Nuova serie - Xll/2 - 1994
STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO & ISTITUTO PER LA DOCUMENTAZIONE ELA RICERCA S. PAOLO CATANIA
Proprietà letteraria riservala
jòt oco111posizione SSC - studio sisir.1ui grafici Acifcalc
strunpu Tipo!irografia Galatea di Cnt'ta110 ;\ilaugf'ri & C . .s.a.s. Via Picrno11tc 84 - Acin'òalt>
INDICE
QUESTIONE O ANSIETÀ DEMOGRAFICA'? ALCUNE RIFLESSIONI IN MARGINE ALLA CONFERENZA DEL CAIRO (Maria Luisa Di Pietro)
Pre1nessa l. Il co1nplotto contro la vita 2. Questione o ansietà de1nografica? 3. Dal do1ninio politico all'educa7.ione dci coniugi alla procreazione responsabile Considerazioni conclusive
299 30 I 313 318 323
PRESUPPOSTI TEOLOGICI E ANTROPOLOGICI PER UNA EDUCAZIONE CRISTIANA IN MARIO STURZO (Pasquale Buscemi)
Pre1nessa 1. La persona u1nana nel pensiero di M. Sturzo 2. La di1nensione sociale della vita utnana 3. 11 carallere individuale dell 'uoino 4. L'esistenza dcll'uo1no in rifcrirnento a Dio 5. L'educazione co1nc scienza della vita e il co1npìto del l'educatore 6. L'educazione 1norale-religiosa 7. n co1npito dcll 'educatorc nel processo cducalivo. 8. La responsabilità dell'educatore nei confronti dell'educando e della società 9. Gli aspetti negativi legati all'attività dell'educatore 10. L'educatore è come un sisteina 11. Definizione dell'educazione. 12. L'educazione e la morale Conclusione
325 328 330 331 332 333 335 338 339 340 343 344 346 348
LE RELAZIONI "AD LIMINA" DELLA DIOCESI DI CATANIA - 1807) (Adolfo Loughitano)
(I 779
1. li vescovo Corrado Maria Deodalo 2. li proget\o pastorale 3. Le relazioni "ad Jln1ina" del vescovo Deodata 4. Jl giudizio degli storici sul Deodato Testo tradotto delle relazioni "ad li1nina" . Testo originale delle relazioni "ad li1nina"
351 359 379 380
383 415
LA TEORIA ERMENEUTICA DI PAUL RICOEUR FRA INTERPRETAZIONE E SIMBOLO (Fn111cesco Venrorino) Pre1nessa 1. Enneneutica e sin1bolo 2. Interpretazione come ascolto e interpretazione co1ne sospetto 3. Orizzonte della fede e pensiero riflessivo 4. Decisione filosofica e li gore scientificQ 5. Osservazioni finali
437 439 446 453 457 462
EDITH STEIN INTERPRETE DI HEIDEGGER (Antonino Crimoldi)
Introduzione 1. Il rapporto di Edith Siein e di Heidegger con la fenomenologia di HusscrJ 2. Possibilità e limiti della filosofia esistenziale heideggeriana secondo Edith Stein 3. Attualità dell'interpretazione steiniana.
467 476 492 506
FONDAMENTI ANTROPOLOGICI DELL'IMMORTALITÀ UMANA E DELL'ESCHATON CRISTIANO IN G. MARCEL (Enrico Piscione) Premessa l. La comunione come "negazione attiva deIIa morte" 2. La fedeltà nell'opera teatrale 3. La storia del XX secolo e la dimensione escatologica
513 515 521 527
NOTE E COMMENTI
533
NOTIZIARIO DELLO STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO.
537
PRESENTAZIONI
M.
ALIOITA,
S. LATORA,
Donna uon10. Per un'etica della sessualità (Mario Cascane)
La filosofia in Europa. Età 1noderna (Enrico Piscione)
543 546
RECENSIONI I. SCHINELLA, la faida di Dio (Maurizio Aliotta) Vescovi e regione in cento anni di storia (1892-1992). Raccolta di testi della Conferenza Episcopale Pugliese , a cura di Salvatore Palese e Francesco Sportelli (Gaetano Zito) E. GJLSDN, Costanti filosofiche dell'essere, a cura di Roberto Diodato (Francesco Capodanno)
549
552 556
Synaxis 12 (1994) 299-324
QUESTIONE O ANS!EfA' DEMOGRAFICA? ALCUNER!f<LESSIONI IN MARGINE ALLA Q)NffiRENZADEL CAIRO
MARIA LUISA DI PIETRO'
Pre1nessa
La questione demografica è stata nel corso di questi ultimi mesi al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica in quanto argomento di discussione e dibattito nell'ambito della III Conferenza Internazionale su Popolazione e sviluppo, svoltasi al Cairo dal 5 al 13 settembre di questo anno. Facendo seguito alle precedenti Conferenze del 1974, a Bucarest, e del 1984, a Città del Messico, la Conferenza del Cairo si poneva come obiettivo anche di analizzare la situazione dei Paesi sia industrializzati che in via di sviluppo e di valutare le possibilità di promozione di questi ultimi. Preceduta da una vasta e faziosa campagna di informazione, incentrata prevalentemente sul problema della sovrappopolazione e sulla scarsità delle risorse terrestri, la Conferenza del Cairo ha, invece, fatto propria la teo1ia di "una Terra troppo piena" e della "necessità di contenere, con qualsiasi mezzo, le nascite", trascurando in parte il problema del reale sviluppo dei popoli più poveri. Si noterà, per esempio, - scrive Giovanni Paolo Il nella Lettera inviata ai capi di Stato, a commento della bozza di documento preparato in vista della Conferenza del Cairo - che il tema dello sviluppo, iscritto all'ordine del giorno de Il Cairo, con la problematica
* Docente invitata nello Studio Teologico S. Paolo di Catania.
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Maria Luisa Di Pietro
molto complessa del rapporto tra popolazione e sviluppo che dovrebbe costituire il cuore del dibattito, passa invece quasi inosservato, tanto ridotto è il numero delle pagine ad esso dedicate. L'unica risposta alla questione demografica e alle sfide poste dallo sviluppo integrale della persona e della società sembra ridursi alla promozione di uno stile di vita le cui conseguenze, se esso fosse accettato come modello e piano di azione per l'avvenire, potrebbero rivelarsi particolarmente negative'. Tale impostazione del problema non ha subìto, come già detto, variazioni sostanziali neanche durante la Conferenza: d'altra parte non poteva essere diversamente se guardiamo alla storia di questi ultimi decenni, alle manovre - talora illecite - da parte degli Stati per tutelare i propri interessi economici e politici, alla oramai diffusa psicosi da sovrappopolazione. E tra le cause di tale psicosi vi è stata senz'altro la cattiva informazione da parte dei mass-media: dalle pagine dei giornali o dal video della televisione voci allarmate hanno bombardato il mondo di notizie sempre più sensazionali, ma sempre n1eno veritiere.
A chi riferiva che la popolazione mondiale sarebbe stata nel 2050 pari a 8 miliardi, faceva eco chi ne prevedeva ben 11 miliardi nel 2025 e 21 miliardi nel 2050, prospettando scenari di povertà estrema - ai limiti della sopravvivenza - per tutti gli abitanti del pianeta. E' questa la realtà? Ha ragione chi sostiene che la fine del pianeta Terra è vicina se non si limita la crescita della popolazione? O dietro questa visione catastrofista non si nasconde, invece, l'interesse egoistico dei Paesi ricchi? E, ammesso che esista il problema della sovrappopolazione, con quali mezzi va affrontato?
1 GIOVANNI PAOLO
Il, leuera Pontificia ai Capi di Stato,
riportato in Medicina e Morale 3 (1994) 524.
19 rnarzo 1994,
Questione o ansietà demografica?
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l. Il complotto contro la vita
Le evoluzioni demografiche. Le varianti che possono modificare la composizione quantitativa e qualitativa di una popolazione sono due: le nascite e le morti; se si fa riferimento ad ogni singolo Stato. si può considerare anche una terza variabile, cioè il flusso migratorio da e per il Paese preso in esame. Se, quindi, una popolazione aumenta numericamente, le cause possono essere sia l'incremento delle nascite che la riduzione dei decessi a seguito dell'aumento della vita media: è quanto è avvenuto sul nostro Pianeta, abitato, secondo stime del 1993, da più di 5 .506.000.000 persone, con un incremento pari a 1 miliardo e mezzo nell'arco di venti anni (dal 1973 al 1993). La percentuale di incremento annuo, che è stata negli anni 1970-73 pari a 2,06%, si è però ridotta a 1,6% nel 1993, per cui, pur essendo possibile una crescita annua ancora elevata pari a circa 90 milioni di abitanti in più, vi è senza dubbio la tendenza ad un calo progressivo con una stabilizzazione (nascite pari ai decessi) - prevista per la fine del sec. XXI - attorno agli 11 miliardi di abitanti'. li miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e del livello di vita, una buona produzione alimentare, la messa in atto di politiche più efficaci, hanno portato alla riduzione della mortalità infantile e materna e all'aumento dell'aspettativa di vita degli adulti. Cinque miliardi e mezzo è, però, un dato globale, che non dice molto sulle situazioni regionali e non fa comprendere nel!' arco di quanto tempo 'e con quali modalità si sia arrivati a tale cifra. Bisogna, infatti, notare che non tutti i Paesi vanno incontro alle stesse trasformazioni demografiche. Vi sono Paesi, ad esempio, in cui si è verificato, negli ultimi anni, un notevole declino delle nascite che, associato all'aumento della
2 POPULATION REFERENCE BUREAU, Wor{d Popufation Data Sheel, Washington 1993. Vedi anche l'interessante articolo di P. LAURENT, La popolazione 111011dia/e da Bucarest ( 1974) al Cairo (1994), in La Civiltà Cattolica 3445 (1994) 36-44.
Maria Luisa Di Pietro
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vita media, sta portando ad un graduale invecchiamento della popolazione. Basti pensare, ad esempio, alla situazione italiana: nell'anno 1986 si è arrivati, nel nostro Paese, a crescita zero, ovvero, dopo aver raggiunto e superato i 57 milioni, gli italiani hanno iniziato a diminuire. Infatti, gli indici di fecondità, in aumento dal 1960 al 1965 - gli anni del cosiddetto baby-boom - hanno registrato un forte calo nella seconda metà degli anni '70, passando da 2,66 del 1965 a 2,20 del 1975 per scendere da 1,66 nel l 980, a 1,41 nel 1985, a 1,29 nel 1987 e, infine, a 1,2 nel 1993 3 Tradotto in cifre, questo vuol dire che, mentre nel 1965, in Italia, sono nati 1.017 .900 bambini, nel 1977 ne sono nati 800.000, nel 1979 700.000, nel 1984 600.000, e nel 1989 solo 567.000 4 • E adesso la situazione è tale che l'Italia si trova ad un tasso di fecondità inferiore di circa il 40% a quello che assicurerebbe il rimpiazzo generazionale. Una situazione sovrapponibile si verifica in altri Paesi europei ed è difficile prevedere che cosa potrà accadere nel futuro: vengono avanzate alcune ipotesi. Si dice, ad esempio, che se in Europa i livelli di fecondità si mantenessero ai tassi attuali, vi saranno nel 2020 13 milioni di abitanti in meno e la popolazione europea costituirà il 3% di quella mondiale contro lattuale 6%; mentre in Italia vi sarà - tra venti anni - una riduzione dell'attuale popolazione al di sotto dei 50.000.000 abitanti con una radicale trasformazione della composizione per cui si avranno 6 giovani con meno di 20 anni per ogni I O persone con più di 60 anni.
3
Sull'argomento, vedi l'analisi dettagliata di G. DE ROSA, li Paese del n1ondo in cui si nasce di 1neno, in La Civiltà Cattolica 3326 (1989) 178-186. 1 ' Vedi anche, per l'Italia e gli altri Paesi europei: P. LAURENT, Il calo de1nografico dell'Europa coniunitaria, in La Civiltà Cattolica 3353 (1990) 468-478; G.C. BLANGIARDO, Il problen1a della denatalità in Italia: intensità, conseguenze, proposte di intervento, in P. DONATI (a cura di), Secondo Rapporto sulla fan1iglia Ùl Italia, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1991, 156ss.; CONSIGLIO d'EUROPA, Evolution dén1ographique récente dans !es Etats 1nen1bres du Conseil de l'Europe, Strasburgo 1990, 109.
___________ S21A~ti'2ne_D_ll/':Siet_à_d_e11_~[j_rf1Jica_?________ _3_(l3 Ma se in Italia si verificasse, invece, un ulteriore declino della fecondità sì da arrivare a l,O figli per donna, fra 40 anni la popolazione italiana scenderebbe a circa 40.000.000 e si avrebbero solo 10 nascite ogni 50 decessi. Come ultima ipotesi viene avanzata quella della ripresa della natalità: allo stato attuale questa terza ipotesi sembra, però, irrealizzabile dal momento che, dopo la lieve ripresa della natalità nel 1988 - l'indice di fecondità era risalito a 1,4 rispetto a 1,35 dell'anno precedente - si è toccato il minimo storico (1,2) nel 1992, ben lontano dal 2,1 necessario perché si possa parlare di inversione di tendenza. Il declino della natalità nei Paesi industrializzati viene valutato in modo diverso: alcuni demografi ritengono che questa situazione sia la conseguenza di una tendenziale ma immotivata riduzione della popolazione risalente alla metà del 19° secolo; altri lo considerano, invece, come un fenomeno nuovo che si ricollega alla rivoluzione intervenuta nel nostro tempo nel modo di vivere e nei valori esistenziali, sulla quale ciascuno tende a privilegiare la realizzazione delle proprie aspirazioni personali piuttosto che la vita di coppia e familiare. Credo, però, che non sia da sottovalutare la martellante campagna antinatalista che, a partire dagli anni '50, ha plagiato l'opinione pubblica, terrorizzandola con cifre allarmanti sulla discrepanza tra aumento della popolazione ed ampiezza dello spazio abitabile e coltivabile ed invitandola, anche, a dare "il buon esempio": «Ai Paesi ricchi - scrive Schooyans, riferendo di tali strategie "culturali" - si dovrà far capire che, se vogliono mantenere e migliorare il loro livello di vita, devono stabilizzare spontaneamente la popolazione, dando con ciò l'esempio ai Paesi poveri. A questi ultimi si spiegherà che un tasso elevato di crescita demografica è un ostacolo decisivo al decollo»'. Diversa è, invece, la tendenza nei Paesi in via di sviluppo, ove si è assistito ad una rapida crescita demografica: il tasso di crescita della
5 M. SCHOOY ANS, Aborto e politica, Libreria Ed. Vaticana, Città del Vaticano 1991, \34.
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Maria Luisa Di Pietro
popolazione è aumentato nel complesso dal]' l ,44% circa nel decennio 1940-50 al 2,38% nel 1970 al 3% negli anni '80. In qualche caso, come ad esempio, il Kenya, la crescita della popolazione è stata stimata pari al 4% per anno attorno al 1980 con un tempo di raddoppio della popolazione pari a l7 anni. Il tasso medio di fecondità nei Paesi in via di sviluppo sarebbe di 3,9 figli/donna con un minimo di 2,7 nell'Asia Orientale e un massimo di 6,2 in Africa6 . Ma, anche in questo caso, si tratta di dati che consentono solo una stima globale della situazione, non tenendo conto dell'estensione del territorio e della non omogenea distribuzione della popolazione nella regione considerata: a fronte dei centri urbani sovrappopolati vi sono, infatti, vaste zone disabitate. Inoltre, non è da sottacere che spesso si tratta di dati falsati, come altrettanto aleatorie sono le previsioni per il futuro. Basti pensare al ben noto "caso Nigeria". A metà del 1991, secondo il Population Reference Bureau, i nigeriani erano 122.500.000, mentre secondo l'agenzia Populi nel 1990 erano 117 mi !ioni e se ne prevedevano, per il 2040, 622.000.000. Per l'Enciclopedia Britannica, invece, la Nigeria aveva, nel 1990, 119.812.000 abitanti. Secondo il censimento del 1992, eseguito previa chiusura per tre giorni delle frontiere allo scopo di non falsare i dati, la Nigeria era abitata solo da 88.500.000 persone: i dati del Population Reference Bureau davano, allora, una sopravvalutazione di ben 34 milioni di unità 7• La causa di questa crescita della popolazione nei Paesi in via di sviluppo sarebbe da attribuire - secondo i demografi - all'elevato tasso di fecondità, più alto se rapportato a quello dei Paesi
6 U.N. STATISTJCAL 0FFTCE,
De111ographic Yearbook, 1963-1966-1980, U.N.,
New York 1982, tab. 2; POPOLATION REFERENCE BUREAU, rVor/d Popu/a1;011 Data ... , cit.; P. LAURENT, La popolazione 11101uUale ... , cit. 7 Riportato da F. MIGLIORI, Den1ograjia, i dati falsati, in Avvenire, 11 giugno
1992. A proposito del caso Nigeria, così scrive Laurcnt facendo riferimento ad un articolo, Le recense111ent du Nigérh1, comparso su Population et Sociéte.1· dell'ottobre 1992: «I precedenti dali [sulla Nigeria] erano stati falsati in eccesso perché ogni regione gonfiava i propri per ottenere una rappresentanza 1naggiore nel Parlamento Federale. Analizzando tali dati, l'articolo conclude: L'indipendenza delle istituzioni statistiche di uno Stato è auspicabile quanto quella delle istituzio11i giudiziarie e 111011etarie)) (P. LAURENT, la popolazione 111011diale ... , ciL, 38).
Questione o ansietà demografica?
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industrializzati ma più basso se messo a confronto con quello del quinquennio 1960-65, ma soprattutto al miglioramento globale della situazione sanitaria e politica dei singoli Stati e alla riduzione dei tassi di mortalità. Un dato globale sulla popolazione mondiale non è, dunque, sufficiente né per dare giudizi né per trarre conclusioni: va valutata anche per approntare gli interventi adatti - la situazione della singola arca geografica e del singolo Stato e il modificarsi dei tassi di fecondità e di mortalità. «L'evoluzione della popolazione mondiale non si può s1 legge in un documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia dunque esaminare senza tener conto di un dato quasi generale, la relazione tra tassi di fecondità e tassi di n1ortalità, e senza tener conto dei contrasti demografici molto forti che esistono non solo tra i continenti, ma anche all'interno degli stessi continenti e degli Stati in cui si registrano talora delle grandi disparità regionali. Ragionare globalmente in termini di popolazione mondiale equivale a cancellare la diversità dei tassi di mortalità, la diversità dei fenomeni migratori, la diversità dei tassi di accrescimento della popolazione che sono perfino negativi in alcuni territori. Senza la conoscenza di queste diversità non si può che misconoscere la realtà delle evoluzioni demografic\1e» 8 • Il complotto contro la vita. All'aumento numerico degli abitanti dei Paesi in via di sviluppo non ha fatto, però, seguito un uguale sviluppo nel settore economico, sociale e culturale, con il conseguente immiserimento delle condizioni di vita; a questo si aggiungano le continue tensioni e le non infrequenti guerre che caratterizzano il panorama politico e civile di questi Paesi. Di fronte ai
8
PONTIFICIO CONSIGLIO per la FAMIGLIA, Evo/11z.ioni de111ogrqfi"che. Dùnensio11i Etiche e Pastoroll, n. 13, Libreria Ecl. Vaticana, Città del Valicano 1994, 16. Il docu1ncnto sottolinea, anche, l'asincronia evolutiva tra i Paesi in via di sviluppo e i Paesi industrializzati: infatti, 1nentre i Paesi in via di sviluppo stanno andando incontro alla cosiddetta priina rivoluzione de1nogrnfica, per cui a seguito dei progressi della n1cdicina di1ninuisce la 1norlalità generale e la nataliUt aun1enta, nei Paesi industrializzati si sta verificando la seconda rivoluzione den1ografica, con
riduzione della mortalità 1na anche della natalità.
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Maria Luisa Di Pietro
bambini stremati dalla fame, alle mamme distrutte nel fisico e nella psiche nel tentativo di dare un'ultima goccia di latte ai propri figli appena nati, a terre sconfinate divorate dalla siccità ma anche dalla noncuranza, i Paesi industrializzati hanno avuto paura. Gli abitanti della Terra - si è detto - stanno aumentando ma non così le risorse: questo vuol dire che starno troppi, che il nostro pianeta è sovrappopolato. Si è parlato di bomba demografica, di bomba P (=Population)', di esplosione demografica, ci s1 è chiesti, con angoscia, cosa sarebbe stato della Terra se non fosse stato possibile disinnescare la "bomba". Sono stati dipinti scenari terrificanti: la fame non sarebbe stato più un problema dei Paesi in via di sviluppo ma anche dei Paesi occidentali, le guerre e l'inquinamento avrebbero spento ogni forma di vita. La soluzione proposta? Arrestare la crescita della popolazione, controllare, con ogni mezzo disponibile, il numero delle nascite: è questa - si è ripetuto in modo estenuante, tirando giù dalle soffitte le vecchie e ammuffite teorie malthusiane - l'unica soluzione alla miseria dilagante nei Paesi poveri. E' infatti noto che, secondo Malthus, la popolazione tenderebbe a crescere con una rapidità maggiore della disponibilità delle risorse alimentari: «Ci troviamo dunque in presenza di due leggi antagoniste: la legge della popolazione, che è quella di una crescita in progressione geometrica ogni venticinque anni, cioè come 1, 2, 4, 8, 16, 32, etc.; la legge dei mezzi di sopravvivenza, che è quella di una crescita in progressione aritmetica nello stesso periodo di tempo, cioè come 1, 2, 3, 4, 5, 6, etc.»"'- A fronte di questa situazione, viene suggerita come soluzione l'astinenza o per meglio dire l'accesso alla vita coniugale più tardi rispetto alla consuetudine del tempo.
9 La definizione bo111ba den1ografica è di Paulo. (P.R. EHRLICH, The popu/ation bon1b, Ballantine Books, New York 1968). Si tratta, però, di una definizione non appropriata dal mo1nento che una bomba esplode con una grande forza e si spegne immediata1nente, invece Ja rapida crescita di una popolazione, dopo l'esplosione, si 1nanticne per inerzia per 50-70 anni. 10 Riportato da L. SALLERON, l!,Ssai sur le principe de population. M"a!thus. Analyse Critique, Hatier, Parigi 1972, 28.
Ora, pur accettando le teorie di Malthus, non se ne approvavano, però, i rimedi considerati blandi e inefficaci. Da qui la proposta da parte dei componenti del cosiddetto "Movimento neomalthusiano", che ha come padre storico Francis Piace, mezzi ben più drastici di contenimento delle nascite: dai provvedimenti repressivi dell'istituto familiare - approvazione del divorzio e rifiuto dei finanziamenti alle famiglie con prole numerosa - all'incentivazione del ricorso alla contraccezione, alla sterilizzazione e all'aborto". «La crescita demografica - scrive Schooyans - delle popolazioni povere, si afferma, superiore a quella della maggior parte dei Paesi ricchi, fa pesare la minaccia della bomba "P" sull'insieme del pianeta. Da questa bomba, deriverebbero le varie pressioni e violenze che i Paesi ricchi non potrebbero fronteggiare che rinunciando al livello di vita di cui attualmente godono [ ... ]. I programmi miranti a prevenire questo "cataclisma" demografico sono stati orientati finora sui diversi metodi di prevenzione delle nascite e sulla sterilizzazione [ .. . ] occorre sensibilizzare l'opinione pubblica, incuterle la paura demografica» 12 • I primi ad iniziare questa crociata contro la vita ai danni dei Paesi in via di sviluppo sono stati gli Stati Uniti: già alla fine degli anni '50, spinti dalla paura di non avere abbastanza, tipica dei Paesi più ricchi, i tecnocrati e i finanzieri nord americani hanno messo a disposizione mezzi economici rilevanti, collegamenti efficienti, piani di azione studiati a tavolino per sconfiggere il "nemico", cioè l'aumento delle nascite"«Dopo la guerra termonucleare - ha detto a questo proposito Robert McNamara, presidente della Banca Mondiale, nel 1977 l'incremento demografico è il più grave pericolo che dobbiamo temere negli anni a venire. Del resto l'esplosione demografica è, per
11 E. DELAGRANGE, M.M. Ares, Milano 1979, 23ss.
12 M. SCHOOYANS,
DELAGRANGE,
R.
BEL,
Il cotnp/ol!o contro la vita,
Aborto e politica ... , cit., 134. Sull'argomento vedi, ad esempio, E. TREMBLAY, L'affaire Rockfeller. l'Europa occidentale en dannare, 1979; E. DE LAGRANGE, M.M. DE LAGRANGE, R. BEL, Il coniplotto contro ... , cit., 23ss. 13
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diversi aspetti, molto più spaventosa e insidiosa della guerra termonucleare, perché sottostà meno facilmente, per sua natura, alla ragione e a un controllo organizzato» 14 . E per convincere i Paesi in via di sviluppo della necessità di ridurre le nascite, gli Stati Uniti hanno iniziato a subordinare gli aiuti economici ad una ferma politica tesa a bloccare il tasso di crescita della popolazione. «Come organismo di sviluppo - ha detto ancora McNamara noi dobbiamo dare la priorità al problema della crescita demografica e chiedere che i governi che intendono ricorrere al nostro aiuto facciano altrettanto ed adottino una politica che sia in grado di stabilizzare il tasso di crescita demografica» 15 . Alla fine degli anni '50 è iniziata anche la sperimentazione della pillola contraccettiva 16 e si sono 1nesse in moto diverse organizzazioni internazionali (ad esempio, I' United Nations Ful1ll for the Population's Activities [UNFPA], l'United Nations Development Programme [UNDP], la Organizzazione Mondiale della Sanità [OMS], la Banca Mondiale) - e organismi privati" attraverso il finanziamento delle campagne antinataliste. Ma alla contraccezione come mezzo per il contenimento delle nascite si sono aggiunti ben presto la sterilizzazione e 1' aborto: «Tra i fattori determinanti la caduta della fecondità (nei Paesi del terzo mondo) - scrive Schooyans - la contraccezione si co11oca evidentemente in otti1na posizione, ma si rifanno ad essa in gran parte gli aborti che sono diventati più frequenti. L'aborto è ormai compreso tra i metodi di limitazione della
14 La citazione è riportata da P. LAURENT, Il futuro de111ografico del pianeta. Uno sguardo a/l'Africa, in La Civiltà Cattohca 3401 (1992) 445. 15 E. DELAGRANGE, M.M. DE LAGRANGE, R. BEL, op. ci!., 114-115. 16
Pinkus ha iniziato la sperin1entazionc della cstroprogestinica nel 1958,
utilizzando povere donne di Portorico. Da aJ/ora le donne dei Paesi più poveri sono
diventate le "cavie" preferite di coloro che volevano valutare l'efficacia e gli effetti collaterali di preparali contraccettivi o anche abortivi. 17 Non è possibile elencare tutte le organizzazioni che finanziano le campagne antinataliste nel inondo. Per un elenco esteso, seppur parziale, vedi M. SCHOOYANS, op. ci!., 139-140.
______ _ _f2uestion!_ ()__ ansietàjemografica ?__ ____ _ _2()9 fecondità. La sterilizzazione è incoraggiata e sovvenzionata, né si tralascia di invitare la gente a ritardare il matrimonio» 18 • Pensiamo ai sette milioni e mezzo di indiani sterilizzati in meno di dieci mesi durante il governo Gandhi o alle donne sterilizzate senza anestesia in Bangladesh o alla politica cinese di un figlio per ogni coppia perseguita anche con l'aborto o con l'infanticidio del secondo figlio. «Per combattere la sovrappopolazione, dal 1979 il governo di Pechino autorizza ufficialmente un solo figlio per coppia; per il secondo ci vuole un permesso speciale. I matrimoni sono vietati prima dei 22 anni per gli uomini e dei 20 per le donne. E poi aborti (una media di 1O milioni all'anno) e sterilizzazioni forzate, bambini soppressi negli ospedali [ ... ]. Il governo di Pechino non ha esitato a inviare, nell'aprile del 1991, centinaia di squadroni militari nelle campagne per obbligare le donne incinte ad abortire» 19 • E accanto all'aborto chirurgico si sta diffondendo anche l'aborto chimico: dalla pillola estroprogestinica a basso dosaggio alla minipillola e ai progestinici depot o ad impianto, dalla spirale al vaccino anti-hCG, dalle prostaglandine all'RU486, in un progressivo e inesorabile attacco contro la vita e contro di diritti del nascituro. Le Conferenze Internazionali sulla popolazione. Quali sono stati i risultati delle politiche antinataliste perpetrate ai danni dei Paesi in via di sviluppo? Le cifre ci dicono che vi è stata una riduzione dei tassi di fertilità sia nei Paesi industrializzati che nei Paesi in via di sviluppo, anzi nei primi più che i secondi: infatti, mentre per i popoli più poveri la famiglia e i figli rappresentano ancora una ricchezza in mezzo a tanta miseria fisica, i popoli benestanti hanno ceduto alla "paura demografica" e sono precipitati in una situazione di baby-bust da cui difficilmente potranno risollevarsi. Dunque, una sorta di effetto boomerang, che considerato dapprima come segno di progresso sta
83.
18
lbid., 143-144.
19
Riportato da S. ALOISI, Sindronte cinese, in Pa11oran1a, 7 giugno 1992, 82-
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evidenziando già adesso i primi segni negativi: basti pensare - per fare un esempio - alla crisi del sistema pensionistico a causa del numero sempre più basso di lavoratori giovani rispetto agli anziani. Ma tra gli effetti delle politiche antinataliste ne vorrei sottolineare un altro, a mio parere molto significativo, ovvero la ribellione da parte dei Paesi in via di sviluppo nei confronti del mondo industrializzato che imponeva loro un limite al numero di figli: è quanto è avvenuto durante la I Conferenza Internazionale sulla Popolazione, svoltasi a Bucarest nel 1974, nel corso della quale doveva essere approntato un piano di intervento per la popolazione su scala internazionale"" In tale occasione gli Stati Uniti si presentarono con programmi appoggiati a presunte prove scientifiche con il preciso intento di provocare una cooperazione mondiale in una crociata antinatalista. Trovarono, però, diffidenza e dissenso generale da parte dei Paesi in via di sviluppo, che, poveri di tutto, si vantavano tuttavia di essere ricchi almeno di prole. Fu rinfacciata agli Stati Uniti una terribile responsabilità di mano1nissione e di accaparra1nento di masse enormi di ricchezze, approfittando dell'ingenuità, dell'inesperienza e del bisogno degli altri popoli. Più ancora dell'utilizzazione egoistica delle risorse mondiali da parte dei Paesi più fortunati, provocò indignazione la pretesa di imporre ai poveri il numero dei loro bambini. In quella che venne definita poi la Rivolta di Bucarest, i Paesi dell'America Latina (in primo luogo l'Argentina), dell'Africa e dell'Asia si ribellarono all'uso della limitazione delle nascite come mezzo per arricchire i Paesi industrializzati. Posizione aggressiva assunse in quella occasione, anche, la Cina Maoista che indicò l'impiego centralizzato dei beni nelle mani dell'Occidente come causa della miseria di tanti popoli. Nel 1984 alla Il Conferenza lmernaz.ionale sulla Popolazione, svoltasi a Città del Messico, la situazione si presentò completamente capovolta: gli Stati Uniti, sotto l'amministrazione Reagan notoria1nente antiabortista, assunsero una posizione di critica severa
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E. DELAGRANGE, M.M. DELAGRANGE, R. BEL, op. cit., 124ss.
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nei confronti della prassi abortiva, al punto da rifiutare ogni aiuto a quei Paesi che si fossero proposti di correggere la propria situazione demografica con il ricorso all'aborto". Tra i Paesi indiziati c'era questa volta la Cina che, capovolgendo dal 1974 al 1984 la propria politica demografica, ha imposto - come già detto - l'aborto al secondo figlio in alternativa alla sterilizzazione del genitore. E questa posizione contraria all'aborto come mezzo di controllo delle nascite era stata riassunta nella Raccomandazione n. 18 del documento finale: «L'aborto non deve essere promosso in nessun caso come un metodo di pianificazione familiare». Ma la realtà di questi ultimi dieci anni è stata, purtroppo, un'altra. Così si legge a questo proposito nel documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia: «Malgrado alcune smentite, l'aborto (chirurgico e farmacologico) è previsto, apertamente o in maniera velata, come metodo di controllo delle popolazioni. Questa tendenza si osserva anche nelle istituzioni che, originariamente, non avevano inserito l'aborto nel loro programma. Ci si può domandare in quale misura sia stata applicata, dopo la Conferenza Internazionale del Messico sulla Popolazione, tenuta nel 1984, la raccomandazione approvata dalla Conferenza che rifiutava l'aborto come mezzo di controllo demografico» 22 • E oltre l'aborto chirurgico e farmacologico, si è fatto ricorso - come già detto - alla contraccezione, alla sterilizzazione, sempre al medesimo scopo: «per combattere il sottosviluppo, ridurre il numero delle nascite». Con questa situazione si sono confrontate le varie delegazioni che hanno preso parte alla III Conferenza Internazionale sulla Popolazione, quella appunto svoltasi al Cairo lo scorso mese di settembre. Anche in questa occasione, pur se si è potuta notare una maggiore attenzione al rapporto sviluppo-popolazione e al diritto di
21 M.S. TElTELBAUM, J.M. WINTER, La paura del declino den1ograjico, Il Mulino, Bologna 1979, 123-124; P. LAURENT, La popolazione n1011diale ... , cil. 22 PONTIFICIO CONSIGLIO per la FAMIGLIA, Evoluzioni de111ografiche. Dùnensioni ... , cit., n. 32, 25-26.
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"autogestione" del singolo Paese 23 , non vi è stata una scelta netta a favore di un controllo dell'espansione demografica basato non tanto sul contenimento delle nascite quanto, piuttosto, su uno sviluppo economico reale dei Paesi poveri: in pratica, i Paesi ricchi non si sono voluti impegnare più di tanto a favore delle popolazioni più bisognose. Si deve, però, riconoscere che a confronto delle intenzioni iniziali, contenute nella bozza di documento, nei giorni della Conferenza del Cairo è stata percorsa tanta strada verso il rispetto dei diritti dell'uomo, della coppia, del nascituro, questo grazie soprattutto agli interventi di Giovanni Paolo II, prima, e, successivamente, della delegazione della Santa Sede nel corso della Conferenza. Dal considerare l'aborto come uno dei tanti mezzi di controllo delle nascite si è giunti alla formulazione della Raccomandazione 8.25, che - come già a Città del Messico - stabilisce: «In nessun caso l'aborto deve essere promosso come metodo di pianificazione familiare». Sono stati anche sostituiti termini quali "regolazione della fertilità" - distinta da regolazione naturale della fertilità - che includeva l'aborto accanto alla contraccezione e alla sterilizzazione. Una grande conquista se si pensa all'abisso di soprusi e di violazione di diritti in cui si sarebbe precipitati in caso dì accettazione di un diritto - che in qualche caso sarebbe divenuto dovere all'aborto; solo un piccolo passo se si pensa, invece, a quante volte è stata già violata, nel passato, questa raccomandazione e all'incredibile numero - circa 40 milioni - dì aborti cosiddetti legali che vengono fatti ogni anno, cifra alla quale bisogna aggiungere tutti gli abortì clandestini e ì criptoaborti, ovvero quelle interruzioni dì gravidanza ottenute con il ricorso a tecniche o farmaci abortivi"-
23
((L'applicazione delle raccomandazioni contenute nel Progra1n1na di Azione
è diritto sovrano di ogni Paese, in coerenza con le leggi nazionali e le priorità di sviluppo, in pieno rispetto dei vari valori religiosi cd etici e del retroterra culturale del suo popolo e in confonnità con i diritti uinani internazionali univcrsaln1ente riconosciuti» (dal Docun1e11to conclusivo della III Co1~ferenza Internazionale su Popolazione e S11ifuppo, Principi). 2 ~ ~1.L. D1 PTETT<O, E. SGT<ECCIA, La contragestaz)one ovvero l'aborto nascosto, in Medicina e Morale 1 (1988) 5-32.
2. Questione o ansietà demografica?
A fronte di qnesto impegno di energie e di denaro per la messa a punto di strategie, spesso lesive della dignità umana, allo scopo di contenere le nascite, sorgono inevitabilmente alcune domande: vi è realmente un problema di sovrappopolazione nel mondo? E' possibile che le risorse disponibili non siano sufficienti per tutti? Si raggiunge la felicità e la ricchezza quando si ottiene l'equilibrio demografico anche a discapito della dignità e della libertà altrui? Oppure si verifica un arresto del progresso e dello sviluppo civile di una società? C'è sempre posto al banchetto della vita. A chi paventa, con toni anche catastrofici, l'incubo della sovrappopolazione della Terra fa eco chi sostiene che tale paura è infondata. Ad esempio, già nel 1975 l'economista inglese Colin Clark, nel suo libro Il mito dell'esplosione demografica 25 , aveva dimostrato che la Terra sarebbe stata in grado di nutrire parecchi miliardi di abitanti in più rispetto a quelli attuali (addirittura 17 miliardi di persone a livello di consumo nordamericano!), a condizione che le sue risorse, opportunamente incrementate, venissero equamente distribuite. Successivamente, nel 1986, Julian L. Simon, nel libro Theory of population and economie growth 26 , confutando il tradizionale punto di vista malthusiano, ha sostenuto che gli ultimi tre secoli, in cui la popolazione è ininterrottamente aumentata, sono anche quelli in cui l'Occidente ha raggiunti il maggiore benessere. Analogo fenomeno si è registrato nei Paesi in via di sviluppo dopo la seconda guerra mondiale. E sempre Simon, in una recente intervista27 , porta un esempio per spiegare quanto sia infondata la paura di una riduzione delle risorse a fronte dell'aumento della popolazione sulla Terra: «Nel '700 la fonte di energia in Inghilterra era la legna. Un buon malthusiano avrebbe contato gli alberi - che iniziavano allora a scarseggiare - li
25 26 27
C. CLARK, ll 111ito dell'esplosione de1nografica, Ares, Milano 1975. J.L. SlMON, Theory of population and econon1ic groivth, Oxford 1986.
L'intervista è riportata da Avvenire, 28 luglio 1994, 7.
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avrebbe divisi per la popolazione e avrebbe poi previsto che il prezzo della legna sarebbe finito alle stelle. Così non è successo; abbiamo usato prima il carbone, e poi il petrolio e l'atomo; l'energia procapite è aumentata, il prezzo è diminuito. Questi sono i fatti. Oggi un qualsiasi inglese ha più energia e a minor prezzo del re di Inghilterra tre secoli fa. Le risorse pro-capite non sono diminuite, né è diminuito il cibo». Sull'infondatezza delle teorie malthusiane si pronuncia anche la rivista The Economis/28, affermando che le risorse disponibili oggi e per il futuro sulla Terra sono sufficienti per tutti, ma se i poveri non hanno denaro per comprarle, questo è un altro problema: «The world produce plenty of food, observes Mr. Smil: if the poor do not have enough money to buy it, or it ot cannot reach them, those are different problems». Questi inviti alla revisione di allarmi troppo catastrofici non sono, però, stati mai ascoltati ed abbiamo così assistito ad un progressivo inasprimento dei rapporti tra Paesi industrializzati e Paesi non industrializzati, questi ultimi accusati di fare troppi figli e di consumare molto (!), ma di produrre poco. Ma il problema, come abbiamo visto, non è la reale mancanza di risorse nel pianeta bensì una loro non equa ripartizione, imputabile per lo più all'egoismo dei Paesi industrializzati e/o all'incapacità dei governanti dei Paesi emergenti che non sanno (o non vogliono) far giungere gli aiuti offerti ai bisognosi. La Chiesa cattolica ha più volte indicato come causa della miseria dei popoli lo spreco da parte di alcuni Paesi con assoluta mancanza anche del necessario per altri", sostenendo che: «Le
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Battle of the bulge, in The Econon1ist, 3 settcn1brc 1994, 1921. Mr Smil, a cui si fa riferimento, è un demografo dell'Università di Manitoba e Ja sua
dichiarazione è riportata in Population and Developn1ent Review, The Population CounciI, New York 1994. 29 Per una visione delle posizioni del Magistero cattolico sulla materia, cfr. PONTIFICIO CONSIGLIO per la FAMIGLIA, Evoluzioni de111ografiche. Dùnensioni ... , cit., nn. 40-59, 29-44. Vedi anche: C. CAFFARRA, The deniographic question in the Magisterùan of the Church, in F. BIFFI (a cura di), Demographic po!iticies front christian view point, Herder, Roma 1981, 33ss.
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strategie di sviluppo dovrebbero basarsi su un giusto ordine socioeconomico mondiale diretto ad un'equa compartecipazione dei beni creati, su una rispettosa gestione dell'ambiente e delle risorse naturali, su un senso di morale responsabilità e cooperazione tra le nazioni per il raggiungimento della pace, della sicurezza e della stabilità econon1ica per tutti»:io.
Sovrappopolazione=Sottosviluppo. Un'altra convinzione da sfatare è che la causa del sottosviluppo sia la sovrappopolazione. E' infatti, da rilevare che - da un punto di vista statistico - i Paesi in via di sviluppo hanno in genere una densità di popolazione di gran lunga inferiore a quella dei Paesi sviluppati: «Senza dubbio - scrive Schooyans - si insiste troppo poco sul fatto che, salvo qualche eccezione, i Paesi del terzo mondo sono attualmente sottopopolati; essi non sono sovrappopolati che in rapporto al loro sottosviluppo. La densità demografica di questi Paesi è in generale più bassa, anche se in proporzione i giovani sono tanti, e il tasso grezzo di natalità è elevato. Non è inutile richiamare qui qualche dato recente (1986). Per alcuni Paesi daremo la densità per chilometro quadrato, e indicheremo il tasso grezzo di natalità, cioè il numero annuale di nati vivi per 1000 abitanti. Tra i Paesi relativamente poco industrializzati: l'Indonesia ha 86,7 abitanti per kmq. e il suo tasso di natalità è del 28 per mille; la Cina rispettivamente 110,2 e 19; l'India 237,6 e 32; lo Zaire: 13,6 e 45; il Perù: 15,4 e 32; il Brasile: 16,3 e 29; il Venezuela: 1,5 e 30. Per i Paesi industrializzati: in Francia: 101,3 e 14; Inghilterra: 231,4 e 13; Germania federale: 244,6 e 10; Belgio: 319,4 e 12; Olanda: 356,l e 13; Canada: 2,6 e 15; Giappone: 326,6 e 12; USA: 25,8 e 16; URSS: 12,5 e 19» 11 .
:io GIOVANNI PAOLO Il, Ogni politica de111ografica deve rispetlare !'uo1no, Messaggio al dr. Rafael Salas, Segretario Generale della Conferenza Internazionale sulla Popolazione, n. 6, 7 giugno 1984, in /11seg11a111enti di Giovanni Paolo II, Libreria Ed. Vaticana, Città del Vaticano 1984, 1625-1636. 31 M. SCHOOYANS, Aborto e politica ... , cit., 134-135.
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Ed ancora, come sostiene Julian Simon, bisogna tenere in considerazione nella valutazione del rapporto popolazione/sviluppo, non tanto il tasso globale della popolazione di un Paese quanto il dato della densità demografica: si è, infatti, visto che nei Paesi nei quali essa è molto alta vi erano tassi di crescita economica elevati 32 • Hong Kong è nn notevole esempio di sovrappopolazione vantaggiosa al!' espansione economica. Non vi sarebbe, inoltre, alcnna correlazione certa tra anmento della popolazione e riduzione del reddito: «A motivo del numero di Paesi che la compongono, l'Africa subsahariana costituisce un laboratorio interessante per osservare il nesso tra tasso di incremento demografico e livello del reddito pro-capite. Lungo l'ultimo quarto del nostro secolo e contro ogni aspettativa, constatiamo che i Paesi con incremento demografico più rapido registrano, ugualmente, la maggiore progressione del reddito pro-capite» 33 • Ed allora tentare di risolvere il problema del sottosviluppo con il contenimento delle nascite potrebbe essere, addirittura, una pericolosa scorciatoia che condurrebbe in un vicolo cieco senza dare soluzioni valide: «E' diffusa opinione (non corrispondente, però, alla realtà) (ndr.) che il controllo delle nascite sia il metodo più facile per risolvere il problema di fondo, dato che una riorganizzazione su scala mondiale dei processi di produzione e ripartizione delle risorse richiederebbe un tempo enorme e comporterebbe complicazioni economiche immediate» 34 . Ciò che bisogna dare è, invece, una proposta globale di sviluppo, aiutando quei Paesi che non hanno conosciuto un minimo di miglioramento delle condizioni economiche, favorendone la crescita umana, l'educazione e la capacità di autogestione, e cercando di
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J.L. SIMON, The ultitnate ressource, Marti11 Robertson, Oxford 1981. 1. CALDWELL, Les tendances dén1ographiques et leurs causes. Le cas de l'Aruque est-il differente?, in Rapporto introduttivo per la Conferenza Internazionale, Développentent et c1·oissance écono1nique rapide regard sur l'avenir de l'Afrique, Parigi 2-6 settembre 1991. La citazione è riportata da: P. LAURENT, Il futuro den1ografico ... , cit., 449. 3 ·1
34
Le parole di Giovanni Paolo II sono riportate nel documento del PONTIFICIO per la FAMIGLIA, Evoluzioni de11101J.rafiche. Dùnensioni ... , cil., n. 56, 41.
CONSIGLIO
_ ________ Q_~stione .!' !'r!SÌ!tiz_!:emo.15_rcifìca ?_ ______ 3 j_7 edificare una comunità libera dall'ingiustizia e che lotta per promuovere e tutelare il bene comune: «Le ideologie che negano la possibilità di formare gli uomini a una gestione responsabile della loro fecondità e mantengono un sentimento di insicurezza e di paura, che parlano di una penuria minacciosa e/o di degrado dell'ambiente, sembrano ignorare la diversità e la complessità di differenti aspetti delle realtà demografiche. Queste ideologie sottostimano non solo le risorse naturali, ma soprattutto la capacità che ha l'uomo di sfruttare queste risorse con più oculatezza - a cominciare dalle risorse umane di meglio distribuirle, di dotare la società umana di istituzioni capaci di essere contemporaneamente efficaci e rispettose delle esigenze della giustizia» 35 . Il problema della sovrappopolazione sembrerebbe essere, allora, una sorta di alibi usato per coprire i fallimenti dei vari sistemi politici ed economici: il problema non è tanto la sovrappopolazione quanto l'atteggiamento dei Paesi ricchi che sfruttano e immiseriscono i Paesi in via di sviluppo. Tutto questo perché i popoli ricchi vivono, ormai, in una società, quella dei desideri, ove non vi sono limiti e ove il senso della solidarietà ha lasciato il posto ali' egoismo, alle ambizioni sfrenate, alle frustrazioni ed alle ansie. In questo contesto anche la vita ha perso il suo valore e Dio sta gradualmente scomparendo nel cuore dell'uomo: è questo il terreno adatto perché si sviluppi una mentalità contro la vita, che spiega il perché di sempre meno nascite nell'Occidente e di tanta acrimonia nei confronti dei popoli con un'elevata natalità. Più che la questione demografica in sé sembra ginocare un ruolo importante nel determinare tale atteggiamento contro la vita la paura, l'ansietà demografica: «Il progresso scientifico-tecnico - si legge nella esortazione apostolica Familiaris Consortio -, che l'uomo contemporaneo accresce di continuo nel suo dominio sulla natura, non sviluppa solo la speranza di creare una nuova e migliore umanità, ma anche un'angoscia sempre più profonda circa il futuro.
35
Jbid., n. 61, 46.
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Alcuni si domandano se sia bene vivere o se non sia meglio neppure essere nati; dubitano se sia lecito chiamare altri alla vita, i quali forse malediranno la propria esistenza in un mondo crudele, i cui terrori non sono neppure prevedibili. Altri pensano di essere gli unici destinatari dei vantaggi della tecnica ed escludono gli altri, ai quali vengono imposti mezzi contraccettivi o metodi anche peggiori. Altri ancora, imprigionati come sono dalla mentalità consumistica e con l'unica preoccupazione di un continuo aumento dei beni materiali, finiscono per non comprendere più e quindi rifiutare la ricchezza spirituale di una nuova vita umana. La ragione ultima di questa mentalità è l'assenza nel cuore degli uomini di Dio, il cui amore soltanto è più forte di tutte le possibili paure del mondo e le può vincere. E' nata così una mentalità contro la vita (antilife mentality ), come emerge in molte questioni attuali: si pensi ad esempio ad un certo panico derivato dagli studi degli ecologi e dei futurologi sulla demografia che a volte esagerano il pericolo dell'incremento demografico per la qualità di vita» 36 •
3. Dal dominio politico all'educazione dei coniugi alla procreazione responsabile Non vi sarebbe, dunque, una situazione così allarmante come quella che ci viene continuamente presentata dai mass-media. Ma quand'anche si provasse che la causa del sottosviluppo è la crescita smisurata della popolazione, non sarebbe, comunque, giustificato né eticamente accettabile il ricorso a qualsiasi mezzo per il contenimento delle nascite né la loro imposizione da parte di politiche governative.
Le persone non sono semplici numeri. Il primo punto da considerare è il tentativo - già segnalato - da parte del mondo occidentale di imporre ai Paesi in via di sviluppo e alle singole famiglie un contenimento delle nascite basata su di una visione
36
GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica }'aniiliaris Consortio, 22
novembre 1981, n. 30, 41-42.
riduttiva, utilitaristica e indifferente alle esigenze della giustizia, con conseguente grave violazione del diritto dei genitori alla procreazione responsabile in condizioni di effettiva libertà. Questa situazione è stata più volte denunciata con forza da Giovanni Paolo II: «La Chiesa riconosce il ruolo che compete ai governi ed alla comunità internazionale nello studiare e nell'affrontare con responsabilità il problema della popolazione nel contesto e nella prospettiva del bene comune delle singole nazioni e di tutta l'umanità. Ma le politiche demografiche non devono considerare le persone come semplici numeri, o solo in termini economici, o alla luce di qualunque altro pregiudizio. Esse devono rispettare e promuovere la dignità e i diritti fondamentali della persona e della famiglia» 37 • Non considerare le persone conie seniplici niuneri: questo è il monito del Santo Padre di fronte a tanti abusi perpetrati ai danni della povera gente, che per poter sopravvivere ha dovuto perdere anche quest'ultima libertà legata alla propria condizione umana, cioè decidere in modo responsabile se e quando avere dei bambini. La dignità di tanti uomini e donne è stata ed è calpestata e brutalizzata e questo indnbbiamente non può essere considerato che un disonore per i Paesi e le organizzazioni che hanno fatto dipendere anche gli aiuti economici dal raggiungimento di obiettivi di pianificazione familiare. Ogni politica demografica deve, invece, fare costante riferimento ad alcuni principi etici e verità fondamentali, e cioè che: ogni persona, indipendentemente dal!' età, dal sesso, dalla religione e dal!' appartenenza nazionale, possiede una dignità e un valore incondizionati e inalienabili; la stessa vita umana, dal momento del concepimento a quello della morte naturale, è sacra; i diritti dell'uomo sono innati e prescindono da qualsiasi ordine costituzionale e che l'unità della razza umana esige che tutti si impegnino a edificare una comunità libera dall'ingiustizia e che lotta per promuovere e tutelare il bene comune.
37 GIOVANNI PAOLO
li, Ogni politica de111ografica ... , cit., n.
2, 1625.
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Ma questo richiede che venga fatta una precisa scelta antropologica e che vi sia un reale viraggio da una concezione dualista - alla radice di una visione riduttiva della persona umana, della sessualità, della coniugalità e della procreazione - alla concezione personalista di uomo: «Il pensiero occidentale - scrive Giovanni Paolo II al n. 19 della Lettera alle famiglia, - con lo sviluppo del razionalismo moderno, è andato via via allontanandosi da tale insegnamento [di Cristo sull'uomo]. Il filosofo che ha formulato il principio del Cogito, ergo sum: Penso dunque esisto ha pure impresso alla moderna concezione dell'uomo il carattere dualista che la distingue. E' proprio del razionalismo contrapporre in modo radicale nell'nomo lo spirito al corpo e il corpo allo spirito. L'uomo invece è persona nell'unità del corpo e dello spirito: è un corpo spiritualizzato, così come lo spirito è tanto profondamente unito al corpo da potersi qualificare uno spirito corporeizzato» 38 . In quanto spirito corporeizzato l'uomo deve essere rispettato fin dal momento in cui viene concepito e trattato sempre come soggetto delle sue decisioni, anche e soprattutto quelle che riguardano la vita di coppia e familiare: l'uomo e la donna devono essere, allora, protagonisti attivi delle proprie scelte e del proprio sviluppo e trattarli come semplici oggetti equivale a privarli dell'attitudine alla libertà e alla responsabilità che è fondamentale per il bene della persona umana.
Ed affinché la coppia possa costruire serenamente il proprio futuro e partecipare in modo responsabile alla trasformazione e allo sviluppo della società, i governi e le organizzazioni internazionali devono aiutare i coniugi con la creazione di un ordine socioeconomico che favorisca la vita familiare, la generazione e l'educazione dei figli, e col fornire un,accurata e veritiera informazione sulla situazione demografica, in modo che possano adeguatamente valutare i loro doveri e le loro possibilità 39 •
38
39
GIOVANNI PAOLO If, Letfe(a a/lefa111iglie, 2 febbraio 1994, n. 19, 79 - 80. A proposito di interventi educativi, anche come risposta a chi fa
propaganda di contraccezione, dà da pensare l'osservazione riportata su The E'cono1nist: «Over the long term, the single most effectivc and enduring way of
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Questo richiederebbe la messa a punto, da una parte, di programmi di sensibilizzazione ed educazione dei singoli"' e, dall'altra, di iniziative globali a favore della famiglia. La scelta della regolazione naturale della fertilità. Ai coniugi deve essere, dunque, lasciata la libertà di scegliere se e quando avere un bambino, fermo restando l'apertura alla vita già concepita: questo non vuol dire, però, accettare che tale fine venga perseguito in qualsiasi modo, anche con mezzi lesivi della dignità della coppia e della vita del nascituro. «In difesa della persona umana, la Chiesa si oppone [ ... ] alla promozione di metodi per la limitazione delle nascite che pregiudicano le dimensioni unitiva e procreativa del rapporto coniugale, metodi contrari alla legge morale inscritta nel cuore umano o che costituiscono un attacco alla sacralità della vita. Quindi la sterilizzazione, che viene sempre più promossa come metodo di pianificazione familiare, a causa della sua finalità e del suo potenziale di violazione dei diritti umani, e in paiticolare delle donne, è chiaramente inaccettabile; essa rappresenta la più grave minaccia alla dignità e alla libertà umana quando viene promossa come parte di una politica demografica. L'aborto che distrngge la vita umana esistente, è
1noderating population growth, even 1nore than by thc diffusion of contraception, is by giving womcn more and better education. At present, aln1ost twicc as rnany womcn
ad men are illitcrate, and the diffcrcntial is growing. Illitcrate girls tend to marry young and have many babics. Their own daughters are thcn more likely to stay at
ho1nc, helping to look aftcr youngcr siblings, unti! they in turn leavc home young lo repeat the cycle. Work by the World Bandk suggests that where woman are excluded from secondary educatione, thc average woman has seven children; burt if 40o/o of women go to secondary school, the averagc drops to three children» (Bart!e of the bulge, in The Econo111ist, 3 settembre 1994, 21). 40 Non confondiamo questa proposta con quella del 7 .12 del Documento conclusivo della Conferenza dcl Cairo, che con le "belle parole" vuole in realtà propagandare "qualsiasi" mezzo per il conteni1nento delle nascite: «Lo scopo dei programmi di pianificazione familiare deve essere quello di abilitare le coppie e gli individui a decidere liberan1ente e responsabilmente il numero e la sequenza delle nascite, avere l'informazione e i tnezzi per farlo e assicurare scelte informate e rendere disponibile un ventaglio completo di tnetodi sicuri ed efficaci. Il successo di progra1nmi di educazione e di pianificazione familiare in varie circostanze dimostra che gli individui informati possono e vogliono agire dovunque responsabilmente alla luce delle proprie esigenze e di qllelle delle loro fainiglie e comunità».
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un male nefasto e non è mai un metodo accettabile di pianificazione fami1iare» 41 • Il no, quindi, all'aborto, che viola gravemente il diritto alla vita del concepito; alla contraccezione, che sta divenendo tra l'altro sempre meno contraccettiva e sempre più abortiva; alla sterilizzazione, che deresponsabilizza la coppia, considerandola incapace di gestire la propria fertilità di cui viene privata. Il sì, invece, a quelle metodiche che rispettano l'integrità dell'atto coniugale, che promuovono la dignità dell'uomo e della donna, che eliminano - dal rapporto di coppia - qualsiasi forma di prevaricazione e strumentalizzazione. La proposta di una regolazione naturale della fertilità ha profonde radici etiche ma anche il sostegno di una ricerca e di un'ampia diffusione tra le coppie che ne hanno confermato l'esattezza scientifica e la praticità di uso 42 • Non altrettanto sostegno viene dato da quanti hanno interessi economici sulla pianificazione familiare: pensiamo alle case farmaceutiche o alle agenzie internazionali che non guadagnerebbero di certo facendo propaganda al Metodo Billings o ai Metodi Sintotermici. E il timore di veder intaccati i propri interessi potrebbe essere stata la causa di un atteggiamento aggressivo, fino alle minacce, nei confronti della Chiesa cattolica, colpevole di lavorare con e per l'uomo: «La Chiesa insegna - scrive Giovanni Paolo TI - la verità morale circa la paternità e la maternità responsabili, difendendola dalle visioni e tendenze erronee oggi diffuse. Perché la Chiesa fa questo? Forse perché non avverte le problematiche evocate da quanti consigliano in questo ambito cedimenti e cercano di convincerla anche con indebite pressioni,
41 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio del Papa al Segretario Generale della Conferenza Internazionale su Popo/az;one e Sviluppo, 19 1narzo 1994, n. 5, in Medicina e Morale 3 (1994) 520. 42 Sulle ragioni etiche di una scelta dei metodi di regolazione naturale della fertilità, vedi M.L. DI PIETRO, E. SGRECCIA, La tras111issione della vila ne/l'insegnan1ento d; Giovanni Paolo Il, Vita e Pensiero, Milano 1989; A. LOPEZ TRUJLLO, E. SGRECCIA (a cura di), Metodi naturali per la regolazione della fertilità: /'alternativa autentica, Vita e Pensiero, Milano l 994. Per la parte scientifica, vedi anche S. MANCUSO, P.F. VAN LOOK (a cura di), La regolazione naturale della fertilità oggi, Vita e Pensiero, Milano 1992; J.J. BILLINGS, Il metodo de/L'ovulazione, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo (MI) l 992.
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quando non addirittura con minacce? Non di rado, infatti, il Magistero della Chiesa viene rimproverato di essere ormai superato e chiuso alle istanze dello spirito dei tempi moderni; di svolgere un'azione nociva all'umanità, anzi per la Chiesa stessa. Mantenendosi ostinatamente sulle proprie posizioni - si dice -, la Chiesa finirà per perdere in popolarità e i credenti si allontaneranno sempre più da essa. Ma come sostenere che la Chiesa, specialmente l'Episcopato, in comunione col Papa, sia insensibile a problemi così gravi e attuali? [ ... ] Il fondamento su cui si basa la dottrina della Chiesa circa la paternità e la maternità responsabili è quanto mai ampio e solido»". Considerazioni conclusive
Il 13 settembre è calato il stpano sulla e o 11.f ere 11 z a Internazionale del Cairo ma non certamente sui problemi che affliggono, nel mondo, i singoli Paesi e nei Paesi le singole coppie. Rispetto alle Conferenze precedenti è stato fatto, al Cairo, qualche passo avanti contro tutte le forme di coercizione nelle politiche demografiche e a favore del riconoscimento della libertà delle coppie, della tutela della salute delle donne, della promozione dello sviluppo dei Paesi più poveri: bisognerà adesso vedere quanti di questi buoni propositi verranno mantenuti. Ma nulla è stato fatto in difesa del diritto alla vita del nascituro e per il rispetto della dignità dei coniugi: l'aleggiante timore della sovrappopolazione, la scarsa considerazione del valore del neoconcepito, l'edonismo e il liberalismo oramai imperanti in campo sessuale, hanno portato la maggioranza a non mettere in discussione né l'aborto né tanto meno la sterilizzazione e la contraccezione. Se non cambierà la situazione, se il cuore dei popoli ricchi si inaridirà per paure infondate, se l'uomo e la donna del 2000 non rivedranno il proprio atteggiamento nei confronti della vita, ci aspetta un futuro "privo di futuro": alla scelta libera per la non-vita da parte dei Paesi occidentali si aggiungerà quella non obbligata (?) dei Paesi
43 GIOVANNI PAOLO II,
lettera al/e fa111iglie . ., cit., n.
12, 36 - 37.
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Maria Luisa Di Pietro
in via di sviluppo. E senza la speranza di nuove vite non vi sarà futuro, come ha avuto modo di ricordare Giovanni Paolo II: «[ .. .] in presenza dei rappresentanti di così numerose nazioni del mondo qui riuniti, desidero esprimere la gioia che tutti noi troviamo nei bambini, la primavera della vita, lanticipazione della storia futura di ciascuna delle nostre attuali patrie terrene. Non c'è Paese sulla terra, non c'è sistema politico che possa farsi un'idea del suo futuro se non attraverso l'immagine di queste nuove generazioni che riceveranno dai loro genitori la molteplice eredità di valori, doveri e aspirazioni della nazione alla quale appartengono e dell'intera famiglia umana. L'interessamento per il bambino, già prima della nascita, dal primo momento del concepimento e dopo attraverso gli anni dell'infanzia e della giovinezza, è la prima e fondamentale esperienza del rapporto di un essere umano con un altro» 44 •
So111111ario
La questione demografica è stata oggetto di dibattito nel corso delle tre Conferenze mondiali sulla popolazione, che si sono svolte a Bucarest (1974), Città del Messico (1984) e Il Cairo (1994). In queste occasioni è stata analizzala la situazione dci Paesi industrializzati e in via di sviluppo per valutare la possibilità di promozione di questi ultimi. Purtroppo, le parti in causa, facendo propria l'equazione sovrappopo/azione-:::::.sottosvi/uppo, hanno concentrato la propria attenzione sul problcrna del contenimento delle nascite e dei mezzi per perseguirlo. In questo articolo vengono messe in discussione, le ragioni culturali, sociali cd economiche che hanno portato a considerare i popoli co1ne sen1plici "numeri" e favorito lo sviluppo di una mentalità contro la vita, e vengono indicati i percorsi per un'autentica pro1nozionc dci Paesi in via di sviluppo.
44
lo., Ogni politica den1ograjica .. , cit., n. 5, 1628.
Synaxis 12 (1994) 325-350
PRESUPPOSTI TEOLOGICI E ANTROPOLOGICI PER UNA EDUCAZIONE CRISTIANA IN MARIO STURZO
PASQUALE BUSCEMI'
Premessa
Mons. Sturzo può essere definito maestro ed educatore. Tutta la sua attività episcopale e tutto il suo impegno culturale sono orientati a questo scopo precipuo: educare i suoi diocesani, promuovere l'uomo, rinnovare la società e invitare tutti a collaborare a questo compito così importante. Tra i temi trattati dal vescovo piazzese, quello dell'educazione ci è apparso tra i più cari e fecondi, sviluppato ampiamente sia nel campo filosofico che in quello teologico e pastorale. La sua preoccupazione consiste nel dare indicazioni teoretiche per elaborare un sistema pedagogico adeguato alle esigenze dell'uomo moderno, consono allo spirito del messaggio cristiano e filosoficamente pronto ad affrontare critiche e confronti con altri sistemi e ideologie presenti nell'agone culturale che caratterizza l'inizio del '900 italiano. Sturzo in quanto filosofo e teologo può essere considerato un neotomista, fedele alla tradizione teologica e culturale della Chiesa e alle direttive offerte dalla Aetemi Patris di Leone XIII. La concezione teologica ed antropologica di Sturzo e la sua conseguente pedagogia sono in sintonia con tutto il pensiero cristiano. La fedeltà alla tradizione culturale cristiana non gli impediva di
* Professore di Teologia morale nello Studio Teologico S. Paolo di Catania.
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______ _ Pasquale Buscemi__ _ _ _ _ _ _ _
esaminare con interesse e di interloquiare con le varie scuole di pensiero lontane da ogni riferimento con il cristianesimo. La concezione della persona in Sturzo si ispira alle fonti bibliche e alla tradizione patristica: la persona considerata quale creatura dì Dio che porta in sé l'immagine del Creatore e possiede in sé il bene e il vero; è unità-sintesi vivente di diversi elementi, orientata verso la pienezza di vita e verso il sommo Bene e il sommo Vero. Tale concezione si pone in dialogo dialettico, con la costante preoccupazione di superare gli errori e di affermare la verità, con il neo-idealismo tanto in auge presso le scuole statali e i circoli intellettuali del tempo, il quale affermava la non realtà del finito e la sua risoluzione nell'infinito. Non ha paura di confrontarsi con lo storicismo assoluto del Croce e dcl Gentile, per il quale la realtà è storia, cioè svolgimento di razionalità e necessità, e ogni conoscenza è conoscenza storica. Neanche il socialismo materialistico che identifica nella materia la sola causa delle cose e di tutta la realtà è escluso dal suo orizzonte culturale e dal bisogno di combatterlo superandolo. Di pedagogia, di problematiche educative si ritorna a parlare dopo un intervallo di tempo causato forse dal deterioramento portato da alcune correnti positiviste, materialiste e neoidealistiche dell'ultimo scorcio del secolo XIX. Nuove istanze culturali hanno stimolato studiosi e pensatori ad interessarsi di problemi pedagogici. La pedagogia, sotto l'influsso della sociologia e della psicologia, ha ripreso il suo ruolo ed è rivista con maggior senso di fiducia. Se la sociologia coglie l'uomo nel suo ambiente e nei suoi fenomeni attuali, se la psicologia descrive ed esamina a fondo l'essere umano nelle sue 1nanifestazioni di coscienza e di subcoscienza, la pedagogia sussegue immediatamente per la ricerca finalistica della vocazione umana e dei modi di comportamento dell'uomo come individuo e come partecipante di una co1nunità 1.
1 S. RIVA, La pedagogia religiosa del No1iecento in Italia, La Scuola, Brescia 1972, 17. Per ulteriori approfondimenti cfr. G. CATALFANO, I jOndcunenti del personalis1110 pedagogico, Mondadori, Ro1na 1966; M. LAENO, Nuovi linean1enti di pedagogia, La Scuol3, Brescia 1990; M. DI MARCO, Il ten1a di pedagogia, La Nuova
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327
Il '900 fu il secolo non solo del risveglio decisivo della pedagogia religiosa, ma anche di uno sforzo di sistemazione e di organizzazione dei suoi vari elementi costitutivi in chiare unità. Balza in evidenza soprattutto l'apporto della teologia, che ha recato non soltanto la ricchezza dei suoi contenuti ma anche qualcosa della sua natura metodologica'. La pietà, la preghiera, il culto, l'elevazione spirituale non sono "scienza", ma quando si tratta di educare l'uomo al loro esercizio è evidente che non si prescinde dalla scienza teoretica e normativa che conduce al relativo momento operativo. Da ciò si capisce come la teologia, nelle sue componenti bibliche, cristologiche, sacramentarie, morali e liturgiche, si sia inserita nella pedagogia. Non si può disconoscere il contributo di molti teologi e studiosi di filosofia che hanno gettato le basi perché la pedagogia fosse veramente religiosa e si ispirasse all'uomo e la teologia rispondesse alla sua vocazione di alimentatrice della vita cristiana3. L'intento di questo articolo sta nell'illustrare i presupposti teologici e antropologici delineati da Mario Sturzo per una educazione che sia veramente umana e cristiana. Questa rivista ha già ospitato studi accurati della filosofia del vescovo, cui rimando per maggiore approfondimento. Nostra prima preoccupazione è quella di presentare il concetto di persona così come emerge negli scritti del vescovo, tenendo conto sia della prospettiva teologica che antropologica. Esamineremo la concezione pedagogica dell'Autore e, infine, tratteremo del compito-missione dell'educatore. Daremo la definizione dell'educazione per esaminarne il rapporto con la morale. Una nota metodologica che caratterizza la nostra ricerca è data dalle abbondanti citazioni di brani tratti dalle opere del nostro autore per comprendere il suo pensiero. Le opere in cui è trattato il presente tema sono diverse. Rimandiamo alla bibliografia per avere un'idea della vastità oltre che
Italia, Firenze 1974; M.C. VENUTI, Epistenio!ogia e filosofia dell'educazione, Flaccovio, Palermo 1983; L. VOLPICELLI (a cura di), La pedagogia, I, V, VI, Soc. Ed.
Libraria, Milano 1975. 2 Cfr. ibid., I 8. 3 Cfr. I. c.
328 della varietà. Nel corso del nostro studio abbiamo preferito soffermare l'attenzione su due opere, in particolare, che sintetizzano il pensiero sturziano, tenendo conto di due prospettive diverse: quello teoreticofilosofico e quello teologico-pastorale. Le opere sono: Problemi di filosofia dell'educazione, Trani 1930, e L'educazione nelle sue ragioni supreme, Torino 1938.
l. La persona unzana nel JJensiero di M. Sturzo
E' importante domandarsi qual è la concezione antropologica di Sturzo per conoscere meglio il destinatario del processo educativo. Per il vescovo l'uomo è un tutto, una unità vivente sintetica, la cui attività fondamentale è la vita. Dire vita significa parlare di quella attività perenne che è relativa, contingente e limitata nel tempo. E' un'attività vivente, in quanto processo fisiologico, sensitivo e intellettivo. Processo è anche l'anima, in quanto essa vive nel moto del conoscere e del volere. L'anima è unita al corpo, esse si condizionano a vicenda perché sono due sostanze che costituiscono l'unità vivente: J1uo1no.
Poiché l'uomo è unità, si desume che l'anima non attua da sola le sue potenze, ma con il concorso del corpo e solamente nell'ambito di questa unità. Così è possibile pure affermare che l'anima non è attività pura, perché non è un Dio, ma è processo in quanto moto dì conoscere e di volere; come processo è temporale, per cui per passare all'esistenza ha bisogno di chi le dia l'essere: siccome spirito non genera spirito, così ha bisogno di Dio che le dà l'essere per creazione e glielo conserva. L'essere viene all'esistenza come unità attiva e relativa insieme 4 .
Alla luce di quanto finora detto, nel pensiero del vescovo l'uomo è unità sintetica; utilizzando una terminologia sturziana più specifica sarebbe opportuno definirlo "unità sintetica attivorapportuaJe". «Unità sintetica attiva [ ... ] perché processo, moto; [ ... ]
4
Cfr. M. STURZO, Problen1i di .filosofia dell'educazione, Vecchi e C. Editori,
Trani 1930, 9-12.
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rapportuale perché gli elementi che costituiscono l'unità sono in rapporto e come unità tutte le varie tendenze dell'uomo hanno lo stesso andare; [ ... ] la tendenza intellettiva è la tendenza a conoscere, come la volitiva è la tendenza a fruire» 5 • Il concetto di tendenzialità, così come è proposto dal Nostro, consiste in questo moto dell'uomo verso l'oggetto esterno a se stesso, ma è anche un moto verso oggetti non ancora conosciuti e solo conoscibili sotto la guida della tendenzialità. L'aspetto più caratteristico di tale teoria riguarda la cognizione di Dio, nel senso che l'uomo può arrivare a tale conoscenza, almeno perché egli tende verso qualcosa che sorpassa i beni contingenti'. La sinteticità del soggetto nmano comporta che egli sia una potenzialità-attività centrale, la quale è unità-molteplicità, in quanto sempre agisce nella molteplicità delle potenze specifiche in modo che, per esempio, prima c è la tendenza e poi la conoscenza o l azio11e, o prima la conoscenza e poi il resto, ma c'è sempre la dinamica di tutte le potenze specifiche, che si rapportano simultaneamente ogni volta che un nuovo termine entra in relazione con il soggetto. Non si dà vera tendenza senza possesso del bene verso cui si tende, soltanto si dànno modi diversi di possesso. Noi non diciamo che la felicità consiste nei piaceri o nella virtù o nella somma di tutti i beni; affermiamo che nella vita presente la felicità non c'è né ci potrà essere. Per gli antichi il fine è ciò di cui l'uomo si appaga, ciò in cui si posa; in realtà l'uomo non si appaga né si posa mai: quando affeimiamo ciò in effetti abbiamo un rapporto che si attua, per cui si esaurisce e dà luogo ad un altro rapporto, nel perenne fluire del processo. Fra le tante aspirazioni o tendenze dell'uomo c'è quella della felicità, come pienezza di vita e perennità; questa tendenza è finalisticità, non immanente, ma trascendente, il cui termine non va posto nella vita presente, ma in un 1altra vita7• 1
5
Ibid., 169. Cfr. ibid., 170-178. 7 Cfr. ibid., 178-186.
6
1
33()_ _ _ _ _ _ _ _ Pasquale Buscem_i- · - - - · - - · · - 2. La dimensione sociale della vita umana Il soggetto umano non è un essere solitario o irrelativo, ma sociale; vive in una situazione reale di interscambio e di rapportualità concreta, è collocato in un rapporto di dare e ricevere nell'ambito di una data società di uomini. «Considerando l'uomo come relativo e sociale, [ ... ] si scopre che l'educazione non è la pura pedagogia, [ ... ] ma attività perenne della società. L'educazione considerata come funzione naturale, spontanea e sociale è la reazione individuale all'azione della società» 8. Data la contingenza dell'uomo, che è rapportualità e processo, la vita e l'educazione sono funzioni che domandano il ruolo determinante della società, dalla famiglia allo Stato. L'uomo non è un essere solitario, perché non basta a se stesso: nasce dall'uomo e da questi è allevato, istruito ed educato. Però, come non è azione esterna al nascituro il nascere, così non è azione esterna al nato l'educazione. L'azione che si fa interna, non è penetrare nell'interno di un altro essere per deporvi dati elementi, ma è agire sul medesimo; tale azione è seguita da una reazione 9 • Per mons. Mario la società che cos'è? E' la realtà che ci circonda e vive in noi in modo più o meno iniziale o progredito, più o meno profondo; è la realtà in cui noi siamo inseriti e vivia1no, per cui ruomo è essere storico; è la realtà che amiamo, perché nostra, parte di noi. Essa nella sua azione spontanea è educatrice, perché agisce naturalmente negli individui come forza ordinatrice; è un organismo che vive e prospera nell'ordine e a favore di esso. L'efficacia educativa della società va cercata nella sua realisticità e naturalitàw. «L'azione sociale mira più all'esterno che all'interno della vita; [ ... ] la sua efficacia educativa appare parziale e non integrale. L'uomo interiore, [ ... ] "il giusto", che ha il suo vero mondo nella sua coscienza ed attua l'ordine sociale per coscienza, nella società appare
8
!bid., 59-60. Cfr. ibid., 17. IO Cfr. ibid., 63-65.
9
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con il cristianesimo, il quale [ ... ] introdusse nel mondo la vita interiore, che è la forma veramente integrale dell'educazione, [ ... ] cioè vi introdusse la religione vera, che è come il fiore dell'elemento morale di cui hanno bisogno tutte le società umane, perché siano veramente civili» 11 .
3. Il carattere individuale dell'uomo La dimensione sociale nell'uomo non annulla né mortifica la sua individualità per cui l'uomo, in quanto individuo, ha in comune con gli altri uomini la natura, ha come proprietà l'individualità, per cui sente, pensa e vuole come tutti gli altri uomini e contemporaneamente svolge tutte queste attività come nessun altro uomo; è uomo ed è individuo; quell'individuo e non un altro. Possiamo anche dire che ogni nomo che nasce è un figlio dei suoi parenti, della sna stirpe, della sua civiltà; ma il figlio è tale soltanto in riferimento al corpo, rn quanto vi reca l'impronta della storia in cui si inserisce nascendo. In quanto allo spirito ]'nomo nasce ignorante, è simile a un foglio di carta sul quale nessuno ha ancora scritto nulla 12 . L'uomo nasce tale perché unità di anima e corpo: questa corrisponde nel linguaggio sturziano alla prima generazione; appena nato, comincia per lui la seconda generazione, che è quella conoscitiva. Avverte il processo progressivo e determinato dalle condizioni dell'ambiente in cui vive, dalla storia in cui si deve inserire, non come chi entra dove prima non era, ma come chi costruisce in sé e a modo suo quello che prima non aveva e lo costruisce con gli elementi che gli comunicano coloro che gli stanno accanto, i quali compongono la storia vivente ed agente. L'individualità distingue quest'uomo dagli altri e lo fa diverso, perché lo fa se stesso; certamente non lo fa altra natura, perché rimane un uomo, ma altra persona. L'individuo è nello stesso tempo l'uomo e quest'uomo"-
lbid., 65. Cfr. ibid., 106-107. 13 Cfr. ibid., 107. Il 12
Queste precisazioni che Sturzo propone sono preziose perché salvaguardano gli elementi fondamentali che compongono l'uomo nella sua unità sintetica, fanno evitare quella possibile massificazione o livellamento che, specialmente in campo pedagogico, viene attuato quando si trascura l'individualità della persona umana.
4. L'esistenza dell'uomo in riferimento a Dio
Nella riflessione del nostro pastore è fondamentale un concetto: «l'uomo esiste perché Dio lo fa esistere. Il principio immediato è nelle stesse cose create,[ ... ] ma il primo principio delle cose create è in Dio; fra l'uomo e Dio c'è un legame di remota origine, per l'anima è di origine prossima, [ ... ] supera ogni legame che deriva dagli altri rapporti. Se questo è un dato certo, l'ultimo fine dell'uomo non può che essere Dio; [ ... ] così quella felicità che l'uomo invano cercherebbe sulla terra, la cerca e la trova in Dio se non smarrisce la via che a Lui conduce» 14 • La tendenzialità e la finalisticità di cui abbiamo parlato precedentemente si realizzano in questa dimensione metastorica. Dio è fine a se stesso; non così è per l'uomo, perché non ha in sé la ragione del suo essere, non avendone la pienezza, la quale ce l'ha in Colui che è l'Essere assoluto che dà agli altri come un frammento di essere, che è resistere. Al vescovo è caro un versetto che cita in continuazione in tutti i suoi scritti: è una espressione di S. Paolo, riportata negli Atti degli Apostoli: «[ ... ] in eo vivùnus, movemur et sumus». In questa frase biblica è svelato il mistero della vita e del fine. L'uomo vive in Dio, che è la vita, anche quando a Dio non pensa: non è soddisfatto da nessun bene creato, perché egli e i beni creati sono contingenti, ma anche perché nel fondo del suo essere freme la legge della finalisticità trascendente, che lo spinge verso Dio 1'.
14
lbid., 187.
15
Cfr. ibid., 188.
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333
5. L'educazione come scienza della vita e il compito dell'educatore
«L'educazione vera e propria è una realtà spirituale,[ ... ] perché funzione di razionalità e libertà. Quando si nega lo spirito viene conseguentemente negata la ragione [ ... ] e quindi la libertà: [ ... ] rimane la sensitività, la quale è processo, ma è particolarità, [ ... ] deterministicità, [... ] istintività» 16 • Il vescovo prende posizione rispetto al neo-idealismo, criticando uno dei maggiori rappresentanti: G. Gentile, il quale afferma che l'educazione è l'unificazione degli spiriti, per cui l'alunno, che si suppone educabile, fa uno con il maestro, che si considera educato, così il primo produce in sé l'educazione del secondo. Ora l'educazione è il farsi, e questo è anche autofarsi; ciò deriva da una legge, quella del soggetto, e il soggetto è uno per tutti: in ciò è chiaro quanto impropriamente si parli di maestro e di scolaro, di educando ed educatore 11 . Il Nostro critica anche il materialismo: questa corrente non può parlare di educazione, perché dove c'è la sola materia, manca la libertà; non ne può parlare neanche l'idealismo, perché dove è lo spirito e la sola soggettività, non è possibile processo, c'è pura attualità, qui tutto è fatto e nulla occorre più fare. Se fosse vero il primo, l'uomo sarebbe un semplice bruto; se fosse vero il secondo l'uomo sarebbe un semplice dio. L'educazione è processo ed è possibile realizzarla dove c'è dualismo di soggetto ed oggetto, di potenza ed atto. In questo processo la razionalità fa conoscere come bisogna regolare il processo; la libertà rende capaci di attuare il processo che si ritiene educativo. «Conoscere quel che uno è, quel che uno non sarà senza un particolare lavoro di pensiero e di volontà, quel che uno dev'essere: questa è l'educazione» 18. Abbiamo finora detto che per mons. Mario !'educazione è un processo, ma di natura etica, che si attua progressivamente; in quanto
16
M. STURZO, Proble1ni di filosofia dell'educazione, cit., 15.
17
Cfr. ibid., 16.
18
/bid., 16-17.
3-34 Pasquale Buscemi - - - - - - - - - - - - - -------------------·------- -
tale non è separato dallo stato attuale in cui il soggetto si trova. «Quando l'educatore agisce sul!' educando, [ ... ] non versa il suo programma di educazione nel vuoto, [ ... ] ma pone un qualche termine di rapporti a cui rispondono le potenze del!' educando»". Il termine educazione è generico; come non c'è un solo atto umano che non sia morale, o moralmente buono o cattivo, così non c'è un solo atto umano che non sia educazione, anch'essa retta o disordinata. L'educazione non è semplicemente pedagogica, non è limitata a un solo periodo della vita, non è un processo sempre rettilineo ed ascendente; essa è formati va, reformati va, deformati va e sempre processuale; né è educazione solo quando è cercata di proposito e con metodo, ma è educazione anche quando non si bada più ad essa. L'educazione per sé è il processo rapportualistico della vita razionale, non è mai tutto fatto, perché la vita è funzione sociale; tale rapportualità determina, regola, agevola, ostacola il processo della vita degli individui. L'azione educativa è tanto più efficace quanto più ha di naturale e meno di artificiale; quanto più risponde alla realtà della vita e meno lavora d'apriorità. Però l'elemento proprio dell'educazione è la libertà, che è autodeterminazione, mentre rapportualità è reazione a una data azione20 • L'educazione la si può considerare da due punti di vista diversi: astrattivamente e realisticamente. La prima è l'educazione concepita come dovrebbe essere, la seconda è 1' educazione concepita così com'è. L'educazione-concetto è una costruzione filosofica, che varia a seconda del sistema: altro è il concetto che si fa il filosofo idealista, altro quello del positivista. Tale concetto o scienza dell'educazione va considerata come una creazione o una realtà che merita di essere conosciuta e studiata, perché meglio fa conoscere la vera realtà che è il nostro essere e la sua vera grandezza, che consiste nel suo sviluppo razionale, nel possesso più razionale di noi stessi, che è il tesoro della perfezione morale 21 • Esaminata da questa prospettiva, l'educazione è processo formativo, quasi una seconda generazione, non fisica ma
19
20
21
Ibid., 18. Cfr. ibid., 18-19. Cfr. ibid., 53-54.
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morale; è un unificare le varie attività dell'educando, recandovi armonia e forza, un insegnare a superare l'egoismo e a dominarlo. Il concetto è talmente ampio, sintesi di svariati elementi ed anche organico, da essere proporzionato al concetto della vita, al valore e ai fini della medesima. L'educazione è come un far entrare !'educando nell'armonia dei rapporti in cui si deve attuare la vita, è un ordinare la vita stessa22 .
6. L'educazione morale-religiosa
La sintesi suprema è il concetto che considera l'educazione come processo etico, sistematico, finalistico. Il vincolo ultimo che lega l'uomo, lo stimola, lo affina perfezionandolo, è la religione, anzi la vita mistica, come espressione di quella interiore. A fondamento della vita interiore sta l'incontro salvifico con Dio: la religione pertanto conclude e perfeziona il processo educativo. La vita interiore non è soltanto comportamento religioso, ma riflessione orientata alla ricerca e attuazione di essenziali valori ed infine fruizione di Dio. L'educazione, divenuta autoeducazione, perfezionata come vita interiore, non è pura teoria, è pratica ed impegno, si rivolge alla mente e alla volontà. Ciò di cui adesso vogliamo parlare e che il vescovo di Piazza Armerina definisce come "problema della vita interiore" in realtà, dal punto di vista filosofico, è il problema della stessa educazione intesa come autoeducazione, cioè come educazione di se stesso, facendosi a se stesso educatore. Questo ragionamento porta a fare una distinzione fondamentale tra il processo di educazione che va come dall'esterno ali' interno dell' educando e il processo che si genera nel!' interno, o meglio, tra il processo che si inizia dall'educatore e quello che si inizia dallo stesso educando. I due piani che qui vengono distinti, educazione ed autoeducazione, in realtà non sono due cose distinte e
22
Cfr. ibid., 58.
33i_ _ _ _ _ _ _ ._Pasqua!eBuscemi _ _ _ _ _ _ _ _ _ separate, ma sono una sola cosa, sono l'educazione rapportuale, cioè di relazione 23 • Una delle maggiori difficoltà dell'educazione è l'adesione dell' educando ali' azione dell'educatore, perché questa azione in qualunque modo venga svolta, implica sempre una qualche limitazione delle libere iniziative dell' educando. Nel processo dell'educazione l'elemento che va considerato come prioritario è l'ideale; corrisponde a ciò che fa umana la nostra conoscenza e che guida tutta la nostra attività pratica. Fra le idee che guidano il processo educativo sono da ricordare tutti quei valori imprescindibili e inviolabili, tra cui quello assoluto che è Dio. Tra queste idee-valori, che non sono una realtà, ma solamente un rapporto, c'è l'idea del dovere 24 • Questa idea è stata molto sfruttata da Kant quando tenta di costruire il discorso morale all'interno del suo sistema; mons. Mario afferma che per il filosofo tedesco la legge morale è un imperativo categorico, cioè quasi un assoluto e l'uomo, se vuole agire moralmente, deve essere mosso da questa legge. Il dovere, che è la stessa legge morale, è presente nei rapporti. Quando diciamo dovere affermiamo rapporti che non consentono altra attuazione. In quanto relativo l'uomo relativizza anche i rapporti che più hanno dell'assoluto; in quanto logico, assolutizza i rapporti che più hanno del relativo. Dio è il vero e unico, ma anche l'idea di Dio l'uomo relativizza. L'azione sistematica dell'educatore deve essere, innanzitutto, orientata a far prendere ali' educando nel loro giusto valore quei rapporti dai quali non si può né si deve prescindere. Tale lavoro diventa efficace ed offre frutti dnraturi nella misnra in cui è espressione di un sistema, quello dell'educatore". In questo lavoro di educazione ha un valore tutto speciale la meditazione. Questo è un argomento tanto importante per Stnrzo che riferisce il parere di pedagogisti antichi e moderni per focalizzare bene la preziosità fondamentale che essa riveste nel processo educativo. Ma cosa è la meditazione? E' un lavoro dell'anima, il quale
23
24 25
Cfr. ibid., 211. Cfr. ibid., 213-215. Cfr. ibid., 217.
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337
consiste nel raccogliersi in se stessi per riflettere con atteggiamento pratico sulle reali ed attuali condizioni del proprio mondo e su quelle reali ma non attuali del medesimo. La meditazione non è certamente il toccasana, ma è di sicura efficacia quando è praticata con assiduità, metodicità e rea!isticità. E' paragonata al cibo e alla ginnastica; essa nutre lo spirito, lo fortifica, ne sistema le attività processuali intellettivo-volitive. La vita umana è come un gioco di esigenze, di beni immediati e non, agenti nella sfera di un qualche ideale, cioè di un qualche concetto della stessa vita. L'educazione mira a far prevalere il sistema sul frammento, la razionalità sulla pura esigenza, il bene ordinato su quello non ordinato. Essa non crea i valori, ma li mette in evidenza e li addita dove essi sono: questo è un lavoro rivolto innanzitutto all'intelligenza, tuttavia l'educazione non è pura teoria, ma è pratica poiché guida all'azione; e questo lavoro è rivolto alla volontà. Siccome i campi del conoscere e del volere non sono due, ma uno, per la sinteticità dell'essere, così il lavoro dell'educazione non può procedere in modo analitico, 1na sintetico 26 . La meditazione non è tuttavia da confondere con lo studio, ma è esercizio di valutazione, o svalutazione, o rivalutazione, non soltanto
rivolto alla pratica, ma considerato come azione o addirittura presupposto alle azioni della giornata. Perché venga superata la frammentarietà e sia generata e attualizzata la sistematicità, occorre fare in modo che tutta la vita intellettiva e volitiva sia come animata dall'ideale di un dato sistema: ciò si consegue attraverso la cosiddetta "vita interiore". «La vita interiore non è generata semplicemente dall'esercizio della meditazione, [ ... ] ma da un dato modo di concepire la vita: [ ... ] qui la meditazione ha un valore importante. Questa è la vita ascetica [ ... ] che nel suo più alto grado è chiamata mistica»". La vita mistica ha come termine supremo l'intuizione puramente intellettiva di Dio; ciò ha la più ricca e caratteristica storia solo in seno al cristianesimo e ci tnostra co1ne la 1nistica cristiana non si può paragonare all'estetica,
26
Cfr. ibid., 219.
27
lbid., 229.
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Pasqualel3_uscemi_ _ _ _ _ _ _ _ _ _
ma deve considerarsi come un fatto animato da una speciale presenza di Dio nell'anima, a cui l'anima risponde con una elevazione di vita che non trova riscontro fuori della mistica28 .
7. Il compito dell'educatore nel processo educativo Qui facciamo la distinzione fra educatore ed educando; non vogliamo affermare con ciò che il processo educativo viene portato avanti ora dall'uno, ora dall'altro membro; riflettendo attentamente possiamo dire che i termini del rapporto sono due, ma il rapporto è uno solo: ciò significa che l'educazione la fanno insieme educando ed educatore. Tra gli uomini i rapporti sono reciproci, così anche tra educatore ed educando. La reciprocità è un fatto spontaneo che per attuarsi domanda la presenza e l'incontro di due termini. A causa di questa reciprocità l'educatore non dà senza ricevere, non provoca una reazione senza che un'altra sia provocata in lui, non educa senza essere educato 29 . Lo stesso ragionamento è da farsi per quanto riguarda i rapporti educando-parenti. I parenti sono i primi educatori, in quanto tali danno ai figli la vita e li fanno crescere. Ma i figli sono anch'essi educatori di se stessi, prima in modo più elementare e spontaneo, poi in modo superiore e riflesso, e sono anch'essi educatori di se stessi perché sono uomini e come tali hanno la potenza dell'autoformazione: quindi, oltre a ricevere dai genitori, sono in grado di aiutare i genitori nel loro cammino educativo 30 • Qui Sturzo distingue una educazione esterna all'uomo fatta da agenti esterni, quali possono essere i genitori; ed una interna che scaturisce ed è inerente alla natura umana come potenziai ità, che definisce "autoeducazione". L'educazione che l'uomo riceve da agenti esterni viene fatta propria dal soggetto attraverso un processo di assimilazione ed interiorizzazione. La società nelle sue varie farine,
28
29 3
Cfr. ibid., 18. Cfr. ibid., 17. Cfr. ibid., 92-93.
°
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per esempio, è detentrice di valori permanenti e fondamentali ai quali essa stessa ci educa, però è anche vero che l'educazione si approfondisce nel soggetto: c'è un rifluire dall'esterno verso l'interno, divenendo vita interiore.
8. La responsabilità dell'educatore nei confronti dell'educanda e della società L'educazione sistematica è quella fatta secondo un disegno prestabilito, cioè secondo un sistema; è l'educazione che si realizza di proposito, sapendo non solo di fare educazione, ma anche che cosa è educazione e possedendo la capacità di individualizzare ciò che è generale nel sistema. Molti fanno gli educatori; precedentemente abbiamo notato che i parenti lo sono per natura, però parecchi di questi educatori non sanno cosa sia educazione e come si proceda per conseguirne gli obiettivi; non hanno una chiara concezione della vita, non possiedono un sistema educativo e filosofico. Tali educatori non possono presumere di ottenere buoni risultati dalla loro attività e, conseguentemente, è facile pure riscontrare i risvolti negativi di tutto ciò nella società. La società umana è piena di mali perché l'uomo è contingente e limitato, per cui essa sarà sempre un misto di bene e di male; però sulla tena ci sarebbe molto più di bene e quindi molto meno di male se all'attività educativa si prestasse la dovuta attenzione e se il processo educativo venisse svolto con molta più coscienza e preparazione; però tutto ciò esige responsabilità, attenzione e solidità nella filosofia e nel sistema educativo da parte di chi vi si accinge. Chi vuol fare l'educatore occorre che a ciò sia naturalmente portato e vi si renda idoneo anche per via di studio31 . E' importante sottolineare come mons. Sturzo concepisca l'alto compito dell'educatore, che ha grandi responsabilità nei confronti dell'educanda, ma anche nella società; è una missione. Non esita addirittura a parlare di "sacerdozio". «La preparaz10ne
31
Cfr. ibid., 93.
34Q_ _ _ _ _ _ _ _ Pasqualel3_uscemi_ _ _ _ _ _ ___ _
dell'educatore è una specie di sacerdozio, [ ... ] che non si esaurisce nella formazione di alcuni uomini, [ ... ] ma estende la sua influenza [ ... ] redentrice e [ ... ] rigeneratrice a tutta la società, [ ... ] perché gli uomini saranno nella società quello che divennero nel tirocinio educati vo» 32 • Se queste sono le caratteristiche determinanti dell'operato dell'educatore, è evidente quanto sia grande il bisogno di dare agli educatori un sistema educativo che li metta in condizione di rispondere bene alle giuste attese delle famiglia, degli educandi e della stessa società. Tale sistema sarà buono se fondato su di una concezione che non ignora la vera origine della vita, i suoi fini, le sue leggi di formazione e di sviluppo 33 • L'educatore che ha coscienza della sua missione non si lascia guidare solamente dal buon senso, ma prima di tutto si preoccupa di conoscere o elaborare un sistema filosofico, in modo che il suo buon senso si traduca in scienza e il suo procedere si attui alla luce del suo sistema. Nella sua attività deve anche avere una visione unitaria, sintetica dell'uomo, non può limitarsi, per esempio, alla istruzione intellettuale della mente senza preoccuparsi delle interferenze etiche fra conoscere ed agire. Così è provato che l'educazione non è una funzione analitica, che si può esercitare su ciascuna facoltà separatamente, ma è un'azione sintetica, la quale interessa simultaneamente tutte le facoltà dell'uomo34 • «L'educatore di fronte a se [ ... ] non ha pura molteplicità, ma unità-molteplicità [ ... ] che si esplica nell'unica unità-molteplicità, che è l'atto umano»".
9. Gli aspetti negativi legati all'attività de/l'educatore L'educatore che ha davanti a sé !'educando è come se fosse contemporaneamente di fronte al noto e all'ignoto; il noto è l'uomo, mentre lignoto è quel dato uomo. Se egli spera di svolgere la sua
32
L.c. " Cfr. ibid., 96-100. 34 lbid., 100. 35 Ibid.• 112.
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attività con la sola scienza, non solo educherà, ma potrà anche pervertire. Nessuna scienza e nessuna filosofia gli dirà chi è colui che gli sta davanti; occorre che egli osservi !'educando ed abbia il genio dell'educazione, che corrisponde alla capacità di penetrare nella coscienza per la via dell'azione; e questo avviene nel tempo 36 . L'educatore inesperto considera !'educando, non come un uomo, ma come cosa, come un pezzo di creta, che si può modellare a piacere, come qualcosa di passivamente recettivo. Per mons. Mario nemmeno il bambino è puramente passivo di fronte al suo educatore, perché è un uomo: è recettivo, perché non ha tutto lo sviluppo né tutta l'esperienza degli anni maturi, ma in quanto uomo è attivo e capace di sentire, anche se debolmente, il peso di una educazione invadente, per cui è capace di reagire. Spingere !'educando alla reazione è pervertimento, come lo è pure la pedanteria. L'imitazione è una legge che caratterizza il periodo della formazione, tuttavia esprime il senso dell'inferiorità, perché la pedanteria è un porre se stessi come relativo, gli altri come assoluti, è sforzare il rapporto con gli altri che è sempre un ricevere e un dare e ridurlo a un semplice ricevere. L'uomo è un essere rapportuale, non è puramente autonomo né puramente originale; è invece una unità vivente e cosciente, che non si unifica mai con un altro spirjto né immedesima gli stati della sua coscienza con quelli di un altro 37 • L'educatore ha davanti una realtà che è l'unità fondamentale della potenzialità umana e l'umana individualità, irriducibile ad ogni altra individualità. La sua opera deve mirare a una retta sistemazione di questa unità e individualità e nello stesso tempo deve orientarsi a un lavoro di diversificazione tra soggetti, specialmente tra educatore ed educando, nel senso che leducatore non deve prendere sé o altri a modello, ma lo stesso educando. Le vie da seguire nel processo di educazione non si possono segnare a priori né possono scegliersi una volta per tulle, ma vanno cercate tenendo conto dell'alunno da educare 38 • Mons. Mario ha una concezione ottimistica dell'uomo, per
36
Cfr. ihid., 130-131. Cfr. ibid., I 32· I 33. " Cfr. ibid., I 65· I 66. 37
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cui afferma che se non dovesse esserci nessuna attività educativa, il fanciullo non resterebbe privo di educazione, ma soltanto dell'aiuto per pervenire ad essa. L'educazione è come la conoscenza: l'uomo segregato dalla società umana non resterebbe un stupido, ma nemmeno arriverebbe ai gradi superiori della conoscenza, perché dovrebbe percorrere da solo tutto quel cammino, che si abbrevia per mezzo della convivenza con altri uomini e dell'aiuto dei maestri. Di fronte all' educando I' educatore è insieme soggetto ed oggetto; è oggetto perché è un non io ed è soggetto perché è un io razionale; è oggetto in quanto comunica con ]'educando per via di fenomeni sensitivi, come i gesti e le parole; è soggetto perché attraverso quella via comunica pensieri ed affetti. L'educatore per l'educando è come e qualcosa di più della società. E' come la società perché è una realtà pensante ed agente; è qualcosa di più perché rivolge il suo pensare e il suo agi re ai fini del!' educazione 39 • Per quanto riguarda la responsabilità dell'educatore il segreto sta nel modo come egli concepisce le attività conoscitiva ed educativa. Se egli non si rende conto che conoscere, volere ed agire formano l'attività soggettiva, interna, autonoma e se egli crede di avere innanzi a sé non un uomo, ma qualcosa di passivo da modellare, come si modella la creta, egli avrà fallito e per I' educando sarà come un avversario, dal quale occorre guardarsi e reagire. Soltanto quando comprenderà la legge dell'interiorità del mondo della conoscenza e della relativa creatività del medesimo e avrà amore ed attenzione per l'educazione, solo allora comprenderà che la sua è missione di collaborazione e non di 1neccanicità 40 . L'educatore è come il mondo che si deve schiudere all'educanda: mondo di sapere e di virtù; egli è come una storia vivente nella quale si deve rapportare I' educando che mostra le vie da percorrere e quelle da evitare. Solo quando l'educatore ha chiare le idee su tutto ciò egli veramente educa, perché mette !'educando non solo di fronte alle costruzioni conoscitive e morali, ma soprattutto
.1 9 Cfr. ibid., 165. 4o
Cfr. ibid., 166-167.
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perché lo mette in condizione di creare a sé il suo mondo, la sua storia, la sua morale, la sua pratica, cioè la sua educazione: e questo nel miglior modo possibile".
IO. L'educatore è come un sistema
La differenza tra l'uomo ben educato e chi non lo è va cercata nella maggiore o minore regolarità sistematica dell'agire. Quel che l'uomo singolo non fa da sé o lo fa male, lo compie l'educatore, non nel senso che lo faccia in modo infallibile, ma nel senso che egli possiede quel che ancora l' educando non ha. L'educatore è come un sistema in azione: è l'uomo che ha già fatto la sua educazione. La prima ragione dell'educazione risiede non nelle parole che dice l'educatore, o nei precetti che dà, ma nel modo come si comporta. «L'esempio è efficace, [ ... ] perché è realtà spontanea ed immediata, è rapporto che con la naturalezza della spontaneità e la forza dell'immediatezza, [ ... ) si inserisce nel mondo dell'educando, modificandolo, mettendo questi in condizione di agire in conformità delle avvenute modificazioni. [ ... ] Chi non intende la forza dell'esempio come attività rapportuale, [ ... ) non è in grado di cavarne pedagogicamente tutto il profitto»"'· L'azione sociale a cui appartiene ogni forma di esempio spontaneo è la prima forza educatrice; tuttavia da sola non basterebbe e si compie con l'azione riflessa e sistematica; quest'ultima è efficace quando ha tutti i caratteri della realtà sociale spontanea e quelli della riflessione e del sistema. Questa azione si attua per mezzo della parola; però la parola educatrice consegue il suo fine quando ha tutta la spiritualità che deve avere, cioè quando non è parola avulsa dalla realtà del mondo dell'educatore e del mondo della storia e della tradizione, ma è come comunicazione di ciò che dall'educanda deve venir ricreato in se stesso come sua vita e di ciò che deve venir espulso o evitato, come nocivo al bene o al meglio della sua vita. E' parola
41 42
Cfr. ibid., 201-203. /bid., 203-204.
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fatta di suoni, di cenni o di atti che mira a stabilire nuovi rapporti nel mondo dell'educanda o a modificare i rapporti che in esso si trovano, o ad animarli di nuova vita, nuova forza ed efficacia; ossia che mira a destare le tendenze latenti dell'educanda o a modificare quelle già espresse~~.
«li segreto dell'educazione è tutto contenuto [ ... ] nel gioco
delle tendenze dei fini e dei rapporti, [ ... ] considerati nella loro realisticità, in modo che l 'educando senta tutta la logica della realtà, [ ... ] che è anche forza, e senta che non è ragionevole contrastarvi o [ ... ] rimanere indifferenti» 44 • La maggiore difficoltà all'educazione deriva dall'educando e consiste nel non aderire all'educatore con pienezza di convinzione e
di volontà. Ci potrebbe essere il caso in cui l'educatore è per !'educando un elemento di limitazione della sua libertà tanto da considerar1o un nemico da evitare o subire; quando ciò avviene l'azione educatrice ne soffre e a volte resta senza efficacia. Le cose cambiano aspctlo quando I' educando viene inizialo ai salutari segreti
della vita interiore; allora egli viene messo di fronte a Dio, considerato non come un potere opprimente, ma come il più benefico dei poteri: così il giovane è disposto a intendere la paternità divina ed è capace di sentire la contingenza del suo essere. La vita interiore è vita in Dio. In rapporto a questa vita, la guida è voluta, cercata, amata e scelta liberamente. L'educando non è più di fronte al suo educatore come a un potere subìto, ma è nelle mani della sua guida, perché di ciò egli è convinto.
11. Definizione dell'educazione A questo punto nasce spontanea una domanda: per il vescovo di Piazza Arrnerina che cos'è l'educazione? «[ ... ] Nel senso più vero e intero della parola è un ordinare o
riordinare le proprie tendenze e un disciplinarle in modo tale che uno
.lJ
44
Cfr. ibid., 204. Jbid .. 230-232.
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si renda disposto a compiere con facilità, prontezza e amore tutti i doveri della vita in ordine al fine intrinseco della stessa vita che, dato il cristianesimo, è di ordine soprannaturale, al quale le sole forze della natura non bastano»". Da quanto affermato emerge chiaramente che l'educazione è un'attività umana, una disciplina, che ha una finalità ben precisa: ordinare tutte le tendenze della persona. Nel linguaggio sturziano quando si parla di tendenzialità umana dobbiamo innanzitutto far riferimento alle capacità ontologiche dell'uomo quali la ragione e la volontà, dalle quali derivano il pensiero e il volere che nell'uomo stanno in un rapporto reciproco e si condizionano, formando l'uomo. In questo lavoro di pensiero e di volontà tutto quello che concorre dal di fuori non ha valore, se non è risoluto in interiorità, in adesione di pensiero e di volontà, in azione di se stesso sopra se stesso 46 . Quest'attività ordinatrice è orientata verso un obiettivo preciso: aiutare l'uomo e renderlo disponibile in modo che possa compiere tutti i doveri della vita in ordine al fine intrinseco della stessa vita, la quale per chi ha fede è di ordine soprannaturale, per cui è necessaria la grazia di Dio. Quindi l'azione educatrice aiuta l'uomo a compiere tutti i doveri della vita in vista del fine ultimo che è di ordine superiore; Dio vi interviene facendosi così il primo fattore dell'educazione. Chiaramente, quando la meta è ardua si fa ardua anche l'azione educatrice, ma è difficile semplicemente il primo passo. Infatti tale azione può essere provocata da molteplici fattori, che sono le occasioni che la vita di ogni giorno ci offre: una parola, un avvenimento può colpirci e ci obbliga a pensare al fine della vita, così come la lettura del vangelo, o della vita dei Santi, o dei libri di pietà, o anche delle stesse pastorali che il vescovo invia: tutto ciò può essere identificato come il principio di un'educazione, è dischiudere il cuore alla grazia, disporsi ad essa. Quando nell'uomo si destano le ansie del fine della vita, questi non ha pace finché non perviene allo
45 M. STURZO, L'educazione nelle sue ragioni supren1e, Tipografia Editrice Picinontcse, Torino 1938, 17. 46 Cfr. ibid., 18.
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stato di fervore se è una persona trascurata, alla carità se è nel peccato, alla fede se è un miscredente 47 • Questi stati di vita e questi avvenimenti per molti sono il passo decisivo verso l'educazione. Come già abbiamo visto, leducazione penetra nel profondo dell'uomo, nella sua interiorità: è un lavoro di pensiero e di volontà. Per natura siamo tutti fragili, la volontà è debole quando si tratta del compimento dei propri doveri; Dio, intervenendo con la sua grazia, ci rende idonei a compiere ogni azione ordinata a tutti i doveri; certamente la grazia è solo un aiuto e non fa tutto, perché Dio vuole che facciamo la nostra parte, la quale consiste in una lotta dura contro noi stessi per corrispondere all'azione educatrice; con un linguaggio paolino possiamo parlare di lotta che consiste nel far morire l'uomo del peccato perché nasca e prosperi l'uomo della grazia che è l'uomo nuovo 48 .
12. L'educazione e la morale Per mons. Sturzo «la morale è l'ordine razionale e finalistico delle azioni umane. Dire che è l'ordine razionale poteva bastare, perché le azioni umane sono per natura finalistiche. Se tali non fossero, ci sarebbero nel mondo azioni senza perché. Ora senza [ ... ] un fine, nessuno opera nel mondo [ ... ] pure io vi ho aggiunta la parola "finalistico'', perché reputo necessario che la finalisticità di tutte le azioni umane non sia dimenticata [ ... ] mentre parlo dell'educazione e della morale. L'ordine è l'armonia richiesta dalla natura dei rapporti» 49 . Il fine a cui sono ordinati tutti i fini è quello supremo, ultimo, per cui il vero ordine delle azioni umane è l'armonia delle medesime con l'ultimo fine per sé, con i fini intermedi per l'nltimo fine. Se non ci fosse questa connessione oggettiva, naturale, essenziale con l'ultimo fine, tutte le azioni sarebbero moralmente buone, perché tutte le azioni
47
Cfr. ibid., 17.
48
Cfr. ibid., 25. Jbid.• 35.
49
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sono fatte sempre e necessariamente per un qualche fine. Per esempio, l'elemosina è buona in sé, perché è atto d'amore fraterno; ma se è fatta per la vanità di apparire misericordiosi perde la sua bontà e diventa viziosa. Quando è atto d'amore fraterno l'elemosina è sempre buona, perché è considerata in armonia con il fine ultimo, cioè con l'ordine essenziale delle azioni umane. «Chi però fa l'elemosina per la vanità d'apparire benefico, ci badi o no, toglie la sua azione dall'armonia col fine ultimo, e la pone in rapporto con cosa che al fine ultimo si oppone, la quale cosa è la vanità. I teologi direbbero che fa un'azione materialmente buona, ma formalmente viziosa» 50 . Se confrontiamo la definizione della morale con quella dell'educazione si intuiscono subito i rapporti reciproci che ci sono. La morale è l'ordine razionale delle azioni in astratto e in universale; leducazione è larte di agire secondo quest'ordine, !'arte di attuare l'ordine morale in concreto e in particolare nella vita dei singoli 51 • «La morale è tutto !'ordine in tutti i gradi della sua perfezione, in tutte le difficoltà che occorre affrontare e superare nella sua attuazione; !'educazione è l'arte di svolgere e disciplinare le facoltà del conoscere e del volere in modo che l'individuo conosca bene lordine morale, voglia attuarlo con volontà forte ed intera, sappia così volere e così voglia con diligenza, costanza, ordine e progressività sino alle più alte vette della perfezione morale» 52 Non è possibile concepire la morale come una cosa a sé stante da poter consentire all'uomo la scelta tra una vita morale e una vita estranea del tutto ad ogni moralità, perché nel mondo non ci sono azioni indifferenti, anzi tutte le azioni umane, dalle più piccole alle più grandi, dalle più umili alle più sublimi, se non sono buone, sono male. Così appare evidente l'importanza dell'educazione e il dovere di acquistare l'arte del ben vivere, che si presenta come uno dei primi e più essenziali doveri della vita.
50
lbid., 293.
51
Cfr. I.e.
52
Ibid., 294.
348
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Conclusione
A conclusione del nostro lavoro, sommariamente possiamo affermare che il modello educativo che mons. Mario Sturzo propone si muove tenendo conto di queste direzioni: il processo pedagogico è orientato ed ha come diretto destinatario la persona umana, intesa come unità e sintesi armonica di molteplici dimensioni da non sottovalutare o da non considerare isolatamente, la molteplicità va esaminata alla luce dell'unità-sintesi; un'educazione che miri alla formazione del carattere e all'orientamento o "finalismo tendenziale dell'uomo"; un processo educativo studiato attentamente ed inserito in nn sistema teoretico ben preciso e chiaro all'educatore, ma evitando il rischio grave del tecnicismo. Ogni scelta pedagogica è determinata da una particolare filosofia e da una concezione antropologica ben precisa. Dal Nostro l'uomo è concepito come persona i cui pilastri sono l'attività razionale e la libertà, sintesi di razionalità, volitività e sensibilità, finalisticamente e ontologicamente orientato a Dio, in quanto creatura di Dio e perché in Dio vive si muove ed esiste; è visto come individuo, ma ha una dimensione sociale, con un ruolo attivo e creativo: è inserito nella storia, non per subirne passivamente i condizionamenti ambientali ma per orientarne il corso, in modo da potersi realizzare come persona chiamata a soddisfare una propria progettualità, legata alla sua natura razionale e libera. In questo lavoro pedagogico, leducatore svolge un compito fondamentale. Quando i suoi interventi rispettano determinate condizioni, il compito dell'edncatore assume le sembianze di una missione sacra: l'Autore non esita a paragonarla al sacerdozio. Nessun processo educativo sarà efficace se non è orientato alla formazione del carattere, cioè se non è una pedagogia morale. Mons. Mario parla spesso di una educazione orientata a creare nell'educando la fermezza di volontà, la perseveranza nei buoni propositi, l'amore per il bene, una periodica azione meditativa, capace di destare sempre il desiderio per il bene vero ed assoluto e di orientare l'uomo con le sue molteplici dimensioni verso l'unica realtà: vivere in Dio e far propri tutti i valori morali che riempiono la sua esistenza.
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Possiamo affermare che per mons. Sturzo l'educazione vera è un processo che si inserisce nella dimensione finalistica della vita; essa è tutta orientata alla santificazione dell'uomo, per cui abbraccia tutto larco dell'esistenza umana. Infatti, la via della propria educazione e della propria formazione è quella della santità, che è il supremo dei doveri, a cui è legato ogni bene; tale via ha i suoi sacrifici e le sue rinunzie, ma quando si è in Dio tutto diventa possibile e realizzabile. L'educazione mira a far agire l'uomo secondo il suo ultimo fine ed è tutta orientata alla vita interiore, che è vita in Dio, nei suoi influssi personali e sociali. Questa vita anima tutte le azioni, regola e domina tutte le tendenze della mente e tutti gli affetti della volontà, dispone al raggiungimento della visione e della unione in Dio, che è il fine supremo dell'uomo. Essa inoltre non si inserisce come cosa fatta, senza la partecipazione e l'elaborazione del soggetto; infatti l'opera degli educatori regola e abbrevia il processo dell'educazione, che si attua nel soggetto per virtù dellll sua stessa natura. Ci sono fattori che condizionano in pos1t1vo ed in negativo l'educazione; i condizionamenti negativi possono essere respinti, controllati, risolti diversamente e in vari modi. Quindi l'educazione è la disciplina che orienta e regola le facoltà umane, in modo tale che l'uomo possa pensare e agire rettamente. Le ragioni supreme dell'educazione vanno cercate, e di fatto si trovano, nella morale e nella religione; il supremo principio di tale attività è il dovere, inteso come dovere morale e religioso. A conclusione di tutto il nostro lavoro penso che non sia eccessivamente ingiustificata l'affermazione che il sistema pedagogico progettato da Sturzo e i suggerimenti in materia siano di una modernità molto evidente e i suoi suggerimenti siano realmente preziosi per educare armonicamente l'uomo d'oggi, per ricostrnirne quella dignità continuamente compromessa da sistemi educativi vuoti o fallaci e per rinnovare la società contemporanea, che per tanti versi si presenta fallimentare e degenerata.
350 So111111ario
Dopo aver inesso in luce brevemenLe alcuni clementi importanti che caratterizzano la concezione antropologica di Mario Sturzo, ed aver sottolineato alcune note essenziali della riflessione sulla persona, l'Autore presenta il pensiero pedagogico dcl vescovo piazzese. Alla luce dei presupposti antropologici e teologici, l'educazione viene definita come scienza della vita; essa ha come fine l'ordinare Lotte le tendenze dell'uomo, in modo tale che egli si renda disposto a compiere con facilitĂ , prontezza e amore tutti i doveri della vita e conseguentemente si realizzi co1ne persona. L'educazione trova il suo apice e la sua rnassiina espressione nella morale e nella religione; nel processo educativo, inoltre, un ruolo importante Io svolge l'educatore.
Synaxis 12 (1994) 351-436
LE RELAZIONI "AD LIMINA" DELLA DIOCESI DI CATANIA (1779 - 1807)
ADOLFO LONGHITANO'
1. Il vescovo Corrado Maria Deodata
Le dimissioni del vescovo Salvatore Ventimiglia furono accettate dal papa l' 11 dicembre 177 P. Per oltre nn anno la diocesi di Catania fu governata dal priore del capitolo della cattedrale Bonaventura Gravina, già vicario generale del vescovo dimissionario'. Come nuovo vescovo la corte di Palermo nel dicembre del 1772 designò Corrado Maria Deodata', che fu presentato formalmente alla
* Professore di Diritto canonico nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 A. LONGHITANO,
Le relazioni "ad lùnina" della diocesi di Catania (1762), in Synaxis I O (1992) 315-418: 359-364. 2 CATANIA. ARCHIVIO CURIA ARCIVESCOVILE, Tutt'Atti (=TA) 1772-1773. 3 La designazione non sembra avesse il carattere riservato di un atto giuridico che per essere formalizzato doveva ancora attendere la conferma del re, l'esito del processo informativo canonico e la nomina del papa. Infatti il Villabianca scriveva il 21 dicembre 1772 nei suoi diari: «Si è pubblicata l'elezione del novello vescovo di Catania, fatta dalla corte in persona di monsignor D. Corrado Dcodato e Moncada, nobile di Noto, figlio di Carlo Deodato, barone del Burgio e di Girolama Moncada e Di Giovanni, figlia questa di Giaco1no, principe di Calvaruso. Egli è un uomo convenientemente dotto, e di una santa morale adorno, e abbastanza già conosciuto per le cariche, che ha esercitate con molta lode, di vicario generale dell'arcivescovo di Messina ed anche di vicario generale capitolare della stessa chiesa messinese sede vacante» (Diari della città di Palenno, in Biblioteca storica e letteraria di Sicilia, a cura di G. Di Marzo, 15, L. Pedone Lauriel, Palermo 1875, 122). Lo stesso vescovo eletto, il 9 febbraio 1773, scrisse una lettera al capitolo della cattedrale per
352 Santa Sede dal re Ferdinando III il 5 aprile 1773'. Il neo eletto, che aveva compiuto 37 anni, dopo il rituale processo informativo svoltosi a Roma il 17 aprile, fu nominato da Clemente XIV con bolla del IO maggio 1773 5 ; ricevette la consacrazione episcopale a Frascati il 16 maggio dal card. Enrico Benedetto Maria Clemente, duca di York 6 e il 3 giugno 1773 prese possesso canonico della diocesi, tramite il vicario generale can. Giuseppe Maria Rizzari, decano della cattedrale'; fece il suo ingresso in diocesi nel pomeriggio del 15 agosto 8 •
predisporre l'alloggio per sé e per la n1adrc: «[ ... ] informato che codesto palazzo vescovile non è sufficiente pclla mia abitazione e di mia signora inadre, desidererei che l'E.V. Rcv.ma si cornpiacesse accordarmi cotesto pfìorato e ciantria f... ]» e si firn1ò «Corrado Maria, vescovo eletto di Catania» (CATANIA. ARCHIVIO DEL CAPITOLO CATTEDRALE, Voh11ne 111iscellaneo del can. Vito Coco, 114, 53lr). Rain1ondo Platania, in un discorso tenuto probabilinente in seminario nella ricorrenza anniversaria della consacrazione del vescovo, ci informa che il Dcodato in un prin10 1nomento aveva rifiutato la proposta di diventare vescovo di Catania (R. PLATANJA, Oratio de Corrado Maria Deodata episcopo Catanensi, BIBLIOTECA REGIONALE DI CATANIA, manoscritti della Vcntimilliana, VII, 239-252: 246). 4 La lettera di presentazione del re porta la data del 5 aprile 1773 (ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Processus Datariae [=PD'] 150, I 04r-l 17r: 111 r). 5 Le bolle apostoliche relative alla nomina dcl vescovo furono eseguite a Palermo dal viceré il 27 rnaggio e trasn1essc a Catania il 2 giugno (CATANIA. ARc1-11v10 DELLA CURIA ARCIVESCOVILE, Editti [=E] 1769-1776, 33r-v). Il testo si trova in TA 1772-1773, 403r-410r. 6 R. RITZLER - P. SEFRIN, Hierarchia catho/ica 111edii et recentioris aevi, VI, Il Messaggero di S. Antonio, Patavii 1968, 156. Pare che il papa Cle1nente XIV abbia espresso il suo augurio al neo vescovo con queste parole: «Vade, fili bcnedicte, non sinc causa te Deus tam iuvcnem ad Ecclesiae rcgimen dclcgit» (R. PLATANJA, op. cit., 250). 7 L'atto di procura porta la stessa data della bolla di no1nina (1 O 1naggio 1773) (TA 1772-1773, 401r-403r). La nomina dcl vicario generale fu firmata due giorni dopo (12 maggio), prin1a ancora che il Deodata ricevesse la consacrazione episcopale (ibid., 412v-413v). Il vescovo non confern1ò come suo vicario generale il priore del capitolo Bonaventura Gravina, che per tanti anni aveva svolto questo ufficio durante il governo del vescovo Ventimiglia e aveva retto la diocesi durante il periodo di sede vacante. Il Rizzari svolgerà l'ufficio di vicario generale fino alla 1nortc (28 maggio 1800); gli successe il can. Sebastiano Zappalà Grasso (TA 1799-1800, 213v-2l5r). Su questo personaggio vedi V. PERCOLLA, Biografie degli uon1ini illustri catanesi, P. Pastore, Catania 1842, 327-339. 8 Il nuovo vicario generale, in un primo editto del 3 giugno 1773, ordinò che in tutte le chiese si cantasse il Te Deun1 e prorogò le facoltà scadute ai collaboratori di curia e ai vicari (E 1769-1776, 34r-35v); in un altro editto dell'l 1 agosto invitò il clero a riunirsi «nella venerabile chiesa della Carcarclla)) per partecipare al corteo che avrebbe accompagnato il vescovo nella cattedrale (ibid., 37r-38r).
Diocesi di Catania: relazioni "ad limina" ( 1779-1807)
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l .l Nascita, formazione, ministero a Messina Corrado Maria era nato nella città di Noto, diocesi di Siracusa, il 15 gennaio 1736 da Carlo Deodato, barone di Burgio e Mancina e da Gerolama Moncada, dei principi di Calvaruso 9 • Poiché il titolo baronale spettava al fratello maggiore Giacomow, Corrado, secondo la consuetudine, fu avviato alla carriera ecclesiastica. La madre, nel 1741, era rimasta vedova e quando nel 1743 un suo fratello, il domenicano Tom1naso Moncada, fu nominato arcivescovo di Messina 11 , pensò di affidargli l'educazione del figlio Corrado. Questi, ancora bambino, lasciò la casa paterna per trasferirsi nella città dello stretto'', dove ricevette la prima istruzione e la formazione prescritta per accedere agli ordini sacri"- All'età di 17 anni, quando presumibilmente aveva ricevuto solo la prima tonsura, gli fu conferita dallo zio arcivescovo la prebenda di arcidiacono del capitolo della cattedrale di Messina", che gli garantì l'indipendenza economica. Nel 1754, il giovane si recò a Roma, per completare la formazione umanistica e teologica nel noto collegio Nazareno degli scolopi'', ove frequentò un corso biennale di
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Po 150, 108r. 1 F.E. VJLLABIANCA, Della Sicilia nobile, IV, Pietro Benti venga, Palern10 1759, 299; V. SPRETI, Enciclopedia srorico-nobiliare italiana, ll, Milano 1928, 611. 11 R. RlTZLER - P. SEFRIN, op. cit., 286; F.E. VILLABIANCA, op. cit., I, Panarmi 1754, 107. 12 F. STRANO, Elogio di Mons. Corrado Maria Deodata, vescovo di Catania, recitato [ ... ]fra le solenni esequie celebrate nella insigne collegiata chiesa di Aci Catena li 4 dice111bre 18 I 3, Starnperia de' Regi Studi, Catania 1814, 7. 13 E' probabile che il giovane abbia frequentalo il Real Collegio dei Nobili degli scolopi. Può anche aver ricevuto la pri1na fonnazione nel seminario o nel collegio dci gesuiti. 1'1 F. STRANO, op. cit., 9. 15 I chierici regolari poveri della Madre di Dio delle scuole pie, ineglio conosciuti con1e scolopi, erano stati fondati a Roina dallo spagnolo Giuseppe Calasanzio negli anni a cavallo fra la fine del secolo XVI e l'inizio del XVII. Si tratta di uno degli ordini religiosi fioriti nel clima della controriforn1a, che aveva come fine precipuo l'educazione cristiana della gioventù 1nedia11te l'istituzione di scuole gratuite per i poveri, un'altività che - secondo gli insegnarnenti del fondatore - non poteva essere vantaggiosa a chi la co1npie, né efficace per gli altri, se non era sorretta da una robusta vita interiore alimentata dalla preghiera e dallo spirito di sacrificio. La spiritualità degli scolopi affonda le sue radici nella devotio 111oder11a e, inizialmente, si servì degli strumenti approntati dai gesuiti: il 1netodo della 111eclitazione e degli esercizi spirituali dì S. Ignazio, il catechisn10 di S. Roberto Bellannino in Italia e di
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3_5_4 __________ ~d_o!fo Longhitano______ ________ _ retorica e un anno di teologia, distinguendosi per il suo carattere amabile e per il suo comportamento irreprensibile. Nel 1757 lasciò il Nazareno per l'Accademia Ecclesiastica 16 , dove quasi certamente completò il corso teologico senza conseguire alcun titolo di studio". L'Accademia Ecclesiastica era stata fondata nel 1701 da Clemente XI S. Pietro Canisio in Germania. Nonostante questa affinità spirituale, gli scolopi entrarono presto in conflitto con la Compagnia di Gesù a motivo della co1nune attività apostolica: i collegi e le scuole. Nel '700, dimostrarono in linea di massima una <ifonna nienlis più libera e aperta, maggiormente disposta che non in altre istituzioni ecclesiastiche [ ... ] a confrontarsi con quel che andava intanto realizzandosi attraverso i lun1i nell'ambito di un più largo processo di secolarizzazione, sino ad incontrare quelle esigenze di inutamento radicale che scuoteranno la società italiana a fine secolo, col triennio rivoluzionario» (M. ROSA, Spiritualità 111istica e l'insegncunento popolare. L'Oratorio e le Scuole Pie, in AA. Vv., Storia dell'Italia religiosa. 2. L'età nioderna, Laterza, Bari 1994, 271-302: 300. Notizie essenziali sugli scolopi si possono trovare in G. AUSENDA, Chierici regolari poveri della Madre di /)io delle scuole pie [scolopi o piaristi], in Dizionario degli Istituti di Pe1:fezione, IT, EP, Roma 1975, 927-945; ID., la scuola nella storia di alcuni istituti religiosi. Il. Gli scolopi, ibid., VIII, Roma 1988, 1152-1165; M. M ARCOCCHJ, La r~fonna cattolica. Dociunenti e testùnonianze, II, Morcelliana, Brescia 1970, 166-178). In Sicilia gli scolopi ebbero una buona diffusione anche per la protezione paternalistica della n1onarchia spagnola (A. SrNDONJ, Le scuole pie in Sicilia. Note sulla storia de/l'ordine scolopico dalle origini al secolo XIX, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia 25 [1971] 375-421). II collegio Nazareno era stato fondato nel 1630 dal card. Michelangelo Tonti e il fondatore degli scolopi aveva accettato di assumerne la direzione (P. VANNUCCI, Il Collegio Nazareno, Roma 1930). 16 «A dì 23 maggio [1754] entrò in collegio di mattina il sig.r D. Corradino Adeodato di Moncada. Partì il dì 9 ottobre 1757, avendo studiato un anno di teologia. Giovine ottimo nei costu1ni, anzi un po' scrupoloso, alle volte malinconico, savio, polito ed ainabile per il suo nobile tratto. Si è portato all'Accademia Ecclesiastica» (ROMA. ARCHlVIO DEL COLLEGIO NAZARENO, Alunni e convittori e11trati in Collegio dal 1630 al 1774, vol. 1, 259). Durante la sua permanenza nel collegio, il giovane Corrado fece parte della congregazione lauretana - i cui membri partecipavano ai benefici spirituali della congregazione delle scuole pie - e fu presidente della stessa dal novembre 1755 al 1narzo 1756 e dal marzo al 1naggio del 1757 (Notizie fornitemi dal rettore del Nazareno, p. Vittorio Tarquini, che ringrazio per la sua cortesia e disponibilità). Il Castorina nel breve profilo che fa del nostro vescovo, a distanza di 75 anni dalla sua morte, scrive che a Roma il Deodato frequentò il collegio Clementino (P. CASTORINA, Elogio storico di Monsignor Salvatore Venti111ig!ia, vescovo di Catania, Tip. Giacomo Pastore, Catania 1888, 221). Probabilmente il Castorina intendeva riferirsi all'Accademia Ecclesiastica fondata da Clemente Xl e non al noto collegio dei somaschi. 17 Dopo la sua presentazione a vescovo di Catania e la celebrazione del processo informativo, il 22 aprile 1773, gli fu conferita la laurea in teologia «Con sommo applauso e per acclamazione» alla Sapienza di Roma (Po l 50, 11 Or e 1l6v), probabilmente sulla base dcl regolare corso di studi fatto durante gli anni della sua permanenza nel collegio Nazareno e nell'Accademia Ecclesiastica.
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per preparare giovani ecclesiastici al sevizio diplomatico della Santa Sede 18 • Pertanto si deve presumere che il giovane Corrado avesse in animo di fermarsi a Roma. Non sappiamo per quali motivi si sia deciso ad abbandonare questo progetto e a fare ritorno a Messina, dove ricevette dallo zio arcivescovo l'ordinazione presbiterale (I marzo 17 60) 19 e subito dopo la nomina di vicario generale 20 li sospetto del nepotismo è più che fondato nella rapida carriera del giovane prelato; sembra tuttavia che egli avesse buone qualità umane e di governo se, dopo la morte dello zio, fu nominato per tre volte vicario capitolare e per altre tre volte vicario generale 21 • 1.2 La personalità del Deodata e la difficile eredità del Ventimiglia Dalle testimonianze dei suoi contemporanei risulta che il nostro vescovo era stimato per il carattere mite e remissivo, idoneo più ad un'opera di mediazione e di conciliazione che di riforma. Secondo quanto afferma F. Strano, la sua personalità era dotata «d'una mansuetudine di spirito, d'una dolcezza di carattere, di una austerità di costumi» 22 • Questo giudizio sembra confermato: dalla fiducia che
18 Probabilmente gli alunni dell'Accademia frequentavano il corso di teologia alla Sapienza; infatti solo con Pio VI l'Accademia ebbe al suo interno le facoltà di teologia, diritto e storia. (P. SAVINO, Pontrfica Accadeniia Ecclesiastica, in Enciclopedia Cattolica, I, Ciltà del Vaticano 1948, 175). 19 Po 150, 109r. 2° F. STRANO, op. cit., 9, 21 Il capitolo della cattedrale gli affidò la guida della diocesi dopo la morte dello zio (1762), del benedettino Gabriele Maria Blasi (1764) e del teatino Giovanni Maria Spinelli (1770). L'ufficio di vicario generale, dopo essergli stato affidato per la prima volta dallo zio, gli fu confermato dai due successori e da Scipione Ardoino. La notizia, oltre che dalla bolla di nomina (TA 1772-1773, 403v-404r), è riportata da F. STRANO, op. cit., 11-12. Raimondo Platania fa notare che il vicario capitolare, dopo l'elezione dei canonici, per esercitare il suo ufficio aveva bisogno della conferma della corte di Palermo. Questa circostanza contribuisce a ridimensionare il sospetto del nepotismo e a sottolineare le buone qualità del giovane prelato (R. PLATANIA, op. cit., 243). Lo stesso ci infonna che il Deodata era stato sul punto di essere nominato arcivescovo di Messina e che la proposta era stata scartata per la giovane elà del candidato (ibid., 245). 22 F. STRANO, op. cit., 9. Lo stesso concetto è ripetuto verso la fine dell'elogio: «Non è meno interessante per l'umanità e per la religione il considerarvi l'uomo sensibile e sociale. Da questa qualità [... ] derivava in lui quella affabilità di carattere, quella dolcezza di maniere, quella facilità di fiducia che non si trovano sì
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riposero in lui, a Messina, i vescovi e i canonici del capitolo per nominarlo vicario generale e vicario capitolare (nonostante la sua giovane età), dai primi documenti con i quali egli si presentò alla diocesi di Catania e dalla linea di condotta tenuta con le autorità civili. In una lettera pastorale, scritta a Frascati il giorno stesso della sua consacrazione episcopale e inviata alla diocesi di Catania, con un linguaggio affabile e rispettoso chiede la collaborazione di tutti nel difficile compito affidatogli: dei canonici della cattedrale, dei parroci, del clero, delle religiose, del senato cittadino, del popolo 23 • Un vescovo dal carattere mite può avere il vantaggio di evitare atteggiamenti di rottura e di porsi nelle migliori condizioni per utilizzare le capacità dei suoi collaboratori, ma può anche dare l'impressione o di non perseguire un chiara linea di azione o di preferire al rischio dei cambiamenti e delle riforme la certezza derivante dal mantenimento dello status quo. Nella diocesi di Catania era ancora vivo il rammarico per le improvvise dimissioni del vescovo Salvatore Ventimiglia ed era nei voti di tutti che il successore continuasse le riforme da lui intraprese. F. Strano con uno stile efficace, anche se non privo di retorica, descrive il clima di attesa che si era creato negli ambienti ecclesiastici e culturali della città e la soddisfazione per la nomina di un giovane vescovo, che sembrava possedere i requisiti per porsi sulla scia del suo predecessore: «Catania si era veduta abbandonata da un vescovo fatto per rigenerarla alla luce delle lettere e della filosofia e che aveva già gettate le fondainenta della di lei rigenerazione. Una perdita che parea di lasciare un vuoto irreparabile nel piano della felicità catanese, tcnea tuUi gli anirni nella costernazione e nel dolore, allorché all'apparire di un giovane pastore, che aveva di già dato .saggio del suo merito nella cura d'un gregge alieno e che dava tanti argo1nenti
sovente fra gli apparati della grandezza e fra lo splendore della dignità>> (ibid., 32). Il giudizio dello Strano ricalca nella sostanza quello formulato dai superiori del Nazareno. "TA 1772-1773, 453v-457r.
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di fiducia pel bene essere del suo proprio, che gli veniva ora commesso, la speranza comincia a rilucere» 24 •
Il Deodato non sembra provenire dalla stessa matrice culturale del suo predecessore". Tuttavia per la stima personale che aveva per il Ventimiglia e per il generale rimpianto che aveva trovato al suo ingresso in diocesi, sembrava deciso a proseguire per la via delle riforme da lui tracciata". Affermando che il Deodato intendeva collocarsi sulla scia del suo predecessore, non possiamo ritenere di avere definito la personalità del nostro vescovo, la sua scelta di campo nei confronti dei diversi gruppi e movimenti esistenti a Catania in quegli anni, né tanto meno possiamo sottintendere che egli abbia condiviso pienamente e sia riuscito a realizzare il progetto pastorale del Ventimiglia. In definitiva resta tutto da scoprire un personaggio che fu fra i testimoni di un periodo storico di intensi cambiamenti, con la prospettiva di una ricerca che presenta non poche difficoltà: manca un'analisi accurata di questo periodo della storia della Chiesa siciliana e catanese; gli storici, che si erano prefissi di raccogliere le fonti, di dare una ricostruzione dei fatti e di formulare un primo giudizio, chiudono le loro opere nel secolo XVII o nella prima metà
24 F. STRANO, op. cii., 12; lo stesso concetto esprime R. PLATANIA, op. cit.,
240. 25 I due vescovi avevano fatto corsi di studio in ambienti diversi e avevano avuto esperienze del tutto differenti: il Ventimiglia, dopo aver completato il corso di studi nel collegio dci gesuiti di Palermo, era approdato alla sponda opposta dei cattolici illuminati ed era stato nominato vescovo dopo un lungo ed intenso periodo di attività culturale e pastorale. Il Deodata aveva iniziato giovanissitno la sua esperienza di governo, subito dopo aver compiuto il corso di studi nel collegio Nazareno degli scolopi e all'Accade1nia Ecclesiastica. La matrice culturale del Deodata sembra, perciò, determinata prevalentemente dagli insegnamenti ricevuti a Roma. 26 F. Strano sembra affermare che il Deodata nel suo testamento abbia dichiarato di aver voluto seguire "l'esempio luminoso dell'illustre suo predecessore" (F. STRANO, op. cit., 29). Tuttavia nella copia del documento, conservata presso il monte di pietà di Catania e gentilmente fornitaci dal direttore dott. Giancarlo Benzi, non risulta questo particolare. Forse lo Strano intendeva far riferimento alle manifestazioni di volontà fatte dal Deodata a Palermo nel giugno 1813, quando giunse in punto di morte e prese la decisione di redigere il proprio testamento dinanzi al notaio Antonino Cavaretta.
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del secolo XVIII27; gli oltre quarant'anni di governo pastorale del vescovo Deodato richiedono un lavoro di ricerca non indifferente nelle fonti d'archivion Infine non vanno sottovalutate le complesse vicende che caratterizzarono i lunghi anni di questo episcopato: il riformismo borbonico, gli ultimi sviluppi del giansenismo italiano, la rivoluzione francese, il giacobinis1no, il nuovo assetto costituzionale dato alla Sicilia nel 1812 ... 29 • Non proponendoci in questo studio una biografia del vescovo Deodato, ma una introduzione alle sue relazioni ad limina, possiamo limitarci ad utilizzare gli elementi di cui disponiamo. Fondandoci su questi dati, le componenti che ci consentono di delineare l'identità culturale del Deodata sembrano essere: una solida preparazione umanistica e una cerla familiarità con
27 Rocco Pirri 1norì nel 1651 e la sun opera Sicilia Sacra fu continuata da Antonino Mongitore e da Vito Maria A1nico fino al 1730; Giovanni Battista Dc Grossis slainpò C'atana Sacra nel J 654; Vito Maria A1nico pubblicò i quattro volu1ni della sua Catana Jf!ustrara negli anni 1740-1746. Solo il Ferrara si spinse sino alla fine del secolo XVIII (F. FEl~RARA, Storia di Catania sino alla fine del secolo XVIII, Lorenzo Dato, Catania 1829). Da apprezzare il proposito di G. Boglino e dci suoi collaboratori di continuare l'opera dcl Pirri. Tuttavia il prorilo dcl Dcodato, tracciato dal cnn. Messina, pur riparlando numerosi docu1nenti d'archivio, è più un elogio che uno studio storico-critico (V. MESSINA, Mons. Corrado M. Deodati Moncada [ 17731813], in La Sicilia Sacra. Effe111eride per la storia della Chiesa siciliana 6 [1904] 126-141; 228-250; 395-421). 28 I registri di Tuff'A!ti rclai·ivi agli anni 1773-1786 sono andati perduti o non sono consultabili per i danni provocati dalle tern1iti e dall'umido. V. f\1essina la1nenlava già questa perdita nel 1904. 29 Per un quadro generale delle vicende storiche e dei 1novi1nenti culturali di questo periodo vedi: D. SCJNA', Pro.1petto della storia lefteraria di Sicilia nel secolo decùno!favo, (a cura cli V. Turane), 3 voll., Edizioni della Regione Sìcilians, Palermo 1969; F. SCANDONE, Il giacobi11is1110 in Sicilia ( 1792-1802), in ArchiFìo Storico Siciliano N.S., 43 (1921) 279-315; 44 (!922) 266-361; M. CONDORELLT, Noie SII Stato e Chiesa nel pensiero degli seri/fori giansenisti siciliani del secolo Xli!//, in 11 Diritto Ecclesiastico 68 (1957) 305-385; Io., Mo111e11ti del rifonnis1110 ecclesiastico nella Sicilia borbonica (1767-1850), Ed. Parallelo, Reggio Calabria 1971; C. MuSUMARRA, La cultura a Catania Ira la fine de! sec. Xli/li e la prùna 111età del sec. XIX, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale (=ASSO) 54-55 (1958-1959) 65-122; G. GrARRIZZO, ll!u111ù1is1no, in Storia del/a Sicilia, IV, Società editrice sloria di Napoli e della Sicilia, Napoli 1980, 711-815; F. RENDA, Dalle ri;fonne al periodo costituz.iona!e (1734-1816), ibid., VI, 183-297; G. GIARHIZZO, la Sicilia da! Cinquecento all'unità d'Italia, in Storia d'Italia (diretta da G. Galasso), XVI, UTET, Torino 1989, 97-793: 495-666; R. ROJ\1EO, 11 Risorgùnento in Sicilia, Laterza, Bari 1989 2 , 11-154; AA. Vv., Ripensare la rivoluzione francese. Gli echi in Sicilia, Sciascia, Caltanissetta - Ron1a 1991.
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la Bibbia; una formazione che dà ampio spazio all'ascetica e agli esercizi di pietà, nel quadro del modello ecclesiologico della controriforma proprio della tradizione romana e del regalismo proprio della tradizione siciliana"'·
2. Il progetto pastorale
2.1 Gli anni della collaborazione con G. A. De Cosmi Con la partenza del Ventimiglia da Catania, se era venuto meno uno dei personaggi di punta che avevano determinato un radicale rinnovamento nell'ambiente culturale catanese, non era cessata la contrapposizione fra i due gruppi che se ne contendevano l'egemonia: da una parte i personaggi che gravitavano attorno alla famiglia Biscari e alla loggia massonica dell'Ardore (V. Malerba, A. Giuffrida, R. Platania), ai quali si associarono ben presto i benedettini di San Nicola l'Arena; dall'altra alcuni fra i collaboratori del vescovo dimissionario, culturalmente più dinamici e aperti alle riforme (G.A. De Cosmi, L. Gambino, G. Recupero)". Dobbiamo presumere che il Deodato, fin dal tempo della sua nomina, fosse al corrente della situazione esistente a Catania. Potremmo anche avanzare l'ipotesi che la corte di Palermo,
30 Anche se possiamo ipotizzare una certa apertura di pensiero negli insegnamenti ricevuti dagli scolopi al Nazareno, non c'è dubbio che la teologia insegnata nell'Accademia Ecclesiastica obbedisse ai rigidi canoni della controrifoma. Resta da risolvere il nodo di una apparente contraddizione fra il curialismo della concezione ecclcsiologica ro1nana e il rcgalis1no che traspare nei docu1nenti dcl Deodata. Come avre1no la possibilità di docu1nentare nel corso di questo studio, principale referente dcl Deodata non se1nbra essere il papa, ma il re di Napoli. Una ulteriore confern1a su questo aspetto della personalità del nostro vescovo è data dallo scarso interesse che egli din1ostra verso le relazioni ad lin1i11a e i rilievi della Santa Sede. 31 Per un profilo dei personaggi che collaborarono con il Ventimiglia o vissero in questo periodo storico vedi: D. SCINA', op. cit.; V. PERCOLLA, op. cit.; L. SCUDERI, Le biografie degli illustri catanesi del secolo XVIII, Nicolò Giannotta, Catania 1881, ad indice1n. Sul De Cosmi in particolare: G. GrARRIZZO, Giovanni Agostino De Cosini, in Jllun1i11isti italiani, VII, Ricciardi, Milano-Napoli 1965, 1079-1098; B.M. BISCIONE, De Cosini Giovanni Agostino, in Dizionario Biografico degli Italiani, 33, Roma 1987, 571-575 e la bibliografia indicata in questi saggi.
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conoscendo il suo carattere mite, lo avesse scelto come successore del Ventimiglia per attuare un'opera di mediazione fra i contrapposti gruppi culturali catanesi. Il Deodato sembra deciso a dimostrare che intende continuare il progetto pastorale del suo predecessore, 1nantenendo tuttavia una personale autonomia di azione. Perciò non confermò come vicario generale il priore del capitolo della cattedrale Bonaventura Gravina, optando per il decano Giuseppe Maria Rizzari. Non disponiamo di elementi utili per formulare un giudizio su questo personaggio; tuttavia sappiamo che il Gravina non mancò di manifestare il suo disappunto al Ventimiglia, che si era già ritirato a Palermo 32 • Fra i primi collaboratori era naturale che il nostro vescovo scegliesse il can. G.A. De Cosmi, considerato l'elemento più rappresentativo del gruppo che si era riunito attorno al Ventimiglia; ma una serie di polemiche e di contrasti fece orientare il Deodato ad operare scelte più moderate. Nel 1777 il Deodata aveva incaricato il De Cosmi a stendere il piano di studi del seminario, l'istituto che il Ventimiglia aveva avuto tanto a cuore e che il nuovo vescovo si era impegnato a sostenere e a potenziare. Accettato l'incarico, il canonico lavorò con entusiasmo a questo progetto e nelle sue memorie così descrive la propria collaborazione con il Deodato: «Si starnparono i pezzi scelti di latinità di Cho1nprc nella stainperia di quel se1ninario. Si rinnovò la cognizione e lo studio della lingua greca. D. Benedetto D'Agata fu professore di 1netafisica; D. Vincenzo Zuccarello, professore di fisica; si fece un gabinetto di 1nacchine per la fisica speri1nentalc. Le Tesi di quei due professori, oggi morti, sono il saggio di queste due fncollà, che s'insegnarono la prin1a volta in Sicilia in quelle scuole.
32 Non possedia1no la lettera dcl Gravina ma sola1nentc la risposta dcl Vcnlin1iglia. Questi in data 10 agosto - prin1a ancora che il Deodato facesse il suo ingresso in diocesi si li1nitava ad invitare il suo interlocutore a rispettare le disposizioni divine; in un<1 visione pcssi1nistica della storia riteneva che quegli avveni1nc11ti dovevano essere interpretati con1e il castigo cli Dio alla diocesi a motivo dei suoi peccati. Il Vcnti1niglia espriine lo stesso concetto in altre due lettere ciel 24 agosto e del 7 sette1nbrc, quando già il Deodata era venuto a Catania, e manifesta il tin1orc che «andasse totalmente in rovina quel puoco di bene che rimaneva nella diocesi» (A. LONGHITANO, op. cit., 362).
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Io mi riserbai una lezione di 1naterie ecclesiastiche; spiegai ]'epistole di S. Paolo ai giovani capaci dell'originale. Si stamparono alcune tesi di lilurgia» 33 .
Sempre nello stesso periodo il Deodata si rivolse alla collaborazione del De Cosmi per affrontare il difficile problema della riforma dell'università. Nel 1778 la Deputazione catanese degli studi, della quale faceva parte il nostro vescovo nella qualità di cancelliere, aveva ricevuto l'incarico di stendere un piano di riforma. Il documento con il relativo progetto fu consegnato alle autorità centrali, che lo recepirono quasi per intero. La riforma, pur innovando il vecchio sistema educativo, non teneva sufficientemente conto del dibattito culturale che aveva impegnato gli intellettuali siciliani degli ultimi trent'anni. Il progetto non riuscì gradito al Deodata sia per il ridimensionamento di alcune discipline teologiche, sia per i limiti posti agli ecclesiastici nell'insegnamento. Il vescovo-cancelliere, con una decisione di difficile interpretazione, diede l'incarico a O.A. De Cosmi di predisporre un progetto alternativo. La scelta del Deodata appare inspiegabile, perché il De Cosmi più che correggere il progetto di riforma nel senso voluto dal Deodata lo avrebbe radicalizzato ulteriormente. Non rientra nei limiti di questo saggio seguire lo sviluppo dei tentativi di riforma dell'università34 • Sembra, tuttavia, che l'invito del Deodata al De Cosmi fosse solamente strumentale e che il vescovo non fosse tanto interessato a radicali riforme dell'università quanto a consolidare l'ordinamento esistente 35 . Questa ipotesi appare confermata dall'appoggio dato dal Deodata al can. Vito Coco nella iniziativa di pubblicare una raccolta di leggi sulla università, quasi a dimostrare che questo istituto avrebbe dovuto essere riformato
33 G.A. DE COSMI, Me1non'e della 111ia vi/a rivedute al 1802, al n1ese di gennaro, a cura di G. Giarrizzo, in Illuniinisti italiani, cit., 1079-1111: 1109. 34 G. PALADINO, L'università di Catania nel secolo XVIII, in AA. Vv., Storia delf'università di Catania dalle origini ai giorni nostri, Zuccarello & Izzi, Catania 1934, 217-271: 241-252; E. BAERI, Il dibattito sulla rifonna de/l'università di Catania ( 1778-1788), in Asso 75 (1979) 297-339. 35 G. GIARRIZZO, l/h11ninis1no, cil., 764.
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guardando più al passato che ad un futuro incerto e per certi aspetti rischioso per la sua identità e la sua stessa sopravvivenza36 • In questi stessi anni un'altra clamorosa vertenza mise a dura prova il proposito del vescovo Deodato di rimanere al di sopra delle parti fra i diversi gruppi culturali esistenti in città. Nel 1778, su presentazione del consultore supremo dell'inquisizione, era stato nominato vescovo titolare di Europo il catanese Francesco di Paola Paternò Castello''. Il neo eletto, che mantenne la prebenda di canonico della cattedrale, avanzava la pretesa di esercitare nel capitolo un diritto di precedenza che non gli competeva, suscitando l'opposizione degli altri canonici. La controversia andava oltre i soliti problemi di cerimoniale. Infatti dietro la richiesta del vescovo titolare c'era il tentativo della famiglia Paternò Castello di attrarre il capitolo della cattedrale nell'orbita della propria influenza. Il can. De Cosmi, incaricato di preparare la difesa dei diritti del capitolo, si appellò all'autorità del vescovo Deodato perché respingesse con fermezza le pretese di Francesco Paternò Castello: «Siccome viva e grande è stata l'amarezza cagionata al capitolo di Catania dalle nuove pretensioni del suo confratello can. D. Francesco di Paola Paternò Castello, eletto oggi al vescovato di Europa in partibus [ ... ], così grande è la consolazione dello stesso capitolo nel vedersi rimessa la terminazione delle pretese novità all'arbitrio e decisione del suo vescovo J'ill.mo e rev.rno inonsignor D. Corrado Deodati da cui, a riguardo della somma dirittura dell'animo e della elettissin1a cognizione delle materie ecclesiastiche e del paterno amore con cui riguarda il capitolo della sua chiesa cattedrale, spera senza meno di vedersi liberato una volta per se1npre dalle sue 1nolestc inquietudini e dalle tante novità del suo per altro rispettabile confratcllo» 38 .
Si ha l'impressione che l'invocato intervento del Deodato non sia stato sufficiente a far desistere il vescovo titolare di Europo dalle sue
36 S. LA ROSA, Introduzione a V. Coca, Leges a Ferdinando Ili ad augendufn, finnandum et exornandum Siculonarl Gyn1nasiurn !atae, ristampa anastatica, Tringale, Catania 1987, 11-25. 37 R. RITZLER - P. SEFRlN, op. cii., 211. 38 G.A. PE COSMI, Pel capitolo della Santa Caltedrale di Catania, Nella stamperia del Seminario, Catania 1779, 3.
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richieste, che rilanciò l'offensiva attaccando personalmente il De Cosmi e chiamando in proprio aiuto il fratello benedettino Giovanni Andrea Paternò Castello, che si era sempre schierato contro i progetti di riforma del Ventimiglia e dei suoi collaboratori". La polemica divenne ben presto più antidecosmiana che anticapitolare: il De Cosmi venne accusato di diffondere nel seminario un pensiero umiscredente e si auspicava che i guasti prodotti in lui dalla lettura di Febronio non producessero gli stessi effetti nelle menti degli altri 40 Il canonico replicò con un altro scritto in difesa del capitolo" e con la pubblicazione - a firma dei suoi discepoli D'Agata e Sanfilippo - di due opere filosofiche per esporre il suo pensiero e difendersi dalle accuse dei suoi oppositori42 . La causa dcl capitolo fu vinta41 ma tutte queste polemiche segnarono la fine del rapporto di collaborazione fra il Deodata e il De Cosmi. Infatti le tesi filosofiche di quest'ultimo, esposte dietro la firma del D'Agata, furono condannate dalla Santa Sede e il suo discepolo fu 11
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Il fratello del vescovo titolare, seguendo una prassi 1nolto co1nune a quel tempo, scrisse un memoriale contro il De Cosini nascondendosi dietro lo pseudonimo di Pietro dcl Ca1npo (D. SCINA', op. cit., II, 177). 4o B.M. BISCIONE, op. cii., 573. 41 G.A. DE COSMJ, Seconda difesa del capitolo della Santa Cattedrale di Catania, G. Bentivcnga, Palermo 1781. In quest'opera è interessante la lucida esposizione della sua concezione ecclesiologica secondo la linea seguita dai giansenisti italiani: polemizza contro i vescovi titolari (vescovi senza chiesa), esalta il presbiterio co1nc sola autentica istituzione della Chiesa primitiva, considera il capitolo della cattedrale coine l'erede delle prerogative dell'antico presbiterio, il suo ruolo è fondamentale per te1nperarc l'autorità del vescovo. Sulla concezione ecclesiologica dei giansenisti italiani vedi Alti e decreti del concilio diocesano di Pistoia del!'anno 1786, a cura di P. Stella, 2 voll., Olsehki, Firenze J 986. 42 B. DE AGATA, Me!haphysices prospectus in varias theses distributus, quas publico exponunt exan1i11i clericonon ahonni, Catanae 1781; M. SANFILTPPI,
Metaphysices prospectus in varias theses distributus, per lriduu111 in cathedrali basilica propug11a11das, Catanae 1784. Per la documentazione relativa a questa controversia vedi il vo!un1e manoscritto dell'ARCHIVIO DEL CAPITOLO CATTEDRALE,
Scritture .5pettanti la lite giurisdizionale tra il rev.1110 capitolo ed il can. /). Francesco di Paola Paternà Castello, vescovo titolare di Europo, 95. 43
Nel 1788 il Paternò Castello, non potendo esercitare efficacerncnte la sua influenza nel capitolo della cattedrale, preferì passare al capitolo della collegiata, dove ottenne facilmente la nomina di prevosto (TA 1788-1789, 86r-87r; V. MESSINA, Monografia della regia insigne parrocchiale chiesa collegiata di Catania, G. Pastore, Catania 1898, 122).
3_6_4_.. _ _ ·--··--··Adolfo Longhitano_ _ . _ _. _ _ · allontanato dall'insegnamento e dal seminario 44 • In tutta questa vicenda il Deodato, o perché non aveva una forte personalità o perché non condivideva le posizioni dottrinali del suo collaboratore, non si schierò a difesa del D'Agata. Questo suo comportamento provocò la reazione del can. De Cosmi, che lasciò il seminario motivando così la sua decisione: «La debolezza del vescovo licenziò il professore D'Agata; che indi fu fatto professore dell'università, e poi è morto (1793). Io mi dimisi dal seminario, perché non si deve far del bene a chi nol vuole» 45 .
2.2 La progressiva revisione del progetto di riforma del Ventimiglia La crisi dei rapporti fra il Deodato e il De Cosmi non determinò una svolta solo nella vita del sacerdote agrigentino, che fu costretto a lasciare il seminario dopo venti anni di intenso lavoro. Dagli elementi di cui disponiamo si può affermare che l'episodio segni un cambiamento di indirizzo nel progetto pastorale del nostro vescovo. Il Deodato, se all'inizio del suo governo pastorale aveva manifestato la volontà di seguire il programma del suo predecessore, man mano si sarà reso conto che non poteva identificarsi con lui. Nel Ventimiglia il progetto di riforma era fondato su una concezione filosofica ed ecclesiologica fortemente innovativa, derivante dal superamento della scolastica e dalle istanze dei cattolici illuminati. Il sincero desiderio di riforma che animava il Deodato poggiava su una matrice culturale più tradizionale. Si ha l'impressione che l'azione pastorale del nostro vescovo seguisse sostanzialmente due linee parallele: il cambiamento degli uomini secondo le prescrizioni canoniche e le indicazioni ascetiche tradizionali; la funzionalità delle strntture esistenti. Pertanto
44
L. SclJDERI, op. cit., 171-173; B.M. BISCIONE, op. cit. G.A. DE CoSMI, Me111orie della 1nia vita, cit., 1109. lJ De Cosmi, dopo avere svolto diversi incarichi nel campo della riforma scolastica a Napoli e in Sicilia, lasciò definitivamente Catania nel 1789, quando rinunziò alla prebenda nel capitolo della cattedrale per accettarne una in quello di .Agrigento (TA 1788-1789, 366r-v). 45
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non riteniamo che il Deodato possa essere collocato fra i vescovi riformatori del secolo XVIII. Per certi aspetti le linee ecclesiologiche seguite dal riformismo borbonico sembrano più aperte e coerenti di quelle del nostro vescovo. Uno dei primi editti promulgati dal Deodato dopo il suo ingresso in diocesi aveva come oggetto la disciplina dei chierici e l'ordinamento del seminario. Egli manifestava allo stesso tempo gratitudine ai suoi predecessori e «una consolazione grandissi1na, ritrovando in ottimo stato questo se1ninario clericale sia per quanto riguarda l'educazione nella pietà e nelle lettere sì per rapporto al temporale delle fabbriche e degli introiti in maniera che ringraziamo cordialmente il Signore che ci ha collocati in stato di poter approfittarci dcl frutto della loro pastorale vigilanza» 46 .
46 E 1769-1776, 43v-45r: 44r. Nell'editto ii Deodata, richia1nandosi al Concilio di Trento e tenendo presenti le condizioni del tempo, stabiliva alcune norme fondamentali per i candidati al sacerdozio: 1. possono essere accolti in seminario gli alunni compresi fra i dodici e i sedici anni di età. 2. Possono ricevere l'ordine del suddiaconato solo quei candidati che vivono in atto in seminario; 3. A prescindere dal diverso regime di sostentamento dei seminaristi (offerto dal seminario o privato), tutti devono vestire «un abito uniforme, cioè la sottana pavonazza con le svolte e fornimenti di color cremisino e la zimarra uguahnente pavonazza col collare o batalo cremisino». 4. Le lezioni avranno inizio il 15 di settembre e finiranno il 15 di luglio. 5. «Tutta la carriera degli studi, terminata la grammatica della lingua latina, consisterà in un anno di lettere u1nane, due anni di filosofia e matematica, un anno di eloquenza e quattro anni di teologia e di studii ecclesiastici». 6. Il vescovo si impegna a conferire i benefici ecclesiastici di libera collazione a quegli alunni «che avranno dato buon saggio di loro pietà e letteratura». 7. La tonsura verrà data agli alunni di primo anno e cioè non prima dei dodici anni. 8. Si osserveranno gli interstizi stabiliti dal Concilio di Trento; una eventuale dispensa sarà concessa per utilità della Chiesa e non per vantaggio degli ordinandi. 9. I certificati rilasciati dai parroci sulla idoneità dei candidati devono essere confermati con giuramento. I O. Prima delle ordinazioni i professori del seminario consegneranno i programmi delle diverse materie insegnate durante l'anno perché il vescovo personal1nente possa esaminare i candidali e dare un giudizio sulla loro idoneità. 11. La tonsura sarà conferita agli alunni che precedentemente hanno ottenuto la licenza di indossare l'abito ecclesiastico. 12. Non saranno amn1essi alla tonsura, anzi saranno privati dell'abito clericale, coloro che portano «le code a' capelli con una usanza tutta secolaresca». 13. Per il conferimento di qualsiasi ordine, minore o maggiore, il candidalo deve essere munito di una fede giurata dcl suo curato, che attesti il servizio nella chiesa parrocchiale nei giorni festivi, la frequenza ai sacramenti e l'esercizio nell'insegnamento della dottrina
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E' chiaro, perc10, che egli intendeva seguire l'impostazione data dal suo predecessore e servirsi dei superiori e dei professori che con tanto merito avevano portato l'istituto a porsi in concorrenza con la stessa università degli studi 47 . La rottura con il De Cosmi e il suo definitivo allontanamento dal seminario hanno sicuramente inciso sulla impostazione generale degli studi e sui criteri di formazione degli alunni. Nelle memorie, che il canonico scrive nel 1802, si legge questa nota: «Oggi 1ni si dice che il seminario è ridotto ad uno stato ben miserabile. "Sic omnia in peius ruere et retro sublapsa referri"» 48 •
Se il Ventimiglia indicava nell'eccessivo numero del clero una delle piaghe alle quali bisognava porre sollecito rimedio", il Deodato non sembra dar rilevanza a questo problema; anzi non è alieno dal concedere frequenti dispense dalla permanenza in seminario, rafforzando in tal modo la prassi dei cosiddetti chierici esterni, che studiavano nelle parrocchie ed erano obbligati a vivere in seminario solo per sei mesi, prima di ricevere il suddiaconato"'· Il decreto cristiana. 14. Si rinnovano le pene previste contro i sacerdoti e i chierici che non portano la tonsura e non vestono in 1nanicra confacente alla santità dello stato clericale. 15. L'editto deve rin1ancrc affisso in tutte le sacrestie delle chiese
sacramentali della diocesi perché possa essere conosciuto dagli interessati. 47 Rel. 1776, 69r-v. Rettore del seminario era il can. Matteo Scam1nacca; fra i professori vanno ricordati: Sebastiano Zappalà Grasso, l'agostiniano Gaetano Maria Garrasi, il domenicano Antonino Pennisi, Rain1ondo Platania, Benedetto D'Agata, Giovanni Agostino Dc Cosmi, Per i profili di questi personaggi vedi: V. PERCOLLA, op. cit.; L. SCUDERI, op. cit., ad indice1n. Il Platania nel suo discorso scriveva: «Missum feci tuu1n incredibilem in studiis promovcndis ardoren1, quo effecturn est ut seminarii domus, in quam fit magnus quotidie concursus, non Catanensis Ecclesiae, sed totius Siciliae sen1inarium potius dicendum sit» (R. PLATANIA, op. cit., 248-249). Sulle vicende del seminario di Catania in questo periodo storico si possono consultare: G. POLICASTRO, li se111inario arcivescovile di Catania, in Asso 44 (1948) 53-85; G. ZITO, Ordina111ento e sconosciuta vitalità della fonnazione culturale nel se1ninario di Catania nella prùna 1netà del secolo XIX, in Synaxis 2 (1984) 473-526; P. SAPIENZA, Il rilancio del sen1inario di Catania durante l'episcopato di 111ons. Salvatore Ventùniglia ( 1757-1772), in Synaxis 7 (1989) 329-372; A. LONGHITANO, op. cit., 336-339. 48 G.A. DECOSMI, Men1orie, cit., 1109. 49 A. LONGHJTANO, op. cit., 333-343.
"'TA 1790-1791, 115v-116v; 129v-130v; 135r-v; TA 1792-1793, 147r. La documentazione relativa alle dispense si trova anche nell'archivio del seminario.
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emanato per la formazione dei seminaristi deve essere posto m relazione con quello del 1776 riguardante la vita e il comportamento degli ecclesiastici". Il lungo documento può essere considerato una piccola summa per la disciplina del clero. Il Deodato insiste soprattutto sull'obbligo di indossare l'abito ecclesiastico 52 , sul dovere per i sacerdoti di evitare l'esercizio di professioni disdicevoli per il loro stato 53 , sulla necessità di condurre una vita esemplare", di aggiornarsi nello studio", sull'obbligo di dedicarsi all'insegnamento della dottrina cristiana56 • Una particolare norma riguarda le rappresentazioni sacre 57 .
Queste esenzioni erano concesse agli alunni che non erano in grado di pagare la retta e non potevano sperare nel mantenimento pubblico riservato ad un nun1ero limitato di seminaristi (G. ZITO, op. cit., 478-479). In un editto dcl 9 aprile 1783 il Deodata indicò le materie nelle quali dovevano essere esa1ninati tutti i candidati agli ordini maggiori e per i chierici esterni stabiliva: «Tutti gli ordinandi che sono stati da noi dispensati dalla dimora nel scininario, residenti tanto in questa, quanto ne' luoghi di nostra diocesi, dovranno farsi scelta del maestro o lettore, che l'istruisca nella scienza e nel presentarsi all'esame, dovranno fare ostensibile la fede giurata del inaestro o lettore respettivo ed assicurare questi di essere stati sotto la sua direzzione per l 'intiero anno scolastico, senza mancar se non che per un ragionevole e rilevante motivo» (E 1781-1792, 17r-18v: 18r). 51 E 1776-1781, 9r-18r. Un altro editto analogo sarà pubblicato il 30 ottobre 1792 (E 1792-1803, lr-8r). 52 E' vietato indossare «divisi secolareschi come pure ferraioli di colore con ornamento di gallone d'oro o di argento, indecente al di loro stato, deporre in certe date ore la principale insegna del chiericale abito, val'a dire il collare, e supplire con una fettuccia nera [ ... ], coltivarsi i capelli con ordine alla secolaresca intrecciate» (ibid., !Or). 53 I sacerdoti non possono «assumere impieghi eziandio vilissimi osservandosi con sommo ribrezzo ecclesiastici nelle botteghe, nelle piazze, servienti di maggioraschi cd impiegati al servizio di persone ricche, esibendosi in cariche di 1nagazinieri, di cantinieri di vino ed olio, di economi di poderi, compradori d'annenti, di venditori di inerci ed in altri simili affari di mercatura» (ibid., 12r). Il testo sembra ricalcare l'analisi fatta dal Ventimiglia nella sua relazione ad lùnina (A. LoNGHITANO, op. cii., 333-334; 385-386). 54 Si insiste sull'osservanza della castità (E 1776-1781, l 2v-l 3r), sul dovere di evitare il gioco e una vita oziosa (ihid., 13r-v) e di non intraprendere attività commerciali (ihid., 13v-14r). 55 Si ribadisce il dovere di partecipare alle riunioni dei casi morali (ibid., 14rv). 56 Jbid., 15r-v. 57 «Sebbene sia antico costume di rappresentare in scena la sagratissima Passione di Gesù Cristo, le glorie de' martiri e le gesta degli altri santi, pure pe' il depravato costume e raffredamento della pietà si è osservato che le cose più
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Nel progetto di riforma del clero formulato dal Deodato non è previsto un argine contro il dilagare delle collegiate e la mania delle insegne prelatizie che in certi casi raggiungeva livelli preoccupanti 58 • Anche su questo punto il Ventimiglia, almeno in linea di principio, si era dichiarato contrario e aveva sperato nell'appoggio della Congregazione del concilio per passare in alcuni casi dalla cura collegiale alla cura individuale delle anime59 • Il Deodato non si pone il problema; anzi contribuisce a consolidare l'ordinamento esistente: moltiplica le prebende e concede volentieri le insegne prelatizie ai singoli sacerdoti o ai capitoli dei canonici"'· Sarà un'ordinanza reale a proibire nel 1776 l'erezione di nuove collegiate 61 e nel 1794 la concessione indiscriminata delle insegne prelatizie 62 •
sagrosante si trattino con poco decoro o si annettano alla sacra storia delle cose profane che piuttosto muovono a riso e a disprezzo» (ibid., 15r). 58 E' nota la controversia esplosa fra il capitolo della cattedrale e quello della collegiata a proposito della inozzetta con cui ìl canonico della collegiata Antonino Mancino, invitato dal vescovo a predicare il quaresimale, si presentò al pulpito per iniziare la predica il giorno delle ceneri del 1801 (TA 1800-1801, l30r-132r; l55r157v; 158r-v). I canonici della cattedrale consideravano un'offesa che il predicatore si fosse presentato con la mozzetta e pretendevano che indossasse gli abiti di un sc1nplice sacerdote. A tal fine una guardia, invitata dai canonici della cattedrale, i1npcdì al predicatore l'accesso al pulpito con grande scandalo dei fedeli. Il Deodata non si mostrò d'accordo con la tesi sostenuta dai canonici della cattedrale, che ricorsero al tribunale della regia 1nonarchia. li caso fu chiuso con l'intervento dcl re che, da parte sua, condannò la guardia a quattro giorni di carcere e invitò il vescovo a dare «quella 1nortificazione che creda conveniente a quei canonici della cattedrale» (ibid., 158v). 59 A. LONGHlTANO, op. cit., 344-345. 60 Vedi ad esempio la concessione della mozzetta «ed ogni altro favore» a tutte le collegiate di San Filippo d'Agira il 29 agosto 1787 (TA 1786-1787, 289r-291r); la concessione della 1nozzctta e dcl rocchetto ai canonici di Trecastagni il 23 dicembre 1788 (TA 1788-1789, 65v-66r); la concessione della mitra bianca e della cappa magna ai canonici della cattedrale il 25 sctten1bre 1792 (TA 1792-1793, 28v-29r; 40r-v). V. MESSINA, Mons. Corrado M. Deodati, cit., 247-248 riporta un elenco di due intere pagine con i notni dci sacerdoti ai quali il Deodata concesse le insegne prelatizie. 61 «Mons. Deodato non fondò alcuna collegiata e perché i più i1nportanti centri n'eran provvisti e perché biglietto viccrcgio 6-16 luglio 1776 inibiva ai vescovi queste istituzioni senza il reale assenso. Iniziò solo (1813) le pratiche burocratiche per la erezione di quella di S. Biagio in Viagrande» (V. MESSINA, Mons. Corrado M. Deodati, cit., 395). 62 E' interessante la motivazione addotta nel decreto: «sconviene di accordarsi le decorazioni personali, come le calzetle rosse, fiocco al cappello e simili che
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La riforma strutturale, che il Ventimiglia aveva ritenuto fra le pm urgenti, riguardava l'ordinamento parrocchiale. A Catania unico parroco della città e di gran parte della diocesi era il vescovo; i sacerdoti che amministravano i sacramenti nelle chiese curate erano suoi vicari amovibili ad nutum. Costoro, secondo lo spirito del Concilio di Trento dovevano essere nominati parroci perpetui e scelti per concorso. Per attuare questo suo progetto egli avrebbe gradito l'appoggio della Santa Sede che non ebbe". Il Deodato non dimostrò alcuna intenzione di riformare l'ordinamento parrocchiale; ai richiami della Santa Sede in un primo momento sembrò non prestare attenzione, poi rispose in modo evasivo 64 . In realtà egli si rifiutò di attuare i suggerimenti della Santa Sede non per motivi economici, ma perché era contrario in linea di principio ad attuare questa riforma. In un editto del 27 ottobre 1786, chiudendo una controversia fra il capitolo della cattedrale e quello della collegiata, espose il suo pensiero con espressioni molto dure e a sostegno della propria tesi riferì i dati di una ricerca storica dalla quale egli dedusse la irreformabilità dell'ordinamento esistente 65 • Tuttavia quando un'ordinanza del re impose ai vescovi l'obbligo del concorso anche per la nomina dei cappellani sacramentali", avviando così il processo servono d'ali1ncnto ad una pompa profana ed a confondere le gerarchie» (TA 1794-
1795, 6r-7v). 63 A LONGHJTANO,
op. cii., 343-345. In risposta alla relazione del 1785 gli si faceva notare: «[La Sacra Congregazione] gl'ingiungeva [... ] che si fissassero perpetui alcuni parochi che erano a1novibili» (rel. 1785, f. 92r). Il Deodato nella relazione dcl 1788 risponde: «[ ... ] E' ancora più difficile nominare parroci perpetui secondo le indicazioni dcl Concilio di 64
Trento; mancano infatti le rendite necessarie a queste fondazioni e le stesse leggi di questo regno proibiscono di chiedere il pagamento dei cosiddetti frutti di stola» (rel. 1788, I OOv). 65 E 1781-1792, 51 v-54r. «Si è stiinato sempre nella nostra Chiesa cristiana pericoloso il lraviare il ca1n1nino segnatoci dai nostri rnaggiori [ ... ]. E' legge fondainentale della nostra Chiesa di Catania, che la cattedrale sia l'unica parrocchia di tutta la città e il vescovo l'unico suo parroco e tutte le altre chiese dove si ain1ninistrano i sagran1cnti parrochiali sono filiali, dipendenti, ausiliarie [ ... ]. Verità ella è questa che è più chiara del sole[ ... ]» (ibid., 51 v). Per tutta la questione vedi A. LONGHITANO, La parrocchia nella diocesi di Catania prùna e dopo il Conc;/io di Trento, Ist. Sup. di Scienze Religiose, Palenno 1977. 66 Il docun1ento merita di essere conosciuto perché si pronunzia con chiarezza sull'ainbigua distinzione fra parroci e cappellani sacrainentali, che si trascinava da secoli nelle chiese di Sicilia: «Ili.mo Signore. Letto io quanto hanno prodotto i
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della loro equiparazione ai parroci, egli non ebbe difficoltà ad accettarla67 • Se il Ventimiglia nella formazione cristiana dei fedeli si era prefisso il modello muratoriano e non aveva più fatto ricorso alle pene canoniche per spingere alla pratica dei sacramenti 68 , il Deodata, facendo riferimento a dispacci reali, riprese una prassi che da anni non veniva più seguita: in un editto del 27 dicembre 1786 emanò una serie di norme minuziose per l'osservanza del riposo festivo e comminò pene canoniche per i contravventori 69 ; con un editto citatoriale del 9 settembre 1797 intimò «a tutti quelli che nell'anno presente hanno trascurato in Catania di adempire il precetto ecclesiastico della con11nunione pasquale, come continuando essi nella loro empia contun1acia, nella domenica infraottava di Tutti i Santi di quest'anno si dichiareranno pubblicamenti incorsi nell'interdetta dall'ingresso della chiesa e privi della sepoltura ecclesiastica in caso di morte [ ... ]; dichiarando che la presente citazione per editto [... ] abbia a produrre lo stesso
Vescovi e Prelati dcl Regno rispetto al principio della polizia ecclesiastica o alla antica consuetudine in alcuni paesi, per cui i 1nedesimi sogliono nelle rispettive Diocesi eleggere con titolo di cappellani amovibili ad nutuni dell'eligcnte quelli che essenzialmente non sono che parrochi curati e che dovrebbero pili tosto eligersi con questo titolo e con formali lettere d'istituzione, ho risoluto, stabilito per sistema generale, che quando i cappellani sinora eletti ad 11utun1 in diversi paesi delle Diocesi del Regno non avessero congrua delle rispettive università, in tal caso sia pennesso a!l'Ordinario lo eleggerli secondo il solito nelle vacanze che saranno per verificarsi; se però riconoscessero la congrua o potranno in appresso averla in tutto o in parte dalle università, in questo caso sia vietata agli Ordinari la elezione ad nutun1, acquistandosi il padronato alli rispettivi giurati, secondo la nuova legge circolare del 1784. Comunico quindi a V.S. i!Ln1a questa mia risoluzione per suo regolamento cd esatta esecuzione. E nostro Signore la feliciti come desidero. Palenno 30 settembre 1786. Il principe di Caramanico» (TA 1786-1787, 18v-19r). 67 In seguito a questa ordinanza il Deodata indisse sempre il concorso per la provvista dei cappellani sacramentali e delle dignità dei capitoli alle quali era annessa la cura delle anin1e. Vedi ad es. l'editto di concorso per la provisione del prevosto di Biancavilla del 21 ottobre 1788 (TA 1788-1789, 17v-23r), quello per l'arciprete di 'frecastagni del 23 dicembre 1788 (ibid., 65v-66r), quello per la prepositura di Acireale del 24 diccn1bre 1788 (ibid., 69v-70r). 68 A. LONGHITANO, le re/azioni, cit., 322-329. 69 E 1769-1776, 55r-56r; 1781-1792, 54r-56r; 1792-1803, 58v-59v.
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effetto come se fosse stata a ciascheduno personalmente inti1nata e vaglia pella prima monizionc» 70 .
Il rapporto Chiesa-autorità politica era stato per il Ventimiglia fonte di inquietudini e di angosce; dinanzi al riformismo borbonico ispirato ad un rigido giurisdizionalismo, egli probabilmente non era riuscito a trovare una risposta coerente con le proprie idee e con la sua responsabilità di vescovo difensore dei diritti della Chiesa". Questo problema sembra non esistere per il Deodata; egli non concepiva il rapporto Chiesa-autorità politica in termini conflittuali ma di leale co11aborazione; perciò non si sentiva in dovere di avanzare le rivendicazioni che costarono ad alcuni suoi predecessori lunghe e dispendiose controversie, la sede vescovile o l'esilio 72 • Il suo carattere mite e la sua formazione culturale lo portavano a non opporsi al riformismo borbonico e a superare facilmente qualche contrasto sorto con le autorità locali 71 • Nelle stesse relazioni che pubblichiamo manca un giudizio negativo sulla politica delle corti di Napoli e di Palermo,
70 E 1792-1803, 33r; 34r-v. L'editto sarà ripetuto negli anni successivi: 5 otLobre 1797 (ibid., 34v-35r); 18 sellembre 1798 (ibid., 43v); 18 luglio 1802 (ibid., 60r). Nel 1803 il vescovo prc1nctte al suo decreto del 26 otlobre un dispaccio reale dcl 7 setten1bre, che invita i vescovi a dichiarare scomunicati coloro che non osservavano ogni anno il precetto pasquale (E 1802- J 809, l 7r-v). Il decreto è ripetuto il 15 settembre 1804 (ibid., 20r-v); il 28 agosto 1805 (ibid., 29v-30r); il 25 seuen1brc 1806 (ibid., 39r); il 20 giugno 1807 (ibid., 41 v). 71 A. LONGHITANO, Le relazioni, cit., 355-364. 72 Basta ricordare il vescovo Nicola Maria Caracciolo, che per l'opposizione dci giurati fu costrelto ad accantonare la rifonna parrocchiale a Catania (A. LONGHlTANO, La parrocchia, cit., 79-94); il vescovo Vincenzo Cutelli, privato dal papa della sede vescovile per i contrasti avuti con le diverse oligarchie fainiliari cd ecclesiastiche della città (F. FERRARA, op. cit., 146-149); il vescovo Ottavio Branciforte, costretto ad allontanarsi definitivamente dalla città di Catania dopo uno scontro con i giurati (A. LONGHITANO, Le relazioni "ad lùnina" della diocesi di Catania [1640-1646], in Synaxis 2 [ 1984] 281-292); nelle dimissioni del vescovo Ventiiniglia hanno avuto un certo peso le difficoltà incontrate con le autorità cittadine e centrali (A. LONGHTTANO, Le relazioni [1762], cit., 359-364). 7 J Può essere indicativo a tal proposito l'esito di una controversia sorta per questioni di ceri1nonialc tra il vescovo e tre membri del senato catanese. Mentre il presidente del Regno era intervenuto per obbligare i colpevoli a presentare formali scuse al vescovo, questi fece sapere che non intendeva dare seguito all'episodio, meritando un esplicito elogio del re (TA 1794-1795, 220v-223v).
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risultano molto sfumati i rilievi per le limitazioni poste alla giurisdizione ecclesiastica14 • Il confronto con il Ventimiglia, per quanto utile, deve essere fatto con estrema cautela non solo perché ognuno deve essere valutato per le sue qualità personali e non in rapporto agli altri personaggi del suo tempo, ma soprattutto per non assecondare un facile giudizio di merito, che esula dai compiti dello storico. Se il carattere mite e tollerante del Deodata portò il De Cosmi a giudicare debole la sua personalità e a rompere con lui il rapporto di collaborazione, consentì al nostro vescovo di non farsi coinvolgere nei conflitti fra le diverse fazioni cittadine, di guadagnarsi la stima e la fiducia del popolo e delle autorità civili, di ottenere al momento opportuno il loro intervento nella soluzione di problemi che gli stavano particolarmente a cuore. Così si spiegano le testimonianze di venerazione e di affetto che ebbe dal popolo durante il suo governo pastorale e in particolare nell'ultimo periodo della sua vita75 • Le linee di azione del lungo governo pastorale del Deodata e le sue principali realizzazioni sono contenute nelle relazioni che pubblichiamo: l'impegno per la catechesi 76 e per le missioni al popolo in preparazione alle visite pastorali 77 , la formazione culturale e
74 Nella prima relazione non c'è alcun cenno al rapporto con le autorità civili e alla politica ccclcsiaslica dei borboni. A partire dalla relazione del 1793 il Dcodato si li1nita a scrivere: «Le confraternite, gli ospedali e gli altri luoghi pii sono stati sottratti alla giurisdizione del vescovo dalle leggi del Regno in quanto istituti laicali; egli può esercitare la sua autorità solo nel campo spirituale» (rel. 1793, l l 7r; rei. 1802, l39v; re!. 1807, l52v). 75 F. Strano accenna ad un grande concorso di popolo festante che accolse il vescovo al suo ritorno da Palerrno, dopo aver saputo che aveva superato felice1nentc una grave crisi di salute (F. STRANO, op. cit., 29-32). 76 Re!. 1779, 67v; 1793, l l6v; 1802, l38v; 1807, l52v. Nell'edillo del 1773 fra le condizioni stabilite perché i seminaristi possano essere a1nmessi agli ordini sacri è previsto l'attestato «di aver insegnato la dottrina cristiana a' fanciulli» (E 1769-1776, 46v). Si può notare in questa prassi il riferimento alla esperienza fatta dal Deodata nel collegio Nazareno. Le costituzioni degli scolopi prevedevano che gli alunni delle loro scuole si esercitassero in chiesa a impartire lezioni di catechismo (M. MARCOCCHI, op. cii., 175). 77 Nella relazione del 1793, I 16v, il vescovo scrive che per tre volle aveva visitato la diocesi, provocando il rilievo negativo dell'officiale della congregazione
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spirituale del clero 78 , la sua attiva presenza nelle strutture educative e culturali della città 79 , l'erezione a Catania di altre tre chiese sacramentali e la concessione di un aumento dei contributi dello Stato per tutti i cappellani della città 80 , la costruzione della cupola della cattedrale, il rivestimento di stucchi al suo interno e il completamento del prospetto", l'assistenza ai poveri e alle popolazioni colpite da numerose calamità", la fondazione di alcuni istituti per l'educazione delle ragazze povere o abbandonate 83 , l'erezione del monte di pietà ... 84 •
(ibid., 120v). L'edillo per la seconda visita pastorale si trova in E 1776~1781, 50r51r; un decreto di indizione delle missioni in E 1781-1792, 69v-70v. 78 Potrebbe risentire della formazione ricevuta dagli scolopi nel collegio Nazareno di Roma la prassi degli esercizi spirituali dcl clero pri1na della pasqua (M. MARCOCCHJ, op. cit., 176-177), che il Deodato introdusse a Catania con un editto dcl 24 febbraio 1803, forse per attuare un indirizzo pontificio o regio che ignoria1no. Il clero doveva riunirsi per una settimana, di pomeriggio, nella chiesa di San Francesco all'Immacolata per ascoltare la predica del «celebre missionante prevosto Don Nalale Golizia, che la Divina Provvidenza ha destinato in quest'anno per nostro quadragesimale predicatore» (E 1802-1809, 12v-l3v). 79 Nella relazione del 1779, 68r-v, il Deodato scrive con soddisfazione di essere riuscito ad avere in uso tre collegi della disciolta Compagnia di Gesù e due case di esercizi spirituali, che probabilmente utilizza come istituti di assistenza ai poveri. Inoltre comunica con compiacimento di partecipare alla gestione del collegio Cutelli assieme al senato e all'abate di S. Nicola l'Arena (ibid., 71r). Su questo istituto vedi: G. LIBERTINI, Il collegio Cutelli, in Catania. Rivista del Co1nu11e 5 (1933) 4, 168-175; A. LONGHTTANO, Le relazioni ( 1762), cit., 357-358; V. SCJUTJ RUSSI, Mario Cutel!i. Una utopia di Governo, Bonanno, Acireale 1994, 67. Si è già accennato alla parte avuta dal Deodata nel tentativo di rifonna dell'università degli studi nel 1778. Nello stesso anno il nostro vescovo si adoperò perché fosse mantenuto il diritto esclusivo dell'università di Catania a rilasciare titoli di studio, privilegio che da secoli veniva messo in discussione da Palermo e Messina; si riuscì nell'intento con il sostegno determinante dcl vescovo Ventimiglia (F. FERRARA, op. cit., 254-255). Nell'ulti1no anno della sua vita il Deodata ottenne dal re un assegno di 600 once annuali per l'università (F. STRANO, op. cit., nota 21). 80 Rei. 1793, I 16v: TA 1794-1795, 163r-164v. A. LONGHITANO. La parrocchia, cit., 137. 81 Rei. 1793, l 16v; rel. 1802, 138v; rel. 1807, 152v. Sui lavori eseguiti dal Deodato nella cattedrale vedi D. PRIYITERA, lettera ad un an1ico per servire di relazione sullo stato attuale della Basilica di Catania e di supp!en1ento alla storia di essa, Catania 1804; V. MESSINA, Mons. Corrado M. Deodati, cit., 238-243. ll vescovo nel suo testamento lasciò ai governatori del monte di pielà l'onere di costruire con un assegno annuo il campanile della cattedrale, le sette statue 1nancanti nella balaustrata, altre due inancanti ancora sul prospetto cd una dcci1na al centro della villetta (Pe/ prùno centenario, cit., 22). 82 11 Ferrara e il Messina ricordano: la siccità del 1773-74; l'invasione delle cavallette nel val di Noto dcl 1773; i terrc1noti del 1780 e del 1783; le eruzioni
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2.3 Il Deodata, la rivoluzione francese e gli anni del giacobinismo Se la matrice cultnrale del nostro vescovo non era quella dei cattolici illuminati, non si pone il problema della sua personale evoluzione alla luce degli avvenimenti che caratterizzarono gli ultimi decenni del secolo XVIII, in particolare il sinodo di Pistoia (1786) e la rivoluzione francese (1789). Sono note le difficoltà incontrate dagli storici per individuare le diverse linee di sviluppo dei cattolici illuminati; l'evoluzione dci singoli o dei gruppi non sembra obbedire a regole costanti: non tutti reagirono allo stesso modo 85 . Quando poi nella maggior parte delle regioni italiane sorsero le repubbliche dell'Etna dcl 1780 e del 1792; la terribile carestia che dal 1777 si protrasse con fasi più o 1neno acute fino al 1812 e le sommosse popolari che ne seguirono; le epidemie del 1792-93 (F. FERRARA, op. cit., 252-264; V. MESSINA, Mons. Corrado M. Deodati, cit., 230-238). 83 Rei. 1802, 138v-139r; rei 1807, 152v. In risposta ad una circolare del viceré del 18 settembre 1800, che dava istruzioni per la fondazione di istituti in favore delle ragazze abbandonate, il Deodata aveva disposto che nelle principali città della diocesi fossero aperte queste case (TA 1800-1801, l 2r-16v). A Catania fu fondato l'istituto intitolato a S. Vincenzo dei Paoli, nell'attuale via Mons. Ventimiglia. Il decreto è riportato da F. STRANO, op. cit., nota 15. 84 Si tratta dell'opera a cui il nome dcl vescovo Deodato rimase indissolubilmente legato. A Catania esisteva un monte di pietà che conduceva un'attività discontinua e precaria nella relazione del 1779, ?Or il Deodato scrive che erano due. Più volte nelle bolle di nomina era stato ingiunto ai vescovi di fondarlo, segno che quello esistente non veniva ritenuto funzionale (TA, 1729-1730, 128v133r; TA 1772-1773, 403r-410r). Il Deodato dotando l'istituto di un cospicuo patrimonio e lasciandolo crede universale dei propri beni, gli permise di svolgere un'azione benefica in favore dei cittadini più bisognosi. I principali documenti relativi alla fondazione del monte di pietà sono riportati nelle Istruzioni date per lo buono regola111ento del nuovo 1nonte di prestito sotto il titolo di S. Agata da Monsignor D. Corrado Deodati, allora vescovo di Catania, approvate e confennate da Sua Maestà con vari suoi reali dispacci, Dai torchi dcl can. F. Longo, Catania 1824, e nei due fascicoli: Pel prùno centenario dalla fondazione del Monte di pietà S. Agata in Catania. Festeggia111enti al rev.Tno 111011.s. vescovo Corrado Maria Deodati ed illustrazione dell'opera sua (1807-1907), Crescenzio Galatola, Catania 1907; il 111onte di credito su pegno "S.Agata" di Catania nel 150° anno della fondazione ( 18071957), Conti, Catania 1958. 11 Dcodato ai governatori del monte di pietà lasciò anche l'onere di dare un contributo annuo per il sacerdote che doveva svolgere la catechesi domenicale e festiva nella cattedrale (F. STRANO, op. cit., 23 e nota 16); in tal modo dava una certa attuazione ad un altro dei suggeri1nenti della bolla di no1nina: l'istituzione della prebenda teologale. 85 Per una pritna esposizione del problema vedi V. E. GIUNTELLA, li cattolicesùno den1ocratico nel triennio "giacobino", in Catto!iceshno e !ioni nel Settecento italiano, a cura di M. Rosa, Herder, Roma 1981, 267-294.
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ispirate ai principi della rivoluzione, i cattolici si trovarono obbligati a tentare un dialogo con le autorità civili, dialogo che ebbe esiti diversi". La Sicilia, essendo fra le poche regioni che non furono invase dai francesi, si pose questi problemi solo sul piano teorico a da parte di sparute minoranze. I cattolici siciliani non si trovarono nella necessità di distinguere fra problemi religiosi e problemi politici e accettare l'ipotesi di cercare un nuovo assetto istituzionale per il Regno di Sicilia. Il giacobinismo anche in Sicilia trovò i propri simpatizzanti nella borghesia e nelle persone colte; furono coinvolti anche alcuni elementi del clero; tuttavia si trattò di un movimento di élite e non di massa 87 • I siciliani, popolo e classi dominanti, rimasero fedeli al modello di societas christiana proprio dell'ancien régùne.
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J tentativi di dialogo che si ebbero in altre regioni d'Italia fra i cattolici e i teorici del nuovo assetto politico della società fondato sui principi della rivoluzione francese sono analizzati da G. RUGGIERI, Chiesa e rivoluzione francese. Alla ricerca di un nuovo n1odeflo teologico politico, in Synaxis 1211 (1994) 107-132. 87 A Catania e in diversi comuni della diocesi furono numerosi gli arresti, i processi, le condanne al carcere contro sacerdoti, incmbri della borghesia e dell'aristocrazia sospettati di essere fautori del giacobinismo. Fra i sacerdoti perseguiti il più noto fu il canonico della collegiata e docente nell'università Giovanni Gambino: arrestato nel 1796 e rinchiuso in un antico istituto di gesuiti adibito a casa di correzione, dopo tredici mesi fu liberato dal Carainanico per l'intervento della principessa di Castelforte, nia pensò bene di allontanarsi dalla Sicilia e di rifugiarsi a Milano, dove prestò servizio nella repubblica cisalpina; fu anche al seguito di Napoleone, di cui tradusse in italiano il Codice civile; nel 1814 si stabilì definitivamente a Ginevra, dove fu accolto nella chiesa riformata; morì il 2 novembre 1842 (G. GAMBINI, Me1norie inedite, introduzione di T.R. Castiglione, Edizioni della Regione Siciliana, Palermo 1973; F. SCANDONE, op. cit., [19211 311; [1922] 286; 343; R. ROMEO, op. cit., 121-131; E. SCIACCA, Di Giovanni Gan1bini e del giacobù1isn10 siciliano, in Asso 69 r1973] 533-537). Il 19 febbraio 1800 il capitolo della collegiata di Catania in una richiesta al Deodata scriveva: «[ ... ] Sono già trascorsi anni due e mesi otto dacché il can. Dr. D. Giovanni Ga1nbino qual uno dc' suoi individui per ignote cagioni s'è assentato da questa città, senza neppur sapersi sin adesso la di lui permanenza e domicilio, né· tampoco l'esistenza, talché è rimasta priva del suo dovuto servizio [ ... ]»e chiedeva di decretare la decadenza dcl Gambino da canonico per assenza ingiustificata e la sostituzione con un altro (TA 1799-1800, 146v-147r). Nella stessa data il Deodato e1nanò un editto nel quale dichiarava che il Gainbino avrebbe dovuto essere considerato decaduto da canonico se non si fosse presentato entro un niese e dicci giorni (ibid., 147r-l48r). Sui riflessi che ebbe in Sicilia la rivoluzione francese vedi in particolare AA. Vv., Ripensare la rivoluzione francese, cit.
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Il Deodata si schierò senza tentennamenti su questa linea: la rivoluzione francese era il frutto dell'azione del maligno. Facendo proprio l'invito di Pio VI ad una religiosità penitenziale, incentrata snll'esigenza di soddisfare con opportune pratiche un Dio che aveva inviato il flagello della rivoluzione per avvertire gli uomini delle terribili conseguenze della loro disubbidienza ai precetti ecclesiastici 88 , in un editto de11'8 giugno 1796 indisse un triduo di penitenza per la difesa contro i francesi. Le espressioni adoperate nel documento non lasciano dubbi sul pensiero del nostro vescovo: «Le ricorrenze dc' nostri cnlamitosi tempi ci fanno fondataincnte te1nerc che il Signore degli eserciti giusta1ncntc adirato contro di noi stia per !scaricarci l'ultimo colpo della sua terribile giustizia. Il debaccantc francese nostro nc1nico non contento di aver ric1npito di uccisioni e straggi le sue native e circonvicine popolazioni è venuto sino nel cor dell'Italia e nel seno della 111edesin1a nostra SS. Religione a mettere ogni cosa a sacco e desolazione; investe la nostra SS. Fede sin nella sua più li1npida sorgente, vale a dire nell'esistenza di Dio Otti1no Massi1no, procura di abolire i Principati, solleva contro i loro legittimi Sovrani le nazioni tutte e le lascia in un oceano di confusione e 1niseria. Si è opposto con coraggio e zelo e i suoi srorzi l'amabile nostro Sovrano ed alla Lesta di un nu1ncroso esercito con lodevole escn1pio e coraggio s'incaminina per rcprin1ere i suoi assalti, invita tutti a concorrere con esso per difendere la Religione, i nostri averi e i suoi legittimi regi diritti. Chi mai non riconosce la giustizia e l'in1portanza di questa rilevante causa? Chi mai non vede il preciso obbligo che tutti hanno di difenderla? Sperian10 adunque che tulti correranno ad arrolarsi alle miriadi squadre del nostro Re. E da ciò si co1npiaccia Iddio di levarsi a difesa della nostra SS. Religione, della persona dcl nostro a1nabilissi1no Sovrano, di tutta la sua reale fainiglia e de' suoi regni concedendoci o una giusta pace o una gloriosa vittoria e specialmente per placare il giusto di lui sdegno irritalo dai nostri peccati abbian10 disposto in tutte le infrascritte preghiere [ ... ])) 89 .
8i; D. MENOZZI,
Tra r{fonna e restaurazione. Daf!o crisi della società cristiana al 111iro della crùtianità 111edievale ( 1758-1848), in La Chiesa e il potere politico, (a cura di G. Chittolinì e G. Miccoli), Annali 9, Einaudi, Torino 1986, 767-806: 786. 89 E 1792-1803, 26r-27r: 26r. E' probabile che si riferisca ai simpatizzanti del giacobinismo il rifcrin1ento che trovian10 nella relazione dcl 1802: «Non mancano i lupi che tentano di uccidere il gregge affidato alle inie cure; n1a con l'aiuto di Dio e con un'attenta vigilanza sono riuscito a cacciarli dal mio ovile e a trasfonnarnc, per la
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Ha molte analogie con questo un editto del 7 febbraio 1805"' nel quale il Deodato, uniformandosi ad una linea pastorale dettata da Roma e proposta anche per i vescovi della Sicilia, diffonde a Catania la devozione al Sacro Cuore di Gesù, diventato simbolo della rivolta vandeana91 • Come gli altri vescovi, il Deodato si sentì in dovere di accogliere gli inviti reali alla collaborazione nell'opera di difesa contro i francesi. Quando nell'agosto del 1796 giunse un dispaccio reale, che ordinava un inventario «di tutti gli argenti ed ori, anche vasi sagri, che posseggono» le chiese «tanto degli ecclesiastici, quanto delle moniali all'ordinaria vescovi! giurisdizione soggette, come pure di tutte le confraternite, compagnie, comunità, luoghi pii», per sovvenzionare il piano di finanziamento predisposto per la difesa, il vescovo, il 6 settembre, si affrettò ad emanare un editto con le indicazioni pratiche per effettuarlo92 • Nel marzo del 179~ nn altro dispaccio reale invita il vescovo a prestare la sua opera per «la formazione di tre reggimenti di cavalleria del numero di milleottocentosessanta uomini, altri tre reggimenti di fanteria nel numero di tredicimilacinquecentonovantanove uomini ed altro finalmente di artiglieria di milleducentonovantaquattro uomini». A tal fine il Deodato rivolse un invito «per isvegliare delle persone . . benestanti e premurose alracquisto de cavalli» e per mcoraggiare coloro «che trovandosi proprietarii di cavalli atti al servizio della cavalleria [.. ] li esibiscano alle qui notate persone»''· 1
grazia di Dio onnipotente, alcuni di loro in agnelli» (rei. 1802, 138v). Ncll'ultin1a relazione pone alla Congregazione una serie di quesiti sull'obbligo di denunziare i fedeli che si sono 1nacchiati di eresia, sul comporta1nento da tenere nei confronti dei fedeli che chiedono l'assoluzione dalle censure senza voler indicare l'errore in cui hanno creduto, oppure si rifiutano di rivelare i nomi dci complici o che intendono procedere con denunzie orali (rei 1807, I53r-v).
"'E 1802-1809, 23r-v. D. MENOZZI, op. cit., 786; P. ZOVATTO, Nuove fanne d{ religiosità popolare tra Sette e Ottocento, in AA. Vv., Storia dell'Italia, ciL, 393 -418. 92 E 1792-1803, 28r. 93 Ibid., 44r-45r. In un editto analogo del 17 ottobre l 807, il Deodato invita i parroci a fare opera di persuasione perché i fedeli-sudditi si arruolino al servizio 91
n1ilitare: «[ ... ] Comandiamo a lutti i nostri arcipreti, parrochi e curati della nostra città e diocesi, che spesso nelle loro prediche parrocchiali ani1nassero efficacemente la popolazione a loro commessa di arrolarsi nella prenominata recluta, che sarà per
378 Quando poi giunse notizia della vittoria riportata dal re, il Deodata con un editto del 19 agosto 1799 ordinò: «Dovendosi nella circostanza delle gloriose vittorie del nostro amabilissimo Sovrano, che Dio lungamente ci conservi, rendere le dovute grazie all'Altissimo dator di ogni bene e della concittadina e protettrice Sant'Agata, a cui sin dal principio delle passate disgrazie si drizzano li nostri voti, abbiamo stabilito di disporre che il glorioso corpo dela nostra santa vergine si conduca con un'estraordinaria pompa per tutta questa nostra città e quelle vie principali [ ... ]»94.
E' comprensibile come il Deodata si ritrovi pienamente non solo nelle espressioni di amarezza e di condanna ma anche nel giudizio teologico e politico che traspaiono dal dispaccio viceregio con cui si comunica la prigionia di Pio VII e si impartiscono ordini per promuovere riti penitenziali: <<La religione cattolica è assalita nelle massime le più pure e la sua esistenza è follemente minacciata. Il capo visibile della Chiesa, l'ottin10 Pontefice attualmente regnante Pio VII è nelle forze del comune ini1nico. La sua vita, la sua sacra persona in ogni 1nomento è in pericolo. Il sacro Collcggio dci Cardinali è disperso, esiliato, e parte di essi ancora arrestati sono stati tradotti ne' castelli e nelle piazze forti. I beni e i domini della Chiesa cattolica, protetti e garantiti dai principi leggittimi e di lei veri figlioli da tanli e tanti secoli, sono stati già da un violento ed insaziabile usurpatore occupati, come occupati sono stati per gli stessi principii i Regni di tanti leggitimi Sovrani dell'Europa. Queste notizie, per ogni dove arrivate alla cognizione del Re nostro signore, hanno afflitto il suo reale animo tanto quanto non può a sufficienza esprimersi. Come figlio prediletto della Chiesa cattolica, non lascierà egli mezzo intentato, onde la salute del Santo Padre e la sai vezza della Chiesa vengano messi in sicuro il più che sia possibile. Ma conosce la Maestà
farsi da' sopracennati regii officiali. Portiamo sicura speranza che i fedeli vassalli di Sua Maestà nostro Re, che Iddio guardi con tutta la sua famiglia, volentieri saranno per mostrare il loro affettuoso animo al Sovrano con farsi scrivere al rollo di quei sudditi che si fan glorie levarsi colle armi a difesa del loro legittimo monarca [... ]» (E 1802-1809, 44r-45r: 44v). 94 Ibid., 46r-v.
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Sua ch'cssendo questa tutta causa di Dio, il mezzo più potente sia quello di ricorrere al suo altissimo patrimonio [... ]95 .
Il Deodato ebbe solo la possibilità di assistere ai pnm1 cambiamenti che si realizzarono nel Regno di Sicilia con la nuova costituzione voluta da lord Bentinck (1812) e di interporre 1 sum buoni uffici perché Catania non venisse penalizzata nella nuova configurazione dei distretti giudiziari predisposta dal parlamento. Morì il 23 ottobre 1813 per i postumi di una febbre «erisipelatosa» 96 . 3. Le relazioni "ad limina" del vescovo Deodata
Il nostro vescovo non sembra dare eccessiva importanza all'obbligo di visitare ogni tre anni i sacri limini e di inviare alla Santa Sede la prescritta relazione. Nominato alla sede di Catania nel 1773, il Deodato aspettò sei anni per inviare la prima relazione (l 779), che fu redatta sulla falsariga di quella del suo predecessore. Nel descrivere lo stato materiale della diocesi si limitò a fare un elenco minuzioso delle collegiate e della diversa prassi vigente nell'esercizio della cura delle anime, ma non diede un quadro completo delle altre strutture ecclesiastiche. Contrariamente a quanto aveva fatto il Ventimiglia, alla descrizione dello stato materiale della diocesi non fece seguire un'attenta analisi della situazione con le indicazioni del suo progetto di governo pastorale. La seconda relazione fu inviata dopo altri sei anni (1785); ma il vescovo si limitò a dire che non aveva nulla da aggiungere a quanto aveva già detto nella precedente, perché non si erano avute novità di rilievo. Nonostante i forti richiami della Congregazione del Concilio 97 , le altre quattro relazioni riferirono
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/bid., 46v-49r: 46v-47r.
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V. MESSINA, Mons. Corrado M. Deodati, cit., 400-402.
97 La bozza di risposta preparata dal prelato revisore usa un linguaggio molto duro nei confronti del vescovo: «Dalle passale e dalla presente relazione pare Mons. Vescovo assai tranquillo nel suo ministero pastorale, che esercita da anni 25. Le sue relazioni sono superficialissime e l'ultima volta la Sacra Congregazione credette mandargli la passata risposta giacché di nulla si faceva carico circa lo stato formale della sua Chiesa. Costretto perciò a parlare nella presente si sbriga col dire esser difficile il sinodo, difficile l'erezione della teologale e penitenziale, difficile
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notizie molto scarne. Un giudizio sul Deodata, fondato solamente sui dati di queste relazioni risulterebbe parziale e poco benevolo. Forse mai come in questo caso le relazioni ad limina si dimostrano una fonte non esaustiva per delineare il profilo del vescovo che le ha scritte.
4. Il giudizio degli storici sul Deodata La letteratura sul vescovo Deodata, se si escludono i discorsi di circostanza fatti durante la sua vita98 o in occasione della sua morte 99 , non è abbondante. A parte il profilo tracciato da V. Messina all'inizio del nostro secolo"JO e le pagine a lui dedicate nelle celebrazioni
provveder di vicarii perpetui le parrocchie. Quanto poi al confessore straordinario per le monache, che la Congregazione ne parli con li padri agostiniani, a cui sono soggette. Parmi dunque necessario risvegliarlo ne' suoi doveri pastorali dolce1nente, giacché il far il Vescovo non è la cosa più con1oda come dice S. Giovanni Crisostomo: 'Magnum quiddam est Ecclesiae praelatio, rne quae nulla indiget sapientia et fortitudine quale Christus proposuit ut anirnarum pro ovibus ponamus'» (rel. 1788, 104r~v). La risposta ufficiale in lingua latina che giunse al Deodato è molto più blanda (ibid., 105r-107r). 98 A. GIUFFRIDA, Pro suscep!o episcopatu Catanensi. Panegyricus gratulatorhts Conrado Deodati et Moncada, Typis D. Reggio, Catanae 1773; R. PLATANIA, op. cit. In una nota riportata ne La Sicilia Sacra 1 (1899) 209, si accenna ad «una orazione accade1nica, recitata da Luigi Casolini addì 19 giugno 1792 in Siracusa e vari componimenti poetici in lode dello stesso», che sono conservati nella Biblioteca §<.Comunale di Palermo (Qq D 32 a); Orazione e coniponùnenti poetici in laude di Conrado Deodata vescovo di Catania recitati nell'accademia de' Trasforrnati di Noto, A. Felicella, Palermo 1773. 99 Il discorso nei funerali celebrati in cattedrale fu tenuto da D. Privitcra. V. Messina nel suo profilo scrive: «Per puro caso fu in mio potere l'autografo anonimo di questo elogio, che per meglio conservare pensai passarlo al Monte di Pietà» (V. MESSINA, Mons. Corrado M. Deodati, cit., 403). Il discorso di F. Strano, come si legge nel titolo, fu tenuto nella chiesa 1nadre di Acicatcna il 4 dicembre 1813. Nel volume del capitolo della cattedrale con i necrologi dei canonici, dei vescovi e dei re si legge il 23 ottobre 1813: «Exc.mus et Rev.n1us D.nus D. Corradus Maria Deodata de Monacada, patritius Netinus et Messanensis, qui per quadraginta annos et ultra episcopatu Catanensi summa cum laude, beneficientia erga pauperes, liberalitate in restaurando hocce principe templo et in Monte Pietatis instituendo, functus est. Unde factum, ut a Regia Clementia intcr Equites insignis Regiique ordinis S. Ianuarii adscriptus fuerit. Sed Panormo, quo pro re patria tuenda se contulerat, et ubi lethali morbo implicitus fuit, huc regressus, 1nortem oppetiit aetatis suae anno scptuagesimo septimo iam ~ransacto, anno Do1nini 1813». wov. MESSINA, Mons. Corrado M. Deodati, cil.
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centenarie del monte di pietà 101 , troviamo solo qnalche breve cenno, che non contiene un giudizio sulla sua persona'°'· Lo Scinà, pur occupandosi di tanti personaggi che, dopo essere stati collaboratori del Ventimiglia, continuarono la loro attività durante il periodo di governo del Deodata, non fa cenno alla sua persona 103 • Il Ferrara accenna al nostro vescovo solo per ricordare il suo ingresso in diocesi e i lavori di restauro della cattedrale 1114 • Questo silenzio si può spiegare non tanto con la prevalente attenzione prestata al suo predecessore, quanto con la personalità del nostro vescovo e con il tipo di azione ·pastorale da lui svolta. Il Deodato non fu né un precursore, né un riformatore, ma il buon vescovo ancorato al modello ideale della societas christiana che, all'interno di una Chiesa forte per l'appoggio accordatole dalle autorità civili, può far valere la sua personalità mite e le sue buone capacità di governo. A distanza di un secolo dalla sua
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Pel prùno centenario, cit.; Il 111011fe di credito su pegno "S.Agata", cit.. P. CASTORINA, op. cit., 221-223; G. LOMBARDO, Cenno storico sulla Chiesa vescovile di Catania, G. Ranucci, Napoli 1847, 35-36. Abbiamo già riferito il giudizio dato da G.A. Dc Cosmi nel momento iri cui interruppe il rapporto di collaborazione con lui. Riteniamo più uno sfogo gratuito che una notizia storica, l'accusa mossa dallo Scuderi al Deodato che, a suo dire, non aiutò Raimondo Platania nei 1nomenti di bisogno: «Fa dolore pensare che dove il vescovo Deodati ri1nunerassc e colmasse d'ogni maniera di grazie e di onori uo1nini abbietti a lui sol cari per vigliacca e compra adulazione, o per isfrcnate e oscene leggiadrie da postribolo, nulla poi apprestasse di sovveni1nento a questo animoso ingegno siciliano![ ... ]» (L. SCUDERI, op. cit., 120-121). Sorprende il giudizio astioso che G. Gambino, cx canonico della collegiata c giacobino, formula nelle sue memorie sul nostro vescovo~ si ha l'impressione che, voglia riversare sul Deodata la responsabilità delle sue scelte personali: «0 Conrad Deodati Evèque de Catane! toi qui 1n'avais prodigué !es ordres sans trop t'enquirer d'avance dc la sincérité dc 1na vocation, toi, par un triple noeud, lié à ma destineé sociale, responsablc de la tutellc de 1na personnc, comme pasteur du lroupcau de Catane, comn1e Grand Chancellier de l'Univcrsité, et co1n1ne chef dc la Hierarchie de l'Eglise, pouvais-tu regardcr impassible la làche trahison d'un Cantarclla envers un collégue, a laisser accomplir, sans réclamer, la sévérité inoure d'un governaincnt que je n'avai pas offcnsé? Tu permis cetle ignominie, et d'autrcs encore, sans mème apporter la plus mincc consolation à une de tes ouailles, tounnentée d'une manièrc si tirannique! Et cepcndant, dans Ics fumées dc ta n1orguc (tu ne faisais pas faute en toute occasion de pròncr ta noble origine) tu aurais bien levé ta voix si on eùt maltraité ainsi, et encore moins, un misèrable 1narmiton dc tes cuisincs» (G. GAMBINI, op. cii., 94). HB D. SCINA', op cit. 104 F. FERRARA, op. cit., 252 e 260. lll 2
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morte, nelle celebrazioni del primo centenario dalla fondazione del monte di pietà, l'anonimo storico che tracciò il suo breve profilo (quasi certamente il p. Luigi della Marra) si chiese se esisteva una qualità specifica che facesse ricordare ai posteri il governo pastorale di questo vescovo e scrive: «La qualità speciale del Diodati come vescovo, ci permettano l'espressione, era di non avere specialità distintive. Più chiaro. Vi sono vescovi che si distinguono per pietà, e quindi instancabili a santificare i fedeli. Vi sono vescovi che han tendenza spiccata per largo sviluppo del movimento religioso e quindi intenti sempre a pro1nuoverlo. Vi sono vescovi appassionati per il decoro della casa di Dio, e quindi inesauribili per mantenerlo. Vi sono vescovi che portano nel santuario un cuore dilatato e quindi una profusione nell'esercizio della carità che meraviglia. Vi sono vescovi che sembrano nati apposta per con1porre i dissidi e rendono memorabile il loro esercizio con assiduo lavoro alla concordia e alla pace. Dallo esame dell'esercizio del Deodati esso risulta in egual grado eccellente come promotore di culto, come curatore di anime, come provveditore splendido di sacri arredi, come vero padre dei poveri, come esperto rappresentante del padre di famiglia» 105 .
Come dire che il Deodata, pur possedendo le buone qualità che sono desiderabili in un vescovo, non eccelleva in modo particolare in nessuna di esse.
So1n11zario
Alla pubblicazione delle relazioni "ad limina" del vescovo di Catania Corrado Maria Deodato si premette un profilo sulla sua personalità e sul modello pastorale da lui seguito nei quarant'anni di governo della diocesi. Il Deodata succedeva ad un vescovo "illu1ninato", Salvatore Venti1niglia, del quale in un primo momento disse di voler seguire il programma. Tuttavia si ha l'impressione che egli man mano abbia assunto una personale autonomia, rifacendosi ad un modello ecclesiologico e pastorale più tradizionale. Le relazioni inviate alla Santa Sede appaiono superficiali e non offrono elementi rilevanti per delineare la personalità del vescovo, (che per altro appare molto ricca) e le sue realizzazioni pastorali (che furono notevoli).
Hl5
Pel prùno centenario, cit., 15.
XXXIII
1779 - Relazione scritta il 15 aprile 1779 dal vescovo Corrado Maria Deodata e presentata a Ro1na dal procuratore Pierantonio Tioli1.
[60r] Eminentissimi e reverendissimi Signori Vi prego di non pensare che abbia trascurato per negligenza gli insegnamenti dei padri e che sia rimasto ozioso fino a differire la relazione sullo stato della mia diocesi oltre alla scadenza del primo quinquennio dalla mia elezione (per quanto indegno) alla cattedra della Chiesa di Catania. Il motivo di questo ritardo è l'impegno quotidiano per la mia Chiesa e lo stesso nostro signore il papa Pio VI più volte mi ha accordato la dispensa. Tuttavia. appena ho potuto sottrarre un po' di tempo agli urgentissimi impegni che mi tenevano occupato [60v ], mi è sembrato giusto obbedire alle prescrizioni e non tenere allo scuro ancora a lungo voi eminentissimi padri sullo stato del mio gregge e sulla condizione della Chiesa di Catania.
1 Al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) cinque richieste di proroga dal 1776 al 1779 per visitare i sacri limini [45r-54vJ; 2) richiesta di effettuare la visita tramite il procuratore Pierantonio Tioli [54r-55vJ; sul dorso si legge la nota: «Dic 7 iulii 1779. Data fuit attestatio pro 65 triennio» [55v]; 3) procura in forma pubblica, redatta a Catania il 24 giugno 1779 dal notaio Pietro Domenico Costantino, alla presenza dei testi: Rosario Costantino, Salvatore Mascali e Giovanni Zizzo, perché mons. Pierantonio Tioli, residente a Roma, visiti le basiliche dei Santi Pielro e Paolo e presenti in nome del vescovo Corrado Maria Deodato la relazione [56r-59v]; 4) due attestati della visita alle basiliche romane rilasciati in data 5 e 7 luglio 1779 [74r-75r]; 5) le bozze dei rilievi alla relazione e la risposta inviata al vescovo [76r-77v].
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La Chiesa di Catania ricevette i primi insegnamenti della fede ai primordi dell'era cristiana da S. Berillo, inviato dal principe degli Apostoli Pietro mentre si trovava ad Antiochia, e venera fra i santi non pochi vescovi. Come le altre Chiese di Sicilia, era sottoposta alla giurisdizione del romano pontefice fino a quando, più per un abuso che per un valido motivo giuridico, fu assoggettata da Leone Isaurico al patriarca di Costantinopoli; da papa Adriauo I fu annoverata fra le Chiese metropolitane. Si sa molto poco sulla condizione in cui la diocesi di Catania venne a trovarsi durante la dominazione dei saraceni. Quando essi furono cacciati dalla Sicilia dal normanno Ruggero, fu ristabilita nel primitivo splendore la maestà della religione cristiana. Il conte rifondò la Chiesa di Catania, l'adornò di beni e di privilegi, l'arricchì di un capitolo di canonici regolari, che trasferì dal monastero di Sant'Eufemia [6lr] assieme ad Angerio - poi nominato vescovo - e lo dedicò alla concittadina S. Agata, fra i più insigni martiri siciliani; infine restituì la Chiesa di Catania alla giurisdizione della Santa Sede. Al vescovo di Catania fu anche concesso, a titolo di onore, l'uso del pallio, che userebbe ancora se la diocesi al tempo della erezione della Chiesa di Monreale non fosse stata sottomessa alla sua giurisdizione come suffraganea. Oggi, dopo lunghissime liti e discussioni, è a lei soggetta. Il vescovo di Catania nel parlamento del Regno ha il primo posto rispetto agli altri vescovi; gode del diritto e dell'esercizio di promuovere lo studio delle lettere per tutta la Sicilia e le isole adiacenti; detiene il titolo e l'ufficio di gran cancelliere dell'antichissima università degli studi. La Chiesa di Catania ha una diocesi molto grande; i suoi confini sono segnati ad oriente dal mare Ionio, a mezzogiorno dalle diocesi di Siracusa e di Agrigento, ad occidente e settentrione dalla diocesi di Messina. In essa sono comprese tredici città importanti; in questo numero non è inclusa Calascibetta, che, fino al tempo del vescovo Galletti [61 v], per settecento anni, era stata compresa nei confini della diocesi di Catania e i vescovi catanesi esercitavano su di essa la loro potestà ordinaria come veri pastori; malauguratamente, per iniziativa delle autorità regie, oggi è soggetta alla giurisdizione della Regia Monarchia. Le principali città della diocesi sono: Catania, Piazza,
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Enna, Agira, Aci, Assoro, Adrano, Paternò, Centuripe, Aidone, Regalbuto, Leonforte e Pietraperzia. Si hanno, poi, dodici centri minori nelle zone montane: Barrafranca, Biancavilla, Belpasso, Misterbianco, Motta Sant'Anastasia, Valguarnera, Mirabella, Licodia, Catenanuova, Ramacca, Nissoria e Villarosa eretti di recente; dodici nel bosco etneo: Acicastello, Acicatena, Sant'Antonio, San Filippo, Santa Lucia, Trezza, Valverde, Bonaccorsi, Trecastagni, Viagrande, Pedara, Nicolosi, Mascalucia, Gravina, San Giovanni Galermo, Tremestieri, San Gregorio, San Giovanni la Punta, Trappeto, Sant'Agata, Torre del Grifo, San Pietro, Camporotondo, alcuni dei quali sono popolosi [62r]. Complessivamente gli abitanti sono 105.000. La cattedrale per due volte è stata riedificata dopo essere stata distrutta dal terremoto. Nel 1693 fu quasi rasa al suolo ma il vescovo Andrea Riggio la ricostruì con straordinaria celerità e impiegando ingenti capitali. Per la grandiosità della costruzione, per l'eleganza, la luce, gli altari, l'alta cupola, i rivestimenti di marmo, supera le altre chiese della Sicilia. I seggi del coro, presso l'altare maggiore, splendidamente e artisticamente scolpiti, riportano la storia del martirio di S. Agata. Nella cattedrale sono custoditi i sepolcri dei re aragonesi. Il prospetto occidentale della cattedrale, costruito con marmi siciliani e di Carrara a spese e per iniziati va del vescovo Pietro Galletti, è ammirevole per le eleganti forme architettoniche e per le colonne che i catanesi anticamente avevano asportato dall'Egitto. Le due statue di S. Berillo e di S. Euplo, diacono e martire catanese, furono collocate in alto dal vescovo Ventimiglia; ne restano da collocare altre due fra le colonne del primo ordine; sono ancora disponibili alcune somme di denaro lasciate dal vescovo Galletti [62v], che saranno impiegate al più presto per costruire l'atrio con lo stesso tipo di marino.
Il vanto più grande, per la cattedrale e la città, è costituito dal corpo di S. Agata, custodito con il decoro, la pietà e la fede dovuti. Infatti molti re, vescovi, principi, nobili e persone del popolo nel corso dei secoli hanno donato una grande quantità di oro, argento, gemme e pietre preziose per ornare le sue reliquie. Il velo della santa è molto
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venerato nelle.liturgie ecclesiastiche, durante le eruzioni viene posto di fronte alla lava dell'Etna. Le sacre suppellettili della cattedrale sono ricche e abbondanti; per restaurarle e per incrementare il culto divino ogni anno il vescovo spende somme notevoli di denaro. Il capitolo della cattedrale un tempo era costituito dai monaci di S. Benedetto; nel 1565, su richiesta del vescovo Nicola Maria Caracciolo, dal papa Pio V fu trasformato in secolare; tuttavia per le contestazioni dei monaci solo nel 1575, mentre era vescovo Antonio Faraone, i sacerdoti del clero secolare subentrarono ai canonici regolari [63r]. In esso furono istituite quattro dignità (il priore, il cantore, il decano, il tesoriere), dodici canonici e altrettanti beneficiati. Nel 1643 il vescovo Ottavio Branciforte aggiunse una quinta dignità, chiamata arcidiacono; questa, quando il capitolo era regolare, era la seconda dopo il priore, ma fu soppressa; dopo la sua restituzione le fu assegnato il quinto posto e il suo titolare è presente al coro quando il vescovo celebra i pontificali. La salmodia durante la settimana è recitata a turno da due dignità, sei canonici e otto beneficiati; nei giorni di festa da tutti i canonici. I proventi delle dignità sono esigui e provengono da alcuni benefici semplici annessi dal vescovo Bonadies; le rendite per le prebende dei canonici e dei beneficiati sono sufficienti; il vescovo provvede a costituire le somme necessarie per le distribuzioni quotidiane alle dignità, ai canonici e ai beneficiati che recitano il breviario; poiché non esistono le prebende per il teologo e il penitenziere, questi uffici sono stati affidati a due canonici idonei, secondo le indicazioni date dalla Congregazione [63v]; attualmente nei giorni di festa il canonico teologo spiega nella cattedrale al popolo le verità di fede. Per l'amministrazione dei sacramenti nella cattedrale sono addetti cinque presbiteri, il primo dei quali si chiama maestro cappellano. Infine fanno parte del clero della cattedrale dodici sacerdoti, chiamati mansionari con il compito di prestare servizio nei pontificali. Il sacrista maggiore con altri sei minori, ha cura della custodia e della pulizia delle sacre suppellettili. Tutti i membri del capitolo: dignità, canonici e gli altri ministri sono scelti e nominati dal
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vescovo. Infine i musicisti, che ricevono uno stipendio dal vescovo, cantano e suonano durante le celebrazioni liturgiche dei giorni festivi. In tutta la diocesi si hanno 23 collegi di canonici (in questo numero si esclude il capitolo della cattedrale), istituiti in epoche diverse. La prima collegiata è quella di Catania, eretta nel 1446 da Eugenio IV nella chiesa Santa Maria dell'Elemosina; in essa servono quattro dignità, la prima delle quali è il prevosto, a cui compete la cura della anime di quella parrocchia [64r], la seconda è il tesoriere, la terza il cantore, la quarta il decano; vi sono 18 canonici e dodici mansionari che con poco stipendio ma con grande impegno si dedicano al servizio divino. Quando nelle processioni interviene il capitolo della cattedrale, i canonici della collegiata sono obbligati a prendere posto prima di lui e dietro la sua croce. Il prevosto è nominato dalla Santa Sede, i titolari delle altre prebende sono eletti a scrntinio segreto dai capitolari, approvati e istituiti dal vescovo. A Piazza si hanno due collegiate; la prima è nella chiesa madre dedicata a Maria Vergine, istituita da Clemente VIII con i beni di Marco e Lauriella Trigona; ha 4 dignità (prevosto, cantore, tesoriere e decano), ai quali è annessa la cura delle anime, 18 canonici e altrettanti beneficiati; ad eccezione del prevosto, tutti gli altri sono designati dalla Santa Sede e dal vescovo alternativamente secondo i mesi. La chiesa è grandiosa per costrnzione, ha una cupola ed è ricchissima per il patrimonio e le suppellettili sacre; le prebende hanno una certa sufficienza; l'amministrazione dei beni è affidata a fidecommissari laici e posta sotto la vigilanza dei funzionari regi [64v]. L'altra collegiata di Piazza è intitolata al Santissimo Crocifisso; fu istituita dal vescovo Andrea Riggio nel 1703; ha 3 dignità: la prima è il prevosto, la seconda il cantore, la terza il tesoriere; i canonici sono 12, altrettanti i mansionari che partecipano ai riti sacri nei giorni di festa con un misero compenso. Lo stesso vescovo Riggio eresse un'altra collegiata nella chiesa madre Santa Maria di Enna; in essa si hanno 4 dignità come a Piazza, alle quali compete la cura delle anime; al tempo della sua fondazione si avevano 8 canonici, ma dal vescovo Ventimiglia nel 1767, disponendo di un pingue beneficio di diritto di patronato, ne furono cooptati altri 4; infine da una nuova fondazione nel 1776 ne sono stati
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assunti altri 2, con la riserva del diritto di patronato. Oggi il capitolo ha 14 canonici e IO beneficiati; il patrimonio della chiesa è molto ricco [65r]; lo amministrano le dignità e due laici designati dalla magistratura civica. Le dignità sono nominate per concorso, i primi otto canonici e i beneficiati sono nominati dalle dignità e dai procuratori, gli altri dai rispettivi patroni e approvati dal vescovo. A Paternò c'è una collegiata eretta dal vescovo Michelangelo Bonadies nel 1670 nella chiesa Santa Maria dell'Alto; ha 4 dignità con cura d anime: prevosto, cantore, tesoriere, decano; 17 canonici, 8 mansionari, che ricevono ogni anno una modesta rendita. Le dignità sono nominate per concorso, i canonici e i 1nansionari per elezione del capitolo e approvazione del vescovo. Nella città di Adrano il vescovo Francesco Caraffa nel 1690 istituì una collegiata con 4 dignità (il prevosto che esercita la cura delle anime, il cantore, il decano, il tesoriere), 12 canonici e altrettanti mansionari con una congrua rendita [65v]. Il prevosto è scelto per concorso, gli altri sono eletti dal capitolo e nominati dal vescovo. Lo stesso Bonadies istituì un'altra collegiata ad Assoro nel 1684 con 3 dignità: il prevosto a cui compete la cura delle anime, il cantore, 1
il tesoriere, 8 canonici, 6 mansionari con lo stesso criterio di elezione;
oggi per la mancanza di sacerdoti e di rendite è in decadenza ed ha bisogno di una riduzione. Ad Agira si ha il maggior numero di collegiate; infatti se ne contano 5: la prima nella chiesa di Santa Margherita, costituita dal prevosto, dal cantore, dal tesoriere, dal decano e da 12 canonici e 6 mansionari; la seconda nella chiesa di Sant'Antonio di Padova simile alla prima; la terza nella chiesa del Santissimo Salvatore con il prevosto, il cantore, il tesoriere, 5 canonici e 2 mansionari; la quarta nella chiesa di Santa Maria Maggiore con 3 dignità, 4 canonici e 2 mansionari [66r]. Tutte queste collegiate sono state istituite dal vescovo Caraffa nel 1689, che affidò la cura delle anime ai singoli prevosti. Le prime due hanno congrui benefici; le altre sopravvivono appena a causa della esiguità delle rendite. La quinta collegiata, infine, è esente dalla giurisdizione del vescovo e ha sede nella chiesa di San Filippo, una volta affidata ai monaci dell'ordine di S. Benedetto, oggi
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ad un abate commendatario, che designa il priore e gli otto canonici; attualmente l'abbate è il palermitano D. Giuseppe Maria Gravina. Ad Aidone il vescovo Galletti nel 1751 eresse una collegiata nella chiesa di San Lorenzo; l'antico arciprete con cura d'anime divenne il prevosto, a cui aggiunse il cantore, il tesoriere, il decano, 8 canonici, 6 mansionari; le loro rendite sono esigue; il prevosto è di diritto di patronato, le altre prebende sono conferite dal vescovo su designazione del capitolo [66v]. A Biancavilla c'è un'altra collegiata, fondata dallo stesso vescovo Galletti nel 1754, con 4 dignità, 12 canonici e 2 mansionari. La cura delle anime fu affidata a tutti i canonici, ma viene esercitata a turni settimanali con una modesta prebenda. Il prevosto è nominato dal vescovo, gli altri dallo stesso su presentazione del capitolo. Lo stesso vescovo Galletti eresse a Centuripe un'altra collegiata in tutto simile a questa; ha 4 dignità, 8 canonici, 6 mansionari, tutti impegnati nella cura delle anime. La città una volta era famosa ma le rendite sono molto tenui. Nel 1691 il vescovo Caraffa eresse una collegiata ad Acireale, una città vicina a Catania; affidò la cura delle anime al prevosto, al cantore, al tesoriere, a 12 canonici e 6 inansionari che doveva essere esercitata da ognuno di essi, a turni settimanali; assegnò ad ognuno una congrna rendita dal patrimonio della chiesa; il capitolo ha il diritto dì eleggere i propri membri, che sono nominati dal vescovo [67r]. Il prevosto, invece, è di libera nomina vescovile. In alcune parrocchie vicine ad Acireale, nelle borgate di Acicatena, San Filippo e Santa Lucia, sono state erette tre collegiate dal vescovo Galletti. In ognuna di esse si hanno 3 dignità; nelle prime due 9 canonici e 6 mansionari; nell'ultima 7 canonici e 6 mansionari. Le prebende sono modeste, la cura delle anime è affidata ai prevosti, che sono scelti dal vescovo; gli altri canonici delle prime due sono presentati dal patrono, quelli della terza sono designati dal vescovo. Restano da enumerare altre tre collegiate: una a Belpasso, eretta dal vescovo Riggio nel 1700, con tre dignità, 12 canonici e 6 mansionari; le altre due hanno come fondatore il vescovo Galletti nei villaggi di Nicolosi e Trecastagni. La prima è in tutto simile a quella di Belpasso; la seconda ha 3 dignità, 8 canonici e 2 mansionari; la cura
390 delle anime appartiene al prevosto; le rendite sono modeste; i prevosti delle prime sono nominati per concorso [67v ], quello dell'ultima su presentazione del feudatario, gli altri canonici sono eletti dal capitolo e nominati dal vescovo. Molte delle collegiate sopra descritte usano il rocchetto e la mozzetta. Le tre di Piazza, Enna e Paternò oltre alla mozzetta adoperano la prima la cappa, le altre il solo epitogio o almuzio. In esse mancano del tutto le prebende del teologo e del penitenziere, ma in quasi tutti i giorni di festa e le domeniche ministri idonei istruiscono il popolo nelle verità necessarie alla salvezza e ai buoni costumi del popolo; ai bambini e agli altri bisognosi di aiuto vengono spiegati i primi elementi della dottrina cristiana. Ogni settimana si tengono le conferenze morali per il clero secolare. La cura delle anime negli altri centri abitati della diocesi è esercitata da vicari amovibili ad arbitrio del vescovo. Infatti il vescovo è considerato unico parroco di tutta la diocesi, ad eccezione della città di Enna, dove si hanno 8 parroci eletti per concorso. Nel 1769 dal vescovo Ventimiglia la chiesa di Regalbuto fu eretta in parrocchia e in futuro sarà provvista per concorso. Tre arcipreti sono di diritto di patronato [68r]: uno a Leonforte è presentato dal patrono laico, un secondo nello stesso comune c un terzo a Pietraperzia dal feudatario. In tutta la diocesi vi sono diversi istituti regolari: 4 dell'ordine benedettino cassinese, 2 di chierici regolari, 3 di chierici regolari minori, 2 di chierici regolari ministri degli infermi, 2 delle scuole pie, IO di frati predicatori, 4 di conventuali, 13 di francescani riformati, 4 di francescani osservanti, 11 di cappuccini, 3 del terz'ordine, 1O di agostiniani, 3 di agostiniani scalzi, 6 di carmelitani, uno di carmelitani scalzi, 2 di mercedari, 2 di minoriti, uno dell'ordine della SS. Trinità e uno dei fratelli di S. Giovanni di Dio. Tutti gli altri istituti, che erano piccoli, poveri e indecorosi, negli anni scorsi furono soppressi dai magistrati laici; delle loro chiese, le pericolanti furono chiuse, altre furono affidate per regio mandato a procuratori laici che ne hanno cura, amministrano le proprietà ed esigono i crediti. Recentemente tre collegi della disciolta Compagnia di Gesù [68v] e due case di esercizi spirituali sono stati affidati al vescovo, ad eccezione dell'ampio collegio di Catania, adibito per regio mandato e
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sotto la responsabilità del senato all'istruzione dei giovani nelle belle arti, dietro il pagamento di una retta annua. Contribuiscono al decoro e al lustro della diocesi la nobilissima porzione del gregge di Cristo costituita dalle monache: 16 monasteri seguono la regola di S. Benedetto, 9 quella di S. Francesco, 3 di S. Agostino, uno di S. Domenico; in tutti vige la perfetta osservanza della disciplina e, quel che conta di più, possono essere chiamati a buon diritto ginecei. Tutti sono soggetti alla giurisdizione del vescovo ed obbediscono ai suoi ordini, ad eccezione di uno che ha sede a Regalbuto, soggetto ai frati agostiniani, chiamato dei Santi Angeli; al vescovo compete solamente constatare nella visita l'osservanza della clausura e approvare i confessori ordinari e straordinari; ma - fatto strano e a tutti manifesto - le 1nonache presentano ai vescovi sempre
un sacerdote dello stesso ordine; si tratta di una prassi sconveniente che ha bisogno di essere cambiata; tuttavia nei tempi in cui viviamo [69r] e tenendo conto delle circostanze, il vescovo può limitarsi a pregare, gli è proibito alzare la voce. Le vergini consacrate a Dio non vivono solan1ente in clausura; si
hanno nella diocesi numerosi istituti di vergini e di fanciulle: 14 per l'esattezza; dei quali quattro, chiamati Collegi di Maria, simili agli antichi ginecei, fondati secondo l'indirizzo dato dal card. Pietro Marcello Corradini, si occupano nella scuole e nelle arti femminili, atlraverso il loro insegnamento le fanciulle del luogo sono educate alla virtù, alle arti liberali proprie delle donne, con grandissimo vantaggio per la società. Gli altri istituti accolgono ragazze orfane e di famiglie disagiate; se hanno il requisito della verginità vengono custodite per essere avviate al matrimonio. Infine in diocesi sorgono due istituti per le donne che dopo la perdita dell'innocenza, con la grazia di Dio) si decidono a can1biare vita. Dopo la chiusura del Concilio di Trento, il vescovo Antonio Faraone istituì il se1ninario; ma, secondo quanto ci è stato tramandato,
l'istituto ebbe una sede povera e precaria. I vescovi che gli succedettero si adoperarono per il suo sviluppo [69v] con i mezzi previsti dallo stesso concilio: imposero la prescritta tassa sui benefici ed elessero i deputati fra i membri del capitolo. Il vescovo Andrea Riggio, dopo le rovine del terremoto del 1693, procurando nuovi
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benefici ed aumentando le rendite, migliorò lo stato del seminario; non mancarono buoni sacerdoti che contribuirono a dargli un volto nuovo donando offerte, rendite e libri. Oggi, anche se gli edifici non sono stati portati a compimento, è il primo fra i seminari di tutto il regno. Infatti accoglie 180 alunni che vengono istruiti nelle discipline ecclesiastiche con grandissimo impegno; oltre alla grammatica e alle discipline umanistiche studiano la filosofia, la teologia dogmatica e n1orale e i sacri canoni; né n1anca lo studio della storia ecclesiastica, della liturgia e del canto gregoriano; alla fine dell'anno scolastico gli alunni si sottopongono agli esami. Nei giorni cli festa partecipano alle sacre funzioni nella cattedrale e ogni anno, prirna della recezione degli ordini, fanno un corso di esercizi spirituali cli otto giorni; non sono promossi agli ordini se non hanno trascorso in seminario un anno completo [70r]; poiché non tutti i chierici si trovano nelle condizioni cli pagare al seminario la retta per gli alimenti, per far sì che alcuni di loro veramente poveri siano bene formati, vengono n1antcnuti con il 1nio contributo. Mi sta talmente a cuore la forn1azione dei seminaristi che spesso visito personahnente le loro scuole, controllo il vitto, gli ambienti e i superiori del seminario. Il vescovo Ventimiglia arricchì la biblioteca con nuove opere; spero con l'aiuto di Dio di incrementarla ulteriorn1ente. C'è a Catania il inante di pietà, governato dal priore della cattedrale e da altre sei persone, scelte ogni anno dal senato fra le diverse categorie di cittadini; può intervenire solamente a fornire sussidi dotali agli orfani, ad aiutare i poveri nelle ristrettezze di natura sociale e nell'acquisto dei medicinali per i loro infermi. C'è un altro n1ontc di pietà che dà ai poveri prestiti su pegno, 1na ha poche risorse; 1neno ancora ne ha il secondo che sorge ad Acireale; il terzo che è a Piazza ha rnezzi più consistenti ma non è ancora funzionante. Tutti questi monti di pietà sono amministrati da laici [70v]. In tutta la diocesi si hanno 5 ospedali, che operano in locali molto angusti e con poca disponibilità di n1ezzi, ad eccezione di quello che sorge a Catania, che si distingue per la magnificenza della sede, per la vigile cura dei suoi rettori e per l'abbondanza del reddito; di recente la pietà ha spinto alcuni fedeli di Catania a fondarne un altro per gli incurabili; sebbene abbia ancora poche risorse, il grande
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edificio che si sta costruendo come sede fa sperare in un futuro n1igliore; agli infer1ni si so1nministrano gli aiuti necessari per l'anima e il corpo. La diocesi di Catania ha due ere1ni: uno chian1ato "la Mecca dove alcuni presbiteri conducono vita solitaria; un altro si lrova a Valguarnera; entrambi dispongono di poche rendite. li primo è soggetto alla giurisdizione del vescovo, l'altro a quella del feudatario. Altri cinque eremi per laici si trovano nei monti presso ludica, Scarpello, Torcisi, Rosmanno, e Piazza vecchia; nelle borgate attorno a 11
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Valverde alcuni laici hanno islituìto un eremo dove conducono una vita dedita alle buone opere; disprezzando il mondo vivono del loro lavoro e delle elemosine dei fedeli [71r]. In ogni luogo si hanno associazioni laicali, tutte con i loro statuti e gli edifici più o meno grandi che i soci frequentano; spesso queste associazioni al loro interno sono così agitate da controversie e discordie da dare l'in1pressione che l'unica occupazione del vescovo sia quella di risolvere i loro problemi. In tutte le sacrestie si trovano esposte le tabelle con gli oneri delle messe e gli anniversari; sono pure conservati i registri dove si prende nota della loro celebrazione. Non posso passare sotto silenzio il collegio dei nobili, 1st1tuito con il patrimonio del nobile catanese Mario Cutelli, conte di Villarosata, illustre per le sue qualità di legato, per gli incarichi assolti e per i suoi scritti giuridici. Questo istituto, disponendo di un ricco patrimonio e prefiggendosi di dare un grande contributo al decoro e al lustro della città di Catania, accoglie nei suoi ampi edifici i giovani aristocratici catanesi per istruirli nella religione, nelle lettere e nelle scienze naturali. Il re, dopo aver accresciuto le sue risorse con il patrimonio della soppressa Compagnia di Gesù, allo scopo di aiutare i nobili del val di Noto che sono in povertà, affidò il collegio al governo del vescovo, del senato e dell'abate cassinese di San Nicola. Mi resta solamente di affrontare, o Eminentissimi Padri, il tema dei costumi del popolo e dello stato della società cristiana [71 v]. I fede I i sono intenti alle loro occupazioni, si dedicano alle pratiche religiose con grande docilità e frequentano i sacramenti secondo il loro stato; con grande fervore di spirito e con le opportune solennità
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celebrano le feste del SS.mo Nome di Gesù, della Beata Vergine Maria e dei santi. Con la parola, l'esempio, le preghiere assidue e la vigilanza mi sforzo di curare i mali che incombono su un popolo così numeroso, soprattutto quelli riguardanti la dottrina e il comportamento. Dopo aver descritto lo stato della diocesi di Catania mi resta di informare con la dovuta riverenza le Eminenze Vostre sulle disposizioni da me date, con l'aiuto della Divina Misericordia, nel corso della prima visita generale a lode di Dio Onnipotente, per il bene e l'utilità delle chiese e per la salute delle anime. Iniziai personalmente la visita pastorale nella cattedrale e continuai ispezionando le chiese sacramentali della città [72r], 1 conventi delle monache, gli istituti femminili, e le associazioni laicali con l'aiuto del vicario generale convisitatore, del teologo e dei missionari apostolici predicatori della parola di Dio, che per primi si erano recati in tutti i centri della diocesi. Ho visitato i diversi luoghi personalmente servendomi del vicario generale convisitatore e del teologo. Avendo constatato che dovunque erano state erette le confraternite del SS. Sacramento e le scuole per l'insegnamento della dottrina cristiana, consolidai queste istituzioni con nuove norn1e perché possano produrre frutti più abbondanti per il bene dei fedeli. Ho conferito il sacramento della confermazione ad un numero straordinario di fedeli, a causa delle lunghe assenze dei vescovi miei predecessori. In molti luoghi ho trovato che erano organizzate stabilmente le riunioni per la soluzione dei casi di coscienza; altrove ho dato ordine che si tenessero con regolarità. Sono rimasto ammirato per l'irreprensibile osservanza delle regole vigente nei monasteri femminili; rinnovai la proibizione di non ammettere le giovani a ricevere l'abito religioso senza un previo esame segreto [72v] da parte del vescovo o del vicario generale. Esaminai attentamente i registri degli adempimenti delle messe, i registri parrocchiali, e i libri contabili con le entrate e le uscite. Ai poveri che incontrai nei diversi luoghi ho elargito l'elemosina; a questo fine ogni anno dalle rendite della mensa vescovile vengono spesi 3.000 scudi.
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Questa è la situazione della Chiesa di Catania. Se la Sede Apostolica, alla quale professo obbedienza, riterrà opportuno di dare qualche prescrizione, si accorgerà di trovare in ine, con l1aiuto di Dio, un fedele custode della fede e della tradizione. La Divina Provvidenza vi conservi per molti anni in buona salute perché, con l'aiuto dei vostri consigli, la Chiesa universale possa godere della pace di Cristo. Catania, 15 aprile 1779 Delle Eminenze Vostre devotissimo ed obbedientissimo servo Corrado Maria, vescovo di Catania Risposta inviata al vescovo dalla Congrcgazione 2
[76r] Si risponde il 23 novembre 1779 al vescovo di Catania. Gli Eminentissimi Padri, ai quali compete custodire e interpretare le norme date dal Conci !io di Trento, nella prima relazione dell'Eccellenza Tua sullo stato della diocesi anzitutto hanno preso atto con piacere della fede, della diligenza e dello zelo con cui procuri la salute delle anime. In particolare è piaciuto che la paura della povertà non ha impedito di venire incontro alle necessità dei miseri e dei bisognosi dei quali questa diocesi sovrabbonda; come un padre dei poveri hai introdotto la prassi di spendere ogni anno una grande somma di denaro per il loro nutrimento. Un inizio così promettente del tuo governo episcopale [76v] induce a sperare che ricordandoti delle norme tridentine convochi il sinodo diocesano per conservare l'integrità dei costumi nel popolo e per promuovere la disciplina ecclesiastica. Anche se è piaciuto il criterio da te seguito di affidare il compito del teologo e del penitenziere a due canonici della cattedrale, tuttavia è necessario provvedere, per quanto è possibile, alla istituzione delle due prebende.
2 Il documento in lingua latina inviato al vescovo è riportato in appendice ai testo originale della relazione.
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Per quanto attiene ai parroci, che definisci amovibili ad nutum, la S. Congregazione desidera che diventino stabili perché le anime ne abbiano un maggior profitto. A proposito delle monache soggette [77r] agli agostiniani, non solo sei competente a far osservare convenientemente e inviolabilmente la clausura e a sottoporre all'esame di idoneità i confessori, ma anche ad avere una relazione da parte degli amministratori, secondo le prescrizioni della costituzione Inscrutabili di Gregorio XV. Sul tema dei confessori straordinari, bisogna ricordarsi che occorre nominarne uno ogni anno, del clero secolare o religioso, così come prescrive la costituzione Pastoralis Curae di Benedetto XIV. Ma su questo argomento non sarà difficile trovare un'intesa con i responsabili del monastero, facendo anche menzione delle indicazioni date [77v] da questa Congregazione. Fin qui i rilievi alla tua relazione. Appena ne avrò l'occasione non mancherò di manifestare con quali sentimenti il mio animo, etc.
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XXXIV 1785 ~ Relazione scritta il 28 marzo 1785 dal vescovo Corrado Maria Deodata e presentata a Roma dal procuratore Pierantonio Tioli3.
[88r] Eminentissimi e Reverendissimi Signori Nell'atto di visitare i sacri limini per il presente triennio, tramite il mio procuratore, per assolvere al mio dovere verso la Santa Sede e per venerare i Santi Apostoli Pietro e Paolo, dovrei sottoporre alle Eminenze Vostre la relazione sullo stato della mia Chiesa e diocesi; ma poiché non trovo nulla di nuovo nel mio governo episcopale che sia meritevole di essere riferito, prego le Eminenze Vostre Reverendissime che si degnino leggere e accettare benevolmente la precedente relazione e ritengano che io abbia adempiuto il mio dovere. Manifestando alle Eminenze Vostre il mio doveroso ossequio mi sottoscrivo. Catania 23 marzo 1785 Delle Eminenze Vostre Reverendissime devotissimo ed obbedientissimo servo Corrado Maria, vescovo di Catania Bozza predisposta dall'officiale della Congregazione per la risposta, spedita al vescovo il 3 agosto 1785 4 .
3 Al testo della relazione sono acclusi i seguenti documenti: 1) richiesta di effettuare la visita tra1nite il procuratore Pierantonio Tioli l83rJ; sul dorso si legge la nota: «Die 7 n1aii 1785. Data est attestatio tam pro elapso, quam pro rccurrcnti triennis» [83v]; 2) procura in fonna pubblica, redatta a Catania il 19 gennaio 1785 dal notaio Pietro Do1nenico Costantino, alla presenza dci testi: Cesare Costantino, Nicola Sozzi e Francesco Calamatta, perché n1ons. Pierantonio Tioli, residente a Ro1na, visiti le basiliche dei Santi Pietro e Paolo e presenti in noinc dcl vescovo Corrado Maria Deodata la relazione [84r-87v]; 3) due attestati della visita alle basiliche romane rilasciati in data 29 aprile e I maggio 1785 [74r-75r]; 4) le bozze dei rilievi alla relazione e la risposta inviata al vescovo [92r-95v]. 4 Il documento in lingua latina inviato al vescovo è riportato in appendice al testo originale della relazione.
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[92r] Riportandosi il Vescovo di Catania alla relazione del passato triennio e niente affatto riferendo di nuovo, sembra che manchi al suo debito per due parti. Prima perché quantunque non vi sia alcuna cosa di nuovo nello stato materiale, è impossibile che non ve ne sia riguardo allo stato formale. Secondariamente perché dovea dare sfogo di due o tre cose ingiuntegli dalla Sacra Congregazione nell'ultima risposta. Gl'ingiungeva la convocazione del Synodo, che si fissassero perpetui alcuni parochi, che erano amovibili, e gli dava finalmente un'istruzzione su del regolamento dovuto di alcuni monasterii di monache. Si crede pertanto che gli si debba rispondere con tutta urbanità, che la Sacra Congregazione loda la sua puntualità, ma che la trova mancante nel suo sostanziale per i detti motivi. Si può supporre o dubitare che non abbia ricevuta la detta ris- [92v] posta et in tal caso suggerirgli che per mezzo del suo agente ne ritragga la copia. Così confermandogli di bel nuovo ciò che in essa si conteneva pregarlo a volerne più presto che gli sia possibile rendere informata del risultato la Santa Congregazione.
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xxxv 1788 - Relazione scritta il I aprile 1788 dal vescovo Corrado Maria Dcodato e presentata a Roma dal procuratore Pierantonio Tioli5.
[1 OOr] Eminentissimi e Reverendissimi Signori 1
E n1aturato il tempo in cui devo visitare di persona i sacri limini e presentare a nostro signore il papa e alle Eminenze Vostre Reverendissime il rendiconto di tutto ciò che concerne il mio ufficio pastorale, lo stato della mia Chiesa, la disciplina del clero e del popolo e la salute delle anime a me affidate. Tuttavia, essendo impedito da legittime cause, ho incaricato il sacerdote Pierantonio Tioli, prelato domestico del papa, perché assolva pienamente al mio dovere. Non avendo nulla da aggiungere con la presente relazione sullo stato n1ateriale del1a inia Chiesa e diocesi, n1i limito ad accennare a qualche cambiamento al suo stato formale, già peraltro noto alle Eminenze Vostre [100v] e cioè la soppressione di alcuni conventi per la mancanza di frati in grado di instaurare la vita comune, secondo le prescrizioni dei sacri canoni; le loro chiese sono state affidate ai parroci del luogo perché non venga meno il culto divino e l'aiuto spirituale ai fedeli. Per quanto attiene alle richieste rivoltemi dal vostro zelo, secondo l'esempio dei padri e le norme dei concili, di convocare cioè il sinodo diocesano, devo far presente che le tristi condizioni dei tempi, note alle Eminenze Vostre, me lo impediscono. Inoltre è difficile istituire la prebenda del canonico teologo e del penitenziere e
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Al testo della relazione sono acclusi i seguenti docun1enti: 1) richiesta di effettuare la visila tramite il procuratore Pierantonio Tioli [97r]; sul dorso si legge la nota: «Dic 22 aprilis 1788. Data fuit attcstatio pro 68 triennio» [97v]; 2) procura in forma pubblica, redatta a Catania il 31 1narzo 1788 dal notaio Alessandro Maccarrone, alla presenza dci testi: sac. Gioacchino Maccarrone, Ignazio Francalanza e Domenico Patti, perché mons. Pierantonio Tioli, residente a Roma, visiti le basiliche dei Santi Pietro e Paolo e presenti in no1nc dcl vescovo Corrado Maria DeodaLo la relazione [98r-99v]; 3) due attestati della visita alle basiliche ro1nane rilasciati in data 19 e 20 aprile 1788 [102r-103r]; 4) le bozze dei rilievi alla relazione e la risposta inviata al vescovo [104r-107v].
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ancor più difficile nominare parroci perpetui secondo le indicazioni del Concilio di Trento; mancano infatti le rendite necessarie a queste fondazioni e le stesse leggi di questo regno proibiscono di chiedere il pagamento dei cosiddetti frutti di stola. Infine per obbedire agli ordini delle Eminenze Vostre ho ingiunto agli agostiniani di scegliere una volta l'anno un confessore straordinario per il loro monastero, che può essere uno del clero secolare o di altro ordine religioso, secondo le prescrizioni date nella costituzione di Benedetto XIV, che inizia con le parole Pastoralis Curae. Ma credo che non sarà del tutto fuori luogo se le Eminenze Vostre vorranno informare il ministro generale dello stesso ordine, perché in merito dia un preciso ordine ai superiori della provincia siciliana per mandato delle Eminenze Vostre. Nel frattempo invocando ogni bene mi dichiaro obbedientissimo ai vostri ordini e mi sottoscrivo. Catania, I aprile 1788 Delle Eminenze Vostre Reverendissime umilissimo ed obbedientissimo servo Corrado Maria, vescovo di Catania
Bozza predisposta dall'officiale della Congregnzione per la risposra al vescovo, spedita il 2 luglio l 788 6 .
[I 04r] 1788 Catania Dalle passate e dalla presente relazione pare mons. vescovo assai tranquillo nel suo ministero pastorale, che esercita da anni 25. Le sue relazioni sono superficialissime e l'ultima volta la Sacra Congregazione credette mandargli la passata risposta giacché di nulla si faceva carico circa lo stato formale della sua Chiesa.
6 Il docu1nento in lingua latina inviato al vescovo è riportato in appendice al lesto originale della relazione.
Diocesi di Catania: relazioni "ad lùnina" ( 1779-1807) 401 --Costretto perciò a parlare nella presente si sbriga col dire esser difficile il sinodo, difficile l'erezione della teologale e penitenziale, difficile provveder di vicarii perpetui le parrocchie. Quanto poi al confessore straordinario per le monache, che la Congregazione ne parli con li padri agostiniani, a cui sono soggette. Parmi dunque necessario risvegliarlo ne' suoi doveri pastorali dolcemente, giacché il far il vescovo non è la cosa più comoda come dice S. Giovanni Crisostomo: «Magnum quiddam est Ecclesiae praelatio, me guae nulla indiget sapientia et fortitudine quale Chrislus proposuit ut animarum pro ovibus ponamus» [J04v]. Quanto al sinodo, che la S. Congregazione compatisce le circostanze de' tempi quali, se non permettono senza pericolo di perder di autorità e dignità la convocazione, egli deve ogni anno procurar di supplirlo come Benedetto XIV insegna a' vescovi. Che circa il teologo e penitenziere, ai mezzi ha provveduto il S. Concilio di Trento e Benedetto XIII nella sua costituzione a tutti li vescovi d Italia. Così per le parrocchie e congrua necessaria. Che la S. Congregazione tratterà con gli agostiniani, egli però sa cosa possa fare a tenor dell'indicata costituzione Benedettina. Che la S. Congregazione, ad onta del suo silenzio in questa ed altre relazioni, crede che abbia esattamente adempito a tutti i molti e gravi doveri che nello stato formale si comprendono, di ciascuno de' quali a tenor dell'istruzione attende di essere certiorata nella sua prossima relazione. Salvo, etc. 1
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XXXVI 1793 - Relazione scritta il 6 novembre 1793 dal vescovo Corrado Maria Deodata e presentata a Roma dal procuratore Pierantonio Tioli 7 .
[116r] Eminentissimi e Reverendissimi Signori Presso la cnria, presso il papa nostro signore e le Eminenze Vostre Reverendissime opera il sacerdote Pierantonio Tioli, prelato domestico, che adempirà diligentemente per conto mio a quelle prescrizioni che non posso osservare personalmente per dei legittimi impedimenti. Pertanto prego gli Eminentissimi e Reverendissimi Signori di accoglierlo benevolmente e di accettare lo stato della Chiesa a me affidata che egli vi presenterà. La stato materiale della chiesa cattedrale di Catania è rimasto pressoché invariato; infatti ha sempre le stesse dignità, gli stessi canonici e beneficiati descritti nella bolla di secolarizzazione. Si è avuta una variazione nel numero dei beneficiati; infatti il mio predecessore ne aggiunse tre ed altrettanti ne ho istituiti io, dopo aver costituito la dote con l'unione di alcuni benefici semplici di libera collazione, per rendere più funzionale il servizio del coro. In tal modo si raggiunge il numero di 18 beneficiati, 12 dei quali sono obbligati ogni giorno di essere presenti al coro [l 16v]. Lo stato della religione cristiana progredisce ogni giorno di più. Al fine di prestare un sempre più valido aiuto alla moltitudine dei fedeli cristiani, con l'assenso dell'invittissimo re Ferdinando, ho accresciuto il numero delle chiese sacramentali nelle quali si esercita la
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Al testo della relazione sono acclusi i seguenti docun1cnti; l) richiesta di proroga del 1792 [109r~v]; 2) richiesta di effettuare la visita tra1nite il procuratore Pierantonio Tioli [Il lr]; sul dorso si legge la nota: «Dic 23 nove1nbris 1793. Data fuit attcstatio pro 69 et 70 triennis» ll llv]; 3) procura in fonna pubblica, redatta a Catania il 6 novembre I 793 dal notaio Alessandro Maccarronc, alla presenza dei testi: Federico Spitaleri, Alfio Alucci e Francesco Piazza, perché mons. Pierantonio Tioli, residente a Roma, visiti le basiliche dei Santi Pietro e Paolo e presenti in nome del vescovo Corrado Maria Deodata la relazione [112r~l 15r]; 4) due attestati della visita alle basiliche romane rilasciati in data 19 e 24 novc1nbre 1793 [118r~ 1I9r]; 5) le hozze dei rilievi alla relazione e la risposta invia al vescovo [120r-121 v].
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cura della anime sotto la giurisdizione della cattedrale, u111ca parrocchia, impiegando la somma di 1.500 scudi dal patrimonio vescovile. Inoltre, dopo aver accresciuto il numero delle chiese, ho aumentato quello dei sacerdoti addetti al culto per offrire ai fedeli, con l'aiuto di Dio, un servizio più efficace. Ho fatto demolire la cupola della cattedrale che era pericolante e ne ho fatto costruire a mie spese un'altra molto più grande e più degna dell'antichità della chiesa. Visitando per la terza volta la diocesi ho dato quelle prescrizioni che ho ritenuto necessarie per il culto divino e per la salute delle anime, soprattutto per l'insegnamento della dottrina cristiana e per la frequenza dei sacramenti e ne ho raccomandato la scrupolosa osservanza ai parroci e a tutti coloro che esercitano la cura delle anime. Non ho cessato di elargire le elemosine ai poveri in tutta la diocesi, spendendo una ingente somma di denaro, soprattutto in quest'anno di carestia. Dagli officiali di curia e dai responsabili della cancelleria viene osservata la tassa innocenziana; nella visita pastorale non si chiede nulla al di fuori del vitto. Nella cattedrale e nelle collegiate senza interruzione si recitano le ore canoniche e ogni giorno si celebra solennemente la messa conventuale per i benefattori con l'accompagnamento dell'organo e il suono delle campane. I libri parrocchiali sono scritti secondo le norme del Rituale Romano; in tutte le parrocchie [1 I 7r] e nelle chiese curate vengono custoditi con la massima cura. In tutte le città il clero partecipa alla lettura dei casi di coscienza due volte al mese. I monasteri femminili sono dei veri ginecei; infatti le monache assolvono ai propri doveri con tanto impegno e zelo da essere considerate senza esagerazione la parte eletta del gregge di Cristo. I superiori e i professori dell'ampio seminario operano con diligenza ogni giorno per la formazione dei giovani candidati al sacerdozio. Le confraternite, gli ospedali e gli altri luoghi pii sono stati sottratti alla giurisdizione dcl vescovo dalle leggi del Regno in quanto istituti laicali; egli può esercitare la sua autorità solo nel campo spirituale. Sono queste le notizie che ho pensato di esporre alle Eminenze Vostre. Nel chiedervi di aiutare col favore della vostra grazia e di
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proteggere chi vi offre il frutto del proprio lavoro, o meglio che assolve al compito affidatogli mi sottoscrivo. Catania, 6 novembre 1793 Delle Eminenze Vostre Reverendissime umilissimo ed obbedientissimo servo Corrado Maria, vescovo di Catania
Bozza predisposta dall'officiale della Congregazione per la risposta al vescovo, spedita il 20 1narzo 17948.
[120r] Riferì mons. Prospero Bottini secretario e Ponente di consulta la relazione sullo stato della Chiesa di Catania trasmessa da mons. Corrado Maria Deodato da Moncada, nato in Noto, diocesi di Siracusa alli 5 gennaio 1735, fatto Vescovo alli IO maggio 1773. I 7 febbraro 1794. Catanien. Questa nuova relazione di monsignor vescovo di Catania è ugnalmente digiuna delle antecedenti, benché in ultimo luogo gli fosse scritto di uniformarsi al metodo dell'istruzione benedettina e perciò nella miglior gnisa potrà ripetersi questo stesso. Gli fu pure suggerito di supplire alla mancanza del sinodo nella maniera proposta da Benedetto XIV. E rispetto all'erezione della teologale e penitenziale e alla perpetuità dei parrochi gli furono accennate le disposizioni del Concilio di Trento e la costituzione di Benedetto XIII, senza sapersi in oggi se siasi prevalso di tali suggerimenti. Potrebbe anzi meritare qualche sp1egaz10ne l'enunciativa di una bolla di secolarizzazione ove diconsi descritte le dignità, canonici e beneficiali della sua chiesa e [!20v] l'augmento delle chiese filiali eseguito con heneplacito reggia e a spese del patrimonio vescovile e dipendenti dall'unica parrocchia della cattedrale. Non può per altro non collaudarsi la sua generosa pietà nella riedificazione della cupola della cattedrale e nelle larghe
8 Il docu1ncnto in lingua latina inviato al vescovo è riportato in appendice al testo originale della relazione.
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elemosine, come altresĂŹ la pastora! sua sollecitudine in occasione della S. Visita della diocesi, sebben fatta tre volte solamente nel concorso di venti anni.
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XXXVII 1802 - Relazione scrilta il 1O dicembre 1802 dal vescovo Corrado Maria Deodata e presentata 8 Ro1na dal procuratore abate Do1ncnico Sala9 .
[ 138r] Eminentissimi e Reverendissimi Signori Per quanto arda dal desiderio di visitare i sacri limini e di assolvere ai miei doveri, prostrato ai piedi del nostro signore il papa Pio VII, tuttavia ne sono impedito da alcuni legittimi impedimenti; pertanto ho affidato questo compito a D. Domenico Sala, che svolge la sua attività nella curia; egli, a mio nome, presso nostro signore il papa e le Eminenze Vostre farà le mie veci. Prego pertanto le Eminenze Vostre di accoglierlo con animo benevolo e di accettare di buon grado lo stato della Chiesa a me affidata che egli vi presenterà. Sullo stato materiale della mia Chiesa di Catania non ho altro da aggiungere [I 38v] alla relazione che ho presentato nel passato triennio alle Eminenze Vostre con animo ossequiente. Sullo stato della religione cristiana vorrei solamente fare qualche rilievo. Per quanto progredisca sempre di più e ai fedeli si offrano con abbondanza gli aiuti spirituali in particoJare con la predicazione e la catechesi; per quanto ai bambini della città e della diocesi si insegnino i primi clementi della dottrina cristiana da parte dei parroci e dei cappellani sacrainentali, tuttavia non inancano i lupi che tentano di uccidere il gregge affidato alle mie cure; n1a con raiuto di Dio e con un attcnta vigilanza sono riuscito a cacciarli dal mio ovile e a trasforn1arne, per 1a grazia cli Dio onnipotente, alcuni di loro in agnelli. 1
9 Al Lesto della relazione sono acclusi i seguenti docu1ncnti: l) 5 richieste di proroga dal 1798 al 1802 1l23r~l3lv]; 2) richiesta di effettuare la visita tran1ite il procuratore abate Do1nenico Sala [133r-v]; sul dorso si legge la nota: «Data fuit nttest<:1tio pro 71,72 et 73 tricnnis» [l33v]; 3) procura in fonna pubblica, redatta a Catania il 10 dicen1hre 1802 dal notaio Alessandro Maccarronc, al!a presenza dei testi: Federico Spitaleri, Ciro Basilotta e Alfio Alucci, perché l'abate Dotncnico Sala, residente a Ron1a, visiti le basiliche dei Santi Pietro e Paolo e presenti in non1c dcl vescovo Corrado Maria DcodaLo la relazione [134r-136v]; 4) due attestati della visita alle basiliche ro111ane rilasciati in data 28 e 31 dice1nbre 1802 [142r-143r]; 5) le bozze dci rilievi alla relazione e la risposta inviata al vescovo [145r-147rJ.
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Come ho riferito nella relazione del precedente triennio, avevo provveduto a costmire con magnificenza nella mia cattedrale la nuova cupola, dopo aver demolito la vecchia che era pericolante. Negli anni scorsi ho pensato a rivestire con stucchi le pareti interne. Poiché da diversi anni, non solo nella mia cattedrale ma in tutta la diocesi, non si esercitava abbastanza la carità, non ho cessato di aiutare i poveri spendendo grandi somme di denaro; ho fondato diversi orfanotrofi in città e in diocesi e ho accolto le fanciulle abbandonate parte a mie spese, parte con le elemosine dei fedeli [139r], che ho cercato di procurarn1i con grande impegno. La tassa innocenziana viene
osservata dalla curia e dai suoi officiali; nella visita pastorale della diocesi vengono osservati con rigore i sacri canoni e non si chiede altro al di fuori del cibo. Nella mia cattedrale e in tutte le chiese collegiate della diocesi si recitano senza interruzione le ore canoniche e si celebra la messa cantata conventuale per i benefattori: nella cattedrale ogni giorno, nelle collegiate solo nelle domeniche e nelle feste a motivo della loro povertà. In questi stessi giorni i parroci offrono a Dio ottimo massimo il sacrificio della messa per i propri parrocchiani. Nelle parrocchie e nelle chiese curate i libri parrocchiali sono compilati in conformità alle prescrizioni del Rituale Romano e sono custoditi convenientemente. In città, per un 1antica consuetudine,
questi stessi libri sono portati ogni anno nell'archivio vescovile per esservi custoditi. Secondo le norme emanate da Benedetto XIII, di felice n1e1noria, ho provveduto a far riordinare l'archivio vescovile. Nei diversi centri abitati il clero si riunisce due volte al mese per partecipare alla lettura dei casi 1norali; quesla iniziativa viene attuata con estrema diligenza. I n1onasteri fen1n1inili in tutta la diocesi sono così rinomati per
l'osservanza delle regole da riscuotere l'ammirazione dei forestieri che si recano a visitarli [I 39v]. Mi sono adoperato perché nel seminario dci chierici si insegnassero non solo la gra1nn1atica e le discipline umanistiche, ma anche la retorica, la filosofia, la geometria e le altre materie più importanti come la teologia dogmatica e morale, il diritto canonico. Con l'aiuto di Dio il seminario si è procurata una tale fama che da ogni parte del Regno i giovani vi accorrono per frequentare i corsi di studio. Mi sono adoperato perché anzitutto si praticasse
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l'amore verso Dio in modo che gli alunni allo stesso tempo fossero santi e dotti. A norma delle leggi del Regno le confraternite, gli ospedali e i luoghi pii, in quanto istituti laicali, sono stati sottratti alla giurisdizione del vescovo; gli sono soggetti solo per la parte spirituale. Sono queste le notizie che ho ritenuto di con1unicare alle Eminenze Vostre; vi prego di accogliermi benevolmente mentre assolvo al mio dovere con tutta la diligenza possibile. Catania, l O dicembre, VI indizione, l 802 Delle Eminenze Vostre Reverendissime umilissimo ed obbedientissimo servo Corrado Maria, vescovo di Catania
Boz7.3 prcùisposu1 dnll'ollici<lle della Congregazione per la risposta al vescovo, spedita il 12 giugno 1803 10 •
[ l 44r] Cataniensis. Visitationes SS. Liminum di Mons. Corrado Maria Deodato di Moncada nato li 5 gennaio l 736 in Noto, diocesi di Siracusa e fatto Vescovo di Catania in Sicilia li IO maggio 1773. L,cgitti1narnente impedito Mons. di Catania ad essere di persona a visitare i Sacri Lin1ini à costituito a quest'effetto suo procuratore il Sig. A. G. Domenico Sala, il quale il rimesso a questa S. Congregazione la di lui relazione dello stato della Chiesa catanese in data dc' l O dicembre 1802. Tanto nella passata, guanto nella presente relazione pare che Monsignor non si attenga alla notissiina istruzione ,Sunnnus I>a1111fe.-r, da questa S. Congregazione trasn1essa a lutti i Vescovi dopo il Concilio Romano del 1725 e perciò è digiuna affatto e sarei di avviso che gli s'insinuasse di dovervisi uniformare. Non parla di aver tenuto il sinodo e quando fosse i1npossibilitato a tenerlo potrebbe supplirsi col modo proposto da Benedetto XIV nella sua costituzione Paternae Vigilantiae de' 26 agosto 1741, come gli fu suggerito altra volta. Neppure dà sfogo se abbia o no erette le
rn Il docuincnto in lingua latin<l inviato al vescovo è riport'1lO in nppcnclicc nl lesto origin<1le ùcll<t relazione.
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prebende teologale e di penitenziere volute dal Tridentino, sess. V, cap. I, de reform. e sess. [144v] XXIV, cap. 8, de reform. e della costituzione Pastorali.i· officii di Benedetto XlII de' 19 maggio 1725, come già gli fu ingiunto in passato e se abbia provveduto alla perpetuità de' parroci. Soltanto due volte il mese si fa la lezione de' casi di coscienza, né si parla dell'altra dei riti, come prescrive il Concilio Romano, tit. 15, cap. IX ed il suo Metodo, ch'è nell'appendice al medesimo. Questo incontro gli Em.mi avrebbero desiderato. Riguardo alli ospedali, confraternite ed altri luoghi pii la sollecitudine di Mons. di Catania si estende soltanto allo spirituale, giacché per il resto sono esenti dall'Ordinario, attese le vigenti costituzioni del Regno. Mi sembrerebbe opportuno che Monsignor istruisse questa S. Congregazione se queste e tali costituzioni sieno di antica o di recente data, e se la S. Sede ne sia infarinata. Giacché il Tridentino, sess. XXII cap. 8, de rejormat. dà una pienissima facoltà ai Vescovi e come Delegati Apostolici di visitare qualunque loco pio e prendersi quelle disposizioni che vedessero opportune non eccettuandone alcuno, meno quelli che sono sotto la immediata protezione regia. Il tutto fu ancora confermato dalla costituzione di Clemente VIII Quaecumque a Sede Apostolica de' 24 dicembre 1604 e dal tit. 29, cap. 2 del Concilio Romano e dal §§ VII della [ l 45r] nota istruzione sulle relazioni ad Lin1ina. Mi pare che le costituzioni Quotidianis del I marzo 1727 e de' 25 febbraio 1729 Fide/i ac prudenti di Benedetto Xlll, colle quali a' prieghi di Carlo VI Imperadore e Re di Sicilia compose li affari ecclesiastici di quel Regno, stabilischino che i luoghi pii sieno soltanto soggetti all'Ordinario nello Spirituale. La tassa innocenziana vi è fedelmente osservata ed in sacra visita Monsignor di Catania altro non percepisce che il solo vitto a norma dello stabilito dal Tridentino, sess. XXIV, cap. 3, de reformat. Egli à di nuovo costruito l'archivio episcopale, come vuole il Concilio Romano, tit. XII, cap. !IL A sue spese à rifabbricato la cuppola della cattedrale e risarcitone splendidamente l'interno. Del proprio in questi tempi di penuria à sovvenuta la indigenza del suo gregge e aperto l'orfanotrofio per le bastarde, alla qual'opera pia non poco vi ànno contribuito i diocesani, seguitando le orme del zelante loro pastore. Il
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seminario è in fiore e non solo dalla diocesi, ma dalle altre parti del Regno vi concorrono i giovani per applicarvisi alle scienze sacre e propone se ne deve lode alle premure, che se ne dà il vigilantissimo Monsignor di Catania. Animato da questo stesso zelo provvede abbondevolmente la città e diocesi di ottimi parochi e cappellani curati, onde il suo gregge si abbeveri a fonti salubri e devii dalle acque fetide e stagnanti e perciò credo che questa Sacra Congregazione ne debba saper bon [145v] grado e commendare a Mons. Vescovo e sempre più animarlo a battere la carriera intrapresa di Prelato zelante ed Apostolico. Mentre di santi cloggi per il bene in tutti effetti fatto alla sua diocesi.
Diocesi di Catania: relazioni "ad limino" (1779-1807)
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XXXVIII 1807 - Relazione scritta il 2 luglio 1807 dal vescovo Corrado Maria Dcoclato e presentata a Roina dal procuratore abate Domenico Sala 11 •
[I 52r] Eminentissimi e Reverendissimi Signori
Senza indugio sarei venuto a venerare le tombe degli Apostoli visitando i sacri limini e ad assolvere ai miei doveri, prostrato ai piedi del nostro signore il papa, se ai miei desideri non si opponessero le malattie di cui soffro per l'età avanzata. Inoltre, nel periodo burrascoso in cui ci troviamo, le difficoltà che da ogni parte ci affliggono impediscono il viaggio a Roma. Pertanto in forza del mio mandato D. Domenico Sala a mio nome presso nostro signore il papa e le Eminenze Vostre Reverendissime adempirà ai miei doveri. Quindi vi supplico caldamente di accoglierlo con benevolenza e di accettare di buon grado la relazione sullo stato della mia Chiesa che vi consegnerà. Sullo stato materiale della mia Chiesa non ho altro da aggiungere a quanto ho scritto nelle relazioni dei trienni passati, che ho inviato puntualmente alle Eminenze Vostre Reverendissime [152v]. Sullo stato della religione cristiana vorrei fare solamente qualche rilievo. Per quanto progredisca sempre di più e i fedeli abbiano abbondanti aiuti spirituali, in particolare la predicazione e la catechesi; per quanto ai bambini della città e della diocesi si insegnino i primi elementi della dottrina cristiana da parte dei parroci e dei cappellani sacramentali, tuttavia non mancano i lupi che tentano di uccidere il gregge affidato alle mie cure; ma con l'aiuto di Dio e con un'attenta
11 Al testo della relazione sono acclusi i seguenti docu1nenti: l) richiesta cli effettuare la visita tramite il procuratore ahatc Don1enico Sala [149r-vJ; sul dorso si legge la nota: «Data fuit attestatio pro 74 triennio» [149v]; 2) procura in forn1a pubblica, redatta a Catania il primo luglio 1807 dal notaio Alessandro t\1accarronc, alla presenza dei testi: Federico Spitaleri, Alessandro Marlctla e Ciro Basilotta, perché l'abate Dotncnico Sala, residente a Ro1na, visiti le basiliche dei Santi Pietro e Paolo e presenti in no1ne del vescovo Corrado Maria Deodata la relazione [150r151v]; 3) .due attestati della visita alle basiliche romane rilasciati in data 29 e 30 agosto 1807 [154r-115rl.
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vigilanza sono riuscito a cacciarli dal mio ovile; alcuni di loro, per la grazia di Dio onnipotente con somma mia gioia, sono stati trasformati in agnelli. Come ho già riferito negli anni passati, avevo fatto rivestire con stucchi la cattedrale; ora vi ho aggiunto ornamenti esteriori. Come avevo scritto nella precedente relazione, avevo disposto che si accogliessero negli orfanotrofi della città e della diocesi soprattutto le fanciulle abbandonate per esservi nutrite; di recente ho ampliato questi istituti con nuovi edifici. La tassa innocenziana dalla curia e dai suoi officiali viene osservata fedelmente; nella visita pastorale della diocesi si osservano con esattezza i sacri canoni e non si chiede altro al di fuori del vitto. Nella mia cattedrale e in tutte le chiese collegiate della diocesi si recitano senza interruzione le ore canoniche e si celebra la messa cantata conventuale per i benefattori: nella cattedrale ogni giorno, nelle collegiate solo nelle domeniche e nelle feste a motivo della loro povertà. In questi stessi giorni i parroci offrono a Dio ottimo massimo il sacrificio della messa per i propri parrocchiani. Nelle medesime e nelle chiese curate i lihri parrocchiali sono compilati in conformità alle prescrizioni del Rituale Romano e sono custoditi convenientemente. In città, per un'antica consuetudine, questi stessi libri sono portati ogni anno nell'archivio vescovile per esservi custoditi. Secondo le norme emanate da Benedetto XIII, di felice memoria, ho provveduto a far riordinare l'archivio vescovile. Ho comandato che dovunque il clero si riunisse due volte al mese per partecipare alla lettura dei casi morali e mi sono adoperato perché questa norma venisse osservata. I monasteri femminili in tutta la diocesi sono così rinomati per l'osservanza delle regole da riscuotere l'ammirazione e le lodi dei forestieri che si recano a visitarli. Come ho riferito nel precedente triennio, il seminario si mantiene ad un livello di studi molto elevato: si insegnano le discipline umanistiche e le materie più difficili; sebbene mi stia molto a cuore il progresso nello studio, mi sono impegnato perché si coltivasse soprattutto la pietà verso Dio. Le confraternite, gli ospedali e i luoghi pii, in quanto istituti laicali, sono stati sottratti dalle leggi del Regno alla giurisdizione del vescovo; gli sono soggetti solo per la parte spirituale.
Diocesi di Catania: relazioni "ad limina" (/ 779-1807)
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Ora vorrei porvi alcune domande riguardanti il governo della mia diocesi e prego le Eminenze Vostre di farmi avere convenienti risposte [I 53r]. Risiedono dalle nostre parti eompagme di soldati inglesi, alle quali si sono aggregati alcuni cattolici. Costoro dai comandanti sono obbligati a partecipare alle loro celebrazioni religiose, o meglio ai sacrileghi riti che celebrano nelle domeniche. Fra i teologi alcuni ritengono che i soldati cattolici, in obbedienza agli ordini dei superiori, possano partecipare a queste celebrazioni, considerato che in esse (secondo la loro stessa testimonianza) non si fa altro che leggere il Vangelo e le lettere di S. Paolo, recitare i salmi (tuttavia la lettura avviene nella lingua inglese e nella versione curata dagli eretici), rivolgere nella medesima lingua preghiere a Dio. In considerazione di queste circostanze, i predetti teologi ritengono che i suddetti cattolici possano partecipare a quelle riunioni religiose, tanto più che affermano chiaramente che intendono professare la fede cattolica, che detestano quelle celebrazioni alle quali partecipano solo con il corpo, non con lo spirito. Non mi sono sentito di accettare l'opinione di questi teologi e ho manifestato apertamente i1 mio pensiero a tutti coloro che si sono rivolti a me per pormi questo problema: i soldati cattolici non possono partecipare a quelle celebrazioni perché a noi è proibita la conununicatio in sacris con gli eretici e gli scismatici, come si può leggere in diverse risposte e decreti di queste Sacre Congregazioni della suprema Inquisizione riferiti da Benedetto XIV, di felice memoria, nel suo trattato De Synodo Dioecesana, lib. 6, cap. 5 e soprattutto dalle lettere inviate da Paolo V nel 1606 ai cattolici inglesi e da due decreti dello stesso pontefice promulgati nel 1606 e nel 1607. Pertanto prego insistentemente le Eminenze Vostre Reverendissime che si degnino indicarmi se nella prassi si debba seguire questa mia opinione o si possa accettare quella contraria. Un'altra strana opinione di alcuni teologi si è insinuata fra di noi: affermano alcuni che i fedeli non siano in alcun modo tenuti ad indicare ai vescovi coloro che professano dottrine erronee, in forza dei decreti emanati dai sommi pontefici. Infatti le leggi del Regno hanno abolito il tribunale dell'Inquisizione e le cause che prima venivano da esso trattate sono state passate per con1petenza ai vescovi
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con l'obbligo di osservare il procedimento stabilito dai canoni. Alcuni sostengono, tuttavia, che tutto questo difficilmente può essere attuato; perciò affermano che ai fedeli non si deve imporre l'obbligo di denunziare coloro che si sono macchiati o sospettano di essersi macchiati di eresia, soprattutto se si tiene presente che nel nostro Regno sono soggetti alla giurisdizione del vescovo non i laici sospetti di eresia, ma coloro che professano formalmente dottrine eretiche. Prego le Eminenze Vostre di farmi sapere cosa bisogna fare in questi casi. Inoltre chiedo umilmente alle Eminenze Vostre Reverendissime che mi vogliano dire come devo comportarmi con quei fedeli che, sebbene affermino di voler obbedire ai sopraddetti decreti dei Sommi Pontefici e denunciare coloro che sanno essere caduti in errore, tuttavia intendono procedere oralmente e non con una denunzia scritta e da loro stessi sottoscritta [153v]. Infine diverse persone si presentano spontaneamente al mio tribunale per abiurare dalle eresie nelle quali avevano creduto; tuttavia alcuni si rifiutano di far conoscere gli errori che hanno professato. Fino ad oggi ho accettato le dennnzie orali perché potessi in qualche modo conoscere i lupi che entrano nell'ovile di Cristo e predisporre per essi la medicina che mi veniva offerta. Ho rifiutato l'assoluzione dalla scomunica a coloro che si erano rifiutati di rivelarmi i nomi dei loro complici. Le Eminenze Vostre si degnino farmi sapere se la soluzione da me data sia corretta e come debba comportarmi nelle circostanze sopradescritte, in particolare se ho la facoltà di dispensare dall'obbligo di denunziare i complici coloro che - come è realmente accaduto - in punto di morte sono disposti ad abiurare ai loro errori senza tuttavia far conoscere i nomi dei complici. Sono queste le notizie che ho ritenuto di comunicare alle Eminenze Vostre in occasione della visita ai sacri limini; vi prego di ricevere di buon animo il doveroso omaggio del mio deferente animo e di accoglierlo con gioia mentre si rifugia sotto il vostro patrocinio. Consentitemi di potermi gloriare nell'affermare che sono delle Eminenze Vostre Reverendissime devotissimo ed ubbidientissimo servo. Catania, 2 luglio 1807 Corrado Maria, vescovo di Catania
XXXIII [60r) Eininentissi1ni et Reverendissimi Domini
Ne inc putetis obtestor, Vas E1nincntissitni Patres, instituta 1naioru1n incuria 1nea negligere et tam desidero ut iam ad hanc Cathanense1n cathedram exaltationis n1eac (licet immcrito) elapso quinquennio S. Apostolicae Sedis Ecclcsiac mcae statum exhibcre usquc nunc distuleri1n, instantia mea quotidiana Ecclesiae ipsius solicitudo semel et iterum indulgente SS. Domino nostro Pio VI in causa fuit. Sed cu1n iam paullulum ab urgentissimis guae n1c dctinuerc ncgotiis, vidcor levari sacris parere putavi sanctionibus et [60v] non diutius E.1ni Patrcs, gregis mei et Catanensis Ecclesiae conditioncm vos latere. Catanensis Ecclesia pritnis christianae religionis ten1poribus a Divo Berillo, quem Pctrus Apostoloru1n Princeps Antiochiae degens destinavit, fidem ac sacra dogmata susccpit, nonnullos ab ipso martirii religione, doctrina, clarissimos veneratur Antistes; Romnno Pontifici peculiari rationc, sicut ceterac Siculcnscs Ecclesiae addicta, donec iniuria potius quam iure a Leone lsaurico Constantinopolitano Patriarchae mancipata, inter metropoles ab Adriano Pri1no adscribitur. Illius conditio sub saracenoruin tirannide pene ignoratur. Abactis inde e Sicilia saracenis christianae religionis 1naestas Rogerio northmanno viro pracclarissimo agente, post illatas aeru1nnas pristino restituta est splendori. Rogerius igitur Cathanensem Ecclesiatn e fundamentis excitavit, ornavit fundis, honoribus ditionibusque locupletatam regolare capitulum adductis Ansgerio, quein nominavit Episcopum, et 1nonacis ex monasterio S.tae Euphe1niae in [61r] instituto Divae Agathac concivi siculoru1n atletae dicavit et Ro1nanae Sedi vcluti postli1ninis iure restituit. Pallii usu Episcopus Cathanensis honoris causa Ro1nani Pontificis privilegio potitus est, quo adhuc potiretur nisi Monrealensi Ecclcsiac deinccps erectae nostra Cathanensis, tamquam suffraganea addicta fuisset, cui post diuturnas lites concertationesque actu subest. Retinet autein Cathanensis Episcopus in Regni comitiis primum ante caeteros Episcopos locum. Retinet littcrarum per universan1 insulam aliasque adiacentes promovcndaru1n ius et exercitiuin; retinet tandem Magni Cancellarii pcrvetustae studiorum univer.sitatis no1nen et officium.
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Gaudet Cathancnsis Ecclesia pera1npla Dioeccsi cius fincs Hionio inari ad orientcm continentur, rncridicrn versus ad Siracusanae Agrigentinacquc, occidentcn1 vero et septentrionen1 ad Mcssanensis dioccesis li1nitcs cxtenduntur. Civilates illustriores tresdecitn in ea accenscntur, dcmpta Calaxibetta quac usque ad poslrc1na 1 Episcopi Galletti te1npora per [61 v] scptingentas annos inter Cathancnsis Ecclesiac dioeccseos adscribebatur et ius ordinariu1n tu1nquam veri pastores Cathanenses pracsules in ea excrcebant, sed pro dolor! abhinc regiis proccribus instantibus iudicio Regiae Monarchiac rnancipala n1anet, sunt igitur hodic: Cathana, P!atia, Enna, Argira, Acis, Assorurn, Hadranum, Patcrnio, Centuripes, Aidonu1n, Regalbutu1n, Lcofortis et Petrapertia. Oppida in 1nontanis consita duodcci1n: Barrafranca, ne1npe, Albavilla, Pulcherpassus, Monasteriu1n Albu1n, Motta S. Anastasiae, Valguarnera, Mirabella, Licodia, Catcnanova, Ra1n1nacca, Nissoria et Villarosa noviter constructa. In nemore vero decem et octo: Castru1n Acis, scilicet, Acis CaLina, Sanctus Antonius, Sanctus Philippus, Sancta Lucia, 1'rizza, Vallisviridis, Bonaccursus, Tres Castancae, Viamagna, Pedara, Nicolosii, Mascalucia, Gravina, Sanctus Ioanncs dc Galenno, Tria Monastefia, Sanctus Gregorius, Sanctus Ioannes e Punta, Trappetum, Sant'AgaLha, Turris Griphi, Sanctus Petrus, Ca1npus Rotundus, quoru111 nonnulla 1nagis populosa [62r]. lncolae ubique sunt centun1 quinquc n1ille. Cathcdrale tc1nplu1n bis terre1notibus dirutun1, bis et refectum est. Anno vero 1693 solo penitus aequatum Episcopus Andrcas Riggio 1naximo sun1ptu et inaudita prorsus ccleritate reedificavit. Arnplitudine opcris, clegantia, lumine, saccllis, tholo subli1ni, strato marmore, caeteris per Insulain exstructis basilicis antecedit. Chori, secus an1m principcm siti, affabre et splendide sculpla sedilia divae Agathae martiriurn expri111unt. Aragonensiu1n Siciliae Rcguin scpulcra iacent. Tc1npli frontc1n occidentem versus, Episcopus Petrus Galletti ab irno ad sum1num ex siculo et carraricnsi n1armore cximia architettonica arte aerc proprio crexit, appositis columnis, quae feliciori te111pestatc Catana ex Egipto asportaverat. Statuas Sancti Berilli et Eupli Catanensis diaconi et 1nartiris in sublime posuit Episcopus Vinti1nillius, rcliquae vero duae inter colu1nnas primi ordinis dcponendae adhuc desiderantur, rc1nanent ex pecuniis ab Episcopo Galletti ad [62v] opus rclictis scutata varia, quac in construcndo ex eade1n mannofc atrio quarn prin1um impendentur. Quod vero inaximurn templi urbis et religionis est ornamentum Beatissirnac concivis Agathae corpus et vclurn illud in ecclcsiasticis Jiturgiis ta1n maxin1e cclebratu1n toties Etnae ignibus oppositum, ornni qua decet honestute, divitia, pietate et religione custodit, qua111 plures eni1n Reges, Episcopi, principcs, nobiles, populares etiam ad ornandun1 Virginis lipsana auro, argento, gem1nis et 111argaritis donatis ingens pondus curnulate contuJerunt. Sacra suppellex splendida ei copiosa; pro ea rcficicn첫a ac divino cultu servando annis singulis ab Episcopo scutata multa solvuntur.
1 postrema]
prostrema.
Diocesi di Catania: relazioni "ad lùnina" (1779 - 1807)
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Capitulum cathcdralis ecclcsiae regulare sub instituto S. Benedicti anno 1565 auctorc S. Pio V, Nicolao Maria Caracciolo Catanensi Episcopo agente in secularc ruit i1n1nutatum; sed monacis contradicentibus, nonnisi quain anno 1573 Antonius Faraonius, tunc Catanensis Episcopus, canonicos seculares monachonnn loco [63r] sufficit. Quatuor in eo cooptavit dignitates: prioren1, scilicel, cantore1n, decanum, thcsaurariun1 et duodcci1n canonicos, totidcn1que bcneficiatos. Anno vero 1643 ab Episcopo Octavio Brancifortio quinta fuit addita dignitas, archidiaconatus nuncupata, quac licet regularium te1npore secunda post priore1n reccnsebatur et si tunc sublala rcmansit, rcslilula, quintum obtinuil locu1n el choro interesse consuevit Episcopo pontificalia excrcente. Divina psal!nodia a duobus dignitatibus, sex canonicis et octo beneficiatis altcrnalin1 per hchdornadain persolvilur diebus vero festis ab omnibus si1nul. Dignitatu1n proventus paucissi1ni ex aliquibus si1nplicibus bcncriciis ab Episcopo Bonadies adncxis; canonicoru1n et bcneficialiu1n praebenda satis sufficicns; quotidianas pro officio psallendo dislributioncs dignitalibus, canonicis et beneficiatis praestat Episcopus; deficiente prorsus theologali et pocnitcntiali pracbenda, officia huius1nodi fuerunt per n1e duobus canonicis satis dignis iuxta Congrcgationis [63vl decreta co1nn1endata el actu quolibet dic festo canonicus thcologus sacra dogrnata in caLhedrali tc1nplo popu!o explicat. Sacran1entis n1inistrandis quinque addicti sunt presbiteri in cathedrali, quorun1 pri1nus 1nagistcr cappellanus appellatur. Duodeci1n deniquc adsunt <1dscripli preshitcri, qui n1ansionarii nuncupnntur et pontificalibus inscrviunt. Sacrista 1naior cu1n sex 1ninoribus sub thesaurarii 111andatis saerae suppellettilcs custodi<Hn nitore1nquc curant. Omnes vero dignitates, canonici et 1ninistri ab Episcopo aeliguntur cl cooptantur. Musici tanden1, qui ab Episcopo stipc1n percipiunt, diebus festis in divinis pcrso!vendis officiis 1nodu!antur. Duo supra viginli lriu1n rantur per tola1n dioccesirn canonicorurn collegia variis instiluta te1nporibus cathcùrali exccpta. Pri1nu111 obtinet !ocurn collcgiu1n Catanae ercctu1n ab Eugenio IV anno 1446 in ccclesia Bcalae Mariac de Elemosina, quatuor in eo fan1ulantur dignitates quan1m pri1na praepositus, cui per illarn paroecintn cura [64r] incst aniinaru1n, secunda thcsaurarius, terlia cantor, quarta dccanus, decc1n el octo adsunl cnnonici et duodcci1n n1ansionarii, rnodico stipendio, sun11110 auten1 studio divinis incu1nbunt officiis. In pub!icis supplicationibus quoties capitulurn calhedralis ecclesiae intervenit ante illud, sub cruce illius praeire tcncnlur. Pracpositus a S. Sede, reliquac praebendac per ipsius1nel capituli secreta suffrngia Episcopo approbantc cl insliluentc acliguntur. Duo adsunt Platiae collcgia, prì1nu111 in maiori te1nplo Beatae Mariae Virgini sacro Clcincntis Octavi authoritate institutun1 ex bonis rv1arci et Lauriellac 1'rigona; quatuor in co ùignilates: praepositus, cantar, thesaurarius, dccanus, quibus anirnarun1 cura est adnexa, duodeviginti canonici, bcneficiarii dece1n et octo, qui 01nnes iuxta inenses alternative a S. Sede et ab Episcopo dcsignantur, principali cxcepta; tcn1plun1 spcctabile 1nole architcttum, tolo ornatu et suppellcctili ecclesiae patrin1oniun1
418 ditissimurn, pn1cbendae aliquantulum congruac, procuratione1n ipsius laicis f64v] fidecommissariis commendatarn regii ministri quotannis perpcndunt. Altcrum sub invocatione SS. Domini Crucifixi cxtat Platiac collegiu1n ab Episcopo Andrea Reggio anno 1703 erectu1n; adsunt in eo dignitates trcs, quarurn pri1na pracpositurn, sccunda cantar, tcrtia thesaurarius, canonici duodecirn et totidern 1nansionarii quolibct die festo intersunt divinis, scd modica ni1nis eoru1n stipes. Aliud aerexit Ennae idem Riggius collegiun1 in maiori ecclesia S.tae Mariac, quatuor in eo enu1nerantur dignitatcs Platiensibus similes, quibus itide1n ani111arurn cura inest, octo in sua instilutione fuerunt canonici, scd ten1porc Episcopi Vintirnillii anno 1767 ex pingui sirnplici beneficio de iure patronatus alii quatuor cooptati fucre, tandem ex nova fundatione anno 1776 alii duo retcnto patronatu additi sunt. Hodic canonici quatuordecirn, beneficiati dcce1n ecclesiae patri1noniurn ditissin1urn, eius ad~ [65r] rninistratio pcnes dignitates et alias duos laicos procuratorcs a civico rnagistratu designatas, dignitates per concursun1, octo priorcs canonici et bencficitati ad non1inationem dignitatu1n et procuraton11n, rcliqui vero a respcctivis patronis Episcopo approbantc cliguntur. Extat Patcrnione collegiu1n ab Episcopo Michaclc Bonadics anno 1670 in te1nplo S. Mariae dc Alto erccturn quatuor curn aniinarun1 cura habct dignitalcs: pracpositu1n, cantorern, thcsaurariurn, decanu1n, canonicos scpterndecin1, 1nansionarios octo, rncdiocren1 stipern quotannis pcrcipiunt. Dignitatcs per concursu1n, canonici et n1ansionarii per Episcopum ad capituli no1ninalioncn1 cooptantur. Hadrani Francisco Caraffa Episcopo anno 1690 institutu1n fuit collegiu1n, quatuor in eo dignitates cnurnerantur: praepositus, qui cura1n exercct, cantar, dccanus, thesaurarius, canonici duodecin1, totide1n rnansionarii, congrua coru1n stipcs [65vJ. Praepositus per concursu1n, reliqui vero ab Episcopo praeccdente capituli no1ninatione eliguntur. Ide1n Bonadies Assori anno 1684 aliud instituil canonicoru1n collegiun1, tribus constitutis dignitatibus: praeposilo, cui cura incst anirnaru1n, cantore, thesaurario, canonicis octo, rnansionariis sex, eaden1 ratio electionis eoru1n, hodie vero ob rninistronnn et reddituurn deficientiarn in prcccps ruit et reducLionc opus habct. Aggirae 1naxi1na collcgiorum copia, quinque eniin cnurnerantur: prirnu1n in ecclesia S. Margharitae ex praeposito, cantore, thcsaurario, decano, duodecin1 cnnonicis et sex 1nansionariis conllatuin; altennn in ecclesia S.ti Antonini Patavini sin1ile pri1no; tertiu1n in ecclesia SS.1ni Salvatoris, enu1nerantur in co; praepositus, cantor, thcsaurarius, canonici quinque, n1ansionarii duo; quartun1 in ecclesia S.tae Mariae Maioris tribus dignitatibus, quatuor canonicis et duobus 1nansionariis constat, cuncta (66r] Episcopus Caraffa anno 1689 instituit animarum curan1 per singulas paroecias praepositis dernandavit; duo priora congrua dote sese cornrnendant, posteriora vero proventuurn cxiguitale vix subsisterc pro1nittunt. Ornnes uniuscuisque collcgii n1inistros ab Episcopo cooptantur. Quintum tande collcgiu1n ab Episcopo iurisdictionc exernptutn in ecclesia S. Philippi, post 1nonacos hcnedittini ordinis ad
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quos pertincbat, abbati comincndatario creditum est, qui priorcn1 et octO canonicos designat; est hodie abbas D. Ioscph Maria Gravina, panormitanus. Aidoni anno 1751 collegiu1n ercxit Episcopus Galletti in ecclesia S. Laurcntii; archipresbitcnnn, cui animarum cura incst, in pracpositum comrnutavit, adiunctis cantore, Lhesaurario, decano, canonicis octo, mansionariis sex, eorum stipes cxigua, praepositura de iure patronatus dinastae. Reliquae vero praebendae per Episcopum ad capitoli nominationein eliguntur [66vJ. Aliud A!baevillae cxtat canonicoru1n collcgiu1n ab eodetn Galletti anno 1754 institulu1n, inductis quatuor dignitatibus, canonicis duodeci1n et duobus 1nansionariis. Singulis curam concrcdit animarum, quan1 alternative per hcbdo1nada1n cxerccnt 1nodica corum praebcnda. Praepositus per Episcopu1n, cacLeri ab eodcm Episcopo ad no1ninationcm capituli. Sin1ile in omnibus ide1n Gallettus anno eodcn1 constituit Centuripe collegiu1n; habet dignitates quatuor, canonicos octo, 1nansionarios sex, 01nnes cura gravalos. Civitas olĂŹ1n percclebris, sed stipes cxigua. Anno 1691 Episcopus Caraffa collegiun1 crexit apud Aciin Rcale1n civitate1n Catanae proxi1nain, curam praeposilo, cantori, Lhesaurario, canonicis duodccin1 et mansionariis sex dc1nandavit ab unoquoque per hcbdo1nadam cxerccndan1, cx ecclesiac patrin1onio congrua eisdem assignavit stipendia, capitolo ius tribuit nominandi [67r] reservata sibi instituLione et libera praepositi aelccLionc. Adsunt iten1 prope Aci1n Rcale1n in paroeciis adiacentibus tria canoniconun collegia ab Episcopo Galletti erecta in oppido Acis Catenae, in altero S. Philippi, et in tertio S. Luciae, tres ubiquc adsunt dignitates, priora canonicos novern, 1nansionarios sex habent; ultin1un1 canonicos seplem et n1ansionarios sex, praebenda tenuis, cura penes praepositos residet, qui et ab Episcopo eliguntur, priorum col!egiorum ministri ad patronorun1 pracsentationcn1, postcrioris per Episcopun1. Tria alia rcmanent reccnsenda collcgia, unum ad oppidun1 Pulchripassus, ab Episcopo Riggio anno 1700 institutum, addictis dignitatibus tribus, canonicis duodcci111 et 1nansionariis sex, alia duo Episcopum Galletti recognoscunt auctoren1 in pagis Nicolosorum et Triu1n Castancaru1n. Primun1 si1nplex per on1nia collegio Pulchripassus, sccundu1n tribus dignitatibus, octo canonicis et duobus n1ansionariis absolvitur, cura penes praepositos, slipes exigua, prioru1n pracpositi [67v] per concursun1, posterioris ad praesenlationen1 dinastae, reliqui vero ministri ad norninationcm capituli per Episcopu111 eliguntur. Ex hactenus descriptis canonicoru1n collcgiis p!uri1na rocchetti et 1nozzettae usu111 habcnt. Tria Platiense, Enncnse, Paternioncnse, ultra 1nozzettan1 usum cappac muslellae prin1ac, reliqui solo epitogio, sivc aln1utio decorantur. Dcsunt on1nino in eis praebendae theologalis et poenitentiaria, sed in on1nibus ferc dotninicis diebus et sole1nnioribus festis salutaribus monitis ab idoneis 1ninistris ca quac ad salute1n necessaria sunt et ad bonos 1nores populo, pucris vero aliisque hoc indigcntibus adiutorio, fidei rudi1ncnta cxplicantur. Thcologiae 1noralis conferentiae singula hebdommada per clerum seculare habentur.
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Animaru111 cura in reliquis dioccesis locis per vicarios ad nuturn Episcopi a1novibiles cxercentur; Episcopus cnim unicus per tota1n dioccesi1n reputatur parochus, Ennensi civitate cxcepta, ubi octo adsunt parochi, qui per concursu1n aeliguntur. Anno l 769 ab Episcopo Vintin1illio Rcalbutcnsis ccclesia erecta fuit in parochiale et in postcru1n per concursum providcbilur. Tres vero qui adsunt
archiprcsbiteri unus in [68r] oppido Leonfortis a laicis patronis, alter in eodern oppido et tertius Pctrapcrtiae per dinasta praesentantur. Monachorum coenobia per univcrsa1n diocccsirn nonnulla reccnsentur: quatuor cassinensis ordinis, duo ciericoru1n regularium, tria clericorurn rcgularium minon11n, duo clericoru1n regularium infinnis n1inistrantiu1n, duo scholarun1 piarum, fi·atruun1 praedicatoruin deccrn, conventualiu1n quatuor, rcformatorun1 tresdccis, observantiu1n quatuor, undeciin cappuccinoru1n, tria tcrtii ordinis, cre1nitoru1n S. Auguslini deccn1, excalceatoru1n ordinis eiusde1n tria, cannelitarun1 sex, dcscalccatorum eiusdem unu1n, fratruin de 1nerccde duo, minorum duo, unum ordinis SS.mac Trinitatis et unum fratruuin S. foannis dc Deo; caetcra quac exigua crant indecora et tcnuissi1no patrimonio per !aicos n1agistratus his elapsis te1nporibus suppressa fucre, corun1 ccclesiae aliae ruinarn 1ninuntes clausac, aliae cura1n habentibus co1nn1issae, posscssioncs regii 1nandalo laici procuratores curant et dcbitonnn no111ina cxigunt. Novissi1nc tria Societatis Icsu iain solutae collegia [68v] et duo spiritualis seccssus nscetcria, Episcopi arhitrio et sub iJJius directione concrcdita sunt, cxcepta Catanensi pera111plo collegio, ex Regis beneplacito ad crudicndos in speciosis artibus pucros senalus arbitrio con11nisso, addicto congruo annuo ccnsti. Totius insuper dioeccseos ornalu111 et dccus perficiunt sanclimonialcs illustris nobilissin1a grcgis Christi portio; scxdecirn elcnin1 inonasteria Sancti Bencdicti regulan1 seclantur, noven1 S. Francisci, tria Divi Augustini, unurn S. Do1ninici, in otnnibus pcrfecta adhibetur disciplina et quod 1naxi1nun1 esl, iure inerito ascetcria appellari possunt. CuncLa Episcopo subiecta eius 1nandatis inte1ncrate patent, pretcr unun1 Regalbuii, fratruu1n augustinensium iurisdictioni subiectuin, quod a Sanctis Angelis appellatur, Episcopuin tantu1n rccognoscit in visitationc clausurae et in approbatione confessariorurn ordinarii et cxtraordinarii; et quod 1nirun1 utique 011111ibus vidctur scrnper ab can1n1 praelatis alu1nnu111 eiusdem ordinis Episcopo praescntatur, quod quidern absonun1 est et ren1cdio indigct, sed presentis aevi [69rl inespcctis circun1stantiis, Episcopus Dea pracccs fundere potest, clamarc prohibetur. Non lantu1n claustris scptac virgincs Dco sacrae vivunt, adsunt eni111 qua1nplurirna, quatuordcci1n numero, virginu1n et pucllarun1 coenobia, cx quibus quatuor quae Marian<t Collcgia nuncupantur, antiquis gineceis sin1illirna, iuxta cardinalis Petri Marcellini Corradini setin<1n1 instituta phocrninaru111 scholis et disciplinis vacant, cannn instructionibus, non sinc 1naxi1110 rcipublicae emolumento, ingcnuae puellac ad virtutc111 ac ad opera libera!i11n1 rnulicru111 propria 1naturc inforn1antur. Rcliquas vero puellas parcntibus orhatas vcl aegcstate miseras, virginitatis qua!it<1te111 habentcs nuptui lradendas custodiunt.
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Duo tandem mulierum, guae post pudoris iacturan1 ad n1eliorem frugem Dci opitulante gratia convertuntur, enumerantur domicilia. Absoluta Tridentina Sinodo, Antonius2 Faragonius, Episcopus, seminarii clericoruin opus incocpit; sed, ut acceptun1 traditioni habemus, humili et conductitio domicilio; mediisque opibus successorcs [69v_l Episcopi peracto ab eadem Sinodo3 praescripta bencficioru1n taxa et clectis cx capitulo et clero deputatis se1ninarii incrcmentuin prae oculis sempcr habucrunt. Post ruinas vero tcrribilis terracmotus anni 1693, Andreas Riggio Episcopus et nova beneficiorum molitione et, inediocri addicto censu, in mcliorern statum auxit, nec defuere pii saccrdotes, qui ex paecuniis et redditibus et bibliothccis in alteram reduxcre formam. Hodie licct adhuc non sit edificiis absolutu1n, intcr reliqua Regni clcricorun1 seminaria pri1natum habet. Sunt cni1n in co alu1nni centun1 octoginta; omni qua par est vigilantia in Ecclesiae disciplina instituuntur; praeter scholas gra1nmaticcs hu1nanioribus littcris philosophiae ac theologiae moralis, dogmaticae et sacris canonibus vacant; nec desunt historiae ecclesiasticae, sacrac liturgiae et cantus grogoriani studia; publicis cxercitationibus singulis annis scse exponunt; 01nnibus festis dicbus in cathedrali tcn1plo sacris intersunt et ante sacroru111 ordinu1n susccptione1n unoquoqe anno in octiduano sccessu exercentur neque ad ordines pro1novcntur nisi post annum {70r] in seminario con1plctun1; et quoniam non 01nnes clerici stipein pro alin1entis seminario rcspondcre valcnt, corum aliqui vere pauperes ut rectc instituantur meis aluntur contributionibus; enin1 vero sic cordi 1neo eoru111 institutio haerct ut sepe eoru1n scholas, victualia, domicilia 1ninistros vigili cura prcsens inviso. Episcopus Viginti1nillius novis auctorum opcribus bibliotheca1n locuplctavit ncc spes deest Deo adiuvante ulterioris progressus. Adcsl Catanae mons pictatis; a priore cathcdralis ccclesiae et ab aliis sex, a scnatu quotannis ex divcrsis civium ordinibus elcctis, 1noderatur; aelc1nosinas tantu111 largitur pro orphanoru1n subsidio dotali, pro sublevandis pauperum civiliu1n 11ngustiis et pro 1ncdicaminibus eoru1ndem infinnorum. Extat et alter n1ons pietalis ad 1nutuandun1 sub pignoris cautione indigentibus scd acre tenuis; secundus cxtat Acis sed tenuior spcratur; tertius Platiae n1ediocri dote scd adhuc in via; 01nnes isti pietatis n1ontes a laicis 1ninistris administrantur [70v]. Quinque per totan1 dioecesirn nosocomia angustis aedificis et cxiguo censu enumcrantur cxcepto catancnsi, quod et aedium n1agnificcntia et vigili rectoru111 cura et copiosis redditibus se commcndat et altero etiain Catanensi incurabiliu1n, quod paucis abhinc annis fidcliu1n piclate crectu1n, licet tenuissimo censu, magna cdificii forma incocptum, 1naiora pro1niltit, infirn1is necessaria quoad salute1n animac et corporis subministrantur.
2 Antoniusl Ioanncs. 3 Sinodo] Sidono.
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Clcricoru1n crc1nos òuos habct tota dioeccsis Catanae urnun «dc Meccha» nuncupalurn, uhi solitariam agunt vila1n aliquot devoti pracsbiteri; Valguarncrae 'Jiterun1 an1bo 1nediocrl ccnsu; prin1u1n sub Episcopi protetione, sub dinastac sccundun1. Laicoru111 vero quinquc in n1ontibus apud ludica1n, Scarpcllum, Torcisurn,
Rasn1annu1n et Platinrn vcteren1; in pagis apud Valle1n Yiridc111 unun1 incolunt aliqui bonac vitae el bonis arlibus addicti viri; rnundum contcmnentes potissi1num ex eorum C( fideJiurn eJCClllOSÌlliS VÌVUllt r7Jr). Laicoru1n sodslicia ubiquc pluri1na suis omnia instructa slatutis, cdificiis
Jabore
partin1 nobilioribus parti1n angustis ea sedulo confratrcs frcquentant; sepissi1ne vero iurgiis internisque dissidiis agitala ut n1axi1nun1 et quasi unicu1n Episcopi ncgotiurn vidcatur. In sacristiis 01nniun1 ecclcsiaru1n tabcllae onerun1 missarum et annivers<1rioru1n expositae sunt et libri ubi salisf<1ctionis earuin annotantur se1npcr parati. Nec silentio practcreunduin puto collcgium nobiliurn quod ex bonis Marii Cutelli VilJacrosatac co1nitis, nobilis catanensis, viri Jegationibus, rninisteriis et lucuhrnlionibus clarissi1ni; eùificiorurn structura et ditissi1no censu ad 111axi1nu111 Calanae dccus et ornainenlurn ingcnuos iuvenes cx ordine patritii in religione, in lilleris, in scienliis naturaliu1n propriis erudiendos expcctat. Screnissiinus Rcx aucto censu cx fundis suppressac socictatis pro nobiJibus pm1peribus Vallis Ncti, Episcopi, senatus e! abbatis cassincnsis rigin1ini con11nisit. Rcrnanct nunc ut populi 1nores et Rei Christian<1e slatu1n, E1ninenlissi1ni [71 v] Patrcs, vobis ostcndarn; populi enin1 inira <locililate ad pietale1n addictì, artibus et laborìbus intenti, sacrarnenta pro status conditionc frequcntant; SS.n1i Do1nini Nostri lesu Chrisli, Bealac /Vlariac Virginis et Sanclorun1 sollernnitates spiritus fervore eL co1npctenli fasto celehrant. lis si quae sunt disciplinae et religionis ingrucntibus 1nalis prac lant<1 populi 1nultitudinc, verbo, exc1npio, praecibus plenis, Deo favente, omni qua dccet vigìlantia rnocderi coarctor. Recensito ia1n actuali Calanensis Ecclesiac statu, supercst ut cadern qua par est obedicnlia, ca quac in generali pri1n<1 diocccsis visitatione, Divina Misericordia explicatus su1n quaequae ad Ornnipotentis Dei l<1ude1n ecclesiarum cornmodurn et utililatc1n el ani1nanun sa!utcn1 indixi E1ninentiis Vestris exponam. Visitationis n1unus ego ipse in cathedrali tc1nplo incepi on1ncsque s<1cra111cntalcs huius urbis ecclesias [72r], monialiu1n coenobia, pucllaru1n conservatoria ac !aicorun1 sodalitia lustravi, adhibitis vicario generali convisitatore et theologo, rnissionarios apostolicos Divi Verbi praeconcs, qui dioccesis visìtatione111 praeccdcrent, proscqutus su1n ac de loco in locu1n praesens invisi, adhibito pariter vicario generali convisitatorc et thcologo.
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Sodalitates4 SS.mi Sacra1nenti fundatas ac doctrinac christianae scholas quolibct die festo in sacramentalibus ccclesiis reperi, novĂŹsquc ad ubcriorem fideliuin profictum roboravi sanctionibus. Innumeris ab diuturnan1 Episcoporum pracdecessorun1 abscntiatn chrismatis sacramentu1n contuli. Conferentias casuum conscicntiae pluribus in locis pennanentes invcni, alibi facicndas praescripsi. Sanctimonialium clausuram, regulas et 1nonasticon observantiam, irreprensibi!e1n ad1niratus sum ac sine secreto cxaminc [72vl ve! per meipsum, vcl per vicariuin gencralem, puellas ad habitun1 religionis non adn1itLi dcbere, prout reperĂŹ, clcnuo 1nandavi. Missarun1 adimplementum, libros parochiales et dati et accepti ratiocinia omni solertia recognovĂŹ. Egenis ubique cxistentibus aelc1nosinas elargitus su1n, ad singulis annis tria scutatorum 1nillia Siculae monelae fructus cpiscopalis pracbenclac elargiuntur. Haec tandem conditio est Catancnsis Ecclesiac, si quid Apostolica Scdes, cui reverentcr obedio, duxerit praescribendu1n cito cognoscel n1c, auxiliante Do1nino, catholicae fidei et paternarurn constitutionu1n fidelcn1 esse custoden1. Divina Providentia annis quampluri1nis Vos serve! incolu1nes ut vestri.s 1nonitionibus univcrsalis Ecclesia possit incussa Christi pace gaudere. Catanae, die 15 aprilis !779 En1inentiarum Reverendaru1n Vestraru111 addictissimus et obscrvantissiinus scrvu.s Conradus Maria, Episcopus Catancnsis Em.n1is et Rcv.n1is Do1ninis
* * ~' [76r] Episcopo Catanensi Responditur dic 23 noven1bris 1779 Ex prin1is Amplitudinis Tuae literis slatu1n istius Ecclcsiae cxhihentibus placuit E1n.1nis Patribus, qui sunt Tridcntinaru1n legu111 custodes ac vindiccs, cognosccre Tua1n in Episcopali 1nunere obeundo diligentian1 et fide1n atque ani1ni ardore1n in procuranda salute ani1narun1. lllucl prae cactcris probalun1 est, quod, ne inopiac tin1oren1 iustitia deseratur ab cgenis atque pauperibus, quibus passi1n referta est ista dioecesis, consuevisti ta1nqua1n pater paupenun certain et 1nagnan1 auri vini quotannis insu1nere pro ipsorum ali1nonia.
4 Sodalitates] so!iditatcs.
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Haec Tui Episcopatus gercndi initia spen1 tribuunt [76v] fore ut Tridcntinu1n canonu111 111cn1or Dioeccsana Syn0Jun1 cogas ad 111orun1 integritaten1 in popuio servandam atque ad ecclcsiastica1n disciplinain pro1novendarn. EtsĂŹ probata fueril ratio, quain iniisti, ut a duobus canonicis cuthedralis n1unus
supp!catur thcologi ac pocnitentiarii, nihi!on1inus curandun1 ut quoad eius fieri potest uln1que prnebcnda institualur. Quod altinel ad parochos, quos scribis u1novibiles esse ad nutu1n, Sacra Congregatio optai ut stabilcs fiant ad n1aiorern anĂŹn1arun1 utilitatem.
Quantun1 vero ad moniales su- [77r] ditas rcgularibus ordinis S. Augustini, non n1odo luurn est efficere ut clausura ritc sanctcque scrvetur alquc examine probentur conl'cssarii, venun etie:Hn ex constitutionc Gregorii XV incipiente Inscrutabili ut ratio ab (]dn1inistratoribus reddalur. Quod aute111 ad confessarios extraordinarios nttinct, scn1eJ snltcn1 in anno unus cligendus est, qui vcl sit sacerdos secularis vcl altcrius ordinis rcgularis, prout praccipilur in constitutione 8enedicti XIV, quae incipit Pas1oria!is Cutae; scd de hoc negotio non erit abs re agere curn eorun1de1n regularium n1oderatoribus, non1ine ctiarn Sacrac J.77v] huius Congrcgationis. Hactenus ad Tuas Jilcras. Ego autcn1 ubi fcral occasio profceto ostcndan1 qun1n sin1 cx ani1no, etc.
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XXXIV [88r] E1ninentissi1ni et Reverendissin1i Dotnini
Quu1n in actu visitationis Sacraru1n Lin1inu1n, quain in hoc triennio per electu1n a 1nc procuratorcin pro debbito Sanctae Sedi et SS. Apostolis Pctro et Paulo obscquio ac reverentia adi1npleo subn1iLtere etiain debere1n E1ni11entiis Vcstris relationcn1 status meac Ecclesiae et dioccesis, scd sicul nihil rcperio in11nutaturn in inco episcopatu, quod dignum sit rcrerre, ex quo in peracto triennio dc codern statu, quo par fuit studĂŹo ac diligcntia exposui, sic En1inentias Vestras Reverendissin1as praecor ut digncntur anteacta1n rclatione1n benigne respiccrc et acceptain pro 1nuncris 1nei debbito orficio habcrc. Et interini pron1ptitudincn1 meain n1andatis Vcstris ostendcndo eo quo par est anin1i mci obsequio mc subscribo.
Catanae, 23 1narlii 1785 E1nincntiarun1 Vestrarurn Reverendissi1naru1n addictissin1us et obsequientissin1us servus Conradus Maria, Episcopus Catanensis E1nincntissi1nis et Rcvcrendissin1is S.tae Ron1anac Ecclesiae Cardinalibus S. Congrcgalionis intcrprelibus Ron1a1n
* "' * [95r] Catanicn. Rcsponditur die 3 augusti 1785 Periucundum Em.1nis Palribus Tridcnlinaru1n sanctionu1n inlerprctationi praepositis A1nplitudini Tuae littcrae fuerunt, quibus nihil brevitcr Te habere quod addas praeteritac relationi significasti. Quamquain si de materiali Ecclesiac et Dioeccsis tuae statu agatur, 1niru1n piane Em.1nis Patribus non acciderit nihil proxiino triennio innovatun1 quoad illud fuisse formalem statun1 e converso quod attinet, pnullo inusitatius est nihil triennii spatio accidissc quod referri prae consueta Tua cognilaque diligcntia n1crcretur. Scd quoniam in responso quod Tuac postre1nac relationi datun1 est, tria ab Atnplitudine Tua optaverant Em.1ni Patres in eain venerunt 1ncnlem ut putent eorun1 cpistolain, ad Te datmn, fuissc deperditan1 aut quoquon1modo ad tuas non pervenisse n1anus. Laudabunt itaque Ainplitudinis Tuac diligentimn si negociun1 dederis tuo in Urbe agenti ut cpistolac ad Te scriptac copiain sumat Tibique trans1nittal, sic cni1n
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futuruin eril ut S. Congregationìs desideria cognoscere possis opportunaque rcsponsionc E1n.1norum Patru1n laudes et praeconia mereri. Antequan1 fine1n scribcndi fr1ciam te ignorare non patiar devincLi animi sensa, quo A1nplitudine1n Tuain tuamquc dìgnitate1n irnpcnse prosequor5.
5 La risposta si trova pure in ARCHIVIO DELLA S. C. DEL CONCILIO, Liber htterarun1 Visitationu111 SS. Lùninu111, 34, 80v-8lr.
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xxxv [lOOr] E1nincntìssi1ni et Rcvcndissi1ni Don1ini Revertente te1npore quo debere1n Sanctoru1n Apostolorun1 Li1nina pracscns invisere et SS.1no Do1nino Nostro ac E1nincntiis Vcstris Rcvcrcndissi1nis ralione1n
reddere de integro meo pastorali officio de quo rebus 01nnibus ad Eclesiac n1cac statu1n ad cleri et populi ùisciplinain, animaru1nque 111ihi credilarum salulen1, nonnullis
praepeditus, leggiti1nis i1npedimentis personain saccrdotis Pctri Antonii Tioli SS.1ni Domini Nostri cubbicularii elegi ul nuncius n1eus, munia 1nea plene exequnlur. Quu1n nihil igitur 1nihi ren1aneat addendu1n presente rclationi dc 1natcriali Ecclcsiac et dioecesis slalu, dc fonnali ciusdcn1 id innovalu1n tantu1111nodo relata dignum pauca, quod Emìnentiis Vestris Rev.mis co1npertum est [lOOv] suppressione vidclicet a!iquorurn convcntuuin ob dcficicntirnn fratruu1n ad conHnuncn1 vita1n, iuxta sacroru1n canonu1n praescriptum instituendarn, quorun1 Ecclesiae parochis loci sunt concessa ulne divinus cullus et fidcliuin spirituale lacvan1cn dcriciat. Illud vero quod sollicitudo Veslra iuxla maiorurn exernpla et sacrosanta concilioru1n mandata a inc rcquirit, convocationcn1 videlicct synodi diocccsanae, te1nporis eonditio, En1inentiis Vestris Rev.mis satis eon1perta, prohibet ndi1npleri. Difficilis insuper est instilutio praebendarun1 canonici theologi et poenitentiarii ac 1nagis ardua parochoru1n ad 111cnten1 Sacri Tridentini Conci!ii ereclio; dericiunt cni1n rcdditus ad huius1nodi fundationcs ncccssarii; prohibita etiarn cxtat per Regni lcggcs perceptio fructuum, qui stolae dicunlur. Tandc1n ut E1ninentiaru1n Vestrarum Rev.1narun1 n1andatis satisfaciarn, patrcs eremitarun1 Sancti Augustini adn1onui ut sen1el in anno, prout praecipitur in costitutionc Benedicti XIV quae incipit Pasloralis Curae, unu1n eligant 1nonasterii sui ordinis extraordinarium, qui sil vel sacerdos saecularis vel alterius ordinis. Sed ut reor abs re non cril si Ernincntiac Vestrae Rev.1nac id negotii dcrnandavcrint Magistro Generali eiusdetn ordinis ut suis Provincìae Siculae 1noderatoribus dc inandato Eminentiarum Vestrarum Rev.1nttru1n expresse praecipianl. Interim fausta prnecans vestris 1nandatis addictissin1u1n rnc subscribo. Catanae, pri1na aprilis 1788 Eninentiaru1n Vestraru1n Rcverendissi1narum Addictissi1nus et obscrvanLissin1us servus Conradus Maria, Episcopus Catanensis Emincntissin1i et Rcvcrcndissiini Cardinalcs Sacri Tridentini Concilii interpretribus Ro1nac
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*** [ 105r] Corrado Mariae, Episcopo Catancnsi Die 2 iulii 1788 rcg. Sane lubentcr S. Congregatio Tridentini iuris interpres ac vindcx legit literas ab Amplitudine Tua de Cataniensi Ecclcsia conscriptas. Perbrcvcs illae quidc1n fuerunt, scd eo nomine potissi1num multum habuerunt iucunditatis, quod ostendunt tua1n in Petri cathedrain, 01nnium Ecclesiaru1n 1natrem et magistra, dcvotione1n qua rnotus non 01nisisti statis a iure temporibus eidem obscquii officia praestarc. Qua de causa Em.mi Patres diligcntia1n hac in re tuan1 commendandan1 duxerunt, deindc te etiam atque etia1n hortantur ut in Episcopali onere ferendo tuarn expromas animi fortitudinc1n, guae hoc clarius splcndescit quo maiora pracsenti aetatc obiiciuntur i1npedi1ncnta, ad guae tollcnda vel emollien첫a necesse est ut conversa perpetuo sint studia Episcoporu1n. Si vero synodi dioecesanac convocatio tibi vidctur ve! sa- [105v] ccrdotali dignitati, ve! ecclesiasticae auctoritati obesse, erit vigilantia et prudentia tLia synodi defectu1n ca ratione co1npcnsare, quae est a Bencdicto XIV Episcopis proposita. Quod pertinct ad theologi et pocnitcntiarii institutione1n et ad parochorum, qui dcbeant esse perpetui, erectionetn satis huic rei consultum est a Concilio Tridentino; cui ctian1 accedit, qua1n Benedictus XIII cdidit pro univcrsac ltaliae Episcopis constitutio; ad haec praesidia si confugeris et tuae laudi et Ecclcsiae utilitalibus apprime consulcs. Dc eo quod ab E1n.1nis Patribus pctis, ut Magistruin generalem ordinis Eremitarum S. Augustini n1oncant, quo monialibus istis confessarius extraordinarius quotannis assignetur, res agetur ab illis diligcntcr: at quae hac in re tua sit potestas atque auctoritas cx Benedicti XJV constitutione didicisti. Postremo nulla est E1n.n1is Patribus 첫ubitatio [107r], quin sumrna cu1n charitatis laude ac vigilantissime plenissi1ncque iis 01nnibus satisfeceris, quac gravissimum Episcopi rnunus desidcrat; at vero si de sperata re tantoperc sibi gratulantur, mirifico sane gaudio illoruin mentes perfundcs, si proximis relationibus tuis singula tibi placuerit ordinate perscribere ad 1ncthodum a Benedicto XIII ac XIV Episcopis in eun1 fincm prornulgalum. Hactenus S. Congrcgationis mandata ad n1c quod attinet tibi pcrsuadcas volo animum me gererc virtutis dignitatisque Amplitudinis Tuae studiosissimurn. . 6 Dat1s, etc.
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La risposta si trova pure ibid., 34, 288r-v.
Diocesi di Catania: relazioni "ad limina" (1779 - 1807)
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XXXVI [ 116r] En1inentissin1i et Reverendissimi Domini Existens in curia et apud SS.1nu1n D.num Nostrum ac Etninentias Vestras Rcv.mas Rcv. pracsbiter Petrus Antonius Tioli Ss.1ni Do1nini Nostri cubicularius ea quae pro munere mco pracsens debere1n persolvere officia nonnullis praepeditus lcgitimis impedi1nentis per quain diligenter ipse excquetur. Quacso igitur En1.n1i et Rev.1ni Domini ut eumdem grata benevolentia prosequenles statum Ecclesiae huius 1nihi concreditac ab eodem cxhibendum benigne cxcipiatis. Ecclesia, inquam, ista Catanensis in suo statu materiali constanter pcrseverans iisde1n dignitatibus, canonicis et bcneficiatibus in bulla secularizationis descriptis constat, ab clarissitno praedcccssorc 1neo tribus aliis beneficialibus addictis et aliis tribus pro niaiori chori servitio a mc adiunclis, constituta dote, ex aliquorun1 bencficiorum simpliciun1 libcrae collationis unione; sic etenim nu1nerus decc1n et octo bcneficialium completur, quoru1n duodecim quotidic choro interesse tencntur [I 16v]. Status christianae religionis gloriosis in dies amplificatur incrcn1entis et ut magis fidelium n1ultitudo spiritualibus nutriatur auxiliis, obtento invictissi1ni Rcgis Fcrdinandi beneplacito, filiales ecclesiae, quae sub unica parochia cathedralis ecclcsiae sacrainenta adn1inistrant, huius episcopalis patrimonii cxpensis in sun1ma scutorurn n1ille et quingcntum huius Siculae 1nonetac augerc et ercctas aucto itiden1 ministrorum nu1nero fidelibus commodiores recidere Deo adiuvante statui. Tholum ipsius cathedralis ruinas minanten1 dcmoliri mandavi, novuin propriis expensis 1nagnificentius erigendum pro ecclesiae venuslate quam primu1n proposui. Dioccesim tcrtio lustrando ca quac divino cultui necessaria ac anin1arum saluti proficua praescrti1n fidei rudi1nenta et sacramentorun1 frequentia parochis aliisque cura1n cxercentibus quam maxime ut in iis exequendis omni studio invigilarent imposui. Pauperu1n turbis elee1nosynis per totam dioecesi1n hoc 1naxin1e sterilitatis anno ingentibus impensis su1nmis foverc non dcstiti. Taxa innocentiana per curiac et cancellariac 1ninistros fideliter servatur nec in visitatione a!iquid praetcr victualia exquiritur. In ecclesia cathedrali et in collegiatis iugiter divina absolvitur psaln1odia et missa conventualis quotidic pro benefactoribus, pulsantibus organis, in choro sollc1nniter canitur. Libri parochiales bene conscripti iuxta Rituale Ro1nanu1n; in omnibus parochiis [ l l 7r] ac curatis ecclesiis ca quac decet custodia detenti inspiciuntur. Ad !ectionem casuum conscicntiae ubiquc clerus bis in mense intervenit. Monialium monasteria totius dioecesis asccteria potius dici dcbent: tanta cni1n obscrvantia et sedulitate propriis incumbunt muneribus ut vere illustris portio gregis Christi appellnri possint.
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Ad instituendan1 iuvcntute1n in satis arnplo clericonun se1ninario omni solcrtia 01nnique studio rnoderatorcs et magistri pervigilanL quotidic. Confratcrnitatcs, hospilalia aliaque loca pia ab iurisdictionc Episcopi tamquarn opera laicalia per Regni constitutiones exempta in spiritualibus tantun1 eidc1n subduntur. J-(aec sunt guae Eminentiis Vcstris Rev.n1is exponenda pro 1nuncre 1nco arbitratus sum et me humili obsequio munus offercntern, i1no potius debitun1 persolvcntern gratiac Vestrae favore iuvetis praecor et tuea1nini et interin1 mc
subscribo. Catanac, 6 nove1nbris 1793 E1nincntiarurn Vestrarum Rev.1naru1n addictissi1nus et osservantissi1nus scrvus Conradus Maria, Episcopus Catanensis E1ninentissimis et Rcverendissimis Patribus Sacrae Congrcgalionis Tridentini Concilii Ronu1e
"'* * [121r] Conrado Mariae, Episcopo Catanen. XX 1narti i 1794 Novissi1ne A1nplitudini Tuae literae ad E1n.mos Patres Tridentini canonu1n interprctes et vindices datae su1nmopere acciderunt iucundac; acta cnin1 praescferunt procurationis tuae, guae Pastorcm detnonstrant ccclesiasticac disciplinac studio, libcralitatc in paupercs atquc amore erga sponsam tuam, quam novi etiam tho!i ornas aedificatione, n1uHis Jaudibus prosequcndum; de qua tua vigilantia tibi quoquc iusta est !aetitiae causa; habes eni1n clcrum officii memorc1n, clcricoruin seminarium et pietate et literis conspicuu1n, sacrae vero virgines ita discipiinam cui addictae sunt rctinent ut ascetcria videantur incolere. Pergc igitur cursu1n tanta virtute susceptuin perficere atque oves ad praestantiora religionis pietatisque opera excitare. Praebenda1n theologalcn1 et poenitentiaria1n instituisse Amplitudinen1 Tuam et perpctuitati parochoru1n consuluissc non dubitant Em.mi Patrcs [121r]. Haec no1ninc S. Congregationis cui perspecta probataque est tua in Apostolicam Scden1 fidei constantia. Ad 1ne quod attinet nulla in re Amplitudini Tuac deero.
Diocesi di Catania: relazioni "ad l첫nina" (1779 - I 807)
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XXXVII [138r] Eminentissimi et Reverendissimi Domini Qua1nvis incredibili ardere1n desiderio ista Sacra Liinina Apostoloru1n visitandi el ad pedcs SS.1ni D.ni Nostri Pii Papae VII provolutus mea debita officia persolvendi, tamen nonnullis legitimis i1npedirnentis prohibitus id 1nuneris co1n1nisi D. Dominica Sala in curia existcnti, qui nomine 1neo et apud Ss.1nu1n Dominum Nostru1n et apud E1nincntias Vestras Rev.1nas implebit partes. Praecor igitur E1ninentias Vcstras Rev.1nas ut eumdern benevolo ani1no excipicndi dignemini et statum Ecclesiae 1nihi crcditae ab co Vobis exhibcndum benigne excipiatis. De Ecclesiae meac CaLanensi statu materiali nihil 1nihi superest [138v] addendun1 relationi quan1 triennio transacto Emincntiis Vestris Rev.n1is obsequcntissi1ne misi. Quod attinet auten1 ad statu1n christianae religionis restat solu1n rcferendurn quod quainvis gloriosis in dies atnplificetur incrcrncntis et fidclcs spiritualibus in singulos dies abundent auxiliis et praescrti1n verbo Dei et cathachcsi excolantur et pueri ele1ncntis sanctissin1ae noslrae christianae religionis per totam rncmn civitate1n et dioccesi1n praecipuc a parochis et cappel!anis curatis infonnentur, ta1ncn non desunt rcperiri lupi qui oves tnihi crcditas n1actarc conantur, scd divino adiutus auxilio, 01nni qua potui diligcntia vigilans a meo ovili cos acui et quidain eoru1n in agnos, gratia Omnipotcntis et Miscricordis Dei su1nmo 1neo gaudio conversi sunt. Postqua1n tholum 1ncae cathedralis, ut triennio transacto rctuli, veteri ruinas minante detnolito, erigendu1n 1nagnificentius curavi, nunc omnes eiusdc1n ten1pli interiorcs parictes novis inducti tectoriis decoravi. Cumque 1nultis abhinc annis non soluin inea cathcdrali sed univcrsa etiatn dioecesis caritate laboraret grandi impensa pecunia pauperes fovcrc non destiti, quin inulta aperui orphanotrophia et in civitate et in dioecesi et 1neis exccpi puel!as proicctas parti1n mcis sumptibus, parlim fideliu1n eleae1nosinis alendas [ 139r] quas omni studio procurandas conatus sum. Taxa innocentiana a mea curia eiusque n1inistris fidcliter servatur et in sacra visitationc dioeceseos ad a1nussi1n canones cxcquuntur nihil praeter victualia recipiendo. Mea cathedralis, ecclesiae omnes collegiatac totius dioccesis divinatn contincntcr absolvunt psalmodiarn et missa conventualis in illa quotidie, in collegiatis vero quia paupcrculae existunt dominicis et cliebus festis cun1 cantu pro benefactoribus celebratur; sicuti eisdcn1 diebus parochi incruentum Ecclcsiae sacrificium pro 01nnibus suis Dco Optimo Massimo offcrunt; in corumque et aliis curatis ccclesiis libri parochiales bene, iuxta Rituale Romanun1 conscripti, ea qua dcccl custodia detinentur et in inca civitatc quotannis ad episcopale archiviun1 ibi custocliendi 1nittuntur ex antiqua consuetudine, quod archivium iuxta decreta Bcnedicti XJII fclicis recordationis instruendum curavi.
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Adolfo Longhitano
Ubique clerus bis in mense ad lcctioncm casuum conscientiae intervenire iussi et id diligentcr cxcquitur. SanctĂŹ1nonialiu1n monastcria per totani dioecesim ea qua dccct observantin ubique florent ita ut ab cxteris huc pervenientibus a<l1nirationc1n laudesque pertrahant [139v]. Clericorum scn1inarium non solum grarn1natica et hu1nanioribus literis veru1n etia1n rettorica, philosphia, gco1nctria et aliis gravioribus disciplinis thcologia scilicet dogmatica, 1norali ac canonica racultatc cxcolendum studui et talem, Dea adiuvante, fa1nam sibi conciliavit ut undique ex hoc Regno iuvcncs currant literis in co operam daturi. Pn1ccipue aute1n curavi ut pictas erga Deu1n ibiden1 excolerctur et alu1nni cx equo evadant pii et littcrati. Confratcrnitatcs, hospitalia aliaquc loca pia tarnquam opera laicalia cxc1nptn per constitutiones Regni ab iurisdictione Episcopi eide1n tantum in spiritualibus subdere perseverant. 1-Iaec sunt quac Eminentiis Vestris Rev.rnis cxponenda pro rnunere rneo habui et rne, 01nni qua potui obscrvantia, 1ncu1n debitum persolvente1n benigne excipiatis ex oro. Datu1n Catanae, die decima dccen1bris, 6 inditionis, 1802. E1ninentiarun1 V estarurn Rev.marum Addictissimus et observantissi1nus servus Conradus Maria, Episcopus Catanensis
*** f l46r] Conrado Mariac Catanensi Episcopo, die 12 i unii J 803 Praeclaram optin1a1nquc rationem islius gubernandac Ecclesiae ab Tua A1nplitudine a primo ad ea1n aditu institutam constantissitne in 01nni temporum varietate retentam a Te fuisse incredibili cum animi lactitia cognoverunt Em.n1i Cardinalcs Concilii Tridentini intcrpretes ex tuis litteris dece1nbri mense supcrioris anni ad ipsos datis. Nihil tibi aetas ingravcscens viriutn animi detraxit, nihil de quotidiano labore et cura et studio obeundi omni ex parte difficilis tui muncris dcininuit. Pontificale templum du1n pulchrius et magnificentius et Maiestati Divinae aplius efficere es conatus, inulto rnaiorem etiam operan1 in te1nplis Dci vivis sustentandis, instruendis et ornandis collocasti. Quibus quide1n et necessaria alendo corpori in sum1na caritate annonae tua exi1nia liberalitas praestitit et anin1is coelesti cibo reficiendis et confirmandis opporlunissi1na subsidia non in pracsens tantum sed in futurum etimn co1nparasti [146v].
Diocesi di Catania: relazioni "ad limino" (1779 - 1807)
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Quanti cnim praetcr caetera debct illud aestimari quid sc1ninarium clcricoru1n optimarutn arliurn 01nnium et doctrinarum studiis cl sanctissi1na disciplina florentissimum habeas, undc soboles pracstantissi1noru1n Ecclesiac 1ninistrorun1, non in luam diocccsim modo, scd in vicinas etia1n propagetur. Quocirca et laudes et gratulationes maxi1nac Tibi ad E1n.n1is Cardinalibus una voce et sententia sunt decreta e. Oplassent iidcm certo scire an praebendac canonicoru1n theologi et poenitentiarii in cathedrali tuae Ecclcsiac fuerint constilutae, an praeterea pcrpctuitati parochoru1n alicuhi prospcxcris, de quo Te ad1nonuerant supcrioribus littcris, quainquan1 ex tua sapienlia et religione eoniccturan1 faeianL neutru1n a Te fuisse neglectu1n. Quod bis 1ncnsc quovis elcrus conveniat ad disceptandun1 de casibus monnn, est hoc 01nnino sa!utarĂŹter institulLHn et sanctu1n; sed 1nirun1 fuit visum nullam a Te fieri mentione1n dc stalis convcntibus aliis quorum tra- [147r] ctatio sit de sacris ritibus, quos etiam habcri nosti pracecptum a Concilio Ro1nano, tit. XV, cap. 9, cuius Concilii perstudiosun1 Te ipse tuac ipsae littcrae declarant. Illud vero obscuruin est, qui accidat ut confratcrnitates et pia loca alia tuac sint polestati subtracta ad rerurn tcmporaliu1n ad1ninistrationem quod pcrtinet, cun1 perspicua sin\ adeo Coneilii Tridentini contraria decreta cap. 8 et 9 et de refor111, scss. 22 et Coneilii Romani, tit. IL 3, eap. 1, prae quibus valere ncqucunt leges aliac quaecumque, nisi forte fuerint Apostolica auetoritate et iudieio confinnatac. Quod superest 1ncan1 An1plitudini Tuae in 01nnibus fide1n et benevolentiain et studiun1 polliccor ac defero et diuturnain a Dornino preeor fclicitatem 7.
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La risposta si trova pure ibid., 36, 288v-289v.
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Adolfo Longhitano XXXVIII [ l 52r] E1nincntissi1ni et Reverendissimi Do1nini
Iamdudu1n ad isthacc Sacra Bcatoru1n Apostoloru1n Limina visitanda vcncrabundus accessissem et ad pedes SS.mi Domini Nostri Papae Pii VII provolutus mea debita officia pcrsolvissc1n nisi 1neis votis obstitissent morbi quibus continenter conficior, praesertirn factus aetate grandior; et hac nostra tempestate cala1nitates quae nos undiquc aff!igunt aditum intercludunt ad istam Sanctam Urben1. Quaproptcr id 1nuncris commisi Domino Do1ninico Sala, qui no1ninc 1nco et apud SS.1nun1 Do1ninum nostru1n et apud E1nincntias Vestras 1neas adimplebit partes. Idcirco ut cumdcn1 benevolo excipere animo digne1nini cnixis flagito praccibus et statu1n Ecclesiae 1nihi creditac ab co vobis exhibendum benigniler excipiatis. De Ecclesiae meac Catancn. statu materiali nihil mihi superest addendu1n praecedentihus rclationibus quas singulis transactis triennis E1ninentiis Vcstris Rev.mis obscquentissi1ne misi [l52v]. Quod attinet aù statun1 Christìanae religionis restat solurn referendun1 quod licet gloriosis in dies a1nplificetur incrementis et fidelcs abundcnt spiritualibus auxiliis et praesertirn verbo Dci et cathcchcsi cxcolantur et pueri elernentis SS.1nac nostrae religionis christianac per totani 1neam urbe1n et dioecesim praccipuc a parochis et cappellanis curatis informcntur, ta1ncn non desunt lupi, qui oves rnihi co1nmissas n1actarc conantur; sed divino adiutus auxilio 01nnia qua potui diligcntia vigilans a nico ovili cos arcui et quidan1 cx cis in agnos gratia Onnipotentis et Miscricordis Dei su1n1no nico gaudio conversi sunl. Post refactam rnearn cathcdralcm, ut transacto te1npore retuli, novisquc tcctoriis decorata1n, nunc cxterioribus auxi ornmnentis. Orphanotrophia et in civitate et in ùiocccsi, ubi cxcepi alendas puellas, pracsertin1 proiectas, ut pracccdcntì rclationc exposui; nunc novis an1plificavi aedi ficalionibus. Taxa innoccntiana a inca curia eìusque n1inistris fideliter servatur et in sacra visitationc diocccseos exacte canones exequuntur, nihil praeler victualia recipiendo. Mea Cathedralis 01nnesquc collcgiatac totius dioccesis divinarn psalmodiarn absolvunt et 1nissa conventualis in illa quotidie, in bis vero quia paupcrculac cxistunt, do1ninicis et diebus festis cu1n cantu pro bcncfactoribus cclcbratur, sicuti eisde1n diebus parochi incruentu1n Ecclesiae sacrificiun1 pro ovibus suis Deo Optirno Maxi1no offcrunt. In eorurnque el aliis curatis ccclcsiis libri parochialcs bene, iuxta Rituale Rornanu1n conscripti, ca qua decet custodia cletinentur. Et in mea urbe quotannis ad episcopale archiviun1 custodiendi nlittuntur ex anliqua consuetudine. Quod archiviu1n iuxta decretum Benedicti XIII fclicis rccordationis instruendum curavi. Ubique clcrus bis in 1nensc ad lectione1n casuurn conscientiae intervenire iussi el ut iù pcrficcrctur curavi.
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Sanctirnonialium 1nonasteria per totani dioccesi1n ea qua dccet sacris virginibus observantia ubique florent, ita ut ab extcris huc pervenientibus admirationes laudesquc pcrtrahant. Seminariu1n clcricorum bonis artibus gravioribusquc disciplinis cxcultum ut pracccdcnti triennio retuli, in codem persevcrat decore, et licct literarun1 ibi augumentum mihi cardi esset, pietas tainen erga Dcun1 ut ibidem pracscrti1n cxcolcrclur omnem i1npendo opcran1. Confraternitatcs, hospitalia aliaquc loca pia, tarnquam opera laicalia exc1npta per constituliones Regni ab iurisdictione Episcopi eide111 tantum in spiritualibus subdunt. Venia nunc ad aliqua postulata proponenda pro meae regi1ninc Ecclesiae et rogo ut Ernincntiae Vestrae Rev.1nac dignentur congrue cis suppeditarc responsun1 [ l 53r]. Co1nn1orantur nobiscu1n nonnulli n1ilites angli, quibus cun1 com1nisti sunt pauci catholici. Hi obligantur a suis ducibus ut intcrsint eorum sacris, in10 sacrilegis conventibus, qui do1ninico die ab eisdem cclcbranlur. Sunt ex thcologis qui opinantur possc 1ni!ites calholicos, ut pracccpto superion11n obocdianl, praefatis conventibus interesse, cun1 in cis nihil aliud agatur (ut ipsi dicunt) nisi quod lcguntur lectiones ab Evangcliis et Epistolis S. Pauli exccptac, recitantur psal1ni, anglicana ta1nen eorun1 nlaterna lingua ex traslationc haereticorun1 et aliquae orationes vulgari ctiam eoru1n idiomatc ad Dcu1n effunduntur. His rationibus n10Li praedicti thcologi credunt possc et catholicos supradicti rcligiosis conventibus interesse, co 1nagis quia catholici 1nilites palan1 protcstantur se nostra catholica ro1nana profiteri rcligionein et corporc tantu1n non spiritu cis interesse conventusque ipsos esecrari. I-Ioru1n thcologorum opinioni nullo 1nodo adhercrc potui et palam profcssus su1n omnibus hac de re nie interrogantibus non passe 1nilites catholicos praedictis conventibus adcssc, cum nobis proihibitum sit co1111nunicarc in divinis curn hcrcticis et schis1naticis, ut patet ex nonnullis responsionibus et decretis istarutn Sacrannn Congrcgalionum supre1nae Inquisitionis relatis a Benedicto XIV, felicis recordationis, in eius tractatu De Synodo Dioecesana, Jib. 6, cap. 5 et praecipue cx liLeris n Pau\o V anno 1606 datis ad catholicos nnglos et duobus dccrclis ad eodem Pontifice aeditis, uno scilicet anni 1606, altero anni 1607. Enixis igitur praecibus cxoro ut Eminentiae Vestre Rev.1nae dignentur 1nihi rescribere si in praxi tenenda sit hacc 1nea opinio, an connivere possitn contrariae sententiae? Alia ut n1ihi videtur irnprobabilis serpit inter nos aliquonun theologoru1n scntcntia: doccnt eni1n nondu1n teneri fideles cx Su1n1norum Pontificu1n decretis indicare Episcopis cos qui noverint in errores incidisse, quia curn cssel a constitutionibus nostri Regni abolitum tribuna] SS.1nae Inquisitionis eiusque causac delatae fuissent Episcopis exequendue tamcn iuris et ritus ordine publico servato idque aiunt perdifficillime ad praxin1 deduci passe, ideo existi1nant non esse fidclibus irnponcnduin onus denuntiandi cos qui sciunt infcctos cri1nine haereseos vel
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Ado(fo Longhitano
suspicione eiusdcm, pracscrti1n cu1n in nostro Regno laici suspecti de haeresi non subiiciantur Episcopis, sed tanluin si in forn1alcm hacrcsi1n incidissent. Quid rnihi in hac factispecic facicndum sit rogo hu1niliter Erninentias Vestras Rev.mas ut mihi significare dignemini. Practcrca postulo hu1niliter ab Erninentiis Vestris Rcv.1nis ne gravemini declarare quid inihi gcrcndu1n sit cu1n his fidelibus qui, quarnvis obedirc vclint supra laudati decreti SS.1non1m Ponlificun1 et dcnuncicnt quos novcrint in errores incidisse, ta1nen id non scripta et sua subscriptione munito sed tantum oretcnus cxcquuntur [153v]. Sunt dc1num et aliqui qui spante ad meu1n tribuna! acccdcntcs abiurare volunt hacreses quibus inficiuntur, complures vero corum erroru1n aperire recusanL Illos nempe qui sinc scripta denuncianl utru1nque hactcnus tolcravi ne salten1 careren1 aliquali cognitione luporum, qui irrcpscrint in ovile Christi et eis quale1ncumque 1nihi oblalan1 1nedicina1n exhiberem. His autcn1 qui scilicct abiurare volunt sine n1anifestatione suorun1 co1nplicun1 absolutionc1n ab excomunicatione denegavi. An hac via recte ego processi et quid Inihi cleinceps faciendum sit in his rcruin cirumcusl<1ntiis digne1nini Em.mi et Rev.1ni Do1nini 111ihi rescribere, praesertirn an mihi detur facultas exin1cndi ab onere denuntiandi con1plices, si in articulo 1nortis constituti, ut 1nihi acciclit, abiurare errores suos parati sint, co1nplices autern obfinnato ani1no manifestare nolint. Hae habui cxponenda Em.rni et Rev.1ni Do1nini occasione visitationis Sacronnn Liminuin; rnei obsequentis anin1i dehilu1n officiuin acqui bonique facite et ad vestru1n patrociniun1 confugicntc1n lacto ani1no accipite et sinite ut gloriari possi1n CUITI dicain. Vestris Einincntiis Rev.n1is Catanae, die 2 iulii, 1807 Ern.aru1n Vcstrarurn Rev.marun1 Addictissirnus et observantissi1nus Scrvus Conradus Maria, Episcopus Catanensis.
Synaxis 12 (1994) 437-465
LA TEORIA ERMENEUTICA DI PAUL RICOEUR FRA INTERPRETAZIONE E SIMBOLO
FRANCESCO VEN1DRINO'
Pre1nessa
L'ormai vasta, se non addirittnra imponente, produzione ricoeuriana che sembra costituire quasi una moderna sununa e che, con1unque, si presenta ancora come un Work in progress è percorsa da un filo conduttore che, nonostante il carattere esplorativo di taluni scritti di Ricoeur, non è difficile rintracciare. Esso ci pare individuabile in una incessante tensione ontologica e in uno sbocco religioso di tutte le problematiche che il filosofo francese è andato, nel corso degli anni, via via affrontando e risolvendo con originalità di metodo ed aprendo nuove prospettive alla filosofia contemporanea. Se si avesse la pazienza di percorrere lintero itinerario filosofico di Ricoeur, dai suoi primi interessi storico-teoretici ad uno dei suoi ultimi lavori - si allude al bel volume Sé come un altro - si troverebbe una conferma dell'affermazione precedentemente fatta. Nella prima raccolta sistematica del pensiero di Ricoeur che s'intitola Filosofia della volontà è evidente infatti l'intento dell'Autore di una rivalutazione non intellettualistica dell'esperienza religiosa e di una definizione della volontà che eviti gli opposti rischi del determinismo e dell'antropocentrismo.
* Professore di Filosofia nello Studio Teologico S. Paolo di Catania.
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Francesco Ventorino
Non diversamente lo scritto Sé come un altro mir a csplicita1nente «a far emergere le implicazioni ontologiche» che, in 1nodo naturale, sorgono quando si indaga l'avventura dell' «Umano essere-nel-mondo», poste «sotto il titolo di una er1neneutica del sé» 1. Fra la Filosofia della volontà e il Sé come un altro si colloca ciò che comune1nente viene definita la fase ermeneutica in senso stretto del pensiero di Ricoeur: si pensi soprattutto al volume Della Interpretazione. Saggio su Freud o a li conflitto delle interpretazioni. Saggi di ermeneutica, o anche ai numerosi scritti sul linguaggio religioso. Si devono pure citare le «due opere gemelle», come le chiama lo stesso Autore, che sono La 1netafora viva e la trilogia di Ten1110 e racconto, opere acco1nunate dalla «sfida semiologica» 2 lanciata contro lo strutturalis1no e da11'intento di «connettere la spiegazione n1essa in atto dalle scienze scrnio-linguistiche alla comprensione previa che sorge da una fa1niliarità acquisita con la pratica Iinguistica» 3 • E' nostra intenzione rivisitare, nel presente lavoro, il Ricoeur deJJa fase squisita1nente ermeneutica perché essa ci appare centrale nella produzione del Nostro per un doppio motivo, uno d'ordine teoretico e l'altro di natura storiografica. La produzione ermeneutica di Ricoeur segna l'approfondimento del metodo fenomenologico e conduce l'Autore ad elaborare una filosofia dell'interpretazione teoreticamente ben fondata. Come avre1110 n1odo di constatare nelle pagine seguenti, analizzando soprattutto il volume dedicato dall'Autore ad un serrato confronto con Freud, Ricoeur, pur facendone uso, non assolutizza il rigore metodologico, ma sa umilmente fermarsi quando il segno si trasforma in sin1bolo e l'interpretazione si connota come apertura al mistero.
1 P. RICOEUR, Soi-ni!.hne co111111e 1111 a1tfre, trad. it., Sé con1e un altro, Jaca Book, Milano 1993. 2 Cfr. P. RICOEUR, La sfida seu1io/ogica, a cura di M. Cristaldi, Arn1ando, Renna 1974. -' Cfr. prefazione a P. RICOEUR, Te111ps et récit, trad. it., Ten1po e racconto, I, Jaca Book, tvTilnno 1986, 9.
l/er1neneutica cli Ricoeurfi·a interpretq_zione e sùnbolo
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L'osservazione storiografica che intendiamo fare è sintetizzabile in questi termini abbastanza semplici: a noi pare che proprio quella dimensione ontologico-religiosa che ricordavamo all'inizio, ha i1npedito in Italia una ripresa del pensiero ricoeuriano in termini, se non nichilisti, tali co1nunque da consentire una sua utilizzazione nel perimetro così stretto del "pensiero debole". Operazione questa che è accaduta, ad opera soprattutto di Gianni Vattimo, ad altre teorie ermeneutiche, pensiamo a Nietzsche e, in modo particolare, ad Heidegger. Ricoeur, proprio per la nettezza delle sue posizioni, non è filosofo che si faccia ingabbiare nelle maglie troppo strette del cosiddetto "pensiero debole", che fra l'altro, per bocca dei suoi maggiori esponenti, ha anche esaurito il suo ruolo di provocazione intellettuale. Avvcrtian10, infine, che il nostro lavoro si pone in linea di continuità coi due precedenti saggi, apparsi entrambi su Synaxis, dedicati rispettivamente al problema dell'interpretazione 111 Heidegger 4 e in Gadamer5 . Osiamo considerare, pertanto, questi nostri contributi, se è lecito così esprimerci, come una sorta di "trilogia,, e, se ciò è vero, crediamo di poter dire che le conclusioni cui perveniamo a proposito di Ricoeur vadano ritenute, in qualche misura, co1nc le osservazioni finali dei tre articoli presi nel loro insieme. l. Er111eneu1ica e shnbolo
L'universale linguisticità del comprendere affermata da Gadamer trova riscontro nell'interesse che Ricoeur dimostra per il linguaggio, soprattutto là dove esso si presenta nella sua struttura simbolica. E' da essa infatti che Ricoeur prende le mosse per descrivere il rapporto ermeneutico dell'uomo con la realtà e per
'1 Cfr.
F. VENTORINO, Verso un '01110/ogia della co1nprensio11e. /'vlarfin Heidegger, in Synaxis Nuova Serie 11 (1993) 133-137. 5 Cfr. Io., Storicità e !inguisticità del co111pre11dere in H. G. Gadl11ner, in Synaxis 12 (1994) 233~267.
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dichiarare i presupposti ultimi sui quali egli fonda la sua concezione del rapporto fra la persona umana cd il reale. La definizione che Ricoeur propone del simbolo, si situa tra altre due definizioni, la prima troppo vasta, la seconda troppo rigida. Esiste una funzione generale di mediazione, attraverso la quale lo spirito umano costruisce tutti i suoi universi percettivi e discorsivi: il si1nbolico può quindi considerarsi, in una accezione "lata'', come
«l'universale n1cdiazionc tra noi e il reale» 6 • In ogni segno con il quale indichiamo la realtà (un testo o il linguaggio stesso) vi è una dualità di aspetti: uno strutturale, per il quale un segno sensibile acquista capacità di significato all'interno di una struttura di segni per lo scarto differenziale nei confronti di altri segni; ed un altro intenzionale, per il quale un segno, sen1pre all'interno di una struttura di segni, designa una cosa piuttosto che un'altra 7 • Ma non è di questa inediazione propria di ogni segno che Ricocur intende occuparsi 8 , quanto di quella inediazione particolare
6 «Coin'è noto - scrive Ricoeur - quesla è la definizione cli Ernst Cassirer nella sua Filosofia delle fonne si111boliche. Per i nostri fini non è indifferente che il disegno csplicilo di Cassirer, ispiralo dalla filosofia di Kant, sia stato qucl!o di spezzare il quadro troppo stretto del 1ne1odo trascendentale, che pennane entro i confini della critica dei principi della filosofia newtoniana, e di indagare tutte le altivil~l sintetiche e tutti i corrispondenti dornini cli obiettivazione. Ma è legitti1no chia111are sirnbolichc queste "fonnc" differenti di sintesi in cui l'oggetto si regola sulla funzione, queste "forze", ognuna delle qualì produce e pone un inondo? E' giusto riconoscere a Cassirer di essere stato il prin10 a porre il proble1na della ricomposizione del linguaggio. La nozione di forrna simbolica, prima di costituire una rispost<l. dclin1ita un irHcrrogativo: quello della con1posizione di tutte le "funzioni 1nediatrici" in un'unica funzione che Cassirer chiarna dns Sy111bolische. Il "si1nbolico" designa il co1nune denon1inalore di tutti i 111odi di obiettivare, di dar senso alla realtà» (P. RICOEUR, De l'i11te1prétatio11. Essai sur Freud, Editions du Seui!, Paris 1965, traci. il., Della interpretaz.ione. Saggio su Freud, Il saggiatore di Alberto Mondadori Editore, fVlilano 1967, 22). 7 !bid., 24-25. crr. l'analisi stnllturale del linguaggio che Ricocur propone in Le COT(f/it des i11terprétatio11s: Essais d'h<!nnéneutique, Éditions du Seui!, Paris 1969, trad. it., Il conJliffo d(~lle interpretaz.ioni, Jaca Book, Milano 1972, in particolare 3537. 8 «Se cbia1nian10 sirnbolica la funzione significante nel suo insic1nc, non abbiaino plù un tenninc per designare quel gruppo cli segni ln cui trama intenzionale richiede una lettura di un nitro senso entro il pri1no, letterale, i1n111ediato. Mi è parso che non si potesse fondatarnentc porre il proble1na dell'unità dcl linguaggio, se pri1na
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che è quella svolta da un testo che ha già in sé un significato inunediato, letterale, n1anlfesto, rispetto ad un altro senso, non in11nelliato, latente, cui esso rùnanda 9• Ricoeur restringe dunque di proposito la nozione di simbolo «alla espressione dal senso duplice o multiplo la cui trama semantica è correlativa al lavoro interpretativo che ne esplicita il senso secondario o i sensi multipli» 10 • A questo punto, però, osserva Ricoeur, potremmo essere tentati da una definizione troppo ristretta del simbolo. «Secondo questa definizione, il legame dal senso al senso, nel simbolo, può essere caratterizzato n1ediante J 'analogia» 11 • Ma l'analogia che costituisce il senso e la forza positiva dci simboli, non è per niente riducibile a quel tipo di argomentazione che è il ragionamento per analogia". non sì fosse data consistenza a un gruppo di espressioni che hanno in co1nunc i! ratto di designare un senso indiretto in e 1nediante un .senso diretto, e che richiedono pertanto qualcosa con1c una decifrazione, inso1n1na, nell'accezione precisa della parola, una interpretazione. La funzione simbolica è voler dire una cosa altra da ciò che si dice» (P. RICOEUR, Della inte1pretazione. Saggio su Freud, cit., 24). 9 «Diciaino che le parole, in ragione della loro qualità sensibile, espri1110110 delle significazioni e che, grazie alla loro significazione, designano qualche cosa. La parola "significazione" copre queste due coppie dell'espressione e della designazione. Non è questa dualità che è in questione nel sin1bolo. Essa è di un grado superiore; non è né quella del segno sensibile e della significazione, né quella della significazione e della co.sa, la quale d'altronde è inseparabile dalla precedente (ibid., 24-25). IO Jbid., 25. 11 Jbid., 29. «Per riprendere gli ese1npi della sin1bolìca del 1nale, tra la macchia e la lordura, la deviazione e il peccato, il fardello e la colpa, non vi è forse un'analogia che in qualche 1nodo sarebbe l'analogia del fisico e dell'esistenziale? Un'analogia non vi è pure tra l'i1n1nensità del cielo e l'infinito dell'essere, qualunque cosa questo significhi? Alle radici delle "correspondances" cantate dal poeta, non vi è l'analogia? Platonisrno, neoplatonis1no e filosofia dell'analogia dell'essere, convalidano questa definizione)) (I.e.). 12 «l ... ] cioè, in senso preciso, il ragionan1ento dcl quarto proporzionale: A sta a B come C sta a D. L'analogia che può esistere tra il senso secondario e il senso primario non è un rapporto che io possa pon11i sotto gli occhi e considerare dal di fuori, non è un argo1nento; anziché prestarsi alla fonnalizzazione, è unn relazione aderente ai suoi termini; il senso pri1nario rni conduce, ma io sono diretto verso di lui dal senso secondario. Il senso simbolico è costituito entro e mediante il senso lelterale che realizza l'analogia offrendo l'analogo; n differenza di una si1nilitudinc che potrc1111110 considerare dall'esterno, il si1nbolo è il movirnento stesso <lei senso pri1nario che ci assirnila intenzionalinentc a ciò che è sin1bolizzato, senza che In si1nilitudine possa essere intellettualn1ente dominata da noi.
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Allo scopo di arbitrare la discordanza tra una definizione troppo "lata" e una definizione troppo "stretta" del simbolo, il nostro Autore propone di circoscrivere il campo di applicazione del concetto di simbolo facendo riferimento ali' atto di interpretare 13 • «Vi è simbolo là dove lespressione linguistica, a causa del suo senso duplice e dei suoi sensi multipli, si presta a un lavoro di interpretazione. A suscitare questo lavoro è una struttura intenzionale che non consiste nel rapJJOrlo ciel senso con la cosa, nza in un 'architettura ciel senso, in un ra1111orto ciel senso con il senso, del senso seconclario con quello prùnario, sia o no questo rapporto di analogia, oppure sia il senso prùnario che nascone/e il senso seconclario o lo rivela. E' questa trama che rende possibile l'interpretazione, benché solo il movimento effettivo dell'interpretazione la renda manifesta»'''· La mediazione propria del simbolo dunque si manifesta nell'i11terpretazio11e, cui pertanto il simbolo rimanda, come a ciò che lo svela nel suo doppio senso e come a ciò attraverso cui si può cogliere nel senso manifesto il senso latente di esso. Questo lavoro di interpretazione non è pertanto estrinseco al simbolo; ma è il simbolo stesso che, per essere colto come tale, fa appello alla interpretazione; solo nell'interpretazione si coglie la surdeterminazione del senso che costituisce il simbolo e se ne svela la ricchezza 15 •
Questa rettifica della nozione di analogia non è tuttavia sufficiente a coprire tutto il campo dell'ern1cneuLica. Piuttosto, sono portato a pensare che l'analogia non è che una delle relazioni rnesse in gioco tra il senso 1nanifcsto e il senso latente» (I.e.). 13 lbhl., 30. 14 L.c. 15 «[ .. ] rispctfo al si1nbolo, questo legame con l'interpretazione non è esterno, non è introdotto in aggiunta ad esso co1ne un pensiero occasionale: indubbiamente il si1nbolo è, nel senso greco dcl tern1inc, un "enign1a", ma dice Eraclito: 'Il signore che ha l'oracolo in Delfi non dice e non nasconde, ma accenna' [ ... 1. L'enigma non arresta l'intelligenza, la provoca; nel sin1bolo vi è qualcosa da svolgere, da esplicitare, appunto il senso duplice, la mira intenzionale del senso secondario entro e n1ediante il senso pri1nario, quel senso duplice che suscita l'intelligenza. Questo è il n1otivo per cui non vi è simbolo senza un inizio di interpretazione; là dove un uon10 ha sognato, profetizzato o poetato, un altro uomo si erge a interpretnre; e l'interpretazione appartiene in n1odo organico sia al pensiero sin1bolico che al suo senso duplice» (ibid., 30-31 ).
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Questo appello all'interpretazione che deriva dal simbolo ci garantisce che una riflessione sul simbolo è propria di una filosofia del linguaggio e anche della ragione. Il simbolo racchiude una semantica ad esso peculiare, stimola un'attività intellettuale cli decifrazione, di decodificazione: ma appunto per ciò esso non cade mai fuori della circoscrizione del linguaggio. «li simbolo non è un non-linguaggio. La frattura tra linguaggio univoco e linguaggio multivoco passa attraverso l'impero del linguaggio; il lavoro, forse inesauribile, dell'interpretazione riesce a rivelare questa ricchezza, questa sovradeterminazione del senso, e a rendere n1anifesta l'appartenenza del simbolo al discorso integrale» 16 • Questo approccio al simbolo ci rimanda dunque alla questione: che cosa è l 'inte1pretazione? Se ricorriamo alla tradizione) secondo Ricoeur, siamo rinviati a due usi, di cui il primo, anche in questo caso ci propone un concetto troppo "stretto" di interpretazione, l'altro un concetto troppo "lato". Le due variazioni nel l'estensione del concetto di interpretazione riflettono le variazioni considerate nella definizione del simbolo, Le due fonti storiche di queste discordanti tradizioni sono il De Inte1pretatione di Aristotele e l'esegesi biblica 17 , Nel secondo libro deII'Orga11011 di Aristotele ogni suono e1nesso llalla voce e dotato di significazione è già interpretazione; sebbene interpretazione nel senso più preciso del termine si abbia nella proposizione dichiarativa che dice qualcosa di qualcosa. Ma dire qualcosa di qualcosa nella logica aristotelica in tanto è possibile in quanto le parole hanno un senso univoco, corrispondente alle essenze delle cose une e identiche in se stesse, e in quanto l'essere si può dire in molti modi, perché altrimenti non sarebbe possibile nessuna "predicazione" sulla realtà. Tutti i diversi sensi del termine "essere" si ordinano, perciò, in un rapporto con un senso pri1nario, che non costituisce una significazione univoca del tern1ine, ma analogica il. 1
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lbid., 32. lbid., 34. Cfr. ibid., 35-37.
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Questa molteplicità di significazioni del termine "essere" connesse fra loro da un rapporto di natura analogico, riscontrabile nell'analisi della proposizione dichiarativa fatta da Aristotele, ci pone di fronte a quell'uso del concetto di interpretazione da Ricoeur chiamato troppo "lato" e che non può accostarsi ali 'uso del simbolo nel senso della funzione simbolica teorizzata da Cassirer e da molti moderni 19 .
Nonostante questo, una riflessione sull'analisi propriamente semantica del "dire qualcosa di qualcosa" ci conduce ai margini di una ermeneutica del senso duplice; infatti la nozione di "essere" sopra considerata si rivela come l'unità problematica di una pluralità irriducibile di significazioni"'. La seconda tradizione, però, ci porterà più vicini allo scopo. Essa deriva dall'esegesi biblica, dove la molteplicità delle significazioni (i quattro sensi della Scrittura) non si cercava più nel termine Hessere", ma nel testo scritturistico 21 • «In particolare, proprio in quella sede furono elaborate le nozioni di analogia, allegoria, senso simbolico, cui - scrive l'Autore - faremo sovente ricorso. Questa seconda tradizione assimila dunque l'ermeneutica alla definizione di simbolo mediante l'analogia, per quanto non la riduca completamente a quella definizione»''· Nel Medioevo, dietro la suggestione della metafora del "Libro della natura", si parla di interpretatio naturae: si supera così la nozione di testo come "scrittura" e ci si avvicina di più ali' oggetto della interpretazione così con1e oggi viene concepito, cioè co1ne un insie1ne di segni suscettibile di essere considerato come un testo da decifrare, e fra questi si possono rinvenire quindi anche un sogno, un sintomo nevrotico, ed anche un rito, un 1nito, un'opera d'arte, una credenza,
ecc. 23 .
19
lbid., 35.
°Cfr. ihid., 21 2
37. Cfr. ibid., 37-38.
22
lbid., 38.
23
Cfr. I.e.
L'ern1eneutica di Ricoeur fra interpretazione e sùnbolo·--------···--···--------··-- -
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Assieme all'ampliarsi del concetto di testo a mano a mano vengono a delinearsi le concezioni diverse dell 'interpretazione24 . Oggi non vigono più un'ermeneutica generale, un canone universale per l'esegesi, bensì teorie separate e contrapposte, riguardanti le regole dell'interpretazione. Ricoeur riduce questa divisione ad una radicale opposizione che crea, a suo giudizio, la maggior tensione nel campo ermeneutico. «Da un lato, l'ermeneutica è intesa come la manifestazione e la restaurazione di un senso che mi è indirizzato come un messaggio, un proclama, o come talvolta si dice, un kerigma; dall'altro, come una demistificazione, una riduzione di illusionÌ» 25 •
24 «Per ora diciatno solo che questa nuova strada aperta al concetto di interpretazione è connessa a una nuova problen1alica della rappresentazione, della Vorste!lu11g. Non si tratta più dcl proble1na kantiano di sapere come una rappresentazione soggettiva può avere una validità oggettiva, ma questo problenHl, centrale in una filosofia critica, regredisce a vantaggio di una questione più radicale; il problema della validità restava ancora nell'orbita della filosofia platonica della verità e della scienza, i cui contrari erano l'errore e l'opinione; il problcn1a dell'interpretazione si riferisce ad una nuova possibilità che non è più l'errore e l'opinione nel senso cpisten1ologico, né la incnzogna nel senso 1norale, ma !'illusione, il cui statuto discutcrc1no più tardi. Tralasciaino per ora ciò che ben presto verrà posto in questione, e cioè l'uso dell'interpretazione come tattica del sospetto e lotta contro le 1naschcre, uso che richiede una filosofia parlicolarissi1na che subordini all'espressione della "volontà di potenza", l'intero problcn1a della verità e dell'errore» (ibid., 39). 25 !bid., 40-41. «E' necessario che fin dall'inizio sia1no posti di fronte a questa doppia possibilità. Questa tensione, questa trazione estrc1na è l'espressione più veridica della nostra "modernità", la situazione in cui si trova oggi il linguaggio iinplica questa doppia possibilità, doppia sollecitazione, doppia urgenza: per un verso purificare il discorso dalle sue escrescenze, liquidare gli idoli, portarsi dall'ebbrezza alla sobrietà, fare una buona volta il bilancio della nostra povertà; per l'altro verso, far uso della più "nichilista'', distruggitrice, iconoclasta delle azioni, per lasciar parlare ciò che una volta, e ogni volta, è stato detto quando nuovo appare il senso, quando pieno era il senso. Da un duplice motivo, volontà di sospetto e volontà di ascolto, voto di rigore e voto di obbedienza, l'enneneutica mi se1nbra spinta. Noi siamo oggi quegli uoinini che non hanno completato l'opera di far 1norire gli idoli e co1ninciano appena a comprendere i sùnbo/i. Forse, nell'apparente difficoltà, la situazione è istruttiva: l'estrema iconoclastia appartiene forse alla restaurazione del senso. Rendere esplicita questa crisi dcl linguaggio per cui oggi oscillia1no tra la demistificazione e la restaurazione dcl senso, questo è il 1notivo profondo che giustifica la posizione iniziale del nostro problema» (ibid., 41).
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All'interpretazione presiede pertanto una pre-con1prensione della realtà che genera un atteggiamento, origine di decisioni filosofiche che costituiscono l'anima segreta di ogni interpretazione, nascoste nella loro apparente neutralità. Al!' atteggiamento del sospetto che intende l'interpretazione come demistificazione, come riduzione delle illusioni, come iconoclastia del simbolo, si oppone l'atteggiamento dell'ascolto che presenta l'interpretazione come un voto di obbedienza nei confronti di un senso che ci è indirizzato come un messaggio incorporato nel simbolo stesso. Il contrario del sospetto è la fede". Si instaura così il "circolo ermeneutico" di credere per comprendere e di comprendere per credere, che è, se vogliamo anticipare il risultato della lunga ricerca di Ricoeur, la soluzione dell'opposizione. li credere è il recupero della ingenuità della fede, dell'atteggiamento di ascolto, della volontà di obbedienza, un recupero che, però, è fatto attraverso la critica, la scaltrezza dcll 'interpretazione alla quale contribuisce anche la volontà di sospetto, qualora questa non si costituisca come lorizzonte ultimo dcl comprendere.
2. Interpretazione con1e ascolto e interpretazione con1e sospetto
L'interpretazione come ascolto è innanzitutto caratterizzata da una preoccupazione 11er l'oggetto, come qualcosa da intendere e non già da ridurre, dentro una spiegazione scientifica. Questa intenzione ali' oggetto è già presente nella fenomenologia husserliana, anche se
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«Affcnnerò recisamente che il contrario del sospetto è la fede. Quale fede? Non certo la fede priin<J, quella umile e se1nplice, 1na la fede seconda dell'ermeneutica, Jn fede che è passata attraverso In critica, la fede successiva alla critica. Intendo rintracciarla in quel seguito di decisioni filosofiche che costituiscono l'anima segreta di una fenomenologia della religione, nascoste fino all'apparente neutralità. ln quanto interpreta, è una fede ragionevole, 1na in quanto ricerca, mediante l'interpretazione, una nuova ingenuità, si tratta di una fede. La fenon1enologia diventa per essu lo strumento dell'ascolto, della meditazione, della restaurazione del senso. Sua rnassi1na sarà credere per comprendere, comprendere per credere; e questa n1assin1a è lo stesso "circolo enneneutico" del credere e del comprendere» (ibid., 42).
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nei limiti di un atteggiamento "neutro", di un atteggiamento cioè che si limita a riconoscere questa intenzione a qualcosa nel rito) nel 1nito, nella credenza religiosa, senza pronunciarsi però sulla realtà dell'oggetto inteso 27 • Secondo Ricoeur, al filosofo non è possibile mantenersi dentro questa neutralità; egli non può privilegiare questo atteggiamento rispetto a quello riduttivo della spiegazione, senza aspettarsi che l'oggetto inteso sia un "qualcosa" che si rivolge all'interprete, come una interpellanza"E' l'attesa di una interpellanza che anima la preoccupazione per l'oggetto. In questa attesa è implicita una fiducia nel linguaggio, «cioè la credenza che il linguaggio che sorregge i simboli non è tanto parlato dagli uomini, quanto parlato agli uomini, che gli uomini sono nati in seno al linguaggio, in mezzo alla luce del logos 'che rischiara ogni uomo che viene nel mondo'». 29 E' questa credenza il luogo in cui "la mira intenzionale" si converte in ascolto del kerign1a 30 •
27 Cfr. ibìd., 42-43. 28 «Ora, può una feno1ncnologia del sacro permanere nei lin1iti di un attcggian1ento "neutro", regolato dall'epoché, dalla messa fra parentesi della realtà assoluta e di ogni questione riguardante l'essere? L'epoché esige la inia partecipazione alla credenza nella realtà dell'oggctlo religioso, ma secondo una inoda!ità neutralizzata; devo credere con il credente, 1na senza porre assoluta1nente l'oggetlo della sua credenza. Tuttavia, se lo studioso in quanto tale può e deve 1netterc in pratica questo 1nctodo di messa tra parentesi, al filosofo in quanto tale non è pennesso eludere la questione della validità assoluta dcl suo oggetto: come potrei interessanni all"'oggetto", privilegiare la preoccupazione per l'oggetto, perfino attraverso la considerazione della causa, della genesi o della funzione, se non tni aspettassi che, dal seno della comprensione, quel "qualcosa" si rivolge a me? Non è l'attesa di una interpellanza che ani1na la preoccupazione per l'oggetto?» (ibid., 43). 29 Ibid., 41. :io «Sono l'attesa, la fiducia, la credenza, che conferiscono allo studio del sitnbolo la sua peculiare gravità. In verità debbo dire che è questa attesa che anima tutta la inia ricerca. Ora, è proprio essa che oggi è contestata da tutta la corrente dell'ermeneutica che abbian10 appena posto sotto il segno dcl "sospetto"; quest'altra teoria della interpretazione comincia appunto dal dubbio che vi sia un tale oggetto e che questo oggetto possa essere il luogo in cui la mira intenzionale si inverte in kerign1a, in manifestazione e in proclan1azionc. Questo è il inotivo per cui tale
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II simbolo, in questa concezione, è la pienezza del linguaggio, il luogo in cui il senso secondo abita in qualche modo nel senso primo. E tale caratteristica lo contrappone al segno tecnico, che significa soltanto ciò che in esso è posto e, per questa ragione, può essere svuotato, formalizzato, ridotto ad un semplice oggetto di calcolo. Solo il simbolo dà ciò che dice. Il senso secondo che in esso abita, si rivolge a me e fa di me un soggetto interpellato: il senso secondo 1ni assùnila e mi rende partecipe di ciò che è annunciato. In ciò si produce quella inversione del movimento del pensiero che, da mira intenzionale, si trasforma in analogia". A tal proposito così precisa il Nostro: «La similitudine in cui consiste la forza del simbolo e da cui esso trae il suo potere rivelatore non è infatti una rassomiglianza oggettiva, che io possa considerare come una relazione esibita di fronte a me; è una assimilazione esistenziale del mio essere secondo il movimento dell'analogia» 32 • Però è da riconoscere che in questa concezione del simbolo è superata e infranta la "neutralità" fenomenologica. Una tale concezione, infatti, si fonda sulla decisione filosofica che può ritenersi una versione moderna dell'antica ren1iniscenza: «La moderna
preoccupazione per i simboli esprime un desiderio nuovo di essere interpellati, oltre il silenzio e l'oblio che la manipolazione dei segni vuoti e la costrizione dei linguaggi formalizzati fanno proliferare. Questa attesa di una nuova Parola, di una nuova attualità della Parola, è il pensiero implicito di ogni fenomenologia dei simboli, che dapprima pone l'accento sull'oggetto, quindi sottolinea la pienezza del simbolo, per salutare infine il potere rivelatore della parola originaria» 1.l,
A questa interpretazione del simbolo si oppone qnella che Ricoeur definisce l'interpretazione co111e sospetto, di cui tre maestri, Marx, Nietzsche e Freud sono stati gli esponenti più significativi. crn1eneutica non è una esplicitazione dell'oggetto, ma uno strappare la maschera, un'interpretazione riduttrice dei travesti1ncnti» (ibid., 43~44). 31 Cfr. ibùl., 45. 32 3 ·1
L.c.
!bid., 46. Per uno sviluppo di questi temi cfr. P. RICOEUR, Enneneutica e strutturali.Hno e Io., La shnbofica de{ 111a/e interpretata, in li conflitto delle interpretazioni, cit.
Il loro comune intento è la decisione di considerare la coscienza nel suo insieme come coscienza "falsa". La coscienza non è più, secondo quanto aveva teorizzato Cartesio, così come appare a se stessa, ossia il luogo della immediata certezza di sé34 • Per la comprensione di sé, dunque, non si può partire dalla coscienza che si ha di se stessi, quanto piuttosto dalle espressioni di noi uomini, espressioni che devono essere decifrate: si costituisce così una scienza niediata del senso, irriducibile alla coscienza inunediata 35 • La decifrazione delle espressioni della coscienza dell'uomo deve percorrere all'inverso il cammino inconscio di messa in cifra che rispettivamente Marx, Nietzsche e Freud attribuivano all'essere sociale, alla volontà di potenza o allo psichismo inconscio. Una restaurazione della verità della coscienza contro la falsa immediatezza di essa 36 deve passare attraverso la rude disciplina della
:i 4 «Se risalian10 alla loro intenzione con1unc, troviaino in essa la decisione di considerare innanzitutto la coscienza nel suo insieme carne coscienza "ralsa". Con ciò essi riprendono, ognuno in diverso registro, il problcn1a del dubbio cartesiano, ma lo portano nel cuore stesso della fortezza cnrtc.siana. Il filosofo educato alla scuola di Cartesio sa che le cose sono dubbie, che non sono con1c appaiono: n1a non dubita che la coscienza non sia così con1c appare a se stessa; in essa, senso e coscienza del senso coincidono; di questo, dopo Marx, Nietzsche e Freud, noi dubitian10. Dopo il dubbio sulla cosa, è la volt8 per noi del dubbio sulla coscienza>> (P. RICOEUR, Della interpretazione. Saggio su Freud, cit., 47). 35 «Cartesio trionfa del dubbio sulla cosa con l'evidenza della coscienza; dcl dubbio sulla coscienza essi trionfano per 1nezzo di un'esegesi dcl senso. A partire da loro, la comprensione è un'cnncneutica; cercare il senso non consiste più d'ora in poi nel con1pitare la coscienza dcl senso, 1na nella dec!fì·azione delle espressioni [ ... ]. Ciò che essi hanno tentato, tutti e tre, per strade differenti, è stato di far coincidere i loro n1etodi "consci" di decifrazione con il lavoro "inconscio" di 1nessa in cifra che essi attribuivano alla volontà di potenza, all'essere sociale, allo psichisrno inconscio. Ciò che distingue quindi Marx, Freud e Nietzsche è l'ipotesi generale riguardante insien1e il processo della "falsa" coscienza e il 1nctodo di decifrazione;> (ibid., 47-48). 16 «[ ... ] tutti e tre iniziano col sospetto sulle illusioni della coscienza e continuano con l'astuzin della decifrazione, e, inrine, anziché essere detrattori della "coscienza'', 1nirano a una sua estensione. Ciò che Marx vuole è liberare la praxis inecliante la conoscenza della necessità; rna questa liberazione è inseparabile da una "rrcsa di coscienza" che replichi viltoriosan1cnle nllc 1nisLificazioni della falsa coscienza. Ciò che Nietzsche vuole è l'aun1ento della potenza dell'uomo, la restaurazione della sua forza; 1na quel che vuol dire volontà di potenza deve essere ricuperato dnlla meditazione delle cifre del "superuo1no", dell'eterno ritorno" e di "Dioniso", senza di che quella potenza sarebbe solo la violenzn dcl di qua. Ciò che Freud vuole è che l'analizzato, appropriandosi del senso che gli era estraneo, allarghi
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interpretazione, per la quale le espressioni dell'uomo vengono ridotte alla loro origine. Ciò che contrappone la scuola del sospetto a ogni ermeneutica intesa come ascolto, è la pretesa, propria dei maestri del sospetto, di padroneggiare l'origine di ogni umana espressività, riconducendo tutte le espressioni della coscienza ad una spiegazione scientifica, cioè ad una spiegazione ultima della quale l'uomo può dare ragione sufficiente37. Si apre così una delicata questione enneneutica e nasce la domanda: fino a che punto ed entro quali limiti una .filosofia della riflessione è abilitata a spiegare scientificamente ed avere la pretesa di dire una parola ultima sull'origine dell'umana espressività? Una filosofia della riflessione, secondo Ricoeur, quando instaura la questione del senso dell'Ego, non è riconducibile alla pretesa evidenza della coscienza in11nediata38 .
il proprio ca1npo di coscienza, viva in 1nigliori condizioni e sia infine un po' più libero e, se è possibile, un po' pili felice. Uno dei pri1ni omaggi resi alla psicoanalisi parla di 'guarigione ad opera della coscienza'. L'espressione è esatta. A patto di dire che l'analisi intende sostituire ad una conoscenza im1ncdiata e dissin1ulantc una coscienza n1cdiata e istruita dal principio della realtà» (ibid., 49). 37 «Nel n101nento in cui i nostri tre nu1estri del sospetto trovano la loro convergenza positiva, essi offrono alla fenomenologia del sacro e a ogni ermeneutica come n1editazionc del senso e co1ne rc1niniscenza dell'essere, la pili radicale contrapposizione. Il teina di questa contestazione è il destino di ciò che chiamerò brevemente, il nucleo rnitico~poctico dell'lin1naginazione. Di contro alla "illusione'', alla funzione affabulatricc, l'enneneutica de1nistificante innalza la rude disciplina della necessità. E' la lezione di Spinoza: dappri1na ci scopria1no schiavi, co1nprendia1no la nostra schiavitù, ci ritroviaino liberi nella necessità con1presa. L'Etica è il prin10 modello di questa ascesi che la libido, la Volontà di potenza, l'i1nperialisn10 della classe do1ninantc devono attraversare. Ma, di rin1ando, a questa disciplina del reale, ascesi dcl nece.'>sario, non 1nancano la grazia dell'i1n1naginazionc, l'emergenza del possibile? E qucstn grazia dell'immaginazione non ha qualcosa a che vedere con la Parola con1e Rivelazione?» (ihid., SO). 3 ~ «I! sirnbolo dà di che pensare, era la mia afferrnazione che riprendeva un detto di J(ant nella Critica del giudizio. Dà, è il dono del linguaggio; ma questo dono mi crea il dovere di pensare, di inaugurare il discorso filosofico a partire proprio da ciò che sc1npre io precede e lo fonds. Non ho tenuto nascosto il carattere paradossale di questa pro1nessa; al contrario l'ho accentuato, di volta in volta, affermando che la filosofia non inizia nulla, giacché la precede il ple1111n1 dcl linguaggio, e che essa inizia da sé giacché è essa che instaura la questione del senso e del fondaincnto di senso [ ... J.
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L'Ego deve essere riafferrato nello specchio dei suoi oggetti, delle sue opere e infine dci suoi atti. Lo scopo quindi di una filosofia della riflessione è quello di «cogliere l'Ego nel suo sforzo per esistere, nel suo desiderio di essere. E' qui che una filosofia riflessiva ritrova e forse salva l'idea platonica che la fonte della conoscenza è essa stessa Eros, desiderio, amore, o l'idea spinoziana per cui è conatus, sforzo. Questo sforzo è un desiderio, giacché non è mai soddisfatto; giacché è la posizione affermativa di un essere singolare e non semplicemente una 1nancanza di essere, questo desiderio è uno sforzo. Sforzo e desiderio sono i due aspetti della posizione del "Sé" nella prima verità, io sono» 39 • Aggiunge Ricoeur, che citiamo estesamente, data l'importanza decisiva del suo argomentare: «Siamo adesso in grado di completare la nostra proposizione negativa - la riflessione non è l'intuizione mediante una proposizione positiva: la riflessione è l'appropriazione del nostro sj'orzo ]Jer esistere e (fel nostro desiderio ti' essere, attraverso le opere che testilnoniano di questo sforzo e lii questo llesillerio»·w, sforzo e desiderio che costituiscono il senso della prima verità dell'Ego: io sono. Ma è qui che la riflessione fa appello alla interpretazione e vuole mutarsi in e17neneutica, «in quanto - avverte il filosofo francese - non possibile afferrare l'atto di esistere in altro luogo che nei segni disseminati nel mondo. Questo è il motivo per cui una filosofia riflessiva deve includere i risultati, i metodi e i presupposti di tutte le scienze che tentano di decifrare e di interpretare i segni dell'uomo. Tale è, nel suo principio e nella più vasta generalità, la radice del problema ermeneutico. Lo pongono, da una parte l'esistenza di fatto Questo punto non può essere co1npreso finché la riflessione appnre come un ritorno alla pretesa evidenza della coscienza immediata; è necessario che introducia1no un secondo aspetto della riflessione, che si enuncia nel 1nodo seguente: riflessione non è intuizione, o, in tern1ini positivi, la riflessione è lo sforzo per riafferrare l'Ego
dell'Ego cogito nello specchio dci suoi oggetti, delle sue opere e infine dei suoi atli. Orbene, per quale 1notivo la posizione dell'Ego dev'essere riafferrata attraverso i suoi atti? Prccisa1ncnte perché non è data né in una evidenza psicologica, né in una intuizione intellettuale, né in una visione inistica. Una filosofia riflessiva è il contrario di una filosofia dell'in1rncdiato» (ibid., 54-59, passi1n). 19 Cfr. ibid., 62. 40
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del linguaggio simbolico che fa appello alla riflessione, ma anche, in senso inverso, l'indigenza della riflessione che fa appello all'interpretazione: ponendo se stessa, la riflessione comprende la propria impotenza a superare lastrazione vana e vuota dell "'io penso" e la necessità di recuperare se stessa decifrando i propri segni perduti nel mondo della cultura. Così la riflessione comprende da sé che non è innanzitutto scienza, che, per dispiegarsi, le è necessario riprendere in se stessa gli opachi, contingenti ed equivoci segni, che sono dispersi nelle culture in cui il nostro linguaggio si radica»". A questo punto è inevitabile che la riflessione, attraverso la quale l'uomo tende ad una comprensione di sé, passi attraverso la contingenza delle culture, i linguaggi equivoci e, pertanto, attraverso la guerra delle ermeneutiche42 . Ma ci si chiede: far morire gli idoli e ascoltare i simboli non è una sola e medesima impresa? «In effetti - scrive Ricoeur - l'unità profonda della demistificazione e della rimilizzazione del discorso non può apparire se non al termine di una ascesi della riflessione, nel corso della quale il dibattito che rende drammatico il campo ermeneutico sarà diventato una disciplina del pensare[ ... ]. Non vi sono dubbi che bisognerà spingersi abbastanza nella lotta delle interpretazioni prima di vedere apparire, come un'esigenza della nostra stessa guerra delle ermeneutiche, il modo di radicarle insieme nella riflessione. Ma a sua volta la riflessione non sarà più la posizione, esangue quanto perentoria, sterile quanto irrefutabile, dell"'ìo penso, io sono": sarà diventata riflessione concreta, e lo sarà diventata per la grazia stessa della rnde disciplina ermeneutica» 43 .
41 lbid., 63. Su questo terna del rapporto tra filosofia riflessiva cd en11encutica, cfr. P. RICOEUR, Enneneutica e fenon1e11ologia, in li C(n~f!itto delle interpretazioni, cit., 225-281. 42 «[ ... ] solamente la riflessione astratta parla di un punto zero. Per diventare concreta, la riflessione deve perdere la sua in11nediata pretesa alla universalità, fino a quando non avrà fuso l'una nell'altra la necessità ciel suo principio e la conlingenza dei segni attraverso i quali si riconosce. La fusione può co1npiersi appunto nel 1novin1cnto di interpretazione» (P. RICOEUR, !Je!fa ;,i1e17Jretazione. Saggio su Freud, cii., 64). 41 · lbid., 71-73.
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3. Drizzante della fede e pensiero riflessivo Ritorniamo adesso a quello che era il punto di partenza di Ricoeur, cioè l'interpretazione del simbolo e, in particolare, del simbolismo religioso. E' qui che egli dichiara con atteggiamento umile e rigoroso ad un tempo: «non vorrei far credere che sia possibile raggiungere l'origine radicale di questo simbolismo mediante una progressiva espansione del pensiero riflessivo [ ... ]. Di buon grado riconosco anche che essa eccede le possibilità di una filosofia della riflessione [ ... ] nella misura in cui resta in ogni sua parte un metodo di immanenza» 44 . L'origine della fede, infatti, sta nella sollecitazione dell'uomo da parte dell'oggetto della fede". La filosofia della riflessione, nella misura m cui essa resta in ogni sua parte un 111etodo di ùnnianenza, può soltanto orientare I' ermeneutica delle opere che testimoniano lo sforzo e il desiderio di esistere dell'uomo verso una archeologia del Cogito (seguendo Freud), cioè cercando nelle opere le "vestigia" di un passato che da inconscio può divenire conscio; oppure verso una teleologia del Cogùo (seguendo Hegel), che vede in esse, alla luce di un senso ulteriore che può essere considerato come l'anticipo che lo spirito prende su se stesso, co1ne la proiezione di un telos 46 . Chiarisce ulteriormente Ricoeur che: «in confronto a questa archeologia di me stesso e a questa teleologia di me stesso, la genesi e l'escatologia sono il "tutt'altro''. Certamente, non parlo del
11 • • Jbid., 566. «Se una proble1natica autentica della fede esiste, essa appartiene ad una di111cnsione nuova, che altrove, in un contesto filosofico differente, ho chian1ato una Poétique de la \!ofonté, in quanto riguarda l'origine radicale dell'Io voglio, la donazione di potenza coltu alla fonte della propria efficacia; nel particolare contesto di quest'opera questa di1nensione nuova !a chia1no l'interpellanza, il kerig111a, la parola a me rivolta. In questo senso resto fedele alla impostazione del proble1na teologico avanzata da Karl Barlh» (/.c.). 45 L.c. 46 Per un approfondimento di queste riflessioni, cfr. ibid., 461-526. Ritcnia1no infatti di non doverci ulteriorn1entc dilungare sull'argomento perché ci se1nbra di aver detto l'essenziale per il nostro discorso e che un'analisi più particolareggiata disturberebbe la linearità della nostra esposizione.
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"tutt'altro" se non per quello che si rivolge a me; e il kerigma, la buona novella, è proprio ciò che si rivolge a me e cessa di essere il "tutt'altro". Di un "tutt'altro" assoluto non potrei sapere nulla. Ma, per il suo stesso modo di avvicinarsi, di giungere, esso si annuncia come "tutt'altro" dall'arché e dal telos che posso concepire secondo la riflessione. Si annuncia come "tutt'altro" in quanto annulla la sua radicale altcrità» 47 • Se l'origine della problematica della fede è diversa da quella della filosofia riflessiva, tuttavia il campo in cui la prima si manifesta è il medesimo della seconda; infatti il "tutt'altro", ciò che si annulla nella nostra carne, è il "tutt'altro" come logos. Ridiamo la parola al Nostro che così esplicita questo delicato punto nodale: «Con ciò diventa evento della parola umana e solo nel movimento del!' interpretazione della parola umana può essere riconosciuto. E' nato il "circolo erineneutico": credere significa ascoltare l'interpellanza, ma per fare questo bisogna interpretare il messaggio. Bisogna quindi credere per comprendere e comprendere per credere» 48 • Rendendosi in tal modo immanente il "tutt'altro" alla parola urnana, l'origine radicale e la fine ultima si fanno scorgere dentro il problema dell'archeologia e della teleologia, sebbene l'origine radicale sia "altra" da quella origine che la riflessione umana può fissare e sebbene la fine ulti1na sia "altra" da qualsiasi anticipazione che noi possian10 formulare sul nostro conto. ~<Creazione ed escatologia - è ancora Ricoeur che scrive - si annunciano co1ne orizzonte della mia archeologia e della mia teleologia. L'orizzonte è la
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!bid., 566. L.c. «L. 'a!fa e l'orncga si avvicinano alla riflessione, come orizzonte delle rnie radici e con1e orizzonte delle inie rnire; è il radicale dcl radicale, il supremo del suprcn10. Proprio qui una feno1ncnologia dcl sacro, nel senso di van cler Leew e dì Eliade, unita ad una esegesi kerign1atica, co1ne la intendono Karl Barth e Bulttnann (che non penso in questa sede di contrapporre), può dare il ca1nbio alla riflessione e offrire a un pensiero di stile 1neditativo nuove espressioni sitnboliche, situate nel punto di rottura e di sutura tra il "tutt'altro" e il nostro discorso>>. ·!8
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metafora per ciò che è sempre più vicino senza mai diventare oggetto posseduto» 49 • Più avanti il Nostro precisa il problema in questi termini: «Alla riflessione un articolarsi di questo tipo si presenta come una rottura, giacché è verissimo che la fenomenologia del sacro non è una continuazione di una fenomenologia dello spirito; una teleologia, condotta in uno stile hegeliano, non ha per eschaton, per fine ultimo, il sacro arrecato dal mito, dal rito e dalla credenza. La parte di sé verso cui questa teleologia mira è il sapere assoluto, non la fede, e il sapere assoluto non propone nessuna trascendenza, n1a il riassorbi1nento di ogni trascendenza in un sapere di sé interamente 1nediato. E' perciò impossibile inserire questa fenomenologia del sacro al posto del I' eschaton e nella struttura dell'orizzonte, senza contestare la pretesa del sapere assoluto. Ma se la riflessione non può produrre dal proprio seno il senso che si rivela in questo "approccio" - il regno di Dio vi è vicino -, quanto meno può capire perché non può rinchiudersi su di sé e completare il proprio senso con le risorse di cui dispone. La "ragione" di questo scacco è il male»"'. Sen1bra proprio che, per una specie di conversione diabolica, quell'orizzonte, costituito dalla creazione e dalla escatologia e che abbia1no riconosciuto con1c "altro" rispetto a ogni ca1npo puramente i1nmanentc a11a riflessione, tenda continuan1ente a convertirsi in oggetto".
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L.c. !bid., 567-568. «In breve, il problc1na dcl n1alc ci obbliga a ritornare da
Hegel a Kant, intendo dire da una dissoluzione dcl proble1na del 1nalc nella dialettica '11 riconoscimento della posizione del male co1nc di un inscrutabile, che non può di conseguenza essere ricuper<lLO in una speculnzione, in un sapere totale cd assoluto. Così i si1nboli dcl n1ale attestano la non superabilità di tutta la si1nbolica; nello stesso 1nomento in cui parlano di scacco della noslra esistenza e della nostra potenza di esistere, essi sono la dichiarazione di fr1lli1nenlo dei sistemi di pensiero che vorrebbero inghiottire i sin1boli in un saper assoluto» (ibid., 569). 51 «Kant, per prin10, ci ha insegnato a considerare /'illusione co1nc una struttura necessaria dcl pensiero e dell'incondizionato. Lo Schein trascendenulie non è un se1nplice errore, un puro accidente della storia dcl pensiero; è un'illusione necessaria. Si trova qui a n1io parere l'origine radicale di ogni "falsa coscienza", al di là della n1enzogna sociale, della menzogna vitale, dcl ritorno rì1nosso; Marx, Freud, Nietzsche operano già al livello di fonnc seconde e derivate dell'illusione, ed è per
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Questo processo di obiettivazione segna insieme la nascita della metafisica e della religione; la metafisica fa di Dio un essere supremo, la religione tratta il sacro come una nuova sfera di oggetti che si inscrivono nel mondo dell'immanenza a fianco degli altri oggetti prodotti dalla cultura dell'uomo. Il sacro non è più il segno di ciò che non ci appartiene, del "tutt'altro", ma diviene una sfera di oggetti separati e posti a fianco della sfera degli oggetti profani»". L'origine della possibilità di questa conversione diabolica, che abbiamo individuato, sta nel fatto che il "tutt'altro" si avvicina a noi nei segni del sacro, cioè del simbolo; ma il simbolo ben presto si muta in idolo, cioè in un oggetto della nostra cultura. E' proprio allora che l'oggetto culturale si spacca in due, una metà diventa profana e l'altra sacra, all'interno della stessa sfera umana'"'· li sacro può essere così il significante sostegno di ciò che abbiamo chiamato la struttura di orizzonte, propria del "tutt'altro" che si avvicina, o la realtà idolatra che nella nostra cultura noi 1neltiamo a parte, generando così l'alienazione religiosa54 . E' a questo punto che si riscopre la funzione dell'ermeneutica del sospetto, dell'ermeneutica riduttrice, la quale tende a svelarci il processo di mistificazione che sta dietro questa produzione dell'oggetto religioso (l'idolo) e, insieme, ci costringe a ricondurci al questo che le !oro problernatichc sono parziali e rivali. Lo stesso penso di Feuerbach: il movirncnlo con cui l'uo1no si svuota nella trascendenza è un movimento secondo rispeuo a quello con cui cg!i si irnpadronisce del "tutt'altro" per obiettivarlo e averlo a sua disposizione, giacché è per i1npadronirsene che egli vi si proietta, allo scopo di coln1are il vuoto della propria inscienza» (ibid., 571). 52 «Questa conversione diabolica fa della religione la reificazione e l'alienazione della fede; penetrando in tal 1nodo nella sfera dell'illusione, la religione si offre ai colpi di una ermeneutica riduttrice. Questa ennencutiea riduttrice non è pii1 oggi un evento privnto, 1na è diventata un processo pubblico, un fenomeno di cultura. La si chia1ni de1nitologizzazionc, quando si svolge all'interno di una determinata religione, o dcrnistificazionc, se è condotta dall'esterno, si tratta della stessa cosa: la n1orte dell'oggetto nietafisico e religioso» (ibid., 572). 5 :> «Il falegnaine, dice il profeta, taglia per sé dcl legno di cedro, di cipresso e di quercia: 'Una 1netà In brucia nel fuoco, sulla cui bragia cuoce la carne, mangia !'arrosto e si sazia. Ancora egli si riscalda e dice; Ah! 111i sono riscaldato; mi godo il fuoco. 11 resto egli trasforma in dio, nel suo idolo; lo venera, lo adora e lo prega, dicendogli: Salva1ni, perché sci il n1io dio. Non sanno e non cornprendono [... ]' (Isaia, XLIV, 16-18). Scn1pre l'idolo deve morire se si vuole che il simbolo viva» (ibid., 573). 54 Cfr. ibid., 572.
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sacro, come segno di quell'orizzonte generato dalla presenza a noi del "tutt'altro"; la sua funzione, pertanto, diviene quella di "sentinella" di questo orizzonte". L'ermeneutica dell'ascolto, che nasce dalla decisione di credere, ed è sollecitata dal rendersi presente a noi del "tutt'altro", ci fa capaci di riconoscere nel simbolo il segno di questa presenza; mentre l'ermeneutica del sospetto ci fa capaci di riconoscere il tradimento del simbolo nel lidolo.
4. Decisione filosofica e rigore scientifico
Ricoeur ci offre una filosofia del linguaggio che, superando la concezione che ne ha lo strutturalismo 56 , nonché la teorizzazione che ne ha fatto la filosofia delle forme simboliche di Cassirer57 , sviluppa una riflessione sul linguaggio come il luogo in cui l'uomo viene interpellato da un senso nascosto che gli si rivolge 58 . Questa concezione ricoeuriana del linguaggio ha come fondamento una decisione filosofica, integralmente dichiarata, ossia quella di sviluppare un discorso sul linguaggio che esprima un desiderio nuovo di essere interpellati, oltre il silenzio e l'oblio che la manipolazione dei segni vuoti e la costruzione dei linguaggi formalizzati fanno proliferare59 • Questa filosofia del linguaggio si rifà all'antica dottrina della reminiscenza e vuole esserne una versione moderna: un senso nascosto (senso secondo) abita in qualche modo nel senso immediato
55 Cfr, /.c. «Ora io penso che questo n1ovimento di cultura non può e non deve restare al di fuori della restaurazione dei segni del "tutt'altro" nella loro funzione autentica di sentinelle dell'orizzonte. Oggi non possian10 più - ed è la nostra i1npotcnza e forse la nostra fortuna e gioia - sentire e leggere i segni dell'approccio al "tutt'altro" se non attraverso l'esercizio spietato dell'ermeneutica riduttrice». 56 Cfr. P. RICOEUR, Enneneutica e strutturalis1110, in Il conflitto delle interpretazioni, cit., 41-111. 57 Cfr. ID., Della inte111retazione. Saggio su Freud., cit., 24. 58
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Cfr. ibid., 43-44. Cfr. I.e.
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(senso primo) del discorso, ed è in questa particolare accezione che va intesa la struttura simbolica del discorso 61 '. Al senso secondo si arriva attraverso l'analogia che, lungi dall'essere concepita come una rassomiglianza oggettiva che si possa considerare co1ne una relazione esibita di fronte a noi, è un processo di assimilazione esistenziale per la quale ciò che viene detto ci rende partecipi di ciò che in esso viene annunciato. E' proprio quanto lega il senso primo al senso secondo che, nello stesso tempo, lega noi a noi stessi attraverso il senso immediato del discorso"'· Ma se è vero che questo processo di assimilazione esistenziale, per il quale veniamo resi partecipi di un senso nascosto a noi annunciato nel discorso simbolico, è legato al potere che ha il senso nascosto dl legare noi a noi stessi attraverso il discorso, non bisogna però dimenticare altresì che ciò accade proprio nel luogo del discorso che è il linguaggio. Ciò significa che la comprensione del senso accade nella interpretazione del linguaggio attraverso cui il senso ci viene con1unicato. E' a questo proposito che Ricoeur afferma l'insostituibile apporto delle scienze nella individuazione di una metodologia della interpretazione che è, nello stesso tempo, fondata su una ontologia della comprcns10ne ed è condizione indispensabile perché quest'ultima sia raggiunta62 .
60 «Il simbolo è legato, e lo è in un duplice senso: legato a ... e legato da. Per un verso, il sacro è legato alle sue significazioni primarie, letterali, sensibili, e queslo è ciò che costituisce la sua opacità; per un altro verso, la significazione letterale è legata dal senso si1nbolico che si trova in essa, e questo è ciò che ho chian1ato il potere rivelatore dcl si1nbolico, quel potere che ne costituisce la forza ad onta della sua opacità. E' ciò che !o contrappone al segno tecnico, che non significa se non ciò che in esso è posto e che, per questa ragione può essere svuotato, fonnalizzato e ridotto a un semplice oggetto di calcolo» (ibid., 45). 61 L.c. 62 «L'ontologia della co1nprensione, che 1-Ieidegger elabora direttan1cnte con un brusco capovolgi1nento che sostituisce la considerazione di un 1nodo di essere a quello di conoscere, non potrebbe essere, per noi che procediaino indirettamente per gradi, altro che un orizzonte, cioè una meta pili che un dato. Un'ontologia separata è fuori della nostra portata: solo nella dinamica dell'interpretazione scorgiamo l'essere interpretato. L'ontologia della co1nprensione rimane implicata nella 1netodologia dcli 'interpretazione, secondo l'ineluttabile "circolo ermeneutico" che Heidegger stesso ci ha insegnato a tracciare. Pili ancora, noi scorgiamo qualcosa dell'essere
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Il contributo delle scienze ad una metodologia della interpretazione implica quella insostituibile funzione critica che assolvono le scienze cosiddette "esatte" nella interpretazione stmtturale del testo (inteso nel senso più ampio di un insieme di segni significanti), attraverso la quale soltanto è possibile giungere ad una comprensione del senso in esso presente. E' nella affermazione di questo ineliminabile rapporto circolare tra comprens10ne e interpretazione, così intesa, che si precisa la posizione di Ricoeur nei confronti di quella di Heidegger63 e di Gadamer'·', posizione che anche noi riteniamo più feconda sul piano ermeneutico. interpretato sollanto in un conflitto delle ermeneutiche rivali: una ontologia unificata è tanto inaccessibile per il nostro metodo quunto una ontologia sep<1rata~ ciascuna enneneutica scopre ogni volta l'aspetlo dell'esistenza che la fonda con1e 1netodo. Questo doppio avvertimento tuttavia non deve affatlo distoglierci dal far en1ergere i fondamenti ontologici dell'analisi se1nantica e riflessiva che precede. Una ontologia implicata, e ben di più, una ontologia spezzata, è ancora ed è già una ontologia [.. ]. L'ontologia qui proposta non è affatto separabile dall'interpretazione; essa rin1ane presa nel cerchio fonnato insieme dal lavoro dell'interpretazione e dall'essere interpretato. Non è dunque un'ontologia trionfante; non è ne1nn1eno una scienza, dal 1no1nento che non sarebbe capace di sotlrarsi al rischio dell'interpretazione; e non potrebbe nen11ncno sfuggire del tutto alla guerra intestina che le cnncneuLiche si fanno tra loro. Tuttavia, a dispetto della sua precarietà, questa ontologia 1nilitante e spezzata è abilitata ad affennarc che le ermeneutiche rivali non sono dei semplici "giochi linguistici", come avverrebbe se le loro pretese totalitarie fossero opposte soltanto sul piano del linguaggio. Per una filosofia linguistica, tutte le interpretazioni sono ugualmente valide, nei li1nìti della teoria che fonda le regole di leuura considerate; queste interpretazioni uguahncntc valide restano dei "giochi linguistici", di cui si possono arbitrarian1ente cambiare le regole, finché non si sia rr1ostrato che ciascuna è fondata in una funzione esistenziale particolare; ed è così che la psicanalisi ha il suo fondamento in una archeologia del soggetto, la feno1ncnologia dello spirito in una teleologia, la fenomenologia della religione in una escatologia. [ ... J In questo senso, fin dalla nostra introduzione, dicevamo che l'esistenza di cui può parlure una filosofia ermeneutica resta scn1prc un'esistenza interpretata: è nel lavoro dell'interpretazione che essa scopre le n1odalità 1nolteplici della dipendenza dcl sé, la sua dipendenza dallo spirito, percepita nella sua teologia, la sua dipendenza dal sacro, scorta nellu sua escatologia. E' sviluppando un'archeologia, una teleologia ed una escatologia, che la riflessione annulla se stessa co1ne riflessione. Così, si può ben dire che l'ontologia è la terra pn}n1cssa per una filosofia che comincia col linguaggio e con la riflessione; mn, come Mosé, il soggetto che parla e riflette può soltanto scorgerla prima di morire (P. RICOEUR, Esistenza e enneneutica in Il conflit10 delle interpretazioni, cit., 32~37, passi1n). 63 «le remarque d'abord quc reconnaitre l'istance critique est une velléilé dc !'herméneutique sansa cesse réiterée, n1ais san cessa avortée. A partir de Heidegger, en effet, J'hennéneutique est tout cntièrc cngagèc dans le 1nouve1nent de re111011tée au
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fondcunent qui, d'une question épistéinologique concernant Ics condizions de la possibilité dcs "sciences de l'esprit", conduit à la structurc ontologique du comprendre. On peut alors se demander si le trajct dc retour est possible. C'cst pourtant sur cc traiet de retour que pourrait s'attester et s'avércr J'affirmation que les qucstions dc critique exégetico-historique sont des questions "dcrivée'', que le cercle hermenéutique, au sens dcs cxégètes, est "fondé" sur la structure d'anticipation dc la compréhension au plan ontologique fondamenta!. Mais I' herméneutique ontologique semble incapablc, pour des raisons structurellcs, dc déployer cette problé1natique de retour. Chez Heidcgger lui~mème, la question est abbandonée aussitòt que posée. On lit ceci, dans L'Etre et le Ten1ps: 'Le ccrclc caractéristique dc la co1nprcnsion [ ... ] rècele cn lui une possibilité authentiquc du connaìtre le plus origine!; on ne la saisit correctement que si l'cxplication (A11slegung :::o intcrprétation) se donne pour tilche pren1ière, pemanentc et dcnière, de ne pas se laisser i1nposcr ses acquis et vues préalablc et ses anticipatons par dc qulconques intuitions (Einfdlle) et notions populaircs, mais d'assurer son thè1nc scientifiquc par le dévoleppernent de ces anticipations selon !es choses mè1ncs' (153, trad. fr., 190). Voilà donc, posée dans le principe, la distinction entrc l'anticipation sclon les choses mèmcs et une anticipation issue dcs idècs de traverse (Einfdlfe) et Ics notions populaires (Volksbegriff'e),· ccs deux termes ont une parcté visiblc avec !es préjugés par "précipitation" et par "prévcntion". Mais co1n1ncnt allcr plus loin, puisque !'on déclarc, tout dc suite après, que '!es présupposés ontologiques de toule connaissnncc historiquc trascendent essentielle1ncnt l'idée de rigoeur propre aux scicnces exactes' (I.e.), et qu'on élude la question dc la rigoeur propre aux scienccs historiqucs elles-1némes? Le souci d'enracincr le cercle plus profond quc toute épistémologie empèche de répéter la qucstion épistémologique après ]'ontologie. Est-ce à dire qu'il n'y ait, chez Hcidcggcr lui-méme, aucun dévoloppement qui corresponde au moment critiquc d'une épistémologie? Si, mais cc développement est applqué ailleurs. En passant dc l' Analytique du Dasein, à laquelle appartient encorc la théorie du co1nprendre et dc l'intcrprétcr, à la théorie de la teinporalité et de la totalité, à laquclle apparticnt la seconde niéditation sur le co1nprendre (paragraphc 63), il apparaìt quc tout l'effort critique est dépcnsé dand le travail de déconstruction de la 111étaphysique; on con1prend pourquoi: dés que l'hennénetiquc dcvient herméneutique dc l'Ctrc - du scns dc l'ètrc - la structure d'anticipation propre à la question du sens de l'ètre est donnée par l'histoire de la métaphysique qui tien exactcrnent la piace du préjugé. Dès lors, l'herméneutique de l'ètrc déplois toutes ses rcsouccs critiques dans son débat avcc la substance grecque et 1nédiéva!e, avec le cogito cartésien et kantien; la confrontation avec la tradition 1nétaphysique de l'Occidcnt tient la piace d'une critiquc dcs prcéjugés. Autrement <lit, dans une perspcctivc hcidcggerienne, la sculc critique interne qu'on puisse concevoir com1ne partic intégrante de l'cntreprise de désoccultation, c'cst la déconstruction de la 1nétaphysique; et une critique propre1nent épisté1nologiquc ne pcut ètre ré-assumèe qu'indircctement, dans la 1ncsure où peuvcnt étrc disccrncrnés des residus 1nétaphysiqucs à l'ouvre jusquc dans !es scienccs prétendu1nent positives ou e1npiriqucs. Mai cette critiquc des préjugés d'origine methaphysique ne peut tenir licu d'une veritable confrontation avec les scicnces humaincs, avec leur 1néthodologie et avec Jcurs présuppositions épistémologiques, Autremcnt dit, c'est bien le souci Jancinant de la radicalité qui empèche dc faire le trajet de retour de l'hérmenéutiquc générale vers !es hcrn1éneutiques réligionales: philologie, histoire, psychologie des profondeurs etc» (P. RICOEUR, Hennèneutique et Critique des idéologies, in De111itizzazione e Ideologia, Atti del convegno indetto dal
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Se l'ermeneutica deve rendere conto dell'istanza critica addotta dalle scienze nella metodologia della interpretazione, secondo Ricoeur, essa deve superare la rovinosa dicotomia, ereditata da Dilthey, tra "spiegazione" e "comprensione" 65 . A partire da questa concezione così complessa del fenomeno dell'interpretazione, Ricoeur è in grado di ricuperare anche le istanze di Habermas circa la funzione della critica delle ideologie nella interpretazione e nella comprensione, negando però a questa la pretesa di costituirsi come orizzonte ultimo entro il quale accade ogni comprensione, orizzonte che invece si costituisce a partire da
Centro internazionale di studi umanistici e dall'Istituto di studi filosofici, Roma, 4-9 gennaio 1973, Roma 1973, 50-51). 64 «Quant à Gadarner, il est certain qu'il a parfaitcment saisi l'urgence dc cette "dialectique dcscendantc'', du fondamenta! vers le dérivè. Ainsi déclare-t-il: 'On pourra s'interroger sur Ics conséqucnces qu'entraìne pour l'hcrméneutiquc des scienccs de l'esprit, le fait que Heideggcr dérive (Abletit11g) fondamentalemcnt la structure circulaire du comprendre dc la temporalité du Dasein ' (Verité et Mèthode, 250). Ce sont ces "consequences" qui, en effet, nous importent. Car c'est dans le mouverncnt de dérivation que le départage entrc pré-compréhension et préjugé fait problème et quc la qucstion critique surgit à nouveau, au coeur mé1nc del la compréhension Ainsi Gadamer, parlant des textes dc notre culture, ne cessc d'insister sur ccci que e' est par eux-rnèmes que ces tcxtes sont signifiants, qu'il y a une "chose du texte" qui s'adressc à nous. Mais comment laisser parler la "chosc du texte" sans affronter la question critique du rnélange de la préco1npréhension et du préjugé? Or, n1e sembre-t-il, l'herméneutiquc de Gadamer est empéchée dc s'engager à fond dans cette voi e, non pas seulement parcc que, comme chez Heidegger tout l' effort dc pensée est investi dans la radicalisation du problème dc fondement, mai parcc que l'expérience herméneutiquc elle-mèmc dissuade de s'avancer sur le voies dc la rcconnaissance de toute istance critiquc» (ibid., 51). 65 «Cettc dichotomic, co1nme on sait, procède de la convinction que toute altitude explicativc est empruntée à la méthodologie des sciences de la nature et indùmcnt étenduc aux sciences de l'esprit. L'apparition, dans le cha1np de la théorie du texte, dc inodèles sémiologiques nous convainc que toute explication n'est pas naturaliste ou causale; ]es modèles sémiologiques, appliqués en particulicr à la théoric du récit, sont empruntés au domaine mème du langage par extension des unités plus petites quc la phrase aux unités plus grandcs que la phrase (poè1nes, récits, etc.) [ ... ] Si donc il y a une hcrméneutique - et je le crois contre le structuralismc qui voudrait se borner à I'étape explicativc - elle ne se constitue pas à contre-courant dc l'csplication structurale, mai à travers sa 1nédiation. C' est cn effet la tàchc du comprendre dc porter au discours ce qui d'abord se donne comme structure. Mais il faut ètre allé aussi loin que possible dans la voic de l'objctivation, jusq'à cc point où I'analysc strcturale met à decouvcrt la sèniantique profonde d'un texte à partir dc la 'chose' qui cn lui parle. La chose du tcxte n'est pas ce qu'une lecture nai've du texte revèle, mais ce que l'angencement fonnel du texte médiatise» (ibid., 53-54).
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quell'atteggiamento di ascolto che il senso presente nel testo genera in noi, interpellandoci". La posizione di Ricoeur nel campo ermeneutico si caratterizza, dunque, da un lato per la dichiarazione esplicita del fondamento snl quale poggia la sua concezione della comprensione e della interpretazione, e dall'altro per aver dato rilievo al lungo processo necessario e complesso della interpretazione. Processo in virtù del quale l'uomo può giungere ad una comprensione di se stesso attraverso le testimonianze di un "tutt'altro" che si fa presente a lui, testi1nonianze che costituiscono come l'orizzonte ultimo dentro il quale ha compimento e determinazione tutto il lavoro della interpretazione e della comprensione. La precisazione formale, proposta da Ricoeur, dell'avvenimento ermeneutico non va oltre. A questo punto sarebbe estremamente interessante osservare la messa in opera di questi principi nel concreto lavoro di ermeneuta, condotto dal filosofo francese, che si rivolge alle forme simboliche che testimoniano istanze, frustrazioni e tradimenti nella vita dell'uomo (sogni e miti). Questo compito, però, eccede la portata e l'intento del nostro lavoro, anche se riteniamo che sarebbe molto utile per una verifica e una documentazione di quella coerenza che a noi sembra non mancare in Ricoeur, tra dichiarazioni di metodo e pratica ermeneutica.
5. Osservazioni finali
La pri1na osservazione che emerge quasi spontanea in sede di conclusione è che l'ermeneutica di Ricoeur riconosce, a differenza di quella heideggeriana, e ancor di più di quella gadameriana, la trascendenza, rispetto all'uomo, della verità dell'essere, che all'uomo si dona manifestando se stessa. Per il filosofo francese, infatti, l'ermeneutica ha il duplice compito di restaurare il senso del messaggio, del kerigma che viene indirizzato all'uomo, e quello di ridurre le illusioni della falsa coscienza di cui spesso l'uomo vive.
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Cfr. ibid., 49-61, passi1n.
_ L'erni~n~utica -~li
~icoeur fra
interpret9zione
~ s~1nbolo _
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Voto di obbedienza e voto di rigore che sembrano inizialmente opposti fra loro e che determinano, secondo Ricoeur, la crisi attuale del linguaggio (il quale viene considerato contraddittoriamente o in funzione di una demistificazione delle illusioni della coscienza o in funzione della restaurazione di un senso comunicato alla vita dell'uomo), alla fine si conciliano nella decisione di lasciar parlare ciò che una volta è stato detto e ciò che ogni volta viene detto, sempre che nel detto appaia come nuovo il senso della realtà. E la fede, che Ricoeur definisce come volontà di obbedienza, è proprio una tale decisione, in forza della quale anche la volontà di sospetto trova il suo molo come mezzo per la demistificazione degli idoli, che si formano per quella misteriosa malvagità dell'uomo teso a ridurre i segni del sacro in oggetto della propria cultura. Questa fede diviene fiducia nel linguaggio, ed è una tale fiducia che ci mette in ascolto del kerigma, generando la credenza che gli uomini sono nati in seno al linguaggio, in mezzo alla luce del Lo gos che "rischiara ogni uomo che viene nel rnondo". L'afferinazione, precedentemente fatta, rende palese che la concezione della parola come rivelazione è da Ricoeur mutuata esplicitamente dalla fede cristiana. In questa concezione l'analogia diviene il processo per cui il senso che abita nel linguaggio si rivolge a noi, fa di noi dei soggetti, dei soggetti interpellati e ci assimila a sé. Ricoeur supera così la "neutralità" fenomenologica in favore di una esplicita confessione della fede nella rivelazione della verità nella parola, che sta a fondamento e presupposto della sua ermeneutica e della sua concezione del linguaggio. L'interpretazione come sospetto, come riduzione delle illusioni della "falsa" coscienza, attraverso la decodificazione del linguaggio in chiave nietzschiana, marxiana e freudiana, nella prospettiva ricoeuriana non può avere più la pretesa di cogliere la verità ultima dell'uomo. Essa, invece, si rivela all'uomo come genesi ed escatologia della vita, quando il "tutt'altro" si rivolge a lui come logos (linguaggio). Ciò non toglie, come abbiamo già osservato, che l'interpretazione nell'ermeneutica ricoeuriana conservi la funzione di smascherare i tentativi satanici dell'uomo di impadronirsi del
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"tutt'altro" e di ridurlo al suo sapere e al suo potere, e la presunzione di produrre l'oggetto religioso, l'idolo, in un orizzonte culturale in cui la fede diviene religione e metafisica. Proprio in queste ultime affermazioni si manifesta la mentalità calvinistica di Ricoeur il quale, contestando giustamente ogni riduzione dell'orizzonte della fede a qualsiasi orizzonte culturale, non riesce a concepire la cultura dell'uomo che come idolatria o funzione demistificante nei confronti dell'idolatria. E' lontana dalla sensibilità religiosa del Nostro l'intuizione che la fede possa generare positivamente una nuova cultura per l'uomo. A questa posizione nei confronti della cultura che potremmo definire iconoclastica si accompagna, però, in Ricoeur, un riconoscimento del ruolo della interpretazione. Egli, infatti, pur avvicinandosi ad Heidegger nel recupero dell'istanza di una ontologia della comprensione, dichiara esplicitamente che una tale ontologia non è separabile dalla interpretazione. L'esistenza, oggetto di indagine da parte di una filosofia ermeneutica, resta sempre una esistenza interpretata, secondo il famoso "circolo ermeneutico" proposto dallo stesso Heidegger. Ora nella interpretazione è da rivalutare il contributo critico delle scienze cosiddette "esatte" ad una interpretazione strutturale del testo, condizione necessaria per giungere al senso in esso presente. E' per questo che Ricoeur si augura il superamento di quella rovinosa dicotomia tra "spiegazione" e "comprensione", che l'ermeneutica ha ereditato da Dilthey. Un tale possibile ruolo positivo delle scienze nella interpretazione era, invece, di fatto impedito nella posizione di Gadamer, per quel suo insistere - metodologicamente scorretto - sulla immediatezza di ogni esperienza ermeneutica, fondata sul non chiaro rapporto stabilito dall'Autore di Verità e metodo tra familiarità ed estraneità del testo rispetto all'interprete. Come già notavamo nel saggio dedicato a Gadamer, la svalutazione delle scienze da lui operata deriva dalla sua concezione della soggettività, la cui genesi è senz'altro di tipo storicistico-hegeliano. Anche Heidegger non riesce a dare un posto all'apporto delle scienze e ciò a causa della radicalizzazione che viene ad assumere nel suo pensiero la problematica ermeneutica, la cui fondazione sulla
L'ermeneutica di Ricoeur fra interpretazione e simbolo
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struttura ontologica dell'uomo e del linguaggio è la preoccupazione costante del filosofo tedesco. L'ermeneutica di Heidegger è tutta impegnata in questo movimento di ritorno al fondamento a tal punto da non dar spazio ad un recupero della problematica strettamente esegetica. Recupero che, invece, avviene in Ricoeur proprio in forza della sua concezione del linguaggio come luogo della rivelazione della verità e del senso della realtà. Da una tale impostazione infatti si sviluppa, come abbiamo visto, l'urgenza di una più "esatta" interpretazione. Ed essa è la condizione per cogliere il messaggio rivolto all'uomo e, nello stesso tempo, per mantenere tale messaggio nella sua alterità originaria, evitando così che l'uomo introduca nel linguaggio, a partire da sé, una verità riduttiva e la presunzione idolatrica della religione e della metafisica. L'esito di tale processo è la possibile conciliazione fra ciò che abbiamo definito l'iconoclastia della cultura e il riconoscimento dell'insostituibile apporto delle scienze nella metodologia della comprensione. Ermeneutica e verità, dunque, trovano il luogo del loro reciproco riconoscimento nella interpretazione.
So1111nario
Il contributo che presentiamo, volto a studiare la teoria ermeneutica di Paul Ricoeur, intende innanzitutto collocarla nel più ampio itinerario del pensatore francese, caratterizzato da una incessante tensione ontologica e da uno sbocco religioso delle varie problematiche che egli è andato viva via affrontando. Caratteristiche queste che troviamo nella fase propriamente cnnencutica e che si connotano co1ne un non assolutizzare il rigore metodologico e un essere disposti ad aprirsi al 1nistero. Apertura che certamente apprezziamo, ma che non riusciamo a seguire, nel suo concreto articolarsi, perché la sensibilità religiosa del!' Autore, marcatamente calvinista, esclude l'ipotesi che la fede possa generare positiva1nentc una nuova cultura per l'uomo.
Synaxis 12 (1994) 467-511
EDITH STEIN INTERPRETE DI HEIDEGGER
ANTONINO CRJMALDI*
Introduzione Lo studio di E. Stein sulla filosofia esistenziale di M. Heidegger risale al 1936 e, sebbene fosse destinato ad essere incluso come appendice nella sua opera maggiore, Essere finito ed essere eterno, portata a termine nel medesimo anno, per estensione e respiro teoretico ha le caratteristiche di una piccola, ben curata monografia, pur soffermandosi, per ovvi motivi, solo sugli scritti heideggeriani apparsi fino ad allora (esclusi quelli di dottorato, di libera docenza e articoli vari): Essere e tempo; Kant e il problema della metafisica; Dell'essenza del fondamento; Che cosa è la metafisica'. Esso
*Professore di Storia della Filosofia nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 E. STEJN, Martin Heideggers existentialphilosophie, in ID., Welt und Person. Beitrage zu1n christ/ichen VVahrheits!reben, Werke VI, Herder - Nauwelacrts, Frciburg i. Br. - Louvain 1962, 69-135. La pri1na traduzione italiana si deve ad A. Brancaforte e Annelies Neumann: E. STEIN, La .filos(~fia esistenziale di M. Hehlegger, Hcrder, Roma 1979, con una Introduzione di A. Brancaforte. E' disponibile, ora, una seconda traduzione italiana, inserita nella raccolta antologica E. STEIN, La ricerca de/fa verità dalla fenon1enologia alla filosofia cristiana, a cura e con Introduzione di Angela Ales Bello, Città Nuova, Ro1na 1993, 153-226. Il volutnc contiene, anche, i principali scriHi della Stein sulla fenon1cnologia husscrliana ed è completato da una
buona bibliografia di e su E. Stcin. Per il teina qui riproposto e per le implicazioni teoretiche che esso co1nporta, chi scrive ha tratto n1olti spunti di riflessione dal!'Jntroduzione pre1nessa da A. Brancoforte alla prima !rad. it., e perciò ha ritenuto
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Antonino Crùnaldi
rappresenta il punto d'approdo di un confronto continuo con il pensiero di questo autore che si era imposto all'attenzione della Stein mentre era impegnata a riflettere sui temi dell'ontologia classica ed attendeva alla stesura del testo al quale avrebbe consegnato gli esiti più maturi della sua visione teoretica; contiene, infatti, lesposizione delle tesi di Heidegger e le osservazioni critiche in proposito che la Stein aveva formulato nel constatare la differenza della propria concezione filosofica da quella heideggeriana e che aveva evitato di inserire nelle pagine del!' opera per non frammentare lordine della trattazione. Le ragioni di tale confronto appaiono di immediata evidenza appena si getta lo sguardo sul sottotitolo da lei apposto a Essere finito ed essere eterno: saggio, tentativo (Versuch), per una elevazione (At({stieg) al senso dell'essere'. L'indicazione prospetta l'orientamento del suo itinerario speculativo e fissa l'ambito dell'indagine in quell'arco di problematica che, secondo la tradizione filosofica, costituisce l'oggetto specifico del!' ontologia o della metafisica generale. E poiché tra «i tentativi più significativi nel nostro tempo per fondare la metafisica» la Stein colloca la filosofia esistenziale di Heidegger e la dottrina dell'essere della Conrad-Martius e le ritiene termini di riferimento da cui non avrebhe potuto prescindere nella sua riproposizione della tematica ontologica, si comprende il motivo per il quale sia l'uno che laltra siano tra le presenze più evocate nel testo, se pure con una notevolissima differenza in fatto di adesione alle rispettive tesi. opportuno riferirsi a questa nelle citazioni; chi scrive sente altresì l'obbligo di ringraziare il prof. A. Brancafortc, al quale si devono incisivi apporti agli studi sulla figura e l'opera della Stein, per i chiarimenti e i suggerimenti ricevuti in diverse conversazioni. Sul rapporto E. Stein - Heideggcr si soffcrn1a anche, con la consueta chiarezza e capacità di sintesi, A. Ales Bello nello studio introduttivo alla raccolta antologica sopracitata (pagg. 43-50). In Italia si era già occupato dcl medesin10 argomento C. Fabro (cfr. C. FABRO, E. Stein, f-lusser! e Heidegger, in f{u111anitas 33 [1978] 483-517); ma gli eccessi di livore verso Heidegger rendono le sue osservazioni insopportabili al lettore e, talvolta, francamente fuorvianti. 2 E. STEIN, Endliches und E1viges Sein. Versuch eines Aufstiegs, Zu111 Sinn des Seins, Werke Il, Herder - Nauwelaerts, Freiburg i. Br. 1962. Trad. it.: Essere finito ed Essere eterno. Per una elevazione al senso de/l'essere, a cura di L. Vigone, revisione e presentazione di A. Ales Bello, Città Nuova, Ro1na 1988 (nella bibliografia riportata in E. STEIN, La ricerca della verità, cit., 232, per una svista risultano omessi nel sotlotitolo in tedesco in termini Sinn des).
Edith Stein interprete di Heidegger
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A spiegare la genesi remota dell'Appendice concorrono, inoltre, taluni fattori rilevabili in base alle notizie contenute nella Premessa all'opera del '36, dove la Stein afferma: «Nel periodo in cui l'autrice era assistente di Husserl a Friburgo, si effettuò l'avvicinamento di Heidegger alla fenomenologia. Questo fatto permise una conoscenza personale, una prima oggettiva presa di contatto che, però, fu presto interrotta dal trasferimento dell'autrice in altra sede» 3 • La Stein aggiunge di aver letto Sein und Zeit appena pubblicato e di averne ricevuto una grande impressione, senza tuttavia aver avuto
l'opportunità di «giungere ad una discussione sull'argomento»; sottolinea che nel suo libro affiorano occasionalmente reminiscenze di questo lontano incontro con Heidegger, e sostiene di essersi decisa a dedicargli un'appendice perché avvertì la necessità di «contrapporre i due tentativi così diversi tra loro[ ... ] di attingere il senso dell'essere», quello appunto di Heidegger e di E. Conrad-Martius 4 • In realtà, l'ultima giustificazione ha tutta l'aria di un understatement, perché le pagine dell'appendice dipanano il filo di una serrata discussione in cui a contrapporsi con la filosofia di Heidegger è la visione teoretica della Stein, non quella di ConradMartius, benché la Stein condivida per lo più le idee di quest'ultima. Ma forse a spingere l'ebrea carmelitana nella direzione di una ricognizione critica dci testi heideggeriani contribuì una sorta di chiaroveggenza consequenziale all'acutezza dell'ingegno e alla sollecitudine per una fede religiosa imprevedibilmente incontrata ed esperita in un coinvolgimento totale; prese atto del "fascino" che 1-Ieidegger esercitava «sui giovani studenti e anche sugli uomini maturi», ne intuì la possibile "influenza" nell'orientare «la visione del mondo dell'epoca», intravide l'ambigua potenzialità di questa infJuenza ricavandone la convinzione seguente: «Può condurre ad un
approfondimento più serio della vita perché ha posto al centro del suo interesse le questioni decisive della vita. Ma suppongo che il modo in cui ha proseguito finora, insistendo sulla caducità dell'Esserci [ ... ]
3
STEIN, Essere.finito e Essere eterno, trad. it. cit., 35. Ibid., 35. «So ist der Anhang ilber Hciùcggcrs Existcnzphilosophie entstanden» (End!iches ... , cit., rist. 1962, Vonvort, XVI). 4
E.
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favorirà una interpretazione pessimistica, se non nichilistica, e seppellirà l'orientamento verso l'essere assoluto, decisivo per la sopravvivenza o meno della nostra fede cattolica»'. I pregi della monografia della Stein non sono pochi e non sono di scarsa rilevanza. Elaborata in un periodo in cui la letteratura su Heidegger, ormai notevole, sembrava egemonizzata dalle interpretazioni esistenzialiste, essa ne coglie l'interesse precipuo nella tematica ontologica, dieci anni prima che lo stesso Heidegger con la Lettera sull'Umanismo intervenisse pubblicamente a dissolvere l'equivoco del suo presunto esistenzia1is1no e a ribadire l'orientamento originario della sua riflessione filosofica nell'impegno esclusivo di indagare sulla "verità" dell'essere piuttosto che sull'essente o sull'essere dell'uomo. In secondo luogo, la monografia si avvale degli apporti teoretici di Essere finito ed essere eterno, il lavoro in cui confluisce tutto il percorso speculativo steiniano, e perciò la sua lettura risulta utile, se non indispensabile, per comprendere e situare in una prospelliva idonea i nuclei essenziali del pensiero del!' Autrice, in quanto offre l'opportunità di chiarire quale rapporto la Stein stabilisca tra la questione del senso dell'essere in generale e il problema del senso dell'esistenza umana e quale connessione ideale tenga uniti i due aspetti della sua indagine apparentemente inconciliabili: il recupero dell'ontologia classica e laccostamento ai problemi dibattuti nel panorama filosofico contemporaneo; la ripresa del pensiero aristotelico-tomista, del pensiero della scolastica, e la fedeltà alle istanze della fenomenologia; la riproposizione dei temi della metafisica e il radicamento profondo sul piano della formazione intellelluale e sul piano della sensibilità filosofica in un contesto di cultura, come quello del Novecento, caratterizzato 111 gran parte dal ripudio del pensiero metafisico. L'ultima e decisiva ragione che rende la lettura della monografia raccomandabile è data dal taglio teoretico impresso al confronto col pensiero di Heidegger: la Stein non scrive "su"
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E.
STEIN,
SignUi'cato della fe110111enologia carne visione del n1011do, trad. it.
in La ricerca della verità, ciL, I 07.
Edlth Stein interprete diHeidegger
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Heidegger e non si abbandona ai virtuosismi interpretativi ed esegetici a cui ci ha abituati la mole indominabile del repertorio bibliografico su questo filosofo; la Stein discute il problema sollevato da Heidegger, il problema del senso dell'essere, e denuncia con una esemplare chiarezza le insidie di una impostazione che si presenta in apparenza aporetica, tutta protesa a liberare la domanda sull'essere da pregiudizi, fraintendimenti e certezze abusive, mentre in realtà la vincola ad una opzione originaria: quella di risolvere domanda e risposta nell'orizzonte del tempo e della finitezza, di ridurre i 1 senso dell'essere alla portata della finitezza umana e di escludere dalla comprensione dell'essere il rapporto della finitezza con l'infinito e con l'eterno. Oggi, l'esclusione dell'infinito e dell'eterno dal novero dei problemi filosofici sembra essere condizione indispensabile per far parte a pieno titolo della koiné filosofica alluale, ed è proba bi le che alla configurazione di questa koiné Heidegger abbia dato un apporto deter1ninante. Ma non è un caso che dopo tante variazioni e
circonvoluzioni attorno al pensiero di Heidegger e dopo l'esaurimento dell'heideggerismo per eccesso di finezza filologica ed ern1eneutica, si parli, a proposito dell'opzione finitista, di «vero e proprio dogma della sua filosofia»'. E non si tratta di affare da poco, se K. Loewith colse in questa opzione l'origine dell'errore politico di Heidegger, il credito da lui attribuito alla più demoniaca delle potenze del tempo: per Loewith ciò si sarebbe potuto evitare a patto che la filosofia non trattasse solo di "essere e tempo" ma dell"'essere dell 'Eterno" 7 • Loewith, ebreo, pervenne a questa conclusione dopo l'episodio traumatico della Rektoratsrede con lesplicita esaltazione del nazismo da parte di Heidegger, e tanto bastò a liberarlo dalla suggestione del suo antico 111aestro. Non è da credere, però) al nesso necessario tra
6 C. ANGELINO,
Introduzione a M.
HEIDEGGER,
I prob!en1i fo11dr1111e11tali della
fe110111enologia, trad. it. di A. Fabris, li Melangolo, Genova 1990, lX. 7 Citato in C. ANGELINO, I11troduzio11e a M. HEJ])EGGER, L'autoaffennazione del!' Universilà tedesca. Il Rettorato 1933-34, trad. it., Il Melangolo, Genova 1988, IO. Questo giudizio di Loewith risale al 1940.
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l'esclusione dell'eterno e la scelta politica di Heidegger: l'abbandono alle potenze dcl tempo non è speculare all'abbandono del rapporto all'eterno, poiché una posizione coerentemente "finiti sta" porta a relativizzare tutte le potenze del tempo. E, viceversa, anche l'affermazione del l'eterno non libera dal rischio di scambiare leterno con ciò che è temporale. Resta, di là da ogni riflessione sul caso Heidegger, l'enigma della filosofia heideggeriana, l'incredibile spregiudicatezza di un pensiero profondamente critico nei confronti dcl razionalismo della tradizione filosofica occidentale coniugata con laccettazione di un presupposto dogmatico in cui non possiamo non riconoscere la punta estrema del cono d'ombra da esso proiettato. A questo enigma introduce lo studio della Stein, alla quale gli interpreti di Heidegger hanno riservato, salvo le lodevoli eccezioni di studiosi per lo più provenienti dall'area cattolica, il silenzio dell'oblio, ligi, in ciò, al culto di una ragione filosofica tanto libera da pregiudizi da non discutere inai i tabù su cui si costruisce. Ma forse, un avallo alla mancata attenzione per il sagg10 su Heideggcr è venuto dal!' ottica in cui si colloca l'Autrice nell'accostarne le pagine. La Stein appare spesso vincolata nell'interpretazione ai contenuti della fede cristiana e li tiene presenti non solo come sfondo ideologico o come presupposti della pratica ermeneutica, ma anche come patrimonio di verità da utilizzare per mettere a nudo le aporie del pensiero heideggeriano e per farvi fronte. E ciò potrebbe sembrare un abbandono ingiustificato dell'istanza critica della filosofia, un modo bizzarro di accostare un testo filosofico, perché in contrasto con lo spirito dominante della cultura contemporanea che relega la fede a fatto privato (quando non la trascura dcl tutto), o ancora un serio ostacolo alla correttezza dell'analisi se si ritiene che la ragione filosofica debba esaminare ogni cosa seguendo esclusivamente i propri principi e imponendo la propria misura, o se si considera l'inserimento dell'apriori della fede nell 'argon1entazionc quasi una rinuncia al rigore del vaglio razionale.
Delle possibili obiezioni contro il metodo adottato l'Autrice si mostra,
Edith Stein interprete di Heidegger
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tuttavia, pienamente consapevole e non manca di apprestare risposte efficaci 8 .
HInfatti, dalle sue riflessioni sul tema dcl rapporto fede-ragione e1nerge senza ombra di dubbio la convinzione che, per lei, il ricorso alle verità di fede nella ricerca filosofica non implica in alcun modo l'inibizione dell'intcl!igenza o l'unnullan1ento dei diritti della ragione, bensì, al contrario, co1nporta per la ragione l'opportunità di un ampliamento dell'orizzonte cognitivo e di un accesso ad un livello di conoscenza altrimenti precluso. La Stein aveva già chiarito a se stessa il problen1a quando si era trovata ad intervenire nel dibattito sviluppatosi negli anni '20 in an1bito cattolico circa la legittimità di una filosofia che volesse definirsi cristiana, ed era pervenuta alla conclusione che questa legittimith sia razionalmente sostenibile, Il suo punto di vista in proposito, il nocciolo delle co1nplesse e sintetiche considerazioni da lei delineate per la disainina della questione, 1ni pare possa riassumersi in questa tesi. L'indicazione di Husserl, secondo cui il tern1inc "scienza" denota sia i prodotti delle attività intellettuali consegnati a "rappresentazioni esterne" sia la stessa attività di ricerca che si svolge nel corso dei secoli e ha per té!os il sapere in quanto possesso della verità nella sua interezza, ci fa capire anche quale sia lo scopo al quale tende l'intelligenza u1naru1 e in che cosa consista la scienza nel suo concetto, la "scienza coinc idea": raggiungere una conoscenza cornpleta della realtà e formularla nell'unità di "una teoria in sé conclusa". (Die Einheil ciner 'geschlossenen Theorie': End!iches und E1viges Sein, cit., 16). Solo a queste condizioni la scienza perverrebbe "allo stato di perfezione e compiutezza piena" cd è questo l'ideale delln scienza o la scienza ideale (la Stein preferisce definirla Wissenschaft als ldl~e, fa Scienza nel suo concetto: Endfiches 1111d Ewiges Sein, cil., 16). Co1ne "formazione storica'', invece, la scienza non ha e non potrà mai avere tali requisiti, benché veda in essi un 1nodello a cui avvicinarsi mediante "tentativi e indagini faticose". Nella filosofia, a differenza delle discipline settoriali, l'aspirazione ad un sapere totale è esprcssmnente te1natizzata e si riverbera nella sua pretesa di trovare il fondamento delle altre scienze o di fornire spiegazioni circa "gli ultimi fondamenti raggiungibili" dell'ente. Ed è proprio la filosofia che si sofferma sull'abisso e guarda alla distanza incollnabile tra lo "stato di perfezione" del sapere e i mezzi disponibili per instaurarlo. La filosofia, sebbene costituliva111cnte votata al fine di toccare il traguardo della pienezza della verità, scorge o dovrebbe scorgere il potere limitato degli strumenti di cui dispone. Essa attinge le sue conoscenze dalla ragione naturale che dà certezze parziali, perfettibili e circoscritte all'ordine della natura, ma abdicherebbe al suo co1npito e si precluderebbe possibilità feconde di conoscenza se per principio escludesse di attingere da altre fonti da cui potesse venire un aiuto al suo cam1nino verso la verità e un incentivo a scavalcare i propri li111iti, sicché nelle questioni "cui non può rispondere con i propri 1nezzi'', nelle questioni irrisolvibili col semplice ricorso al "lun1e naturale'', risulta ragionevole per la stessa ragione filosofica accettare co1nc fonte di conoscenza le verità della fede cristiana che si fondano sulla rivelnzione divina: «La ragione diverrebbe irragionevolezza se volesse ostinarsi a fermarsi a ciò che può scoprire con il suo lu1ne e a chiudere gli occhi dinanzi a ciò che è reso visibile da una luce superiore» (Essere finito ed essere eterno; trad. it. cit., 60). E' da soltoline<lre che l'apertura alle verità di fede è sostenuta dalla Stcin nella prospettiva di una ratio che aspira a costruire, secondo la formula di Ton1nu.1so, il suo
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Come e in che misura la Stein abbia praticato il ricorso alle due fonti, il "lume naturale" e la rivelazione, è sotto gli occhi di ogni lettore di Essere finito ed essere eterno, le cui pagine, di proposito, riproducono per molti aspetti e sfumature l'ispirazione delle Summae medievali. Il giudizio sugli esiti speculativi è, però, alquanto controverso, e così pure sono controversi i pareri sul criterio applicato nel!' indagine; studiosi di fede cattolica le hanno rimproverato una indebita sovrapposizione del livello teologico a quello filosofico che va a scapito della precisione dell'analisi'. Per quanto riguarda l'argomento qm in esame, e cioè l'interpretazione della filosofia di Heidegger, sentiamo di poter sostenere che la commistione dei livelli d'analisi costituisce insieme il limite e il fascino dello studio steiniano: il limite, in quanto contraddice al principio basilare di ogni tentativo ermeneutico, che consiste nell'attenersi il più possibile all'intenzione latente e manifesta dell'autore con cui si dialoga, e l'intento di Heidegger è certo quello di restare, nella sua analitica esistenziale, al di qua di ogni decisione personale circa le scelte di vita totalizzanti di qualunque tipo; il fascino, in quanto restituisce alla filosofia quello stupore, quella "seconda ingenuità" (Ricoeur) che la salva dai divieti occulti del razionalismo moderno, nella misura in cui reintroduce lo "scandalo" di ammettere l'ipotesi del soprannaturale nel circuito del pensiero. E' in virtù di tale apertura che la Stein dimostra come "il restare al di qua" dell'analitica esistenziale, lungi dall'essere conseguenza di uno sguardo neutro sull'uomo, sia sovente effetto di una preopus pe1:fectt1111: la loro ricezione conscnlc all'uo1no in cerca della verità di percorrere una via più sicura e più spedita verso la 1ncta a cui tende, per natura, il desiderio di conoscere; essa non costringe ad alcuna abdicazione alla volontà di capire, né ad un salto nell'irrazionale, avendo la verità rivelata "un significato intelligibile", benché 1nai esauribile dall'intelligenza u1nana. Queste osservazioni valgono ovvian1cntc per il filosofo credente, e tuttavia, aggiunge l'Autrice, il filosofo che non crede può quanto meno accettare le verità di fede non corne "tesi" ma co1ne "ipotesi", avendo il diritto di «usare il rnetro della ragione con tutto il suo rigore e rifiutare ciò che non lo soddisfa» (ibid., 67). 9 Così, per es., Carla Bettinelli: «[ ... ) endliches und Ewiges Sein tende[ ... ) a confondere [ ... ) i confini netti Lra teologia e filosofia [ ... J. Inoltre alcune verità, di cui abbia1no conoscenza soltanto per rivelazione, sono adoperate come ele1nenti di costruzione filosofica» (C. BETTINELLI, Il pensiero di E. Stein, Vita e pensiero, Milano 1976, 212).
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comprensione criticabile, e sia alla lunga insostenibile quando si affronta il problema del senso dell'essere. In fondo, tutto lo studio della Stein è orientato da questi interrogativi: come si può presumere di accedere al senso dell'essere, se per principio si escludono le domande "ultime" dell'uomo, se non si affrontano alla radice tali domande? E una filosofia che non vada "alla radice" dei problemi può offrirci una corretta comprensione dell'esistenza umana anche nella sua medietas? Per la Stein l'analisi heideggeriana dell'esserci, dell'uomo in quanto essere-nel-mondo, sviluppata come descrizione neutrale, in realtà mira a censurare do1nande e soluzioni da cui potren1n10 aspettarci una luce per comprenderlo meglio, e la censura a sua volta si traduce spesso in una elusione mistificatoria, perché non solo penalizza le domande "ultime", ma anche le confina nel non-senso e le delegittima sul piano filosofico. Il fatto che la Stein ricavi dalla fede cristiana le risposte alle domande "ultime", contestabile per diversi motivi, si trasforma, quindi, in una/e/ix culpa, perché dà l'incentivo ad una sollecitazione continua dei testi di Heidegger in direzione di un radicalismo del domandare ai quali essi sfuggono. Ciò non toglie che la Stein abbia visto in Heidegger il filosofo al quale si deve un ascolto privilegiato tra le voci più alte del pensiero contemporaneo. La sua interpretazione si nutre di sorprendenti affinità e sintonie teoretiche con il pensiero dell'ex collega, e sono affinità e sintonie tali da avere un peso determinante sul bilancio complessivo del suo confronto con la "filosofia esistenziale" heideggeriana. Simile è il programma di "rilancio" dell'ontologia, simile la recezione critica della fenomenologia husserliana, simile, come vedremo, l'interesse per una filosofia che perda la sterile asetticità della ricerca accademica per aggredire i terni della vita. Ed è proprio di queste affinità che conviene far menzione prima di valutare le convergenze e le divergenze tra i due autori e di misurarne la distanza sul piano speculativo.
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I. Il rapporto di Edith Stein e di Heidegger con la fenomenologia
di Husserl Il tratto che avvicina la prospettiva teoretica della Stein a quella di Heidegger, se si prescinde da quanto si è detto in precedenza a proposito del comune interesse per l'ontologia, è da individuare nel loro rapporto con la fenomenologia di Husserl, non trascurando però una differenza fondamentale: mentre sarebbe una forzatura dei fatti includere il filosofo di Essere e tempo nella cerchia dei discepoli di Husserl, dal momento che Heidegger incontra il fondatore della fenomenologia dopo aver concluso la propria formazione filosofica con Rickert, nel caso della Stein, invece, la qualifica di allieva le si addice nel l'accezione più estesa, in quanto deve all'insegnamento husserJiano sia l'iniziazione e la for1nazione filosofica, sia l'impulso alle prime significative ricerche fenomenologiche, condotte tutte nel solco delle direttive del maestro. E' da notare ancora che la Stein si volge alla philosophia perennis e si dedica alla ricerca ontologica dopo aver rilevato in Husserl un mutamento di indirizzo teoretico da lei ritenuto in antitesi con l'originario orientamento fenomenologico e con il programn1a iniziale enunciato dal maestro, mentre in Heidegger non c'è alcun "passaggio" dalla fenomenologia all'ontologia, perché quando egli si accosta a Husserl è già ben convinto del primato teoretico della "questione dell'essere" e si interessa del metodo fenomenologico solo nella misura in cui ne scopre l'utilità per il chiarimento del problema ontologico fondamentale e in subordine a tale problema. In effetti, se è corretto parlare di un punto in comune tra la Stein e Heidegger, assumendo come termine di riferimento la fenomenologia, questo non è dato dalla appartenenza al "movimento" fenomenologico (si ricorderà che Heidegger, nel § 7 di Seùz und Zeit, rifiuta di definire la fenomenologia un "movimento"), bensì dal ripudio, esplicito nella Stein e quasi sempre implicito nello Heidegger anteriore alla svolta, delle posizioni di Husserl: se la prima nutre delle serie riserve sull'idealismo trascendentale del fondatore della fenomenologia, il secondo utilizza i termini husserliani nel capolavoro del 1927 trasponendoli in una problematica del tutto estranea a quella del loro inventore e
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riempiendoli di contenuti nuovi: qui, infatti, il metodo d'indagine viene definito tout-court metodo fenomenologico, ma non si tratta più del metodo di Husserl. E tuttavia, come la Stein prendendo congedo da Husserl non ritiene affatto di abbandonare il terreno della fenomenologia e considera, anzi, la "rottura" una svolta necessaria per poter attuarne meglio le istanze, così anche Heidegger ritiene di seguire nella sua ricerca criteri conformi all'indirizzo fenomenologico, pur non mancando di sottoporre a critiche serrate i presupposti husserliani nelle circostanze in cui si sarebbe riferito apertis verbis al filosofo che anch'egli sentì di dover chiamare maestro. L'una e l'altro, dunque, vedono nella fenomenologia delle potenzialità cognitive da dover valorizzare e da mettere al riparo dai fraintendimenti e dagli errori attribuiti, a torto o a ragione, alle svolte del fondatore, a costo di separare di fatto e di diritto la fenomenologia nel suo significato originario proposto da Husserl dagli aggiustamenti prospettici successivamente da lui introdotti. Resta da vedere, ora, quale sia per entrambi lo specifico dell'atteggiamento fenomenologico, che Husserl ebbe il merito di scoprire e che, a loro giudizio, non fu in grado di conservare quando cominciò ad allontanarsi dalle posizioni iniziali e procedette in direzione opposta a quella da cui era partito. Per mettere in chiaro questo punto dobbiamo richiamarci ad alcuni principi basilari della fenomenologia husserliana, nella misura in cui ciò potrà essere utile per cogliere le ragioni del distacco della Stein e della continua diffidenza di Heidegger: avremo modo così di rilevare un accordo sostanziale nei motivi della loro opposizione a Husserl e ci spiegheremo, tra l'altro, lo stato d'animo di viva partecipazione con cui l'ebrea carmelitana avrebbe studiato il percorso della filosofia esistenziale e la delusione che avrebbe provato sentendosi, per così dire, tradita nelle attese. Come è noto, il tema di fondo della fenomenologia husserliana è lintenzionalità della coscienza, essendo, appunto, la coscienza se1npre "coscienza di,, qualche cosa, rapporto "intenzionale" all'oggetto di cui è coscienza. L'intenzionalità non è solo un carattere degli atti di conoscenza, non si realizza solo nell'attività del pensare,
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ma è un rapporto che si ripropoue in ogni tipo di esperienza vissuta. Fenomeno in senso proprio è l'apparire alla coscienza di ogni suo correlato intenzionale, fenomenologia è la rilevazione sistematica di ciò che, nell'apparire, si apre alla coscienza. Lo sforzo del metodo fenomenologico è da individuare, allora, nel tentativo di cogliere gli oggetti di coscienza nella loro "datità originaria" e questa datità originaria in tanto è possibile attingerla in quanto si offre all'evidenza, si dà alla coscienza in "una visione originaria1nente offerente". La fenomenologia poggia, dunque, e fa affidamento sul principio di evidenza, il quale a sua volta implica il fatto che la datità originaria attinta nell'evidenza sia oggetto di intuizione, cioè di apprensione diretta, immediata, e non effetto di una qualunque operazione intellettuale. La suggestione della fenomenologia emana proprio dalla asserita possibilità di raggiungere la cosa "in carne ed ossa" di vedere la cosa come è e per quello che è, o meglio, come si mostra e per quello che mostra di sé. Ora, quale interpretazione ci viene data da Heidegger circa il principio di evidenza? Che cosa si offre, secondo lui, nell'evidenza? Anticipiamo subito la sua risposta, dalla quale possiamo farci un'idea della distanza che in limine lo separa da Husserl: ciò che si dischiude e viene a manifestazione nel fenomeno è l'essere dell'ente, ciò che si svela sono i diversi modi del suo apparire. Dal punto di vista di Husserl una risposta del genere non sarebbe pertinente né compatibile con latteggiamento fenomenologico, in quanto il voler mirare, nel fenomeno, all'essere dell'ente comporterebbe il voler finalizzare la visione a una ricerca specifica e, quindi, non voler restare nell'ambito della fenomenologia e dedicarsi ad una indagine legittima, sì, ma settoriale. Qui importa, però, notare un'altra divergenza: mentre per l'Husserl della fase di ricerca inaugurata dalle ldeen i modi dell'apparire vanno ricondotti alla funzione "costituente" della coscienza e studiati in relazione a questa, per Heidegger e, come vedremo, per la Stein, essi non sono da considerare come derivanti in toto dalla soggettività, bensì anche dalle virtualità manifestative dell'oggetto stesso. Partendo, infatti, dalle Ricerche logiche husserliane, l'opera su crn s1 determinò il più alto indice di consenso tra i discepoli e i feno-
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menologi della prima generazione, e muovendo soprattutto dalla V e dalla VI, Heidegger avrà cura di depurare la fenomenologia da ogni accentuazione soggettivistica. Questo accade nelle lezioni di Marburgo del semestre estivo 1925 10 , nel corso delle quali egli si sofferma ad analizzare le scoperte originarie della fenomenologia, concentrando l'attenzione sulla nozione di intenzionalità, sull'intuizione categoriale e sulle implicanze della massima fenomenologica "tornare alle cose stesse". L'intento di Heidegger è quello di dimostrare che nelle Ricerche la coscienza pura e gli atti intenzionali non sono concepiti rispettivamente nel senso di una monade in sé chiusa e di attività immanenti ad essa tali da non poter toccare o attingere "l'altro" dal conoscente e dal conoscere. Per riaffermare la costituzione "estroversa" della coscienza, il suo costitutivo aprirsi al mondo e il suo recepire il manifestarsi del mondo, egli fa leva sulla compresenza in un medesimo atto della percezione sensibile e dell'intuizione categoriale. Con il termine "categoriale" Husserl aveva inteso denotare le possibili determinazioni generali dell'oggetto percepito e aveva sostenuto la tesi secondo cui dette determinazioni si danno in tutt'uno nell'atto del percepire e con il percepito. Heidegger da parte sua fa osservare che l'universale categoriale non è soggettivo, non è un prodotto della costituzione interna della coscienza e non è attingibile con una sorta di analisi introspettiva destinata a restare circoscritta all'immanenza della coscienza. D'altro canto, questa affermazione sulla non soggettività dell'universale categoriale potrebbe benissimo essere ascritta alla costante inclinazione polemica heideggeriana verso le posizioni del neokantismo o verso qualunque concezione in cui il categoriale venga inteso, in modo conforme all'analitica trascendentale kantiana, come l'apporto proprio dell'intelletto all'oggetto della percezione, come
° Cfr.
1
M. HEIDEGGER,
Prolego1nena zur Geschichte des Zeitbegriffs,
Klostermann, Frankfurt am Main 1979 (trad. it.: Prolego111eni af!a storia del concetto di tenipo, a cura di P. Jaegger, Il Melangolo, Genova 1991).
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ciò che di suo conferisce il soggetto al dato da conoscere, come l'apriori in forza del quale il percepito viene anche capito. Ora, Heidegger concorda con la posizione di Husserl secondo cui l'intuizione categoriale si dia insieme con la percezione sensibile e concorda anche sul fatto di considerare l'intuizione categoriale il sostrato sul quale si fondano tutti gli atti di ideazione della coscienza; ma, sottolinea, la fenomenologia si pone agli antipodi dell'idealismo e fornisce la prova della sua insostenibilità teoretica, mettendo in chiaro l'impossibilità di far coincidere l'ideale con il soggettivo: «Il nonsensibile, l'ideale, non può essere identificato direttamente con l'immanente, con l'elemento conforme alla coscienza, con il soggettivo» 11 • La «fenomenologia - continua Heidegger - ha mostrato che l'apriori non è limitato dalla soggettività, ovvero che esso non ha nulla che vedere primariamente e anzitutto con la soggettività». E ancora: «L'apriori nell'intelletto fenomenologico non è alcun titolo di comportamento, ma un titolo dell'essere»". Alla luce di tali osservazioni appare evidente come Heidegger abbia operato rispetto a Husserl un dislogamento del punto focale della fenomenologia spostando l'attenzione dalla coscienza e dagli atti di coscienza all'essere che si rivela alla coscienza e alle condizioni non soggettive del suo rivelarsi; in quest'ottica il fenomeno in senso proprio non è più l'apparire provocato, per così dire, dalla capacità visiva del soggetto, ma il mostrarsi della cosa in quanto viene allo scoperto per possibilità propria dell'essere che vi si svela. Qui si
11 12
ID., Prolegon1eni ... , trad. it. ciL, 73.
Ibid., 93. Per non fraintendere questa affermazione mi pare opportuno ricordare in proposito quanto sostiene O. Poeggeler: «Con la sua resistenza contro le !deen di Husserl, Heidegger non propone (come per lo più fecero i fenomenologi dcl circolo di Gottinga) esigenze realistiche contro l'idealismo di Husserl. Piuttosto, egli mette in evidenza una tendenza unilaterale verso il teoretico, che ricondurebbe ad una tradizione obsoleta, quella del cartesianesimo» (O. PoEGGELER, Heidegger e Husserl a confronto, in Aut aut 223-224 (1988] 63). Sulle lezioni heideggeriane concernenti l'intuizione categoriale cfr. K. HELD, Heidegger e il principio della fenon1enologia, in Aut aut, cit., soprattutto pagg. 88-93. Questo fascicolo di Aut aut interamente dedicato al terna del confronto Heidegger - Husserl, contiene anche il resoconto del Seminario di Ztlhringen tenuto da Heidegger nel 1973, ed è l'ultimo testo in cui H. appare impegnato a detcnninare il proprio rapporto con Husscrl.
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comincia ad accennare a qnell'atteggiamento di attiva passività, di abbandono, al qnale l'uomo si dovrebbe uniformare nella sua condotta in rapporto ali' essere, secondo quanto è adombrato nella celebre definizione dell'uomo "pastore", "custode" dell'essere, consegnata alla Lettera sull'Umanismo. In relazione al suddetto spostamento della mira teoretica dall'asse tematico del pensiero husserliano alla questione ontologica viene in chiaro anche il motivo per cui Heidegger, già nel 1925, denunciava il limite più vistoso della fenomenologia nel fatto che essa «trascura di porsi il problema del senso dell'essere stesso e dell'essere dell'uomo»". Ma se in questa prima fase d'accostamento ai temi trattati "dal maestro", il "trascurare" è addebitato da Heidegger solo al "non voler affrontare", ad una mancanza di interesse per il problema, di lì a poco, invece, sarebbe stato ritenuto un "non poter affrontare", lindizio di una incapacità congenita al metodo fenomenologico in quanto tale. Infatti, nel capolavoro del 1927, non è difficile reperire affermazioni dove, se pure non ci sono riferimenti espliciti a Husserl, si possono scorgere argomenti sufficienti per minare alla base altri due capisaldi della teoria husserliana: la concezione del fenomeno come "presenza" senza residui della cosa per la coscienza, e il ricorso ali' evidenza quale estremo, recuperabile, stato di grazia dell'ego. Ne citiamo una fra le tante: «L'ente può manifestarsi da se stesso in maniere diverse, a seconda dei vari modi di accedere ad esso. Si dà anche la possibilità che l'ente si manifesti come ciò che esso in se stesso non è[ ... ]. L'apparire è un non manifestarsi»". La frase, in una interpretazione superficiale, potrebbe essere riferita ad una constatazione di sconcertante ovvietà: ogni visione delle cose è condizionata dal modo di vederle; o potrebbe considerarsi un accenno sfuggevole all'esperienza comune dello scambiare, nel vedere, una cosa per un'altra.
13 M. HEIDEGGER, 14
Prolego111e11i ... , cit., 143.
ID., Essere e ternpo, Lrad. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1970, 56 -57.
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In realtà Heidegger non si riferisce a questo. Egli mira, piuttosto, a introdurre uno scarto tra ciò che si manifesta, l'ente, la
cosa, e ciò che ne determina l'apparire pur non rendendosi manifesto, la potenza in virtù della quale l'ente viene alla visibilità, potenza che non è lente stesso, 1na lo porta a n1anifestazione, senza tuttavia offrirsi allo sguardo: allusione inequivocabile a quella differenza ontologica di ente ed essere su cui egli avrebbe insistito in seguito. Husserl si era proposto l'obiettivo di raggiungere la trasparenza degli atti intenzionali perché, secondo lui, la coscienza è essenzialmente un "vedere''. Nella sua convinzione, la coscienza
avrebbe potuto recuperare le sue certezze qualora fosse tornala alla "visione originariamente offerente" e avesse tolto di mezzo gli ostacoli che facessero velo a questo vedere: donde il progetto di una fenomenologia pura mediante la quale fosse ripristinato lo spettacolo del mondo nel suo sorgere e costituirsi per il soggetto; donde la pratica dell 'epoché, della sospensione del giudizio e delle riduzioni fenomenologiche come tecniche di approssimazione alla visione ongmaria e ai suoi contenuti essenziali. In ogni caso, ogni oggetto "intenzionato" o è presente o di diritto pnò essere evocato alla presenza.
Heidegger avrebbe colto in tale programma l'ultimo sogno del pensiero metafisico imperniato sulla centralità del soggetto e sulla tendenza esclusiva e incoercibile a prendere sul serio solo quello che è oggetto possibile di "rappresentazione" per un soggetto; per lui, il pensiero metafisico, nel quale rientra anche la teoria husserliana, riduce l'essere al puro essere presente, si confronta con gli enti e non problematizza l'essere dell'ente, dimenticando che nel darsi dell'ente resta nascosto per lo più l'essere di cui l'ente è rivelazione, e che di tale sottrarsi del!' essere allo sguardo non è responsabile la coscienza, bensì l'essere stesso. Per Husserl l'evidenza è l'estremo rifugio dcl soggetto, per Heidegger è invece rinvio al non evidente, all'unica assenza luminosa degna di monopolizzare la sollecitudine dell'uomo. L'oblio dell'essere nella tradizione culturale dell'Occidente identificata con l'egemonia del pensiero metafisico sarebbe diventato l'argomento predominante della sua riflessione filosofica tesa ad evidenziare l'ambigua vicenda di questo concedersi e sottrarsi; in
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quanto il pensiero metafisico cerca senza averne consapevolezza l'essere, in tanto è rapporto ali' essere pur avendo a che fare con la sua assenza, è storia in senso pieno di una prossimità-lontananza imposta dall'essere, è il destino dell'Occidente; in quanto il pensiero metafisico è votato ad una conoscenza che si dirige all'ente per poterne disporre ed è proteso ad assicurare il dominio del soggetto sul mondo, in tanto assume i connotati della follia e dell'impotenza, essendo "destinato" dall'essere a sperimentare la necessità dell'errore e dell'erranza. La verità dell'essere al pensiero metafisico si n1ostra, quindi, in negativo come un rapporto in cui ci si incontra e ci si scontra con il non disponibile. In questa prospettiva l'ontologia coincide con la storia dell'ontologia e l'essere con la storia del suo rivelarsi e nascondersi nell'evento, sicché l'essere si risolve ne1l'evento, è un "evcnire" e perciò non è altro dal tempo, bensì il tempo medesimo. Tenendo conto dell'equivalenza "essenziale" di tempo ed essere, così stabilita, noi possiamo avere la chiave di lettura di quel riferimento a Husserl nella Lettera sul/' V manismo là dove si dice che egli al pari di Sartre non riconosce «l'essenzialità dello storico nell'Essere» 15 • Ma tutto ciò ha attinenza con lo Heidegger posteriore alla svolta. Lo Heidegger di Sein umi Zeit, invece, ci mostra, semplicemente, ed è cosa notevole, di aver imbroccato a ragion veduta una via di ricerca completamente diversa da quella husserliana, sostituendo ali' analisi della coscienza intenzionale lanalisi dell'esistenza o dell'esserci (Dasein) come esistenza, e alla soggettività trascendentale husserliana, la temporalità dell'esistenza in quanto essere-nel-mondo: qui non è più possibile alcun ricorso a presunte evidenze originarie per attingere la verità dell'io e delle cose, qui l'esistenza è un essere-gettato-in, finitezza insuperabile circoscritta dal duplice nulla della provenienza e della destinazione. Paragonate agli scenari aperti dell'analitica esistenziale le sottili e complicate distinzioni metodologiche dello Husserl interessato alla
15
ID., La dot!rina di Platone sulla verità - Lettera s11ff'U111anis1110, trad. it. a
cura di A. Bixio e G. Vattimo, Sei, Torino 1978, 106.
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soggettività trascendentale appaiono affette da insopportabile intellettualismo. Né varrebbe per Heidegger lobiezione di chi volesse far leva, per dissolvere tale impressione, sulla insistenza di Husserl circa il dovere della fenomenologia di assumere a suo compito il chiarimento sistematico dell'esperienza vissuta, dell' Erlebnis. Anche in questo caso egli avrebbe da replicare: «Erlebnis significa sempre relazionare, relazionare appunto, la vita, il vissuto, a un io. Erlebnis indica il riferimento dell'oggettività al soggetto. Anche l'esperienza dell'io-tu, di cui tanto si parla, ricade nel cerchio metafisico della soggettività» 16 • Non possiamo soffermarci più a lungo sugli altri aspetti del rapporto instaurato da Heidegger con la fenomenologia husserliana 17 • Con quanto è stato detto si è voluto soltanto toccare le radici di un dissenso variamente motivato negli anni, e solo allo scopo di riportare in primo piano una prossimità teoretica con la Stein, della quale bisogna pur tener conto per definire il tipo di pre-comprensione da cui ella muove nella sua ricognizione della filosofia esistenziale. La Stein, a differenza di Heidegger, conosce la fenomenologia dal di dentro ed è giunta a formulare critiche radicali a Husserl per ragioni che hanno con quelle di Heidegger un denominatore comune: il ripudio del soggettivismo. Ma occorre in proposito fare una precisazione: ella non ha mai identificato in hlocco né la fenomenologia né tutto Husserl con posizioni soggettivistiche, ella anzi ha visto nella fenomenologia di Husscrl e le ha sempre rivendicato un merito indiscutibile, quello di «aver elaborato l'idea della verità assoluta e della conoscenza oggettiva ad essa corrispondente, in tutta la sua purezza, e di aver regolato fino in fondo i conti con tutti i relativismi della filosofia moderna»".
16 lo., In ca111111i110 verso il Linguaggio, trad. it. di A. e M. Caracciolo, Mursia, r..1ilano 1973, I IO. 17 Sull'argoinento, vogliatno segnalare ancora Io., Mein Weg in die Phae110111enologie, (traci. it. di E. !v1azzarella: Il 111io can1111i110 di pensiero e fa fen(nnenofogia, in M. HEIDEGGER, Essere e ten1po, a cura di E. Mazzarella, Guida, Napoli 1980, 183-191). 18 E. STEIN, Che cosa è la feno111e11ologia (111aggio 1924), in Io., La ricerca della verità, cit., 58.
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Ora, considerando che se c'è un filo conduttore tenace e ben visibile nell'intero percorso filosofico della Stein, scandito in fasi a stento conciliabili, questo è dato dall'idea di una verità oggettiva da dover accostare con ogni sforzo e con ogni n1ezzo, e dalla passione per la verità ut sic, viene facile individuare il punto a partire da cui ella non sarà più disposta a seguire Husserl. La Stein comincerà a prendere le distanze dal maestro quando avvertirà nelle sue nuove convinzioni un accostamento all'idealismo: si tratta, come abbiamo visto in precedenza, del medesimo bersaglio preso di mira da Heidegger. Cosa implica, per la Stein, la concezione idealistica? «Nel linguaggio filosofico - fa notare - idealismo vuol dire dipendenza del mondo da una coscienza conoscente» 19 • La visione idealistica comporta la negazione dell'autonomia dell'essere del mondo rispetto all'io conoscente, sicché ella vide giustamente in simile presupposto metafisico la minaccia più letale al carattere assoluto della verità, un ritorno al principio di immanenza sul quale poggia la tendenza razionalistica della filosofia moderna e, dunque, una regressione di Husserl a posizioni già da lui criticate e superate. Speculare a questo rifiuto dell'idealismo sarà, allora, per la Stein, la valorizzazione di ciò che, nella fenomenologia, si colloca agli antipodi della concezione idealistica. Ella condividerà del metodo fenomenologico soprattutto i principi e gli orientamenti ispirati ad una tendenza realistica; si troverà d'accordo con 1' impostazione di una filosofia fenoinenologica il cui tnetodo non sia 11rùna f'acìe né induttivo né deduttivo, bensì descrittivo (e ognuno può vedere in tale opzione, non si sa quanto ingenua, il tentativo di limitare al massimo il ruolo attivo della tnentc nei processi di conoscenza, quasi a voler schivare il pericolo di manipolazione dei dati da conoscere); farà proprio il concetto di «una conoscenza intuitiva delle verità filosofiche che siano in se stesse certe, evidenti e non abbiano bisogno di nessuna deduzione da altro» 20 . Così ella dopo la conversione potrà accostare Husserl a Tommaso e allo spirito della philosophia perennis, che non
l'l 20
fbid., 60. Ibid., 59.
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è per lei, quello incarnato in una particolare corrente filosofica, ma quello che fa avvertire ad ogni filosofo autentico "l'interna necessità" di rintracciare il logos o la ratio di questo inondo. E Tommaso e Husserl sono dichiarati da lei solidali nel convincimento che «un logos agisce in tutto ciò che esiste, un logos verso cui guarda la nostra conoscenza e da scoprire progressivamente con la nostra intelligenza» 21 . E qui tocchiamo il cardine della sua visione teoretica: questo logos non è costruzione del soggetto né ha le sue condizioni apriori nella soggettività trascendentale, esso è l'ordine del mondo potenzialmente aperto alla luce dell'intelletto naturale. La possibilità di appropriarsi con la mente dcl logos del mondo è senz'altro data all'uomo e lo qualifica in quanto essere umano. Ma la possibilità che ci sia un /ogos dcl mondo e il come del suo esserci è qualcosa che trascende la relazione del conoscente (l'uomo) e del conoscibile (il mondo) 22 . 11 logos dcl mondo, in guanto non è produzione del soggetto umano, bensì oggetto delle sue faticose scoperte, non ha nell'uomo il fondamento della sua "pensabilità", ma postula nella sua possibilità di essere pensato un fondan1ento, un apriori se vogliamo, da cui possa derivare l'intelligibilità del mondo e la luce delle intelligenze finite e limitate alle quali questa intelligibilità si offre. L'argomentazione della Stein, lo si può vedere agevolmente, presenta impressionanti analogie con l'argomentazione di Heidegger sopra richiamata a proposito del categoriale che, ci è stato detto, non è produzione del comportamento umano, ma titolo dell'essere. E come per Heidegger il categoriale postula un riferimento all'extrasoggetivo, all'essere, così per la Stein il logos postula un riferimento ad un principio che trascende il soggetto e il mondo.
21
Cfr. E. STEIN, La .fe11n111e110/ogia di Husser! e la filosofia di S. To111111aso d'Aquino, (1929), in ID., la ricerca de!la veritò, cit., 63. 22 Si veda, per es., come la Stein insiste nel deinarcarc la differenza tra idea cd essenza di una cosa, l'una prodotto dcll'intel!igere umano e l'altra logos "oggellivo" della cosa: <~Per noi (uo1nini) sussiste una discrepanza fra le specie della cosa che l'intef!ec/11s agens elabora, e l'essenza della cosa carne è in se stessa)) (ibid., 88).
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Le analogie, però, si fermano qui. Noi possiamo soltanto richiamare, per demarcare somiglianze e differenze, lo scavo analitico di eccezionale vigore speculativo attuato dalla Stein sulle implicazioni dell'intuizione eidetica husserliana che è, nel discorso di 1-!eidegger, l'equivalente dello scavo analitico sull'intuizione categoriale. Tutte le distinzioni introdotte dalla Stein circa la possibilità di concepire con la mente "oggetti ideali" 2 1, tutto il suo tentativo di stabilire lo "statuto antico" delle specie intelligibili e la conseguente divisione dell'essere in essere reale ed essere essenziale Ja conducono sulle tracce di una Intelligenza eterna o Intelletto divino che concepisce le essenze immutabili degli esseri e ne custodisce l'eterna verità. Critici poco accorti le hanno imputato un riciclaggio di concezioni platoniche e non si sono chiesti quale problema perenne e di immane portata ella abbia di nuovo squadernato sotto i nostri occhi. E' lo stesso problema di 1-!eidegger, sebbene radicalmente diversa sia la soluzione da lei proposta. E' la domanda sull'essenza e sul senso del pensare; è il chiedersi se, quando pensiamo, pensiamo qualcosa d'altro dal nostro pensare e qualcosa d'altro dal nostro io pensante. E posto che ciò accada, come sia possibile che ciò accada e che cosa sia l'altro dal pensare e da pensare. Anche per la Stein il pensare è soprattutto rapporto ali' essere e la filosofia fenomenologica la strada per accedervi. Anche per la Stein la feno1nenologia è la porla dell'ontologia. La differenza abissale da Heidegger sta, però, nella certezza steiniana che l'essere non è l'anonimo sovrastare del neutro (Lévinas) ma, cristianamente ed ebraicamente, il Nome. A questi critici attenti a misurare il gradiente di fedeltà della Stein a Tommaso d'Aquino e poco disposti a spingere la eventuale benevolenza per lei causata dalla coinune fede cattolica fino a riconoscerle l'originalità dell'argomentazione, almeno quando c'è, si può far notare, per inciso, come ella abbia dato con il suo presunto platonismo la prova più
21 - Le pagine che trattano della distinzione tra essere intelligibile, essere essenziale cd essere reale sono le più ardue di Fssere finito ed Essere eterno. La pili nitida esposizione dell'argo1nento si può trovare in R. GUILEAD, Dc la Plié110111énologie à la Science de la croix, l'itinéraire di E. Stein, Nauwelaerts, Louvain - Paris 1974, I 07 e segg.
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elegante circa la ragionevolezza di poter ammettere l'esistenza di un Logo.1· principio di ogni logos. Tornando, ora, al rapporto della Stein con Husserl possiamo sintetizzare le motivazioni della "rottura" con le parole di R. Guilead. L'allieva si accorse che la filosofia del maestro era una filosofia egocentrica: «Mondo, natura, essere, tutto esiste solo in correlazione con un soggetto. Husserl non riconosce in alcun modo una realtà e una verità indipendente dalla sfera immanente delle monadi»". A ciò aggiunse, sbagliando, l'accusa secondo cui nella filosofia di Husserl non ci sarebbe posto per Dio 25 . Queste in sintesi le ragioni teoretiche del distacco. Esistono, però anche motivazioni d'altro tipo, e tuttavia nou meno importanti, sulle quali conviene non sorvolare. L'allontanamento graduale della Stein da Husserl comincia a delinearsi negli anni che preparavano il collasso della repubblica di Weìinar e nel contesto di una cultura che "per esuberanza creativa" 26 viene paragonata al rinascimen1-o italiano. Erano anni di n1arasma politico e sociale e il Walhalla tedesco, la classe dirigente, non riusciva ad apprestare né soluzioni né "uomini-guida" capaci di farvi fronte. L' Accaclen1ia tedesca, da parte sua, coltivava la diffidenza verso le gracili istituzioni repubblicane, nostalgie regressive e il mito atarassico della Wissenschafi, della scienza, come fuga dal caos dell'esistenza e disprezzo per l'impotente passionalità delle masse e dei loro capi partito. Guardando al clima di quegli anni, la Stein scrive: «Il nostro è un ten1po in cui non ci sì contenta più di considerazioni metodiche. Gli uoinini non hanno un sostegno e ne cercano uno. Essi vogliono una verità che sia affermabile e che riguardi ii contenuto, che possa
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lbid., 122. Si tralta, però, di un errore di cui non è responsabile: «A questo proposito scrive A. Ales Bello - è necessario osservare che l'Autrice non era a conoscenza di tulle le riflessioni anche private di I-Iusserl nelle quali egli si riferisce a Dio con1e IVIonadc So1n111a, con1c punto di unificazione conoscitiva ed etica proprio dcll'inlersoggcttivìtà» (A. ALES BELLO, lntroduz.ione a E. STE!N, La ricerco della verità, cit., 29). 26 P. GAY, LA cultura di \Vcilnar, traci. it., Dedalo, Bari 1978, 18. 25
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dare buoui risultati nella vita; essi vogliono una "filosofia della vita"». E aggiunge: «La trovano in Tom1naso» 27 • La conclusione, ovviamente, è riferita dalla Stein al suo caso personale e alla ripresa della filosofia tomista avviata in quel periodo. A noi, invece, importa sorvolare sulla terapia e porre l'attenzione sulla diagnosi. Nell'aprile del 1919, I-leidegger, in una lettera alla figlia di I-lusserl, Elisabeth, se la prendeva con «la cattiva concettualità e con l'inestirpabile mania per l'intellettualità» che il XIX secolo aveva lasciato in eredità al XX, e stigmatizzava «l'indomita direttiva [ ... ] di inchiodare su una tavola in modo oggettivante e regolarizzante e appiattente la vita e tutti i vissuti»". E concludeva la sua requisitoria con uno slancio dionisiaco degno di miglior causa: «Nessuno sgretolamento della vita nei programmi, nessuna patina estetizzante [ ... ] ma la forte fiducia [ ... ] nell'energia costruttiva originaria nel suo puro dispiegarsi a partire da se stessa. Solo la vita supera la vita, non oggetti e cose, né "valori" e "nor1ne" logicizzate, ma ancora soltanto la vita[ ... ]»"Come si vede, le due posizioni della Stein e di I-leidegger si equivalgono nell'essere la spia di un disagio universalmente avvertito. Nella Stein l'accenno alle "considerazioni metodiche" di cui ormai nessuno più si accontentava è una trasparente allusione alle ossessioni di I-lusserl per le questioni di metodo e fa di I-lusserl l'esempio del ricercatore che separa la vita dalla filosofia, mentre nell'intento della Stein la filosofia dovrebbe servire ad affrontare la vita e i suoi problemi, sicché in lei questa rivendicazione è scevra da ogni disprezzo per la scienza e da ogni esaltazione dell'irrazionale. E così accostiamo un'altra profonda causa della sua insoddisfazione nei riguardi del maestro. In Heidegger il disprezzo per lintellettualità è il
27 E. STEIN, La fe110111enofogia d; Husser! e la filo.w~fia di S. To1n111aso d'Aquino ( 1929), in ID., la ricerca della verità, cit., 72. 28 Leflera a Husser!, 24 aprile 1919, traci. it. con testo tedesco a fronte in Aut aut 223-224 (1988) 7. 29 «Nur Leben ueberwindct Lcben - nicht Sachen und Dingc - auch nicht logifiziertc "Werte" und "Nonncn" - wiederum nur Leben» (ibid., 8).
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disprezzo per la scienza ut sic e si tinge di una inquietante patina d'irrazionalismo. La Stein alla carenza della teoria intende far fronte cercando una teoria più idonea ad illuminare i nodi dell'esistenza, e reperisce nuove certezze volgendosi alla philosophia perenni.i·. Heidegger avrebbe auspicalo il gesto esemplare dei forti che nella decisione si fanno carico di un fantomatico destino storico: destino e
decisione pericolosamente privi di contenuto e riempibili con ogni contenuto.
Resta da registrare per entrambi il conferimento del primato alla ricerca ontologica. Adorno, constatando l'influenza esercitata dalla ontologia heideggcriana, l'avrebbe attribuita alla tacita «disponibilità a sanzionare un ordine eteronomo, sottratto alla giustificazione di fronte alla coscienza» e avrebbe dichiarato, con comprensibile amarezza, che l'ontologia, intesa alla maniera di Heidegger, «sembra essere tanto più numinosa, quanto 1neno si lascia fissare a contenuti deter1ninati». E,
ciononostante, avrebbe avuto l'onestà intellettuale di ammettere che «la sua influenza non sarebbe comprensibile se essa non andasse
incontro ad un bisogno sentito, indice di un'omissione, la nostalgia di non doversi accontentare del verdetto kantiano sul sapere dell'assoluto»"'. Ecco, se vogliamo esprimere sotto un'unica cifra interpretativa il senso del percorso steiniano da Husserl a Tommaso, dalla fenomenologia al tomismo, ali' ontologia, possiamo indicarlo come ricerca tesa a colmare "il bisogno sentito'\ "la nostalgia" dell'assoluto. La Stein chiese a Tommaso ciò che Husserl non poteva darle e ad Heidegger ciò che l'ontologia negativa di quest'ultimo non era disposta a concedere. Contro Husserl ella denuncia lo scandalo insuperabile della soggettività: il soggetto conoscente non può essere fondamento assoluto di se stesso, in quanto pur essendo ab-soluto rispetto ai propri atti è condizionato in rapporto al proprio esistere; ogni concatenazione di alti intenzionali sorge sempre sulla base della fatticità del Dasein come costituzione-situazione d'essere non scelta
30 T. W. ADORNO, Dialettica negativa, trad. it. di A. Donolo, Einaudi, Torino 1978, 53. Il passo è citato da G. VaLti1no in apertura della sua introduzione a M. l-:IETDEGGER, Saggi e discorsi, trad. it., Mursia, Milano 1976.
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dal!' io: «La libertà del! 'io nasce sullo sfondo della non-I ibertà» 11 • Contro Heidegger rivendica la necessità di problematizzare fino in fondo la finitezza del!' esserci. Ed è indagando sul limite ontologico dell'ente e dell'Esserci che lei recupera la distinzione tra essere finito ed Essere eterno, indispensabile per capire le strutture portanti della sua ontologia, dove largo spazio è dato alla dottrina aristotelicotomista dell'atto e potenza, la quale, com'è noto, postula un Essere eternamente in atto, come principio e fondamento degli enti. Per la filosofia dell'antico collega provò quel misto di attrazione e repulsione così ben evidenziato nel giudizio della ConradMartius, da segnalare, tra l'altro, per la sua rara potenza espressiva: il tentativo di Heidegger è «come se con incredibile vigore [ ... ] venisse spalancata una porta [ ... ] chiusa per lungo tempo e non più agibile e subito dopo venisse di nuovo richiusa e così fortemente barricata che una riapertura se1nbrerebbe in1possibile» 32 . L' i1n1nagine rende alla perfezione l'idea di un'Heidegger fortemente innovatore, perché osa, in contrasto con i pregiudizi del tempo, riproporre il tema dell'ontologia, apre una porta "chiusa e non più agibile"; e di uno Heidegger altrettanto deciso demolitore, perché fa di tutto per rendere il tema dell'ontologia impraticabile e la ricerca ontologica irrimediabilmente aporetica, in quanto richiude e barrica, addirittura, la porta precedentemente spalancata, e impedisce agli altri di riaprirla. L'intera monografia su Heidegger riverbera questo stato d'animo e le pagine hanno il dono rarissimo di introdurci in un dibattito in cui non si fa fatica a collegare i vertici dell'astrazione con i problemi più o meno confusamente avvertiti della vita e dell'esistenza.
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in R. GUJLEAD, op. cit., l 16. Martin Heideggers Existentialphilosophie, in Welt und Person, cit., 112 (trad. it. di A. Brancaforte, cit., 83). E. STEIN, Potenz und Akt,
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2. Possibilità e limiti della filosofia esistenziale heideggeriana secon-
do Edith Stein La Stein conviene con Heidegger sull'opportunità di partire, per riproporre i termini della questione ontologica, dall'analisi del Dasein come esistenza, e questo, per due ragioni fondamentali: in primo luogo, l'uomo ha un accesso immediato all'essere tramite l'essere che egli è, e l'essere del Dasein, l'essere dell'uomo è, appunto, nell'accezione heideggeriana, esistenza. Sotto tale profilo viene teoreticamente legittimata una "analitica" esistenziale quale punto di partenza dell'ontologia. In secondo luogo, per porre la domanda sul senso dell'essere, bisogna anzitutto comprendere chi è l'essere che se la pone, in guaii modi egli se la ponga e perché sussista un nesso indissolubile tra il tentativo di far luce sulla costituzione ontologica dell'esserci, del Dasein, e la domanda sul senso dell'essere. Infatti, anche la Stein, quando nella sua opera principale recupera le nozioni di atto e potenza per riprendere, dalla tradizione, Ja distinzione tra essere necessario ed essere contingente, tra essere finito ed essere eterno, non assun1e a punto di partenza la costituzione ontologica degli enti intramondani diversi dall'uomo, ma l'iopersona, l'io vivente che si sente vivere e, nell'atto del vivere, avverte di essere insien1c pienezza e 1nancanza di vila, un sé in atto, il quale, oltre ad essere sempre indietro rispetto alle proprie possibilità, esperisce in ogni attimo del vivere la vertibilitas in nihilum e ha inscritto nel suo essere il rischio continuo di estinguersi 33 . L'idea di un essere che sia pienezza di vita, vita totalmente in atto, vita definitivamente installata nella vita, l'idea di un Essere attopuro, infinito ed eterno, da cui tutti gli enti finiti, compreso l'uomo,
:n «Mein Scin, so wic ich es vorfinde und mich darin finde, ist cin nichtignes Sein; ich bin nicht aus n1ir selbst und bin aus mir selbst nichts, stehe jeden Augenblick vor dem Nichts und muss von Augcnblick zu Augcnblick neu 1nit dem Sein bcschcnkt werden» (E. STEIN, Endliches und Ewiges Sei11, rist. 1962, cit., 53; trad. it. cit., 92: «Il inio essere, per quanto riguarda il modo in cui lo trovo dato e per con1e vi ritrovo 1ne stesso, è un essere inconsistente; io non sono da 1nc, da n1c sono nulla, in ogni attimo n1i trovo di fronte al nulla e devo ricevere in dono attimo per attimo nuova1nentc J'essere>>).
493 attingono l'essere "per partecipazione", la Stein la fa scaturire da una riflessione che valorizza al meglio le risorse del metodo fenomenologico coniugandole con la finezza dell'accostamento agostiniano alla sfera dell'interiorità, dove l'io misura il tormento di essere per sé quaestio magna. L'urgenza di dover avocare all'investigazione ontologica, prima e anzitutto, l'io nell'intima esperienza del proprio vivere, spiega così il paradosso per cui la vocazione "spiritualista" della carmelitana lamenta in Heidegger il silenzio pressoché ininterrotto sulla dimensione corporea dell'uomo, la lacuna macroscopica dell'analitica esistenziale. Dal punto di vista strettamente teoretico, la ricognizione steiniana della Exsistenzphilosophie, mira a saggiarne la tenuta soprattutto riguardo al chiarimento del rapporto di essere ed ente e alla concezione dell'esserci non più considerato nel senso di una struttura monadica, bensì in quanto esistenza che si caratterizza per il fatto di assumere su di sé lonere della domanda circa il significato di tale rapporto. Per Heidegger (almeno per lo Heidegger di Seùi und Zeit), la domanda sul senso dell'essere imposta dalla relazione-distinzione di essere ed ente, rimane aporetica. Per 1'Autrice, non è concepibile un perdurare dell'aporia se e nella misura in cui, partendo dall'analisi del Dasein come centro di relazione (essere-nel-mondo), si interpretano correttamente i termini della relazione stessa, e i suoi rimandi impliciti ed espliciti, in modo da pervenire alla risposta decisiva sul senso de li 'Essere. In breve: la Stein giudica lopera maggiore heideggeriana da una posizione, per così dire, di forza, poiché sa già chi o che cosa sia chiamato in causa nella Frage nach dem Sein. E tuttavia il suo studio non scade n1ai in una banale enumerazione dei presunti errori del suo interlocutore, come di solito accade nelle prospezioni critiche di quanti ritengono di detenere il monopolio della verità: nel suo saggio si riscontra anzitutto una ricostruzione accurata della
problematica di Essere e tempo e un totale coinvolgimento nell' itinerario speculativo di Heidegger, fino al punto da riconoscere (dieci anni prima che si parlasse di svolte nel pensiero heideggeriano) che lo scopo precipuo del libro era la riproposizione del problema dell'ontologia, e da avanzare per la prima volta il sospetto che il
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successo dell'opera unitamente al proliferare delle interpretazioni esistenzialistiche fosse d'ostacolo alla recezione e discussione delle linee fondamentali dell'indagine ivi delineata34 ; in ciò ella dimostrava più lungimiranza di Husserl, il quale vide nella analitica esistenziale un abbozzo di antropologia scaturito dalla confusione tra elementi empirici e trascendentali. Pur non mancando di dare il dovuto riconoscimento alla portata innovativa dell'analitica esistenziale, la Stein ricava l'impressione che Heidegger predisponga "tutto" allo scopo di dimostrare come e perché la temporalità rappresenti la costituzione fondamentale dell'esserci, assumendo così a postulato la tesi che ogni reperimento di senso per esso ricada entro la soglia esclusiva del tempo. Heidegger, infatti, designa con il termine cura la strnttura complessiva del Dasein, la quale a sua volta viene raffigurata come fatticità in quanto l'esserci è un "essere gettato", e come esistenza in quanto l'esserci anticipa sempre se stesso progettandosi sulla base delle proprie possibilità. Nella cura, l'esserci ci viene presentato come "un ente nel cui essere ne va di questo essere", un ente la cui caratteristica è quella di esistere comprendendo se stesso e di comprendersi nell'atto di comprendere il proprio poter-essere. Con la coniprensione, il Dasein "incontra se stesso,, nel n1odo del suo essere stato e del suo essere presente presso qualcosa. L'anticipazione di sé, lessere stato e l'essere presso son o dunque articolazioni della temporalità originaria dell'esserci, e il futuro, il passato e il presente sono il suo "fuori di sé" o le estasi della sua temporalità. Nella cura e nella comprensione viene in chiaro che per l'esserci il futuro è primario rispetto alle altre estasi. Muovendo dalla cura, l'essere che ha da essere se stesso e che esiste anticipandosi, ma sempre a partire dal suo "essere gettato", si rivela come finitezza: finiti sono l'esserci, il futuro e la temporalità. Naturalmente la Stein non ha nulla da obiettare circa l'asserita finitezza dell'uomo e circa l'asserita finitezza di ogni protendersi umano verso il futuro temporale. Ella anzi non esita a definire
34
Cfr. E.
STEIN,
La filosofia esistenziale di M. Heidegger, trad. it. cit., 27.
495 "magistrali" le pagine dove Heidegger descrive il patire della finitezza attenendosi, a suo parere, di più al dettato fenomenologico del far parlare "la cosa stessa". Ciò si riscontra nella descrizione della situazione emotiva dell'esserci, situazione nella quale all'esserci si mostra il suo essere gettato nell'esistenza e che costituisce una modalità del "comprendere". D'altro canto, la Stein non poteva misconoscere il carattere rivoluzionario di queste pagine che segnano un punto di rottura radicale con la tradizione filosofica precedente. In questa, infatti, la capacità di "comprendere" e di "comprendersi" da parte dell'uomo era quasi sempre attribuita in modo esclusivo all'attività del pensiero, al theorein, alla ratio. In Heidegger, invece, l'apertura costitutiva dell'essere umano a se stesso e al mondo è additata, non tanto nella facoltà intellettiva, quanto piuttosto nell'essere dell'esserci, e l'esserci è nel suo ci, nel suo qui e ora, con tutte le strutture costituti ve della sua esistenza, sicché l'essere-aperto appartiene all'esistenza, non ad una specifica facoltà. Ecco perché l'essere-aperto attiene anche alla dimensione emotiva. Ed è sulla base di questo radicale mutamento di prospettiva che Heidegger cercherà di reperire «una situazione emotiva comprendente nella quale lesserci sia aperto a se stesso in modo caratteristico», dimostrando che la situazione emotiva che soddisfa a tale condizione è langoscia. La Stein apprezza il fatto che il filosofo assegni alla situazione emotiva una centralità indiscutibile: in essa e in 1iferimento ad essa si può dischiudere uno spazio teorico per capire la costituzione psicocorporea dell'uomo e si può far chiarezza in senso pieno sull'essere umano rilevandone lo svilnppo come essere psicofisico. Ella, però, lamenta la parzialità e l'incompletezza di questo tipo di analisi in Heidegger. Nella situazione emotiva non solo l'uomo sperimenta l'angoscia, secondo guanto è messo in luce dal filosofo, ma anche la gioia, la felicità, l'amore. E come l'angoscia rivela all'esserci la solitudine del suo essere gettato, il male di vivere, così anche la gioia e l'amore dovrebbero rivelargli altre connotazioni essenziali del suo essere al mondo, un piacere di vivere che è indice della piena fruizione del!' essere.
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Ma per la Stein ciò non è casuale. Heidegger ignora questo aspetto dell'esserci perché concepisce la temporalità originaria del Dasein come uno scorrere senza alcuna stabilità. In gioco entra, dunque, il rapporto del Dasein con il tempo. Heidegger identifica l'io con il tempo e si rifiuta di designare con la categoria di sostanza ciò che è stabile e permanente nell'io. Ora, se il ripudio di tale categoria filosofica adoperata nella metafisica classi.ca si può ammettere in Heidegger in virtù dell'intento di non ricadere negli errori di tale tradizione e di parlare dell'uomo senza ridurlo ad una cosa tra le tante, non è ammissibile per la Stein addurre la temporalità del Dasein a prova del suo risolversi totale nel tempo, quasi che il suo esistere fosse solo una corsa dal nulla verso il nulla. Il Dasein non è solo mancanza, e quindi passato e futuro, è anche, secondo quanto sostiene nella sua opera maggiore, pienezza: essere attnale, "attualità puntiforme", essere parzialmente realizzato, ma pur sempre in qualche modo realizzato, sebbene aperto alla possibilità di perdere o di acquistare ulteriore essere, essere dunque in atto e potenza. Non è il tempo a spiegare l'attualità puntiforme, ma, viceversa, è da questa che occorre derivare il tempo. E l'esistenza attuale è (e qui la Stein ricorre alla teoria ontologica di ConradMartius) "il semplice contatto con l'essere in un punto"; Io scorrere continuo dei punti di contatto è il permanere nell'essere o essere permanente. Ora, il tempo non è che il punto di contatto esistenziale, il punto in cui l'io ha, realizzandosi come esistente, il contatto con l'essere nell'esistenza. Questa attualità puntiforme è il presente. E il presente è l'unica estasi temporale in cui lessere è ontologicamente, se pure parzialmente, se stesso: il passato e il futuro hanno senso solo se costituiti con il presente e nel presente "come dimensioni formali vuote".
A che cosa vuole approdare la Stein con tali argomentazioni? Allo scardinamento del postulato fondamentale di Heidegger. Non è il tempo o la temporalità a dischiudere il senso dell'essere, ma viceversa: un essere che ha da essere, è un essere mutevole al quale occorre il tempo per attuarsi ulteriormente. E ciò comporta laffermazione che l'essere mutevole è un essere finito il cui essere dipende dall'essere
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che non è finito, dall'essere eterno. Ogni pienezza di essere, concessa all'essere finito, sia pure insidiata dal nulla, non ha nel tempo il suo fondamento, bensì nell'essere che, per il fatto di essere pienezza assoluta, non è tributario del tempo, e perciò è essere eterno. Il riflesso della pienezza dell'eterno è la parziale pienezza di essere concessa all'essere finito nel suo presente. Il presente, perciò, è l'estasi in cui la temporalità esplode, è l'attimo in cui il tempo si apre all'altro dal tempo, è i 1 punto di tangenza dell'essere finito, temporale, con l'attualità dell'esistenza. Questa attualità dell'esistenza o questa parziale realizzazione dell'essere finito nel suo esistere rinvia all'essere totalmente atto, all'essere atto puro, infinito ed eterno. L'eterno si coglie nel tempo, ma lo si coglie, appunto, come altro dal tempo: il senso dell'essere finito, di ogni essere finito, lo si reperisce se ci si mette sulle tracce di questo rimando del tempo all'eterno. E passiamo ai rilievi critici mossi dalla Stein ad Heidegger". Essi riguardano la nozione di esserci, la "fedeltà" dell'analisi esistenziale e la sua pretesa di costituire un fonda1nento per Hporre" in maniera adeguata la domanda sul senso dell'essere. Riguardo al "nome Esserci" che designa l'uomo, la Stein condivide l'intento del filosofo di evidenziare la caratteristica del Dasein «di essere per se stesso aperto e di essere in un mondo in cui egli è sempre diretto verso un là»'°, pur rifiutando l'affermazione secondo cui nell'esserci l'essenza coincide con l'esistenza: se tale ipotesi fosse esatta, l'uomo sarebbe "un piccolo Dio" e verrebbe investito di una prerogativa alla quale neppure Heidegger mostra di credere quando insiste nel richiamo "ali' essere del!' esserci", introducendo una distinzione che vanifica l'equivalenza Esserci-essenza dell'uomo. Heidegger, inoltre, ammette da un lato che l'esserci è un «modo speciale di essere a cui si contrappongono altri modi di essere (come l'essere presente e l'essere utilizzabile)», ammette, cioè, il limite del Dasein in quanto non è l'unico n1odo di essere, e dall'altro lo considera «co111e quell'essere
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dal quale solo si può sperare chiarimento sul senso dell'essere» 37 • Tale osservazione, aggiunta quasi casualmente, nasconde in realtà il principale argomento di critica della filosofia heideggeriana così come è ricostruita nella monografia, e perciò dovremo affrontarlo in seguito più da vicino. Le osservazioni più pertinenti alla validità della analitica esistenziale il lettore le trova, invece, elencate nelle pagine che cercano di dare risposta alla domanda se essa "sia fedele". Il difetto fondamentale della analitica non consiste, secondo l'opinione del!' Autrice, nel considerare l'esserci come gettatezza e nell'assumerlo come dato fenomenologico originario; ciò infatti dimostra l'ineludibile verità che l'esserci «non è da sé o per sé e anche che dal suo proprio essere non può aspettarsi nessun chiarimento sul suo donde» 38 , ma nel precludersi di proposito la possibilità di investigare ulteriormente l'infondatezza del Dasein e la sua provenienza, per comprendere poi anche la sua destinazione più propria: farsi carico di tale interrogativo, concernente il da dove dell'esserci, comporta il pervenire all'Essere che si fonda "in se stesso", a "qualcosa che getta il gettato" e quindi scoprire nella geltatezza la dimensione della creaturalità. La Stein fa valere così la sua opzione personale di fede opponendola al procedimento apparentemente agnostico di Heidegger. Dove invece la discussione resta al di qua delle questioni "ultime" (il donde e il verso dove del Dasein), la sua critica mira ad un esame interno degli argomenti dell'autore di Sein und Zeit mostrando, quando occorra, l'incompatibilità delle conclusioni con le premesse che, pure, possono essere accettate corne valide, o viceversa. Questo metodo viene applicato soprattutto alle due forme o dimensioni d'esistenza descritte con le categorie del Si-stesso e del séautentico. In che rapporto stanno tra loro? Il Si-stesso in Heidegger denota l'inautentico, la deresponsabilizzazione del Dasein nel!' anonimato
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della vita associata quotidiana, dove si pensa e si agisce seguendo i modelli di pensiero e di condotta comunemente o convenzionalmente accettati e tramandati. L'inautentico così configurato è connesso con l'essere-con, cioè con la vita dell'uomo come essere sociale, sicché, mancando una chiarificazione di fondo che spieghi, oltre a rilevare, tale connessione, si incorre nell'equivoco, mai abbastanza scongiurato in Sein und Zeit, di adoperare i due termini (inautentico, essere-con) quasi fossero sinonimi denotanti una condizione negativa originaria della socialità. La Stein non condivide, appunto, il concetto del carattere originario della forma di vita inautentica, poiché i diversi modi di esistenza sorgono da nna specie ancora più originaria che è "l'essere persona dell'uomo" e «la distinzione dell'essere persona da tntto ciò che fa parte dell'essere de li 'uomo consiste in ciò, che la persona in quanto tale è portatrice di tutti gli altri esistenziali»·". L'inautentico e l'autentico, sebbene appaiano nella descrizione fenomenologica ugualmente con-primari, rimandano, in effetti, a qualcosa d'altro, alla persona in quanto essere responsabile. Dal misconoscimento di questo rimando, sul quale Heidegger avrebbe potuto far chiarezza proprio a partire dal prendersi cura, dalla peculiarità di quell'essere nel cui essere ne va del suo essere, deriva inevitabilmente il fatto di dover attribuire alla gettatezza, cioè al limite ontologico del Dasein, il connotato del degradamento, che è invece un limite acquisito, l'esito di una caduta o di una fuga dalle responsabilità del Sè-autentico. La Stein può allora evidenziare da parte sua come dietro la formula anodina del Si si celino sempre rapporti umani autentici o inautentici, e come, dietro la manipolazione dell'esistenza non si nasconde un corso fatale delle cose umane, ma sempre una forma patologica di vita associata che richiama per contrasto l'identità del sé antecedente ad ogni perdita o caduta e insieme il modo del suo recupero: «Non il vivere in società co1ne tale, né il farsi guidare in quanto tale è degradamento, ma la partecipazione indiscriminata, a scapito della vita autentica alla quale si è chiamati, senza ascoltare la
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chiamata della coscienza»'in. Chi chiama a vita autentica è l'esserci,
sostiene Heidegger, e in ciò non fa che confermare l'ipotesi secondo cui il Dasein risulta in-fondato circa la sua origine e destinazione, sicché ogni recupero di senso, il richiamo alla autenticità, riposa sul solus ipse. Il Da se in risponde ali' appello allorché, comprendendosi in guanto essere-per-la-morte, assume nella decisione la possibilità estrema che gli è propria, quando si progetta commisurando tutte le altre possibilità al più proprio poter essere includente la propria fine e si libera dal pericolo di alienarsi in esse nell'atto di viverle e considerarle come relative, contingenti, transeunti. Così la temporalità dell'esse rei capace di autoprogettarsi scopre il suo senso nella anticipazione della morte, mentre l'autentico dell'esistenza è raggiunto nell'aprirsi alla comprensione del proprio essere-per-la fine e nel progettarsi in base a tale comprensione. Fra le tre estasi della temporalità Heidegger tende, dunque, a privilegiare il futuro, l'inevitabile futuro del Dasein (la morte), in modo da far dipendere da esso il senso del passato e del presente. Ma la sua indagine, secondo la Stein, si caccia in un vicolo cieco, perché, a proposito della morte, non fa che riproporre l'asserzione tautologica morte-fine del!' esserci, senza aprire uno spiraglio sul senso della morte stessa. Heidegger la considera in guanto possibilità come qualcosa di iminanente e di interno all'esserci e, nello stesso tempo, co1ne un accadere non suscettibile di ulteriore investigazione: ne segue allora che, da un lato il senso dell'esserci deriva dalla sua fine e, dall'altro, la comprensione della fine è circoscritta solo al sno carattere ineluttabile. Egli sorvola, pur ammettendola in linea teorica, sulla distinzione tra morte e morire, sull'esperienza del morire a noi accessibile nel tracciato del tempo, e sulla chance in essa dischiusa di poter in qualche modo comprendere anche l'evento della morte. La Stein non vede nell'anticipazione della morte né una simulazione rituale della fine per indicare il passaggio da un tipo di vita a un altro, né un annuncio di libertà che retroagisce sulle possibili scelte dell'uomo affrancandolo dalle illusioni del Si-stesso .
.j()
lbid., 65.
501 A suo avviso, infatti, c'è una analogia tra l'i1npossibilitàincapacità dell'esserci di essere fondamento a se stesso e l'impossibilità di chiarire pienamente il significalo della morte. Solo l'esserci che è consapevole della sua relazione all'Essere eterno, può di fatto afferrarne, sebbene in aenigmate, il significato recondito, l'esserci che interroga il suo esistere e ne tenta una comprensione "fedele". Non si capisce la situazione affettiva dell'angoscia descritta da Heidegger se non si esplicita il suo duplice significato di esperienza in cui affiora il nulla del nostro essere, il non-poter-essere (e in fondo Heidegger si sofferma soltanto su questo aspetto), e di esperienza che concerne una pienezza di essere da noi in qualche modo posseduta o sperata e sulla quale incombe la minaccia di una perdita irreversibile. Il morire è esattamente il potere di devastazione di una perdita irreversibile speri1nentata nel contù1uun1 te1nporalc, il n1orirc rivela il nostro essere per la fine e, insie1ne, rinvia ancora una volta a quella presenza-pienezza dalla quale esso delern1ina progressivainente il congedo. Noi dobbiamo interrogare questa presenza. Ciò comporta il ritorno alla seconda estasi della te111poralità e ad una decisione aperta senz'altro al futuro, ma vigile e disponibile per le richieste dell'attimo, dove è possibile trovare "indizi" per un essere autentico altrettanto se non più validi di quelli fondati sul morire e snlla morie. Autentica è la decisione che risponde anche alJe diverse situazioni o a1nbiti di vita del Da se in. E le richieste non sarebbero tali se ali' esserci non fosse affidalo "un piano" o "un ordine" di cui non è pro-duttore, bensì responsabile: «Cosa altro può significare l'afferrare l'atti1no e la situazione, se non il con1prendere un "ordine'' o un piano che l'uomo non ha progettato da sé, nel quale, però, si fa affidamento su di lui? Tutto ciò significa legarne dell'Esserci ad un essere che non è il suo, tna che gli è ultin10 fonda1nento e ineta» 41 , Nell'attimo, l'uomo varca la soglia del tempo verso l'essere eterno; il suo prendersi cura riposa su una pienezza che irron1pe nell'orizzonte del tempo, pur essendo di là del tempo. Ed è quanto 1neno significativo che la Stein, per evocare una di1nensione
41
Ibid., 77.
502
Antonino Crimaldi
dell'esistere del tutto misconosciuta dal "prendersi cura" heideggeriano proteso verso la fine, ricorra alla celebre espressione dello Zarathustra di Nietzsche, il critico più acuto delle certezze degli abitatori del tempo, «Ogni piacere vuole eternità, profonda, profonda eternità» e concluda con una sequenza dionisiaca: «Questo essere non è solo quello che si estende nel tempo [ ... ] l'uomo chiede sempre insieme con l'essere, di essere coperto di doni per poter sempre esaurire ciò che l'attimo, insieme, gli dà e gli toglie. Ciò che a lui dà pienezza, non lo vorrebbe lasciare»"'. Ma forse, oltre che a Nietzsche, simile convincimento andrebbe accostato alla intenzione manifestata da Bonhoeffer, testimone della età adulta del mondo e della fede nell'eterno, quando afferma di volerne ricercare la presenza «al centro della vita» 43 . Dopo aver posto in evidenza il legame della temporalità con l'atemporalità la Stein infine è in grado di rispondere all'ultima domanda concernente la filosofia dell'esistenza: se essa sia adeguata a "fondare" la Seinsfrage. Da quanto si è detto si può concludere che, per lei, la ricerca heideggeriana è inadeguata se non addirittura "infedele" al suo compito. Heidegger fa coincidere il senso dell'essere con la comprensione dell'esserci; egli non estende la portata di tale comprensione oltre le modalità d'esistenza e il progetto del Dasein, non riconosce la legittimità di "partire dall'essere delle cose o dall'essere primo". Dal momento che Heidegger non ammette alcun senso distinto dal comprendere, il comprendere prevarica sull'apparire delle cose e sul loro manifestarsi "al!' esterno'', mentre i modi di essere degli enti non conformi ali' esserci vengono defraudati della loro potenzialità ostensiva.
'12 lhid., 80. «Dieses Scin ist nicht nur cin sich zeitlich streckendcs .. cler Mensch ver!angt nach dein i1n111er ncucn Beschenktwcrdcn n1it dcm Sein, un1 das aussch6pfen zu koenncn, \Vas dcr Augcnblick ihn1 zuglcich gibt und nin11nt. Was ih1n Flille gibt, das will cr nichl assen [ ... /» (E. STEIN, M. Heideggers Existentialphi/osophie, cit., 110). 43 D. BONHOEFFER, Resistenza e resa, Lrad. it., Bornpiani, Milano 1969, 216: «[ ... ]Io vorrei parlare di Dio non ai confini, 1na nel centfo, non nella debolezza, 1na nella forza, non nella inortc e nella colpa, nH1 nella vita e nella bontà dell'uomo
[... 1".
·--···--···--EdithStein interprete di Heidegger ·-----··--503 Questo limite dell'analisi esistenziale appare confermato anche nelle altre opere heideggeriane prese in considerazione dalla Stein: il Kant-Buch, lEssenza del fondamento e la Conferenza sulla metafisica. Nel libro su Kant resta irrisolto il problema di una delucidazione esauriente della finitezza del!' esserci: sebbene l'indagine trovi il suo filo conduttore in un nuovo tentativo di fondazione della metafisica e imponga una sorta di regressione dalla ricerca sull'ente in quanto tale a quella sull'essere dell'ente, per poi imbattersi ancora una volta nella Seinsfrage e nella pre-comprensione ontologica dell'essere che scaturisce dall'essenza stessa della ragione umana protesa verso gli enti, ciò che viene lasciato in ombra è il rapporto tra finitezza del!' esserci, comprensione e trascendenza. Per Heidegger, i tre termini si identificano. La trascendenza è insieme oltrepassamento del Dasein in direzione degli enti, progettare che si fonda sulla sua temporalità originaria e dischiude l'orizzonte nel quale avviene l'incontro con gli enti. Essa quindi non solo è sinonimo di essere-nel-mondo, ma segno della finitezza dell'uomo, nel senso che la costituzione d'essere di ogni ente si apre all'esserci mediante la comprensione, e il comprendere "ha il carattere del progetto". D'altra parte, il bisogno della comprensione svela «la più intima finitezza che sorregge l'Esserci»". Con questo si dimostra la sostanziale affinità di trascendenza e comprensione, in quanto la prima sta ad indicare !'essere-nel-mondo e la seconda quel «formare l'orizzonte, in cui l'ente diventa accessibile all'Esserci». Ora, la Stein ritiene fuorviante e infondata questa equazione: l'essenza della finitezza in genere non è data dalla necessità della precomprensione ontologica dell'essere, poiché esistono altri esseri finiti i quali, pur essendo finiti al pari dell'uomo, non la possiedono. Il rapporto va allora rovesciato: trascendenza e precomprensione appartengono alla specifica finitezza dell'uomo, sicché essa non solo non può essere dedotta nella sua specificità da quanto si configura
44
E.
STEJN,
La filosofia esistenziale di M. Heidegger, cit., 94.
504
Antonino Crin'lallli
con1e una sua caratteristica essenziale, 1na incontra la sua cifra inlerpretativa ne!l 'originaria apertura ali' essere eterno. Né dcl resto si può fondare la metafisica come indagine sull'essere dell'ente facendone derivare il senso dalla comprensione che è a portata dell'uomo e della sua finitezza. «Intanto è possibile la domanda sul senso dell'essere, senza contemporaneamente domandare come si effettui la comprensione dell'essere, in guanto noi, nel con1prendere il senso dell'essere siamo rivolti al senso e non al con1prendere. Invece, non è possibile esan1inarc la comprensione dell'essere, senza coinvolgere il senso dell'essere, poiché una volta separato dal senso ad esso accessibile, il comprendere non è più con1prcndente»·1s. Questa obiezione serve anche a far chiarezza sulla "mitologia" heideggeriana del Nulla, che nel Kan.t-Buch non richiama ancora in modo esplicito il tema della differenza ontologica, bensì tutto ciò che, pur essendo "qualcosa", non è un ente nel senso del!' essere presente: in coerenza con l'impostazione di fondo di tutto il libro, secondo cui «l'ontologia fondarncntale che deve fornire la fondazione della metafisica è la filosofia trascendentale» il Nulla corrisponde alla "costituzione di essere dell'ente)> progettata cfol1'11orno comprendendo, cioè "l'essere stesso''. li Nulla, per così dire, è lo sfondo di ogni progetto umano sugli enti, la condizione del loro apparire ex parte suhiecti. Ma a questo livello di formulazione dell'ontologia fondamentale (che porta in primo piano, è il caso di sottolinearlo, il Dasein e non l'Essere, e segna un netto contrasto con il pensiero dell'ultimo Heideggcr) bisogna registrare per la Stein, la crisi di ogni riflessione ontologica, poiché «allora l'ente e l'essere vengono separati l'uno dall'altro in un modo che sopprime il senso dell'essere: quando indichian10 una cosa co111e ente, allora noi intendian10 che esso è se stesso, che esso ha in sé un suo proprio essere indipendente dalla nostra con1prensione dell' essere».i 6. Heicleggcr invece insiste nel tener conto solo del progetto e della gettatezz;a dell'esserci che stanno alla base dc1la sua con1prensione e,
J.'i ,l(j
!hid., 99. lbid., f 00.
505 nella misura in cui non intende chiarirli a partire dagli "esistenziali"
da lui evidenziati, evade lo scopo della sua filosofia, «Si Ferma davanti a ciò che dà il suo senso all'essere e a ciò a cui tende tutta la comprensione; davanti all'infinito, senza del quale nulla di finito in quanto tale è concepibile» 47 • La lettura steiniana delle altre due opere sopra citate non presenta spostamenti di rilievo nel giudizio circa l'incompletezza della filosofia dell'esistenza: le osservazioni dell'Autrice non aggiungono in proposito niente di sostanziale agli argo1nenti che abbiamo cercato di individuare, tranne un maggiore ricorso alle "verità di fede". Ormai il distacco dall'ontologia di Heidegger si delinea per lei in modo definitivo, e ciò non può destare meraviglia se si tengono in considerazione le incompatibilità dei rispettivi presupposti teoretici. L'allieva di Husserl, fermamente orientata a un discorso ontologico che va costruito sul chiarimento di un ordine oggettivo ed autonomo delle cose, deduce dal senso dell'essere così come si offre al pensiero l'esatta collocazione del Da se in nel contesto mondano e l'insieme dei significati per il cui tramite l'uomo accede all'autocomprensione e alla comprensione degli enti. D'altra parte, il senso dell'essere, sebbene non si dia totalmente al pensiero (l'intelligere è pur sempre atto di un pensiero finito, il quale opera per il medium di un concetto dell'essere, non di una intuizione intellettuale totalizzante ed esaustiva) si manifesta, secondo lei, indefettibile, "vero" ed eterno in ogni autentico, anche se parziale, riverbero della sua luce, dove possiamo "avere accesso" agli enti, all'essere degli enti, all'essere in quanto tale. Il filosofo di Messkirch si sofferma, col rischio di restarne prigioniero, sulla finitezza exstatica del Dasein, chiarendo magistralmente quei nessi problematici della Sei11.1jrage, qnel lago improsciugabile da cui emerge la domanda radicale su una esperienza mai del tutto recuperabile alla perfetta chiarezza dei suoi significati: il chiedere si infrange contro le barriere dcl nulla, non tanto per difetto di intelligenza, come vorrebbero i critici che rivendicano il potere
47
lbid., 101.
506
Antonino Crùnaldi
unificante della ragione e i fautori della ontologia positiva, quanto piuttosto per la consapevole accettazione del limite di ogni theorein connesso a un punto di vista storicamente determinato, di ogni problematizzare l'essere degli enti e del Dasein dentro un orizzonte temporale inoggettivabile e insormontabile, accettando la prospettiva necessariamente parziale aperta dalla precomprensione dell'essere sottesa alla Seinsfrage. 3. Attualità dell'interpretazione steiniana
Ma, una volta riconosciuta la distanza incolmabile tra il pensiero della Stein e quello del primo Heidegger, non si può fare a meno di domandarsi se il saggio in questione conservi una indubbia tenuta speculativa anche nei confronti dell'Heidegger più recente, e quindi se esso possa a tutt'oggi rivendicare, oltre al valore documentario, un valore intrinseco, un posto peculiare, nella selva della bibliografia heideggeriana. Una risposta a questo interrogativo non può prescindere, a nostro avviso, dal modo con cui si interpreta l'indagine dell'autore di Essere e tempo successiva alla presunta svolta. Riducendo quest'ultima a un rovesciamento simmetrico degli asserti teoretici contenuti nell'analitica esistenziale, quasi che Heidegger, ormai preso dalla fobia dell 'umanismo come percorso della soggettività incontrollata, avesse avuto intenzione di trasferire semplicisticamente le modalità e l'iniziativa di un recupero dei significati dell'esistenza dal Dasein all'Essere, non si può evitare di concludere che le osservazioni steiniane risultano, oggi, datate, inattuali, nella misura in cui la loro base teorica connessa alla esigenza di affermare il primato dell'essere in ordine ai significati trova pieno riconoscimento nei motivi della svolta del pensiero heideggeriano. Heidegger infatti avrebbe detto che il carattere exstatico dell'esistenza si spiega soltanto sur un pian où il y a principalement l'Etre 48 , che la casa dell'Essere è il linguaggio e l'uomo ne è il custode, recidendo di colpo le giustificazioni teoriche
48 M. HEIDEGGER,
Lettera su/l'Un1anis1110, cit., 99.
Edith Stein inte1prete di Heidegger -- --- - · ··--·
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507 ·-
di una comprensione dell'Essere fondata sul decisionismo riscontrabile, a torto o ragione, nelle pagine dell'opera del 1927. In questa mutata prospettiva, il senso dell'Essere si dà nella corrispondenza del Dasein ali' Ereignis, all'accadere originario di cui parlano i pensatori e i poeti, i quali pensano e dicono e cercano quanto è degno di essere pensato e detto; e pensare è engagement par I' Étre pour I' Étre. La gettatezza del Dasein non è più anonima: il suo "da dove" e "verso dove" sono in rapporto ad un destino epocale in cui si svela e insieme si nasconde, per il tramite della relazione costitutiva dell'uomo alla totalità degli essenti, l'arcana decisione dell'Essere stesso; perciò l'agire umano perde il suo predominio e la sua sicurezza in quanto attivistica affermazione di una soggettività assoluta, per divenire "il portare a compimento" affidato all'attitudine dell'ascolto e della fedeltà a ciò che viene offerto, nella prospettiva storica autentica, quale dono dell'Essere; e l' Andenken, il raccogliersi rammen1orante sulla traccia di questa storicità originaria che coinvolge l'uomo senza essere un prodotto delle sue decisioni, percorre indietro le fasi dell'oblio che è all'origine dello "spaesamento" dell'uomo contemporaneo. Ed è proprio nel confronto con la ricostruzione storicometafisica dello "spaesamento" che il libro della Stein può fornire notevoli spunti di riflessione; nel confronto, cioè, con l'indagine heideggeriana sulle cause della crisi del nostro tempo volta a disoccultare la serietà costrittiva del logos o modello di razionalità a cui abbiamo conseguato le nostre certezze. Per Heidegger, queste certezze sono nate, dall'oblio della differenza ontologica di Essere ed ente, dal fatto di guardare all'Essere avendo di mira l'essente, dalla volontà di trovare conforto e sicurezza solo in ciò che è presente, accessibile e disponibile per l'uso e per l'usura di un soggetto votato al dominio. L'epopea tragica della nostra civiltà a partire dai presocratici Heidegger comincia a tracciarla fin dal 1935, l'anno precedente alla stesura della monografia di E. Stein, fin da quando avvertì di dover fare i conti non tanto con il pensiero tragico di un Pascal o di un Kierkegaard ispirato alla opzione religiosa, quanto piuttosto con l'ateismo tragico di Nietzsche.
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Antonino Crimaldi
E ì due volumi su Nietzsche sono veramente, al di là del bene e del male, "fredda e lucida" (Cacciari) diagnosi di una condizione storica non più co1nprensibile se accostata con gli strumenti teorici
della ontologia positiva, che è quanto dire di una ragione capace di fondare valori e significati universali dentro la molteplicità degli interessi e delle prospettive conflittuali della nostra epoca. La Stein, alla quale il destino dell'Essere avrebbe assegnato l'esperienza della completa devastazione, pur lontana dal lucido disincanto di questa diagnosi, aveva, da parte sua, oltrepassato il tomismo ricorrendo alla theologia crucis della mistica del Carmelo, il cui itinerario prevede la partecipazione alla pienezza dell'Essere divino attraverso l'annienta1nento delrio e la rinuncia a11e sue evidenze: per lei, come per il suo antico collega, la notte avrebbe evocato un'aurora da attendere co1ne dono.
Tale convergenza dimostra come il dubbio che fa vacillare la filosofia non concerne più la positività o la negatività del pensiero, il tracciato del giorno e della notte tipico di ogni riflessione sull'essere, quanto piuttosto la loro efficacia, messa a dura prova dal corso storico che si affida al potere della ragione con rinnovata fiducia senza sopperire alla propria mancanza di senso. Oltre la crisi del discorso ontologico sta dunque una scelta ancora più i1npegnativa: o
l'accettazione incondizionata della finitezza, dell'evento e dell'attimo in un abbandono appagante alla fortuità dell'esistere, o l'affidamento a un atto redentivo che rivela nel tempo una presenza indefettibile e un'altra dimensione dell'essere. Heidegger sostiene che «i mortali abitano in quanto conducono la loro esistenza propria, che è l'esser capaci della morte in quanto 1norle, all'uso di questa capacità, affinché sia una buona morte» e che «l'abitare è gi~t sempre un soggiornare presso Je cose» 49 . Secondo il suo modo di vedere, il porsi sulle tracce di un Essere fuori dall'orizzonte del divenire è lo stesso che trasformare il ferro in legno; per questo si sente più vicino a Nietzsche anziché a Pascal e a Kierkegaard. Nella visione metafisica steiniana, invece, l'emergenza
~ 9 Io., Saggi e discorsi, cit., JOO e 101.
Edith Stein interprete di Heidegger ---------.
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dall'orizzonte del tempo e della storica è l'unica via per trovare una risposta allo sradicamento degli uomini abitatori del tempo: la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo non è di questo mondo. Ma perché «Heidegger non resta pago al suo Essere?»"'. E perché la Stein non soggiorna definitivamente presso il Dio del tomismo? L'opzione in base alla quale Heidegger "finitizza" l'essere, lo riduce ad evento del tempo e lo riconduce senza residui alla comprensione dell'uon10 non è bastata ad esi1nerlo dalronere di dover reperire, nel tempo e per il tempo, un criterio di discernimento per distinguere nell'evenire dell'essere gli eventi manifestativi del suo appello dagli eventi che lo occultano o lo distruggono. Una posizione coerentemente "finitista" dell'essere dovrebbe, ali' opposto, non prendere in considerazione questa scelta o quantomeno contestarne la necessità teorico-pratica. Certo, si può "misurare" il finito con criteri "finiti'\ senza, cioè, postulare valori assoluti, n1a la posizione finitista
impone, appunto, di non dovere ammettere neppure l'ipotesi di misure "assolute". In Heidegger la negazione dell'essere infinito ed eterno, dell'essere assoluto, è ancora intrisa di nostalgia dell'assoluto, come dimostra il perdurare, nella sua filosofia, del "gergo dell'autenticità". Non potendo affidarsi più alla fede razionalista ed umanistica nell'uomo misura di tutte le cose, fede di cui ha mostrato con ineguagliabile profondità le rovinose conseguenze storiche, egli disocculta la verità di un uo1no "parlato" dall'essere, e ne cerca la
voce autentica fuori dalla ratio e fuori dal soggetto, ma la cerca nel tempo e con criteri succubi del tempo, e spaccia la sua scelta per opzione in favore dell'autentico ascolto dell'essere. Sotto questo profilo si spiega, forse, l'episodio più deplorato della sua vicenda biografica, l'abbaglio di aver scambiato il "destino" dell'essere con la falda più inquinata della tradizione del nazionalismo tedesco. L'errore politico di Hcidegger non è la riprova pratica della sua
so A. CARACCIOLO, Presentazione a M. J-IEIDEGGER, !I ca1111ni110 verso i/ Linguaggio, trad. it. cit., 16.
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Antonino Crùnaldi
adamantina fede "finitista", è, al contrario, la dimostrazione di quanto essa sia malferma o precaria. E poiché tale errore è pur sempre l'errore del filosofo Heidegger, e non del contadino della Foresta Nera", conserva come tutti gli errori filosofici il suo nucleo di verità. Il finito non appaga. Contro la sua ontologia negativa che si traduce in una idolatria dell'assenza, quando rifiuta di "semantizzareH52 lessere, sta il suo "sociologismo" deteriore che lo ostenta abusivamente là dove si era installato il puro demone della sopraffazione, ma sta anche la sua vigile attesa per la parola poetica che inaugura nella gratuità un altro modo di accedere ali' essere. E' dunque vero che ogni lacerazione dell'esistenza postula sempre, anche in fase di diagnosi, una ricomposizione dell'esistenza, e che questa composizione noi dobbiamo "significarla" sebbene per congetture ed errori, senza la pretesa di una conclusività del discorso ontologico su cui commisurare il senso e il fine della storia. Quanto alla Stein, lei non ha, certo, idolatrato la presenza, non ha confuso l'Eterno con il tempo e non ha legittimato con il ricorso all"Eterno nessuna potenza terrena, fosse pure benefica e animata dei migliori propositi. Ha lasciato che l'Eterno fosse l'Eterno. La sua scientia crucis è nel titolo l'ultimo omaggio alla mania lmsserliana della Wissenschaft, e nessuno si avvede che si tratta soltanto di un ossimoro: la scienza di ciò che non è scienza, della follia che sconfigge la saggezza di questo mondo. Il suo è un deus absconditus, perché il fardello della terra non cessa di opprimere, ma è anche la promessa del motto caro a E. Bloch: dies septùnus nos ipsi erùnus.
51 E' da condividere pienamente l'opinione di G. Gadan1er, il quale afferma: «Per ammirazione verso il grande pensatore, si spiegava che il suo errore politico non aveva nulla a che fare con la sua filosofia. Se questo bastava a tranquillizzare! Non si notava affatto quanto fosse offensiva una tale difesa di un così importante pensatore» (H.G. GADAMER, Superficialità e ignoranza, in Risposta. A colloquio con M. Heidegger, Guida, Napoli 1988, 176. Questo volume raccoglie documenti e testimonianze in relazione al comporta1nento di Hcidegger verso il nazismo). 52 Cfr. in proposito A. BRANCAFORTE, E. Stein e M. lieidegger: uno scontro~ incontro tra ontologia classica e ontologia negativa, intr. a E. STEIN, La filosofia esistenziale di M. l-ieidegger, trad. it. cit., 20-21.
Convinta di questa verità l'ebrea carmelitana ha cercato di comprendere da quale profonda sorgiva del!' essere giunga a noi l'estrema utopia di poter attraversare !'età del!' indigenza racchiusa «in un duplice non: nel non più degli Dei fuggiti e nel non ancora del Dio avvenire»".
So1nn1ario
Nella sua interpretazione della filosofia esistenziale di M. Heidegger la Stein manifesta una sostanziale concordanza di prospettiva teoretica col pensiero di questo autore, affermando il primato dell'ontologia sugli alatri ambiti della ricerca filosofica. La Steìn, però, si discosta da Heidcgger in un punto fondamentale: per lei il senso dell'essere "eccede" la comprensione che di esso viene attinta dall'uomo e non è riducibile all'orizzonte della temporalità e della finitezza umana, come sostiene Heidegger; l'essere finito si spiega solo in rapporto con l'Essere eterno. Ma, nonostante questa divergenza radicale, sia Hcidegger con l'ambigua formula dell'abbandono all'essere, sia la Stein con la sua inequivoca opzione per l'esperienza mistica cristiana dimostrano che l'uomo si apre al senso dell'essere soltanto nell'atto di accoglierlo come gratuità e come dono "inspiegabile". Essi delineano così due vie per uscire dalla "distretta" dcli' età contemporanea, segnata dalla volontà di dominio e dalla latitanza dei valori supremi.
53
M. HEIDEGGER, Erlaueterungen zu Hoelderlins Dichtung, Frankfurt am M. 1952, 44, cit. da A. CARACCIOLO nella sua Presentazione a M. HEIDEGGER, In canunino verso il Linguaggio, trad. it. cil., 15.
Synaxis 12 (1994) 513-531
FONDAMENTI ANTROPOLOGICI DELL'IMMORTALITÀ UMANA E DELL'ESCHATON CRISTIANO IN G. MARCEL
ENRICO PISCIONE'
Pre1nessa
Il cardinale Jean-Marie Lustiger, traendo le conclusioni del 1° Colloquio internazionale organizzato dall'Associazione "Présence de Gabriel Marce!'', ha messo in rilievo che ci sono due aspetti della riflessione del pensatore francese, ossia la fedeltà e i 1 "mondo invisibile", che «possono essere di aiuto particolare per i cattolici nella congiuntura presente e che sono stati sempre i meno compresi nel pensiero di Gabriel Marce!» 1 • Un altro riconoscimento al filosofo francese, dopo la sua morte, è venuto da Van Balthasar il quale ha intravisto nel Nostro una reale apertura all'Eterno che dà a noi uomini la capacità di vivere con gli altri la dimensione comunionale. L'illustre teologo svizzero tenta poi audacemente un parallelo fra il "doctor angelicus" e il nostro autore. «Se san Tommaso - egli osserva - ci insegna che la fede è l'inizio oscuro della visione, Gabriel Marce! ci incoraggia ad affidarci alla "piccola speranza" come l'aurora di una certezza in Dio, analoga a
* Docente di Filosofia nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 AA. Vv ., Gabriel Marce!, in Atti del Co!loque organisé par fa Bibliothèque
Nationale et l'associalion "Présence de Gabriel Marce!", Bibliotheque National, Paiis I 989. 296.
Enrico Piscione
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quella della fede viva». E l'autore di Gloria così conclude la sua riflessione sul filosofo francese: «Egli si guarda bene dall'anticipare nulla, l'homo viator resta cosciente del male, del rischio delle nostre infedeltà, ma si sottomette alla Parola del Signore: 'Chi crede in me, foss'anche morto, vivrà'» 2 . Anche il cardinale Karol Wojtyla, in un saggio pubblicato nel 1977 Il problema del costituirsi della cultura attraverso la "praxis umana", fa un significativo riferimento alla celebre distinzione fra "essere" ed "avere''. Anzi, si potrebbe affermare che il valore dell'"azione intransitiva" dell'uomo - idea centrale dell'articolo wojtyliano - si ponga sul piano del mistero dell'essere e quindi dell'immortalità e forse è anche lecito sostenere che in Wojtyla filosofo esiste, per dirla con un'espressione marceliana su cui torneremo più avanti, una "negazione attiva della morte''. «Le impronte rimaste nella cultura umana - scrive infatti il futuro Giovanni Paolo II - non solo di per se stesse si oppongono alla morte, perché vivono e ispirano sempre i nuovi uomini, e se1nbrano inoltre richiamare l'immortalità - e forse ancora di più: sembrano testimoniare sulla personale immortalità dell'uomo proprio sulla base di ciò che in lui è intransitivo» 3• Confortati da questi apprezzamenti autorevoli sul pensiero marceliano, intendiamo riconsiderare la posizione del filosofo francese sui temi, così collegati fra loro, di morte ed immortalità e di storia ed escatologia. Chi leggesse l'ultimo manifesto metodologico del Nostro, Presenza ed immortalità del 1959, non potrebbe non rimanere positivamente colpito dall'incrollabile certezza che non tutto può finire con la morte. «Sono fermamente convinto - proclama con grande passione l'Autore - che un mondo privo d'amore può sparire soltanto nella morte, mentre quando l'amore persiste e trionfa su tutto
2 3
H.V. VON BALTHASAR, Lettre à lean Marie Marce!, in ibid., 10.
K. WOJTYLA, Il problenul del costituirsi della cultura attraverso la "praxis un1ana", in Rivista di Filosofia Neoscolastica 69 (1977) 523-524.
Immortalità umana ed eschaton cristiano in G. Marce/
S 1S
ciò che potrebbe degradarlo, la morte non può non essere definitìva1nente vinta» 4 . Ci proponiamo col presente lavoro di esporre le sparse riflessioni marceliane su queste affascinanti tematiche, che trovano poi un ampio riscontro anche nella produzione teatrale del Nostro, che costituisce quasi il "versante" artistico della sua riflessione teoretica. E' bene, infine, osservare che le pagine di Marcel, di questo pensatore fortemente asistematico, si sviluppano più, per così dire, come un processo sinfonico, che non come una concatenazione rigorosamente logica. 1. La coniunione conie "negazione attiva llella n1orte"
Per comodità espositiva si può articolare la trattazione marceliana di quello che tradizionalmente si suol definire il problema dell'immortalità dell'anima in tre livelli, avvertendo che essi, in un pensatore così alieno da ogni sistemazione astratta, sono totalmente legati fra loro da formare quasi una "circulata melodia". li primo livello, che costituisce poi il presupposto di tutto l'argomentare, è una riflessione di carattere sapienziale più che teoretico, sul senso della morte. Ancor prima che il Nostro lanci la sua sfida contro ciò che san Paolo definisce l'ultimo nemico, sfida che d'altra parte ha qualcosa di paolino, e si avvii su quella strada che egli stesso, con frase ardita e originale, chiama la «negazione attiva della morte» avverte il bisogno di sgombrare il terreno da alcuni ricorrenti pregiudizi che non permettono un approccio corretto ad un tema così decisivo per la riflessione esistenziale.
Non si tratta evidentemente di abbozzare un"'ontologia della inorte", perché un simile tentativo, oltre ad essere un'impresa ardua, sarebbe pnre impossibile e contraddittorio, ma di cogliere il limite profondo di quelle tesi che mirano o a togliere ogni elemento drarnn1atico a questa realtà che «s'impone come un astro fisso
4 G. MARCEL, Presenza e in1111orta!ità, in Manifesti 111etodologici di una filosofia concreta, a cura di G. Vagniluca, Minerva Italica, Bergamo 1972, 165.
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Enrico l 1 iscione
nell'universale scintillio delle possibilità»' o che, al contrario, si caratterizzano, ci si passi il neologismo, per un "tanatis1no" ad
oltranza, incapace di aprirsi all'orizzonte della speranza. Il primo errore, tipico di certo spiritismo, è il volere goffamente negare alla morte quel suo carattere di gravità che la rende agli occhi di noi uomini, almeno in apparenza, un quid di ultimativo che dà origine a quel senso drammatico della vita senza il quale l'umana esistenza si ridurrebbe ad uno "spettacolo di marionette''. L'errore di prospettiva dell'altra visione della 1norte consisterebbe nel ripetere, con l'Heidcgger di Sein und Zeit, che la persona è strntturalmente «Zum Tode Sein» e che la morte, perciò, costituirebbe l'ultima parola sul destino umano, insomma l'evento negativo e definitivo per antonomasia.
Ma, ad un esame più approfondito, queste due visioni presentano un insospettabile "rapporto di complementarietà", perché è abbastanza facile immaginare che molti a cui viene proposta la consolatio troppo a buon mercato di certo spiritismo pseudo-religioso (totalmente privo di quell'elemento umanamente coinvolgente che troviamo, ad esempio, nelle Consolationes di Seneca), corrono il rischio di cadere in una sorta di paralizzante disperazione. Le due tesi finora analizzate, runa n1inimale e l'altra oltranzista, potrebbero esprimersi anche in modo diverso: sbaglia ugualmente sia chi ritiene la morte come il compimento del tutto naturale di un ciclo biologico e, perciò evasivamente non intravede in essa una 111agna
quaestio, fonte di possibili ferite dello spirito e di drammatiche domande esistenziali, sia chi, vittima di un sofisma che si traduce sul piano etico in un tradin1ento 1netafisico vero e proprio, considera il
silenzio che un tale evento comporta come la vittoria del nulla e come una caduta nell'insignificanza del non essere.
A queste prospettazioni sulla morte, che sono fortemente parziali - e così passiamo al secondo livello del discorso - Marce! oppone, lo si è già accennalo, la cosiddetta negazione attiva de1la
5 ID., Dnf r{liuto afl'invocazione. Saggio di filosofia concreta, trad. it., Città Nuova, Ronu1 1976, 176.
Inunortalità iunana ed eschaton. cristiano in G. Marce!
5] 7
morte 6 . Ma di che cosa si tratta? Evidentemente l'Autore 11011 ci propone né una banale reazione parolaia né tanto meno un'infantile rimozione del dramma della morte dalla coscienza che, totalmente dominata dall'emozionalità c da una carica affettiva immatura, sarehbe incapace di far fronte a quella triste realtà con cui deve misurarsi. La negazione attiva della morte - che poi sfocia nella dottrina squisita1nente marceliana dell'amore come "seme d im1nortalità" presenta, ad un tempo, il volto rischioso della sfida e l'engagement, per così dire, pieno di tenerezza della comunione umana che si confronta con la morte. Un tale impegno per superare il tanatismo ad oltranza di cui si diceva, diventa nelle pagine marceliane un'acuta fenomenologia della vita interiore di chi sa organizzare, fin da questa terra, una «congiura affettuosa», una «cospirazione d'amore» 7 attorno alla persona an1ata. Atteggiamenti questi da non confondere nel nostro autore con forme di superficiale e sdolcinato sentimentalismo, perché essi nascono da un'opzione ontologica, ossia dalla convinzione che, per usare un termine caro ad Husserl, l'eidos dell'essere amato sta lutto nella speranza d'eternità che si riesce, quasi profeticamente, a concepire attorno a lui. Ciò appare tanto vero agli occhi del filosofo francese che egli si sente autorizzato a chiedersi se una tale cospirazione d'an1ore «non possa ripetersi su un piano superiore» attorno alla nozione di riposo eterno che, però, va preservato, sul piano soggettivo della persona cara che continua a vivere, da un modo scorretto di concepire la fedeltà. E su quest'ultima categoria esistenziale tanto decisiva non solo nella teoresi, ma anche nel teatro marceliano, il Nostro fa delle preziose precisazioni. L'essere fedeli non è mai un atteggiamento passivo (la "fidélité" itnplica una creatività continua) e, quindi, non può ridursi a rispettare gelosamente un ricordo del passato o, peggio, a tener viva in noi un'in1magine che, per forza di cose, apparirà «ogni giorno più sbiadita come una fotografia mal riuscita che si spolvera inutilmente» 8 . 1
6 7
lo., Ho1110 viator, trad. il., Borla, Torino 1967, 171.
lbid., 173. 'lbid., 174.
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La fedeltà s'impone paradossalmente quando sa superare il mondo delle pure immagini; essa pertanto non è un dato preliminare, perché si costituisce dopo avere attraversato vittoriosamente le prove di cui è piena la vita di tutti i giorni, soprattutto quella familiare sulla quale si soffermano, con ricchezza di analisi, tante ]Jièces 1narceliane. Ma quale fondamento - e così passiamo al livello filosoficamente più impegnativo del nostro discorso - può avere l'affascinante sfida del "superamento attivo della morte"? La risposta sta nel ricorso assoluto alla trascendenza, che trova la sua formula sintetica nella battuta teatrale del Nostro, spesso ripetuta anche nei suoi scritti teorici, secondo cui «Ai1ner un ètre, c'est lui dire: toi tu ne n1ou1Tas pas» 9. Ma ci avverte subito lo stesso Autore che non si deve interpretare una tale tesi in modo equivoco: non si tratta di negare cli fatto la morte del soggetto amato, ma cli ribadire piuttosto che l'amore fedele di chi rimane in vita sostiene, in qualche modo, la misteriosa qualità dell'essere amato, in quanto essere. E nemmeno è accettabile secondo il Nostro una distinzione, di sapore chiaramente kantiano e idealistico, fra un "fenomeno" sottoposto alla morte e un "nou1neno" imn1ortale, perché l'indistruttibilità è della comunione e non di una pretesa noumenicità dell'essere, che poi - a ben guardare risulta essere una nozione priva di ogn1 reale consistenza e concretezza. Dunque, solo una relazione amorosa non narcisistica né idolatrica è destinata a non corrompersi e a non perdersi e ad esigere non appena una generica sopravvivenza, n1a J etcrnità. E questa comunione trova il suo aggancio più vero nel Tu assoluto. Ma 1'i1nmortalità assicurata all autcntica, oblativa, esperienza comunionale viene alimentata péguynianamente dalla "più piccola" delle virtù, ossia la speranza. Non per nulla l'oggetto della speranza in Marcel è la co1nunione e la for1nula sintetica della speranza è 1
1
9 MARCEL, La 111ort de de111ai11, in Trois pièces, Pian, Paris 1931, 161.
Immortalità umana ed eschaton cristiano·in G. Marcel -------------- ----------------------·
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esprimibile in questi termini semplici, ma densissimi di significato: «lo spero in te per noi» 10 . La speranza, nell'accezione forte della parola, non può permettersi alcun particolarismo; essa è sempre legata all'esperienza di un "noi tutti", di un "tutti insieme" e questo significato unitario di speranza e comunione si potrà fondare, in ultima istanza, come già si accennava, soltanto sul richiamo a quell'unico che è Dio. E qui Marce!, senza saperlo, quasi trovando uno sbocco teologico in senso stretto alle sue ardite tesi filosofiche, viene ad incontrare il grande Tommaso d'Aquino che nel trattato De spe, alla q. 17 a.3 della II nae, si chiede appunto «se qualcuno possa sperare per un altro la beatitudine eterna»". Certo, può sembrare strano che l'analisi del Nostro mirante a cogliere l'immortalità non con un serrato procedimento dimostrativo, ma piuttosto con «Un sottile e superiore pragmatismo» 12, simile all'argomento del "pari" di Pascal, possa richiamare il pacato ragionare del doctor angelicus. Vi è, però, di più: Marce] ci rinvia per dirla con Von Balthasar - «al punto in cui Tommaso d'Aquino aveva dischiuso la porta della speranza per gli altri»''· Estremamente interessante appare un confronto, proprio su questo tema, fra i due pensatori che, sebbene così lontani fra loro, uon solo cronologicamente ma pure nel modo d'impostare il discorw speculativo, tuttavia, come tutti i filosofi veramente di razza, «Si tendono le mani al di sopra di tutti i confini di spazio e di tempo» 14 •
10
lo., Ho1110 viator, cit., 72. Per un approfondi1ncnto del teina della speranza in Marce!, ci permettimno di rinviare al nostro volume: E. PISCIONE, Antropologia e apologetica i11 Gabriel Marce!, Cillà Annoniosa, Reggio E1nilia 1980, 63-82. 11 TOMMASO o' AQUTNO, S11111111a Theo/ogica, Il llae, a.3, q. l 7. 12 A. RIGOBELLO, l'i1111norta!ità de!!'anùna, La Scuola, Brescia 1987, 31. 1.1 H. V. VON BALTHASAR, Sperare per rutti, trad. it., Jaca Book, Milano 1989, 58. In un recente voluine dedicato a Marccl, G. Russo arriva alla conclusione, da noi condivisa, che «l'insoddisfazione marccliana dinanzi alla 1nctafisica dell'essere» vada considerata più che un rigetto <<Un suo profondo inverainento [ ... l dove sono trascritti gli stessi rit1ni propri dell'analogia to1nista>>. Cfr. G. Russo, Gabrief Marce!. Esistenza e partecipazione, Il Fedone, Battipaglia 1993, 5~6. 14 E. STEIN, Vie deffa conoscenza di Dio e altri scritti, trad. it., Edizioni Messaggero, Padova 1983, 82.
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Ma per comprendere appieno la posizione tomistica sul tema dello sperare per gli altri, che fu un'autentica novità speculativa nel clima culturale del XIII secolo, bisogna partire da lontano, esattamente dalla tesi del pur grandissimo Agostino che in un suo libello, dedicato alle tre virtù teologali, sostenendo che «Spes non est nisi rerum ad eum pertinentium qui earum spem gerere perhibetur» 15 , sembrava porre quasi un limite agli orizzonti, per dir così, universalistici della speranza cristiana. Entrando ora nel vivo dell'argomentazione tomistica c'è da osservare che il doctor angclicus ritiene accettabile la definizione agostiniana su inenzionata, solo nel caso in cui si consideri la speranza absolute, cioè sciolta dal legame con le altre virtù teologali e soprattutto con la carità. Ma qualora - prosegue il sereno argomentare di Tommaso - si desse come presupposto che l'amore riesce a porre un nesso cli profonda unità fra colui che concepisce la speranza e la persona altrui, l'assunto agostiniano diventa insostenibile. L'Aquinate così sintetizza il suo ragionamento: «Sed praesupposta unione an1oris ad alterum, iarn aliquis potest desiderare et sperare aliquid alteri sicut sibi». Potren1n10 con1n1entare !'argo1nentazione tomistica in questi termini: l'amore, se è collocato al primo posto, s'indirizza, per logica interna, ali' altro e gli conferisce quella stessa valenza assiologica che viene riservata al proprio io.
Tommaso d'Aquino e Gabriel Marce! sembrano, pertanto, essere molto vicini nel sottolineare che dallo spessore universale dell'amore discende la possibilità di sperare per la salvezza degli altri. Naturalmente il punto conclusivo dell'argomentazione di Tommaso - e qui cogliamo una radicale differenza con Marce!, che si mantiene volutamente al cli qua della rivelazione, pur considerandola l'orizzonte ultimo in cui collocare la sua teoresi - è di natura prettamente teologica. Val la pena soffermarsi sulla conclusione del citato articolo della Summa perché costituisce, a parer nostro, lo sbocco dichiaratamente cristiano della fenomenologia marceliana della speranza.
15 Cfr. PL 40, 235.
Immortalità umana ed eschaton cristiano in G. Marce!
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II doctor angelicus instaura un'analogia fra I1amore e la speranza in questo modo: come si dà una perfetta identità della virtù dell'amore nelle sue relazioni con Dio, se stesso e il prossin10 «est eadem virtus caritatis qua quis diligit Deum, seipsum et proximum», così medesima è la virtù della speranza in forza della quale si spera per sé e per la persona altrni: «est eadem virtus spei qua quis sperat sibi ipsi et alii». 2. La fedeltà nell'opera teatrale Lo sperare per gli altri, radicato nella dimensione dell'amore, nega attivamente la morte e si traduce nella categoria della fedeltà alla persona cara. Da drammaturgo, Marce! ha avuto modo di esplorare ampiamente una tale tematica con quella libertà propria della creazione artistica, che l'ha in11nunizzato sia da aprioristiche posizioni teoretiche, che l'avrebbero potuto costringere ad una riflessione filosofica in senso stretto, sia dall'avvilente esperienza di incapsulare le sue pièces nello schema troppo angusto di un teatro a tesi. Sono soprattutto due opere, La chapel/e ardente e Le fanal che prospettano, l'una in maniera negativa (fa parte delle cosiddette pièces nocturnes), l'altra in termini positivi (costituisce per l'appunto una delle più significative pièces illuminées), la problematica aperta dalla morte e dall'amore fedele che tenta, in qualche modo, di contrastarla. Ne La chapelle ardente la protagonista, Aline Fortier, avendo perduto il proprio figlio, Raymond, nella prima guerra mondiale, prende coscienza, proprio quasi alla fine dell'opera, della "malafede", nell'accezione - si direbbe - quasi sartriana del termine, con cui ella ha tentato di mantenersi fedele all'essere amato"'. La morte di Raymond fa precipitare la madre in uno straziante dolore, tanto più insopportabile quanto più ella non è confortata dalla fede religiosa né riesce ad elevarsi all'idea di alcuna sopravvivenza.
16 Su una possibile analogia fra la pièce n1arceliana e il dra1n1na pirandelliano La vita che ti diedi, e più in generale, su Marce] interprete di Pirandello, rinvia1no al bel volume curato da Sergio Cristaldi: G. Marce!. Il prob/en1a pirandelliano, a cura di S. Cristaldi, CEDAM, Padova 1984.
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Non le rimane che vivere la sua vita per mantenere desta la memoria del proprio caro e così tormentare la comprotagonista Mireille, la fidanzata di Raymond, attorno a cui si può dire che graviti l'azione drammatica. Aline, intravedendo in Mireille quella creatura concreta che secondo la sua valutazione - prolungherebbe l'esistenza del figlio, vuole, se così si può dire, scaricare il suo cupo destino sulla giovane donna e perciò non le permette di sposare l'uomo che ama, il quale, agli occhi di Aline, per usare il linguaggio freudiano, costituisce un'indebita intrnsione dell'eros nella esperienza di thanatos vissuta da questa madre inconsolabile. Se Mireille sposasse la persona realmente amata commetterebbe un torto imperdonabile, non solo nei confronti dell'ombra di Raymond, ma anche di Aline che sempre più lungo il corso dell'opera s'identifica col figlio, anzi si potrebbe sostenere che ella vada facendo corpo con lui, generando una situazione che definiremmo idolatrica da un punto di vista religioso e schizofrenica sotto l'aspetto psicologico. Mireille - cui è consentito di sposare un tale André, una larva d'uomo che, segnato da un male incurabile, non può costituire un pericolo per la sacralità della memoria di Raymond - non riesce a sottrarsi all'atmosfera di lutto e di "tanatismo" ad oltranza che Aline, vittima e carnefice ad un tempo, sa imporre a sé e agli altri. Non si pensi, tuttavia, che la protagonista de La chapelle ardente sia manifestamente violenta e autoritaria nel perseguire i suoi piani. Il suo agire è più raffinato: di fatto manipola lo spazio di interiore libertà della giovane in modo tale che quest'ultima abbia la sensazione di essere lei, con autonoma decisione, a scegliere come sposo André. Aline, oltre ad essere caratterizzata dalla malafede, presenta un altro tratto che ne distingue la personalità distorta. E' il figlio stesso che ci aiuta a penetrare in questo aspetto segreto della madre allorché, ancora vivo, la definisce con1e <<un essere che ama la sventura». Variando un po' il titolo di una nota opera di O'Neill, potremmo forse dire: ad Aline s'addice il lutto. Per questo, facilmente, il dolore per la morte del figlio in lei, già priva di quella dimensione gioiosa che nonostante tutto - la vita presenta, attecchisce come un virus, come
!nunortalità unzana eri eschaton cristiano in G. Marce!
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una forma d'intossicazione spirituale che non le permette di proiettarsi nel futuro e di aprirsi (dopo una fase che la psicanalisi definirebbe di "elaborazione del lutto") alla progettualità esistenziale. Per Alinc "vivere" è una sorta di profanazione di quella "cappella ardente" in cui, per ricordare il pregnante titolo della pièce, si è trasformato il suo cuore.
Il cuore come camposanto ci ricorda un'immagine di Ungaretti: «Ma nel cuore/ nessuna croce manca/ E' il mio cuore/ il paese più straziato» 17 .
Tuttavia l'ossimoro "allegria di naufragi", con cui è intitolata la raccolta ungarettiana del 19 I 9, consente di cogliere l'abissale distanza fra il nostro poeta (che cristianamente trasforma il dolore in occasione di grazia e al "naufragio" fa seguire !'"allegria", come la resurrezione alla passione) e la protagonista della pièce, fissata in una sofferenza sterile che non avrà mai fine e non sarà mai troppa. La fedeltà al figlio morto non genera nuova vita comunionale, come è proprio della fidélité créatrice, ma è un lasciare dire l'ultima e definitiva parola al dolore. Giudicare tuttavia la protagonista della pièce una donna cattiva, una sorta di genio del male, un personaggio diabolico sarebbe un giudizio frettoloso ed ingenuo: Aline è piuttosto una povera donna, vittima di se stessa e di quell'ossessione che ha ormai paralizzato la sua vita spirituale. Di lei si può dire con più verità che è un essere che non sa veramente soffrire. Sul dolore il filosofodrammaturgo fa un'osservazione preziosissima: esso di per sé non è in grado di rendere migliore chi soffre, anzi, a suo dire, la «sofferenza, lungi dall'operare in Aline un'azione purificatrice, l'ha letteralmente avvelenata». Forte di questa constatazione, Marcel polemizza contro talnni autori di trattati edificanti per i quali «la sofferenza sarebbe buona in sé»". Essa può divenire un'occasione di crescita solo quando, aperti alla grazia, gli uomini riescono a trasformare il male non (per
17 G. 1966, 46. 18
UNGARETTI,
S. Martino del Carso, in Vita d'un
1101110,
Mondadori, Milano
G. MARCEL, La dignità tanana e le sue n1atrici esistenziali,
Ci, Torino 1983,
J J 2.
trad. it., Elle Di
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essere esatti) m bene, perché tale capacità è propria e unicamente di Dio, ina in un principio di vita nuova che irradia amore e speranza. Marce! constata, senza ascriverglielo a colpa, che la sua eroina non è stata capace di trasformare il dolore in apertura comunionale agli altri e pur senza giudicarla non può fare a meno, però, di registrare che il malessere spirituale di Aline è legato alla non compiuta ricerca di verità sulla propria vita. Solo alla fine si intravede in Aline un tentativo, anche se ancora incipiente, di autochiarimento esistenziale, che potrebbe essere l'inizio della sua liberazione. E' questa, però, una possibile conclusione del suo dramma, per nulla scontata, anzi aperta a varie soluzioni, perché richiede, fra l'altro,
un'amorevole capacità di comprensione e di perdono da parte della com protagonista. Cosa che non accade in Mireille che, con una sprezzante battuta: «l tuoi rimorsi fanno altrettanto male della tua tirannia. Io ti detesto!» 19 , non accetta il dialogo e blocca, così, l'iniziale processo di apertura alla verità da parte di Aline. Nel testo analizzato non s'intravede ancora un atteggiamento positivo di fronte alla morte che sarà, invece, proprio dall'altra pièce, Le fanal, su cui ora punteremo la nostra attenzione. Essa presenta una vicenda semplice ed essenziale e come clranzatis personae trovia1no appena quattro personaggi, tre ancora immersi nell'avventura della vita e un altro, più esattamente Madame Chavière che, ormai nell'aldilà, è misteriosamente presente nell'esistenza dei suoi cari, e in un modo senz'altro più positivo di quanto non lo fosse da viva. Madame Chavière ha una forte personalità che incute, per la sua superiore coscienza etica, un rispetto generale e un senso così profondo d'ammirazione da generare quasi una sorta di muto risentimento nel marito e nel figlio. Con1e tnai un personaggio, moralmente così elevato, origina una sorta di rancore, apparentemente immotivato in coloro che le sono più
19
Io., La Chapelle ardente, in Trois Pièces, cit., 260.
Immortalità umana ed eschaton cristiano in G. Marce[
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vicini e che dovrebbero godere di più di quella presenza così significativa e per nulla incolore? A dare una risposta a un tale interrogativo ci soccorrono le dottrine di due grandi filosofi: Kant degli scritti morali e Aristotele dei libri dedicati all'amicizia nell'Etica Nicomachea. Per il padre del criticismo il sentimento del rispetto va rigorosamente distinto dall'esperienza dell'amore; anzi, a suo giudizio, è possibile provare la più grande riverenza nei confronti della maestà della legge morale (e perciò anche di coloro che, in qualche modo, l'incarnano) e si può anche non amarla. In questa strana situazione veniva a trovarsi Madame Chavière che, oggetto di massimo rispetto da parte dei suoi, tuttavia non era amata, cosa che, naturalmente, la feriva in intimo corde e le faceva provare una profonda sofferenza. Per spiegare il rancore che i parenti della protagonista provavano nei suoi confronti, è opportuno richiamare quanto Aristotele ha scritto circa l'amicizia fra diseguali che può nascere solo a condizione che vengano accorciate le distanze «attraverso la proporzionalità [ ... ] degli affetti e servizi reciproci»w Qualora non scatti fra soggetti diseguali questo atteggiamento di benevolenza reciproca, non solo non sorge il sentimento amicale, base di ogni umana relazione, ma può facilmente accadere che la percezione della distanza rispetto al superiore provata dall'inferiore generi in quest'ultimo una sorta di disagio che, in casi estremi, si può trasformare in odio. Se ritorniamo al testo del nostro autore, apprendiamo che è stato proprio per una forma di rancore contro la grandezza morale della propria moglie che Monsieur Chavière divorzia da lei e vive una relazione sentimentale con Isabelle, un'affascinante giovane donna, la quale, a sua volta, si impegna nel rapporto con un partner molto più grande di lei in età, soltanto per una questione d'orgoglio o, se si preferisce, di vanità femminile. Ella, infatti, vuol dimostrare che il suo charme pnò avere la meglio sulla superiorità etica della sua rivale in amore.
20
L. LOMBARDI V ALLAURI, An1icizia, carità, diritto, Giuffré, Milano 1974, 49.
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Anche Raymond, il figlio della protagonista, fa le sue scelte affettive affidandosi soltanto ad una sorta di sentimento d'istintiva reattività contro la madre e si fidanza segretamente con Sabine, una giovane divorziata e senza troppi scrupoli, per provare a se stesso e, si direbbe, in linguaggio psicanalitico, al suo super-io, costituito dalla figura materna, che è capace di compiere azioni che non dipendono dalla volontà della madre e a cui certamente ella non avrebbe dato il suo consenso. Nel contesto, brevemente descritto, di inautenticità esistenziale va collocata la morte di Madame Chavière che proietterà una luce nuova sugli altri personaggi. Monsieur Chavière, accortosi dell'affetto reale che l'univa alla moglie, lascia Isabelle, la quale, dal canto suo, non ha più alcun incentivo psicologico per continuare nella finzione del gioco delle parti e, sentitasi finalmente come sollevata da una sfida dettatale soltanto dall'orgoglio, abbandona il triste ménage che teneva legata lei, giovane e piena di fascino, ad un cinquantenne. La 1norte diventa come un fanale che consente ad ognuno di percorrere la strada necessaria per approdare alla verità. Raymond, che aveva atteso la morte della madre come una liberazione, rompe, anch'egli, il legame con la sua donna e s'accorge che la non presenza fisica della madre costituisce per la sua persona un invito a rientrare in se stesso per scoprire i suoi veri desideri. Con una battuta di profondo significato, che per la sua pregnanza citeremo in francese, il giovane ricapitola e riassume il senso della sua esistenza con queste parole: «La pensée de la mort était là, comme un fanal. Elle est partie, je touchais au port» 21 • C'è un'altra battuta che ci permette di cogliere la morte come una fonte di luminosità capace di chiarire le ambigue situazioni esistenziali. Monsieur Chavière, alla fine, ricostituita la vecchia casa, confida al figlio un suo pensiero: «Saremo di nuovo assieme noi due». Ma il giovane, commosso e solenne, corregge: «No papà, tutti e tre con1e una volta, come non mai» 22 •
21
G. MARCEL, Le fana/, Stock, Paris 1936, 39-40.
22
lbid., 38.
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Con la morte, dunque, Madame Chavière diventa per i suoi una presenza reale, ma purificata da tutto ciò che d'insopportabile potevano avere le sue stesse virtù che si trasformavano spesso, per dirla con un'arguta espressione di Agostino, in splendida vitia. Sia ben chiaro, non basta la scomparsa della protagonista per operare 1neccanicamente una sorta di 111etanoia nei suoi cari, ma è necessario che quella morte divenga per il marito e per il figlio un momento favorevole (si direbbe, un kair6s) per un cambiamento interiore, per una rilettura della loro vita, insomma per una messa in questione di se stessi che li fa approdare alla fine al desiderio di vivere un atteggiamento di fidélité créatrice nei confronti della memoria di Madame Chavière. Ben sintetizza Joseph Chenu il significato metafisico di quest'opera marceliana che costituisce un contributo notevole seppur espresso con il linguaggio emozionale del teatro, per comprendere la posizione più autentica del Nostro sul mistero della morte e sul ruolo decisivo giocato dalla fedeltà che, in ultima istanza, non si può intendere come una rivendicazione, bensì con1e una risposta positiva all'Essere che, secondo il pensatore francese, è - non bisogna dimenticarlo - il "centro della fedeltà". Scrive dunque lo studioso citato che in Le fanal si percepisce come non mai «la dialettica in virtù della quale l'assenza diviene una presenza per la mediazione della fedeltà. La morte, dissolvendo l'essere fisico, fa cadere tutte le barriere, tutte le difese e tutti gli sguardi carichi di giudizio»". 3. La storia del XX secolo e la dimensione escatologica La riflessione marceliana così attenta al tema della morte, anche se non ha mai elaborato una philosophie eschatologique nel senso tecnico del termine come ci è stata offerta, ad esempio, da Berdjaev nel suo Essai de métaphisique eschatologique, non può non essere quasi
23
J.
CHENU,
Le thèatre de Gabriel Marce! et sa signijication niéthaphisique,
Aubier, Paris 1948, 195.
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naturalmente aperta alla dimensione escatologica, avvertita come una sorta di stella polare dell'avventura dell'uomo nel mondo. Il nostro filosofo, che - a differenza del pensatore russo su ricordato - non prende le mosse direttamente dalla rivelazione, s'interroga piuttosto sulle condizioni di possibilità dell'emergere di una coscienza escatologica e sgombra subito il terreno, com'è proprio del suo metodo, da ciò che potrebbe impedire una corretta impostazione del problema. Il primo ostacolo da rimuovere è proprio il modo stesso con cui pensare alla "certezza della parusia"; essa non può essere presentata come "un pensiero-rifugio" che alienerebbe l'uomo dai suoi doveri quotidiani in una forma di paralizzante pigrizia pseudomistica e che escluderebbe l'agire umano e la ricerca della sua efficacia. Bisogna, dunque, mettere al bando ogni forma di "quietismo escatologico" e non collegare l'idea della fine di ogni cosa ad una sorta di contemptus mundi", espressione della sensibilità più discutibile di certo medioevo o, peggio, assimilarla ad una specie di "idea nera" o di intossicazione spirituale. D'altra parte, il non ammettere che questo mondo possa avere il suo compimento finale dà origine ad una grande presunzione o, se così è lecito esprimersi, al controdogma dei cosiddetti "spiriti posati'', su cui si sofferma non poco il saggio marceliano Pessimismo e coscienza escatologica che stiamo esaminando. Gli spiriti posati muovono dall'acquisizione teorica che non si dà all'uomo una dimensione metastorica e perciò il mondo appare loro definitivamente costituito, anche se «suscettibile - come scrive il Nostro - di essere trasformato progressivamente in maniera più conforme alle esigenze di un essere ragionevole»". Una tale posizione spirituale fa un tutt'uno, dunque, con l'idea che la vita umana sia percorsa da un progresso ad infinitum ed è, pertanto, distantissima dal drammatico senso della storia di derivazione cristiana, come l'esprime Mounier nel suo bel volume La piccola paura del secolo XIX. Secondo il padre del personalismo francese, bisogna avere il coraggio
24 G. MARCEL, Pessùnismo e coscienza escatologica, in Gli uon1ini contro l'utnano, a cura di E. Piscione, Logos, Roma 1987, 179.
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intellettuale di affermare che «il progresso dell'universo per il cristianesimo anzitutto non è indefinito, ma decisamente e rigorosamente definito. Il Cristo è venuto e ha dato il suo senso alla storia>>. «La storia - è ancora Mounier che scrive - non è eterna, c è una fine della storia, del mondo, del tempo»". Anche il dramma di Auschwitz che, secondo la dura analisi di Adorno, imporrebbe agli uomini l'imperativo categorico di «organizzare il loro agire e pensare in modo che Auschwitz non si ripeta, non succeda niente di sirnile» 26 , non riesce a mettere in crisi il piatto ottimismo dello "spirito posato" il quale, per usare l'arguta espressione marceliana, «accorda a se stesso un certificato di esenzione nei confronti dei deliri e delle aberrazioni, di cui tenta di descrivere la genesi» 27 . Altro punto forte di un tale atteggiamento angustamente dogmatico è l'affermazione confortante che l'uomo d'oggi vive una certa uuità planetaria grazie al diffondersi delle tecniche, mentre di fatto non ci si accorge che l'unificazione del mondo presenta una triste riduzione delle differenze che, d'altra parte, avrebbe la responsabilità di sviluppare lo «Spirito di 1ivendicazione in ciò che ha in fondo di più astioso»'" e creerebbe una "coscienza di massa" con la conseguente etica dell'"omologazione culturale" che sta sotto gli occhi di tutti. Marce! non rifiuta l'idea che nel nostro pianeta si possa trovare un uhi consista111 unitario che faccia del cosmo un uni-verso, ma non può non chiedersi con spirito costruttivo se «la più alta unità non sarebbe quella che si crea tra esseri umani capaci di riconoscersi differenti, ma anche di amarsi nelle loro differenze» 29 • L'unificare gli uomini sotto il segno della tecnica li appiattirebbe in una falsa uguaglianza, l'accettare la diversità storica nell'unità dell'unico destino umano garantirebbe, invece, una solidarietà fraterna fra gli abitanti della terra. A questo tipo di unità che chiameremo multiforme, si 1
25 E. MOUNIER, La piccola paura del secolo XIX, trad. il., Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1951, 134. 26 TH. W. ADORNO, Dialettica negativa, lrad. it., Einaudi, Torino 1970, 330. 27 G. MARCEL, Pessùnis1no e coscienza escatologica, cit., 180. 28 29
lbid., 182. L.c.
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Enrico Piscione
contrappone il modello oggi dominante nel mondo, ossia la società di massa basata in fondo su elementi puramente esterni ed economici e che ha, alla sua radice, ciò che Mounier felicemente chiama la "metafisica della disperazione". Rifiutando dunque la logica degli "spiriti posati", Marce! sostiene che la storia va guardata con lucido, ma non disperante, coraggio e senza tacere gli aspetti oscuri e la dialettica per nulla "soave" che essa spesso presenta. Il nostro autore definisce lo sguardo con cui giudicare il cammino storico del nostro secolo con I1espressione "coscienza vespertina" che, però, è tutt altra cosa rispetto all'«idea positiva dell"'eschaton", così come è presentata dalle Sacre Scritture»"'· E proprio a questo punto si pone il problema filosoficamente centrale di tutta la ricerca condotta: è lecito affermare che quanto descritto prima circa il XX secolo possa considerarsi «come la veste sensibile e storica sotto la quale si presenta a noi un'avvenimento (cioè l'eschaton) che compete alla fede cogliere», e soprattutto «presentire nella sua realtà positiva» 31 ? Certo, è assente nel tessuto della riflessione marceliana quella carica teologico-apocalittica così dirompente in Berdjaev tanto che uno studioso ha voluto qualificarlo "come uno spirito paolino" che 1
«non si stanca di con1battere mai per il Pneun1a» 32 .
Il pensatore francese è, piuttosto, un metafisico della condizione umana, per cui la risposta alla domanda fatta, ancora una volta non va ricercata al livello della rivelazione, ma sul piano antropologico, di quell'antropologia che nella comunione intravede il dato fondamentale dell'humaine condition. L'uomo, appunto, è diviso fra un "io" prigioniero della terrestrità e un "io'' caratterizzato dall'amore e dalla preghiera. «Ora - osserva opportunamente l'Autore - è soltanto l'io dell'amore e della preghiera che può avere una coscienza escatologica» 33 .
JO 31
lbid., 187. L.c.
32 G. CAMI30N,
Spirito e libertà in Bardjaev, in Rivista di storia del!a filosofia
2 (1949) 205. 33
G. MARCEL, Pessù11is1110 e coscienza escatologica, cit., 188.
Immortalità umana ed eschaton cristiano in G. Marce[
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La tensione verso l'eschaton ha una sua indubbia dra1n1naticità, ma il prepararsi all'avvenimento conclusivo della storia non lo si deve banalmente accostare al gesto cupo e triste di un «condannato che fa l'ultima toilette prima dell'esecuzione» 34 • La fede cristiana, pur nei suoi contenuti più drammatici, non ha nulla di tetro e, per questo, Marce! si sente autorizzato a scrivere che l'accettazione del1 eschaton «non può aver nulla di funebre, anzi può realizzarsi solo nella gioia, in quella gioia di essere, nello stesso tempo, uno e molti, gioia che è ecclesiale nella sua essenza» 35 . La conununio sanctorian, ossia «ciò che v'è di sublime, di unico nel callolicesimo» 36 è, in questa prospettiva, la più adeguata risposta all'esigenza umana di una vita che non conosce tra1nonto. E la ricerca metafisica sull'immortalità ha appunto il merito di condurci alla soglia del dogma cristiano della "comunione dei santi", che presuppone Io "sperare per tutti", per dirla col titolo di un noto volume di Van Balthasar e il superamento di una visione del cristianesimo angusta1nentc intimistica di ascendenza protestante. 1
So1111nario
L'arlicolo espone le sparse riflessioni sulla morle e sulla fedeltà che Gabricl Marce! è andato sviluppando nel suo lungo itinerario filosofico e che trovano nn1pio riscontro anche nella produzione teatrale dell'Autore. Il contributo inette in rilievo, fra l'altro, con1e Tomn1aso d'Aquino e il pensatore francese sen1brano essere 1nollo vicini nel sottolineare che dallo spessore universale dell'a1nore discende la possibilità di sperare per la salvezza di tulli. Legata alle precedenti problen1atìchc è quella escatologica la cui analisi viene condotta dal Nostro non sul piano propriruncntc teologico, 1na a livello antropologico, cli quell'antropologia che nella co1nunione intravede il dato fondan1entale dell'/nonaine condition.
34
L.c. L.c. 36 G. MARCEL, Giornale 111etafisico, traci. it., Abete, Roma 1966, 239. 35
Synaxis 12 (1994) 533-535
NOTE E COMMENTI
"ERMENEUTICA E METAFISICA"
Tema del XV convegno nazionale dell'Adii Paestum (Salerno), I0-11-12 settembre 1994
L'ermeneutica, nata come tecnica di interpretazione dei testi, e anche come esegesi dei testi sacri, è andata assumendo via via nell'SOO, e specialmente nel nostro secolo, il ruolo di riflessione filosofica universale, tanto che oggi si presenta come la koinè filosofica del pensiero occidentale, pretendendo di assumere in sé tutti gli aspetti del filosofare: conoscere è interpretare, anzi la stessa esistenza è interpretazione. L'ermeneutica ha soppiantato dunque definitivamente il ruolo della metafisica? A guardare esteriormente, ermeneutica e metafisica sembrano due strade opposte, perché la via metafisica del filosofare presuppone il primato dell'oggetto, della natura, dell'essere e considera la verità come adaequatio mentis et rei: la mente è nel vero, quando si conforma alla preesistente realtà del mondo, dell'uomo, di Dio. L'ermeneutica, invece, parte dall'acquisizione della rivoluzione copernicana kantiana, mettendo in evidenza il ruolo della soggettività nel conoscere e il fatto che l'essere si manifesta attraverso il linguaggio e l'interpretazione, anzi considera tutta la realtà come un testo da
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Note e conunenti
interpretare, seguendo una errneneusi infinita. Non esiste quindi una verità unica, ma una molteplicità di interpretazioni. Ma, se si accetta tale tesi, non si va verso un inevitabile relativismo conoscitivo e un sicuro scetticisn10? Questa è l'accusa più comune che si rivolge all 1er1neneutica, espressione del "pensiero
debole", così come quella di dogmatismo accompagna spesso la tradizionale metafisica, modello di "pensiero forte". I filosofi cattolici italiani hanno affrontato questo interessante terna del rapporto tra ermeneutica e metafisica in un convegno nazionale che si è svolto nello scorso settembre presso il Centro Getsemani di Paestum (Sa). li problema è stato affrontato dal punto di vista storico e teoretico ed è stato affidato a relatori di chiara fama. Hanno trattato l'aspetto storico: E. Berti (Ermeneutica e metafisica in Aristotele), L. Alici (Ermeneutica biblica e metafisica platonica in Agostino), B. Mondin (Ermeneutica filosofica e teologica in Tommaso d'Aquino), R. Osculati (Ermeneutica e metafisica 111 Schleiermacher), G. Penzo (Ermeneuth·a estetica e genealogica in Nietzsche), V. Possenti (Ernieneutica, n1etafisica e nichilis1110 in
Heidegger). Hanno trattato l'aspetto teoretico: C. Sini (Ermeneutica e metafisica), A. Molinaro (Erme11eutica e metafisica), F. Botturi (Erme11eutica e valori). Una comunicazione è stata presentata dal sottoscritto su: Metafisica ed ermeneutica dell'esperienza religiosa secondo L. Pareyson, A. Caracciolo e X. Tilliette. Quali le intenzioni degli organizzatori e quali i risultati del convegno? Evidentemente si è voluto affrontare tale rapporto per rinnovare la inetafisica con l'ermeneutica, sfatando l'opinione co1nunc che la 1netafisica appartenga "al pensiero forte" e l'ermeneutica al
"pensiero debole". Si tratta infatti di vedere quale tipo di metafisica si prende 111 considerazione: se si tratta di una metafisica problematica, come vuole Berti o nel senso dei tre Autori da noi presi in considerazione, oppure
di quella parmenidea o di tipo storicistico o scientistico, che non farebbe che alimentare il potere facendolo diventare violento e disuinano, come ha sostenuto G. Penzo.
Solo nel primo caso le due correnti filosofiche, la metafisica e l'er1neneutica, potranno innestarsi in maniera produttiva, s1nussando
Note e conunenti
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gli angoli negativi dell'una e dell'altra, per farci orientare verso un'ermeneutica ontologica, specialmente dopo Heidegger, Gadamer, Ricoeur e Pareyson. Ma sarebbe opportuno prendere in considerazione anche gli sviluppi ulteriori dell'ermeneutica, ad esempio quelli di Ebeling e Fuchs, che potremo chiamare di teologia ermeneutica, e di cui non abbiamo sentito parlare durante il convegno. Forse perché è mancata la relazione di G. Mura su: ermeneutica e verità? Ebeling e Fuchs pongono anche loro l'accento sulla centralità del linguaggio, ma ritengono che esso, oltre alla funzione "informativa" ne abbia anche una "performativa", e cioè che oltre a comunicare notizie vuole anche provocare, stimolare il destinatario) in vista di una sua decisione personale nel tempo e nella storia. Nel caso specifico, la Parola di Dio trova il suo pieno significato nella decisione esistenziale dell'uomo. L'ermeneutica allora rimanda alle sue premesse che si trovano in sede ontologica, metafisica e teologica. Salvatore Latora
Synaxis XII (1994) 537-542
NOflZIARIO DELLO STUDIO TEOLOGICD S. PAOLO
1. Inaugurazione dell'Anno Accademico
Il 5 novembre 1994, memoria di Tutti i Santi di Sicilia, lo Studio Teologico S. Paolo, assieme agli altri centri accademici della città, ha inaugurato l'Anno Accademico 1994-95 con la celebrazione eucaristica presieduta da Sua Santità Giovanni Paolo II in occasione della Sua visita pastorale alle Chiese di Catania e Siracusa.
2. Lectio conununis del I seniestre e Disputatio
Dopo l'esperienza positiva già fatta, anche quest'anno s1 continuerà a tenere una Lectio conununis per semestre e per anno di corso: al I propedeutico su L'esigenza di Dio implicita ed esplicita nella società contemporanea; al II propedeutico su L'intelligenza della fede; al Triennio teologico su Preghiera e liturgia in S. Francesco di Sales.
3. Convegno
Nei giorni 24-26 novembre 1994 si è tenuto il III convegno internazionale promosso dall'arcidiocesi di Catania e patrocinato dallo Studio Teologico S. Paolo, oltre che dalle Università di Catania,
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Notiziario dello Studio S. Paolo
Messina e Palermo e dall'ISSR S. Luca, sul tema: Catania e la sua Chiesa nei secoli XVIII-XIX. Al convegno, ultimo della trilogia programmata per rileggere le vicende principali dalla rifondazione normanna della diocesi, hanno trattato i seguenti temi relatori di chiara fama internazionale e studiosi locali: M. ROSA, della Scuola Normale Superiore di Pisa: La Chiesa in Italia tra "ancien régùne" ed età napoleonica;
M. CHAPPIN, Direttore del Corso Superiore per i Beni Culturali della Chiesa, Roma: I beni culturali della Chiesa come fonte storiografica; A. LONGHITANO, dello Studio Teologico S. Paolo: Dal modello illuminato del vescovo Ventimiglia (I 757-1771) alla normalizzazione ecclesiastica del vescovo Deodata (1773-1813); G. ZITO, dello Studio Teologico S. Paolo: Dusmet e l'episcopato benedettino siciliano tra i barboni e l'Unità; M. PENNISI, dello Studio Teologico S. Paolo: Dusmet am1ninistratore apostolico di Caltagirone;
P. PRODI, dell'Università di Bologna: Cristiano-cittadino/suddito: appartenenza alla Chiesa e appartenenza allo Stato tra antico regùne, rivoluzione e restaurazione;
R. MANDUCA, dell'Università di Catania: Clero, benefici e strutture ecclesiastiche della diocesi di Catania tra '600 e '700; S. LUPO, dell'Università di Palermo: La censuazione dei beni ecclesiastici dopo l'Unità; A. Coca, dell'Università di Catania: Le confraternite catanesi nell'analisi del benedettino Luigi Taddeo Della Marra; G. GIARRIZZO, dell'Università di Catania: La Sicilia, la rivoluzione francese, la Chiesa; E. IACHELLO, dell'Università di Catania: Il controllo dello spazio urbano: Chiesa e poteri locali a Catania nell'Ottocento; P. FIORENTINI, dell'Università di Catania: Tra scienza e fede: il dibattito sul darwinismo a Catania nell'Ottocento; E. FAILLA, dell'Università di Catania: Le ultime opere liturgiche di Pietro Antonio Coppola;
Notiziario dello Studio Teologico San Paolo
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C. SEMERARO, della Pontificia Università Salesiana, Roma: La vita cristiana tra Settecento e Ottocento; C. BURNS, dell'Archivio Segreto Vaticano: L'Archivio Segreto Vaticano per la storia delle Chiese locali; F. MARGIOTTA BROGLIO, dell'Università di Firenze: Bilancio storiografico sulla storia delle Chiese locali italiane tra '700 e '800. Gli atti del convegno, di cui è facile evincere il significativo apporto scientifico nel panorama culturale degli studi storici, saranno pubblicati nei primi mesi del 1995.
4. Master in Pastorale familiare Dopo una opportuna consultazione con i vescovi dello Studio e con i responsabili della pastorale familiare delle diocesi cui appartiene il S. Paolo, con il nuovo anno accademico sono iniziate le lezioni del Master in pastorale familiare.
5. Licenziati in Teologia Morale nell'Anno Accademico 1993-94
V. ANDRIANO, La legge nuova e il superamento della legge antica nel pensiero paolino. Aspetti teologici, morali, antropologici (relatore prof. A. Gangemi) G. CEREDA, Giust(ficazione e santificazione nella teologia cristiana (relatore prof. R. Osculati)
6. Baccellieri in Teologia nell'Anno Accademico 1993-94 M. AREZZI, L'acco1npagna111ento spirituale e la for111azione
della coscienza 1norale specifican1ente cristiana
(relatore prof. S. Consoli)
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Notiziario dello Studio S. Paolo P. CAVALLARO, L'attivitĂ umana alla luce della teologia
dell'immagine nella Gaudium et Spes (relatore prof. M. Aliotta) G. D'AQUINO, La dimensione cristologica del presbitero nel
decreto Presbyterorum Ordinis (relatore prof. A. Franco) S. DI STEFANO, Assolutezza e relazionalitĂ della persona u111ana in Enunanuel Mounier
(relatore prof. F. Ventorino) M. FRANCHINO, La Messa di S. Maria Odigitria nel Proprio delle diocesi di Sicilia. Analisi teologico-liturgica
(relatore prof. G. Federico) M. GIUFFRIDA, Dall'estetica comune ad un'estetica superiore. Conversione e bellezza nelle "Confessioni" di Agostino d'lppona
(relatore prof. E. Piscione) A. GRASSO, La Chiesa "corpo di Cristo" dalla "Mystici
Corporis" alla "Lunien Gentiun1" (relatore prof. M. Pennisi) A. LATINO, Il "dono di Dio" in Cv 4,10: l'esegesi patristica e
la rilettura nell'esegesi contemporanea (relatore prof. A. Gangemi) P. MGENI, Cristo e religioni tradizionali nell'Africa del Sub-
Sahara (relatore prof. M. Pennisi) J. MGONGOLWA, Celibato ecclesiastico e culture negro-africane
(relatore prof. M. Aliotta)
Notiziario dello Studio Teologico San Paolo
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F. PEPE, L"' ora" della glorificazione di Gesù nel vangelo di Giovanni (relatore prof. A. Gangemi) F. VALORE,
La paternità tra continuità e 1nutan1ento
(relatore prof. G. Caponnetto) S. VERZÌ, Consacrazione e secolarità negli Istituti Secolari. La possibilità di una sintesi (relatore prof. S. Consoli)
7. Pubblicazione
Sono stati pubblicati gli atti del 9" convegno che lo Studio Teologico ha celebrato insieme all'Università degli Studi di Catania e all'Istituto per la Documentazione e la Ricerca S. Paolo sul rapporto tra etica e questioni sollevate dalla postmodernità: Prospettive etiche nella postmodemità (Quaderni di Synaxis I 0), Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1994, pp. 136. È il primo volume della collaborazione editoriale instauratasi tra lo Studio Teologico S. Paolo, l'Istituto per la Documentazione e la Ricerca S. Paolo e le Edizioni San Paolo.
8. Iniziative culturali avviate
* Il
Convegno con l'Università, che da calendario accademico si terrà nei giorni 11 e 12 maggio 1995, ha come tema: Lavoro e tempo libero nella società post-industriale e in Sicilia.
*
La Settimana di studio per il clero, organizzata dal S. Paolo per i sacerdoti delle diocesi aderenti allo Studio Teologico, avrà come tema: Mutamenti della famiglia siciliana negli ultimi decenni e si terrà dal 19 al 23 giugno 1995.
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Notiziario dello Studio S. Paolo
* Seminario di ricerca interdisciplinare su Vangelo, religione civile e mafia. AvrĂ inizio il 3 marzo 1995. I risultati del semmano saranno pubblicati su Synaxis.
Synaxis 12 (1994) 543-547
PRESENT AZIONI
M. ALIOTTA, Donna uomo. Per un'etica della sessualità, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (Ml) 1994.
La complessa problematica etica della sessualità è analizzata dall'Autore con un tono essenziale, denso e sintetico, ruotando attorno a tre grandi poli: l'antropologia, la teologia e l'etica. Nell'intento di offrire non tanto delle "risposte" preconfezionate, quanto dei "criteri" di discernimento, il discorso viene cominciato dai dati antropologici. Ciò allo scopo di fondare in modo autenticamente personalistico i parametri etici della sessualità. Una definizione di sessualità viene data attraverso un approccio multidisciplinare che, attingendo abbondantemente a Freud, ma anche al modello filosofico personalistico, consente di proporre la sessualità in chiave evolutiva, nel quadro della densità di essere della persona. Tale approccio viene irrobustito nel secondo tema, in cui la differenza sessuale viene considerata non semplicemente sotto il profilo della complementarietà biologica e psicologica, ma nell'ambito di un'ontologia che si realizza nella storia e che pone di fatto la persona come essere caratterizzato da reciprocità e relazionalità. Questo ci consente di quasi contemplare la sessualità come mistero d'amore, attraverso cui la persona non si svilisce nell'immagine o nella sensazione, ma vive con intelligenza la sessualità come linguaggio conoscitivo e comunicativo dell'amore.
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Presentazioni
La seconda parte, dedicata alla teologia della sessualità, si apre con una riflessione sull'Antico Testaniento, in cui si cerca rapidamente
di analizzare i quadri di riferimento culturale e teologico, che fanno da supporto a una visione sostanzialmente positiva della sessualità, considerata in modo non sacrale come linguaggio espressivo di Dio Amore, quale si riflette nell'uomo. L'analisi del Nuovo Testamento viene limitata alle sole lettere paoline, e in particolare alla prospettiva cristologica del "corpo", alla luce della quale l'Apostolo considera i possibili vizi sessuali. Anche il rapido riferimento ai Padri, e in particolare al Trattato sulla verginità di Gregorio di Nissa, aiuta il lettore a concepire la sessualità in modo equilibrato, sottolineando particolarmente il fatto che il piacere non può essere assunto come la misura dcl bene o del male morale. La parte teologica si chiude con uno studio degli ultimi documenti del Magistero (Persona hwnana, Orientan1enti educativi sull a111ore tunano }, in cui si è di fatto affer1nata una visione personalistica della sessualità. Alla luce dell'antropologia sessuale, illuminata dalla rivelazione, si approda in ultimo agli aspetti squisitamente etici. I quali vengono presentati attraverso l'analisi di singoli problemi, con una puntigliosa precisazione dei termini della questione e della chiave di lettura del problema. Sui raJJJJorti sessuali pre ed extra-matrin1oniali si cerca di superare l'argomento tradizionale del fine procreativo, ponendo l'inibizione di tali rapporti piuttosto nella dimensione personalisticoespressiva della sessualità. Ciò al fine di sfuggire sia alla confusione tra 1
einozione e ainore, sia alla crescente privatizzazione dei rapporti.
Il problema della masturbazione viene sganciato dalle prospettive rigoristiche medievali per essere affrontato nel quadro della maturazione della persona verso una sessualità adulta. Articolata è la riflessione sulla omosessualità, considerata, quanto alla sua origine, come il frutto di un insieme di cause che producono di fatto una chiusura all'alterità personale e un inaccettabile ripiegamento su di sé. Un campo di chiara negazione del modello personalistico della sessualità è la pornografia, che si muove nella logica del mercato e
Presentazioni
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riduce la persona a "oggetto", ponendo, prima che un problema etico, una grande sfida antropologica alla cultura contemporanea. L'ultima questione affrontata è quella delicatissima della regolazione della fertilità. Si propone in modo sereno l'indicazione dell'enciclica Humanae Vitae, mettendo in luce che la procreazione responsabile non è primariamente nn fatto di tecniche, ma una "mentalità", che va costruita attraverso un illimitato rapporto tra coscienza e legge morale. Mario Cascane
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Presentazioni
S. LATORA, La filosofia in Europa. Età moderna, Ed. Greco, Catania 1994.
Nel la prefazione e nell'introduzione al volume antologico di Salvatore Latora, La filosofia in Europa, l'Autore ha modo di chiarire i motivi di novità del suo lavoro. «Si tratta - egli scrive - di una novità assoluta perché, per la prima volta, almeno a livello di scuola media superiore, il presente volume contiene una raccolta di brani filosofici opportunamente scelti, in lingua originale (latino, inglese, francese e tedesco) con la traduzione a fronte» (p. 7). L'opera ha poi una preoccupazione chiaramente interdisciplinare ed una prospettiva culturale europea e presenta delle interessanti introduzioni che danno un taglio didattico agli argomenti secondo quanto vengono consigliando i programmi formulati dalla ben nota commissione Brocca. L'Autore fornisce anche una spiegazione storiograficamente valida dello studio della filosofia, tenendo in debito conto le più importanti aree geografiche e culturali europee. Latora, entrando quindi nel merito della vexata quaestio dell'insegnamento della filosofia, ossia se essa vada trasmessa agli alunni a partire da una esigenza storico-cronologica o viceversa seguendo un criterio teoretico che preferisce la trattazione per problemi, si dimostra convinto dei limiti dell'una e dell'altra impostazione. «Ora - egli osserva - la parzialità dei due metodi, se usati in modo unilaterale, si manifesta negli esiti negativi in cui tale uso va
Presentazioni
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inevitabilmente a sfociare: il metodo storicistico nel nullismo scettico; il metodo sistematico nella chiusura dogmatica» (p. I 0). L'Autore, con una certa cautela critica, tende verso una programmazione didattica curriculare avvertendo, però, che essa non deve ridursi «ad uno slogan o ad una moda» (p. 12) e non può dare origine a mistificazioni perché la formulazione del curriculo, come nota Pellcrey, attento studioso di questi problemi, «certamente è di matrice tecnologica e porta con sé inevitabilmente i limiti ed i pregi di questa». Non c'è una seria discussione sulla didattica della filosofia che non implichi una chiara idea di che cosa sia il sapere filosofico. Esso lo si potrebbe definire con Hegel come «il proprio tempo appreso con la ragione». L'Autore non si sottrae al compito di presentare un'articolazione puntuale delle finalità, delle mete educative, degli obiettivi didattici ed infine anche delle operazioni da compiere. Auguriamo al volume di Latora un buon successo e che possa essere proficuamente utilizzato dai nostri allievi. Enrico Piscione
Synaxis 12 (1994) 549-557
RECENSIONI
I. SCHINELLA, La faida di Dio. Il perdono: mistero d'amore, EP, Cinisello Balsamo (MI) 1992.
Questo libro di I. Schinella nasce da un profondo radicamento ecclesiale e sociale. L'Autore, infatti, vive e opera in Calabria, terra di antiche tradizioni culturali, ma oggi segnata da ingiustizie e violenza cieca. Le riflessioni che vi sono condotte non sono, perciò, frutto dell'Accademia, ma del ripensamento di questo vissuto in terra di Calabria alla luce della genuina tradizione cristiana. Il libro spiega il significato e l'attualità del messaggio cristiano del perdono in un contesto dove tutto sembrerebbe affermare il contrario. In questo senso esso è vero "annuncio", si tratta infatti di una "buona notizia" recata in un contesto di lutto e disperazione. Costituisce un processo di "liberazione in una realtà segnata dall'oppressione. Poiché l'annuncio dcl perdono si rivela come alternativo all'annuncio della violenza, l'Autore tende a smentire innanzi tutto ciò che potrebbe minarne alla radice la credibilità. In questo senso tutto il libro mostra la falsità del luogo comune che il perdono sia debolezza. L'Autore sa bene che «nella mentalità comune il perdono viene guardato con sospetto, in quanto esso appare come il segno della debolezza dell'uomo e del decadimento della sua vita. [ ... ].Per la fede cristiana, invece il perdono è il coraggio e il rischio di Dio, segno della 11
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Recensioni
sua onnipotenza: colui che perdona è forte e onnipotente come Dio» (127.128). Questa tesi centrale è sviluppata in maniera articolata e, come ha sottolineato A. Bachelet nella Prefazione, «l'opera si può considerare [ ... ] come una ricca enciclopedia a cui attingere per approfondire il tema dcl perdono cristiano» (6). Il testo è immaginato dall'Autore come un "viaggio'', che partendo dalle vicende umane, approda alla vita intima di Dio, nel cuore della Trinità. Il cap. I offre un'analisi esistenziale del perdono. Muovendosi tra la "nostalgia di riconciliazione" e la "contestazione del perdono" si mostra che "solo nella "memoria" di Cristo si può ultimamente vivere con umanità l'incontro tra gli uomini» (20). Il perdono altro non è che «la volontà di pacificazione universale di Dio, il quale fa in modo che la vocazione umana alla fraternità sia donata con1e
possibilità reale dell'esistenza» (20). Il cap. II presenta "la forma originaria e originale della redenzione cristiana"; l'amore di Dio per il mondo che si manifesta
nella donazione del Figlio. Il capp. III indica la fonte del perdono: la liturgia, scuola primaria del suo apprendimento. I cap. IV e V ne sono uno sviluppo naturale, analizzando la liturgia e il potere sacramentale di liberare l'uomo dalla radice del male (sacramento della riconciliazione). Poiché, poi, il dono di Dio diviene compito storico dell'uomo, si propone «tm'etica del perdono che deve permeare tutti i settori e le razionalità della vita» (21 ). In questo
contesto
viene riformulata una casistica
tradizionale
riprendendo alcune categorie scolastiche, spiegate nel nuovo contesto (per es. così si spiega il concetto di vindicatio, pp. I 06s). I capp. VI e VII riprendono, nella prospettiva della riconciliazione, il ten1a classico del bene comune e di "co1nunità e perdono".
Infine, il cap. VIII, quasi un'appendice a dire dello stesso Autore, illustra l'urgenza storica della riconciliazione delle tre grandi religioni che risalgono alla fede di Abramo: gli ebrei, i cristiani e i 1nusuln1ani. Per fAutore si tratta, in definitiva, di con1unicarsi un comune debito di amore. Le pagine di quest\1ltimo capitolo diventano
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Recensioni
di grande attualità alla luce degli eventi intervenuti dopo la loro pubblicazione, cioè gli accordi siglati, prima, tra Israele e i palestinesi e dopo tra Israele e la Giordania, preludio di veri trattati di pace. Tra questi due accordi la stipula del protocollo di riconoscimento formale dì Israele da parte del Vaticano. Il cap. II rappresenta il cuore di tutta l'argomentazione. Con un linguaggio nello stesso tempo piano e rigoroso si ripresenta il mistero centrale dell'annuncio cristiano, cioè la redenzione dell'uomo, che è mistero dell'amore e del perdono di Dio. L'Autore mostra che redenzione e perdono coincidono e in questo contesto avanza una opportuna critica della dottrina dell'espiazione vicaria (49 ss.), proponendone il superamento mediante la categoria di "riscatto", che esprime la gratuità dell'azione di Dio ed è biblicamente fondala. In questo capitolo, come negli altri d'altronde, sono ben utilizzate le fonti bibliche. Nel corso di tutto il libro esse sono acco1npagnate da nun1crose citazioni patristiche, che rendono conto della ricchezza della tradizione cristiana. Anche il tnagistero conteinporaneo è a1npian1ente presente, sebbene l Autore di1nostri di non usarlo né strun1entahnentc né acritica1nente. Degna di rilievo, infine, l'applicazione della dottrina del perdono alla stessa real là ecclesiale (111 ss). Forse questo aspetto avrebbe meritato uno sviluppo più ampio; tuttavia non si può negare all'Autore di aver sollevato il problema dell'atteggiamento di misericordia all'interno della stessa Chiesa e d'aver indicato, in maniera pacata e chiara, la via maestra che tutti debbono seguire se vogliono essere fedeli all'unico Signore. Maurizio Aliotta 1
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Vescovi e regione in cento anni di storia (1892-1992). Raccolta di testi della Conferenza Episcopale Pugliese, a cura di Salvatore Palese e Francesco Sportelli, presentazione di mons. Mariano Andrea Magrassi, Galatina, Congedo 1994.
Il panoran1a storiografico da alcuni anni presenta orn1ai una discreta attenzione a quella forma particolare di governo pastorale di singoli vescovi, oppure del1 1episcopato di una regione ecclesiastica, che si esprime con le lettere pastorali. Si è iniziata la regestazione e la edizione di lettere pastorali, co1nc pure la loro assunzione quale fonte storica privilegiata per cogliere gli elementi qualificanti e, al contempo, inveranti della vita di singole Chiese locali come di alcune regioni. Si pensi al progetto di Menozzi e Codicè per Bologna, agli studi di Stabile per la Sicilia, di Albertazzi per la regione Flaminia ed Emilia-Romagna, di Pacetti per la Lombardia, di Del Prete, De Palma e Amato e dello stesso Palese per la Puglia. Mentre si può usufruire pure di una orn1ai soddisfacente conoscenza della vita della Conferenza Episcopale Italiana (Riccardi, recentc1nente De Marco e soprattutto Sportelli, e altri), con il volume di cui qui ci occupiamo, per la prima volta la conferenza episcopale di una singola regione viene assunta ad oggetto di indagine specifica. La motivazione fondamentale dell'opera, edita per il centenario di fondazione della CEP, è stata bene espressa da mons. Magrassi, arcivescovo di Bari-Bitonto e suo atluale presidente: «La ricostruzione ciel passato della CEP non è fine a se stessa, ma offre il traccialo di un "ca1n1nino" che pennette di proiettarsi in avanti, per la strada da percorrere» (p. VIII).
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A tal fine, il paziente lavoro di Palese e di Sportelli non solo ha mirato a rintracciare testi editi e inediti della CEP ma soprattutto a selezionare quelli che più hanno segnato la vita della Conferenza Episcopale Pugliese, e hanno registrato i mutamenti sociali ed ecclesiali delle co1nunità cristiane affidate ai vescovi che si sono succeduti in Puglia nelI1arco dì cento anni. Per cui, non stupisce se tra i testi riparlati sono compresi gli interventi della CEP al Vaticano Il e il contributo inviato ai sinodi dei vescovi; co1ne pure, quanto ufficialmente si sono detti Giovanni Paolo II e la CEP in occasione delle visite "ad limina" dal 1981. E di fondamentale complemento sono pure le due Appendici curate da Sportelli: data e luogo delle singole riunioni della CEP dal 1892 al 1994; e cronotassi dei vescovi pugliesi dal 1889 al 1993, che tiene in debito conto le variazioni seguite al riordinamento delle diocesi italiane nel 1986. L'introduzione storica curata da Salvatore Palese - che con la sua copiosa produzione storiografica può ben dirsi punto di riferimento indispensabile per la storia della Chiesa e dell'episcopato pugliese - traccia i passaggi fondamentali dell'attività della CEP a partire dalla decisione di Leone XI!! (I 889) di far riunire periodicamente i vescovi italiani per regione ecclesiastica al fine di concordare direttive pastorali, uniformità disciplinari e eventuali alti collettivi. La prima riunione della CEP si tenne a Bari dal 1O al 14 ottobre 1892. Da allora fu un susseguirsi di periodiche riunioni che progressivan1ente, grazie anche al ruolo di alcuni arcivescovipresidenti della CEP, contribuirono alla elaborazione di un'azione pastorale collettiva, aperta ad un orizzonte regionale e libera dalle pastoie di un esasperato localismo diocesano. Momento qualificante di questa tensione può indubbiamente ritenersi la fondazione del seminario regionale (1908) per la formazione spirituale e culturale dei giovani chierici e la istituzione di una cassa interdiocesana per sostenerlo. Così, «guidato dal tarantino Jorio l'episcopato era divenuto pugliese; ora si delineava sull'orizzonte storico della regione anche un clero "pugliese"» (p. XIX). Ed anche la formazione e l'attività del laicato cattolico può ben dirsi legata alla vita della CEP sin dall'inizio della sua attività: valgano come esempi la costituzione della
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federazione pugliese delle casse rurali cattoliche a conclusione del 2° convegno interdiocesana tenutosi a Bari nel I 915, e la fondazione dell'Avvenire delle Puglie nel 1917. Tra gli eventi principali che hanno segnato la vita delle diocesi pugliesi, grazie all'intenso lavoro sviluppato dalla CEP va ricordata la celebrazione del concilio plenario pugliese svoltosi proprio nel seminario regionale nel I 928; e tra il I 956 e il 1958 eventi di rilevante carattere nazionale quali il XV Congresso Eucaristico Nazionale a Lecce, la XXXI Settimana Sociale dei Cattolici Italiani a Bari, la Settimana Liturgica Nazionale a Taranto, il primo pellegrinaggio regionale a Lourdes, il V Convegno Nazionale Missionario dei Seminaristi a Molfetta. Di grande vantaggio fu anche il costante rapporto con la CE!, grazie soprattutto ad Enrico Nicodemo arcivescovo di Bari ( 1953-1973); nel post-concilio, qualificarono il ruolo della CEP soprattutto le decisioni di fondare l'Istituto pastorale pugliese, di assumere ogni responsabilità del seminario regionale, e di erigere l'Istituto superiore di Teologia ecumenica. Particolare rilievo va dato poi al rapporto, chiaro ed aperto, instaurato dalla CEP con la Giunta regionale pugliese: esperienza che «non trova confronti nelle altre regioni italiane» (XLIII). E se dagli anni '50 non è n1ancata un attenzione alla situazione politica del Paese e della regione, tuttavia prevalente è sempre rimasto l'impegno per l'evangelizzazione e la vita di pietà del popolo, come l'orientamento alla formazione dei fede! i nell'associazionismo cattolico quale strnmento privilegiato per impregnare di valori cristiani la vita sociale. L'equilibrata analisi delle direttive pastorali e disciplinari e1nanate dai vescovi, e il loro inseri1nento nel più ampio contesto dei cambiamenti avvenuti nella mentalità e nella vita della società pugliese, lasciano chiaramente emergere il progressivo rnolo assunto dalla CEP di punto di riferimento e di interprete autorevole delle vicende della regione. E se «non si possono negare ritardi ed incertezze» (LV), limiti e momenti di crisi, tuttavia emerge a tutto tondo la progressiva costruzione di una "regione pastorale" che ha avuto, ed ha, nelle istituzioni culturali e formative del clero e dcl laicato i suoi puntiforza. I 215 vescovi che si sono succeduti in Puglia dal 1892 al 1993, pur appartenenti a varie generazioni e con specifici orizzonti culturali, 1
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pastorali e spirituali, tuttavia hanno compreso la pregnanza del coordinamento pastorale a livello regionale, grazie anche ad alcune presidenze e ad alcuni segretari della stessa conferenza episcopale. I passaggi qualificanti della vita della CEP, come la storia della Chiesa pugliese da fine '800 ad oggi, sono registrati e documentati nei 108 testi selezionali e debitamente contestualizzati. Di essi sia permesso ricordare almeno, oltre alle lettere pastorali collettive, la relazione di mons. Giulio Vaccaro, arcivescovo di Bari, sulla condizione religiosa e sociale della Puglia, stesa nel 1914; la lettera pastorale collettiva per la quaresima del 1960, grazie alla quale la «Conferenza Episcopale si imponeva orn1ai con1e un osservatorio qualificato della società pugliese» (XXXIX); gli apporti al Vaticano II, che fornì ai vescovi pugliesi una decisa «consapevolezza del loro essere unum, anche nell'universalità del collegio episcopale» (XL); la lettera collettiva del natale I 984, al contempo piano pastorale regionale, al quale diede un apporto particolare l'Istituto pastorale pugliese, e di cui Palese afferma che «nessun documento della CEP è stato "lavorato" collegialmente come questo» (L). Un volume, questo, che, per la metodologia adottata, la vivacità dell'esposizione e la pregnanza dei contenuti, certamente merita grande attenzione non solo da parte degli storici della Chiesa ma anche di chi si occupa di ecclesiologia, di diritto canonico e di teologia pastorale per i tanti spunti di riflessione e di ampliamento di orizzonti che in ognuno di tali campi esso offre. Storia di una istituzione ma al contempo, in controluce, storia del popolo cristiano pugliese: e della recezione delle direttive dell'episcopato, sia a livello di clero quanto di laicato, andavano forse offerti maggiori segnali. C'è da augurarsi, infine, che altri assumano ad esempio questo lavoro, che speriamo sia il primo di una serie di pubblicazioni relative alle singole conferenze episcopali regionali. Gaetano Zito
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E. G!LSON, Costanti filoso.fiche dell'essere, a cura di Roberto Diodato, Ed. Massimo, Milano 1993.
E' l'opera postuma di Etienne GiJson, che egli stesso aveva intitolato Constantes philosophiques de l'è.tre e che aveva già concepito dieci anni prima della sua morte, avvenuta nel 1978. Degli otto capitoli di cui l'opera è composta, la metà riprendono, con sviluppi nuovi e forma naturalmente differente, materiali che l'Autore aveva già pubblicato in diverse riviste negli anni tra il 1952 e il 1967. Nella prefazione dello stesso Autore viene comunque esplicitamente dichiarato che anche i saggi dapprima pubblicati separatamente erano stati concepiti nella prospettiva di una raccolta d'insien1e. L'opera - come avverte nella sua nota introduttiva Jean-François Courtine, che ne ha curato l'edizione francese - si situa con1e diretta continuazione delle riflessioni che Gilson aveva sviluppato ne L'essere e l'essenza (pubblicata con appendici nel 1963 ed edita in Italia nel 1988, a cura di L. Frattini e M. Roncoroni, per l'editrice Massimo), e conduce a quella che lo stesso Gilson chiama "la nuova filosofia del1 essere" e che annovera come novità essenziale il "caso Heidegger", come lo stesso Gilson lo definisce. Roberto Diodato ha curato la traduzione italiana di quest'opera di Etienne Gilson ed anche una attenta ed illuminante Introduzione nella quale, oltre a delineare la figura del filosofo francese, noto soprattutto come storico della filosofia medievale, ma anche «autore di una densa riflessione teoretica», si sofferma su quelli che per lui sono i 1
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due motivi di fondo della produzione teoretica di Gilson: la difesa del realismo metodico e l'approfondimento della dialettica ens-essentiaesse. Con questo volume, che fa seguito alla pubblicazione di altre due opere dello stesso Autore - Introduzione alla filosofia cristiana (l 982) e L'essere e l'essenza (1988) -, l'editore Massimo si conferma benemerito diffusore in Italia delle opere di Etienne Gilson. E bisogna rendergliene merito. Francesco Capodanno
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