoci sul suo significato: «Nonostante la sua (di Juvalta) opinione, forse troppo ottimista sulla possibilità di trovare risposte soddisfacenti a queste domande, l'autore non si dissimula le difficoltà che si frappongono a tale i1npresa» 25 . Vailati, quindi, sulla questione del criterio di scelta dei valori primari posti alla base dei sistemi morali, dubita che si possano raggiungere conclusioni univoche e inconfutabili. Noi aggiungiamo che questo dubbio, oltre che alla difficoltà della questione in sé, nasce in misura determinante dalle concezioni precipue nutrite da Vailati nei riguardi dell'etica. Vailati, infatti, usò costante1nente una terminologia forte1nente caratterizzata in

senso volontaristico-soggettivistico: «La determinazione degli scopi della vita sociale o individuale [ ... J esce dalla competenza della intelligenza "pura" per entrare in quella della volontà e dell'arbitrio umano» 26 . Affermazione apparentemente plausibile qualora si riferisca al nesso indissolubile che intercorre tra la volizione e l'attuazione di una condotta conforme

24

G. VAILATI, Recensione a Erminio Juvalta ... ,

2s

L. c.

26

G. VA/LATI,

Scrhd fi"/osofici, cit.,

138.

cit., 144.


Vailati, Juvalta e il problema dei fondamenti della morale

93

allo scopo previsto dalla norma, ma estremamente fuorviante qualora dalla volizione non si lascia dipendere solo la decisione di eseguire quanto la nonna imponga, bensì anche la dete1minazione del fine da essa adombrato; cosa che, se assunta in toto, non potrebbe dar conto dell'esperienza conflittuale della coscienza di fronte alla obbligazione morale. In ciò, invece, Juvalta fu molto più cauto di Vailati allorché adoperò a più 1iprese il termine "riconoscere" il valore, proprio per non confondere sul piano teorico il piano della fondazione del fine morale col piano della sua traduzione pratica. Ancora più esplicita è la posizione di Vailati in ordine a quella peculiarità dei valori supremi morali chiaramente individuata da Juvalta nella caratteristica della universalità, intesa come validità di diritto per tutti, per il singolo e per la società etc. Recensendo l'opera dell'amico Calderoni, Disarmonie economiche e disarmonie morali, egli prende alto, senza esprimere alcuna critica, ma mostrando anzi di condividerne le tesi, che uno dei contributi fondamentali apportati dall'amico «è quello di reagire contro la tendenza dei moralisti in genere a riguardare l'unifonnità e la generalizzabilità come un pregio delle massime morali e come uno dei principali criteri della loro legittimità» 27 • La concezione di Calderoni, in realtà, può essere pertinente solo ad un campo d'osservazione afferente all'etica descrittiva, ma certamente risulta contestabile in vista di una ricognizione del fatto morale nella sua essenza, cioè dal punto di vista dell'etica pura o normativa. Infatti, l'applicazione al fenomeno morale di una teoria analoga a quella della utilità marginale in campo economico, così co1ne è ipotizzata da Calderoni, rileva che la domanda di moralità, la domanda di scopi morali, è direttamente proporzionale ai casi della loro mancata osservanza riscontrabili in un dato momento storico e in una data situazione sociale, e di conseguenza rileva co1ne non esista di fatto un'affermazione universale dei valmi morali. Ma determinare le condizioni che spingono gli uomini alla richiesta di un dato bene morale è altra cosa dal determinare i motivi per cui un fine è ritenuto moralmente buono, o le caratteristiche peculiari di tale fine, sicché se l'universalità e la generalizzabilità come pregio della massima morale è da escludere in re,

21 Ihid.,

248.


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Antonino Crimaldi

non pertanto è da escludere che costituisca uno dei principali criteri della sua legittimità, come lascia intendere, del resto, il giudizio garbato, ma sostanzialmente critico espresso da J uvalta sulla tesi di Calderonin A queste riserve di ordine teorico concernenti la possibilità di una valutazione dei fini alla luce di criteri univoci, Vailati ne aggiunge altre complementari concernenti la possibilità di ricondmre i fini morali supremi ad un postulato fondamentale che ne consenta la deduzione e la gerarchizzazione. L'autore chiamato in causa per suffragare la sua tesi, in questo caso

è Moore, dal quale Vailati prende le mosse per confermare «quanto poco sia ragionevole il credere che gli stessi criteri di economia e le stesse esigenze di unificazione, di semplificazione) di riduzione al minimo numero, cui conviene si uniformi ogni ricerca [ .. ,] conservino la stessa ragion d'essere anche nel campo dei "fini", come se a quella che si chiama legge del 111inimo mezzo, dovesse corrispondere una legge del «mini1no fine» 29 . Né vale ipotizzare in proposito che tale parere sia espresso da Vailati non tanto per i fini morali, quanto piuttosto per fini d'altro genere, sebbene il testo sia abbastanza ambiguo per interpretarlo in tal senso; l'affermazione citata infatti si pone a corollario di un capoverso in cui si richiama la posizione di Moore «di fronte a quelli che assegnano a scopo dell'etica la detern1inazione di un unico fine supre1no» 30. C'è da dire, però, che simili plausibili e, per certi aspetti, motivate riserve sulle probabilità di successo che una scienza morale, razionalmente giustificata al modo di Juvalta, potrebbe avere nel cimentarsi con problemi del genere, sono tutt'altro che patrimonio esclusivo della sottigliezza analitica vailatiana. Ma forse, per quanto riguarda Vailati, non è difficile risalire allo argomento originario su cui dette riserve si reggono e dal quale traggono a loro volta quella patina di ragionevolezza da cui emana la suggestione del loro realismo. Si tratta, ancora una volta, della distinzione tra conoscere e

28 Cfr.

E. JUVALTA, ! lùniti ... , cit., 185. G. VAILATI, Scritti fdosojici, cit., 235. 3o lbid., 234.

29


Vailati, Juvalta e il problema dei fondamenti della morale

95

volere esplicitamente tematizzata da Vailati con l'avallo delle teorie di Franz Breritano. 1

L argomento, ridotto ai suoi connotati essenziali, può essere enun-

ciato nel modo segueute: l'atto con cui viene approvata o rigettata una data opinione o credenza è totalmente diverso dall'atto con cui si esprime la valutazione di un fine, «la sua desiderabilità o importanza»; l'uno dà origine ad una affermazione, l'altro esprime un desiderio o una volizione. Ora, mentre nel caso delle affermazioni la loro eventuale verifica soggiace al principio di contraddizione e al criterio del vero-falso, per le volizioni e, di conseguenza, per le valutazioni dei fini, «non si può neppure affatto parlare di torto o di ragione se non per metafora, come quando si dice che si ha torto di decidere una data cosa ecc.» 31 •

La portata teorica di questo assunto Vailati la mette bene in evidenza in altro contesto, quando critica la collocazione che N aville assegna alla morale nella sua classificazione delle scienze. Alla proposta di inserire la morale nel novero delle «scienze applicate» egli obietta che propriamente di una morale rientrante nel novero delle scienze si può parlare solo «per quel ramo di ricerca che si occupa dell'origine e del modo di manifestarsi dei sentimenti morali»; in caso diverso, essa morale «non si connette, come le

scienze e la loro applicazione, ad alcuna nostra facoltà di giudicare del vero e del falso, ma piuttosto al nostro modo di sentire, di apprezzare, ciò che è bene e ciò che è male: in tal senso la morale di ciascun uomo rappresenta, non una parte di ciò che egli sa, ma una parte di ciò che egli vuole» 32 • Col che, mi pare, viene in luce per via indiretta l'opinione di Vailati a proposito della possibilità di elaborare un'etica intesa come scienza: sì all'etica descrittiva, alla fenomenologia del fatto morale, no all'etica normativa, e no, dunque, a Juvalta. E' da credere che Vailati non valutasse a fondo le conseguenze teoriche di questa separazione netta tra valore e verità, tra conoscere e volere, ed è da credere che, come fu sensibile alla portata previsionale delle affer-

mazioni per assicurarne il controllo intersoggettivo, così non fosse alieno dal porsi il problema della verifica intersoggettiva dei valori, ma il pro-

31

32

lbid., 224. lbid., 174.


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Antonino Crimaldi

blema dovette configurarglisi come una selva inestricabile. Sappiamo che il suo interesse precipuo nel leggere Schopenhauer fu alimentato dall'idea che il filosofo di Danzica fosse maestro insuperabile nello scandagliare il guazzabuglio del cuore umano: credeva, dunque, a un'arte dello smascheramento che svelasse la menzogna di certe presunte valutazioni morali. Ma si trattava pur sempre di un'arte, e agli artisti, per la precisione ai poeti, egli sentì di poter paragonare i moralisti. E forse non si va lontani dal vero se si vede in quel suo atteggiainento che fu definito «n1oralis1no ingenuo o immediato», nella sua noncuranza «per la genesi storica di quei valori 1110-

rali che pur ritenne necessario difendere» 33 , non un difetto di intelligenza, ma un segno di superiore saggezza: il problema dell'origine storica del valore, avrebbe potuto dire con Juvalta, non è il problema del fondamento; a che pro sostituire la spiegazione genetica alla valutazione? E a che pro ci1nentarsi con la valutazione se ciascuno segue sempre in n1ateria il proprio

demone e se l'unica arte per esorcizzarlo è quella della persuasione e della retorica? Un appunto che gli si potrebbe muovere è tutt'al più quello di aver seguito le 01me di Brentano sulla via della distinzione degli atti psichici, trascurando l'altro versante dell'indagine brentaniana che cercava di ristabilire la loro interdipendenza nel darsi unitario dell'esperienza personale.

33

M. DAL PRA, Studi sul pragn1atisn10 italiano, cit., 107.


IL TEMA DELLA GIUSTIZIA E L'IDEA DEL BENE NELLA REPUBBLICA PLATONICA ENRICO PISCIONE'

Introduzione La Repubblica platonica si presenta, forse, come l'opera più sistematicamente compiuta del filosofo ateniese. L'approfondita discussione sulla giustizia che anima le pagine dell'intero dialogo si sostanzia di tematiche etico-metafisiche di grandissimo rilievo. Prima di entrare in medias res, appare opportuno sgombrare il terreno da un equivoco interpretativo e cercare di cogliere la tonalità di fondo dello scritto che ci accingiamo ad esaminare. E' bene - circa il priino punto - non avere, con ottica tutta moderna, la pretesa che Platone ci abbia lasciato, anche se non ne mancano le linee essenziali, una sorta di "trattato sulle virtù". La riflessione platonica, infatti, è , com'è noto, Jivolta fondamentalmente ad elaborare quella che, ai suoi occhi, è la questione politica per eccellenza: la costruzione della città ideale che è l'inveramento filosofico-politico dell'individuo giusto. Il tono generale dell'opera - e tocchiamo così il secondo punto - è facilmente rinvenibile nell'insistito tentativo platonico di superare i limiti etici del socratis1no nonché l'ilnpasse cui esso perviene, chiudendosi in una metodologia di esasperato problematicismo, come appare chiaro

* Docente nei Licei.


98

Enrico Piscione

dall'indagine rigorosamente aporetica che pennea l'intero I libro della Repubblica. Alle domande se la dikaiosyne sia una virtù e se essa renda felice l'uomo che la pratica, louverture filosofica del nostro testo non riesce a fornire alcuna risposta e lascia ape1to il problema la cui soluzione è affidata, per così dire, al prosieguo dell'opera. Il Socrate platonico, infatti, già dalle pagine iniziali del Il libro, incomincia ad avviare a positivo compimento la vexata quaestio di una esauriente definizione della giustizia e ciò, a parer nostro, si può intravedere, ancor prima che in un'articolazione del discorso, in un ribaltamento metodologico. Socrate, che aveva ammesso nella chiusa del I libro la sua ignoranza, ora non ha più bisogno di coinvolgersi in un incessante inte1Togare, ma si inoltra con sicurezza verso una prospettazione 1isolutiva dei problemi che dibatte, mettendo fra parentesi, si può dire, la scepsi inconcludente di cui si era finora servito e, forte ormai delle ragioni del logos, insegna con evidente vigore speculativo come la dikaiosyne sia il fondamento stesso della vita morale, tanto dell'individuo che dello Stato. Si potrebbe affermare, in altri termini, che al filosofo del dialogo del I libro si vada sostituendo il dialettico nell'accezione platonica della parola, ossia colui che, gettando il suo acuto sguardo sull'idea del Bene, ne sa cogliere l'inaccessibile splendore, grazie a quell'atto dell'intuizione noetica che solamente al dialektik6s è permesso. Questi è, dunque, impegnato a far approdare la ricerca ad una compiuta sistematicità di idee chiare e di indicazioni etico-politico-pedagogiche puntuali, senza che per questo occorra trascurare l'apporto del mito e rinse1Tarsi, come in un hortus eone/usus, in una razionalità che si chiuda in se stessa nella certezza un po' astratta della pura teoresi. Se tentiamo ora di individuare, non isolandole, però, dal loro più ampio contesto, le riflessioni etico-metafisiche che una lettura attenta della Repubblica ci propone, appare evidente che esse si possano indicare in alcuni punti nodali: le virtù dell'anima e la giustizia, lo splendore dell'idea del Bene e l'impossibilità per il filosofo di realizzarla.


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I. Le parti dell'anima e lo Stato

Il nuovo procedimento d'indagine che sembra necessario per conseguire una persuasiva definizione della giustizia, apporta un notevole guadagno metodologico: della dikaiosyne non si può cogliere la caratteristica essenziale se ci si limita ad un elenco, seppure vasto, delle varie definizioni storiche che ne sono state proposte e che la sofistica ha, in vario modo, rinverdito.

Della giustizia si può dare un'esatta determinazione concettuale solo se si trova un uhi consistan1 filosofico, la cui validità speculativa si misura dal fatto che riesce a connettere le cm·atteristiche più proprie della vita interiore dell'individuo con le sue ineliminabili manifestazioni politiche. Si tratta, insomma, della scoperta platonica di uno stretto legame fra le parti dell'anima e la struttura dello Stato ideale che egli comincia a delinem·e. Facendo però un passo indietro e seguendo con ordine l'argomentare platonico, apprendiamo innanzitutto che il fondamento dello Stato giusto è l'uomo giusto e quest'ultimo non può ri1nanere chiuso in se stesso, ma viene a costituire con l'altro uomo un tutto solidale e ben strut-

turato in modo che, come leggiamo in un passo del II libro, «per un certo bisogno ci si vale dell'aiuto di uno, per un altro di quello di un altro»'. I nessi, poi, fra i vari bisogni vengono stabiliti dalla ragione che, attraverso la sua doppia funzione di principio ordinatore e finale della costruzione dello Stato, viene esplicitando il suo intimo telos che è quello di procurare la felicità non alla singola classe sociale, ma all'insieme delle tre classi che formano un tutto organico. «Noi -

avverte l'autore -

non

fondiamo il nostro Stato perché una sola classe [ ... ] goda di una speciale felicità, ma perché l'intero Stato goda della massima felicità possibile»'. E se è vero che alla base della struttura politica ideale troviamo l'individuo singolo col suo bisogno di felicità, è, d'altronde, innegabile che quest'ultimo viene, in qualche modo, ad essere assorbito dall'unico logos che, superando le particolaristiche passioni insite nelle singole indi-

l PLATONE, Repubblica, 369 e, in PLATONE, Opere co111plete, Biblioteca Universale Laterza, Bari 1974,85. 2 //Jid., 420 b, 139.


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Enrico Piscione

vidualità, garantisce allo Stato, inteso come una realtà vivente, la dovuta funzionalità e le giuste proporzioni delle parti che lo compongono. Un assorbimento questo che - va, però, precisato - non significa da parte dello Stato insensibilità nei confronti della vicenda esistenziale del singolo individuo, se Platone può scrivere che «se [ ... ] un solo cittadino è colpito da un caso qualsiasi, buono o cattivo, questo Stato riconoscerà subito che quel caso lo tocca direttamente e condividerà tutto il piacere o il dolore del suo cittadino» 3 • L'mmonia complessiva dell'organismo politico deriva, come già si accennava, dal simmetrico equilibrio raggiunto dalle componenti dell'anima. Si colloca precisamente su questo terreno la nota dottrina delle virtù proprie delle varie parti della psyché. La sophia, espressione tipica della virtuosità dell'anima razionale, impartisce disposizioni a ciascuna delle facoltà in modo che esse possano trarre la massima convenienza dall'ubbidire alla ragione. L'andreia è la virtù caratterizzante !'<<irascibilità» e il suo compito consiste nel mantenere col dovuto vigore quanto le viene suggerito dal logistik6n. La sophrosyne, infine, riesce a mettere sotto l'impero della ragione le basse passioni nelle quali si traduce, nel suo concreto esercizio, la ''concupiscibilità''. La breve ma acuta fenomenologia della saggezza, del coraggio e della temperanza trova il suo culmine tematico e il suo fondamento speculativo nei passi 433e e 443 d-e del IV libro della Repubblica dove Platone si inlpegna in una profonda trattazione della giustizia. Essa, al pari della saggezza, estende il suo dominio su tutta l'anima; ma mentre la sophia ha lo scopo di stabilire le connessioni fra le varie parti dell'umana psyché, la dikaiosyne esercita il ruolo di distinguerne nell'unità le competenze.

3

Jhid., 462 d-e, 184.


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2. La giustizia come la caratteristica «più propria» dell'anima

Platone non è avaro nel proporre definizioni della giustizia: essa viene denotata innanzitutto come «il possesso di ciò che è proprio e l'esplicitazione del proprio compito»'; il passo 443 d-e aggiunge poi delle ulteriori ed interessanti note su cui val la pena di riflettere. La dikaiosyne non si riduce all'adempimento formale e legalistico dei propri compiti; essa esige, piuttosto, un coinvolgimento della personalità del singolo nell'azione che si appresta a realizzare. Un coinvolgimento tale, tuttavia, che non deve far scadere l'esercizio della giustizia a gesto irrazionale e confuso perché la persona giusta rimane sempre intellettualmente vigile e non può consentire che avvenga nel suo intimo una sovrapposizione fra le funzioni dell'anima. In positivo l'uomo giusto fa un tutt'uno con chi è impegnato ad instaurare nella sua interiorità «un reale ordine», il cui esito 1noralmente più alto è la signoria su se stessi e l'accettazione di sé e ciò implica, per riprendere la terminologia musicale platonica,la sintonizzazione delle tre parti dell'anima su «tre armonie di una nota fondamentale» 5• Chi pratica la dikaiosyne è , per così dire, all'origine di una sorta di miracolo teoretico: egli realizza, infatti, una sintesi vivente fra unità e molteplicità, essendo divenuto, come osserva Platone, «uno di molti». L'autenticità morale dell'uomo giusto, se vogliamo introdurre un termine caro a tanta filosofia contemporanea, non va intesa - dovrebbe esser chiaro - come un comportamento che ubbidisce ad una vitalistica spontaneità, ma come l'attuazione dell'essenza ontologica più propria dell'anima umana, ossia l'esplicazione della sua più vera identità6 . L'espressione sintetica che ci consente di cogliere l'eidos della giustizia è stata ben formulata da Francesco Adorno, laddove scrive che giu-

4

Jbid., 433 e, 155. lbid., 443 e, 166. 6 Abbiamo intitolato queslo terzo paragrafo: «La giustizia come la caratteristica "più propria" dell'anima». Nell'usare tale terminologia ci siamo ispirati a quanto Armando Rigobello scrive nel suo recente bel volume: Autenticità nella differenza. Egli osserva che «il più proprio di ciò che è più proprio, una sorta di identificazione alla seconda potenza, conduce a considerare l'autenticità come identità»: A. RIGOBELLO, Autenticità nella differenza, Studium, Roma 1989, 11. 5


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stizia «non è una virtù accanto alle altre virtù, una capacità propria dell'una o dell'altra parte dell'anima, ma è quella capacità unica che rende virtuose le virtù, per cui ciascuna fa ciò che le compete, compie bene, giustamente (e perciò) sapientemente ciò che le è proprio» 7 • Se ciò è vero si può sostenere, seguendo da vicino il testo platonico, che l'uomo giusto qualunque cosa faccia, «sia che la sua attività si rivolga ad acquistare beni materiali o a curare il corpo, sia che si svolga nell'ambito pubblico o in contratti privati»', mira sempre a dar vita e a conservare l'intimo equilibrio raggiunto, che è la conseguenza più significativa della giustizia. La controprova speculativa di questa affermazione è costituita dal fatto che il filosofo ateniese avverte sempre il vivere da ingiusto come un disperdersi nella molteplicità, un frantumare la propria originaria identità in una condizione esistenziale che il nostro autore, rico1Tendo ad un racconto

mitologico, paragona a quella di Glauco marino. li leggendario pescatore h·asformatosi per aver mangiato una certa erba in divinità marina, secondo Platone (e siamo agli antipodi dell'interpretazione che dello stesso mito fa Dante), ha sfigurato le caratteristiche del suo essere u1nano a tal punto che chi lo vedesse «non ne rico-

noscerebbe più tanto facilmente la pristina natura». Le parti del suo corpo infatti spezzate, corrose e defonnate dai flutti assomigliano più «a una bestia qualsiasi che al suo essere naturale» 9 •

Certo l'esempio di Glauco costituisce un caso-limite ed è figura mitica dell'ingiustizia intesa come perdita definitiva di quell'ordine interiore che è - lo ripetiamo ancora - l'aspetto più proprio dell'uomo giusto. Ma un insegnan1ento 1neno dra1nmatico offre il mito che trovia1no nel IX libro della Politeia ai passi 588 - 589 che pone, invece, l'accento su quella lotta che l'uomo ingaggia con se stesso per poter giungere all'autentica dimensione della dikaiosjne. Platone, intravedendo negli esseri umani tre forme: la bestia, il leone e l'uon10 stesso, ritiene che chi aspira alla giustizia sia chiamato a distrug-

7 8 9

F. ADORNO, Introduzione a Platone, Laterza, Bari 1978, 84-85. PLATONE, Repubblica, cit., 443 e, 166. lbid., 611 d, 342.


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gere la bestia e debba possedere, in grado eminente, quella fortezza coraggiosa che gli permette di stringere alleanza con la natura leonina per non consentire che cresca il mostro che abita in lui. L'uomo giusto non si comporterà diversamente dal saggio agricoltore «che alleva e coltiva le piante domestiche, impedendo alle selvatiche di crescere» 10 • Non si può esser giusti se non ci si è fortificati in questa teJTibile sfida con se stessi e si è usciti vincitori dalla dispersiva molteplicità delle passioni. Solo dopo questo duro lavoro ascetico su se stesso il filosofo è pronto a governare lo Stato e a contemplare l'abbagliante luce dell'idea del Bene, disponendosi a tradurne una qualche immagine nella realtà effettuale.

3. Gli aspetti etico-metafisici dell'idea del Bene

La trattazione dell'idea del Bene è inserita nelle pagine in cui Platone, in modo quasi riassuntivo, espone il programma pedagogico per quei giovani che intendano fregiarsi del titolo di filosofo ed aspirare così a divenire i guardiani dello Stato ideale. Chi è chiamato ad un tale prestigiosissimo compito, oltre a «din1ostrare grande amore di patria» Il, non può non esercitarsi in molte

discipline. Un simile giovane impegnato nella fatica dello studio non meno che in quella della ginnastica, dovrà manifestare, nella maniera più chiara possibile, la sua capacità di cogliere quell'insegnamento che il testo platonico osa 1itenere più sublime di tutti gli altri ed anche superiore alla giustizia e alle vi1tù dell'anima. Ma di che cosa si tratta? Cos'è mai questo mégiston mathema a cui il filosofo ateniese allude con un linguaggio quasi sibillino, stuzzicando in tal modo la curiosità intellettuale del suo interlocutore? La massima disciplina è l'idea del Bene, dalla quale le cose giuste traggono la loro più radicale utilità. Una siffatta nozione è, però, all'origine di una sorta di paradosso logico: dell'aga/ h6n in sé non è concesso all'uomo il benché minimo approccio discorsivo-dianoetico e tuttavia senza

'"Jhid., 589 b, 319. 11 lhid., 503 a, 225.


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la sua presenza noi uomini, ammesso pure che «conoscessimo perfetta-

mente tutto il resto» 12 , non ricaveremmo alcun guadagno esistenziale dal nostro impegno gnoseologico nei confronti della realtà. Quest'ultima, d'altra parte, se non è una méthexis dell'agath6n in sé, apparirebbe priva di quella valenza assiologica che sola rende vantaggioso il possedere una qualunque conoscenza ed impedisce all'uomo di converso di cadere nella posizione, filosoficamente assurda, di chi intende tutto «ad eccezione del Bene» 13 .

Scatta, a questo punto del dialogo, da parte di Glaucone il naturalissimo desiderio d'incalzare Socrate perché egli definisca il Bene, in quanto è stato già appurato che quest'ultimo non s'identifica né col piacere, secondo l'opinione dei più, e nemmeno con l'intelligenza, come ritengono i più raffinati pensatori, Alla precisa domanda di Glaucone: «Ma tu ora, Socrate, dici che il Bene sia scienza o piacere o qualcosa di diverso?»H, il

vecchio maestro di proposito rinvia all'infinito la risposta e fa ricorso all'espediente del dichiararsi ignorante. Solo al filosofo che ha seguito rigorosamente l'itinerario pedagogico cui si è accennalo, è permesso di contemplare il Bene nel suo splendore, ma anch'egli non è abilitato a fornirne una definizione concettuale perché qualsiasi tentativo definitorio equivan-ebbe alla presunzione di volere esprimere ciò che è al di là del comune linguaggio e di dare, per dir così, un rivesti1nento logico a quella intuizione noetica che ti1nane comunque sul piano di una ineffabile superazionalità, situata com'è in un territorio iJ cui accesso è vietato al pensiero discorsivo. Il dialettico, che ha raggiunto il vertice della sua paideia speculativa, deve solo riconoscere che l'idea del Bene è il principio fondante della conoscenza e dell'esistenza e dell'essenza stessa delle cose, anche se l'agath6n nella sua assolutezza, come ribadisce Platone, non è «essenza, ma qualcosa che per dignità e potenza trascende l'essenza» 15 •

Del Bene dunque, a causa della sua indefinibilità, si può parlare solo utilizzando il linguaggio simbolico, quel linguaggio che trova, secondo gli

12

13

lbid., 505

s, 227.

Jbid., SOS b. 227. 14 lbid., 506 b, 229. 15 lbid., 509 b, 232.


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studi di Jacques DeJTida, nell'immagine solare la metafora dominante e che riesce ad alludere meglio alla assolutezza del mondo intellegibile 16 • L'agath6n nel suo pieno splendore ha nell'iperuranio la stessa funzione che nella realtà sensibile è assolta dal sole. Le dense pagine che abbiamo esaminato, oltre al. loro contenuto squisitamente onto-gnoseologico, forniscono, pur in un contesto di discorso profondamente unitario, delle riflessioni di carattere morale che in questo lavoro ci interessano in modo del tutto pmticolare. L'insegnamento etico che la dottrina dell'idea del Bene ci offre presenta due aspetti: da un lato, la dignità della vita umana consiste tutta nell'essere protesa all'agath6n ideale; dall'altro, questa dignità trova un ostacolo nel fatto che gli uomini non riescono a cogliere il Bene in sé non perché esso sia inintellegibile, ma per i limiti propri della condizione umana che impediscono di superare il "vestibolo" dell'Assoluto. La posizione della Repubblica circa l'idea del Bene dimostra una radicalità teoretica che Platone in seguito, precisamente nel Filebo, se così è lecito esprimerci, smusserà pervenendo ad un'equilibrata definizione del Bene inteso co1ne la realizzazione di un genere di "vita mista", le cui co1nponenti essenziali sono esattamente il piacere e l'intelligenza, proprio quelle nozioni che il grande dialogo sulla giustizia aveva se non respinto, messo fra parentesi, proteso com'era, in gran paite, alla celebrazione della pura idealità.

Osservazioni conclusive

Alla fine del presente contributo possiamo raccogliere in alcune sintetiche considerazioni i risultati della ricerca condotta. La prin1a osservazione è di natura storiografica e consiste nel constatare, sfatando un antico cliché ermeneutico, che accanto ad un Platone teorico del dualismo fa capolino, nella produzione matura del filosofo ate-

16 Su tutta questa interessante tcn1atica si consiglia di leggere per intero il volume di J. DERRJDA, Mytho!ogie bianche. La n1étaphore dans le texte philosophique, in Marges de la philosophie, Minuit, Paris, 1972, 247-324.


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niese, l'immagine del dialettico anelante all'unità intesa come logos che dà ragione dell'esistere puntuale delle singole realtà. La seconda considerazione verte sui limiti dell'utopismo platonico: v'è nell'autore della Politeia una lucida consapevolezza di un contrasto di fatto che si viene a creare fra il dover essere e l'essere, fra l'impossibilità di realizzare sulla terra il Bene in sé e quel singolare privilegio concesso al dialektik6s di contemplare l'assoluta rifulgenza dell'agath6n. Diremmo, con una formula sintetica, che la via del filosofo guardiano dello Stato oscilla fra un'ideologia politica utopica ed un'esperienza mistico-contemplativa. L'impossibilità di varcare, con la strumentazione puramente discorsiva, la soglia dell'Assoluto apre la strada, a parer nostro, in Platone, seppure in modo non pienamente elaborato, a quella teologia negativa che tanta fortuna avrà nella successiva riflessione speculativa, già a partire da Plotino e che sarà presente anche in alcuni pensatori cristiani. Legata a queste considerazioni sorge spontanea una riflessione sul linguaggio: constatata l'insufficienza dello strumento logico-formale a dire tutta la pregnanza dell'idea del Bene, il filosofo ateniese sceglierà di far uso di una espressività simbolico-poetica senza con questo, però, ridun·e, come accadrà ad esempio a certo Heidegger, il filosofare a mero poetare. Sul piano più squisitamente metafisico-etico, che è la chiave di lettura da noi scelta per una riconsiderazione critica della Repubblica, acquistano rilievo due ultime sottolineature. La prima è che l'idea del Bene coincide con la vera essenza delle cose, dottrina questa che poi Tommaso d'Aquino, nell'orizzonte teorico aperto dalla rivelazione cristiana, riformulerà sostenendo che «amor Dei est infundens et creans bonitatem in rebus» 17 • Da ultimo - ed è la seconda sottolineatura -

vorre1nmo osservare

che per il nostro filosofo l'autentica paideia coincide con la realizzazione dell'unità profonda dell'essere umano. L'insistenza platonica sulla necessità di disciplinare le passioni perché esse non mettano a repentaglio la struttura unitaria dell'uomo ricorda

17

TOMMASO D'AQUINO, Sun1n1a Theo!ogiae, I, q. 20, a 2, a cura dei Frati Don1enicani, Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 1951.


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da vicino l'autore delle Confessioni, laddove scrive che la perdita della purezza è un «dissiparsi nel molteplice» che impedisce a noi uomini di raccoglierci e di ritornare a quell'«Uno dal quale ci siamo allontanati»'"·

18

AGOSTINO,

C(n~fCssioni,

X, 29, 40, Edizioni Paoline, Alba 1967, 383.



"TORNINO I VOLTI''. IL PRIMATO DELL'ETICA SECONDO BERTI, MANCINI E LÉVINAS

SALVATORELATORA*

Si può constatare come nella nostra società secolarizzata e nichilistica, o se si vuole pluralista, si stia assistendo, ormai da qualche tempo e in misura sempre 1naggiore, a una richiesta di cultura etica; e ci si può chiedere quali siano le ragioni profonde di tale fenomeno. Che la tendenza esista può essere confermata anche dai numerosi convegni e pubblicazioni che onnai esistono su tale argomento'. Carlo Augusto Viano, introducendo una di tali raccolte, afferma che nella società contemporanea «si invocano norme morali in politica e in economia, si sollevano "questioni 1norali"

* Docente di

Filosofia nei Licei. 1 Cfr. AA.VY., Tradhione e attualità de//afifosofia pratica (a cura di E. Berti),

Marietti, Genova 1988; AA. Vv., La razionalità pratica - Modelli e problen1i (a cura di E. Berti), Marietti, Genova 1989; AA.VV., Teorie etiche contemporanee (a cura di C. Augusto Viano), Bollati-Boringhieri, Torino 1990; AA.VV., Prohlen1i di etica: fondazione, nornie, orientan1enti (a cura di E. Berti), Fondazione Lanza, Gregoriana Libreria, Padova 1990; AA.VV., Ermeneutica e filosofia pratica (a cura di Dc Domenico-Escher-Di Stcfano-Puglisi), Marsilio, Venezia 1990. La stessa Fondazione "Lanza" di Padova ha organizzato incontri su «La riscoperta dell'etica nella società pluralista», Le varie relazioni sono confluite anche nel volume: AA.VV, Etica oggi: con1portan1enti collettivi e rnode!J; culturali, Gregoriana Libreria, Padova 1989. Anche la Facoltà di Filosofia dell'Università Lateranense di Roma ha organizzato nel gennaio del 1990 un Colloquio Internazionale su «Ragione pratica, libertà e normatività», a cui hanno partecipato studiosi italiani e stranieri: Berti, Laurenti, Cotlier, Fabro, Seidl, Nicolosi, Chierighin, Molinaro, Negri, Ricoeur, Savignano, Tyminiecka, Rigobello.


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nella vita pubblica, si ritiene che le nostre conoscenze e le nostre possibilità tecniche debbono essere sottoposte a regole etiche» 2 • Si potrebbe rispondere, in generale, che sempre i problemi dell'agire umano sono stati al centro dell'interesse degli uomini o, in modo più specifico, che nella nostra epoca sono avvenute e continuano ad accadere tali e così rapide trasformazioni da imporre con particolare urgenza risposte sul modo di comportarsi: pensiamo alle trasformazioni nelle abitudini e nei rapporti familiari, ai problemi ecologici, a quelli dell'ingegneria genetica, al formarsi di società multirazziali per le continue emigrazioni, ai gruppi etnici che rivendicano diritti, integrazione sociale, accoglienza, rispetto per le culture "altre". Realtà tutte che hmmo una carica dirompente e che non possono essere risolte solo in termini giuridici o politici o econo1nici, perché interpellano le coscienze e richiedono scelte razionali e responsabili; prova ne sia che con l'aiuto di più competenze vanno sorgendo nuove discipline come la bioetica, che è una sintesi fra biologia ed etica per affrontare i problemi della vita e della salute alla luce dei principi e dei valori morali. Si potrebbe pure osservare che l'insorgenza del problema etico sia stata causata da una specie di nemesi storica, dovuta al fatto che il prevalente e diffuso edonismo credeva di averlo non solo esorcizzato, ma addirittura cancellato per sempre, e invece se lo vede rispuntare inesorabilmente come ogni responsabilità elusa3 • Queste sono cause di natura sociologica, ma a

2 AA.VV., Teorie etiche conten1poranee, cit., II. Nella stessa raccolta si trova un significativo contributo di un discepolo di E. Berti, della scuola padovana, F. VOLPI, Tra Aristotele e Kant: orizzonti, prospettive e !in1iti del dibattito sulla "riabilhazione" della ji'/osofia pratica, 128-148; egli ha dedicato parecchi studi, nel campo tedesco, alla filosofia pratica in rapporto alla tradizione aristotelica. 3 La nostra è stata etichettata co1ne epoca di prevalente edonisn10, in cui una morale laica abbia spazzato via come ingombranti tabù i vecchi valori quali la fatica, la rinuncia, la sofferenza etc., per sostituirli finalmente con il piacere, "al di là del bene e del nude'', che tutti potrebbero conseguire liberi orn1ai da sensi di colpa e di peccato. Prima il piacere era stato sempre subordinato ad altre finalità pri1narie co1ne il nutrirsi, il riposarsi, il procreare; ora invece l'uomo secolarizzato potrebbe andare alla conquista della sua felicità delibando i tanti piccoli piaceri nella vita quotidiana, senza pensare ai grandi ed ulti1ni fini. Ma ecco che qualcosa fa inceppare il meccanismo e ro1npere l'incanto: il sesso è accon1pagnato dall'incubo dell'AIDS; il piacere del fu1110 ha come risvolto il cancro dei polmoni, se ormai è scientificamente accertata la correlazione causale fra l'uno e l'altro fenomeno; i piaceri della tavola recano con sé lo spettro del colesterolo, della cirrosi epatica etc.; i vacanzieri che si espongono troppo al sole sappiano che è in agguato il cancro della pelle! La fatica e


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spiegare il fenomeno vi sono indicazioni di tipo storico e, inoltre, ragioni più profonde, di carattere filosofico, cioè ragioni di senso e non di semplice significato. Nel corso della storia spesso, dopo periodi di rottura e di crisi si è intravista la 1inascita nel ripristino dei valori etici: basti ricordare la sofistica e la rinascita morale socratica o delle grandi sistemazioni filosofiche successive; il periodo ellenistico, in cui è prevalente il problema etico con gli epicurei e gli stoici; o in tempi più vicini a noi, l'illuminismo e i nuovi intellettuali engagés, e l'impegno etico riscoperto dopo il secondo conflitto mondiale. Mentre le ragioni di senso filosofico possono ricercarsi in «quello spaesamento post-metafisico», per usare una espressione heideggeriana, che è conseguenza della "morte di Dio" e della "morte dell'uomo", in tempi di nichilismo compiuto. Certamente la nostra è un'epoca di debolezza teoretica, in cui si è decretata la «fine dei grandi racconti», di «crisi della ragione come figura dello scetticismo teoretico» e da cui si vuole uscire cercando risposte nella filosofia pratica' . Anche Nietzsche, che pure è stato il profeta più suggestivo e il dissacratore per eccellenza dei nostri tempi, proprio negli anni della Genealo-

il sudore che sembrano essere banditi, ritornano necessari per la salute e bisogna procurarseli, anche al di là del lavoro, con gli esercizi di palestra, le corse nei campi, le saune etc. La limitazione, il sacrificio, le rinunzie cacciati dalla porla rientrano dalla finestra. E così ritorna improcrastinabile il problen1a morale! 4 Per questi temi cfr. E. BERTI, Nichilisn10 co1ne c~fra del nioderno? Le tradizioni alternative, su li Contributo XV,2 (1991) 9-24; F. VOLPI, Spaesan1ento postmetafisico? Per una contestualizzazione dell'attua/e dibattito sulla razionalità pratica, in AA,VV,,La ragione possibile, a cura di Barbicri-Vidali, Feltrinelli, Milano 1988,75-87; P. VOLONTÉ, "Crisi della ragione" con1e figura dello scetth·isn10, in Rivista di filosofia Neoscolastica LXXX,3 (1988) 440-465; AA.VV.,La crisi del soggetto nel pensiero conte1npora11eo (che riporta le relazioni dci seminari tenuti presso l'Università di Catania), a cura di A. Bruno, Franco Angeli, Milano 1988; E. BERTI, Le vie della ragione, li Mulino, Bologna 1987 (specialmente: Ritorno alla fi'!osofia?, 99-129); AA.VV., Oltre la crisi della ragione. Itinerari della filosofia conten1poranea, Quaderni di Synaxis 8, Galatea, Acireale 1991, che riporta gli Atti del Convegno organizzato dallo Studio Teologico S. Paolo, l'Università degli studi e l'Istituto per la Documentazione e la Ricerca S. Paolo di Catania; S. PRIVITERA, Pluralisn10 etico ed ecun1enis1no. Sette tesi critico-metodologiche, in Synaxis 2 (1984) 65-88; F. FOTI, Prohle111atica del pensiero debole, Editrice Albografica, Siracusa - Roma 1990.


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gia della morale scriveva all'amico Erwin Rohde: «[ ... ]in realtà ognuno di noi si trova nella più radicale connessione reciproca con gli altri due (Taine e Burckhardt), in quanto siamo tutti e tre nichilisti radicali: sebbene, come forse ti sarai accorto, io continui a sperare di trovare la via d'uscita e il buco per giungere dal nulla al "qualcosa''>>'. La riscoperta della filosofia pratica potrebbe essere allora la via d'uscita dal nulla come sperava Nietzsche? Siamo consapevoli tuttavia che ogni riflessione filosofica non è di per se stessa conquista della "cosa" su cui riflette, e che ogni meditazione resta astratta se non c'è un ethos nella società che ne costituisca il necessario supporto. Siamo certi, d'altra parte, che i due fattori sono in reciproca correlazione. Cercare dunque una via d'uscita alla crisi e alla cultura della crisi che la alimenta può essere il senso di quella richiesta di filosofia e in particolare di filosofia pratica di cui si diceva prima6 • In un volume chiaro ed efficace, di carattere analitico ma nello stesso tempo propositivo e prospettico, significativo già nello stesso titolo 7, Enrico Berti prospetta la situazione del pensiero filosofico attuale nelle sue linee portanti e ne indica quelle che possono essere, a suo parere, le vie d'uscita dalla crisi che stiamo attraversando. Essa ha investito quella che è la razionalità dominante della nostra epoca, e cioè la razionalità scientificotecnologica: basti citare l'indirizzo della nuova epistemologia che nell'anarchismo epistemologico di Feyerabend e nella teoria di Thomas Kuhn esprime le punte estreme di questa parabola. Già, secondo Popper, gli asserti scientifici non verificano affatto il loro rapporto con la realtà, ma indicano una linea di de1narcazione tra ciò

5 F. NIETZSCHE, Genealogia della 1norale. Uno scritto polen1ico, Adelphi, Milano 1988, XIV-XV. 6 La nostra è crisi della ragione e quindi della filosofia, perché, come diceva Felice Balbo nelle sue lezioni di etica, ora riedite, «Non ci sono solo i problen1i della filosofia 1na il proble1na dell'esserci o non esserci della filosofia. Tale questione è fondamentale perché se non c'è in nessun n1odo un conoscere che 1ni possa dire qualcosa di fondato (co1nunque) sul valore e il fine della vita, sul valore e il senso del mondo e di tutto ciò che è, sono condannato o alla Fede o alla disperazione o all'edonismo» (F. BALBO, Lezioni di etica, [Introduzione di Sergio Quinzio] Edizione Lavoro, Roma 1988, Xl). 7 Cfì·. E. BERTI, Le vie della ragione, cit.


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che può e ciò che non può essere smentito, e quindi possono essere soltanto "falsificati" da nuovi esperimenti. Per Feyerabend, anzi, non esiste un vero e proprio metodo scientifico a cui gli scienziati si attengono, essendo le loro scoperte dovute a mille ragioni casuali e il loro procedere imprevedibile, perché creativo come quello dell'artista. Anche per Thomas Kuhn la scienza procede secondo salti qualitativi, in cui a un "paradigma dominante" se ne sostituisce un altro più adatto e ciò avviene anche per motivi diversi da quelli scientifici, che possono essere di ordine metafisico, religioso o politico. «Ora non c'è dubbio, sostiene Berti, che la spregiudicatezza di questa nuova epistemologia permette di cogliere il senso effettivo di molte vicende scientifiche verificatesi nella storia e mostra efficacemente i limiti della cosiddetta razionalità scientifica; essa tuttavia finisce col prodrnTe una sfiducia generale nella ragione, nei procedimenti rigorosi, nei discorsi argomentati, che converge pe1fettamente, dal versante epistemologico, con le posizioni della cultura della crisi» 8• In realtà continua, in forma forse più radicale, quella cultura della crisi che, sotto l'influsso di Nietzsche, occupò i primi lustri del Novecento e poi andò diffondendosi nel periodo successivo, sia al primo che al secondo conflitto mondiale, esprimendosi nella "teoria critica della società", che generò la rivoluzione globale del '68 e quella del '77 che ne volle essere una ripresa. Dopo il fallimento di quel progetto politico utopistico, 1iassorbito dal sistema, e di una certa frangia dj cristjanesitno utopistico-rivoluzionario, si è parlato giustamente di.fine delle ideologie e di riflusso nel privato, per giungere all'attuale situazione di trapasso e di sorprendenti novità che richiedono di perco1Tere vie nuove 9. La storia dell occidente è la storia di 1

8

/hid., 112. Il percorso della critica alla razionalità scientifico-tecnologica, che è quella predominante nell'età conten1poranea, annovera tra gli altri i seguenti autori: oltre a Bcrgson e Simmel, Lukacs di Storia e coscienza di classe ( 1923), Hcidegger di Essere e ten1po (1927), Husserl di Crisi delle scienze europee (1954 postuma); e inoltre gli autori della scuola sociologica di Francoforte con Eclisse della ragione di Horkhei1ner, la Dialettica dell'lllu1ninisn10 (1944 con Adorno). Abbian10 inoltre le opere di Marcuse (Ragione e rivoluzione [ 1941 ]; L'uon10 a una din1ensione. L'ideologia della società industriale avanzata [ 1964 J; La .fì"ne def l'utopia [ 1967]). Per la crisi delle ideologie si può vedere il volu1nc di L. COLLETTJ dello stesso titolo e che 9


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queste crisi, ed è la società industriale che è sotto accusa insieme con la sua ideologia scientifico-tecnologica che la sostiene. A confermare ciò sono due autori di moda, Severino e Vattimo, le cui posizioni filosofiche, anche se opposte, sono accomunate dalla stessa interpretazione della cultura occidentale, vista in sintesi come nichilismo, che entrambi ritengono bisogna necessariamente attraversare riperco1Tendone le tappe, secondo Severino,

per condannarlo e avviarlo al tramonto con una filosofia che non sia consolatoria e giustificatrice. Egli, infatti, crede nella struttura originaria e nel principio di Parmenide (l'essere è, il non-essere non è); ora, tutta la civiltà occidentale, in quanto fondata sulla scienza e sulla tecnica è volontà di potenza che pretende di portare il non-essere all'essere e quindi è follia nella sua negazione del principio parmenideo. Per Vattimo, invece, il nichilismo bisogna portarlo a compimento secondo un indirizzo filosofico che sia di pensiero debole. Questo sostituisce alle categorie tradizionali dell'ontologia (essere, verità, fondamento, assoluto), considerate come espressioni di dominio e quindi di violenza, categorie più deboli, quali le differenze tra gli enti, la loro storicità, la loro eventualità, il tramonto, il declino, la crisi. In questo contesto Vattimo non esita a proclamare spregiudicatamente la fine del soggetto, ridotto a un fascio di pulsioni, ed a riconoscere il valore della tecnica (Gestel[) come messa a disposizione di infinite nuove possibilità 10 • Tale crisi della razionalità occidentale ha generato, secondo Berti, il decisionismo etico, che deriva da una applicazione della "legge di Hume", secondo cui non si possono dedurre da proposizioni descrittive norrne prescrittive, portando come conseguenza a ciò che oggi viene indicata come «la grande divisione tra il conoscere e l'agire, tra la verità e il bene, tra i fatti e i valori, tra la metafisica (o la scienza) da un lato e l'etica (e la politica, e il diritto) dall'altro. Non solo non si crede nella possibilità di motivare razionalmente le proprie scelte, cioè di ancorarle a dei fini, o a dei valori fondati razionalmente, ma si considera più valida dal punto di vista morale una scelta infondata, o fondata unicamente su se stessa, perché espressione di una assoluta libertà e quiudi di una totale disponibilità ari-

riporta i saggi: Intervista politico-filosofica - Il n1arxisn10 del XX secolo; Le ideologie dal '68 a oggi, pubblicali in un unico volu1ne dal Club degli Editori, Milano 1981. 10 Cfr. E. BERTI, op. cit., 110.


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spandere di fronte agli altri»''· Decisionismo in etica, dunque, ma anche decisionismo nell'ambito del diritto e della politica, il che significa che ogni ordinamento giuridico e politico sarebbe fondato su decisioni prese, da chi diventa sovrano, in situazione d'eccezione e in 1no1nenti di nulla norn1ath;o, come sostiene un autore, divenuto di moda in Italia, Cari Schmitt, se-

condo il quale la politica va concepita come dinamica di "amico-nemico". Non c'è un'alternativa a questa cultura della crisi, fatta di pensiero negativo, di nichilis1no e di razionalità scientifica sh·u1nentale, cioè subordinata alla tecnica? Ci sono ancora delle filosofie, si chiede Berti, che non rinunciano aJla conoscenza, alla verità, che non si fennino al solo aspetto esi-

genziale e postulatorio, ma che abbiano carattere logico-argomentativo secondo la buona tradizione occidentale? Egli risponde affermativamente e trova elementi costruttivi 11ell'ern1eneutica, per la sua capacità rivelativa, nella nuova retorica, perché più attenta alla struttura argomentativa, nella riabilitazione della filosofia pratica, all'insegna del ritorno o della continuità con l'etica e la politica di Aristotele, indicando proprio nella phr6nesis (saggezza pratica) il nuovo modello speculativo-pratico che è quello che più ci interessa in questa sede. A questo proposito Berti, da profondo studioso di Aristotele, fa delle precisazioni filologiche e interpretative che assumono importanza anche per noi.

La saggezza pratica, secondo Aristotele, si serve del sillogismo pratico e approda a verità pratiche che hanno lo stesso valore delle scienze teoretiche; se ne distinguono solo perché il loro oggetto è contingente e mutevole: in questo affine alla fisica (in senso aristotelico) e soprattutto alla medicina". L'altro modello di riferimento è certamente Kant, che ha soste-

li

12

lbid., 112.

Come si sa, l'articolazione del sapere, secondo Aristotele, è basata sulla triplice distinzione di scienze teoretiche, pratiche e poietiche. Le scienze pratiche, a loro volta, si dividono in: etica, che riguarda l'agire dell'individuo, tnentre l'economia riguarda l'agire nell'oikos, e la politica, l'agire nella polis. Significativo è il parallelo che Aristotele istituisce tra l'etica e la medicina, che può estendersi utihnente, a nostro parere, anche all'educazione. Nella medicina si fa una diagnosi (descrizione) e si prescrive una terapia (prescrizione), per raggiungere un fine (la salute). Per Aristotele la fisica e l'etica non hanno metodi molto diversi, solo che l'una fa parte della filosofia teoretica e ha per scopo la conoscenza, mentre l'etica fa


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nuto il primato della ragion pratica; ma soprattutto Aristotele, così interpretato, ci consentirebbe un superamento di quella scissione tra il conoscere e l'agire (legge di Hume; avalutatività della scienza, secondo Weber), che ha portato a quella cultura della crisi da cui si tenta una via di uscita. E' possibile costruire perciò, secondo Berti, una filosofia che non rinunci alla razionalità argomentativa di tipo non scientifico che abbia, però, i requisiti della comunicabilità e della controllabilità; si tratta di una metafisica sulla linea della buona tradizione classica, che si serve dello strumento della confutazione (é/enchos) e di una dialettica di tipo forte, anche se epistemologicamente debole 13 • Apprezziamo gli studi di Berti (e sull'argomento specifico della "riabilitazione della filosofia pratica" anche quelli del suo discepolo, Volpi), perché con la sua limpidezza espositiva ci dà un panorama chiaro della filosofia contemporanea, ma anche per la sua proposta metafisica che porta a ripristinare la razionalità argomentativa della filosofia, tuttavia poco o nulla troviamo in essa di quegli aspetti negativi dell'uomo, di quegli interrogativi sul male, sull'ambiguità, sul peccato, sulla sofferenza; aspetti che hanno a che fare con la libertà e quindi riguardano fondamentalmente l'etica, e che una filosofia ermeneutica ed esistenziale mette in primo piano. Per questo ci sembra interessante la proposta etica del Mancini che fa sua quella del filosofo neoebreo Lévinas , e ne parliamo istituendo una specie di contrappunto significativo con gli autori e le teorie etiche prima indicate. Della vasta produzione filosofica di Italo Mancini 14 , che possiamo dire sconfinata, perché non c'è settore del campo teologico e filosofico che

parte della filosofia pratica ed ha co1ne scopo l'azione pratica, ma entrambe hanno la stessa dignità scientifica. Cfr. E. BERTI, Le vie della ragione, cit., 124-125; ID., Le fonne del sapere nel passaggio dal pren1oder110 al n1oder110 in AA.VV., La razionalità pratica. Mode!h e problen1i, cit., 15-40; F. VOLPI, Che cosa significa neoaristotelisn10? La riabilitazione della filosofia pratica e il suo senso nella crisi della n1odernità, in E. BERTI (a cura di), Tradizione e atfua/ità della filosofia pratica, Marietti, Genova 1988, 111-136; ID., Tra Aristotele e Kant, in Teorie etiche conten1poranee (a cura di A. Viano), cit., 128-148. 13 Cfr. E. BERTI, Le vie della ragione, cit., 126-129. 14 Italo Mancini è nato ad Urbino; ordinato sacerdote, è stalo discepolo di Bonladini all'Università Cattolica di Milano. E' ritornato poi nella sua città, dove attualmente insegna, presso la Libera Università, Filosofia della religione e Filosofia del diritto e vi dirige l'Istituto Superiore di Scienze Religiose, che rappresenta, unico


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egli non abbia esplorato con ricchezza o sovrabbondanza di riferimenti culturali, con la sua intensa partecipazione umana e religiosa che alimenta quel fascinoso esprit de finesse della sua scrittura, ci interessano in modo particolare due dei suoi più recenti volumi che riguardano il nostro tema: Tornino i volti e L'ethos de/l'Occidente; snello ed agile il primo, quanto poderoso e panoramico il secondo. La concezione etica del Mancini scaturisce direttamente dalla lettura che egli ci dà dell'Areopago, cioè del mondo attuale della cultura e dei costumi, perché «di fatto e di diritto il Kerygma cristiano deve tener fede all'Areopago»'', e dalla scelta di campo che egli con la viva partecipazione di credente impegnato si sente di fare fra le tre forme dì cristianesi1no che, secondo la sua analisi, si incontrano oggi più spesso tra di noi: la cultura della presenza; la cultura della mediazione e la cultura del paradosso. Per quanto riguarda l'attuale mondo culturale, «ora che non esistono più i grandi filosofi solitari e sistematici e neppure i tradizionali movimenti nel nostro paese, il ritorno della teologia nell'Università italiana, dopo secoli di ostracismo. Dei suoi numerosi scritti più di venti volumi, oltre alle traduzioni e alle introduzioni di opere fondamentali, e ai numerosissimi saggi, articoli, relazioni, citiamo solo: Ontologia fondan1entale, La Scuola, Brescia 1958; L'essere, Studium, Roma 1967; Filosofia della religione, Abete, Roma 1968; Bonhoejfer, Vallecchi, Firenze 1969; Teologia, ideologia, utopia, Qucriniana, Brescia 1974; Kant e la teologia, Cittadella, Assisi 1975; Con quale con1unismo, La Locusta, Vicenza 1976; Novecento teologico, Vallecchi, Firenze 1977; Con quale cristianesilno, Coines, Roma 1978; Come continuare a credere, Rusconi, Milano 1980; Guida alla Crith·a della ragion pura, 2 voll., Quallroventi, Urbino 1982-1988; Il pensiero negativo e la nuova destra, Mondadori, Milano 1983; Filosofia della prassi, Morcelliana, Brescia 1986; Tornino i volti, Marietti, Genova 1989; L'ethos dell'Occidente, Marietti, Genova 1990. Sul suo itinerario intellettuale egli stesso ha detto: «Conquistato inizialmente dall'esperienza del sacro, poi nletafisico, in seguito affascinato dalla dialettica, passato poi attraverso il momento ermeneutico, adesso sono diventato scolaro di Dostoevskij, il quale presenta il sacro in antinomie quasi indistruttibili» (Conversazione con G. Vattimo in Filosofia al presente, Garzanti, Milano 1990,78). Il suo pensiero è stato sintetizzato in espressioni come: ern1eneutica della rivelazione ovvero, prassismo teologico proprio per indicare una teologia che sia orientata verso l'i1npegno etico e l'azione pratica, al fine di alleggerire la pesantezza della terra! Infatti «quelli cristiani non sono teoremi che basta averli capiti e subito stanno al sicuro, ma sono annunzi di salvezza che con1portano un rapporto agonico con la comprensione, che non è mai soltanto neutrale, ma esigente111enle vitale» (da Tornino i volti, cit., X). 15 !bid., 32.


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filosofici, ultimo dci quali è stato l'esistenzialismo» 16 , appare diffuso come l'aria che si respira quello che, in un suo volume dello stesso titolo, l'autore ha indicato come pensiero negativo, la cui caratteristica principale è la logica della disgregazione (Adorno), che si mostra «quasi in preda ad un masochismo logico, di quel logo che fu in onore in Occidente, ma che ora non sembra esserlo più, tanto che si va invocando da molte parti, con Heidegger, la pietà per questa tradizione che invece ha molto spesso dalla sua la verità» 17 • Tale cultura che qualcuno più pietosamente ha chiamato pensiero debole porta alla insignificanza della distinzione tra bene e male (come si diceva prima), per cui è possibile fare tutto, data la radicale innocenza del divenire (Nietzsche); all'intenzionalità logica si sostituisce l'intenzionalità corporea: il corpo cioè come espressività autarchica. L'esito è la decostruzione logica, ontologica ed etica del soggetto; simbolo o cifra può essere il caffè, secondo l'efficace descrizione del Lévinas riportata dal Mancini: «Il caffè è la casa aperta, al livello della strada, luogo della socialità facile, senza responsabilità reciproca. Si entra senza necessità. Ci si siede senza stanchezza, si beve senza sete. Pur di non restare nella propria stanza. Voi sapete che tutte le disgrazie provengono dalla nostra incapacità di restare soli nella nostra stanza. Il caffè non è un luogo, ma un non-luogo, per una non-società, per una società senza solidarietà, senza do1nani, senza i1npegni, senza interessi con1uni: società del

gioco. Il caffè, casa del gioco, è il punto attraverso il quale il gioco entra nella vita e la dissolve» 18 •

Se questa è la logica più diffusa della nostra cultura, come rispondere a tale sfida? Con quale cristianesimo andare avanti? Delle tre fmme di cultura cristiana già indicate, pur avendo tutte alle spalle «travagliate storie di pensiero e d'azione», dato che le prime due si sono rivelate insufficienti o inattuali, bisogna sco1n1nettersi, secondo il Mancini, con un cristiane-

16 17

!bid., IX. Jbid., XI.

18

E. LÉVINAS, Dal sacro al santo, Città Nuova, Roma 1985,49, riportato in I.

MANCINJ, L'ethos de//'Occide11te, cit., 610-611.


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simo radicale o del paradosso, anche se minoritario' 9 • Un cristianesimo aperto, dunque, tragico, paradossale, libertario e rigorista, che sappia coniugare prospettiva trascendente ed escatologica e incarnazione nelle realtà terrene, «realtà insequestrabili dal tempo e una quotidianità che attende di essere amata, riconciliata, alleggerita», secondo la linea di comportamento che si può ricavare dalla Lettera a Diogneto o dalla testimonianza di un Dietrich Bonhoeffer, l'autore tanto caro al Mancini che per primo lo fece conoscere in Italia, nella cui cella furono trovate, accanto alla Bibbia, le opere di Goethe, come a significare che bisogna muoversi cristianamente tra la Bibbia e i giornali, perché la storia non è il «ripostiglio dei rifiuti» né i giornali «il vomito del mattino» (Nietzsche). Esso ha i suoi precedenti nel testamento di s. Francesco, nel cristianesimo drammatico di Pascal, nell'evangelismo manzoniano, nella teologia dialettica e apofatica, e da ultimo riceve sollecitazioni interessanti dal pensiero neoebraico di Buber, Rosenzwig e soprattutto da Lévinas, da cui il Mancini ricava più di una suggestione e insieme al quale proclama il primato dell'etica per uscire dal nichilismo attuale.

19 Esistono per il Mancini tre stili secondo cui i cristiani esplicano il loro impegno etico~politico e culturale nella realtà storica. Cultura della presenza: «Per cattolicesimo della presenza posBiaino intendere quel n1odo di essere presenti da parte di gruppi o di singoli fedeli che fa leva sulla forma dell'i111mediato essere riconosciuti, perché visibili e quindi incline a privilegiare le zone dell'avere e del possesso, dell'organizzazione e dell'accertamento [ ... ]», ihid., 7). Nasce dal risentimento di alcune sconfitte degli anni sessanta come quella sul divorzio e sull'aborto. Non è difficile, in queste pagine efficaci, vedere molti aspetti di CL. I limiti consistono nel voler reduplicare il mondo, invece di navigare al largo negli spazi con1uni. Cultura della niediazione: «La cultura della mediazione alza, e di inolto, il tiro su quella della presenza. Ci può essere la distanza che passa tra visione ìntcgristica e visione aperta e solidale» (ibid., 13). Propone la conciliazione fra Chiesa e mondo; risale a s. Agostino e comprende la migliore tradizione dcl cattolicesimo liberale da Rosmini a Manzoni, Maritain, fino a Sturzo, De Gasperi, Moro. I Jimiti: la caduta ideologica e il rischio di piegare il Vangelo alla logica dell'interesse e sopratlutto la sua impraticabilità attuale, secondo Mancini, in un'epoca do1ninata dal pensiero negativo. Ma è poi realistica questa analisi così unilaterale, e proprio per uno come Mancini che persegue "discorsi duplici"? Cultura del paradosso, che non cerca nessuna collusione con il potere o con l'uomo nel suo impegno mondano; attraversa il pensiero negativo, in quanto critica radicale di ogni assoluto terrestre e perciò non riduce Dio a un assoluto terrestre!


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Un cristianesimo che ha una sua tradizione anche in Italia (per fare solo alcuni nomi) con don Mazzolari, don Milani, con Pomilio, che nei suoi romanzi ha scritto pagine degne di un padre della Chiesa, come nota il Mancini. Per una inversione di tendenza, però, secondo il filosofo di Urbino, bisogna saper tnme la giusta lezione dal pensiero negativo e dal nichilismo contemporaneo. «L'Occidente deve farla finita con le questioni, rigorosamente razionalistiche e dottrinali, sull'essere o sull'io, come è avvenuto per il primo termine nell'età classica, e come è avvenuto per il secondo nell'età moderna, perché nessuno dei due cicli ha vinto la guerra e la logica del dominio; e intendo far capire che, proprio come ethos dei.futuro, deve coraggiosamente assumere quella prospettiva nuova, dove alla conoscenza e all'estetica deve succedere il primato dell'etica e dall'accoglienza; ossia deve succedere la responsabilità di fronte al volto degli altri, al loro tu che fonda la relazione vera e la mia missione sì che la parola nuova, di fronte alle fiu troppe dette parole dell'essere e dell'io, dev'essere quella dell'altro, del prossimo e del volto, che lo incarna; volto da capire, rispettare e accarezzare, sì che la nuova forma etica possa espri1nersi nella coesistenza dei volti e nella deposizione dell'io, così come un tempo si deponevano i re. Qui, a me pare, è dato trovare la formula vera della pace; qui, a me pare, è dato trovare la logica del terzo millennio con il suo sogno, un sogno diurno, di una fraternità senza terrore[ ... ]. E' una salvezza, egli conclude riecheggiando il "rischio" di Platone; per cui val bene che si spenda una vita» 20 .

Abbiamo indugiato in questa lunga citazione perché riteniamo possa rendere chiaramente l'utopismo etico e, starei per dire, profetico dell'autore; e inoltre perché ci 1nostra quanta so1niglianza ci sia con l'etica

del volto del Lévinas. In uno dei suoi ritorni opportuni la Chiesa cattolica, sottolinea il Mancini, come essenza della promessa ripropone la riconciliazione nella quadruplice relazione: dell'uomo con Dio, con l'altro uomo, con se stessi, con la natura; e co1ne si può vedere dai temi è più attuale di

20

lbid., XII, XIH.


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parole come "redenzione" e "salvezza" che jndicano o l'aspetto pura1nente

giuridico o quello personale. Ma allora c'è un contrasto stridente tra la cultura della riconciliazione e quello spirito di disgregazione, come prima descritto, e che pervade il nostro tempo! Bisogna però fare una precisazione; la via d'uscita indicata dal Mancini non propone una rinascita puramente morale, cioè individuale e soggettiva, bensì etica, nel senso dei comportamenti reali, così come, con l'orinai riconosciuta chiarezza nelretica hegeliana si trova la sintesi di morale e di diritto, la cui realizzazione si concretizza in istituti quali la famiglia, la società civile e lo Stato". Perciò l'azione attuale degli uomini va orientata nel senso delle «convergenze etiche», perché chiamando «all'appello sulla pace, sul pane, sulla casa, sul lavoro, sulla droga, forse che la gente non sente, rimane sorda, o si tira da parte? Il cristiano e la sua Chiesa debbono prendere oggi I1iniziativa di queste convergenze etiche, che la ragione co1nune sente e vi acconsente, che la realtà cristiana ha sempre praticato, secondo quel primus usus del Vangelo, che la tradizione ha espresso nelle opere di misericordia, sette per il corpo e sette per l'anima, e di cui è vergogna che se ne sia perduto anche il nome» 22 • A questo proposito, l'altro volume del Mancini, L'ethos dell'Occidente, che va letto come seguito e completamento del primo, ha anche delle pagine interessanti per l'accostamento etimologico tra etica ed etologia, quasi ad indicare che non c'è etica senza etologia e, potre1nmo aggiungere, anche il contrario 23 . Quali progetti d'uomo per il futuro e per la realtà del terzo millennio? Il Mancini·elenca il progetto verde che tanto affascina i giovani e che nasce dall'incontro tra etologia ed ecologia; esamina le culture etologiche e informatiche vedendone indicazioni per il futuro e anche i limiti; avanza poi una proposta di nuova umanità, che coincide con la cultura dell'esodÒ neoebraica e, citando Lévinas, ritiene che sia difficile trovare altrove una fondazione più sicura della realtà dell'altro di quella che afferma la trascen1

21

E' diversa quindi dalla antica distinzione tra eth:a e nu>ra/e, che considera la pritna la teoria riflessa del dovere e la seconda la via concreta, con1c fa S. VANNI ROVIGHI, in Elen1e11ti di filosofi'a, III, La Scuola, Brescia 1964, 189 ss. 22 lbhl., 46-47. B Vd. I. MANCINI, L'ethos del/'Occide11te, cit., 28 ss.


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denza del volto. Nell'uno e nell'altro volume il Mancini riprende infatti, a conclusione del suo percorso in vista dell'ethos del futuro, la tematica dell'epifania del volto del Lévinas, che fa sua. Ci sono in effetti più che affinità delle convergenze straordinarie tra i due autori, ma anche delle diversità che vanno sottolineate24 • Ne è una confe1ma il seguente giudizio: «Un maestro grande di adesso, Emmanuel Lévinas, potrebbe avere qualcosa di importante da dirci. Sono parole recepite da molti. Potrebbero aiutarci a concludere[ ... ]. Da Lévinas si ottengono risultati che potrebbero considerarsi come il punto di approdo della nostra ricerca sull'ethos del futuro»".

24 Tutto il volume Tornino i volti, si può dire, è ispiralo a Lévinas e all'etica del volto, «Un vallo da stabilire in sede teorica, da rispettare in sede n1orale, da accarezzare in sede affettiva». Il «primato del volto rappresenta la maniera nuova di studiare e di proporre il tema dclI'uomo [ ... ]. Anche Dio viene presentalo come volto; [ ... ] il rispetto dcl volto è la chia1nata dell'etica al primo posto contro tutte le risolvenze e le dissolvenze dialettiche f ... l e contro le pretese della vita estetica e di quella naturalistica» (ibid., 49-50). L'autore cita pagine suggestive di Lévinas da Le ten1ps et !'autre su temi interessanti come l'eros, la carezza, la paternità (ibid., 66-69), Già nun1erosi erano i richiami al pensiero ncoebraico nell'opera più nota del Mancini,Filosofia della religione e ora nun1erosissimi in quest'ultima, L'ethos dell'Occidente, dove il capitolo conclusivo sull'etica del futuro è intitolato proprio: L'altro e il volto (ibid., 589-610). 25 Ctì·. I. MANCINI, L'ethos dell'Occidente, cit., 603-604. Emmanuel Lévinas nacque il 30 dicembre 1905 a I(aunas in Lituania. Di origine ebraica, naturalizzato francese, studiò a Strasburgo e a Friburgo, dove seguì i corsi di Heidegger; ebbe modo così di conoscere il pensiero fenomenologico, di cui apprezzò il carallere di rottura, con la nozione di intenzionalità, rispetto a un pensiero rappresentativo e oggettuale, mentre dell'ontologia esistenziale di Heidcgger assunse il concetto del conoscere come coinvolgimento del soggetto. Durante la seconda guerra mondiale venne internato in un campo di concentramento. Attualmente è direttore della Scuola nonnale israelita; insegna pure alla Sorbona di Parigi. Ottin1a introduzione per conoscere il percorso del suo pensiero è la sua opera Etica e li~finfro, che è una lunga intervista di Ne1no, dove Lévinas ripercorre il suo itinerario di pensiero. Citiamo tra le sue opere più importanti: Dall'esistenza all'esistente, Marietti, Casale Monferrato 1986; Totalità e infinito, Jaca Book, Milano 1977; Qualfro letture taln111diche, Il Melangolo, Genova 1982; Un1anesin10 dell'altro uon10, Il Melangolo, Genova 1985; Altrimenti che essere, al di là de/l'essenza, Jaca Book, Milano 1983; Non1i propri, Marietti, Casale Monferrato 1984; Dal sacro al santo, Città Nuova, Roma 1985; Di Dio che viene all'idea, Jaca Book, Milano 1986; Al di là del versetto, Guida, Napoli 1986; Etica e il~finito, Città Nuova, Ro1na 1984. Significativo l'esergo in ebraico su Altrin1enti che essere e l'esergo di Stirner che Silvano Petrosino ha apposto all'inizio de11a sua ottiina introduzione a Totalità e !i~finito.


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Una prima affinità o convergenza che riscontriamo tra Mancini e Lévinas consiste nella critica spietata che entrambi rivolgono al primato del cogito che, a loro parere, è segnato dalla volontà di potenza e viziato dal mito della totalità; un pensiero quindi che vorrebbe andare al di là di ogni ontologia e di ogni metafisica, al di là di ogni filosofia egologica. E ancora, si tratta di due filosofie che convergono nell'assegnare il primato all'etica26 , anzi, per Lévinas, è l'etica la filosofia prima, quindi, la nuova metafisica, sulla base delle indicazioni di prossimità, di volto come linguaggio e traccia della trascendenza, che richiede giustizia; entrambe, com'è evidente, sono ispirate a profondo senso religioso. Tuttavia va osservato che è vero che le due prospettive etiche attraversano il cammino nichilistico del pensiero contemporaneo pervenendo a risultati simili, ma attraverso due itinerari diversi: l'una partendo dalla metafisica classica per giungere fino al suo esaurimento e attaccarsi a prospettive utopiche e millenaristiche; mentre l'altro, in un dibattito serrato con la contemporaneità, sviluppa i principi del neoebraismo. Gli autori di riferimento del Mancini sono: Ernest Bloch che appartiene, come si dice, alla cmrente calda del marxismo, e Dietrich Bonhoeffer; mentre Lévinas si fonda sulle letture talmudiche, che il Mancini defini-

Bibliografia essenziale su E. Lévinas: S. PETROSINO, La verità non1ade, Jaca Book, Milano 1979; G. Mura, E. lévinas: ern1eneutica e "separazione", Città Nuova, Roma I 982; ID., La provocazione etica di E. Lévinas, Città Nuova, Roina 1984; P.A. ROVATTI, Intorno a Lévinas, Unicopoli, Milano 1974; ID., Il dechno della luce, Marietti, Genova 1988; E. BACCARINI, Lévinas. Soggettività e Infinito, Studium, Roma 1985; A. RIZZI,// pensiero neoebraico, in Filosofia della religione (a cura di P. Grassi), Queriniana, Brescia 1988, 329-362; G. PENATI, Verità-Libertà-Linguaggio, Morcelliana, Brescia 1987; ID., lévinas e la nfo11dazio11e etica della 111etafisìca, in E. LÉVINAS, D(fficile lihertà, La Scuola, Brescia 1986; F. FOTI, Problematica del pensiero debole, cit., (specialmente i capitoli: Agire prin1a di capire, 96-102 e Il proble1na dell'arte secondo Lévinas, 114-117); Aut-Aut 209-210 (1985): tutto il fascicolo è dedicato a Lévinas, che è presente con una intervista su: Filosofia, giustizia e arnore; G. PENATI, Morale e religione in Lévinas in Per la filosofia 7 (1986) 85-91; G. Sansonetti, Filosofia e religione in Lévinas, in Hun1anitas XLIV, 6 (1989) 767-784. 26 E' significativo che anche Wittgenstein scrive che il senso profondo del suo libro è etico, e si tralta proprio del Tractatus Logico-philosophicus, perché in esso «l'etico viene delimilato per così dire dall'interno; e sono convinto che l'etico è da deli1nitare rigorosan1entc solo in questo modo» (Lettere di L. Wittgenstein, La Nuova Italia, Firenze 1970,115). Cfr. D. MAGNANINI, Il pensiero religioso in L. Wittgenstein, Goliardica, Roma 1981.


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sce inimitabili, per oltrepassare Husserl e Heidegger e le conseguenze della loro filosofia. I quadri storici in cui si muovono i due autori possono essere indicati con due interrogativi: come continuare a filosofare dopo le contestazioni globali e parziali degli ultimi anni e dopo il nichilismo contemporaneo? che cosa significa pensare dopo Auschwitz? Date queste diversità, direi allora che i due volumi del Mancini, di cui abbiamo in qualche modo parlato, vanno inte1pretati come un dialogo proficuo fra neoebraismo e cristianesimo, considerato quest'ultimo nelle tre variabili etiche27 • A questo punto, a titolo per così dire conclusivo, possiamo avanzare alcune osservazioni.

La ripresa del pensiero ebraico, dopo gli orrori delle due guerre mondiali e soprattutto dopo Auschwitz, quando «Dio sembrava assente» e l'uomo aveva perduto il suo centro di riferimento, rotolando verso una X, assunse una funzione di denunzia e di smaschera1nento, anche verso le complicità della metafisica occidentale. Non solo, ma la prospettiva di Lévinas, sempre sulla linea del pensiero neoebraico, ci indica una svolta che consiste nel «far compiere all'essere una emigrazione dal fondamento della ragion sufficiente alla esistenza dcl volto di cui il Dio biblico è cifra ed esperienza, esperienza di quella fede di cui il popolo della promessa è men1oria e natTazione» 28 , e nel riaffern1are quindi il primato dell'etica. Ma anche il suo pensiero, pur ricco di analisi fenomenologiche di grande suggestione (abbiamo già accennato a quelle sull'eros, la carezza, la paternità, oltre a quelle sul volto come rivelazione dell'infinito), resterebbe tuttavia limitato alla visione ebraica dell'esistenza incompiuta e gettata nell'esodo, se non riuscisse a tramutarsi in ethos, cioè in costume, leggi, istituzioni e, cristianamente, in Chiesa. Qui il pensiero del Mancini completa, possiamo

27 L'elica cristiana, con1e appartenenza teologica, espri1ne l'agire dell'uo1no congiunto all'agire di Dio. Essa presenta tre variabili: sottolinea il valore della natura la co1\/"essione cattolica accentuando l'aspetto del Dio creatore; l'etica allora si fonda sul creazionisnn>. Sottolinea il valore della grazia la confessione protestante, che accentua l'aspetto del Dio Redentore (sola ji'des). La Chiesa ortodossa infine sottolinea il valore dello Spirito e quindi accentua l'aspetto dcl Dio Riconciliatore (cfr. I. MANCINI, Tornino i volti, cit., 74 ss.) 28 O. DI GRAZJA, Dall'essere al volto, in AA.VV., Metafisica, anti-n1etafisica, post-111etafisìca - Linean1enti di Ontolor;ia, Augustinus, Palermo 1990, 327.


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dire, quello del Lévinas, che com'è ovvio, manca della prospettiva salvifica del Cristo. L'altro punto difficile da accettare nella posizione di Lévinas, lo dice lo stesso Mancini, che pur ne condivide l'orientamento, è la sua critica all'ontologia occidentale, mentre, per esempio, un Gilson ritiene che proprio l'ontologia ha un valore teologico: infatti nella Bibbia Dio stesso ha dato una definizione di sé in termini ontologici definendosi: «lo sono Colui che sono» (Es 3,14 e Gv 8,24). In realtà l'ontologia che Lévinas non accetta è quella di Heidegger, e quindi non ci sono preclusioni assolute contro di essa; anzi, a nostro parere, il suo pensiero può definirsi anche una ontologia esistenzialistica e, se si guarda bene l'etica dei volti, si scopre una sorprendente analogia con lo schema ontologico tradizionale. Come in Eraclito il /ogos ha un triplice significato: logico, ontologico e linguistico, .così il volto che è sempre positivo è l'equivalente dell'essere che sempre è e non può non essere; il volto si manifesta nella parola ed è quindi linguaggio, che reclama come istanza profonda, l'impegno etico. Perché, allora, ci chiediamo, il Mancini ritiene che bisogna farla finita con l'essere e con l'io, con la sterile e violenta ontologia e con l'arroganza della epistemologia? se la parola chiave dell'ethos del futuro è la riconciliazione, perché non riconciliarsi anche con l'essere della metafisica classica e con l'io della filosofia moderna? Certo non si può 1iprenderla negli stessi ter1nini, 1na non bisogna buttare con l'acqua sporca anche il bambino! Mai l'ethos nella buona tradizione occidentale è stato disgiunto dal logos, e l'attenta e poderosa analisi dell'ultimo suo volume ampiamente lo dimostra. Mi sembra inoltre che nella interpretazione storiografica del pensiero occidentale, accettata dal Mancini e dal Lévinas, ci sia sotteso lo schema ispirato al Loewith, secondo il quale da Cartesio a Nietzsche si svolgerebbe una linea unica che dal soggettivismo moderno porterebbe inesorabilmente al nichilismo contemporaneo. Mentre la realtà storica, che è sempre complessa, non può ridursi a tale semplificazione, e allora bisognerà considerare almeno un'altra tradizione di pensiero, di ispirazione platonico-agostiniana che, sempre da Cartesio, porta a Pascal, Male branche, Vico, Kant, fino a Rosmini e oltre, come sostengono Del Noce, Berti, Mathieu etc. E allora si potrà cantare il de profundis all'ontologia e alla metafisica che è in tutta la storia


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dell'Occidente? Infine, perché abbiamo messo insieme Berti-Volpi da un lato, Mancini e Lévinas da un alh·o lato, quasi in una specie di contrappunto? Perché riteniamo che, per un ritorno al primato dell'etica, la via logico-argomentativa e quella e1meneutica-esistenziale non siano poi così incompatibili come si vmTebbe far credere e che l'una integri e completi l'altra. Ribadiamo, però, che negli autori esaminati vediamo in qualche modo elusi temi come quelli della realtà del male, il problema della colpa e del peccato, che il nichilismo contemporaneo voffebbe portare alla cancellazione e dissoluzione, e che pure in tema di etica, in cui è in gioco fondamentalmente la libertà e la responsabilità, sono essenziali. Troviamo laripresa di tale tematica, più recentemente in altri autori, come Ricoeur, Pareyson e la sua scuola, Caracciolo, Mathieu, Prini, Rigobello, il cui pensiero ci sembra utile per costrnire una c01Tetta antropologia che veda l'uomo in termini di natura decaduta e bisognevole di redenzione"Sarà ancora Pascal a indicarci che un vero un1anesimo si guarda da

due estremi, e cioè dall'esaltazione della grandezza umana sino a dimenticarne la miseria; e dal sottolineare la sua povertà e miseria sino a di1nenti-

came la grandezza.

29 Cfr. L. PAREYSON,

2 (1986) 7-69; C.

CIANCIO,

La filosojh1 e il prohle111a del n1ale, in Annuario f;fosofico

Crisi e rifondazione dell'etica, in Annuario jllosofico 3

(1987) 37-63; G. RICONDA, Pensiero tradizionale e pensiero n1oderno, in Annuario

filosofico 3 (1987) 7-36.


LE RELAZIONI «AD LIMINA» DELLA DIOCESI DI CATANIA (1730- 1751)

ADOLFO LONGHITANO* I. I SUCCESSORI DI ANDREA RIGGIO

La situazione in cui venne a trovarsi la diocesi di Catania, in seguito agli sviluppi della controversia liparitana (1711-1728), fu quanto mai drammatica: clero e fedeli erano divisi fra curialisti e regalisti; i primi, al seguito di Giovanni Rizzari, condividevano la linea intransigente del vescovo Andrea Riggio e osservavano !'interdetto che egli aveva com-minato prima di partire per l'esilio; i secondi, sotto la guida del vicario generale Giovanni Battista Parisi, difendevano i privilegi dei re di Sicilia in materia ecclesiastica, ritenevano privo di rilevanza giuridica !'interdetto e preferivano seguire le direttive emanate dalla corte e dal tribunale della regia monarchia; il seminario era quasi vuoto, uffici e benefici erano vacanti, molti sacerdoti e religiosi erano stati espulsi dal regno, i fedeli, essendo proibite per !'interdetto le celebrazioni religiose, si erano disabituati alla pratica dei sacramenti ed erano stati abbandonati a se stessi 1•

* Docente di

Diritto canonico nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. A. LONGHITANO, Le relazioni «ad lifnina» della diocesi di Càtania ( 17021717), in Synaxis 7 ( 1989) 417-515; F. FERRARA, Storia di Catania sino alla fine del secolo XVII, Lorenzo Dalo, Catania 1829, 223-226. La situazione della diocesi è descritta in alcune letlere dei vicari generali al card. Paolucci (ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Lettere di vescovi e prelati [=LT], vol. 123, 753r-754r; vol. 124, 525r526v; vol. 125, 94r-95v). L'interdetto fu tolto il 13 agosto 1719 (LT, vol. 134, 215r216r; V. M. AMICO, Catana illustrata, IV, ex typographia J. Puleii, Catanae 1746, 7). 1


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Adolfo Longhitano

Andrea Riggio morì in esilio il 17 dicembre 1717. Il suo successore, il gesuita spagnolo Alvaro Cienfuegos, una personalità molto complessa e nota nella cultura del tempo', fu nominato il 20 gennaio 1721 3 . Per i suoi impegni diplomatici e politici a servizio dell'imperatore Carlo VI, non era in grado di osservare le norme tridentine sulla residenza e si limitò a governare la diocesi per mezzo di vicari di sua fiducia, fino a quando non fu trasferito a Monreale (21 febbraio 1725).

2 Non è di facile lettura la personalità del Cienfuegos: celebre teologo e autore di apprezzate opere sulla Trinità (1717) e sul mistero eucaristico (1728), abile 1ninistro e diplon1atico a servizio dell'in1peratore Carlo VI, cardinale (1720), vescovo (1721). Accettò la nomina vescovile, pur sapendo che non avrebbe potuto risiedere nelle diocesi affidate al suo governo. L'imperatore, per assicurargli una più lauta rendita, dalla sede di Catania lo fece trasferire alJa diocesi di Monreale; ma nello stesso tempo ordinò che dalla mensa vescovile di Catania gli venisse riservata una pensione annua di ben 823 once, Per l'imperatore era il modo di manifestare la propria gratitudine e di garantire un più che decoroso sostentamento ad una persona che Io serviva con dedizione; ma da parte ecclesiastica venivano disattese le norme sull'obbligo della residenza dei vescovi (F. COLONNA, Vite de' vescovi di Catania, manoscritto B 5 della Biblioteca Civica, 252-257; H, DuTOUQUET, Cienfuegos Alvaro, in Dictionnaù·e de Théologie Catholique, II, Letouzey et Ané, Paris 1903, 2511-2513; R. R!TZLER - P. SEFRIN, Hierarchia catho/ica medii et recentioris aevi, V, Il Messaggero di S, Antonio, Patavii 1952, 32, 150, 276; A. MONGITORE, Sic;/iae Sacrae celeberrin1i abbatis netini D. Rocchi Pirri additiones et correctiones, Typ, A. Felicella, Panormi 1735, 139, 100-101; G. SCHIRO', Monreale. Territorio, popolo e prelati dai 11or111a1111i ad oggi, Augustinus, Palermo 1984, 53-54). 3 Presso gli autori esistono due date diverse della sua nomina vescovile: 1nentre la Hierarchia Catholica, che attinge ai documenti dell'Archivio Vaticano, riferisce il 20 gennaio 1721, gli altri scrittori indicano il 1722, In realtà il Cienfuegos fu nominato nel concistoro del 20 gennaio 1721, ma rese pubblica la sua nornina il 4 aprile 1722, quando nominò co1ne vicario generale il priore della cattedrale Pietro Gravina dc Cruyllas. Pertanto la diocesi di Catania, fino a quest'ultima data, fu considerata vacante e governata dal vicario capitolare. Il Cienfuegos, in una lettera al capitolo dell'l 1 aprile 1722, spiega il motivo del suo con1portamento: «Sibenc dal dì 20 di gennaro dell'anno passalo, che conseguì il Concistoro la dichiarazione della n1ia persona a V e scovo di questa Chiesa, havessi potuto usare tutte le facoltà, che a tenore del dritto comune cornpetono ai Vescovi [... ], tuttavia sulla lusinga di rendermi da un giorno all'altro a cotesta mia residenza ne volli differire l'esercizio; ora però vedendovi per anche su l'incertezza di poter rendere adempiuto il cennato mio desiderio così presto che vorrei, ho preso la risoluzione di sodisfare al mio possibile a cotesto mio carico con la deputazione in mio Vicario Generale del Sig, Priore Gravina [... J» (CATANIA. ARCHIVIO CURIA ARCIVESCOVILE, Tutt'Atti [=TA) 1721-1722, 279v-280r).


Pietro Galletti (1nausoleo eretto nella cattedrale di Catania) (foto A. C'afĂ )



Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1730 -1751)

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Dopo un anno di sede vacante, il 20 febbraio 1726, fu nominato vescovo il conventuale messinese Alessandro Burgos, un altro perso-naggio di primo piano nella cultura del tempo'. Nel viaggio in mare da Messina a Catania, a causa di una tempesta, i passeggeri furono sbattuti sulla spiaggia di Taormina. Il vescovo giunse a Catania il 6 luglio in precarie condizioni di salute, ma non si riebbe dalle conseguenze del naufragio e morì il 20 dello stesso mese5 • Il 26 novembre 1727 gli succedette il certosino catalano Raimondo Rubi, che giunse a Catania il 6 gennaio 1728. Ebbe appena il tempo di iniziare la prima visita pastorale, che morì a quasi un anno di distanza dal suo arrivo in diocesi, il 20 gennaio 17296 •

2. IL VESCOVO PIETRO GALLETI'l

A risollevare la dolorosa situazione della diocesi di Catania fu chiamato il palermitano Pietro Galletti, che aveva al suo attivo una buona esperienza pastorale e un curriculum di tutto rispetto; purtroppo contava già 65 anni compiuti e una salute alquanto precaria.

4

Il Burgos era entrato nei minori conventuali nel 1682 cd era stato ordinato sacerdote a Palermo nel 1690; dopo aver insegnato filosofia a Messina, si trasferì a Roma, dove conseguì la laurea in teologia al collegio di San Bonaventura ( 1696), entrò nell'Arcadia e .scrisse alcune co1nposizioni poetiche col nome di Emone Lapizio. Insegnò diritto canonico e retorica a Bologna, storia della Chiesa a Perugia, eloquenza a Roma, filosofia e storia della Chiesa a Padova. Ebbe la stima di Clemente Xl, che lo nominò consultore di alcune Congregazioni romane. Nelle sue opere di filosofia, teologia e storia della Chiesa prese posizione contro i gesuiti e la scolastica manifestando le sue simpatie per le idee dci gallicani, dei giansenisti e dci n1aurini. Fu amico di alcuni personaggi fra i più aperti del suo ternpo: Muratori, Fontanini, Vallisnieri, Zeno (F. COLONNA, op. cit., 258-273; A. MONGITORE, Bihliolheca Sicula, I, D. Bua, Panormi 1708, 15; G. M. MIRA, Bibliografia Siciliana, I, G. B. Gaudiano, Palermo 1875, 137-139; D. SCINÀ, Pro::.petto della sloria lelteraria di Sicilia nel secolo decin1ottavo, [a cura di V. Turone], I, Edizioni della Regione Siciliana, Palenno 1969, 148; G. PIGNATELLI, Burgos Alessandro, in Dizionario biografi'co degli italiani, XV, Treccani, Iloma 1972, 420-423). 5 F. FERRARA, op. cit., 227-229. 6 F. COLONNA, op. cit., 274-291; A. MoNGITORE, Sici/iae Sacrae .. , cit., 140; V. :r..1. AMICO, op. cit., 9-10.


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a) La sua personalità e la sua formazione

Pietro apparteneva ad una nobile famiglia che pare provenisse da Pisa'. Primogenito di Vincenzo Galletti e di Maria De Gregorio era nato a San Cataldo il 27 ottobre 16648 • Compì gli studi nel collegio dei gesuiti di Pale1mo e per seguire la vocazione religiosa Jinunziò al titolo di principe di Fiume Salso e marchese di San Cataldo 9• Tuttavia la sua malferma salute lo costrinse a lasciare la Compagnia di Gesù 10 ; ma, come scrive il Colonna suo contemporaneo, «lasciò l'abbito della Compagnia, non però li dettami di quella, che recava stampati nel cuore»". In effetti la matrice culturale del Galletti è quella dei gesuiti; egli stesso, nelle sue idee e nella sua azione pastorale, si sentirà debitore verso la Compagnia di Gesù. In un periodo storico che segna la svolta fra l'eredità della controriforma e la cultura moderna, questa sua formazione lo pone dalla parte debole, e la sua azione pastorale si colloca all'insegna di una tradizione che manifesta già i primi sintomi di sfaldamento12.

7

Un certo Nicolò Galletti si era trasferito in Sicilia all'inizio del secolo XVI (V. SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, III, riproduzione anastatica, A. Forni, Bologna 1981, 331-333). 8 Il Villabianca enumera altri lre figli maschi: Ignazio, Giuseppe e Nicolò. Giuseppe fu capitano di giustizia a Palermo nel 1716, pretore (l'attuale sindaco) nel 1725 e nel 1740 (F. E. VILLABIANCA, Della Sicilia nobile, Il/1, Pietro Bentivenga, Palermo 1754, 163-164; 11/2, Palermo 1757, 437-438). 9 Nella lapide del mausoleo funebre, che egli stesso fece costruire in vita nella cattedrale di Catania, si legge: «111.mus el Rev.mus D.nus D. Pctrus Galletti, abdicato fluminis Salsi principatu et marchionatu S. Cataldi, clericali militiae se ascripsit [ ... ]». 10 «Una ben lunga e tediosa indisposizione che tendea a principi d'etisìa forzallo a lasciare prima l'abbito che la vita monastica; furono però le proteste reiterate di tutto il savio collegio de' medici, che forzarono al nostro D. Pietro ritraere il passo dalle carriere intraprese nell'arringo della penitenza nella Religione» (F. COLONNA, op. cit., 294). Il

12

L.

c.

Lo Scinà descrive con molta lucidità il clima culturale che si respirava in Sicilia e a Palenno. Le polemiche fra gesuiti da una parte, domenicani, benedettini, francescani dall'allra erano il segno dci fermenti nuovi nella cultura del tempo, che aveva sperimentato un diverso approccio metodologico per lo studio della filosofia, della teologia, della storia della Chiesa e in genere delle discipline umanistiche, delle scienze matematiche e naturali. «Eran solamente le scuole de' gesuiti che resisteano a questa salutare riforma, perciocché segregati com'erano dalla società e maestri


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Ricevette l'ordinazione sacerdotale il 3 maggio 1692 13 e nel 1703 fu presentato dal senato di Palermo per essere nominato parroco di Sant'Antonio al Cassaro 14 , ministero che svolgerà per circa vent'anni. Dal 1713 al 1720 fu inquisitore di Sicilia alle dipendenze del grande inquisitore di Spagna". In questi anni conseguì i titoli accademici "privati" di maestro in filosofia e dottore in teologia nel collegio dci gesuiti di Palermo (2 agosto 1718)". Il suo curriculum comprende pure: l'ufficio di teologo nel tribunale della regia monarchia 17 , la nomina di vicario capito!arn a Monreale nel 1703' 8 , la nomina di vicario generale a Patti nel 1706 19 e le nomine di giudice conservatore di diverse case di gesuiti 20 •

solennissimi delle pubbliche scuole, tenaci si mostravano delle proprie opinioni, e del proprio insegnamento, e abborrivano, co1ne a loro ingiuriosa e agli altri piena di pericoli, qualunque riforma o novità che da esso loro non fosse derivata. Ma le loro opposizioni tornarono vane, perché vani riescono gli sforzi contro la verità, che cotnincia la sua luce a mandar fuori» (D. SCINÀ, op. cit., I, 158). Sul tema vedi anche M. CONDORELLI, Stato e Chiesa nei giansenisti siciliani del secolo XVIII, in Il diritto ecclesiastico 68 (1957) 305-385; M. RosA, Politica e religione nel '700 europeo, Sansoni, Firenze 1974. Il quadro storico in cui opera il vescovo Galletti è tracciato da F. RENDA, Dalle rffonne al periodo costituzionale ( 1734-1816), in Storia della Sicilia, VI, Società editrice storia di Napoli e della Sicilia, Napoli 1978, 183-297 e G. GIARRIZZO, La Sicilia dal Cinquecento all'unità d'Italia, in Storia d'ltalia (diretta da G. Galasso), XVI, UTET, Torino 1989, 97-793: 375-472. 13 ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Processus Datariae (::::Po), vol. 100, 19lr. 1 ~ Ibid., l 94r. 15 lhid., 200r; A. FRANCHINA, Breve rapporto del Trihunale della SS. Inquisizione di Sicilia, A. Epiro, Palermo 1744, 104. 16 Il formulario adoperato per il conferi1nento di questi titoli era identico a quello che troviatno nell'università di Catania, ad eccezione di un avverbio che spiega la differenza: «ad magisterium philosophiae el Sacrae Thcologiac doctoratus gradum [... ] privatirn promovi» (Po., 192r). Sul tema vedi A. LoNGHITANO, Saggi di ricerca su fonti dell'Archivio Arcivescovile di Catania, in AA.Vv., /11segna1nenti e Professioni. L'Università di Catania e le città di Sicilia (a cura di G. Zito), Tringale, Catania 1990, 55-l 03. 17 Accenna a questo suo incarico il re nella presentazione del Galletti alla sede vescovile di Patti (Po., vol. 100,193r). 18 Ibid., 196r~l97v. 19 Jb;d., l 94r. 20 /bid., I82r, I99r-I99v, 20lr, 202r-202v, 203r-203v, 204r-205v, 206r, 207r, 208r-208v. Si chian1avano conservatori quei giudici che il sommo pontefice dava agli ordini religiosi, o alle persone morali in genere con il compito di difenderle quando, per la notorietà di un fatto ingiusto, non era richiesta l'indagine giudiziale ordinaria; con ciò l'ente veniva sottratto alla cotnpetcnza del giudice ordinario (L. FERRARIS, Conservatores, in Pro111pta bib!iotheca canonica, iuridica, n1oratis, theo/ogica, II, Migne, Lutetiae Parisiorun1 1858, 1261-1287). La nomina dcl Galletti


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Contrariamente al vescovo Riggio, il Galletti non sembrava ossessionato della difesa delle immunità ecclesiastiche. Egli, pur avendo svolto il suo ministero negli anni più caldi della controversia liparitana, rimase al suo posto senza rischiare l'esilio. Si deve dedurre che sull'argomento abbia assunto un atteggiamento conciliante, se non apertamente favorevole alle tesi regaliste". Nella lettera di presentazione per la sede vescovile di Patti, inviata dal re al ministro plenipotenziario presso la Santa Sede, il card. Cienfuegos (1723), la nomina del Galletti viene presentata come il logico sviluppo di una vita esemplare e di un'attività svolta con zelo 22 • li nostro vescovo fu consacrato a Roma dallo stesso card. Cienfuegos il 5 settembre 1723 23 • li ministero di vescovo nelle diocesi minori serviva di solito come periodo di prova e di esperienza per assumere la responsabilità di diocesi più vaste. Il Galletti, avendo dato buona prova di sé nei sei anni di governo della diocesi di Patti24 , il 27 agosto 1729 fu presentato dal re per la diocesi di Catania, vacante per la mmte di Raimondo Rubi 25 •

come giudice di diverse case dei gesuiti di1nostra il reciproco legame che legava ancora il nostro personaggio alla Compagnia di Gesù. 21 L'arcivescovo di Palermo non si era lasciato coinvolgere dall'intransigenza del Riggio e aveva evitato i gesti clamorosi di rottura che costarono l'esilio ai vescovi di Catania, Agrigento e Mazara (G. CATALANO, Studi sulla fegazia apostolica di Sicilia, Parallelo, Reggio Calabria 1973, 77-78; 103-104). Il Galletti, come parroco presentato dal senato di Palenno, come inquisitore di Sicilia alle dipendenze dell'inquisitore generale di Spagna e come teologo presso il tribunale della regia monarchia, aveva più di un motivo per schierarsi dalla parte del re o almeno per non iniinicarselo. 22 PD, 193r-l 93v. 23 A. MONGITORE, Sici/iae Sacrae ... , cit., 189. Lo stesso autore nel Diario palermitano segna la data (22 maggio 1723) in cui «partì da Palermo D. Pietro Galletti, palermitano, paroco di S. Antonio e già inquisitore, per portarsi a Roma, eletto vescovo di Patti» e la data del suo rientro (30 sette1nbre 1723): «ritornò in Palermo D. Pietro Galletti, già consacrato vescovo di Patti» (A. MoNGITORE, Diario palern1itano dei/e cose più nien1orabif; accadute nella città di Palenno dal I gennaio del 1720 al 23 dice1nbre 1736, in Diari della città di Palern10 dal secolo XVI al XIX, a cura di G. Di Marzo, IX, L. Pedone Lauriel, Palermo 1871, 63 e 679). 24 Notizie sull'attività del Galletti a Patti si trovano in A. MoNGlTORE, Siciliae Sacrae ... , cit., 189-190 e nel processo informativo svoltosi nella curia romana (Po, vol. 106, 492r-494v). Mentre era vescovo di Patti presiedette a Palermo il parlamento del 26 giugno 1728 (A. MoNGITORE, Siciliae Sacrae ... , cit., 190). 25 Po, 495 r - 496 r.


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b) L'ingresso in diocesi

La bolla di nomina porta la data del 28 novembre 1729. In essa, tra l'altro, si raccomanda al Galletti di impegnarsi ad ultimare la costruzione dell'episcopio, di erigere le prebende del penitenziere e del teologo e di istituire il monte di pietà26 • Il nuovo vescovo no1ninò come vicario generale d. Giovanni Rizzari 27 , che prese in suo nome il possesso canonico il 28 dicembre28 • Il Galletti fece l'ingresso a Catania il 18 gennaio 1730"- Una descrizione della sua persona ci viene data dal Colonna, suo contemporaneo: «egli è alto di statura e delicato, di volto asciutto, bianco di ca1T1aggione, di spirito vivace e caldo che dona nell'impaziente, fecondo nel discorso, corteggiano ne' tratti ed avido per natura nel voler eternare le memorie del suo no1ne in ogni operazione»30.

26

TA 1729-1730, 128v-l 33r. Queste raccomandazioni venivano date al vescovo sulla base delle notizie raccolte durante il processo informativo. Uno dei testi, il sac. Vincenzo Coniglio, aveva deposto: «nego che vi sia il monte di pietà» (PD, vol. 106, 407v). Questo istituto era stato fondato a Catania con delibera del consiglio dei giurati del 1545 e con bolla apostolica di Paolo III del 1546 (I. B. De GROSSIS, Catanense Decachordun1, I, typis I. Rossi, Catanae 1642, 188). Operava anche dopo il terremoto del 1693, perché di esso fa menzione il vescovo Riggio nella relazione del 1712 (A. LONGHJTANO, Le relazioni «ad lin1inaN .. ., cit., 490). Probabihnente non era sopravvissuto ad una delle tante controversie che avevano contrassegnato il suo governo o aveva chiuso la sua attività durante gli anni dell'interdetto. 27 TA 1729-1730, 3r-5r. 28 Ibid., 2r. 29 La cronaca del suo ingresso è scritta da F. COLONNA, op. cii., 299-300. Questo stesso autore informa che il Galletti, il successivo 19 febbraio, domenica di carnevale, invitò le autorità e i nobili ad un concerto nel quale «n'esplose il suo genio in un mottetto cantato nella galleria del vescovale palazzo [ ... ]. L'azzione fu rappresentata con buon gusto d'un'accademia fioritissima di virtuosi e ripieno d'ottimi strumenti». Il testo composto dal Galletti è riportato dal Colonna; si tratta di un dialogo fra i seguenti personaggi: Patti, Catania, Amore, Invidia Uhid., 300-303). JO lbid., 306.


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3. IL GOVERNO PASTORALE DEL VESCOVO GALLETTI

Le necessità della diocesi imponevano un programma vasto e articolato che andava dalla ricostruzione materiale alla ricostruzione morale. A distanza di oltre un trentennio dal terremoto, molti edifici religiosi non erano stati ricostruiti o non erano stati ultimati; soprattutto bisognava riprendere in mano il governo pastorale: dall'esilio del Riggio (1713) si può dire che la diocesi era ri1nasta priva di una guida: i vescovi o non erano venuti in diocesi o si erano succeduti a breve distanza l'uno dall'altro, senza poter affrontare i gravi problemi che la Chiesa catanese si trascinava da tempo. a) La ricostruzione e i ricorsi contro l'ojJerato del vescovo

Il Galletti era animato di buona volontà. Prima del suo ingresso aveva già convinto il giovane concittadino Giovanni Battista Vaccarini a lasciare Ro1na e trasferirsi a Catania per aiutarlo nei lavori di ricostruzione della città31 • Per garantirgli il sostentamento, il giorno successivo al suo ingresso in diocesi ( 19 gennaio 1730), gli conferì la prebenda di canonico secondario" e nel tempo gli affidò diversi incarichi: il 12 aprile lo nominò soprintendente dell'almo studio, il 19 dicembre soprintendente dell'orologio del duomo, 1'8 giugno 1731 lo scelse come architetto del nuovo prospetto della cattedrale33 •

31 La famiglia Vaccarini risiedeva nella parrocchia di Sant'Antonio, dove Giovanni Battista fu battezzato nel 1702 e dove l'anno successivo il Galletti iniziò il suo ventennale ministero di parroco. Pertanto la stima che il nostro vescovo aveva per il giovane architetto si fondava su una lunga conoscenza e frequenza (A. GIULIANA ALAIMO, G. B. Vaccarini e le sconosciute vicende de!la sua vita, Industrie grafiche DI. MA., Palermo 1950, 5). 32 TA 1729-1730, l3v-l3bisv. 33 V. LIBRANDO, Il «rin1arcabile aff'are del prospetto>> vaccariniano della cattedrale di Catania, in AA.Vv., Scritti in onore di Ottavio Morisani, Università degli studi, Catania 1982, 379-414. Sul contriburo dcl Galletti e del Vaccarini nella ricostruzione di Calania vedi pure: F. FICHERA, Una ci!là settecentesca, Soc. editrice d'arte illustrata, Roma 1925; ID., G. B. Vaccarini e l'architettura del Settecento in Sicilia, 1, Reale Accademia d'Italia, Roma 1934; A. GIULIANA ALAIMO, op. cit.; G. POLICASTRO, Catania nel Settecento, SEI, Catania 1950, 262-284; S. BosCARINO, Le


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Le molteplici opere da realizzare o completare esigevano il reperimento di somme non indifferenti; il vescovo cercò di accantonarle dai bilanci dei diversi enti dei quali era in qualcbe modo responsabile e dalle diverse attività del suo ministero episcopale. La mensa vescovile, ad esempio, al momento dell'ingresso del Galletti in diocesi, rendeva circa 8.000 onze l'anno; 34 una cifra notevole, che avrebbe consentito di affrontare alcuni problemi della 1icostruzione con una certa tranquillità, se su di essa, oltre alle spese di gestione, non avessero gravato notevoli oneri e pensioni in favore di enti e persone35 . li vescovo pensò di attingere ai redditi della mensa vescovile alienando qualche immobile e non pagando alcune pensioni che gravavano su di essa. Un'altra fonte alla quale il Galletti pensava di attingere le somme necessarie alla ricostruzione era costituita dalle procurationes della visita pastorale. Le norme canoniche permettevano al vescovo, nel corso della visita pastorale, di chiedere modiche somme a titolo di rimborso spese 36• Per evitare speculazioni ed abusi si davano delle indicazioni di massima; ma, poiché bisognava tener conto di nmme particolari e di consuetudini locali, potevano verificarsi delle contestazioni. Sembra che il Galletti abbia dato l'impressione di voler calcare troppo la mano nella richiesta di qneste procurationes.

Fnrono provocati da questi fatti una serie di controversie e di ricorsi alle autorità civili ed ecclesiastiche. Un ricorso fu presentato dal senato al re, che inviò come visitatore il benedettino Domenico Brancati; lo incari-

cava di indagare sn «abusos y desordenes qne de algunos afios a esta parte vicende urbanistiche, in AA. Vv ., Catania conten1poranea. Cento anni di vita econonlica (a cura di A. Petino), Ist. di storia economica dell'università, Catania 1976, 103-182; G. DATO, La città di Catania. Forn1a e struttura (1693-1833), Officina edizioni, Roma 1983. 34 Il bilancio della mensa vescovile si trova accluso agli atti della visita ad li111ina del 1734 (173r-175v). Quasi certamente era stato richiesto dalla Con~ gregazione per verificare la fondatezza dei reclami contro l'operato del Galletti, che erano pervenuti fin dal 1731, come si dirà in seguito. 35 Si vedano alcune voci segnate fra le uscite del bilancio; once 120 dovute alla cappella palatina di Palermo, once 240 al collegio della città di Messina, once 953 alla basilica Santa Malia Maggiore di Roma, once 823 al card. Cienfuegos, once 400 al rev. d. Mario Mellini, once 200 a d. Pietro Francesco Bussi, once 200 al can. Gaspare Luzan, ed altre spese per un totale di quasi 6.000 once di oneri passivi (rel.

1734, 174r-175r). 36 L. FERRARIS,

Procuratia, in Prompta bibliotheca .. ., cit., VI, 747-751.


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se han introducido en el Obisbado de Catanea» 37 • Un reclamo alla Congregazione del concilio fu portato avanti dal capitolo della collegiata di Patemò, a motivo delle procurationes chieste dal Galletti nella sua prima visita pastorale38 . Il vescovo, a sua discolpa, fece pubblicare a stampa la risposta inviata alla Santa Sede: dopo aver descritto a forti tinte la situazione in cui egli aveva trovato la diocesi, aveva cercato di mettere in evidenza le iniziative pastorali predisposte per ristabilire la disciplina e rinnovare lo spirito cristiano. Questa lettera provocò un altro reclamo da parte di un canonico della cattedrale, nel quale si ribadivano le accuse e si molti-plicavano gli addebiti a carico del Galletti 39 •

37 V. LIBRANDO, op. cit., 384-385. Durante gli anni di governo del Galletti si ebbero le visite regie di Domenico Brancati (1732), dì Giovanni Angelo Dc Ciocchis ( 1743) e di Francesco Testa ( 1752). Se quella del De Ciocchis riguardava tutte le diocesi siciliane, le altre due furono indette solo per la diocesi di Catania, segno che i rilievi rnossi contro l'operato del vescovo erano stati presi in seria considerazione. 38 «Il riferito capitolo r... J fu obbligato in preparare al sudetto Monsignor Vescovo di Catania l'alloggio, seu il posento con tutta la provisione di vivere, di con1eslìbilc, e potabile, tanto per esso Vescovo, quanto per il di lui fratello e per il Vicario Generale e per tutte le loro rispettive fa1niglie, con1e pure al trasporto da Biancavilla in Paternò, per qual'effetto nello spazio di giorni dicci, che din1orò in detta citlà, si spese dal detto capitolo la somma di onze 51.5.12 [... ].Oltre la sudetta spesa [... ]esigette dalli sudetti dignità e canonici in particolare la so1nma di onze 43 e tarì 2 per raggione di visita[ ... ] ed altre onze 5 e tarì 2 per raggione di visita di delta chiesa collegiata e legati pii [... ]. Di più si prese onze 9 da sei 111anzionari [... ]. Sicché in tulto per la sudetta visita falla, inclusa la provisione di vivere cd altri co1ne sopra, si pigliò detto Monsignor Vescovo dal sudeuo capitolo e capitolari, chiesa collegiata, legati pii, manzionari e cappellani come sopra la somma di onze 114 e tarì 9, che Ìlnportano la valuta di scudi 285.9 di questo regno>:-. (CATANIA. ARCHIVIO CAPITOLO CATTEDRALE, Co11troversia giurisdizionale tra il Rev.n10 Capitolo della Santa Chiesa Cattedrale di Catania con l'J//.1no D. Pietro Galletti \!escavo di detta per alcune grafie ed esentioni accordate al Capitolo della Col/eggiata di Iaci Reale 11ell'an110 1731 [=Controversia], 184r). 9 Secondo l'accusa, il vescovo aveva calunniato i suoi predecessori -1 esagerando la descrizione negativa dello stato della diocesi; nella visita pastorale aveva chiesto più di quanlo prescrivevano le norme canoniche e aveva preteso le procurationes anche dai sacerdoti del territorio di Catania che ne erano esenti; in alcune città della diocesi aveva fatto pignorare alcune suppellettili perché i responsabili non erano stati in grado di pagare la somma dovuta; era solito conferire i benefici libera1nente, e non per concorso, per favorire le offerte dei pretendenti; nei processi penali contro alcuni sacerdoti aveva obbligato gli inleressati a dichiararsi rei per poter applicare una pena pecuniaria invece del carcere; erano aun1entate le vertenze e i ricorsi in appello e al tribunale della monarchia; i poveri che chiedevano


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Per quanto il vescovoi nella sua difesa, facesse notare che si trattava di uno scritto anonimo al quale, secondo la prassi comune, non bisognava dare credito, il reclamo seguì il suo corso"' e il Galletti non riuscì ad allontanare i sospetti che le accuse rivoltegli avessero un fondamento4J. L'argomento fu ripreso dal De Ciocchis nella visita regia del 1743 e dalle norme che egli emanò risulta evidente l'allusione alle accuse che venivano fatte al Galletti: la visita pastorale doveva essere fatta con sollecitudine, non di corsa; non si doveva pretendere o accettare liberamente nulla che non rientrasse nelle procurationes; queste stesse potevano essere richieste solo nei luoghi nei quali la visita era stata fatta realmente e per i giorni effettivi che erano stati impiegati; se in un giorno erano stati visitati più luoghi poteva essere accettata una sola procuratio42 . Sulla gestione della mensa vescovile il visitatore fu ancora più severo: il patrimonio di questo ente aveva subito un grave danno ed era necessario che venissero rivisti attentamente gli atti dell'amministrazione a partire dal 1730 (cioè gli anni della gestione Galletti), per informare persol'elemosina in vescovado erano stati percossi e 1naltrattatì; il vescovo aveva concesso dispense riservate alla Santa Sede e aveva spe1perato il patrimonio della cattedrale (ibid., 182v-183r). Degli storici catanesi solo il Ferrara, che ebbe fra le mani gli atti di questi ricorsi, sembra ritenere del tutto prive di fondamento le accuse rivolte al Galletti (F. FERRARA, op. cit., 240-241). 40 Per il suo esa1ne fu istituita una con1missione presieduta dal card. Cienfuegos, l'istruttoria fu affidata al can. Antonio Bru; le ragioni del capitolo furono esposte da d. Carlo Oietti. Il ricorso fu trattato presso la Congregazione dei Vescovi e dei Regolari, ponente il card. Nicola Spinola (Controversia, l82r-192v). 41 Troviamo l'eco di questi reclami nelle relazioni ad !in1ina che pubblichiamo. In una lettera alla Congregazione del 31 gennaio 1732, il Galletti si giustifica per le procurationes chieste nel corso della sua prima visita pastorale: «per quanto riguarda i ricorsi inviati contro di me alla Sacra Congregazione, soprattutto a proposito delle somme ricevute in occasione della visita pastorale, a prescindere da tutto il resto, solo questo voglio far notare: i nliei detrattori, che in futuro ricoln1erò di benefici, sanno bene che io non ho chiesto più di quanto consentono i sacri canoni, la prassi diocesana, l'esempio dei miei predecessori, in particolare ]'lii.mo e Rev.rno D. Andrea Riggio di felice memoria, l'Em.mo Cardinale Cienfuegos e Fr. D. Raimondo Rubi di santa memoria» (re!. 1731, 191r). Per valutare la fondatezia delle altre accuse la Congregazione chiese anche il bilancio della mensa vescovile, che il vescovo inviò nel 1733 !ran1ite il procuratore sac. Vincenzo Coniglio (rel. 1734, I 99r). Nella relazione del 1734 riferisce che il suo vicario generale non aveva visitalo la collegiata di Paternò, perché era ancora pendente presso la Congregazione l'esaine del ricorso presentato da quattro canonici (rel. 1734, 204v). 42 J. A. DE C1occHIS, Sacrae regiae visùationis per Sici/ian1 [ .. ]acta decretaque on111ia, Ili, ex lypographia Diarii Literarii, Panormi 1836, 31.


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nalmente il re e studiare assieme a lui i rimedi opportuni. Intanto, per evitare che nell'attesa di questo esame la situazione peggiorasse, il visitatore stabilì una serie di norme particolari che, assieme a quelle generali, avrebbero dovuto riportare l'ordine e sanare I'amministrazione43 • Nonostante le difficoltà incontrate, il vescovo riuscì a legare il proprio nome al raggiungimento di alcuni obiettivi di rilievo nell'opera di ricostruzione della città. Per quanto riguarda la cattedrale: fece approvare ed eseguire in parte il progetto del Vaccarini sul prospetto44 , le nude pareti interne furono arricchite di quattro grandi quadri commissionati al fiammingo Guglielmo Borremans45 , per i quadri esistenti nelle due navate laterali fece eseguire dieci cornici dorate in stile barocco46 , commissionò due

43 Ibid., 53; 196-200. Sull'atteggiamento severo, che il visitatore dimostrò nel corso della visita di Catania, avrà forse influito l'assenza del Galletti. Negli atti preliminari infatti si legge: «D. Iohannes Angelus de Ciocchis, regius generalis visitator [... ] vicarii generalis pro Episcopo aegrotante Panarmi, simulque capituli accepit obscquia» (ibid., 17). 44 Le controversie sorte sul progetto del Vaccarini e le difficoltà incontrate nella sua realizzazione sono descritte e documentate da V. LIBRANDO, op. ca. Nella sua difesa contro il ricorso presentalo da un canonico della cattedrale (1732) il Galletti scrive sul prospetto: «Infelice nella sua comparsa il prospetto di questa cattedrale, non ho tralasciato ogni studio per vedern1elo superbamente ingrandito, e già finora si vede piantala tutta la base della gran macchina di detto prospetto con un dispendio di qualche considerazione, sperando nella Maestà Divina che mi presti vita a ternlinarlo e mi dia aggiuto e providcnza per sovvenire all'urgenze della fabrica, che come di machina assai maestosa assorbisce la spesa, che sopravanza li scudi 30.000» (Controversia, 192r). 45 Nelle sue relazioni per due volte fa cenno di queste sue realizzazioni: «ho provveduto a mie spese all'acquisto di quadri artisticamente dipinti» (rel. 1730, 177v); «di mia iniziativa e a mie spese l'ho arricchito di nuovi quadri dipinti con straordinaria bravura e adornati di cornici indorate» (rel. 1737, 210r). Negli atli del ricorso presentato contro il Galletti da un canonico della cattedrale si nega che questi quadri siano stati fatti a sue spese: «scit populus Catanensis quod pecunia ad dictum effectu1n annuatim a cathcdrali a nonnullis ipsius designatis fundis exacta et depositata, cum nuper compleverit summam neccssafiam ad supradicta omnia inchoanda et terminanda, cura igitur et in1pensa dictae cathedralis, quin quadrantem dictus Episcopus contribuerit, supradicta omnia complementum habuere» (Controversia, 189r). Un documento pubblicato dal Librando ci informa di un progetto ainbizioso che il Galletti aveva commissionato al Borremans, per il quale aveva già stipulato un contratto di 3.000 onze: decorare con affreschi la grande navata della cattedrale. Dovendo pagare ingenti somme ai titolari di pensioni vitalizie, fu costretto a rinunziarvi (V. LIBRANDO, op. cit., 402~403). 46 V. M. AMICO, op. cit., III, 102; J. A. DE CIOCCHIS, op. cit., 173.


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organi: «Uno per li musici, grande, altro ad un registro con l'ossatura d'intaglio di legname dorato» 47 , donò alla sacrestia paramenti sacri e suppellettili varie48 • Nella curia fece costrnire la sede per l'archivio storico, dove furono raccolti e riordinati i registri sottratti alle rovine del te!Temoto49. Per le altre chiese o istituti: durante il suo governo pastorale si costruì la chiesa di San Camillo, 51' fu portata a compimento la chiesa del monastero di San Giuliano 51 , si completò la costrnzione del seminatio 52 • Non sappiamo quale effetto abbiano avuto le esortazioni a completare la sede dell'università degli studi, della quale fa cenno in una delle sue relazioni:

47 !bid., 175. Nella sua relazione del 1737, 210r il Galletti scrive che aveva arricchito la cattedrale «di due organi decorati con oro e dipinti». 48 Rcl. 1734, 201r; rel. 1737, 210r; CATANIA. ARCHIVIO CAPITOLO CATTEDRALE, Attestato a favore di Mons. Galletti per li giogali fatti alla chiesa; l'elenco dci paramenti e delle suppellettili donati dal Galletti si trova anche in J. A. DE CIOCCHIS, op. cit., 157-158. 49 Il Rasà riporta il testo di una lapide, che all'inizio di questo secolo si conservava ancora in curia e che probabilmente fu rimossa nei lavori di ampliamento del 1957: «Archivium episcopale terraemotu dirutun1, volumina .scripturarum variis ten1porum vicissitudinibus hinc inde dispersa frag1nenta que superaverant hic in unum redegit et maxima qua spcctas magnificentia omnibus numeris absolutum, proprio acre a fundamentis excitavit, erexit, ornavit Ill.mus et Rev.mus D. Petrus Galletti, praesulatus sui anno VIII» (G. RASA' NAPOLI, Guida e breve illustrazione delle chiese di Catania, Galati, Catania 1900, 415). 5 o G. POLICASTRO, op. cit., 59. 51 lbid., 47 e 108. 52 Nella prima relazione il Galletti scrive: «esortai i superiori l ... ] a portare a co1npi1nento con tenacia la costruzione dello stabile, iniziata dopo le rovine del terremoto dcl 1693» (rel. 1730, 178r). A distanza di sette anni può affermare: «mi recai nel scmina1io dei chierici per il cui edificio ormai completo nella sua struttura no1ninai i deputati» (rel. 1737, 210v). Deve essere corretto quanto scrive a tal proposito V. CORDARO CLARENZA, Osservazioni sopra la storia di Catania, IV, Riggio, Catania 1834, 102: la costruzione del sen1inario non era stata iniziata dal Galletti, ma dal Riggio; fu portata a compimento dal Galletti e non dal Ventimiglia, anche se il Ventimiglia ampliò i locali per renderli rispondenti al rinnovato ruolo che intendeva dare al seminario (G. POLICASTRO, Il seniinario arcive5covile di Catania, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale 44 [1948] 53-85: 69).


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«visitando l'università degli studi, di cui sono gran cancelliere, assieme agli altri responsabili, mi sono adoperato perché fosse diligentemente custodita e non ci fossero inlerruzioni nel portare a compimento la fabbrica» 53 .

Non era legata al terremoto la ricostruzione della chiesa madre di Piazza; dopo tanti solleciti e interventi che troviamo in quasi tutte le relazioni, nel 1751 il Galletti può scrivere con sollievo che era stata portata a compimento 54 • Negli anni del suo episcopato risulta sia stata costruita anche la chiesa madre di Centuripe55 • b) Clero, collegiate, cura delle anime

li Galletti, per la fmmazione ricevuta e per il modello ecclesiologico della controriforma che aveva fatto proprio, non può essere considerato un vescovo riformatore. Egli si muove nel solco della tradizione, che voleva una Chiesa forte con una organizzazione centralizzata, un clero nu1neroso riunito in collegiate per celebrare un culto fastoso e solenne, un popolo devoto e rispettoso. Nelle sue relazioni ad li mina sembra solamente interessato a far conoscere il numero delle collegiate esistenti nei singoli centri con le dignità, la pletora di canonici, mansionari, beneficiati e le rispettive insegne che spettano ad ognuno di essi. Egli supera i suoi predecessori nell'ini-ziativa di moltiplicare queste collegiate anche nei piccoli centii del bosco etneo e di Aci. Durante il periodo del suo governo ne erige otto: San Lorenzo ad Aidone, Immacolata a Centuripe, Santa Maria dell'Elemosina a Biancavilla, Spirito Santo a Nicolosi, San Nicola a Trecastagni, Santa Maria della Catena ad Aci Catena, San Filippo ad Aci San Filippo, Santa Lucia ad Aci Santa Lucia''"

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Rei. 1734, 201v. Rei. 1730, 178v; rei. 1739, 223v; rel. 1744, 235r; reL 1751, 256v. In una lapide posta all'interno dell'attuale cattedrale di Piazza Armerina si legge: «[ ... ] Hoc tc111plu111 [... ] nuperrime perfectu1n [... ] solemniter sacratur die XXI ottob. VI ind. 1743». 55 Rei. 1737, 213r; rei. 1739, 225r. 56 L'elenco delle collegiate esistenti nella diocesi di Catania negli anni del vescovo Galletti si trova in A. LONGHITANO, la parrocchia nella diocesi di Catania prirna e dopo il Co11cilio di Trento, Ist. Sup. di Scienze H.eligiose, Palermo 1977, 54


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Il buon funzionamento di queste collegiate esigeva un numero elevato di sacerdoti e di chierici; e il Galletti moltiplicò le ordinazioni facendosi guidare dal criterio del bisogno delle chiese 57 • Analoga soddisfazione egli sembra dimostrare quando sottolinea la particolare organizzazione della cura delle anime a Catania e in altri centri, dove non erano previsti pa1rnci perpetui ma cappellani amovibili, ai quali egli doveva concedere la facoltà di ricevere il consenso matrimoniale58 • Questa sua linea pastorale, più che nella mentalità comune del tempo trova spiegazione nelle scelte personali del Galletti, che non furono condivise dal De Ciocchis nella visita regia del 1743. Proprio su questi punti il visitatore formulò giudizi molto duri e diede indicazioni del tutto diverse per il futuro: il vescovo nella selezione dei candidati allo stato clericale doveva ammettere solo coloro che risultavauo idonei per dottrina e buon comportamento e possedevano un beneficio o un vero patrimonio personale; in caso contrario egli avrebbe dovuto provvedere al loro sostentamento col proprio patrimonio. Per rendere efficaci queste indicazioni il De Ciocchis prescrisse in pruticolare: che nessuno poteva essere ammesso allo stato clericale se, per almeno due anni, non fosse stato istruito nelle discipline civili ed ecclesiastiche in un seminario; che l'ordinazione ad titulun1 patrin1onii poteva essere conferita solo se rispondeva ad un reale bisogno della Chiesa; che il vescovo doveva stabilire, per ogni centro abitato della diocesi, il numero massimo di chierici e doveva espon-e questi elenchi nella cancelleria vescovile, in modo che tutti potessero venirne a conoscenza59 • 134. Nella relazione del 1751, 257r e 257v, c'è un cenno alle nuove collegiale di Aci Catena, Aci San Filippo, Aci Santa Lucia e Centuripe. 57 Rel. 1730, 177v: «[ ... ]conferendo a molti la tonsura, gli ordini minori e maggiori, secondo quanto richiedevano le necessità di ogni chiesa». Vd. espressioni analoghe al f. 18lv e nella relazione del 1731, 188r. 58 Rel. 1737, 210v, 21lv, 212v; rei. 1739, 223r, rei. 1744, 234v. Sviluppando questa organizzazione della cura d'anime, egli erige a Catania le chiese sacramentali di Santa Maria della Concordia, Santa Maria delle Grazie a Cifali e Santi Angeli Custodi. 59 J. A. DE CIOCCHIS, op. cit., 30. li 26 settembre 1736 erano state emanate dal re disposizioni 1nolto precise per l'ammissione dei candidati allo stato clericale e agli ordini sacri. Il Galletti le promulgò in diocesi con un suo editto e ne ordinò l'osservanza (CATANIA. ARCHIVIO CURIA ARCIVESCOVILE, Editti [=EJ 1735-1748, 9vllr); non sappiamo se poi ne tenne conto. Il suo successore, descrivendo nel 1762 le tristi condizioni in cui trovò la diocesi di Catania, fece rilevare l'eccessivo numero del


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Il visitatore si mostrò dissenziente anche sullo status giuridico dei cappellani amovibili: il vescovo doveva sceglierli mediante concorso e dopo la nomina avrebbe potuto rimuoverli solo per giusto e grave motivo, secondo le prescrizioni delle no1me canoniche. I cappellani sacramentali di Catania non avevano un reddito sufficiente e questo comportava danno per le anime e gravi inconvenienti nel culto; poiché il conte Ruggero solo alla mensa vescovile di Catania aveva concesso le decime dovute ai parroci, spettava al vescovo dare una congrna retribuzione ai cappellani sacramentali.w c) Seminario

Nelle prime relazioni il Galletti non si era soffemrnto a descrivere lo stato del seminario e non aveva fatto conoscere i suoi progetti su questo istituto, che stava particolarmente a cuore alla Santa Sede. Le preziose notizie sul se1ninafio sono contenute in una lettera integrativa della relazione del 1734. La Congregazione, notando questa lacuna, aveva chiesto al vescovo di colmarla e il Galletti, scusando la dimenticanza, trasmise una breve storia del seminario con i dati relativi al suo stato, raccolti nel corso della visita". Dopo aver visitato la cattedrale, egli si era recato in seminario e aveva ispezionato tutti i locali, compreso il carcere «previsto per punire le mancanze più gravi» e la biblioteca, che aveva subito non poche traversie negli anni dell'interdetto62 • Dalle notizie del vescovo si ha l'impressione che questo istituto avesse superato la grave crisi degli anni precedenti 63 e si avviasse a realiz-

zare il modello voluto dalla Santa Sede, anche se ancora non era in grado di accogliere tutti i candidati allo stato clericale e agli ordini sacri. Non devono trarre in inganno, infatti, gli ottanta alunni che esso accoglieva, per-

clero e il suo decadimento rnorale e intellettuale (A. LONGHITANO, La parrocchia ... , cit., 135). 60 Ihid., 35. 61 Rei. 1734, 207r-208r. 62 Jb;d., 207v. Notizie sulla biblioteca e sull'archivio storico dcl se1ninario di Catania si trovano in G. ZITO - C. SCALIA, Fonti per la storia della diocesi di Catania: /'archivio storico del sen1inario, in Synaxis I (l983) 295 - 313. 63 A. LONGHITANO, Le relazioni ((ad limina» ... , cit., 473-474.


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ché in questo numero sono inclusi i convittori, che vive-vano in seminario ma frequentavano le scuole pubbliche o l'università"11 problema di fondo resta sempre quello del patrimonio, che non se1nbra ancora sufficiente al mantenimento di una struttura così onerosa; infatti solo 12 alunn'i sono mantenuti gratuitamente, mentre tutti gli altri devono pagare ogni anno una retta di 30 once 65 • Il vescovo informa la Congregazione che ha rivisto le regole e ha predisposto orari più funzionali 66 • Il seminario non ha scuole proprie e i seminaristi frequentano i corsi scolastici presso il collegio della Compagnia di Gesù; ove due maestri sacerdoti li aiutano nello studio delle varie discipline: «gramn1atica, retorica, filosofia, teologia speculativa e morale. Gli alunni due volte al giorno, dinanzi ai suddetti maestri, ripetono alcune inalerie; una volta la settimana si fa l'esercitazione scolastica di compendio» 67 .

I superiori, la deputazione tridentina e il personale sono scelti con cura dal vescovo, che segue da vicino la vita dell'istituto 68 .

64 I convittori, pur vivendo nello stesso seminario e osservando gli stessi orari dei seminaristi, avevano un prefetto distinto e non indossavano la talare di colore ceruleo; la loro retta annuale era di 45 once, ma veniva loro assicurato un esperto in diritto canonico e civile come aiuto nello studio delle materie universitarie (rei. 1734, 207v-208r). 65 Jbid., 207v. La retta degli alunni, che erano mantenuti gratuitamente in seminario, veniva pagata da alcune città. Quando si rendevano vacanti questi posti, il vescovo indiceva un concorso con un pubblico editto. Vd. un editto del 31 marzo 1737 per un candidato nato a Paternò (E 1735-1748, 13v) e uno per tre alunni di Catania del 1742 (ibid., 36v-37r). 66 Rei. 1734, 207v-208r. 67 lhid., 208r. In questo contesto, nella formazione intellettuale del clero venivano riproposti i vecchi modelli che si rifacevano alla scolastica e alla controriforma; non esistevano, infatti, le condizioni perché nel seminario di Catania si affermassero i nuovi fermenti culturali, che da tempo si erano già n1anifestati in Sicilia. A tal proposito si legga il giudizio formulato, a metà dell'Ottocento, da uno scrittore catanese: «Nonpertanto a 1nisura che la scolastica spariva in Sicilia, Catariia la veniva raccogliendo nel suo seno, e la conservava in tutta la sua pomposa bruttezza: - quindi quella, tenace quanto la vita del vescovo Galletti, osava ancor contrastare l'ingresso qui alle nuove dottrine; se non che con la morte di quel vecchio prelato, - che recato avea scco nel clero di Catania tutti gli errori della vecchia sapienza, - la scolastica ebbe tomba con lui» (F. DI FELICE, Cenni biografici di scriltori ed artisti viventi catanesi, 1/1, D. Camparozzi, Catania 1848, 64). 68 Rei. 1734, 208r.


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d) Istruzione dei fedeli e del clero

I punti di forza del programma pastorale del Galletti erano costituiti dalla formazione cristiana dei fedeli e dall'aggiornamento teologico dei sacerdoti. Secondo la prassi seguita dalla Compagnia di Gesù, le vie maestre da seguire erano: le missioni popolari, le scuole di catechismo e i casi di coscienza che il Galletti, nelle sue relazioni, con una espressione ridondante chiama «scuole di teologia morale» 69 • - Missioni popolari Le missioni popolari si ricollegano alla predicazione itinerante, che si affermò in Europa nell'età gregoriana, a partire dalla fine del secolo XI, e si diffuse con l'avvento degli ordini mendicantim Nel periodo della controriforma le missioni popolari si svilupparono soprattutto ad opera dei gesuiti e dei cappuccini". Il modello seguito dai gesuiti si ispirava agli esercizi spirituali di s. Ignazio, ma non prevedeva solamente le prediche in chiesa, fatte secondo i principi dell'oratoria tradizionale: il predicatore, anzitutto, sceglieva quei temi che riteneva più idonei ad infiammare gli animi (il peccato, i castighi

69 Rei. 1730, 180r, 18lv, 182r, 182v; rei. 1731, 185v, 186r, 186v, 187r; rei. 1734, 202r, 203r, 204r, 204v, 205r. 70 In contrapposizione alla predicazione dotta, che amava il fasto delI'apparato ecclesiaslico e indulgeva alle sottigliezze scolastiche, il predicatore itinerante (o il n1issionario apostolico), viaggiava a piedi, vestiva umilmente, chiedeva dalla pubblica carità il pane quotidiano e si sforzava di coinvolgere i suoi ascoltatori attraverso un linguaggio semplice, ma forte ed efficace (A. FLICHE - V. MARTIN, Storia della Chiesa, X, SAIE, Torino 1976 2 , 235-252; H. JEDIN, Storia della Chiesa, IV, Jaca Book, Milano 1975, 584-600; V/I. Milano 1975, 242-259; L. lRIARTE, Storia del ji·a11cescanesin10, Dchoniane, Napoli 1982, 183-193; H. VJCAIRE, Storia di S. Do111e11ico, Paoline, Rorna 1983, 564-587). 71 A. FL!CllE - V. MARTIN, op. cit., XIX/I, Torino 1974, 96-98; S. PAOLUCCI, Missioni dei Padri della Co111pag11ia di Gesù nel Regno di Napoli, Napoli 1651; A. GUIDETTI, Le n1issioni popolari. I grandi gesuiti italiani, Rusconi, Milano 1988; C. CARGNONJ, La predicazione dei fj·ati cappuccini nell'opera di rff'orn1a pron1ossa dal Concilio di Trento, Conferenza Italiana Sup. Prov. Cappuccini, Roma [senza dataj; (Ì. DE ROSA, Linguaggio e vita rehgiosa al!raverso le rnissioni popolari del Mezzogiorno nell'età n1oderna, in Orientan1e11ti sociali 2 (1981) 7-37, ora in Vescovi, popolo e 1nagia nel Sud, Guida, Napoli 1983 2 , 195-226.




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di Dio, la mmte, il giudizio, l'inferno ... ) e per raggiungere il suo scopo fa. ceva ricorso ad una particolare scenografia fatta di luci sapientemente attenuate, di teschi e di cenere. Alle prediche seguivano flagellazioni pubbliche degli astanti (prima si facevano uscire le donne), processioni con persone incatenate o striscianti per terra, suoni di can1panacci, inusiche, rappresentazioni sacre ... Erano previsti corsi di catechismo per bambini e adulti. Si orga-nizzavano incontri di riconciliazione fra persone che notoriamente erano in discordia, visite alle carceri, pranzi per i poveri, processioni per la prima comunione dei bambini. Perché il frutto delle missioni perdurasse nel te1npo si istituivano congregazioni e si invitavano i fedeli a iscriversi ad esse, per seguire le pratica di pietà e di carità prescritte dagli statutin Il Galletti, durante la sua prima visita pastorale, aveva già progettato una missione da tenere in tutta la diocesi. A conclusione della relazione del 1730 così scrive: «a questa inia visita nel prossimo mese di noven1bre ne seguirà un'altra che non sarà inferiore per l'utilità spirituale delle anime. Si lratta della sacra missione che terrà in tutta la diocesi il p. Antonino Finocchio, 1nissionario apostolico della Compagnia di Gesù; in essa, oltre alle assidue prediche, alle altre esercitazioni, ai commenti delle cose che portano alla salvezza, saranno proposti pubblicamente gli esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola, secondo la prassi dci 1nissionari della Compagnia di Gesù; in tal 1nodo le verità evangeliche da 1ne piantate per tutta la diocesi saranno irrigate dal sudore di questo apostolo>) 73 .

La missione prese l'avvio dalla città di Catania subito dopo il terremoto del 18 novembre 1731. Il vescovo fece stampare una relazione di queste missioni e si premurò di inviarla alla Congregazione del Concilio, in risposta alla lettera che lo informava dei reclami pervenuti contro il suo

72

A. GUIDETTI, op. cii., 63-80; G. DE ROSA, op. cii., 195-210. Re\. 1730, l83v. Nei registri della curia sono annotate le particolari facoltà concesse al p. Antonino Finocchio, che doveva predicare le tnissioni in tutta la diocesi (TA 1730-1731, 11 Ov-11 lv). Sulla figura di questo predicatore apostolico vd.: A. M. CoLTRARO, Ristretto della vita dcl P. Antonio Finocchio della Con1pagnia di Gesù, n1issionario, A. Felicella, Palenno 1761; A. GUIDETTI, op. cit., 165-166. 73


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operato 74 • Sperava, in tal modo, di correggere l'immagine negativa che la Congregazione poteva essersi formata in seguito alle accuse dei suoi diocesani75. Il racconto dell'anonimo cronista descrive minutamente lo svolgimento della missione: «li giorno di lunedì appena tem1inata l'ora di pranso si disposero nel gran piano di S. Agata 1nolti confessionali: ne' quali non solo e religiosi e secolari confessassero, ma anche con singolare esemplarità il n1edesi1no Vescovo, come per tutlo quel giorno ed il 1nartedì seguente fu posto in pratica. Fra questo mentre il P. Antonino Finocchio, gesuita, per ordine del Prelato, conducendo seco alcune persone, col Crocifisso girò la cillà per radunare la gente al sudetto piano di S. Agata ed ivi ascoltare la predica; cd infatti circa le ore 22 col suo gran zelo cominciò talmente a commuovere gli animi di tutti gli ascoltanti che altro non si sentì se non pianlo universale ed altro non si osservò, se non continuato concorso alle confessioni sino la sera molto tardi 76 ».

74 «I-Io già incominciato ad attuare ciò che avevo promesso di fare alla Congregazione dopo la conclusione della mia visita; e cioè di iniziare le sacre missioni per tulta la diocesi, a partire daUa cattedrale, in occasione del tremendo terremoto, che nel novembre scorso squassò con incredibile terrore gran parte de11a Sicilia. I1 rev. p. Antonio Finocchio della Compagnia di Gesù e il p. Domenico Ferrara, napolelano, dei frati predicatori, hanno dato inizio a predicazioni, pubbliche processioni penitenziali e altri pii esercizi per sedare l'ira divina, con grandissimo frutto per Ie anime, come è possibile constatare, se le Eminenze Vostre Io vorranno, da1la relazione a stampa che ho osato inviare tramite il mio agente Santo Teodoro Mani» (rei. 1731, I91r). Copia del fascicolo a stampa di questa relazione si trova nella BIBLIOTECA CIVICA DI CATANIA, Relazione distinta della s. Missione fatta in questa città di Catania in quest'anno 1731 per 01·dine di Monsignor !!lustrissimo e Reverendissilno D. Pietro Galletti, Vescovo della suddetta Città, dal/i 18 11oven1bre sino a/li 16 dicembre, in occasione del tremuoto, Bisagni, Catania 1731. 75 Nella sua autodifesa, dopo il reclamo presentato da un canonico della cattedrale, il Galletti scrive: «lo senza che intendessi recar pregiudizio alla felice 1nemoria, zelo e disciplina che viarono i luminari maggiori dei miei Predecessori, per la riforma del gregge di questa diocesi posso con ragione dire, che in te1npo del loro governo non mai si viddero sì strepitose missioni, come ultimamenle a mie ricerche si fecero qua in circostanza dell'accaduto ten·emuoto in nove1nbre, oltre quelle per tutta la diocesi, che hanno partorito tutte riforme di costu1ni, mutazioni di vita e profitto universale delle ani1ne» (Controversia, 192r). 76 Relazione, cit., 5. Questo racconto ricalca il metodo che il p. Finocchio di solito seguiva nelle missioni, così come viene descritto dal suo biografo (A. M. COLTRARO, op. cit., 17-24).


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Alla prima predica del lunedì seguì il giorno dopo la processione penitenziale: «la mattina si dispose una numerosa processione di penitenza, in cui intervennero lutti gli ecclesiastici regolari e secolari, tutte le congregazioni con corona di spine sul capo, corda al collo ed in ultimo Monsignor Illustrissimo, che portava la sacra Reliquia della 1nammella della gloriosa vergine e martire S. Agata concittadina e protettrice di questa città di Catania, portava le aste dcl baldacchino l'illustrissimo senato e dopo questo seguitava un popolo sì numeroso, che a commun credere avan. zava le 12.000 persone» 77 .

Nei giorni seguenti al p. Antonino Finocchio si affiancarono due missionaii apostolici domenicani: il p. Domenico Seiio della Saracena18 e il p. Domenico Ferrara, che predicarono turni di esercizi spirituali per le diverse categorie di persone in alcune chiese della città: cavalieri, dottori e procuratori, dame, mercadanti e negozianti. La relazione si chiude con un ringrazia1nento a Dio e al vescovo «che per la salule spirituale delle sue pecorelle sebbe chiamare uomini apostolici, assistendo sen1pre a tutte le missioni; acciò di lui si verificasse che sa pascere il suo gregge verbo et exe111plo>> 79 .

- Catechismo Nelle relazioni ad limina del Galletti, i due richiami costanti, che troviamo per ogni centro abitato da lui visitato, riguardano le scuole di catechismo e di teologia morale. Da questi riferimenti e dalle regole della

77

L. c. Il nuinero riportato è chiarainente esagerato se si considera che la città di Catania, nella visita regia del 1743, risulta che contasse 23.264 abitanli (J. A. DE CIOCCHIS, op. cit., 19). 78 In un suo volume, che ebbe nlolte edizioni, è descritto il metodo seguito nelle missioni popolari da lui predicate: Esercizi di rnissione, opera del P. F. Don1enico Serio della Saracena, lettore di theo!ogia e nella diocesi di Carpaccio e Tricarico, già consultor del Sant'Ujjizio, dell'ordine dei predicatori, Napoli 1724. 79 Relazione, cit.,. 14. Al p. Ferrara il Galletti affiderà anche il compito delicato di riportare la disciplina religiosa nel monastero benedettino femminile di Santa Lucia nel comune di Adcrnò (rei. 1734, 204v).


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congregazione per la dottrina cristiana, fondata a Catania nel 1735, possiamo ricostruire per sommi capi il piano pastorale del vescovo sulla catechesi80. La sua iniziativa non sembra originale, perché si inserisce nel movimento catechistico formatosi nelle diocesi siciliane nella prima metà di questo secolo 81 , né tanto meno può essere considerata riformista, perché il Galletti era ancorato alla prassi tradizionale dei gesuiti, che adottava il catechismo romano del Bellarmino82 • Egli, comunque, sembra animato dalla ferma volontà di assicurare l'istruzione cristiana secondo i metodi allora ritenuti validi. Considerato l'analfabetismo della quasi totalità della popolazione, si preferiva l'uso del siciliano 83 e ci si affidava alla memoria, per far sì che gli elementi ritenuti fondamentali della dottrina cristiana diventassero patrimonio personale di ogni fedele 84 • Nella relazione del 1737 il vescovo scrive di avere pubblicato e diffuso nella diocesi un suo catechismo 85 •

HO CATANIA. ARCHIVIO STORICO DEL SEMINARIO ARCIVESCOVILE, Regole, istruzioni e capitoli, che si prescrivono per osservarsi i11violahiln1ente dal/; RR. PP. della Venerabile Congregazione della Dottrina Cristiana, fondata in questa città di Catania nell'anno del Signore 1735 [... ],[=Regole]. 81 L'arcivescovo di Palermo G. Gasch aveva istituito nel 172 I una congregazione della dottrina cristiana, che servì da inodello per iniziative analoghe nelle altre diocesi della Sicilia. Il Galletti in quegli anni svolgeva il ministero di parroco a Palermo, perciò poteva contare su una propria esperienza specifica in materia. Per la problematica della catechesi in Sicilia nel secolo XVIII vd.: G. DI FAZIO, Salvatore Ventin1iglia e il rinnovan1ento della catechesi nel Settecento, in Orientan1enti sociali (1981) 63-102; ID,, Vescovi r;fonnatori e cristianizzazione della società nella Sicilia del Settecento, in Synaxis 2 (1984) 447-472; L. LA ROSA, Storia della Catechesi in Sicilia, Ligeia, Saveria Mannelli 1986, 131-188. 82 «Ho ordinato che ogni domenica, ne1Ja cattedrale, in mia presenza, i padri della Compagnia di Gesù, secondo il loro n1etodo, spiegassero i primi elementi della dottrina cristiana a tutti gli alunni delle scuole e ad una grandissima folla di cittadini» (re!. 1730, l 78r). 83 Per i problemi legali all'uso del siciliano nella catechesi e nella predicazione vd. F. Lo PIPARO, Sicilia linguistica, in La Sic;/ia (a cura di M. Aymard e G. Giarrizzo), Einaudi, Torino 1987, 733-807: 751-758. 84 «Perché i fanciulli e gli analfabeti apprendano e ritengano facilmente, spiegano ad alta voce e in dialetto le verità insegnate)) (rei. 1737, 21 lr). 85 «Ho stampato a mie spese un compendio della dotlrina cristiana sempre in dialetto e l'ho diffuso ampia1nente fra i cappellani curali in tutta la diocesi» (/. c.). Nelle biblioteche catanesi non ho trovato copia di questo catechismo.


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Negli statuti della congregazione della dottrina cristiana è descritto il metodo che i catechisti devono seguire: «A.ssignato già il Padre il suo luogo [... ], cominci la istruzione suggerendo a poco a poco, de 11erbo ad verhum senza nessuna mutazione, le parole della nostra Dottrina; e non passino innanzi se prima non avranno i figliuoli imparata la prima parte e le prime petizioni; ed accorgendosi che le sappiano, passerà alle altre dimande e così successivamente, non curandosi tanto di spedire tutta la Dottrina in un giorno, ma che insegnino quel tanto di che saranno capaci li ragazzi, replicando più volte l'istesse interrogazioni, finché l'apprendano bene»B6 . «Il Padre sudetto sedendo aprirà il libretto della Dottrina e senza mutare le parole, tali quali sono, di parola in parola, senza glossare, spiegare o predicare, in tono familiare e con pausa l'insegnerà alli figliuoli» 87 .

Si tratta di un metodo che si fonda su una fiducia illimitata e quasi magica della formula imparata a memoria. Il catechista non deve far conoscere le verità della fede attraverso un linguaggio idoneo .alla cultura degli ascoltatori, né tanto meno deve preoccuparsi di spiegare prima il senso delle formule che deve insegnare; suo compito esclusivo è ripetere meccanicamente le formule contenute nel compendio; si rite1Tà soddisfatto quando tutti le hanno imparate a memoria. Nelle relazioni non troviamo elementi utili per conoscere l'organizzazione delle scuole di catechismo fondate nei diversi centri della diocesi. Responsabili di queste scuole erano i panoci 88 o un incaricato dal vescovo89. Non sappiamo se anche nelle altre città erano state fondate le congregazioni della dottrina cristiana. Sembra, però, che nei diversi centri

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Regole, c. 20 § 10, 65. Ibid., c. ultimo senza numero, § Il, 78. 88 «Ho stabilito che tutti i parroci, ogni domenica, con grande costanza istruissero i fanciulli e il popolo nei primi elementi della dottrina cristiana» (rel. 1730, 179v). «Ho istituito nelle singole parrocchie la scuola di catechismo per la co1nune utilità degli incolti» (ibid., 181 v ). «Per aiutare i fedeli incolli ad imparare la dottrina ciistiana comminai al parroco le pene previste dai sacri canoni» (rel. 1731, 187r). «Ho istituito una scuola di catechismo nelle chiese sacramentali» (ibid., l 87v). 89 «Ho nominato un prefetto per l'insegnamento della dottrina cristiana ai bambini incolti» (rel. 1737, 212r). «Ho deciso di nominare come prefetti della dottrina cristiana persone che si distinguevano non solo per dottrina e integrità di costumi, ma per prudenza ed esperienza di vita>> (rel. 1739, 222r). 87


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abitati fosse possibile contare su un certo numero di catechisti disposti a recarsi anche nelle campagne per raggiungere i pastori o i contadini. 91' A! tema della catechesi era collegato un altro problema, al quale !a letteratura specializzata non ha prestato sufficiente attenzione: i! controllo esercitato da! vescovo sull'insegnamento catechistico nelle scuole pubbliche. Nelle costituzioni della congregazione della dottrina cristiana fondata dal Galletti, il capitolo XXI tratta «di un'altro ob!ig0>> dei congregati: «d'invigilare ad aver cura delle scuole publiche» maschili e femminili". Era previsto un controllo più frequente per le scuole femminili; mentre per le scuole maschili troviamo indicazioni generiche, per quelle femminili si specifica: «si rimette al Padre Prefetto l'osservanza di questa regola con inviare di tanto in tanto, ovvero ogni mese e come 1neglio può pratticarsi, due Padri aln1eno, or ad una, or ad un'altra di dcue scuole di feininc [... ]. Andando in dette scuole [... ] procurino di osservare i deportamcnti delle maestre verso le figliuole nelle cose della Dottrina, per vedere se le dette 1naestre co1npiscono col suo obligo di ainmaestrare le discepole nelle cose spettanti alla Dottrina ed osservando qualche disordine ne diano al Padre Prefetto la notizia, acciò questi ne facci consapevole Monsignor Illustrissimo per dare gli opportuni ri1nedi» 92 .

- Casi di coscienza Nella sua prima relazione il Galletti, dopo aver informato la Santa Sede che ha riptistinato l'insegnamento del catechismo, caduto quasi in disuso e trascurato, scrive che non ha «adoperato minore in1pegno ed entu-

90 «Oggi a tutti è noto il vivo desiderio per Io .studio del catechis1no che c'è nella mia diocesi, anche nei giovani della ca1npagna. Non 1nancano operai evangelici dediti al difficile compito della loro istruzione; abbandonale le ciHà e i paesi, .si recano nelle abitazioni dei pastori e fanno di tutto per preparare i giovani della campagna non solo a ricevere i sacramenti, 1na a istruirsi nei cinque capitoli fondan1entali della dottrina cristiana, nei quali il nostro catechis1no cattolico si compendia. Credo, perciò, che questi bambini possano a ragione essere paragonati al granello di senape, che è il più piccolo fra i semi degli ortaggi, n1a è destinato a diventare un grande albero per la diffusione della sacra dottrina e dei misteri della fede presso gli stes-si parenti» (rcl. 1739, 222v). 91 Regole, c. XXI,§§ 1-2, 67-68. 92 l. c.


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siasmo nel promuovere negli ecclesiastici lo studio della teologia morale»93. Questo studio, secondo la tradizione dei gesuiti e la prassi comune, coincideva con la lettura dei casi di coscienza; perciò il Galletti, nelle sue relazioni, adopera come sinonimi le due espressioni: «scuola di teologia rri.orale» e «lettura dei casi di coscienza». All'origine di questa impostazione del problema c'era il decreto dottrinale del Concilio di Trento del 1551, che considerava la confessione come un tribunale in cui il penitente, in qualità di reo, doveva confessare tutti e singoli i peccati mortali e le circostaoze che ne mutavano la specie, e il confessore, in qualità di giudice, doveva valutare la loro gravità prima di dare l'assoluzione94 • Nacque, in tal modo, la morale casistica o studio dei casi di coscienza, che non si preoccupava di ricercare i fondamenti etici dell'agire cristiano, ma partiva dall'analisi dei diversi casi possibili di comportamento con il duplice scopo di aiutare la coscienza dei fedeli a formulare indicazioni facili e sicure, e di agevolare il compito del confessore nel dare un giudizio di assoluzione o di condanna95 • Si deve a questa impostazione metodologica la perdita dello specifico cristiano per la teologia morale e lo sviluppo del probabilismo96 e del lassismo, che con le polemiche antigesuitiche determinarono l'affermazione del rigorismo e dell'etica giaosenista, fondata su una visione negativa dell'uomo97 •

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Rel. 1730, I 78r. Sess. XIV, c. 5. 95 La casistica non era l'unico metodo di studio della teologia morale seguito nelle università; tuttavia con la fondazione dei seminari finì con l'affermarsi come insegnamento rispondente ai bisogni della pastorale sacramentaria. Nella ratio studiorum si privilegiarono le questioni pratiche e nei corsi di aggiornamento per il clero, che per la sua scarsa preparazione non era in grado di affrontare grandi problemi dottrinali, lo studio dei casi di coscienza finì per diventare l'unico approccio dei sacerdoti agli studi teologici.' Su questo tema vd.: G. ANGELINI - R. VALSECCHI, Disegno storico della teologia n1orale, Dchoniane, Bologna 1972; L. VEREECKE, Storia della teologia morale, in Nuovo dizionario di teologia morale (a cura di G. Piana e S. Privitera), Paoline, Milano 1990, 1314-1338. 96 TH. DEMAN, Probabilisme, in Dictionnaire de Theologie Catholique, XIII, Letouzey et Ané, Paris 1936, 417-619. 97 Durante gli anni di governo pastorale del Galletti anche in Sicilia fu molto accesa la polemica contro i gesuiti, il loro metodo di studio della teologia e la difesa a oltranza delle tesi della controriforma. Ad una di queste polemiche partecipò anche il domenicano Daniele Concina (D. ScINÀ, op. cif., II, 147-179), oppositore della 94


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Il piano che il Galletti attuò a Catania fin dall'inizio del suo governo pastorale prevedeva la lettura regolare e sistematica dei casi di coscienza per il clero nei centri abitati della diocesi. Tutto il clero era obbligato a partecipare se non voleva incorrere nelle pene canoniche stabilite dal vescovo98. Nei centri in cui sorgevano case o collegi dei gesuiti affidò a loro la responsabilità di organizzare e tenere questi corsi 99 ; in mancanza dei gesuiti si affidò a persone competenti di altri ordini religiosi o al clero diocesano 100 • In tal modo appare pacificamente accettata anche dagli altri ordini religiosi la prassi di aggiornamento nella teologia mediante la casistica. - Scuole di canto gregoriano Per comprendere la personalità del Galletti in tutte le sue componenti ci sen1bra doveroso segnalare il suo interesse per il canto gregoriano che, nonostante i gusti barocchi dell'epoca, ci fa intuire un suo amore per la tradizione classica. Dalle sue relazioni risulta la fondazione di scuole di canto gregoriano a Piazza e ad Acirea1ew 1•

casistica e fautore di un diverso approccio n1ctodologico alla teologia n1oralc (S. CONSOLI, Morale e santità. Metodologia per una n1orale teologica secondo D. Concina, La Roccia, Ro1na 1983; Io., Antropologia e rnora/e. li pensiero e /'esperienza di Daniele Concina (). P., in Synaxis 7 [1989] 139-170). 98 «I bisogni del 1nio gregge e il dovere che sento per la sua cura, nel corso della rnia precedente visita fatta il 15 maggio 1736, mi hanno spinto a istruire il clero nella teologia n1orale; perciò, dovunque ho istifuito lettori di questa disciplina e ho con1minato pene a quei chierici che non partecipavano alle lezioni» (rel. 1739, 222r). 99 A Catania i corsi si tenevano sia nel collegio della Co1npagnia di Gesù, sia nella cattedrale, ogni giovedì (rei. 1730, 178r). Anche a Piazza e ad Enna il clero doveva recarsi nel collegio dei gesuiti (ihid., I79v, 181v). 100 Ad Adernò e a Biancavilla affidò i corsi ad un francescano dell'osservanza (rel. 1731, I86r - 186v), a Paternò ad un domenicano (ihid., 187r). In altri luoghi scrive generican1ente: ·:<ho nominato un lettore di teologia 1noralc» (rel. 1737, 212r). Anche nei piccoli centri del bosco etneo, dove non esistevano ca.se religiose, furono istituite «scuole di teologia morale» (rei. 1734, 202r). 101 Rei. 1730, l79v; rel. 1731, 187v. Per il ten1a del canto sacro vd. F. RAINOLDI, Canto e n1usica, in Nuovo dizionario di liturgia, Paoline, Roma 1984, 198212 e la bibliografia ivi indicata.


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e) La disciplina dei monasterijemminili

Alla situazione generale di crisi della diocesi di Catania non sembra fossero sfuggiti i monasteri femminili. Nella prima visita pastorale il Galletti annota il suo intervento in diver8i monasteri 102 • Intervenne con particolare energia a Piazza e ad Ademò. Nella prima città le monache di San Giovanni e di Santa Chiara non osservavano più la vita comune e nel monastero della Santissima Trinità una monaca dimostrava una eccessiva familiarità con un nobile del luogo""- Ad Adernò trovò una situazione particolarmente grave nel monastero di Santa Lucia, «che aborriva la vita comune e la povertà, e sembrava tutto proteso ad esercitare il commercio a favore dei parenti» 104 • Se fin dalla seconda visita pastorale la situazione generale sembrò tornare alla normalità, fu necessario un particolare intervento per estirpare gli abusi nel monastero di Adernò"'5 • I problemi non furono definitivamente 1isolti se il Galletti, in tutte le sue relazioni, sentì il bisogno di affrontare di nuovo questo argomento 106 •

102 Piazza (San Giovanni, Santa Chiara e Santissi1na Trinità), rel. 1730, l 79r; Aidone (Santa Caterina), ihid., 179v; Enna (San Michele), ibid., l80v; Calascibetta (Santa Chiara), ihid., J8lv; Adernò (Santa Lucia), rel. 1731, 186r; Acireale (Sant'Agata), ihid., 188r. Hn «Poiché ero stato inforn1ato che nel monastero della Santissitna Trinità una monaca era legata da vincoli di eccessiva familiarità e frequenza con un certo nobile, cose indegne dello stato religioso, prin1a cercai di convincerla con avvertimenti salutari, poi con la 1ninaccia delle pene canoniche perché si astenesse da quella familiarità; 1na poiché tutto ciò non servì a nulla la colpii con il fulmine della scomunica» (rel. 1730, l 79r). 104 Rel. 1731, 186r. Le nonne emanate il 24 luglio 1732 per riportare l'osservanza in questo monastero si trovano in TA 1731-1732, 400v-401v. rns «L'anno precedente con improba fatica avevo liberato questo 1nonastero dal co1nmercio, dalla smodata libertà e dall'eccessivo numero di serve, giovandomi dell'opera e dello zelo del inai lodato abbastanza p, Domenico Ferrara, domenicano, missionario apostolico. Questi, facendo le mie veci, cacciò via i laici e il gran numero di serve e riportò le monache all'osservanza della regola e alla vita comune» (rei. l 734, 204v). 106 «Questo monastero per la cattiva condotta di alcune monache ha dato non poco scandalo al popolo; perciò, con tutte le inie forze tni sono itnpegnato a riformarlo. Ho istruito le monache con diversi corsi di esercizi spirituali di S. Ignazio, predicati dai padri della Cotnpagnia di Gesù, inviati appositan1ente da me; ho proibito i colloqui con i secolari e gli ecclesiastici, ad eccezione dei consanguinei in


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f) Istituzioni di carità

- Conse1vatori e Collegi di Maria Nelle relazioni del Galletti si ha una testimonianza della presenza, in vari centri della diocesi, di istituti per l'educazione e la formazione di ragazze. Si tratta dei conservatori e dei Collegi di Maria, due istituzioni molto simili nelle finalità e nella struttura. I conse1vatori potevano assumere configurazioni diverse: mfanott·ofi e ricoveri per bambini senza casa o istituti di beneficenza, in genere mantenuti dalla carità pubblica; conventi femminili senza clausura e senza voti, mantenuti da elemosine e fondi pubblici, aperti alle fanciulle povere e senza dote. Si trattava di una delle tante iniziative di carità, sorte all'inizio dell'età moderna per prevenire i pericoli ai quali erano esposte, in modo particolare, le ragazze. Alle ricoverate si dava una formazione religiosa e si insegnava un'attività consona alla loro condizione: taglio e cucito, ricamo, arti femminili in genere 107 .

I Collegi di Maria si proponevano un analogo scopo di educazione e di istruzione della gioventù femminile, e dal Lazio, in cui erano nati nel 1721, si erano diffusi particolarmente in Sicilia, con una regola generale preparata dal card. Corradini, ma con statuti particolari per ogni diocesi 108 • Proponendosi di risolvere uno dei problemi sociali molto sentiti (l'educazione e la formazione delle ragazze), i Collegi di Maria furono accolti con favore e gli stessi feudatari si adoperarono per fondarli nelle teffe soggette alla loro autolità.

primo e secondo grado, che potevano avvenire solo una volta la settimana; fo fatto apporre alle finestre le grate di ferro più strette di quelle che già c'erano; dopo avere stabilito la pena ai trasgressori ho esortato tutte all'osservanza delle regole)> (rcl. 1737, 213v). Ma nella relazione successiva annota: «Nella mia precedente visita mi ero in1pegnato, con tulte le mie forze, a ricondurre all'osservanza delle regole questo 1nonastero, che la cattiva condotta di alcune n1onache aveva discreditato. Quando mi fu riferito che, di proposito o per caso, erano state divelte le grate di ferro strette che io avevo falto apporre alle finestre, volli che venissero rafforzate con il pio1nbo e ho comn1inato la scoinunica perché nessuno più osasse rimuoverle» (rel. 1739, 225r225v). Per altri interventi vd. rel. 1746, 246r; reI. 1751, 257v. 107 T. LEDOCHOWSKA, Conservatorio, in Dizionar;o deg/; ishtuh di pe1fezione, II. Paoline, Roma 1973, 1627-1629. ios G. ROCCA, Collegi di Maria, in Dizionario ... , cit., 1223.


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Non sappiamo se il Galletti, nelle sue relazioni, adoperi una terminologia univoca per indicare orfanotrofi e conservatori. Comunque egli documenta la presenza di orfanotrofi nelle seguenti città: Catania 109 , Enna 110 , Piazzai 11 • I conservatori se1nbrano più diffusi a Catania 112 , Piazza 113 , Enna 114 , Calascibetta 115 , Assoro 116 , Acireale 117 , Adernò 118 ,

Biancavilla119 • I Collegi di Maria incominciavano ad essere istituiti in quegli anni (Leonforte 120 , Piazza 121 , Assoro 122 ). - Monti di pietà Fra le opere di carità che contrassegnarono il periodo tridentino e della controriforma spiccano i monti di pietà, istituti che si prefiggevano soprattutto di combattere l'usura, concedendo piccoli prestiti su pegno alle classi meno abbientim. L'importanza che la Santa Sede dava a questi istituti era tale, che nel processo informativo per la nomina dei vescovi, con apposite domande, si chiedeva ai testimoni se esistesse nella diocesi il monte di pietà; in caso contratio, nella bolla di nomina, si raccomandava al vescovo neo eletto la sua erezione.

109 Rei. 1730, 178r; rei. 1737, 2 !0v; rei. 1739, 223v; rei. 1744, 235r; rei. 1751, 256v. !IO Rei. 1730, l80v; rei. 1734, 203r; rei. 1737, 212r. 111 Rcl. 1737, 21lv; rel. 1739, 224r. 112

Rcl. 1751, 256v.

" 3 ll 4

Rei. 1734, 202v; rei. 1746, 245v. Rei. l 746, 246v. Rei. 1734, 203v.

115

116

Rel. 1751, 257r.

" 7

Rei. 1737, 213r; rei. 1746, 245r; rei. 1751, 257r. "'Rei. 1734, 204v; rei. 1746, 246r; rei. 1751, 257v. 119

Rcl. 1751, 257v.

120

Rei. 1737, 212r; rei. 1751, 257r.

121

Rel. 1739, 224r. Rei. 1751, 257r. 123 La discussione sulla liceità di un piccolo contributo per coprire le spese di gestione dci monti di pietà (da alcuni veniva considerato comunque una forma di usura) fu troncata definitivamente nel 1515 dal IV Concilio Lateranense (Conciliorun1 oecu1ne11icorun1 decreta, Istituto per le Scienze Religiose, Bologna 1973, 625-627). L'intervento del Concilio segnò la diffusione di questo istituto. Sul tema vd. G. CONIGLIO, Monti di pietà, in Enciclopedia Cattolica, VIII, Città del Vaticano 1952, 122

1378-1380.


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Abbiamo già visto che una raccomandazione del genere era stata fatta al Galletti e sembra che, durante gli anni del suo governo, siano state fatte iniziative concrete per la sua ricostituzione. Un documento del 1736 ci informa che alcune persone «mosse di zelo e carità, riflettendo alla necessità de' poveri ed all'inconvenienti che resullano la 1nancanza d'un monte [ ... ], hanno approntato al!'Ill.mo Senato di questa città certa somma da esse accumulata e ricolta per ele1nosina affine d'erigere in questa suddetta città il detto monte» 124 •

L'iniziativa fu accolta con favore dalle autorità civili; ma la somma a disposizione non era sufficiente per costruire o affittare l'edificio necessario e per pagare gli stipendi agli impiegati. Perciò si chiese al vescovo l'autorizzazione «di poter esigere dalle persone, alle quali acco1nn1odiranno il danaro di detto monte, li frutti alla raggiane del cinque per cento, per la sodisfazione di ditti salari de' suddetti ministri e per l'edificazione o compra di detta casa. Ira cl1e augmentandosi [ ... ] debba detto n1onte discalar di tempo in te1npo la raggione di frulli con minorarli a corrispondenza di quel tanto che prccisainente necessita» 125 •

Il vescovo diede il suo assenso e c'è da supporre che il monte di pietà abbia potuto riprendere la sua attività. Meraviglia che nelle relazioni ad limino non si faccia cenno dell'esistenza di questo istituto a Catania, mentre esso risulta operante nelle città di Piazza 126 e Acireale 127 • - L'ospedale degli incurabili Nel 1755, quasi alla fine dell'episcopato Galletti, per iniziativa di un gruppo di cittadini, fu istituito a Catania !'ospedale Santa Marta, destinato

124

TA 1735-1736, 135v-137r: 135v. L. c. 126 Rei. 1737, 21 lv; rei. 1739, 224r; rei. 1744, 235v; rei. 1751, 256v. 127 Rei. 1737, 213r; rei. 1739, 225v; rei. 1746. 245r; rei. 1751, 257r. li inontc di pietà era stato fondato verso il 1555, durante l'episcopato di Nicola Maria Caracciolo; era stato accresciuto nel 1626 con le rendite del vicario Abramo Grassi (V. RACITI ROMEO, Aci nel secolo XVI. Notizie storiche e docun1enti, ristampa anastatica, Accademia degli Zelanti, Acireale.. 1985, 56). 125


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ad accogliere gli ammalati cronici che, per statuto, non potevano essere accolti nell'ospedale San Marco. Questa istituzione fa giustamente salutata come un avvenimento straordinario dai contemporanei, che non mancarono

di segnalare i nomi dei fondatori'"g) L'amministrazione dei beni ecclesiastici

Com'era già accaduto per tutti i suoi predecessori, l'azione pastorale del Galletti s'imbatte subito nello scoglio del controllo dei registri contabili degli enti ecclesiastici e del recupero delle somme dovute per ' censi e legati. Nelle condizioni in cui si era trovata la diocesi di Catania negli ultimi decenni, era prevedibile il disordine amministrativo che il Galletti trova nella sua prima visita pastorale. Il nostro vescovo sembra possedere buone capacità di mediazione, se riuscì a recuperare notevoli soinme di denaro che gli amministratori locali consideravano già perdute: diverse migliaia di monete d'oro nella chiesa madre e nel monastero della Santissima Trinità di Piazza 129 , 3.000 ad Aidone 130 , 8.000 ad Enna 131 , 3.000 a San Filippo d'Agira' 32 • Negli anni successivi, per meglio disciplinare questa materia, decise di nominare un vicario generale per le cause pie di tutta la diocesi 133 •

h) La nomina di inquisitore generale e il progressivo decadimento della sua azione di governo

Nel 1738 Carlo di Borbone aveva ottenuto dal papa di rendere autonoma l'inquisizione di Sicilia, sottraendola alla giurisdizione dell'inquisitore generale di Spagna. Dovendo nominare il primo inquisitore generale,

128 Vd. la Historia sui te1nporis del can. V. Coco, pubblicata da P. CASTORTNA, Elogio storico di Monsignor Salvatore Ventimiglia, Vescovo di Catania, G. Pastore, Catania 1888, 46~49 e F. FERRARA, op. cit., 544-545; G. SORGE, Linean1enti di storia de!l'ospedalità civile catanese, Impegnoso e Pulvirenti, Catania 1940, 66-69. 129 Rei. t 730, 179r. 130 !bid., 180r. 131 Ibid., I8lv. 132 Ibid., I 83r.

133

Rei. 1746, 247r.


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gli fu proposto il nome del vescovo di Catania Pietro Galletti, che era già stato inquisitore provinciale dal 1713 al 1719 134 • Il nostro vescovo ebbe la nomina dal papa Clemente XII in data 3 ottobre 1738 e prese possesso del suo ufficio nel 1739, all'età di 75 anni e in condizioni di salute alquanto precarie 135 • Essendo stato obbligato dal suo nuovo ufficio a trasferirsi a Palermo, per tre anni affidò al vicario generale il governo pastorale della diocesi di Catania. Questo avvenimento segnò l'inizio di un progressivo decadimento della sua azione di governo, che si accentuò con il progredire degli anni e !'aggravarsi delle sue condizioni di salute 116 .

134 V. LA MANTIA, Origine e \!icende del/'inqtdsizione in Sicilia, Selleria, Palenno 1977, 102. 135 La bo11a di nomina è riportata da A. FRANCIIINA, Breve rapporto ... , cit., 201~206. Sembra che il Galletti non abbia potuto esercitare in 1nodo soddisfacente neppure l'ufficio di inquisitore. Il Franchina, che era stato suo collaboratore, scrive a tal proposito: «qual'impiego esercitò per tre anni in circa, avendo la Maestà del nostro Monarca presentato a Sua Santità Benedetto XIV Monsignor D. Giacomo Bonanno, Vescovo di Patti per Inquisitore Generale, stante l'avanzata età ed infermità abituali di dello Monsignor Galletti» (ibid., 104). Durante il suo mandato ricevette dalla segreteria di Stato l'ordine di condannare un'opera non meglio precisata di Giannone. In una lettera del 1 giugno I 742 il Galletti assicurò che non avrebbe trascurato «con tutti gli sforzi [... ] di cliininare la lettura dell'opera tanto venenosa del niiscredente Giannone» (LT, vol. 240, 87r e 252r-252v). 136 Gli storici catanesi sono concordi nel riconoscere la difficile situazione che si creò nella diocesi di Catania negli ultimi quindici anni dell'episcopato Galletti. 11 can. V. Coco, conte1nporaneo dcl Galletti, nella Historia sui ten1poris, pubblicata da P. Castorina, scrive: «Scd in homine, extren10 senio fatigato, et qui non inullum firma valetudine utebatur, vidisses pariter animu1n 1nentemque conscnuisse, soloque aetatis et adversae valetudinis incommodo deerant; Antistiti caeteroquc opti1no, quae sacerdoti 01nniun1 morun1 censori, totiusque religionis vindici et custodi, presto esse dcbent, ad regendam praesertim Ecclcsiam, quae tot annos tantisque casibus inulta a1niseraf, ornan1enta dignitatis suae et stabilitatis praesidia. Abfuit praetcrea Pontifex noster plures annos a suo gregge, designatus Panon11i a Pontificc maxi1no quaesitor per totam Siciliam in hostes religionis; qua de re plurimu1n tunc Catanensis Ecclcsia caepit detrimenti, nec exigua passa est n1orum disciplina iacturas, intcr clericos praesertim; quae longa annorum serie, parum pensari potuerunt in postcru1n» (P. CASTORINA, op. cfr., 46). Ii Ferrara, che formula un giudizio positivo sui primi anni del suo governo, scrive: .:<Negli ultimi anni sotto il peso dell'età colui che aveva onorato sé e la religione parve che avesse un'anima invecchiata come il corpo. Il clero divenne ignorante, la disciplina mancò, lo zelo disparve. Lasciando fare a coloro che gli erano attorno la malvagità volle attribuire a lui le loro operazioni» (F. FERRARA, op. cit., 240).


Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1730 -1751)

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Uno scambio di con-ispondenza con la Santa Sede, a proposito di gravi abusi verificatisi nei processi di nullità delle professioni religiose, ci fa intuire che la situazione diocesana era sfuggita di mano al vescovo e che alcuni collaboratori del Galletti non meritavano la sua fiducia, Il Concilio di Trento aveva emanato norme precise sui processi di nullità delle professioni religiose: i vescovi e i superiori religiosi competenti potevano accogliere le domande solo se presentate entro cinque anni dalla data della professione. Trascorso questo periodo, l'interessato, per fare esaminare il suo caso, avrebbe dovuto rivolgersi prima alla Santa Sede e ottenere la restitutio in integruni, 137 . In Sicilia, e in particolare nella diocesi di Catania, queste norme venivano disattese: i tribunali iniziavano i processi senza chiedere la restitutio in integrum alla Santa Sede; inoltre procedevano senza invitare come congiudice il superiore religioso. La Congregazione del Concilio, nel 174 I, aveva affrontato il caso condannando gli abusi e ribadendo la validità delle norme tridentine 138 . Sebbene la decisione della Congregazione del Concilio fosse stata notificata a tutti i vescovi della Sicilia e ai procuratori degli ordini religiosi 139, nel 1750, il Galletti, in una lettera al segretario di stato card. Valenti, difese l'operato del ttibunale diocesano e tentò di riaffermare il suo diritto a continuare nella prassi già riprovata dalla stessa Congregazione 140 • La risposta a questa lettera fu scritta dallo stesso Benedetto XIV, che invitò il vescovo e il suo vicario generale e comprendere i tennini della questione e a leggere attentamente una costituzione da lui stesso emanata sull'argomento il 4 marzo 1748 141 •

137 Sess. XXV, Decretu1n de rcgularibus et 1nonialibus, c. 19, Conci/iorun1 oecumenicorun1 decreta, Istituto per le scienze religiose, Bologna 1973\ 782. Per la normativa sui processi di nullità della professione religiosa vedi F. L. FERRARIS, Regularis professio, in Pron1pta bibliotheca ... , cit., VI, 943-1008. !3S ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Li ber Decretorun1 S. C. Conci/ii 1740, 173r177v. 139 ARCHIVIO SEGRETO V i\TICANO, Liber Litterarun1 S. C. Conci lii 1737-1744,

die 14 ianuarii 1741. 140 LT, voL 339, 30r-31v. 141 lbid., 38r-39v. La costituzione di Benedelto XIV Si datan1 è riportata dal Ferraris nella trattazione ci lata alla nota 137.


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Il Galletti ebbe l'ardire di replicare al papa con l'ingenua pretesa di impartire una lezione ad un maestro di diritto 142 • La risposta di Benedetto XIV non si fece attendere ed il papa nella sua lettera non nasconde il suo disappunto: «Monsignor nostro, per carità o prima di scrivere e n1olto più prima d'operare, veda o almeno faccia vedere i libri da chi li sa leggere [... ]. Ora do1nanderen10 a lei: a chi appartiene interpretare il Concilio di Trento? Crederessimo che non appartenesse a lei, ma a Noi o alla Congregazione del concilio istituita da Pio IV [... ]. Ella chi;:una osservanza quella che Noi chiamiamo corruttela ed abuso, essendo stata riprovata d~lla Santa Sede ogni volta che ne ha avuto cognizione, col che pure e pel suo carattere e pe' giuramenti dati è obbligata ad obbedire agli ordini e rnassime della Sede Apostolica» 143 .

Il discorso fu ripreso dalla Congregazione del Concilio nella risposta all'ultima relazione ad limino inviata dal Galletti nel 1751. Dalle confessioni di alcuni religiosi, che si erano rivolti alla Santa Sede per essere assolti dalle censure, risultava che la loro professione era stata dichiarata nulla dal tribunale di Catania dietro il pagamento di somme di denaro. Si stentava a credere ad una notizia di questo genere che metteva in cattiva luce la moralità del vescovo. Il documento, dopo avere indicato la procedura da seguire, conclude: «Speramus nullas in posterum ad Sum1nam hanc Sedem ciusmodi accusationes contra te delatum iri, non enin1 Pontificiam indignationen1 dumtaxat incurrcrcs, verun1 etiam in districtissimo iudicio, quod Episcopis maximc impendit, severissiman1 Divinus Vindex rationen1 a te postulabit quorumcumque malorum, quae ex illegilimis improbatisque huiusmodi iudiciis obveniunt» 144 .

Dopo questi fatti la situazione sarà apparsa non più sostenibile se, nel 1756, il re pensò di propone alla Santa Sede la nomina di un vescovo coadiutore. La notizia giunse all'orecchio del Galletti ormai novantaduenne, che ritenne tale proposta un «affronto tanto più sonoro, quanto

142

143

lhid., 40r-v. Ihid., 4lr-42v.

144 ARCHJVIO SEGRETO VATICANO,

1751, 322v-324v.

Li ber !itterarun1 Vis. Ss. lilni11un1 1749-


Ste1111na del vescovo Pietro Galletti (cattedrale di Catania) (foto 11. C'c{fĂ )



Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1730 · 175 I)

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meno aspettato». In una lettera al papa del 24 giugno 1756 chiese di essere lasciato morire in pace e insinuò fra le righe un ricatto: la no1nina di un coadiutore lo avrebbe costretto a lasciare Catania per far ritorno a Palenno; la probabile morte in viaggio sarebbe stata imputata all'autore di un simile provvedimento 145 •

145 «Santissi1no Padre, fra le rnoltc e poi n1ohc an1arezze che con pregiudizio dell'età mia vanteggiata, a caggion dell'altrui esorbitanti procedure mi è convenuto di soffrire grave e senza pari sensibile, e che darà l'ultin1a spinta alla cadente inia vita, io prevcggo quella che mi viene apparecchiata nel ricorso, dicesi avanzato dalla corte di Napoli, alla Santità Vostra in ricerca di un Vescovo coadiutore per questa mia Chiesa; dacché non ritrovando1ni per divin aiuto, né reo di alcun delitto, né punto leso nelle potenze dell'anitna, che tuttora godo libere e spedite, come lo dà chiaro a vedere la cotidiana sperienza nel disimpegno del proprio pastorale incarco, non posso che altamente affligern1i quando rifletto che si Inediti di far tenninare con affronto tanto più sonoro, quanto n1eno aspettato, quella vita stessa che consumata scorgesi più dalla fattica che dal tempo, siccome è forzato a confinnare chi sa il lungo servigio di anni 62 prestato alla Chiesa, cioè di anni 21 da parroco in S. Antonio di Palenno, di anni 7 da Inquisidor provinciale del S. Officio, di altri tanti da Vescovo di Patti e di anni 27 da Prelato di Catania, con aver fra questo tempo sostenuta ancora il pri1no per tre anni la carica di supreino lnquisidore in Sicilia. Che se poi la corte di Napoli siasi mossa a tale istanza sul mottivo che l'età inia inoltrata presso gli anni 92 n1'inabilita a visitar di presenza la diocesi, siccome anco io ciò non nicgo, altre.sì però mi rendo ani1noso a protestare che non potendo naturalmente la n1ia sfruscita persona tirare più in là altra vita che di pochi mesi, se pur non saran giorni, sarebbe quindi un atto proprio della costumata clemenza dcl Re di Napoli il sospender prontan1ente la pensata risoluzione del coadiutore e farmi cossì finire in pace questo piccolo avanzo de' giorni n1iei. A qual'oggetto supplico con piena umiliazione il pietosissimo grand'animo della Santità Vostra perché degnar si voglia di non pennet1erc che 1ni si apporti un sì grave sfreggio, che mi apprcUarebbe sicuran1ente la morte, tanto per cagion dell'acerba pena che per il periglioso cin1ento ancora a cui sarà forza di esponni nel ritornare a Palermo, mia patria, giacché in caso diverso più non saratnini conveniente il ditnorare qui. Io però alle tante segnalate grazie, di cui la Santità Vostra malgrado ogni mio demerito ha voluto benignamente cun1ulanni, vado con salda fiducia a sperare che sarà per co1npiacersi di aggiungere ancora questa, per la quale non lascerò in quei pochi giorni che Ini avanzano di 1noltiplicare le indegne n1ie preghiere al Signore, perché sia sempre propizio alla Santità Vostra conservandola al par di quanto 1neco brama tutto il inondo cattolico, e 1nentre bacio con profondissin1a riverenza i santissimi piedi, fino alle ceneri Ini rimango prosteso. Catania, 24 giugno 1756. Mi fo lecito di soggiungere hu1niln1ente alla Santità Vos1ra che per non sogiacere al gravissimo aviso del coadiutore cd i1npedire altri sicessi della corte di Napoli 1ni contento per il residuo di vita di niantenerc a mie spese per vicario generale un vescovo in partibus per supplire le Inie veci tanto nella visita quanto in tutto quello che proveder non posso colla debolezza della 111ia nonaginta età. E qui di nuovo mi fo gloria d'iinpolverare la n1ia fronte alli santi piedi di Vostra Santilà. Di Vostra


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La morte, che nella sua lettera prevedeva mmai imminente, lo colse a mezzogiorno del 6 aprile 1757, mercoledì santo; le esequie furono celebrate il 14 aprile 146 ; l'orazione funebre fu recitata dal benedettino Romualdo Rizzari' 47 • Il suo corpo riposa nel mausoleo che egli stesso si era fatto erigere nella cattedrale. 4. LE RELAZIONI «AD LIMINA» DEL VESCOVO GALLEITI

La rilevanza storica degli otto documenti che pubblichiamo non è proporzionale alla loro ampiezza complessiva. Come si è cercato di evidenziare, essi contengono non pochi elementi utili per delineare la figura e il periodo di governo di un vescovo, che resse la diocesi di Catania per oltre ventisette anni, in uno dei momenti più delicati della sua storia. Nel complesso, però, le sue relazioni appaiono ripetitive, lacunose e formalistiche. Nel Galletti sembra prevalere la preoccupazione di dimostrare alla Santa Sede che svolgeva con impegno il suo ufficio pastorale; per il resto si limita a trascrivere i dati raccolti nelle sue visite pastorali, senza neppure porsi il problema della loro completezza o di una loro opportuna selezione, al fine di sottolineare le novità che emergevano nel corso degli anni ed evitare inutili ripetizioni 148. Non variano i criteri seguiti nella pubblicazione delle precedenti relazioni: assieme al testo integrale latino del documento è stata data una libera traduzione in lingua italiana. E' stata ripmtata la numerazione meccaSantità humilissimo, obbedientissi1no ed indegnissi1no figlio. Don Pietro Galletti, Vescovo di Catania» (LT, vol. 339, 46r-46v). 146 «Mercoledì santo ad ore 14 in circa uscì il viatico per com1nunicar Mons. Vescovo D. Pietro Ga11etti con molta fretta ed uscì dalla porta piccola dirimpetto al monastero di S. Agata, entrò per il porticato del viscovato e s'introdusse dentro, dove trovammo detto monsignore senza sentimenti per essere avanzato di età d'anni 93, mesi 5 e giorni 11. Alla fine per puro miracolo fece cenno di ricevere il SS.mo [... ]. Ad ore 17 domentre si dicea il sermone per deponersi il SS.mo [ ... ] venne la notizia aver detto Monsignore Galletti passato all'altra vita [... ]. A 14 aprile 1757 giovedì infra octavam Paschae si fece il funerale» (CATANIA. ARCHIVIO CAPITOLO CATTEDRALE, F'unerali et altre occorrenze sh1 nel 1763, 18r-19v ). 147 Orazione funebre di Monsignor D. Pietro Galfetti recitata dal padre D. Romualdo Maria Rizzari, nella stamperia del Puleio, Catania 1757. In appendice è riportata una stampa con il catafalco eretto nel1a cattedrale secondo lo stile del tempo. 148 Si noti ad esen1pio il numero dei centri abitati raggiunti nelle sue visite pastorali. Risultano 14 nelle relazioni del 1731-1732, 46 nel 1734, 16 nel 1737, 36 nel 1739, 32 nel 1744-1746, 36 nel 1751.


Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1730 - 1751)

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nografica segnata nei documenti di questo fondo nell'Archivio Segreto Vaticano, dov'è conservato il testo originale delle relazioni 149 , La trascrizione è stata fatta nel rispetto sostanziale del testo: le abbreviazioni più difficili sono state sciolte, le maiuscole e la punteggiatura sono state adattate il più possibile ai criteri moderni. In nota sono state trascritte anche le sottolineature e le osservazioni dei prelati della congregazione riportate in margine o in calce al testo; esse ci permettono di conoscere le impressioni e i criteri di lettura di questi documenti da parte degli officiali della Santa Sede. Vengono utilizzati i segni <... > per indicare integrazione di parole necessarie al senso.

149

257v.

ARCHJVIO SEGRETO VATICANO, Relazioni ((ad hn1ina», Catania, A, 173r~



XXVI 1730 - Relazione scritta il 30 ottobre 1730 dal vescovo Pietro Galletti 1 •

[I 77r] Santissimo Padre,

Quando, per grazia della Santa Sede Apostolica da Benedetto XIII, di felice memoria, sono stato trasferito alla chiesa cattedrale di Catania e, per volontà di Colui che dal nulla ha creato ogni cosa, mi è stato affidato, nonostante i miei limiti, questo gregge dopo quello di Patti, ho avuto, come primo desiderio, di obbedire docilmente agli ordini del S. Padre ed assolvere con coraggio l'ufficio affidatomi. Tra gli altri doveri desideravo soprattutto adempiere quello di dar conto, senza alcun indugio, di tutte le

1 Prima del testo di questa relazione si trovano gli atli della visita del vescovo Alessandro Burgos. Questi, mentre si trovava a Roma, si sarà recato alla Congregazione per fare il punto della situazione; consegnando gli attestati relativi alla visita delle basiliche ro1nane, avrà assunto l'impegno di inviare la relazione al suo rientro in diocesi; l'improvvisa morte gli impedì di mantenere il suo proposito. Agli atti troviamo: 1) una lettera senza data al papa: «Beatissimo Padre, Alessandro de Burgos, moderno Vescovo di Catania et humilissimo oratore della Signoria Vostra, riverentemente l'espone havere li suoi antecessori tralasciata la visita de' Sacri Limini per il 45° et 46° triennio passato e ritrovandosi ora l'oratore in curia e desiderando adempire la sudetta visita per il 47° triennio corrente, però supplica humilmente la Santità Vostra a degnarsi di volergli ammettere la sudetta visita e dispensarlo, quatenus opus sit, dalle censure incon;e per inavvertenza de' suoi antecessori, quam Deus etc.» (l67r), altra copia di questa lettera si trova al f. 170r con la nota di accoglimento della domanda: «Pro grati a. 30 martii 1726 fuit data attestati o pro 45°, 46° et 47° trienniis curo absolutione ad cautelam»; 2) due attestati della visita alle basiliche romane in data l aprile 1726 ( l 68r e l 69r). Oltre al testo della relazione, non troviamo alcun documento relativo alla visita del vescovo Galletti.


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realtà della Chiesa affidatami, secondo le prescrizioni delle nmme stabilite dalla suprema Sede Apostolica. Essendo giunto a questa nuova sede, con l'aiuto di Dio, il 18 gennaio di quest'anno 1730, sono stato accolto fuori le mura della città dal plauso gioioso e cordiale delle più alte autorità e dal popolo proveniente anche dai più lontani centri della diocesi. Entrato a Catania sono stato presentato ufficialmente in cattedrale, dove ho reso grazie a Dio, ottimo massimo fl77v], alla Beata Vergine Madre di Dio, a S. Agata vergine e martire, concittadina di Catania e patrona della cattedrale, e a tutti gli altri Santi Patroni. A distanza di pochi giorni dal mio ingresso, dopo essenni ristabilito dai disagi di un difficile viaggio, decisi di dare inizio al mio ministero pastorale incominciando il 2 febbraio, festa della Purificazione, sotto gli auspici della SS.ma Vergine, con l'assistenza pontificale e la benedizione delle candele. Ricorrendo subito dopo l'annuale festa di S. Agata, che in questa città si celebra per diversi giorni con grande solennità, ho partecipato a tutte le funzioni, al pontificale, alle processioni e facendo tutto ciò che in questa celebrazione solitamente spetta al vescovo. Frattanto, avvicinandosi il giorno dell'ordinazione generale, ho informato con un editto tutta la diocesi che l'avrei tenuta al tempo stabilito; come in realtà ho fatto, conferendo a molti la tonsura, gli ordini minori e quelli maggiori, secondo quanto richiedevano le necessità di ogni chiesa. Subito dopo incominciai a pensare alla visita pastorale, per rimediare agli inconvenienti determinati dalla lunga assenza del vescovo. Il 12 marzo iniziai dalla cattedrale, compiendo tutte le cerimonie prescritte dal Pontificale Romano. In essa si contano 12 canonici, altrettanti beneficiati e 5 dignità. Ho trovato alcuni altari privi dell'immagine del titolare, altri talmente indecenti da non sembrare opportuno consentirvi la celebrazione della messa; inoltre 1noltì vasi sacri non avevano la pulizia richiesta e c'erano, infine, altri innumerevoli inconvenienti del genere. Per portare immediatamente gli opportuni rimedi a tutto questo ho provveduto, a mie spese, all'acquisto immediato di quadri artisticamente dipinti, baldacchini e altri ornamenti adatti alle chiese [l 78rJ. Dalla cattedrale, dopo aver esaminato le altre cose, mi diressi verso la regia e insigne collegiata intitolata a Santa Maria dell'Elemosina, costituita da 19 canonici, 8 beneficiati e 3 dignità. Visitai, inollre, le panocchie


Le relazioni «ad /imina» della diocesi di Catania (1730 -1751)

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dei sobborghi, le congregazioni e le confraternite; ad ognuna di esse lasciai alcune prescrizioni per riparare i danni derivanti dal lungo periodo di sede vacante.

Subito dopo visitai il seminario dei chierici, dove esortai i superiori a far progredire gli alunni nelle lettere e nei buoni costumi e a portare a compimento, con tenacia, la costmzione dello stabile iniziata dopo le rovine del terremoto del 1693. Poi passai alla università degli studi, che governo con il titolo di gran cancelliere. Anche qui raccomandai ai responsabili di portare al più presto a compimento la costmzione della sede. Infine visitai i singoli monasteri femminili di San Giuliano, San Benedetto, San Placido, Sant'Agata, Santa Chiara e quello della Santissima Trinità, con l'orfanotrofio femminile e il reclusorio delle donne pentite. In tutti questi istituti mi resi conto, con grande gioia del mio animo, che ognuno era molto osservante delle proprie leggi. Esortai le monache, con diverse istrnzioni, a mantenersi fedeli nell'impegno della vita religiosa e a fare dieci giorni di esercizi spirituali secondo il metodo di S. Ignazio; ritenni che avrei raccolto buoni frntti dalla mia visita. Ripristinai con ottimi frutti l'insegnamento del catechismo, caduto quasi del tutto in disuso c trascurato, con grave danno dei fedeli affidatimi. Infatti ho ordinato che ogni domenica, nella cattedrale, in mia presenza, i padri della Compagnia di Gesù, secondo il loro metodo, spiegassero i primi elementi della dottrina cristiana a tutti gli alunni delle scuole e ad una grandissima folla di cittadini. Non ho adoperato minore impegno ed entusiasmo nello spronare gli ecclesiastici allo studio della teologia morale, presso il collegio della Compagnia di Gesù e la cattedrale, dove ogni giovedì [178v], da un teologo della stessa Compagnia, con grande soddisfazione si fanno le riunioni per la soluzione dei casi morali. Ho disposto di tenere prediche e missioni, alle quali spesso ho assisto anch'io, per incoraggiare le anime ad allontanarsi dal vizio e ad avvicinarsi a Dio. Con tutti questi rimedi si è notato che molti, acquisendo abitudini più sane, si sono allontanati dai vizi. Avevo notato che in città alcuni esercitavano impunemente l'usura e sordidi commerci, con grande danno e pregiudizio delle anime. Con il ricorso ai ragionamenti persuasivi e alle pene canoniche mi sono impegnato, con grande diligenza, a sradicare questi pessimi comportamenti.


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Date queste disposizioni per la città e portata a compimento la visita di Catania, per lo zelo che devo avere per il gregge affidatomi, senza alcun indugio decisi di raggiungere gli altri centri abitati della mia diocesi. Prima di ogni altro decisi di visitare Piazza. Vicino alla città mi venne incontro una grande folla di ecclesiastici e di fedeli. La prima autorità, in compagnia di un gran numero di nobili, ordinò che si celebrasse il mio ingresso con la maggiore solennità possibile. Sono entrato in città preceduto da un corteo di congregazioni, confraternite, ordini religiosi, canonici delle due collegiate e da tutto il clero, secondo le prescrizioni del Pontificale Romano, fra l'apparato dei nobili e l'incredibile plauso dei cittadini. Giunsi alla chiesa madre, dove ha sede una collegiata composta da 4 dignità, 18 canonici e altrettanti beneficiati. In essa ho disposto di eliminare gli oggetti di culto indegni o laceri e di comprarne dei nuovi a qualsiasi prezzo; come pure di portare a compimento la costruzione della chiesa, iniziata da diversi anni ma non ultimata, per colpa dei procuratori [l 79r] e per la negligente am1ninistrazione dei beni. Questa negligenza era arrivata al punto da ritenersi che una ingente somma di crediti di diverse migliaia di 1nonete d'oro non si potesse più riscuotere ed, orn1ai, dovesse essere considerata definitiva1nente perduta. Tuttavia, con il mio in1pegno e con l'aiuto di Dio, quel che era perduto fu recuperato e posto al sicuro. Portala a compimento la visita della chiesa madre, mi diressi verso la chiesa collegiata del Santissimo Crocifisso, nella quale si contano 2 dignità, 12 canonici e 12 beneficiati 1ninori. Poi visitai le chiese sacra1nentali filiali, le confraternite, le congregazioni, l'ospedale nei guaii, con il massimo impegno, ho cercato di riformare tutto quello che ho trovato degno di correzione.

Sono passalo, poi, alla visita dei 5 monasteri femminili di San Giovanni Evangelista, Santa Chiara, Santissima Trinità, Sant'Agata e Sant'Anna, dove, con grande gioia del mio spirito, ho trovato una grande disciplina della vita religiosa e una straordinaria osservanza delle leggi; poiché in due di essi, San Giovanni e Santa Chiara, non era osservata la vita co1nune a tavola e altrove, 1ni sono impegnato con tutte le mie forze a rimuovere le vecchie abitudini. Pri1na dì partire da Piazza nii resi conto che, in entra1nbi i monasteri, le monache avevano ripreso la vita con1une.


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Poiché ero stato informato che, nel monastero della Santissima Trinità, una monaca era legata da vincoli di eccessiva familiarità e frequenza con un certo nobile, cose indegne dello stato religioso, prima cercai di convincerla con avverti1nenti salutari, poi con la 1ninaccia delle pene canoniche perché si astenesse da quella familiarità; ma poiché tutto ciò non servì a nulla la colpii con il fulmine della scomunica. Ispezionai i crediti dovuti al monastero (ammontavano a più di 24.000 monete d'oro) e mi adoperai perché i debitori pagassero e le so1nme riscosse venissero poste al sicuro. In particolare non ho voluto che si trascurasse questo, e cioè ho disposto che, per eliminare l'incompetenza nelle discipline sacre [ l 79v] e l'ignoranza nelle cose che i chierici e i sacerdoti devono invece conoscere (non ho mai potuto sopportare, senza indicibile dolore del mio animo e senza lacrime, questa rovina e il danno che ne de1iva per le aniine della mia

diocesi), tutti si applicassero con diligenza nello studio della teologia morale nel collegio della Compagnia di Gesù e del canto gregoriano nella scuola da me fondata. Parimenti ho stabilito che tutti i pmrnci, ogni domenica, con grande costanza istruissero i fanciulli e il popolo nei primi elementi della dottrina ciistiana. Lasciate alcune istruzioni riguardanti l'onesto comportamento degli ecclesiastici e lo zelo per le anime, celebrata l'ordinazione generale e alcuni pontificali nei giorni stabiliti dal Pontificale Romano, distribuito a circa 3.000 fedeli il sacramento della confennazione, portai a compimento la visita di Piazza e partii per Aidone. In questa te1rn, dopo aver visitato la chiesa madre e la chiesa parrocchiale di Santa Maria del Piano, le chiese filiali e le congregazioni; dopo aver estirpato alcuni abusi, dedicai ogni cura e ogni sforzo in un'accurata

visita al monastero femminile di Santa Caterina il quale, allontanatosi negli ultimi tempi dall'osservanza della disciplina religiosa, si comportava seguendo un stile di vita mondano. Ora invece, con l'aiuto della misericordia divina, sto sperimentando che esso si è adeguato a tal punto a vivere la pe1fezione religiosa che, in tutte le sue attività, non dà adito a giusti rimproveri, ma offre lo spunto ad un sincero elogio. Ad evitare che ritornasse nella precedente abietta condizione con un compmtamento riprovevole (che Dio lo liberi) ho cercato di aiutarlo dandogli un ottimo direttore spirituale e confessore e alcune istruzioni efficaci [ l 80r].


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Sono riuscito a recuperare, e a mettere al sicuro, alcune rendite della chiesa di circa 3.000 monete d'oro, che tutti ormai consideravano perdute. Ho istituito una scuola di teologia morale a vantaggio degli ecclesiastici e una di catechismo, per l'utilità dei fanciulli e delle persone ignoranti. Dopo aver distribuito a più di 1.200 fedeli il sacramento della confermazione mi avviai a visitare Barrafranca e Pietraperzia. In questi due comuni ho emanato alcune disposizioni per le 2 chiese madri, per le filiali e per diverse congregazioni, che avevano bisogno di alcuni provvedimenti per il culto divino. Per venire incontro alle necessità degli ecclesiastici ignoranti nella teologia morale, e dei fedeli impreparati nel catechismo, ho istituito 2 apposite scuole. Con l'aiuto della grazia di Dio ricondussi sulla retta via alcuni chierici dediti ai vizi di ogni genere, facendo ricorso prima alle ammonizioni e poi alle pene. Infine, dopo aver cresimato nei due centri oltre 3.000 fedeli e aver dato al clero utili istruzioni che lo aiutassero ad andare avanti con costanza nella disciplina ecclesiastica, 1ni recai a Castrogiovanni o Enna. Si tratta di un'antichissima e celebeJTima città non solo per l'antica e illustre nobiltà dei cittadini, ma anche per il collegio dei canonici (costituito da 3 dignità, 12 canonici e 8 beneficiati), 9 parrocchie, diverse filiali, 6 monasteri femminili (San Benedetto, Santa Maria del Popolo, Santa Chiara, San Marco, San Michele e Santa Maria delle Grazie) ( l 80v], gli istituti per le donne pentite e per gli orfani, l'ospedale, molte congregazioni e confraternite. Feci l'ingresso in questa città con grande pompa, secondo le norme stabilite dal Pontificale Romano, circondato da uno stuolo di nobili, preceduto dal clero, dai religiosi, dalle congregazioni, dalle confraternite e seguito da una folla innumerevole di persone. Visitai accuratamente prima la chiesa madre e le altre chiese paffocchiali, le filiali, le confraternite e le congregazioni; poi l'ospedale e gli istituti delle donne pentite e delle orfane, dando le opportune istruzioni ove ho trovato qualcosa da correggere. Infine visitai i monasteri femminili, che (ad eccezione di quello di San Michele) ho trovato esemplari e degni di ammirazione per l'esatta osservanza della disciplina nelle piccole e grandi cose, per la serietà dei costumi, la singolare modestia, l'impegno nella preghiera, l'amore reciproco. Tuttavia, per conservare tanto bene, anzi per accrescerlo sempre dì più, ritenni che


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fra gli scopi della mia visita ci fosse quello di incitare con opportune istruz10111.

Non era facile correggere e indirizzare per la giusta via il monastero di San Michele, che si era allontanato dall'osservanza della disciplina religiosa. Inoltre, poiché correva un pericolo molto grave che non permetteva indugi, considerato che il tempio, le celle, i corridoi, i laboratori, le mura minacciavano rovina e, a causa delle crepe e della vetustà, erano talmente pericolanti da offrire ad ognuno [18lrj la possibilità di entrare e di uscire facilmente; poiché, per la estrema povertà, non si sapeva dove attingere le somme necessarie per riparare le evidenti rovine, tutte le monache di San Michele, nessuna eccettuata, mi hanno presentato una domanda sottoscritta personalmente da ognnna, nella quale mi chiedevano insistentemente di essere aggregate al più presto all'amplissimo e ricchissimo monastero di San Benedetto. Ho ritenuto opportuno accettare la loro domanda, che era accompagnata da quella dei loro parenti, delle dignità della collegiata e degli altri ecclesiastici, dal parere favorevole dei nobili e dal voto di tutto il popolo; a tutto questo bisogna aggiungere il consenso di entrambi i monasteri, espresso con un pubblico e autentico documento, e la perizia giurata dei tecnici che dichiarava manifesto e imminente il pericolo di crollo del monastero. Inoltre nutrivo la speranza che le monache di San Michele, attratte dal buon esempio e dall'osservanza delle monache di San Benedetto, migliorassero il loro comportamento. Io stesso, con una solenne processione ho provveduto a trasferire le predette monache dal monastero di San Michele a quello di San Benedetto2 , fra i rallegramenti di tutti, che versavano copiose lacrime per la gioia, così come ho informato la Santità Vostra con mie umilissime lettere, nello scorso mese di agosto. Di tutto questo ho anche informato la Sacra Congregazione alla quale, per mezzo del mio procuratore can. Santo Teodoro Mani, I'! I settembre trascorso bo trasmesso, in forma pubblica e autentica, i documenti del senato della città di Enna, delle dignità della collegiata e del confessore dello stesso monastero di San Michele, e la perizia giurata degli

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In margine il testo è evidenziato dalla Congregazione.


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esperti sul manifesto e imminente pericolo di crollo del monastero e sulla necessità di trasferire, senza indugio, le monache altrove [ 181 v]. Sono riuscito a recuperare e a rendere fruttuose, impiegandole in attività lecite, diverse somme dovute a questi monasteri e considerate quasi perdute, per un totale di 8.000 monete d'oro. Infine, celebrati due pontificali nella chiesa madre, nei tempi prescritti dal Cerimoniale Romano, date le ultime esortazioni e istruzioni a tutti gli ecclesiastici perché, con il trasconere degli anni, progredissero anche nelle virtù, fortificati col sacro crisma circa 2.000 fedeli, ammesse alla tonsura e agli ordini minori diverse persone, secondo le necessità delle chiese, istituita nelle singole panocchie la scuola di catechismo per la comune utilità degli incolti, esortati tutti gli ecclesiastici a frequentare i corsi di teologia morale nel collegio della Compagnia cli Gesù, ho portato a compimento la visita della città di Enna o Castrogiovanni.

Lasciato Castrogiovanni, mi recai a Calascibetta, dove ho trovato le 2 collegiate di canonici San Pietro e Santa Maria Maggiore con 8 canonici e altrettanti beneficiati che servivano le due chiese a mesi alterni. Dopo aver visitato le due chiese e le collegiate, ho fatto il giro della parrocchia Sant'Antonio, delle filiali, delle confraternite, delle congregazioni, del monastero femminile del Santissimo Salvatore e dell'istituto che raccoglie le ragazze povere, facendo ovunque le dovute correzioni e lasciando le opportune istruzioni secondo le necessità. Infine mi sono incontrato con

tutti gli ecclesiastici. Ho posto un freno a diversi che conducevano una vita disordinata e non ho trascurato, con le consuete esortazioni, coloro che si con1portavano bene [182r], per aiutarli a migliorare nel cammino della virtù. Ho istituito le scuole cli catechismo a vantaggio dei bambini e degli incolti e quelle di teologia morale, necessarie per l'istruzione dei chierici. Infine conferii gli ordini 1ninori per venire incontro alle necessità delle chiese e non trascurai

di amministrare il sacramento della confennazione a più di 1.000 fedeli. Da Calascibetta mi recai ad Assoro, la cui chiesa madre è, allo stesso tempo, una collegiata che comprende 3 dignità, 12 canonici, 8 beneficiati minori. La trovai così fornita dei vasi sacri e della suppellettile necessaria per il culto divino che non trovai quasi nulla da correggere. Al contrario, la chiesa parrocchiale cli Santa Lucia era così povera e misera da meritare di essere chiusa. Tuttavia, per il bene delle anime, non ritenni opportuno so-


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spenderla: infatti, per la eccessiva distanza dalla chiesa madre, non è possibile portare l'Eucaristia ai fedeli di questa panoccbia in caso di urgente necessità; per quanto era nelle mie possibilità cercai di sopperire ai suoi bisogni. Mi recai nel monastero di Santa Chiara, nel quale dovetti proibire non poche cose che non erano consentite alle monache. Raccomandai ai parroci di vigilare sulla frequenza all'insegnamento della dottrina cristiana ed eressi la scuola di teologia morale per il bene di tutti. Amministrai la confe1mazione ad oltre 1.170 persone, ammisi diversi allo stato clericale e conferii a non pochi gli ordini minori. Infine lasciai delle istruzioni perché alcuni sacerdoti e chierici si impegnassero maggiormente nell'osservanza della disciplina ecclesiastica [ l 82v ]. Portata a termine la visita di Assoro mi recai a Leonforte, dove trovai che la chiesa madre, le filiali e le congregazioni erano in ordine; anche il comportamento morale degli ecclesiastici e la preparazione dei fanciulli nella dottrina cristiana erano buoni. Tuttavia, perché la cura di questa città progredisse sempre di più, lasciai al clero le solite istruzioni ed eressi (come negli altri comuni) la scuola di teologia morale e incrementai la frequenza al catechismo per il bene comune. Infine conferii il sacramento della confermazione a circa 1.000 persone. Mi incamminai verso la città di San Filippo d'Agira, in cni sorgono 4 collegi di canonici che sono anche panocchiali: Santa Maria Maggiore, con 3 dignità, 12 canonici e 6 beneficiati, Sant'Antonio di Padova, con lo stesso nnmero di dignità, canonici e beneficiati, Santa Margherita, con altrettante dignità, canonici e beneficiati, tutti soggetti alla ginrisdizione del vescovo; li visitai accuratamente, lasciando per ognuno di essi specifiche ordinazioni per i molti inconvenienti riscontrati provenienti sia dalla negligenza dei curati, sia dalla povertà delle chiese. Indi visitai le altre chiese parrocchiali non collegiate, e cioè San Pietro e Sant'Antonio Abate e le filiali con le congregazioni e le confraternite, sradicando con opportune correzioni diversi e1Tori e abusi. Infine visitai i 3 monasteri femminili della Santissima Annunziata, di Santa Chiara e di Santa Maria Raccomandata; avendo riscontrato che le monache erano dedite egregiamente all'osservanza delle nonne lasciate dai fondatori [183r], ho lasciato alcune istruzioni salutari perché non desistessero dal fare tanto bene. Per gli ecclesiastici, che ho trovato ignoranti nei


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casi di coscienza, e per i bambini e il popolo, che non conoscevano i primi elementi della dottrina cristiana, ho istituito le scuole di teologia morale e di catechismo. In questa città sono riuscito a recuperare e, con una onesta e lecita tt·attativa, mettere al sicuro e rendere fruttiferi i crediti di alcune chiese, per un totale di circa 3 .000 monete d'oro che, per la pigrizia degli amministt·atori, da molti anni venivano considerate perdute, mentre gli sforzi fatti da me, o prima del mio ingresso in diocesi, erano stati del tutto inconcludenti. Dopo aver conferito il sacramento della confe1mazione a circa 3.000 fedeli e aver dato a tutto il clero utili istruzioni per essere stimolati a compiere bene i loro doveri, mi recai a Centuripe. In questo paese visitai con scrupolo la chiesa madre, le filiali e le cougregazioni, prendendo gli opportuni provvedimenti che le necessità richiedevano. Trovai che gli ecclesiastici erano poco preparati nella teologia morale e i laici nei primi elementi della dottrina cristiana; perciò per venire loro incontro decisi di istituire, come negli altri centri della diocesi, una scuola di teologia morale e una di catechismo. Con il conferimento della confermazione a oltre I .240 fedeli fui costretto a inteffompere la visita generale per l'eccessiva inclemenza del tempo, tralasciando per il momento di visitare Paternò, Adernò, Biancavilla e Regalbuto. Mi sono ripromesso di visitarli, con l'aiuto di Dio, fra non molti giorni, allo stesso modo di Acireale ed alcuni piccoli centri, anche se, spinto dalla necessità, ho già visitati questi ultimi tramite il mio vicario generale, subito dopo il mio ingresso in diocesi [183v]. A questa mia visita, nel prossimo mese di novembre, ne seguirà un'altra che non sarà inferiore per l'utilità spirituale delle anime. Si tratta della sacra missione che terrà in tutta la diocesi il P. Antonino Finocchio, missionario apostolico della Compagnia di Gesù; in essa, oltre alle assidue prediche, alle altt·e esercitazioni, ai commenti delle cose che pmtano alla salvezza, saranno proposti pubblicamente gli esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola, secondo la prassi dei missionari della Compagnia di Gesù; in tal modo, se le verità evangeliche da me piantate per tutta la diocesi saranno irrigate dal sudore di questo apostolo, la Divina Bontà, con l'intercessione della benedizione della Santità Vostra, non mancherà di dare I'incre111ento sperato.


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Intanto, prostrato umilmente ai piedi della Santità Vostra, chiedo che voglia impartire un'ampia benedizione a me, alle mie opere e a tutta la diocesi di Catania, che come me genuflette devotamente ai piedi della Santità Vostra; mentt·e da parte mia, assieme al mio gregge fedele, con fervidissima preghiera imploro dal Divino Pastore che voglia far discendere sulla Santità Vostra benedizioni eterne, con rugiada dal cielo e terra fertile, a giovamento di tutta la Chiesa cattolica. Catania in Sicilia, 30 ottobre 1730 Prostrato, o beatissimo Padre, ai piedi della Santità Vostra Pietro, Vescovo di Catania


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XXVII 1731 - Relazione scritta il I 5 agosto 1731 dal vescovo Pietro Gallctti 3 .

[ l 85rJ Santissimo Padre, agli inizi del novembre scorso, per adempiere il compito affidatomi, inviai con umili lettere alla Santità Vostra il fedele resoconto della visita fatta alla parte migliore della mia diocesi di Catania. Oggi ritorno ai piedi della Santità Vostra per esporre la restante parte della visita. Quando la calura estiva si attenuò e si allontanò il pericolo dell'aria malsana (furono questi i motivi che mi indussero ad interrompere per tre mesi la visita pastorale già iniziata), verso la fine del mese di novembre, mi affrettai a riprenderla con grande impegno iniziando da Regalbuto. Ridiedi la pace dei figli di Dio a questa città, che era molto turbata a motivo delle discordie fra ecclesiastici e laici, provocate da alcuni sacerdoti di vita dissoluta. I responsabili delle discordie, temendo le gravissime pene che avrei loro inflitto nel corso della visita, poco prima della mia venuta, con una pretesto, si sottoposero all'autorità del Tribunale della Regia Monarchiai facendo ricorso contro la n1ia giurisdizione; in tal 1nodo la loro assenza fu portatrice di pace non solo a Regalbuto, ma a tutta la diocesi [185v]. Non ho trovato meritevoli di correzione gli ecclesiastici, le chiese, il culto divino e tutti i luoghi pii; lo stesso rilievo per i 3 monasteri femminili di Santa Maria delle Grazie, San Giovanni Evangelista e San Antonio di

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visita.

Oltre al testo della relazione noh si trova alcun documento relativo alla


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Padova, che si erano perfettamente adeguati alle norme della vita religiosa. Tuttavia, affinché tutti gli ecclesiastici fossero stimolati ad essere costanti nella perfezione personale e nel culto divino e le monache a continuare felicemente il cammino intrapreso, diedi agli uni e alle altre proficue istruzioni. Per quanto mi fu possibile cercai di promuovere la frequenza ai sacramenti, soprattutto la comunione generale. Dopo aver fondato una congregazione di chierici, posta sotto la protezione della Pmissima Vergine, l'affidai alle cure dei padri della Compagnia di Gesù. Eressi la scuola di catechismo e di teologia morale e la feci presiedere da un pio e dotto teologo della medesima Compagnia. Infine, dopo aver conferito il sacramento della confennazione a più di 2.000 persone, portai a compimento la visita della chiesa di Regalbuto e mi recai nella terra di Adernò. Pensai che fosse mio dovere visitare con particolare diligenza la chiesa madre di Adernò, che ha un collegio di canonici distinto in 3 dignità, 12 canonici, 6 beneficiati. In essa, come in tutte le altre chiese, congregazioni, luoghi pii da me attentamente visitati, mi sono limitato a rifor1nare con le mie ordinazioni le poche cose che n1eritavano di essere corrette. Dal fango di una vita rilassata 1iportai sulla buona strada un laico di nobile condizione [186r]. Emanai diverse isouzioni per i sacerdoti e i chierici, che ho trovato di buona condotta, affinché si impegnassero con maggiore diligenza nella disciplina ecclesiastica; allo stesso modo esortai le monache del monastero di Santa Chiara e le ragazze del conservatorio ad attendere con maggiore impegno all'osservanza religiosa. Con l'aiuto di Dio ricondussi all'osservanza religiosa il monastero di Santa Lucia, che aborriva la vita comune e la povertà, e sembrava tutto proteso ad esercitare il commercio in favore dei parenti. Dopo avere introdotto di nuovo la vita comune ed eliminato ogni occasione di commercio, posi il monastero sotto la tutela di un nobile di vita integra, per vigilare che i beni del monastero non venissero dissipati, e sotto la direzione di alcuni religiosi con il compito di sorvegliare le monache con energica e attenta oculatezza e verificare il loro quotidiano miglioramento nella vita dello spirito. Come in tutti gli altri comuni della diocesi, eressi sia la scuola di teologia morale per l'utilità degli ecclesiastici, che posi sotto la direzione di un dotto religioso dell'osservanza di San Francesco, sia la scuola della dot-


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trina cristiana a vantaggio dei bambini e degli incolti. Dopo aver conferito il sacramento della confermazione a più di 3.000 fedeli mi trasferii nel piccolo villaggio di Biancavilla. Visitai attentamente la chiesa madre di questa tena assieme alle piccole chiese filiali e alle congregazioni, non senza aver conetto alcuni abusi nell'esercizio del culto divino. Per gli ecclesiastici, che ignoravano cosa fossero i casi morali [186v], istituii una scuola di teologia morale e l'affidai ad un ottimo maestro dei francescani di stretta osservanza. Raccomandai al parroco di vigilare sulla frequenza al catechismo per il bene dei bambini e del popolo. Castigai con le dovute pene un ecclesiastico che si era macchiato di ogni genere di vizi, con disonore di tutto lo stato clericale; emanai alcune istruzioni perché tutti gli altri tenessero in gran conto la propria dignità. Dopo aver cresimato più di 1.000 persone mi avviai verso Patemò. Quando fui vicino alla città mi venne incontro la suprema autorità del luogo, circondata da uno stuolo di ecclesiastici e da una folla di fedeli per celebrare, con la maggiore solennità possibile, il mio ingresso. Entrai nella città secondo le norme stabilite dal Pontificale Romano, preceduto dalle congregazioni, dalle confraternite e dagli ordini religiosi; assieme ai canonici di quell'insigne collegiata mi recai nella chiesa madre, dove .ha sede il collegio composto da 4 dignità, 12 canonici e 6 mansionari; in questa chiesa eliminai alcuni abusi 1iscontrati nella celebrazione dei divini misteri. Passai alla visita delle altre chiese e delle congregazioni, facendo ovunque i dovuti rilievi e lasciando, secondo il bisogno, istruzioni molto pertinenti. Infine mi recai nel monastero femminile della Santissima Annunziata, dove non trovai nulla che fosse degno di conezione ( l 87r]. Tuttavia ritenni opportuno lasciare alle monache, come frutto della mia visita, apposite istruzioni, perché il loro lodevole comportamento si conservasse in perpetuo e da buono si trasformasse in ottimo. Ricondussi alla perfetta obbedienza alcuni canonici della collegiata, che si dimostravano insofferenti della mia giurisdizione. Provvidi a combattere l'ignoranza dei sacerdoti nella teologia morale con l'istituzione di una scuola di teologia, che posi sotto la direzione di un ottimo maestro domenicano. Per aiutare i fedeli incolti ad imparare la dottrina cristiana comminai al panoco le pene previste dai sac1i canoni se, almeno nelle domeniche e nelle feste, per sé o, in caso di legittimo impedimento, per altri,


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non avesse istruito i suoi pa1rocchiani con la predicazione, insegnando ciò

che tutti devono conoscere per salvarsi e mostrando, con un linguaggio breve e comprensibile, i vizi dai quali devono fuggire e le virtù che devono seguire, secondo quanto prescrive il Concilio di Trento, sess. 5, de ref., cap. 2. Esortai tutti gli ecclesiastici a voce con salutari ammonizioni, trascritte poi in istruzioni da durare in perpetuo, perché dimostrassero maggiore entusiasmo nel fare il proprio dovere. Infine, nella ricorrenza della festa di S. Barbara vergine e martire, patrona principale di Patemò, celebrai un solenne pontificale. Con il conferimento della confermazione [187v] a circa 1.000 fedeli, conclusi nel mese di dicembre la visita pastorale della mia vastissima diocesi, quando non era ancora trascorso un anno del mio governo pastorale. Rimaneva da visitare Acireale, la sola città che il mio predecessore, !'ili.mo e rev.mo D. Raimondo Rubi di felice memoria, aveva visitato nello spazio del suo episcopato durato appena undici mesi; ma non era ancora trascorso un triennio dalla sua visita. Ciononostante nello scorso giugno, quando trascorse il triennio, pm1ii per Acireale, la cui chiesa madre, eretta in collegiata con 3 dignità, 12 canonici, 6 mansionari, si dedica al culto divino con molta diligenza. Per questo motivo ho arricchito questo collegio di grazie e privilegi assieme a non pochi ammonimenti e istruzioni, perché non venisse a mancare l'impegno per il culto. Le chiese filiali, anche se povere, conservano tuttavia un decente nitore; vi ho trovato tutto ciò che è necessm·io per celebrm·e il sacrificio divino; pertanto mi sono limitato solamente a fare pochissime correzioni. Ho notato che gli ecclesiastici erano di bnoni costumi e perché si mantenessero in questo stato, anzi progredissero nelle virtù, diedi loro una regola di vita e di comportamento con il prossimo da valere anche per il futuro. Ho istituito 2 scuole di teologia morale nella chiesa collegiata e nella congregazione delle scuole pie; una scuola di canto gregoriano nella chiesa di San Pietro; una scuola di catechismo nelle chiese sacramentali [188r] e un'associazione nella predetta congregazione delle scuole pie, sotto la protezione della Beatissima Vergine, a comune utilità degli ecclesiastici e degli incolti. Nel monastero femminile di Sant'Agata ho riportato la pace delle figlie di Dio, che era venuta meno, a causa di alcune monache di vita dissi-


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pata; le ho riportate all'osservanza di una rigida disciplina con salutari ammonizioni e istruzioni. Ho cercato di educare alla cristiana pietà e al timore di Dio, che da molti anni avevano perduto nei loro rozzi animi, i parrocchiani della chiesa di Santa Caterina; e affinché i miei insegnamenti rimanessero più profondamente nei loro cuori, ho invitato un missionario apostolico della Compagnia di Gesù a introdursi in questa zona, non appena si fosse attenuata la calura estiva. Un altro missionario, fin dall'inizio di quest'anno, dopo la mia visita va in giro per tutta la diocesi, spargendo ovunque il seme della predicazione evangelica e contribuendo non poco al progresso nella virtù. Per venire incontro alle necessità delle chiese ho ammesso diversi allo stato clericale e ad altri ho conferito i quattro ordini minori; ad oltre 1.000 fedeli ho dato il sacramento della confermazione. Infine, ricorrendo la festa di S. Venera, vergine e martire, principale patrona di Acireale, ho celebrato con il rito pontificale i vespri e la messa solenne. In tal modo, con lo specialissimo aiuto di Dio, della purissima Vergine e dei Santi Patroni [!88v], ho portato a buon fine la visita di Acireale e di tutta la diocesi. Ritengo di dover sottolineare, per ringraziare adeguatamente Dio ottimo massimo, da cui deriva ogni bene, la SS.ma Vergine e i Santi Patroni miei e della mia diocesi, che ho visitato tutta la diocesi di Catania in pace e nella massima tranquillità, occupandomi di tutte quelle cose che costituiscono il fine della visita, senza provocare alcun ricorso o al Metropolita o al Tribunale della Monarchia, anzi ricevendo il plauso e i compiacimenti di tutti, nobili e ignobili, laici ed ecclesiastici; ho esposto la sana e autentica dottrina confutando non pochi errori; ho custodito i buoni costumi e ho corretto i cattivi nei nobiJi; con esortazioni e con la mia azione di governo ho incoraggiato e ho stimolato il popolo alla religione, alla pace, all'innocenza, secondo le norme del Concilio di Trento, sess. 24, de ref, cap. 3. Questa è la sintesi della seconda parte della mia visita che, assieme a me e ai miei diocesani, pongo umilmente ai piedi della Santità Vostra. Spero che la Santità Vostra si degni di accettare con gioia [!89r] queste e tutte le altre mie fatiche e voglia impartire a me e a tutti i miei parrocchiani l'apostolica benedizione; mentre io imploro da Dio, ottimo massimo, che


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elargisce ogni bene, assieme al felice stato di tutta la repubblica cristiana, lunga vita alla Santità Vostra, colma di tutti gli aiuti e di ogni felicità. Catania in Sicilia, 15 agosto 1731 Prostrato, o Beatissimo Padre, ai piedi della Santità Vostra Pietro, Vescovo di Catania [191r] Eminentissimo e Reverendissimo Signore, è tanta la bontà e la cortesia dell'Eminenza Vostra e di tutta la Congregazione del Concilio, che ha voluto approvare con elogi lusinghieri, e onori non dovuti, le fatiche affrontate nella visita della diocesi di Catania affidata alle mie cure. Eppure ho fatto appena quello che ho potuto, non certamente quello che avrei dovuto fare; pertanto ritengo doveroso ringraziare con animo riverente l'Eminenza Vostra e, allo stesso tempo, pregarla di chiedere a Dio che l'inizio del mio episcopato e, ancora di più, la sua conclusione siano felici. Ho già incominciato ad attuare ciò che alla Congregazione avevo promesso di fare dopo la conclusione della mia visita: e cioè di iniziare le sacre missioni per tutta la diocesi, a partire dalla cattedrale, in occasione del tremendo terremoto che, nel nove1nbre scorso, squassò con incredibile ten-ore gran parte della Sicilia. li rev. p. Antonio Finocchio della Compagnia di Gesù e il p. Domenico Ferrari, napoletano, dei frati predicatori, hanno dato inizio a predicazioni, pubbliche processioni penitenziali e altri pii esercizi per sedare l'ira divina, con grandissimo frutto per le anime, come è possibile constatare, se le Eminenze Vostre lo vorranno, dalla relazione a stampa che ho osato inviare tramite il mio agente Santo Teodoro Mani. Dopo aver portato a compimento questo programma a Catania, gli stessi missionari si sono trasferiti negli altri centri della diocesi, determinando grandi progressi nella virtù con la loro evangelica predicazione, come mi infonnano le quotidiane testimonianze dei miei vicari foranei. Per quanto riguarda i ricorsi inviati contro di me alla Sacra Congregazione, soprattutto a proposito delle somme ricevute in occasione della visita pastorale, a prescindere da tutto il resto, solo questo voglio far notare: i miei detrattori, che in futuro ricolmerò di benefici, sanno bene che io non ho chiesto più di quanto consentono i sacri canoni, la prassi dioce-


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sana, l'esempio dei miei predecessori, in particolare J'Ill.mo e Rev.mo D. Andrea Riggio di felice memoria, I'Em.mo Cardinale Cienfuegos e Fr. D. Raimondo Rubi di santa memoria. Intanto auguro alle Eminenze Vostre, delle quali bacio umilmente la porpora, che Dio possa concedervi lunga vita, ricolma di ogni genere di felicitĂ per l'utilitĂ di tntto il genere umano. Catania, 31 gennaio 1732 Prostrato ai piedi dell'Eminenza Vostra, o Eminentissimo Signore Pietro, Vescovo di Catania


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xxvm 1734 - Bilancio della mensa vescovile relativo all'anno 1729, inviato dal vescovo Pietro Galletti alla Congregazione del Concilio nel 1733, in occasione della visita fatta per il procuratore sac. Vincenzo Coniglio. Relazione scritta il 14 gennaio 1734 e integrata il 1° ottobre dello stesso anno su richiesta della Congregazione4 .

4 Al testo della visita sono acclusi i seguenti docu1nenti: I} una lettera senza data al papa: «Beatissimo Padre, Il Vescovo di Catania, umilissimo oratore della Santità Vostra, riverentemente l'espone che, benché nell'anno 1731 mandasse la relazione dello stato della sua Chiesa per ade1npiere all'obbligo che gli correva di invisitare li sagri limini, assieme alla procura non però fu procurata l'attestazione di detta visita già fatta dal suo procuratore; onde supplica umihnente la Santità Vostra della permissione di poter di nuovo visitare per il corrente triennio 50° mediante la persona del sacerdote Vincenzo Coniglio, tesori ero della colleggiata della città di Piazza della sua diocesi, commorante in curia et abbonargli la sudetta visita per li triennii 48° e 49° trascorsi, per li quali non si trova notato l'adempimento, con assolverlo da qualunque censura e pena che per tal causa avesse potuto incorrere, che della gratia, ecc.» (193r), con la nota: «Die 20 rnaii 1733. Ex audientia Sanctissimi. Praevia absolutione Sanctissimus annuit ut pro praeterito triennio orator adirnpleat visitationem per sacerdotem dioecesanum, exhibita tamen relatione status Ecclesiae» (198v); 2) procura in forma pubblica redatta a Catania dal notaio Vincenzo Gulli, il 12 dicembre 1732, per il sacerdote Vincenzo Coniglio, dottore in sacra teologia (194r195r); 3) due attestati della visita alle basiliche romane in data 9 e JO giugno 1733 ( 196r-197r); 4) una lettera senza data alla Congregazione: «Eminentissimi e Reverendissimi Signori, il Vescovo di Catania, oratore umilissimo delle Eminenze Vostre divotamente le rappresenta havere ottenuto sin dalli 20 maggio del cadente anno il seguente rescritto: "Ex audientia SS.rni. SS.mus annuir ut pro praterito triennio orator adimpleat Sanctam Visitationen1 per sacerdotem dioecesanum exhibita tamen relatione status Ecc]csiae''. In esecuzione del qual rescritto il detto oratore ha dato procura per visitare i sagri limini ad un sacerdote diocesano da cui sono stati visitati, conforme apparisce dalli documenti presentati in Segretaria di questa Sagra Congregazione; colli quali unitamente ha anche presentato lo stato della sua menza vescovile. Ma perché il detto oratore a forma del soprariferito rescritto deve presentar lo stato della sua Chiesa, con1e si dispone nel concilio Ro1nano, quale non puole presenteinente esibire non havendo terminato la sacra visita, che sta facendo, per tanto esso oratore supplica umilmente le Eminenze Vostre volerli concedere


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[173r] «Si fa fede per me infrascritto Diego Papa, magistro notaro della Corte della Regia Secrezia di questa clarissima e fidelissima città di Catania, a chi spetta veder la presente, qualmente gli effetti della Mensa Vescovale di questa predetta città consistono nell'infrascrilte rendite, che in tutto pigliano la somma di onze 8064, 16, 4, 3 nelle seguenti partite cioè: In primis l'affitto della Contea di Mascali attualmente si trova gabellato per onze duemilaquattrocentoventi l'anno dico onze 2420 - - Item !'affitto della piana e Mezzocampo attualmente si trova gabellato per onze millequattrocentotrentasette l'anno

dico onze 1437 - - Item le decime de' musti di questa città di Catania, Misterbianco, Camporotondo, S. Pietro, Mascalucia, Massannunciata, Tremestieri, S. Giovanni la Punta, Trappeto, S. Agata e S. Gregorio si trovano attualmente gabellale per onze seicentosedici e tarì dieciotto

dico onze 616,18 - Item le decime de' musti della terra di Gravina si trovano attualmente gabellate per onze 30 l'anno dico onze 30 - - Item le decime de' musti delle terre di Viagrande, Trecastagni, Pedara e S. Giovanni di Galermo si trovano gabellate per onze trecento quarantadue l'anno dico onze 342 - - Item la montagna aperta della neve si trova attualmente gabellata per onze millecentoventicinque dico onze 1125 - - -

!'opportuna proroga, finché sia terminala la santa visita e possa essersi tras1ncsso a questa Sagra Congregazione il detto stato della Chiesa. Che della grazia, ecc.» (199r); 5) la nota della Congregazione: ((Ex audienlia Sanctissimi. Die 17 dccembris 1733 Sanctissin111s annuit pro dilationc ad sex menscs». «12 deccn1bris 1733 fuit data attestatio pro 48° et 49° ac 50° trienniis cu1n auestatione ut supra» (200v).


Le relazioni «od limina» della diocesi di Catania (1730 -1751)

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Item il carponetto delle castagne si trova attualmente gabellato per onze 57 - - Item li cenzi minuti del bosco si trovano attualmente gabellati per onze centocinquantacinque e tarì ventuno l'anno dico onze 155,21 - Item l'erbageria di questa città di Catania e suo te1Titorio <si trova> attualmente gabellata per onze cinquanta e tarì tre l'anno dico onze 50,3 - Item gl'agliandaggi, pascoli, terraggi del bosco, erbageria di Trecastagni e doganella della Pedara si trovano attualmente

onze 6233,12 - -

f l 73v] riporto onzc 6233,12 - -

gabellati per onze ottantacinque l'anno dico onze 85 - - Item le decime de vettovaglie di questa predetta città e suo teJTitorio si ritrovano attualmente gabellati per onze quattrocento in denari l'anno dico onze 400 - - Di più salme centottantadue e tumuli otto <di> iìumento, che a raggiane di onze 1, 18 salma un anno per l'altro onze 200 - - Item la dogana di questa città di Catania si trova attualmente gabellata per onze trecento ottanta l'anno dico onze 380 - - -


Adolfo Longhitano

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Item la dogana della cittĂ di Iaci Reale al presente gabellata per onze 15 l'anno dico onze 15 - - Item la doganella di Trecastagni al presente gabellata per onze 14 l'anno dico onze 14 - - Item la tintoria della seta di questa predetta cittĂ al presente gabellata per onze cinquantasei l'anno dico onze 56 - - Item li teggoli e mattoni di questa predetta cittĂ e suo teJTitorio al presente gabellati per onze duodeci l'anno dico onze 12 - - Item le picare di pescari al presente gabellate per onze 4, IO l'anno dico onze 4,10 - Item J'ova di Cifali al presente gabellati per onze centocinquantasei e tarĂŹ venti l'anno

dico onze 156,20 - Item il vignale dell'avena solito gabellarsi onze due l'anno dico onze 2 - - Item la fiera di mezzo agosto al presente gabellata per onze 40 l'anno dico onze 40 - - Item le decime de' vini solino gabellarsi in onze cinquanta l'anno dico onze 50 - - Item il molino di Cifali al presente gabellato per onze 31, 24 l'anno dico onze 31,24 - -

onze 7680,6 - [174r] riporto onze 7680,6 - -


Le relazioni ad limÚta della diocesi di Catania (1730 - 1751) Item il farinato, scannaria e bilancia di Misterbianco gabellate per onze 8, 24 dico onze 8,24 - Item il farinato, scannaria e bilancia di S. Agata gabellato per onze 0,24 - Item il farinato ut supra del Trappeto gabellato per ouze 1,13,12 Item il farinato ut supra di S. Gregorio gabellato per onze 1,26 - Item il farinato ut supra di Gravina e S. Giovanni di Gale1mo gabellato per onze 7,12- Item il farinato ut supra di S. Pietro gabellato per onze 1,18 - Item il farinato ut supra di Camporotondo gabellato per onze 1,3 Item il fm¡inato ut supra di Massa Annunciata gabellato per onze 4, IO - Item il fminato ut supra di Mascalucia gabellato per onze 23,9,19,3 Item il farinata ut supra di Tremestieri gabellato per onze 4,10 - Item il farinato ut supra di S. Giovanni la Punta gabellato per onze 5,15 - Item il fminato ut supra di Viagrande gabellato per onze 11,6,11 Item il farinata ut supra di Trecastagni gabellato per onze 27 Item il farinata ut supra della Pedara gabellato per onze 10,20,2 -

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Adolfo Longhitano

Item li cenzi diversi dovuti da diverse persone in tutto alla somma di onze 275 dico onze 275 - - onze 8064, 16,4,3

Pensioni perpetue che si pagano annualmente sopra li sopradetti effetti e rendite in somma di onze 5968,5,5 nell'infrascritte partite cioè: In primis onze 120 alla cappella di S. Pietro nel Sacro Regio Palazzo della città di Palermo dico onze 120 - - Item onze 240 al venerabile collegio della città di Messina dico onze 240 - - Item onze 953, IO alla basilica di S. Maria Maggiore di Roma onze 953,10 · Item onze 20 per la festa della gloriosa S. Agata dico onze 20 - - Item onze 69 per la condilora della Chiesa Cattedrale onze 69 - - · Item onze 400 al Rev.mo Capitolo di detta Chiesa Cattedrale dico onze 400 - - onze 1802,l O - -

[174vj riporto onze 1802, 1O - ·

Item onze 70 alla musica di detta Chiesa Cattedrale dico onze 70 - · ·


Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1730 - 1751)

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Item onze 40 alli quattro cappellani delle quattro chiese sacramentali dico onze 40 - - Item onze 70, 13, 12 alla venerabile casa del semina110

dico onze 70,13,12 Item onze 200 all'opera grande di detta Chiesa Cattedrale dico onze 200 - - Item onze 40 al Padre Predicatore dico onze 40 - - Item onze 227 alla sacristia di detta Chiesa Cattedrale per prezzo di rotuli vent'otto, ed oncie ventidue di cera lavorata al mese, cafisi tre di oglio al mese, onze quattro e tali cinque per giocali al mese, ed onze 2, 20 alli quattro sacristani per suo salario al mese

dico onze 227 - - Item tarì 12 al venerabile monasterio di S. Giuliano dico onze O, 12 - Item onze 15 al venerabile ospidale di S. Marco per compra di tanta calcina a titolo di elemosina dico onze 15 - - Item onze 2, 15 al venerabile collegio della Compagnia di Gesù di questa città di Catania dico onze 2, 15 - Item onze 3, 5, 9 al sudetto venerabile ospidale per cenzo dico onze 3,5,9 Item onze 3, 8 per carnaggio di porco ed alosi al Rev .mo Capitolo della Chiesa Cattedrale dico onze 3,8 - Item onze 3 al sudetto rev .mo Capitolo per cenzo dico onze 3 - - Item onze 10 alla dignità d'Arcidiacono dico onze 10 - - -


Adolfo Longhitano

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Item onze 200 per elemosina alli poveri, per il pane che si distribuisce giornalmente, a raggiane di tumuli otto di fo1mento al giorno, che pigliano la quantitĂ di salme 182,8 frumento, raggionato ad onze I, 18 un anno per l'altro dico onze 200 - - Item onze 60 per conzi e ripari nell'affitto di Mascali, nonostante essere gabellato, devono farsi sopra la raggiane di detto affitto dico onze 60 - - Item onze 140 un anno per l'altro per li fossati nello 5 affitto della piana e Mezzocampo dico onze 140 - - -

onze 2887,4,1 [I 75r] riporto onze 2887,4,1 Item onze 400 un anno per l'altro per l'inesigibilitĂ delle parate che si lasciano d'esigere per l'inabilitĂ delle persone dico onze 400 - - Item onze 120 all'amministrazione della Mensa Vescovale dico onze 120 - - Item onze 24 all'esattore dico onze 24 - - Item onze 12 all'algozirio dico onze 12 - - Item onze 40 al depositario dico onze 40 - - Item onze 181, 27, 4 alla landa ecclesiastica dico onze 181,27 ,4 -

5

nello] fossati aggiunge e poi cancella Cod.


Le relazioni ÂŤad liminaÂť della diocesi di Catania (1730 -1751)

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Item onze 31, 13, 8 all'illustre deputazione del Regno per conzo di ponti, torri, e regenti dico onze 31,13,8 Item onze 183, 12, 12 alla Regia Corte perla concessione del Vescovato onze 183,12,12Item il Rev.mo Vescovo suole pagare onze 8 al notaro per salmio dico onze 8 - - Item onze 60 al contatore dico onze 60 - - Item onze 24 all'agiutante di contatoria dico onze 24 - - Item si pagano onze 1996, 8 per pensioni vitalizie all'infrascritte persone cioè: onze 28,24 all'abbate D. Cristofalo Bolletti dico onze 28,24 - Item onze 200 al clarissimo D. Pietro Francesco Bussi dico onze 200 - - Item onze 823, 2 all'Eminentissimo Cardinale D. Alvaro Cienfuegos dico onze 823,2 - Item onze 400 al Rev. D. Mario Mellini dico onze 400 - - Item onze 80 a D. Teodorico Rejnesio dico onze 80 - - Item onze 68,24 al clarissimo D. Francesco Beleredi dico onze 68,24 - Item onze 200 al canonico fra D. Gaspare Luzan dico onze 200 - - Item onze 57, 6 a D. Filippo Ernesto dico onze 57 ,6 - Item onze 80 a D. Emanuele de Torres Messia dico onze 80 - - -


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Adolfo Longhitano Item onze 44 al Rev. D. Giovanni Pisano dico onze 44 - - Item onze 14, 12 al Rev.do Canonico D. Andrea An-

tonelli dieoonze 14,12-onze 5968 ,S ,5 Onde in fede del vero ho fatto la presente scritta [175v] e sottoscritta di mia propria mano per valere a' suoi giorni, luoghi, e tempi. In Catania, oggi, che corrono li 26 agosto, settima indizione, 1729. Diego Papa, Maestro Notaro Senatus clarissimae et fidelissimae urbis Catanae de consilio S.C.C.M. et ad bellum armorum Capitaneus fidem facimus suprascriptam fidem fuisse et esse subscripta manu propria supraditti Didaci Papa, Magistri Notarii huius curiae Regii Secreti huius predittae Urbis ut supra, cui ideo tanquam authenticae in iudicio et extra omnimoda est adhibenda fides et in testi1noniurn prae1nissorum has praesentes fieri iussimus sub parvo nostri Senatus sigillo quo utimur in pede munitas. Datum Catanae, die decimo sexto septembris, octavae indictionis, millesimo septingentesimo vigesimo nono, 1729. Franciscus Maravigna, Notarius CuriaeÂť.

[20 lr] Beatissimo Padre, trascorso il triennio dalla prima visita di questa diocesi, per obbedire ai decreti del Santo Concilio di Trento ho fatto di tutto per intraprenderla di nuovo. Allo scopo di avviare la mia ispezione nel rispetto delle prescrizioni canoniche, ho iniziato da questa santa cattedrale dopo aver premesso le solite notificazioni; in tal modo ho dato la possibilitĂ di essere presenti a coloro che erano obbligati a partecipare. Il 14 marzo 1734, al seguito di un gran numero di ecclesiastici e di laici, secondo le prescrizioni del Pontificale Romano e del Cerimoniale dei Vescovi, rivestito dei paramenti sacri mi avviai verso la predetta cattedrale,


Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1730-1751)

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in cui ha sede il capitolo, composto da 5 dignità, 12 canonici, altrettanti beneficiati, oltre agli altri minist1i addetti al servizio della chiesa. Negli altari non ho trovato nulla da cotTeggere, infatti li avevo adornati a mie spese con quadri elegantemente indorati, con volte e gradini. Avevo provveduto anche a supplire le suppellettili che mancavano nella sacrestia e pertanto non vi ho trovato nulla di sconveniente. Subito dopo mi recai nella regia e insigne collegiata [201 v], nella quale risiedono 3 dignità, 19 canonici, 8 beneficiati e altri ministri. Ho potuto constatare che, per il culto, essa si trovava in ottime condizioni: quantunque, infatti, non abbia molte risorse per sostentare i canonici, tuttavia tifulge mirabilmente per il decoro, l'amore e l'assistenza continua. Indi visitai le altre chiese sacramentali, che sono 6 oltre le due predette. In esse cercai di curare, con la sollecitudine e le elemosine, quel che era manchevole. Quando passai alla visita dei 6 monasteri e dei 3 conservatori, li trovai molto osservanti delle leggi e delle costituzioni e non potei fare altro che persuaderli ad aspirare ai carismi più grandi ed esortarli a perseverare nei loro propositi. Visitai pure le congregazioni, le confraternite e le altre chiese; e quando notai che c'era qualche inconveniente con tutte le mie forze mi adoperai per eliminarlo. Infine mi sono recato al seminario dei chierici, dove ho ordinato di restituire all'antico vigore le regole sulla riforma dei costumi e la formazione dottrinale che venivano alquanto trascurate6 • Allo stesso tempo ho esortato coloro che avevano la responsabilità dell'edificio, di lavorare senza intetTuzione per portarlo a compimento. Visitando l'università degli studi, di cui sono gran cancelliere, assieme agli altri responsabili mi sono adoperato perché fosse diligentemente custodita e non ci fossero intetTuzioni nel pottare a compimento la fabbrica. In genere ho prescritto ai chierici, pubblicando vari editti, di continuare ad essere presenti ai casi morali, la cui lettura si fa ogni giovedì in questa cattedrale, alla mia presenza. Con le minacce o le pene, secondo le esigenze del caso, ho provveduto a cotTeggere i costumi depravati di alcuni ecclesiastici. Per alleviare i sudditi che si trovano in ristrettezze economiche ho stabilito precise tariffe in tutte le curie foranee. Prima con le minacce,

6

In margine il testo è evidenziato dalla Congregazione.,


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Adolfo Longhitano

poi con le multe ho sradicato ogni forma di commercio illecito; altre nonne ho emanato per attuare la riforma dei costumi. In tal modo ho portato a compimento la visita della città. Avrei desiderato visitare personalmente gli altri centri abitati della diocesi [202r]; tuttavia lo spirito era pronto, ma la carne debole; infatti, mentre mi stavo preparando sopravvennero delle gravi infermità che mi impedirono di attuare il mio proposito. D'altra parte l'asperità delle strade e gli inevitabili disagi che tre anni fa, quando ero più che sessantenne, ho sperimentato, mi hanno fatto desistere. Pertanto ho deciso di mandare in mia vece D. Giovanni Rizzari, cantore di questa cattedrale e mio vicario generale nelle cose spirituali e temporali. A lui ho affidato il mio gregge con piena fiducia; infatti egli possiede un'accurata e specifica esperienza di governo, scienza e buoni costumi; e poiché, nel corso della sua vita, ha ricoperto l'ufficio di vicario apostolico di questa diocesi e più volte è stato nominato vicario capitolare, ha una così esatta conoscenza di persone, di luoghi e di lavoro, che a nessuno è secondo. Riferirò, in questa mia relazione, ciò che egli ha fatto in mia vece. Appena po1tai a compimento la visita delle chiese di questa città, egli partì per ispezionare i paesi che sorgono nel bosco di Catania. Gli ho affidato questo ufficio per attuare un mio primo mandato, datogli durante la prima visita pastorale, prima che, insieme a lui, mi recassi nei centri più importanti della diocesi. Scriverò in una sola relazione tutto quello che egli ha fatto e stabilito durante la prima visita ai paesi del bosco e le variazioni che sono state riscontrate nella seconda. Ecco i nomi dei paesi: Aci Sant'Antonio, Aci Catena, Aci San Filippo, Aci Santa Lucia, Sant'Agata, Bonaccorsi, Belpasso, Borrello o Stella Aragona, Acicastello, Camporotondo, San Gregorio, Gravina, San Giovanni Galermo, San Giovanni la Punta, Misterbianco, Santa Lucia, Motta Sant'Anastasia, Nicolosi, San Pietro, Pedara, Trappeto, Tremestieri, Trecastagni, Torre del Grifo o Massannunziata, Trezza, Viagrande, Valverde. In tutti questi luoghi, nei quali per l'esiguo numero degli abitanti non ci può essere la dottrina necessaria, il vicario istituì ottime scuole di teologia morale, scegliendo i maestri; si sforzò in tutti i modi di restaurare le suppellettili delle chiese e gli altari; promulgò le mie istruzioni [202v] rimproverando e castigando coloro che non volevano osservarle; ricom-


Le relazioni «ad limù1w' della diocesi di Catania (1730 - 1751)

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pose alcune controversie giurisdizionali, riconoscendo ad ognuno il proprio diritto; diede impulso ad una più esatta osservanza delle feste; ordinò ad alcuni sacerdoti di astenersi da occupazioni indecorose, alle quali erano addetti. Dopo aver assolto questo suo compito ritornò da me e vi rimase fino a quando il maltempo non gli lasciò libera la strada per visitare le altre città. Con il bel tempo si recò a Ramacca, dove visitò l'unica chiesa madre considerato che, per la piccolezza del paese, non ne esistono altre e, durante il cammino, alcune chiese rurali; prescrisse quel che poté in relazione alla loro povertà. Quindi si diresse a Piazza, dove anzitutto visitò la chiesa madre; in essa si trovano 3 dignità, 18 canonici e altrettanti beneficiati; dispose che venissero osservate le mie istiuzioni ancora in vigore; riordinò le cose che

trovò non bene ordinate. Le stesse cose riscontrò nella collegiata del Santissimo Crocifisso, dove si trovano 2 dignità, 12 canonici e altrettanti beneficiati. Poi visitò le altre 6 parrocchie, delle quali cercò di riparare con utili disposizioni alcuni danni di poco conto. Visitò con molta attenzione i monasteri fen1n1inili San Giovanni, Santissima Trinità, Sant'Agata, Sant'Anna, Santa Chiara e il conservatorio delle vergini e trovò che le monache erano dedite alla disciplina religiosa, intente al decoro del monastero e osservantissime della vita comune. Tuttavia poiché nel mondo non esiste paradiso dove non entri il serpente, lasciò alla loro osservanza alcune sa]utari istruzioni. Per quanto riguarda il

controllo dei registri contabili, a volere essere precisi, non trovò nulla da coffeggere. Dopo aver rilasciato altre utili istruzioni e aver promulgato alcune regole per tutti gli ecclesiastici, concluse la visita di Piazza. Paitito per Aidone, visitò la chiesa madre, l'altra chiesa paffocchiale con le altre filiali, le confraternite e le congregazioni e avendo Iiscontrato in esse alcuni inconvenienti, li co1resse pronta1nente. Ispezionò attentamente il monastero femminile di Santa Cate1ina e, giudicando che doveva essere ricondotto ad una più esatta osservanza delle regole, lo vincolò con vari moniti e isttuzioni [203r ]. Ricostituì la scuola di teologia morale per gli ecclesiastici. Visitando Valguarnera non trovò nulla da correggere nella chiesa madre, in quella del romitorio e nelle altre filiali; lasciò solo alcune istruzioni circa il nitore degli altari.


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Si recò subito dopo nel villaggio di Mirabella, dove emanò dei provvedimenti per una più assidua frequenza alla dottrina cristiana e per una maggiore cura della chiesa madre e di quella della Santa Croce. Incamminatosi per Barrafranca e, subilo dopo, per Pietraperzia, trovò le chiese madri delle due località e le altre chiese filiali ben disposte; onde evitare che i fedeli crescessero ancora nell'ignoranza, rinnovò l'esercizio del catechismo con un metodo più rapido e punì coloro che non osservavano le norme da me promulgate nella precedente visita. Recatosi ad Enna o Castrogiovanni visitò nella chiesa madre il collegio dei canonici, che era costituito da 4 dignità, 8 canonici e 8 beneficiati; constatò che tutti erano dediti al nitore del tempio e delle persone, e nello stesso ordine mi riferì di aver trovato le altre 9 parrocchie. Non trovò nulla contro l'osservanza delle regole visitando i 7 monasteri femminili: San Marco, San Benedetto, Santa Maria del Popolo, Santa Chiara, Santa Maria delle Grazie, San Michele e Santissima Concezione e i 2 istituti delle orfane e delle donne pentite. Passò alla visita delle congregazioni, delle confraternite, delle altre chiese, di molte filiali e dell'ospedale, dove riprese e promulgò un'altra volta le mie precedenti ordinazioni. A vendo constatato che quegli ecclesiastici dimostravano un certo interesse per lo studio delle scienze, li esortò ad un nuovo impegno ed ampliò il programma di teologia morale [203v]. A Calascibetta visitò la collegiata con 8 canonici e altrettanti beneficiati, che sono insigniti del titolo delle 2 chiese madri San Pietro e Santa Maria Maggiore dove, alternativamente, prestano il loro servizio. Successivamente ispezionò la parrocchia Sant'Antonio abate, il monastero femminile di San Salvatore, il conservatorio delle ragazze e le altre chiese minori; ripartì dopo aver lasciato le opportune istruzioni, richieste dalle necessità, perché si comportassero secondo un corretto modello di vita. Ad Assoro visitò la chiesa madre con la collegiata, costituita da 3 dignità, 8 canonici e 8 beneficali; constatò che erano dediti al servizio della chiesa ed al culto divino; perciò, prendendo atto della diligenza, elogiò il loro impegno. Si sforzò in tutti i modi di soccorrere la chiesa parrocchiale di Santa Lucia, che versava in uno stato di estrema povertà, e Jiparò le altre deficienze. Cercò di adoperarsi perché nel monastero di Santa Chiara fiorisse, com'era giusto, la vita regolare, lasciando le necessarie istruzioni.


Le relazioni «ad limino» della diocesi di Catania ( 1730 - 1751)

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Riprese l'esercizio dei casi di coscienza in modo da sovvenire più alle necessità dell'anima che a quelle del corpo. Partì per Leonforte, dove trovò la chiesa madre e le filiali bene adornate e gli ecclesiastici dotati di buoni costumi; avendo constatato che si impegnavano ad insegnare nella scuola di catechismo, si adoperò affinché questo istituto progredisse sempre di più; a tal fine lasciò diverse istruzioni.

Essendo pervenuto nella città di San Filippo d'Agira, visitò i 4 capitoli di canonici: il primo nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore, con 3 dignità, 4 canonici e un solo beneficiato; il secondo nella chiesa parrocchiale di Sant'Antonio di Padova, con 4 dignità, 12 canonici e 6 benefieiati; il terzo nella chiesa pan-occhiale di Santa Margherita, con 4 dignità, 12 canonici e 6 beneficiati; il quarto del Santissimo Salvatore, con 3 dignità, 6 canonici e 4 beneficiati. In essi trovò in ordine il culto divino e le suppellettili necessarie [204r]. Con-esse quelle cose che, a suo giudizio, non erano convenienti e le riportò alla primitiva norma; allo stesso modo si comportò nelle 2 altre pan-occhie filiali di San Pietro e di Sant'Antonio abate e nella visita delle congregazioni e delle confraternite. Esortò ad una migliore osservanza della vita regolare, con ammonizioni e istruzioni i 3 monasteri femminili: Santissima Annunziata, Santa Maria Raccomandata e Santa Chiara; perché al popolo non venisse meno il nntrimento della dottrina cristiana, nominò direttori prudenti e incoraggiò a frequentare lo studio della teologia morale. Deviando per Regalbu to visitò le 2 chiese parrocchiali (matrice e Santa Maria), le altre chiese filiali, le congregazioni e le confraternite. Per osservare fedelmente il mandato ricevuto, non appena notò alcune deficienze, con la diligenza derivante dalla necessità provvide alla formazione degli ecclesiastici. Rinnovò le scuole dei casi di coscienza e della dottrina cristiana. Constatò che i 2 monasteri di Santa Maria delle Grazie e di San Giovanni Battista, soggetti alla mia giurisdizione, erano conformi alla vita religiosa; simile a questi due il monastero degli Angeli, che osserva la regola degli agostiniani e sottostà alle loro cure. Rinnovando le mie istruzioni, quando si accorse che alcune prescrizioni erano cadute in disuso cercò di farle osservare nuovamente. Giunse infine a Centuripe, dove ispezionò la chiesa madre, le filiali e le congregazioni, procurando vari rimedi urgenti alle necessità che po-


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neva il ripristino delle 2 scuole di teologia morale e della dottrina cristiana, che costituiscono gli impegni principali degli ecclesiastici. Curò la promulgazione di istruzioni da me poco prima predisposte al fine di condurre una vita conforme alle norme canoniche. Dopo di che fece ritorno a Catania, perché il clima poco favorevole non consentiva di visitare gli altri centri abitati [204v]. A tempo opportuno si recò ad Adernò, dove nella chiesa madre collegiata visitò il capitolo composto da 4 dignità, 12 canonici e 8 beneficiati; sia in esso, sia nel governo e nel culto della chiesa non trovò nulla da correggere. Visitò pure con diligenza le altre parrocchie filiali, le congregazioni, le confraternite e il monastero, prestando gli opportuni rimedi alle necessità.

Considerò degno di ammirazione il monastero di Santa Chiara, che da tutti i punti di vista era bene ordinato, constatò che il conservatorio delle ragazze era diretto con grande sollecitudine e disciplina. Per quanto fu nelle sue possibilità si sforzò di esortare il monastero di Santa Lucia a continuare nell'osservanza della vita religiosa che era stata da poco introdotta. Infatti l'anno precedente, con in1proba fatica, avevo liberato questo n1onastero dal

commercio, dalla smodata libertà e dall'eccessivo numero di serve, giovandomi dell'opera e dello zelo del mai lodato abbastanza p. Domenico Fe1Tara, domenicano, n1issionario apostolico. Questi, facendo le mie veci, cacciò via i laici e il gran nu1nero di serve e riportò le 1nonache

all'osservanza della regola e alla vita comune. Il visitatore, essendo venuto a mancare il direttore della scuola di teologia morale da me scelto, ne costituì un altro dopo aver pubblicato le mie istruzioni. Si diresse verso Biancavilla dove, visitando la chiesa madre, le filiali e le congregazioni constatò che, nonostante la povertà del luogo, tutto si trovava in ottimo stato; affidò l'esercizio dei casi di coscienza ad una per-

sona molto preparata e, volendo riformare il comportamento di alcuni ecclesiastici, predispose gli opportuni rimedi. Recatosi nella città di Paternò, non ritenne opportuno visitare la chiesa madre per evitare che la inia giurisdizione ne ricevesse un danno. Infatti i ricorsi presentanti contro di me da quattro canonici, che con osti-


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nata disobbedienza traggono vantaggio dalla loro temerarietà, sono all'esame della Sacra Congregazione, non essendo stati ancora respinti con una decisione conforme alla verità' [205r]. Con 3 dignità, 8 canonici beneficiati e il clero, il vicario visitò la chiesa di Santa Barbara che, assieme alle altre chiese filiali, alle congregazioni e all'ospedale trovò discretamente fornita del necessario per il culto. Fece ricorso ad opportuni rimedi e istruzioni per far sì che i danni perpetrati nelle cose spirituali e temporali dai suddetti quattro canonici venissero riparati. Constatò che il monastero della Santissima Annunziata era molto osservante della vita religiosa. Nominò maestro nella scuola di teologia morale un domenicano di chiara fama. Ritenne improrogabile provvedere a molte cose per le necessità riscontrate. Infatti la lacerazione provocata dai suddetti canonici continuava a tnrbare il mio gregge. Non senza amarezza devo sopportare che quei quattro vivano in piena libertà e che io non possa costringerli con le pene, perché soggetti ~d nn'autorità snperiore. Acireale avrebbe dovuto essere visitata dopo la quaresima, allo scadere del triennio; ma, in seguito alle ripetnte richieste del clero e del capitolo, il mio vicario generale decise di partire. In questa città il capitolo, costituito da 3 dignità, 12 canonici e 6 beneficiati, e tutto il clero brillano per la serietà nel comportamento e si impegnano per il culto divino e il proprio decoro. Perciò la chiesa madre collegiata, le altre 5 panocchie, le rimanenti chiese, le congregazioni, le confraternite, gli ospedali e l'ospizio per i forestieri sono disposti a nmma del Concilio di Trento; le suppellettili e le altre cose destinate all'uso delle chiese sono in ottimo stato. Ogni settimana gli ecclesiastici si 1iuniscono in un luogo stabilito per l'esercizio dei casi di coscienza. Nelle chiese pairncchiali ogni domenica si spiega il catechismo. Anche se, per la povertà degli introiti e la mancanza del necessario trovò il monastero femminile, in certo modo depresso [205v ], tuttavia lo protesse con sacre istruzioni, in modo da ricondurlo in una 111igliore condizione. Compose alcune controversie sorte tra i canonici per motivi di giurisdizione; diede altre raccomandazioni secondo le necessità affinché, in futuro, si seguisse uu metodo più con-etto. Dopo aver compiuto tutto questo, il 7 dicembre dell'anno in corso 1733 ritornò da

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In margine il testo è evidenzialo dalla Congregazione.


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me, dandomi le notizie che ho riferito per portare a compimento l'incarico affidatogli. Questa è la sintesi della mia seconda visita, che sottopongo umilmente ai vostri piedi assieme alla mia persona e a tutto il gregge affidatomi, come al pastore dei pastori, mentre prego genuflesso perché la Santità Vostra si degni impartire la sua apostolica benedizione ai miei diocesani. Intanto, assieme agli abitanti della mia diocesi imploro da Dio Onnipotente, per il bene di tutto il mondo, perenne felicità spirituale e temporale, ricolma di ogni gioia. Catania in Sicilia, 14 gennaio 1734 Dopo l'umilissimo bacio dei piedi Pietro, Vescovo di Catania f207rj Eminentissimi e Reverendissimi Signori', ho saputo dalla lettera ricevuta dalla benignità delle Eminenze Vostre, che è stato accolto benevolmente il resoconto delle mie fatiche nella visita della diocesi. Porgo vivissin1i ringrazia1nenti e, se ini basteranno le forze, prometto di impegnarmi ancora di più, non appena le necessità del mio gregge Io richiederanno. La mia relazione non ha trattato del seminario dei chierici perché, nel raccontare i fatti della mia visita, me ne sono dimenticato. Ora, per soddisfare nel migliore dei modi il mio obbligo, scriverò fedelmente e con verità tutto ciò che si vuole sapere sul seminario fin dalla sua fondazione. II 18 aprile 1572 Antonio Faraone, mentre reggeva come vescovo questa diocesi volendo istituire il seminario, fece accantonare alcune rendite per il suo sostentamento; ma, essendo sopravvenuta la morte, il vescovo non poté portare a compimento il suo progetto. II vicario episcopale, mentre la sede era vacante per la morte del suddetto vescovo, nel 1573, I indizione, comprò una casa nella quale alloggiò alcuni chierici, secondo le disposizioni date dal vescovo defunto; ma il nuovo istituto rimase in funzione solo per sei anni.

8 Sul dorso si legge la nota: «Catanien. Visitatio SS. Liminum. Episcopus circa seminariu1n existens. Uniatur» (208v ).


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Dopo la sua chiusura fu ricostituito al tempo della visita regia dì Pietro Manriques y Buytron che, in forza dell'autorità regia dì cui era investito, ordinò la rifondazione del seminario e la designazione dei suoi superiori. Emanò disposizioni sull'edificio, sulla disciplina, sul rettore, il ministro, il procuratore e ì prefetti, sulla formazione e le regole di vita, sulle suppellettili, il patrimonio e tutte le altre circostanze utili per una ordinata convivenza [207v]. Da quell'anno, e cioè il 1581, il seminario continuò ad operare fino alla visita regia di Filippo de lordi che nel 1614, fra l'altro, visitò il seminario di Catania. Avendo constatato che era alloggiato nelle stanze dette dei canonici, per ragionevoli motivi lo trasferì in un altro edificio, vicino alla cattedrale, dove rimase fino all'eruzione dell'Etna del 1669 che, per grazia di Dio, lo lasciò intatto; nel terremoto del 1693, però, esso crollò assieme a tutta la città. Nel periodo successivo, per qualche tempo, fu collocato sulle mura della città in baracche di legno, fino a quando fu ricostruito in migliore forma dalle fondamenta poco più oltre, come al presente si può vedere. Dopo aver completato la visita della cattedrale, mi sono recato nel seminario predetto, dove ho ispezionato prima di tutto la cappella, poi i donnitorì, il refettorio, le aule, la cucina, i laboratori e tutta la suppellettile. Ho visitato il carcere, previsto per punire le mancanze più gravi, ì locali interni e quelli esterni e non ho trovato nulla da correggere. Nel seminario c'è la biblioteca, già appartenente a Giovanni Battista De Grossìs, canonico dì questa collegiata, uomo eminente per erudizione e per ì libri dati alle stampe. Dopo la sua morte fu data in eredità al nipote Santoro Oliva, canonico dì questa cattedrale, che la donò al seminario. Il mio predecessore Andrea Rìggio l'arricchì dì molti libri ma, al tempo dell'interdetto, essa subì parecchi smembramenti e fu privata di non pochi volumi. Oggi compio ogni sforzo per restaurarla, come pure per completare l'edificio, che è così necessario per accogliere i numerosi chierici. 1n seminario sono accolti i convittori, che sì distinguono dagli alunni per il prefetto a cui sono affidati, per l'abito che indossano e per la retta che pagano; per tutto il resto essi condividono sia lo studio sia la vita dì ogni giorno; pagano ogni anno 45 once. Gli alunni portano la veste talare dì colore ceruleo e pagano ogni anno 30 once; sia questi che ì convittori non hanno un numero prestabilito;


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di solito sogliono essere 80. Alcuni alunni vivono gratuitamente in seminario e le somme necessarie vengono pagate da alcune città della diocesi; attualmente ci sono 6 alunni provenienti da Catania e 6 dagli altri centri della diocesi. Il seminario ha le proprie regole, che disciplinano la vita spirituale e temporale [208r]; secondo le attuali esigenze dei tempi le ho riformate ed accresciute e ho preparato le tabelle che indicano distintamente le ore da dedicare alle pratiche di pietà e allo studio. Ho dato mandato di apprestarne altre per segnare con estrema chiarezza le ore dei pasti ed esse sono state già predisposte. Gli introiti del seminario provengono dalla mensa vescovile, da alcuni benefici ecclesiastici che gli sono stati assegnati, dalle offerte della città e della diocesi; ma essi sono ritenuti appena sufficienti per il suo sostentamento.

Nel seminario abbiamo: il rettore, al quale spetta il governo spirituale e temporale; il ministro, che provvede alla casa e al vitto; il procuratore, che ha il compito di riscuotere e pagare; 2 prefetti, uno per i convittori, l'altro per i chierici, che devono accompagnare gli alunni quando escono dal seminario; 2 maestri sacerdoti, che aiutano i chierici nello studio delle discipline insegnate nel collegio della Compagnia di Gesù: grammatica, retorica, filosofia, teologia speculativa e morale. Gli alunni due volte al giorno, dinanzi ai suddetti maestri, 1ipetono alcune materie e una volta la settimana si fa l'esercitazione scolastica di compendio. Poiché in questa città sorge !'università degli studi alcuni convittori studiano in essa la legge civile, altri la legge canonica; per questi alunni viene in seminario un esperto di diritto che fa le suddette esercitazioni. Oltre ai suddetti ministri servono in seminario: il portiere, 2 cuochi e un cameriere e fanno tutti vita comune. Sia costoro che gli anzidetti, nei limiti del possibile, vengono scelti per la loro età matura e per i costumi irreprensibili. Hanno cura del seminario 4 canonici del capitolo cattedrale, chiamati deputati, di cui 2 sono di solito scelti fra le dignità e 2 fra i canonici; costoro, una volta al mese, si riuniscono in se1ninario con il rettore, controllano l'amministrazione e provvedono alle necessità; se succede qualcosa di rilevante ne discutono con me.


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Ho voluto riferire con chiarezza queste notizie per compiere il mio dovere; prego Dio perchĂŠ conservi in buona salute le Eminenze Vostre, delle quali bacio riverente i lembi della porpora. Catania, I ottobre 1734 Prostrato ai piedi delle Eminenze Vostre, o Eminentissimi Signori Pietro, Vescovo di Catania

Agli Eminentissimi Cardinali della Congregazione del Concilio Roma


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XXIX 1737 - Relazione scritta il 31 luglio 1737 dal vescovo Pietro Galletti e presentata a Roma dal procuratore can. Pietro Profeta della cattedrale di Calania9 •

[2 !0r] Beatissimo Padre, per esporre alla Santità tua lo stato della mia diocesi in questa terza visita, così come il mio ufficio richiede, ritengo fare anzitutto due rilievi. La diocesi di Catania, escluso il capoluogo, ha diverse città: Piazza, Enna o Castrogiovanni, Calascibetta, San Filippo d'Agira e Acireale; ma ha anche diversi paesi governati dai baroni di questo Regno: Patemò, Ademò, Biancavilla, Regalbuto, Aidone, Pietraperzia, Barrafranca, Valguamera, Leonforte, Assoro, Centuripe, Belpasso, Motta Sant'Anastasia, Trappeto, Tremestieri, Viagrande, Trecastagni, Pedara, Nicolosi, Mompileri, Camporotondo, San Pietro, San Giovanni Galermo, Gravina, Aci San Filippo, Aci Sant'Antonio, Acicatena con le frazioni. A questi antichi paesi della diocesi, da alcuni anni, si sono aggiunti due piccoli villaggi: Mirabella e Ramacca.

9 Al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) una lettera al papa: «Beatissimo Padre, il Vescovo di Catania, umilissimo oratore della Santità Vostra, desiderando visitare i Sagri Li1nini per il corrente triennio 51° supplica umilmenle la Santità Vostra a volersi compiacere dargli facoltà di poter fare la presente visila per n1ezzo del sacerdote Pietro Profeta, canonico della sua cattedrale, presente in curia. Che de!Ia grazia, ecc.» (209r) con la nota della Congregazione: «Ex audientia SS.n1i die 13 aprilis 1737. Santissimus annuit. Die 27 augusti 1737 fuit data debita attestatio pro 51° triennio» (218v); 2) due attestati della visita delle basiliche ron1ane fatte il 21 aprile 1737 dal can. Pietro Profeta (216r-217r).


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Ho iniziato la mia visita dalla cattedrale il 13 marzo 1736 con i riti stabiliti dal Pontificale Romano. Questo massimo tempio, notissimo in tutto il Regno, fu licostruito dalle fondamenta dal Vescovo mio predecessore D. Andrea Riggio, ma negli altari era privo di ornamenti. Di mia iniziativa e a mie spese, con l'aiuto di Dio, l'ho arricchito di nuovi quadri dipinti con straordinaria bravura e adornati da cornici indorate, di cappelle restaurate con nuovi colori, di due organi decorati con oro e dipinti. E poiché mancavano anche paramenti e faldistori per le grandi solennità, vi ho provveduto ordinando che venissero fatti con seta ricamata d'oro. Nella mia cattedrale il capitolo è costituito da 5 dignità, 12 canonici, altrettanti beneficiati o ebdomadari e 8 mansionari. Per amministrare i sacramenti ai fedeli il capitolo si serve del maestro cappellano, coadiuvato da 4 sacerdoti. Vi sono 18 cappelle, fra le quali quella insigne dedicata al Crocifisso, che possiede delle rendite per garantire ogni anno la dote a delle ragazze orfane che devono sposare. Ci sono il canonico penitenziere e il pubblico docente di teologia morale della Compagnia di Gesù, il quale ogni giovedì tiene una lezione a tutto il clero [210vj. Subito dopo mi recai nella insigne collegiata intitolata a Santa Maria dell'Elemosina, nella quale si trovano 3 dignità e 18 canonici con le loro prebende, che al momento sono esigue; tutti costoro indossano la cotta e la mozzetta; vi sono anche 8 mansionari distinti da un diverso tipo di mozzetta. Il sabato e nei giorni di festa celebrano con grande impegno la messa solenne e recitano in coro le ore canoniche.

La cattedrale ha anche altre chiese filiali: Sant'Andrea Apostolo, San Biagio o Sant'Agata alla Fornace, San Filippo Apostolo, Santa Marina, Santa Maria dell'Itria, Sant'Agata fuori le mura e Santa Maria della Concordia, di recente da me istituita per una più efficace cura delle anime. I loro cappellani hanno la facoltà di amministrare tutti i sacramenti, ma non hanno quella di ricevere il mutuo consenso nel matrimonio che, per consuetudine immemorabile, viene concessa solo dal Vescovo, in quanto unico parroco della città 10 • Successivamente ho visitato tutte le confraternite e le congregazioni; fra di esse ho trovato anche quella, una volta famosa, dei Santi martiri Co-

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In rnargine il testo è evidenziato dalla Congregazione.


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sma e Damiano, nella cui chiesa il popolo si radunò fuori dalle rovine del terremoto del 1693. A suo tempo fu riparata alla meglio; oggi è lesionata e pericolante, minaccia di crollare da una momento all'altro. Tuttavia, da alcuni introiti distinti da quelli che costituiscono la dote, la confraternita ha l'obbligo di soddisfare alcuni legati pii. Su richiesta dei suoi rettori ho deciso, con la firma di pubblici documenti, di sospendere i legati per cinque anni, 11 consideralo che con i 30 scudi di rendita, sufficienti appena a mantenere il culto, non era possibile riparare la chiesa e impedirne la rovina.

Mi recai nel seminario dei chierici, per il cui edificio, orinai completo nella sua struttura, nominai i deputati, e negli edifici dell'università degli studi, che il vescovo di Catania presiede con il nome di gran cancelliere. Dopo alcuni giorni visitai i monasteri femminili: San Giuliano, San Benedetto, San Placido, Sant'Agata, Santa Chiara e Santissima Trinità. Non senza gioia spirituale del mio animo ho constatato che le monache di questi monasteri si dedicano con tutte le loro forze al culto divino e osservano con scrupolo le loro regole; le ho confermate nella perseveranza con mie esortazioni. Visitai pure altre 2 case: quella delle orfane (21 lr] e quella delle donne che sono ricondotte a penitenza in questa casa dopo la caduta; e che ho vivamente obbligate alle norme emanate nella precedente visita. Non solo ho raccomandato l'insegnamento dei primi rudimenti della dottrina cristiana ai cappellani delle chiese sacramentali, che ho esortato viva1nente, ma ho istituito una nuova congregazione di sacerdoti, i cui soci assumono questo impegno; ad essi ho assegnato la chiesa della Madonna della Lettera nella quale, ogni domenica, si riuniscono nel pomeriggio al suono della campana; indi a due a due si recano nelle chiese sacramentali per aiutare i cappellani in questo salutare compito di insegnare il catechismo. Perché i fanciulli e gli incolti apprendano e ritengano facilmente, spiegano ad alta voce e in dialetto le verità insegnate. Ho stampato a mie spese un compendio della dottrina cristiana sempre in dialetto e l'ho diffuso ampiamente fra i cappellani curati di tutta la diocesi.

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In tnargine il testo è evidenziato dalla Congregazione.


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Ritengo sufficiente aver esposto brevemente alla Santità Vostra queste notizie sulla cattedrale, le parrocchie, le monache e i luoghi pii della città di Catania; ora passerò in rassegna quel che riguarda le città e i paesi della diocesi. Il 21 giugno 1736 partii per visitare la città di Piazza. Ho trovato, lungo la strada, un villaggio di poca importanza chiamato Ramacca. Nella sua chiesa ho amministrato il sacramento della confermazione; dopo aver messo in ordine tutte le cose che riguardavano questa chiesa e che mai erano state prese in esame dal suo vescovo, giunsi nel paese di Aidone, dove più volte ho amministrato il sacramento della confermazione; dopo aver ispezionato tutto quello che ha attinenza al governo spirituale e temporale delle chiese, delle congregazioni, delle confraternite e del monastero delle benedettine e delle clarisse, pervenni a Piazza. In questa città la chiesa madre ha un tempio mollo grande e una collegiata costituita da 3 dignità, alle quali compete la cura d'anime, 18 canonici e altrettanti beneficiati; tutti recitano le ore canoniche. Poiché per colpa dei rettori laici, che amministrano i beni temporali, a distanza di tanti anni non è stata ancora portata a termine la costruzione del tempio, ho dato ordine ai rettori di dare ogni annb, dagli introiti della chiesa, 200 once della moneta siciliana a quattro incaricati [21 lv] da me scelti fra i canonici, per affrettare il completamento del suddetto tempio con l'obbligo di infonnarmi spesso, per lettera, sullo stato della fabbrica. La matrice ha 5 chiese sacramentali filiali, nelle quali si amministrano i sacramenti dai cappellani, amovibili ad arbitrio del vescovo. C'è pure la chiesa di Santa Domenica, con una collegiata che è costituita da 2 dignità, 12 canonici e IO mansionari. Ci sono 3 monasteri di monache benedettine: San Giovanni Evangelista, Santissima Trinità <e Sant'Agata>; uno di clarisse intitolato a Santa Chiara, infine uno di agostiniane intitolato a Sant'Anna; inoltre una casa per mfane, l'ospedale per infermi e il monte di pietà per venire incontro all'indigenza dei poveri. Piazza ha molte congregazioni e confraternite con le loro chiese; altre chiese si trovano dentro e fumi le mura della città; le ho visitate tutte con molta diligenza, lasciando varie ordinazioni per promuovere il culto divino e amministrando a molti fedeli il sacramento della confe1mazione. Son partito per Bmrnfranca e Pietraperzia e ho visitato le 2 chiese madri assieme alle filiali e alle congregazioni; per promuovere il culto di-


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vino ho lasciato opportuni rimedi e ammonizioni. Al clero tenni una conferenza in privato; nominai un lettore perché tutti si istruissero nella teologia morale e un prefetto per insegnare ai bambini la dottrina cristiana; ho amministrato più volte il sacramento della confermazione. Salii alla città di Enna, chiamata Castrogiovanni. Ho ispezionato attentamente la chiesa madre, già eretta in collegiata, ricca di rendite, di suppellettili, di vasi sacri d'argento e di Reliquie di Santi. I 4 parroci per la cura delle anime sono le dignità del capitolo; vi sono, inoltre, 12 canonici e 8 beneficiati, che durante il giorno recitano le ore canoniche e celebrano messe solenni. La città è divisa in 9 parrocchie, i cui parroci sono scelti per concorso, ed ha 3 monasteri femminili che osservano la regola benedettina (San Benedetto, San Marco e San Michele) ed altrettanti con la regola carmelitana (Santa Maria del Popolo, Santa Chiara e Santa Maria delle Grazie). C'è anche un istituto per donne pentite [212r] che vivono in clausura intitolato all'Immacolata Concezione e un mfanotrofio femminile, intitolato a Santa Chiara. In un ospedale per la cura degli ammalati vengono anche accolti, nutriti e battezzati in un apposito fonte bambini abbandonati, i genitori dei quali sono ignoti. Ci sono pure molte congregazioni e confraternite con le loro chiese; entro e fuori la città hanno sede anche molte altre chiese minori, che ho visitato tutte lasciando ammonizioni scritte. Più volte ho amministrato il sacramento della confermazione; ho nominato un prefetto per la dottrina cristiana e un lettore per la teologia morale e, dopo aver tenuto una istruzione in privato a tutto il clero, sono partito per Calascibetta. Questa città ha 2 chiese madri: Santa Maria e San Pietro Apostolo, con 8 canonici ed altrettanti beneficiati che prestano servizio, a mesi alterni, nelle due chiese; gli stessi amministrano a turno i sacramenti parrocchiali. Ci sono pure una chiesa sacramentale filiale intitolata a Sant'Antonio, confraternite, congregazioni e un n1onastero fe1nminile intitolato al Santissimo

Salvatore. Ho visitato tutto e son partito dopo aver istruito il clero con una istruzione privata, conferito ai fedeli bisognosi il sacramento della confermazione, nominato il lettore di teologia morale per istruire gli ecclesiastici e il direttore della dottrina cristiana per assegnare i punti. Lasciata Calascibetta mi sono recato a Leonforte. Sono rimasto ammirato per aver trovato tutto in ordine nelle cose che riguardano il culto di-


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vino e l'amministrazione della chiesa madre. Ho ispezionato le chiese filiali e le congregazioni e in esse non ho trovato alcun disordine. Le bambine erano bene istruite nei primi elementi della dottrina cristiana ad opera delle vergini del Collegio di Maria, fondato da pochi anni dalla religiosità e dalla munificenza del principe di Scordia, signore del paese, che è di grandissimo giovamento spirituale e temporale. Ho tenuto al clero in privato una conferenza ed ho nominato un lettore di teologia morale per la sua istruzione e un prefetto per l'insegnamento della dottrina cristiana ai bambini incolti. Partii per Assoro dopo aver amministrato il sacramento della confermazione ai fedeli che ne avevano bisogno. In questo paese visitai la chiesa madre, dove nn capitolo di canonici esercita la cura delle anime; è costituito da 3 dignità [212v], 12 canonici e 8 beneficiati. Mi sono molto rallegralo per il gran numero di sacre suppellettili e la bellezza del culto divino. Mentre al contrario, la chiesa di Santa Lucia era molto povera e, per quanto ho potuto, l'ho aiutata. Visitando il monastero femminile, che porta il nome e osserva la regola di Santa Chiara, l'ho esortato ad osservare le istruzioni lasciate nella n1ia precedente visita. Infine ho amministrato il sacramento della confennazione ai bambini e agli alt1i fedeli che ne avevano bisogno, ho tenuto una istruzione al clero, ho nominato un lettore di teologia morale dei francescani riformati e un sacerdote di buone qualità come prefetto della dottrina cristiana. Indi sono partito per San Filippo d'Agira. Questa città ha 4 chiese collegiate sacramentali: Sant'Antonio di Padova, Santa Maria Maggiore, Santa Margherita e Santissimo Salvatore. Non c'è una chiesa madre; ognuna delle suddette collegiate è servita da 3 dignità, delle quali la prima è il prevosto che esercita la cura delle anime, 12 canonici e 8 mansionari. Sono 3 i monasteri femminili, di cui 2 sotto la regola di S. Benedetto: Santa Maria la Raccomandata e Santa Maria Annunziata, mentre il terzo porta il nome e osserva la regola di Santa Chiara. La chiesa di quest'ultimo è quasi pericolante ed ho ordinato che venisse riparata. C'è l'abbazia regia intitolata a San Filippo d'Agira, governata da priori e cappellani insigniti ed esenti dalla mia giurisdizione. L'abate comrnendataiio è nominato dal re. Ho visitato parecchie confraternite, congregazioni e chiese e, dopo aver conferito il sacramento della confe11nazione, aver lasciato le necessarie


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istruzioni per il retto governo delle chiese e aver tenuta in privato una conferenza al clero, sono pmiito per Regalbuto. In questa città c'è la chiesa madre, ove prestano il loro servizio i cappellani, eletti dal vescovo e amovibili a suo m-bitrio, che amministrano i sacramenti pan-occhiali. C'è un'altra chiesa sacramentale filiale intitolata a Santa Maria della Croce; ed anche in essa i sacramenti sono anuninistrati da cappellani eletti dal vescovo. Si trovano anche 2 monasteri femminili [213r] che osservano la regola di San Benedetto (Santa Maria delle Grazie e San Giovanni Battista); un terzo, di cui ho visitato la clausura, osserva la regola di S. Agostino ed è soggetto alla giurisdizione degli agostiniani. Ho ispezionato molte confraternite, congregazioni e le altre chiese minori, lasciando a tutti istruzioni scritte. A molti ho conferito il sacramento della confermazione; al clero ho tenuto una istruzione in privato e, dopo aver riordinato J'insegnan1ento della teologia morale per gli ecclesiastici e del catechismo per gli incolti, mi sono avviato per Centuripe. In questo paese ho ammirato la chiesa madre costruita di recente, le altre chiese filiali e le congregazioni, prendendo gli opportuni rimedi quando le necessità lo richiedevano. Ho trovalo che il clero era poco preparato nella teologia morale e i bambini non conoscevano bene i primi elementi della dottrina cristiana. Ho provveduto all'uno e all'altro nominando i prefetti, come avevo fatto altrove. Dopo aver conferito il sacrmnenlo della cresima a molti che lo chiedevano, mi sono recato altrove. Il 5 settembre ho raggiunto Acireale. In questa città c'è una chiesa madre collegiata, costituita da 3 dignità, 12 canonici e 6 mansionari; tutti prestano servizio e assistono nell'amministrazione dei sacra1nenti, recitano le ore canoniche e cantano le n1esse solenni.

La chiesa madre ha altre 5 chiese filiali per l'amministrazione dei sacramenti, sono rette da cappellani eletti dal vescovo. C'è un solo monastero femminile che osserva la regola di S. Benedetto ed è intitolato a Sant'Agala vergine e martire. Ho visitato il conservatorio femminile, l'ospedale per gli infermi, il monte di pietà per recare sollievo agli indigenti, le altre chiese minori, le confraternite e le molte congregazioni con le loro chiese, nelle quali ogni anno si danno parecchi legati di matrimonio a ragazze povere. Anche se il clero era bene istruito nella teologia morale, con una conferenza privata I1ho esortato a continuare a studiare e a vivere


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santamente [213v ]; più volte ho amministrato il sacramento della confermazione; indi ini sono recato alla visita dei comuni di Paten1ò e Adernò.

Entrambi hanno la chiesa madre con una collegiata, costituita da 3 dignità, alle quali compete l'esercizio della cura d'anime, 12 canonici e 8 mansionari. Nella te1Ta di Paternò ci sono un solo monastero femminile,

che osserva la regola di S. Benedetto ed è intitolato a Santa Maria Annunziata, ed un ospedale per curare gli infermi; in quello di Ademò ci sono 2 monasteri femminili: uno che osserva la regola delle clarisse ed è intitolato a Santa Chiara vergine, l'altro che osserva la regola benedettina ed è intitolato a Santa Lucia vergine e 1nartire. Questo monastero, per la cattiva condotta dì alcune monache ha dato non poco scandalo al popolo; perciò, con tutte le mie forze mi sono impegnato a riformarlo. Ho istruito le monache con diversi corsi di esercizi spi-

rituali di S. Ignazio, predicati dai padri della Compagnia dì Gesù inviati appositamente da me; ho proibito i colloqui con i secolari e gli ecclesiastici, ad eccezione dei consanguinei in primo e secondo grado che potevano av-

venire solo una volta la settimana; ho fatto appon-e alle finestre le grate di fe1rn più strette di quelle che già c'erano; dopo avere stabilito la pena ai trasgresso1i ho esortalo tutte all'osservanza delle regole. Nel ten-ìtorio c'è anche un reclusorio femminile che dà al popolo un esempio non disprezzabile dì virtù. I suddetti co1nuni hanno diverse confraternite, società, chiese minori che ho tutte visitato. Ho istituito il lettore di teologia morale ad utilità e beneficio degli ecclesiastici e li ho esortati in una riunione privata; ho incari-

cato alcuni sacerdoti per l'istruzione degli incolli, soprattutto bambini, nei primi elementi della nostra santa fede cristiana. Conferito a molti fedeli che ne avevano bisogno il sacramento della confermazione n1i sono recato altrove.

Per la visita dei paesi, che ho elencato all'inizio di questa mia relazione, non ho trovato nulla di rilevante per la Santità Vostra; tutti sono stati

da me visitati e sufficientemente istruiti con i necessari documenti f214rj. Più volte ho a1nn1inistrato in essi il sacramento della confe1mazione; come

nelle altre città e paesi, ho usato gli opportuni rimedi per il decoro del culto divino e il bene delle anime a me affidate. Infine umilmente prostrato ai piedi della Santità Vostta presento la relazione sulla mia diocesi dì Catania, pregando dì volerla accogliere beni-


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gnamente. Il Signore GesĂš conservi a lungo la SantitĂ Vostra alla Chiesa militante e benedica me e il mio gregge. Catania, 31 luglio 1737 Dopo il bacio dei beati piedi, o Beatissimo Padre Al bacio dei piedi della SantitĂ Vostra Pietro, vescovo di Catania


Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1730 -1751)

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xxx 1739 - Relazione scritta il 26 setten1bre 1739 dal vescovo Pietro Galletti e presentala a Roma dal procuratore can. Pietro Profeta, canonico della cattedrale, nel novembre 1739 12 .

[222r] Beatissimo Padre,

Ti invio umilmente, o Santissimo Padre, la relazione sulla quarta visita della mia diocesi, pregando la tua Beatitudine di accogliere benevolmente la conoscenza di questa mia fatica e di rafforzarla con la tua benedizione. Sono stato spinto a portare a termine un'opera così lodevole dallo zelo per le anime del mio gregge; è stato questo zelo a dare forza alla mia salute malfe1ma e cagionevole, quando ho capito con chiarezza che questa visita era attesa con vivo desiderio da tutti.

12

Al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) una lettera al papa: «Beatissimo Padre, Mons. Galletti, Vescovo di Catania e Supremo Inquisitore del Santo Officio nel Regno di Sicilia, umilissimo oratore della Santità Vostra, rappresenta qualmente, dovendo visitare i Sagri Limini per il corrente triennio 52° e non potendo sodisfare in persona delt'obligo, supplica umilmente la Santità Vostra a degnarsi dispensarlo e permettere che in luogo suo sodisfi a detta sagra visita il sacerdote Pietro Profeta, canonico di quella caltedrale, suo diocesano <leggente a Roma. Che della grazia, ecc.» (219r) con la nota: «Ex audienlia SS.mi, die 25 novembris 1739. SS.mus annuit» (226v); 2) procura in forma pubblica redatta a Catania dal notaio Giacomo Gulli, il 22 settembre 1739, per il can. Pietro Profeta (220r-221r); 3) due attestati della visita alle basiliche romane rilasciati in data 30 novembre 1739 (228r-229r); 4) la nota della Congregazione: «Die 5 noven1bris 1739 data fuit attestatio pro 52° triennio» (226v).


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Pertanto, il 4 maggio dell'anno in corso 1739, lasciai la città di Palenno, dove la Santità tua ha voluto che io dimorassi per svolgere l'ufficio di inquisitore generale contro gli eretici in questo regno; I' 11 dello stesso mese, con l'aiuto di Dio, giunsi nella mia diocesi. Ritengo opportuno espo!1"e fin da principio come ho fatto questa mia visita e le decisioni che ho preso per portarla a compimento. I bisogni del mio gregge e il dovere che sento per la sua cura, nel corso della mia precedente visita, fatta il 15 maggio 1736, mi hanno spinto a istruire il clero nella teologia morale; perciò, dovunque ho istituito lettori di questa disciplina e ho comminato pene a quei chierici che non partecipavano alle lezioni. Inoltre, nei luoghi in cui ho constatato che i bambini ignoravano i primi clementi del catechismo, ho deciso di nominare come prefetti della dottrina cristiana persone che si distinguevano non solo per dottrina e inte-

grità di costumi, ma per prudenza ed esperienza di vita, e di erigere una congregazione di presbiteri per assolvere questo compito [222v]. Oggi a tutti è noto il vivo desiderio per lo studio del catechismo che c'è nella mia diocesi, anche nei giovani della campagna. Non mancano operai evangelici dediti al difficile compito della loro istruzione; abbandonate le città e i paesi, si recano nelle abitazioni dei pastori e fanno di tutto per preparare i giovani della campagna non solo a 1icevere i sacran1enti, 1na a istruirsi nei cinque capitoli fondamentali della dottrina cristiana, nei quali

il nostro catechismo cattolico si compendia. Credo, perciò, che questi bambini possano a ragione essere paragonati al granello di senape, che è il più piccolo fra i semi degli ortaggi, ma è destinato a diventare un grande albero per la diffusione della sacra dottrina e dei misteri della fede presso gli stessi parenti. I sacerdoti della mia diocesi hanno la scienza che garantisce loro di svolgere nel modo più degno un così grande ministero, soprattutto quando siedono nel tribunale della penitenza. Perciò ho stabilito che i presbiteri e i chierici devono essere promossi agli ordini, alla cura delle anime o alle dignità solo se hanno l'approvazione e il documento scritto di presenza del rispettivo professore. In ogni città o paese più volte ho amministrato il sacramento della confer1nazione e ho pro1nosso ag1i ordini 1ninori alcuni giovani perchéi con il loro ministero, fossero di utilità alle chiese che ne avevano bisogno. Inoltre ho illustrato chiaramente, ai presbiteri e ai chierici [223r] di ogni


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città o paese, i doveri e le manchevolezze mediante l'istruzione privata di un mio teologo; né ho trascurato di rimproverare con particolari esortazioni e con aspri richiami, gli ecclesiastici che conducevano vita disordinata. Ora illustrerò su ogni città o paese quelle cose che ritengo meritevoli di essere conosciute. Ho visitato la mia cattedrale osservando le cerimonie previste dal Pontificale Romano. In essa si trnvano 5 dignità, 12 canonici che costituiscono il capitolo ed inoltre 12 beneficiati e 8 mansionari. I sacramenti sono amministrati dal maestro cappellano con l'aiuto di 4 sacerdoti, che hanno il privilegio di indossare le insegne. Le prescrizioni stabilite nella precedente visita sono attentamente osservate. La chiesa collegiata intitolata a Santa Maria dell'Elemosina ha 3 dignità, 18 canonici, che indossano la cotta e la mozzetta, 8 mansionari, distinti da una mozzetta di diverso tipo; tutti, nei sabati e nei giorni festivi dell'anno, recitano le ore canoniche e celebrano le messe solenni. La mia chiesa cattedrale ha 8 chiese filiali, nelle quali i cappellani amministrano i sacramenti, 1na non hanno la facoltà di ricevere il mutuo consenso degli sposi, che viene loro conferita dal vescovo, in quanto unico panoco. Ho ispezionato attentamente i monasteri femminili: San Giuliano, San Benedetto, San Placido, Sant'Agata vergine e martire, Santa Chiara e Santissima Trinità [223v]; e 2 case che accolgono le mfane e le donne che si sono pentite dopo essere cadute. Infine ho visitato il seminario dei chierici, le confraternite, le congregazioni e tutte le chiese rurali. In alcuni casi, con mia grande soddisfazione, ho notato che avevano osservato le mie prescrizioni lasciate nella vi-

sita precedente; in altri ho dato nuove norme perché svolgessero con più decoro il culto divino. Portata a compimento la visita di Catania mi diressi verso la città di Pietraperzia e il paese di Bmrnfranca, dove ha sede un monastero femminile che osserva con molto scrupolo la regola di S. Benedetto ed è intitolato alla Santissima Trinità; è stato fondato nel 1737 e da allora ha fatto tanti progressi, sia nelle virtù sia nel patrimonio. Subito dopo mi recai nella ricchissima città di Piazza, che si gloria di un'insigne collegiata, costituita da 3 dignità, alle quali spetta la cura delle anime, 18 canonici, altrettanti beneficiati; tutti, ogni giorno, recitano le ore

canoniche. Questa chiesa, che per diversi anni era rimasta incompleta, ora


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viene portata a termine celermente con le offe11e di alcune persone nobili e pie, che ho esortalo a ultimare un'opera così grandiosa. C'è anche un'altra collegiata, intitolata al Santissimo Crocifisso, con 2 dignità, 12 canonici e IO mansionari. Ho visitato 3 monasteri femminili che osservano la regola di S. Benedetto f224r]: San Giovanni Evangelista, Santissima Trinità e Sant'Agata vergine e martire; un quarto che osserva la regola e porla il titolo di Santa Chiara, un quinto che osserva la regola di S. Agostino ed è intitolato a Sant'Anna. Ci sono, pure, un orfanotrofio femminile, l'ospedale per la cnra degli infe1mi e il monte di pietà. Il 23 maggio dell'anno in corso, dopo aver emanato il regolare editto e aver proceduto all'esame, ho tenuto in questa città l'ordinazione generale, dopo di che ho visitato le chiese delle congregazioni e delle confraternite. I fidecommissari, i nobili, i canonici e i cittadini mi pregarono insistentemente di costruire un Collegio di Maria con il patrimonio che un testatore aveva per la fondazione di un monastero della regola di S. Teresa, visto che le so1nn1c disponibili non sono sufficienti per costluire il 1nonastero.

Ho accettato con gioia questa richiesta e ho indirizzato i richiedenti alla Sacra Congregazione, perché sia essa a decidere su un'opera così degna, gradita a Dio e vivamente desiderata dalla città. Mi recai alla città di Aidone, dove esortai all'osservanza della regola, con un discorso veemente, le 1nonache dell'unico monastero di don1enicane intitolato a Santa Caterina da Siena, lasciando anche delle istruzioni

scritte.

Nel paese di Valguamera ho fatto il mio dovere. Dopo aver impiegato alcuni giorni alla visita di queste città e paesi, mi sono incamminato verso Enna, città costruita al centro del

regno~

che

può essere considerata inaccessibile per l'altezza del luogo in cui sorge. Tuttavia alla som1nità di questo sito altissin10 c'è una pianura con acque

perenni e tutta la città è circondata da rupi scoscese [224v ]. Ho ispezionato in essa la chiesa madre, eretta dalla Santa Sede in collegiata, con 4 dignità che esercitano la cura delle anime, 12 canonici e 8 beneficiati; è molto ricca di Reliquie di Santi, di sacre suppellettili, di vasi e utensili d'argento. Enna ha 9 paiTOcchie, 3 monasteri femminili che osservano la regola di S. Benedetto, ed altrettanti di monache clarisse. C'è un altro istituto di donne convertite, che vivono in clausura sotto la regola di Santa Chiara,


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ma è povero; ho messo tutto il mio impegno per aiutarlo e ho dato, anche, qualcosa del mio per venire incontro alla loro indigenza. Visitai il reclusorio delle ragazze, l'ospedale, diverse confraternite, congregazioni, chiese rurali, lasciando le opportune istruzioni. Dopo aver visitato le città di Calascibetta, Assoro e Leonforte, mi recai nella città di San Filippo d'Agira, nella quale si trovano 4 chiese collegiate sacramentali: San'Antonio di Padova, Santa Maria Maggiore, Santa Margherita e Santissimo Salvatore; in ognuna di esse ci sono 3 dignità, 12 canonici e 8 mansionari. Si trovano pure 3 monasteri femminili della regola di S. Benedetto, molte società, confraternite e chiese. Questa città è resa famosa dal corpo di San Filippo di Costantinopoli, nel cui celebre tempio l'onnipotenza divina, per l'intercessione di detto santo, opera straordinari e rari miracoli. La chiesa ha il titolo di abbazia regia, non amministra i sacramenti panocchiali, è retta da priori e cappellani, che hanno il privilegio delle insegne e sono esenti dalla giurisdizione dell'ordinario; l'abbate commendatario è nominato dal re [225r]. Nella chiesa madre della città di Regalbuto i sacramenti sono amministrati da cappellani nominati dal vescovo e amovibili a suo arbitrio. C'è un 'altra chiesa sacramentale filiale, intitolata alla Santa Croce ed altre chiese minori, che lodevolmente celebrano il culto divino. Questa città si fregia di 2 monasteri femminili, che osservano la regola di S. Benedetto: Santa Maria delle Grazie e San Giovanni Battista; un terzo osserva la regola di S. Agostino ed è soggetto all'autorità dei frati dello stesso ordine; ho visitato la sua clausura. Nella città di Centuripe ho trovato completa la chiesa madre che, nella mia precedente visita, stavano ancora costruendo. Questa città, una volta famosa, oggi è in gran parte diroccata; ha poche chiese minori e il numero degli ecclesiastici è proporzionato ad esse. L'antichissima città di Adernò ha una chiesa madre con una insigne collegiata, nella quale ci sono 3 dignità che esercitano la cura delle anime, 12 canonici e 8 mansionari. Si hanno 2 monasteri femminili: uno ha la regola e il titolo di Santa Chiara, l'altro professa le costituzioni benedettine ed è dedicato a Santa Lucia vergine e martire. Nella mia precedente visita mi ero impegnato, con tutte le mie forze, a ricondune all'osservanza delle regole questo monastero, che la cattiva condotta di alcune monache aveva discreditato. Quando mi fu riferito che, di proposito o per caso, erano state


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divelte le grate di feno strette che io avevo fatto appone alle finestre, volli che venissero rafforzate con il piombo [225v] e ho comminato la scomunica perché nessuno più osasse ri1nuoverle. C'è un altro reclusorio di ra-

gazze dedicato ai nomi di Gesù e Maria, che non poca utilità aneca alla suddetta città. Subito dopo ho visitato il paese di Biancavilla e la città di Paternò. In essa c'è una chiesa collegiata con 3 dignità che esercitano la cura delle ani1ne, 12 canonici e 8 mansionari; c'è un solo monastero fe1n1ninile, che è intitolato alla Beata Vergine Maria Annunziata e osserva gli statuti di S. Benedetto; l'osservanza della regola rifulge in esso. Nelle chiese di Biancavilla e Paternò non ho trovato nulla di contrario alle mie istruzioni passate.

Da queste città mi recai ad Acireale, nella cui chiesa madre ha sede una collegiata costituita da 3 dignità, 12 canonici e 6 mansionari; i quali tutti si prestano all'amministrazione dei sacramenti. Ci sono anche 5 chiese filiali per l'amministrazione dei sacramenti, con cappellani eletti dall'ordinario e amovibili a suo arbitrio. Su tutte le chiese spicca quella di San Sebastiano martire, sia per la sua ampiezza sia per la sua bellezza. Questa città ha un solo monastero femminile benedettino, intitolato a Sant'Agata vergine e 1nartire; e ho constatato che in esso vige l'osservanza delle regole. Ci sono pure il monte di pietà, l'ospedale e un reclusorio per le ragazze; la città conta molte confraternite e chiese, nelle quali ogni anno vengono dati non pochi legati perché le ragazze possano sposarsi onestamente f226r]. Ho visitato, infine, i paesi posti alle falde dell'Etna: Misterbianco, Motta Sant'Anastasia, Belpasso, Nicolosi, San Pietro, Camporotondo, Trecastagni, Viagrande, Massannunziata, Santa Lucia, Gravina, San Giovanni Galermo, San Giovanni la Punta, Sant'Agata, Trappeto, Tremestieri, Bonaccorsi, Aci Sant'Antonio, Aci San Filippo o Catena, Trezza e, infine, Acicastello; nei suddetti paesi non ritengo che ci sia qualcosa di rilevante da riferire alla Santità tua, essendo stati istruiti a sufficienza con decreti e istruzioni. Non mi resta che passare ai voti con i quali prego Dio ottimo massimo, con tutto l'affetto del mio cuore, che a te conservi e accresca ogni felicità, mentre ti chiedo di dare a me la tua santissima e paterna benedizione.


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Catania, 26 settembre 1739 Dopo il bacio dei beati piedi, umilissimo e obbedientissimo servo Pietro, vescovo di Catania e inquisitore generale


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XXXI 1744 - Relazione scritta il 22 luglio 1744 dal vescovo Pietro Galletti e presentata a Roma dal procuratore can. Pietro Profeta, canonico della cattedrale nel setteinbre 1744".

f234r] Beatissimo Padre, l'attento desiderio di visitare il mio gregge ha preso il mio animo a tal punto, che volentieri, quantunque ottuagenario e afflitto da non poche malattie, mi recherei in tutte le città soggette alla mia cura pastorale se il parere unanime dei medici non me lo avesse proibito, la mia cadente età e l'evidente pericolo di vita non l'avessero del tutto impedito. Pertanto per soddisfare il compito affidatomi incaricai il vicario generale nelle cose spirituali e temporali a visitare la diocesi con la sua consueta sollecitudine e prudenza.

13 Al testo della relazione sono acclusi: 1) una lettera al papa: «Beatissimo Padre, Mons. Galletti, Vescovo di Catania, umilissi1no oratore della Santità Vostra, volendo sodisfare al suo obbligo di visitare i Sagri Limini per il corrente triennio 53° supplica umilmente la Santità Vostra a compiacersi dargli facoltà di poter fare la presente visita per mezo dcl sacerdote Pietro Profeta, canonico della sua medesima cattedrale, presente in curia per suo aggente, come appare per mandato di procura che si dà qui annesso. Che della grazia, ecc.» (231 v), con la nota: «Ex audientia SS.111i, die 2 seplembris l 744. Sanctissimus annuit» (240v); 2) procura in forma pubblica redatta a Palermo dal notaio Stefano Sardo e Fontana, il 7 tnaggio 1744, per il can. Pietro Profeta (232r-232v); 3) due attestati della visita alle basiliche romane, in data 20 settembre 1744 (238r-239r); 4) la nota della Congregazione: «Die 25 septernbris 1744 data fuit attestatio visitationis pro 53° triennio» (240v).


Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania ( 1730 - 1751)

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Il vicario e visitatore generale attuò il mio progetto e il 10 giugno 1743, per la quinta volta, si recò per me in cattedrale per visitarla. In essa vi sono 12 canonici e 5 dignità (il piiore, prima dignità, il cantore, il decano, il tesoriere e l'arcidiacono), che costituiscono il capitolo; vi sono, inoltre, 12 ebdomadari o beneficiati e 8 mansionaii. Il capitolo, per amministrare ai fedeli i sacramenti, si se1ve del maestro cappellano, coadiuvato da 4 presbiteri che godono il privilegio di portare le insegne canonicali. La cattedrale è arricchita di 18 cappelle, la più nota delle quali è quella dedicata al Crocifisso; con le rendite che si ricavano dal suo patrimonio [234v], ogni anno, dà la dote per consentire a non poche ragazze orfane di contraITe matrimonio. Fa parte del capitolo dei canonici il penitenziere; inoltre, nei giovedì dell'anno, il pubblico lettore di teologia morale della Compagnia di Gesù tiene una lezione a tutto il clero. Le istruzioni lasciate nella precedente visita sono state tutte osservate. Il 20 giugno dello stesso anno il visitatore generale si recò nella insigne chiesa collegiata dedicata a Santa Maria dell'Elemosina. In essa vi sono 3 dignità (prevosto, tesoriere e cantore), 18 canonici, che sono rivestiti della cotta e della mozzetta, 1O mansionari, distinti per un diverso tipo di mozzetta e un cappellano, dedito all'amministrazione dei sacramenti. Inoltre la mia cattedrale ha come filiali altre chiese: Sant'Andrea Apostolo, San Biagio o Sant'Agata alla Fornace, Santa Maria dell'ltria, Santa Marina, San Filippo Apostolo, Sant'Agata vergine e martire fuori le mura e Santa Maria della Concordia. I loro cappellani hanno la facoltà di amministrare ai fedeli tutti i sacramenti, ma non quella di ricevere il mutuo consenso nel sacramento del matrimonio, che solo dal vescovo da tempo immemorabile viene datai in quanto unico parroco.

Nella predetta città furono visitate con ogni sollecitudine 33 confraternite e 5 congregazioni. Subito dopo fu la volta del seminaiio dei chierici; per la conservazione dell'edificio già ultimato e per il maggiore progresso dei giovani nella formazione spirituale e intellettuale, furono dati validissimi decreti. Dal 15 luglio al 5 settembre furono visitati i monasteri femminili: San Giuliano, San Benedetto abate, San Placido martire, Sant'Agata vergine e martire e Santissima Trinità, tutti della regola di S. Benedetto [235r], oltre a quello di Santa Chiara che osserva la regola francescana. Con grandissima gioia del mio animo le monache di questi monasteri sono


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dedite al culto divino e osservano minuziosamente le loro regole; ed io ho pregato Dio con insistenza perché le aiutasse a perseverare. Nelle 2 case per le orfane e per le donne indotte alla penitenza dopo la caduta, che qui chiedono asilo, non si contravviene alle mie disposizioni. Fin qui le notizie sulla cattedrale, le parrocchie, le monache, i luoghi pii. Ora esporrò le cose che riguardano le città e i paesi della diocesi. Il 13 maggio 1743 il mio visitatore generale partì per visitare Piazza, nella quale Marco Trigona, uno degli abitanti più illustri, nobile, vecchio, cieco e ricco, principe della città, con testamento lasciò erede del suo ricchissimo patri1nonio la chiesa della Madre di Dioi successiva1nente eretta in collegiata, costituita da 3 dignità (prevosto, cantore e tesoriere) alle quali è affidata la cura delle anime, 18 canonici, altrettanti presbiteri beneficiati; tutti recitano le ore canoniche. Poiché, a causa della negligenza dei rettori laici, che am1ninistrano il patri1nonio, la chiesa non è stata ancora ultimatai il mio visitatore generale ha stabilito che si osservasse scrupolosamente il mio decreto, emanato nella visita del 1736, il 21 giugno, con il quale davo le indicazioni per il completamento del tempio. In questa visita mi è giunta notizia che le somme lasciate per la celebrazione di messe, legati di matrimonio e altre pie disposizioni o non possono essere più esigite o lo possono solo con grande difficoltà, perché le somme predette sono state deposte presso amministratori diversi e dilapidate o per la loro malvagità o perché, con la loro morte, esse sono andate perdute [235v] e i loro eredi non intendono reintegrarle. Pertanto, con un efficace decreto ho stabilito che tutti i capitali destinati alle opere pie venissero chiusi in una cassa con tre chiavi, che questa venisse custodita nel monastero di Sant'Anna e che solo con il permesso della curia si potesse prendere il denaro quando ciò fosse stato necessario. La chiesa madre di Piazza ha 5 chiese sacramentali filiali, nelle guaii si a1nministrano i sacramenti da cappeJJani nominati dal vescovo e a1novibili a suo arbitrio. C'è pure una chiesa intitolata a Santa Domenica, che vanta una collegiata intitolata al Santissimo Crocifisso, in cui si trovano il prevosto e il cantore, 12 canonici e IO mansionaii. Nella città sorgono 3 monasteri con la regola di S. Benedetto: San Giovanni Evangelista, Santissima Trinità, e Sant'Agata vergine e martire; uno che osserva le costituzioni francescane, intitolato a Santa Chiara; un altro intitolato a Sant'Anna, che obbedisce alle regole di S. Agostino ve-


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scovo; inoltre un orfanotrofio femminile, un ospedale per la cura dei malati e un monte di pietà per venire incontro all' indigenza dei poveri. La città di Piazza ha anche 31 confraternite con oratori pubblici, e 54 chiese, inclusi gli oratori, dentro e fuori la città; essi sono stati visitati con molta diligenza e per essi sono state lasciate diverse istruzioni per promuovere sempre di più il cullo divino. Il visitatore generale, il 20 giugno, giunse al paese di Aidone e visitò tutto ciò che riguarda il governo spirituale e temporale di 12 chiese, 2 parrocchie, 3 confraternite e un solo monastero femminile, intitolato a Santa Caterina vergine, che osserva le regole di S. Domenico e indossa il suo abito bianco; dopo fece ritorno alla città di Piazza per raggiungere le altre città [236r]. Ma gli fu portata la notizia della grave malattia contagiosa che era scoppiata a Messina; e poiché la pestilenza si diffondeva sempre di più e aveva colpito tutti i 1nessinesi, le altre città siciliane furono prese dal terrore del contagio (soprattutto la mia diocesi, che confina con Messina) e costituirono delle scorte annate con il compito di controllare gli ingressi ed evitare che la malattia dei messinesi contagiasse i loro abitanti. 1 religiosi con le prediche incoraggiavano le popolazioni attenile e ricordavano loro la necessità di pregare e temere Dio. Il popolo è esortato a fare pubbliche preghiere e a piangere per chiedere perdono; si predispongono riti penitenziali; si va in processione a piedi scalzi, vestiti di nero, cosparsi di cenere; versando, insieme, lacrime e sangue i penitenti chiedono perdono e misericordia a Dio; si distinguono soprattutto i padri della Compagnia di Gesù, che aprono e chiudono le processioni, ma anche gli altri religiosi che, con opportune esortazioni, fanno capire quanto sia grande l'ira divina per suscitare forti reazioni e1notive. In queste condizioni, essendo venuta meno la speranza di completare la visita pastorale della diocesi, il visitatore generale, con tutta la sua curia, fece ritorno a Catania. Ma io non ho perduto il desiderio di raggiungere le città della diocesi non ancora visitate; ho consolato con lettere il mio popolo afflitto e ho comunicato ai vicari foranei le indicazioni che mi sembravano utili per il governo della diocesi. Prostrato ai sacri piedi della tua Santità espongo quest'ultima relazione sullo stato della diocesi di Catania, pregando umilmente di accettarla


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con patema benevolenza, mentre prego Dio che conceda alla SantitĂ tua di vivere felicemente in terra e, ancora piĂš felicemente, in cielo. Palermo, 22 luglio 17 44 Dopo il bacio dei beatissimi piedi della SantitĂ Vostra Pietro, vescovo di Catania


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XXXII 1746 - Relazione scritta nel giugno dcl 1746 dal vescovo Pietro Galletti e presentata a Roina dal procuratore can. Pietro Profeta, canonico della cattedrale nel settc1nbre del 1746".

[244r] Beatissimo Padre, invio umilmente alla Santità tua la relazione della quinta visita di questa diocesi di Catania affidala alla mia autorità pastorale; essa non è stata fatta da me personalmente per l'impossibilità di fare un così lungo viaggio, a causa delle molte infermità dalle quali sono affetto e dell'età avanzata. Questi motivi non mi hanno consentito a suo tempo, con mio grande dispiacere, di lasciare Palermo, anche se ho fatto comunque il mio dovere e son venuto incontro alle necessità del n1io gregge con ardente zelo per le anime e per le chiese, sollevandolo dalle miserie delle quali è afflitto. Proprio per controllare se erano state osservate le nor1ne emanate nella precedente visita circa la con·ezione dei costumi depravati, lo stato

14 Al testo della relazione sono acclusi: 1) una lettera al papa: «Beatissimo Padre, Mons. Galletti, Vescovo di Catania, urniln1ente espone alla Santità Vostra qualmente, avendo ultimato la visita della sua Diocesi a tenore della relazione che presenterà in Sagra Congregazione del Concilio, e non potendo per la sua grave età parlarsi di presenza in Ro1na, supplica la Santità Vostra degnarsi aggraziarlo che il sacerdote Pietro Profeta, canonico della sua cattedrale prcsen!e in curia, possa adetnpire alle sue veci nella visita dei Sagri Lin1ini. Che della grazia, ecc.» (241r), con h1 nota: «SS.1nus annuit» (250v); 2) procura in fonna pubblica redatta a Catania dal notaio Giaco1no Vincenzo Gulli, il 1 luglio 1746, per il can. Pietro Profeta (242r243r); 3) due attestati delle visite alle basiliche ron1ane rilasciati in data 7 settembre 1746 (248r-249r); 4) la nota della Congregazione: «Die 23 septetnbris 1746 data fuit attestatio pro 54° triennio» (250v).


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clericale, un maggiore zelo nel cullo divino, ho incaricato il mio vicario generale, il Rev.mo dottore in utroque iure D. Vincenzo Patemò Trigona. E' noto che egli, il 16 marzo 1743, dopo la chiesa cattedrale ha visitato con ordine le altre chiese minori, i monasteri, le parrocchie, le confraternite; inoltre ha ispezionato tutte le città e i paesi di questa diocesi [244v ]. Ritengo opportuno ripetere la relazione della visita fatta alla mia predetta cattedrale, nella quale 5 dignità e 12 canonici costituiscono il capitolo; vi sono pure 12 beneficiati, chiamati comunemente secondari, il 1naestro delle cerimonie, 8 mansionari e, infine, il maestro cappellano con 4 sacerdoti amovibili ad arbitrio del vescovo, che provvedono in modo esemplare all'amministrazione dei sacramenti. Le istruzioni date nella precedente visita sono state tutte scrupolosamente osservate. Nella insigne chiesa collegiata, intitolata a Santa Maria dell'Elemosina, ci sono 3 dignità, 18 canonici, che hanno il privilegio di indossare decorose insegne, 8 mansionari, il cappellano e il maestro delle cerimonie, che indossano le mozzette; insieme, nei sabati e nel1e do1neni-

che dell'anno e nel periodo della quaresima, esse recitano le ore canoniche e celebrano le messe solenni. In questa città ci sono 8 parrocchie o chiese filiali, nelle quali da vice parroci in esse nominati sono a1nministrati i sacran1enti; 1na bisogna richiedere al delegato del vescovo, in quanto unico pairnco, la facoltà di ricevere il mutuo consenso nel matrimonio. Sono i cappellani e i prefetti della dotllina cristiana ad insegnare a tutti i giovani i primi elementi della fede cattolica. Furono visitati in particolare i monasteri femn1inili, nei quali sono manifesti i frutti delle virtù; essi occupano il loro posto secondo un criterio di precedenza temporale: primo è il monastero di San Giuliano, seguono quelli di San Benedetto, San Placido, Santissima Trinità, Sant'Agala vergine e martire, Santa Chiara. I primi 5 osservano la regola di S. Benedetto, il sesto, intitolato a Santa Chiara, osserva la regola del serafico ordine di S. Francesco [245rj. Per il seminario dei chierici, le confraternite, le congregazioni, le chiese rurali e gli altri luoghi pii sono state date le norme da osservai·e; gli enti trovati in regola con le istruzioni date sono stati lodati. Si è seguita questa procedura nelle chiese e nei Iuoghi pii di tutto il bosco e nei paesi che sorgono alle pendici dell'Etna, cioè a San Pietro, a Camporotondo,


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Pedara, Trecastagni, Viagrande, Santa Lucia, Gravina, San Giovanni Galermo, San Giovanni la Punta, Sant'Agata, Trappeto, Tremcstieri, Bonaccorsi, Aci Sant'Antonio, Acicatena, Trezza e Acicastello; in tutte queste te1Te sono stati en1anati i provvedi1nenti necessari. La città di Acireale ha una chiesa madre collegiata con 3 dignità, 12 canonici e 6 mansionari, che indossano le insegne canonicali concesse dalla Santa Sede; a tutti furono rilasciate le istruzioni che si ritennero necessarie. In 5 chiese filiali i cappellani amministrano i sacramenti. C'è un solo monastero femminile, soggetto alle regole di S. Benedetto e dedicato a Sant'Agata vergine e martire, venerato con inolta a1nn1irazione per la esemplmità dei costumi e per l'osservanza delle regole. Il monte di pietà, l'ospedale e il conservatorio delle ragazze sono bene governati. Le chiese e le confraternite si distinguono per l'ordinata amministrazione delle cose che riguardano il decoro del culto divino e la distribuzione dei legati, istituiti per il matrimonio delle orfane. Dopo aver fatto queste cose lo stesso Rev.mo Paternò Trigona, mio vicario e visitatore generale, si recò nella città di Piazza. In questa ricchissima città visitò in modo particolare l'insigne collegiata, costituita da 3 dignità che esercitano la cura delle anime, 18 canonici [245v] e altrettanti sacerdoti beneficiati, che recitano in coro le ore canoniche; visitò pure un'altra collegiata intitolata al Santissimo Crocifisso, alla quale sono addetti 2 dignità, 12 canonici e 3 mansionari. Nella città sorgono, inoltre, 3 monasteri femminili che osservano la regola di S. Benedetto: San Giovanni Evangelista, Santissima Trinità, Sant'Agata vergine e martire; un quarto è sotto la regola e il nome di Santa Chiara, un quinto osserva la regola di S. Agostino ed è intitolato a Sant'Anna. Questi monasteri furono visitati assieme al conservatorio delle ragazze, l'ospedale per gli infe1mi e il monte di pietà. Dopo di essi furono visitate le altre chiese site dentro e fuori le mura della città, le congregazioni, le confraternite; furono conservate le antiche istruzioni e ne furono date altre, utilissime, soprattutto circa l'adempimento dei legati. Pmtito per la città di Aidone, il vicario visitò l'unico monastero esistente sotto la regola di S. Domenico, intitolato a Santa Caterina da Siena, le cui monache vivevano con grande esemplarità. Lasciò istruzioni per i fedecommissm·i delle opere pie ed esaminò con cura i loro registri; diede di-


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, sposizioni su altre materie conce1nenti il culto divino e su alcune cose che

bisognava fare con metodo salutare. Fu proprio dopo aver portato a termine questa parte della visita, secondo le prescrizioni canoniche, che lo stesso vicario generale Trigona, a causa della pestilenza che colpì (così permettendo Dio) la città di Messina, per osservare le disposizioni emanate per il bene di tutto il Regno dalla deputazione della sanità, non fu più in grado di proseguire e fece subito ritorno a Catania [246r]. Nel 1745, avendo il Paternò Trigona rinunziato all'ufficio di vicario generale, in sua vece, e per portare a termine in tutta la diocesi la visita pastorale già iniziata, ho scelto il Rev.mo dottore in utroque iure D. Andrea Vernagallo, canonico della cattedrale. Egli, con tutta la diligenza e l'attenzione possibile, secondo un certo ordine, si recò nella città di Paternò, dove visitò la chiesa madre collegiata, costituita da 3 dignità, 12 canonici e 8 mansionari. Nel monastero dedicato alla Beata Maria Vergine Annunziata, che obbedisce alla regola di S. Benedetto, trovò una esemplare osservanza delle regole. Andò a visitare la città di Biancavilla e constatò che le precedenti istruzioni erano state osservate anche qui.

Per la città di Adernò resta da dire che in essa c'è la chiesa madre eretta in collegiata e costituita da 3 dignità con l'obbligo di esercitare la cura delle anime, 12 canonici, 8 mansionari. Ci sono pure 2 monasteri: uno osserva la regola e porta il nome di Santa Chiara, l'altro, intitolato a Santa Lucia, è soggetto alle costituzioni di S. Benedetto. Con paterno zelo ho messo tutto il mio impegno e non ho lasciato nulla di intentato per riportare in questo monastero una più stabile disciplina e osservanza delle regole. C'è un conservatorio di ragazze, intitolato a Gesù e Maria, che è stato aiutato nella sua indigenza. La città dì Centuripe ha la chiesa madre ed altre chiese minori, nella cni visita, fra le altre cose, si trattò di ciò che bisognava rifonnare. La chiesa madre della città di Regalbuto è servita da cappellani scelti dal vescovo; c'è pure un'altra chiesa filiale intitolata alla Santa Croce [246v]. Sorgono in questa città 2 monasteri che osservano la regola di S. Benedetto (Santa Maria delle Grazie e San Giovanni Battista) ed uno soggetto alla regola di S. Agostino e sottoposto alla giurisdizione dei frati dello stesso ordine.


Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1730 -1751)

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Nella città di San Filippo d'Agira ci sono 4 chiese collegiate sacramentali intitolate a Sant'Antonio di Padova, Santa Maria Maggiore, Santa Margherita e Santissimo Salvatore, tutte costituite con lo stesso numero di 3 dignità, 12 canonici e 8 mansionari; sono state sottoposte tutte alla visita assieme a 3 monasteri ivi istituiti e soggetti alla regola di S. Benedetto, ed alle altt·e chiese, congregazioni e confraternite. Nelle città di Calascibetta, Assoro e Leonforte, così come si era fatto nelle precedenti, si provvide con giusti rimedi nelle cose in cui si ritenne opportuno intervenire. Subito dopo fu visitata la città di Enna, che ha una chiesa eretta in collegiata dalla Santa Sede con 4 dignità, che esercitano la cura delle anime, 12 canonici e 8 beneficiati; ha pure 9 parrocchie e 6 monasteri, dei quali 3 osservano la regola di S. Domenico e gli altri vivono sotto la disciplina di Santa Chiara. In questa città sorgono: un monastero di clausura per donne pentite, soggetto alla regola di Santa Chiara, un conservatorio per ragazze, un ospedale per gli infe1mi e altre congregazioni; le chiese rurali e i luoghi pii sono stati aiutati con istruzioni. Infine fu visitato il villaggio di Valguarnera, dove furono prescritte le no1me ritenute importanti. Riassumendo, in tutta la diocesi regnano, con la grazia di Dio, la virtù, la pietà cristiana e la vera religione; a Lui vengono rese grazie [247r]. Fra gli altri provvedimenti presi dopo il mio ritorno a Catania da Palermo, per attuare in modo ordinato le norme sui legati pii, stabilite dai sacri canoni, dal Concilio di Trento e dalle costituzionali sinodali diocesane e perché, in un tema così delicato, si intervenisse con sollecitudine e non solamente sotto lo stimolo degli altri problemi che si presentano al tempo della visita pastorale, in forza della mia potestà ordinaria ho nominato vicario generale, per le cause pie nella città e nella diocesi, il Rev. dottore in utroque iure e professore D. Antonino Sindona, canonico della predetta collegiata di Catania. A tutti gli effetti di legge e con regolare procedura sono stati emanati editti perché i fedeli rivelassero i legati pii, in particolare quelli tenuti nascosti, e tutte le circostanze utili ad essi connesse; al presente lo stesso vicario generale, deputato a questo compito con particolare cura, si dedica con diligenza al suo ufficio. Per concludere, genuflettendomi con il doveroso e umile ossequio, tutto sottometto al giudizio della Santità tua e prego la divina munificenza


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che, per la maggiore stabilitĂ della fede cattolica, conservi a lungo la tua Beatitudine; ti prego, inoltre, di confortarmi con la tua pontificia benedizione.

Catania, giugno 1746 Dopo il bacio dei beatissimi piedi, umilissimo e obbedientissimo servo

Pietro, vescovo di Catania


Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1730 - 1751)

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XXXIII 1751 - Relazione scritta il 26 marzo 1751 dal vescovo Pietro Galletti e presenlata a Roma dal can. Pietro Profeta, canonico della cattedrale nei mesi di marzo o aprile 1751 15 •

f256r] Beatissimo Padre, il desiderio di visitare la mia diocesi di Catania in questo Regno di Sicilia mi entusiasmava a tal punto (sebbene sia più che ottuagenario e af-

15

Al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: I) una lettera al papa: «Santissimo Padre, Mons. Galletti, Vescovo della città di Catania, uinilissimo oratore della Santità Vostra, rappresenta di non aver potuto con1pire la sua visita ad Sagra Limina per il triennio spirante del cinquantacinque e perciò supplica la benignità della Santità Vostra per la grazia della proroga di altri mesi sei, nel giro de' quali spera compire al suo obbligo. Che della grazia, ecc.» (25 lr), con la nota: «Die 5 octobris 1750. Ad sex menses» (252v); 2) una seconda lettera al ·papa: «Beatissimo Padre, Mons. Galletti, Vescovo di Catania in Sicilia, umilissimo oratore della Santità Vostra, rapresenta di non aver potuto compire la relazione dello stato della sua Chiesa, sperando mandarla nel termine delli sei mesi di proroga ottenuti dalla Santità Vostra. Ma perché si trova avere eletto per suo procuratore, ad visitanda sacra limina, il sacerdote Pietro Profeta, canonico della sua cattedrale presente in curia e non può mollo trattenersi in Roma, supplica la benignità della Santità Vostra abilitarlo a far detta sagra visita, nonostante che mancasse la detta relazione dello stato di detta sua Chiesa. Che della grazia, ecc.» (253r), con la nota: «Ex audientia SS.n1i die 27 ianuarii 1751. SS.mus annuit, dun1n1odo intra sex 1nenses transmittat relationem» (261v); 3) procura in fonna pubblica redatta a Catania dal notaio Giacotno Vincenzo Gulli il 25 dicembre 1750 per il can. Pietro Profeta (254r-255r); 4) due attestati di visita alle basiliche di San Pietro e di San Paolo rilasciati in data 26 aprile e I marzo 1751 al can. Pietro Profeta (258r-259r); 5) la nota della Congregazione; «Die 29 aprilis 1751 data fuit attes!atio pro 55° triennio» (261v). Dopo il testo della relazione si trovano gli atti di un'ultima visita, che il vescovo non poté compiere perché sopravvenne la morte: una lettera al papa: «Beatissimo Padre, Pietro Galletti, Vescovo di Catania, umilissimo oratore della Santità Vostra supplica della proroga della visita ad Sagra Limina. Che della grazia, ecc.», con la nota: ((Die XI decembris 1756. Ad sex menses» (262r).


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fetto dall'angustia di non poche malattie) che sarei partito più che volentieri per le città e i paesi se non fossi stato impedito dall'unanime parere dei medici e dall'evidente pericolo di vita. Pertanto, per fare quello che era in mio potere, ho nominato un vicario generale per le cose spirituali e te1nporali perché, con l'abilità di cui è dotato, con l'aiuto e la potestà che egli ha, visitasse la diocesi ad eccezione di questa città, sede della mia cattedra episcopale, che ho cercato di visitare personalmente per quanto era nelle inie

possibilità. Il vicario generale ha portato a compimento il mandato della visita affidatogli. Pertanto io stesso, il 3 luglio 1746, superando tutti gli ostacoli della mia infermità, ho visitato questa mia cattedrale intitolata a Sant'Agata vergine e martire catanese, fondata dai re e famosa in tutto il Regno. In essa operano 12 canonici, 5 dignità (il priore prima dignità, il cantore, il decano, il tesoriere e l'arcidiacono), che costituiscono il capitolo assic1ne a 12 ebdomadari o beneficiati e 8 n1ansionari. Il capitolo per l'an1111inistrazione dei sacra1nenli ai fedeli incarica un n1aeslro cappellano al quale si aggiun~ gono 4 presbiteri ausiliari. La cattedrale si adorna di 18 cappelle, nelle quali è inclusa quella dedicata al Crocifisso, ricca di legati annui per permettere a diverse ragazze orfane di contra1Te 111atri1nonio. Nel capitolo c'è il

canonico penitenziere e ogni giovedì un pubblico lettore di teologia morale, della Compagnia di Gesù, tiene una lezione a tutto il clero. Le ordinazioni annotate dal 1nio cancelliere nella precedente visita sono felicen1ente osservate.

Il 14 luglio dello stesso anno mi recai nella insigne chiesa collegiala Santa Maria dell'Elemosina. In essa esercitano il ministero 3 dignità: il prevosto, il tesoriere, il cantore, 18 canonici e 12 1nansionari con il cappellano per l'an11ninislrazionc dei sacra1nenti. La mia cattedrale ha altre chiese filiali: Sant'Andrea Apostolo, San Biagio vescovo o Sant'Agata alla Fornace, Santa Maria dell'ltria, Santa Marina, San Filippo Apostolo; fuori le mura: Sant'Agata vergine e martire,

Santa Maria della Concordia e Santa Maria nel qumtiere chiamalo «Cifali». I loro cappellani hanno la facoltà di amministrare ai fedeli cristiani lutti i sacra1nenti, 1na non quella di ricevere il n1utuo consenso per il sacran1ento del matrimonio che, per consuetudine in11ne1norabile, viene concessa solo dal

vescovo, in quanto unico parroco [256v J.


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Nella predetta città furono visitate con ogni diligenza 33 confraternite e varie congregazioni. Infine fu visitato il se1ninario dei chierici; ho emanato decreti validissimi per la conservazione dell'edificio già ultimato e per il maggior progresso spirituale e intellettuale dei giovani. Il 4 agosto ho visitato i monasteri femminili: San Giuliano vescovo cenomanense, San Benedetto abate, San Placido martire, Sant'Agata vergine e martire, Santissima Trinità, soggetti alla regola di S. Benedetto, Santa Chiara, che osserva la regola di S. Francesco; tutti sono soggetti alla mia giurisdizione. Le 1nonache di questi n1onasteri sono dedite anzitulto al culto divino e osservano con scrupolo le loro regole; con grande gioia del mio animo ho pregato Dio di rafforzarli nella santa perseveranza. Subito dopo ho visitato 2 case: una di orfane, l'altra di donne ricondotte alla penitenza dopo la caduta, che chiedono questo asilo. J miei precetti in esse sono osservati. C'è inoltre un altro conservatorio di poche ragazze, posto fuori le 1nura, che viene sostentato con le ele1nosine di alcuni

nobili. Questo è quanto riguarda la cattedrale, le pa!1"occhie, le monache e i luoghi pii. Riferirò ora ciò che si riferisce alle città e ai paesi della diocesi. L'S ottobre 1746 il mio visitatore e vicario generale si avviò per visitare il paese di Aidone; prima di giungervi visitò la chiesa panocchiale Santa Maria delle Grazie, costituita per la popolazione della contrada chiamata «Gabella». Nella città di Aidone visitò la chiesa madre ma, poiché in quel 1nomento c'erano dei lavori in corso, per evitare n1ancanze di riverenza fece trasferire il SS.mo Sacramento nella chiesa intitolata a Santa Maria. Per l1osservanza delle regole nell'unico n1onastero fe1nminile,

intitolato a Santa Caterina da Siena e soggetto alla regola di S. Domenico, lasciò in scritto prudentissin1e ordinazioni; si co1nportò allo stesso modo visitando le altre chiese e confraten1ite.

Il 15 ottobre dello stesso anno giunse alla città di Piazza, nella quale Marco Trigona, nobile e ricchissimo principe, con il suo testamento no~ minò erede del ricchissimo patrimonio la chiesa dedicata alla Madre di Dio. In seguito questa chiesa fu elevata in collegiata insigne; consta di 3 dignità (prevosto, cantore e tesoriere), alle quali è affidata la cura delle anime, 18 canonici, altrettanti sacerdoti beneficiati; tutti costoro ogni gio1110 recitano

in coro le ore canoniche. Questo tempio, per la negligenza degli amministratori laici che amministrano i beni temporali, nella mia precedente visita non era stalo ancora ultimato; perciò avevo stabilito che si osservasse fe-


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delmente il mio decreto che ordinava di portarlo al più presto a compimento. In questa visita, con l'aiuto di Dio e per la. gioia di tutto il popolo, si è constatato che i lavori erano finiti. La chiesa madre di Piazza ha 5 chiese sacramentali filiali, nelle quali i sacramenti ai fedeli sono amministrati da cappellani eletti dal vescovo e amovibili a suo arbitrio. C'è anche un'altra chiesa collegiata intitolata a Santa Domenica e al Santissimo Crocifisso, costituita da 2 dignità (prevosto e cantore), 12 canonici e IO mansionari. Poiché erano in corso delle riparazioni, il mio vicario generale, per motivi di decoro, ordinò che le sacre funzioni venissero celebrate nella chiesa intitolata all'Angelo Custode. I monasteri femminili soggetti alla regola di S. Benedetto sono 3: San Giovanni Evangelista, Santissima Trinità e Sant'Agata vergine e martire; un quaito, dedicato a Santa Chiara, osserva la regola di S. Francesco; un quinto porta il nome di Sant'Anna ed è soggetto alla regola di S. Agostino. Ci sono pure: un orfanotrofio femminile, intitolato a Santa Rosalia, un ospedale per sollevare gli infenni e il monte di pietà per aiutare i poveri. Questa città è ricca di 21 confraternite, che hanno il proprio oratorio, e di 54 chiese, chiamate oratori, che sorgono dentro e fuori le mura. Il vicario visitò pure il villaggio di Mirabella, ove c'è una chiesa in cui si a1111ninistrano i sacramenti ed un solo oratorio di confraternita [257r]. Il 14 novembre 1747 il mio visitatore generale visitò i paesi situati alle falde dell'Etna: Misterbianco, Belpasso, Camporotondo, San Pietro, Nicolosi, Pedara, Trecastagni, Viagrande, Bonaccorsi, San Giovanni la Punta, Trappeto, Sant'Agata, Valverde, San Gregorio, Tremestieri, Santa Lucia, Gravina, Massannunziata, Aci Sant'Antonio. Nei suddetti paesi non penso sia stato trovato qualcosa che possa interessare la Santità Vostra; comunque essi sono stati provvisti abbondantemente di necessari decreti da parte del mio visitatore. Il 3 dicembre 1747 il mio vicario generale visitò la città di Acicatena. In essa c'è una chiesa collegiata, le cui dignità sono state insignite dalla Santa Sede della mozzetta e del rocchetto; ci sono pure altre 2 collegiate, una intitolata a San Filippo, l'altra a Santa Lucia, nelle quali i canonici, le dignità e i mansionari indossano la mozzetta nera; ad essi è stata affidata la


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cura delle anime secondo le indicazioni contenute nella bolla apostolica e nel decreto del vescovo. Dopo aver visitato le congregazioni e le chiese minori, il 13 febbraio 1748, il mio vicario generale visitò la città di Acireale. In essa c'è la chiesa madre collegiata, costituita da 3 dignità, 12 canonici e 6 mansionari; tutti sono addetti all'amministrazione dei sacramenti osservando un apposito turno. Ci sono 5 chiese filiali nelle quali i sacramenti sono amministrati da cappellani eletti dal vescovo. Fra le altre chiese spicca per grandezza e bellezza quella di San Sebastiano, molto frequentata dai fedeli. Questa città ha un solo monastero femminile, soggetto alla regola di S. Benedetto e intitolato a Sant'Agata vergine e martire; in esso si osservano fedelmente le regole. Ci sono pure: un conservatorio per ragazze intitolato a Santa Venera, vergine e martire, il monte di pietà e l'ospedale. La città ha molte confraternite e chiese, nelle quali ogni anno si distribuiscono non pochi legati alle ragazze per contrarre matrimonio o entrare in 1nonastero.

11 22 aprile 1748 il mio visitatore si diresse verso la città di Pietraperzia e il paese di Banafranca. In questo luogo c'è un monastero femminile, soggetto alla regola di S. Benedetto e intitolato alla Santissima Trinità, nel quale le monache sono fedeli all'osservanza delle leggi monastiche. Il visitatore ispezionò le chiese parrocchiali e filiali dei due centri abitati; dopo aver lasciato opportune istruzioni per il progresso spirituale delle anime il 1° maggio salì verso Etma, chiamata comunemente Castrogiovanni. Visitò attentamente la chiesa madre, da tempo eretta in collegiata, ricca di rendite, suppellettili, vasi sacri d'argento e Reliquie di Santi; in essa si trovano 4 parroci, che sono le dignità con cura d'anime, 12 canonici e 8 1nansionari; tutti, ogni giorno, recitano le ore canoniche e celebrano messe solenni. Si hanno pure 9 pa1Tocchie, i cui pa1Toci sono no1ninati per

concorso. Si contano 3 monasteri femminili soggetti alla regola di S. Benedetto (San Benedetto, San Marco e San Michele Arcangelo), altrettanti soggetti alla regola carmelitana (Santa Maria dcl Popolo, Santa Chiara e Santa Maria delle Grazie), un monastero per donne convertite con clausura, che osserva le regole di Santa Chiara ed è intitolato all'Immacolata Concezione, un orfanotrofio femminile, un ospedale affidato ai frati di San Giovanni di Dio, nel quale sono anche accolti ed educati i bambini abbandonati. Ci


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sono molte congregazioni e confraternite di laici con propri oratori ed altre chiese minori dentro e fuori la città; il mio vicario le ha tutte visitate ed ha lascialo istruzioni scritte. Il mio visitatore generale, il 12 maggio dello stesso anno, si recò nel paese di Leonforte. Nella chiesa madre pan-occhiale, nell'altra intitolata alle Anime del Purgatorio e in molte altre chiese minori la cura delle anime e il cullo divino si svolgono in modo corretto. Trovò le bambine bene istruite nei primi elementi della fede, ad opera delle vergini che operano nel Collegio di Maria, fondato da qualche tempo dalla munificenza del principe di Scordia, signore temporale di questo paese, per l'utilità spirituale e temporale delle anime. Subito dopo si recò nel paese di Assoro, la cui chiesa principale ha un collegio di canonici con cura d'anin1e; in esso si trovano 3 dignità, 12 canonici e 8 1nansionari. Ci sono pure: un 1nonastero fe1n1ninilc che os-

serva la regola e porta il nome di Santa Chiara vergine, una pan-occhia intitolata a Santa Lucia, un Collegio di Maria per l'educazione delle ragazze, un conservatorio femminile intitolato allo Spirito Santo, dove le ragazze sono educate [257vj con diversi esercizi spirituali e temporali; fu eretto negli anni passati dalla munificenza del principe di Valguarnera, signore di questo paese. li visitatore esortò all'osservanza delle norme emanate nella precedente visita. 17 maggio. Nella città di San Filippo d'Agira il vicario visitò 4 collegiate, nelle quali si amministrano i sacramenti ai fedeli: Santa Margherita, Sant'Antonio di Padova, San Salvatore e Santa Maria Maggiore. Non c'è chiesa madre. Ognuna delle suddette chiese collegiate ha 3 dignità, la prima delle quali è il prevosto, al quale compete la cura delle anime, 12 canonici, 8 n1ansionari. Ci sono 3 inonasteri fe1n1ninili: Santa Maria la Raccomandata e

Santa Maria Annunziata sono soggetti alla regola di S. Benedetto, mentre il terzo osserva la regola e porta il nome di Santa Chiara vergine. Inoltt·e si contano n1olte confraternite, congregazioni e chiese; il vicario ha lasciato opportune istruzioni secondo le necessità di ognuna di esse. Infine c'è la

chiesa chiamata «abbazia regia», intitolata a San Filippo d'Agira confessore, che viene retta da priori e cappellani, insigniti con il rocchetto e la mozzetta ed esenti dalla giurisdizione del vescovo. L'abate commendatario è nominato dal re.


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Nel corso della visita la città di Regalbuto ha avuto la sua ispezione. C'è la chiesa madre, dove svolgono il ministero amministrando i sacramenti parrocchiali cappellani eletti dal vescovo e amovibili a suo arbitrio. Si ha un'altra chiesa sacramentale intitolata alla Santa Croce, con il privilegio delle insegne; qui i cappellani eletti dal vescovo amministrano i sacramenti ai fedeli. Si contano 2 monasteri femminili soggette alla regola di S. Benedetto: Santa Maria delle Grazie e San Giovanni Battista; di un terzo, soggetto alla regola e alla giurisdizione degli agostiniani, è stata visitata la clausura. Allo stesso modo si è provveduto a venire incontro alle necessità delle altre chiese minori, delle congregazioni e delle confraternite. li visitatore si è recato nel paese di Centuripe, dove di recente la chiesa madre è stata eretta in collegiata con un indulto della Santa Sede; in essa si trovano 3 dignità, 12 canonici e 8 mansionari. Sono state date opportune istruzioni, secondo le loro necessità, a questa e ad un'altra chiesa

filiale, alle congregazioni e alle chiese. La visita di Adrano, Biancavilla e la città di Paternò si protrasse fino al 4 giugno; esse hanno chiese madri con collegiate, costituite da 3 dignità, alle quali spetta la cura delle anime, 12 canonici e 8 mansionari. Nel paese di Adrano sorgono 2 monasteri femminili: uno sotto il titolo e la regola di Santa Chiara vergine, l'altro soggetto alle regole di S. Benedetto ed intitolato a Santa Lucia vergine e martire. Questo monastero mi ha creato non poche difficoltà a causa dell'inosservanza di alcune monache; ma, con l'aiuto di Dio, tutte sono intente ad osservare le leggi monastiche. C'è anche un altro conservatorio per ragazze, che offre al popolo un non disprezzabile esempio di virtù. Nel paese di Biancavilla si ha un conservatorio di ragazze e un ospizio dei frati di San Francesco di Paola. Infine, nella città di Paternò c'è un solo 1nonastero femminile, intitolato a Santa Maria Annunziata e soggetto alle regole di S. Benedetto. Ci sono inoltre: l'ospedale per gli infer1ni, parecchie confralen1ite, congregazioni e chiese 1ninori, visitate con

la dovuta riverenza. Negli altri piccoli centri della mia diocesi non c'è nulla che meriti di essere riferito nella presente relazione. Ricevi, o Beatissimo Padre, questo debito del mio ufficio, cioè la relazione della mia diocesi. Non mi resta che pregare Dio perché conservi incolume la Santità tua per il bene di tutto il mondo cattolico, perché questo


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tuo pontificato duri per moltissimi anni e realizzi i tuoi desideri, e perchĂŠ la tua vita possa scorrere serenamente.

Catania, 26 marzo 175 I Dopo il bacio dei beati piedi, umilissimo ed obbedientissimo figlio prostrato ai piedi della SantitĂ Vostra Pietro, vescovo di Catania


XXVI

[ l 77rl Sanctissime Pater, Ut primum Dei et Sanctae Sedis Apostolicae gratia, per felicis recordationis Benedicti XIII manus, de calhcdrali Catanensi in Sicilia, tneritis adversantibus, provisus et co volente qui de nihilo cuncta crcavit, ex Pactensi grege huic numerosiori impositus, id unum prae oculis habui ut SS.mi Patris mandatis obscqucnti animo parerem atquc pro virili parte 1nuneri iniuncto satisfacerem. Inter caetera autem, quae obligationis mcae sunt, illud potissimum curabam 01nnino adimplendum, ut SS.mac ac Supremae Apostolicac Sedi, iuribus sacrosanctis ita iubentibus, meae Ecclesiaeque 1nihi traditae rationem de omnibus promptissime haberen1. lgitur novam ad hanc Sedem, Deo favente, die 18 ianuarii huius anni 1730 cum pervcnissem magistratus primorun1 populorumque ve\ ex remotis dioecesis Jocis contluentium laetissi1nis festivisque plausibus extra urbis moenia exceptus sum et Catanan1 ingressus atque in ecclesian1 cathedralem delatus, Deo optimo Maximo, ll77v] Deiparae integerrimae, Divae Agathac virgini et martiri, concivi catanensi et cathcdralis patronae, reliquisquc Tutelaribus Divis pro1neritas gratias habui. Paucis a meo adventu dicbus exactis, vix dum ex laboriosi itineris incom1nodo piene refectus, pastoralis nlei muneris obligationibus facere satis constitui atque ab ecclesia cathedralĂŹ sub faustissimis SS.mae Virginis auspiciis exordium feci die Purificationis solemni, 2 februarii, quo et assistcntiam pontificalen1 <ledi et aqua lustrali cereos aspersi. Recurrentibus dein annuis Divae Agathae triu1nphis, plurium dierum spatio in hac urbe solemnissi1nc celebrandis, cunctis interfui pontificalia, processiones caeterasque ab Episcopo in hac celebritate fieri solita perficiens. lntcrea cu1n gcneralis sacrorum ordinu1n collatio i111mineret, per edictun1 universam dioecesim commonefeci illam me statuto tcmpore habiturun1; ut profecto habui, non paucis tonsuram, inferiores ordines, superiorcsque pro co ac cuiusque ecclesiae exposcere neccssitas conferendo. Post haec ad visitationem n1aturanda1n animum converti ut incommodis 1nederi possem, quae diuturna Episcoporum absentia irrepserant. Et die 12 nlartii pri1nordĂŹum coepi ab ecclesia cathcdrali, ceremoniis on1nibus integre servatis, quae a Pontificali Romano pracscribuntur. In ea duodecim recensentur canonici, totidem beneficiarii, praeter quinque dignitates. Nonnulla repeli altaria sine dcbitis imaginibus, nonnulla alia taliter indecentia ut ad sacra facienda tninimc opportuna viderentur; necnon sacrorun1 vasorun1 plurima requisitan1 munditiem ncutiquam habentia aliaque innumcra


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id genus inconvenientia. Quibus on1nibus ut re1nedia quan1 citissiine opportuna adhiberentur itnaginibus affabre depictis, un1braculis, aliisquc templorum ornatibus, propriis [ l 78r] providendu1n su1nptibus diligentissime curavi. Ex cathedrali tc1nplo alia perspectum, gradum feci nimirum rcgia1n insignem

collegiatain sub nomine S.tae Mariae de Elee1nosyna, ex 19 canonicis et 8 beneficiariis practer tres dignitates co1npactan1. Paroecias ctia1n suburbii, congregationes et confratcrnitales, quibus singulis ut dctrin1enta guae ex assidua vacantis scdis intern1issione evencrunt resarcicnda praescripsi. Tu1n scminariun1 clericorum, quos ut litcrarurn atque 1norun1 pracceptis erudirent eiusque inceptam fabricam post terrcmotus ruinas anni 1693 acritef prosequerentur rectores 1nonui. Dcin univcrsitate1n studioruin, cui titulo Magni Canccllarii praecst Episcopus Catanensis, eius itide1n incohatan1 ci!o fabricam absolvendmn curatoribus efficaciter cominendavi. Postre1no singula sacraruin virginum coenobia sub titulo S.ti lu!iani, S. Benedicti, S. Placidi, S. Agalhac, S. Clarae ac SS.mae Trinitatis cun1 virginun1 puc!larum et poenitentiun1 foe111inaru1n domicilio, guae 01nnia, magna animi mci laetitia, propriaru1n legun1 observantissin1a oculis compcrtu1n habui. Moniales omnes ad incaeptun1 religiosae vitae propositu1n excquendu1n variis instructionibus cohortavi atque per dies dccem spiritualibus S.ti lgnatii exercitiis operam dare, opcrac visitationis 1 meae prctiu1n facturu1n cxistinu.tvi. Catechisn1urn 2 pcnitus cxtinctu1n atque in oblivione iacentem maxi1no mcarun1 oviu1n detrimento ad op1i1nan1 frugem restitui. Singulis enin1 do1ninicis in cathedrali, intervcnicntibus omniuin scholarurn auditorihus civiun1que 1nultitudine, 1ne corarn a patribus Societatis Icsu, servata eiusde1n societatis ratione, fidei rudimenta explicanda curavi. Nec 111inori ardore vires intendi meas ad prornovendum in 1neis ecclesiasticis thcologiac morali.s studium, tun1 in Societalis Iesu gymnasio, tu1n etiam in cathedn1li, ubi feria V singulis [ l 78v] hebdo1nadis a quodan1 praefatae Societatis Icsu theologo, 1naximo omnium plausu, collationes conscientiac casuum habentur; conciones et 1nissiones ad anin1as e caeno vitioru1n ad Deun1 lcvandas sacpius mc assistente pro1novi. Quibus mediis pern1ulti saniore1n n1entcm induentcs averti a publicis criminibus visi sunt. Aliquot in civitate usuras sordidasquc ncgotialiones n1agno ani1narum detrimento atque iactura ab aliquibus impune excrceri anin1adverti; 3 quas monitĂŹs arguitionibus paenisquc ecclesiasticis raclicitus evclli 1naxima1n diligcn1ian1 adhibui.

1 visitationis] visictationis Cod. 2 Catechismun1] catachismu1n Cod. 3 anitnadvertiJ adiinadvcrti corregge e soprascrive Cod.


Le relazioni ÂŤad /iminaÂť della diocesi di Catania ( 1730- 1751)

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Quibus Catanae diligenter constitulis, pro debita mea erga co1nmissum gregen1 sollicitudinc Catanae visitationem absolvere et, nulla 1nora interiecta, ad reliquas dioecesis urbes me conferrc ratu1n habui. Et ante alias Platiam visitandam decrevi. Cutnque propc urbem esscm obviam mihi vcnit innumerabilis ecclcsiasticorum ac populi turba, 1nagistratus ipse, 1nagna nobilium stipatus frequentia, ut 1naiori qua posset solen1nitate 1neus in urbem ingressus celebraretur. Praecedentibus itaque sodalitatibus, congregationibus, religiosorun1 ordinibus ac canonicis utriusque collegiatae, una cu1n universo clero, iuxta Romani Pontificalis statuta, in urbe1n, nobili potnpa ac incredibili civium plausu, ingressus su1n. Ad principem ecclesia1n, quae item est canonicorurn collcgiun1 et quatuor dignitatibus, 18 canonicis, totiden1que bcneficiaiiis con1positum devcni; ubi sordida quaeque atquc detrita ad divinum cultum pcrtinentia arnoveri atque nova emi quantovis prctio nlandavi; sicut etiam ad finetn perduci eiusdcm ecclesiae aedificationetn complurimis abhinc annis inchoatam et nondum absolutam, maxima procuratorum [ 179r] culpa ac negligenti bonorun1 administratione, tali nimirum tantaque, ut ingens crcditorum summa ad plura aureoru1n n1illia ascendentium nedum satisfieri possc, minime spcrabatur quin potius dcperdita pro certo habcatur. Mea ta1nen industria Deoquc opitulante guae amissa pulabatur recuperata est et tutissime asscrvata. Visitatione ecclesiae 1natris absoluta ad ecclesiam collegiatam sub titulo SS.n1i Crucifixi visitandam gradum direxi, in qua duae dignitates, 12 canonici et 12 beneficiarii n1inores enumerantur. Tum ad sacran1cnta\cs ecclesias filiales, confratcrnitates, congregationes, xenodochium in quibus quae corrigenda cognovi meis ordinationibus emendavi maximopere curavi. Quinque demu111 sacrarutn virginum collegia sub non1ine S.ti Ioannis Evangelistae, S. Clarae, SS.1nae Trinitatis, S. Agathae ac S. Annae lustravi, quae religiosae vitae disciplina ac legurn obscrvantia incredibili mei spiritus gaudio vigebant. Cu1n horun1 ta1nen duo, nin1iru1n: S.ti loannis et S. Clarae nullatn vitae victusque co1nn1unitatcm retinerent, on1nibus nervis ad revocandos veteres n1ores connixus sum. Ea propter utriusque monasterii moniales ad pristinam co1nmunitatem ante quam Platia disccderen1 se restituisse intellexi. Cumque nunciatun1 mihi forel in alio SS.1nac Trinitatis 111onasterio 1nonialium una1n, cuidam viro nobili consuetudine et familiaritatc nimia coniunctam, nec religioso statui decora, illa1n salutaribus primum n1onitis, ccclesiasticarum deinde ccnsurarun1 minis, ut ab ea fainiliaritate abstineretur curavi. Sed cu1n haec incassum fecissem, illam excon1municationis fulmine multavi. Credita quae n1onasterii debebantur plurima, usque ad 24 millia aureorum, inspexi et ut debitores cxolverent et iain soluta tutissimc conservarentur cffeci. Illud denique neutique omittendum volui, ut nimirum ad eliminandam prorsus sacrorum imperitian1 et scicndoru1n [l79v] ignorantian1 a sacerdotibus et clcricis (quain ruina1n ad anin1arum perniciem in tota fere dioccesi 111ea sine indicibili animi moerore et lacrymis videre nunquam potui) omnes ad theologiam moralem in collegio


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Adolfo Longhitano

Societalis Jesu cantun1que gregorianuin in gymnasio a me fundato diligenter utque parochi on1nes christianae religionis prima rudimenta pueros plebemque singulis dominicis constantissime edocerent. Tandem relictis cotnpluribus instructionibus, quae honestam ecclesiasticorum vitam concernunt animarumque zelum, administrata generali ordinatione, celcbratis nonnullis pontificalibus per tempora a Pontificali Romano statuta et distributo tribus circiter fidelium millibus sacrosancto confirmationis sacramento, Platiae visitationi finem constitui. Et Aidoncm profectus sum, cuius postea quam matrem ecclesiam sicut et parochialem S. Mariae de Plano cun1 filialibus et sodalitiis visitassem, non sine aliquorum abusum extirpatione, omnem meam cura1n omnemque operain contuli in gynaeceum sacrarum virginum sub titolo Divae Calherinae exactissime introspiciendum; utpote quod evolutis retro temporibus, a regulari disciplina deflectens, saecularem vivendi normam aemulabatur. Nunc tamen, divina miserante bonitate, ita adamussim religiosae perfectionis aptatum expertus sun1, ut in 01nnibus suis operationibus nu!Iun1 iustae reprehentioni locum relinquat, quin potius sincerae laudi mcritum subministret non vulgare. Ne tamen in pristinan1 vilitate1n (quod Deus avertat) degeneri conversatione rediret, optimo directore et confessario ac instructionibus complurimis [180r] efficacibus praecavere conatus sum. Ecclesiarun1 deposita triu1n millenoruin aureorun1 prope1nodum deperdita recuperavi posuique in tuto. Ecclcsiasticorum utilitati gymnasium theologiae moralis institui, non secus ac doctrinae christianae, rudiun1 praesertim et puerorum emolu1nento. Et distributo plusquam millenis bicentisque fidelibus sacrosancto confirmationis sacramento, ad Barrafrancam et Petrapertia1n visitandas me contuli, in quibus utramquc matrem ecclesiam, una cum filiabus et sodalitiis complurimis, opportunis re1nediis indigentes circa divinum cultum providi. Ecclesiasticis moralis theologiae inexpertibus, pueris et plebi catechismi ignorantia laborantibus, utrumquc gy1nnasium stabiliendo consului. Nonnullos clericos on1ni vitiorum generi mancipatos primu1n salutaribus monitis, deinde vero suppliciis, Dei optimi 1naximi gratia opitulante, ad vitae melioris statum reduxi. Tandem perunctis utrobique sacro confirmationis oleo plusquatn tribus fideliu1n n1illibus et traditis universo clero proficuis inslructionibus, quibus 4 in ecclesiastica disciplina bene procedere scmper valeal, Castrum Ioannis seu Ennam veni, antiquissimam urbem ccleberrimam, ncdum propter exi1niam vetusta1nquc civiu111 nobilitatem, verum propter canonicorum ctiam collegium in trcs dignitates, 12 canonicos, octoque beneficiarios divisum, parochiales ecclesias nove1n, filiales complures, sacrarun1 virginum gynaccea sex sub titulo, nimirum: S.ti Bcnedicti, S. Mariae de Populo, S.tae Clarae, S.ti Marci, S. Michaelis et S. Mariae Gratiarum, incumberent~

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quibus] queis Cod.


Le relazioni ÂŤad liminaÂť della diocesi di Catania (1730 -1751)

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[ 180v] poenitentiun1 n1ulieru1n et pupillarum do1nicilia, nosocomium, sodalitates confraternitatesque pennultas. Huc summa cum celebritate, iuxta praescripta Pontificalis Romani, ingressus sum, magna stipatus procerum corona, pracgrediente universo clericorum religiosorumque una cum sodalitiis et confraternitatibus omnibus coctu et subscqucntc demutn innumerabili populorum frequentia. Matrem ecclesiam accurate perspexi, tu1n reliquas parochiales, filiales, confraternitatcs et sodalitia lustravi. Dein valetudinarium nccnon pucllarum virginum et. poenitentium foeminarum collegia, co1Tigendo in cunctis quae co1Tectione digna vidcbantur. Tande1n sacrarum virginu1n conclavia; quae omnia (si unun1 cxcipiamus sub non1inc Divi Michaclis) cxemplaria profecto on1nique admiralione digna inventa sunl, ob domesticam disciplinain in parvis magnisque rebus diligentissime servatan1, ob n1oru1n praesertim gravitatem, singulare1n modestiam, orationis studium, mutuamque charitatem inter se. Nihilominus ut tantum bonum perpetuo conscrvetur, quinimmo in optimu1n augcatur, appositis instructionibus incitare, opere pretium 1neae visita!ionis arbitratus sum. Monastcrium tan1en Divi Michaelis a regulari observantia discedens corrigi dirigique se non ira facile paticbatur. Et cum in extren10 versarelur periculo, n1orain neutiquan1 patĂŹente, ruinam per momenta 1ninitantibus templo, cellis, ambulacris, officinis, murisque, reliquis caeteroqui rimosa vetusrare ira fatisccntibus ut cuique r181 r I cgrcssus aditusque facili negotio praeberetur, nec aliunde esser ob ingenren1 paupertaten1 unde 1nanifestac ruinac posset subveniri, 1noniales on1nes Divi Michaelis nemine discrepante, supplicem mihi libellum propria uniuscuiusque manu subscriptum obtulcrc, flagitantes enixe ut eas amplissimo ditissimoque S.ti Benedicti monastcrio eiusdem instituti quantocius aggregare1n. Quarum postulatis, una ctun earumdem consanguincorum precibus, dignitatu1n collcgiatae, reliquoru1n ecclesiasticorum, nobiliumque votis, quin et totius urbis explicito desiderio, accedente pariter unanimi utriusque monasterii consensu per publicum et authenticum instrurnentum dcclarato et iusiurando peritorum in arte de 1nanifesto im1ninentis ruinae periculo, optima nixus spe, ut monialcs S.ti Michaelis, bonis cxctnplis ac vita observantissima monialiuin S.ti Benedicti in meliorem frugcm se reducerent, indulgere in Dotnino sum arbitratus. Ipsequen1et processionali pompa praefatas S.ti Michaelis virgines 5 e proprio ad illud Divi Benedicti transtuli gynacccum, incxplicabili omniu1n gratulatione, pias lacrymas prae letitia copiose effundentiu1n, ut per n1eas hun1illimas litcras practerito augusto Sanctitatem Vestram ccrtiorcn1 feci. Non secus ac certiorc1n facere conatus sun1 Sacra1n Congregationem, cui per 1neu1n procuratorem canonicum Sanctum Thcodorum de Mani, sub die IX transacti

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S.ti Michaclis virgincsJ eridenzia in n1argine Cod.


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Adolfo Longhitano

septembris, publica et aulhentica instrumenta fidesque iuralas n1isi, tum senatus civitatis Ennae, tum dignitatum collegiatae, tum confessarii eiusdem S.ti Michaelis monasterii, lum denique peritorum in arte de inanifesto im1ninentis ruinae periculo deque huiusmodi translationis [ 181 v] necessitate moram nullatenus pali ente. Nonnulla praefatorum monasteriorum deposita ad summam octo millium aureorum, quodammodo deperdita acquisivi eaque per licitam industriam fructuosa reddidi. Tandem celebratis duobus pontificalibus in ecclesia matre, temporibus a Caeremoniali Romano praescriptis, datis postrcmis monitis et instructionibus ecclesiasticis cunctis, quo in dies longius excrcendo se in virttlte procedant, roboratis sacro chrismate duobus circiler fidelium millibus, admissis ad tonsuram et minorcs ordines compluribus iuxta necessitatem ecclesiarum, stabilito in singulis parochiis doctrinae christianae gymnasio ob commune rudium lucrum, excitatis ad frequentian1 theologiae moralis in collegio Societatis Iesu ecclesiasticis omnibus, Ennae seu Castri Ioannis visitationem ad exitum perduxi. Post Castri Ioannis visitatione1n Calascibeltan1 deveni, uhi duo canonicorum collegia Divi niinirum Petri et S. Mariae Maioris cu1n octo dumtaxat canonicis et totidem beneficiariis, alternis mensibus utrique inservienlibus reperi. Quibus diligenter inspectis, ecclesiam parochialem S.ti Antonii, filiales, confraternitates, sodalitates 6 et conclave sacrarum virginum sub titulo SS.mi Salvatoris, una cum pauperum puellarum domicilio lustravi, factis ubique correptionibus debitis ac iuxta necessitatem instructionibus peropportunis relictis, ecclesiasticos omnes cognovi. Nonnullorum laxiorem vitan1 fraenavi, reliquoru1n bene moderatam solilis adhortationibus non intermisi (182r] quo de virtute in virlutem ascenderet. Catechismi gymnasium, rudium et pueroru111 lucro, necnon moralis theologiae scholam, clericorum disciplinae necessariam aperui. Tandem ordinationem in n1inoribus, ut ecclesiarum necessitati consulerem, el sacramentalis 7 confirmationis distributione111 plusquam 1nillenis fidelibus non praetermisi. E Calaxibcttae visitatione Assorum n1e recepi, cuius mater ecclesia, guae simul est canonicorum collegium in tres distributum dignitates, 12 canonicos, octoque 1ninores beneficiarios, ita condecenti sacrorum vasorum caeteroru1n ad divinum cultum pertinentium exornatur suppellectili ut fere nihil fuit quod correptione dignum existimarem. E contra tamen ecclesia parochialis S. Luciae adco pauper inventa est et 1niserrima ut suspentioncm quippe mercretur. Ea1n nihilominus non suspendi propter utilitatem animarum, quibus 8ob nitniam distanliam ab ecclesia 111atre nequil quantocius SS.111um Eucharistiae Sacran1entun1 urgente necessitate deferri. Sed reparandis defectibus, quantum in me fuit, enixus sum.

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sodalitatesj sedalitates Cod. sacramentalis] sacra1nentali Cod. 8 quibus] queis Cod. 7


Le relazioni ÂŤad liminoÂť della diocesi di Catania (1730 -1751)

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Monasteriu1n sacrarum virginu1n sub nomine S. Clarae adii cuius non pauca, quae minus illi erant consentanea interdixi. Doctrinae christianae frequentiam parochis commendavi et theologiae moralis gymnasium ob com1nune bonum institui. Dein chrismate consecrato centu1n septuaginta supra millenos homines perunxi. Nonnullos clericali militiae adscripsi; complures ad quatuor minores ordines admisi. Tande1n ut ecclesiasticae disciplinae e sacerdotibus quivis ac clericis 1naiori diligentia vacaret permultas [l82vl iisdem instructiones reliqui. Assori visitatione conclusa, Leonfortem lustraturus petii, uhi matrem ecclesiam, ecclesias filiales cum sodalitiis bene se habentes in omnibus inveni, sicut et ecclesiasticos in disciplina morali ac pueros in rudimentis fidei bene versatos. Nihilominus ut laudabilis huiusce civitatis cultura optimos sortiretur progressus, universo clero solitas instructiones reliqlli et theologiae moralis gymnasium (ut in aliis locis) aperui, ac doctrinae christianae frequentiam in commune bonum promovi. Sacro demurn chrismate millenis circiter obsignatis ad civilatem S.ti Philippi Argyriensis iter contendi. In ea quatuor canonicorum collegia eaque parochialia, videlicet: S. Mariae Maioris, cu1n dignitatibus tribus, XII canonicis, et benecificiariis VI, divi Antonii Patavini cum dignitatibus, canonicis et beneficiariis iisdem, et S. Margaritae cum totidem dignitatibus, canonicis et beneficiaris, cuncta episcopali iurisdictioni subiecta, accurate perlustravi, unicuique competentes ordinationes impertiendo ob incommoda permulta, seu ex curatorum negligentia, sive cx paupertate ecclesiarun1 procedentia. Dein alias ecclesias, scilicet parochiales non collegiatas Divi Petri et Divi Antonii Abbatis et filiales cum congregationibus et confraternitatibus, non sine opportunis corrcptionibus ad errores abususquc complures cradicandos. Postren10 tria sacrarum virginum conclavia sub titulo SS.mae Nunciatae, Divae Clarae et S. Mariae Raccomandatae, guae cum pracclare sanctissimis fundatorum lcgibus exequendis dedita repercrim, instruc- [ l 83r] tiones a me salutares, ne unquam a tanto bono desistcrcnt, acceperunt. Ecclesiasticis, quos conscientiae casuum irnperitos inveni, puerisquc ac plebi, quos fidei rudimentorum nimis ignaros cxpertus suin, theologiac 1noralis ac cathechismi gymnasium decrevi. Hic cu1n nonnulla ecclesiaru1n deposita ad tria 1nillia aureorum ascendentia ob curatorum desidia, longa annorum serie n1ortua et infructuosa sen1per exstitissent, deinde vero deperdita atque per summos labores a mc vel ante in 1neum episcopatum ingressum exantlatos, tande1n recuperata per licitam honcstamque negotiationem tuta reddidi atque fruclifera. Et sacrosancto confirmationis oleo tribus fere millibus fidelium perunctis, ac datis universo clero utilibus instructionibus, quibus 9 ad ecclesiastica munera ritc obeunda incitarentur, Ccnturbiun1 profcctus sum, in quo matrcm ecclesiam necnon

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quibus] queis Cod.


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Adolfo Longhitano

filialcs et sodalitia 01nni scdulitate perspexi, non sine rcn1ediis opportunis prout nccessitas postulabat. Ecclesiasticos minus versatos in theologia n1orali et in fidei rudi1nentis saeculares depraehendi; quamobrem utrisquc prospicicns casuum conscientiae et catechismi scholam, u! in aliis dioecescos locis, aperui et sacro confirmatis oleo fidclibus ultra 1240, gcnerale1n visÏtationem interrupi relictis interim Paternione, Adernione, Albavilla et Regalbuto, propter nimiam aeris insalubritatem. Quas tamen paucis abhinc diebus visere Dco adiuvante conabor, sicut et Aci1n Rcalem cu1n nonnullis oppidulis ctsi per mcum vicariun1 generalcn1 in primo ad cpiscopatun1 ingressu necessitate sic esigente visitavcrim [183vJ. Huic 1neae visitationi succeder alia proximo 1nense novembris et quidem e1nolumenti spiritualis anin1aru1n ncutiquam inferioris. Cuius111odi erit sacra patris Antonini Finocchio, missionarii apostolici e Societate Iesu, per totan1 dioecesi1n missio. In qua practcr concioncs assiduas aliasque cxercitationes et corntnentationes reru1n ad saluten1 conduccntium, excrcitia spiritualia S.ti Ignatii Loyolae publicc, iuxta more1n virorum apostolicorun1 Societatis Iesu proponentur, ut irrigantibus apostolici viri sudoribus evangelicas vcritates a tnc in univcrsa dioecesi plantatas, Divina Bonitas, intercedente amplissitna benedictionc Sanctitatis Vestrac, peroptatu111 incren1entun1 dare minitnc dedignctur. Interim beatissimis Sanctitatis Vcstrae pedibus hu1nilitcr provolutus, illam quam possum studiosissi1ne peto quaeroque ut mihi meisque hisce laboribus, quin et univcrsae Catancnsi dioccesi Sanctitatis Vestrae pedibus divotissime pariter genuflexae, largissi1na1n benedictionen1 dignctur iinpertiri, du1n ego vicissin1 cun1 iisde1n 1ncis fidissimis ovibus ab ae!erno Divino Pastore, 1naximo totius catholici ovilis emolumento, sun1n1a qua possun1 contestatione aeternas Sanctitati Vestrac deprecar benedictiones dc rare coeli et de pinguedine terrae. Catanae in Sicilia, 3° kalendas novc1nbris 1730 Bea1is.sin1c Pa!er, ad pedes Sanctitatis Vcstrae humillime provolutus Pctrus, Epi.scopus CatancnsÏs


Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1730 -1751)

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XXVII

[185r] Sanctissime Pater, Praeterito mense novembris sub prin1ordia me et mecum una fidelem visitationis notitiam melioris partis n1eae dioeccseos Catanensis per humilli1nas literas, ut iniuncto facerem satis muncri, beatissimis Sanctitatis Vcstrac pcdibus exposui. Impresentiaruin meae partes sunt, ut ad pedes sanctissimos rcvertar, reliquam dioeceseos visitationis partcm expositurus. Mitigatis igitur aestivis caloribus et amoto insalubritatis aeris pcriculo (quae profecto in causa fuere, ut incoeptam visitationem spatio trium n1ensium interrumperem) illam, summa meae solicitudinis industria, prope finem eiusdem novembris a Regalbuto repetere conatus sum. Et huic urbi, quam summopere obturbatam inveni, ob di.scordiarum zizania ecclesiasticos inter et saeculares a quibusdam perditae vitae sacerdotibus disseminata, pacem filiorum Dei restitui. Aucthores vero discordiarum paenas gravissimis reatibus condignas in discursu visitationis pertimescentcs, paulo ante ineum adventum, sub vano falsoquc praetextu, sese discrimini subduxere ad Tribuna! Regiac Monarchiae, a mea iurisdictione recursum faciendo, Regalbutu1n quin et dioecesi1n [185v] universam suimet absentia maxima serenitate afficientes. Ecclesiasticos, ecclesias, divinutn cultum, cunctaque pia loca rcpcri non multa correptionc indigentia, sicut et tria sacrarum virginum asceteria sub titulo S. Mariae Gratiarum, S. Ioannis Evangelistae et Divi Antonini Patavini ad religiosae vitae normam perfecte accommodata. Nihilominus ut ad constante1n erga divinum cultum suique perfectionem ecclesiastici omncs incitarentur et sacrae virgincs ad incoeptum vitae tcnorern feliciter prosequcndum, utrisque proficuas instructiones aptavi. Usu1n sacramentorum, praesertim communionis generalis, quantum in me fuit, pro1novcrc curavi et clericorum sodalìtatem institui sub auspiciis Integerrin1ae Virginis, illamque vigili patrum Societatis lcsu curae reliqui. Catechismi 1 0 gymnasium et thcologiae moralis aperui, cui religiosu1n acque ac eruditum ciusdern

° Catechismi] cathechis111i corregge e soprascrive Cod.

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Adolfo Longhitano

Societatis theologum pracfcci. Tande1n sacro confirmationis oleo plusquam duobus millibus perunctis, visitationi ecclesiac Regalbutanae finem i1nposui. Et Adernionem veni, ubi n1atre1n ecc!esiam, guae simul est canonicorun1 collegiu1n, in tres partitum dignitates, duodccim canonicos, beneficiatos sex, speciali diligentia inquirere arbitratus sutn. Et in ea, non secus ac in reliquis Adernionis ecclcsiis, sodalitatibus locisque piis a me diligenter inspectis, pauca guae co1Teptione1n exposcebant 111eis ordinationibus corripui. Nobilen1 quemdatn laicuin e caeno vitae laxioris ad n1eliorem frugcm [ l 86rl reduxi. Sacerdotibus et clericis, quos bene procedere deprehendi, ut maioris solertia ecclesiasticac vacarent disciplinac permultas instructioncs composui; sicut et sacrarun1 virginu1n ginaecco S. Clarae dicato et honcstarum puellaru1n domicilio ut fcrventiori studio opcra1n religiosae obscrvantiae navarent. Conclave sacrarum virginum sub titulo S. Luciae, quod vitain com1nunen1 et rcligĂŹosam paupertatetn exsosun1, n1ercaturae videbatur intentum consanguincoru1n bono, divina opitulantc gratia, ad religiosa1n amussim redegi, vitam communem introducendo, on1nisque negotiationis aditum praecludendo et sub patrocinio cuiusdam intcgerri111i viri nobilis, qui bonorun1 1nonastcrii ne dissiparentur, ut hactenus vigile111 curam habcrct ac sub directione religiosorum hon1inum, qui quotidianis n1onialium in spirito progressibus acerrima atque intentissima cogitatione prospicerent rclinquendo. EcclcsiastĂŹcorun1 utilitati ut in reliquis dioeccscos locis gy1nnasiu1n theologiac n1oralis, praesidc doctissimo viro de obscrvanti familia S.li Francisci, et doctrinae christianae rudium et pueroru1n en1olumento institui. Et distributo plusquam tribus fidelium millibus sacrosancto confirmationis sacratncnto ad parvu1n Albaevillae oppidu1n deveni. Cuius n1atren1 ecclesiam una cun1 parvulis filialibus et sodalitiis diligcnter inspexi, non sinc dcbitis correptionibus circa divinum cultun1; ccclcsiasticis casuum conscientiac ignorantia [I86vJ iaborantibus, stabilito thcologiae 1noralis gymnasio, sub optin10 expositore dc strictiori observantia S. Francisci consului. Pucrorun1 plcbisque emolu1nento catechismi frequentiam parrocho co1n1nendavi. Ecclesiasticum que1ndan1, non sinc inaximo ordinis dcdecore, omni vitiorum genere inquinatum condignis suppliciis n1ultavi. Reliquisque ut ecclesiasticac dignitati propriaeque obligationi facerent satis, appositas instructiones tradidi. Et sacro roboratis chris1nate millenis circiter fidelium animis, Paternione1n versus me contuli. Cu1nquc non procul essem ab urbe obvia1n 1nihi vcnit 1nagistratus, inulta nohiliu1n stipatus caterva ccclesiasticoru1n ac populi turba, ut 1naiorc qua posset solemnitate n1cus in urben1 ingressus cclebraretur. Praecedentibus itaque sodalitatibus piorumquc honlinun1 convcntibus, religĂŹosoru1n fatniliis et una cum universo clero canonicis illius insignis collegii, servatis ad unguen1 Romani Pontificalis statutis, in urbe111 ingressus ad principe1n ccclesiam collegiatatn, quatuor insignita1n dignitatibus, canonicis duodccim et sex n1ansionariis deveni; ubi nonnulla quae divinis mysteriis cclcbrandis minus consentanea visa sunt interdixi.


Le relazioni ÂŤad liminaÂť della diocesi di Catania (1730 - 1751)

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Tun1 ad relĂŹquas ecclesias et sodaliti<1 mc contuli, factis ubique correptionibus debitis et iuxta neccssitatem peropportunis instructionibus datis. Tandem ad sacrarum virginu1n gynaeceum SS.mac Nunciatae dicatu1n, uhi fere nihil occurrit quod correptione dignum existin1arem [l87rj. Monialibus cunctis divino cultui et rcligiosae disciplinac mirum in n1odu1n invigilantibus nihilominusi ut tantum bonum perpetuo servaretur, quin et augcretur in optimum, appositis instructionibus incitare meae visitationis operae prctium duxi non contemnendun1. Nonnullos e canonicorum collegio in compluribus aegre n1ean1 iurisdictionem ferentes ad perfectam obedientiam reduxi. Sacerdotu1n theologiae moralis imperitiae, rudiun1 plebisque doctrinae christianac ignorantiae providi, tum facultatis moralis novo stabilito gymnasio, sub optimo magistro ex inclita praedicatorum familia, tum comminatis parocho poenis in iure praefixis, ni per se ve! per alios idoneos, si lcgitime fucrit in1peditus, diebus salte1n dominicis et festis solcn1nibus, plebes sibi com1nissas pro sua et earum capacitate, pascal salutaribus vcrbis, docendo ca quae scire 01nnibus necessariu1n est ad salutcm, annunciandoque eis cun1 brevitate et facilitate sennonis vitia, quae eos declinare et virtutes, quas sectari oporteat, ut poena1n aeternam evadere et caclestem gloria1n consequi valeant, iuxta Tridentini decreta, sess. 5, de refor., cap. 2. Et ecclesiasticis cunctis ut maiori studio propriae obligationi responderent salutaria 1nonita voce scripto 11 ta1nen perpetuas instructiones formavi. Tande1n, recurrentibus S. Barbarae virginis el 1nartiris patronae principalis Paternionis solemniis, pontificalia exercui. Et chrismate consecrato [187vl duobus circiter millibus perunclis, amplissi1nae meae diocceseos visitationi coronidem imposui mense decembris, nondun1 episcopatus mei anno completo, relicta Aci Regali, quam solam Ill.1nus et Rev.mus D.nus F. D. Raymundus Rubi, felicis rccordationis praecessor n1eus, undecim mensium circulo, qui fuit totuin episcopatus sui spatiu1n, visitaverat; nec iam clapsum erat visitationis trienniun1. Caeteru1n co expleto proxi1no praetcrito iunio statiTn Acim Rcgalem profectus sun1, cuius mater ecclesia collegiata, in tres dignitates, duodcci1n canonicos, sexque inansionarios partita, divino cultui perquam diligcnter indulgei. Quainobrem nonnullis gratiis el privilegiis canonicoru1n collegium exornavi, non secus ac con1pluri1nis monitis et instructionibus, ne a ta1n diligenti cultu deficeret. Ecclcsiae filiales etsi pauperes decentetn servant n1unditien1, in iis omnibus quac ad divinum sacrificium cclebrandum necessaria sunt; unde perpauculas iis correptiones feci. Ecclesiaslicos bene tnoratos vidi, utque tales semper conscrvarentur, in1mo dc virtutc in virtuten1 proficerent, norman1 vivendi ac saluti proxin1orun1 consulendi perpetuo duraturam exhibui.

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scripto] scripta corregge e soprascrive Cod.


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Adolfo Longhitano

Theologiae moralis gymnasium tum in ecclesia collegiata, tum in congregatione scholarum piarum, cantusquc gregoriani in ecclesia Divi Pctri, catechismum in ecclesiis sacramentalibus [I88r] et sodalitium, sub auspiciis Beatissimae Virginis, in praefata scholarum piaru1n congregatione con1muni ecclesiasticorun1 et rudium bono statoi. Conclave sacrarutn virginurn sub titulo S. Agathae paci filiarum Dei, qua penitus destitutum erat antea, ob nonnullarum laxìorem vitam his ad strictioreml 2 disciplinam, evocatis saluberrimis inonitis et instructionibus, restituì. Parochianos cuiusdam ecclesiae sacramentalis S. Catharinae dicatae, christianan1 pietatem Dcique timorem, multis abhinc annis ex illorum incultis animis abeuntem, insinuavi. Utque altius eorum cordibus haererct, virun1 apostolicum missionarium Societatis· lcsu monui ad hanc provincia1n, tcpescentibus iam aestivis ardoribus, subeunda1n, praeter alium apostolicum virutn, qui ab exordio huius anni post n1eam visitationem, dioeccsim univcrsam perlustrar, evangclicae praedicationis se1nina ubique diffundens, indeque non pauca refercns incrementa virtutum. Nonnullos clericali 1nilitiac ut ecclesiarum necessitati prospicerem ascripsi. Con1plurcs ad quatuor minorcs ordines promovi et supra 1nillenos sacro chrismate roboravi. Tandctn redeuntibus S. Vcnerandae virginis et martiris Acis principalis patronae solcmnitatibus, pontificali rilu vcsperas missamque solcn1nen1 percgi. Quibus Acis Regalis universacque meac dioecesis visitatione1n specialissi1no Dei, Integerrimae Virginis, Divorumque Tutelarium [188v] opitulantc subsidio, ad opta!um exitum perduxi. Illud hic minime praetereundu1n arbitror ut Deo optimo maxi1no, a quo bona cuncta procedunt, SS.n1ae Virginis Divisquc meis ac dioeceseos Tutelaribus condigne rependantur gratiac, n1e scilicet universam Catancnse1n dioeccsin1 visitasse et in ea, quae visitationis praecipuus scopus sunt, sumn1a pace et tranquillitate pertractasse, absque ullo vel ad metropolitanum ve! ad Tribuna! Rcgiae Monarchiae recursu, im1110 et maxirna omnium qua nobiliun1 qua ignobilium, seu laicorum sive ecclcsiasticorun1 gratulatione ac plausu, adeoquc sana1n, orthodoxamque doctrinam, expulsis compluriu1n erroribus, i11duxissc, custodiisse bonos inores, pravos ve! in nobilibus personis correxisse, 13 et populum cohortationibus et administrationibus ad religione1n, pacem, innoccntiamquc accendissc etc., iuxta praescripta Tridentini Concilii, sess. 24, de rcfor., cap. 3. Haec tota quanta est altcrius partis visitationis meae su1n1na; quam 1nccun1 una 1neisque fidissin1is dioecesanis bcatissimis Sancti!atis Vestrae pedibus hun1illime subn1illo. Restat ut meos hosce qualescumque sudores [I89r] Sanctitas Vestra prospero vultu cxcipere 1ninime dedignetur, mihique et dioecesi Catanensi 1neae

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strictiorcm] strictiore Cod. co1Texissc] correpsisse corregge e sopcrascrive Cod.


Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1730 -1751)

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apostolican1 benedictione1n impertiatur; du1n ego a Dco optimo maximo bonorun1 01nnium largitorc, quam possum studiosissimae contendo, totius christianae reipublicae bono, protractam Sanctitatis Vestrae ultra Nestorii annos canitictn, 01nnibus affluentcm pracsidiis omnisquc felicitatis genere cumulatam. Catanae in Sicilia, 15 augusti 1731

Beatissi1nc Pater, ad pedes Beatitudinis Vestrae devolutus Petrus, Episcopus Catancnsis

f 191 r l Eminentissime et Reverendissime Do1nine, Ea est singularis Eminentiae Vestrae totiusque Sacrae Congregationis Tridcntinae legum custodis hun1anitas et benignitas, ut n1eos in perlustranda Cataniensi hac dioecesi 1neae in1becillitati conHnissa qualescumquc laborcs, quibus pro animarum salute quod potui quidem faccre feci non ita tainen quod debui, laudibus extollat non vulgarìbus in11neritisque honoribus prosequatur. Quamobre1n impraesentiarum ingentes E1ninentiae Vestrac gratias haberc opcrac gratitudinis meae obsequentissimc prctium arbitror minime praetereundu1n; insimulque enixe precavi ul a Dco summam mìhi impetrent votorum quod ni1nin1n1 initiis episcopatus 1nei felicior rcspondeat successus el felicissimus tandem exitus succedat. Quae aute1n post abso!utam totius diocccsis visitationcm, statin1 agenda Sacrae Congrcgationi pron1isi, alias videlicet apostolicorum virorum sacris 111issionibus incumbentium perlustrationes, ia1n exequi conatus sum, exordium sumens a cathedrali, occasione fonnidabilis tcrrae1notus, qui practcrito n1cnsc noven1bris non infi1na1n Siciliac partcrn incredibili terrore concussit. Catanae igilur eiusque in [ 191 v] suburbiis complures evangelici viri praesertin1 Pater Antoninus Finocchio e Socictatc lcsu et P. Dominicus Fcrrari neapolitanus, ordinis pracdicatorum, ad scdandan1 iram divinam praedicationis officium, publicas poenitentiae processiones aliasque pia exercitia aggressi sunt, non sine maxin10 ani1naru1n fructu, atque bune, si E1ninentiae Vestrae ita libuerit cx rela!ione typis edita, quam per n1anus agcntis mci Sancti Thcodori dc Mani inittere su1n ausus, vidcrc potcrit. Quibus Catanae peractis ad eaden1 in reliquis dioeceseos locis pcragenda iiden1 apostolici viri sese s!atim contulere, maxima referentes ubique ex suae evangelicae praedicationis se1ninibus incrc1nenta virtutun1 ut ccrtiorctn me reddunt quotidiana n1eorum vicarioru1n foraneorum testiinonia. Quoad recursus apud Sacra1n Congregationem adversus me habitos, pracscrtin1 super exactionibus occasione sacrac visitationis, omissis aliis, id unun1 praetermittcrc nequaquain possum; scilicet haud 1ne latere calumniarum authores, quos proinde non vulgaribus imposterutn proscquar bcneficiis, ut hactcnus nihilquc mc exegisse, quod indulgentia sacrorum ca~onum, consuetudine in hac dioecesi, exemplo pracdccessorum meorum, praeserti1n Ill.1ni et Rev .n1i D.ni D. Andreae Reggio felicis


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Adolfo Longhitano

recordationis, Eminentissimi Cardinalis Cienfuegos, ac Fratris D. Raymundi Rubi sanctae men1oriae permissum non sit. Interim Eminentiis Vestris, quarum sacram purpuram quam humillime centies deosculor, ultra Nestoris annos protractam [192r] canitiem, 01nni felicitatis genere cun1ulatan1 a Deo optiino maximo quam possum studiosissime contendo universi catholici orbis emolumento. Eminentiae Vestrae Catanae, 31 ianuarii 1732 Eminentissime Domine, ad pedes Eminentiac Vestrae provolutus Petrus, Episcopus Catanensis


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xxvm

[201r] Relatio visitationis urbis et dioecesis Catanensis de anno 1733 Beatissime Pater, Expleto iam triennali curriculo post primam huius meae dioecesis visitationem ut parerem Sacrosancti Concilii Tridentini aliisque decretis, ut denuo ad eam visitandan1 me reducerem toto nisu curavi utque primordia visitationis iuxta debitum munus executioni mandarem, ab hac Sancta Cathedrali ecclesia initium duxi, praemissis quae solent notitiis, ut qui tenebantur ad assistentiam per se vocarentur. Igitur, die 14a martii 1733, magno ecclesiasticorum et secularium nobilium numero comitatus, iuxta pracscriptum Pontificalis Romani et Ceremonialis Episcoporum, sacris vestibus indutus, ad supradictam cathedralem ccclesiam gradum feci, in qua capitulum residet, constans quinquc dignitatibus, duodecim canonicis, totidemque beneficiariis, praeter caeteros mancipatos ecclesiae servilio ministros. In altaribus nit corrigendum reperi, nam imaginibus, fornicibus gradibusque affabre inauratis propriis sumptibus ornavi. In sacris supellectilibus sacristiae iam quod deficiebat providi; unde nil scsc obtulit inconvenientiae. Deinde ad regiam el insignem ecclesiam collegiatam me con tu li (201 v], in qua degunl tres dignitates, decem et novem canonici, et octo beneficiarii ultra alios ministros; illamque inveni quoad cultum divinum peroptime omnibus numeris absolutam, el quamvis nullos habeat sufficientes sumptus ad substentationem canonicOrum, amore et assidua assistentia decorem redolet mirabilem. Parochias inde alias visitavi, quae ultra duas supradictas sex habentur, in quibus quod erat infirmum, qua potui solertia, et elemosinis sanare curavi. Monasteria n1onialium sex et tria conservatoria cum visitassem, suarum legurn et constitutionum zelantissima inveni, nihilque nisi emulationem charismalum mcliorum suadere quivi et ut in sancto proposito permancrent hortavi. Sodalitia, confraternitates aliasque ecclesias visitavi et cum aliquod irrepsisse detrimenturn cognovisse1n necessario resarciendo remedio totis viribus enixus su1n.


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Tandem ad seminarium clcricoru1n ivi, ibique rcgulas tu1n quoad n1orcs rcformandos, 1 ~ !um quoad scicntias comparandas aliquantisper exoletas, statim ut ad pristinum restitucrentur splcndore1n rcctoribus et ministris prcscripsi, utquc fabricam cui incumbunt sine intermissione continuarcnt sum exhortatus. Archigymnasium universitatis studiorum, cui praesum Magnus Canccllarius, ut custodiretur et non intermittatur fabrica cum aliis pracsidentibus curavi. Gcncraliter praescripsi, variis publicatis edictis, continuationen1 assistentiae excrcitio casuurn moraliun1, quod mc presente fit in hac cathcdrali qualibct feria quinta. Mores aliquorum ecclesiasticorum depravatos blanditiis, minis et poenis secundu1n exigentiam corrcxi, taxa1n cxpensarum in qualibct curia foranea praescripsi 15 ad sublevamen subditorun1, qui ni1nis sun1ptibus angebantur; monitis primu1n, deinde mulctis illicitan1 negotialionern radicitus extirpavi et nonnulla alia constitui ad exactam n1oru1n reformationcrn. Sicque visitatione1n Catanae clausi. Optabam per memctipsun1 reliqua dioeccseos loca invisere, ut spiritus promp[202r] tus erat caro infinna; nam serio confcctus, infirn1itatibus graviter exagitatus, voto con1pos effici non potui. Aliunde asperitas itincrum el incvitabilia inco1n1noda, quac tribus ab hinc annis sexagcnario n1aior cxpertus sun1, n1e detcrruere. Unde cantoren1 huius cathedralis, D. Ioannem Rizzari, meun1 in spiritualibus et ten1poralibus vicarium gencralen1, qui vices tneas obiret, mittcre decrevi. Illi tota fiducia gregen1 con1n1isi; nain diligenti et singulari peritia gubernii, n1oribus et scientia est adornatus et ex toto annorutn curriculo, quibus pri1no huius dioccesis vicarius apostolicus, ĂŹnde pluries capitularis praefuit, cognitionem personarum, locorum et negotiorum tam exactam est comparatus, ut nemini sil secundus; quac igitur ipse vice mea percgit hic refcram. Eodem fern1e tcrnpore, quo a n1e ecclesiae huius civitatis perlustrabantur ille oppida cunc!a, quae vocantur Nemoris Catanensis successive visitanda pctivit; quod munus illi a mc iniuncturn fuil etiam exequtioni n1andatum in prin1a mea visitatione, antequa1n simul cun1 ipso n1aiora loca diocccsis adivissern cumque quae primitus ab illo facta fuere et sancita in oppidis nemoris, quaru1n diffcrant ab hac seconda visitatione utramque una rclatione complector. No1nina oppidoru111 sunt: Acis S. Antonii, Acis Catena, Acis S. Philippi, Acis S. Luciac, S. Agatha, Bonaccursi, Belpassus, Borrellus seu Stella Aragona, Castrum Acis, Can1pus Rotundus, S. Gregorius, Gravina, S. Ioannes Galern1i, S. Ioannes la Punta, Monasteriun1 Albun1, S. Lucia, Motta S. Anastasiae, Nicolosi, S. Pctrus, Pedara, Trappetum, Tric:i Misteria, Trccastaneae, Tu1Tis Grifi seu Massa Annunciata, Trizza, Via Magna et Vallis Viridis.

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Tandein - reformandasl evidenzia in n7argine Cod. prescripsiJ prespripsi corregge e soprascrive Cod.


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In 01nnibus totis locis, in quibus ob tenuitate1n incolarun1 non qualis necessaria est viget doctrina, scholas theologiae moralis constituit optimas, magistros eligcndo, supellectilium et altarium rcstaurationi totis viribus opera1n dedit, instructiones meas [202vj promulgavit et illos quos obtemperare detrectantes invenit, redarguir, castigavit. Dissidia iurisdictionalia composuit suu1n cuique ius tribuendo, sacrun1 cultutn et exactiorem fcstorum observantiam promovit, sacerdotcs aliquos a vilioiibus muniis abstinerc, quibus attendebant prescripsit. His absolutis ad mc rediit hicque mansit usque quo aeris inclementia, liberum ad civitates alias relinqueret iter. Ten1pore placido Rammaccatn petiit, ibique unicam ecclesiam 1natricem visitavit, cum nullae aliae ex.tenl, ob oppidi angustiam et in itinere ccclesias rurales, pro quarum pauperie, quae potuit praescripsit. Dcinde ad Platiam se contulit, ubi matricem visitavit pri1nun1, in qua sunt in collegiata tres dignitates, decem et octo canonici et totidem bcneficiarii; meas instructiones quae erant in usu, ad continuam observantiam disposuit non itaque bene ordinata ordinavit. Quod subinde rcperit in ecclesia collegiata SS.mi Crucifixi, ubi sunt duae dignitatcs, duodccin1 canonici et totidetn beneficiarii. Dehinc visitavit sex. alias parochias, quarum minoris momenti detrimcnta perulili economia resarcicnda curavit. Monasteria monialium S. Ioannis, SS. Trinitatis, S. Agathae, S. Annae, S. Clarae et conservatorium virginum subtilissime inspexit, illarumque 1nonialcs regulari disciplinae addictas et claustri decori intentas invenit, et communis vitae zelantissimas exequutrices; et quia non datur in 1nundo paradisus, in quo non intret serpens varias saluberri1nas instructiones reliquit cisde1n obscrvandas. Circa accessum ad eade1n 16 computa expensarum stricto calan10 perpcnsus nihil co1Tigendutn reperit, aliisque salutaribus n1onitis et regulis omnibus ecclesiasticis promulgatis Platiae visitationcm absolvit. Aydonem hinc profectus matren1 ecclcsiam, aliam parochialctn cum cacteris filialibus, confraternitatibus et sodalitiis visitavit, in quibus aliqualia cum irrepsissenl inconvenientia, pron1pto studio correxit. Monialium sub titulo S. Catherinae cenobium perlustravit cumque ad exactiorctn regularum obscrvantian1 adducerc iudicasset variis monitis et inshuctionibus [203r] salutari mcthodo coercuit, theologiac 1noralis pro ecclesiasticis scholain rcnstauravit. Valguarneran1 deinde visitans, in cius matrice ecclesia et illa ercmitorii, sicut in aliis filialibus, nil maioris mon1enti corrigendum adinveniL, sed solummodo paucis inobscrvantiis quoad altariun1 nitore1n ordinationibus occurrit. Mirabellam oppidum subinde adĂŹvil et pro doctrina christiana frequentius auscullanda providit, sicuti pro ecclesiae matricis et alterius S. Crucis meliori cultu.

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eadcn1] easdern Cod.


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Ad Barrafrancain gradun1 facicns et rnox ad Petrapcrtiarn, utriusque matrices ecclesias bene exornatas adinvenit et alias filialcs; neque maiori grassarentur populi ignorantia, cathechismi exercitium frequentiori inethodo renovavit, 1nearumque instructionum in visitatione antcacta publicatarum rcgulis non obtempcran!es multavit. Enna1n seu Castrum Ioannes inviscns, in eius perlustratione visitavit in matrice ecclesia collegiata, capitulum constans quatuor dignitatibus, octo canonicis et octo beneficiariis, hosquc reperir nitori ecclcsiae et personarum incu1nbcntes quon1odo alias novcn1 parochias se adinvcnisse mihi rctulit. Sacra virginum 1nonasteria septen1, idcst: S. Marci, S. Benedicti, S. Mariae Populi, S. Clarae, S. Mariae Gratiaruin, S. Michaelis, SS.1nae Conceptionis; poenitcntium et pupiliarum conscrva!orium accura!e cum visitasse! et nil sibi quod regularem observantiam offendcret occurrit. Postea adivi! sodalitia, confraternitates aliasque ecclesias pennultas filiales et nosoco1nium, mcas antcac!as instructiones rcnovandas curavit, publicavit, indixit; cu1nque in illis ecclcsiasticis non contemnendu1n 17 vigeret scientiaru1n studiu1n, ad mcliore1n normam exhortatus est [203v J et theologiae 1noralis adauxit. Calaxibettae visitavit ecclesian1 1natricem collegiatam cu1n octo canonicis et totidcm beneficiariis, qui allernatin1 S. Petri et S. l\1ariae Maioris ccclesiis n1atricis titulo insignitis assistunt; dcin parochialcm S. Antonii abatis el monastcriun1 1nonialium S. Salvatoris et conservatorium virginun1 aliasque ecclesias infcriores lustravit, opportunisque pro necessitate relictis instructionibus ad cxactam vivendi 1nethodu1n, profectus est. Assorum visitans eiusdem matricis co!legiatae tres dignitates, octo canonicos et octo beneficiarios diligcnter ecclesiae et sacroru1n cultui addictos reperir, unde eorum diligentia perspecta commendavit studium. Parochiali S. Luciae ut subvenircnt, propter cxtren1am paupertatcm, toto nisu est adhortatus aliosque defectus reparavit. Monasteriu1n S. Clarae, ut ca quac par est observantia vigere! studuit, datis nccessariis instructionibus. Casuu1n conscicntiae cxercitiu1n restauravit ut potius animae quam corporis subveniret detrimento. Leonfortem petiit, in quo matriccn1 ecclesian1 et filiales opti111e comptas, ecclesiasticos bonis n1oribus instructos, aliosque iuxta debitum doccntes curn invcnisset, laudabile hoc institutum ut non interrupta cultura progrediretur iussit, variis ad hunc fine1n publicatis instructionibus. Civitate1n S. Philippi Argiriensis cum adivissct, quatuor canonicorum collcgia visitavit: primun1 in ccclesia parochiali S. Mariac Maioris cum dignitatibus tribus, canonicis quatuor et unico beneficiario; secundum in ecclesia parochiali S. Antonii dc Patavio cum quatuor dignitatibus, duodecim canonicis et sex bencficiatis; tertiu1n in

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Contcmnendum] contendendun1 Cod.


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ecclesia parochiali S. Margharitae cun1 quatuor dignitatibus, duodeci1n canonicis e sex beneficiatis, quartun1 SS.1ni Salvaloris cum tribus dignitatibus, sex canonicis et quatuor beneficiatis et in iis divinum cultu1n et supellectiles ad exigentiam co1npetente111 ordinata lustravit; quaequc f204r] sibi inconvcnientia visa sunt redarguir ad pristinum restituendo splendorem; eodem se gessit in aliis duabus parochialibus S. Petri et S. Antonii abatis filialibus et aliis sodalitiis et confraternita ti bus. Monialium asceteria 18 tria: SS.mac Annunciatae, S. Mariae Co1nn1endatae et S. Clarae non contemptibili!er monasticae vitae observantia n1clioribus fulcivit instructionibus et monitis; ut populo doctrinae christianae pabulu1n non deficcret moderatores instituit prudentes et theologiae moralis frequentiam pron1ovit. Regalbutum inde digressus duas ibi parochialcs, matricctn et S. Mariae, ecclcsias cactcrasque filiales, sodalitia et confraternitates visitavit. Utquc iuxta iniuncti muneris debitutn se gcreret, de aliquibus defectibus factus certior, sumn1a diligentia urgentiae providit ecclesiasticorum cultui; renovavit scholas casuun1 conscientiae et doctrinae christianae; inonasteria S. Mariac CJ-ratiarum et S. loannis Baptistae, meae iurisdictioni subiecta, ad religiosae vitae normam regulata conspexit; hiisque duobus non dissimiliter n1onastcrium Angeloru1n sub regula et cura augustinianoru1n, instructiones meas renovando, quas desuetudine non observatas scivit, praxi dcmandari curavit. Centurbiu1n tanden1 petiit, uhi ccclesiam 1natricen1 necnon filiales el sodalitia perlustravit variis prospiciendo remediis urgcntibus, aliquibus necessitatibus pro restauratione scholae theologiae moralis et cristianae doctrinac, guae sunt principalia ecclesiasticorum studia. lnstructiones ad regulariter vivendum a n1e ante actas promulgari n1andavit; hisque absolutis ad 1ne reversus est ob aeris intemperiem, guae eetcra loca visi tari non patiebatur [204v ]. Adernionem tctnporc congruo adivil, ubi in ecclesia 111atrice collegiata, capitulu1n visitavit, quatuor dignitatibus, duodeciin canonicis et oclo beneficiariis con1posito et tam in eo, qua1n in ecclesiae n1odera1ninc et cultu rcprccndenda occurrit. Parochialcs alias filiales, sodalitia, confraternilates et monasterium diligentcr perlustravi! opportuno remcdio neeessitatibus occurrens. 19 Monasterium S. Clarae, undiquc optimc co1npositu1n, est ad1niratus, puellaru1n conscrvatorium tnagna solertia et observantia regulatun1 vidit. Monasterium S. Luciae, quod exĂŹ111io laborc a mercatura, a libertate vivendi e! incoinpetenti numero <ancillarun1> exi1niis laboribus anno transacto exturbavi, opera et studio numqua1n satis laudato patris magistri Dominici Ferrara, ordinis praedicatorun1, missionarii apostolici, qui vices n1eas obiens, sccularcs cxclusit omnes et servaru111 mullitudinen1,

1R asceteria] archisteria Doc. oeeurrens] occorens Cod.

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et comtnunen1 vitam induxit, ad continuandan1 introductain observantiam regularem, quantum potuit et debuit conatus est cxhortari. Pro schola teologiae moralis ob

deficientiam a me electi alium preceptorem destinavit publicatisquc meis instructionibus. Ad Albavillam grcssurn fecit, ubi visitans ccclesiatn matretn, filialcs et sodalitia, Iicet in loco egestati subiecto ab ecclesiasticis optime cultas invenit; casuum conscientiae exercitium optimo viro con1mendavil et ecclesiasticorum aliquorum moribus reformandis prospiciens necessaria contulit remedia. Paternionem civitatem appulit, ibique ob ostinatam inobedientiam quatuor canonicorum, quibus tcmeritas est iuvamini et quorum recursus adhuc sub cxamine Sacrac Congregationis 20 pendentes nondun1 decisione favorabili veritati sunt reiecti, non arbitra~us est ecclesiam matriccm collegiata111 visitare, ne iurisdictio mea iacturam pateretur, sed cum [205r] aliis tribus dignitatibus, octo canonicis beneficiariis et clero, parochialem S. Barbarae invisit, et cun1 caeteris filialibus ccclesiis, sodalitiis et nosocomio invenit mediocriter ornata, opportunis dehinc occurrit remediis et instructionibus, ut quaeque damna, quae a supradictis quatuor in spiritualibus et temporalibus perpetrata erant, reficerentur. Monasteriu111 SS. Annunciatae regularis disciplinae observantissimum vidit. Pro theologiae 1norali magistrutn quemdam dominicanum eximiu1n constituit preceptore1n, multaquc ibi urgente necessitate constituit; supradictoru1n cnim scissura gregem meum turbari non desistit. Quodque non sine enim dolore patitur quatuor illi liberrin1e vivunt nec possurn coercere; subli1niori eniin innituntur bacula. Acim Regalem licet visitari dcbuissct post quadragcsi1nam, quo temporc complcctitur tricnnium, attamen capituli et cleri replicatis instantiis et supplicationibus, tandem petiit. Ibi capitulum con1positu1n tribus dignitatibus, duodecim canonicis et sex beneficiariis, totusque clerus gravitatcm ccclesiasticam rcdolcntcs, divino cultui proprioque decori incumbunt, unde mater ecclcsia collegiata aliaeque quinque parochiae caeteraeque ecclesiae, sodalitia, confraternitates, nosocomia et hospitium peregrinorum sunt ad normam Concilii Tridentini exornata, suppellectiles et caetera ad ecclesiarun1 usum destinata opti1na sunt. Qualibet hcbdomada 21 ecclesiastici ad locum destinatum conveniunt pro exercitio casuun1 conscientiae. In ecclesiis parochialibus quolibet die feslo cathechismus explicatur. Monastcrium virginun1, licct ob inopiam reddituum et deficientiam concurrentium aliquo 1nodo deprcssun1 [205v] invenit, sacris instructionibus 1nunivit ut inde ad meliorcm frugem reduceretur. Scissuras aliquas inter capitulares pro iurisditionalibus causis composuit. Caetera quaeque secundum exigentiam ordinavit ut debita 1nethodus imposlerum servaretur. Rebus ita

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quorum - Congregationis] sottolinea ed evidenzia in n1argine Cod. hebdomadaJ hebdommoda Cod.


Le relazioni «ad limina" della diocesi di Catania (1730 - 1751)

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co111positis, die scptimo currcntis mensis dece111bris anni 1733, ad 1nc rcversus est, cunctaque hacc, quae superius retuli pro co1nn1issae curae exoneratione adamussin1 renunciavit. l"laec est alterius visitationis mcae summa, qua1n humilli1ne et obsequentissime 1nec1u11 et cum 01nnibus ovibus gregis mci Sanctitatis Veslrac pedibus tamquam Su1nmo Pastoru1n Pastori submitto et gcnuflexe dcprecor, ut mihi et diocccsanis mcis apostolica1n dignetur Sanctitas Vestra benedictionem i1npcrtiri. Et ego, omnesquc 1nei ovilis incolae ab Omnipotcnti Deo pro universi orbis bono rogo Sanctitati Vestrae felicitate1n spiritualem et tcmporalem pcrennem omnique gaudio refertan1. Catanae in Sicilia, die 14 ianuarii 1734 Post hu1nillin1a pedum oscula Petrus, Episcopus Catanensis [207r] Eminentissimi et Reverendissimi Do1nini, Quam perhumaniter excepcrint E1ninentiae Vestrae qualecun1que 1neum in visitanda dioeccsi Jabore1n, didici ex cpistula, quam benignitate rcfertan1 ab E1nincntiis Vestris accepi. Gratias 22 ideo n1axi1nas rependo ac si vires suppetias fercnt, polliceor maiora in dies n1e daturum prout rcrun1 gregis mei neccssitas expostularc videbitur. De seminario clericoru1n Iiterae 1neae tacuerunt quia in referenda visitatione n1cmoria excidit. Nunc, ut meliori fruge n1uneri satisfaciam, quidquid a sui primordio de senlinario dici queat hic veracius et fideliter re1nillo. lgitur hanc scden1 episcopale1n Antonio Faragonio regcnte, die 18 aprilis 1572, clericorum collegium instituere cupicnte, quidam fructus ecclesiae et dìoecescos rcdditus preparati fuerc pro illius substentatione; at 1nortc preventus Episcopus quod caeperat aedificare non potuit consun1are. lode vicarius capitularis, sede episcopali vacante per obiturn supradicti praesulis, anno videlicet 1573, prin1a indictionc, quaindam etnit do1num, in qua aliquot clericos introduxit, iuxta Episcopi defuncti dìspositionen1, quod per sex quasi annos sollu1nmodo pcrduravit. Post1nodu1n omnino cxtinctu1n rcvixit ten1pore visitationis regiac Petri dc Manriquez y Buytron, qui authoritate regia, qua pollcbat ordinavit se1ninarii crectioncn1 et ministrorum eiusdem. De do1no disposuil, disciplinis, rcctore, 111inistro, procuratore e! pracfectis, de morum institutione et modo vivendi, dc suppellectilibus, redditibus omnibusque circun1stantiis ad rectarn cohabitandi nonnan1. Ex cuius [207v] temporibus, anno ncmpe 1581 perduravit usque ad visìtationcm regiam Philippi de lordi, qui anno 1614 intcr alia seminarium catanense

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Gratias] Grates Cod.


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visitavit; cumque id invenisset in aedibus canonicalibus nuncupatis, rationabilibus de causis ad aliam transtulit domum, prope cathedralem ecclesiam, ubi usquc ad monlis Aetnae incendium persistit; cumque Dei beneplacito nil fuisset laesum, ad annum 1693 deduclum, simul postea cum tota civitate ob terrae1notum, ruinae passum est iacturam. Postea in ligneis tabernaculis, supra n1uros civitatis prope cathedralem, constitulum aliquamdiu fuit, donec meliorem ad formam redactum paulo longe ab antiquo situ fuit a fundamentis extructum, ut in praesenti conspicilur. Postquam vero huius ecclesiae cathedralis omnibus numeris visitationem absolvi, ad seminarium praedictum accessi, ibique prius cappellan1, deinde dormitoria, refectorium, aulas, coquinam, officinas cunctamque supellectilem perlustravi. Carceretn pro delictis gravioribus puniendis, clausuram intus et extra conspexi et nil corrigendum inveni. Extat in seminario biblioteca, guae erat quondam Ioannis Baptistae de Grossis, canonici huius ecclesiae collcgiatae, viri cruditione et operibus praelo datis spectatissimi, post cuius mortem fuit legata nepoti Sanctoro Oliva, canonico huius ecclesiae cathedralis, qui eam seminario dono dedit. Ille variis illam locupletavit libris Andreas Riggio praedecessor meus; at tempore interdicti varia passa est discrimina et multis expoliata libris, quorum refectioni inprescntiarum curam maximam impendo, sicut et fabricae, guae ob clericorum numerum est sun1me necessaria, totis viribus incumbo. Sunt in seminario convictores ab alumnis, quoad pracfcctum, vestes et pecuniae solutionem, divisi; in aliis vero co1nn1unicant, quoad studendi et vivendi modum et solvunt quotannis uncias 45. Sunt etiam alun1ni talares vestes coloris cerulei gestantes, qui solvunt uncias 30 et tam isti quam convictores numero non sunt praefixi, sed ordinario esse solent octuaginta. Ex alumnis gratis aliqui aluntur a seminario propter redditus, qui respective exiguntur ab aliquibus dioecesis universitatibus; suntque pro dioecesi sex et sex pro hac urbe Catanae. Habet seminarium suas pro spiritualibus et temporalibus regulas quas ob [208r] temporum necessitatem et varietatem reformavi, adauxi, et tabellas pro quotidiano exercitio spirituali et litterario horis distinctis constitui, alias pro victu quotidiano distinctissime exarandas23 curavi quod el factum est. Habet sen1inarium suos peculiares redditus ex mensa episcopali ex aliquibus beneficiis ecclesiasticis illi assignatis, ex provcntibus tam ex hac civilale quam cx dioecesi, qui sufficienles quasi sunt ad eiusdem substentatione1n. In seminario sunt: rector cui incurnbit spirituale et temporale gubernium, rninister qui curam tcmporalem exercct pro victu et domo, procurator qui habet onus introitus et exitus, praefecti duo, unus pro convictoribus, alter pro alu1nnis, qui curam

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exarandas] exarandam Cod.


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gerunt sociandi clericos e seminario cxeuntes, duo magistri sacerdotes, qui omnimode attendunt ad informandos clericos in disciplinis, quibus student in gymnasiis Societatis 24 Iesu et sunt: grammatica, rethorica, philosophia, theologia speculativa et moralis. Bis in die coram supradictis magistris exceptas repetunt doctrinas et semel in hebdomada fit su1nmaria scholastica exercitatio. Quia autem adest in hac civitate studiorum universitas, aliqui ex convictoribus in eadem legi civili, aliqui ex alumnis legi canonicae incumbunt, propterca datur pro istis iurisconsultus, qui quotidie in seminario supradictas peragit exercitationcs. lnserviunt seminaiio ultra supradictos ministros: ianitor, duo coqui et famulus omnes commensales et ta1n isti quam supradicti, aetate provecti moribusque, quantum fieri potest, irreprchensibiles seliguntur. Cura scminarii est paenes quatuor huius cathedralis capitulares, sub nomine deputatorum, quorum duo ex dignitatibus et duo .ex canonicis esse solent, qui semel in mense in seminario cum rectore conveniunt et examinant ad1ninistrationem indigentiis occorrendo et si quid maioris momenti accidcrit cum mca fil voluntate. Haec diserte En1incntiis Vestris retuli pro iniuncti muncris exoneratione praccor Deum enixe ut servet incolumes E1ninentias Vestras quorum sacrae purpurae fimbrias venerabundus ea osculor. Eminentiae Vestrae Catanae, die prima octobris 1734 Em.mi Domini, ad pedes Eminentiarum Vestrarum Rev.1narum humillimus famulus ac capellanus Petrus, Episcopus Catanensis Romam Eminentissimis et Rev.mis Dominis Cardinalibus Congregationis Concilii interpretis inter omnibus

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Societatis] Societas Cod.


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XXIX

l21 Or] Beatissime Pater, Ut Sanclitati Tuac, sicut ratio officii 1nci postular, statum dioccesis explice1n in hac lertia lustratione opere pretiu1n duo hacc prius cnarrarc. Dioecesis Catanensis, de1npta calhcdrali urbe Catana, aliquas refcrt civitates, nimirum: Platiain, Ennan1 seu Castrum Ioannein, Calaxibet1a1n, Sanctu1n Philippum ab Argirionc ac Acini Rcalenl. Ast oppida permulta sub huius Regni baronu1n imperio, videlicct; Patcrnioncm, Adernionem, Albam Villam, Regalbutu1n, Aydoncm, Petraperliam, Barrafrancarn, Valguarncran1, Leonfortc1n, Assorum, Centuripen1, Belpassu1n, Mottam S. Anastasiae, Trappe!um, Trium Mysleriorun1, Viam Magna1n, Triun1 Castaneannn, Pidaran1, Nicolosi1n, Mompilerium, Camporotundu1n, S. Pelru1n, Sanctun1 Ioanncn1 a Gaiermo, Gravinan1, Aci1n S. Philippi, Aci1n S. Antonii, Acim a Ca!ena cu1n suis quarteriis. Quibusquidcm antiquis dioccesis oppidis, non 1nultis ab bine annis, duo alia exigui non1inĂŹs sunt adiecta: nempc Mirabellan1 et Ra1naccan1. Ex quibus a cathedrali visitationis 1neae pfimordiun1, III idus 1naii 1736, ortus 25 sun1 caeremoniis 01nnibus plane absolutis, quae a Pontificali Ron1ano s!atuuntur. Ten1plun1 hoc maxin1um, vcl toto Regno celeberrimu1n, alias a solo ab optimo 1neo predecessore Episcopo D. Andrea Riggio cxtructu1n, al ahsque ullo altariun1 ornatu, sacris i1naginibus de novo singulari penicillo exprcssis, auro circun1secus venustatis, cappellis coloribus egregie pcrpolitis, cun1 duobus organis auro ac pictura honestatis, Deo opitulante, studio ac proprio aere, tandem ornni cx parte perfeci. Et quia desiderabantur sacrac vestes pro 1naioribus sollemnitatibus et faldistoria, ex serico panno acupicto et auro paravi. In cathedrali hac n1ea quinque dignitatcs et canonici duodecim, ex quibus capitulun1 constat, totiden1quc beneficiali scu hebdon1adarii 26 numerantur, insuper octo n1ansionarii. Quoad ministranda Christifidclibus sacra1nenta capitulu1n utitur magistro cappellano, cui quatuor sacerdotes adiutores insigniti adiciuntur. Sunt decen1 et octo cappellas, quarum insignis Crucifixo Nu1nini sacrata, suis ctnnulatur annuis

25 ortus] orsus Cod. hebdomadarii] hcbdo1nn1odarii Cod.

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censibus ad virgines aliquas parentibus viduatas, singulis annis, nubendas. Existit canonicus poenitentiarius ac Jector publicus theologiae moralis e Socictate Iesu, qui singulis feriis quintis habet lectione1n ad universum clerum [210v]. Subinde me contuli ad insigncm ecclesiain colleggiatam sub nomine Sanctae Mariae dc Eleemosina, in ca extant tres dignitates ac decem et oc!o canonici cum suis praebendis, tametsi ad praesens exiguis, qui on1nes superpellicio et epitogio sunt insigniti, cun1 aliis octo mansionariis epitogio diverso distinctis, diebus festivis et sabato in 1nissis sollen1nibus horisque canonicis pendendis in1pense suae ccclesiae descrviunt. Alias quoque cathedralis ccclesias adiutriccs habet, nimirun1: S. Andreae Apostoli, S. Blasi seu S.tae Agathae a Fornace, S. Philippi Apostoli, S.tae Marinae, S.tae Mariac de Itria, S.tae Agathae extra moenia et S.tae Mariae dc Concordia, a ine dc novo pro maiori anin1arum cultura instituta, earum cappellani 01nnia adininistrant sacramenta, dempta facultate acceptandi n1utuu1n consensu1n in sacra1nen!o matrimonii, 27 quae solun1 ab Episcopo, utpote unico paroco, ex in1me1norabili consuetudine conccditur. Ullerius confratcrnitates et congrcgationes omnes lustravi, in eas reperì illarn olim celebrcm sub titulo Sanctorum nlartirum Cosmae et Damiani, in qua populus convenit a terremotus ruinis, anno 1693, ad modtnn provisionis instauratam et modo quassam, veluti praecipitcn1 ac ad ultimam ruinam proxi1narn. Habct tamen onus satisfaciendi, cx peculiaribus rcdditibus distinctis ab iis qui sunt pro dote, aliqua legata pia. Haec pro decenti ccclesiac instaurdtione ad quinque annos suspendi28 ad praeces ac ralioncs rectorum ipsius, publicis documcntis finnatis, cum ipsi nullo n1odo cx 30 scutis, guae vix ad divinum cultum sufficiunt, ruinas imminentes praepcdire mini1ne poterant. Accessi ad clericorum seminariu1n, ad cuius domum structuran1 integram deputatos in1puli, tum studiorum aedes totius Regni, quibus Catanensis Episcopus praeest ac Magni Canccllarii nomen subir. Post aliquot dies sanctin1onialium cacnobia conveni, nimirun1: Sanctorum luliani, Benedìcti, Placidi, Sanctarum Agathae, Clarac, ac SS.mae Triadis, virgines enim horum monasteriorum, divino cultui cnixe deditas et regularum suaru111 exactain observantiam sectantcs, non sine animi mei spirituali lctitia in pcrseverantia eas 1ncis adhortationibus roboravi. Insuper alias duas domus, altera adolescentularum virginum parentibus orbataru1n ac n1ulierum alia, quae l21 lr] post lapsum ad paenitentiam redactae ad hanc domum confugiunt; ad 1nonita in antecedenti visitationc expressa maxi1nopere praestrinxL

27 28

S.tae Agathae - nlatrimonii] evidenzia in n1argi11e Cod. ad - suspendi] evidenzia in n1argine Cod.


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Ad prin1um 29 catholicae fidei rudirnenta docendi 1nunus, praeterquam sacramentalium ecclcsiarutn cappellanis impensc commendavi eosque obnixc praccepi, novum sodalitium sacerdotum 30 institui, in quo, qui adscripti fuerinl id

n1uneris suscipient, ac eos assignavi ccclesiam sub Litulo Sanctae Mariac a Sacra Litera, in qua do1ninicis singulis, dato can1panae signo, pro meridianis horis ipsi1nct sodalcs conveniunt ac subinde, bini associati, modo in hanc, modo in alia1n ccclesimn hoc saluberriino docendi n1uncre curatos adiuvant. Atque ut omnes pueii ac rudes facile co11discant et intelligant clara voce ac vernacola lingua ea guae dccent dilucidc exponunt. Rudi1ncnta vero fìdci eadcm lingua typis proprio aere edidi ac ad curatos omnes totius dioecesis abunde transmisi. Haec de cathedrali urbis Catanae paroeciis, monialibus, locis piis carptim Sanctitati Vestrae innuissc sufficiat; nunc quae ad civitates oppidaque dioecesis sigillatim perccnseam. XI kalendas iulii 1736 ad civitatem Platiae visitandatn dcflexi. In processo itineris rnihi occurril oppidum exigui nominìs Ramaccam nuncupatum. In cius ecclesia sacra1nentu1n confirmationis ministravi et in ordinem redactis ea quae ad praedictam ecclesiarn nunquam immediate a proprio Episcopo visain spcctabanl, in Aydonis oppidum pervcni. Ubi pluries confinnationis ministravi sacran1entu1n inspectisque quae ad spiritualcn1 gubernatione1n ac ten1poralem ecclesiarum, sodalitioru1n, confratcnitalutn 31 ac tnonasterii virginu1n sub regola Sancti Benedicti ac Sanctae Catherinae titolo spectabant civitaten1 Platiae attigi. In qua ecclcsia rnatrix satis atnplum habct templum, colleggiata insignitu1n, quae cx tribus dignitatibus, quibus ani1naru1n cura demandata est, decem et octo canonìcis, totidcn1quc .sacerdotibus bencficiatis constai, qui 01nnes oras canonicas pcrsolvunt. Al quia culpa rectorum scculariurn, qui tempora\cs redditus ad1ninistrant, post tot annos ten1plun1 nondun1 csL absolututn, iinposui recloribus ul ex rcdditibus ccclesiac caedercnl singulis annis uncias biscentu1n 1nonetac siculac quatuor clcputatis, ex l211 vl caetu canoniconnn a 1nc electis, pro constructionc absoluta dicti tctnplì, cu1n onere ut sepissitne mc per cpistolas de statu fabricac certiorcm facerent. Quinquc sacran1entales ecclesias coadiutrices habel, in quibus sacran1enta ad1ninistrantur per cappellanos ab Episcopo eligenclos et ad nutum amovibiles. Extat pariter ecclcsia Sanctac Dominicac titulo, in qua habetur colleggiata sub non1ine SS.1ni Crucifixi, constans ex duabus dignitatibus, duodecin1 canonicis ac decc1n n1ansionariis. Monastcria virginum sub Sancti Benedicti rcgula tria sunt, scilic:et: S. Ioannis Evangelistae, SS.n1e Triadis, <S. Agalhac>; S.tac Clarae vocatun1 diversu1n, titulo 32 Sanctac Annac sub Augustini rcgula, una don1us pucllarun1 orfanarum; necnon

29 prin1umJ pri1nam Cod. 30 sacerdotum] sacerclotorum Cod. 31 confraternitatum] coniì·atcrnitatc1n Cod. 32 tituloj titulum corregge e soprascrive Cod.


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extat hospitale ad infinnorum curan1 et pietatis mons ad egenorutn inopiam adiuvandam. llabet quoquc Platia societates et confratcrnitates permultas cum suis ecclesiis, necnon et nonnullas ecclesias et intra et extra civitatem, quas on1nes diligentissime fuerunt visitatac, relictis variis ordinationibus ad divinu1n cultum promovendum, et pluries distributo fidelibus indigentibus confirmationis sacramento. Barrafrancam et Petrapcrtiam profectus su1n, utratnque matren1 ecclesiam visitavi, una cum filialibus et sodalitiis, missis opportunis ren1ediis ac monitis ad divinum cultum. Concionem privatam ad clerum habui; ac ut cuncti erudirentur in theologia 1norali lectoren1, et ad pueros in rudimentis fidei instrucndos praefectum doctrinae christianae constitui, ministrato pluries confirmationis sacramento. Ad civitatem Ennae dictam Castrutn Ioannem ascendi. Attente ìnspexi ecclesian1 maiorcm iam in colleggiatam crcctam redditibus, suppcllectilibus, vasìs sacris argenteis Sanctorumque Reliquiis opulentarn. In qua quatuor parochi, qui sunt dignitates cuin animarum cura, duodeci1n canonici et octo beneficiarii, qui in dies canonicas horas 1nissasque sollemnes pcrsolvunt ac caelebrant. Noven1 etiam habentur parochiae, quorum parochi per concursum praescribuntur, sancti1nonialium monasteria sub regula Sancti Benedicti tria numerantur, nempe: de Sancto Benedicto, Sancto Marco ac S.to Michaele, totide1n sub nonna carmelitarum, videlicet: de Sancta Maria a Populo, S.La Clara ac Sancta Maria Gratiarurn. 1-Iabetur etian1 n1ulieru1n convertitarum coenobium cu1n [212rl clausura, titulo Sanctae Mariae a Conccptionc, sub regula S.tac Clarae et conservatoriun1 pucllarutn orfanaru1n. Est hospitale infinnoru1n, in quo etiam rccipiuntur et aluntur infantcs eiecti, quorum paren!es ignorantur, ac in fonte baptisn1ali ad hoc deputato baptizantur. Sunt etiam confraternitatcs societatesque pern1ultas cum suis ecclesiìs, necnon nonnullas alias ecclesias 1ninorcs intra ac extra civitate1n, quas omnes relictis in scripto monitis visitavi. Pluries sacramentum confirmationis ministravi ac constituto christianae doctrinae praefecto, una cu1n lectore thcologiae rnoralis, habitaque privata concione ad universun1 clerum Calaxibettam deveni. Duas habet n1atrices ccclesias civitas ista, videlicct: Sanctae Mariae et Sancti Petri Apostoli cu1n octo dunitaxat canonicis ac totidem beneficiariis, alternis mensibus utrique inservientibus el per praedictos sacramenta parocchialia per turnum adn1inistrantur. Paritcr habet una1n sacran1entalem ecclesia1n coadiutricem Sancti Antonii titulo, confraternitates, sodalitatcs et 1nonasterium sacrarum virginum sub SS.1ni Salvatoris notnine et regula S. Benedicti, quas ornnes visitavi. Tandem clero instructo per concione1n privatam, suffecta populo indigenti sacra confirmatione, statuto pro coetu ecclesiastico instruendo in morali theologia lectore et doctrinae christianae 1noderatore pro punctis profectus sun1. Relicta Calaxibetta Leonfortcm 1ne recepi. Admiratus sum ea quae ad divinum culturn rccta1nque reruin te1nporalium in ecclesia matrice administrationem <respiciunt>. Observavi ccc\csias filiales ac sodalitia nihilque non ordinatum inveni.


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Adolfo Longhitono

Reperi puellas in rudimentis fidci bene versatas, opera, studioquc virginum colentium Colleggiu1n Mariae, paucis abhinc annis fundatum pietate ac munificentia principis Scordiae, domini huius oppidi, cu1n maximo spirituali ac temporali eiusden1 emolumento. Habui ad clerum privatam concionem e! pro erudiendo in morali thcologia lcctorcm deputavi et pro instruendis pucris rudibus in fidei elementis praefectun1 constitui, ac porrccto indigentibus sacro chrismatc, ad oppidum Assori iter contendi. Cuius ecciesia prima, quac insimul esl canonicorum coetus cum animarutn cura 111 tres distributus dignitates [212v], duodecim canonicos et octo bencficiarios, propter eximium numcrum 33 sacrae suppellectilis et concentum divini cullus 1ne letitia affeci!. At inveni ecclesian1 parocchiale1n titolo S.tae Luciac pauperrima et quantutn in 1ne fuit satis ei feci. Monasterium sacraru1n virginum sub regula ac nomine Sanctae Clarae virginis; ad ca guae in antecedenti mca visitatione pro recta gubernatione reliqui adhortavi. Sacro dcmum chris1nate pueros reliquosquc indigentes obsignavi, clerum instruxi particolari exortatione, lectorem theologiae moralis cx patribus rcforn1atis S. Prancisci constitui ac saccrdotcm probum in praefectum doctrinac christianae, dein civitatem S. Philippi Argirensis attigi. Habet quatuor ecclesias colleggiatas sacran1entales civitas hacc sub nominibus: S. Antonii Patavini, S.tae Mariac Maioris, S.tae Margharitae et SS.mi Salvatoris. Non adest n1atrix ccclesia, unicuique tatnen cx dictis colleggiatis quatuor, dignitates Lres inserviunt, quarum prima est praepositura cui animarum im1ninet cura, duodecim canonici et octo mansionarii. Monialiun1 tria extant caenobia, duo sub regula bencdictinorun1, nin1irum: S.tae Mariae vulgo ÂŤde RaccomandataÂť, ac S.tae Mariae ab Annunciationc, tcrtiu1n sub regola ac nomine S.tae Clarae virginis. Hoc habet pene dirulatn ecclesiam; decrcvi firmiter reparationem. Est insuper abbatia regia sub titolo S. Philippi Argirionensis, quae gubernatur per priores et cappellanos insignitos et exen1ptos. Abbas vero commendatarius a serenissimo Rege non1inatur. Sunt plurcs confraternitates, societatcs ac ccclesias, quas omncs visitavi; et sacramenturn confinnationis oleo a<l1ninislralo necessariisquc instructionibus respectivc relictis pro ecclesiaru1n guhernatione inforn1atoque per coneionen1 privatam clero in Rcgalbutum profeclus sum. In ipsa civitate adest ecclesia matrix, cui cappellani ab Episcopo electi, ad nutu1n a1novihiles et sacra1nenta parochialia administrantes inserviunl. ExLat insuper et alia saerarnentalis et coadiutrix ecclesia, sub Sanetae Crucis no1nine, in qua pariter per cappellanos ab Episcopo electos sacratnenta ministrantur. Duo quoque 1nonialiu1n r213r] virginun1 caenobia habcntur, sub Sancii Benedicti regula nc1npc: S.tae Mariae de Gratia et Sancti Ioannis Baptistac, alteru1n, cuius clausuran1 visitavi, sub patru1n agostinianorum iurisdictione ac regula S. Augustini. Lustravi pariformitcr

:n numerum] minorcm ('od.


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confraternitates, societa\es, aliasque ecclesias minorcs ac in scriptis omnibus n1onita reliqui. Pluries sacrum chrisma populo suffexi, cleru1n private monui et ca guae ad moralem theologiam pro ecclesiasticis et ad doctrinam christianain pro rudibus con1posita ad oppidun1 Ccnturipein tetendi. Hic prospexi n1atren1 ecclesiam dc novo excitata, alias filiales ac sodalitia adhibitis opportunis remediis prout necessitas expetcbat. Clcrum 1ninus versatu1n in n1orali theologia et pucros in rudimcntis fidei reperi. Quo circa utrisquc prospiciens, ut ad aliis dioecesis locis, praefectos constitui et sacra confirn1atione pluries indigentibus administravi alibi tnc contuli. Nonis septembris petii Acim Rcalcm. Ecc!csia n1atrix colleggiata extat, in hac civitatc, guae cx tribus dignitatibus constat, duodecin1 canonicis et sex i11ansionariis, qui omnes inserviunt et assistunt pro sacramentorun1 administrationc, horis canonicis u1 choro persolvendis et missis so\lc1nnibus cantandis. Quinquc alias coadiutrices ecclesias habet pro sacnu11entoru111 ad111inistratione, guae per cappellanos ab Episcopo electos geruntur. Unicum habet 111onasleriu1n sacrarun1 virginu1n, sub regula Sancti Bencdicti et Sanclae Agathae virginis et martiris nomine. Tenct virginum conservatoriu1n, hospitalc pro curandis infirmis et ad levandos egcnos pictatis 111ontem. Insuper alias 1ninores ecclesias, confratcrnitates ac sodalitales pern1ultas cun1 suis ccclcsiis, in quibus nonnulla erogantur legata, singulis annis, pro 111aritagio puellaru111, quas omnes diligcnter visitavi. Cleru1n quamvis in morali thcologia instructu1n adhuc ad eurn studium adhortavi et concione privata ad sancte [2 J 3v l vivcndun1; plurics 1ninistravi sacru111 chrisma, in dc ad oppida Paternionis el Aden1ionis expianda n1e eontuli. Quac habenl 1natrices ecclesias cum fundationc collcgiataru1n cun1 tribus dignitatibus in unaquaquc ex eis, quibus animarum cura astricta est et duodeci1n canonicis mansionariisque octo. In Paternionis oppido unicu1n extat sanctimonialium 111onastcrium, sub Sanctae Mariae Annunciatae nomine et rcgula S. Benedicti, et hospitale pro curandis infirn1is. In illo Aden1ionis duo cxtant 1nonialiu1n caenobia: unum sub rcgula tituloquc S.Lae Clarae Virginis, alteru1n sub regula S. Benedicti et noinine Sanctae Luciae virginis et nutrtiris. Hoc aliquaru1n monialiu1n licentia non paru1n scandali populo attulit; unde pro virihus ad totalem rcformatione1n earum me adduxi. Plurics cxercitiis spiritualibus S. P. Ignatii eas per Societatis lcsu patrcs peculiariter34 missis instruxi, collocutionc1n cu1n saecularibus el ecclesiasticis, de1nptis consanguineis in primo et secundo gradu, se1nel in hebdomada cis interdixi, crates ferreas arctas prioribus fcnestris apposui ac aliis salularibus docun1entis et instructionibus reliclis, imposita

34 peculiariter] peculialiter Cod.


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Adolfo Longhitano

poena transgressoribus 35 ad regularem disciplinam adhortavi. Aliud habet virginum conservatorium, quod affert haud vulgare36 virtutum specimen popolo. Exposita oppida plures habent confraternitates, socictates et ecclesias minores, quas omnes visitavi. Pro ecclesiasticorum utililate ac profectu lectorem theologiae moralis institui, eosque privata concione monui, ac pro rudium praesertim puerorum profectu in rudimenlis nostrae sanctae fidei doctrinae christianae praefectum ex sacerdotibus deputavi. Distributo tande1n pluries fidelibus indigentibus confinnationis sacran1ento alibi me recepi. Quae tamcn ad reliqua oppida in huius meae relationis exordio recensita nil dignun1 cognĂŹtionis Beatitudinis Vestrae censeo, cum omnium fuerint a me personaliter visitata et necessariis documentis satis abbunde [214f] informata. Ad1ninistravi in eis confirmationis sacramentum pluries, adhibitis opportunis retncdiis, sicut in aliis oppidis et civitatibus pro maiori divini cultus nitore et animarum meae sollicitudini commissarum bono. Hanc tandem meac Catanensis dioecesis enarralionem ad sacros Sanctitatis Vestrae pcdcs humiliter provolutus exhibeo eandem enixe obsecrans ut illam paterna benignilate amplecti dignetur. Christus Dominus Vestram Sanctitaten1 Ecclesiae inilitanti diutissimc conscrvct ac mĂŹhi et gregi huic benedicat anima tua Pater Sanctissime. Catanae, pridie kalendas augusti 1737 Post pedum oscula beatorum, Beatissime Pater Ad pcdcs oscula Sanctitatis Vestrae Petrus, Episcopus Catanensis

35 36

transgressoribus] trasgressoribus Cod. IJaud volgare] ad vulgarem Cod.


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xxx [222rJ Beatissime Pater, Quarta1n l'ibi huius meae dioecesis SS.me Pater, demisse lego ac rcmitto Justrationem; praecor obtestorgue Beatitudinem Tuam ut huius meae defatigationis cognitionem hun1anissime excipias ac Tua apostolica benedictione corroborcs. Impulit me tam laudabili opere incumbere, ille animarum in ovibus meis zelus, qui valetudinem meam, licet infirmam devexamque aetatem, accendit et permaxirne ubi clarissime inte11exi hanc visitationem ab omnibus cupide studioseque opperiri. Quamobrem IV nonas maii, currentis anni 1739, civitatem Panormitanam deserui, uhi me Sanctitas Tua moratur ad obeundum contra haereticam pravitatem Inquisitoris Generalis totius huius Regni ministerium, ac V idus commemorati mensis meam dioecesim Deo adspirante attigi. Quid autem mea lustratio fueril et guae pro ea obeunda suscepi, non alienum arbitror a principio cursum denarrare. Necessitas vero et iusta mearum ovium cura, in visitatione habita III idus maii 1736, me excitavit ut universus clerus esset n1orali theologia praeditus; quo circa constitui ubique lectores facultatis huiusmodi et clerici, si lectioni huiusrnodi minime vacarent, suac deficientiae poenas luerent nec non, uhi in rudin1entis fidei puerorum inscitiam perspexi, mihi fuit in ani1no viros, non modo in literis ac morum integritate, verum etiam prudentia reru1nque usu insignes, constituere in prefectos doctrinae christianae, atque congregationem presbiterorum pro l222v] huiusmodi exercitio absolvendo erigere. Modo vero, quantum in tota mea dioecesi studium ac fervor catechismi etiam in iuvenibus sylvarum eluceat, nemo est nescius; in quorum culturam non desunt inei Evangelii operarii ad hoc arduum opus peculiariter intenti, qui, relictis civitatibus vel oppidis, ad pastoralia tentoria se conferunt iugiterque defatigant, ut impuberes rusticos ad sacramenta percipienda, non dumtaxat idoncos veru1n etiam eruditos reddant, in quinque videlicet capitibus prae ceteris doctrinae christianac, quibus catholicorum noster catechismus perficitur. Hinc parvuli isti sinapeos grano, quod inter omnium olerum semina minimum, in iustae arboris 1nagnitudinem, propter sacrae doctrinac dilatationem ac mysteriorum fidei vel in parcntes ipsos subolescunt, ad.similari non iniuria posse censeam. Viget pariter in universo meae dioecesis clero ea scientia, guae presbyteris in tanto munere dignius exequendo, praesertim quoties in conscientiae tribunali sedent,


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praesidio est. ldcirco quoquc conslitui ut presbytcri ac clerici neutiquam ad curas dignitatesque vcl ad ordines, absquc approbatione ac docu1nento scripto de assistentia rcspectivi professoris, promovcrentur. In unaquaque civitate ac oppido pluries confirmationis sacra1ncntum ministravi aliosque iuvenes ad n1inores ordines provcxi ut ecc!csiis opera eorum indigentibus inservirent. Practerea pracsbyteros cunctosque clcricos [223r] degcntes in rcspectivis civitalibus vel oppidis de eorum obligationibus ac dcfectibus privata concione per 1ncum theologu1n habita, iinpcnse com1nonefeci, nec destituì adortationibus peculiaribus pravos ccclesiasticos verbis gravìssiinis increparc. Mox ea, si quae sunt, dc unaquaque civitatc et oppido digna aperio. Itaque effectas reddidi cacren1onias, guae a Pontificali Romano censcntur, i11ea1n cathedralcn1 ecclesiam visitavi, in qua quinque dignitatcs et duodcci1n canonici, ex quibus capilulum contla!ur, totide111 bencficiarii ac octo 111ansionarii nun1crantur. Sacrmnenta administrantur per 1nagistrum cappcllanun1, additis quatuor aliis presbitcris insignitis. Ea vero guae in antecedenti visilationc statui adan1ussin1 obscrvantur. Paritcr in ecclcsia collegiata sub titulo Sanctac Mariae dc Eleaemosina sunt tres dignitates, dccem et octo canonici superpellicio induti ac epilogio insigniti, cun1 aliis octo inansionariis diverso epitogio discri1ninatis, qui omnes dicbus festivis et sabatis totius anni horas persolvunt canonica.•;, 111issasquc sollemnes celebrant. Octo ecclcsias adiutrices habet n1ea haec cathedralis; in his sacramenta ad1ninistrantur, den1pta cappellanis auctoritate acceptandi mutuum consensun1 in inatrimonio, guae ab Episcopo, utpote unico parocho, pracdictis elargitur. Studiose obscrvavi sanctimonialiu1n rnonasteria, videlicet Sanctorum luliani, Benedicti, Placidi, Aga!hae virginis ac rnarliris, Clarae ac SS.1nae Trinitatis; alias [223vJ quoque duas do1nos adolescentularum virginum parcntibus orbataru1n, alteram 1nulìerum, quae post lapsu111 in hac clauduntur ut resipiscant do1no. Tandem clericoru1n seminariutn, confratcrnitates, congregationes, ruralcs pariter ecclesias 0111nes; in aliquibus 1nagna cum ani1ni inei voluptate, quac in antecedenti visitationc mandavi, cffecta repcri, in aliis vero per novas ordinationes irnposui, ut ea quae ad divinurn culLun1 spcctant maiori decentia pcrficerentur. 1--Iis absolutis iter intendi ad civitate111 Petrapertiae oppidumquc Ba1Taefrancae; hic cun1 maxin1a regulari observantia sanctin1onialiun1 monastcriu1n vigct, sub constitutionibus Sancti Benedicti et nomine Sanctissimae Trinitatis, anno 1737 erectu1n; et in dies tu111 virtutum, tu1n fortunaruin accessus factae sunt. Subinde opulcntìssi1nam civitate1n Platiae attigi. Condccoratur hacc civitas insigni collegiata cun1 dcccm et octo canonicis tfibusquc dignitatibus, quibus ani1narum cura de1nandata est; totidcmque pracsbyteris beneficiatis, qui 0111nes in dies horas persolvunt canonicas. Haec ecclesia, quae per 111ultorum annorum cursu1n haerebat n1agna cx parte incompleta, modo celeriter construitur su1nptibus aliquorum nobiliun1 piorun1que virorum eosque ad opus ta111 celebre perfectc absolvendum i11ea cohortatione incitavi. Alia pariter extat collegiata sub litulo SS.1ni Crucifixi, in qua duo dignitatcs, duodeci1n canonici, decen1que mansionarii.


Le relazioni «ad !imina» della diocesi di Catania (1730 - 1751)

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Tria sanctimonialiu1n monasleria sub Sancti Benedicti rcgula 1nililanl, scilicet [224r]: Sancti Ioannis Evangclistae, SS.mae Trinitatis ac Sanclae Agathac virginis et martiris, quartu1n sub regula et nomine Sanctae Clarae virginis, quintum sub Sancti Augustini constitutionibus ac Sanctae Annac no1nine. I-Iabetur ctiam puellarum orfanarum reclusorium, hospitale ad infirn1orum curam, ac 1nons pie!atis. X kalcndas iunii currentis anni, praecedenli edicto et cxa1nine, hic habui ordinatione1n generalen1, qua peracta, ecclesias societatu1n ac confratcrnitatu1n aliasque extra civitate1n visitavi. Fideicommissarii, viri nobiles, canonici ac cives enixe tne rogaverunt ut cx rcdditibus pro fundationc caenobii sub regula Sanctae Thcrcsiac, quia minime ad eam summam ascendunt, ut iuxta testatoris dispositionetn construeretur pracfatum caenobiu1n, extrucrctur Collegiu1n Mariae pro educatione puellarum. Petitionem hanc ilari fronte animoquc excepi ac oratorcs ad Sacrarn Congrcgationem remisi, ut ab ea statuatur opus tam dignun1 Deoque acceptun1 ac a tam pia civitate pcrmaxime exoptatum. Mox ad Aydonis civitaten1 ine contuli et pro regulari observantia unici monasterii sub titulo Sanctac Catherinae Senensis ac Sancii Don1inici regula, moniales vehementi exortatione con1monui, rclictis in scripto ordinationibus. In oppido Valguarneriae, quae erant 1nuncris 1nei partes explcvi. Visis intra non paucos dies hisce civìtatibus et oppidis Ennam profectus sun1, civitaletn in medio huius Regni constructa1n pro situs emincntia pene inaccessibilcn1. Attarnen in hoc praecelso loco, in sum1no est acquata agri planities et aquae perennes. Tota vero civitas omni aditu circumcisa atque dirupta est [224v]. Inspexi in ca ccclesiam maiorem in collegiatan1 a Sancta Sede erectan1, cum quatuor dignitatibus curam animarum habcntibus, duo<lecin1 canonicis et octo beneficiariis. Sanctoru1n Reliquiis, sacris supellectilibus, vasis, utensilibusque argentcis praediviten1. Novctn habet paroecias, tria sancti1nonialia monastcria sub Sanctì Bencdicti disciplina, ac totidcn1 sub Sanctae Clarae regula. Aliud habetur cacnobium n1ulierum convertitarun1 cun1 clausura et Sanctae Clarae regula ac praessum rerum inopia; ad ean1 sublevandam diligentiam on1nen1 adhibui ac de propriis pccuneis calainitatem carum ?ubstentavi. Observavi reclusorium pucllarun1, nosocomion languentium, variasquc confraternitates, socictates, ccclesias rurales ac decreta pro opportunitate reliqui. Visis exinde civitatibus Calaxibettae, Assuri, et Leonfortis, Sancti Philippi Argiricnsis civitate1n attigi, in qua quatuor ecclesiae collcggiatae sacramcntales extant, nempe: Sancti Antonii Patavini, Sanctae Mariae Maioris, Sanctae Margharitac et SS.1ni Salvatoris, in unaquaque sunt tres dignitates, duodecim canonici ac octo mansionarii. Tria 1nonialium caenobia existunt ad regulam Sancii Benedicti informata, pluresque societatcs, confraternitates et ecclesias. Sed pcnnaxime illustratur civitas haec corpore Sancti Philippi Constantinopolitani, in cuius celebri clelubro, divina onnipotcntia, in dies ob merita enunciati sancti patroni, operatur rara et insueta miracula. In hac Ecclcsia est abbatiae regiae titulus; caret adn1inistratione sacramentorurn; n1oderatur per priores cappcllanosque insignitos a iurisdictionc


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ordinarii exemptos. Abbas vero con11nendatarius a screnissiino [225r] Rcge nominatur. Civitas Regalbuti maiore1n ecclesia1n habet, quac pro administratione sacran1entorum utitur cappellanis electis ab Episcopo ad nutum amovibilibus. Alia ecclesia, sub nomine Sanctac Crucis, est sacra1nentalis et coadiutrix, rcliquasquc minores divino cultui cum laude indulgent. Exornatur haec civitas duobus sanctimonialiun1 cacnobiis sub rcgula Sancti Benedicti, videlicet: Sanctae Mariae de Gratia et Sancti Ioannis Baptistae, tertiun1 sub rcgula Sancti Augustini et iurisdictione fratrum praedicti ordinis, cuius clausuram inspexi. Tn civitatc Centuripensi maiorem ecclcsiam, quae in mea antecedenti visitatione acdificabatur, reperi on1nibus absolutam numeris. Civitas haec, oli1n adn1odum illustris, hodie rnagna ex parte dctrusa, paucas habet minores ecclcsias ac nu1nerus ecclesiasticoru1n ipsis respondct. Adernionis civitas pervetusta 1naioren1 ccc\esiam curn fundatione collegiatae insignis habct; in ea trcs dignitatcs cum animarun1 cura, duodeci1n canonici et octo mansionarii. Duo pariter sanctimonialiu1n monasteria cxtanl; unum nomine ac regula Sanctae Clarac virginis, aliud profitetur Sancti Benedicti constitutioncs et Sanctae Luciae virginis et n1artiris nornine dicatun1. Hoc cacnobium in mea antecedenti visitatione totis viribus ac industria in regulari observantia, quam paucissi1narum n1onialium licentia labefactavit, iam instauratu1n; cum intellcxi cralres ferreas nimis arctas a me tunc appositas ac finnas aliquorum malitia vel casu esse co1n1notas, plun1bo volui roboratas et sub cxcon11nunica- [225v j tionis paena mandavi ne ullo un1quan1 tempore a loco dimoverentur. Aliud etiam habetur virginum reclusoriurn sub lesu Mariae titulo, quod cnunciatae civitati non parun1 utilitatis affert. Subinde oppidum Albae Villae et civitatem Paternionis vidi. Hac in civitale estat collegiata ccclesia, tres habens dignitates cun1 animarum cura, sunt paritcr duodeci111 canonici ac octo mansionarii, unicu1n insuper habetur monialiun1 caenobium nomine Bcatae .f\1ariac Virginis Annunciatae dicatum et sub regula Sancli Benedicti, in quo clucet regularis observantia. Nihil a meis ordinationibus transactis in 01nnibus ecclesiis Albac Villae et Paternionis dissonum rcperi. Hinc civitatem Acis Realis adveni, in hac ecclesia matre extat collegiata ex tribus dignitatibus, duodecim canonicis et sex 111ansionariis constans; 0111nes inscrviunt administrationi sacran1entorum. Sunt pariter quinquc coadiutrices ecclesiae pro sacra111cntorum administrationc cum cappcllanis ab ordinario electis et ad nutu1n amovibiles. Supra caeteras ccclesias en1inet illa sub titulo Sancti Sebastiani n1artiris, tun1 propter aniplitudinem, luin propter elcgantiam. Unicum haec civitas habel sanctimonialium caenobiu1n ad regulas Sancti Bencdicti inforn1atu1n et Sanclae Agathae virginis et martiris non1ine insignitum, ubi viget regularis observantia. 1-fabetur insuper 111ons pietatis et hospitale, necnon reclusoriun1 virginu111; multas etiam habet confraternitates et ecclesias in quibus singulis annis non pauca legata crogantur ut virgines in matrimonium honeste collocentur [226r].


Le relazioni «ad limùw» della diocesi di Catania (1730 - 1751)

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In rcliquis vero oppidis ad radicem montis Actnae sitis, videlicet: Monastcrium Album, Motta Sanctae Anastasiae, Belpassus, Nicolosium, Sanctus Petrus, Catnpus Rotundus, Pedaurun1, Tria Castagnu.s, Via Magna, Massa Annunciatae, Sancta Lucia, Gravina, Sanctus Ioannes de Galem10, Sanctus Ioannes de Punta, Sancta Agatha, Trapetum, Trirnistelis, Bonaccursus, Acis Sancti Antonii, Acis S. Philippi seu Catena, Trizza denique Castrum IatiunL In cxpositis inquam oppidis nihil dignum notitiae Sanctitatis Tuae autumo, curn fuerint a me necessariis dccrelis ac documentis abunde imbutis. Restat ut me totu1n ad vota convertam, quibus Deum optimum maximum intimo cordis affcctu praccor, ut 01nncm felicitatem tibi diuturnam conserve! et provehat mequc tua sanctissin1a patcrnaque benedictione restaurcs. Catinae, VI kalendas octobris l 739 Post pedu1n oscula beatorun1 humillin1us et obsequicntissin1us famulus Petrus, Episcopus Catanensis, Inquisitor Generalis


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XXXI !234rJ Beatissime Pater, Grcge1n lustrandi vigile s1udiun1 adco n1eum inccssit animun1 ut, licct octogenarius et aegritudinu1n non paucarun1 fere 37 inquinatus, libcntius ad cunctas civitatcs 1ncae curac subicctas nccnon et pagos me conferrcm, nisi unanimis physicoru1n sentcntia, ob gravitatem 1neae dcfectae aetatis ac 1nanifestum vitae pocriculum, penitus intcrdixissct. Quamobre1n ut 1nco quantun1 in me erat muncri satisfaccren1 cdixi 1nco vicario in spiritualibus e! temporalibus generali, ut dioeccsim to1am ea qua praeditus erat solertia ac prudentia cum potcstate inspicerct. Cogitata ergo vicarius generalis visitator pcrfecit ac, IV idus iunii 1743, quinlo mea1n cathedralem ecclesia1n Ca1anense1n pro n1e convenir. In ea duodecin1 canonici, dignitates quinque, ni1niru1n: prior prin1a dignitas, cantor, dccanus, thesaurarius et archidiaconus, ex quibus capitulun1 conflalur et duodecin1 hcbdon1adarii 38 , seu beneficiati rccensentur; praeterea mansionarii octo. Ast capitulun1 ad sufficienda fidelibus sacra1ncnta magistnnn cappellanurn adhibct, cui praesbyteri quatuor adiutorcs insigniti admoventur. Condecoratur decern et octo cappcllis, quarun1 inclita Numini Crucifixo dicata, suis ccnsibus annuis acervatur ad /234vJ non paucas virgincs puellas parentibus orbatas annis singulis 1naritandas. In canonicoru1n caetu numeratur canonicus pacni!entiarius et in 01nni feria quinta per annun1 publicus facultatis rnoralis lector e Societate Iesu ad univcrsu1n clerun1 lectione1n habet. Ordinationes vero in antecedenti visitatione ad cffectu1n feliciter sunt adducta. Duocdecin1 kalendas iulii eiusdcm anni in insignem ecclesia1n collcgiatan1 Sanctac Mariac ab Eleaemosina dicatain, gcneralis visitator convenir. In ca extant tres dignitates, vidclicet: praepositus, thesaurarius et cantor, decem et octo canonici, qui superpclliceo et graeco epitogio sunt insigniti, ac dece1n n1ansionarĂŹi diverso distinctis epitogio, cun1 cappellano pro sacran1entorun1 achninistratione. Mea in.super cathedralis alias ecclcsias habet adiutrices, nen1pc: S. Andreac Apostoli, S. Blasii seu S. Agathae a Fornace, S. Mariae ab Itria, S. Marinae, S.

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fcrcl faerae Cod. hcbdo1nadarii] hcbdo1n1nodarii Cod.


Le relazioni M1d liminw> della diocesi di Catania (1730 - 1751)

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Philippi Apostoli, S. Agathae virginis et 1nartyris extra 1nocnia et Sanctac Mariac a Concordia. 01nnia sacra1nenta (dempta facultale excipiendi consensun1 n1utuun1 in sacran1cnto 1natrin1onii, quac tanlu1n ab Episcopo, ulpotc unico paroco, ex i1n1nen1orabili consuetudine elargitur) eoru1n cappellani Christifidelibus studiose sngcrunt. In urbe praedicta confratcrnita!es XXXIII cl congrcgationcs V fucrunt 01nni solcrtia visac. Subindc clericonnn semina1iun1 visu1n fuit, ad cuius aedificii absolutun1 ordinen1 et ad iuniorum in spiritu e! in literis 1naius profectun1 decreta data sunl validissi1na. ldibus iulii ad IV nonas septcn1bris sancti1nonialiu1n cacnobia sun1 lustrata, videlicet: Sanctorun1 Juliani Episcopi, Bcncdicli abbalis, Placidi n1artyris, S. Agathae virginis et marlyris et Sanctissin1ac Trinitatis. sub regula l235r] S. Bencdic!i et Sanctae Clarac virginis, sub Sancti Francisci praescriptis; virgines cteniin hon1n1 n1onastcriorun1 divino cultui appri1nc inlentas el lcgun1 suarun1 ohservantian1 1ninuatin1 seclantcs 1naxi1no aninli 111ci spirituali gaudio; ut in pcrscverantia rohorarentur Deutn fortitcr sum deprccatus. Ullerius in duabus c\01nibus adolesccntularun1 virginun1 parcn1ibus cxspo\iatarun1 39 altera, n1ulierun1 alia, quae post lapsu1n ad pacnitentiain reductac asylun1 hoc pctunt, ordinalionibus n1cis 111ini111c refragatur. Haec de 111ea urhis cathcdrali, paroeciis, 1nonialihus, locisque piis. Nunc quae ad civitalcs, oppidaque clioccesis spectant cnarrabo. Tcrtio idus 1naii 1743 gcncralis n1cus visita\or ad invisenda1n civitatcn1 Platiae dcflexit, in qua Marcus Trigona scnex, orbus ac dives, Plaleensiun1 clarissi1nus, civitatis principen1, acden1 Dciparae sacran1 laulissin1i patrin1onii haercde1n, supre1nis tabulis nuncupavil, poslea collegiatain insignitan1, guae ex lribus clignitatibus, praeposito scilicct, cantore et thesaurario, quibus anin1arun1 opera den1andata es\, dece1n et octo canonicis. totide1nque praeshyteris hcneficiatis constai. qui on1nes canonicas persolvunt horas. At quia rcctoru1n seculariun1 vitio, qui ten1porales gubernanr 40 redditus, te1nplun1 nondu1n pcrfecte absolutu1n est, optin1c sancitu1n fuit a meo generali visitatore ut exacle religiosequc observctur n1eu1n decretu1n pro ccclesia on1nihus nu1ncris absolvenda, datun1 visilationc anni 1736, XI kalendns iulii. In hac vero visitatione ad n1eas pervenit aures, quocl capitalia relicta pro n1issarun1 cclebratione, n1aritagiis aliarun1que piarun1 dispositionun1, quia fuerunt penes diversos depositarios seu thcsaurarios depositata et ve] per nequitian1 dilapidata, ve] 1norte eorutn fuerunt depcrdita et ab haeredibus ve\ 41 [235v] non aut non sine ingenti clifficul!ate exigi po.s.sunt. Ideo forti decreto sancitu1n volui ut capitalia 01nnia ad pias causas deputata, 01nnino claudcrcntur in arca triu1n claviun1, quae in

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cxspoliatarun1] explicatas Cod. gubernanl] gubcrnat Cod. 41 vel] ripete Cod. 40


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caenobio S. Annae perpetuo consisteret et quando cxtrahi pecunia oporteret, non nisi per acta magnae episcopalis curiae fieret, etc. Plateensis maior ecclesia quingue sacramentales adiutrices habct, in quibus sacra administrantur signa, per cappellanos ab Episcopo eligendos ad nutuin amovibiles. Extat quoque ecclesia sub titulo Sanctae Dominicae collegio sub nomine Sanctissimi Crucifixi exornata, in quo praepositus et cantar, duodecim canonici et mansionarii decetn. Virginum caenobia sub regula Sancti Bencdicti tria sunt, nempe: Sancti loannis Evangelistae, Sanctissimae Trinitatis et Sanctae Agathae virginis et martyris; alterum sub Sancti Francisci legibus Sanctae Clanie nuncupatum; diversum nomine Sanctae Annae sub Sancti Augustini episcopi placitis; una domus pucllarum parentibus orbatarum, nosocomium ad aegrotantium curam, et ad aegenorum inopiam sublevandam mons pietatis. Habet quoque Plateensis civitas XXI confraternitates oratorios publicos habentes, et LIV inclusis oratoriis ecclesias intra et extra civitatem diligentissime visitatas, variis statutis monitis ad divinum culturn magis magisque promovcndum. Generalis vicarius visitator, XJI kalendas iulii, ad Aydonis oppidum pervenit et inspectis quae ad spiritualem gubernatione1n et temporalcm duodecim ecclcsiarum, duarum pareciaru111, trium confraternitatum et unicum sanctimonialiu1n caenobium sub titulo Sanctae Catherinae virginis, lege et alba Sancti Dominici lana, pertingebant, Plateensem civitaten1 denuo petivit ut ad alia oppida iter faceret [236r]. Yerum acerbus de contagioso Messanenesi morbo nuncius illi delatus est et cum pestilcns 42 lues ingravesceret, latius serperet et universos Messanenses corriperet, periculo siculi omnes territi (praeserti1n 1nea dioecesis Messanensi proxima) civitates et oppida provide et caute in suis lerritoriis annatae excubiae statuerunt, ne Messanensium foeditas contagiosa proprios labefactaret incolas. Quos 43 piane consternatos religiosi pro concione confirmabant et Deum publica paenitentia precari et vereri 44 posse doccbant; magni excitabantur populi clan1ores et gen1itus expiationem deposcentis; sacras supplicationes instituunl, nudis pedibus, atrati procedunt, cinere conspcrsi, con1munibus lacrymis sanguine atque ciulantibus veniam et misericordia111 a Deo petunt; praecuntibus ac subsequentibus patribus Societatis Iesu maxime ac aliis regularibus, qui idoneis conciunculis caclestis irae ob oculos positac n1agnitudinem indicabant, unde maximi anin1orum motus efficerentur. In hoc periculo et timore spe visitandi dioecesim sublata, generalis visitator, cum tota curia in urbem redivit CatanensiunL Ast ego dioecesis 45 loca miniine visa et sollicitudine1n non abieci; afflictu111 gregem meum per epistolas confinnavi et ea guae

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pestilens] pcstilentis Cod. Quos plane constcrnatosl Qui piane consternati Cod. 44 vereri] veri Cod. 45 dioecesis] dioecesitn Cod. 43


Le relazioni ÂŤad limina Âť della diocesi di Catania ( 1730 - 1751)

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opportuna mihi videbantur pro recta gubernationc spirituali vicariis meis foraneis ministravi. Hunc prostremo Catanensis mea Dioecesis statum ad sacros Sanctitatis Tuae pedes, genibus provolutus explico, demisse rogans, ut illum paterna coinitate excipias dum ego Deum precor ut det Sanctitatis Tuae dudum vivere feliciter in tcrris et felicissime sen1per in caelis. Panarmi, XI kalendas augusti 1744 Post pedum oscula beatorum Sanctitatis Vestrae Petrus, Episcopus Catanensis


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[244r] Beatissi1ne Pater, quinaria1n Sanctilali tuae huius Catanensis dioecesis, n1eae pastorali iure subniissac, hu1nillin1e rc1nit10 visitationcrn personalilcr aequidcn1 per rne non in1p!etan1, ob iter agcndi i1npotentian1 ex tol lantisque propriis causala1n infinnitatibus ac tain cxcessiva46 aetatc, i1npcdin1entu1n praecisc praestantibus ne a Panonno lune te1nporis, 111agno cun1 1nci cordis cruciatu, disccdcre potcrin1, quan1vis ul debito 1nco nnincri n1ean11nque oviun1 desiderio satisfecisscrn nudtoque 1nagis pro nico gregc a qualibct aegcstale pracsso levando, aninu1run1 ccclesian1n1que sollicila cura, Ïn1n10 et ad hoc, ut si debitae executioni prcterilac visilationis instructiones n1oru1n correctionc1n relaxatoru1n clerica!i.o.que status nonna1n diviniquc cultus rnaiore1n concerncntes vcnerationc111 n1andatac esseni, invigilaretur scrio ac specialitcr Rev.1110 utriusque iuris doctori D. Vincentio Paternò Trigona, n1eo vicario generali, tale con1n1iscr!rn onus con1plcndun1, prout et que1nad1nodu1n dic 16 111artii 1743, post cathedralcn1 111eac cpiscopalis seclis ecclcsian1, alias 1ninorcs, n1onasteria, parochias et confratrias n1cthodicc, ul!ra tcrras ac civilatcs 01nncs huiu.o, dioecesani ne1noris, visitatas esse co1npcrtun1 estat f244v]. Signanter ctenin1 praedictac cathcdralis ccc\esiac lus1rationen1 repctendain opere practiu1n ciuco, in qua quinque digni!ates et duodecin1 canonicatus corpus capituli constituunl, duodenarii paritcr exlant beneficiali vulgo clicti secundarii, 1nagister cacrcrnoniarun1, octo 1nansionarii et !andcn1 1nagisler cappellanus ac quatuor cappellani ad nutu1n an1ovibilcs, pro 1ninislratione sacran1entorun1 exc1nplnritcr inserviunt. Quoad on1nia in praccedenti visilatione disposi!a admnussin1 i1nplendun1 aliquid non cxtaL Paritcr in insigni ccclesia collegiata, sub titulo S.tac Mariac de Eleacrnosina, tres adsunt dignitales, dece1n et octo canonici 111axi1na cu111 honestatc ut hactcnus insigniti, cu111 aliis octo n1ansionariis, cappellano el cacren1oniaru111 111agistro, cpithogio ornatis, qui dichus festivis et sahatis totius anni ac quatragesi1nali te1nporc horas pcrsolvunt canonicas, n1issasquc sollen1ncs caclchranL

~ 6 cxccssiva] cxcessivain

Cod.


Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania ( 1730 - 1751)

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Parochiac seu adiut1ices ecclcsiae, in quibus sacrainenta per vice parochos ibi constitutos tninistrantur, in hac civitate octo extant, sed quoad n1uluun1 consensurn in matrimonio acccptandum delegato Episcopi, uti unici parochi, cxpectari debet. Per cosden1 ac rev. patrcs praefcctos doctrinae christianae iuvcnes 01nncs in rudi1nentis catholicae fidci erudiuntur. Monialium monastcria, in quibus virtutun1 n1crita" 7 luccscunl, pcculiariter fuerunt visitata; occupant enim loci ordinc111 iuxta te1nporis praecedcntian1. Pri1nu111 48 in ordine 1nonastcriun1 S. Iuliani, dcin S. Bcnedicti, S. Placiti, SS.n1ae Trini1atis, Divae Agathae virginis el 1nartyris ac S. Clarae. Omnia pritna quinque sub regula S. Benedicti vivunt; ultra sextum S. Clarae sub regula seraphici ordinis constitutun1

[245r]. Pro clericorum se1ninario, confraternitatibus, congregationibus, ruralibus ecclesiis et aliis piis locis, quae servanda cranl fuerc disposita, et quac instructionibus praeteritis uniformia se rcddebant fuere approbata. Quod itide1n servatun1 fuit in 01nnibus ecclesiis piisque locis totius 11e1noris et in oppidis et lcrris in radice 1no11Lis Etnae sitis, ne1npe in terris S. Petri, Can1pirotundi, Pidauri 49 , Triun1castanean11n, Viae Magna.e, S. Lucia.e, Gravinae, S. Ioannis de Galern10, S. loannis la Punta, S. Agathae, Trappeti, Trium Misteriorun1, Bonaccursorun1, Acis S. Antonii, Acis Catenac, Trizzae et Castri Acis, quibus on1nibus in terris necessaria documenta fuere praescripta. Denique civitatc1n Acis Regalis, in qua 1natrix ecclesia collegiata trihus dignitatibus, duodecim canonicis et sex rnansionariis conslat ac insigniis canonicalibus a S.ta Sede Apostolica concessis, condecorat<1 reperii!; iis quibus cgebat providentiis fuit i1nbuta. Ibiden1 in quinque coadiutricibus ecclesiis cappellani sacramenta ministrant. Unun1 extat n1onialiu1n caenobiun1, regulis S. Benedicti ligatum, S. Agathae virgini et 1nartyri dicatu111, pro cuius excn1plaritate tan1 quoad mores, quan1 quoacl regularen1 obscrvantian1 inulta cun1 achniratione vencratun1. Pietatis 1nons, hospitale et virginun1 reclusorium on1ni curn 1noderarnine gubernantur. Ecclesiae et confraternitates in iis quac spectant ad divini cultus honorem et in legatis pro orphanis fundatis distribuendis, ea qua 50 decet ordinala aclrninistrationc lucescunt. Quibus sic peractis, iden1 Rcv.1nus de Paternò Trigona, vicarius generalis, visitator ad Platiac se contulit civitate1n. Et signanter in opulentissi1na illa Platiae civitale insigne1n collcgiata1n, dcce1n et octo [245v] canonicis tribusque clignitatibus curam aniinaru1n habentibus, et totide1n presbyteris beneficiatis, choraliler horas canonicas rccitantibus, ornata1n visitavit: necnon etian1 et aliain collegiatam sub

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1neritaj n1aerita Cod. Prirnutn] Pium Cod. 49 Pidauri] Pedauri co1Tegge e soprascrive Cod. 50 qua] quae Cod. 48


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ti!ulo SS.1ni Crucifixi, cui ultra duas dignitates duodecim canonici dccemquc mansionarii inscrviunt. Ibique tria sanctimonialiu1n 1nonasteria sub S. Bencdicti rcgula cxtant, scilicet: S. Ioannis Evangelistae, SS.mae Trinitatis et S. Agathae virginis et martyris, aiiud sub regula et nonlinc S. Clarae virginis, quintum sub S. Augustini constitutionibus S. Annac denominatu1n, quae fuere visitata una cum reclusorio puellarum, aegrotantium hospitale et monte pictatis. Post haec aliae ecclesiae, societates, confraternitates et aliae extra civitatis circuitu1n extantes fuere visitalac, ubi prae!eritae inslruciioncs fuerc servatae et aliae magis pcrutiles dispositae fuerc et praecise pro piis legatis implendis. Quibus expletis in praedictam civitatc1n Aydonetn abiit, ubi unicum 1nonasterium monialiu1n sub titolo S. Catharinae Scnensis ac S. Do1ninici regola fundatu1n, 01nni cu1n cxemplarìtate viventiuin, fuit visitatu1n. Fidei com1nissariis operu1n piorum ìnstructioncs fuerc relictac, eorumque con1puta bene discussa, alia autem divinun1 cultu1n rcspicicntia, ea quac oportcba! salutari methodo, fucre disposita. Rebus ita se habentibus omnibusque iuri consonis adan1ussiin servatis, idem vicarius gencralis dc Trigona, dum ad alias civitates iter intendere cupiebat, quia (Dco sic permittcnte) Messanac civitas pestilentiali fuit praessa morbo, pro bono regitnine totius Regni, iuxta disposilioncs deputationis sanitatis, visitalionis cursu1n prosequi non valuit, sed illico Catanan1 tedirc curavit [246r]. Anno vero 1745, stanle rcnuntiatione officii vicariatus gencralis eiusdem de Patcrnò et Trigona, aliun1 vicarium gcnerale1n, utriusque iuris doctorem D. Andream Vcrnagallo, canonicum eiusdem cathedralis ecclcsiae Catanensis delcgi, ta1n pro implendo n1uncre praedicto, quam pro con1plenda visitatione iam inccpta per totani dioccesim. Per quem 01nni qua decel diligenti attentione et vigilantia, quemachnodun1 iuxta sui serien1, prin1ario se contulit ad civitatcm Patcrnionis; matrice1n ibidem ecclesiam collcgiatam !ribus dignitatibus, duodcci1n canonicis et octo 1nansionariis decorata inspcxit. In monasterio, quod sub constitutionibus S. Benedicti rcgulatur B. Mariae Virginis Annuntiatae dicatu1n, regularis et excmplaris viget observantia. Albae Villae oppidu1n fuit visitatum nihilque a decursis instructionibus erat inobscrvatum. Pro civitatc Adernionis supercst diccndu1n ibi Jnaioren1 adesse ecclcsia1n in collegiatan1 crec!a1n et in ea tres dignitatcs cu1n animarun1 cura, duodcci1n canonici, octoque 1nansionarii assistunt; duo extanl monasteria, unurn S. Clarac deno1ninatun1 eiusdcn1quc regulas servans, aliud S. Luciac regulam S. Benedicti detinens, pro cuius finniori observantia regulariquc disciplina servanda magis atque 1nagis paterno zelo cura fuit adhibita et nihil insonum usque adhuc est audilum. Virginu1n rcclusorium Icsus et Mariae titulatu1n habctur suis in indigentiis sublevatum.


Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1730 - 1751)

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Ccntum Rupiun1 civitas maiorcm aliasque minores habet ecclcsias, quaru1n in visitatione, ultra alias discussas, dc iis quae erant reformanda fuit actuin.

Regalbutensis civitatis maiorem 51 ecclesiam cappellani ab Episcopo electi inserviunt, alia pariter sacramentalis S. Crucis est coadiutrix [246v]. Duo n1onasteria sunt constructa sub regula S. Bcnedicti, vidclicet: S.lae Mariae de Gratia et S. loannis Baptistac et aliud sub regula S. Augustini et fratrutn eiusdem ordinis iurisdictioni obnoxiun1. In S. Philippi Argiriensis civitate quatuor extant collegiatae ecclesiac sacran1entales sub titulo S. Antonii de Padua, S. Mariae Maioris, S.tae Margharitac et SS.n1i Salvatoris, aequali numero triu1n dignitatu1n, duodccim canonicorum et octo mansionarioru1n ornatae, quas 52 visitationi subieccrunt, una cum tribus monasteriis ibi sitis, regulis S. Benedicti ligatis, aliisque ecclcsiis, societatibus et confra ternitatibus. Calaxibectae, Assori et Leonfortis civitates, ut hactenus servatum est, in iis quae opportuna erant remediis fuere provisa. lnde Ennae civi!as fuit visitata, quac rnaioren1 ecclesian1 in collegiatam a Sancta Sede habet erectan1, cun1 quatuor dignilatibus curan1 anùnannn habentibus ac duodecim canonicis et octo bencficiatis; nove111 habet parochias, sex monasteria, tria quarum sub rcgula S. Benedicti aliaque sub S. Clarae vivunt disciplina. Pro nlulieribus convertitis cun1 clausura et sub S. Clarac auspiciis cxtat caenobiu111, rcclusoriu1n puellarum, hospitale acgrotoru111, aliacque sodalitates, ecclesiae ruralcs aliìque pii loci sub instructionibus fuere coadiuvati. Postremo oppidum Valguarnerac, ibique quod erat praecipuu1n optime fuit praescripturn. Et sun1marie in tota dioeccsi virfus, christìana pietas et vera religio (Deo adiuvante) totaliter regnant cidcmque gratiarum actiones retribuuntur [247r]. Et intcr alias providentias, postquan1 Catana1n redii a Panorn10, ut specialiter et ordinate quae a canonicis sanctionibus, sacrosancto Concilio Tridentino, catanensi sinodali constilutione circa legata pia exequenda sunt disposita, in1pleantur et sedulo in re tain gravi materia tractarctur, non autcin sub involvulo 53 aliorum negotiorum, tempore sacrae visitationis ernergentiutn non abs re, temporibus nuper clapsis, cum 01nnimoda ac plenaria iurisdictionc ordinaria pro hac catanensi civitatc et dioecesi, in vicarium generalem ad pias causas, rev. utriusque iuris doctoren1, professorc111 D. Antoninu111 Sindona, canonicum praedictac catanensis collcgiatae ecclesiac, deputare curavi et cum effectu legali, qua decct n1ethodo, edicta sunt pron1ulgata pro lega!is piis corumdemquc occulta!ionibus 01nnibusquc emergentiis revelandis, et actu ab eode1n rev. vicario generali deputato peculiari cura diligentcr perhibetur.

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52

53

111aiorem] 1naio Cod. quas] quac Cod. involvulo] involvero Cod.


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Pro coronide itaque eo quo decet hu1nili obscquio genufleclens 01nnĂŹa Tuac Sanctitati submitto, divina1nque deprecar 111unificcntiam ut pro ortho<loxae disciplinae 111aiori fir111itate Tuan1 diutius conservel Beatitudinen1 ean1que obtcxtor ut 1ne pontificia rcficiat benedictione. Ca!anae, < >54 iunii 1746 Post pedum oscula beatorum humillin1us et obsequentissi1nus famulus Pctius, Episcopus Catanens~s

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!acuna nel testo Cod.


Le relazioni ÂŤad limina" della diocesi di Catania ( 1730 - 1751)

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XXXIII

f256r] Bcatissin1c Pater, Diocccsin1 hanc 111ean1 Catancnsctn, hoc in Sicano Regno, sollicitus labor invisendi tani spiritun1 succendit meu1n (etsi supra octoginta annos ac n1orbonnn non paucoru1n acerbitate infcctus) u\ ad civitates et oppida ultro ac libentius acccssisse111, ni unanin1e n1edicorun1 1nandatun1 ob apertun1 vitae pcriculu1n penilus prohibuissct. Quare ut proprio quanlun1 in 111e erat n1tu1cri facerein satis, constitui 1neo generali in spiritualibus et ten1poralibus vicario ut dioecesin1, dcmpta 111ea hac cathedrali civitale, pro qua invisenda, quanto 111agis pracstarc ipse polui ndlBhoravi. ca qua 55 praeditus crat dextcritatc et consilio cun1 potestate inspcctaret; luslra!ionis ordinatione1n vicarius generalis visitaLor absolvit. ILaque ego ipse, quinto nonas iulii 1746, 01nnia valetudinis n1cac obstacula pcrfrcgi et hanc cathedralein, titulo Sanctac Aga!hae virginis et 1nartyris Catancnsls, toto in toto hoc Regno celeberri111mn, a scrcnissi1nis Regibus fundatan1, visitavi. In ea duodecirn canonici, dignitates quinque, vidclicct: prior prin1a dignitas, canlor, decanus. Lhesaurarius et archidiaconus, ex quibus constai capilulu1n et duodcci1n hebdoniadarii scu beneficiati recensentur, practcrea inansionarii octo. Capitulun1, ad Chrislificlelibus sacran1cnta sufficienda, 111agistrun1 cappellanu1n apponit, cui quatuor adiutores presbiteri insigniti adn1ovcntur. Decen1 et octo cappellis condccoratur, quarun1 inclusa Nu1nini Crucifixo dicata, suis annuis censibus accrvatur ad non paucas puel!as parcntlhus orbata, singulis annis, 1naritandas. In canonicoru1n caetu poenilentiarius canonicus rcccnsctur et in 01nni feria quinta per annun1 puhlicus 1noralis facullatis lector e Socictatc lcsu ad universu1n clcru111 lectione1n habct. Ordinationcs vero in superiori visitationc per n1eu1n canccllariu1n adnolata, ad e1Teclun1 feliciter adducuntur. Pridic idus iulii eiusde111 anni, insignc1n ecclesiain collcglatain Sanclae Mariac de Elen1osina convcni. In ca dignila!es 1res extant, nin1iru111: praepositus, thesaurarius et cantor, duodeviginti canonici et duodecin1 n1ansionarii cun1 cappellano pro sacn:11ncnton1111 adnlinislratione .

.'is ca qua] caquc Cod.


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Adolfo Longhitano

Mca insuper cathedralis alias adiutriccs ecclesias habet, scilicet: Sancti Andrcae Apostoli, S.ti Blasi Episcopi seu Sanctae Agathae a Fornace, S.tae Mariae ab Itria, Sanctac Marinae, S.ti Philippi Apostoli, extra n1oenia: S.tae Agathac virginis et nu:utiris, S.lae Mariac a Concordia et S.tac Mariae in vicinia <<Cifalis» appellata. Omnia sacra1nenta earum cappellani studiose Christi fidclibus suggerunt, dcmpta facultatc mutuum consensum pro matri1nonii sacrarnento excipiendi, quac tantun1 ab Episcopo, utpote unico parocho, ex immemorabili consuetudine clar- f256v] gitur. In civitate praedicta confraternitates trigintatres, e! variae congregationes fucrunt on1ni diligentia visitatae. Subindc clcricorum seminarium visum fuit, ad cuius aedificii 56 absolutum ordinem et ad iuniorum in spiritu ac literis maius profcctum validissima decreta <ledi. Pridie nonas augusti caenobia sanctimonialium lustravi, nempe: Sanctorutn Iuliani Episcopi Caenomanensis, Bcnedicti abbaii,•;, Placidi martiris, S.tae Agathae virginis et martiris et SS.1nac Trinitatis, sub regula Sancti Benedicti ac S.tae Clarae virginis, sub Sancti Francisci praescriptis, tncac iurisdiclioni subiccta; virgines enin1 horum monasteriorum divino cultui apprin1e applicitas et lcgum suarum minuatitn observantian1 sectantes, cxin1io ani1ni mei spirituali gaudio, ut in sancta perscvcrantia roborarcntur, Deu1n enixe sum dcpreca!us. Ulterius duas domos, una adolcscentularun1 virginun1 parentibus orbatarum, altera n1uliennn post lapsum ad paenitenliain redactarun1, quae asylu1n hoc petunt, visitavi. In eis n1eoru1n pracceptoruin obscrvantia viget. Habetur insuper aliud reclusorium paucarum virginun1 paupcrurn extra 1noenia, quod nobilium v1rorum clccmosinis 57 substentatur. Haec dc inca cathedrali, parocciis, monialibus, locisque piis, etc. Modo quae ad civitatcs oppìduque dioccesis pcrtinent refera111. ()ctavo idus octobris 1746 generlllis meus visitator vicarius ad oppidum Aidonense inviscndum deflexit et antca quan1 ad id acccssisset ecclesiam parochialem tìlulo Sanctae Mariae de Gratia constituta111 in populatione appellata «Gabella» visitavit. In civitale igitur Aidonensi maiorcm lustravi! ecclesiam; at quia actualiter acdificabatur, ad indccentia111 tollcndain, SS.n1um Eucharistìae Sacran1entu111 ad ccclesian1 titulo Sanctae Mariac transtulit. Pro regulari observantia unici sanctimonialium mona.sterii, titulo S.tae Catharinae Senensis, sub S.ti Dominici regula, prudentissimas ordinationes scriptis rnandavit et pariforn1itcr alias ecclesias et confralernitatcs visitando. ldibus octobris eiusdcn1 anni ad Platiac civitatem pervenir, in qua Marcus Trigona nobilis ac ditissin1us princeps 58 aeden1 Deiparae sacran1 lautissimi patri1nonii haerede111 suprcmis tabulis nuncupavit. Exinde ccclcsia in collegiata111 insignem erecta fuit, conslantcm cx tribus dignitatibus: praeposi!o, scilicct, cantore et

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aedificiiJ aedficiis Cod. elee1nosinisj ee\emosinis Cod. 58 princep.s] principe1n Cod. 57


Le relazioni «ad liminw' della diocesi di Catania (1730 - 1751)

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thcsaurario, quibus ani1narun1 cura den1undata est et duodeviginti canonicis lotidemquc presbiteris beneficiatis, qui omnes in choro singulis diebus canonicas absolvunt horas. At quia rcctorum laicorum desidia, qui tcmporales administrant redditus, templum hoc nondum pcrfecte absolutum crat, in mea visitatione anteacta statui ut exactc rcligioseque meum obscrvaretur decretum ut omnibus numcris absolveretur et ia1n, Deo opitulantc, in hac visitationc cum populorum lactitia absolutun1 rcspicitur. Platiensis haec maìor ccclesia quinque sacra1nentales adiutrices habet, in quibus per cappellanos ab Episcopo eligcndos et ad nutum a1novibiles, sacra fidelibus signa administrantur. Extat quoque ecclesia collegiata, titulo Sanctae Dominicac ac SS.mi Crucifixi, in qua sunt: praepositus, cantar, duodecim canonici et decem mansionarii. At quia fabricis instauratur, ob decentiatn, 111eus vicarius generalis decrevit ut sacrae et ccclcsiasticae functiones in ecclesia titulo Angeli Custodis habcrcntur. Virginum caenobia sub S.ti Benedicti regula tria sunt, nin1irurn: S.ti Ioannis Evangelistae, SS.mac Trinitatis et S. Agathae virginìs et tnartiris, allerurn sub Sancti Francisci lcgibus, S.tae Clarac virginis nuncupatum; diversum nomine S.tae Annae sub Sancti Augustini regula. Extat pariter don1us pucllaru1n, nomine Sanctac Rosaliac virginis, parentibus orbataru111, et ad acgrotantiun1 operam nosocon1iu1n; dcmun1 ad inopia1n aegenoru111 sublevandan1 111011s pietatis cxtitit. Decoratur civitas haec una et viginti confratcrnitatibus proprium oratorium habcntibus, et quinquaginta quatuor ecclesiis dictis oratoriis, inclusis intra et extra civitatem. Oppidulum quoquc propinquu1n Mirabellae invisit, in qua ecclesia sacramenta rninistrantur et unicum oratorium confraternitatis habetur [257rl. Decirno octavo kalendas deccmbris 1747 n1cus generalis visitator oppida ad radicem montis Etnae posita inspexit, ncmpe: Monasterii Albi, Pulchripassus, Campirotundi, S.ti Pelri, Nìcolosoru1n, Pedaurae, _Triun1 Castanearum, Viaeinagnac, Bonaccursoruin, S.ti loannis la Punta, Trappeti, S.tae Agathae, Vallis Viri<lis, S.ti Gregorii, Trium Monastcriorun1, S.tae Luciae, Gravinae, Massanuncialae, Acis S.ti Antonii. In expositis inquam oppidis nihil dignum notitiae Santitati Vestrae autumo, cum fuerint a mco visitatore necessariis decretis abundc i111bulis. Tertio nonas dcce111bris 1747 civitate111 Acis Catcnae 111eus gencralis vicarius obivit. In ea extat ecclesia collegiata in qua dignitates et canonici ex Sanctac Sedis indulto mozctta et rochetto sunt insigniti, aliae duac collegialae ibi sunt, una non1inc S.ti Philippi, alia S.tac Luciae, in quibus canonici et dignitatcs cun1 mansionariis alrnutio utuntur nigro, quibus dc111an<lala est cura anii11aru1n ad tcnorem bullarum apostolicarum et decrctorum ordinarii. Sodalitiis ecclesiisquc tninoiibus paritcr inspectis, sexto idus februarii 1748, civitatem Acis Rcgalis meus generalis vicarius inspcxit, in ea habetur mater ecclesia


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collegiata ex tribus dignitatibus, duodccin1 canonicis et sex 111ansionariis constans. Omnes ad1ninistrationi sacramentorun1 ordine appriine disposito inserviunl. Sunl quoquc ecclesiae coadiutrices 59 quinque ad n1inistranda Christifidclibus sacran1cnta deputalas 60 per cappcllanos clcctos et cligendos ab ordinario. Supra caeleras ecclesias illa S.ti Scbastiani 1nartiris tilulo en1inet propter an1plitudinc1n ac elcgantiain in qua fidcles saepe conveniunt. Unicum hacc civitas sanctin1onialiu1n caenobiun1 habet ad regulas S.ti Bcnedicti infonnalu1n et S.tac Agathac virginis et inartiris titulo insignitun1, ubi regularis obscrvantia vigct. Extat conservatoriun1 virginun1 titulo S.tae Venerae virginis et martiris insuper n1ons pietatis et xcnodochiun1. Confratcrnitatcs et ccclesias 1nultas habet, in quibus singulis annis non pauca legata virginibus pro nu1ritagio vcl rnonacatu distribuuntur. Dccirno kalendas 1naii 1748 1neus visitator ad civitatc1n Pctrapcrtiac iter tctcndit oppidumque Barrafranchac. Hic curn rcgulari ohscrvantia sanctin1onialiu111 sub S.ti Benedicti regulis et SS.tnac Trinitatis nonline caenobium vigel. Ecclesias tun1 parochialcs, tum adiutrices in dieta oppido et civitate adivi!, relictis 1nonitis convenìentibus ad ani1narun1 spiritualcn1 profcctun1, kalendas 111aii ad civitaten1 Ennae, vulgaritcr Castrun1 loannis dictan1, ascendi!. A~tcnte ccclesiain 111aioren1 inspexit, ia1npridc1n in collcgiata.111 crcctan1 rcdd i ti b us 61 , suppelleclilibus, vasi.s argcntcis sacri s sanctorun1quc rcl i qui is opulentain, in qua quatuor parochi, qui sunt dignitates, cun1 animannn cura, duodeci1n canonici et n1ansionarii octo, qui in dìes canonicas horas missasque sole1nnes pcrsolvunt ac caelebrant. Nove1n quoque parochiac habcntur, quoru1n parochi per concursun1 praescribuntur. Tria sanctin1onialiun1 tnonasteria sub regula S.ti Benedicti nun1en1n1ur, nimirum: de S.to Benedicto, S.to Marco et S.to Michaclc Arcangelo. Toticlcm sub cannclitarun1 nonna, ncmpc: dc Sancta Maria a Populo, S.ta Clara et S.ta Maria Gratiaru111. Mulicrun1 convcrtitaru1n insuper caenobiu1n cum clausura habetur, titulo S.tae Mariac a Conceptione in habitu el regula S.tae Clara.e virginis, conscrvatoriun1 pucllarun1 paren!ibus exularu1n, hospitalc infinnorum sub cura fratnnn S.ti Ioannis de Deo, in quo recipiuntur et aluntur infantes eiecti. Sunt pari1er socielates et confraternitatcs laicoru1n pern1ultas cu1n propriis oratoriis et aliae ecclesiae 62 1ninorcs intra et extra civitalen1, quas 0111nes, in scripto n1onitis rclictis, visitavit. Meus generalis visitator, quarto idus n1aii <lieti mini, accessit ad oppidum Lconfortis. In ecclesia n1aiore parochiali et alia paroccia titulo Anirnarun1 Purgatorii aliisque permullis 1ninoribus ccclcsiis, rcctc guae ad divinun1 cultLu11 et anin1arun1

59 coadiutriccsj coadiutores Cod. deputatasj dcputatis Cod. 61 redditibus] redditus Cod. 62 aliae ecclesiae] alias ccclcsias Cod. 60


Le relazioni «ad limina" della diocesi di Catania (1730 - 1751)

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curain ornnia ad1ninislrantur. Pucllulas vjrgincs in rudirnentis fidei <instructas>

invenit opera et solcrtia virginu1n colcntiu1n Collegiun1 Mariae, ian1pride1n pietate ac munificcntia principis Scordiae, do1nini ternporalis huius oppidi, fundatun1 n1agna spirituali ac temporali utililate anin1aru1n.

Subinde ad oppidutn Assori iter intcndit, cuius pritna ecclesia canonicorum caetum cum cura ani1naru1n habct; in eo lres sunt dignitates, canonici duodecin1 et octo 1nansionarii. Habet quoque sacraruin virginum n1onasteriu1n sub nomine et regula S.tac Clarae virginis. Paroecian1 titulo S.tae Luciac, Collegiu1n virginu1n Mariac pro cducatione puellarurn et conservatoriu1n virginu1n sub Spiritus Sancti nomine, ubi variis excrcitiis [257v] spiritualibus et ten1poralibus virgincs e<lucantur, crectun1 111unificentia principis Valguarncrac, don1ini <lieti oppi<li, annis superioribus. Ad ea, quae in antecedenti visitatione pro rccta gubernalionc tain spirituali qua1n ten1porali ornncs, adhortavit. Decimo sexto kalendas iunii. In civitatc Argyrionis quatuor collegiatas, in quibus sacramenta fidelibus administrantur, visitavit non1ine: S.tae Margheritac, S.ti Antonii Patavini, S.ti Salvatoris et S.tac Mariae Maioris. Non adest pri1na ecclesia. Unaquaquc ta1ncn cx dictis quatuor collegiatis trcs habet dignitatcs, qu<:irun1 prima est pr<:iepositura, cui anin1aru1n cura in1n1inct, canonicos duodeci1n, mansionarios 63 octo. Tria caenobia n1onialiu1n extant, scilicel: prin1un1 S.tae Mariac vulgo dictae «de Racco1nandata», secundun1 S.tae Mariae ab Annunciatione, sub regula S.li Benedicti, tertiurn sub regula et non1ine S.tae Clarac virginis. lnsuper sunt plures confraternitates, socictates et ecclcsiae 64 , et iuxta uniuscuiusque ecclesiac ncccssitatcm instructioncs rcliquit. Insuper habetur ecclesia quae «abbatia regia» nuncupatur, titulo S.ti Philippi confessoris Argirioncnsis, quac gubernalur per priores et cappellanos, rochctto et 111ozetta insignitos et exemptos ab ordinario. Abbas vero com1ncndatarius a serenissin1n10 Rege nominatur. In visitationis decursu Rcgalbutensis civitas suam habuit lustralionen1. Adest ibi 111ater ecclesia, cui cappellani ab ordinario clccti et ad nutu1n i:11novibilcs inserviunt, sacra1nenta parochialia ad1ninistrantcs. Alia insupcr ecclesia sacramcntalis habetur S.tac Crucis titulo insignita, in qua per cappcllanos ab Episcopo electos fidclibus sacramenta ad1ninistrantur. Duo paritcr sacrannn virginu1n caenobia habenlur sub rcgula S.ti Bencdicti, ne1npe: S.tae Mariae Gratiaru1n et S.ti Ioannis Baptistae, tertiun1, cuius clausura t"uit visitata, sub fratruu1n augustinianoru1n iurisdictione et rcgula. Pariforn1itcr aliis rninoribus ecclesiis, societatibus et confratcrnitatibus pro earun1 indigentiis de ren1cdiis provisu1n fui!. Oppidun1 Centuripe visitator generalis tctcndit. Ibi noviter 1n;lior ccclesia indulto Sanclitatis Tuac in collegiatan1 crccta est; in ca sunt !res dignit<:ites, canonici

63 canonicos duodccin1, 111ansionariosj c<:inonici duodeci1n, mansionarii Cod. 64 ecclesiae] ecclesias Cod.


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Adolfo Longhitano

duodecin1 et octo n1a11sionarii. Pro hac et alia filiali ac sodalitiis, ecclesiis, ut necessitas cxpetebat, opportuna monita adhibuit. Ad oppida Hadrani, Albae Villae et Paternii civitatu1n usque ad pridie nonas iunii in visitatione constil, quac habcnt rnaiores ecclesias canonicorun1 collegio exornatas cum tribus dignitatibus in unaquaque ex eis, quibus anirnaru1n cura est adstricta, duodccim canonicis et octo mansionariis. In 1-Jadrani oppido duo extant sanctitnonialium monasteria, unum sub tĂŹtulo et regulas S.tae Clarac virginis, aliud sub S.ti Benedicti legibus et nomine S.tac Luciac virginĂŹs et 1na1~tiris. Monasteriutn hoc non parun1 n1olestiae mihi attulit ex paucarun1 monialiu1n inobservantia et, Deo adiuvante, modo 1nonastieis legibus exequendis sunt intentae 65 . Insuper est alius puellaru1n virginu1n conservatoriu1n, quam non vulgare virlutun1 specimen exibet. In illo Albae Villae reclusorium puellarun1 virginu1n habetur et fratuum S.ti Francisci de Paula hospitiun1. Tanden1 in civitate Paternii unicum extal monialiun1 caenobiu1n non1inc S.tae Mariae Annunciatae et sub regula S.ti Benedicti. Habentur insuper hospitale infirmoru1n, plures confraternitates, societates et n1inores ecclcsiae 66 , omni qua decct diligentia inspecia 67 . In reliquis vero oppidis parvis meae dioecesis nihil dignun1 habe!ur ut in pracscnti rclatione exponam. Accipe pos!remo, Beatissime Pater hanc officii n1ei parte1n, dioecesis vidclicet meae relationem. Reliquae 111eae partes erunt assidue Deurn precari ut Sanctitaten1 Tuan1 universo orbi catholico incolun1cn1 conserve! Tuumque istu1n pontificatu1n 1naxime diuturnu1n et quod nomini Tuo respondeat consiliorun1 ac rerum Tuarun1 cursun1 iubeat esse fcliccm. Catanae, septi1no kalendas aprilis 175 l Post pcdum oscula beatoru1n, ad pedes Sanctitatis Vestrae humilli1nus et obbedientissimus famulus et filius Pctrus, Episcopus Catanensis

65 intentac] intensi Cod. 66 ecclesiae] ccclesias Cod. 67 inspectaj inspectas Cod.


UNA FONTE BIBLIOGRAFICA INDISPENSABILE: LA "RIVISTA DI AUTOFORMAZIONE". ELENCO DI TUTTI GLI ARTICOLI

SALVATORE LATORN"

Riteniamo utile, perché si tratta di una fonte bibliografica indispensabile per gli studiosi dei fratelli Mario e Luigi Sturzo e per coloro che vogliono conoscere e approfondire il loro pensiero, pubblicare l'elenco di tutti gli articoli, delle postille, delle note bibliografiche, di cronaca e varia apparsi sulla Rivista di Aut(}formazione per quattro anni, dal 1927 al 1930. Come si sa, tale rivista fu fondata, diretta e quasi per intero redatta dal vescovo, mons. Mario Sturzo: sono suoi, infatti, i contributi più cospicui di carattere filosofico, pedagogico, religioso e poetico. Vi collabora anche il fratello Luigi che, esule in Gran Bretagna, manda i suoi articoli firmandoli con la sigla S.S. che equivale a: Sacerdote Sturzo; oppure semplicemente S. = Sturzo. La rivista, pubblicala con periodicità bimestrale, porta sul frontespizio un albero frondoso con la sigla S.D .A.F., che indica gli Studiosi Dell 'Autoformazione. Non è facile reperire delle quattro annate tutti i numeri che, per le note vicende, si trovano sparsi qua e là presso alcune famiglie vicine agli Stmzo, e ora anche presso il "Centro Luigi Sturzo" di Roma. Sappiamo infatti che al vescovo fu imposto di non pubblicare articoli o libri di argomento filosofico e di ritrattare quelli che aveva già scritto, sicché la rivista cessò con il numero 4 del 1930, con questo laconico comunicato da parte della direzione, riportalo in prima pagina:

* Docente di Filosofia nei Licei.


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Salvatore Latora «Con questo fascicolo, per ragioni che potranno venir comunicate a suo te1npo, cessa la pubblicazione della nostra rivista La Direzione11.

A rileggere oggi quegli articoli di carattere filosofico, alla luce del nuovo clima ecclesiale, non si trova tanto da ridire, sia perché non sono contrari ai principi della fede, anzi ne vogliono rinnovare le 1notivazioni, sia perché si ispirano alla libertà di indagine, che allora per motivi strettamente storici parve audace, 1na senza la quale tuttavia non c'è ricerca né rinnovamento. Forse ieri come oggi potrebbe esserci da guida il pensiero che il filosofo siciliano Sciacca faceva scrivere in esergo in ogni numero della sua rivista Giornale di Metafisica: «In necessariis unitas; in dubiis libertas; in 01nnibus charltas».

RIVISTA DI AUTOFORMAZIONE FILOSOFICA LETTERARIA.

Pubblicazione bimestrale a cura degli studiosi dell'autoformazione. Piazza Annerina.

1927 Anno 1 - N. I

Marzo-Aprile 1927

L'autofonnazione G. FEDERICO : Santo Francesco : Il problema della moralità nell'arte . M. STURZO : Storia, filosofia e B. Croce M. STURZO : Sull'educazione della purezza C. SACCÀ : Declina il Maggio . M. STURZO

12 13 22

27 31

NOTE BIBLIOGRAFICHE

Il problema della conoscenza di M. Sturzo giudicato in C ontemporany Thougth of Italy by Angelo Crespi . V. SCH!LIRÒ : Santo Francesco (R. Carbone) Verso la luce. Storia di una conversione (G. Rigido).

36 39 40


La "Rivista di autoformazione": elenco di tutti gli articoli

291

NOTE DI CRONACA

La filosofia mena alla fede La filosofia e la poesia della vita

Anno I - N. 2

M.

STURZO

42 45

Maggio-Giugno 1927 49

: La filosofia e le filosofie NOTE BIBLIOGRAFICHE

G. BOJNE

: Prefazione al Monologio di S. Anselmo (M. Sturzo).

75

POSTILLE

M. STURZO M. STURZO M. Sturzo

: Se l'arte possa essere immorale : Il concetto secondo il Prof. Stefanini : La confutazione dell'Idealismo secondo R. Reinstadler

77 90 92

Anno I - N. 3 Luglio-Agosto 1927 M. M.

STURZO STURZO

: La storicizzazione . 97 : Idee di G. DuprĂŠ sull'arte e sulla formazione artistica. 116 NOTE BIBLIOGRAFICHE

P. ALFONSO - M. BIANCONI:

o Roma Fclix! - Romanzo - (M. Sturzo).

139

POSTILLE

M.

STURZO

: Alla scuola del buonsenso

Anno I - N. 4 - 5

. 141

Settembre-Dicembre

: Il problema della bellezza in rapporto al problema 145 della conoscenza . A. M. D1 FEDE : Sulla pena di morte 182 M.

STURZO


292

Salvatore Latora NOTE BIBLIOGRAFICHE

A.VANDERPOL : La doctrine scolastique du droit dc guerre (S.S.) SAc. F. KLEIN : Maddalena Sémer. Traduzione italiana della Marchesa Carlotta Albergotti - (M. Sturzo) CH. SILVESTRE : Prodige du coeur - (M. Sturzo)

191 212 221

POSTILLE

M. STURZO

: Rapporto tra bontà e bellezza secondo S. Tommaso La moralità nella espressione estelica - La creazione naturale e la creazione artistica - La fantasia creatrice 225

VARIA

M. STURZO

: Associazione per la diffusione dell'ateismo Mistero - L'ultima cena - Emmaus . Anno I - N. 6

M. STURZO

L. STURZO

235 238

Gennaio - Febbraio 1928

: Circa un possibile rinnovamento della filosofia 241 scolastica 274 : La storicizzazione della Chiesa

1928 Anno II - Fase. 1 - 2 A. Dr FEDE M. STURZO M. STURZO

Gennaio-Aprile 1928

: Del metodo storico nello studio iniziale della filosofia : Se sia possibile superare l'elemento idealistico dello storicismo : Di un problema fondamentale della filosofia .

2 48

NOTE BIBLIOGRAFICHE

J. M. LAHY PAUL SoLLIER ALBERT BAYET

: La morale de Jésus. : Morale et moralité. : La morale scientifique, Paris, F. Alcan - (M. Sturzo)

48


293

La "Rivista di autafòrmazione": elenco di tutti gli articoli POSTILLE

M.

: Religione e filosofia - L'autonomia della morale La coscienza morale

STURZO

Anno 11 - Fase. 3 - 4 M. M.

84

Maggio-Agosto 1928

101

: Del problema fondamentale della filnsofia : La filosofia in azione

STURZO STURZO

130

POSTILLE

M. Snna.o

: La casistica - L'amor di Dio

. 195

VARIA

M.

: JJ mistero dell'infinito

STURZO

Anno Il - Fase. 5

C. D'ANGELO

. 200

Settembre-Ottobre 1928

: Il tramonto dell'idealismo in Inghilterra.

. 201

NOTE BIBLIOGRAFICHE

M.

STURZO

M. Snmzo

: Il Neo-Sintetismo come contributo alla soluzione del problema della conoscenza (A. Di Fede) . 216 : Il causalismo di Meyerson (S.S.) 219 VARIA

M.

STURZO

: Il canto della vita (sonetti) : Sì che il pié fermo sempre era il più basso

229 248 250

: L'irrazionale in un passo di Dante .

Anno II - Fase. 6 M.

STURZO

Novembre-Dicembre 1928

: Il problema tomistico delle potenze dell'anima

. 253

NOTE BIBLIOGRAFICHE

M.

STURZO

: La fìlosofia in azione, dramma in tre alti Idealismo applicato, farsa. Trani, Vecchi e C. (A. Di Fede) .

271


Salvatore Latora

294

c. CARISTIA MONS.

: Idee e ideali politici di Dante, Arti Grafiche, Cav. 274 Monachini, Catania. (S. Caruso) La vita del prof. Contardo Ferrini, C. PELLEGRINI SEI, Torino, 1928 2 (M. Sturzo) 276 POSTILLE

Medio Evo e Rinascenza (S.S.) Le paure dcl Divus Thomas (M. Sturzo)

278 281

VARIA

M. STURZO

: Memorie (sonetti) .

. 285

1929 Anno llI · Fase. 1 M. M.

STURZO STURZO

Gennaio-Febbraio 1929

: Il punto specifico del Neo-Sintetismo : Circa il per sé noto.

14

POSTILLE

M. STURZO M. STURZO

: Il Neo-Sintetismo e la critica del prof. F. Varvello : Della natura utilitaria dello stato

32

39

VARIA

M.

STURZO

: Il canto dell'anima .

43

Anno III . Fase. 2 Marzo-Aprile 1929 M. STURZO

S.S.

: Problemi di filosofia dell'educazione. I ·Il problema della rapportualità Il ·Il problema della libertà . : La concezione liberale di B. Croce.

61 101

NOTE BIBLIOGRAFICHE

l.

BELLOC

: L'anima cattolica de/l'Europa. Versione dall'inglese e prefazione di M. Bendiscioli, Morcelliana, Brescia, 1928 (M. Sturzo) 110


La "Rivista di aut()formazione": elenco di tutti gli articoli

295

POSTrLLE

S.S. M.S.

: Del significato e dell'uso delle parole : Problemi vecchi e problemi nuovi . Anno !Il - Fase. 3

M.

STURZO

112 115

Maggio-Giugno 1929

: Problemi di filosofia dell'educazione. III - Il problema dell'azione educativa

. 117

POSTILLE

M. S.

: Del punto fe1mo della conoscenza .

. 140

VARIA

M.

STURZO

: Il canto dell'anima. II

. 148

Anno III - Fase. 4 Luglio-Agosto 1929 M.

STURZO

S. S.

: Problemi di filosofia dell'educazione. IV - Il problema della libertà e dell'autorità : Storicismo e trascendenza

169 191

POSTILLE

M.

STURZO

: Il pensiero moderno e la Conciliazione

. 205

Anno III - Fase. 5 Settembre-Ottobre 1929 M.

STURZO

M.

STURZO

M.

STURZO

: Problemi cli filosofia dell'educazione. V - li problema dell'unità fondamentale e della individualità umana 223 : Della conoscenza intellettiva del particolare secondo S. Tommaso . 247 : L'assoluto nella morale .. 261 NOTE BIBLIOGRAFICHE

F. VARVELLO

Istituzioni di filosofia - Recate in italiano e compendiate dal Dott. M. Ottonello.


296

Salvatore Latora Vol. I - Logica e Problema della conoscenza, S.E.I. Torino, 1929 (A. Di Fede) 270 POSTILLE

M.

STURZO

: Dell'assoluto senza limitazione e dell'assoluto con limitazione 275 Anno III - Fase. 6 Novembre-Dicembre 1929

M.

STURZO

: Problemi di filosofia dell'educazione VI - I problemi dell'unificazione e dell'immedesimazione degli spiriti e della diversificazione della

M.

STURZO

: Dell'astrazione logica secondo S. Tommaso

consonanza.

279 305

.

POSTILLE

S.

: L'eticità dello stato.

. 339

1930 Anno l V - Fase. I Gennaio-Febbraio 1930

M.

STURZO

Problemi di filosofia dell'educazione. VII - Il problema dell'esteriorità e interiorità del reale. POSTILLE

M.

STURZO

: Circa il problema della cose in sé Se la rivelazione limiti l'umana libertà I pericoli del sintetismo .

35 46 48

VARIA

M.

STURZO

: Il canto dell'anima. III.

50

Anno IV - Fase. 2 Marzo-Aprile 1930 M.

STURZO

: Problemi di filosofia dell'educazione vm - 11 problema della tendenzialità e della finalisticità 69


C. C. CO~ LA POSTA

RIVISTA DI

AUTO FORMAZIONE FILOSOFICA 'LETTERARIA

PUBBLICAZIONE BIMESTRALE A CURA . DEGLI STUDIOSI DELL"AUTOFORMAZIONE. P!AZZA ARME.RINA

Frontespizio del prirno nun1ero della «Rivista di Autofonnazione»



La "Rivista di autoformazione": elenco di tutti gli orticoli

297

POSTILLE

M.

STURZO

: Della filosofia della storia

. 106

Anno JV 路 Fase. 3 Maggio-Giugno M.

STURZO

: Problemi di filosofia dell'educazione JX 路 Il problema della vita interiore X . La sintesi .

141 168

POSTILLE

S. S.

La neo-scolastica e la valutazione della filosofia 188

moderna. NOTE BIBLIOGRAFICHE

M.

STURZO

: /I pensiero dell'avvenire, Trani, Vecchi e C., 1930 (A.DiFede). 198 Anno IV. Fase. 4 Luglio-Agosto 1930

M.

STURZO

: La genesi del neo-sintetismo .

. 20 I

POSTILLE

S. S.

: ll relativo in funzione di Assoluto .

. 240

VARIA

M.

STURZO

: ll canto dell'anima. IV

Anno IV 路 Fase. 5 M.

STURZO

. 245

Settembre-Ottobre 1930

: Il nco-sintetis1no nella dinan1ica di i1n1nanenza e trascendenza 261 POSTILLE

M.

STURZO

: L'argon1ento del n1oto circa l'esistenza di Dio

L'analitismo gnoseologico di S. Tommaso L'estcriorismo gnoseologico di S. Tommaso L'autoconoscenza secondo S. To1n1naso.

297 300 303 312


298

Salvatore Latora Anno IV - Fase. 6 Novembre-Dicembre POSTILLE

S.S.

: Il puro asso Iu to

. 319 VARIA

M. STURZO

M.

STURZO

327

: Il canto della morte : L'uomo e la natura .

342

Questo ultimo numero della rivista porta in prima pagina il seguente avviso: ÂŤCon questo fascicolo, per ragioni che potranno venir co111unicatc a suo

lempo, ,cessa la pubblicazione della nostra rivista)>. La Direzione


DANIEL HALÉVY. STOR1A POLITICA E "ACCÉLÉRATION DE L'HISTOIRE"

ANTONIOCOCO.

Descrivendo nel 1896 l'organizzazione degli studi storici in Francia, Camille Jullian, pur riconoscendo solidità coesione e spirito di disciplina alla storiografia tedesca, sentiti con1e nettamente superiore a quelli presenti nella tradizione storiografica francese, non avrebbe esitato ad atnmettere la tendenza ad una flessione di rigore in base alla quale anche in Gern1ania la storiografia sembrava perdersi lentamente in una sorta di scolastica filologica. Scon1parivano i grandi norni; sarebbero rin1asti sulla scena solo gli epigoni? L'a1nara denuncia di Jullian era ad un te1npo testi1nonianza di una identità forte e di una crisi i1nn1inente. Da Mo1n1nsen a Sybel, da Waitz a Treitschke la storiografia francese ha di fronte un ventaglio di modelli ineguagliati da imitare; ne è disceso pure l'impegno di organizzare a tappeto cattedre di facoltà, centri universitari, gruppi di ricerca, collezioni di documenti e biblioteche. La Revue Critique seleziona severainente i suoi at1icoli e la Revue Historique fondata nel 1876 da Gabriel Monod è l'organo esclusivo che dà voce ai bisogni espliciti di dispo1Te di una histoire scientifique. Nel 1898 Langlois e Seignobos avrebbero dato alle stampe il breviario del nuovo tnctodo. l . . a loro lntroduction agli studi storici avrebbe codificato e coordinato ogni regola e pratica di indagine fino ad allora in atto. Vale forse la pena di ricordare un giudizio col quale Lucien Febvre

_, Professore associato di Storia 1noderna nell'Università degli Studi di Catania.


300

Anton;o Coco

assun1endo Seignobos ad en1blcn1a di tutta la vicenda della sloriografia positivista, avrebbe espresso l'insofferente bisogno di nuovi approcci. «Il suo terreno è costituito da piccole riflessioni incisive, segnate da un buon senso miope, vigorose e caustiche. La forn1a e l'andan1ento sono più spesso negativi che positivi; più abusati che entusiasti. I_,e fate buone, sue madrine, non gli hanno concesso di indicare ca1nn1ini nuovi, di incitare i viaggiatori al rischio e gli avventurieri allo scoperto». Con1 1è noto, proprio all'inizio del '900 si aprirà l'inchiesta sulla storia positivista. Saranno per un verso Péguy e Valéry - ancora aspiranti al rango di un prin1ato letterario~ a denunciare la perdita di contatto, la frattura di linguaggio tra lo storico e il suo pubblico; così il tratto distintivo di ineccepibili apparnti documentari e critici che appartiene al prototipo del libro di storia creato dalla erudizione positivista, si fa conlron1arca di un linguaggio che ha perso il suo interlocutore e che la nuova generazione rifiuta 1• Il bisogno pressante di superare il inetodo vecchio den1olendo la 1natrice di volla in volta 1naterialista o detern1inista che lo ha sorretto, incrocerà i tragitti più consueti della inetafisica di ascendenza spiritualista o idealistica pri1na di conquistare la frontiera bergsoniana della evoluzione creatrice. Con1e pure bergsoniana è la vocazione - e si spingerà fino a Mark Bloch - a recuperare spazi ove il fatto storico appaia significativan1ente mediato da un più ricco ordine di fattori e naturali ed u111ani. Fra il 1911 (Filippo Il e la Franca contea; La sintesi in s/oria) e la soglia degli anni '30, la forn1ula del positivis1no storiografico francese si dissolve. «La storia è la scienza delle cose che si verificano una sola volta» : era stata questa l'indicazione assunta da Seignobos e di cui in questi decenni si vetTà scoprendo la sostanza contraddittoria. L,a storiografia, al contrario, se è scienza, affronta il con1pito della co1nparazionc. Durkhein1 e la sua scnola, tutto il gruppo dell'Année soc;ologique sono in grado di offrire alle giovani

1 Su lutti questi aspelti si veda P. MOREAU, L'liistoirc e11 Fro11ce (///XX" sir'c/c, Galli1nard, Paris 1935 e P. STADLER, Gcschchtsschreib1111 1111d his1oriclics L>c11kc11 in Frankreiclr, Waltz, Zurich 1958. In particolare su Valéry e la con1p!cssità dei suoi interessi originaria1nen1e radicali nella tradizione dcl n1odcl!o conoscitivo di tipo cartesiano cfr. la bellissi1na introduzione di Giuseppe Conte a TJ"e dialoghi, Einaudi, Torino 1990. Su Péguy, oltre a J. ON!MtJS, Péguy et le 1nystèrc dc l'histoire, Garnicr, Paris 1958, vd. il saggio di C. MANCO Nict:sche e Péguy: il prohle111a della storia. in Q11ade1"110 Filosofico 1 I (1986) 211~226.


Daniel Ha/fry. Sroria politica e "Accélération de /'histoire"

301

generazioni l'opportunità di una lettura del passato attraverso un modello scientifico che renda possibile l'emersione del mondo collettivo nella sua specificità per tentare di individuarne la struttura e le leggi. Così, se appaiono per tanti versi deboli i tentativi di raccordo tra storiografia e scienze umane - basti pensare alla geografia umana lru1ciata alla École Nonnale da Vi dal de Lablache e ampiamente ripresa alla Sorbona da Dcmaugeon - si verrà tuttavia affermando un primato dell'influsso della cultura sociologica destinato ad ampliare le basi interne di ogni tradizionale sezione specialista. Quale che sia il giudizio sui processi di rinnovamento che hanno concorso a n1utare l'assetto degli studi storici fino agli anni che dì poco precedono le Anna/es, per l'intero arco di tempo compreso fra le due guc1Te la vicenda della storiografia tì·ancese se1nbra costantemente regolarsi su un oscillante equilibrio tra nuova storia e storia tradizionale da cui ancor oggi riverberano - co1ne è noto - rilevanti conseguenze di indirizzo e di metodo. L'histoire généra/e fondata dal grecista Gustave Glotz; Peup/es et cin1isations (Halphen e Sagnac); la collezione Clio: siamo di fronte ad imprese solide, estren1a1nente utili e che tuttavia si co11ocano al'interno di una prospettiva per tanti versi immobile. Il Cesare di Gérome Carcopino dispone di un robusto in1pianto erudito più per illustrare il destino eccezionale del personaggio che per discutere la struttura profonda del mondo antico. Ma la verità è che quasi nulla si è 1r1osso nelle zone di confine tra filosofia, ideologia e cultura. A partire anche da pesanti reticenze o silenzi indotti ora dalla scissione del movimento socialista, ora dalla asfittica condizione della storiografia ufficiale nella Russia di Stalin, sicché il marxismo stenla a farsi autentico discorso sul metodo laddove l'irrazionalis1no aumenterà la sua capacità di suggestione. Vi è di più: da Dilthey a Weber l'intera riflessione sul problema della obiettività storica resterà pressocché sconosciuta fino ad Aron ( 1938). Le Anna/es emergeranno come la punta di un iceberg al cui fondo si intrecciano il bisogno di scientificità e sperin1entalis1no di Fcbvre ma anche la sorvegliata attenzione di Pirenne, capo incontestato della scuola belga, le competenze dei tecnici (Dcmaugeon e Sion) e i larghi quadri metodologici dell'analisi socio-economica da Mauss ad Halbwachs fino a Simiand. La base unificatrice sta nella fiducia in una storia totale, parimenti sensibile ai tempi lenti e a quelli bruschi della diacronia, come pure nella diffidenza per il preconcetto ideologico o per il


302

Antonio Coco

fatto storico del positivismo, attendendo di ridare così alla "ipotesi" uno spazio legittimo che non sconfini nel soggettivismo. li medievista Bloch, pioniere della storia rurale, procederà con un metodo di lavoro più sistematico e uniforme di quello diversamente discontinuo del suo celebre collega; le moda] ità dcl loro accordo di fondo saranno quasi se1nprc pe1fetta1nente sintoniche. Occorre in ogni caso riprendere in mano il programma febvriano dei Comhats per intendere la geografia delle aree che andranno ad aggregarsi senza riserva alle Anna/es e di quelle che tenteranno un percorso alternativo ancora dentro le linee della storiografia ufficiale. Così la polemica di Febvre contro l'étendard ambigue di Seignobos era quella volta ad una storia che aveva aspirato ad essere nuova affiancando al racconto degli eventi un tableau econon:iico e culturale che era artificiosa1nente giustapposto senza senti1ne l'unione come sintesi. Ne risultava in qualche modo la legittimazione della storia narrativa e l'utilità dei récits politici cui il nuovo statuto storiografico non aveva nulla da contestare salvo il falto che dovessero essere concepiti sen1pre co1ne un atto integrale di conoscenze e di metodo al di là delle singole vicende che in termini di formazione e inclinazione avessero contribuito a costituire va-

riamente la identità intellettuale dello scrittore di storia. Non bisognerà andare oltre un inventario di noini e titoli tra i maggiori che la storiografia francese abbia prodotto tra il '25 e il '35 per avere conferma del peso di queste vicende personali attraverso cui nello schieratnento positivista si va

definitivamente perdendo la tenuta lungo lince di frattura originate da punti d'attacco sovente totalmente diversi. Tra il '27 e il '30 escono Les ÉtatsUnits di Siegfricd e la La Révolutionfranr.;aise di Lefebvre; nel 1931 i Caractères originaux de /'histoire ruraiefrançaise di Bloch ma anche i Regards sur le monde actuei di Pani Valéry. Solo a distanza di un anno François Simiand pubblicherà Le sa/aire (1932) e le Recherches anciennes et nouvelles sur /es mouvements général des prix. Infine tra il '30 e il '37 La fin des Notables di Daniel Halévy'.

*** 2 Sulla formazione e lo sviluppo della cultura politica e storiografica di Halévy in generale, si veda G. PALMADE, L'histoire, A. Colin, Paris 1971, 2') parte.


Daniel Halévy. Storia politica e "Accé/ération de /'histoire"

303

V'è un ele1nento i1nportante che occorre sottolineare quando si studia tutta questa generazione anni '70. Renan e Taine le sono - come sti-

molo - alle spalle. All'orizzonte c'è il fascino di Zarathustra. Esse sono sempre più allarmate dallo spirito di rivolta delle masse e dall'avvento di una civiltà egualitaria che può distruggere un passato amato ed odiato al tempo stesso. Halévy scopre così Nietzsche (I 909) mentre i miti positivisti si scompongono accompagnati dall'eco delusa dei salons decadenti di Pa· rigi e l'ideale eroico e profetico riempie con dilatata espansione i vuoti pre· cipiti d'una generazione al tramonto, Così, fra il 1892 e il 1909, Halévy si risolve a tutto favore dell'ideale nietzschiano nel divampm1te "cas Wagner" e l'esperienza diverrà struttura stessa della sua vicenda intellettuale: che la s'econda definitiva biografia di Nietzsche egli completerà solo nel 1944. La sensibilità di Halévy va tuttavia esplorata a largo spettro, inseguendo il biografo e lo storico che se1nbrano rincorrersi su piani potenziahnente tesi

all'unificazione. Quell'unificazione che Halévy stesso può incarnare come "testimone del suo tempo" e degli eroi che ha scelto a contraddittorio sim· bolo della sua scena politica ideale. E qui riappare il problema dei suoi rapporti con Péguy e i Cahiers de la Quinzaine: pochi fogli stampati per la prima volta nel 1900, pochi abbo· nati, tutti personalmente noti a Péguy che ha ormai rotto con il socialismo ufficiale. E Péguy scrive: «Situato in mezzo al popolo io vedo tutti i movi· n1enti che i grandi non vedono». Fuori dal socialismo, come pure da tutto ciò che a sinistra incarna l'antipatriottismo, l'anticlericalis1no e la rivoluzione Péguy non è tuttavia soggetto alla propaganda della destra: è solo

nella fede mistica e politica che oscilla dall'ideale dreyfusm·do al mistero della carità di Giovanna D'Arco. Ma i Cahiers ricevono da Halévy un con· tributo non assimilabile agli altri (Rolland, Suares, Benda), giacché con lui si tratta di un'inchiesta a tappeto tesa a riprodurre una mappa del sindacali· sino fì·ancese di questi anni. Sarà possibile ricavare da queste premesse un credo socialista coerente? Halévy è chiarainente al tempo stesso rivoluzionario e non; libertario, anarchico ed anche tradizionalista. Ma è alle sue

fonti che bisogna tornare per selezionare le opposizioni e vederne la dire· zione unitaria. Così alla libertm"ia dimensione di Péguy tutta espressa in chiave personale, la "fonte" soreliana aggiunge - in quanto filosofia mo· raie - una fonna sistematica che si fa teoria sociale garantita dalla analisi scientifica.


304

Antonio Coca

Il socialisn10 libertario di I--Ialévy assume pure un carattere esplicito per via delle sue indagini sulla vicenda della classe operaia francese. Vi è in lui una netta rinuncia al quadro di ogni dottrina socialista intesa con1e forma compiuta o partito organizzato. Egli, insomma, raggiunge il socialismo attraverso la sua personale intuizione della realtà e della dimensione

operaia e sindacale. E il credo socialista di Halévy è radicato - occone dirlo - pure nelle pieghe del liberalismo tradizionale giacché egli è in linea con Tocqueville tanto quanto con Proudhon. Cosìi nella ostilità per ogni forma di den1ocrazia cli n1assa il vinc_olo con ]'ocquevillc si fa più stretto

per la difesa della dignità umana e della libertà dalla minaccia della centralizzazione. Dal punto di vista storico tulli gli studi di Halévy sulla Francia moderna sembrano portare l'impronta indelebile di Tocqueville sul valore dei corpi intermedi. Ed egli aggiunge pure ulteriori rinforzi per le sue simpatie liberali 1na, la sua amarezza per la modestia della cultura di n1assa e gli abusi democratici della Terza Repubblica, sortisce l'effetto di riavvicinarlo allo spirito libertario di Proudhon. Halévy spera nella lìmzione rigeneratrice del proudhonismo per la Francia.

L'essenza dello schema di Proudhon, teso alla costituzione di una rete vasta di autono1ne istituzioni n1utualistiche, si configura co1ne fondazione sicura per la garanzia di libertà del nuovo inondo sociale. Così il

mutualismo sembra avere il vantaggio di liberare sia dal peso dello stato monocratico come dagli inganni inevitabili della democrazia e del parla1nentarisn10; dai miti

~

non ulti1no -

della "volontà generale''.

Occmrn dire che l'ideale mutualistico di Proudhon - com 'è sentito da Halévy - era sostanzialmente sopravvissuto alla soppressione della Co1nune e se1nbra qui riaffiorare, dentro la garanzia del quadro repubblicano, per saldarsi in1n1ediatamcnte ad un n1ovi1nento sindacalista che abbia pratico e universale riscontro nel sociale. Un riscontro che, per

Halévy, deve passare attraverso la salvaguardia della libertà individuale da ogni coercizione esterna. Di qui, poi, ogni classe sociale crea autonoma1ncnte i propri 1nezzi di en1ancipazione opponendosi alla creazione di artificiose istituzioni. Il sindacato è invece l'istituzione peculiare della classe lavoratrice, la ceflula vivente ove la creazione

spontanea della coscienza dei lavoratori, unita alla guida di una élite totalmente dedita alla loro causa, può preparare l'era del vero millennio rivoluzionario. Ma è l'azione diretta che in I--Ialévy se1nbra dare corpo reale


Danie/ 1-falévy. Storia politica e "Accé/ération de /'histoire"

305

all'intero processo. L'c1nancipazione dei lavoratori nella lotta contro il capitalis1no si colloca nell'orizzonte di un futuro possibile perché la forza attrattiva della con:w_:ious n1inori1y - come è stata chiainata - ha radici etico-sociali inattaccabili. T'uttavia il sindacalisn10 non si pone con1e l'unica espressione dell'idealismo proletario e il suo valore va - per Halévy - al di là della necessità della classe lavoratrice per abbracciare tutto il genere umano co1ne la sola possibile fonte di crescita ove individuale e collettivo si collocano nel loro otti1nale equilibrio. Nel mezzo dì una società borghese decadente, i sindacalismo è l'ultimo rifugio della libertà a confronto con le crescenti «tirannidi» della den1ocrazia parla1nentarc operante con la macchina del consenso elettorale alto ad espropriare l'individuo delle sue libertà reali. Solo l'approccio sindacale avrebbe offerto opportunità di autentica en1ancipazione. Bisogna tuttavia richia1narsi ancora ad Halévy storico del rnovimento operaio per intendere 1neglio i nodi centrali della sua riflessione. Negli Essais sur le 111ollven1ent ouvrier3 vengono infatti succcssivan1ente affrontati i problemi dell'origine del sindacato, della cooperativa, dell'università popolare e delle case dcl popolo, assumendo come prospettiva l'ostilità siste1nalica del1a borghesia verso il sindacalisn10 nascente sia nella fase prin1itiva, al tc1npo della grande rivoluzione, sia più tardi con la repubblica democratica ciel '48 e col secondo impero. Sarà solo la fase dell'Empire Libéral, nel 1864, a sancire il diritto di sciopero cui seguirà naturalmente quello di associazione. Dopo il 1871, poi, niente potrà opporsi alla crescita in1petuosa del sindacato e del n1odcllo democratico. Ma qui ritorna l'interrogativo di fondo di Halévy sulla importanza dell'organizzazione intellettuale delle classi sociali. Sarà in fondo il caso Dreyfus ad accelerare questo stesso processo. Poi - con1e scriverà - nel 1898, alla fine di una giornata di gue1Ta civile, una dozzina d'uo1nini provenienti dalle classi più diverse, gettano le basi della prin1a università popolare. Ma il popolo non concepisce l'applicazione intellettuale e l'arte stessa se non in modo pragmatico mentre le élites, dopo il '48, diffidano delle sue dinamiche più spontanee. Un dissidio, questo, che Halévy coglie e tenta di risolvere assegnando funzione e scopi al lavoro intellettuale che

3 D. IIAii~vY, Essais sur le

1110111•e111e11t 0111Tìer,

B. Grassct, Paris 1901.


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Antonio Coco

appaiono insostituibili. «Il compito urgente è salvare il principio scriverà - la condizione stessa della bellezza, cioè salvare un'u1nanità ardente. Il peuple da questo punto di vista permette di sperare» 4 • E il lavoro politico in che rapporto sta con la funzione intellettuale? «li partito degli uomini del popolo - concluderà Halévy - , è questa la forza nuova che entra nella storia. La sua origine non è però francese giacché il partito socialista è nato in Germania». Uon1ini del popolo dunque e crescita europea del socialismo. Ma la questione era quella di sapere se il socialismo fosse un movin1ento -

lo abbiamo già ricordato -

vera1nente

democratico. E Halévy, intellettuale e «borghese», centra perfettamente !'antitesi fra i dottrinari giacobini fedeli, compatti e rigidi, e la folla vivente e disordinata dei figli di Diderot e Danton. Ed è proprio in queste pagine ove contraddizioni e difficoltà del socialismo se1nbrano riproporsi con reiterata insistenza che ritorna Proudhon;

colui che «ha identificato queste difficoltà riassumendole in un solo interrogativo di fondo: che diveJTà l'individuo preso dentro un sistema di solidarietà oppressiva?». Ogni previsione sull'evoluzione del sistc1na sembra impossibile. Ma intanto la borghesia sorvegli gli sviluppi di una vicenda di cui essa è al te1npo stesso protagonista e vitti1na. «Tutti i tentativi drcyfusardi - scriveva - tendono a scoinparire. Le università popolari si fer1nano. I...e riviste socialiste scoinpaiono. Gli operai, nazionalisti a loro modo, si chiudono nella loro classe e - per combattere da soli - si distaccano dagli intellet!llali. Che faranno i nostri giovani borghesi? I migliori di loro provano ripugnanza a lottare contro l'esercito, contro la Chiesa. La loro intelligenza, sensibilità e istinto li privano delle opportunità che tali istituzioni possiedono. Molti poi si rivolgono verso l'ordine e verso la spiritualità cattolica>> 5 . Ma che cosa era accaduto? In quell'esan1c attento che Halévy affrontò nelle pagine della sua Apologie pour notre passé, scritta fra l'ollobre del 1907 e il 191 O, la risposta è tuttora nel disagio dell'uomo e dell'intellettuale verso l'utilizzazione politica dell'affare Dreyfus complici la inassoneria e la dcinocrazia radical-socialista. l-Ialévy, sostenitore della cultura de1Je «qualità uinane», della necessità di un certo

~ 5

!bid., 70 ss. !IJ1'd .. 73.


Danie/ Halévy. Storia politica e "Accé/ération de /'histoire"

307

gusto e di un certo honneur è in fondo un liberale della scuola del '30 che vede espropriata la repubblica dalle nuove classi sociali, dai nuovi gruppi dirigenti, e così resta liberale deluso senza passare alla reazione. L'Apologie è una confessione mesta di un personaggio al tempo stesso conservatore e progressista, di un borghese che a1na il popolo fino alla soglia ove esso non sconfina nella tendenza alla brutalità e al fanatis1no. E poi - lo dirà egli stesso - un fenomeno analogo a quello constatato per la vicenda c!ell'affaire non era già avvenuto al momento della fondazione della Terza Repubblica? La.fin des Notahles, appunto, che intende esaminare la scomparsa delle classi dirigenti borghesi dalla vita politica francese fra il 1871 e il 1880. L'eliminazione della maggioranza liberal-conservatrice si manifesta prima alla camera ( 1875) e poi al senato. Le dimissioni cli MacMaon ne sono la confe11na. La vicenda ha al suo centro Thiers, anche lui un uomo del liberalismo pre-quarantottesco. E però, gli stessi francesi che nel maggio 1870 erano per l'impero con sette milioni cli voti, nel 1871 era questa la conclusione di Halévy - eleggeranno 500 deputali cattolici e n1onarchici.

*** E venia1no allo storico anzi al biografo e allo storico; che la sequenza non è casuale. Innanzitutto c'è il Nietzsche divenuto, partendo dalla vocazione cfun uo1no-si1nbolo, la sintesi stessa d'una vicenda collettiva di portata europea. E così è pure per il Proudhon, diviso in due mon1cnti editoriali (1913 e 1948), ma sostanzialmente unitario nella concezione. E tuttavia, disponendo per quest'ulti1no d'una preziosa nota, stesa per le Annales da Lucien Febvre, che ne evidenzia sapienten1ente luci cd on1bre, converrà prendere eia qui le mosse per meglio comprendere perché Febvre contestasse ad 1--Ialévy una tendenza alla astrazione che è invece la sostanza stessa del suo modello intellettuale. «Quella di Halévy è una biografia attenta e curiosa. Egli segue tutte le piste. La pista Bcrgier, la pista Fallot, la pista Fourier. Ma perché questa biografia d'un uomo che nacque nel 1809, che aveva vent'anni nel 1830 e quaranta nel 1848, resta curiosan1cnte inten1porale? Io non dico che Daniel Halévy con11netta degli anacronisn1i:


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co1ne potrebbe accadere? Ma tutti gli uon1ini che egli incrocia nel cam111ino di Proudhon li trasforma in un piccolo pugno di idee e di opinioni»'. Al di là dell'apprezzamento, l'incontro Halévy-Febvre non poteva trovare una chiave comune. Sono però osservazioni in1portantì di cui approfondiremo meglio il senso analizzando il saggio sull'accelerazione della storia. Guardia1no invece agli anni venti ove la stesura di biografie ritorna in modo insistente. E' del '18 il Wilson che mette in rilievo il profilo di una tentata repubblica autoritaria. Nel '23 esce il Vauban, avvertilo come il geniale creatore di una duplice dimensione che agisce sul piano della legislazione e si fa azione concreta nella fondazione di cittadelle destinate a proteggere nel tempo teITitorio e incolumità del popolo di Francia. Poi, sempre in questa chiave, il ritratto di M ichelet ( 1928), singolare temperamento di historienpoéte e il C!emanceau tutto modellato dalle evidenti vibrazioni di simpatia per un leader co1nbattivo e tenace. Lo storico vero e proprio e1nergerà solo negli anni trenta, scegliendo senza riserve la vicenda "epocale" della Terza Repubblica. Con Lafù1 des Notables ( 1930) abbiamo il tentativo più sottile - lo abbiamo visto - di rappresentare un ordine sociale al tramonto, che ebbe la sua "nobiltà", mentre Halévy sa contemporaneamente percepire il senso della svolta in positivo per l'ascesa delle classi medie e di nuove figure sociali che ne

saranno~

burocrati e settori di alta tecnocrazia -

ad

un te1npo Ja base e la co111ice.

C'è un ritrailo - per quel che sappiamo non tradotto -

che Halévy

stese giovanissimo, ed è necessario ricordarlo proprio qui, in questa vi-

cenda separata del biografo che allo storico vero e proprio prelude. E' quello di Michele Amari 7, e racchiude più di un registro del suo ventaglio ideologico e più d'una sfomatura della sua sensibilità storiografica. Lo scenario fondamentale è il '48: la Sicilia è al centro di un movimento che avrà di1nensioni europee, 1nentre Amari è a Parigi in1pazienle di partire per Palermo ove Ruggero Settimo ne "pretenderà" la disponibilità alla carica di ministro. Ma -

aggiunge Halévy con un giudizio che non sa luttavia ac-

certare il doppio profilo, democratico e moderato, del movimento - i siciliani avevano fatto una rivoluzione senza sapere bene quale. «Se federalisti

6

7

L. FEBVRE, in Anna/es E.S.C., 1951, 135 ss. Il saggio si trova nella Rente de Paris 10 ( 1897} 68-86.


Daniel Halévy. Storia po/irica e "Accé/ération de !'histoire"

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essi volevano la Sicilia libera nella federazione italiana, però questa federazione non esisteva. Se 1nonarchici essi si offrivano a tutti i prìncipi d'Italia, ma nessuno li voleva. Così il re di Napoli si ai1nava e ininacciava. I siciliani allora domandarono aiuto alla Francia e all'Inghilten-a. La Francia pri1na eluse il problen1a e poi si rifiutò. La Francia che entrava in questa

via incerta della sua politica italiana. Lamartinc stesso - questo povero poeta - dovette 1nentire con le sue stesse parole: era italiano di cuore, voleva che l'Italia fosse degli italiani e però aveva paura d'una Italia unita, centralizzata sotto la monarchia militare piemontese». Il giudizio di Halévy sulle incertezze della Francia, colta di sorpresa, si salda qui con quello su A1nari, storico grande ma in quei giorni cattivo profeta politico. «Luigi Napoleone è - scriveva Amari in una lettera del 27 sette1nbre -- senza lalenti né abilità: è mediocre e perderà ogni reputazione». Errati erano, più del giudizio, le previsioni. Napoleone in dicembre sarà non1inato presidente mentre la reazione vincerà in tuU-a Europa. Napoli e la Sicilia avevano - co1ne è noto - firn1ato una tregua ormai scaduta in aprile; e Amari di ritorno poco dopo nell'isola troverà Palermo in ginocchio e la rivoluzione definitivamente sopita. Nel '60, certo, le grandi passioni del '48 rinasceranno e Halévy rimodella il suo ritratto di Amari utilizzando significativi scorci degli sfoghi epistolari del grande storico siciliano. Ne risulta sfun1ata, con evidenza, la dimensione di democratico teso ad occupare, dire1nmo noi, posizioni di centro-sinistra cd esaltata quella moderata. «Noi - scriveva A1nari - buoni o cattivi attori del '48 non abbian10 più alcun ruolo da svolgere. Ma perché dunque Cavour non ci invia alcune centinaia di bravi soldati? Io ho sempre sostenuto, dopo il '48, che per una rivoluzione siciliana lutto ciò che chiedo sono quattromila soldati che non siano siciliani o napoletani». Halévy sottolinea e coglie la scelta della annessione sabauda in A1nari ma, quel che più conta, sa evidenziare il contraddittorio esito che - con l'intervento di Garibaldi - Amari presagisce nei te1mini di una dialettica in cui la dittatura garibaldina risulta sbilanciata, pilotata essa stessa dalle fazioni e non pilota. Di qui, il contrastarla sarebbe stato - scriveva An1ari - senza 1neno «l'inizio della guerra civile». V'è una pagina finale di questo acuto saggio giovanile ove l'andamento del portrait sembra saldarsi a più profondi timbri storiografici. Qui Halévy parla di un Amari onnai perplesso per l'inasprimento di quelle tensioni con la Francia che gli uomini dcl '48 avvertono tutti come deformazione in


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"odio nazionale" dell'originario risveglio delle nazionalità. Siamo al cui· mine della questione tunisina ed Amari si richiama, in pubblico, al ricordo del vincolo storico italo-francese e quasi lo riveste di sacro. I giovani presenti lo interrompono. E non gli basterà rifarsi - sottolinea Halévy - ai vespri siciliani, per ricordare ancora una volta che il vero nemico di allora non erano stati gli angioini 111a il papa; non basterà perché è vero, forse più di turto, che quando Amari morirà, qualche anno più tardi, le nuvole ave· vano già can1biato - co1nc acuta1ncnte concludeva - il loro disegno sul cielo della storia europea.«Crispi in Italia, Boulanger in Francia, Leone XIII papa liberale e Guglielmo imperatore a quel tempo socialista, compo· nevano per i vecchi eroi del '48 un'Europa strana e 1nolto poco co1nprensibile».

*** «Alcuni hanno visto nelle 111ic pagine un riassunto di storia universale, gli uni lodando1ni per averla affrontata, gli altri rin1proverandomi il modo in cui l1avevo svolta. Io in realtà non accetto né elogi né biasin1i perché il n1io p.iano non è stato quello che 1ni viene attribuilo. lo chiedo che non si cerchi nel 1nio saggiO se non quello che vi è nel titolo, ossia l'analisi di una delle caratteristiche della storia che è la accelerazione del suo corso». Siamo alla pagina iniziale del bellissimo saggio di Halévy su l'Accé!érntion de l'histoirc". Ed egli andava subito ad avvertire il lettore dell'altra accusa da taluno contestata al suo lavoro: il pessin1isn10. Ma 1--falévy - Io studioso di Nietzsche - legge in controluce le critiche e sottolinea subito che se nella sua visione c'è pessi1nis1no come considerazione del tnalc che opera inevitabihnente nel corso degli u1nani eventi, l'uomo, pur gettato nel peccato della storia, non deve 1nai assumere tt•eftanschaung nichilistiche per quella indefettibile éremité che infine coinvolge, assieme ai destini par· ticolari, il 1nisterioso destino totale dell'u1nanità. Non solo. La prospettiva di Halévy si fa tutta positiva, anzi, perché invoca, al di là dei tc1npi particolari della storia umana e te1Testre, quelli insondabili della storia cos1nica; e si appella a Renan. «La storia del mondo è la storia del sole. Il piccolo

8 D. HALÉVY, !l.ccélération dc /'histoire, B. Grasse!, Paris 1948.


Daniel Ha/évy. Storia politica e "Accélération de /'histoire"

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ato1no staccatosi dalla grande massa centrale attorno a cui gravita conta molto poco. Voi mi avete n1ostrato, in un modo che ha messo a tacere tutte le mie obiezioni, che la vita del nostro pianeta ha in realtà la sua fonte nel sole». E' Renan che risponde a Berthélot, in una lettera che desta I'am1nirazione di 1-Ialévy e - citata quasi per intero - introduce la visione cos1nica della sua prospettiva che è al te1npo stesso antinichilista e cautamente aperta al dubbio. Perché? Perché Halévy ha fortissimo il senso di una soglia che è stata varcata e l'itnportanza delle conseguenze che ne derivano. «11 can1bia1ncnto - così co1nmentava - ha avuto inizio nel giorno in cui ha avuto luogo la pri1na rottura dell'atomo ... e questo non è che un segno. Da ogni parte pesa su di noi la 1ninaccia di un ordine di cose sproporzionato a ciò che noi sian10». E qui il Nietzsche degli anni giovanili è orn1ai una din1ensione rcinota; è sentito di più il bisogno di inte1Togare la scienza coniugata alla filosofia in una singolare n1isccla di sapere matematico e di saggezza antica. E così da Goethe a Russcll, cli fronte alla potenza i1nmane dell'energia dell'infinitamente piccolo, l'avverti1ncnto ultimo era: «L'hon11ne ne pas fait pour tant de puissance». La richiesta di fondo - a questo punto - formulata da Halévy con parole che erano le stesse di Bergson, era quella di poter avere per sé e per tutti un «supplemento d'anima». E citando Quinet'l gli veniva fatto di chiarire 1neglio il suo pensiero nei termini in cui, appunto, lo sviluppo meccanico sembrava esigere uno sviluppo almeno uguale di quello dello spirito. Ogni cosa infatti che avesse, anche sulla base di una ingigantita possibilità della struttura materiale, esasperato le possibilità dello spirito e della sua potenza imn1ancnte sembrava, anche ad 1-Ialévy - come già lo era stato nella fausliana vicenda dell'uoino alchen1ico - destinata a tradursi in una imn1ane catastrofe celebrata dalle forze del n1ale. A partire da questo quadro e dividendo, secondo una periodizzazione che esplorere1no più avanti, la totalità storica nei due grandi tronconi del ciclo antico e del ciclo moderno, Halévy assume comunque il problema della accélération sotto il doppio profilo degli exempla che la storia offre e della probità dcl

'> Per gli evidenti segni di continuità derivati, in I-Ialévy, dalla cultura storiografica liberale del primo Otlocento, sia consentito rinviare wlle osscrva:t.ioni da n1c falle in G!li::.ot storico, Guida, Napoli 1983, cc. I e IV.


312

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inodello episte1nologico assunto per giustifica111c la coerenza. Dentro questo sforzo continuo, egli torna a tributare ad un altro inacstro grande, Michelct, il riconosci1nento per la sua intuizione. «Uno dci fatti pili importanti e n1eno notati è che l'anda1nento del tempo è con1pletamente cainbialo.Esso ha raddoppiato il passo in un modo strano. Nella sola vita di un individuo (ordinariamente settant'anni), io ho visto due grandi rivoluzioni che in altri ten1pi storici avrebbero potuto avere tra di loro un intervallo di duernila anni. lo sono nato nel cuore di una grande rivoluzione te1Titorialc; in questi giorni ho visto affern1arsi la rivoluzione industriale. Nato sotto il terrore di Babeuf vedo, prima della mia morte, quella dell'Internazionale»'° Michclct è per Halévy il prototipo dello storico attenlo, al tempo stesso, alla periodizzazione e alla velocità nella storia. La pri1na è con forza ricondotta per ciò che attiene alla storia di Francia - all'anno l 000; la seconda sembra essere evidente sotto gli occhi di ogni osservatore che nota subito con1e l\n11anità sia can1biata n1olto più negli ulti1ni cento anni che nei trenta secoli che separano Ciro da Luigi XVI. Ed anche Michelet - sottolineava con1e Renan, aveva avvertito l'irnportanza dei fattori co1nplcssi, certa1nente indotti dallo sviluppo in1prcssionanle delle arti n1eccaniche. E' con questa certezza che Halévy apre ia sua rassegna del inondo I--falévy -

antico gettando uno sguardo sulla umanità dci templi e delle tombe, l'Egitto, terra cli religiosità profonda che ignora l'organizzazione del tempo storico 1nenlre le città greche lo computeranno dalla data centrale della convivenza civile, ossia quello della loro fondazione, costruendo così per la prin1a volta gli sche111i ten1porali delle vicende nazionali. r~ la rassegna si snoda ancora con una visione con11nossa rivolta alla vicenda ebraica, carica di attesa, risonante di voce profetica, tutta volta ad un salvatore che rnetta fine alle sofferenze elci popoli. L'Egitto, la Grecia, gli ebrei. Halévy giunge così al problema - forse il più grande dcl inondo antico - di Ron1a e della pax ron1ana; della grandezza dell'Impero e della decadenza. «L'In1pero Ron1ano e l'In1pero Persiano sono i due occhi dell'universo, scriveva nel VI secolo uno scrillore di corte. Nel VII i due

10 D. I-L\LÉVY, op. cit., 17. Ma per tulle queste considerazioni sulla velocità del te111po storico, si vedano !e fondaincntali indicazioni di F. BRAUDEL, Histoire et scie11ces socia/es. La !011g11e durée, in i\1111a/es E.S.C., 1958, 725-753, poco incline però a sottolineare l'in1portanD1 del contributo cli questo saggio halévyano.


Daniei Haiéi>y. Sroria politica e "Accéiération de /'histoire"

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occhi si ferinarono insien1e; i Gennani si divisero l'i1npcro Ron1ano. I cavalieri arabi stesero il loro potere sull'Impero persiano. Le popolazioni disgregate non opposero resistenza. Non si ebbe neppure la guerra. L'ultimo imperatore persiano fuggì fino ai confini della Battriana. Monarchia, Chiesa e una lingua nobile come il sanscrito e il greco disparvero senza ritorno»11. Ma il tra1nonto e la caduta del mondo antico non sono avvenuti per I--lalévy senza lanciare un grido di spiritualità possente che ha la sua fonte nella fede superiore di un popolo odiato come gli ebrei. La sua fede regnerà, trasfor1nata, nel 1nonoteisn10 intransigente di Mao1netto e, co1ne 1ncssaggio di carità cristiana, ricoprirà tutto l'Occidente. La fede edifica la storia; Carlo Magno Imperatore e Haroun Rachict califfo, reggono i destini di popoli diversi n1a 01111ai consacrati a un unico Dio. La valanga dei nlongoli si abbatterà sui popoli arabi con una violenza inaudil-a e Halévy prende in prestito, ancora una volta, dal suo Michelet le i1n1nagini del degrado apportato a città e ca1npagna osservando la 1netan1orfosi di centri imponenti, come Ninivc e Babilonia, in agglotnerati informi di gente n1iserabile. E però la religione è, ancora una volta, ciò che fonda la storia. Non si dimentichi che essa continua a persistere vitale nel fondo attraverso la fonte cui si ispira, ossia la Bibbia e la voce che è la stessa del Dio di Mosè. Allah Taallah è un Dio presente che è forza e rifugio. L'ebreo I-Ialévy guarda così alla 1norte delle società asiatiche annientale dall'egen1onia 1nongola con l'esperienza dello storicismo 1naturo che lo ha preceduto, attendendosi dalla distruzione in1mane, o la definitiva sco1nparsa, o il rico1Tentc avvio di realtà nuove. E il nuovo sen1bra venire non dalle stanche terre d'Asia, e dal Mediterraneo, ma da quelle intatte dell'Europa del nord. Il fatto è che ad occidente la cristianità sta reagendo e la stessa Europa rinasce giacché l'apparato burocratico dei Ron1ani, ridotto ad in1n1cnsa superstruttura, lascia il posto alle forme di una società nuova, tutta fondata sul rapporto di fedeltà, di impegno personale, di giuramento reciproco. E' un uomo nuovo che affiora, un pri1nitivo certo, n1a un pri1nitivo battezzato. La singolare 1nescolanza di questi ele1nenti va tutta a collocarsi sotto un segno a1nbiguo giacché - conclude Halévy - che diverrà domani questo barbaro oggi piegato davanti all'altare? quale delle sue

Il

f/Jid .. 39

SS.


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ani1ne -

la devozione o la rivolta -

prevarranno in lui? La storia della

Chiesa en1erge, dentro questo quadro, con1e un dato centrale e, in quanto Chiesa cattolica, con tratti inquietanti non assimilabili a quelli della storia delle altre religioni. «La legge comune della storia delle chiese è la stabilità. Tutta la antichità ce lo mostra. L'Egitto, la Caldea, la Persia, sono nate, vissute e crollate in modo inseparabile da loro culti. Seguiamo i popoli nelle età moden1e: convertiti ad un nuovo culto essi vi si 1nanterranno inalterabihnente fedeli. Ma la Chiesa cattolica apparentemente così possente nel XII secolo porta nel suo stesso seno ne1nici irriducibili» 12 • Halévy sospinge così, tra antropologia e storia, l'analisi sul fronte di una classificazione che non direm1no incline a nette separazioni fra le razze 1na certo vigile sulla natura e la storia differente dei popoli giunti alla conversione. La vicenda stessa dei germani sembra confermarlo attraverso il filtro dell'analisi linguistica che pare rivelare come in loro la separazione del ceppo indouropeo sia avvenuta pri1na che in quel medesi1no ceppo la nozione stessa di sacerdote si fosse istituita autono1namente sul piano concettuale. Ecco perché la storia della Chiesa cattolica contiene in sé, al di là di queste particolari circostanze, quell'ele111ento pe1manente di instabilità, di ditlicoltà alla coesione. E sono ancora i germani a darne conferma (se si guarda alla Chiesa alto medievale), con la loro tendenza al rifiuto della gerarchia ed alla organizzazione settaria. Solo così siamo meglio preparati a cogliere il senso dell'eresia che, a fianco della Chiesa, germoglia un po' dovunque (Lombardia, Linguaoca, etc.) e genera risposte virulente, vere e proprie crociate contro sezioni di un corpo che se1nbra non riuscire nlai a 1nantenere la sua unità d'origine. L'Inquisizione sarà, in fondo, l'espressione sistematica di questa reazione contro una inclinazione che è parte integrante della complessa compagine culturale e sociale del mondo cristiano. E tuttavia il proble1na non ha solo questa dirnensione ecclesiale. Ve ne è un'altra ben più grave, causa, fra le altre, di quella accélération di cui I-Ialévy vuole saggiare i ritini, le rotture, gli attacchi. «Il diavolo con1e oggetto di studio interessa profondamente inquisitori e teologi. Egli è parte fondamentale della loro scienza. Questa forza poi, che gli pennette di te-

12

lhid., 40.


Daniel Halévy. Storia politica e "Accélération de l'histoire"

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nere testa a Dio, di quale essenza era partecipe? I teologi, appassionati ricercatori di definizioni, volevano saperlo ad ogni costo, e la loro risposta fu che il diavolo, angelo decaduto, non poteva agire che nell'ordine e tra1nite le vie della n1ateria. Qui era totahncnte libero»u. Siamo giunti così al problen1a della scienza moden1a che riesce a cambiare i percorsi tradizionali nei tratti più antichi della loro costruzione. Siamo al déplacement de l'esperance che si produce adesso su basi nuove; una speranza ancorata prima all'orizzonte della coscienza inorale e divenuta successivan1entc attesa di risultati concreti che solo il sapere in quanto tale può premettere. Ne emerge un parallelo - e sovente Halévy è portato a confrontare storia d'Europa e Stati extraeuropei - che qui n1ostra la diversità con la storia dell'oriente. La Cina, ad esempio, che è grande nella sua capacità di inventare (la bussola, la polvere da sparo), senza però avere il progetto di ca1nbiare il inondo o di conquistarlo, 1nentre in Europa è proprio questo che si vuole: cioè la scienza coine stru1nento di crescita econon1ica e politica. Gli alchiinisti al lavoro ne sono una prova: pagati dai potenti cercano affannosa1ncnte una formula universale per la riproduzione indefinita della ricchezza e vagheggiano disperata1nente la fabbricazione chi1nica dell 1oro. Halévy sente di essere arrivato ad una svolta. L'intera vicenda cresciuta alle sue spalle diventa, col déplacement de l'esperance, componente di una rottura epocale che è assieme storica e antropologica. E' storica perché il ten1po di questa vicenda nuova che va a collocarsi fra tardo 1nedioevo erinascin1ento comporta una presa di coscienza complessiva del fatto che un intero n1ondo è finito, che sono sco1nparsi i suoi confini (si pensi alla scoperta di nuovi inondi) e si sono consolidate nuove geografie del cristianesin10 occidentale orinai separato in tronchi varian1ente segnati dall'incidenza delle singole storie nazionali. Né basta. Poiché la rottura si fa al tc1npo stesso antropologica quando - e qui rito111a l'in1portanza della tradizione alchen1ica e baconiana - se1nbra essersi costituito lo statuto esistenziale di un honune 1nocler11e che nulla spartisce con quello del te1npo passato. La velocità del suo te1npo ---·non più, dire1nn10 noi, ten1po della Chiesa o del 1nercante - si n1isura su di un ordine di grandezza deter1ninato dalla esattezza dei calcoli e dalla bontà della stru1nentazione scientifica.

l}

lhid., 56 ss.


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Così lo spazio oceanico si annulla coine il tempo che occorre a solcarlo perché la bussola di Colombo è parte di un sistema integrato di conoscenze matematiche che consente quasi di annullare il margine di indetenninatczza ed errore. Ecco perché la mutazione è divenuta, a questo punto, antropologica. Perché ]"'uomo moderno", se vuole rendersi padrone delle forze esteriori, soggette alle leggi del numero, dovrà piegarsi a pensare numericamente e n1eccanican1ente. Il suo primo atto di obbedienza sarà questo. Egli dovrà accettare la scomparsa di vaste e preziose regioni dcl suo mondo interiore. Lo scan1bio, per essere efficace, dovrà realizzarsi prccocc1ncntc. I padri dovranno costringere i figli, o accettare che lo Stato lo faccia al posto loro. La gioventù non sarà più allevata con1e ad Atene o a Gerusalemn1e sui gradini dei templi. Col Settecento con1incia e giungerà sino ai nostri gio111i, la matematizzazione dell\101no. Elaborata con sottile capacità d'analisi la linea che, separando vecchio da nuovo, ricostruisce il cangiante profilo della storia 1nodcrna, Halévy avanza per seguire -- procedendo per scorci - i segmenti forti di questa realtà ancora in equilibrio tra passato e futuro. Egli sa che tra rinascin1ento e illuminismo c'è il vasto spazio di un conflitto lacerante che l'Europa ha vissuto consu1nando gran parte di sé nell'olocausto religioso della guerra dei trent'anni. E progressivarnente si viene definendo, al suo interno, l'imn1agine della decadenza co1ne insie1ne di fattori pesanti che il inondo avanzato non accetta di trascinare con sé. E' la Spagna del Seicento che nutre al suo interno la contraddittoria presenza di un ordine sociale in crisi, cui la fede di Teresa d'Avila tenta di opporre un richiamo dal profondo con l'uso di un modello mistico nuovo e possente. Ma la sintesi del dra1n1na che si consu1na inevitabiln1ente, Halévy la trova nelle sue stesse fonti storiografiche citando da una lettera del Duca D'Alba a Caterina dei Medici: «Vale 1nolto di più conservare, con la guerra falta per Dio e per il Re, un regno in1poverito o anche distrutto che conservarlo integro per il de1nonio o per gli eretici». E subito con1menta «sono siffatte le prescrizioni dei politici; e siffatta fu la fine della guc1rn nel 1648: la Germania soccon1be alla violenza delle eresie, la Spagna, al contrario, si sacrifica alla


Daniel Halévy. Storia politica e "Accé/ération de /'histoire"

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purezza della ortodossia. Sì, eia Siviglia a Lubccca l'incendio si spegne. E però la Gennania risorgerà, la Spagna non più»I~. Percorso da un versante all'altro lungo la diacronia del suo ritmo della sua accé/érarion, il ciclo moderno sembra sfociare nell'invaso della grande rivoluzione come al centro di un tempo storico che 1nisura la sua velocità sulla capacità stessa di interrompere circuiti e processi di spessore plurisecolare. Ma v'è cli più. La rivoluzione condensa per Halévy l'intero sforzo dell'uon10 n1oden10 di erigere la razionalità a tribunale supre1110 fra ciò che nella storia è sotto il peso immobile dell'inerte e ciò che non lo è. Ecco perché il preludio è affidato alla voce stessa ciel giovane Hegel che segnala nella crisi rivoluzionaria al tempo stesso l'intensità ciel grande fatto storico e della sua componente assiologica. Ma per Halévy la grandezza vera della rivoluzione sta anche altrove: sta nella sua intrinseca novità, nell'essere «Un fatto - con1e scriverà - completa1nente nuovo nella storia». E tuttavia di quel fatto va co1nprcsa la sostanza. I francesi dell'89 chi sono? cos'è la Francia cli quegli anni? «Nel 1789 i francesi erano dei rifonnisti senti1nentali e per nulla dei rivoluzionari. Essi abbracciarono con innocenza un'avventura totaln1ente nuova. Non si trovano nei loro cahiers se non proposte 1noderate. Marat e Robespien·e, poi, non erano che dei n1onarchici entra1nbi. Non sono quindi i rivoluzionari che hanno fatto larivoluzione ma la rivoluzione ha fatto i rivoluzionari» 15 • E' a partire da questa premessa che Halévy sembra voler ripropmTe i lemi centrali ciel suo saggio: la funzione della religione da una parte, e il limiti dell'intolleranza che sfiora di continuo il confine della violenza. «Le espressioni cristiane a1nore di Dio, giustizia di Dio, continuavano ad esercitare sul popolo parigino un i1n1nenso potere. La speranza dell'angelo era ancora viva nella sua anima cd è essa che riappare sotto il velo delle parole astratte di cui si gonfiano i n1oderni. Vi è un assoluto della ragione astratta con1e c'è un assoluto ciel Dio vivente, l'uno e l'altro capaci una. volta entrati nella storia cli farne 1nutarc la realtà. Gli enciclopedisti avevano sognalo una politica dedotta come un teorema cli Euclide che avrebbe condotto l'uomo a quello stato di equilibrio che noi chia1nian10 honheur. E' questa l'idea che adottata

14 15

lhid .. 75 ss. lhid .. 94 ss.


Antonio Coco

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dalle folle determina l'esplosione popolare». E' ritornato in questo epilogo, tutto centrato sugli ele1nenti che precostituiscono la con1bustion d'un ]Jeuple, l'intero profilo ideologico di Halévy, ormai tutto dentro l'aspra tensione del suo farsi giudizio storiografico. Perché il bonheur è giusto e legittimo; e - ciò che più conta - adesso viene percepito collcttiva1nente come tale. Così il popolo rivoluzionario dà degli ordini giusti che poi non possono essere praticati. Di qui lo stupore e l'indignazione, ed il resto sembra farsi da sé. Per i clubistes - infatti - e i sezionari dcl '92, le perdite che la rivoluzione subisce sono e1Tori ai quali occorre 1nettcrc fine percependo l'appello della sconfitta come un dovere in senso assoluto. Il lettore avverle che con la rivoluzione, e i te1npi brucianti dei suoi sviluppi, l'analisi di Halévy volge a concludersi. E' perciò che egli vuol guadagnare subito orizzonti te1nporali più vasti per dare posto agli eventi analizzati in uno scenario che bisogna dilatare ancora per n1cglio con1prenderne le parti. «Lasciamo passare dieci anni - concludeva - e il regno di Francia è divenuto un campo dove i giovani di venti anni sono reclute di un soldato incoronato. Lasciamo passare ancora dieci e l'in1pero di quel soldato non è già piè1. Vi è al suo posto un paese piegato dalla perdita di ben 500.000 vite» 16 • Il giudizio storiografico se1nbra avere - solo ora - tutti gliele1nenti di cui disporre per farsi riflessione totale sulla vicenda «1noderna» del ciclo. Perché qui la Francia e la sua rivoluzione sono state ricondotte con raffinata traslitterazione al problema più generale della storia europea nei te1111ini se voglian10 anche "sapienziali" che sono cari allo storici sino di I-Ialévy. Sans v;sfon !es peuples n1eure11t: è questa la 1nassin1a biblica che per lui è divenuta la sintesi esplicativa della vicenda nazionale della Francia il cui copione può considerarsi già recitato, sotto altro profilo, anche dalla Germania e dalla Spagna n1oderne. E tutto ciò perché anche i francesi della rivoluzione sono stati «un popolo visionario». Ma la storia qui ci illu1nina - era questa la conclusione - sulla pericolosa inversione della massi1na biblica. «Da n101te a 1norte, da inganno a inganno; i francesi perderanno via via i carattere che li aveva resi a1nabili a tutti. Mai pili essi rinunceranno

16

lbid., 98.


Daniel Ha/évy. S10ria politica e "Accé/ération de /'histoire"

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alla loro visione.fèmatisante; mai più dismetteranno le loro lotte intestine di· venute per essi, per lunga abitudine, un vizio suicida». 17 • 01mai si era fatto chiaro, per lo storico e la stratificazione complessa di razionalità e fede nel suo metodo, il senso dell'inversione dei valori assien1e all'incalzare di un tempo definitivamente accelerato. Senza visione i popoli muoiono, e luttavia la storiografia aveva verificato e contrario che i popoli potevano, anche, 1norire JJar leurs vision.

17

Jhid., 101.



IL PREVOSTO PIETRO BRANCHINA MUSICISTA

SALVATORE LA SPINA

Non ho conosciuto personahncntc il tnaestro don Pietro Branchina. Quando enlrai nel 1948 nella Congregazione dell'Oralorio di Acireale come aspirante al sacerdozio, il 1naestro già da alcuni anni era ritornato ad Adrano per riprendere, secondando il desiderio della popolazione, il suo n1inistcro di prevosto-parroco della 1natricc di Adrano. Restava nella chiesa dell'Oratorio filippino di Acireale, a testi1noniare l 1a1nore per la n1usica liturgica del n1aeslro Branchina, l'organo, costruito dai fì·atclli Polizzj con la sua consulenza, e ora abbandonato alla corrosione inesorabile della ruggine. Nelle varie funzioni che allora si celebravano nella chiesa dell'Oratorio, alcune co1nposizioni del maestro erano tì·equente1nente eseguite: ricordo particolarn1entc la 111cssa Regina Pacis, nel periodo di quaresin1a la dolente Corone/la tielle cinque ]Jiaghe, il delicatissin10 canto di preparazione alla con1unione in onore della Vergine lo ti chiet!o il pan degli angeli (composto a Ragusa nel lontano 1908 e pubblicato a Buenos Aires anche in versione spagnola), il gioioso inno a s. Filippo Neri Della fede sull'ali leviamo. Non potevo avere l'idea del valore dcl inacstro Branchina e rin1asi sorpreso quando il chiarissin10 professore Salvatore Enrico Failla, docente di Storia della 111usica nell'Università di Catania, mi propose corne argo1ncnto della mia tesi di laurea il Catalogo tc1natico delle OJJere del

Douore in Le((ere.


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Sq/vatore La Spina

111usicis1a Pietro Branchina non sospettando la statura reale del maestro che

mi vidi crescere gradatainente assumendo setnpre più le dimensioni di un n1usicista di genio e di un vero pastore di anime.

Pietro Branchina, nato in Adrano il 26.5. 1876 da Nicolò e Grazia Fazio, manifestò fin da ragazzo un notevole talento musicale che persone di cuore grande e larghe vedute aiutarono a svilupparsi. Vogliamo qui ricordare il pan-oco don Petronio Salvatore Russo che gli fece impartire le prime lezioni di musica e, scorgendo nel giovane i segni della vocazione sacerdotale, lo aiutò anche ad entrare nel seminario arcivescovile di Catania

dove studiò brillantemente filosofia e teologia. Nello stesso tempo continuava i suoi studi musicali sotto la guida del maestro Filippo Tarallo, compositore e organista ciel duomo di Catania. L'arcivescovo ciel tempo, cardinale Giuseppe Francica Nava, valorizzando le doti musicali del Branchina, lo inviò a Roma per proseguire gli studi. All'accademia di Santa Cecilia conseguiva il diploma di magistero in canto gregoriano nel 1904. Nello stesso anno riceveva a Narni l'ordinazione sacerdotale; proseguiva quindi i suoi studi all'Istituto Musicale di Padova sotto la guida ciel maestro Luigi Bottazzo ottenendovi i diplomi in arn1onia, contrappunto, con1posizionc e organo. 1l Branchina

manifestò sempre venerazione e affetto verso i suoi maestri ai quali ripetutamente dedicò delle composizioni. Il soggiorno padovano riveste un particolare significato nel cammino musicale del Branchina perché in questo periodo, oltre a completare la sua formazione, egli con1inciò anche a pubblicare regolannente le sue opere.

Doti di compositore infatti il Branchina aveva mostrato fin dalla sua fanciullezza e nel periodo trascorso in seminario. «Nella chiesa di Maria

SS. della Catena - scrive il Guzzardi- già ad undici anni, eia autodidatta, accompagnava i canti sacri con l'organo [ ... J, e componeva qualche canzoncina alla Vergine che, apprezzatissima per la melodia, andava a ruba nelle chiese di Adrano» 1 • Sebastiano Salo1none, in un

profilo del giovane maestro, così scrive: «Nella Cattedrale di Catania furono cantate varie co1nposizioni del Branchina che riscosse il plauso di

1 S. (JUZZARDJ, Ad un anno della 111orte del Maestro Branchina, in In Ae1•11n1 (periodico dell'Istituto S. Michele di Acireale) 3 (1954) 4.


Il 11revosto P;etro Branch;,1a 1nush.,';,,'fa

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molti maestri, specialmente nel funerale pel Pontefice Leone XIII»'. Nei due anni trascorsi a Padova, intervallati da periodi di soggiorno ad Adrano, compose le prime ventuno opere quasi tutte pubblicate, a cui bisogna aggiungere varie co1nposizioni che non hanno nun1ero di opus. Tra i lavori più importanti di questo periodo ricordiamo il Te Deum (op. 6) a due voci pari e organo e la Missa Brevis (op. 12) in onore di san Nicola Politi. Quest'ultin1a con1posizione fu dedicata in origine al maestro Bottazzo; in seguito il Branchina cambiò la dedica offrendola Ai Clero di Ademò, città che diede i natali al santo. La messa ebbe un notevole successo; nel 1930 l'editore torinese Leandro Chenna ne pubblicava la quarta edizione. Nel 1907, su richiesta presentata dal l'arcivescovo mons. Luigi Bignami al cardinale Nava, il Branchina passò all'arcidiocesi di Siracusa assumendo la direzione della cappel1a 111usicale di S. Giovanni Battista a Ragusa. Una notevole tnole di lavoro impegnò il n1aestro. Alcuni anni prima, infatti, nel I 903, il papa san Pio X emanava il motu proprio Inter pastorahs offich' sollz'chudines sulla rifonna della 111usica sacra. Le direttive, ivi energicamente i111partite, incidevano sulle abitudini liturgico-musicali dcl tempo. Il pontefice con quel documento propugnava il ritorno all'autentico canto gregoriano orn1ai alterato nei testi e nella sua natura diatonica e auspicava inoltre l'esecuzione in chiesa di musica veran1ente sacra eli111inando notevoli e inveterati abusi quali l'ingresso delle bande rnusicali in chiesa e l'uso di musica di stile o derivazione teatrali3.

2 S. SALOJ\·tONI-:'.,

La Sicilia i111e!let111alc co11te111pora11ea, Francesco Cialati Editore, Catania 1909,67. 1 lJna tcsti111011ianza di queste abitudini si trova in una vivace con1posizione poetica in lingua vernacola di n1011s. Francesco Pennisi, gikt vescovo di Ragusa (F. Pennisi, A Festa d'u Santu Pr11titt11ri, tip. CJ-uarrera, Acireale 1985, 5. 9)_. In essa così l'autore descrive l'intcrvcnlo delle bande tnusicali in chiesa:

((Tras11ra di li ha1111i. Cincu, se' banni '11sc1nula tràsunu 'nt' 'a Matrici: si lassunu la coppula e sònunu filici. Marcia ria.li, vàlziri, piatti, la trancascia,


Salvatore La Spina

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Arrivati a questo punto, conviene aprire una parentesi storica per tentare di co1nprendere co1ne si siano forn1ate la 1nentalità e le abitudini sopra descritte. I docu1nenti conservati in vari archivi ci fanno intravedere una cultura 1nusicale a1npia1nente diffusa, nei secoli scorsi, nelle nostre cittadine. Ad Acireale si scorgono tracce di un notevole patrimonio musicale, andato in parte disperso. Valenti artigiani, quali Platania, Calcerani, Patanè Rocca, costruivano pregevoli organi; una cospicua orchestra prestava servizio nel duo1no e nel teatro cittadini e anche la banda 1nusicale teneva alto il prestigio della città. I maestri di cappella componevano le varie musiche per soddisfare le esigenze del servizio liturgico e per alimentare gli spettacoli del locale teatro sorto ai primi dcl 1600. Oratori, cantate, serenate, dialoghi venivano eseguiti nelle chiese più importanti della città e in piazza Duomo. N_ella biblioteca Zelantea di Acireale si conservano i libretti di rappresentazioni in musica eseguite, oltre che ad Acireale, anche a Catania, Acicatena, Picdin1onte, Acicastello, Monforte ... Ad Adrano, nel 1790, fu eseguita «La Vittoria di Costanrino il Grande [ ... [nella gran piazza ed innanzi la porta della Venerabile Chiesa dell'insigne e real Monistero di Santa Lucia. Poesia dell'Ab. Sig. D. Giovanni Sardo, posta in musica dal sig. D. Vincenzo Bellini, Maestro di Cappella della Cillà di Catania»''. Il testo del libretto si conserva nella biblioteca Zclantea di Acireale. Nella stessa biblioteca troviamo anche «Il Trio1~f'o lh Abran10 azione drammatica da rappresentarsi nel piano del venerabile Monistero di Santa Lucia della città di Adernò [ ... ]».Il testo era stato scritto dal sac. Giuseppe Bruno, la rappresentazione avvenne nel 1815.

nauli, trun1n1uni, nacchiri: lu test<i, va, si sfascia.

'A D11r11i11ica

4

E se1nu a la Dun1inica: a la 1nalina 'a Missa, e 'a banna intra 'a Crèsia cu pari si subissa». Si tralta del nonno del più fainoso Vincenzo.


Il pre1,osto Pietro Branchina 111usicista

325

Per la co1nposizione di queste opere si ricorreva ai migliori autori del tempo: ad Acireale un Oratorio fu composto da Gaetano Donizzctti5 , altri furono composti da Pietro Raimondi, il più grande contrappuntista del secolo XIX, maestro di cappella ad Acireale dal 1816 al 1823, e in seguito insegnante in uno dei conservatori napoletani dcl ten1po e organista a San Pietro in Vaticano. Nella Zelantca di Acireale troviamo inoltre libretti scritti da Pietro Metastasio e musicati da Giovanni Paisiel1o; segno che i fennenti e i nomi più significativi di quella ten1perie culturale erano attivi anche tra noi. Queste rappresentazioni agivano decisan1ente sul gusto popolare: le arie operistiche, i brani di virtuosismo che si ascoltavano e applaudivano in teatro o in piazza, condizionavano la 1nusica sacra. 11 co1npositore infatti, volente o nolente, era spinto a cospargere le sue co1nposizioni di 1nusica sacra di a .solo per il soprano o il tenore e di intern1ezzi di 11auto o di violino più o meno lunghi e studiati ... : «era quindi necessaria - scrive don Zaccaria Musn1eci - la fuga grandiosa nella quale non curavasi di strapazzare il sacro lesto[ ... J e quando il Tempio finalmente rimbombava dello strepito delle voci e degli strumenti, allora il trionfo della Cappella era al completo» 6 • Su questa cultura musicale, così diffusa tra clero e popolo da una lunga consuetudine, incisero notevoln1ente il 1110/U J-Jroprio di san Pio X e la febbrile attività degli aderenti al niovi1nento ceciliano che condivise e attuò fedelmente le direttive pontificie. Nel solco tracciato dal motu proprio si n1osse anche il nlaestro Branchina. 11 suo impegno n~lla diocesi di Siracusa fu molteplice. Come direttore della cappella musicale di San Giovanni Battista in Ragusa fece sì che quella schola canlas~;e in autentico canto gregoriano ed eseguisse in canto figurato 1nusichc vera1nente liturgiche come quelle scritte dai più autorevoli maestri del tempo: Perosi, Ellena, Bottazzo, Ravanello furono gli autori da lui preferiti. Con quella schola canforun1 percorse tutta la diocesi per diffondere, in n1ezzo a notevoli difficollà, la riforn1a della 111usica sacra inostrando così con1e

5 li libretto è conservato nella biblioteca Zclantca dì Acireale, la partitura è andata dispersa. 6 Z. MUSMECI, Dcl culto della 11111sica i11 Acireale, in Atti e Rendiconti del/'Accade111ia Dqfì1ica di Acireale, serie Il, 2 ( 1905-191 O) 26.


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Sall'Gtore La Spina

andava praticamente applicata; in vari centri insegnò anche canto gregodano a sacerdoti e laici, organizzò il convegno diocesano di musica sacra del 1908, rappresentò la diocesi di Siracusa al congresso nazionale ceciliano di Pisa nel 1909. Delegato per tutta la Sicilia dell'Associazione Nazionale Santa Cecilia, il suo raggio d'azione si estese a tutta l'isola. Preparò gli appunti per la relazione che mons. Bignami tenne alla conferenza dei vescovi siciliani a Tindari nell'aprile del 1910 sempre sulla rifon11a della 1nusica sacra. Poco dopo fu invitalo da mons. Sansoni, vescovo di Cefalù, a partecipare alle settin1ane gregoriane, che si sarebbero svolte nella cittadina nor1nanna, tenendo lezioni pratiche di 111usica sacra al clero e ai cantori di quella diocesi. Nel giugno seguente si svolgeva a Palermo il prin10 convegno regionale dell'Associazione Nazionale Santa Cecilia organizzato dallo stesso 1naestro Branchina. lntorno al l 9 l 1 inons. Bignan1i riuscì a far trasferire il Branchina da Ragusa a Siracusa dove divenne organista della cattedrale; nello stesso tempo l'arcivescovo gli affidava un altro cornpito delicatissin10: la direzione spirituale dei sen1inaristi. Non sappian10 dove abbia soggiornato il maestro durante la prin1a guerra n1ondiale. Dalle date apposte ad alcune sue con1posizioni pare che sia stato ad Adrano, ritornando poi a Ragusa nel marzo del 1919. Il 4 febbraio 1920 fu eletto prevosto-pmrnco di Adrano; I' 11 aprile seguente prendeva possesso canonico della panocchia. Si chiudeva così il periodo più fervido dell'aHività del Branchina co1ne ceciliano i1npegnato nella rifonna della 1nusica sacra e forse anche il periodo più fecondo del maestro co1ne co1npositore. Accennian10 qui ai lavori più irnportanti scritti in questo periodo. Nel 1907 egli cominciò a comporre la Missa pro defi111ctis (op. 58), l'opera fu completata intorno al 1930. Dedicata In Patris n1ei dilectissilni 1ne1norian1 la con1posizione, speciahnente nel Dies irae, presenta brani di notevole lirisn10. Da Ragusa, nel 1910, il maestro offre un omaggio alla santa patrona della sua diocesi di origine, Catania: è la Missa in honore111 Divae Agathae (op. 40) a tre voci pari con acco111pagnan1ento di organo. E' l'opera più importante del maestro Branchina e fu pubblicata dalla maggiore casa


li prevosto Pietro Branchina 111usicista

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editrice americana di musica, la Fischer & Bro. di New York, nel dicembre del 1913. La messa presenta nel manoscritto la segnente dedica: Pio PP. X Ponfljlci Maxùno superbissilno n1usicae sacrae instauratori; nell'edizione stampata il maestro aggiunse anche questa seconda dedica: Parenti/Jus meis dilectissimis tenerrime. Il pontefice gradì moltissimo la dedica: un biglietto autografo di ringraziamento e di congratulazioni, riportalo nell'edizione stampata, pervenne dal Vaticano. Seguendo l'esempio degli antichi polifonisti del sec. XVI, il maestro trae il tema della messa dall'antifona gregoriana alla comunione della messa Infesto Cmporis Christi riportato nel suo tctragran1ma all'inizio della partitura autografa della 111essa. In essa si alternano brani corali e intermezzi stru1ncntali che for1nano un unico linguaggio sonoro; sullo sfondo creato dall'organo si muove il canto, ora delicato, ora potente. Entusiastici furono i giudizi della critica. Un omaggio offre il Branchina anche all'altra grande n1artirc siciliana nella cui città e diocesi egli era in quel 1nomento operoso: si tratta della Missa in honorem Sanctae Luciae (op. 56) a due voci dispari con organo. La messa, composta nel 1913, fu pubblicata dall'editore Canara di Bergamo nel 1924. Una fluida vena n1elodica, che in certi 1non1enti diventa accorata e supplice preghiera, caratterizza I1intera co1nposizione. Nel 1916 il maestro scriveva un autentico gioiello: è la Missa Regina Pacis (op. 98) per coro ad una sola voce con accompagnamento d'organo. Eccone l'origine: un gio1110 mons. Bignatni disse al Branchina: «Mi faccia sentire la grande anin1a popolare». Nacque così, in tempo di guerra, la messa popolare Regina Pacis scritta dal maestro per secondare il desiderio di mons. Bignami che amava vedere il popolo riunito a cantare. Certamente la Regina Pacis fu l'opera più diffusa dcl maestro e ancora è possibile sentirla nel corso della celebrazione di qualche santa n1essa in canto 7 • Don Antonino Confalone, un sacerdote musicista, già parroco a Pasteria di Calatabiano, che salvò dalla distruzione diversi manoscritti e con1posizioni del Branchina raccogliendoli e custodendoli con

7 Cfr. S. INCORPORA, Jf ·Duon10 di Ling11ar:lossa, Alfa Grafica Sgroi. Catania 1984, 94.


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Salvatore La SjJÙJa

cura, tentò anche una traduzione in italiano dcl testo originale latino della n1essa.

Lo stesso n1aestro ci suggerisce la qualità della sua con1posizione definendola nel titolo,fac;//in1a et n1eloclt'osa. E in realtà la composizione è così scorrevole e cantabile da dar l'impressione che qualsiasi dilettante possa co1nporne una si1nilc. Ma tanto,·faci!lhna non è; il maestro infatti si serve, nello scriverla, del suo solido bagaglio culturale, Il cromatismo, a cui fa un certo ricorso, gli intern1ezzi da eseguirsi con delicatezza, certe forn1e di controcanto, il dover secondare in inodo adeguato il coro, richiedono nell'organista e nei cantori una penetrazione nei sentin1enti che l'autore n1anifcsta attraverso le note. Appartengono anche a questo periodo altri lavori di ampio respiro. J~icordian10 anzitutto l'impegnativa Psaln1rJl!ia vespertina in fesds Beatae Mariae \!irginis (op. 70) a due voci pari con accon1pagnan1ento di organo, dedicata al cardinale Nava in occasione del XXV del suo episcopato, e i liespri (/i santa Lucia (senza n. di op.) sin1iln1entc a due voci pari e organo. Notevole importanza rivestono anche Le 0110 beatitudini (op. 47), l)uc di esse (Beati rnundo cor(/e - canto per due cori; Beali qui esuriunt canto per due cori) furono eseguiti iì 2 111arzo i 914 in un concerto che ìo stesso Branchina, insicn1c con i n1aestri Dino Sincero e Luigi Bottazzo, tenne in occasione dell'inaugurazione del nuovo organo della cattedrale di Siracusa. L'opera era stata pubblicata nel febbraio precedente con la seguente dedica: Al rnio Maes/ro Cal'. Lu(«i Bottazzo. Dal 1920 don Pietro Branchina fu prevosto-parroco della matrice collegiata di Adrano. Il suo in1pegno di pastore di anin1c così viene descritto da don Salvatore Guzzardi: «Diligentissi1110 al pari che zelantissin10 sacerdote portò quella collegiata ai più alti fastigi. Adrano gli sarà riconoscente nei secoli fra l'altro per il brillante successo da lui riportato, nell'aver rimpatriato, dopo otto secoli cli lolla, il capo del concittadino san Nicola Politi» 8 • Pur dedito piena1nente al n1inistero sacerdotale, il Branchina continuò nella sua anività di compositore, Dal 1920 al 1937 (tanto durò il

~ S. GUZZARUI,

op. cii.


Il JJrevo.sto Pietro Branchina 111usicista

329

suo prirno periodo con1e prevosto-parroco) compose le opere che vanno dall'op. 71 all'op. 143. Gli 0110 pezzi facili per organo (op. 71) sono brani di sicuro effetto: una nielodia fresca e vivace n1anifesta l'autore nel Preh{(/io, neil'OffCrtorio brillante, nella Pastorale, nel Postludio e nel Finale, più contemplative diventano Je note nell'Jilevazione, nella C(J111unione, nell'Adorazione. Dai vari testi musicati e dai biglielli e lettere che certe volte li accon1pagnano, si ricava che il Branchina lavorò anche su con1missione: segno del notevole prestigio acquisito dal maestro 9 • L'op. 74 Redentor Bontà infinita, dedicata al p. Stanislao passionista, rettore della Scala santa di Rorna, fu scrilta, co111e nota lo stesso autore, jJer le a(/unanze dell'Arciconfraternita della Passione alla Scala Santa di Roma. A Nettuno, ospite dei pp. passionisti, cornpose un corale a tre voci pari in onore di s. Paolo della Croce e un inno in onore di s. Gabriele dell'Addolorata. Rapporti di cordiale atnicizia ebbe il Branchina con i padri cappuccini. Ogni pon1eriggio si recava al loro convento di Adrano e spesso fu ospite nei conventi di Paternò, Randazzo e Giardini. In questi conventi, corne indicano le date poste in 1nargine a tante composizioni, il 111aestro passava periodi di ferie dedicandosi con niaggiore tranquillità ai suoi lavori niusicali. A Paternò con1pose l'inno in onore del bealo Felice da Nicosia, scritto in occasione dell'inaugurazione della cappella del bealo nella chiesa dei cappuccini. Alternando soggiorni lra Adrano e Randazzo, con1pose lo Stellario a Maria lnunaco/ata (dodici canzoncine facili per voce nledia, op. 90). All'op. 95 Salve Regina (parafrasi) l'autore appone la seguente nota: «Questa Salve Regina è stata scritta a richiesta del convento dei PP. Cappuccini di Gibilmanna. L'ultima strofa però l'ho dovuta sostituire con un'altra a 1notivo della pubblicazione per dare carattere generale e non restringerla al solo Santuario». TI brano fu pubblicalo da Carrara nel Inarzo del 1933. Un inno serafico-mariano (op. 101) fu scritto dal Branchina per gli alunni del se1ninario serafico dei cappuccini di Randazzo.

9 Nell'archivio n1usicalc dcl sc1ninario arcivescovile di Catania si conservano Ire volu1ni 1nanoscritti autografi del n1aestro Branchina; in essi, oltre a note di cara!lere personale, lrovia1no inserìti, qualche volta, le lettere e i testi inviatigli dai co1nn1itten1i.


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Ospite dcl convento dei cappuccini di Giardini scrisse J'op. 131 Salve del ciel regina per il santuario di Montalto di Messina. Altre composizioni furono chieste dalla diocesi di Messina al maestro Branchina. L'op. 140, datata 12.7.1934, Quando Zane/e infi-anse ha il seguente sottotitolo esplicativo: «Lodi popolari in onore della Madonna della Lettera in occasione dell'inaugurazione della Tone al porto di Messina e a Lei dedicata dall'Arcivescovo Mons. Paino Angelo». Per l'ufficiatura in onore della beata Eustochia, recentemente canonizzata dal santo padre Giovanni Paolo li, scrisse tre inni (op. 139) con strofe intennedie uso gregoriano.

L'ultima composizione, scritta dal maestro in questo periodo nel convento dei cappuccini di Randazzo, fu la Messa in onore di San

Giovanni Bosco (op. 143). Edita nel 1938, così viene presentata nel fascicolo che la contiene: «E' stata pubblicata la bella e nuovissima messa in onore di S. Giovanni

Bosco a due voci ciel M 0 D. Pietro Branchina. La composizione del geniale autore, che è ormai universalmente conosciuto, sarà per le Scholae Canrorum [ ... ] assai gradita». Nel 1937 don Pietro Branchina entrava nella congregazione dell'Oratorio dei padri filippini di Acireale, ricoprendo le cariche di direttore dell'istituto San Michele prima e poi quello di padre spirituale presso lo stesso istituto. Anche in questa nuova situazione il n1aestro continuò la sua attività di compositore scrivendo per secondare la sua ricca vena e richiesto da committenti per varie circostanze.

L'op. 153 Molle/lo in onore di S. Agala Vergine e Martire Catanese, per tenore con acco1npagnamento d'organo, fu scritta dal Branchina nel 1938. Fu un omaggio delicatissimo del maestro che in un solo pensiero fuse il ricordo di Catania e di Milano 10 . Con1e nota l'autore in 1nargine all'autografo, il testo del mottetto è desunto dal formulario della messa della santa secondo il rito ambrosiano in uso nella diocesi di Milano. Il mottetto fu dedicato dal Branchina Al Rev. D. Vincenzo Moraschi «Con

JO L'arcivescovo di Siracusa mons. Bignaini, con cui ìl Branchina aveva slretla1nente collaborato, era infatti n1i!ancsc.


Il prevosto P;e1ro Branchina 1nusicista

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affetto». Questi" nel 1942 pubblicò una vivace biografia di mons. Bignami illustrando, nel cap. XII, l'attività dell'arcivescovo tesa all'applicazione nella sua diocesi del già ricordato motu proprio di san Pio X sulla rifonna della n1usica sacra, coadiuvato in ciò - come abbiatno visto - dal tnaestro Branchina. 11 capitolo in questione resta una fonte storica di notevole i1nportanza per il periodo trascorso dal inaestro a Siracusa 12 • Al Bignami il Branchina già aveva dedicato un mottetto scritto a Cefalù durante le settimane gregoriane del 191 O; era il Quam dilecta tabernucula tua (op. 33). L'arcivescovo, accettando la dedica, così scriveva a] maestro: «Il pensiero non poteva essere più gentile, con1e non più indicato il testo [ ... ] il primo pensiero che la Chiesa ci suggerisce per prepararci al Sacrificio! [ ... J. La gran poesia di David [ ... ] ispirata proprio per le effusioni eucaristiche del futuro Testamento! J . . . J». E quando glielo cantarono le orfanelle - scrive il Moraschi - rnalgrado le incertezze della pri1na esecuzione, ne fu intenerito 13. Del giugno 1937 è un Offertorio per organo (op. 149) che reca la seguente dedica: Al 111io vecchio an1ico M 0 J,,orenzo Perosi, Accallen1fr:o d'Italia, con cordiale affetto. Già al fratello di don Lorenzo, maestro Marziano Perosi, il Branchina nel 1924 aveva dedicato un Finale brillante (op.82) per organo o armonio sul tema tratto dal Kyrie della messa gregoriana Cum jubilo. Il brano fu pubblicato nel 1930 ed è un lavoro di notevole rilievo. Un ex dipendente dell'istituto San Michele di Acireale, il sig. Rosario Fasone, ricorda che il Branchina «fu ainico di Lorenzo Perosi, con il quale si sca1nbiavano varie tclefonate» 1-'. Il Perosi stin1ava don Pietro Branchina; a questo proposito ci dà una lestiinonianza iinportante il prof. Sebastiano rnons. Musn1eci che in un suo articolo così scrive: «Nella vasta produzione (del Branchina) nota

11 V. MORASCIII, Un Vesco1 0 11Ji!a11cse siciliano Mons. Luigi Big11an1i Arcirescoro di Siracusa, Ed. Gasparini, Milano 1942. 1

I~ f/Jfd.: 2{)3 e 13

SS.

!hid., 217.

i..i: Il sig. Rosario Fasone per lunghi anni esplicò il cornpito di infenniere presso l'istitulo San Michele di Acireale e fu 1nolto vicino al Branchina che soffriva di diabete. Su n1ia richiesta scrisse un breve profilo del niaestro Branchina.


Salvatore La Spina

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dominante è la sc1nplicità e la perfezione tecnica e armonica, rigorosa e precisa da far esprimere sul suo conto questo giudizio a D. Lorenzo Perosi che noi abbiamo colto dalla bocca del maestro Nino Allegra, un catanese trapiantato a Roma, organista di S. Pietro in Vaticano, quando in uno dei suoi incontri fuggenti (a Perosi non piaceva fer1narsi a conversare) disse del Maestro Branchina: 'E' un bravo musicista che si esprime bene, e capisce bene quello che scrive e come lo scrive'». Lo stesso 1naestro Branchina riferiva a mons. Musmeci che «con profondo godimento dello spirito fece parte del coro nella prima esecuzione dell'oratorio li giudizio universale scritto e diretto dal Perosi con gli a solo di Gigli e della Pedcrzini» 15 • Un'a1nicizia però, da parte del Branchina, scevra da servilis1no o spirito adulatorio nei confronti dcl Perosi, co1npositore affe1mato, direttore della cappella Sistina e accademico d'Italia. In una nota del suo Catechismo n'lusicale il J3ranchina, criticando certi modi di annonizzare il gregoriano, così si esprime: «Ri1nandiamo il lettore ad un esen1pio riportato dalJa rassegna ,gregoriana di Roma a maggio 1902: è l'Ave Maris Stella armonizzalo da Perosi. Con tutto il rispetto al grande Maestro, dichiaria1no sincera1nente che non va qucll'ar1nonizzazione»H'. Anche qui si può ricordare il noto adagio: An1icus Flato, setl 111agis a111ica veritas! Anche in questo periodo il 1nacstro scrisse dei lavori su commissione. Nell'aprile del 1938 scrisse una Canzoncina popolare in onore di S. Bartolomeo (op. 156) per la cattedrale di Lipari. Per la chiesa dei frali 1ninori in Santa Anastasia (Napoli) co1nposc un Responsorio in onore di S. Antonio (op. 158) dedicandolo al maestro Alessandro Gaspe1ini, direttore e organista della cattedrale di Messina. Nel dicembre del 1939, con un concerto tenuto dallo stesso maestro Gasperini, veniva inaugurato nella chiesa dell'Oratorio dei padri filippini di Acireale il nuovo organo lilurgico 17 • Per questa occasione il 111aestro scrisse

1_~

S. MUSMECI, Vi racco111ian10 di P. Bra11chi11a ... , in Il (Ta2::.e11i110 dcl Sud 15

(1988). 16 P. BRANC!IJNA, Per la r(f'onna della n1usica sacra, catechis1110 hturgicon1usicale, in For;Jio i(f.li'cia/e dell'Arcidiocesi di Siracusa dal luglio del 1908 all'ottobre del 1915, don1anda 35. 17 Si tratta dell'organo già ricord<lto all'inizio di questo profilo.


l/ jJrevosto Pietro Branchina n1ush:ista

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il Capriccio per organo (op. 168) manifestando tutta la vivacità del suo estro di compositore. Dopo l'agile e spigliato Capriccio, il pensiero e l'affetto dcl maestro tornarono a 1nons. Bigna1ni e agli anni di fervorosa attività trascorsi a Siracusa; il maestro scrisse infatti il n1ottetto a due voci dispari e organo Dicir !Jominus (op. 169). Nella dedica così leggiamo: «In memoria di Mons. Bignluni, Arch1escovo lii Siracusa, con in1111enso a.ffeflo». Il n1ottetto, ricavato da un testo del breviario a1nbrosiano per la festa di s. An1brogio, venne eseguito per la prima vola a Siracusa dai seminaristi per l'inaugurazione della lapide presso la caltedrale in via Minerva nel ventennio della morte dell'arcivescovo; fu quindi pubblicato nel gennaio dcl 1940 dal periodico S. Ambrogio e dai Quaderni musicali dell'OVE del seminmio arcivescovile di Catania. Per il terzo congresso eucaristico diocesano di Acireale, il 1naestro compose nel 1940 l'Alleluia eucaristico (op. 173), inno ufficiale del medesi1no congresso. Dalla natia Adrano un biglietto, datato 12. 1.1941, perveniva al Branchina. Così vi leggiamo: «Carissimo Maestro, eccole una parte delle parole dell'inno di S. Vincenzo. Sono di Prudenzio, che è dir tutto. Esse la ispireranno ce1tamente e ne verrà fuori qualche cosa di bello, una tra le più belle sue cose. La abbraccio in Gesù Cristo. Pietro». Il maestro scrisse l'inno richiesto in onore dello stesso santo n1artire componendo inoltre tre canzoni in lingua italiana. Tutte le composizioni furono dedicate: Al Rev.1110 Prev. Pietro D. Maccarrone, Parr. cli Adrano - con qffetto. A don Pietro Ciadamidaro venne dedicata un'opera di grande respiro: Le serte parole di Gesù Cristo in croce (op. 190). Sul tema dolente della passione il maestro aveva già meditato, componendo nel 1938, lo Stabat mater (op. 109); sullo stesso tema ritornerà nel febbraio del 1943, rivestendo di note un testo del Metastasio. Si era allora al centro della seconda guerra mondiale: le stragi e la feroce disu111anità che l'accotnpagnavano avranno senz'altro ispirato questa n1editazione 1nusicale del maestro sulle ultime parole del Cristo sulla croce: l'uomo dei dolori che riassume in sé tutte le violenze subite dagli innocenti e dai deboli. La guerra intanto si allontanava da Acireale. Il inaestro con1pose un !11110 popolare a S. Venera \/ergine e Martire (op.195).


Sa/valore La Spina

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l.,'occasione, per cui fu richiesta l'opera, così è annotata dal Branchina in margine all'autografo: «Eseguito nella processione del Simulacro della Santa dalla contrada Pennisi (25.7. 1944) dov'era stato trasportato segretamente di notte in seguito allo stato d'emergenza nel luglio 1943, alla Cattedrale di Acireale». La composizione seguente (op. 196) è un Inno in onore della Madonna della Pace datata 8.8. 1944. Nel 1945 il Branchina ritornava ad Adrano riprendendo, per desiderio del popolo, il suo ministero di prevosto-parroco. Della sua attività musicale di questo periodo, ho trovato soltanto queste composizioni: - Laude a Maria SS. Assunta in cielo (op. 199 · Adrano, 29.5. 1947) per la parrocchia di S. Giovanni Battista di Ragusa. - Litanie in onore di S. Giovanni Battisra (op. 200 · Adrano, I 0.6. 1947). - Inno a Maria SS. Raccon1ant.la!a che si venera in Giar(/ini nel centenario (?) (op. 20 I · Adrano, 11.6. 1947). -Lode a Maria SS. Ausiliarrice (op. 202 · Randazzo, Collegio S. Basilio, 24.9. 1947). - Per la Conversione (/egli erranti, n1ottetto a due voci pari con organo (op. 203 ·Collegio S. Basilio, 1.10.1947). Regina cae/i a due cori pari con organo (op. 204 · Randazzo, 20. I O. 1948). - Tre lodi a S. Giovanni Battista (op. 205 · Randazzo, 15.10.1948) 18 • Nel I 951 l'editrice Libreria Dottrina Cristiana di Torino pubblicava Le sette parole(/; Gesù Cristo in croce,· a quanto risulta, era l'ulli1na pubblicazione del maestro. «Nel febbraio 1953, nel giorno dell'apparizione di Maria SS. a Lourdes il Sac. Branchina - scrive don Salvatore Guzzardi - lasciava serena1nentc questa vita terrena. Devotissi1no della Vergine, ebbe la sorte di avvicinarsi a Lei guidato dalla mano innocente di Bernadette [ ... J e si

18

E' l'ulli1na con1posizione contenuta nel terzo volutne dei n1nnoscrilli autografi e fu chiesta al n1aestro dalle suore battistine di Ro1na. Don Antonino Confalone, già ricordato nel corso di questo profilo, n1i riferiva quest'espressione del Branchina: «Ho can!ato tanti santi: un posto in paradiso me lo devono trovare!».


Il prevosto Pietro Branchh1a n1usicista

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pensa alla fanciulla che vide la Vergine bianco-vestita e al Sacerdote Branchina con lo stesso senso di stupore e di a1n1nirazione» 19 perché lasciava «l'esempio della sua umiltà, in testamento la sua povertà, in dono il suo son·iso aperto di fanciullo» 20 • Se le date, almeno certe volte, possono essere profetiche, bisogna ricordare anche che Pietro Branchina era nato il 26 maggio 1876, giorno della festa di san Filippo Neri, il fondatore della congregazione dell'Oratorio di cui il Branchina fece parte per un periodo della sua vita. S. Filippo Neri è il santo della letizia e della semplicità cristiane", nemico di ogni doppiezza e falsità, sensibilissimo al fascino della musica; colui che scelse il grande Pier Luigi da Palestrina, già suo penitente e discepolo, come maestro di cappella dell'Oratorio romano, e che volle, come si legge nel primo capitolo delle antiche costituzioni della congregazione dell 0ratorio, che i suoi sacerdoti, uniti con i fedeli «si eccitino a conten1plarc le cose celesti per mezzo di arn1onie 1nusicali»22 • Tutta la fisionon1ia del Neri troviamo riflessa nel Branchina che, in suo onore, compose l'ultima sua Messa (op. 182), l'inno dei vespri Pangamus Nerio (op. 160) a quattro voci dispari con organo, l'inno popolare Della fede sull'ali leviamo (op. 175) per coro ad una voce ed organo. La figura e l'attività del maestro Branchina non potevano racchiudersi tra 1nigliori date. Possia1no chiederci ora: chi era Pietro Branchina? Guardandone l'opera e frugando fra le sue carte, la figura del maestro e del sacerdote si declina chiara1nente n1anifestando gli orienta1nenti della sua vita. Don Pietro Branchina fu anzitutto colui che con la sua opera non volle innalzarsi un 1nonumento, ma lavorò esclusivan1ente per la gloria di Dio. Nel primo dei suoi tre volutni 1nanoscritti contenenti 1noltissin1i suoi 1

19 S. GUZZARDI, op. cii. 2 Cfr. Bollettino Ecclesiastico dell'Arcidiocesi di Catania, anno 1953. 21 Cfr. P.J. BACCI, \lita di S. Filippo Nfri Fiore11ti110, Arelino, Ro1na J 622, c. 17, n. 12, scritta per Andrea Brugiolli. Cfr. anche J, H. NEWMAN,Apo/o~ia pro vita sua, Ed. Paoline, Ron1a 1956, 310. 22 A. CAPECELATRO, La \lita di S. Filippo Neri, II, Desclée, Ro1na-Tournay

°

1889', 195.


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lavori, in margine all'op. I, vi sono due brevi espressioni che possono ritenersi program111atiche di tutta l'attività n1usicale del n1aestro: Soli Deo honorf leggia1no nella pri1na; n1cntre un'invocazione sale nel1a seconda:

Deus me adjuver. Nel 1913, nel primo foglio del suo secondo volume dei manoscritti, troviamo ribadito lo stesso proposito: Ad majorem Dei gioriam semperl In una nota 1narginale, posta agli Otto jJezzifacifi JJer organo, così egli annota: «117febbraio1920 fui eletto Prevosto-Panoco di questa città di Adernò, ]']I aprile seguente, Domenica in Albis, presi possesso».Seguono quindi espressioni simili a quelle già viste: !Jon1;,1e, ac~juva 1ne/ On111ia ad n1qjoren1 tua111 glorian1, ho11ore111 et he11eclictione1n. Sacerdote di Dio e pastore di ani1ne,il Branchina visse sercna1nente e fiduciosamente accanto agli uo1nini, condividendone tutte le vicende. In

genere i 1nusicisti di genio sono estrosi, in1prcvedibili nei loro atteggian1enti; il contatto con loro (lo abbiamo già visto in Perosi) non è facile. Non così nel Branchina. Scrive nlons. Sebastiano Musn1eci: «Lo ricordo e 1ni è presente come se fosse oggi, nel suo atteggiamento semplice, di facile con1unicatìva, aperto e disponibile al colloquio, con l'innnancabiJe tabacchiera nelle mani f ... ] vivere la sua vita quotidiana co1ne una persona di poche pretese, senza 1nai abbozzare una qualsiasi posa di personaggio aureolato di una certa rino1nanza nel ca1npo della musica religiosa, non solo in Italia, 1na anche all'estero»D. Giudizio che coincide con quello del Guzzardi che così ne traccia la fisionomia: «Attaccato fino allo scrupolo al suo dovere, fu grande di cuore e di intelletto, nia sen1plice nella vita, fiducioso con tutti e incapace di credere nella perfidia umana. Cultore e con1positore di armonie, tenne posti di responsabilità e seppe accordare la sua generosità naturale con l'oculatezza del Direttore di anime, istradando e accompagnando nelle vie del bene quelle a lui affidate» 24 •

s.

MUSMECJ, op. cii. S. GUZZARDI, op. cit.; il Branchina dedicava parecchio te1npo all'ascolto delle confessioni e alla direzione spirituale delle anin1e. A Ragusa fu direttore spirituale delle suore del S. Cuore fondate da suor Maria Schininà, rccentcn1ente beatificata dal papa Giovanni Paolo II. Il Branchina fu tcstitnone delle sue virti:1 nel processo diocesano. Cfr. V. l\10RASC1ll, op. cit., 204. LI

24


Il prevosto Pietro Branchina 111usicista

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Branchina fu un pastore di anin1e che fece anche il rnusicista. Con1e pastore di anime guardò il mondo che gli stava attorno e le vicende del suo tempo ebbero ripercussioni nel suo cuore. Quando chiesi notizie del maestro Branchina al già ricordato ex dipendente dell'istituto S. Michele di Acireale Rosario Fasone, i suoi occhi si rien1pirono di lacri1ne e per prima cosa 1ni disse ripeluta1nente: «E' un santo[ ... J è un santo[ ... ]». A Ragusa, il I gennaio 1909 scrivendo il mottetto per due voci uguali e organo (op. 31) Libera n1e Don1ine, vi poneva in n1argine la seguente nota: «Terribile terremoto del 28 dicembre 1908! !!». Don Pietro Branchina visse il dramn1atico periodo delle due guerre niondiali avvertendo una profonda ripugnanza per quei tren1endi eventi. Nel manoscritto della messa Regina Pacis, sotto la data: Adernò 1916, il n1aestro annotava:«1nentre ferve la guerra europea! ... l». Le con1posizioni scritte durante quel periodo bellico sono acco1npagnate frequenten1ente da note personali dell'autore che esprin1ono la sua sofferenza per il te1Tibile evento. Ne riportÌa1no qualcuna: ~Nel più fitto della guerra europea ... - Continua la guerra disastrosa ... usqucquo? ... - Segue più feroce la guena ... In margine al salmo Laudate pueri (op. 70.c - Adrano, marzo 1918) così egli annota: «La guerra continua senza misericordia». Altrove trovian10: «La gue1Ta continua scn1pre più accanita!! I ... ] Domine, libera nos! [ ... ]Miserere! ... ». Con sollievo e gratitudine il niaestro annota accanto alle Lodi a Maria Immacolata (op. 48): «Ragusa 6.5.1919, ritornato qui il 12.3. scorso, fir1nato J'arn1istizio tra l'Italia e Austria lo scorso 4 noven1bre. Gratias Deo». In margine al Piccolo Graduale (op. 192 - Adrano, 5.7.1943) trovian10 la seguente nota: «Spedito a Carrara il 5.7.1943, cioè le bozze corrette, 1na non ho saputo altro a causa dell'in1n1ane guerra 1nondiale che tutto distrugge con1e un vorticoso uragano e fin oggi continua inesorabile per la durezza di cuore dei Tedeschi. 2/3 d'Italia è liberata, ma l'altra zona è ancora occupata. Quindi sospesa ogni con1unicazione postale telegrafica e telefonica. Regina Pacis, ora pro nobis!».


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Sensibile ai drammi dell'uomo, il Branchina amò anche un cordiale rapporto con chi veniva a contatto con lui. Scrive mons. Sebastiano Mus1neci: «I colloqui con lui - 111aestro di larga esperienza tecnica e un1ana ~erano sen1pre i1nprontati a cordialità ricca di humor [ ... ]» 25 e, possiamo aggiungere, di benevola comprensione. Un episodio riferisce nel suo scritto il sig. Rosario Fasone, che ha il sapore di un fioretto francescano. Lo riporto con le parole testuali del suo autore: «Padre Branchina era una persona meravigliosa, infatti era apprezzato da tutti; sapeva se1npre perdonare; per fare un ese1npio, in collegio 26 vi era un

cameriere che serviva gli ammalati a letto di nome Paolo Valastro. Un giorno, portando il pranzo al preside P. Salvatore Ragonesi, Padre Branchina Io sorprese mentre si beveva il vino nella bottiglia. Chiamatomi mi disse: 'Chiamate don Paolo e fatelo venire da me e venite anche voi'. Entrando il Padre ci disse: 'Sedetevi, vi devo parlare. Chi di voi ha pranzato?' Io risposi: 'Io no'. 'E voi, don Paolo?' chiese Don Branchina. 'Io si '- rispose don Paolo. 'Vi piace il vino?' 'Vera1nente quando mangio, sì'. 'Giacché è così, vi faccio un regalo, riempitevi le tasche di caramelle, prendetele voi; don Saro prenda pure quelle che vuole'. Dopo di che disse ancora a don Paolo: 'Non andate, vi devo dare un biglietto da dare a p. Gambino e poi lo passate a don Federico l'economo, che da domani, per tutto il tempo che rimarrete in collegio, avrete un bicchiere di vino che don Federico a parte ve Io darà, a condizione di non bere altro vino. Così siete da mc perdonato'». Vorrei concludere questo profilo del maestro don Pietro Branchina facendolo parlare attraverso una sua lettera 27 • Il Branchina, rispondendo ad un se1ninarista di Siracusa che a non1e dell'arcivescovo gli sollecitava una composizione per un concerto di campane, composizione che tardava ad

S. MUSMECI, art. cii. Si tratta dcl collegio S. Michele di Acireale di cui il Branchina era direttore. 27 Si con.serva nell'archivio 1nu.sicale del sen1inario arcivescovile di Catania tra gli autografi del maestro. 25

26


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arrivare a destinazione, così scriveva: «Sia lodato Gesù Cristo. Carissi1no Liggcri, Ritardo! [ ... ]. Ma la colpa è tutta vostra, del Rettore e anche dell'Arcivescovo. Quand'ero costì, avreste dovuto legar1ni per un piede e lascianni fino a che non avrei con1pletato i saputi concerti. Qui il ten1po 1ni manca! [ ... J questa è la verità. Bisognerebbe sapere le condizioni speciali di lavoro che richiede questa vasta Parrocchia, per farvi un'idea della n1ia condizione. Dunque non 1ni è 111ancata la volontà, n1a, ripeto il ten1po. Ad ogni 1nodo la vostra lettera ha cavato qualche effetto. Vi acchiudo un prin10 concerto per il mezzogion10. Ho voluto notare il metronomo per la portata del tempo: tale concerto dovrà durare un 1ninuto preciso. Bastano due chierici che sappiano di musica per l'esecuzione. Se l'esecuzione sarà precisa, co1nc io ho segnato, l'effetto sarà soc!di~jàcente, perché il concerto di tali ca1npane è ottin10, checché ne dicano i Siracusani. Vi avverto: prin1a di eseguirlo sulle campane, eseguitelo ripetutamente, sul piano fino quasi a cacciarlo a n1emoria; indc fate due partine (una per ciascuno dci chierici), e senz'altro l'eseguirete sulle can1pane, dopo, si capisce, d'aver recitato un pater alla gloriosa S. Lucia. Dopo tre o quattro esecuzioni, pregavi informarmi dell'esito, con tutti i suoi particolari. Adernò, 6.3.1927 D. Pietro Branchina parroco».



CRONACA DELL'ISTITUTO

I. Assemblea dei soci Giovedì 7 marzo 1991 alle ore 18 si è riunita, a norma dello statuto, l'assemblea dei soci nella sede dell'Istituto. In tale seduta è stato presentato il resoconto delle allività del 1990 ed è stato approvato il bilancio consuntivo 1990; quindi, si è passato alla programmazione delle attività del 1991/1992 e all'approvazione del bilancio preventivo 1991.

2. Tavola rotonda: «Quali assetti JJO!itico-istituzionali in Italia?»

Il 19 febbraio 1991 alle ore 16,30 ha avuto luogo, nell'Aula magna del Palazzo delle Scienze dell'Università di Catania, una tavola rotonda sul tema: «Quali assetti politico-istituzionali in Italia?», organizzala dal nostro Istituto. Introdotta dal saluto del presidente del nostro Istituto, mons. prof. Salvatore Consoli, è stata moderata dal prof. Antonino Mirane, dell'Università di Catania, il quale ha posto il problema fondamentale del rapporto tra istituzione e cittadino. Ha quindi preso la parola il primo relatore, p. Enrico Di Rovasenda, già segretario della Pontificia Accademia delle Scienze, che con chiarezza ha individualo il problema etico fondamentale sotteso alle questioni politico-istituzionali. L'esigenza cli razionalità deve sostenere e guidare il processo legislativo e l'esercizio del potere. Il relatore ha indicato alcuni ambiti in cui questa dinamica etica trova oggi in modo particolare terreno di confronto, in particolare quello della


Cronaca dell'istituto

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libertà della cultura oggi gravc1nente 1ninacciata dai 1nonopoli editoriali dei grandi gruppi economici. Il prof. Antonino Coca, della Facoltà cli Lettere dell'Università cli Catania, ha svolto un'accurata analisi dci processi di mutazione che la

società italiana ha subito negli ultimi decenni. Di fronte a questi grandi fenorneni ha auspicato, da una parte, una ristrutturazione della politica in

funzione sociale e, clall'altra, una forte ripresa cli una "Europa della cultura".

li prof. Enzo Sciacca, della Facoltà cli Scienze Politiche dell'Università di Catania, dopo un attento esame storico del dibattito politico che ha accon1pagnato la stesura delle grandi costituzioni europee

ciel secolo, ha indicato i tre nodi in cui si gioca la possibilità del rinnovan1cnto istituzionale: la considerazione della democrazia non solo co1ne sistc1na politico, ma anche come un'etica che impone il rispetto della personalità dell'uon10; il potenzia1nento dcl siste1na di autono1nie previste dalla costituzione, affinché il rapporto Stato~società sia orientato a favore del pluralisn10 sociale; la volontà di sottrarre l'in1pegno politico dalla sua attuale ''professionalizzazione".

Un interessante dibattilo ha fatto seguito alle suggestioni date dai relatori.

3. Presentazione del volume del prof Attilio Gangemi

Giovedì 21 febbraio 1991, presso la sala delle conferenze del se1ninario arcivescovile di Catania, alla presenza dei vescovi n1ons. Luigi

Bommarito e mons. Giuseppe Malandrino, di mons. Salvatore Di Cristina, preside della Facoltà Teologica di Sicilia, di mons. Salvatore Consoli, preside dello Studio Teologico S. Paolo di Catania, di numerosi docenti e alunni dello Studio Teologico S. Paolo, il p. lgnace De La Pottcrie s.j., del Pontificio Istituto Biblico di Roma, insigne esegeta di fama mondiale, ha presentato il secondo volume dell'opera, prevista in quattro tomi), del prof. Attilio Gangemi, docente di Sacra Scrittura allo Studio Teologico S. Paolo, su l racconti post-pasquali nel \!angelo di S. Giovanni. Il. Gesù appare ai discepoli (Gv 20, 19-31), Galatea, Acireale 1990.


Cronaca dell'istituto

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P. De La Pollerie, dopo avere fatto un breve eenno alla storia della grande tt·adizione ecclesiale dei eommentari biblici, sulla cui scia si colloca il commentario del prof. Gangemi per la sua profonda portata spirituale caratteristica per altro dei commentari antichi ed autorevoli dei Padri -, elogia il lavoro per la serietà con cui è stato portato a termine, segno evidente di uno studio impegnativo fatto con amore e simile al lavoro di un "certosino" per l'analisi 1ninuziosa e precisa del testo. Il metodo adoperato, di tipo sincronico, ha determinato una scelta metodologica di grandissima importanza che caratterizza tutta l'opera e permette all'autore di cogliere, in una unità straordinaria, il senso non solo del testo giovanneo, ma anche di tutta la Scrittura, consentendogli di spaziare con riferimenti dall'Antico al Nuovo Testamento. Il con11nentario, quindi, presenta una ricchezza straordinaria di

riflessioni esegetiche-spirituali in un quadro liturgico-sacramentaleecclesiale. Nel volume si coglie, osserva ancora l'esimio esegeta, il grande merito di far parlare la Scrittura nel suo 1nisterioso e ricco patri1nonio storico-salvifico. Molti sono stati gli aspetti considerati originali, competenti e ricchi di conclusioni stt·aordinarie che lasciano spazio alla meraviglia, al dialogo, al dibattito. L'incontro si è concluso con l'intervento del prof. Gangemi che, presentando i criteri necessari ed indispensabili per un vero accostamento alla Sacra Scrittura, cioè la preghiera, la docilità allo Spirito, vero autore del libro sacro, e la certezza di una persona viva dietro le parole della Scrittura, ha riconosciuto in De La Potterie un suo «tnaestro» che, oltre a

donargli la precisione metodologica, gli ha anche insegnato ad incontt·are e ad amare la persona viva che sta dietro la parole della Scrittura: il Risorto.

4. Convegno di studi: «La terra e l'uomo: /'ambiente e le scelle della ragione» Nei giorni 9-10 maggio 1991 a Catania presso la Cittadella Universitaria, nell'Aula magna del Dipartimento di Matematica, si è svolto l'annuale convegno di studi sul tema: «La terra e l'uo1no: l'an1biente e le scelte della ragione», promosso in collaborazione fra lo Studio Teologico


344

Cronaca dc/l'istituto

S. Paolo (di recente divenuto Facoltà Teologica), le Facoltà di Lettere e Filosofia e di Scienze M.F.N. dell'Università di Catania e il nostro Istituto. Il convegno è stato caratterizzato dall'approccio interdisciplinare alla probJe1natica ecologica; teologia, filosofia, e scienza si sono confrontate

mettendo in luce la responsabilità dell'uomo nei confronti della natura e J'in1portanza di una atteggia1nento profonda1nente etico nei suoi riguardi. Hanno presieduto all'inaugurazione del convegno il prof. Salvatore Consoli, preside dello Studio Teologico S. Paolo e il prof. Carmelo Mammana, della Facoltà di Scienze M.F.N. dell'Università di Catania. Il convegno è stato aperto dal prof. Salvatore Privitera, docente di Teologia morale alla Facoltà Teologica di Sicilia a Palermo e al S. Paolo di Catania, il quale ha tenuto una relazione sul tema: «Il problema dell'ambiente. Per un dialogo transculturale della f'ede nella creazione». L,a relazione è stata seguita da due co1nu11icazioni. La prima del prof. Raimondo Frattallonc, docente di Teologia morale allo Studio Teologico S. Tommaso di Messina e al S. Paolo di Catania, su: «L'ambivalenza etica del rapporto uo1no-a1nbiente»; la seconda del prof. Francesco Coniglione, ricercalore alla Facoltà di Magistero dell'Università di Catania, su: «Episte1nologia ed ecologia: verso un nuovo modello conoscitivo?». I lavori della seconda giornata del convegno nelJa n1attinata sono

stati aperti con la relazione del prof. Giovanni Costa, docente di Etologia nella Facoltà di Scienze M.F.N. dell'Università di Catania, sul ten1a: «Tra l'uon10 e anin1ale: abisso o continuu1n?». Sono seguite tre con1unicazioni.

11 prof. Salvatore Comes, dell'Istituto di Disegno industriale all'Università di Palcr1110, ha trattato il teina: «Quale uon10, quale città? Nuovi rapporti dell'uon10 tecnologico con il suo corpo e il suo habitat».

li doli. Salvatore Galasso, pediatra, ha parlato de «Il bambino, speranza del inondo nuovo».

II prof. Luigi La Via, docente di Estetica nella Facoltà di Magistero dell'Università di Catania, ha trattalo la «Nostalgia dei valori nelle in1n1agini».

E' seguito, inrine, un interessante dibattito. Nel pomeriggio del lO maggio i lavori sono stati ripresi con la relazione dcl prof. Giuseppe Pezzino, docente di Filosofia morale nella


Cronaca del /'ist itlllo

345

Facoltà di Lettere e Filosofia, il quale ha proposto il tema: «La crisi dell'etica antropocentrica e le nuove dimensioni della responsabilità verso la natura».

Sono seguite due comunicazioni. La prima del prof. Salvatore Latora, docente di Filosofia nei Licei e nello Studio Teologico S. Paolo, su: «Phys;s e téchne ne1la interpretazione heideggeriana di Aristotele». La seconda del prof. Michele Pennisi, docente di Teologia dogmatica nello Studio Teologico S. Paolo, sul tema: «Sturzo ecologista'?». I lavori del convegno sono stati conclusi dal prof. Maurizio Aliotta, docente di Teologia dogmatica nello Studio Teologico S. Paolo, il quale ha delineato un progra1nn1a di ricerca interdisciplinare da affidare ai centri accademici che hanno organizzato il convegno, nella consapevolezza della fecondità della collaborazione tra di loro nello studio di una questione così vitale per l'uomo oggi. 5. Pubblicazioni

Il nostro Istituto ha curato le seguenti pubblicazioni: I. Synaxis \/lll: nel mese dì dicembre 1990 è stato pubblicato il n. Vlll di Sinaxis, annuale dell'Istituto. Il volume, composto di 300 pagine, con1prende 11 contributi e ricerche di natura storica, filosofica, teologica, riguardanti anche personalità e fatti della nostra isola. 2. Quaderni (/i Synaxis 11. 8: AA.Vv., «Oltre la crisi della ragione. Itinerari della.filosofia contemporanea», Galatea, Acireale 1991. Il volume, composto di 168 pagine, contiene gli Atti del convegno di studi che l'Istituto ha celebrato insieme allo Studio Teologico S. Paolo e all'Università degli Studi di Catania il 24-25 maggio 1990.

GIAMBATTtSTA RAPISARDA Segretario dell'Istituto



INDICE

PRESENTAZIONE (Salvatore Consoli) .

5

L'INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA MORALE NEL l'OSTCONCILIO (!Fan Peri)

I. Carallcristichc preconciliari dell'insegnai11ento della teologia n1orale II. Gli oricntan1cnti di fondo del Vaticano II

8 10

III. Le indicazioni dcl Vaticano II per l'insegnan1ento de!la teologia

11

IV. L'insegnainento della teologia 1nora!c nei docu1ncnti dc! postconcilio

20

LA FONDAZIONE METAFISICA DELL'ETICA NELLA SUMMA TEOLOGICA DI SAN TOMMASO D'AQUINO (Francesco \lentorino) I. Attualità della questione

25

2. E1npirisn10 e razionalis1no

27

3. Bene ontologico e bene 1noralc

33

4.

Moralil~

e felicilà

35

S. Felicità e visione di Dio

40

6. Felicità e vita presente

42

7. Il paradosso etico

43

8. Paradosso umano e fede cristianu

46

9. Legge naturale e destinazione soprannaturale dell'uo1no

51


348

Indice

IL FONDAMENTO DEL RAPPORTO EDUCATIVO NEL "DE MAGISTRO" DI TOMMASO D'AQUINO (Piero Sapienza)

Introduzione.

55

1. Gli interrogativi sulla possibilità dell'insegnainento .

57

2. La rivalutazione dell'opera educativa

61

3. Impossibilità dell'autodidattica

64

4. Il dinan1ismo nel rapporto inter-personale tra maestro e discepolo

66

5. L'educazione alla vita n1orale

68

6. Il recupero dcl linguaggio con1e 1nediazione educativa

70

7. L'educazione co1ne arte

73

8. Rilievi conclusivi

74

V AILATI, JUV ALTA E I PROBLEMI DEI FONDAMENTI DELLA MORALE: LA RECENSIONE DI V AILATI A "PROLEGOMENI A UNA MORALE

DISTINTA DALLA METAFISICA" (A11to11i110 Crinulfdi)

77

IL TEMA DELLA GIUSTIZIA E L'IDEA DEL BENE NELLA REPUBBLICA

PLATONICA (Enrico Piscione) Introduzione

1. Le parli dell'anin1a e lo Stato 2. La giustizia come la caratteristica «più propria» dell'anima 3. Gli aspelti etico-n1etafisici dell'idea del Bene Osservazioni conclusive

97 99 101 103

!05

'TORNINO I VOLTI". IL PRIMATO DELL'ETICA SECONDO BERTI,

MANCINI E LÉVINAS (Sah'tllore Latora)

!09

LERELAZ!ONl "ADLIMJNA» DELLA DIOCESI DI CATANIA (1730-1751) (Ado(j(J LonRhitano)

1. I successori di Andrea Riggio

127

2. 11 vescovo Pielro Galletti

129

3. Il governo pastorale del vescovo CJ-allctti

134

4. Le relazioni <{ud lìtnina» dcl vescovo Galletti

162

Testo tradotto delle relazioni «ad liinina»

165

Testo originale delle relazioni «ad li1nina>J

239


Indice

349

UNA FONTE BIBLIOGRAFICA INDISPENSABILE: LA "RIVISTA DI AUTOFORMAZIONE". Elenco di tutti gli articoli (Salvatore Latora)

289

DANIEL HALÉVY. STORIA POLITICA E "ACCÉLÉRATION DE L'HISTORTE" (Antonio Coco)

299

IL PREVOSTO PIETRO BRANCHJNA MUSICISTA (Sah•a/ore Lo Spina)

321

CRONACA DELL'ISTITUTO (Gia111battisto Rapisarda)

341



FINITO D! STAMf'AHF. NEL MESE D1DICEMBRE1'19! DALLA TIPOLITOGRAFIA GALATEA Di GAETANO lvlAUGERI FDJ rORE VIA l'!EMONTE. 84 - ACIREALE FOTOCOMPOSJLJONE SSG AClREAJJC



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