Nuova serie - XVI/ 1 - 1998
STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO & ISTITUTO PER lA DOCUMENTAZIONE ElA RICERCA S. PAOLO CATANIA
Propriet8 letteraria riservata
sta111pa
Tipolitografia Galatea Tel. 095/894844 ~ Fax 095/894825 Via Picn1onte, 84 - Acireale
INDICE
Sezione teologico-morale IL SENSO DI dydiraoE ql1Mo NEI LXX, NEL NT E NEL VANGELO DI GIOVANNI (Affilio Cange111i) Parte priina: posizione degli inlerprcti Parlc seconda: dyrhrao e r:j>i).#o nella grecità profana Parte terza: dydrrao e r:/>tÀÉo nella versione greca dci Lxx Parte quarta: dydrrao e if;1ÀÉ0 nel NT Parte quinta: i verbi dydrrao e r:j>1ÀÉ0 nel vangelo di Giovanni
7
8
26 31
48 55
L'INIZIO, LA FINE E IL FINE DELLA VITA UMANA.
Questioni di 1netabioclica (/11ario Cascone) I. Lo scenario culluralc Il. L'inizio della vita un1ann e lo statuto del!'cn1brione Hl.La fine della vita Conclusione
115
I 16 I I8
126 128
Sezione miscellanea con documenti e studi "FRAMMENTI DI UNA STORIA DELL'EMPIETÀ": A. ROSMINI CRITICO DELLA SUA EPOCA, DIMENTICA DELL'OGGETTIVITÀ, DEL TRASCENDENTE E DEL SOPRANNATURALE ( Fn111cesco Conig!iaro)
Pre1ncssa I. E1npie1à . 2. Stnnnenli concettuali dell'en1pictà 3. Strun1enti concettuali rosn1iniani Conclusione
131 134 I47
164 180
LA "VERA ISTORIA DELLA SANTA MARIA VERGINI DI VALVERDE" REDATTA DA ERASMO MUSMECI VICARIO DI JACI S. PHIL!PPO NEL 1645 (Matteo Donato) Appendice
197
TEOLOGIA E CATECHESI NELL'EPISCOPATO DI PIETRO GALLETTI. La Congregazione della Dottrina Cristi una (Catania J 735) (A11to11io Coco - Sonya Sl!fla). Appendice
232
185
219
Note e commenti GIORGIO LA PIRA E LA GIAC DI CATANIA. Lettere inedite (Nicola Cavo/faro) . Appendice
283 285
Recensioni
311
G. Boi<GONOVO, La 110/fe e il suo sole. Luce e tenebre 11e/ libro di (Tiobbe. Analisi s첫11bolic(I, RonKI 1995 (C(ln11e/a Corradini Sficnti); F. V. REITERER, Freundschaff bei !Jcn Sira. Beitriige des Sy111posions :::11 Ben Sira. Sa/zburg 1995, Berlin-Ncw York 1996, P. C. BEENTJES, The Book r~f Ben Sira in /v!oden1 Research. Proceedings r~f the First lnternationaf Ben Sir(/ Conference 28-31 .!uly 1996, Soesterberg, Nether/ands, Berlin - Nc\v York 1997 (Antonino Miniss(l/e); N. H. ROSENBLATT, ~Vres!ling with a11ge/s. \Vhat Genesis teaches us abo11/ 011r Spiritual Jdenlity, Sexuality a11d Persona! Refalio11ships, New York ! 997 (Antonino Minissa/e); D. D' ANDJU'.A, Pro111eteo e Ulisse. Natura 11111an(I e ordine politico in Tho111as I-Iobbes, Ro1na 1997 (Rqffaella Sorce)
Presentazioni
326
AA. Vv., Ag(lfa, la sa11ta di Cataniu, Bcrgan10 !996 (Reginafd Gregoirc); AA. Vv., l.r1 c11/t11ro del Clero siciliano, Catania !997 (/vlauriz.io A!io!lo)
NOTIZIARIO DELLO STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO
335
Sezione teologico-morale Synaxis XVI/] (1998) 7-114
IL SENSO DI dyarrdw E cpLÀÉw NEI LXX, NEL NT E NEL V ANGELO DI GIOVANNI
AlTILIO GANGEMI
Questa breve ricerca è suggerita e anche finalizzata al testo di Gv 21, 15- 17, il dialogo tra Gesù e Pietro, dove Gesù, dopo avere interrogato tre volte Pietro se lo an1a, e ottenuta risposta affennativa, tre volte gli affida il co111pito di pascere il suo gregge. Una peculiarità del
dialogo consiste nel ratto che !'evangelista usa co111plessivan1cntc ben sette volte i due verbi di a1nare dyarrdw e cj;LÀ.Éw, 1na con una certa sproporzione: due volte usa dyarrdfv e sen1pre in bocca a Gesli) nelle prime due domande, nei vv 15.16, cinque volte il verbo </J1ÀÉw, di cui una volta in bocca a Gesù, nella sua terza don1anda del v 1 7, tre volte in bocca a Pietro, sen1prc cioè nelle sue risposte, una volta infine nella ripresa narrativa della terza do1nanda di Gesù, nel v 17.
Emergono spontanee alcune domande, due sopmttutto: perché Pietro risponde invariabil111ente con il verbo <j>tÀÉr1J anche quando Gesù Io interroga con dyarrdw? Perché nella terza domanda (v 17) Gesù muta verbo e interroga Pietro con <f>1Mw? Queste due domande pongono una do1nanda ancora previa: i due verbi dyarrdw e <j>LÀÉw sono ritenuti sinonin1i dalrcvangelista oppure hanno per lui diversa s-fun1atura di senso? È chiaro che nel primo caso il problema, almeno in parte, è già risolto;
Ordinario di Esegesi biblica nello Studio Teologico S. Pnolo cli Catanin.
8
!lttiho Gangemi
nel secondo caso invece si pone il problema qual è la specifica sfumatura di ciascuno di essi. Tn questo studio non considerian10 però specifica111cnte l'uso dei due verbi nel contesto dcl dialogo tra Gesù e Pietro in Gv 21, 15-17; ponia1110 invece il problen1a più generale se i due verbi dyarrduJ e ef>LÀÉrv siano sinonin1i o si distinguano nel senso. In questo 111odo voglia1110 porre soltanto le premesse per una retta comprensione di quel dialogo. Inoltre ci li1niteremo soltanto ad un accenno alla grecità profana, sia perché essa è lontana, nel ten1po e nella 1nenta!ità, dal nostro evangelista, sia anche perché in essa l'uso dei due verbi si rivela fluttuante, diversificato nelle varie epoche e nei vari autori. Considereremo più specificamente il diretto antecedente della tradizione greca neotestan1entaria, la versione greca dci LXX; considerere1110 inoltre l'uso dei due verbi nel contesto del NT; considereremo infine l'uso che di essi fa il nostro autore nel contesto del suo vangelo.
Parte
prin1a: POSIZIONE DEGLI INTEUPl~ETI
Quasi tutti gli interpreti, più o meno in tulle le epoche, si sono interrogati sul valore dei due verbi di a1nare dyarrdw - cj>L1\ÉrJJ. Essi si sono divisi e si dividono, quasi controbilanciandosi, in due categorie: quelli che ritengono i due verbi sinonimi e quelli che attribuiscono ad essi differenti aspetti. Questi ultin1i, ovvia1nente, sono i1npegnati a stabilire la specifica peculiarità di senso di ciascuno dei due verbi .
. 'AyarrdUJ e ef>tÀÉfl) sinonùni
Gli interpreti che ritengono sinonùni i due verbi sono diversi 1 • Le inotivazioni a riguardo sono espresse, l'una o l'altra, dai vari autori.
1 ìvli li111ito solo a cit8rC i pili signific<ltivi. A. AGOSTINO, /11 .!oannis Evangeli11111 Ji·oct CXX!F, PL Xxxv, col 1968, n 5: cfranchc lo .. JJe C'ivitate JJei, Xiv, 7.1, PL XL!. col 41 O: "undc intelligìn1us quod ctimn cun1 diccbat di/1f:;is 1nc, nihi! aliud diccbat quam a111as 111e", in Ej1isto/a ad Parthos, Vlll, 5, PL Xxxiv, 2038 Agostino se1nbra invece distinguerli; ALBERTO MAGNO, t:11arratio11es in Joa1111e111, in ()pera 0111nia,
li senso di dymrdùJ e )Pt/llùJ
9
XXIV, Parisiis 1899, 712; \V. F. ;\RNDT-F .W. GlNGRIC!!, A Cireek-Eng!ish lexicon qf the 1Vew Testament, Can1bridgc-Chicago 1957, s. dyarTdw; J\. BARR, Tfiords_(or /,ove in Bihlical Greek, in L.D. f-fURST and N.T. WRIGHT (cd.), The G!o1J' aj· C'hrisl in the 1\ie111 Testa111en!, 1-~s·. (7.n.c-:aird, Oxford 1987, 3-18: 15 (cita Cìcn 37,3.4 e Pr 8J7): C.J(. BARRETT, The Gospel according lo S't. John, London 1978 2 , 486; G.L. BART!-!OLOML.:W,
Feed
111y
f,an1bs: .fohn 21,15-19 as ()raf Gospel, Se1neia 39 (1987) 69-96: 76: L.17.0.
BAUNGARTF.N-CRUS!US,
Theolog1:rche Ausfcgung der Johanneischen Schr(fien,
IL
.lc!l<l
1845, 180; P. BENOIT, Passione e Resurrezione del S'ignore, trad. il., Torino 1967, 432, anche: Io., Il primato di Pietro secondo il Nuovo Testa111ento. in l~'.~egesi e Teologia, ln1d.it., Ron1a 1964, 551 (contro BcsohrassorJ); J.H. BU~NARD. A Criticai and Exegetical Con1111e11ta1:v on t/ie Gospel according to ,s. .John, Il, Edìnburgh 1928. 702ss: J.A. BE\VER, The Originai TYords of.Jes11s in John 21, 15-17, Bw 17 (1901) 3234: 32; !Vf.É. Bo1srv1ARD, I.e chap/tre )()(1 de ,)'. .Jean. Essai de critù111e li!!éraire, Ro 54 (1947) 473-501: 487; BONAVENTURA, C'o111111entari11s in l·.:va11ge!i11111 Sancti .Joannis, in ()pera ()111nia, V!, Aci Claras Aquas 1893, 525s, nota 35 (cita ;\gostino: /)e C'iv f)ei, X!V, 7.1): F.fvl. 13RAUN, Évanp;ì/c se/on 5'aint Jcan, in L. Prn.or-1\. CLAMER, La Sainte Bib/c, X, Paris 19501 , 482, cJ\ anche Io., Jean le Théo!ogien et son /.:vangile dans J'/~~'5/ise ancienne, JIJ/2, Paris l 972, 239; ID., La .fai se/on Saint Jean, RevTh 69 (1969) 357-377: 369, ID., /,a J\,fère des jidéles, Tournai 1953. 107; R.E. BRO\VN, Thc Gospel according to John, li, Nc\v York 1970, 1102-1103; cfranchc lD., The Rcsurrection in John 21 . .i\Iissio11r11:v and Pastora/ [)irectives jòr thc (~hurc/i, VVorship 64 (1990) ,133-tJ115: 440, notfl 1; F.F. BR!!CE, The Go-'>J)I!/ o/.John, Crm1d Rapids !983 (repr. 1984) 1104; TIL CALMES, l~va11gi!e se/on Saint .Jean, Pflris 1906 2 , 463: D.1\. CARSON, The c;ospel according to John. Grm1d Rapids 1991, 676; S. C!PRIANI, Dio è amore. f,a dottrina della carità in San C7iovanni, Se 94 (1966) 214-231: 216, nota 4: \V.K.L. CLARKE, St11dies in Text (!oh 21,15-17), Tlond 8 (1924) 281-282: adduce con1c inotivazione anche !'uso di Cìiuslino (cfr. Dia/ c.'fì~vph Xc111, 8) e l'assenza di ogni distinzione nei padri greci; .J.J\. CROSS, On the .fohn XXJ,15-17, EXf' !V/7 (1893) 312-320: 313s; .!. CORLUY, Con11ne11tari11s in Hvangeli//11 S. .Joannis, Ganclflvi 1889-', 548 (al coclcn1 scnsu); CORNELIO 1\ LAPIDE, Co111111entaria in Joannc111, in C~o111111enla ria in Sacra111 Script11ra111, VllJ/l, ivlclitae 1849, 1171, benché osservi che per i latini 01110 dica qualcosa di più di di!igo; .I.A. CROSS, ()n thc .fohn )(X/, 15-17, cii.; ERASMO DA ROTTERDAt\·1, J111Vovu111 Testa1ncnt11111 annotationes, Basilcac 1541, 257: (citra discrin1en est usus); G. ESTlO, Co111111entari11s in .Joannen1, in lvi. FENTIUS, Biblia Sacra V11/gatae Editionis, XXIV, Vcnctiis 1759, 607; cfr anche !D., Annotationes in praecipua ac diffìci/iora Sacrac Scl'ipt11rae loca, lii, Vcnctiis 1756, 401; E.D. FREED, Variatio11s in the Language and Thought oj"John, ZNW 55 (1964) 167-197: 193; P. GACHTER, Das dre1j"ache "l/leide 111eine Lii111111er" (.lo 21,15-17). in Pctrus und scinc %cii, lnnsbruck 1958, 11-30: 12-15; G1LDERSLEEVE,J11sti11 Alartyr, 135. attaccato da B.B. WARF!ELD, The Tcr111i11o!ogy c?f /,ove in the 1Vew l'csta111ent, PrincTR 16 (1918) 145: 35 e dif'eso eia .J.A. SCOTT, Thc TFordsfor "love" in Jn 21,15-17, Class\V 39 (194546) 71-72; R. GRANIJ OSBORNE, John 21; Test (~ase jòr J-fistm)' and Redaction in thc Res11rrectio11 1Yarrafives, Gospel Pcrspeclives, IL ShétTield 1981, 308 (variazioni stilistiche): f-l. CìROZIO, Annotahones in 1Vov11111 7'cstan1ent11111, I, l·lalae 1769 2 , 114!: ((neque hic quacrcndac sunt subtilitatcs»; B.B. !-IANEBERG, l~vangcfi11111 nach .Johannes, Il, Mi.inchen 1880, 705: «ohnc Einfluss aur clic 13edeutungl); H. ! llGHFIELD, Glcanings ji·o111 the Septuagint, ExpTin1 38 ( 1926-27) 44-45, ctì· la risposta di C.F. HOGG,
lo
Attilio GangenJ.i
Una sintesi di esse è offerta da Bernarcf 2 : anzitutto osserva che le fonti greche non pern1ettono di stabilire una 111arcata distinzione tra i due verbi, che sono usati entran1bi anche per espri1nere a1nore sessuale',
1Vote on dyarr6ù1 ond <j"JtÀÉ{ù, ExpTin1 38
(1926-27) 379-380 e la rcplic;1 di I I. 1-IJGJ-IFIELD. dyarrdw and if;tÀÉW. A Rejoinder, ExpTim 38 (1926-27) 525: P. J-IOFRICHTER. John 21 iin i\Iakrotcxt des vierte11 Evange/i11111s, ThGI 8 i ( J 991) 302-322:308ss; E.C. l-losKYNs-F.N. DAVEY, The Fo11rth (7ospel, London 1947~, 558: J.lvl. llUl\1, la 111a11ijèstatio11 de /'a111011r se/on Saint Jean, Vs 88 (1953) 227-253:233. noia !3: Ci. f-IUTCHESON, An 1~:tpositio11 qf the Gospel oj· Jesus C'hrist according to .fohn. London s.d. (rcpr. fron1 thc Edition or I 657) 434; R . .IOLY, Le vocabulaire clwétien de /'a111011r est-il originai? ciyarrCiv et rj;1,\10Ì.v d(lns le Grec antique, 13ruxclles 1968, 15; E. l(ALT. Liebe, BibRealLcx, Il. Padcrbon 19392 , 56-7!: J. KREtvlER, Die Osterevangelien Geschichten u111 Geschichte, Stuttgart-Klosterncuburg 1977, 213; J. KlJJ[/,, Die Sendung Jesu 11nd der Kirche nach de111 Johannes Evangeliu111, St.1\ugustinKalclcnkirchcn 1967, 147; R. KYSAR, John, /\1inneapolis-tvlinnesota 1986. 317; [\il. LACON!, llfò11da111ento dcl 111inistero di Pietro in Cv 21,1-23, in Atti del VI conveg110 di Teologia Sacra111e11taria, Ro1na 1985, 165-198:174 (togliere la n1onotonia): lvl.J. LAGRANGf;, Évangi/e se/011 S. Jean, Paris 1948 7 , 529: 8hneno in Giovanni; tvl. LATTl(E, Einhcit i111 /Vari. l)ie spe::(jìsche Redeutung van àydrrry, dyarrd11 und rfit,ìElv in Joha11IU!.1·eva11geli11111, /\1flinchen 1975. 28; N. LA7.UJ~i:, Les valeurs 111oroles de la Théologie Johannique, Paris 1965. 2 ! 5: R.H. LlGl ITFOOT, St. John 's (iospcl. Oxford 1956 (rcpr. !983) 343: B. LlNDARS, The (7ospel ofJohn, Grand Rapicls 1986, 634:_ 1\. ML'.DEBIEIJJ:, !~/;lise, I!, Dns, 593-594, nota 281; /\1. ME!NJ:RTZ, Theologie des ne11en J'esta111e11ts. !I, Bonn 1950, 287: J.R. f'vl1c11AELS, .fohn, Peabody-rviassachusctt 1989 (risL) 359; .I. NIOFFATT, /,ove in the 1\!e1v Tes/{/lllent, London (repr. 1930) 46s: I,. tv!ORRlS, The (70spe/ occording lo St. John, Grand Rapids 1971. 871-873. G. PEH.FZ, El pri111ado de S. Pedro cn Jn 21,15-17. CuBib 12 (1955) 229-237:232. nota 11; F.X. POLZL-Tl-1. !NNITZER, KurzgefajJter Ko111111entar z11r l,eidens -und Verk!Orungsgeschichte Jesu Christi, Oraz 1925', 394, nota 2: «ab\vechsclnd gebrauchl»; NI. POLO, 5'.vnopsis criticon1111 alioru111q11e Script11rae sacrae interprc/11111 et co11m1entator11111, IV, Francorurti ad lvloenu1n 1712, 1311: «pr01nisquc hic usurpavit»: G. SCHl\VY, f)as Evangcli11111 nach Johannes - J)ie Aposte/geschichte, in fYeg ins neue Testament. Il, WOrzburg 1968 2 , !52; R. SCHNACKENBURG, li Vangelo secondo G'iov111111i, ll!, !rad. iL, Brescia 1981, 602; F.F. SEGOVIA, A111big11ity of 1-Vord ,-\Ieaning. C!8ss\V 37 (1943-44) 77; R.H. STRAC!!AN, J'he Fourth (;aspe/ its 5'ignijìcancc ond Environment. SctvlP. London 19461, 337, secondo cui la distinzione del greco classico qui 11011 può essere 1nm1tenuta: C.C. TARELLJ,A/-:.417/f, JThSt n.s.1 (1950) 64~67; R.V.G. TASKER, J'/1c Gospel according to St. John, London 1960 (rcpr. 1992) 233-234; L. V ALLA, (:of/atio 1Vovi Testa111cnti, a cura di A. Perosa, Firenze 1970. 144; B. \Vuss, f)as Johanncsevangelium, CJiiUingcn 1902 9 , 537: variazioni per togliere la n1onotonia; J. WELLl-IAUSEN, Das F,vangeliu111 Johannis, Rcrlin 1908, 98: variazioni scnzn in1porta11za; O. \V1scr-JMEYER, !Jebe, !V, TRL::XXJ, Berlin-Ncw York 1991, 138-146:143. 2 J.H. BFRNARD, A C>itical and Er:egetica/ ('0111111e11ta1:)! on the (7ospel according to St. John, Il, cit., 702s. 1 · Bernard cita LUCIANO, VerHist, li, 25 e ARJSTOTELJ;. Topica, L 15 ( 106b.2).
Il senso di dyaTTdUJ e çzli,l/0
I I
inoltre sostiene che nè i Lxx~ nè gli altri usi giovannei 5 suggeriscono alcuna distinzione. Bernard si appella ancora alla versione Siriacar' la quale, seguita anche dalle antiche versioni latine (a-e), nel dialogo di Gv 21, 15-17 usa un solo verbo; così pure il Diatessaron arabo di Taziano 7 • Infine osserva che, interrogando Pietro in Gv 21, 17 con if;tAét1J, Gesù stesso 111anifesta cli non attribuire alcuna differenza ai due diversi
verbi di an1are 8. Pure Barre!! 9 offre una sintesi di 1notivazioni: egli si appella anzitutto al fatto che il discepolo, in 20,2, è caratterizzato non più con
l'usuale dyarrdw 10 1na con l1 insolito t,blAÉw 11 ; inoltre si appella anche a[ parallelismo tra Gv 14,23 (dyarrdw) e Gv 16,27 (y?1,\Éw)", infine al fatverbi traducono 111 genere l'unico verbo to che nei LXX entrambi ebraico JilN. Le n1otivazioni proposte da Brrnvn 1.1 11011 sono originai i: esse riguardano il fatto che i due verbi talora si intersca1nbiano, il fatto che traducono nei LXX il con1unc ebraico JilN, il fatto che nel dialogo cli Gv 21, 15-17 Pietro, che risponde sempre con q,1,\Éw, non poteva essere consapevole di eventuali differenze di senso tra i due verbi 1-1.
·1 Cita 2 Sa111 13,4; Ct 2,5~ 7,6 e anche (per rjJ1Aia) Sir 9,8; Pr 7.18 (cfr le versioni cli ;\quila e Teodozionc). 5 Sono cntrainbi usali per !'mnorc di Dio all'uoino, del Padre nl figlio, cli Gesl1 agli uo111i11i, degli uoinini verso altri uon1ini, degli uo1ninì verso Gesù. 1' Cfr .I.I-I. BERNARD, A C'riticol and Exegetical Co111111enta1y on the Gospel according to St. .John. Il, cit., 702-703; cfr in queslo senso anche .I.A. BEWEI<, The ()rigina/ J/lo!'ds of Jesus, cii., 32-33 (con specirico rirnando alla SiroSinaiLica) e R.C. BRO\VN, The Gospel accordi11g lo John, 11, cii., 1102. 7 Cfr ancora J.1-l. BEl<NARD, A c:ritica/ and Eregetical C'ommenlary on lhe G'ospel according to St. John 011 lhe Gospel accoJ"ding lo SI . .John, cit.,702-703. x lhid.; .I.A. BEWFR, lhe Originai /Yord of.Jes11s, ciL., 32-33. 9 Cfr C.K.. BARRETT, The Gospel according lo SI. Joh11, cii., 486. 111 (Jv r]ydrra (che Gesù an1ava: cfr 13,25; 19,26~ 21,7.20). 11 /,PO.Et. 12
in 14,23
In entrambi i testi Gesù appare con1e oggetto di ainorc da parte dei discepoli: è usato dyarrdw (dyarrt!; cfì·nnchc i vv 15.21.24.28 e 8,42), in 16,27 è usato
,P1Aiw {rrE1j>1ArfKaTE ). 1 -'
R.I..:. BROWN, The Gospel according to John, cit., 1102-1103.
Le slesse ragioni, più o n1eno, sono proposte dn r.r. BRUCE, The Gospel o_( .lo/in. ciL, 404, e da D.A. CARSON, The (fospe! according 10 .John, cit., 676, che ag1·1
12
Attilio Gangerni
Meno lineare nella sua argo111entazione pare Jvlac KUJJ 15 • Egli non esclude che, fin dalla grecità, i due verbi possano avere avuto una certa dialettica 1('. Conclude tuttavia che sin1ili 111utan1enti tenninologici possono essere se111plici variazioni, 111a possono anche in1plicare differenti sfu1nature di significato, da ricercare però caso per caso. In relazione agli usi di Gv 21, 15-17 osserva che la variazione dei due verbi serve solo a stabilire un crescendo che cuhnina poi nel con1ando del v 19 e, più ancora, in quello ciel v 22. Alla sinonin1ia arriva anche Paeslack 17 dopo la sua a1npia trattazione sull'uso dei due verbi nella grecità classica extrabiblica, nei LXX e nel Nrr 1 ~. Decisa pure, nel senso della sinonin1ia, è la posizione di S"coft 19 e di S6cfing 20 , che conclude, in questo senso, al tcnnine di una
lunga ricerca sulla grecità pagana. Altri autori 21 infine osservano che i due verbi greci dyarrdw e cj>lAÉcu non possono non essere sinoni111i dal 11101nento che il vero dialogo tra Gesù e Pietro avvenne in lingua aran1aica e i due interlocutori usarono verosin1i!n1ente un solo verbo. Ci si chiede allora, li111itatan1entc al dialogo tra Ciesù e Pietro in Gv 21, I 5-17, perché l'evangelista mise in bocca a Pietro sempre il verbo c/>tAi{u anche dopo avere 111esso due volte i! verbo dyarrdw in bocca a Gesù. L'unica risposta possibile, sulla quale più o n1c110 convergono tutti gli interpreti che sostengono la sinonin1ia, è che l'evangelista giunge altre lre ragioni: la corrispondenza dei due verbi nel senso, il senso tecnico di <fii,\IM corne haciare, la difficoltil degli autori a spiegare le differenze. 15 J(.L. fvl!\C KAY, Stile and Signifìcance in the Language q/John 21,15-17, N1 27 (1985) 319-333. 16 Cita PLATONE, l.ys 215ab e AH.ISTOTELE, Rhef 1371a.21. Per In sinoni1nia però e ila St~NOFONTE, 1l./e111 279 e 12 e PLATONE, Phdr 241 d. 17 M. PAESL!\Ck, Z11r /Jede11t1111gsgeschichtc der IVOrfcr r/JtÀEt~v (liehe1~). tjit)Ja (Liebe, F'l'e11ndschqfi), tji{ÀoS' (Freund), in der Sept11agi11ta und in 11e11c11 J'esta111enf, in J'heo/ogia Viator11111, \!, Berlin 1953-54. 51-142: 140-!42. rn Specula sull'avverbio TO Tp{Tov che 11011 avrebbe senso nel cnso di non sinonin1ia. 19 J.i\. Scorr, The /Fords/or "Love" i11.Jn 21.15-17, ClassW 39 (1945-46) 7172; 40 ( 1946-4 7) 60-61. 0 l T. SC:llJ!NG. J)as /Vor(/èld der Liebe in paganen 1111d biblischen c·,.1ec/1icli: philologische /Jeobacht1111ge11 an den TYiil'zel ArAJ!, ETllL 68 (1992) 284-330: 327328. 21 CJì· tra altri \V. LAUCK, Das Eva11geli11111 1111d die Hl'i<~fe des heifigen .Johanncs, Frciburg i.Br. 1941. 468.
Il senso di dyarrd{j) e pvll{j)
I3
volle introdurre delle vanaz10111 per 111otivi stilistici, allo scopo anche di evitare la n1onotonia.
2.'Ayarrdw e
cjJlÀiN
non sinonùni
Altri interpreti, non ineno nun1eros1, ritengono invece che i due verbi di a111are, dyarrdw-if:;tÀÉ(J), non sono sinonùni 22 . Ovvia1nente, 111 questo secondo caso, c1ncrgc la don1anda quale sia la specifica sfu1118tt1ra di ciascun verbo. Gli interpreti che sostengono la non sinonin1ia sono appunto i111pegnati in questo senso. All'arnore, espresso dal verbo dyarrdr11, sono così attribuite diver-
se sfu111ature: esso è un a111ore di volontà 2-', di ragione 2 ~, di gratitudine 25, di particolare qualità 26 , di apprezza111ento 27 , di apprezza111ento e stin1a 2 ~,
22 Cfr AMBROGIO, EYposilio Evange!ii seco11d111i1 l11ca111, Lib X, PL XIV, col! 1848-1849; R.A.L. l-:D\VARDS, The (ìospel according lo SI. John, Lonclon 1954. 182: R. BULTMANN, /)as 1:va11ge/iz1111 des Johonnes, CìCittingen 1978 20, 551, nota 2: si lin1ita a dire che il cainbimncnto può non essere senz8 imporl8!1Z8, 1118 uon spicg8 dì pil1. 2 l P. Br.r.cKMANN, /, 'évangi/e se/on ,)'. Jean, d'oprés !es 111ei!le11rs uuteurs colho/iq11es, Brugcs 1951, 432~ T11. CAIElANO, In q11ot11or l~vonge/iu ad Cìroecon1111 codic11111 veritate1n castigata, ad sens11111 q11e111 vocant /iterale111, co111111entarii, Parisiis 1550, 501-502: K. HORN, Abjàssungs::eit. Cìeschichtlichkeit und Zlreck vo11 J~·vang. Joh. Kap 21, Lcìpzig 1904, 167-171: !-!. PRUSKFR, Die l_!rchristliche Bolschaft von der Liebe G'ottes, Gie/3en 1930, 276; C. SPJCQ, Agapè dans le 11011veo11 Testa111enl, 1!1/2, Paris 1959, 233-234, ainore razionale e volontario, in senso tecnico àyarrdw indica mnore religioso e consacrazione a Dio: TOMMASO D'AQUINO, Super Evangeli11111 Sancfi Johonnis /ecturo, a cura di R. Cai, Torino-Ron1a 19525, 511. 2--1- R.Ch. TRENCH, 5i)111oni111a des 1\le11en Testa111ent, ausgewiihlt 1111d iibersetzt, trad. led., TUbingen 1907, 29-33. 25 I-1.G. VVooo, The [}se of dyaJTd(JJ in L11ke Vll,42.47. ExpTim 66 (!955) 319320. 2(, J.N. SANDERS. "Thosl! who111 Jes11s /oved", (S't John I J,5}. Nrst I { 1954-55) 29-41 33: il verbo àydrraw è proprio di Cìesll. 27 I. I--IASTJNGS, SI. Joh11, Il, Edinburgh 1912, 420. ~g \V, SANDA Y - 1\. 1-lEADLAtvL The I listor)' of' the /Vord dydJTfJ - The C'hrisfian Teaching on I.ove, in The F:pist/e to lhe !?0111ans, Edinbourgh 19025, repr. 1908, 373377, cita Diane C<1ssio e <111chc Gv 21,15-17: G.B. STEYENS, The Joha1111i11e Theo/og)', London 1894, 266-289; Th. ZA!!N, [Jas Evange/i11111 des Johannes, J.cipzig 1921 5·{', risi.. \Vuppcrtal 1983, 696, nota 87.
14
Attilio Ganf{e1ni
di intelligenza e decisione 2' \ di giudiziò111 , di devozione Jr, cli venerazio11c:i2, di a1nabilità verso persona o ospite·'-'; un a1nore di discepoloJ 4. Espri1ne inoltre un a1nore cal1110 ed entusiasta 3\ più profondo·'\ un a1nore più elevato .-n, superiore>s, riverenziale-'9, a111ore più ctico 411 , pili altruistico·11 , din1entico di se stesso 4 2, oblativo 4 \ un an1orc più alto 111a più freddo· 1·1, un a1nore di soddisfazione 45, di preferenza -iri, un attacca-
29 Mr. CorE, ()11 oTopylf, /'pr,;.;, çtltÀEÙ-': dyarraV, JPhil I (1868) 88-93 (amore intelW. llENDH.IKSEN, The Gospel r?f· .fohn, London 1969 (repr.) 487; R.C.f-1. LENSKJ, The lnten1retatio11 of .51. John's Gospel, Colun1bus-()hio 1942, 1<118. -' 11 J.A. BENGEL_ C1101;1on 1Vovi Testamenti, Tubingiae 1742, 405. 11 - J.C. BUTLER, The Fo10:/o/d Gospel. New York~London 1889_ 578: più o n1cno anche VV.fVl.L. D1: \VETTE. Kurze h'rk!dr1111g des Evangeli11111s und der Brie_fè Johannis, Lcipzig ! 852·1, 298; B .B. \V ARF!ELD, The Terminof ogy of love in the Ne1F Testa1ne111, PrincTR 16 (19!8) (11) 153-203: 196, 197, di devozione e ubbidienza. ·12 F. (ìODET, Co111111entaire sur l'évangile de 5i'ain! .Jean. 11, Ncuchfìtcl 1903 4,
lettuale);
533. :n E. R!SCI-! - 11.J. rv1r-:·1 TL::, dyarrd{M"dyarrd1u, in B. SNL::LL. lexicon des jì·iihgriechischen t/Jos, I, GOttingcn !955 (rist. 1979) ,15-<16, riguarda la grecità classica; cita P. llOFFlv11\NN,'A,\ifav8pos-, GL 28 (1940) 21-77:34. 1 -'' C. BESOBRASSOFI', Saint Pierre et /'!~~P,lise dans le 1\lo11vea11 Testa111e11t_ Jstina 2 (1955) 261-304: 297-298. t> R.\V.S. REJLLY The (ìospel according to St. John, London-New York-
Toronto 1936, I 08. _1r, J.1-1. MOUL TON.- G. rv11u .JGJ\N, The Vocah1t!a1:F (!f the G'reek Tes1c11nenr, J ,011don 1914-1929, sub dyarrdM. _ìJ L.CL. FILLION, la Sainfe Hible co111111entée. VlL Paris l 903' 1, 602. ·'~ ORtGENE, h\positio i11 Proverhia, cap. \/fil, 82-84, PG X\l!L coli 183-184. nota 82. -''! W.f\11.L. DE \VETTE, Kurze l~rklàr1111g des Eva11geli11111.1· cit., 298: J.1-1. MOULTON - G. M!LL!GAN, The Vocab11la1J1 q/ fh(! D'reek Testame11!, ci!., sub rf>1,\Érv. 40 J.P. l,ANGE, l)as i:_,'va11geli11111 11ach Johannes, theologisch-honziletisch hearbeitet, Bielefeld uncl Lcipzig !8804 , 566. 41 S.N. ROACH, Love in its Relation lo Service. A 5,'f1n()1 q/ ef;t,\r:Ì1/ and dyarrri1/ in the 1\lew J'esto111ent, RExp JO (19!3) 53!-553: 533. t criticato d<l Paes!<1clc 1 " \V. TF.lv11-'LI·:. Reading in St . .John'.1· (;ospe/, li, (1945) 405, mnorc riveltito da Ciesli . .<J C.F. I lOGG_ 1Vote on dyarrdtu and rj;i,\h,;, ExpTiin 38 (1926-!927) 379-380, 111 polcrnica con ! lighficld cita Gen 37,3.4; Cìv 3.35: 5,20. ·I-! l~.A. ABBOTT, .!ohannine f'ocab11/c11y, London 1905, !436. Cit<l (ibid., 1728, 111-q) Senofonte, i\Ie111 Il, VII, 9.12 (le 14 donne cli Arislnrco)_ inoltre Dione Cassio e Plntone; A. PLurv!MER, The (7ospe/ according to St . .Jol1n, Cainbridge l 912 (ullin1c1 ristarnp<i) 372 . .is E. EVANS, The /1erb dyarriiv i11 the Fo11rth Gospel, in S!udies in the Fo11r1h <7ospel, cd. by F.L. Cross, London 1957, 64-71: spiega per (ìv 21_15ss: ''(Gesù n Pietro) sci soddisfr1tto con 1nc ora ... ?"
Il senso di dyarrdùJ e ,Vi)ÉùJ ------ ------
15 ------
----
n1ento religioso che si traduce in fedeltà e ubbidienza17 , an1orc per Dio 4\ la carità dell'anin1a 4'l, un an1ore divino 50 , un puro e santo an1ore di Dio 51 , un an1ore nello Spirito 5 2, un an1ore più alto che sta all'origine della vita cristiana5-', un an1ore incondizionato che po1ta al dono di sè-"-1, un a1norc più forte 55, un an1ore in Cristo spiritual111cnte rigenerante 56 ; designa la prova concreta di an1ore 57 ; nei suoi usi da parte di Gesù nel suo dialogo con Pietro in 21, 15-17, esprin1e un an1ore che 111ira a fare uscire questi fuori eia se stesso 58 • Al contrario, al verbo </JtÀ.Éw è attribuito l'aspetto di un an1ore di necessità e affetto 5'\ di affezione spontanea60, di un a111ore espresso con cuore caldo e attaccatori1, cli at1acca1nento personalc 62 , di aitaccan1ento 411 E.A..l1c l'vlcDo\VELL. "l,ovc.\·/ tho1111ie?'" A S'11u(F qf'John 21,15-17, RExp 32 (1935) 522-541: 525-538: F. PRAT. La charit dans la Hihle, DSp JL coli 508523:508 (<1in1cr bien). 17 ' 17. REFOUL~:, Pri111a11té de Picrrc dans !es f'vungi/es, RevSR 38 (196,1) 1-41: 29-33: nota che i due verbi però altrove coincidono. -!8 Cì. J'vlA!ER. Johannescvangcliz1111. l I. Ncuha11se11-Stuttg<1rt 1986. '100-401. ·l'l AMBROGIO. Expositio h."vange!ii SCC//11d11111 /,//C{/11/. cii.. 1848-! 8119. 50 ORIGENL·, ,)'elce/a in Threnos, in l.a111 1,2, Pcì X!l!. coli 61 !-612. c1ì· JIJ .. /:~\" positio in Proverbio, cit., col! 183-184. 51 \V. TEMPLI·:, l?eading in St. John's Gospel, Il, cit., 405 . .'il D. KL()PPER, Dos 21 Capite! des 4° Evange!i11111s, ZWTh 42 (1899) 337381 :363. 5-' J. IYIATEO.S - J. BARRETO, El Evange/io de J11an, tV!adrid 1979, 699; 13.I;. \VE.STCOTT, The c;o.spel according lo St . .fohn, Grancl Rapids 1981, 303. 5 ~ .J.T. DE LHvl1\, T11 serti.1· cha111ado f(f-f<PAL-~ AnGrcg, Roina 1994. 29!: J. iVlATF.OS-J. BARRETO. El l~vange!io de J11a11, cit.. 906; <lllChc L. f\lfORALDI. /)fo è(////()/'(!. S"aggio sul concetto di a1nore in S. C7iovanni, con introduzione al quarto vangelo, Ron1a !954. 83. y; J. l'vlf\RSll, Thc (Jospc! o_f',5!. John, London 1968. 672. % C. CAL1\N1Jl<A. I. 'a111ore in .5. C7iovanni, in f vangeli nella critica 111oderna, Torino 1960, !41-155:142, no1a 3. 57 R.1-1, STRACl-!AN. The 1lp;1enchr lo the Fourt/J (;ospc/, Exp VlJl/7 (1914) 255274:266. 5 ~ H.A.L. r::D\.VARDS. Thc G'o.1·11e/ according to St. John. cit.. !82. 59 TH. CA JETANO. In q11atuor J:.l'angclia, cit.. 501-502. (ili P. 13EECKt'v1ANN. l/évangi!e selon ./ean. cit.. 432; .I.A. r_~r:NGE!.. c;/10111017 1Vovi Testamenti, cit. .. 405: H. C1<:r:MF:R, Biblico-Theo/ogical l.e.ricon of· 1Vt-'1P Tcsta111e11t Cìreek. Edinburgh 1878~. 11. 111 .l.E. BE!.S!--:R, l)as L1•ange/i11111 des hei!igen Johonnes, iiberse/:;f 1111d erkliirf. 1~·reiburg i.1:3r. 558. (, 2 \V.tvl.L. DL-: \V1-:rrr:, K11rze Erkliirung dcs Evange/i11111s. cii.. 298; F. GODl~T. ('on1111enlaire sur /'évangile de Saint Jean, Il. cii.. 533; I. I-lASTINCiS, St. John. Il. cit..
s.
Attilio Gange111i
16
più personale e u1nano 6\ di affetto soggettivo id, di piacevole cn1ozio11e65, di piacere verso l'oggetto degno di a1nore 6r', di personale dcvozione67, di calda e personale devozione 68 , di an1orc per gli uornini 69 , di an1ore di an1icizia70 , di senti111ento naturale 71 e istintivo 72 , di an1orc più debole73 e più n1odesto 1-<, anche più basso75, di affetto personale cd in420; J.P. LANGE. Das J:vangeli11111 nach Johannes, cit., 566: fV1.C. TENNEY, f'hc Gospel oj.John, Grand Rapids 198!, 201-202. 6-1 D. KLOPPER, /)as 21 Capite/ dcs 4° f~'vange!i11111s. cit., 363: .I. IVIATEOS - J. BARRETO. El Evange!io dc J11a11, ciL, 401-402; J.!L fVIOULTON- Ci. IV11LLIGAN. The /'ocab11/c11y oj· the Greek f'esta111ent, cit.. sub dyarrdtu; F. PRAT, La charité dan.1· la Bible, cii., col 508, cfr anche ID., .Jés11s C'hn:1·t, sa vie, sa docfrine, son oeuvre, Il, Paris 1933. 456; 1:. REFOULI~, Pri111auté de Pierre dans /es !'.:vangile.1·, cit., 29~33; C. SPICQ, Agapè. JJJ/2, cit., 233-234, attaccamento e affetto un1rn10: \V. Tf~Ml'LE, Reading in St. John 's Gospf'I, cit., 405. r,-1 '0./. 1-IENDRll<SEN, Thc Gospel <?(.fohn. cit., 487: R.C.J L LENSKI. Thc /11fcrp!'etation of 5,'1. John 's Cìospel, ci!., 1418. r, 5 S.N. R01\CH, f,ovf' fil its Rf'lation to 5,'erì'fcf'. ciL, 533. 6 r' Th. ZAHN, Das F;vangelium des Joliannes, cit.. 696. r,7 J.C. BUTU.'.R, The Fo1u.fo/d C'osjH!/, cit., 578: pili o meno anche \V.fV1.L. Dr: \VETTF, K11rze Erk/drung des Eva11ge/i11ms, cii., 298; 1-:. EVANS The Verb dyarrdv in the Fourth Gospel, cii.. 64ss~ Cì.F. \VAllLL. J)os Evangelh1111 nach Johannes. Cìolh:i
1888, 704, r,~ R.C.1-l. LENSKJ. The lnter;;n:tation
t?f St. .lo/111's <7ospf'I. cit.. 1418: \V.S.
RE!LLY, The <7ospcl according to St . .John, cit., !08.
G. !VIAJER, Joha1111escvo11ge!i11111, cii., 400-401. 1 -:iovanni. cil.. 142, nota 3; J.T. Di: LHv!A, lìt serris cho111ado /(//</>AL,' ciL . 291. che c.nloca sullo stesso pirino di inti1nilù soggetto e oggctlo; I-i.E. EIJ\VARDS, Thc J)isc1:011? ... J10111 wrote the.\'f' Things. London 1953, 230231; R.i\. !"~IJ\VARDS, Thc (;ospef uccording lo .':,'/ . .fohn. cii.. 182: L.Cl. PJLLJON. La Sainte Bible co111111entée, cii., VII, 602; O. GLOMBlli'.1\, Petrus -dcr l·ì·e11nd .Je.1·u. Ober/eg11nge11 :::11 .lo . .\~\"/, !.~[/; Nr 6 (1963) 277-285:277s: benché susciti perplcssitù l'applicazione a (~v 21,15-17; .l. tvlATEOS- J. BARRETO. E/ /~·vange/io dc Juan, cit.. 906; J.H. fVIOULTON - G. JVl!U,IGAN, l11c Vocabulary of the (;reek Testamenr, cit., sub. i:ji1),(u;; G.B. STEVENS, The .Johannine 71ieolo,r;y. cii.. 266-289: \V. Tuv!PLE. Reoding in S't. Joh11 1.1· Ci'ospel, cit., 405. 71 C. Br-:SOBRASSOFF, Saint Pierre et !'É,glise dans le 1Vo11vf'a11 Testa111ent, cii.. 297-298; rvtr. COPE, ()n OTopylj, Epw:,', i:jitÀé/JJ, dyarrdl-', cil., 91-93; L.CI. rru.ION, La Sainte !Jible co111111entée, VIL cit.. 602: K. l-IORN, Al?fàss1111g,1·:::eit, Gf'schichtlichkeit 11nd 7weck 1'011 Evang. Joh. Kap 21. cii.. 167-171; B.B.\VARFIELD, l11e Ten11inology of Love in the 1\!ew Testament. cit., 196.197; 8.F. \Vi:'STCOTT, The C'ospe/ according, lo S't . .fohn, cit., 303; TI!. ZAHN, l)as Fvangel/11111 des .lohannes. cit.. 696. 72 R.Ch. TRFNC!l, S)'11011i111a des 1\!e11en T'f'sta111ents. cit.. 29-33. 7-1 J. ìvlARSH, Thc è·o.spel of 5it. John. ciL, 672; al contrario Ti I. CAll~TANO. in qua/1101· l~vange/io. cil., 501: r/; LÀÉM è diligerc (àyarrd{o) in 1nodo vcc1nentc. 7..i A. SALMEl{ON, C'o111111c11tal'ii in Evangelicam f-!istoria1n cl in Acta Aposto/01·11111, Coloniac Agrippinne 1614, 233. r,<i
711
C. CAL1\NIJHA. L'amorf' in S
Il senso di dya?TdùJ e ptÀÉùJ
17
tin10 71', di an1ore di giuclizio77 , di personale inclinazione de! cuore e cli intin10 sentin1ento 7'\ di inti1na unione 7'>, di a111ore più 111odesto e più caldo 81J, di personale dedizione 81 , anche, in 111odo più basso, di 1noto appetitoso H1, di reale passione~-', di desiderio del corpo 8-'. Il verbo </Jl;\ÉrJJ poi, in bocca a Pietro in Gv 21, 15-17 nelle sue risposte a Gesù, espri-
111erebbe un autori111provcro~ 5 . Pa1tico[an11ente singolari, sulla linea della non sinoni111ia dei due verbi di cnnare e con esplicito riferin1ento al dialogo tra Gesù e Pietro (Gv 21, 15-17), appaiono le spiegazioni di Evans e di Glombitza. I_,a spiegazione di r.:vans~(, riguarda più spccifica111ente il verbo dyarrdDJ in Gv 21,15.16. In 1nodo più generale, egli intende questo verbo in due sensi: con1e conore vo/011/ario, e anche con1c a111ore cli soclclis.fazione che un SlfJJCriore conceJJisce verso un it?feriore; intende invece <j.nAÉw nel senso di conore cii positiva clevozione. Applica il secondo senso al verbo dyarrdtu in bocca a Gesl1 in Gv 21, 15.16: usnndo questo verbo, egli chiederebbe a Pietro se adesso rimane soddisfatto di lui e se ancora conserva quella disillusione che in parte fu la causa del rinnega1nento. Pietro risponde che egli ha per lui positiva devozione (q'il1\iw). Non suscita alcuna perplessità i! senso più generican1ente at7-"'
E.A. AllllOll. Joha1111i11e Vocab11/a1y, cli.. 1 -136: ;\. S1\L!VIERON. ('0111111entain //eta Aposlolon1111. cii.. 233. clic G'-.'sÙ insegna a 1
rii i11 f-:_:1'u11gelicu111 !-fisloria111 e/
11011 disprczz<.lr'-.'.
7(' .l.F. ASTli'·:. Fsplicafion de /'évangi/e se/on S'aint Jean, Cìenévc 1863, d75. nota 2; 11. Pl{IJSKJ.J{, Die 11rchrisllichc Botschajt 1'011 der Liebe (Jottcs. cit.. 276: \V. J\. llEADLAM, The llistorv ofthe /Vorddydrrr;. cit., 374. 77 .I.A. BENGEL. C110111on 1\l~v/ Testa111enli, ciL, 1105. n A. B!SPING, Erkliil'11ng des Evange/i11111s nach Johan11es, 1Vhi11ster 1869 2. -'165; J l.i\.\V. IVIJ~Yl:I{, Tlw Cìospel o/Joh11, Il. Cclinburgh 1874_ 402. 7'J C.F. !-IOGCì . .Vole 011 dyarrdtu and rp1,\ltu, cii., 379-380. ·~ 11 A. PLtlt'v1!'vlER. T/Je (7ospe/ according lo 5,'/. Joh11, cit.. 372. ~ 1 R.1-1. SlRACllt\N. Tlw Appe11dix to the Fo11rth Cìospc/, cit .. 266: nel nostro criso_ rcnlc relazione a Gesù: G.F. \VAHLE. JJas L'vange/f/1111 11ach Joha1111es, cii.. 703. ·~ 2 To1v11v!1\SO D'1\QUINO, Super EFa11geli11111 S. Joa1111is !ec/11ra, cii .. 5 I I: (/li/O/' è un n1olo appetitoso. di/celio è l'<11norc regolato d;dl;1 rngione. ·~'E.A.Jr. ìvlc DO\VELL _ "Love.1·11/Jo11 111e?" cii.. 525-538. N·I ArvlBROGIO. Evposilio Evangf'lii sec1111d11111 L11c11111, cii., 17(i; 0RIGENI::. ,)'e/celo ili Threnos, cii.. 61 l .6 ! 2, crr anche llJ., /..,\posifio in />roverhiu, cit., 183-18,:J. dove cita appunto Gv 21,15-17. N_~ R.A.L. [D\Vt\RDS, The (Jospe/ according lo 5,'/ . .fohn, cil., 182. sr, Cfr E. EVANS, The Verb dyarrd11 in the Fo11rlh Cìospe/_ cii._ Ci4ss. St\NDt\Y-
Attilio Gangemi
18
tribuito ai due verbi, che tuttavia rimane da verificare; si fa molta fatica invece ad accettare, e anche a giustificare, l'applicazione fatta a Gv 21, 15.16: il contesto, soprattutto in riferimento all'incarico pastorale, esige che dyaJTdu; esprin1a positivo a111ore di Pietro verso Gesù, non soddisfazione come superamento della precedente disillusione. Inoltre rimane da verificare se tale senso è riscontrabile in tutti gli altri usi di dyaTTdw nel Vangelo, altrimenti si determina una frattura, all'interno del Vangelo stesso, tra il dialogo tra Gesù e Pietro e tutta la restante prospettiva del1 1 an1ore espressa con dyaTTdw.
La spiegazione di Glo1nbUza 87 riguarda invece il verbo <f;tAÉw, sia in bocca a Gesù in Gv 21, 17, sia in bocca a Pietro, nelle sue tre risposte, in Gv 21, 15-17. Secondo Glombitza, alle domande espresse con dyarrdu;, Pietro, rispondendo c/JtAW aE, dichiara di essere stato scelto da Gesù con1e an1ico, con tutti i diritti e doveri nella sua casa e nel suo regno. Ma la terza volta, interrogando ,Pdcls- µe (21, 17), Gesù eh ied e a Pietro di accoglierlo nella sua casa con tutti i diritti e doveri di arnica. Qui sta il vero motivo della tristezza di Pietro (ÉÀvm)O~): egli non ha più una casa dove accogliere Gesù avendola lasciata dietro il suo stesso invito. Tale senso di ,P1Mw appare non fondato e non coerente con il contesto. Supposto il senso di ,P1Aàv come accoglienza, il ,P1A1;; uc riguarda 11011 l'accoglienza passata di Pietro da parte di Gesù, bensì l'accoglienza attuale di (iesù da parte di Pietro. Tuttavia, prescindendo dalla sua concreta applicazione a Gv 21,15-17, è valida la prospettiva più generale di accoglienza attribuita al verbo <ftÀÉfri.
3. Volutozione critica delle rnotivazioni per lo sinonirnJa Le n1otivazioni proposte a sostegno della sinonin1ia dei due verbi non paiono decisive.
87
Cfi· 0.
GLOMBITZA,
Petrus -der fì·e1111d .Jesu, ciL, 277-285.
Il senso cU dyo?TdùJ e ç!1Alcu
I9
3.1. li riferimento alla grecità profana
Anzitutto, con1c vcdren10 più avanti, il riferi1nento alla grecità profana è 111olto incerto. Assie1ne ad dyarrdtù e <f>1.ÀÉtv, sono usnti anche altri verbi di c11J1are, quali ar€pytJ) cd ipéiv, quasi de! tutto scon1parsi nella grecità biblica: nella stessa grecità profana non se1npre è possibile stabilire la specifica sfu111atura di senso di ciascuno di essi. Inoltre, più specifican1ente i due verbi dyarrdw e cf;tÀÉw nella grecità profana appaiono fluttuanti. Ad essi sono state attribuite una varietà di sfutnature dai vari autori e nelle varie epoche; inoltre conoscono una storia differenziata di evoluzione se111antica: rnan 111ano regredisce l'uso di cjJLÀÉ(lJ e progredisce l'uso di dyarrdw; è difficile perciò detenninare i precisi li111iti di ciascuno dei due verbi. Difficiltnente la grecità profana può offrire indicazioni univoche, tali da concludere con certezza in relazione all'uso dei due verbi da parte di un autore neotestan1entario co111c Giovanni, lontano nel ten1po e nella n1entalità.
3.2. 'Aymrd1u e </JLMw nell'uso dei LXX
Per quanto riguarda l'uso di dyarrdr.ù e </JL1\Ét1J nei 1_,XX, rin1ane se111pre dn verificare se essi siano stati rilenuti e siano reahnente sinonin1i. I/unico verbo ebraico :inN, proprio per la sua pregnanza di senso e la sun a111piczza di usi, a!Poccorrenza, può essere stato distinto nei suoi vari aspetti, con due verbi diversi, dai traduttori greci.
3.3. La versione siriaca Il rin1ando alla versione siriaca, a sostegno della s11101111111a di dyarrd{JJ e </JlÀiw, si rivela tnolto labile. Si può notare anzitutto che ln
versione S'iro/Sinaitica
.~~Per
~.~
0111ctte nei vv l 5. l 6 qualsiasi rin1ando di Pie-
il testo della SiroSinailica
cfr R.L. BF.NSLY - .f. RENDEL-1-L\RRJS - F.C.
BURKJTT. The F'o11r G"ospefs in 5)!J'iac f ... ·1. with 011 !11trod11ction hy i\. Srv11TH-LE\V!S, Can1bridgc 1894: F.C. BURKITT, Evange/ion L>a-Xlepharreslié. Cmnbridgc 1904: ;\.
Attilio Gangerni
20
tro alla conoscenza di Gesù (aV ol8a:;) con il suo conseguente oggetto
che egli lo a111a (BTl rj>lÀtJ.) aE). Solo nel v 17 la ,_)iroc')inaitica introduce la protesta di Pietro che an1a (Jesù) rna 01nettc anche la ripetizione del verbo di a1nare nella ripresa narrativa della do111anda di Gesù nel v 17. La SiroSinaitica usa così un solo verbo, RHA1, quattro volte in tutto i I dialogo, due volte corrispondente ad dyarrd(u e due a </JlÀÉw. La c)iroPeshitto~') usa ancora sette volte lo stesso e unico verbo RHJvf L,a S'iro Paleslinese 011 registra invece l'uso di un altro verbo, JJVf/, nella forn1n participiale aphc! /l.1HYV La tradizione siriaca non è quindi unani111c. La c)ir0Sh1aitica e la Sirol)eshitlo livellano i due verbi; li distingue invece, non senza qualche incertezza, la /)iro]Jafeslinese. I./uso dell'unico solo verbo Rl-JA1, nella ,)iro,_)iJ1ailico e nella .S'iroPeshitlo può spiegarsi bene con il fatto che il traduttore siriaco non diede diverso valore ai due verbi greci e non ritenne quindi di doverli letterarian1ente distinguere. In questo caso !a versione siriaca non traduce bensì interpreta. Il fatto però che i due verbi dyaTTdw e </>tAÉtJ.J siano stati ritenuti sinoni111i dal traduttore siriaco non i111plica che siano realn1entc tali nella 1ncntc dell'autore greco.
3 .4. 'A yaTTdw e
</>t;\É(ù
nei testi paralleli giovannei
Quanto poi all'uso dei due verbi in testi paralleli nel vnnge!o di Giovanni, si può osservare che né ['uso di </>t/\É(u in Gv 20,2, in rclazioSrv11T11-LE\VlS,
Thc CJ/d S) riac C7ospels or Evn11ge/ion 1
Ua -kfep/1(1rreshé,
London
19111. ~9
Per i! testo della SiroPeshitto cfr J'hc 5),,.foc i"Vcw Testr1111c11t according to the Peshitto Version. London 1895; P.E. PUSJ.'.Y - Ci.H. C.iWILLIJ\M, Tctroe11ange/ion Sanct11n1, j11xtu si111plice111 .':i);ron1111 Versione111, O:xonii 1901; The 1\iew 7'esta111c111 in 5)-riac, Lonclon 1962: lhe Arol/1aic 1\!ew Testamenl. l:°.\'lrongelo script. Bosed on the Feshitto and Heraklean Version, Ne\v Knoxville 1983. ')Il Nell'edizione di P. DE LAGARDE, JJibliothecal! "))-riocae li. Evangeliariu111 /lieroso!i111ita1111111, Cìottingac 1892. è usnlo llVJf (kf/-{)'/') in corrisponclcnzn ad a'yarrd(J), n1enlre è usato RII.li in corrisponden7.a a rp1,\i(l}. Così anche nella Jìlo:xeniana cli \Vhile, cfr J. \VH!TE. Sacron1111 Eva11ge/ior11111 versio -\Vriaco phi/oxe11ia11a, Oxonii 1778. Nell'edizione di F. ivl1\NISCJ\LCJJI ERJZZO, 1:·va11ge/iariz1111 f-!il!roso(v111ih11111111. Vero1wc 186L si legge A!//}'/lanche nella risposta cli Pietro nel v 15. Nell'edizione di 1\. Sl\·11TI 1-LE\VIS - 1\11.D. G!llSON, The Pa/esfinian ,~~vriac Lectio11a1:y of· the <Jospe/s, Lonclon 1899 invece si legge 1\I/-IV solo nella do111anda di Gcsl1 ciel v 15. Altrove se1npre R/1XI.
li senso di dyarrdr,1 e çz!1,,Jltu
21
ne al discepolo che Gesli a1nava, solitarnenle caratterizzato con
a-
'yarrdw, né il parallelis1110 tra 14,23 e 16,17 possono essere citati con1c prova di sinonin1ia: infatti ri1nanc sen1pre il problc1na se, tnediante il ca1nbia111ento dcl verbo, l'evangelista non abbia voluto introdurre 111 un
testo una
sfun1atura diversa rispetto all'altro testo parallelo 01 •
3.S. L'uso di <f>1Mw nella domanda di Gesù in Gv 21, 17 Il ritnando a[ fatto che nel v 17 Gesù non interroga più con dyarrdw n1a con cjJ1),€r;i, non autorizza a concludere sulla sinonin1ia dei due verbi. Ri1nanc scn1pre !a cion1ancla se, interrogando con r/>t1\€(v, Gesù, o 11evangclista, non abbia voluto spostare la do1nanda su un aspetto diverso rispetto a quello espresso dai due precedenti dyarrdt1J. In ogni caso si può notare che tutte tre le don1a11de di Gesù si rivelano diverse: la priina don1anda è caratterizzata dalla co1nparativa rrAÉoP ToVT{ùJ.J che attira su di sé l'accento della fì·nse, la seconda è cnratterizzata dalla assenza del!a con1parativa che sposta l'accento sul verbo dyarrdw, !a terza è caratterizzata appunto dal verbo r/;tAÉt.ù.
3.6. I! riferin1ento al dialogo originale aran1aico
É n1olto vcrosi111ile storica1nentc che Gesù e Pietro abbiano dialogato in lingua aran1aica. Ciò però non autorizza a concludere che i due verbi greci usati da!Pevangclista siano sinoni111i. li riferi111ento infatti non è il concreto fatto storico,
nostro punto di
!a cui ricostruzione
rin1ane assai ipotetica, bensì il testo letterario che l1cvangelista interprete ci ha tra111andato
nella lingua originale da lui usata. In nessun
n1odo si può stabilire la relazione tra il fatto storico e la sua rilettura da parte dell 1evangelista interprete.
91 La stessa cosa v8le anche per Gv 3,35 in relazione a 5.20. ln entrambi i lesti il soggetLo è il Padre, l'oggetto è il Figlio e 1·azio11e è analoga. quell'1 cli ninare. Quest'ulti1na è espressa in 3,35 con dyarrdM. in 5.20 invece con rji1,\ÉM.
22
!\rr;/io Ga11gen11·
3.7. La variazione stilistica
L'unico 111otivo quindi per cui l'evangelista usa due verbi di a1nare differenti 111a sinoni1ni, sarebbe, con1e co1nunen1ente si affennn, la variazione stilistica, allo scopo preciso di evitare la 1nonotonia. Una più attenta lettura di testi però non confenna tale spiegazione. Li111i-
tandoci soltanto al lesto di Gv 21, 15-17, esso esclude simile variazione stilistica. Anzitutto una variazione stilistica si giustificherebbe 111eglio in un an1bito letterario più uniforn1e, co111e un 111onologo, una narrazione o un con1n1cnto de/l'autore a parole pronunziate, in una parola, in bocca allo stesso soggetto; non invece in un dialogo tra soggetti diver-
si. In una risposta si esige che essa riprenda gli stessi tennini della don1anda, altrin1enti si rischia di deten11inare un 111uta1nento di prospettiva nella do1nanda stessa o di creare un equivoco tra i due interlocutori. Inoltre il n1odo stesso con1c i due verbi si susseguono in Civ 2I,15-17 esclude il motivo della variazione stilistica. Si susseguono infatti due dyarrdw nelle pri1ne due do1nande di CJesù, tre rj;rÀÉtu nelle risposte cli Pietro, tre <f>u\ÉuJ nel v 17. Una preoccupazione di variazione stilistica avrebbe dovuto forse spezzare 1neglio si1nili successioni. fn realtà nelle sue 1nutazioni tcnninologiche 92 l'autore ubbidisce 1neglio a preoccupazioni contenutistiche che non a ragioni stilistiche. rrali tnutazioni infatti si collocano nello sfondo di elen1enti costanti e invariati, quali 2.l11cuv '/wdvvov, f(Upu:, crV ol3a5", crÉ. Non si può certo dire inoltre che yLv{Jcr1<tiJ, nel v 17, dopo un 111assiccio triplice oZ-3a, sia introdotto per n1otivi stilistici: esso non sostituisce ol8a, 1na è solo asincletica1nentc accostato ad esso e dopo di esso. Jn ogni caso l'uso di yLvr/Jcrt({U nel v 17 non spezza la 1nonotonia, n1a anzi rende più pesante il testo. Ne1n1neno si può invocare la variazione stilistica per i tcnnini pastorali. La lettura rd dpv[a-rà rrpoj3drta!rrp6f3ara-rà rrpoj3drta lrrp6j3ara non tnigliora lo stile, 111a separa rd dpv[a dagli altri tern1ini.
92 Con1presi ne! contesto anche i verbi di conoscenza (ol8a - y1ViJuKtu) e la 1cr1ninologia pristorale, che con1prende due verbi: (Jr!aKw-rr01µaiViu e tre sostantivi: rà
dp14a-rri rrpo(Jdna-rà rrp6(Jara.
Il senso rh dymrd0 e ç91ÀÉùJ
23
Nel caso poi di lettura Td dpv{a-rà rrpo/]dTta-rà rrp6j3ara si avrebbe un crescendo 111olto significativo.
3.8. Conclusioni Concludendo, i n1otivi
per la sinon11111a dci verbi di arnare dyarrdw e cjnÀÉw non appaiono decisivi. Al contrario, scn1prc in relazione a Gv 21, 15-17 dove maggiormente si pone il problema sul valore seinantico dei due verbi dyarrdw e r/;L1lÉw, nella con1posizione del proposti
suo testo, l'autore rivela cstrc1na cura e tutto appare preciso e ben studiato, nell'ordine dei ter111ini, nelle aggiunte, nelle 0111issioni. Il testo tradisce una pregnanza nascosta di significato che non può essere svuotata appellandosi sen1plicc1ncntc alla variazione stilistica. Jn realtà, ben lungi dall'essere una caratteristica del nostro autore, la variazione stilistica appare contraria al suo stile. Oltre al dialogo tra Gesù e Pietro in Gv 21,15-17, si111ili variazioni 11011 si notano più nel suo vangelo. Si può notare l'uso 111assiccio dcl tcnninc rrp6f3arov nel c 10 (15 volte); inoltre anche la successione di dymrd1U-dydrr~ 111 13,34-35, in 14,15-31 dove solo dyarrd1v è usato ben 10 volte 15,9-17; ancora il duplice uso di tf>1Mw in 16,27.
e
111
4. Valutazione critica dei vari sensi proposti di dyorrd(JJ e y6t.AÉr_u Gli interpreti che ritengono dyaTTdw e c/JlÀ.Éw non sinoni1ni, scorgono in essi differenti aspetti che li diversificano. Le varie diversità di senso proposte dei due verbi, con1c sopra abbia1no delineato, appaiono nella storia dell'interpretazione con1c un labirinto nel quale è difficile districarsi. È difficile riprendere e discutere una per una le singole posizioni, anche perché non se1npre en1erge chiara la differenziazione dell'una rispetto all'altra. Spesso gli interpreti riprendono e applicano a Giovanni sfun1ature di senso dedotte dalla grecità profana: n1a ri111anc se1npre il proble111a se questo era il vero senso inteso dall'evangelista.
Attilio Gange111i
24
Le n1olteplici sfutnature di senso attribuite ad dyaTTdw e r/JL1\Éru possono essere ricondotte in ulti111a analisi a due 1natrici o presupposti fondan1entali: il verbo dyarrdr1J cspri1ne un a111ore superiore rispetto a quello più basso espresso da <f>LÀ.Éu;; il verbo dyarrdUJ espriine un an1orc più oggettivo rispetto a quello più soggettivo e personale espresso da r/Jl1\r!t1J. 1
La pri111a 1natricc però, la superiorità cioè dcll an1orc espresso da dyarrdlu rispetto a quello espresso da r:j;LÀ.Éw, a!n1cno nel vangelo di Giovanni, non trova confcnna: entran1bi hanno con1c soggetto anche Dio 9·' e GesìJ>~ e con1e oggetto anche GesìflS: i testi giovannei suggeriscono che i due verbi quanto 111eno sono sullo stesso piano. La seconda niatrice, il fatto cioè che àyarrdUJ esprin1e a111ore più oggettivo, tnentrc rjJ1). Élu espri111e a111ore più personale e soggettivo, esige più attenta considerazione: è diftìci!e infatti escludere !'aspetto soggettivo personale nei testi dove è usato dyarrdlu, o un aspetto più oggettivo nei testi dove è usato rjJL1\iUJ. Si può osservare che entra111bi i verbi sono spesso usati per espri111ere un rapporto tra persona (soggetto) e persona (oggetto); in un rapporto inlerpersona!e i due aspetti, oggettivo e soggettivo, inleragiscono, ed è difficile separare l'un aspetto dall'altro.
5. Conclusione Possia1110 così concludere che né le 111otivazioni in favore della sinonin1ia dei due verbi dyarrdUJ e rjJL1\itu appaiono decisive, né, supposta la differenziazione se1nantica dei due verbi, [e varie caratterizzazioni appaiono soddisfacenti. SopraUutto in vista degli usi cli dyarrdrJJ e <f11\ÉUJ nel dialogo tra Gesù e Pietro in Gv 2!,15-17, si in1pone una riconsiderazione dell'uso e del valore dci due verbi di a1nare. Senza ignorare
91 -
riyarrd1u (3.!6.35:
'J-t
dyarrcùu (! 1,5;
!0.17;
!4.21.23;
!5.9:
17.23.23.24.26);
if;1ÀÉl1J
(5.20:
19,26: 21.7.20);
<j;1.1\É11J
16.27). (16.27:
13.1.1.23.2 1: 1
J,:L21.3L
15,9.12:
21.15.16.17). '
15
dyarrd1u (3,35:
8,42:
10.17;
14.15.21.21.23.2:1.28;
21.15.18): ~'"'"' (16.27: 21.15.16.17.17.1.7).
15,9~
17,23.24.26:
li senso di dyarrdùJ e çz!1/llùJ
25
gli aspetti provenienti dalla grecità profana, condurre1no la nostra ri-
cerca soprattutto nei LXX, nel N'J', nei testi giovannei.
6. La nostro proposto J_,a nostra proposta e1nergc dalla riconsiderazione di tutti gli usi dei due verbi dyaJTdw e qnMw nella versione greca dei LXX, nel NT e, specifica1nente, nel vangelo di Giovanni. Più incerto invece è il rifcrin1ento alla grecità profana, alla quale ci lin1itian10 solo ad accennare. Diversi eleinenti infatti rivelano infruttuosa questa pista, a!111eno in relazione ai nostri usi giovannei. Anzitutto, co1ne 1nostrano i diversi studi a riguardo condotti e co111e già abbian10 notato, i due verbi nella grecità profana hanno ciascuno una propria storia e appaiono spesso fluttuanti nel loro significato; non è fàcile quindi pervenire a conclusioni tali da i!lun1inarc univoca1nente gli usi giovannei. Inoltre la grecità profana è distante nel tempo e nella 1nentalità dal nostro autore, che si ricollega alla tradizione neotesta1nentaria e, pili a111pian1ente, a quella biblica. Infine la tluttuanza di senso dei due verbi rende concreto il rischio cli applicare a! nostro autore uno dei tanti aspetti cli cui i due verbi si sono caricati nella loro storia. Ritcnian10 pertanto più sicuro cletenninare il senso di dyarrdw e </>tÀÉw riferendoci all'uso dei due verbi nei tre a111biti più in1111ecliati e perciò più naturali: la versione g1·eca dei LXX, il NT, il vangelo stesso di Giovanni. Proporre1110 tuttavia breven1ente e in 1nodo sintetico quanto è cn1erso da altri studi condotti a riguardo dei due verbi dyarrdw e </>tAiw nella grecità profana. La nostra conclusione sarà che i due verbi dyarrci.DJ e </>tAiw né nei LXX, né nel NT, né nel vangelo di Giovanni sono sinoni111i. Essi però non cspri1110110 an1ore qualitativan1ente o quantitativn111ente diverso, cioè, rispettivan1ente, an1ore più alto o più basso, an1ore più oggettivo o più personale, 111a esprin10110 aspetti diversi, e pure con1ple111entari, della dinan1ica del!'a111ore. Questi due aspetti possono essere definiti rispettivan1ente soggetto-ce11tr{fugo ( d yarrdw) e .;,;oggetto-centriJJeto
26
Attilio Gangenii
(</>tÀÉw). In ogni azione transitiva attiva infatti si detern1ina una relazione dinan1 ica tra i I soggetto che an1a e /1oggetto che è an1ato. Questo dinamismo può avere due aspetti. Un aspetto è appunto quello soggello-centrifugo: il soggetto si apre, si orienta, con1pie un 111ovin1ento verso il suo oggetto; l'altro è quello soggetto-centripeto: il soggetto attira a sé, coinvolge e introduce nella sua intimità il suo oggetto. Nel primo aspetto il soggetto cornpw un movimento verso l'oggetto, nel secondo aspetto l'oggetto cornpie un 1novi1nento verso il soggetto da
esso attirato. 1I verbo dymrdw esprime il movimento affettivo del soggetto verso l'oggetto e tale 111ovin1ento può tradursi anche in azione concreta fino al dono di sé; il verbo </JLÀr!w csprin1e invece !'accoglienza e i! coinvolgimento dell'oggetto da paite dcl soggetto nella propria intimità. In altre parole, possian10 dire che dyarrdw csprin1e il 1novi1nento affettivo del soggetto verso l'oggetto: il soggetto va all'oggetto; cptMM esprime invece l'accoglienza affettiva dell'oggetto nell' intimità ciel soggetto: il soggetto coinvolge in sé l'oggetto. 1 due verbi esprimono così i due aspetti dell'a1nore propri dell'ani1no un1ano: an1ore che dona e si clona (dyarrdw), amore che accoglie (cp1M1v). Questi due aspetti non necessarian1ente coesistono. Può verificarsi il caso che il soggetto si apre affettivan1ente al suo oggetto (dyarrdw) e nello stesso tempo lo introduce nella sua intimità (cp1),if,;), o, al contrario, il soggetto si apre all'oggetto dopo, e proprio perché lo ha introdotto nella sua intimità. Ma può verificarsi anche il caso che il soggetto, senza introdurlo nella propria intin1itài si apre alP oggetto (àyarrdw), fino al 111assi1no dono di sé, fino ali' an1ore verso il nen1ico o, al contrario, che il soggetto, senza aprirsi ad esso, coinvolge l'oggetto (cp1Mw) egoisticamente in sé.
Parte seconda: dyarrdUJ E </>lÀÉw
NELLA GRECITÀ PROFANA
Non sono mancati degli studi che considerano I' uso e il senso dci due verbi dyarrdw e cjJLÀÉw nella grecità profana. Ci lin1itian10 soltanto él citarne alcuni più significativi.
27
1. Lo studio di W ARFIELD
All'uso dci verbi dymrdw e r/J<ÀÉw nella grecità profana, già nel 1918, Warjìe!d 00 dedicò una larga pmte del suo studio sulla terminologia dell'an1ore. Egli dichiara che, coesistendo questi due verbi con altri verbi di amare (arÉpyw, Épav), non sempre è facile distinguere i vari
aspetti. Concludc97 che, aln1eno nell'epoca classica, essi divergono nell'indole dell'an1ore che esprin10110, rispettivan1ente an1ore di JJiacere (r/J<Mw) e amore di lijJprezzamento (dyarrdw). In epoca postclassica invece si assiste al progressivo ritiro di rp<ÀÉw, al cui posto 111an 1nano subentra dyarrdw, che diventa così idoneo ad csprin1ere ogni specie di an1ore. Nei LXX infatti esso espnn1c sia I'a111orc più basso, quale quello sessuale, sia anche ['a111ore più alto, tipico d·,lla concezione biblica, quale quello verso Dio.
2. Lo studio di SPICQ Al verbo dymrdfv e ai suoi derivati ba dedicato nel 1953 uno studio pure ._)]Jicq 98, indicando le varie sfu1nature di senso che essi acquistarono tnan 1nano nelle varie epoche e nei vari autori, da 01nero agli oratori del VI e V secolo, soprattutto Ippocrate, ai filosofi dell'epoca d'oro, Platone e Aristotele, agli storici, Senofonte, Plutarco, fino a Luciano e Diane. Nell'ultima parte del suo studio Spicq conclude'" che è in1possibile riassu1nere in poche parole i! senso preciso dei diversi verbi di an1are (arÉpy(JJ-ÉpdtJ.)-</JlÀÉ(JJ-dyarrd(JJ), usati nel corso dei vari secoli e dagli autori più diversi. Tuttavia, per quanto riguarda dyarrd(JJ e
96 Cfr B.B. WARFIELD, The Tennino/ogy oj.Love in the New Testa111ent, PrincTR 16 (1918) !-45 (I); nella seconda parte, 153-203, passa poi a considerare tale tenuinologin nei Lxx (153-174), nei Pr. Aposlolici (175-181), nel NT (181-203). 97 C!ì· ibid, 31. 98 C. SPICQ, Le verbl' dyaTTdw et ses dérivés dans /e grcc c/assique, Rn 60 (1953) 372-397. Cfr anche ID., Agapè. Pro!égo111ènes à une ét11de dc Théo/ogie néotestamentoire, Louvain 1955. 99 Cfr C. SPICQ, le verbe dyaTTdrv et ses dérivés dans !e grec c/assiq11c,cit., 393396. Cfr anche ID., Agapè. P1·0/égomènes ... , cit., 64ss.
28
Attilio Gangemi
yt>tAÉw 1011 , egli nota che i! prin10 senso di dyaTTdùJ è quello di una 111anifestazione di benevolenza, di cordialità, di liberalità nell'accogliere un ospite. Esprin1erà essenzialrnente un canore gratuito, generoso, la cui pri111a 111anifestazionc\ secondo Aristotele, si trova ncll'an1ore 111aterno. Essendo poi il verbo dell'ospitalità, àyarràw passerà poi ad espri111ere anche l'adozione di un genere di vita, !'adatta1nento ad una situazione, la corrispondenza a delle condizioni. Sul piano affettivo espri1nerà ainore di gratitudine e di preferenza. Due aspetti perciò espri111c dyarrdw, quello dell'a111ore gratuito, disinteressato e generoso da parte di chi dona e quello dell'a111ore di
gratitudine da parte di chi riceve. In tutto ciò la volontà esercita il suo inf1ussoH 11 .
3. Lo studio di Pi\ESLi\CK Quasi conten1poraneo a quello di Spicq, è i! lungo studio di Paes!ack 1112 ) che si articola in tre pnrti dalla grecità profana al Nl', riguardanti rispettivarncnte: il greco extrabiblico 111 -', i J_,XX 111-1, il NT11 1s. Il punto di partenza della ricerca di l)aeslack è costituito dal verbo <f;1Mw di cui egli individua l'etimologia nella radice pronominale riflessiva a<f> con il suffisso ..\os-. Essa significherebbe ciò che è proprio, caro, degno di essere a111ato, essere anz;co e, al transitivo, canore. Tut-
trMJ Nelle p<1gine sopra cit<1tc Spicq offre un quadro cli sensi non dissi111ile a quelli offerti anche d<1 WarJìeld. 1111 Due anni dopo, nel 1955, Spicq propose un <1ltro studio, pill breve. riguardante i! vocabolario clc!!'an1ore nei papiri tra il !li secolo a.C. e il !I secolo d.C. Cfì· C.
SPICC), /,e !exique de I 'a111011r dans /es pa;~vn1s et dans q11elques inscnjAions de I 'époq11e he!!énistique, lvtnem JV/8 ( 1955) 25-33. Nei papiri rjJ/.ÀÉtù app<trc corne il terrnine pili usuale di amare; dyarrdu; si trova invece solo eccezionalmente. 102 Cfr ìvl. PAFSLACK. Z11r J-Jede11!1111gsgesc!iichte der IYOrler <j;tAElv (Lieben), <j;lÀ{a (Liebe, Freundschajt), <f;IAos- (freund). in der Septuaginla und in 11e11en Testa111e11t 1111/er JJeriicksichtigung ihrer Bezihungen z11 ArATTA/I.~ ArAT!H, ArATTl-(t02.~ in
Theologia Viator11111, V, Berlin 1953-54, 111 -' Cfr ibid., 5 !-64. 111-t Cfi· ibid, 64-99. w.'i crr ibid., 99-142.
51-142.
Il senso di dymrdùJ e pLÀ/ùJ
29
tavia il verbo dyarrdw non è privo dell'aspetto dell'affe!tuosità, predilige però altri aspetti, quale quelli di an1111irazione, sti111a, venerazione. I'aeslack rivela nel suo studio un certo tentenna1nento a optare per la sinonitnia o per la distinzione. Finisce per concludere 111 r' che talora i due verbi possono essere usati co111e sinoni111i 1117 •
4. Lo studio di SODINO
Recentemente, nel 1992, il problema sul senso dei verbi di amare nella grecità profana è stato riproposto da ,)6dù1g 10 ~. Dopo avere notato la vasta ga111n1a di significati dei verbi 111'\ l'autore conclude 110 che è difficile cogliere la precisa detnarcazione soprattutto tra dyarrdw e </JLÀÉw e, benché non n1anchino aspetti per una differenziazione sen1antica tra le radici dyarr-1nA, i due verbi appaiono 1n larga 1nisura sinonin1i 111 • Il progressivo declino di </JtAdw e \'insorgere di dyarrdtv non permettono però cli stabilire di più'"·
111 ('
Cfr ibid, 64.
107
Ciò scn1bra influenzare le sue conclusioni sulla sinonimia dei due verbi in
Cìv 21,15-17. 111 ~ Cfr T. Sè)DING, Das /Vor((eld der /,iebe i111 paganen und bib!ischen (ìriechisch. Philo/ogische Heohacht11nge11 an den /Viirze/ AF'AT!, EThL 68 ( 1992) 284-
330. 1119 SOding offre, con1c \Varficld, Paeslack, Spicq. una Labellu con i sensi specilìci di ciascun verbo (cfr ibid., 285-295). l llJ /bid, 297 111 !bid.. 298. 112 Pure E. STAUFFLJ~, dyarrdtu-dydm7. GLNT, I, 92ss offre un quadro dei vari sensi dclln terminologia de!!'an1orc nclln grccitù prol~111n (ipà1J-<f;L,\1:Ù1-àyarrr1v-O'rr!pyELv). Conclude (p. 99) che. quando àyarrriv è usato assicn1c ad i!pCiv o <f;tAE'iv o alternaliva111cntc ad essi, è sen1plicc sinoni1110 o varinzionc stilistica. Unn sintesi dei quattro verbi di a111are ncllu greeitù, ne!!o stesso senso che gli altri, è o!Terta nnchc eia J.l-!.l-1. ScJ-lMILJT, S)111011i111yk der griechischen S)JJ'ache, !IL Lcipzig 1879, 474-49L n !36. C:ì. ST;\l-ILIN, rj>1AÉM, <f;{,\oS", GLNT X!V, l l !5-1 !20 ritiene non ben definita l'eliinologin di if;{AoS", ricercato da alcuni nell'area linguistica indoeuropea, cfr .L PoKORNY, lndoger111l111isches Ety1110/og1~~ches /Fàrterbuch, l3ern/i\1linchen 1959, l 53s, e \V. I-IAVERS, 1\leuere Literal11r :::11111 S/Jroch-Tah11, \Vien 1946, 57, nota 2; da altri ricercata nella radice pronominale [o-]<f;[rv], cfrTh. 81wr, Perses 1111d die jJaJt,,lr/Es, bei 1-fesiod, Philol \Vochensch 48 ( 1928) 185-192: S. BUGGE, Zur etymo/ogischen /Vortforsc/11111g, ZVg!Spr 20 (1872) 1-50: 41-43; F.F, JOJJANSSON, Sanskritischl! Ety1110/ogien. !nel-
30
Attilio Gangen1i
5. Conclusioni Questo brevissin10 approccio alla grecità extra-biblica attraverso gli autori sopra citati, è sufficiente a dissuadere dal tirare conclusioni, a partire dalla grecità profana, in relazione ali' uso di dyarrdw e ifJdÉw nel vangelo di Giovanni e soprattutto al loro uso nel dialogo cli Gv 21,1517. Per diversi aspetti invece essi però inducono positiva111ente a con-
cluderere che il riferin1ento alla grecità profana si rivela insicuro. Anzitutto l'aspetto linguistico: i verbi dyarrdw-cj;lÀÉr1J non sono soli nel vocabolario greco dell'conore, 111a coesistono con altri verbi (ipéiv-aTÉpyw). Gli studi sopra citati rivelano che non sempre è facile distinguere la sfun1atura di ciascuno. TJonde la tendenza degli autori fl ritenere, aln1eno per l'ultin10 periodo della grecità, i due verbi dyarrd{usinonin1i. Inoltre l'aspetto cronologico: le 1estirnonianze degli scrittori greci addotte dagli autori su citati si collocano in un lasso di ten1po 1nolto vasto e non sernpre è possibile ricostruire i vari passaggi evolutivi sc1nantici, tanto più che una certa nuttuabilità di senso per111ettc talora nei vari autori antichi anche differenti applicazioni. Infine l'aspetto letterario: nella grecità profana i tcrn1ini sono usati in testi di diversa indole, poetici, filosofici, popolari, caricandosi talora di aspetti contenutisticamente differenziati. Tutto ciò confenna quanto abbian10 precedenten1cnte notato, che la !etteraturn greca profana non offre una base univoca e decisiva a con1prendere il senso dei due verbi dyarrdw-rf>tÀÉt1J e affìni nel vangelo </>LÀÉw co111e
di Giovanni e, specificamente, in Gv 21, 15-17: essa è distante nel ten1po e diversa nell'indole; inoltre offre una gan1111a di sensi n1olto arnpia. Qualunque senso n1utuato dnlla grecità profnna si applichi a! nostro testo, ri111ane se1npre il problcn1a se questo sia quello real1nen1e inteso dall'evangelista.
gf.'orsch 2 (!892-93) 1-64: 17. S!tihlin J~1 risalire if>1_,\ ad una fr1se pregreca in relazione nll'aggettivo possessivo prono111i11ale bilis, cita P. J(RETSCl-IMEI{, (iriech. if:>/,\05". lndgForsch 45 (1927) 267-271. Quanlo ai due verbi dyarrdw-,PiAÉM, benché~ nota rincora la scnsihilitfl greca operi una distinzione, voler bene (dyarrd1ù), a111are con prqfondo senti111ento (if:>t1\É1ù), Stnhlin finisce per concludere che nel greco classico trilora si interscain birino ( cfr p 1 J 16), come pure nei Lxx (cfr p 114<1) e in (ì iovm111i (cfr p I 152).
Il senso di dyarrdùl e
ç)t~lùJ
31
Si aggiunge infine che i due verbi non si sono evoluti parallela111ente nella loro storia, 111a l'uno (dyarrdw) si è affennato a scapito dell'altro (<fo1Mw). Dal IV secolo circa in poi si nota infatti un capovol-
gin1ento: cj;lÀÉ(ù co111incia a declinare fino a confinarsi nel senso tecnico di baciare; dyarrdw ne eredita l'a1npiezza di sensi, diventando così idoneo ad assun1ere la nuova prospettiva della religione veterotesta-
111entaria. Tuttavia <fnAÉw non scoinparc. Qualunque sia stato il suo uso nella grecità profana, certo, pur ridotto nun1erica1nente, esso è ancora usato dai LXX e dal NT e non solo nel senso di baciare ma anche di Cllnare, traducendo lo stesso verbo JilN., che soggiace ad dyarrdw. En1ergono subito delle dornande, che non possono trovare risposta nella grecità profana: perché i LXX ritennero talora di tradurre :inN anche con </>lÀÉw? Perché nel NT e, specifican1ente in Giovanni, insic111e ad dyarrdw, è usato anche </JtÀÉrv? La risposta potrà venire dagli stessi testi dei LXX, del NT, di Giovanni.
Parte terza: dyaTTri{u-</JlÀÉfJ.J
NELLA VERSIONE GRECA DEI
Lxx
La tern1inologia dcl1 1a111ore, usata dai LXX è [a seguente: dyarrriDJ 273v. 1'-', dyriTTTJ 20v. 11 \ dydrrTJal5' I lv., dyaTTTJT05' 21v. 11 \ </JtÀÉw 33v. 116 , </JtÀ{ a 3 8v. 117, <f;l1\os- \ 88v. 11 ~, arr!pyw 1v. 11 '\ r!pdaOat 3v., Épaarrfs- 19v .. Ernerge nei LXX 120 la netta preponderanza del verbo dyarrdrv 121 su <j;t-
113 Nelle altre versioni: Aquila: 15v.; Sinllnaeo: 14v.; Teodozione: 6v.; altre versioni: 6v .. tl.f Nelle altre versioni: Aquila: 4v.; Sin1n1aco: 7v.; Teodozione: 2v.; altre versioni: lv .. 115 Nelle altre versioni: Aquila: 2v.; Sin1111aco: 9v.; Quini. lv.; altre versioni: lv .. 11 (' Nelle altre versioni: Si1111naco: lv.; altre versioni: lv .. 117 Nelle altre versioni: Sin1111aco: 2v .. 11 ~ Nelle altre versioni: Aquila: 4v.; Sin11naco: 5v.: Teoclozione: 4v.; Quini. 1v.: altre versioni: 1v.. 119 Nelle <1ltre versioni: Teodozione: lv .. 1211 Dat<1 la r<1rità degli usi e !a fran11nentarietà delle versioni stesse, limito la inia indagine solo ai Lxx.
Attilio Gan.gerni
32
benché questo non sia asscntc 122 • E1nerge pure la preponderanza di dyarrdw sui tennini affini dydrrr; 12 ·'-dydrr77als- 12 ~. ÀÉw,
li verbo dyarrdw, corrispondente al TE, traduce l 68v. '" JnN (qal) 126 ; 34v. 127 corrisponde ad altre espressioni 128 ; 13v. non ha corrispondente in ebraico; 51 v. si legge nei testi in lingua greca. li termine dydTTr; concentra rnetà dci suoi usi nel Cantico 12'! e traduce se1nprc i1JTJN. Il verbo </>lÀÉw1.i.o traduce !Ov. JnN; l4v. traduce j7\IJJ 1-11 , baciare; 7v. si legge nei testi in lingua greca.
121 Secondo R . .IOLY, Le vocabulaire chrétien de I 'a111011r est-il originai? 6ycr rréiv et if;tÀELv dans le Grec anlique, Bruxelles 1968, 31-32, dyarrd(l) fu scelto dai Lxx perché era divenuto il termine più usuale e stnbile per espriincrc l'idea di rn11are. (i.n. CAllHJ, l/01noeoph11y in the 5'ept11agi11t, in lews, Greeks and (Jl!'istians. In Han. \V.O. DAVI ES, Lciclcn ! 976, 4-88 ritiene che la scelta di dyarrdw sin stnla influenzala dalla assonan7a con JilN.. Così pure E. EVANS, Jhc Vcrb dyarràv in the Fo11rth C7ospel, cii., 65s. Questa posizione è criticata da .I. BARR, TVords /or Love in Hiblica/ Greek, cii._ 318, 4-7: dyarrdùJ era già un tcnnine assai naturale nel linguaggio. mnpian1cn1c <tltcstato negli u!tiini scrittori, anche in Giuseppe Flavio. Esclude che sia stato scelto perché privo di connotazione erotico-sessuale. Secondo T. SOUING, Das /Yortfe!d dcr f,iehe im paganen 1111d bib!isch!!n C7riechisch, cii._ 312, la preferen7a è dovulll nl fr1110 che era un tcnnine 111cno precaricato. 122 uTÉpyrù e lpdù1 sono quasi del tutto inesistenti. 12 1 - Si è posto il problerna sull<1 origine del termine dydTrTJ, se i Lxx lo rorn1arono o lo trovarono . .l. BARR, !Vords jòr Love in lJih!ical Cireek. cit., 4 ri1na11e incerto: cita però N.I!. SNAITJ-1, The Uistinctive Jdeas o,lthe ()/d l'esta111e11t, Loncloi1 19d7~, 173 per l'origine dai Lxx. Pure E. EVANS, lhc l"erb dyarrGv in the !;011rth Gospel, cii.. 65 sc1nbra attribuirlo ai Lxx_ L'origine dai Lxx è esclusa da E. PF.TERSON, riydTTTJ. 11z 20 (1932) 378-382:382. \V.IVI. RAMSAY, T/Je //lord ArAfffl, ExpTin1 9 (1898) 567568, riinanda rilla lingua popolare alcssanclri1w: 1nentre C. SPlCQ, 1/gapè. Prolégomènes, cii., 65, alla lingua popolare egiziana. A. CERESA-CASTALlJO. '"ArAfffl, nei doc111ne11ti onteriori al 1\111ovo Testa111ento, ;\egyptus 3 ! ( 1951) 267-236:306 spiega che fu preferito ad àydrr17aL<; perché non possedeva un passalo popolare filosofico. IH Ne"1 Lxx si leggono inoltre 44 con1posti cli <jJ(\o<; usati in genere ciascuno una o due volle. Per il senso di tali con1posti cfr i"vt. LANDl·T:s·11.'R, Das griec/Jisc/Je 1\10111en ""phi/os"' 1111d seine Ahtei/1111gc11, Spudas111atn Xl, Olins, Hildeshei111 1966. 125 165v. secondo tvl. PAF.SLAK. Lur Hede11f1111gsgeschichte_ cil.. 66. Qualche testo però può essere dubbio. 12 r A! Ni'phnl in 2 Smn 1,23. 127 27 V. secondo !'vt. PAESLACIC !:11r Bede11/1111gsgeschich!e, cii., 66. 1 ~~ ilJilN {I San1 20, 17): N~J (hiplli! 2 Sa1n 7, 18): !)t ( hiphi I Ct 1.4 ): NDn (Os 8.11; n~Y (Sai 119[118].166): nno (pi'el Sai 78[77J. 36); mp (Pr 16.J [15.321): om (qal Sai 18[17].1; pi'el Os 2.23): n'1 (I C:1 29,17): ;io~ (Pr 28/1); YYW (Pilp Sai 94193].19). 12 '> 11 usi su 20. i:io Si legge pure <jJ1Atd(1ù, 1nolto raro (6v. nei Lxx); traduce JilN. in 2 Cr 19.2. 111 - Nel senso di haciore (Gcn 27,26.27; 29,! 1.13: 33,4). 1
li senso di dyarrdùi e pLÀÉtu
33
li tcrn1ine </JL1\{a è prevalentcn1ente presente nei testi in lingua grccan~,
pur traducendo talora tennini cli radice JilNLn. Pure la 111aggior
parte degli usi di c/>i1\0S' è concentrata negli scritti in lingua greca; nei testi ebraici traduce più frequcntcn1ente Yì 1-1-1, solo li111itatan1ente duce tennini della radice condari I.'('.
Ji1N 1:15
tra-
e ancor più raran1ente altri tcnnini se-
Li1niteren10 la nostra indagine solo ai verbi dyarrdw e <f>rÀÉ{u: il nostro scopo infatti non è ricercare e caratterizzare il vocabolario clelI'a111ore, 111a rispondere alla don1anda se i due verbi nei L-XX sono sinonin1i e, in caso contrario, qual è l'aspetto specifico cli ciascuno. Arti-
coleren10 la nostra esposizione in tre punti: gli usi di dyarrdw, gli usi di gli usi conco1nita11ti di dyarrd{u e </>lÀÉu;. Fcn11ere1110 la nostra
</>L1\É(1J,
attenzione soprattutto
su quest'ulti1no punto, considerando specifica-
tnente i testi in cui i due verbi dyarrdt.v e
</>tì...ÉD.J
sono accostati.
I. G'/i usi t!i dyarrdùJ Nei LXX il verbo dyarrdw caratterizza diversi rapporti. Anzitutto
quello tra genitori e _figli sia dal punto cli vista della relazione naturale, sia dal punto di vista cli una particolare predilezione rn_ Inoltre quello tra uo1no e (/onna, che i111plica anche l'aspetto sessunlc, senza però esaurirsi in cssou·~. Ancora anche il rapporto dell'no1110 a /Jh; 1' 9 e di Dio all'uo1110 140 ; i! rnpporto tra servo e jJlf{frone 1-11 ; il rapporto dell'uo1110 alla SO]Jienza 1·12 e della SOJJienza al!'uo1110 1 ~\ c\c!l'uo1110
1-"2
28v. su 38 usi. r_ì_, Pr 5,19 a.e: 10,12: 15.17; 17,9: 27,5. n 4 Trnduec nnehc Yì)J (Ode 14,20: l 5.2.6):
"' r;st 5.10.1":
Yì
(Es 33.11: Dt ! J.6r71).
Cicr 37(30). l•I.
11
(' Pr !5,28(16.7): 16.28: 17,9; Dn (Th) 2.!J.17.18. u 7 Cfr Gcn 22,2: 25.28.28: Es 21,5: 2 S<.1111 19,6.7: Pr 4,3; IJ,24; Sir 30.1. 1 -'·~Ciì·Cìen 24,67; 29,30; Es 21,5: I Sr11n 1,5: !8.20.28: Cl 1.7: 3.1.2.3.4: 2.23(25): 3, I. L1 9 Cfr Es 20.6: Dt 6,5: 7.9.10; !0.12; Gs 22.5: Cìdc 5,3!: I Re 3.3. i--1o Cfr Dl 4,37; 7,8.!3; 10,15.18; 23,5: 32.15: Sai 5.12: Pr J.12. 1 1 ~ Cfr Es 21,5: Dl 15.16. 1 12 · Cfr Pr 8,21; Sir 'l,12.!it 110.20.
()s
Attilio Gangen1i
34
Inoltre dyarrdw caratterizza il rapporto dcll)uon10 a delle realtà sia concrete 1"' 5 che astratte 1·16 , anche negative, con1c a dei beni verso cui egli è proteso e a cui orienta il suo cuore. all'uon10
i.+..i-.
2. Gli usi di </J1ÀÉ1v I pochi usi dcl verbo </J1ÀÉw, nel senso di amare, sono più facilmente classificabili. Esso è riferito al desiderio di Isacco per una pietanza che chiede ad Esaù (Gcn 27.4.9.14); al rapporto di Giacobbe verso Giuseppe (Gcn 37,4); alla bran1a di un de111onio verso Sarra, e che perciò uccide tutti gli uomini che a lei si accostano (Tb 6, 14) '"; a Mardocheo (Est 10,3) che, essendo anlafo (c/JL1\0V11Evo5), indicava a tutto il popolo il modo di condotta. In Pr 8, 17 </J1ÀÉr,J caratterizza il rapporto degli uomini verso la Sapienza (cfr Sap 8,2). I~ riferito anche ai figli di Israele che amano sonnecchiare (Is 56, I O); agli amanti di Sion che la disprezzano (Lam 1,2); agli amanti del popolo-sposa (Ger 22,22).
3.
Crll~frnnto
tra dyarrdcu e </JlÀÉw neg/; usi rlei !_,/XX
Il confronto tra gli usi di dymrd1u e quelli di </J1ÀÉw nei LXX non può essere adcguatan1ente istituito data la loro sproporzione nu1nerica. Tuttavia qualche osservazione è possibile. i.i:i
111 ·•
Cfr Sap 6. 12. CfrLv 19.18 (il prossimo): Dt 10.18: I Sa111 16.21: 18J.3.17: Pr 9,8: Sir
45.1. 1 5
~ Per esc1npio: la casa dcl Signore (Snl 25[26].8): il Santuario (sogg. però Dio: tvll 2.11): Cìerusalernrnc (Sai 122l121J,6: ls 66,10): la legge dcl Signore (Sai I 18[119]. 47.48.97.113): la propria ani1na (Pr 19,8); il denaro (Qo 5.9); l'oro (Sir 34/3!1.5): un dono (/s 1,23); gli strnnicri (Gcr 2,25); gli idoli (Gcr 8,2): gli an1anli (Ez 16.37); tutte le cose (Sap 11,23). 1 6 ~ <Jucste rc<ill<Ì astralle sono diverse: ciò che è vano (Sai 4.2): la violen7a (Sal IOll IJ.5): la gi11stiziil (Sili 32l33]. 5: 44[,15],8: Sap I.I: 8.7): la salvezza (Sai 39[401.16): le c1111solazioni di Dio (Sili 93[94].19): la maledizione (Sai 108[109].17): l'nn1111oni7ione (Pr 12.1); il sonno (Pr 20.!3); la purità dcl cuore (Pr 22,! 1): il pericolo (Sir 4.10); il disonore (Os 4,18): il bene (A1n 5,15); la 1nisericordia (fvli 6.8): il giura111ento frilso (Zc 8.17): la pace e verità (Zc 8.19); il diril!o (sogg. il Signore. !s 61.8). 1 17 • Solo però secondo i codcl. A B.
li senso r/; dya1Td0 e )1!1,,làu
35
Anzitutto dyarrdw presenta una pluralità di usi veran1ente an1pia, possia1no dire quasi esaustiva: essi si estendono dall'ainore u1nano, anche sessuale, fino all'an1ore dell'uo1no verso Dio, 111a anche di Dio verso !'uon10. Il verbo </Jl1\r!-w si riferisce anche all'an1ore u111aJH\ 111a è riferito pure ad una realtà sovrun1ana, quale la Sapienza. Il verbo dyarrdw, soprattutto nelle relazioni tra uon10 e uon10, espri1ne ogni specie cli rapporto affettivo: la benevolenza verso il forestiero (Dt I O, 18), la tensione affettiva di Rut verso la suocera Noemi (Rt 4.15); l'amore di Saul verso Davide (I Sam 16,21) che diventa sti1na, fiducia, benevolenza; l'a1nicizia tra Gionata e Davide (I Sani 18, 1.3; 20, 17) che si traduce in patto di fedeltà: l'amore di Israele e Giuda per Davide (I Sam 18, 16) che diventa stima e ammirazione aperta alla soggezione; l'atnore dei servi per J)avide ( 1 Sa111 18,22), traducibile in fedeltà, devozione, sti111a, riconosci111ento, obbedienza; l'a111ore passato cli J-lira111 verso l)avide (1 Re 5, 15) adesso diventa, verso il figlio Salon1one, an1111irazione, rispetto, lealtà e in1pegno alle pron1esse fatte; l'an1ore di Tobia verso i fratelli raeco1nandato da Tobi (Tb 4,13) implica profonda apertura e inclinazione dcl cuore verso cli essi; colui che il re an1a (Est 6,9) è colui al quale egli elargisce la sua benevolenza, la sua stiina e il suo t~tvore; quelli che Giobbe ha a111ato (Gb 19,19) sono quelli a cui ha manirestato bencvolcuza e affetto: il sapiente an1a chi lo corregge (Pr 9,8): cioè gli è grato, benevolo, riconoscente 1 ..i~; l'a1norc dcl re (Pr 16, 13) diventa con1piaccnza, stin1a, benevolenza verso colui che dice cose rette.
4. ;\spelli d(ff'erenzinli di dyarrd{ù e
</>tÀÉr1J
'I'uttc queste osservazioni inducono ad escludere che i due verbi dyarrdbJ e r/JtÀÉtJJ espri111ano rispettivan1ente an1ore pili alto e più basso, an1ore divino e u111ano, a1norc di apprezzainento e passionale, an1ore cli volontà e istintivo... Gli usi dci l_,XX rivelano che non c'è aspetto cli
1
~~ Cfr il
contrario in Pr 15, 12.
36
Attilio Gongemi
an1ore che non sia espresso da dyarrd(;J e che debba essere integrato da </JlUw. Ma tutto ciò però non porta nen1111eno a concludere che essi siano sinonin1i. lJna lettura più attenta dei testi rivela che i due verbi si differenziano, non però nella qualità o intensità del!'an1ore, 111a nel diverso dinan1isn10 che essi presuppongono. Il dina1nisn10 cli dyaTTdrll appare soggetlo-cenlr?fi-1go allivo; il dina111is1110 cli <f>rÀÉcu invece appare soggetto-cenlri;Je/o ]Jassivo 1.J.9 • Nel dina111isn10 soggel/o-cenlr[fl1go allivo (dyarrdw), il soggetto, quasi operando un esodo eia se stesso, si apre e si orienta verso il suo oggetto, traducendo tale oricnta111cnto anche in una serie di azioni concrete: il soggetto è dina1nica111cntc proteso verso il suo oggetto. Nel clinc11nis1110 sogge110-ce111ri1Jelo JJassivo (q)11\É(u), il soggetto porta e coinvolge in sé l'oggetto, introducendolo nella propria intin1ità e considerandolo anche, in senso più deteriore, coinc soddisfazione del proprio desiderio e della propria bran1a: il soggetto attira a sé l'oggetto. Per quanto riguarda il verbo dyarrdrv, si può notare, in Gen 22,2, la tensione dì Abran10 verso Isacco. In Gen 24,67 si stabilisce una relazione dinan1ica di Rebecca a Isacco (diventò a lui 111oglic ... ) e di Isacco a Rebecca (la amò ... ). In Gen 25,28.28 la tensione di Isacco è verso Esaù a n1otivo della cacciagione; la tensione costante e abituale (l)yd1ra) cli Rebecca invece è verso Giacobbe. In Gcn 29, 18.20.30
1 19 Non intcrcss<l al nostro scopo l<l consiclcrazionc elci tcnnini rlydTTT/ e r:iydmr e la loro eventuale di!Tcrcnza nell'uso dci Lxx. (:sufficiente in modo più generico dire che essi cspriinono la prol'o11da din1cnsionc interiore che si trnducc e dctcnnì1w u11 dina1nis1no verso In perso1ia o In cosa <lnrnla (2 Snrn 13.15: Sap 3.9: 6.17.18: Cìcr 2.2.33; 38[31 IJ: C1 2.4.5.7: cfr anche 2 Snm 1,26.26; Sai ! 08f I 09].5: Sir 40.20; Os l 1.4). li lcnnine rjr,\{a può indicare 1·an1ore sensuale e sessuale (Pr 5,!9: 7.8). cfr!V!. PA1:SLt\CK. Z11r 1Jcdc11t1111gsgesc/1ic!ite, cii., 81, o unchc l'un1iciLia in genere (Pr 10.!2: 15,17), 111a anche il scnti111cnto interiore di accoglicnzn (Pr 17.9: Snp 7.14; 8.18) che lega due persone e pennette a ciascuna di entrare ncll'intimitù dell"altni (Sir 25,!). Nei libri dci fVlaccabci si riferisce alla rpi,\{a rro,\i nKrj ( I fVlac 8, L l I .17 .. · 2 !Via e 4, 11 ): cfr <.rnchc IVI. PAESLt\CK, ibid., 98. che è più al!canza politica che non Jcgrnnc in1criorc. Il tennine rjiL\os- sen1bra indicare colui che è accolto cd entra nell'inti1nitù di un'allr:.1 persona. Esso caratterizza il rapporto con Dio (Es 3.1.11: Sai IJ8P39],17). tra uo1no e uon10 (Dl 13.6: Cìdc ! 11.20: 15.2.6), indica le persone più inlin1c elle stnnno n cuore (Est 5.10.14: 6,13.13: Cìb 2.11: 6.22; Pr 12,26). Talor<l ha un senso tecnico (gli amici dcl re; ! Cr 27.33: 1 Esc! 8.26: Est 1,3; I lvlac 2.18: 3.38) e politico (gli <llle<lti: l rvlac 8, 12.30.31; 9,35).
fns·
11 senso di dymrdcu e pùlÉru
37
l'animo cli Giacobbe è orientato verso Rachele; lo stesso orientamento di animo desidera Lea (v 32) dopo avere partorito Ruben. In Gen 34,2 si nota la relazione: tra "amò (I-lemor) la fanciulla (Dina)" e "parlò al suo cuore". Lia1norc di Giuseppe verso Benian1ino (Gen 44,20) si traduce in rapporto di predilezione e preferenza. L'a111ore verso Dio si concretizza nell'osservanza dei comandamenti (Es 20,6; Dt 5,10: 6,5; 10,12; Gs 22,5; I Re 3,3; Ne 1,5 ... ). In Es 21,5 l'amore del servo verso il padrone, la 111oglic e i figli, Io inclina verso di loro e lo induce a restare pur potendosi e111anciparc. L'atnorc verso il prossin10 (Lv 19, 18) trova la sua concretizzazione appropriata nel non vendicarsi e nel non serbare rancore. J..,'an1ore verso il forestiero si contrappone al maltrattamento (v 33). L'amore di Dio verso il popolo ha trovato concretizzazione nella elezione e nell'esodo (Dt 4,37; 7,8; I O, 15), nella benedizione e moltiplicazione (Dt 7,13), nel dare pane e vestito al forestiero (Dt I O, 18), nel mutare la maledizione in benedizione (Dt 23,5). Utile è il testo di Gclc 16, 15: "come puoi dirmi /i ho amalo (rjydTTTJKd a€) 1ncntrc il tuo cuore non è con 1ne?". }_,'espressione con 1ne i111plica un 111ovin1cnto spirituale che parte dal cuore di Sansone e raggiunge Dalila; anzi il cuore stesso cli Sansone si 111uove verso Dalila. Un 111ovin1ento spirituale e una tensione affettiva e1ncrge anche in Rt 4, 15, Rut a Noen1i, in l San1 1,5, Elkana ad Anna nonostante la sua sterilità. Saul amò Davide e lo fece suo scudiero (1 Sam 16,21); rani1na di Gionata si unì all'anin1a di [)avide e lo c1111ò (l Sa1n 18,1) e stipulò un patto con lui (v 3). Tutto Israele e Giuda amava Davide, cioè a lui era attaccato (1 Sa111 18, 17). Due sentin1enti opposti, di a111ore prin1a e di odio poi, partono da An111on e raggiungono rfa111ar (2 Sam 13, 1-22). li rapporto reciproco tra Davide ccl altri del popolo, espresso antitetican1ente con dyarrdw-µlolw (2 Sani 19,6.7), può essere di benevolenza o ostilitil, accoglienza o rifiuto, apprezzan1ento o disprezzo) liberalitil o chiusura. l/an1orc di Hiran1 verso l)avide (1 Re 5, 15) induce il pri1no a stabilire rapporti di benevolenza verso Sa!o1110ne. In I Re 11,2 si parla dell'inclinazione passionale (dymrd1u) cli Salomone verso donne straniere. Secondo I Cr 29, 17 Dio rivolge la sua attenzione e la sua con1piacenza (dyarrdrv) verso la giustizia.
38
Attilio Ganf{en1i
Altri testi dove appare questo oricnta1ncnto attivo del soggetto verso il suo oggetto, espresso con il verbo dyarrdw, sono: 1 Esci 4,25; Tb 4,13; 13,12; 14,7; Est 6,9; Gb 19,19; Sai 4,2 (verso ciò che è vano): 5,12; 10(11),5 (verso la violenza); 25(26),8 (verso la casa di Dio); 32(33),5 (verso la giustizia); 77(78),68 (da parte cli Dio verso il monte Sian); 93(94),19 (verso le consolazioni di Dio); 108(109), 'I (verso la maledizione); 118(119), 47 (verso i comandamenti dcl Signore; cfr vv 97,119.127.132.140); 121(122),6 (verso Gerusalemme); 145( 146), 9 (verso i giusti). Ancora l'an1ore diventa correzione (Pr 3, 12); quelli che odiano la Sapienza sono pmlesi (dymrdr,;) verso la morte (Pr 8,23); il sapiente che è redarguito si relaziona (dyarrdr1;) in n1odo grato, benevolo e riconoscente verso colui che lo corregge (Pr 9,8); chi ama il figlio, lo cmrcgge (Pr 13,24); il Signore è benevolo e ben disposto (dymrd1u) verso colui che pratica la giustizia (Pr 15,9); la redenzione del cuore è a vantaggio dcll'anin1a (Pr 19,8); il Signore si co111pìace (dyarrdtù) della purità del cuore (Pr 22, 11 ); la sposa anela verso lo sposo (Ct 1,7; 3,1.2.3.4). Si può notare anche il progresso in Snp 1,1: "conate ... senlile ... cercate "; in Sap 6, 12: "{flnare ... cercare "; in Snp 7, I O:
"conare ...JJrçferire ... ". Inoltre la tensione dcl soggetto verso l'oggetto, espressa con dyarrdw, appare in Sir 2,15.16; 3,26; 4,10.12.14; 6,32.33; 7,30; 13,15: ogni vivente è proteso verso il suo simile; 30,1; 34(31),5; 40,20: pre.fèrire la Sapienza; 47,8: "an1ò colui che lo aveva fatto"; Os 3, l: "c1111a una donna che c1111a cose cattive"; 4, l 8: "hanno ricerca/o i! disonore"; 9, I: "hai amalo la ricompensa della prostituta". I O; 11, I: "lo amai.. .lo chiamai... "; Am 5, 15; Mi 6,8; Zc 8, 17.19; Mal 1,2; ls 1,23: amare un dono; 41,8: Dio an1a e prepara la salvezza; 56,6: gli stranieri che aderiscono al non1c ciel Signore per servirlo e cnnarlo; 61,8; 66, 1O; Ger 2,25: "cono gli stranieri; anc!rò dietro ad essi"; 38(31),3: "cii a111ore eterno li ho amalo ... ti pmlungherò ... "; Ez 16,37; Dn 9,4 (LXX-Th); I Mac LJ.,33. Per quanto riguarda il verbo c/JtÀÉ(V, nella prospettiva soggcttocentripeta, si può notare Gen 27,4: "(le vivande) con1e io a1no ", cioè le vivande rispoodenti al desiderio (cfr vv 9.14); Tb 6,14: "il demonio la ama", brama cioè la fanciulla e vuole possederla; Est I 0,3: Marcio-
Il senso cU dymrdcu e ptÀÉcu
39
cheo era onorato e amato, cioè ben accolto dal popolo; Ger 22,22: "sarai svergognata da quelli che ti a1nano ": il contrasto con l'azione di svergognare impedisce di dare altro senso al verbo <j>1Uw se non quello
di brconare, clesiclerare, concUJJire, ]Jrenllere JJer godere.
S. Usi conco111itanti di dyarrdw e <f>tAiw La prospettiva dei due verbi dyarrdr1J-c/JL1\iw, rispettivan1cnte
sog-
getto-centr[fuga e soggetlo-centri]Jeta sopra delineata,
può essere n1cgl io riscontrata, e quindi verificata, in alcuni testi in cui i due verbi sono usati nella stessa espressione o ravvicinati nel conteslo, traducendo entrambi il verbo :inN. Si tratta di Gcn 37,3.4; Pr 8,17; 21,17; Sap 8, 2.3. 7; ls 56,6. I O; Lam 1,2 '"'.
5.1. Gen 37,3.4
"E Israele amava (~yd7Ta) Giuseppe piè1 cii tutti i suoi figli [ ... ] e aveva fatto a lui una tunica (v 3) - videro i fi·atelli che lui Lrn1ava (i<j>OE1) il loro padre più di tutti i suoi fratelli e lo odiarono (v 4)". Leggia1110 in questi due versi sia il verbo dyarrdl1J che il verbo r/>t1\Éfv; cntran1bi traducono l'unico verbo ebraico Ji1N1.' 1. Le due espressioni presentano un paral!e!is1110, sia dal punto di vista globale strutturale"', sia dal punto cii vista specifico delle campa-
150 01neitìaino Tb 6,17, dove i codd. B 1\ leggono l<jiiJ..ryaEv, 1ne11tre S legge ÉyaNon ne segue però la conclusione di Ivf. P1\ESL/\CK, ibid., 73s per la sinonirnia. Il 1nut<1n1ento nei codici può avere anche altre spiegazioni. 151 Secondo rvr. P/\ES!..ACK, ibid., 69,96, con dyarrdtu si espri1ncrebbe la situazione oggettiva dell"ainorc cli Giacobbe verso C:ìiuscppc. con <jiLÀÉtu invece l'odioso giudizio critico soggettivo dei fratelli che ritennero J"an1orc di Giacobbe una prcJèrenza. Ne! senso di prcf'crcnza si espri1ne anche R.R. WARFlELD, The Tenninology r?l Love in the 1Ve111 Teslamenf, cit.. 57. 152 Nei Lxx la relnzionc strutturale risulta lcggcnncntc variala (tranne nel Cod. TTT)OEJJ.
A)
TE E Israele
Lxx Giacobbe
Attilio Gangemi
40
rative 15 .1. In entra1nbe al verbo di arnare segue una proposizione, o una azione concreta di Giacobbe (aveva.fàtto) (v 3) o un sentin1cnto spuntato nel cuore dei fratelli (odiarono) (v 4). Nel v 3 Giuseppe è oggetto cli una duplice azione di Giacobbe (a1J1ava ... aveva .f'a/10): en1ergc una relazione attiva dinan1ica di Giacobbe verso Giuseppe, che si traduce in una azione concreta. Nel v 4 Giuseppe sta al centro co111e oggetto di due sentin1cnti opposti, rispettivamente cli Giacobbe che amava (<j;1M1u) e dei fratelli
che olharono (µtalw): non si tratta più di un dina1nisn10 attivo verso Giuseppe n1a di un diverso a1teggia111ento dcll'anin10 del padre e dei fratelli verso Giuseppe. L'atteggiamento dcli' animo di Giacobbe è di accoglienza (<j;1Mw), e questo supera (h) quello dei fratelli. L'atteggia111ento dcll'anin10 dci fratelli è opposto, non di accoglienza 111a di rifiuto (µlaÉr1J). All'atteggian1ento di profonda accoglienza di Ciiacobbe per Giuseppe (<j;1Mw), i fratelli contrappongono quello opposto, il loro rifiuto (µwiw), che diventa ostilità. C~osì i L. XX avrebbero espresso con dyarrd(iJ la tensione affettiva dina111ica di Cìiacobbe verso Giuseppe, con </JlÀÉcu la sua accoglienza interiore affettiva di Giuseppe. Ciiacobbe è affcttivan1ente proteso verso Giuseppe (dyarrdcu), 111a anche affettiva111cntc lo accoglie nel suo animo (<j;1ÀÙJ).
5.2. Pr 8, 17 "lo quelli che mi amano (<j;dounas-) amo (dymu:l) e quelli che 111i cercano, troveranno n1e''.
a111r1va (JilN)
Giuseppe lui a111a1Y1 (JilN)
a111ava (Eydrra)
Giuseppe lui
il padre
il loro poclrc a'.nava (içi>(\E1). 3; 1l)J-)JJJ rrapà rrrivraS" roVS" vioVS" aVrov V 1l: 1)nN-)JiJ iK rr6vrwv nUv d1~v aVrov. Nei Lxx lfl particella rrapd signirica al di sopra, oltre: l'<11nore verso Giuseppe Sll/)(!/'ova, andavo oltre quello verso i 1ì·otc!!i; l8 particella lK esprime 111ovi111ento do, 1110!0 da l11ogo, e111ergenza: l"ainore verso Giuseppe en1ergeva rispetto a quello verso gli altri. 15 -' v
li senso di dyarrdcu e ç61AÉw
41
In questo testo parla la Sapienza. I due verbi r/Jt1\Éw e dyaTTdw sono strettan1entc accostati. Dcl prin10 (</JLÀÉcu) la Sapienza è oggetto, de! secondo (dymrdw) invece è soggetto. Secondo I'aeslack 1:'>-1 i LXX vollero espri1nerc con dyarrd(j) Pan10re divino della Sapienza verso Puon10 e con </>L1lÉw Pan1ore del! 1uo1110 verso !a Sapienza. TtTfcujìeh/155 spiega che stanno a confronto un verbo più alto e un verbo più basso: il più alto è riferito alla Sapienza. L,e due espressioni del v 17, gravitanti attorno ai due verbi, sono
inseparabili, e presentano anche una struttura concentrica 1."r'. frase del v 17 comprende quattro verbi:
l~utta
[a
<jJ1Mw-dyarrdrv-(~TÉw-EvpfoKrv.
Essi all'interno offrono una struttura altcrnata1.'i 7 , che relaziona
</Jt1\Éw
a
(TJTÉr11 e dyarrdw ad EVplaKfJJ.
I due verbi çb1). Érv e (TJTÉw, che univocan1entc esprin10110 il rapporto dell'uon10 verso la Sapienza, sen1brano reciprocan1ente interagire: çbLÀÉw appare cotne il punto di partenza di (TJTÉ{ù, rna questo ritrova, inversan1cnte, in çbLÀÉUJ il suo epilogo. 11 soggetto cerca la Sapienza perché la an1a, la sente cioè ne!l'anin1a e la desidera; n1ediante la ricerca s1 sforza di tradurre il senti111ento in concreto possesso. Diverso invece è il caso di dyarrdw nella sua relazione ad EVplaKw. I due verbi non presentano un rapporto unidirezionale verso lo stesso oggetto, 111a un intersca1nbio quasi dialogico tra due personaggi, la Sapienza e Puo1110: dyarrdUJ espri111c il 111ovin1ento della Sapienza verso !'uon10, EVplaKrv il 111ovi111ento dell'uo1110 verso la Sapienza. In
15·1 Ctì· ivl.PAESLACK, Z11r Bedeut1111gsgesch1·chte, cit.. 71 155 C!ì· B.B. WARFIELD, lhe Tennino/ogy of Love in the Ne1F Testa111e11t, ciL, 57. i5r, Io quelli che ini 81118110 111110 quelli che 111i cercano trovano
n1e.
La s1ruttura alternala è determinata cbllc fonne grrnnnrn1icali verbali: <f>1,\0Uvra5' participio dyarrtu verbo diretto (ryroùvras participio e:Vp1fcrouau) verbo diretto Il testo ebraico pennette però dal punto di vista dci verbi una relazione nbbinata: JnN (1\) JnN (A') 11\IV (l3) N~)) (B'). La diversificazione tra il 3° e il 4" verbo potè suggerire parallela1nente ai Lxx la diversiric8zionc tra il 1° e il 2° verbo. 157
Attilio Gangemi
42
tanto Fuon10 può trovare (cVplaKfv) la Sapienza, 111 quanto questa si è orientata verso di lui e a lui si è donata (dymrdr,;). Possiamo così concludere che </JtUw, nel testo di Pr 8, 17, espnme la brama che l'uomo ha della Sapienza, il desiderio della sua anima che tende a tradursi, 1nediante la ricerca, in possesso concreto. fl verbo dyaTTdr;J espri1ne invece il n1ovi111ento della Sapienza all'uo1110 e il dono che essa fa di se stessa a lui, rendendo così possibile il suo ritrovamento. La Sapienza, donandosi (dyarrdw), risponde ad un desiderio di possesso (</J1.Mw) da parte dell'uomo. In questo modo, la ricerca ((ryrr'w) non è pili sterile, 111a è coronata da successo (cUp[aKw) 158 •
5.3. Pr 21,17
"Uon10 di penuria (è) colui che lana (dyarrçi) la gioia; colui che cuna (cjnAWv) vino e olio non arricchisce". Pure in questo proverbio, composto di due membri paralleli co-
struiti secondo uno schen1a concentrico 1Y\
trovia1110
un duplice uso del
verbo ebraico JllN, che i LXX traducono rispettiva1ncnte con dyarrdtv e
</JtMrv. 1 LXX traducono diversa111ente tutta l espressione: "un uon10 bisognoso (dv~p Év8El]5') ama la gioia, amando vino e olio in abbondanza"; n1a la relazione dei due verbi di c11nare ai rispettivi oggetti rin1ane invariata. 1
158 Una conlènna sc1nbra provenire d<1I v 21 dove il rapporto dell'uon10 verso la Sapienza è espresso con il verbo dyaTTdw. Dopo il v 17, la S<1pic11za continua a descrivere se stessa: in lei c'è ricchezza e onore, il suo frutto vale più dell'oro. In questa prospettiva dyarrd1J.} non può più indicare la bra1na della Sapienza per possederla, n1a la positiva tensione e l'orientainento verso di essa, per beneficiare delle sue ricchezze. Si crea, secondo il v 24, un altro interscambio 1ra l'uo1no e la Sapienz<1: egli si orienta ad essa, ed essa gli riempie i forzieri di un dono abbondante. 159 Cfr i! seguente schen1a secondo il TE: I. uomo di penuria 2. colui che cuna la gioia 3. colui che ama vino e olio 4. non arricchisce.
li senso di dymrdùJ e ç!1ÀÉùJ
43
Secondo Paes!ack 1ri 11 dyarrdw espr1111e 111 questo testo l'a111orc astratto verso la gaiezza, </JtÀÉ{U invece l'a111ore concreto un1ano verso le cose 111ateriali. Nelle due espressioni i due verbi, dyarrdw e c/Jt1\Éw, con i rispettivi oggetti, stanno in relazione parallela. Nella prin1a espressione, secondo i LXX, si affcnna che un uo1110 povero cuna la gioia (dyarr{j); la seconda espressione, in t'orina participiale, precisa in che cosa consiste questa gioia, amando (<fJLAwv) vino e olio in abbondanza (ds- JT,\ournv). La gioia se1nbra consistere nell)a1narc vino e olio. In questa relazione i due verbi J.nN seinbrerebbero avere Io stesso aspetto e, conseguenten1entc, i due verbi greci apparirebbero sinoni111i. Una più attenta considerazione dei due oggetti rivela però la loro diversificazione. L'oggetto dcl verbo dyaTTdw è la gioia. Essa è una realtà astratta che esige di essere rie1npita e attuata con oggetti concreti. Nel testo cli Pr 21,17 essa appare come una meta a cui è proteso l'uomo povero, con1e un ideale da raggiungere, con1e un bene da perseguire. L'oggetto del verbo </Jt1\Ér;J sono invece realtà concrete, i! vino e l'olio. Esse appaiono co111e dei beni da cfesh!erare, anelare, ricercare JJer sé, bra1nare, a]J}Jefire. L'uo1no bisognoso è proteso (dyaTT(j) verso la gioia quando brenna, desillera e si cerca (<ftAWv) vino e olio. La relazione tra il soggetto e la gioia è centrifuga: questa appare con1e un bene a cui il soggetto è proteso e 111ira a raggiungere, e in questo senso si addice il verbo dyaTTdw. La relazione tra il soggetto e il vino e l'olio invece è centripeta: questi sono dei beni che il soggetto appetisce, bran1a possedere e ricerca; in questo senso si addice </JtÀÉw. I due verbi dyamiw e </JtUw così, pur traducendo lo stesso verbo JilN, non si rivelano sinoni1ni 111a espri1nono aspetti con1ple1ncntari; bramando (<jJ1Uw) vino e olio in abbondanza'"' (aspetto centripeto), ci si protende (dyaJTdw) verso la gioia (aspetto centrifugo). L'uomo bisognoso è proteso verso la gioia quando bra1na vino e olio.
° Cfr lvi.
16 161
F'AESLACK,
L'espressione
/,111· Bede11t1111gsgeschichte, cit., 71. non si legge nel TE.
El<; rrAoVTov
Attiho Ga11gen1i
44 S.4. Sap 8,2.3.7
v 2: "Questa (la Sapienza) lfllJld (Érj;{). r;ua) e ricercai dalla 111ia giov111ezza e cercai di condurmc(la) come sposa e bramoso ( ipaoT~5) divenni della sua bellezza". v 3: "Il Signore di tutte le cose !a a111ò (rjydrrr;acv)".
v 7: "Se qualcuno cono (dyaTT(i) la giustizia'). In questi testi i due verbi dyarrdw e rpLMw si leggono non del tutto ravvicinati, n1a nen11neno troppo distanziati. TI verbo rj;tÀÉrv si legge nel v 2, il verbo dyarrdw si legge invece nel v3. Il verbo dyarrdr.ù tornerà poi dopo, nel v 7"''. JJaeslack 1('-' ritiene che in questo contesto dyarrd{u sia riservato a[ rapporto tra Dio e la Sapienza, 1nentre r/>t1\€r;J è riservato al rapporto tra il soggetto che parla e la Sapienza. Dal punto di vista strutturale, i! v 2 si articola in quattro fì·asi relazionate, !a prin1a alla qua11a e la seconda alla terza, in 111odo concentrico 16 .J-. La relazione tra la seconda e la terza tì·ase è detern1inata dal verbo (TJTit11, usato in fonna con1posta nella seconda (itE(rjrTJaa) e in forn1a sen1plice nella terza (i(rjr77aa). Questa relazione stabilisce pure una relazione tra le frasi esterne, la pri111a (i<f;{ÀT/aa) e la quarta. L'espressione lpaarrj::; ÉyEv6µTJv, nella quarta tì·asc, offre faciln1ente la causa e il fondan1ento dell'uso di <f;t1\€{u nella prirna: bran1oso (Épacn1c;) della bellezza della Sapienza'"', il soggetto desidera possederla (rplÀÉw) 1" ' .
1:~ utile osservare che, nel libro della Sapienza. il verbo rp1).f1,; si legge solo qui, 111entre i! verbo dyarrd1iJ si legge ancora allre 8 volte. 16 -' Cfr ìvl. PAESLACIC ibid., 70. 16 1 · 1. quesla amai (Erpikr;aa) 2. ricercai (t!{E(f}TT}aa) dalla inia giovinezza 3. cercai (E(fJTTJaa) di condunnela come sposa 4. bra111oso divenni (t!paanjs- ÉyEv6µryv) della sun bellezza. Jr,:> L'espressione Épaanis- É)'Evòµryv, per la sua diversa fonnulazione co1i un verbo copulativo (dyEv6µ17v) e un predicato noininale (Epaanjs-). si rivela non il culmine, rna i! fonclainento di tullo un processo che si evolve attraverso i tre verbi allivi (iif;O. ryaa-É(E{rjrr;aa-É(rjrryaa) e che rarte dal verbo iif;l,h7aa e culn1i11a nel tennine 162
vUµifiryv. IMi In questo senso si n1uovono i due verbi (17rÉw: la bran1a interiore e il desiderio di possedere tendono a tradursi in possesso concreto.
Il senso di dymrdùJ e ç!1AÉùJ
45
Il verbo dyarrdw si legge più sotto, nel v 3b: "il Signore cli tutte le cose la a111ò (1ydrr77aEv)''. Questa espressione rivela una certa co1nplessità. Essa è legata, 111cdiante la congiunzione Kal, al v 3a, caratterizzato da una forn1a al presente Oo(d(ct; inoltre è legata, 111ediantc la particella ydp, al v 4, che spiega che la Sapienza è 111inistra della conoscenza di Dio ed è colei che sceglie le sue opere. L'aoristo 1rdTTTJaEv è legato ed incluso tra due for111e al presente 1r' 7. L'espressione centrale è costituita dal verbo presente 8o(d(EL (sogg. la Sapienza) del v 3a; questo trova il suo fonda111ento ne[ verbo rjydrr77uEv del v 3b (sogg. Dio) e la sua 1notivazionc ne! verbo €uT{v de!
v 4. Avendo una con1unanza di vita con Dio (a-vpj3[wcnv 8EoÙ r!xovaa), la Sapienza glorifica (8o(d(EL) la sua nobiltà (v 3a); questa nobiltà consiste (iudv) (v 4) nel fatto (ydp) che essa è ministra della conoscenza di Dio. li fondamento
di tutto
sta nel fatto
che Dio l'ha amata
(ryydrrrycrcv). In questo contesto dyarrd6J esprin1e un dinan1isn10 attivo cii Dio verso la Sapienza. Egli si è rivolto verso di lei (1ydTTT)at:v), donandole con1unanza di vita. Ciò le pennette di essere 1ninistra della sua cono-
scenza e di scegliere le sue opere. Nel v 7 il verbo dyarrdw ha co111c oggetto la giustizia (8u(atu;aVvr,v) che, in questo contesto, appare con1e un bene da perse-
la giuslr'zia significa appunto apprezzarla e, conseguenten1ente, orientarsi verso di essa per raggiungerla; è int~1t1i elencata
guire.
/lllllll'C
(v7cl) tra le virtè1 (dpaal) che la Sapienza insegna.
5.5. ls 56,6.IO
v 6: "Gli stranieri che hanno aderito nl Signore sì da servirlo e a111are (dyarréiv) il non1e del Signore, sì da essere a lui servi ... ".
v I O: " ... i nostri guardiani (sono) ciechi,
11011
sanno nulla [ ... ],
sognanti, sdraiati, runanli di dorn1irc (</>l;\oVPTE~ vuaTd{aL)".
167
Oofd(El {v 3a) Kal ... 1]ydTTTJOE/J (v Jb) yrip ... ÉaT{1,1 (v 4).
46
sto
Attilio Gangemi Benché non i1nn1ediata1nente accostati, nen1111eno in questo tedue verbi àyarrdw-ifo1Mw, che traducono ancora l'unico verbo
ebraico :inN, sono troppo lontani. Nel v 6 si parla degli stranieri che hanno aderito al Signore, sì da servirlo e a1nare (dya7Tclv) il suo non1e, sì da essere a lui servi e serve; nel v IO si parla delle vedette tutte cieche che amano (1'1Aovvn5')'"" donnire 169 • Nel v 6 il verbo dymrdw è preceduto dall'infinito finale 8ovAEvnv, a cui è coordinato, ed è seguito dalla proposizione finale mv Elval ... Els 8oVAovç. Il verbo dyarrèiv si trova così tra il verbo 8ouAEVEtv e l'espressione clvat. .. ElS' OoVAovs. É relazionato quindi al
servire e all' essere servi. In questo contesto il verbo àymrdù; esprime così un profondo orienta111ento dina1nico verso il Signore, che si concretizza nel servire e nell'essere a lzd servi e anche nel non profanare il sabato e aderire a1
suoi co111anda111enti. Al contrario, il ifo1Àovvn5' vvcnd{'m ciel v I O non esprime un obiettivo a cui tendere, bensi una realtà che è radicata e alberga nel cuore, costituendo l'oggetto della propria brama e del proprio clesicleno.
5.6. Lam 1,2
"Piange nella notte [ ... ] e non a lei consolatore tra quelli che la a111ano ( T(;j// dyaTTWvTwv - n'JnN ); tutti i suoi a1nanti ( ol
4nAoVvrcs~ -
n'llì) l'hanno abbandonata". Stavolta i due verbi greci dyaTTdw e ~tAf:w corrispondono a due tern1ini ebraici differenti: il verbo JnN e il sostantivo nllì. Nonostante però i differenti termini ebraici, il problema nel testo greco rimane invariato.
I<,~ Il testo dci Lxx presenta qualche di1lCrcnz<1 rispeuo <1! TE, che però non è i1npo1t<1ntc al nostro scopo. 169
Cti·TE
01J'.J ):JnN..
Il senso di dyaTTdùJ e ptÀÉùJ
47
Le due espressioni sono parallelern•; ma un parallelismo potrebbe stabilirsi, oltre ehe tra dymrdù! e <j>lÀÉw, anehe tra <j>lMw e il precedente verbo rrapaKaÀi(v 111 , risultando così dyarrdw al centro tra rrapaKaÀÉw e <j>lMw. li verbo <j>lMw presenta così una duplice relazione, al verbo dyarrdw e al verbo rrapaKaÀr!w. Non si può però nen1111eno trascurare il testo ebraico, dove il tenninc n'Yì, tradotto al c/JtAoVvTE5', si trova tra due verbi il'JilN - 11)J., rispettivamente al participio e al perfettom li termine <l'Y> sta così al centro di due possibili sviluppi. Uno sviluppo è ascencfente: an1ici il'Yì - amanti (n'Jm<) - consolatori (onllJ): la situazione più interiore di amici (LXX: <j>lÀovvus) può tramutarsi in azione dinamica attiva di ainare e questa concretizzarsi ne!Pazione di consolare. L'altro sviluppo è discendente: amici (n'Y>l - rifiutare (mJ) - nemici (D'J'N): la situazione più interiore di amici (LXX: <f>lAovvTEs") può degenerare in rifiuto che si tra1nuta poi in ini111icizia. Dal 11101nento che il testo ebraico usa tern1ini diversi, il'JilN il'Yì, è possibile che i LXX, usando dyaTTd(;J-cjilÀÉw, abbiano voluto rispettare la differente terminologia ebraica. Qnesta spiegazione però non è sufficiente a giustificare l'uso concon1itante di dyaTTdw e c/it1\É(1J. Bisogna considerare il testo greco in se stesso, dove, co111e si è visto, si stabilisce una duplice relazione di cjitÀÉw, con dyaTTd(J) e con TTapaKaÀÉrv.
170
A
Il
drrò rrdvrwv TùJV dyarrt.UVTlùV aVnjv
rrdvTfS" ol <jJLJ..oVvTES" aVnjv
171 Entra1nbi sono espressi a! participio presente 1101ninativo con l'articolo. Si potrebbe stabilire anche il seguente schen1a strutturale:
1.
oVK VrrdpxEL 6 rrapaKaJ..Wv aVr1v 3. drrO rrdvT{ùJ/ rWv dyarrWvrwv aVn]v
2.
171
4. rrdVTES" o{ if>11\0VVTES" aVnjv 5. rjBÉrryaav lv aVrfi. Ofl)D consolatori JllJ.ilN mnanti il'Yì an1ici )l)J abbandonarono Q)J.)NJ nen1ici
Attilio Gangemi
48
Questi tre verbi, TTapaKaUw - dyaTTdw - <f>1Uw, pur nella loro spe-
cifica sfun1atura, debbono essere considerati insie111e 17 _ì. Il senso di rrapaKaÀÉw è chiaro: esso esprin1c la consolazione al pianto precedente1nente 111enzionato (1cÀa{ovaa fKÀavaEv). li verbo <j>LÀÉw nel testo greco è soggetto (oi <f>1Àov1,n<;') del verbo dBryTÉlù (l)Bhrycrav). Questo significa rifìutare, togliere dal proprio posto (a-T{Oryµ1), sradicare; il suo contrario è accogliere, collocare al JJrOJJrio jJOsto, appunto il verbo <j>LÀÉw,
che espri111e ['an1orc di accoglienza che tende a collocare una
persona nella propria di1nensione interiore con1e <f>[Ao<;. In questa prospettiva, dyaTTdw, al centro di rrapaKa1ÌÉùJ e </JtlÌÉtu) se1nbra espri111ere lo stadio inter111edio tra la clin1ensionc dcll'an1ore co111e inti111a accoglienza (</>t1\Élù) e l'azione esterna di consolare (TTapaKar\ÉrJJ). Si ottiene un progressivo approfondi111ento che, in lettura inversa, diventa progresso di successione. J_,'an1ore di accoglienza (</Jlr\Ér1J) diventa dina1nis1110 attivo verso [a persona che si è accolta (dyarrdrv) e questo si concretizza nell'azione di consolare (TTapaKar\ÉbJ).
Ovviarnentc la prospettiva del testo è negativa: si dichiara l'assenza di questo processo.
Parte quarta: dyarrdlu
E
cjJtr\Écu NL~L N·i
Pure nel NT i [ verbo dyarrdru e111erge con netta preponderanza nu111erica nei suoi usi rispetto al verbo cjJt1\Éw. Il verbo dyarrdrl), esclusi i 37 usi del vangelo di Giovanni, è usato nel NT 107 volte 17 ·1, <f;tr\Ér1J invece, se1npre esclusi i 13 usi del vangelo di Giovanni, è usato appena 12 volte 175 . Il tenninc dydrrry, esclusi i 7 usi giovannei, è usato nel Nl-, I 11 voltem.
17 ·' Considerare dyarrdM e rf;d.fw come si11oni1ni signilica introdurre u1ia divisione Lra i tre verbi 11011 lo!lerata dal lesto. 17 .+Alleslalo in tutte !e parti: SinoHiei 27v.: lettere paoline 36v.: lellere apostoliche 9v.; lettere di Giovanni 3!v.: Apocalisse 4v .. 175 Sinottici 8v.: Paolo 2v.: Apocalisse 2v .. 176 Nella scguenle proporzione: Sinottici 2v.: lc1tcrc paoline 78v.: lcllcre di (ìiovanni 2!v.; Apocalisse 2v. ll tcrn1ine dya'TTTJ è prevalenlen1ente paolino. Si nola una inversione tra il vengelo di Giovanni e !'epistolario paolino: dyarrdM si legge 37 v. nel vangelo di Ciovanni e 36 v. nell'epistolario paolino: in proporzione Giovanni
Il senso eh dymrdru e y61Ààu
49
Con1e già per i t~XX, anche per il Ncr lin1itia1no la nostra indagine solo ai due verbi, dyarrdrJJ-tjJLÀiùJ 177 •
I. Gli nsi di dymrdw Nel Ncr dyarrdUJ s1 canea ovvia111ente del contenuto spccifica111ente cristinno dcll'c11nore.
Con i! verbo dyarrdcu nei vangeli sinottici Gesù stesso caratterizza il rapporto degli uon1ini verso Dio 17 H, verso il prossi1110 e anche ver-
so i nc111ici 179 . Con esso Gesù caratterizza pure i! suo rapporto verso i! giovane ricco 1 ·~ 0 • Con esso ancora
si caratterizzano
anche delle rela-
zioni u111anc, quali quella del centurione verso i GiudeiL~ 1 , quella de! debi-
tore verso il creditore che ri111ette i! dcbitorn 2. In Paolo e in tutto il resto del NT dyarrdw caratterizza il rappor-
to del cristiano n Dio 18 -1; di Dio al cristiano ig~; dcl cristiano a Gesli 18 \ di Cìcsù al cristiano 1gr', a PnoJorn 7; di Paolo ai cristinni 1ss; di Dio(?) alla cit-
ha gli usi più 11u1nerosi. Al con!n:irio. dydITT] si legge in Paolo 78v.: in Giova111ii solo 7v .. Ncll'epistolnrio giovo1nneo gli usi quasi si co11trobi!unciano: dyarrdM .1 lv: rr 'ydm7 2lv .. 177 Nel NT si leggono nncllc altri termini: dyarrr7rr5:; (58v. nel NT. niai ne! vu11gelo cli Giovanni); rpt,ìo:; (27v. nel NT. Gv. ln Cìiov<111ni): rp1,ì{a solo in Cìc 4.4. Si leggono inol1rc circa 21!. con1posli dì rpt,ìo:;. 111011i elci quali usali un<l o due volte. 17 s Cfr ìvlt 22.37: f'vlc 12.30-33. 17 'J Cfr f'l/!l 5,4.1-46; 19, ! 9: 22,39; lVlc 12.31.33: Le 6.27.28.35. Altri usi più generici in tvl! 6,2,:1 (il servo che a111r1 o oclin il padrone): cfr. Le 16.!3. ISll Cfr !Vie 10.21. JSI Cfr Le 7.5. is·2 Cfr Le 7,42. In Le I !.43. nel In 111inaccin cli Gesù ai frlrisei. si legge il verbo dyarrd(u: ""amate (dy(]rrrfTE) le priinc cattedre··; nei testi paralleli di fVlatteo (Ci.5: 23.6) è usato il verbo if!l,ìl(u. Ciò 11011 autori7Z8 t1 concludere su!la sìnoni1nia dei due verbi: gli evangelisti possono avere inleso la stcssn realtà da due punii di vista differenti. 1 ~-' Cfr Rm 8.28: 1C:or2.9; 8,2; (ìc 2.5: I C.Jv 4.2!; 5.1.2. 1,qi Cfr 2 Cor 2,9: Ef'2.4: 1 Ts 1.4: 2 Ts 2, 16: I Gv <1.9. !0.11.12.20. 1 5 ~ Cfr EJ"6.24; 2 Trn 4.8 (più precismnenle lu sua 111<.lllifeslazione): I P! 1.8: C.ìc 1.2. lg(, Cfr /{111 8.37: Er 5.2,25: 2 Ts 2, ! 3.16: Ap 1.5: 3.9. rn 7 Cfr Cìal 2.20. 1 ~~ Cfr 2 Cor ! I.! I; 12,!5.
Attilio Gongen1i
50
tà a1natarn9. Si indica inoltre l'a111ore verso il fratello 190, l'an1ore v[cendevole191; l'an1ore verso il prossin10 192 ; l'a111ore dei tnariti alle 1nogli 19 \ Abbia1110 anche dei testi dove àyarrdw non è usato in senso cristiano, il cui oggetto è: il secolo presente 19 ~, la ricon1pensa dell'iniquità. 195. Si esclude pure tale rappo1to per il mouclo 1"' e per la propria vi-
2. Gli usi di <f1Mw
Gli usi del verbo </JtÀ.Éw, già pochi in se stessi, si riducono ancora di più se si escludono quelli il cui senso è baciare 19·\ Nei vangeli sinottici il verbo </JLÀÉ(usi legge anzitutto nei testi in cui Gesù, negativa1nentc, caratterizza i farisei con1c coloro che a111ano pregare stando nelle sinagoghe e nelle piazze (Mt 6,5), e che amano i primi posti nei banchetti (Mt 23,6) 1 e i saluti nelle piazze (Le 24,46). Inoltre if>1ÀÉ1u si legge nelle parole dcl Signore: "chi ama il padre, la madre[ ... ] piè1 di me (Mt 10,37) ... ". In Paolo e nel resto del NT <fdÉlu è riferi!o al rapporto dei cris!iani con il Signore (I Cor 16,22), al rapporto di Gesù con i cristiani (Ap 3, 19), al rappo1to dei cristiani con Paolo o con i cristiani (T! 3, 15). In Ap 22, 15 infine è riferito a colui che ama e fa il male.
'°
IN'J
19
" 191
Cfr ;\p 20,9. Cfr I Gv 2,10: 3,10.14.18; 4.20.21; 5,1. Cfr Rin J 3,8.8.9; 1 Ts 4,9; I Pt 1.22: 2.17: 1 Gv 3, i 1.23; 4,7.11.12.19: 2 Gv
5. 192
Cfr Gul 5-14; Gc 2,8. Ctì· Ef 5,25.28.33: Col 3, 19. 1•;-1-crr 2 Ti1n 4.1 O. 195 Cfr 2 Pt 2,15. 196 Cfr 1 (ìv 2. 15. 197 C:fri\p 12,!l. ltJ~ !Vlt 26.48: l'vlc 14.44; Le 22,47: KaTarfi1ÀÉ(J) in rvtt 26,49; !Vie 14.45: 7,38.'15: 15,211: At 20,37. 1 'J'J li testo parallelo di Le l 1,43 legge invece il verbo dyarrdlu. 19
-'
Le
li senso di dymrdùJ e ç?tÀÉùJ
51
3. Conjiw1to tra gli usi di dyarrdw e gli usi di <(>1.Mru
L,a pri1na osservazione a riguardo degli usi ncotesta111entari
di
dyaTTdw e </JtÀÉrv è che la loro prospettiva
è fonda1nentaln1cnte religiosa. Soprattutto dyarrdru caratterizza il rapporto di Dio e Cristo verso l'uon10 cristiano e viceversa) caratterizza inoltre il rapporto vicende-
vole tra gli uo1nini, cristiani, a1nici e anche ne111ici. Solo qualche raro uso assun1e un carattere profano 2110 . Dal punto di vista se1nantico, ncn11neno ne! N'f i due verbi dyaTTrifJJ e c/JtÀÉw appaiono sinoni1ni, 1na analoga111ente ai loro usi nei LXX, essi si distinguono ancora per la diversa dinan1ica che esprin1ono, rispettiva111ente soggetfo-centrifitga attiva del soggetto verso l'oggetto (dymrdrv) e soggetto-centripeta passiva del soggetto che porta a sé e coinvolge in sé l'oggetto ( <f>rMw ). 3.1. L'aspetto di dymrdw
J_,'aspetto di dyaTTdw, con1c tensione attiva cenlrifuga dcl soggetto, affettivan1ente proteso verso i I suo oggetto, en1crgc anzitutto
dai suoi usi nei vangeli sinottici. Tale tensione si traduce talora anche in azione concreta. Così in Mt 5,43-46 an1are (dyarrdcu) sta in relazione a JJregare 2111 ; in Mt 6,24 sta in relazione all'atteggian1ento di essere elevato o all'azione di servire (8ovÀE1JE1 v). Secondo _Le 7,5 il centurione a1na la gente e ciò lo ha indotto a cos/ruire la sinagoga. In Le 7,42 l'an1orc della donna peccatrice si concretizza nelle azioni che clln co1npic verso Gesù in casa di Sin1one. Inoltre la tensione positiva dcl soggetto verso !'oggetto, contenuta in dyarrdùi, e1nerge anche nel co1nandan1en1o cle!l'an1ore verso il prossi1no: "cuna il prossi1110 tuo con1e te stcsso" 2112 e anche nel con1anda111ento clell'an1orc verso Dio 20". Ancora in Mc 7,6 Gesù lamenta: "questo popolo con le labbra mi ama": è
2no 201 202
20
30.31.
·'
Cfr 2 Ti1114,10:2 Pt 2_15. C/ì' anche Le 6.27-35.
Ctì· ivit 19, 19; 22.37-39; l\!1c 12,3 f. Cfr l\.1]t 22.37-39 (con tutto il /110 cuore, con tutta fu tua a11i111u);
['vie
12.-
Attilio Gangemi
52
proteso cioè a lui solo con le labbra. In Mc I 0,21 leggiamo una sequenza di tre azioni progressive, scrutare-conare-dire, che cspri1nono l1aitcggian1ento e la tensione di Gesli verso il giovane ricco che gli chiede cosa fare per avere la vita eterna. Usando poi dyarrd(v, diversa1nente dai paralleli Mt 6,5 e 23,6 dove si legge r/Jl1\Éw, Le 11,43 forse vuol sottolineare l'aspetto della positiva e concreta ricerca delle cattedre e saluti da parte dei farisei. Questa tensione clina1nica attiva del soggetto verso l'oggetto, espressa da dyarrdw, appare anche negli usi cli tutto l'epistolario paoli-
no. In Rin 8,28 si parla di quelli che a111ano Dio: la tensione dinan1ica verso Dio appare già nei versi precedenti 20·1. ln R111 8,37 dyarrdcù con1penclia e riassu111c la serie di azioni elencate del v 34. In Rn1 13,8.8.9 si parla del dovere cli a111arsi a vicenda: esso co111pendia e porta a co111pin1ento tutti gli altri co111anda111enti 20-'l. Rin 13,10 inoltre suggerisce che !' a1narsi a vicenda consiste nell'operare rcciprocan1ente il bene. In 1 Cor 2,9 an1are Dio significa aderire a lui. In 2 Cor 9,7 Paolo dichiara che I)io tona colui che dona con gioia: Egli cioè è proteso verso cli lui e lo t~1 abbondare della sua grazia. Anche Paolo luna i C:orinti ed è pronto a spendere In sua vita per loro 21l('. Molto significativo è l'uso di dyarrdtù in Cial 2,20, dove, a riguardo del Figlio di Dio, Paolo cscla111a: "n1i ha tonato e ha llato se stesso per n1e": ha concretizzato cioè l'an1ore ne! dono della propria vita 2117 • Tensione attiva del soggetto verso la persona oggetto di n111ore, che si traduce poi in dono, espri1ne ancora il verbo dyarrdr1; in Ef 2,4; 5,28.33; Col 3,19, 2 l"s 2,16 20 ~. lntìne n111arc la nianifestazione ciel Signore, in 2 1"111 4,8, signifìca essere protesi verso di essa, sostenendo la fatica in vista della corona cli gloria. La stessa prospettiva cli tensione din<ìn1ica attiva ciel soggetto verso l'oggetto appare negli usi di dyarrdfiJ nelle lettere dc! N'f. In 1 Pt 1,8 si può notare la relazione tra non vec!ere - a1J1t11·e, tra aJJlare-
20 1 -
Cfr vv 26.27 dove si parla de!Ja preghiera. Cfr Gul 5. 14. 211 r'C/ì'2Cor12,15. 2117 C/ì' Ef52.2. 20 ~ !n I Ts 4,9 J"mnore vicendevole diventa accoglicnz8 fraterna. 20 -'l
11 senso di dyaTTdùJ e pùlàu
53
crellere. /\ncora in 1 Pt 1,22 \'an1arsi intensan1ente con cuore puro se111bra rin1andare al dono reciproco. In 1 Pt 2, 17 la fratellanza, 111enzionata tra espressioni concrete 20'\ appare co111c un ideale a cui continua1nentc tcndcrc 2w. Nel contesto della citazione libera dcl Sai 33, 1216, in I Pt 3, l O, a111are la vita significa ricercarla 1ncdiante la serie di azioni indicate nel sa!n10 stesso. An1are il Signore, in Gc l, 12, in1plica resistere e superare !a tentazione, e quindi essere protesi verso di lui .e da lui non allontanarsi 211 • In l Gv 3, I O. I I a111are il fratello sta in relazione a fare la giustizia e si oppone a uccidere; secondo 1 Gv 3, 18 inoltre bisogna an1are non con parole o lingua, 1na con O]Jera e verità. Lo stesso an1ore di Dio per gli uomini poi, secondo I Gv 4, I O, si è concretizzato nel fatto che Egli ha 111andato il suo figlio nel n1ondo con1e vitti111a di espiazione per i nostri peccati. L'atnore a Dio da parte degli uon1ini invece deve concretizzarsi nell'amare il fratello (cfr I Gv 4,20.21) e nell'osservare i suoi co111andan1enti (cfr 1 Gv 5,2) 212 . Infine tale aspetto dinainico di dyarrdtJJ appare anche nei testi del!' Apocalisse. In 1,5, nel conlesto della dossologia dei vv 5.6, l'autore, in rifcrin1ento a Gesù Cristo, scrive: "a colui che ci a1na (Tt,0 dymT1,!vn) [ ... ] che ci ha sciolti (,\vcravn) [ ... ] e ci ha fatto (hro{~crEv) ... "; L'amore di Cristo, tuttora presente, compreude delle azioni già accadute. Jn Ap 3,9 il fatto di tar venire i suoi ne111ici ad adorare ai suoi piedi, tnanifesta che Gesù rf!na la sua chiesa di Filadclfia. Alcuni testi evidenziano 111eno la prospettiva del verbo dyarrdtu sopra indicata, tuttavia non si oppongono ad essa 2 n, né suggeriscono altra prospettiva. Altri testi infine si rivelano 111eno chiari 21 ~.
211 'J
r·
-- .•. !ulli onorale[ ... ] Dio te1nctc I .. Cfr il presente dyarraT€. 111 Cfr anche Uc 2.5.8. 212 E anche 2 Gv 5.6. 21 .1 Rn1 9.!3.25; l Cor 8.2; 2 Cor 9.7: l LI 1: EJ'G.24: Col 3,12: I Ts 1.4: 2 Ts 2.13: Eb 1,9: 12,6: I Cìv 2.10: 3,10: 4,7.12.19: 2 C_ìv I: 3 Gv 1. 21 1 · Le 11.43: 2 Pt 2,15: ;\r !2,11.
2111
Attilio Gangemi
54 3.2. L'aspetto di cj;LÀÉù1
Quanto poi al verbo cj;tMw, è possibile cogliere nei suoi usi del NT, benchè limitati, l'aspetto centripeto emerso già negli usi dci LXX. In Mt 6,5 ai farisei sta a cuore (cj;1.Aovatv) pregal·e stando nelle sinagoghe e nelle piazze, avere i primi posti e perciò procurarseli (cfr Mt 23,6). Nel testo parallelo di Le 20,46 si può notare la relazione tra l'espressione: "vogliono (BEA6vTwv) can11ninare in vesti" e l'espressione: "amano ( cj;t,\ovvrw1/) saluti nelle piazze". Questo stesso aspetto emerge nel duplice uso di cf;tMw in Mt I 0,37: "chi ama il padre o la madre [... ] chi ama il figlio o la figlia", dove, come giustamente nota T,Vcnfìe!c/2 15, <jJLÀÉrJJ espri1ne !'affezione del cuore. Questo attaccan1ento interiore si oppone a Gesù e si contrappone alla sequela; chi ha a cuore gli affetti familiari infatti è impedito nella sequela e perciò non perviene alla vita. Si insinua il can1111ino positivo, che parte dalla accoglienza di Gesù, passa alla sua sequela, perviene alla vita. L'aspetto di accoglienza si addice bene al verbo cj;dàu nel suo uso di I Cor 16,22: "se qualcuno non ama (cj;dà) il Signore, sia anatema": cioè colui che non ha cuore il Signore. All'anate1na Paolo contrappone il 1naranathà, il cui aspetto è dccisan1ente centripeto. Ancora nella prospettiva dell' accoglienza si può intendere l'uso di cj;tÀÉlu anche in Tt 3,15: "salutate quelli che ci amano (cj;dovvrnw) nella fede", cioè quelli che accolgono ed hanno a cuore Paolo c i suoi nella fede. Ancora !'aspetto di accoglienza si addice bene a </JlÀÉw anche nell'uso di Ap 3, 19, dove è ripreso Pr 3, 13: "quelli che amo (cj;tA1,)) rin1provero e castigo" 21 (': Gesù rin1provera e castiga quelli che egli accoglie e porta nel cuore. Meno chiaro invece è l'uso di Ap 22, 15:
215
Cfr RJ3.
WARFJELD,
The Ter111ino!ogy
o./ I.ove
in the 1\le1v Testo1111.:11t,
cit.,
187. 211'
Lxx: dyarr1;J. Da ciò non si può concludere con IVI. PAESLACK, Z11r Bede11r1111gsgeschichte, cit .. I 14 che i due verbi si<mo sinonimi. Ol!re i! problenn1 se Apocalisse dipenda dai Lxx o dal TE, !'autore può avere scelto il verbo più coni~tcente alla sua prospettiva. B.B. WARF!ELD, The Ter111i110/ogy o}· Love in the 1\ie111 1'estr11nent. ci!.. 183. preferirebbe dire che !a inenzionc cli binsirno e castigo induce a scegliere un verbo più cn1ozionalc e personale. Ma il testo si spiega 111eglio se si intende rj>LÀÉ!ù nel senso di accogliere. ln questa direzione conduce anche il verbo TTJpàù nel contesto (cfr v I O).
Il senso di dymrdcu e çi1Àlcu
55
"fuori [ ... ] chiunque ama (6 <f>lAwv) e fa (1rotwv) il male ... ''. Forse, in relazione al verbo rrolÉw, si addiccva n1eglio in questo testo il verbo a'ya7Tdw. É possibile però che l'autore abbia voluto sottolineare due aspetti con1plen1entari in relazione al 111ale: esso è una realtà che si brama ( <f>tAwv) e che concretamente si attua ( 1Totwv); la brama interiore del male è soddisfatta quando Io si compie.
Parte quinta:
! VERBI
dyarrd(;J E </JtÀÉ(1J NEL VANGELO DI
GJOVANNJ 217
Nel vangelo di Giovanni la tenninologia dell'an1ore si presenta più varia e più abbondante. Il nostro evangelista usa 37 volte il verbo dya1Tdw, 7 volte il sostantivo dydTTT/, 13 volte il verbo </>tMcv, 6 volte il
sostantivo
cj;{).o:;.
Con1e si può notare, prevale il verbo dyarrdw, n1a non ha secondaria i1nportanza nen1111eno il verbo rjJtÀÉw 21 ~. Minore rilevanza, al111eno dal punto di vista quantitativo, hanno i tern1ini dydrrr; 219 e rftl1\o:;-. La 1naggior pa1ie degli usi della tern1inologia dell'Lunore è concentrata nella seconda parte dcl vangelo (cc. 13-21 ) 22". Come per i LXX e per il NT, anche per il vangelo cli Giovanni il nostro interesse è rivolto solo ai due verbi àyarrdw e rjYlÀÉ(lJ, che consideriamo soltanto dal punto di vista semantico. Essendo poi la nostra ricerca sui verbi àyarrdw e rft1\Éw orientata ai loro usi nel vangelo di Giovanni e, specifica1nente, ai loro usi nel dialogo tra Gesù e Pietro in Gv 21, 15-17, proporremo più dettagliatamente l'analisi dei singoli testi giovannei.
217
Considero in questa parte i verbi dyarrdw-<J;1AÉ1iJ soltanto dal punlo di vista
seinantico. 218
13 su 25 usi con1plcssivi del NT. Cfr i 78 usi paolini. 220 dyarrdw(cc 1-12: 7v.; cc.13-21: 30v); dydITT] (cc 1-12: lv.; cc 13-21: 6v.); efirJ..àiJ (cc 1-12: 4v.; cc 13-21: 9v.) </;{J..oç(cc !-12: 2v.; cc L1-21: 4v.). Gli usi più nu1ncrosi cli dyarrdw si registrano nei cc 13 (6v.);14 (10v);l5 (5v.);17 (4v.). 11 c.!5 ha tutti i quattro tennini. Nei cc 1-12 !a tcrn1inologia dell'an1orc è presente, in un rnodo o nell'altro, nei cc 3.5.8.10.11.12; nei cc 13-21. in un 111ndo o nc!!'altro, in Lulti i capitoli, cccctlo il c 18. 219
Attilio Gongen1i
56
L'esigenza di una analisi più accuratn, insien1c al fatto che non rara111ente i due verbi nel vangelo si intrecciano nello stesso contesto o si leggono in espressioni parallele, suggerisce un n1uta111ento 1netodologico: non considereren10 più, con1c nei J_,XX e nel N°r, diacronica-
111ente prin1a gli usi di dyarrdw e poi quelli di <f>v\Éw, n1a considercrcn10 sincronican1entc i due verbi in ciascun capitolo del vangelo o in espressioni parallele.
I. Capitolo terw: dya7T(iw (vv 16.19.35)
V\'
Nel e 3 l'evangelista usa soltanto il verbo dyaTTdru, tre volte: nei ]6.19.35.
I. I. v 16:
"Cosi infatti amò (r)ydTTT)OEV) Dio il mondo, da dare (!'bwKEY) il suo fìglio unigenito". La relazione di Dio al inondo ivi descritta, è cnratterizzata da due verbi all'aoristo: r]ydrrryacv ... EOcuKc//, il secondo è introdotto ed è legato al prin10 in 111odo subordinato, 111ediantc la particella WaTc consecutiva. 1 due verbi, che hanno un unico soggetto O OcJ5', presentano un
certo rapporto parallelo e si relazionano pure secondo uno schetna concentrico 221 : essi espritnono analogo dina111isn10 attivo di Dio ver..;o il mondo. Inoltre i due verbi si integrano a vicenda. Rispetto al verbo ~ydrrryucv, il verbo EBwKcv ha una triplice funzione: ne cletennina i! n1ovin1ento, ne indica la concretizzazione, ne stabilisce l'an1piczza. Alla luce ciel verbo EOcù!Cc//, il verbo r]ydrrryacv espri111e una profonda
spct1ìvi
221 !! pri1no e il quarto clc1nento è costituito dni due verbi. il secondo dai oggetti: verbo I. (/l//Ò 2. il 111011do oggello 3. il figlio oggetto 4. diede verbo
ri~
11 senso di dymrdr,; e ;z51,1l0
57
attivo di Dio verso il 111ondo che si traduce e si concretizza nel dono dell'Unigenito. L'a111piezza di questo 111ovin1ento è tale che può essere adcguata111ente apertura personale e un preciso 1novin1ento
cohnata soltanto da questo dono. Al contrario, ryydrr77aEf-! offì·e ad EBwKEv il suo fondan1ento e la sua causa: il dono clcl!)Unigcnito si radica nella din1ensione interiore e personale di Dio e sgorga dal suo intin10
dina111isn10 verso il inondo espresso appunto da
dyarrdw·n~.
l.2.vl9: "Questo è il giudizio: la luce è venuta nel 111ondo, e a1J1arono (1ydTTTJO"av) gli uotnini più la tenebra che la luce: erano il?fàtti cattive le loro opere". Nell'espressione di 3, 19, possia1110 distinguere tre parti: una frase dichiarativo-de_fìnitoria: "questo è il giudizio ... '\ una vicencla storica che gravita attorno ai due verbi t!Arj1\v8E1,1-~ydTTryaaP, una lllotivazione introdotta dalla particella ydp. I due verbi t!Arj1\v8EP-~ydrrryaaP, riferiti rispettiva1nente alla luce e agli uon1ini, presentano una relazione strutturale 22 \ che pennette anche di cogliere un duplice 111ovi111ento) della luce verso il n1ondo e degli uon1ini verso la tenebra. Al movimento della luce verso il mondo (€,\lfJ..vOEv), avrebbe dovuto seguire, co111e risposta, il n1ovin1ento degli uo1nini verso la luce. In realtà il loro n1ovi1nento (dyarrdrv) non è verso la luce 111a verso la
222 La vera concretizzazione del verbo rirdT/f/aEv pare essere nel v 17 che riprende e 1noliva (ydp) il v 16b: Dio hn nrnnclnto l'Unigenito non per giudicare il nionclo n1a per salvarlo. L'nzione cli Dio cli mnare si Lraduce in concreta olTert<l cli salvezza 1nedim11c l'Unigenito. 221 Tale relazione è insien1e alternala e concentrica: 1. !a luce 2a. è Velllll<l 2b. nel 111ondo 3<:1. mnarono Jb. gli uon1ini 4. più la tenebra che la luce.
Attilio Gonge111i
58
tenebra (TG aK6ros-). I I verbo dyaJTdw non espri1ne così risposta o accoglienza all'azione della luce, 1na indica una nllova azione con1piuta dagli uomini, mediante la quale si sono orientati verso la tenebra. Ci troviamo di fronte a due dinamismi attivi, paralleli e contrari: quella della luce che venne nel mondo e quella degli uomini che si orientarono verso la tenebra avendola preferita224 .
1.3.
35
V
"li Padre ama (dya7Tg) il figlio e tutto ha dato nella mano cli Ju i".
Il testo di 3,35, per l'uso di dyaTTdw, non è senza relazione al testo di 3,16 sopra considerato: pur con diversa fonnulazione sintattica e in diversa prospettiva, troviamo infatti nel v 35 lo stesso rappo11o tra dya7Tdw e &or,;µr che abbiamo trovato nel v I 6 221 • Nel v 34, quasi appena pri111a, si legge un'altra azione, il cui soggetto è ancora Dio, riferita al Figlio: Ov drrÉaTELÀEV 6 Bç-65'. Il verbo dyarrdw così si trova a! centro di due azioni il cui soggetto è sen1pre Dio: drrÉarEtÀEv-8i8wKcv. Le tre espressioni Ov drrÉaTEtÀEV O 0E65' - O rrarr]p dyarr{j rrdvra 8i8wKEV concordano nelPaspetto dinan1ico attivo; nei confronti del Figlio Dio compie tre azioni: inviò - ama - ha dato. La relazione
22
~ 11 carattere dinamico attivo del verbo dyarrdw è confennato dal contesto seguente, dove leggian10 le espressioni: "odia la luce (v 20a)" - ''non viene alla luce (v 20b)" - "viene alla luce (v 21)". La nostra espressione con dyarrdw però non esprin1e assenza di n1ovimento verso la luce 1na positivo orientan1ento verso la tenebra. L'espressione seguente "erano inJ'aHi le loro opere cattive" dà ragione di questo orientainento verso le tenebre: se T;ydTTT)uav è aoristo ingressivo, la 1ncnzione delle opere cattive esprirnc i! fondainento e !a causa di tale orientan1cnto; se è aoristo con1plctivo, indica il n1odo concreto cotne gli uonlini si orientarono verso la tenebra, preeisainentc 1nediante le opere cattive. 225 Si può notare anche una relazione pili an1pia tra i due testi: v I 6: a111ò (T;ydTTT)OEv) Dio il n1ondo che il figlio.. diede v 35: il Padre a111a (dya rr(j) il figlio e 111110 ha dato v 16: chiunque crede in lui abbia vita eterna v 35: chiunque crede nel figlio ha vita eterna La prospettiva però è diversa: in 3,16 l'an1ore di Dio è al 111ondo, in J,35 è al figlio.
Il senso di dymrd(j) e (l!tA!(j)
59
più stretta evidentemente è tra dyarrq e oÉ8wKCV' 26 : il dono che il Padre ha fatto al Figlio si colloca nello sfondo e trova anche il suo fondamento e la sua causa nel fatto che egli lo ama: l'amore abituale e costante del Padre (dymrq), come apertura dinamica verso il Figlio, ha
trovato precisa attuazione storica nel fatto che tutto ha dato nel le sue inani 227 .
2. Capitolo quinto: cplMw (v 20) "li Padre ama (cf>1Arc[) il Figlio e tutto mostra a lui ciò che egli
fa". Da 3,35 fino a 8,42 il verbo dyarrdw nel vangelo non è più usato; in 5,20 invece leggia1110 il verbo </>l1\Érv.
Questo testo, con
<f:nÀÉw,
è peculiare, perché presenta un certo
para!lelistno con 3,35, dove l'evangelista ha usato invece dyaJTdw 228 . Questa relazione, assie1ne ad altre nel vangelo, ha indotto talora gli interpreti a concludere che i due verbi siano sinoni111i 229 .
2lb Cfr il Ka{ di lcgan1c tra i due verbi. 227 Non trova fonda1nento nel contesto la posizione di E. EVANS, The Verb dyarraY in the f-'011rlh Gospel, cit., 68, che cita anche Gv 3,35 con1c tcsti1nonianza di tracce di senso contenuto in dyarriiv di un alto deliberato o ragionato, di una specie di approvazione o soddisfazione del pili grande verso il più piccolo. Evans stesso però riconosce che in 3,35 questo aspello non è esaustivo, contenendo il testo una realtà più profonda. 218 A. FEUILLET,Le 111ystère de I 'amo11r d/vi11 dans la théologle joha1111iq11e, Paris 1972, 46 ritiene che in 5,20 dyarrdfu sia stato sostituilo da ifit1\É1u per sottolineare la sfun1atura di inti1nitù. 229 Non tutti g!i interpreti che mnn1ettono !a sinonin1ia citano però questi testi. Tra quelli che li cilano cfr F.F. BRUCE, The Gospel oj" John, cit., 405; E.C. }-IOSKYNSf.N. DAVl~Y, The Fourth (;ospe!, cii., 558; A. MAlEn, (~01111nentar iiber das 1'.,'vangelizan des .Johannes, II, Cnrisruhe und Frciburg !843, 415; M. PAl.'.SLACK, Lur Bede11t1111gsgeschichte, cit., 101.102, nota che il eod D in 5,20 sostituisce ifitÀÉw con àya· rrd{u, e la volgata traduce di!igere, verbo riservato ad dyarrdw. Allri inte1vrcti però specificano la differenz.<1 tra i due verbi in 3,35 e 5,20. Così S.N. ROACll, ],ove in its Re!ation to Service, cit., 535, secondo cui dyarrdfl; in 3,35.36 si ricollega alla collaborazione dcl Padre con il Figlio nell'opera della Redenzione, 1nentre in 5,20 ifitAÉ(J) espri1ne l'affetto del Padre. Pure C. SPJCQ, Agapè dans le 11011vea11 Teslan1ent, cit., lii, 219 distingue: dyarrdw in 3,35 csprirne l'ainore di generosità e di
60
Attilio Gongemi
In effetti i due testi di 3,35 e 5,20, prescindendo dall' uso di dyaTTdw e cjJLAÉr;J, nella prin1a parte sono uguali. Si diversificano invece
nella seconda partc 1-10 . Proprio questa diversificazione bisogna considerarc231 prin1a di concludere sulla sinoni1nia dei due verbi. Dopo il rncconto della guarigione dell'in-fenno alla piscina probatica, concluso con l'annunzio di questi che era stato Gesù a guarirlo (5,1-15), la narrazione evangelica continua nel v 16 riferendo che i Giudei perseguitavano Gesù perché faceva queste cose di sabato. In 111odo sorprendente si introducono, inattese, parole quasi di risposta di Gesll: "il Padre tnio opera e io opero". La narrazione incalza (v 18) riferendo che i giudei cercavano di uccidere Gesù non solo perché violava il sabato, 111a anche perché si faceva uguale a Dio. Si introduce la risposta di Gesù (v 19) seguita dalle parole che ci interessano (v 20). Le parole del v 19, strutturale secondo uno schen1a conccntrico2-'1, sono caratterizzale dal verbo .fare (TTolÉw): "i! Figlio non può .fàr nulla da se stesso se 11011 vecle i! Padre jàcente: ciò che egli fa queste cose anche il Figlio fil". Queste quattro espressioni, caratterizzate dal verbo TTOLÉt.iJ, presentano un duplice 111ovin1cnto, ascenclenle, dal Figlio al Padre, nella priina e seconda espressione, e cliscenclen/e, dal Padre al Figlio, nella terza e nella quarta. Il passaggio dall'un 111ovin1ento all'altro è determinato dal verbo (JMrrw.
stin1a che il Pndrc porla al l'·'iglio; in 5,20
rjJr).fr,;
cspri1nc J'arnore di inti111itfr. Inoltre
B.8. \VARFIELD, The Ten11inolopy oj'Love in the 1\len· Testr1111enl, cit., 198, pur non 1011-
lano da! ritenere i due verbi sinoni111i. mn111cUc una certa distinzione: dyarrd1ù (J,35) sollo!inca ltr grandezza dcl Figlio che il Padre onora; rfr,ìàJJ (5.20) cspri111c ln pnlerna tenerezza del Padre verso il riglio. In reallù, contro Pacs!nck, il l'alto che D. nlcuni codici latini, Tertulliano, Origcne, Crisoston10, 111utm10 ìn dyami il if;i,\lt.,; di 5,20 depone a !~1vorc c!clln distinzione e non della sinoni111ia; lil 1nutazionc si spiega bene con1c arn1onizzazio11c cli 5,20 a 3,35: ciò perché iii questa relazione if;1Ai1u in 5,20 potrebbe essere stalo ritenuto strano e non appropriato. -rio I. 3,35: 6 rraTl}p dyarri TOP ufQp Kal rrd//ra
5,20: (\ rraTi)p rf1ÀEÌ TÒ// vlòP Kai. rrd//TG Il. 3,35: 8!811JKEV €11 T!/ xnpl aVroU 5.20: 8E!KVVUI// aVno! li aVTOS" TTOlf'Ì LII Proprio la relazione lra i verbi 8ibf,;K10v e 8i:{K11va1v appare dccisiv<1: 8É8{J)KEv è streltainentc conseguenziale (Kai) a dyam;i, 81:li(1J1N711' a (Ka{) ifn,\i:'r'. 2 -l~ I. non può il /ìglioj(1re (rro11:ÌP) dn se stesso nullo 2. se non vede il Pnclrefacente (rrou;ÙvTa) J. quelle cose infatti che eglij{1 (rrorii)
4. queste cose nnche il figlio <1!!0 stesso rnodo.fù (TT01El).
li senso di dyarrdcu e pùlÉùJ
61
Il v 20, che descrive il rapporto del Padre verso il Figlio (if;1ÀEt), non è senza relazione al v 19 23 ·'. In particolare stanno in relazione i due verbi (3Mrrw-if;1AcfoP'· 1• Il verbo <jJ1Mw però sta pure in relazione al seguente verbo 8éfKvvµt'"1·-'5, che iinplica non i! tras-feri111ento di un oggetto
da parte del soggetto al suo tern1ine) bensì la 111ani-festazione da parte dcl soggetto al suo tcnnine di un oggetto che rirnane scn1pre in lui. In altre parole, la persona a cui il soggetto mostra, per potere percepire
l'oggetto 111ostrato, deve co111piere un ca111111ino verso la persona che n1ostra ed entrare in qualche 111odo nella sua intin1ità. Si stabilisce così una 5, 19-20: il Figlio vede (8élKvvau/), In particolare {3;\ÉrrEt- 8ElKvvau/; i! Figlio
relazione progressiva tra le tre espressioni di il Padre ama (q,1,\à) - il Padre mostra
stanno in relazione quasi dialogica i verbi: non può ve{fere se il Padre non gli 1nosfra.
A! centro ci sta c/JtAÉrv al quale, in relazione agli altri due verbi, si addice bene l'aspetto soggetto centripeto di an1ore di accoglienza, costituendo così un legan1e tra il non veclere e il 1nostrare. Si detern1ina in questo 111odo un progresso 1nolto coerente: il Figlio non può far nulla se non vecfe (/3AÉTTEL), n1a il Padre lo acco<rz,lie e lo infrocluce nella sua infùnità (cjJtAEl), gli 1nosfru (8El10/vat//).
V 19 li Figlio
V 20 li Padre
vede (8,\lrrlJ)
a111u ( rpr,ìEI)
il Padre facente
2 -q
il Figlio n1ostra ciò che quello fa ciò che egli i~1. Si può stnbilirc anche un<l relazione concentricn tra la prima purlc dci due
2 -' 5
1. i! Figlio 2. vede (j3,ì!ITTJ) 3. il [ladre 4. il Padre 5. u111a (r/Ji,\rl") 6. i! Figlio. Cfr la successione r/;v\EÌ Kal 6EiKvvaiv.
tutto
[Cs!Ì:
Attilio Gangemi
62
3. Capitolo ottavo: dymrdw (8,42) "Se Dio fosse vostro Padre, avreste amato (rjyam1TE dv) mc". li verbo dymrdw, che non si era più letto fin dal e 3, torna ancora in 8,42, nella replica di Gesù alla dichiarazione dei giudei: "un solo Padre abbiamo, Dio". Gesù risponde che, se Dio fosse stato loro padre, avrebbero amato lui. Gesù motiva (ydp) la sua risposta con il fatto che "io da Dio uscii e vengo'' 2v L'espressione con il verbo dyarrdw costituisce l'apodosi di una ipotetica della irrealtà, il cui soggetto sono i giudei e l'oggetto è Gesù. Un'altra espressione in cui il soggetto sono i giudei e l'oggetto è Gesù, si legge, nel contesto, nel v 40: "cercate di uccidere 111e". Essa esprin1c ciò che i Giudei vera1nente fanno 111entre la nostra espressione "avreste a1nato 111e)) esprin1e una situazione del tutto irreale. rfra le due espressioni si stabilisce una relazionc 2-17 che detennina pure una relazione tra i due verbi drroKTclvw - dyarrdw. Nel v 45 poi !eggian10 an1
•
cora un'altra espressione il cui sogget!o sono i giudei e l'ogget!o è Gesù (µo{): "non credete a 111e".
Nel contesto dei vv 40-45 si possono individuare così tre espressioni con soggetto i Giudei e oggetto Gesù: cercate n1e di ucchfere (v 40) - avreste amalo me (v 42) - 11011 credete a me (v 45). li verbo a'yarrd.w sta al centro di due espressioni, la pri1na e la terza, che si richia1nano in rapporto di causa ed effetto. Il v 40 espri1ne l'effetto: cercate lii uccic/ere 111e, il v 45 la causa: non creclete in 1ne. Si uccide Gesù perché non si crede in lui. In questo sfondo reale di incredulità che porta ad uccidere, c11nare Gesù diventa una ipotesi del tutto irreale. Le
tre espressioni possono anche essere capovolte cd espri111ono !a realtà opposta: non uccidere (Ìesù - a1narlo - crellere in lui. In questo modo le due espressioni dci vv 40-45 aiutano a caratterizzare il verbo dyarrdtv: esso, co1ne uccic/ere e non creclere, esprin1e un
D(i La parte del dialogo tra Gesù e i giudei nel e 8, che da! v 31 si protrae fino al v 47, gravit8 aHorno a tre p(ltcrnità: il nostro /Htdre è 1/br(11110 (v, 39) - un solo Pad!'e abbia1110 !Jio (v 41) -voi dal Padre del diavolo siete (v 44). Le parole che ci interessano si trovano nello sviluppo della seconda paternità. 237 I due verbi drroKTElvaL-1]yarrii.TE hanno lo stesso soggetto, i giudeL e lo
stesso oggetto
µÉ.
Il senso di dyarrdùl e pt'1Éùl
63
modo di rapportarsi del soggetto verso l'oggetto e condivide con loro lo stesso dinamismo attivo. Inoltre i verbi uccidere e non credere possono offrire un contenuto concreto al verbo dyarrdw. Chi non crede in Gesù e cerca di ucciderlo, in nessun 111odo lo runa; al contrario, chi an1a
Gesù certo non cerca di ucciderlo n1a crede in lui.
4. Capitolo decimo: dyarrdw (I O, 17) "Per questo il Padre mi ama (dyam;i), poiché io pongo la mia vita per prenderla 11uova1nente''. Le parole di Gesù su citate si leggono quasi a conclusione di un discorso ininterrotto di Gesù che si protrae fin dal v.7, in cui egli si è definito la porla (vv.7.9) e il buon pastore (vv.11.14). L'uso di dyarrdw del v.17 è unico nel c. l O, dove non si legge nemmeno il verbo <j>1Mtv. L'espressione stessa si trova poi all'inizio di una breve unità letteraria, i vv.17-18, inclusa dal tern1inc rrarrjp. In questa unità possia1110 evidenziare il seguente sche1na strutturale: l. per questo me il Padre ama 2. poiché io jJOngo la inia ani111a, affinché di nuovo JJrenc!a
essa 3. nessuno prencfe essa lfa 1ne 4. n1a io JJongo essa eia 1ne stesso 5. potere ho di porre essa e potere ho di nuovo di prendere essa
6. questo co111ando ricevetti c1a1 I'alfre 11no. La relazione tra la seconda e la quinta frase è chiara; una relazione si può cogliere pure tra la terza e la quarta frascn 8 ; un'altra relazione infine può essere stabilita tra la pri111a e la sesta frase 2-"l. Sono così relazionate le due espressioni dyarrçi, - TaVTr;v ri;1,1 Év ToÀ~v EAaj30V-· 11 \ che espri1110110, in rapporto di con1plen1entarietà quasi
238 Per !a relazione lra i verbi afpEi-r{BT?o1v, per lo stesso pronome aVnjv, per le espressioni anriloghc drr"Eµoù- drr'ɵavroù. 1-''J Per !o stesso tern1ine rrarrjp-rrarp6s: e lo stesso pro110111c 110V-11i.
Attilio Gangen1i
64
dialogica, la relazione del Padre al Figlio (dymrq) e del Figlio al Padre
(€Aa(3ov). Il verbo €Aa(3ov esprime l'azione recettiva cli Gesù cli un oggetto, che si individua nella ÉvroArj; in conseguenza di tale accoglienza (8Ld rnurn) il Padre ama (dymrq) Gesù. In questa prospettiva, il verbo dyarrdtJ.J può esprin1ere bene sia una azione dinan1ica attiva del Padre verso Gesù, sia anche una azione recettiva di accoglienza di Gesù nella propria inti1nità da patie de! Padre. li lesto di I O, 17, da solo, non pennette di stabilire di più. Ma possian10 accostare il nostro testo al testo di 3,35: i due testi in-fatti presentano insie111e una relazione che li rende con1plc1ncntari: 3,35: I. il Padre ama il Figlio 2. e tutto ha dato ... 10,17: 3. per questo me ama il Padre Ll. poiché io pongo. I due testi convergono nel fatto che il Padre ama il riglio. Ma, mentre il testo cli 3,35 offre la conseguenza (8É&!t<éY) di tale amore, il testo di I O, 17 ne offre invece la causa. In questa prospettiva i due testi contengono ciascuno un aspetto di un'unica rea!tù 2·11 che si può ricostruire nel seguente 111odo: il figlio pone la vita, il padre lo a111a, gli ha dato tutto nelle n1ani. Questa stessa relazione induce a dare a! verbo dyarrd.Lu di ! O, 17 lo stesso aspetto dinan1ico attivo che ha in 3,35. Avendo ricevuto un co1nanc\a1nento dal Padre, Gesù pone la sua vita e il Padre lo an1a, cioè è proteso in 1nodo dinan1ico e attivo verso di lui.
S. Cupitolo undicesimo: dymrdw (v 5); if>1U1,; (vv 3.36)
In questo capitolo rcvangclista usa cntran1bi i verbi di c11nare, sia dyarrdr1J (v 5) che rj;LAiw (vv 3.36), ai quali si aggiunge anche il tennine 2
~°
2
~1
Che stubiliscono uno specilico rapporto struttunilc concentrico: µÉ-6 rran/p-dyarrft-EJ..aj3oJJ-ToV rraTp6,;;-µoV.
nHl
Invertendoli e invcr1endo gli elc1ncnti cli 10.17. si ottiene il seguente scheprogressivo: 11. poiché io pongo I 0.17: 3. per questo 1ne il Padre unia 3.35: 1. il Padre arna il f7ig!io 2. tutto ha dato
li senso di dymrdùJ e çitÀlrLI
65
<f>i,\05' nel v 11. li primo uso del verbo <f>1.ÀÉw e il verbo dymrdw inoltre si leggono in contesti abbastanza ravvicinati, rispettiva111ente nei vv 3.5; ciò ha indotto diversi interpreti a concludere per la loro s1non1111ia2.12.
li soggetto unico dei due verbi nei tre testi del c. I I è sempre Gesù. Due osservazioni però einergono in1n1cdiata111cnte, che differenziano i due usi di <f>1Uw dall'uso di dyarrdw. Anzitutto il verbo <f>1Mw è messo in bocca alle sorelle (v 3) dagli inviati, che riferiscono le loro parole a Gesù, e in bocca ai giudei (v 36) che co111111entano il pianto di Gesù; esso è usato perciò nel genere dialogico; il verbo dyarrdw invece
2·12 Questi lesti sono pili frcqucnte1nente citati a favore dcll<i sinonin1ia dei due verbi. Cfr J.l I. Bl·J<:NAl<:D. A c:ritical and EYegeticu! Co111111enra1y on the (Jospr:I rrccording lo ,'-,'. John. cii.. Il, 703; F.l\1. BRAUN, La .foi se/011 ,5oint Jean, RevTh 69 (!969) 357-377:369; D./-\. C/\l~SON, The c;ospe! accordi11g fo Jo/111, cit., 676: E.C. 1-/oSKYNS- F.N. D/\VEY, Tlie f'o11r1h C7ospel, cii., 558: G.1-l.C. IVIAC CìRFGOIC Tlw C'oSj)e/ <:/John. London 1942 (risi.) 373. ;\Itri <lulori, pur tenendo la sinonin1ia, vedono utrn qualche ragione nc!ruso di questi verbi ne! c 11; così R. SCIJN/\CKEN13lJRCì, Il va11gelo sccol/do C'ioi,anni. ciL, lii. 60L secondo cui <(Jr,\àv in ! IJ.36 può essere stnto suggerilo da unn scnsibilitù linguistica, incline all'amore en1ozionalc. K.L. l\!Jc KAY, St.,Fle und .':ìign(fìcancc in lii!! Languuge q/Jofin 21,15-17, cit., 320 si appella invece alla easualilù della scelta. Altri autori, pur a111n1c!lcndo !a sinoni111ia, mninettono una qualche distinzione tra i tern1ini del c. I!. Così C. SP!CQ, 1/gupè da11s le nouveau l'eslament, cit., lii, 222-22L.J, pur an11neuundo candiclmncnle di non percepire alcuna dirferenza, tut1avia ritiene di non dovere ignorare la precisione dell'autore. Così r-pr,ìr!ùJ (v.3), evocando sin1patia e a111icizia, conterrebbe un appello aliti con1prensione t1111ana cli Cìesù. 1\ riguardo di rr 'ycnrdw (v.5) invece Spicq non è chiaro: eia una parte dice che è usato senza un particolare significalo, dall'altra dice che l'evangelista vuol ri1nandarc all'aspetto cli n1nore giudizioso e riflesso: a posto di seguire l'impulso dcl cuore, Gesù pare avcn: riflc11uto cd essersi consultnto con il Pnclre, nlla cui gloria quella n1alattia è rinalizn1la. n.n. \V1\l<Fll'.LIJ, Tfie Ter111ino/ogy of Love i11 tlie New J'es/u111e11!, cii., 19L diJTerenzi<1 nel seguente 111odo: dyarrdtù si lin1ita scnipliceinente a stabilire il fatto oggettivo (v 5): rfi,ìh,; (vv 3.36) enfasizza l'a1nore wnichevolc cli Cìcsù. Quelli che an1n1ettono la clis1lnzionc, cercano di spiegare il senso dei diversi verbi nel c 1 J. Così !VL P1\ESLf\CK, :!.ur /Jede11f11//gsgescliicli1e, cit.. 118-120 spiega che alla base c'è un grosso equivoco che l'evangelista vuole evidenziare. fv!en1re quello narrato dall'evangelis1n (v 5: rr 'yarrdùi) è !'ainore universale, illi1nitato, divino, dc! Rcclenlore, finalizzalo alla gloria di Dio, quello <.1 cui le sorelle e i giudei si arpcllano (vv 3.36: rf1,\Étù) è ristretto, limitativo, di a111icizia unrnna. In questo senso i due verbi risultano antitetici. S.N. RO/\CJL Lol'e in its Relation lo Servicc, ciL, 538,539 spiega che <f1,ìE/1J nel \' 3 perora la lenerczz<.1 di Cìesl1 per !'an1ico, HyarrGv guarda invece a un senso pili profondo, l'ef!èttiva forza della preghiera.
Attilio Gangemi
66
rimane nella penna del narratore (v 5): è usato perciò nel genere narrativo. Inoltre il verbo <jJLJ..Éw riguarda, corne oggetto, solo Lazzaro, e pure il termine if;O.o<; del v 11 è riferito a lui, dyarrdù! invece riguarda una pluralità di oggetti: Maria, sua sorella e Lazzaro. Queste due differenze inducono a rileggere i testi prima di concludere sulla sinonimia dei rispettivi verbi.
5.1. Gli usi del verbo p1Mw (vv 3 36) Gli usi di p1Mw nei due testi concordano nel fatto di avere entra1nbi co1ne soggetto Gesù; hanno però una differenza: l'uso del v 3 è direttamente rivolto a Gesù (p1:\à<;), quello del v 36 è invece riferito a lui soltanto indirettamente dai giudei (É</J[:\E1). Ciascun uso di if;1Mw presenta un suo specifico legame: quello del v 3 è legato al verbo dcrOcvà (è infèrmo), riferito a Lazzaro, quello del v 36 è legato più direttamente alla menzione del pianto di Gesù nel v 35, (€8dKpvuEv), n1a indiretta111ente anche al suo turban1ento ( ÉTdpai;EV Éa VTOV) nel V 3 3. Tuttavia pare che tra il v 3 e il v 36 l'autore stabiliscn una relazione: nei vv 34-36 infatti egli sembra riprendere, ampliare e smembrare il v 3 2·n. Sono così richia111ati e relazionati i due rispettivi aspetti: la situazione di infermità di Lazzaro e il pianto di Gesù. In entrambi i
contesti è n1enzionata la
n101te 2"-1.
5.1. I. Il v.3 Nel v.3 sono accostati due elementi: colui che ami (</JLÀEL<;) - è infermo (dcrecvEÌ). Si esprime così la duplice situazione di Lazzaro, in
2-L'
2 11 ··
nel v 37.
V
3
V
34
!,(UprE
KVpLE Epxov Kaì.
t8E ~
i'8E
V
36
f8E 1Ti~S ~an
cp1,\Els aVr6v Esclusa da (ìesù nel v 4; dcsidcn1ta che fosse evitata dalla presenza di Gesù
Il senso di dymrd& e ç!tAÉUJ
67
relazione a Gesù (colui che ami) e in assoluto (è infermo). Tacitamente l'evangelista suggerisce un contrasto tra queste due situazioni. Di Gesù non si indica alcuna azione; ·plÀÉUJ, quasi in n1odo unilaterale, esprime soltanto il suo atteggiamento nei confronti di Lazzaro, o anche la posizione di Lazzaro nei confronti di Gesù. Essa stessa poi non si traduce in azione concreta, n1a esige che da essa scaturisca una azione concreta, adeguata alla situazione personale di J_,azzaro nei confronti di Gesù. A if>t/\Éw conviene in questo testo il senso di arnare co1ne accoglienza nella propria inti1nità: Lazzaro è colui che Gesù ha a cuore, che stabil111ente egli accoglie e che è inserito nella sua inti111ità"', che gli è <j;[Àos- (cfr v 11). Da questa posizione di Lazzaro nell'inti1no di Ciesù deve scaturire per lui una azione adeguata alla sua situazione di 111alattia. Tutto ciò è confennato dal v 11) dove Gesù dichiara: "Lazzaro, il nostro cflnico (O cjJL\05' ijµNv) si è addorn1cntato". L'espressione O cjJ{Ao5' ~µ(:Jv è 111olto enfatica 2.fr,, e si rivela con1c la vera causa della seguente azione cli Ciesù cli andare a svegliarlo.
5.1.2.Ilv36 Il v.36 è inserito nel contesto pili a111pio dei vv.33-37, che possono essere divisi in due parti distinte: i vv.33-35 e i vv.36-37 2·17 • Nei vv. 33-35 l'evangelista descrive la reazione cli Gesù, con tre verbi: ÉPE(3p1µ7)crarn (ji-emelle) - hdpal;ov (si lurbò) - i8d11pvcrEv (pianse): nei vv.36-37 riferisce il con1n1ento dei giudei alla reazione di Gesù. Il verbo <j;1ÀÉM si legge appunto in questa seconda parte. li verbo i<j;O.n nel v.36, costituendo il commento dei giudei alle reazioni di Gesù2.i\ richia111a i tre verbi dei vv 33-35, soprattutto
2 15 -
21 · r'
Cfr il presente abituale ifn1\EÌ5'. Cfr !'articolo e !'rnnplian1cnto di prospettiva detcnninato dal pronrnne plu-
rale 1lµt'U/). 2·ni La particella oU/). dopo il non1e' Ir;aoUS' (v 33) e dopo il verbo introduce cntrarnbe le parti. 2 1 - ~ Cfr l'espressione I'8c rrr;;S".
{,\cyo11
{v 36).
68
Attilio Cmi.gemi
!\litin10 €/5d1<pvaE//, sia perché è il più vicino, sia perché, avendo un carattere esterno, è più idoneo a 1nanifestarc le reazioni interiori espresse dagli altri verbi. Ma esso si relaziona pure alle parole dette da alcuni, riferite ne! v 37 e caratterizzate dal verbo €-8VvaTo 2 ~'1 . rI verbo ef.>t1\Éru si trova così al centro di due relazioni, a ciò che precede e a ciò
che segue. In relazione a ciò che precede, il verbo f-<j>{;\EL, da una parte nassun1e e intcrpretn le reazioni cli Gesù, dall'altra rivela il suo attcggian1ento interiore nei confì·onti di Lazzaro o anche la posizione di questi nc!l'intin10 di Gesù, al punto che egli non resta insensibile al pianto elci giudei, si turba interiorn1ente, e n1anifesta all'esterno l'e111ozione con un pianto silenzioso2-" 0 • La relazione a ciò che segue è più coinplessa, anche per il ri111ando alla guarigione del cieco nato. Per quel che riguarda il nostro scopo, il verbo c!81Jvaro, n1entrc pone il problen1a sulla possibilità cli Ciesù, tacitan1en1e espri111e l'esigenza di tradurre in adeguata azione concreta la cl i1ncnsione interiore espressa con <fytAf-rJJ. J~ssendo t,azzaro 11el!'inti1nità cli (Jesl1 (Ér:jJD\Et), questa stessa intin1ità esige che egli adesso operi concretan1entc in suo favore in quella dctcnninata situazione. C~oncludcndo, il verbo </JtlÌÉDJ in Gv 11,3.36 cspri1ne un an1ore che è accoglienza nella propria intin1ità: nel nostro caso, Lazzaro, è radicato ed ha una posizione ncll'inti1no di Gesù. I nostri due testi aggiungono un ulteriore aspetto. La posizione della persona-oggetto nell'intin1itcì della pcrsona-soggct1o (</>t). Étu) esige che il soggetto, in una detern1inata situazione, intervenga in favore dell'oggetto: in altri tennini, la posizione di Lazzaro nell'inti1nità di Cìcsù esige clic egli intervenga nella sua particolare situazione di 111a/attia e 111ortc·251 •
2·19 Ln rcln7.ionc è cinta dn! lìllto che cntrninbi i verbi (iif;[,\E1-E8VPaTo) nppnrtengono alle parole dci giudei. sono lcg<lli cl8!!c p<lrticc!Jc m5P.. fii, sono e11!rm11bi nl!'i1nperCetto. ~ 511 i-\ un pianto si lcnzioso rinrnndn 8a1(pV11J. efr P. ZORELL. lexicon g!'aec11111 1Vo1 vi Testo111e111i. Paris 1961 '. sub voce. '.!:il
ln altre purole si esige che ,pi,\iw divcn1i dyarrd11i.
li senso di dyarrdtu e ç!tAltu
69
5.2. L'uso del verbo dyarrdw (v 5) Poco dopo l'uso di <f1Uw (v 3), nel v 5, nel contesto di una proposizione introdotta
dalla particella
8É,
l'evangelista
introduce,
n1
tOnna narrativa, il verbo dyarrdw all'in1perfetto (rjydrra), con il soggetto 'f~uov<; posposto, e con un oggetto plurimo: Marta, sua sorellu,
Lazzaro. Ho già indicato sopra la differenza tra il v 3 con <Pt1lÉcu e il v 5 con dyarrdrJJ, detern1inata anche dall'oggetto, singolo nel v 3 e plurin10
nel v 5252 • tre personaggi 25 sono stati già 111enzionati nel v 1 -\ Ma la relazione più i1111nediata è ai Il v 5 non è senza relazione ai versi precedenti.
vv 3-4: il verbo rjydrra, n1ediante la pa1iicclla OÉi richian1a infatti
il
verbo dKoVa-as- dcl v 4, il quale a sua volta (Oi) si relaziona al verbo drrÉUTElÀEV ( OVV) deJ V 3. I vv 3-5 contengono così tre quadri: J1annunzio da parte delle sorelle (v 3: oùv), la risposta di Gesù (v 4: Or!), l'osservazione narrativa clell'evangclista (v 5: oÉ). In questi tre quadri è possibile individuare una particolare relazione struHurale che li lega: 1. Ov
2. <f1,\E"i<; 3. daOEvEl 4. T, dafJÉvEta 5. 1rdrra 6. MdpOa// ... T~// d8E1ì<f>f;//... Ad(apo//
v 3: annunzio
v 4: risposta di GeslL v 5: osservazione narrativa
25 " Questa differenza pare essere trascurata da J.N. SANDEl<S. "Thosc w/Jo111 Jcs11s !oved", (St. .fohn J 1,5). cit., 33. il quale. a1111ncttcnclo sostanzialinenle l'identitù di riyarrdtù - rj>i).frù. ritiene elle il can1bian1enlo verbale in 11.5 serva a st<1bilire una idcntitù Ira Lazzaro e il cliscepo!o. ::is., In diverso 1nodo però. Anzitutto in diverso ordine. determinando tni le due serie cli nonii una relazione strutturale concentrica: (v I): Lazzaro-t\1laria-l'Vfarta (v 5): !Vlarla-sua sorella-Lazzaro. Inoltre nel v.5 t\1laria è s111inuil<l. 1nenzionala solo con il termine d8E1\ifnj. 1Vlt1rlt1 invece è più enfasizzata. sia perché è n1cnzio11ata per pri1na. sia perché segue in1n1cdia1anicnle al 11on1c "friaoDs-, sia perché a lei è relazionata /Vfaria (aVTijs-). ;\I contrario, nel \' I lvi aria è relazionata a lvi aria (Tiis- d8E,\rjiijs- aVnJs- ).
70
Attilio Gangemi
In questo 1nodo la 111alattia di Lazzaro è an1bicntata, quasi incentrata, sullo sfondo dci due verbi </>tAc!w-dyarrd(1); proprio essi, con i rispettivi oggetti, costituiscono il n1otivo per cui la n1alattia di L,azzaro è finalizzata non alla 1norte 111a alla gloria di Dio e alla glorificazione del figlio dell'uomo"'. Ma se osservia1no più attentan1entc il testo, le parole cli Gesù del v 4 si relazionano meglio al commento del! 'evangelista (v 5) che non alle parole delle sorelle (v 3) 255 • L'evangelista pare voglia suggerire che il vero n1otivo per cui la 111alattia di Lazzaro non è rrpò-;· 8d1/aTov è certo il fatto che Gesù rp1MZ Lazzaro, ma soprattutto il fatto che ~ya· 'rra Marta, sua sorella, Lazzaro. Le osservazioni finora fatte aiutano a con1prcndere il testo, n1a non il!un1ina110 l'aspetto specifico di dyarrd{j): l'espressione dclv 5 in se stessa non suggerisce nulla. Dal n101nento però che il verbo c/JlÀÉ{j) dcl v 3, con lo stesso soggctlo e oggetto, è ripetuto nel v 36, a comprendere l'aspetto di a· 'yarrd(u potrà aiutare tutto il testo intern1edio incluso tra i due c/;l/\Éc.u. Dopo il sorprendente v 6256 , ne[ testo seguente si possono individuare tre sezioni. La prin1a sezione è nei vv 7-16: Gesù parla ai discepoli, annunzia loro che Lazzaro si è addonnentato, rivela il suo proposito di andare a svegliarlo, dichiara che è 1norto (v 14). La seconda sezione è nei vv 17-27, il dialogo tra Gesù e Ma1ia che verte sulla n1ortc di Lazzaro, affennata da Marta e superata da Gesù. I.,a terza sezione è
25
_; ;\nchc clu questo punto cli vista è confcrn1nta ancora hl non sinoniniia elci due verbi. Nel caso di sinonin1ia, l'introduzione di dyarrdM nel v 5 non avrebbe avuto altro scopo se non includere nell'ainore cli Gesù per Ltizzaro anche le due sorelle. In questo caso sarebbe stata sufficiente e anche più naturulc una espressione del !ipo r!cj>f,\EL Ka{, con la n1en?.ione soltanto delle due sorelle, essendo stato l'ainorc di (iesli per Lazzaro giù n1enzionalo. 255 I vv 3-"1 sono legati dai lern1ini da-OE-vEl - fJ daBÉl'Eta; i vv 4-5 invece sono legati dulie particelle 8É ... 8É. dal non1e 6 '/T]aoiJ:;. e anche du una certa relazione strutLurale:
· / T}aoV:; F[ TTE/I
a/Jrry
1)
daOÉVElO ...
rjydrra O 'fryaoV:; 2v'
Sorprendente per la relazione apodosi ( r6rE).
11011
iinmediataincntc chiara tra protasi ((~-)e
Il senso di dyarrdùJ e ~IÀÉùJ
71
nei vv 28-37, il dialogo tra Gesù e Maria. L'attenzione poi si sposta sui giudei. Dopo, nei vv 38-44, trovian10 una quarta sezione, incentrata attorno al sepolcro: Gesù co1nanda di rimuovere la pietra, rico1npare Marta, Gesù ringrazia il Padre ( vv 41-42), chiama Lazzaro (vv 43-44 ). In tutto Io sviluppo del c I I, dopo il v 6, si snoda così un cam111ino di Gesù, manifestato ai cfi.\'CCJJO!i, che passa attraverso "/viaria
pri111a e Nfaria poi, culn1ina a! sepolcro dove è Lazzaro sepolto: passa cioè attraverso i personaggi del v 5, nello stesso ordine con cui sono stati 111enzionati. In tutto questo can11nino, dccisan1ente orientato verso il sepolcro, e1nerge, con1e un filo conduttore, il tenia della 111orte 257 . L'evangelista sviluppa n1an rnano nell'evento concreto il tenia introdotto nel v 4: "questa 111alattia non è verso la 111orte", non nel senso che L. azzaro eviti la morte, ma nel senso che egli supera la morte. In questa prospettiva il verbo dymrd1u del v 5, che a prima vista potrebbe apparire una parentesi di secondaria in1portanza, in realtà offre una chiave di con1prensione di tutto il racconto. La 111alattia di Lazzaro non è orientata alla n1orte 111a alla gloria cli Dio perché Gesù ~yd7Ta Marta, sua sorella e Lazzaro. Egli ha a cuore Lazzaro (</;1Mw) e la sua situazione (vv 3.36), 111a egli è attiva111ente proteso verso Marta, sua sorella e Lazzaro (dyarrdUJ). Tale tensione si traduce e si concretizza in un can1n1ino progressivo cli Gesù che, passando attraverso i personaggi oggetto del verbo dyarrdw nel v 5, raggiunge Lazzaro nel sepolcro. Ulteriori considerazioni riguardano la specifica analisi esegetica dcl c 11. Al nostro scopo interessa soltanto mostrare che gli usi di </;11\rfr_tJ e dyarrdt.d in Gv 11 non confennano la loro sinonin1ia, 111a confern1ano lo stesso aspetto specifico differenziato di ciascun verbo già notato nei testi precedenti. II verbo </;1Mw esprime in Gv 11,3.36 amore di accoglienza nella propria intin1ità da pa1te di (J'esù-soggetto dell'oggetto-Lazzaro; dyarrdw espri111e invece in Gv 11,5 a111ore di po-
257
50.51.
vv 13.14.16.21.25.26.32.37.39.44;
cfr anche in diversa prospcHivu
i vv
Attilio Gange111i
72
sitiva tensione di Gesù-soggetto verso I'oggctto-111arla, Lazzaro, che tende a tradursi in azione concreta.
sua sorel/o,
6. Capitolo dodicesimo: <jJLÀÉrv (v 25), dymrdw (v 43)
Nel capitolo cloc!ici leggian10 entran1bi i verbi, usati ciascuno una sola volta. Essi si leggono in contesti diversi: dovranno perciò essere considerali indipendentemente l'uno dall'altro.
6.1. li verbo <jJLUrv (v 25) L'espressione dclv 25: "chi ama (</JLÀwv) 1" sua vita la perde", dove leggia1no il verbo <fnAÉcu, si articola in due parti parallele, coordinate, 111a anche distinte, dalla congiunzione Ka{.
a b chi odia (11wr,)v) chi ama (</Jdwv) la sua vita (rf;vxriv) la sua vita (rf;vxrfv) [... ] la perde (d1To,\,\vn) la custodirà (<f;u,\d/;n) Jn queste parole di Gesù il nostro evangelista si ricollega alla tradizione sino11ica 258 , alla quale però apporta qualche 111odifica259 • Il verbo </>tÀÉw non si legge nei testi sinottici stretta1ncntc paralleli. Esso però non è del tutto originale del nostro del autore 260 , n1a è originale la sua introduzione nel detto specifico di Gesù; per questo deve essere letto nel contesto e nella prospettiva del nostro evangelista. 1_,a nostra espressione del v 25 si trova inserita tra due duplici ipotetiche di analoga struttura, rispettiva1nente nei vv 24H.i e 26 2m.
2
ivl1 J0.39: 16,25; Mc 8,35; Le 9,24; 17,33. Cfr. anche Ap 12,12. La cli versa fonna verbale, al presente, dì drro,\,\Vru; l'introduzione dci verbi rp1,\i1(i -µLcrÉru: l'introduzione del verbo if;v).dcra-,,1. 260 Si legge in fv1t 10,37 che precede I 0,39; µieri-tu si legge nel testo analogo di -'i;
259
Le 14.26. 261 Ctì· v 24: ·'se il chicco di grano ... 11011 inuore. rin1a11e esso solo: se muore, por/a 1110/to fr11110 ., 262 Cfr v 26: ''se a 1nc qualcuno serve, a 111e segua .. se qualcuno a n1e serve, 0110-
renì Jui il Padre".
Il senso di dymrdtu e pùlÉù!
73
I~enché non formulata con1e ipotetica, essa con1prende pure una condizione e una conseguenza; la condizione è contenuta nel soggetto costituito dal participio con l'articolo I <f>1J.1,)v. .. 6 µwwv), la conseguenza è rispettivan1ente 11ercfere o custoclire la propria vita. Due elementi inducono a stabilire una relazione tra il v 24 e il v 25: una con1plcn1entarictà te111atica, espressa dai bino1ni antitetici non 1norire - 111orire (v 24) - atnare la ]Jro11ria vita - ochare la ]JrOJJria vita (v 25), e una analogia strutturale: ogni verso comprende due parti, ciascuna con una condizione e una conseguenza. I due versi possono essere confì·ontati sche1naticamente nel seguente 1nodo: (v 24) (v 25) chi ama (<f>rAr;;v) la sua vita 1. 1 se non nntore 1.2 esso solo rhnane la perde 2.1 n1a se 1nuorc chi odia ... la conserverà 2.2 molto frutto porta due versi si illuminano a vicenda. li primo (v 24) offre al secondo (v 25) un contenuto, il secondo (v 25) offre al primo (v 24) l'aspetto forn1ale e la causa. /\Ila luce del v 24, concrctan1cntc s1 aina la propria vita (v 25) rifiutando di morire, ma, alla luce del v 25, si coniprende che, se non si muore (v 24), è perché si ama la propria vita. Analoga111ente restare soli equivale a perdere la vita, n1a la propria vita si perde prec isa111ente restando sol i. In questa prospettiva amare (<f>1Mw) la propria vita significa essere ad essa attaccati, averla a cuore, ritenerla una realtà cara, fare di tutto per non perderla 26 \ E111erge ancora !'aspetto soggetto-centripeto
o
d j ef>LÀ.É(;J. 26-1
26 ·' Secondo C. SPICQ, ;lgopè dans /e nouveau Testa111ent, cit., lii, 221 !"espressione cp1,\10/11 n]v iJ;vxrjv indica l'amore prin10, islinlivo, che ci<1scuno porta a
se stesso, distinguendosi così <fn,\Éw dall'mnore giudizioso e rnzionalc proprio di a" 'yarrdùi. Spiega B.B \V ARFJELD, The Ter111inolob'Y (!(/,ove in the 1\!ew Testarnent. cii., 190 che rp1,\ir1J indica prendere piacere, essere innamorato, non anteporre 1111//a. Hi-l Ciò è conJènnalo dai verbi dTTo,\,\U1ù e µraàù. Il verbo dno,\,\Vt1i significa /)erdere, disperdere, jàr perire; il suo contrario è appunto custodire, conservare. li verbo µraÉtù, nel caso concreto, evoca l'aspetto della non accoglienza, elci rifiuto, dcll'a]Jontm1mncnto; il suo contrario è l'accoglienza, l'accettazione, !'integrazione.
Attilio Gangen1i
74 6.2. li verbo dymrdw (v 43)
L'espressione del v 43 "canarono (rjydrr17crav) la gloria degli uopiù che la gloria di Dio" costituisce l'an1ara conclusione che l'evangelista deduce a riguardo di quelli che credettero in Gesù n1a a 111otivo dei farisei non confessavano per non essere cacciati dal la sinagoga. L,'espressione "an1arono (l]ydrrTJuav) la gloria degli uo111ini più che la gloria di Dio" richiama il testo di 3, 19 265 e già a partire da 3, 19 si potrebbe concludere anche per l'aspetto di dymrdw in 12,43. Tuttavia è utile qualche osservazione specifica. TI v 43, in relazione al v 42, pennette di evidenziare una certa relazione strutturale: v 42: 1. dei capi molti credei/ero in lui 2. 111a a causa dei farisei non confessavano V 43: 3. per non diventare alienati dalla sinagoga 4. a1naro110 in-fatti la gloria degli uo111ini. Questo schen1a stabilisce una relazione tra i due verbi r!rr{uTEIF uav-rjydrrlJuav, i quali concordano nell'esprin1ere una relazione verso 1111111
un tern1ine. Nello stesso ten1po evidenziano anche un can1111ino che parte da Érr{uTEvuav e cul111ina in rjydrrl]uav. Il can1111ino che parte da f-rr{uTEvuav e culinina in r';ydrrl]uav è duplice, quello reale direttan1ente descritto e quello tacita1nente suggerito. Il can11nino reale descritto è il seguente: crecfettero - non confessavano - cunarono la gloria degli uo111ini. li can1111ino ideale avrebbe dovuto essere: crecleltero - confessavano e furono cacciati - cnnarono la gloria di Dio. Il verbo àyarrdw esprin1e così due oricntan1enti attivi antitetici, quello ideale degli uomini verso la gloria di Dio e quello reale degli uo1nini verso la gloria degli uomini 266 ,
265 3, 19;
amarono (rjydffT}a-av)
gli uomini
12,42: a111arono (rjydrrryaav) la gloria degli 110111i11i 3, 19: più (µd,\AoJJ) la tenebra che(ij) la luce pilÌ (µd).).ov) che (ijm:p) la gloria di Dio 12,42: 2M Entnunbi i genitivi sono soggettivi: la gloria che proviene da Dio, la gloria che rrovienc dagli uo1nini.
75
Il verbo dyarrdw esprin1e così diretto oricntan1ento e positiva tensione verso un oggetto. Nel nostro testo, molti dei farisei che avevano creduto, non confessando e restando nella sinagoga, si orientarono e ricercarono la gloria degli uon1ini anzicchè la gloria di Dio.
7. Capitolo tredicesimo: il verbo dyarrdw (vv.1.1.23.34.34.34) Nel c.13 non si legge mai <j;1ÀÉw ma soltanto dyamiw, ben 6 volte, e una sola volta il sostantivo dydrr~ (v.35).
7.1. I vv I. l Nel v I il verbo dyarrdw si legge due volte, nel contesto della solenne introduzione alle azioni di Gesù descritte nei seguenti versi 2-5: "Prima della festa di Pasqua, sapendo (Eiows-) Gesù che (éi7'1) giunse la sua ora di (I'va) passare da questo 111ondo al Padre, avenllo c11nato (dyarrrfuas-) i suoi, quelli che erano nel mondo, .fì110 al massimo (EisTÉÀos-) li amò (rfydrr~ua)". Dal punto di vista strutturale tutta l'espressione è abbastanza se111plicc. Essa con1prende: una indicazione cronologica, una proposizione participiale (€161,ls-) seguita da una oggettiva (!in) e da una dichiarativa (I'//a) dipendente ciascuna dalla precedente, una seconda proposizione participiale (dyamjo-as-), la proposizione principale (1ydrr~uEv). Il verbo dyaTTdw è così usato con1e pa1iicipio circostanziale e con1e verbo principale diretto. Quattro cle111enti, uno per ogni espressione, inducono a considerare dyarrdtv nella prospettiva di una precisa azione storica: rindicazionc cronologica, il participio El8t.J5' che espri1ne la coscienza di Gesù di essere giunto già il 1110111ento di co1npiere una patticolarc azione, il participio dyarnjaa:; che espri1ne una azione antecedente a quella del verbo principale, l'espressione Els- TÉÀos- che esprime meglio
Attilio Gongemi
76
non il tern1ine cronologico, bensì il cuhnine intensivo e il co111pin1ento di un preciso evento storico 267 • Quale sia l'evento storico espresso dai due usi di dyarrdw, e soprattutto dall'espressione Eis- TÉÀos- 1rcirr~crEv, il v I esplicitamente non lo dice; si può però intravedere nelle due relazioni che 13, I permette di stabilire, a 13,2-5 e a 19,28-30.
7. J. J. Relazione di 13, I a 13,2-5 li testo di 13,2-5 presenta lo stesso movimento strutturale di 13,1: un genitivo assoluto circostanziale (8E{rrvov ylvo11ÉPov) non senza una sfu111atura cronologica, due participi circostanziali (/3cf31\171(6ToçEl8Wç), una serie di verbi diretti 2 r'~. Si stabilisce così tra il v l e i vv 2-5 un rapporto strutturale 269 che detern1 ina una relazione tra Elr:; TÉ1\05'
del v 1 e la serie di verbi diretti dei vv 4-5. 1n entra111bi i casi i destinatari sono i discepoli. rjydrrrycrEv aÙToV5'
Prcscindian10 adesso dal senso delle azioni con1piute da Gesl1 nei vv 4-5 e da Ila loro precisa relazione contenutistica all'El:; r€Ao:; 1]ydTTTJaEv: al nostro scopo infatti interessa soltanto evidenziare che tale relazione strutturale conferisce ali' c:l:; r€Ao:; ryydTTT]O"t:P, soprattutto al verbo 1ydTTTJO"EP, e quindi anche al precedente participio dyarnjaa:;, lo stesso dina1nisn10 attivo di Gesù verso i discepoli. Possia1no così concludere che, in relazione alle seguenti azioni di Gesù, il duplice dyarrciw dcl v I ha un aspetto dinamico attivo, ed espri1ne una tensione di Gesù verso i discepoli, che si traduce poi 111 azione concreta.
267
A riguardo dell'espressione
piedi. 11 coinvolgi111enlo dci discepoli 5),naxis 14 (1996) 2, 46-49. HiN
269
nell'esodo
lyE{pETal -T[ 8ryat //-8li!(tù<TE v-f3d,\1\EL-ijp{aTo V
I
pri111a della fcstn di Pasqun El&J<; - dyamjaa<; EL<; r€,\o<; 1rdrrriaEJJ
La lova11da dci di Gcsl1 n1ediantc !'a1norc, in
El<; T/.,\o<; cfr il 111io studio,
JJ! TTTEl /J \IV
2-5
111enlre avveniva i! banchetto j3rj3Xi]K<)To::,- - El8u5<; É'yEfpETGl
r... j
ijp(aTO
li senso di dyaTTdLJJ e p1ÀÉLJJ
77
7. I .2. Relazione di 13, I a I 9,28-30
La relazione tra 13,1 e 19,28-30 è stabilita dal termine TÉÀoS", che lcggian10 solo in 13, 1 in tutto il vangelo, e dal verbo TEÀÉw, che, in tutto il vangelo, si legge solo due volte, precisan1ente nel duplice TETE'Awrn1 di 19,28.30. Ciò indica che la concretizzazione del!' El5' TÉÀDS' rjydTTTJUEP di 13, l deve essere ricercata anche nelle azioni con1piute da Gesù in 19,28-30, gravitanti attorno ai due TETÉÀcural, soprattutto nell'azione finale del V 30: TTapÉBWKE// rO 1TVEVµa. Prescindendo ancora dalla relazione contenutistica tra Ei5' rÉÀos1yd1T~aE1/ (13, 1) e 7TapÉ8rvffP To rrvcvµa (19,30), al nostro scopo è sufficiente notare la relazione letteraria tra le due espressioni 270 • l_,'espressione rrapÉBwKEV rO rrvcVµa di 19,30 carica l'El5' TÉ1\05' ryydTTTJCfE// cli 13,l dello stesso dina1nis1110 attivo. Anche la relazione a l 9,28.30 confcnna quindi l'aspetto dina1nico attivo di dyarrdw in 13, 1. Possiamo concludere che, alla luce delle due relazioni sopra indicate, il duplice dyarrdtv di 13, 1 indica la tcnsìone clina111ica attiva cli Gcsl1 verso i discepoli: egli è proteso verso di loro e per loro co111pic una azione.
7.2. I vv 34.34.34 Prescindendo per ora dall'uso di dyarrdw nel v 23, dove esso caraHerizza i! discepolo che G'esù a111ava (1ydrra), consideria1110 adesso i tre usi cli dyarrdtv ciel v 34. Essi riguardano il con1anda111ento nuovo che Gesù propone: "' un co111andan1enio nuovo ciò a voi, che vi a1J1iate gli
uni :;li ollri (fm dyarraTE dAAl)Aov>) come amoi voi (ryydrr~aa vµa>),
1711 Tale relazione <lpp<lrc più chiara dal seguente scl1cn1<l: ]3,[
Eiç TÉ1\oç rJydITT}<TEV
19.28
TETÉÀEaTat .,. TETÉ1\EaTa/_
rrapÉ8(ùKEV TD
TTJ/EVµa
78
Attilio Gangem.i
che anche voi vi toniate gli uni gli altri (Yva d,\,\ 7),\ov.>)".
Kal
VpELS'
dyarraTE
Introdotta dalla particella [va, tutta l'espressione del v 34 con il triplice dyarrdw costituisce il contenuto concreto della ÉvToÀ~v t(aLvrjv che Gesù propone (8i8wµ1) ai discepoli. Globalmente tutto il v 34 comprende quattro frasi determinate dalla presenza di un verbo in ciascuna di esse: 1. un con1anda1nento nuovo ciò (8[8wµL) a voi 2. che vi amiate (dyamin) gli uni gli altri 3. con1e a111ai (ryydrrryaa) voi 4. che anche voi cunhtle (dyarréiré) gli uni gli altri La seconda e quarta frase presentano, per l'uso della stessa espressione l'J/a ... dyarrCiTE dAArjAovS', un evidente parallelisn10~ 71 ; si cleter111ina così anche una relazione tra la prin1a (OLOcù/lL) e la terza (ryydrrr;aa) 2n. Questa stessa relazione lega strettan1ente l'evento dell'amore di Gcsi1 (1ydTT~cra) alla proposizione (8i8wµ1) del comandarnento; si direbbe che il co1nandan1ento scaturisca dall'evento dell a1110re di Gesù. Queste relazioni per111ettono cli stabilire altri due tipi di relazioni. Anzitutto le due espressioni l'va dyarrOrE si legano al verbo diretto che le precede, rispettivan1cnte 8{8w11L ed ryydTTr;ua 27 -'; inoltre la prin1a espressione I'va dyarréiTE sta al centro di due verbi diretti 8f8(V/ll ccl 1ydTTrycram, il secondo verbo diretto (1yd77ryrm) sta al centro delle due espressioni l'va dyarrGTE27 -''. 1\1tte queste osservazioni ci aiutano a co111prendere la stretta unitarietà delle varie espressioni del v 34; ciò significa che i tre usi di dyarrdw nel verso debbono avere Io stesso aspetto. 1
271 La quarta nggiungc la congiunzione /(af 1ic1 senso di aneli<' e il prono111c plurale VµEl.:;. 72 } Entrmnbe hanno unn forrnn verbale diretta (6U5ùJJ1l-1]ydITT]aa), lo stesso SOflgct!o. Ciesù, lo stesso pronoine personale V11lv-/Jpds-. in Rispcttivainente 8f8M/U ccl rjyrirr.,.,aa. 27 ~ 8[8Mµ1-/.'J/a dyarriiTr.-rjydrr17aa. 27 -" i'va dyarriiT.:-Ka81Js- rjydTTryaa-i'va dyaTTdTE.
Il senso di dya1TdùJ e §1?1ÀÉùJ
79
Questo aspetto può essere dedotto dal confronto con l'espressione iniziale KaLv~v EvroAT,v 8[8wµl Vµl~ 76 . Essa descrive una azione attiva che Gesù con1pic in relazione ai discepoli; csprin1e cioè un clina-
n1is1110 attivo di Gesù verso i discepoli che concreta111ente si attua nel dono (8{8wµ1) della ÉvrnAr/. Parallelamente, prescindendo da qualsiasi rapporto contenutistico, 1na per l'identità del soggetto e dei destinatari, bisogna dare lo stesso aspetto dinamico attivo al verbo r/ydTTww; ancora una volta esso descrive un dina1nis1no attivo di Gesù verso i discepoli. L'aspetto dinamico attivo di dyaTTdw nel v.34, prima di tutto 1 nell espressione ijydrrT}aa VµGs-, è confennato dalla relazione di qucst' ulti111a all' espressione rjydrrryo-Ev aVroU:; del v. l 277 , che, co111e abbian10 notato, esprin1c un dina1nisn10 attivo di CJesù verso i discepoli. Inoltre la relazione sopra indicata tra l'espressione Ka8{(J5' ryydrr77a-a Vµéi5' e le due l'Pa dyarréirE d),J.rjAov5' che la incentrano, induce a ritenere lo stesso aspetto dinatnico attivo di dyarrdr1J anche in queste due espressioni riguardanti l'a1norc vicendevole, dcl resto l'va dyarrGrc d1\1\rjAov5' trova la sua causa ese1nplare (Ka8W5') nell'azione di Gesli verso i discepoli. L'azione di c11nare di Gesl1 è caratterizzata dalla sua tensione dinan1ica attiva verso i discepoli; allo stesso niodo i discepoli, ne!Pa111arsi (dyarréirE) a vicenda sono dina111ica1nentc protesi l'uno verso l'altro. Una confcrn1a del carattere dina111ico attivo di dyarrdw nell'espressione l'Pa dyarrGrE d1\ArjAov5' viene anche dal confronto tra il v 34 e i vv 14.15, dove Gesù, dopo avere lavato i piedi, dichiara (v 14) che i discepoli debbono (6</JdAETE) lavarsi i piedi gli uni gli altri (dAAr/ÀluV vlrrTELV roù5' rr68a5'). La relazione tra d1\ÀrjÀwv PlTTTELV roU5' rr68a5' (v
21 (' Le due espressioni !5U511i111 ùµlv-r)ydITT]aa [prì:; presentano anche una relazione strutturale: 8[8wµt ùµ/11 TjydITT]aa iµéi:; 277 Le due espressioni hanno !o stesso soggelto, lo stesso verbo dyarrdw n!l'aoristo, gli stessi destinatari pronorninaln1entc espressi. l~sse divergono nel rallo che la prin1a (v I) è narrativa alla 3° persona, !a seconda (v 34) è dialogica alla 2° persona.
Attilio Gongen1i
80
14) e fva dyarraTE d,\,\lf,\ovS' (v 34) emerge bene. Nel v 15 poi leggiamo la dichiarazione di Gesù: "un modello (vrr6&1yµa) diedi a voi che (l'va), con1e io feci a voi, anche voi ,facciate (1cal VµElS' rrocijTE)". Si richiama ancora l'espressione ciel v 34 (fva dyarraTE d,\,\lf,\ouS'). Le due espressi on i dei vv 14. 15 hanno indubbia111ente un carattere dinan1 ico attivo: i discepoli debbono relazionarsi agli altri secondo il modello che hanno ricevuto da Gesli. La relazione 278 ai vv 14.15 suggerisce che anche l'espressione del v 34 lva dyarrdrE dAA?jAovS' abbia lo stesso carattere dinan1ico attivo. Nei vv 14.15 il modo di rapportarsi dei discepoli l'uno all'altro è il v{rrrEtv roù<; rr68a:; secondo lo Vrr68EL yµa ricevuto dal Signore; nel v 34 il n1odo di rapportarsi è l'dyarràP, secondo In ÉvroArj ancora ricevuta dal Signore.
8. Capitolo quattordicesimo: dyamiw (vv 15.21.21.21.21.23.23.24.28.31) Nel e 14 si legge soltanto dyarrd{u, ben dieci volte. Diversi sono compendiati nel v 21 (4v) e nel v 23 (2v).
usi
8.1. I vv 15.21 li primo uso di dy01rd1u è nel v 15, dove ai discepoli Gesù dichia-
ra: "se cf!nate 1ne (€-dv dyarrriri µe) i co1nanllc1111enti 1niei osserverete (v 15)". Esso, per lo stesso soggetto, i discepoli, per lo stesso oggetto,
278 Tra i vv 14.15 e i! v 34 è possibile stabilire una relri:tione secondo il seguente sche1na: v 14: I. se lo lavai a voi i piedi 2. anche voi dovete gli uni gli altri lavare i piedi v 15: 3. 1111111odello infatti diedi a voi V 34: 4. 1111 co111a11da111e11to nuovo dò a voi 5. che 111niate gli uni gli altri 6. come a111ai voi.
Il senso di dyaTrd0 e 9'1)/0
8I
(Jesù (µÉ), e per la stessa relazione ai co111andan1enti (ÉPToAa{) di Gesù, richia111a il pri1110 uso di dyarrdw nel v 21 279 . Nel v 21 però dyarrdw si legge quattro volte, in una unità con1posta di 6 frasi: "chi ha i 111iei co1nanchanenli e li osserva, questi è colui che 1ni cuna (O dyarrWv µé), colui che n1i cnna (O dyaTTWv µE) (v.21) sarà mnato (dyarr~OrfO"Erai) dal Padre mio e anch'io lo amerò (dya1njuw)" 280 • li soggetto di dyarrdtu nel v.15, al plurale, sono i discepoli; i soggetti dei vari usi di dyarrdlu nel v.21 sono invece diversi: assic1ne a colui che an1n Gesù (6 dyarr6iv µE), c'è, in fonna passiva, anche il Padre (Urrà roV rrarp65') che a111a colui che a111a Gesù, e Gesl1 stesso (1cdyuJ) che a111a colui che lo an1a.
8.2. I vv 23.24 Nel v 23 trovia1no ancora altri due usi di dyaJTdri;: "se qualcuno nn cuna (idv TLS' dyarrOTÉ pt), In 111ia parola osserverà e il Padre 111io lo amerà (dyarrr)O"EL)". li primo di essi, con soggetto l'uomo, più dirctta111ente richia1na il v l 5181 e anche il prin10 uso del v 21 2 ·~ 2 ; il secondo,
279 Si può notare la seguente relazione strulluralc: v 15: 1. se a111ale 111e 2. i co111a11da111enti i 1nici osserverete v 21 3. chi lw i 1niei co111anda111enli e li osse1Ta 4. questi è colui che mi 0111a. wii 1. chi ha i rniei co1nandmncnti e li osserva 2. questi è colui che 111i anu1 3. colui elle 111i ama 4. sarà a111oto dal Padre 1nio 5. anch'io lo u111er6 6. e 111anifesterò a lui 1nc stesso Si nota un progresso che dall'osservanz<.1 dci co111nnda1nenti culn1in!l nella 111anilèstnzionc di Cìcst'1. 2 1 ~ v 23: se a111alc (dyarrGri:) mc. i con1anda111cnti 1nici osserverete v 15: se qut1!cuno (/li/a (dyam;i) 1ne, la n1ia parola custodinì. ~w~ v 21: ! . chi ha i rniei eo1nandt1n1enti e li ossen•a 2. questi è colui che 1ni O/i/a v 23: 3. se qualcuno 111i a111a 4. la inia parola osservl!rà.
Attilio Gange1ni
82
con soggetto il Padre, richiama il terzo uso del v 21 2 °'. L'uso del v 24: "colzd che non 1rd cuna (O µry dyarrWP pc), !a n1ia parola non osserva" è parallelo e antitetico al primo uso del v 23'"'·
8.3. Il
V
28
Nel v 28 il soggetto sono ancora i discepoli. Dopo avere ricordato loro di avere detto: "vado e torno a voi", 1nediante una condizionale, Gesù continua dichiarando ai discepoli: "se 111i a1nasle (1yaTTG.Tc), gioireste (ixdpryn). poiché io vado al Padre". Amare Gesù è la condizione perché i discepoli possano gfo;re del fatto che egli va al Padre.
8.4.llv31 Nel v 31 infine il soggetto è Gesù che, alla fine, invita i discepoli ad alzarsi e andare: "perché il 111ondo conosca che io cono (dyaTTr1l) Padre, e con1e ha co111andato a n1e io Padre, così faccio". Questo invito si colloca nello sfondo di un tentativo di far pervenire il 111ondo alla conoscenza (y//(~) che egli cuna il Padre e con1c il Padre gli ha con1andato, così egli fa.
8.5. Gli usi di dyarrdw nel e ] 4 secondo i vari soggetti I 1O usi di dyarrdtu nel e 14 sì considerano 111eglio classificati secondo i vari soggetti che non divisi secondo i vari versetti. I soggetti dei vari usi di dyarrd1u nel e 14 sono tre: i discepoli (vv 15.21.21.23.24.28), il Padre (vv 21.23), Gesù (vv 21.31).
v 21
1. sarà amato 2. dal Padre 111io v 23: 3. il Padre 111!0 4. lo a111erà. v 23: se qualcuno r1111a 111e la parola di me custodirà v 24: colui che non ama me le parole di 111e non custodisce.
Il senso di dymTdUJ e ç61)l0
83
Ogni soggetto è relazionato a suoi specifici oggetti. I clisce1Jo/i sono relazionati ad un solo oggetto, Gesù; il PaC"!re è relazionato pure ad un solo oggetto, i clisce1Jo!i; Gesù è relazionato invece a due oggetti, discepoli (v 21) e il Padre (v 31 ). L'an1ore dei c/f,1,·ce1Jo!i verso Clesù trova una precisa co11cretizzaz1onc nel! 'osservanza dei suoi con1anda1nenti (vv 15.21) 18 -~ e della sua parola (vv 23.24) 286 . Il verbo dyarrdUJ espri111e così una positiva tensione elci discepoli verso Gesù, che si traduce in concreta osservanza dei suoi co1nandan1cnti e della sua parola. Più difficile è caratterizzare il verbo dyarrdw rirerito al ]Jac/re nella sua rclnzione ai clisce;Joli. L'espressione dclv 21, sarà cuna/o eia/ Poe/re 111;0, riferita a colzd che cuna Gesù, non offre a riguardo alcun ele1ncnto particolare. Ma lo offl·e invece l'espressione dcl v 23: lo c1111erà, (dyarr1aEL aVr6v), a cui seguono coordinate due espressioni costituite dai due verbi ÉÀEva6µEOa ... rro1.17a611E8a 2 ~ 7 , il cui soggetto è non solo ;1 Padre tna anche Gesù. I due verbi ÉÀEvadµEOa ... rrot17c1611E8a esprin1ono un dina111isn10 attivo dcl Padre e di Gesù verso colui che an1a Gesù. Risalendo poi dal v 23 fino a[ v 15, si riscontra ancora la 111enzione di un'altra azione attiva dcl Padre, nel v 16, un altro Paracleto e/arò a voi. Si può stabilire allora una relazione tra le due espressioni "1111 altro f.Jaracle!o clarà a voi (v 16)" e "lo cnnerà (v 23)''~~~. Anche nella sua relazione al Padre, il verbo dyarrdlu, nei suoi usi del e
14, esprin1e il suo dina111isn10 attivo. 11 Padre ha una relazione clina111ica verso colui che an1a Gesli; tale relazione dinan1ica si concretizza nel
~N:> In un rapporto di causa a effetto (v 15) e cl! effetto a causa (v 21). Dall'osservanza dei coinandaincnti si risale ad amore Gesù; !"osservanza dci co111<1nclmncnti permette di definire chi è colui che an1a Gcsli. :Ui Il passaggio da ÈJJTo,\ij a ,\Oyoç, con1e pure il passaggio da TOP ,\òyot/ (v 23) a Toù_ç ,\òyovç (v 2'1) non interessa in questa ricerca. 7 Jg !n questu duplice azione di venire cjètrc Gesl1 si acco111111u1 al Padre. 1 ·~~ I due testi presentano un parallelismo pili an1pio: vvl5.16 v23 se qualcuno 01110 me ! . se a111a1e n1c 2. i co111anclan1enti .. osserverete la inia parola osserverrì e il JJadre mio J. e il rregherò il Padre 4. un altro Paracleto darà a voi 011/Cl'tÌ fui Enlrainbi i verbi, Or,Jan-dyarnjan. sono al futuro.
Attilio GangeniJ
84
venire a lui e -fare di1nora presso di lui con Gesù, 111a si concretizza probabilmente anche nel clono del Paracleto. Per quanto riguarda il verbo dyaTTdu; con soggetto Gesù e oggetto colui che Io a111a, nell'espressione del v 21 dyamjcrw aVr6//, esso presenta due relazioni più dirette. La pri111a è con l'espressione in11ncdia1an1ente seguente del v 21: 1ni 111an?festerò a lui (iµefJa//{uw aVT(~ €µarr r6v); la seconda è con l'espressione dcl v 23: verre1no .. './àrenlo (Ér\Eva-6µEBa .. rrotr;a6µE8a) con cui Gesù si accon1una al Padre 2k9. M'a non si può escludere una relazione, anche se più distante, con l'espressione de! v 16: ]Jrcg;herò il Par/re (€pwr1crDJ ròv rrarÉpa) 290 • L'an1ore di Cìesù, dinan1ico attivo verso colui che lo an1a, si concretizza nel inanifestarsi a lui (v 21 ), nel venire con il Padre e fare di111ora presso di lui (v 23), nel pregare il Padre perché dia un altro Paracleto (v 16). Pure dinan1is1110 attivo è l'aspetto espresso dal verbo dyarrdw nel v 28; l'an1ore dei discepoli verso CJesù dovrebbe concretizzarsi nella gioia che lui va al Padre, anche se non è tacile, aln1eno dal contesto, stabilire esegetica1ncnte la relazione tra l'a1nore verso Gesl1 e la gioia che lui va al Padre. Allo stesso 111odo nel v 3 I Gesù concretizza l'an1ore verso il Pndrc nel fatto che egli agisce con1e lui gli ha con1andato 2'J 1•
n 9 Si può notare la seguente relazione tra I! v 2! e il v 23: V 2J V 23 colui che a111a me se qualcuno an1a 111c / . .} sarù r1111ato il Padre mio dal Padre 111io /o (/11/Cl'rÌ ('io lo {////f'l'Ò \!CITCl/IO.. jàrcn10. 2 ' 'm I~ possibile slahilirc una relazione tra il v 16 e il v 21: v 16: 1. se 111 i an1ate 2. i con1a11darncnti 1niei osserverete V 21 3. chi lla i n1iei COll/(//l(/{{l//C'llli e li OSSC/'\ 4. questi è colui che 111i r111u1 V 16 V 21 1 {/
e io (Kbyfii)
e io ( Kriyr,))
pregherò n1ncrù il P8dre lui. ~ 91 Cfr. il verbo EvTt!,\),opa1 (v 31 ): è In stcss8 concretizznzione dell'amore verso CJesl! (cfr t'vni,\rj nei vv 15,21)
li senso di dyaTTdùJ e çz!t,,làu
85
9. Capilo/o quindici: dymrdtu ( vv 9aa.9ab. I 2a. I 2b. I 7) - <j>tÀÉru (v I 9) La tcnninologia dcll'an1ore torna n1assiccia ne! c.15, soprattutto nei vv 9-10 e, poi ancora, nei vv 12-17. Nel v 19 1rovian10 invece il verbo <j>tMw.
9.1. I vv.9-10 (dymrdù1): In questi versi leggiamo due volte il verbo dymrdw (vv 9aa.9ab) e tre volte il sostantivo dydTTry (vv 9b. I Oa.b.): "Come amò me il Padre,
anch'io voi tunai; rin1anete nel 111io a1J1ore. Se i 111iei con1ancla1nenti osserverete, ri1narrete nel 111io an1ore, con1e io ho osservato i co111an-
dan1enti ciel Padre 1nio e ri1nango nel suo a111ore ". Nell'unico sfondo dialogico possfrnno distinguere in questo testo due aspetti, uno storico, nell'espressione "cotne a1nò 111e il Padre anch'io voi c11nai", e uno esortativo ai discepoli, nello sviluppo seguente che scaturisce dall'aspetto storico. La struttura letteraria di questi versi non è univoca. Considerando tutta l'espressione storica 1<aGu5r;- [ ... ] 1rdrrrJua con1c introduttiva a tutto lo sviluppo seguente, possian10 evidenziare uno schcn1a concentrico: I. rilnanete nell'canore quello 111io 2. se i 1niei con1a11cia1J1e11ti osserverete 3. rilnarrete nel 111 io a1nore 4. con1e io dcl Padre nl io i co1na11dc1111e11ti ho osservato 5. e riTnango di lui nell'conore 292 • Separando poi l'esortativa, rilnane/e nel 1nio c1111ore dallo sviluppo seguente, le altre quattro espressioni stanno tra di loro in rapporto abbinato: le prime due in rapporto di protasi e apodosi, le altre due in rapporto di successione (Kaf), costituendo insic111e una con1para-
2 '>2
La prin1a, terza O"'lJUinta frase stanno in relazione per il verbo µivr,;. !a seconda e quarta per il termine EvToA1 e il verbo rr;pr!w.
86
!lttilio Gangemi
tiva (rnOw<;) 111 relazione alle due frasi precedenti. Insieme però le quattro espressioni si strutturano in 111odo alternato:
1. se i 1nici con1anclcllne11ti osserverete 2. rilnarrete nel 1nio an1ore 3. co1nc io del Padre 111io i co1nanclcnnenli ho osservalo 4. rin1ango cli lui ne//'an1ore. Rileggendo tutto il brano dei vv. 9.1 O e tenendo conto dcl ter111111e rraTrjp, si può evidenziare la seguente struttura letteraria: 1. co1ne an1ò 111e il J)aclre 2. anch 1 io voi a1nai
3. ritnanete nell'a111ore quello n1io 4. se i 111ici con1andan1enti ... rin1arrcte nel 11110 runore 5. con1e io del J)ac!re n1io ... ri1na11go nel suo a1nore Il tennine rraTrjp costituirebbe una inclusione letteraria. In questo sche111a 11 espressione rilnanete nel l'cono re quello 11uo (µE{varE iv r(; dydrra) risulta centrale. Le allrc fì·asi ten1atican1cntc s1 richian1ano 29 '. I_,a prin1a e la quinta presentano la relazione tra Gesù e il Padre; analogan1ente la seconda e la quarta presentano la relazione tra Gesù e i discepoli"'· In tutto il brano si può cogliere una duplice parnbola, rispcttivan1ente discendente e ascendente. La linea discenclente è espressa nel v 9a dal Padre a Gesù e da Gesù ai discepoli; la linea asce11de111e è sviluppata nelle quattro frasi dcl v 1O: i discepoli debbono restare nell'an1orc di Gesù attraverso la via dell'osservanza dei con1anda111enti, con1e Ciesù, attraverso la stessa via, rin1ane nell'an1ore del Padre. Si ottiene così il seguente sche1na parabolico: discendente ascendente 1. Il Padre ama 3. al Pac!re: restare nel suo an1orc 2. (Jesù an1a 2. a Gesù: restare nel suo an1ore I. i discepoli 3. i discepoli
29 -' Dal punto di vista letterario 1n priina e la quinta fr8se si richiamano per l tern1ini KaOt!J:: e rranjp. Più lontane 8ppaiono la seconda e la quarta fr8se. 29 -1 Nella stessa dina111ica dialogica. disce11de11te-do!l1anda (2°; da Gcsl1 ai discepoli) asce11dente-risposta (4°: dai discepoli a Gesù). 111 linea discendente il Padre è n1odello a Gesù, in linea ascendente Gesù è 111oc!cllo ai discepoli.
Il senso di dyaTTdcu e ptÀàu
87
Si delinea così un'intera storia che va dal Padre al Padre. Per Gesù il punto di partenza è il Padre e il can1111ino è l'osservanza dei comandamenti, il termine è il Padre; per i discepoli il punto di partenza è Gesù, il can1n1ino è l'osservanza dei co1nanda111cnti, e il tennine è Gesù e, attraverso di lui, il Padre. Per Gesù il punto di partenza è il fatto storico che il Padre Io ha ainato e il ter111ine è ri111anere nel suo a111orc; per i discepoli il punto di partenza è ìl fatto che Gesù li ha amati e il tern1ine è ri1nanere nel suo an1ore 295 .
Stabilita la struttura e le varie relazioni del testo, ci chiediamo quale sia in questo sfondo l'aspetto dcl duplice dyarrd1~ e, conseguentemente in questo contesto, anche del triplice dydrr~. Il testo a riguardo non offre alcun ele111ento concreto e specifico, tuttavia possia1110 dedurre qualcosa dal suo 111ovi111ento globale. L'espressione, co111e a1nò 1ne il ]Jadre anch'io voi anlai, presenta un duplice n1ovi111ento, dal Padre a Gesù e da Gesù ai discepoli; il secondo 111ovin1ento, da Gesli ai discepoli, è attuato sul modello del primo. li 1novin1ento globale del testo perciò è dina111ico attivo: s1 llltroduce infatti l'istanza ai discepoli (v 9b), sviluppata poi nel v I O, a con1piere un can1111ino ascendente fino a ri111anere nell)an1ore di Gesù, attraverso l'osservanza del co1nanda111cnto. Questo can1111ino è presentato ancora sul 111odello (1(aOu55') di Gesù, il cui can1111ino, attraverso l'osservanza dei co111anda111enti, culn1ina nelra1nore del Padre. In questo contesto il verbo dyarrd.w non può avere altro aspetto se non quello dina1nico attivo: il soggetto (I-'adre - Gesù) cotnpie un can1111ino verso l'oggetto (Gesù - discepoli). Ciò è confermato anche dalla linea discendente, dove ogni oggetto raggiunto (Gesù - discepoli) deve compiere un ca1nn1ino verso .il soggetto che lo ha raggiunto (Gesù - Pulire )29r'.
295 Ci si può chiedere quale sia il comando di Gesù ai discepoli e il conu111do del l)adre a Gesù. !1 coniando di Gesù ai discepoli sarù sviluppato nei vv 12-17; il coniando del Padre a Gesù pare contenuto nell'espressione, aneli 'io voi a111ai: si insinua appunto che il cornando c!cl Padre a (Ìesù sia quello di mncirc i discepoli. 296 Nei vv 9.10 è ripresa all'inverso, specificala e ainpliala, la forn1ula del v 4 (cfr v 5): ri111anete in 111e e io in voi. Il rnovi1nento discendente sviluppa estendendolo al Padre, l'aspetto, e io in voi.
Attilio G[t/1gen1i
88
Quanto poi al sostantivo dydrr~ nel contesto (vv 9b. l O), esso è i I termine dcl cammino di Gesù e, sul suo modello, il termine del cammino dei discepoli. L'dydrr77 non è propria dei soggetti che la raggiungono e vi rin1angono (disce1Joli - Gesù), n1a delle persone dalla cui azione (dyarrdrv) essi sono stati raggiunti, rispettivan1entc del Padre in relazione a Gesù, e di Gesù in relazione ai discepoli 297 • A confcrn1a dell'aspetto dina111ico attivo di dyarrdbJ, si può notare che esso, nel contesto, è in relazione ad altri due verbi, TTJpÉw-11ivw.
Solo il terzo verbo (µÉ//w) è statico ed esprime la situazione di chi, dopo un can11nino, giunge al suo tcnnine e vi pcnnane. In verbo TTJpÉw è invece essenzialn1ente dina111ico, ed esige, con1e ca111111ino concreto, un punto cli pa1tenza (dyarrdw). I tre verbi dyarrdUJ-T7]pÉriJ- µivw delineano così un ca111111i110, rispettivan1entc cli Gesù e dci discepoli. li verbo dyarrdw costituisce il punto di partenza, il verbo r77pitu delinea il can1111ino concreto, il verbo f1Évtu indica il tcrn1ine. Il can1111ino di Gesù parte clall'an101·e del Padre da cui è raggiunto (dyarrdcu), passa attraverso il can11nino dell'osservanza (rrypÉw) dei suoi con1andan1cnti, culn1ina nell'an1ore del Padre ne! quale egli rilnane (11É1/u.J). Analoga111entc i! ca111111ino dei discepoli parte dali'an1ore dcl Padre da cui sono stati raggiunti (dyarrdrl)), passa attraverso il can11nino dell'osservanza ( rrypÉt1J) dei suoi con1anda111enti, cul111ina nell'an1ore di Gesù nel quale essi rilnangono (flÉVw ). Mn un'altra osservazione è pure in1portante. l_,'dydrrry è il culn1ine del ca1nn1ino caratterizzato da tre verbi dyarrdw-r77pÉrv-µÉ1/tU. La co1nunc radice con dyarrdri; suggerisce che essa non è soltanto il culn1ine del can1111ino ascendente, n1a anche l'origine del can1n1ino discendente. Si può stabilire allora il seguente schema: dydrrry
dydrrry d ya rrrirV-TTJPÉ W-f1ÉVU)
Possiamo dire che l'dyd~ è quella dimensione profonda che si radica nell'intin10 di una persona e che, attraverso una azione concreta (dyarrdri;) si nianifcsta e raggiunge un 'altra persona. Questa, attraverso
297 I genitivi che carauerizzm10 l'dydrrry (µoV-aVroV) sono soggettivi.
89
una azione concreta ( TTJpiw), risale, s1 inserisce, si radica e rin1anc
(µivw) in quella dimensione profonda ed intima, costituita dall'dyd7Try. Nel caso specifico del nostro testo, l'dyd7Try è la dimensione profonda dell'animo del Padre che determina la sua azione concreta (dya7Tdw) verso Gesù; mediante l'dyd7Try egli lo raggiunge e a lui si manifesta; 111ediante l'osservanza dei con1andan1cnti, Gesli entra e ri1nane in questa dimensione profonda dcl Padre. Lo stesso avviene nel rapporto tra Gesù e i discepoli. Un ultimo aspetto infine è importante notare. Le pa1ticelle Kaf3r/;5' ... l(a{ richian1ano l'aspetto della causalità esenJ]Jlare: Gesù agisce nei confronti dei discepoli sul modello dell'azione del Padre verso di lui. Il fatto però che l'oggetto dell'azione del Padre e il soggetto dell'azione verso i discepoli coincidono nell'unica persona di Gesù, il fatto che l'opera di Gesù verso i discepoli è identica a quella del Padre verso di lui, e infine l'enfàsi dell'espressione Kdy{J, suggeriscono anche l'aspetto della causalità efficiente. Questa si comprende meglio se dyaJTciù> non si esaurisce soltanto nell'azione 111ateriale in cui si concretizza, 111a 111ira a 1nanifestare e a rendere presente nella persona-oggetto quella dyci7Try da cui l'azione (dya7Tdw) è stata determinata. In altre parole dya7Td1u mira a rendere presente nella persona-oggetto I' dyd7Try della persona-soggetto. In questo 1nodo la persona-oggetto diventa soggetto capace di nuova azione. Nel caso specifico, l'dyd7rry del Padre detennina e causa una azione concreta (dya7Tdw) verso Gesù ed essa stessa raggiunge e si radica in Gesti. L' dydTTJ] del Padre in Gesù diventa l'dyd7rry di Gesù che determina la sua azione verso i discepoli (dya7Tdw) e questo probabilmente è il comando, la cui osservanza radica Gesù nell'amore del Padre. L'amore del Padre da cui è stato raggiunto, diventa in Gesù co111ando di a111are lui a sua volta i discepoli. Mediante una azione concreta di Gesù (dya7Tdw) poi i discepoli sono raggiunti dalla sua dyd7Try, che diventa la loro dyd7Try, costituendo motivo, forza e causa di un ca111n1ino ascendente che, attraverso l'osservanza dci co1nanda1nenti, Ii conduce e li radica nell'a111ore di Gesti.
Attilio Gangemi
90 9.2. I vv 12-17 (dymrdw)
Dei vv 12-17 interessano soprattutto i vv 12.13.17: "questo è il con1anda111ento, che vi cnniale gli uni gli altri (dyaTTéiTc) co1nc amai (ljydrr~aa) voi (v 12)" · "amore (dydrr~v) più grande di questo nessuno ha di chi pone la vita i suoi a1nici (v 13)" - "questo coniando a voi, che vi amiate (dyarran) gli uni gli altri" (v 17). In questa seconda parte del e 15 la terminologia dell'amore è ancora abbondante e più varia: ai tre usi di dyarrdUJ dei vv l 2a.] 2b. l 7 e all'unico uso di dyd~ del v 13 si aggiungono i tre usi di <(>O.o<; nei vv l 3.14. !Sb li legame dei vv 12-17 ai vv 9.1 O è evidente: sono ripresi due elen1enti che sono centrali nei versi precedenti, il tennine r!vroArf e il verbo dyamiw. Quest'ultimo è ripreso nell'espressione rn8w<; ljydrr~· aa 298 , che nel v 9 costituiva il punto di pa1-tenza di tutto lo sviluppo seguente 299 • ·1,uttavia i vv 12-17 costituiscono una nuova unità, cl istinta dai vv 9. 1Q3rn 1• li verbo dymrdw, nell'espressione rnOw<; ljydrr~aa vµa<; del V 12, è seguito dalla definizione della µd{ova [ ... ] dydrr~v, la quale consiste 11110
298
Con una differenza però, che nei vv 9. ! O è riferita al Padre, nel v 12 è riferita
a Gesù. 299
Si delennina tra i vv 9.10 e il v 12 il seguente legame: vv 9. I O: 1. co111e arnò me il Padre .. 2. se i n1iei co11u111da1t1enti custodirete v 12 3. questo è il comandamento il inio 4. come a111ai voi. Oppure si può stabilire un'altra rekizione che inette più in evidenza il rapporto: Padre-Gesù-discepoli: vv 9.1 O: 1. co1ne amò 111c il Pndre Padre 2. anch'io a111ai voi Gesù V 12 discepoli 3. che a111iate a vicenda Gesù. 4. come a111ai voi 1110 · Il v ! I, che richiarna il v.3, separa !e due parti. Inoltre i vv 12-17 sono delirnitati da una inclusione letteraria: l.(v 12):. ~ Evro,\1 /'va dyaTTiirr; d,\).9,\ous2.( V 17) raVra ÉvrÉ,\,\oµai Vµ/1/ /'1/a dyarriirE d,\,\lf,\ovs1nfine i! v. !2 costituisce un nuovo inizio: è ripreso e diventa centrale il tenia della Evro,\rj, introdotto nut non sviluppato nei vv 9.10; si introduce l'elen1ento nuovo dcll'dyaTTiiv d,\,\rj,\ovs-; l'espressione aDrry Eunv, assiernc agli allri ele1nenti indicati, può anche servire ad esprin1ere un nuovo inizio.
Il senso di dymrdw e pùllw
91
nel jJOrre la ]JrOJJria v;ta jJer i JJrOJJri canici. Benché Gesù esprin1a un principio generale, dal contesto emerge bene che egli parla di se stesso. Egli ha amato i discepoli della µd(oua [ ... ] dydrr~v, cioè per 1 suoi atnici ha posto la vita. En1crge così il carattere dinan1ico attivo dc[
verbo dyarrd(ù. Lo stretto rapporto tra l'espressione l)yd~CYa vµas e la precedente l'va dyaTTCirE dAArfAov;;, stabilito dalla particella Ka0u5::;, induce a dare anche a questo uso del verbo dyarrdw lo stesso valore: co111andan-
do di an1arsi a vicenda, Gesù con1anda ai discepoli un atteggia111ento dina1nico attivo reciproco, eia tradurre poi in azione concreta.1 111 • Lo stesso aspetto che nel v 12 bisogna dare al verbo dyarrdw nel v 17. Al contrario, il tern1inc </J[Aos- caratterizza la posizione dei discepoli nell'inti111ità di Gesli. Pure questo tern1inc è 1nolto co1nplcsso. Ci li1nitian10 perciò solo a qualche osservazione. Co1ne abbian10 notato, questo terni ine si legge nel contesto tre volte (vv.13.14.ISb). Nel v 13 i rp!Ao1 sono coloro per i quali, nello sfondo della µd(ova [ ... ] àydrrryv, è posta la vita. Nel v 14 Gesù dichiara (ÉCYTi) i discepoli suoi amici (cf>001), a condizione che essi facciano ciò che egli cotnanda. Nel v 15 Gesù definisce e contrappone la condizione del 8ovÀo5' e quella del cf>iAoS': il oovAo, è colui che non sa ciò che fa il suo padrone; Gesù invece ha elevato (dpryrn) i suoi al grado di cf>{,\ov5', avendo reso loro nolo (i'yvwpwa) ciò che ha udito dal Padre. li perfetto dpryrn nel v 15 segue il presente ÉCYTÉ (v 14); esso, a sua volta, è in1111cdiatan1cnte seguito dall'aoristo ÉyvWpLaa Vµlv (v 15b): nel v l 6a seguente leggian10 un'altra fOnna di aoristo con sog-
111 ·' Anche se dal lesto non en1erge in n1oc!o del lulto chiaro eon1e i cliseepoli debbano concretizzare questo dinainìsmo allivo. J,11 sequenza dyarriirE-1ydTTT]aa-dydrrT} potrebbe suggerire che an1arsi gli uni gli altri si concretizzi nel porre la propriri vita per gli an1ici, e ciò potrebbe essere con/Cn11rito da 13,14 dove l'nzione cli Gesl1 cli lavare i piedi rondri per i discepoli il dovere di co1npiere la stessa azione. rvta si 18 fatica od identilicare sic et silnpliciter l'arnarsi a vicenda con il porre la proprin vita che costituisce laµEl(ova riydITT)J/. A questa conclusione arriva I (Jv 3,16; 111a nella prospettiva del 4° vangelo, porre la propria vita per... è co111pito dc! pastore, riferito e riservato a Gcsli (cfr 10,11.15.17.18). Meglio conservrire i! corattere da questo punto di vista pili vago del testo, tanto più che !a relazione tra dyarrdrf' ed 1rdrrT/aa nou sta pri1na di tutto sul 1noclo 111a sul fatto di ainarc.
At1ilio Gangemi
92
getto Gesù e oggetto i discepoli: i/'EAE/'dµryv vµa<;. Si può delineare così il seguente progresso inverso: É{EÀ.t{dµryv-€y1/u5plaa-Elp17Ka-ÉurÉ. Questo progresso inverso pennette di caratterizzare i ifJlAot. di Gesù: essi sono coloro che egli ha scelto (É/'EAE/'dµryv), ha dichiara/o !ali (dpryKa) avendo reso nolo a loro (iyvwpwa) tutto ciò che ha udito
dal Padre, li ha introdotti cioè nella sua intin1ità, li ha arnati (1yd7Tryaa)"" della µà(ova [ ... ] dya17ryv donando per loro la vita. Mediante l'osservanza di ciò che Gesù comanda (v 14), essi debbono rendere stabile (ÉaTÉ) la loro condizione di ,PiJ.01 nell'intimità di Gesù"''-
9.3. liv 19 (,P1Mw) Nell'an1bito del e 15, in diverso contesto, non senza relazione però ai vv 12-17, leggiamo, nel v 19, il verbo ,P1Mw. li soggetto è il n1011llo e l'oggetto sono i cfiscepoli, ipotetican1ente considerati con1e suo possesso ( TÒ t3wv): "se dal mondo foste, il mondo ciò che è suo amerebbe (éqo{J.n )". L'espressione, "cunerebbe ciò che è suo proprio" è l'apodosi di una protasi irreale-10 ~; si legge al secondo posto di tre espressioni, di cui la pri1na è ancora una ipotetica, se il 1noncfo vi oclia. La terza espressione è una proposizione causale che co111prcnde però ancora una protasi, introdotta dalla particella on, e una apodosi, introdotta dall'espressione &d mùrn. Tra la protasi (on) e l'apodosi (&d rniim) della terza espressione, in for111a quasi parentetica, si introduce
-'
112
Si può notare la convergenza dei due 8oristi rjydrrryaa-Eyv{JpLaa verso il per-
fello r:l{JryKa. 0 -' -' Si richim11a il µÉvr:1v ii/ ri7 dydTITJ di ! 5,9, 8ncor8 sul IOnda111cnlo del!' osservanza dei co111anda111e11ti (FvroAd5' , cfr i! verbo lvri).AoµaL nei v. 14. ! 7). Jo--1 C. SPICQ, Agapè dans le nouveau Tesfa111e11t, cit., lJI, 221 ritiene che <j;iAÉ(J) esprin1a qui l'attaccan1cnlo egoista, la passione nel senso più generale, la cui natura è quella di non poter an1are se non chi rasson1iglia o appar1iene. In questa prospettiv8 è pure B.B. WAHFJELD, The Tennino/ofo.'Y of /,ove in the 1\!ew Testc1111e111, cit., 190. secondo cui if;1ÀÉw esprin1e ainore di in1i111a affinità, che si sviluppa verso un oggetto parlicolm·n1cnte attinente 81 soggetto. M. PAESLACK, Zur Bede11tu11gsgeschichle. cit., 106s stabilisce un confronto tra 15, 19 e 3, 16. Da questo confronto, ovvian1ente rn1tiletico, risulterebbe che dyarrdw esprin1e l'arnofe divino, <f;1Atw l'mnore dcl inondo rervertito. che contiene in sè ribellione e rifiuto della salvezza (ibid.).
Il senso di dyaTTdw e ç61ÀÉw
93
l'avversativa, 1na io vi ho scelto cfal n1011clo. In questa breve unità il tern1ine K6aµo5' torna 1nassiccio--'°5. Le tre espressioni permettono di stabilire una relazione strutturale chiaran1ente concentrica: 1. se il mondo vi odia 2. conoscete che me primo di voi ha odiato 3. se dal mondo foste 4. il mondo ciò che è suo amerebbe (icpO.n) 5. poiché dal 111011do 11011 siete 6. ma io ho scelto voi dal mondo 7. per questo odia (µwEi) voi il 111011do. E111ergc da questo schen1a la centralità della nostra espressione "il 1J1011c/o ciò che è suo runerebbe (f-rj>{AEL)-' 11('". I,...a contrapposizione tra una situazione ipotetica irreale e una situazione concreta reale è forte: la prin1a riguarda !'an1ore del 111ondo verso i discepoli, la seconda il fatto che esso li odia. Si può evidenziare una duplice linea te1natica progressiva: ciò che ha origine dal 111ondo (se eia/ 111onclo .fòste), appartiene a! 111ondo co111e realtà sua propria ( TO l'Otov) e il 111ondo cona (icpO.n); ciò che nou ha origine dal mondo (poiché dal 111011do 11011 siete), non è una realtà sua propria e il n1ondo la odia (µLaEl). Sorprende qui il verbo µLaÉr1) che espri111e azione positiva: ci saren1n10 aspettati niagari una azione negativa, non cuna: µtCJÉt.ù non espri111c qui assenza di a111ore, tna positiva ostilità. li niotivo faciln1ente si trova nell'espressione, 1na io ho scelto voi eia/ 1nonclo. I discepoli non sono del 111ondo perché è intervenuta una positiva azione da parte di Gesù, li ha scelti eia/ 1nonclo, li ha fatti uscire da esso, glieli ha sottratti. Gesù ha sottratto al inondo qualcosa che questo credeva di poter fare sua; ciò spiega l'ostilità del 111011do verso di loro che sono stati scelti e verso Gesù che Ii ha scelti.
' 05 6 volle. w6 È interessante pure il modo conic è espresso il tennine K6a110;;: con1e soggetto (à Kdapo;;) nella pri1nn. la qLiarla e la settima fr<lse; con1e co111p/e111e11to di on~e;ine (EK rml 1a5apov) nella terzn e nella quinta fr<lsc, coine co111plen1ento probabiltncnte di 1noto da !11ogo (ÉK rou Kdaµov) nella ses1'1 frase.
J\ttilio Cangemi
94
Su questo sfondo ci si può chiedere qual è l'aspetto specifico ciel verbo cj>rA€w. l,a risposta non sc111bra venire dal verbo µlair11 che può relazionarsi anche ad un dya7TdUJ, bensì dal verbo ÉfE1\El;dµ77J_J che, anche dal punto di vista strutturale, richian1a il verbo c!rjJ{1\cc'111 . Si contrappongono così i due verbi, ÉrjJ{Àct-É{c1\cfd1177v, con i rispettivi soggetti, il n1onc(o - io, cioè il inondo e Gesli. Nei confronti dci discepoli, in n1aniera contrapposta, agiscono sia il n1ondo che Gesù, il inondo in fonna di ipotetica irreale (f-cjJ{Àr:L), Gesù con1e concreta azione storica (É{EAE{dµryv). li verbo <'frAE{dµryv contiene in sé l'idea del moto da luogo (ÉK), rafforzato dall'espressione ÉK ToV K6aµov: scegliendo, Cìesll ha detern1inato per i discepoli una uscita, un vero e proprio esodo, ha pen11esso un ca1nn11110 111ondo-centrifugo. fn questa prospeltivn l'azione dcl 111ondo risulta contraria: esso avrebbe attirato ancora a sé, avrebbe coinvolto in sé, avrebbe introdotto nella sua inti111itù. L'espressione stessa, nelle due parti di protasi e apodosi, pennette di ricostruire l'ipotetico ca111111ino de!P inscri111ento dci discepoli nel inondo, o anche del loro progressivo coinvolgi111cnto da parte di questo: I. se del mondo foste csprnnc origine 2. ciò che è proprio csprnnc appartenenza 3. a111erebbe esprin1e accoglienza. Se i discepoli avessero avuto origine tla! 1nont!o (r!K Tau K6CYµov), sarebbero stati (o diventati) possesso proJJl'ÙJ del 111011do (Tò l'Otoi-), il n1ondo li avrebbe coinvolti nella sua inti111ità (r!<j;!Ac:t). Torna ancora l'aspetto soggetto-centripeto del verbo E<f;lAEt che anche in questo testo assun1e l'aspetto e il senso di accoglienza nella propria intin1 ità. Ciò appare ancora più chiaro se stabiliarno una relazione tra i vv 18 .19 e i precedenti vv 12-17, dove, nel v 16, si legge ancora i! verbo El;E1\El;dµT}v, e, fin dal v 13, con una certa insistenza, il tcnnine <j;l-
307
Si può riproporre il seguente schen1a: I. se dal n1ondo l'oste 2. il inondo ciò che è suo anwrebbe
3. poiché no1i siete dal inondo 4. n1a io vi ho scelto dal n1011clo.
Il senso di dyaTTdw e çzlùllw
95
',\os-""· Emerge con più evidenza il fatto che i discepoli sono al centro di due azioni uguali e antitetiche, rispettivamente di Gesù e del mondo; questo avrebbe voluto coinvolgerli nella sua intimità (€<(,i,\n), ma ciò non è avvenuto perché Gesù da esso li ha fatti uscire e li ha introdotti nella sua intin1i!à: cioè li ha resi efy{Aot.
10. Capitolo sedicesimo: <f>d€w (vv 27.27) 'I'rovia1110 concentrati in questo testo i due usi del verbo c/JtÀÉ(u del e 16. li verbo <f>1Mw è l'unico verbo di amare in questo capitolo: "il Padre ama (<f>dà) voi, perché voi mc ave/e amato (nE<f>1,\r)wn)". Ai discepoli Gesù dichiara che il Padre li ama (<f>1AE1), proprio perché (on) essi lui"" hanno amato (rrE</J1,\r)1wTE). È singolare il primo uso di <f>1Mw con soggetto il Padre: basta già questo uso per escludere in questo verbo ogni aspe!to cli amore più basso:\w.
l_,e due espressioni: "il Padre cuna (</>tAEl) voi" - "perché voi 111e avete cuna/o (rrE<j;t)..rjKaTE)", accon1unate dall'uso dell'unico verbo <jitÀÉr11, presentano delle differenze: nella prin1a frase il soggetto è il Padre (6 T!aTr]p), nella seconda sono i discepoli (vµEi,-); nella prima frase
311
~ Si può notare la seguente relazione slrullurolc:
I. (vv 13-15) ~{,\m 2. (v 16) E{EÀE{dµ17v J. (V l 9<ì) /<jJ{,\El 4. (V l9b) É{EÀé{dµryJJ. 1 9
n Si può notare l'enfasi elci pronoine t!µr!, anteposto al suo verbo 1Tf"<jJL,\1KaTE. 10 B.B.\VARFIELD, Tlie Teri11inology o_/ [,ove in the New Testamenf, cit.. 198, che purallclwnente cita 5,20, parla non cli a1nore più basso, 1na differente: la tenerezzo del Padre verso i figli (v 27a), l'offctto dei discepoli al loro Signore (v 27b). In questo senso pili o n1cno anche C.SPJCQ, Agapè dans le nouveau Testa111e11t, cit., Ili, 219-220: si trotta dcll'at1aca1ncnto sensibile c1nozionale che i discepoli hanno acquisito verso Gesù attraverso il loro pennancntc contatto, e della tenera reciprocitò ciel Padre verso questo piccolo gregge di an1ici di Gesù: un attaccmnento scgrelo, lontano dnl!'dyd1Tr7 giovannea che solo Gesù può rivelare. ìvf. PAESL/\CK, 7,ur Bede11!11ngsgeschichte, cil.. 102-104, nel confronto tra 16,27 e 14,2!b, non è chiaro se identifichi o distingua i due verbi. Sc1nbra identilìcorli quando dice che in 14,21 la condizione cli 0111are Gesù è vista co1ne ancora eia aclc1npiersi, 111cntrc in 16,27 è vista con1c aclcrnpiuta_ -'
Attilio Gange111i
96
l'oggetto sono i discepoli (vµas), nella seconda l'oggetto è Gesù (ɵÉ); nella prima frase il verbo è al presente indicativo (ef>iAà), nella seconda invece è al perfetto (7TEef>1ArfKan). Troviamo nelle due espressioni due relazioni: il Padre ai discepoli, i discepoli a Gesù. I discepoli sono così al centro di due relazioni, al Padre di cui sono oggetto, a Gesù di cui sono soggetto. Queste due espressioni si collocano 111 un contesto pili a111p10 che parte dal v 25: "queste cose (rnvm) in parabole ho dello a voi (AEAd,\ryKG vµlv)" e si protrae fino al v 33: "queste cose (rnvrn) ho
eletto a voi (ÀEÀdA17Ka Vµlv)"; 111a il contesto può essere pili li1nitato, e può concludersi nel v 28, dove cessa il 111onologo di Gesù e intervengono i discepoli (v 29), ai quali Gesù risponde (v 31)" La nostra espressione dcl v 27 comprende quattro frasi che presentano un progresso inverso:\! 2 : I. lo stesso Padre infatti (ydp) ama (ef>lAEI) voi 2. poichè voi n1c avete conato (rrcqSLÀrj1<arc) 3. e avete crec!uto (1rErrtuTcVKaTE) 4. che da Dio uscii (É{ÉAOov). Cominciando dalla prima espressione, "lo slesso Padre infàlli a111a voi (qSLÀél)", questa, oltre che un legan1e letterario e strutturale, ha con ciò che precede un lega1nc logico~1.1. La particella ydp conferisce infatti all'espressione un valore di spiegazione, di giustificazione e di causa della precedente affennazionc di Gesli. Ne! v 26 Gesù aveva affermato che in quel giorno i discepoli chiederanno (ainjaEa8E) nel suo non1e (iv rr/J 6v611ar{ µov). Egli però esclude una sua opera di 111ediazrone. Questa infatti non è necessaria, dal 1110111cnto (ydp) che il Padre stesso interviene a loro riguardo (</JlAEl Uµd5'). Si può notare però che 1
•
111 -
Lo slesso v.27 dove leggi<ln10 ì due rp1,\!{1J, seguilo il secondo (rr€rj;t,\7fKaT€) da unti coordinata (Kai TT<'m.a-réVKar<'), a cui segue ancora una causale (r5n Ey(J). non è sen7a relazione al precedente v 26 e al seguente v 28. La relazione al v 26 è dala Lhii tcrn1ini rranfp-Uµ10l:;, la rela7ionc al v 28 è data cl<il verbo EtijABov e da rrapd con il genitivo. Inoltre sono legati dall'unico tcn11ine O rrari}p. espresso verso la fine nel v 26. quasi all'inizio nel v 27, e all'inizio e a!!a fine nel v 28. Tra i tre versi si detcr111i11a u1u1 stretta conc<1tenazionc. KGT<')
12 -' Seguono a risalire un aoristo (Efij,\80//), due perfetti (rrérr1arEV1<aTF-TTE<j-Jt ,hf un presente (çS1,\10/.) -'1.1 Stabilit<1 dall'espressione aVrò:; ydp, soprattutto dalln particella ydp.
Il senso di dymrdru e ç6ù1Éru
97
Gesù non dice ne1nn1eno che i discepoli chiederanno, con1c ci sare1111110 aspettati in confonnità alla linea ascendente dcl verso precedente, 111a dice che il Padre if>1ÀEl i discepoli, introducendo così una linea discendente. 'fra le azioni si detcnnina un salto. Il n1ovin1ento del v 26 è co111pleta111entc ascendente: chiedendo nel non1e di Gesù, i discepoli hanno con1piuto un 111ovìn1ento verso di lui. Gesù però esclude un suo 111ovin1ento verso i! Padre, tacitan1ente sottintentcndo un 111ovin1cnto dci discepoli verso il Padre. Cotne tennine ciel ca111n1ino, il Padre dovrebbe con1parire statico, in realtà egli con1pie una azione, quella espressa dal verbo
cf1.ÀÉ(JJ.
Sullo stOndo di questo 111ovin1cnto ascenden-
te, non contenendo il testo alcun altro elen1cnto, </>t1\Éw non può avere altro senso se non quello di c11nore lii accoglienza. I discepoli debbono salire al Padre, 111a Gesù ritiene non necessaria alcuna sua azione, dal 1non1ento che il Padre stesso li accoglie. li secondo uso di if>1ÀÉM, al perfetto, nell'espressione poiché voi 111e avete a1na10 (rrEr/;11\rjKaTE), con soggetto i discepoli e oggetto Gesl1, è introdotto come causa (on) dell'uso precedente: il Padre a111a (<J)1AE1) i discepoli perché essi hanno a111a/o (rrEif>d1jrnTE) Gesù. L'espressione VµEl5' É/lÈ rrEr/;t1\rjKaTE, in se stessa, non offi·e alcun elc111ento che aiuti a caratterizzare !'aspetto di </>t1\É{u. La strcttn relazione però tra le due espressioni induce a dare al secondo r/;tAitu lo stesso aspetto ciel prin10·11 ~. Non si può però nen11neno trascurare il verbo coordinato rrErrtaTEV1caTE seguito clal/'oggel1o introdotto eia 0Tt. Si pone quindi il problcn1a sulla relazione tra i due verbi (rrErj;v\rjKaTE-rrcrrtaTEVKaTE).
q~
Cfr la rcl<lzione slrulluralc che li lega: ò rrariJp if;1,\E{
lµd,,Ù/fEl'O
lµI TTF<jitÀr)/(GTE
~
Attilio Ga11gen1i
98
Ci si può chiedere anzitutto se TTETTLCJTEV!(arc sia antecedente o conseguente a rrc<jJLArj1<arc:i 1s. È ce1to conseguente per la congiunzione Ka{ che, oltre a coordinare) stabilisce anche una successione tra le due
azioni. Altri e!c1nenti però suggeriscono il contrario, che cioè rrcrnanteccde rrcr/Jt1lrj1<arc. Anzitutto il 1novi1nento globale di tutta la fì·ase è inversan1ente progressivo: rileggendo il testo all'inverso, abbiamo la seguente serie di forme verbali: un aoristo (i/;rf,\eov), due perfetti (TTEq,,,\rfrnTE - TTETTWTEVKan), un presente (q,,,vi). In questo arcVKarc
progresso inverso delle fanne verbali, rrcrrtarcV1<arc antecede rrc<f11\rf1carc. Inoltre il progressivo a111plian1enlo dell'oggetto: l'oggetto di rrc-
introdotto da 8Tl, riguarda un solo aspetto di Gesù, il fatto che <la J_)io è uscilo (rrapd ToV fJEoV ltrjAOov), !1oggetto di rrE<jJLArj1caTE riguarda invece la globalità di tutta la sua persona (t!µiy'.ir,. Possia1110 dire che il perfetto rrErr1.aTEVKaTE, rispetto a rrE<jJ1.1ì.rjKGTE, abbia un duplice aspetto sia conseguente che antecedente; l'aspetto conseguente si stabilisce dal punto cli vista sintattico, l'aspetto antecedente si stabilisce invece dal punto di vista strutturale e teinatico. I due aspetti" 17 , nella dinan1ica globale della fi·asc setnbrano interagire: i discepoli hanno creduto (rrErrtarEVKaTE) che Gesù è uscito da Dio e lo hanno an1ato accogliendolo in 1nodo stabile e duraturo nella loro intin1ità (r!-11.É rrEcj;l1Ì.rjKaTE) (aspetto antecedente); 1na, così facendo, cioè accogliendo Gesù in 111odo stabile e duraturo nella loro inti111ità (rrEcj;L1ì.rjKarE), hanno reso stabile e duratura anche la loro fede (rrErrLaTEU1carE) che Gesl1 è uscito da Dio (aspetto conseguente). Ne! primo aspetto la stabilità della fede (TTETTwnvrnn) porta all'accoglienza stabile di Gesù nella loro iutimità (ÈµÈ TTE,PlArfKan), nel secondo aspetto l'accoglienza stabile di Gesù nella loro inti1nità (lµE TTE,PlArfrnn) ha reso stabile la loro fede (rrEmanvrnn) che Gesi1 è uscito da Dio. TTUJTEVKarc,
315
Il problema sulla relazione tra i due verbi è pili eon1p!esso, 1na qui delin1ilo In do1nandn. 116 Cfr 1·enJi.1si che assu1ne il pronoinc Jpr!, anteposto nl verbo. 17 -' La cui copresenza è resa possibile dalla f'orrna al perretto: una se1nplice l'orina all'aoristo (€rr{arfuaa11) avrebbe espresso soltanto raspello antecedente puntualizz;_1lo.
Il senso di dymrdcu e ç!i,llw
99
In questo sfondo, l'aspetto del verbo cfirÀ€(1J non può essere se
non quello di an1ore cli accoglienza. Ciò concorda anche con il seguente perfetto
rrErrLaTEV1caTE,
che, con il suo oggetto introdotto
da
0TL,
i1nplica non un n1ovi1ncnto verso una pcrsona~ 1 \ bensì l'accoglienza di una realtà concreta, che, nel caso specifico, è un aspetto dclln persona di Gesù, il fatto cioè che da Dio è uscito. Rileggendo globaln1ente la nostra fì·asc nei suoi due 1novin1enti asce ne/ente ( TTL arEVW-</){.1\€r1.J) e cliscenclenle ( rjJ1.Aér1.J-TTtarEVw ), possian10 evidenziare il seguente can11nino con1plcssivo: Gesl1 è uscito da J)io e i discepoli hanno crecluto che da Dio egli è uscito, da questo aspetto più particolare sono passati alla persona globale cli Gesù che hanno cuna/o e hanno accolto nella loro intin1ità in niodo stabile e definitivo; avenllo cuna/o e accollo G'e.s·ù, essi hanno reso stabile e definitiva la loro jède che da Dio egli è uscito. Poiché (on) hanno accolto Gesi1 nella loro intin1ità (rrE<jJlÀrjKaTE), essi sono accolti e introdotti dal Padre nella sua intimità (<j>dà).
I I. capilo/o diciassettesimo: dyamilv (vv.23a.23b.24.26)-dydm7 (v.26)
Distinguia1110 tra gli usi dei vv.23a e 23b e g!i usi dei vv.24.26.
I I. I. vv 23a.23b
11 duplice dyarrdw ciel v 23 si legge nel contesto di due proposiz1on1 oggettive introdotte da una sola particella 0Tt: "perché il inondo conosca che tu 111i hai 111andato e hai atnato (1jydrr77C1as) loro co111e inc hai amato (T;yrhr~aas-) (v 23)". Tutto il periodo, dipendente dalla finale l'va yu/{JaK?J e> 1<6apos, si articola in tre proposizioni: tu 1ni hai 1na11dato - e hai an1ato loro co1ne 111e hcd conato. Le prin1e due sono coordinate 111ediante la particella t<a[, la terza è introdotta, cotne cotnparativa alla proposizione
1IH
Coine altrove !'espressione rriarcVM ds-.,.
A!!ilio Gange111i
100
precedente, n1cdiante la particella KaBr!J5'. Le tre proposizioni, stretts1nente legate dall'unico Ort, da cui sono introdotte, costituiscono l'oggetto dcl verbo yu,1rJa1cw, il cui soggetto è il n1ondo~ 1 'i. Tra i due verbi drrÉarEtÀa5' ed r]ydTTTJUGS', entra111bi all'aoristo,
coordinati dalla particella 1ca{, si dctcnnina un rapporto di successione: il Padre ha ma11dalo Gesli ed ha amalo i discepoli. li secondo verbo r]ydrrT)aas-, con soggetto il Padre e oggetto Gesù, è introdotto dalla co111parativa KaBr.Jç: l'an1ore del Padre verso i clisce1Jo/i è paragonato all'an1ore del Padre verso Gesù. Dal punto di vista logico, il secondo rjydrrryaaS', costituendo un tennine cli paragone, espri111e una azione non successiva n1a antecedente al prin10 1jydTTTJC1G5'. Si può stabilire allora la seguente successione: il Padre ha 111a11da!o Gesù, lo ha anta/o, ha canuto i discepoli con1e ha a1nato lui. A detern1inare l'aspetto del verbo dyarrdtJJ, aiuta il verbo drroCJTÉÀÀrv, a cui il pri1110 dyarrd{v è coordinato (dyarrribJ). TI verbo drrrr aTÉ1\,\r_v espri111e una azione attiva del soggetto verso l'oggetto; questo stesso aspetto dina1nico attivo deve avere il prin10 r}ydrr17uas- che ad esso è coordinato. presupposto anche per i due seguenti verbi rjyd1nr aas-. l_,a coordinazione i111pedisce diversità cli aspetto tra i due verbi. Lo stesso aspetto clinan1ico attivo bisogna attribuire al secondo 1]ydrr.,,aas-, legato al precedente 111ecliante la particella con1parativa 1ca0Ws-' 20 .
119 Il contesto pili ainpio è costituito dai vv 20-26 che pongono non pochi problenli sin dal punto di vislu stru11ura!c che esegetico. La loro consickrazione non è utile al nostro scopo. 120 [_,"aspetto din111n!co attivo di ~ydrr1Jaas è con!Cnnalo dalla relazione con 1·csprcssionc Éy1J h,1 aVTolç Kai aV h1 l11ui. Si può stabilire la seguente rch1Lio11e: 1. Eytù /u aVTolç
2. aV Ev fpo{ 3. rjyd7T1Jaaç aVToVs4. ÈpE 1jycirrr;aaç
La prin1a e la terza espressione divergono nel soggc1to. nrn non nei dcstin!ltari: !!I seconda e !a quarta coincidono nel soggetto (il Padre) e nel dcs1inatario (Cìesù). Entr!l111be le espressioni concordano in un dinan1is1no attivo dal !)mire a Gesù. L·esprcssione f-µE ~ycirr1Jaas-. co1npnrativa in una espressione più an1pia introdottn da On. scn1bra essere una azione antecedente ed esprirnc un dinan1is1110 che si conclude nell"esscre statico de! Padre in Cìesù (aV iv ȵol). Lo stesso analogmnentc si potrebbe dire dell·csprcssione ryydTTTJcraç aVTmJç (sogg. il Padre) i1l relazione all"cssere di Gcsl1 in loro (Eytù lv aVTolç). A111ando Gesù. il Padre sen1bra iniziare un 111ovi111c11!0
11 senso di dymrdru e p1Àlw
11.2.
V
101
24
Il terzo uso ciel verbo dymrdw, nel e 17, è alla fine del v 24: "poiché hai amato (rjydrr~o-a5') me prima della fondazione del mondo (v 24)". Gesù chiede al Padre che quelli che gli ha dato siano dove è lui, perché vedano la sua gloria, quella che gli ha dato. Motiva la sua richiesta con il fatto che egli, il Padre, lo ha amato (on rjydrr~o-a5' µE) prima della fondazione ciel mondo. L'espressione causale Ort Tjydrrryuas- µE segue i1n1nediatan1ente
all'espressione fjv 8i8rJJKds- µot che ha lo stesso soggetto, il Padre, e lo stesso oggetto logico, Gesli. Quest' ultirna richian1a l'espressione 1111ziale O 8Él:3w1(d5' µoL·'~ 1 , riferito probabiln1ente ai discepoli. I tre verbi O 8i8w1cds- µcn - Tfv 8i3wKds- µal - TjydTTryuds- µE, acco111unati dall'unico soggetto e seguiti da un prono1ne di pri1na persona singolare, presentano la .stessa struttura. Più spccificarnente 1jyd7TTJCTa5' appare il fondamento e la causa cli tutto lo sviluppo incluso tra i due 15N5w1w5': il Padre gli ha dato e Gesù chiede che quelli che gli ha dato siano con lui, perché vedano la sua gloria, quella che ha c!ato a lui. li fondan1ento e la causa di tutto se111bra essere il fatto che il Padre lo ha
an1a10. I due verbi 8É8tuKa5' e rjyd7TTJCT05' concordano quindi a cspri1nere un dinan1is1no attivo del Padre verso Gesù. Lo stesso valore causale ciel verbo rjydrrrJcraS' e la sua tOnna all'aoristo in relazione ai due perfetti 8<!8u;Ka5', suggerisce che esso sia l'inizio di un dinan1isn10 lii a111ore che parte dal Padre e che si concretizza e cuhnina nel duplice clono sia degli
che cu!inina nel suo essere in lui; ugualmente, a1nando i discepoli. il Padre sen1bra dare inizio ad un ca1111ni110 elle culn1ina ne!!'esscre di Gesù iii loro. 121 Si può notare nel v 24 la seguente relazione strutturale: !. Padre. ciò che hai dato a 1nc voglio .. 2. che (i'JJa) dove sono io, anch"essi sinno 3. con rne 4. /)(!rc/u} (YJJa) vedano la gloria quella inia 5. c/Je hai da/o a 111e poiché 111i hai amato. In questo sche111a On ÉydTTTJods: µE sta fuori: rna nello stesso tetnpo si relaziona ad cntrainbi i verbi 8É8MKas;.
Attilio Gangen1i
102
uomini (o 8ii5wKd5' µ01) che della gloria (Tfv Mi5tvKd5' µ01) che Gcsè1 possiede onnai in 111odo definitivo.
11.3. Il
V
26
Nel v 26 abbiamo l'ultimo uso cli dymrd1u nel c 17. Gcsi1 dichiara di avere reso noto (i!yvu5plaa) ai discepoli il non1e del Padre (rO 61/011d aov) e di renderlo noto ancora (yvwp{arv). Mediante la particella fìnalc l'va Gesù introduce lo scopo di questa sua azione: "perché /'cnnore
(~
dycirrry) con cui hai cnnato n1e (1v 1rdTT7Jadc; µE) in essi sia e io in es-
s j".1'22. Nella pri111a parte della frase trovian10 tre c!einenti: ~ riydrrry - T,'p f?ydTTTJcrd<; µE - fp a-Urolc;, seguiti dal congiuntivo presente \}. Essi per-
1net10110 di ricostruire un ca111111ino: I. il punto di partenza: ~ dycilr~ 2. i! passaggio intern1eclio: fjv r,ydrrryads- µe 3. i! tcnùinc: Év a1Jrols~. Se111bra essere qui delineata tutta la storia de/l'dydrr17, che pnrle dal Padre, raggiunge Gesù (11E) niediantc una concreta nzione di an1arc del Padre, è finalizzata ai discepoli. Questa storia però non arriva ai discepoli senza la 1nediazione di Gesù. Intervengono intàtti due cose, la sua preghiera -' 1 ·' e !a sua azione di rendere noto il non1e del Padre, distinta cronologica1nenle in due 1110111enti -' 2 ~. Rendendo noto il 11on1e del Padre ai discepoli, Ciesù fa sì che l'dydrrry con cui il Padre lo ha an1ato raggiunga i discepoli e sia in
·'
22
Tutta l'espressione
finale c01nprendc due parti strullurahili
nel seguente
inodo:
I . iJ dyciiTTJ ~'r1 1jyriTTTJa-cis- µi: 2. Év aUrols3. il
4.
Kdyr,j
5. Év
aVro/.,.~.
L'espressione 11 aVroìs- è identica nelle due pnr!i: stanno in relazione così i due soggetti; ry dycirr17 ... Kdy11!. _,n Tutto il contesto è preghiera di Cìesù a! Padre. ·'~~ Eyvlilpt aa -yvuip[ a-1u. 1
Il senso di d;vmrdùJ e (2!1,,là1
103
loro. In questa prospettiva l'dydrr77 appare con1e una realtà essenzial111ente dinan1ica che co1npie essa stessa un ca111111ino verso precisi obiettivi: parte dal Padre, giunge a Gesù, per n1czzo cli Gesù perviene e pen11anc nei discepoli. Prescindendo da altre considerazioni più esegetiche, dyarrdfiJ appare in questo testo co1ne una azione concreta dina111ica, attiva, dcl Padre, che pennette alla sua dydrr77 di passare a Gesù e, attraverso di lui, ai discepoli. Non si tratta di una dydrrry qualsiasi, n1a precisan1ente
quella con cui il Padre ha senza Gcsù·'~ 5 •
an1ato
Gesù e che non raggiunge i discepoli
12. I test; riguarr/onti ;/discepolo che Gesù runova: dyarrdùJ ( 13,23; 19,26; 21,7.20) - <f>1Uw (20,2) Nella determinazione dell'aspetto semantico dei due verbi di e <jJLÀÉ(V, non possian10 ignorare gli usi che nel vangelo di Giovanni caratterizzano il discepolo. A riguardo sorprende il fatto che, per cspri1nerc l'a111ore di Gesù verso il discepolo, rautore 4 volte su 5, in 13,23; 19,26; 21,7.20, usa il verbo dyarrdtu, una volta invece, in 20,2 usa il verbo <f>1.Mw. Da ciò si potrebbe concludere, e di fatto talora si è concluso, che i due verbi sono sinoni1ni-'~ 6 . a1J1are, dyarrdtJ.J
_ì~ 5 Cfr l'espressione enfatica Kdy{J, e la relazione tra EyViJp1.oa cd r)rdITT/ods-. Per citare i classici, cfr tra i tanti M. PAESLACK, /.11r Bede11t1111gsgcschiclite.
-126
cii., 106. E. EYANS, l'f1e Verb dyam7P in the Fo11rth G'ospel. cii., 69.70 spiega che il discepolo che Cìesl1 a111avo (dyarrdM) è uno che ha trov81o in Gesù la sodclist~1zio11c dci suoi bisogni e elle Gesù può <1pprovare. DI tale eoncliscenclcnza avev<1 egli bisogno dovendo poi parlare di lui. Questa condiscendenza è un fi1tlo personale, sicché. quando !'evangelista deve presentarlo accanto a Pietro, come in 2(L2, usa <fi,\1-M. Si può chiedere però ad Evans se in 20,2 sia proprio sicura questa estensione clell'an1o(e di Gesl1 cmehc a Pietro: oppure perché non è estesa in 13,23 e 2L7.20 dove Pietro è presente e tutlavi<1 è usato dyarrrùù. 13.B. WARFlELD, The Ten11i110/ngv o/ /,ove ili the 1\lew Testamenr, cit.. 193.19:1 è più o 1ncno in questa prospettiva: rf>1,\i(JJ. in 2(t2. cspri1ne l'aflètlo cli Cìesù per Giovanni, estensibile anche a Pietro. 1\!trove è usato dyarrdM perché questo è il tennine più usuale: in 20,2 c'è l"opportunitù di usare il tenninc più appropriato. Si potrebbe obiettare <1 \Varfield che i! problc1na è csattainentc inverso: 20.2 è !'unico lesto riferito al discepolo dove (Jesù è <1ssenle.
104
Attilio Gange1ni
[)ue elen1cnti però dissuadono dall'accettare a-priori si111ilc conclusione. Anzitutto la sproporzione degli usi, quattro di dyaTTrirv e uno solo di cj;LÀÉr11: la sinoni1nia, per cui il n1utan1cnto sarebbe stato cvidenten1entc operato per ragioni stilistiche, forse avrebbe esigito un uso pili equa1nente proporzionato dei due verbi. Inoltre la posizione cli <jJLÀÉw
riferito al discepolo, in 20,2, al centro cioè dei quattro dyarrdru
sempre rifcri!i al discepolom. Si ha l'impressione che in 20,2 l'autore abbia delibcrata111ente n1utato i! suo verbo tecnico dyarrdw nel più insolito if>Lr\ÉLu, per un suo preciso scopo, che ovvian1entc bisogna deter111 inarc.
12. I. Relazione tra i testi riguardanti il discepolo
Notinn10 anzitutto la relazione tra i vari testi dove !~evangelista caratterizza il discepolo con il verbo dyarrdt1J. Chiara1nente 21,20 richian1a 13)23-' 28 ; non è evidente invece la relazione tra 19,26 e 21,7. cruttavia, COllle abbia1110 indicato in !!!lO studio precedente, ]a scena di 21,7, dove il discepolo dice a Pietro O /(Upu5~ ÉaTtv, sen1bra presupporre e diventa pili comprensibile se letta alla luce e nello sfondo di 19,26 -'" 9 .
dyarrdlu ( 13,23 )-dyarrrhu ( 19,26) ~,,\{,,, (20.2) dyarrdt1J (2 l, 7)-dyarrdM (21.20). -' 1 ~ J\. (I J,24): acccnn(] a questi Si111on Pietro e dice a lui: dL clii è ( r[ iaTU/) .. B. (13,25): tÌ//UTTEalÙV ... Ém' rò arij8o5' roV 'fryaoV ... J(Upté, r[S' Èanv B'.(13.25): .. rivÉrrEaEv ... ETTI rO arij8o5' aUrov.. KVptE, rl5' Èanv 1\'. (21.,11): questo avendo visto Pietro dice n Gesù: costui che cosa (rl). La rc!(]zìone, oltre che lctternria, è anche tematica: in entrambi i testi don1in(] la prospettiva ciel lraditorc. e di 111ovi1nenlo: in B-B' il 111ovi111cnto è dnl discepolo n Cìcsù
n rigua_rclo del traditore. in ;\-/-\' il 111ovin1en10 è di Piclro al discepolo c. tran1itc costui, a C3csl1 a riguardo del 1n1clitorc (/-\), o a (ìcsù ri riguardo ciel discepolo (A'). 29 -' Cfr i! rnio studio: f racco11fi postpasquali J1el vangelo di Son Giovanni, JIL Acireale 1993, 222-229. Del resto i due testi prescntm10 analogo 111ovi111c1110. Sull'unico sfondo di Gesù, il discepolo è relazionato alla n1nclrc (19,26) e a Pietro (21, 7), in diverso 111odo però: in 19,26 con1c oggetto ciel dono alla 1nadre e come !cnninc ciel dono della nrndre: in 21.7 co1nc inediatore di un annunzio a Pietro.
li senso di dyaJTd0 e ptÀÉùJ
105
Prescindendo da altre relazioni più sccondarie-n 11 , la relazione fondamentale dcl discepolo nei quattro testi caratterizzati dal verbo dyarrdw, è una sola: a Gesù. In due aspetti però diversi e co1nple1nentari, Gesù-centripeto, la relazione del discepolo a Gesù, Gesù-centrijitgo, la relazione di Gesù al discepolo. L'aspetto Gesù-centri11eto en1erge 111 13,23-25 e 21,20-21 111 , l'aspetto Gesù-centl'lfi1go emerge invece 111 19,26 e 21,7m Si ottiene così il seguente schema di relazioni: 1. 13,23-25: relazione del discepolo a Gesù 2. 19,26: relazione di Gesù al discepolo 3. 21,7: relazione di Gesù al discepolo 4. 21,20-21: relazione del discepolo a Gesù. Lo schen1a di queste relazioni è concentrico e gravita attorno al testo di 20,2 dove è usato if;tAitv. Questa posizione centrale di c/Jl1ÌÉt.ù tra i quattro usi di dyarrdw rivela che il suo uso non è C<fSUale o dettato da 111otivi stilistici, 1na è suggerito alrcvangelista dalla precisa prospettiva con cui egli vuole presentare questa figura in 20,2.
12.2. Il verbo <f;rMrv in 20,2
li testo di 20,2, con <f;1Mw, appare invece diverso rispetto agli aliri quattro con dyarrdw. In particolare si possono individuare due differenze fondatnentali. Anzitutto i testi dove è usato dyarrdw sono tutti caratterizzati dalla presenza esplicita di Gesù, il testo di 20,2 invece è caratterizzato dalla sua esplicita assenza. Tale assenza poi appare co111c il presupposto di un ca111111ino che, passando attraverso l'esperienza a! sepolcro,
_un A Pietro e al traditore ( ! 3,23-25), ri Pietro (21,20), a!!a n1riclrc ( 19,26), ri Pietro (21,7). Hl In cntnnnbi i testi è 1ncnzionato i! 1novi1ncnto dc! discepolo che reclina sul Jianco cli Cìcsù. 2 -'-' ln 19,26 il discepolo, assic1nc rilla i\4adre, è oggello cli una azione cli Gesù. In 21,7 il discepolo che dice a Pietro ò f(Vp16ç Éa-TIY, ha ricevuto una 1nanifcstazione da parte cli Gesù.
I 06
Attilio Gangemi
culrnina nell'esperienza dcl Signore da pa1tc di Maria Maddalena (Gv 20,I 1-18) '"· Inoltre nei quattro testi dove è usato dyarrdw la relazione del discepolo a Gesù appare più statica 3_i-1-; in 20,2, con c/;lÀÉ{u, invece il discepolo è presentato essenzialn1ente in un can1111ino che culn1ina nel ville e credette di 20,8. In queste differenze probabihnente bisognerà cercare la spiegazione e il 1notivo dell'uso di if;tÀÉw in 20,2. Una osservazione però è n1olto utile. L'espressione Ov Ecj;L\EL 6 '!77ao(1ç di 20,2 richian1a il racconto della resurrezione cli J_,azzaro:ns. I due racconti presentano una analogia: in entran1bi si parla cli un personaggio che Gesù i!<fJL1\E'-, in entra111bì appare la relazione al sepolcro. C'è però una fOndan1entale differenza di prospettiva: nel c.11 il sepolcro riguarda Puon10 che Gesù f-cjJ{)EL, J_,azzaro, e Gesù va al suo sepolcro; in 20,2ss, al contrario, il sepolcro riguarda Gesù e l'uo1110 che Gesù f-cjJ{ÀE1., il discepolo, va a! sepolcro. Si può ancora notare che ucl c. I I l'uomo che Gesù c'</>OEL, Lazzaro, ha relazione al sepolcro con1e in esso presente, nel c.20 (Jesù ha relazione al sepolcro con1e in esso assente. I I fatto che Lazzaro è una persona che Gesù f-cjJ{ÀEt, induce nel c 11 Gesù ad andare al sepolcro; il fatto che il discepolo è una persona che Gesù d-cff1\Et, setnbra essere il n1otivo nel c 20 per cui al discepolo con1peta di essere destinatario assien1c a Pietro dcl niessaggio della Maddalena e anche, se111pre assien1c a Pietro, di niettersi alla ricerca di Gcsl1 e di correre al sepolcro. La relazione tra Gv I I e Gv 20, I- I 8 è molto più complessa ed esigerebbe uno studio più a1npio e specifico. Ci lin1itia1110 solo a notare che i due racconti, legati dalla stessa i111111agine del sepolcro, sc111brano presentare una con1ple111entarietà,
quasi una continuità
ideale: Gesù
:rn Si può notare che Pietro e il discepolo, n1essi in 111ovi1ncnto dalla notizia della f\- !addalcna (Gv 20,2), in renltà non fanno esperienza diretta dcl Signore. n1a solo delle bende e del sudario. :n--1 Cfr. le varie espressioni che, pur scnLa escludere un cerio dinnrnisrno, csprin1ono rondaincntalrnente una staticitù: i]v OE dvEKE{µn10:; ... dvarrEaù511 lrrl TÒ (J"rij@o:; (!3,23-25): rrapEfYTC'Jra (!9.26) - 6 KVp165· !anv (21,7) - O:; KaÌ dvÉrrECJéV .. lrri TÒ o·rijOo<> (21,20). 15 ·'-" Q,,, <f>iÀE"i:; da@EvEl (J 1,3); i'8E TT{~ Ff>l),_EL (11,36); Ov lf>LìEf_ à 'JryaoV'>~ 1
(20.2).
Il senso di dymrdùJ e ç61/IÉùJ
107
amava (i<j>O.EL) Lazzaro e va al sepolcro (e 11); Gesù amava (i<j>{M1) il discepolo e questi va al sepolcro (e 20). li sepolcro sembra essere il centro di due 111ovi111cnti con1plcn1entari: di Gesù che va al sepolcro cii Lazzaro, del discepolo che va al sepolcro di Gesù. Lazzaro e il discepolo, legati dall'unico €-if;[À.EL, attuano due 1novi1nenti opposti 111a
con1p lcn1entari. li confronto di Gv 20,2 con Gv 11 non permette però di stabilire di pii1. Ma è possibile stabilire un progresso alla luce del termine cj;{1\o:; che, in 11, 11, caratterizza Lazzaro, da Gesù definito O rjJ{)..oc;~µwv. Questo termine ci rimaucla ai suoi due usi di
15,14.15.
I due usi dcl termine <j>0.05', in 15, 14. 15, presentano diversa relazione. Il pri1no uso (v 14) è relazionato ad una condizione che deve realizzarsi da parte dei discepoli: essi saranno i <f>D\ot cli Gesù se f'aranno ciò che egli con1anda. II secondo uso (v 15) è relazionato nel una causa già realizzata da parte di Gesli: egli ha dichiar~to i discepoli cj>{/\ol perché ha reso loro noto (€yv11fpLaa) ciò che ha udito dal Padre, n1a, prin1a ancora, Gesù !i ha scelti (ÉfE1\Efdµ77v), Entran1be le relazioni sono necessarie perché la condizione di cjJi1\oç possa realizzarsi. Attorno al tenni ne cjJL\oç ruotano così, in l 5, 14, due 1novi1nenti, uno dei discepoli che debbono fare ciò che Gesù comanda (v 14), l'altro di Gesù che ha scelto e ha reso noto ciò che ha udilo dal Padre. Questi due n1ovin1enti, s111e1nbrati e dina111ican1ente descritti, può rautore avere voluto presentare nei. due episodi, rispettivan1enle del e 11 e di 20,2-8. Gesi1 É<j>On Lazzaro e lo chiama dal suo sepolcro: ciò può corrispondere al verbo É/;EÀE/;dµ~v di 15, 16. Gesù é<j>O.E1 il discepolo e questi è i111pegnato in un can11nino fatto scattare dalla Maddalena, che può corrispondere al ''se .fàte ciò che crJlnanclo" di l 5, 14. li verbo ri<j>{ÀEl espri1ne così la condizione co111une di Lazzaro e del discepolo. Gesù f-<j>{ÀEL Lazzaro, era cioè nella sua intitnità, ed egli lo chian1a dal se1Jo!cro, Gesù €<j>iÀEL il discepolo, era cioè nella sua 1nti1nità e questo si sente i1npcgnato in un ca111111ino che culn1ina nel se-
A ttiiio Gangemi
108
po/ero, dove vicfe e crec1etfeT" 6• Dalla
con1une situazione cli icj;l;\c:L si
biforcano due attività diverse, che però hanno in co111une la nozione di se170/cro. Nel e 11 il soggetto che a111ava, Gesù, va al sepolcro cli colui che canava, Lazzaro; in 20,2, la persona a1r1ata, il discepolo, va al sepolcro del soggetto che cnnava, Gesù. Il questa prospettiva al verbo <jJi).,Éf,J, in 20,2, come già in l l ,3.36, si addice il senso di an1ore di accoglienza e di inseri111ento nella propria intin1ità. Proprio perché Gesù aveva L,azzaro nella sua intimità (i<jJiAEL) va al suo sepolcro; proprio perché era nell'intimità cli Gesù (i<jJOE1) il discepolo va al suo sepolcro.
12.3. l quattro usi cli dyaTTdw in 13,23; 19,26; 21,7.20
r
quattro usi cli dyaTTdw, riferiti al discepolo in I 3,23; 19,26; 21,7.20, concordano in due aspetti con il verbo </J1Mru di 20,2, nel fatto che il soggetto è seinpre Gesù, nel fatto che la t'orina verbale è élll'in1pcrfetto, espri1nendo così una azione abituale e continua. Se considerian10 gli usi di dyarrdN nel vangelo di Giovanni, spccifica111ente quelli che hanno con1e soggetto Gesù e co111e oggetto gli uon1ini, questi registrano un solo uso ancora all'in1perfetto _:in, precisa111ente in l 1,5, nl quale però, a differenza di cj;r1\ÉN, non possis1110 riferirci per la differenza di oggetto. Il testo 111igliorc per spiegare l'espressione Ov 1rdrra, riferita al discepolo, appare così il testo di 14,21, dove l'essere conati da Gesù costituisce il punto di srrivo cli un can1111ino dei discepoli che parte dall'osservanza dei con1anda111enti e passa attraverso l'amore del Padre. li passaggio dal futuro dyam)aù! all'in1perfetto 1ydrra è facile. Giunto al tcrn1ine del can1n1ino, divenuto <jJO.oo (15,24) e radicato nell'amore di Gesù (15,10), il discepolo diviene oggetto del suo amore ( 14,21 )''·": l'imperfetto 1rdTTa coglie il disce-
-'-' 6 Sul senso più ampio del racconto di Gv 20,1-8 e soprattutto del ca111111ino di Pietro e dcl discepolo, cfr i! n1io studio: I racconti postpasqua/i nel vangelo di S.Giovanni, L 1\circu!c 1989. -'·' 7 Altri usi sono ull'aoristo (!3,1.1.34; 15,9.12) e al tìituro (14,21). ·'-'·~I tre testi (!5,14; 15,9.10: 14,21), legati du!!'unico tenia dell'osservanza dci conrnndainenti, sc1nbrano qui oftì·ire un progresso inverso: essere ;_unici ( 15. 14 ),
Il senso dì dymrdùJ e ç)tAlùJ
I 09
polo in questa condizione divenuta ormai abituale e costante. Il richiamo al testo di 14,21 suggerisce che il verbo 1rdrra, riferito al discepolo, deve avere lo stesso aspetto dina111ico attivo che ha dyarrdw
in quel testo-'.-w. Rin1ane da verificare questa prospettiva dina111ica attiva di dyaTTdw nei singoli testi: essa facilinente e111erge in ciascuno di essi.
12.3.1. Il verbo dyarrdw in 13,23 li v 23 si legge nel contesto dei vv 13,23-25, dove possiamo 111divic\uarc tre ele1nenti che caratterizzano il rapporto tra Gesl1 e il discepolo: I. era giacente [ ... ] nel fianco di Gesù (v 23a) 2. che amava Gesù (v 23 b) 3. essendosi reclinato [ ... ] sul petto di Gesù (v 25). Le tre frasi, acco1nunate dal 110111e G'esù, presentano diverso dinan1isn10. La pritna e la terza tì·ase esprin1ono il rapporto dcl discepolo a Gesù, la seconda invece esprime il rapporto di Gesù al discepolo. li rapporto del discepolo a Gesù, nella pri1na e terza frase, è ancora diversificato: nella prin1a fì·asc il rapporto è statico (era giacente), nella terza invece è dinarnico (essencfosi reclinato). Queste due espressioni, che espri1nono il rapporto del discepolo a Gesù, possono global111ente richian1arc, nella lettura inversa delle due frasi, il rilnanere nell'an1ore di Gesù (µÉvE1v ÉI/ rii dydrrv) di 15,9. I O. J\I centro, mediante la nostra espressione che an1ava Gesù, c'è il n1ovin1ento di Gesù al discepolo che, come abbiamo notato, facilmente richiama il testo di 14,21, nella prospet!iva sopra indicata. Nel contesto di 13,23-25, 111 cui è espresso un orientan1ento del discepolo a Gesù, il verbo dyaTTd{u, che caratterizza il rapporto di Gesù al discepolo esprin1e pure un dinan1isn10 attivo.
ri1nm1crc nell'a1nore di Gesù (15-10), essere da lui an1ati (14,21). Si può dedurre un'ulteriore deliniLione del rjJ/Ao,,-; è colui che, entralo nel!'intirnitù di (ìesù. ri1nane ne! suo amore e Gesù lo mnt1. :rw In 14,21 il verbo dyarnja(iJ, con soggello Gesù, è coordinulo al verbo lµrjJa" 14aliJ, attivo, sernpre con soggetto Gesl1.
Attilio Gangemi
11 O
12.3.2. Il verbo dymrdr,; in 19,26 riscontrare 111 19,26, La stessa prospettiva si può nell'espressione "il discepolo stante che an1ava ( TÒI/ 11a8r;n';v rrapEaTilTa 8v rjycfrra )". L,e due espressioni T0v µaBryn)v TTapEaTr1Jra Ov rjydrra presen3 tano analogo schen1a strutturalc -1°, 111a opposta dina111ica interna. Nella prin1a espressione il discepolo è soggetto logico ( ròv µaBr;r~l/) di una relazione locale statica (rrapEarrUra), nella seconda espressione invece egli è oggetto, anche sintattico (81/) cli una relazione da parte di Gesli. Il tcnnine rrapEart1Jra assu111e una particolare enfasi 3-1 1: dcl discepolo si sottolinea non dove sta, 111a il fatto che sta. En1crgono così due aspetti del discepolo: !a sua posizione statica e la relazione dinan1ica di Gcst'l a
ILI i. La posizione statica appare quasi con1c il cul111inc cli un can1n1ia cui segue l'azione di Gesù espressa con dyaTTdr1J. Si richian1a110 ancora le due prospettive, statica e clinan1 ica, che en1ergono rispcttiva111entc in 15,9.1 O (µÉ//r1; <f1,; rfi dydTTf!) e in 14,21 (dyarr1cH1J a1JrO//). Ciò pern1ette cli concludere ancora sul carattere dinan1ico attivo di dyarrdw in questo testo. no-1-12,
12.3.3. Il verbo dyarrd1u in 21,7 Pili laconica appare invece l'espressione di 2l,7, dove il disce~ polo, 111isteriosa111ente co1nparso e subito riscoinparso, annunzia a Pietro: il Signore è (6 Kup16<: hnr v). J_,c varie espressioni cli 21,7, riferite ai van personaggi: O 11aBTJTi;5' f-Kcl//05' 01J 1]ydrra O '/77uoU5' [ ... ] T(;; JTErptp [ ... ] c1 Kvp16<;
rrapEUT(r)TG
b'v l]ydrra.
-' 11 Per l<l fusione del precedente (v 25) verbo l'aTr-,µi con rrapd, per l'assenLa di (jll<llsiasi elcn1ento di relazione, per la stessa IOrn1a a! pcrlCllo. _ì-f] CJì· 18, 15: rjK01\oVOo.
li senso di dymrdùJ e ç!1,làu
1I I
presentano uno sche1na strutturale al!ernato-l.f\ che stabilisce una relazione tra il discepolo e Pietro, 111a anche una relazione tra l'azione di Gesù e l'annunzio del discepolo. Le due espressioni Dv 1rd7n] O '!770DÙ5' e 6 l<VpL65' ia-rlv esprimono così un duplice rapporto inverso, di Gesù al discepolo, verso il quale egli compie l'azione di amare (1]yd7Ta), e del discepolo a Gesù, di cui egli dichiara: il Signore è-'- 1 ~. Questa dichiarazione è rivolta a Pietro. ÈaTLv
Tra l'azione di Gesù di amare il discepolo e quella di costui cli manifestare a Pietro, emerge un vuoto: donde il discepolo sa che il Signore è? Tale vuoto però può essere colinato alla luce ancora di 14,21, dove, a riguardo di colui che lo cf!na e che perciò sarà conato eia! Padre, Ges[1 dichiara: anch'io lo amerò (dyam)mu) e manifesterò (ɵif>av{mv)
111c stesso a lui. Gesù quindi a1na il discepolo e si 111anifesta a lui; avendo accolto la 111anifestazio11e di Gesù, egli può tras111ettela a Pietro) al quale dichiara il ,'Ji_rsnore è. fn relazione ad un tacito €µef>av{at.iJ) il verbo ryyci.TTa in1plica nncora un di11a111is1110 attivo cii Gesù verso il discepolo.
12.3.4. Il verbo dya?TdùJ in 21,20 ln 21,20 la descrizione del discepolo è intrndotta dall'azione di Pietro, il qunlc, "voltatosi, ville ;J clisce;Jo/o che an1ava Ci-esù (/Jv ryyd-
rra 6 '!ryaovc;) che seguiva". La descrizione dcl discepolo, in questo lesto, è abbastanza lunga e riprende, non senza qunlche n1odifica, la descrizione di 13,25. Prescindendo da altri intrecci te1natici che confluiscono in questo testo, quali per esen1pio la relazione del discepolo a Pietro nel con-
_-i-1.i
1. à
µaOi7n'/5' ÉKElvoç
2. (iv ~ydrra 3. n;V TT;Tp(ù '-1. 6 J(Jp165' -'-1-l L<l vcr<l rcbzionc scepolo - Pietro: (ìcsù a11n1
o . r ryaoif:,-
Eanv. pili clircttm11cntc intesa nel lesto è discendente: Gesù - diil discepolo - il discepolo dici:
rt
Pietro.
Attilio Gange111i
112
testo, la descrizione di 21,20 J-1 5 presenta due 1novin1cnti, uno cliscc11-
dente, da Gesù al discepolo (ryydrra), l'altro ascendente, dal discepolo a Gesù (dvirrwEv [ ... ] drrEv). Il discepolo è oggetto (ov) di una azione da parte di Gesù, 1na è anche soggetto (Oç) di una duplice azione verso Gcsù3-1(" Si stabilisce ancora una relazione tra Gesù e il discepolo che si può definire dialogica. Il discepolo co1npie una azione di inserin1ento in Gesù (dvirrrnEv), che richiama ancora il testo di 15, I O (11fcv1u), Gesù lo an1a e con1pie in n1odo stabile e definitivo razione di lunare (1ydrra), che richiama ancora il testo di 14,21 (dyamfuw). li discepolo cosi diviene, il clisce1Jo!o che Gesù cunava. In questo sfondo tematico il verbo dymrdM, in 21, I O, non può avere altro aspetto se non quello dinarnico attivo, csprin1ente cioè un dinan1is1no del soggetto (Gesù), verso il suo oggetto (il discepolo).
J3. C'onr:l11sh)l1t
La conclusione di tutto il nostro lavoro, condotto attraverso 1 LXX, il NT e il vangelo di Giovanni, è abbastanza sen1plice e può essere enucleata breve111entc. I due verbi drarrdu;-</Jt1\€w anzitutto non si rivelano sinoni111i, né nei LXX, né nel NT, né, spccifican1ente, nel vangelo di Giovanni. Es-
·'·L'i
Strutturata secondo uno schema concentrico: T011 µaerynj11
av
l]ydrra fi 'Jryaolx;
dKoÀoueoUvra /(GÌ
d//ÉTTEO"EV. . .KGl EÌTTE/J
r! rrapa8180V<; 6
UE .
Ci si può chiedere quale delle due descrizioni sia anlecedentc, se quclli:i di C.ìcsù (l]ydrra) o quella de! discepolo (d11ÉrrEaEv). Ritengo elle preceda quella de! discepolo; 111anea qualsiasi ele111c11to che detennina un rapporto di successione (il Kaf è correlativo Kal. .. Ka!); l'<1zionc del discepolo è arrichita di molti pnrticolari. quella di Gesù invece è descritta in n1odo generico; !'aoristo (dPÉrrEaE11) ri111anda ad avvc11i111cnti precisi, n1cntre l'imperfetto (l]ydrra) esprime unn azione abituale e continu<l. Sc1nbra che !'azione dcl discepolo voglia spiegare il 1notivo per cui (iesù r)ydrru. L'aoristo d11irrf"uEv si spicg<l 1neg!io come aoristo ingressivo. a cui segue bene un in1perf'ctto continuo l]ydrra. L'autore suggerisce che il discepolo. presa quella posiLione. vi rimane determinando così un a1norc abituale e continuo da parte di Gesù. .\!
Il senso di dyami0 e ç}1Àl0
113
si, pur traducendo nei LXX l'unico verbo ebraico JnN, si diversificano, espri1nendo ciascuno un aspetto specifico nella più an1pia attività di
canare. Negativan1ente però essi non esprin1ono un an1ore quantitativamente o qualitativamente diverso, ma esprimono, nell'atttività di a1nare, una diversa dina1nica di relazione tra il soggetto che an1a e l'oggetto che è amato. Il verbo dyaTTdw csprin1e un ainorc dina1nico attivo, di dono; un dina1nisn10 soggetto-centr(fitgo, che parte cioè dal soggetto e culn1ina nell'oggetto, che si esprin1e anche 1nediantc una azione concreta e che può arrivare anche fino al dono di se stessi. In questo senso il soggetto con1pic un n1ovi111ento verso il suo oggetto, ad esso si apre, si orienta e si protende; per esso con1pie anche una azione; ad esso dona anche se stesso. In questo senso si coinprcnde anche l'an1ore verso i nc111ici, espresso nei vangeli sinottici appunto con dyarrd(;J'· 17 . 11 verbo fj>L;\r!r;J esprin1e invece un lfl!lOre cli accoglienza llell 'og~etto nella jJtOJJria intilnità da parte del soggetto, un dina111is1no .'ffJ,g,r;etto-centriJJCfo, niediante il quale il soggetto coinvolge in sé e conserva nel suo intin10 l'oggetto desiderato. In questo senso il n1ovin1ento non è pili con1piuto dal soggetto che si apre e si orienta verso il suo oggetto, bensì dall'oggetto, che è accolto e coinvolto nella propria intin1ità dal soggetto da cui è attirato. !.!oggetto è presente e vive affettivan1ente nell'anin10 ciel soggetto. Il coinvolgin1ento affettivo di un oggetto detennina talora anche il desiderio, la bran1a, l'anelito al suo possesso concreto. In questa prospettiva, in assoluto, l'aspetto di un verbo può anche esistere senza quello dell'altro: si può cioè dyarràP senza ef>t1\ELP e viceversa. lJn soggetto può aprirsi e anche donarsi ad un oggetto (dyaTTd(;J) senza pertanto averlo a cuore (ef>t;\É(;J): questo può essere il caso delran1orc verso il ne111ico. Al contrario un soggetto può avere a cuore un oggetto bran1andolo solo egoisticaincnte (ef>L;\É(u), senza pertanto aprirsi e donare o donarsi ad esso (dyaTTd(;J). Negli usi dci due
q
7 Cfr fVlt 5,4.<Jss: Le 6,27-37.
114
Attilio Gangemi
verbi nel vangelo di Giovanni però i due aspetti se1nbrano interagire. L'dydTT77 infine è la di111ensione interiore che spinge il soggetto a tendere verso il suo oggetto. Alla luce di queste conclusioni è possibile rileggere il dialogo tra Gesù e Pietro in Gv 21, 15-17, dove Gesù interroga Pietro le prime due volte con il verbo dymrdw (vv 15 .16) e la terza volta con il verbo qw Mw (v 17), e dove Pietro, invariabilmente tutte tre le volte, risponde con <jJ1Mw. In questo studio però prescindiamo dalla specifica considerazione del dialogo di Gv 21, 15-17.
Synaxis XVI/ I ( 1998) 115-129
L'INIZIO, LA FINE E IL FINE DELLA VITA UMANA QUESTIONI DI METABJOETICA
MARIO CASCONE
Indubbia1nentc i te111i studiati dalla bioetica sono di scottante attualità e suscitano dibattiti vivaci e talvolta anche accesi. Questa vivacità risulta vcra111ente i1npressionante, se si pensa che !'1101110 conte1nporaneo non se111bra incline ad ''appassionarsi'~ di niente, i1nn1erso com 'è in quello che è stato definito il clima del "pensiero debole", ossia di un pensiero che rifugge dalle "appartenenze -forti" e dallo scon-
tro ideologico vivace, che ha caratterizzato il nostro panoran1a cullurale fino a pochi anni fa. Le questioni di bioetica, quali la fecondazione artificiale, la clonazione, l'eutanasia o i trapianti di organi, sono invece af'fì·ontate con un discreto e positivo senso di "passione", che n1ctte a confronto diverse visioni dell'uon10 e, dunque, diversi sisten1i etici. Questo interesse per la bioetica è suscitato sicuran1ente dalla consapevolezza che questa disciplina tratta problen1i di vitale in1portanza per l'uon10, occupandosi della vita stessa dell'uo1110: della sua or1g1ne e della sua fine, della sua dignità e della sua trasn1issione da un essere umano all'altro, della sua tutela e della sua promozione. Le questioni studiate dalla bioetica si collocano perciò entro un orizzonte problematico molto vasto, che tocca di fatto tutto il sapere stesso dell'uon10 e l'intero scenario culturale nel quale J'uon10 conte111poraneo è inserito. Per questo 111otivo risulta utile partire da una
' Professore di Teologia n1orale nello Studio Teologico S. Paolo cli Calania.
11 6
Mar;o C'oscone
riflessione prospettica più ampia, che possa collocare i terni della bioetica in una cornice culturale che di fatto li condiziona. Non mi pare possibile studiare le "scottanti" questioni bioetiche senza fare riferi111ento a questo scenario culturale, che iniluisce sulla fonnulazione e sull'interpretazione di queste stesse questioni. Il riferimento a questo panoran1a culturale sarà rapido, quasi rapsodico, e quindi necessariamente incompleto. Non darà sufficiente ragione della "complessità" che caratterizza la nostra attuale cultura, n1a intenderà offrire solo alcune piste di ri-flessione, entro cui situare i ten1i della bioetica.
I. LO SCENARIO CULTURALE
1. Neo-illurninisn10 o età {/e! jJOst-1no{/erno
La nostra attuale cultura viene generaln1entc definita con1e "post-111oderna". Gli ele1nenti essenziali che la caratterizzano, infatti, sono in gran parte segnati da un recupero rivisitato di quelli che erano stati i tratti caratteristici dell'illu111inisn10 e de!l'età 111oderna. Il prin10 di questi tratti è la dislocazione dell'essere all'esserci, ossia clel1'essenza all'esistenza, ciel senso-già-dato alla singolarità soggetiva di un'esistenza, che si coglie certan1ente nella sua irrepetibilità unica, n1a anche nella sua singolarità incliviclualistica. Il rischio è che la persona, intesa co111e essere esscnzialn1cnte relazionale e sociale, venga ridotta a individuo, che sta niateriahnente assien1e agli altri solo per una convenienza o per una sorta di egois1110 razionale. I! post-1nodcrno risolve l'annosa questione dell'esistenzialisn10 tra l'essenza e l'esistenza a favore di quest'ultin1a, rifuggendo sostanziahncnte dalla fondazione 111etafisica del soggetto, anzi riducendolo a individuo privo di un fonda111ento assiologico. In questo siste111a culturale la libertà viene intesa non con1c uno strun1ento per realizzare il bene, 111a con1c la fonte stessa del bene. In altri tennini: una cosa è buona sol perché è stata scelta libera1nente, laddove per scelta libera si intende, per lo più, una scelta spontanea. La libertà viene così intesa in senso niodale e viene privata della sua so-
L'inizio, la.fine e il.fine e/ella vita runana
117
stanza: al "contenuto" della scelta si sostituisce la sua "111odalità", per cui non conta tanto il "che cosa" si sceglie, quanto piuttosto il "con1c') lo si sceglie. La libe1tà è concepita con1e una pura capacità di scelta, 1na senza un supporto assiologico-valoriale, che dica all'individuo "perché" sta scegliendo una cosa, anziché l'altra. "L,ibcrtà" diventa solo un aggettivo che qualifica altri sostantivi: si parla così di "libero aborto", "libera droga", "libera eutanasia", "libero a1nore" ... In questo contesto si genera una cultura dei diritti, n cui non fa riscontro ge11eraln1ente una cultura dei doveri, ossia un orizzonte nel quale la libertà dci singoli si coniuga con la responsabilità sociale. Tnlc cultura genera una pern1anentc litigiosità sociale) perché è quasi inevitabile che i diritti rivendicati da uno cozzino con quelli recla111ati da un altro individuo. li rischio è che prevalga la legge del più forte, che calpesta i diri!!i dei pili deboli. Emblematico è, per esempio, il calpesta1nento dei diritti dc!Pe1nbrione, il quale non ha neanche a sua difesa la forza implorante del pianto. Sempre più diffusa è inoltre l'offesa dci diritti dei bambini da parte degli adulti, offesa di cui la pedofilia è sicura1nente uno dei segnali pili inquietanti.
2. Neo-1Jositivis111.o o scientisrno tecnologh:o
Le i1npo1tanti scopc1te scientifiche nel ca1npo della genetica stanno suscitando una nuova esaltazione positivistica della verità scientifica, che conduce ad un uso pragn1atico di queste scoperte, a prescindere dalla questione della verità ontologica e della verità niora!e, che vengono giudicate co111c "non scientifiche". Procedendo in questa direzione si è giunti ad una sorta di equazione tra possibilità tecnico-scientifica e possibilità 111orale, per la quale è sufficiente che una cosa "si possa fare') sul piano tccnicoscientifico perché la "si possa fare" anche su quello morale. È facile qui chiedersi se una scienza senza coscienza 111orale sia ancora in grado di porsi realn1cnte al servizio dell'uon10 o se non si ponga piuttosto al
I 18
Mario C'ascone
servizio dei suoi egoistici interessi e talvolta perfino dei suoi capr1c•
I
Cl. ...
3. Edonisn10 utilitoristico
Arriviamo così all'ultimo tratto culturale, che fa eia sfondo alle tante questioni di bioetica: l'edonisn10 utilitaristico, che pone il valore cli un atto nella sua utilità i1n1nediata pili che nel suo valore intrinseco. Quesfultin10 può anche essere negativo sul piano n1oralc, 1na trova una sua legitti1nazione giustificante nella necessità di perseguire l'utile, il piacevole o con1unquc ciò che non reca sofferenza. Ci sono persone che affcnnano l'oggettiva e intrinseca 1nalizia di detenninati atti, eppure li giustificano sul terreno di un realisn10 utilitaristico, quasi fossero dei inali ineli1ninabili che vanno cotnunque consentiti. Ogni presa di posizione contraria a questa viene subito stig111atizzata con1e segno di intolleranza e di fonda111entalisn10. Si introduce in questo contesto l'atnbiguo concetto di qualità e/ella vita, che non è presentato nei suoi risvolti 1netafisici, quanto piuttosto in una cornice sociologico-utilitaristica, quando non aperta-
mente emotivistico-pictistica. Non è difficile leggere su questo sfondo culturale teno111eni con1e l'aborto, la fecondazione artificiale anche eterologa, il cosiddetto "utero in affìtto", le "nonne-n1a111111e", la richiesta pressante di legalizzare la cosiddetta eutanasia passiva ....
Il. L'INIZIO DELLA VITA UMANA E LO STATUTO DELL'EMBRIONE
Entro queste coordinate culturali collochiamo ora uno dei problemi pili rilevanti della bioetica: quello di stabilire quando comincia la vita un1ana e quale statuto si può fonnulare per l'e111brione un1ano, ossia quale valore riveste la vita utnana concepita e quale tutela 111crita 2 .
I Cfr CONGRElì1\ZIONE PER Li\ DOlTR!NJ\ DELLA FEDE, // ri.<.pel!o della Pita I/li/{///(/ 11asce11te e la dignità della procreazione, 2, LcunKtnn - Torino 1987. 2 Cfr M. CASCONE, Ten1i di bioetica, Torino 1996, 16-29.
L'inizio, lafùze e il.fine della vita umana
119
Prima di riferire le principali teorie a questo riguardo, è utile fare una brevissin1a sh1tesi scienti.fica circa l'origine della vita tanana. Con l'incontro fra le due cellule germinali (ovulo e spermatozoo) si costituisce un patri1nonio genetico originale, con1posto da 23 cron1oso1ni di origine paterna e da 23 cro111oso1ni di origine 111aterna. L'ovulo fecondato si scinde successivamente in 2, 4, 8, 16 ecc. cellule c si trasporta gradualinente verso l'utero, con una 1nigrazione che dura circa 6 giorni. Al termine si forma la blastula, costituita eia un numero cli cellule oscillante fra 100 e 200. All'incirca verso il ventiduesimo giorno l'uovo fecondato comincia ad annidarsi nella parete interna dell'utero, detta "cndon1etrio". Nel conte1npo le cellule si ripartiscono in due sottosistemi: il primo darà origine al "trofoblasto" e alla "placenta", il secondo a!Pc1nbrionc proprian1cnte detto. In questo in1portante 1110mento le cellule della blastula cessano di essere "totipotenti", e quindi non sono più in grado di successive divisioni, che possano dare adito alla formazione di una blastula completamente identica alla prima.
I. Le quattro teorie Abbian10 ora gli ele1nenti necessari per riferire, sia pure in 1nodo molto schematico, le quattro teorie oggi più diffuse circa l'inizio della vita u1nana: a) Una prima teoria fa coincidere l'inizio della vita umana con il 11101nento stesso {/ella fCcondazione {/e/l'ovulo. Essa si fonda essenzialmente su due ele1nenli: l'esistenza di un codice genetico originale e la capacità autonon1a di sviluppo del1'en1brione. 1 sostenitori di questa teoria fanno leva anzitutto sul tàtto che già nel 1110111ento del concepi1nento viene dcter111inato il genotipo del nuovo essere, che possiede un DNA unico cd originale. I n1iliardi di possibili con1binazioni dci geni, infatti, rendono statistican1ente i1npossibile che ci siano due individui aventi lo stesso codice genetico. L'entità che si viene a costituire risulta perciò genetica1nente "nuova" rispetto ai genitori da cui deriva.
Mario
120
C~ascone
In secondo luogo si sottolinea il fatto, 1nolto i1nportante, che l'e111brione possiede in se stesso il dinan1is1no di au1osvilupparsi e non lo 111utua dalla 111adre. Proprio la possibilità di concepire la vita un1ana in provetta è una confenna di questa tesi. Non si può dire perciò che l'organis1110 111atcrno sia la "causa" dello sviluppo dell'cn1brione; semmai è giusto affermare che il grembo della madre è l'habitat naturale più idoneo a questo sviluppo. La causa della crescita è però insita
nello stesso e1nbrione. E questa crescita peraltro segna solo passaggi di tipo "quantitativo" e non "qualitativo", ossia non si danno n1ai, nel processo di sviluppo en1brionale, passaggi da una fase "non urnana" ad una f3sc "un1ana".
R. Ed,vard, uno dei prin1i scienziati ad aver realizzato la fecondazione n1 vitro, descrive l'ernbrione u1nano co111c un essere "111agnifica111entc organizzato, capace di n1ettere in azione il suo stesso sisten1a biochin1ico". Egli sostiene pertanto che "anche nello stadio di pre-i1npianto l'en1brione è un 1nicroscopico essere zanano in un precocissirno stadio di sviluppo"-'. Questo è anche il convincimento del Magistero della Chiesa: «Dal n101nento in cui l'ovulo è fecondato si inaugura una nuova vi la, che non è quella ciel padre o della 111adre, n1a di un nuovo essere ornano che si sviluppn per proprio conlo. Non sarà 1nai reso un1ano se non lo è slalo fin da allora. A questa evidenza di sen1pre la scienza genetica 1noderna fornisce preziose confennc. Essa ha n1oslrato con1e dal prirno istante si lrova rissato
il progranuna di ciò che sarà qucslo vivente: un uo1110, quesl'uo1110-
individuo con le sue note caraltcrislichc già ben dctcnninate. Pin dalla
fr~
condazionc è iniziata l'avventura di una vi la un1ana, di cui ciascuna dclk: grandi re» ·1•
capacil~t
richiede le1npo per in1postarsi e per trovarsi pronta ad agi-
-1 Cfr L '0.1·.1·erFatorc
Rp111r1110,
19 n1aggio 1984, 5.
1 ' CONGREGAZIONI\ PER Li\ DOTrRINA DELLA FEDE, f)ichiaroz.ione
curato. 12-13, in AAS 66 (1974) 738.
s11// 'aborfo pro-
L'ù1.izio, la fine e il.fin.e della vita umana
121
b) A questa teoria alcuni autori obiettano che fino a quando non si è concluso il processo di divisione cellulare, detto "111eiosi", non si può parlare ancora di individuo in senso pieno, tant'è che le cellule sono ancora "totipotenti" e si può dare ancora luogo a due "blastule" uguali. Se non si può parlare di individualità piena, non si può neanche attribuire all'ovulo fecondato, in questa primissima fase del suo sviluppo, la qualifica di vita umano-personale, essendo lindividualità un requisito essenziale della persona. È su questa base che alcuni studiosi introducono la categoria, 111 verità 111olto an1bigua e confusa, di ]Jre-en1brione, qualificando con
questo 1101ne l'organisn10 che si deter111ina dal 11101nento del concepimento al momento della perdita della "totipotenza" da parte delle cellule, momento nel quale si potrà parlare dell'embrione prnpna1nente detto. Non c 1 è in questi autori unanin1e accordo per stabilire quando finisca il cosiddetto "prc-e1nbrione", e quando invece si possa con1inciare a parlare di "en1brione". Così il Malherbe fissa questo n10mento tra il 6° e il 7° giorno dal concepimento, il Mori e lo Zatti lo fissano al 14° giorno, altri autori si spingono fino al 40° giorno .. .:'. In realtà va precisato che la perdita della "totipotenzialità" non fornisce all'embrione la qualità di "individuo", della quale è dotato fin dal concepi1nento, n1a se1111nai gli sottrae una possibilità ulteriore: quella di riprodursi. li concetto di "individualità", peraltro, va usato nel modo più proprio: l'individualità non implica l'indivisibilità e la non riproducibilità, quanto piuttosto "l'esistere co1ne un tutt'uno distinto dagli altri (individuum~indivisum in se~divisum a quod/ibet a/io). In questo senso l'embrione è individuo fin dalla fecondazione, poiché possiede fin da quel 111on1ento un 111essaggio genetico rigorosa111ente
.'iJ.F. MALHERl3E, L'ei11b1~vo11 est-i"! u11e personne h11111ai11e?, in Lwnière et vie 34 (1985) 19-33; Quale statuto per l'e111brio11e 111110110. Prob!e111i e prospeffive, a cun1 cli M. Mori, Milano 1992; M. ZA1Tl, La prospettil'a del biologo (statuto biologico de//'e111brio11e), in Procreazione art~ficiale e interventi nella genetica u111a11a, P<1dova 1987, 185-186.
Mario Cascane
I 22
individuale, distinto da qualsiasi altro, compreso quello di eventuali gemelli". c) Secondo un terzo gruppo di studiosi si può parlare di persona
soltanto quando c'è un 'attività razionale e cosciente. È quest'attività, infatti, che differenzia l'uomo dagli altri animali e che lo fa, in senso 11
propno, "persona
Ora, l'organis1110 che presiede a quest'attività fonda1nentale dell'uotno è il cervello, il quale non co111incia a forn1arsi •
subito. Gli autori che sostengono questa terza tesi affennano perciò che a!rneno fino a quando non si sia fonnata la co1teccia cerebrale, non si può parlare di vita un1ano-personale in senso picno 7 • Ma quando con1incia a fOnnarsi il cervello? La struttura di base della corteccia cerebrale cotnincia a delinearsi tra il quindicesi1110 e il venticinquesimo giorno dal concepimento, per completarsi entro il quarantesin10 giorno. Otto setti111ane dopo la fecondazione si può già registrare un'attività elettrica del cervello. Verso la dodicesima set!i111ana la struttura ciel cervello risulta già co111pleta. Tutto questo ci convince del fa11o che è pressoché in1possibile stabilire un "111on1ento" preciso nel quale lìssare lo sviluppo cerebrale e che, in ogni caso, niente autorizza ad interro111pere quel 111eraviglioso processo vitale che si è innescato nell'attimo stesso della fecondazione dell'ovulo. Abbiamo già considerato, infatti, che l'cn1brione possiede già in se stesso il dinamismo del suo sviluppo e che ogni fase di questo sviluppo è già "registrata" fin dal concepin1ento. Questo è uno dei casi in cui non solo è lecito, 1na è doveroso assu111ere un atteggia111ento etico rigorosa111ente luziori.stico nei confronti dell'e111brionc.
(, Cfr Per noi l'e111brione è già 1111 1101110, Dichiarazione suppletiva di alcuni 1ne1nlJri dcl Cornitato nazionale di bioetica circa il parere espresso dallo stesso Co1nitato inlorno ai diritti dell'en1brione umano, in Orizzonte 111edico 5 (1996) 7-8. 7 Così, per ese1npio, Go!dening sostiene che «possono essere presenti tessuti e sisLen1i di organi, 111a senza la presenza di un cervello funzionale essi non possono costituire un essere un1ano, almeno in senso 1ncdico». Cfr G. M. GOLDEN!NG, The /Jrain-IU"e theo1y: towords o consistent biologica/ definition qf hu111c111eness, in Jo11r11al of Medicai Ethics I J (1985) 198-204. Sulla stessa linea si pone J. F .DONCEEL, h11111ediate a11i111c1tio11 and delo.ved ho111i11ization, in Theologica/ studies 31 (1970) 76106.
L'inizio, la.fine e i/fin.e della vita lflna1u1
123
d) Un'ultin1a teoria, sorta in an1biente francese, distingue tra vita Facendo leva sulla relazionalità con1e elemento essenziale della persona, i sostenitori di questa tesi affermano che il feto, pur avendo biologica1nente una "vita un1ana", non ha ancora una "vita tnnanizzatan fino a quando gli altri uon1ini, e in particolare i genitori, non lo riconoscono con1e persona 8• La confutazione di quest'agghiacciante tesi no11 risulta oltre1nodo difficile. Se è vero infatti che la relazionalità è un elemento fondan1entale per la 111aturazione di una personalità equilibrata, 11on si può affatto sostenere che la dignità ontologica di una persona dipenda dal riconosci1ncnto di al1ri, essendo questa una realtà che si in1ponc da sé. Dice a questo riguardo R. Guardini: u111a11a e vita u111anizzata.
«Persona è quella realtà di falto che evoca di conlinuo lo slupore esistenziale.
f: la più intellegibile delle cose, nel senso più letterale della parola:
che 'io sono io' è per rne la vcrilà che assolulan"\ente si capisce cb sé e cornunica il suo carattere ad ogni altro contenuto. Ma nello stesso Len1po è un n1istero inesauribile che io sia io; che io non possa venire espulso eia 1ne neppure dal più forLc avversario,
111a
soltanto da 1ne stesso e neppure,
del tutto, eia 111e stesso; che io non possa essere sostituito neppure dall'essere più nobile; che io sia il centro dell'essere, con1e anche tu econ1e anche lui, e così via» 9 •
2. Analisi critica
Le quattro teorie che abbiamo brevemente considerato contengono tutte quante alcuni cletnenti di verità: l'individualità, la razionali-
HL. Bernacrt sostiene a tal proposito: "li divenire uinano dcl frullo dcl concepi1nen10 non è un proccdirncnto 1neccanico. Affinché diventi nostro sin1ilc, i genitori e la con1unità u1nana vi devono prendere parte: essi devono accettare che il frullo del conccpi1nenlo diventi un brnnbino si1nile ad ogni uon10 ... Egli non è un ba1nbino rino a tanlo che !<1 decisione dei genitori non abbia anticipato sulla fonna un1nna a venire e non l'abbia non1inato con1c soggello". Cfr L. BERNAERT, L'avorten1e11t est-il un il~fàn ticide?, in h:tudes (1970) 115 e 522. 9 R. GUAIU)INI, Perso11(1 e libertà. Brescia 1990, 188.
124
Mario Cascane
tà, la relazionalità sono infatti caratteristiche essenziali dell'essere un1ano. L'errore di queste teorie consiste nell'isolare questi elen1cnti di verità e nell'assolutizzarli. In realtà, l'approccio 111igliore per affrontare il problema della vita umana è quello olistico, che considera la questione in 1nodo globale, in 1nodo da vedere la persona con1e una "totalità unificata'', nella quale gli ele1nenti costitutivi non si possono scindere l'uno da!Paltro, 111a vanno tenuti se111pre con1presenti, con1e di fatto sono, in nuce, fin dall'atto costitutivo dello zigote. Questo supera111ento di un'analisi settoriale aiuta anche a sfuggire all'impostazione del problema secondo il semplicistico schema della soglia, ossia a quella pretesa di stabilire qual è la soglia al di là o al cli qua della quale si possa parlare di vita umana. La ricchezza dell'essere un1ano, che si evince già dalla 111eravigliosa co111plessità dell'atto generativo, vieta di ricercare la soluzione se111plicistica1nentc nella detcrn1inazione di una linea di den1arcazione precisa tra ciò che può dirsi vita un1ana e ciò che ancora 11011 può dirsi tale. Quest'ulti111a considerazione favorisce, infine, il chiarin1ento cli un'espressione che, pur sen1brando subito accettabile, in verità nasconde in se stessa delle forti ambiguità: alludiamo all'espressione "vita u1nana in potenza" o "persona potenziale". Questa frase per alcuni i1nplica l'assoluto rispetto dell'en1brione, considerato appunto una persona potenziale; per altri, invece, proprio perché si tratta solo di persona in potenza e non ancora in atto, l'ernbrione non è n1eritevole di questo rispetto così assoluto. Vale qui la pena di ricordare che i concetti di "potenza" e "atto" nel pensiero di Aristotele vengono precisati in 1nodo più specifico dall'introduzione dei concetti di "attività" e "passività". Aristotele, infatti, distingue fra "potenza attiva" e "potenza passiva", intendendo con la pri111a espressione qualcosa che sta già diventando "atto", con la seconda qualcosa che non è ancora entrata nel processo di diventare "atto". Per riferire questa distinzione alla nostra problematica potremmo affermare che lo sperma o l'ovulo possono ben dirsi "potenza passiva" di persona, n1entre !'c1nbrione è senza dubbio "potenza attiva", ossia "una persona in potenza attiva". È su questo punto che si fonda, tra l'altro, la distinzione della gravità 1norale tra l'uso della contraccezione, da un lato, e l'aborto o la fecon-
L'inizio, la.fine e il fine della vita umana
125
dazione atiifieiale, dall'altro. Va chiarito infatti che altro è soppnmere l'e111brione, potenza attiva di persona, altro è evitare che i due gan1eti, i quali hanno la potenza passiva di diventare persona, possano incontrarsi per diventare potenza attiva.
3. Lo statuto dell'embrione Abbiamo ora tutti gli elementi necessari per tentare di stabilire "chi" o "che cosa" è l'e1nbrione, ossia per definirne lo statuto. Già dal 1nodo di porre la do1nanda ("chi'' o "che cosa''?) si può evincere se l'en1brione viene inteso coine un "soggetto" o co1ne un "oggetto". Il Con1itato nazionale di bioetica ha co1npiuto una lunga ricerca su questa problematica. Dopo circa due anni di intenso lavoro e di vivace dibattito, il Comitato è approdato ad una conclusione unitaria, che, pur non trovando la forza di affennare con chiarezza che l'e111brione è soggetto personale, sostiene, con espressione alquanto singolare, che l'embrione è uno di noi. Leggiamo a tal proposito il passo forse più decisivo del documento redatto dal Comitato: «Per quanto le considerazioni di tipo ontologico siano n1olto i1nportanli per in1poslarc la questione degli obblighi n1ora!i nel Lratta1ne11l"o dcll'cn1brione, esse non costituiscono l'unico fondan1ento di tali obblighi. In particolare !a coscienza 111ora!e dì ciascuno si sente obbligata dalla cosiddcHa 'regola aurea' della n1orale: 'non fare agli altri quanto non vorresti fosse fatto a te', dove gli altri sono intesi essere dei nostri si1nili. Ebbene,
doL lno111enlo che ciosc/fno di noi è stato un e1nbrione, ed è pure passato ottroverso la.fase precoce dei proprio sviluppo en1brionale, sentire che /'en1brione è
1111
11011
si può non
nostro sin1ile, e trovare in questo .fallo {a
1r1-
gio11e s1dficiente per adottare un atteggio111ento di rispetto e di cura nei suoi conjì·onti» 10•
111
COMITATO NAZIONALE D! !3l0ET!CA,
Oriz.z.onte n1edico 5 ( J 996) 5-6.
Identità e
stafl/{O
del!' e111brio11e /(/l/{/!10, i Il
Mario Cascane
126
li presidente del Comitato, F. D'Agostino, chiarisce che questa fonnulazione, apparente111entc ingenua, ha invece una valenza particolarmente forte, perché fa riferimento ad un modo di sentire sponta-
neo e univcrsaln1entc diffuso. Continua infatti il docun1ento: «Questo niodo di sentire spontaneo csprin1e la coscienzn dcl fatto che
l'e1nbrione non è un ente di natura qualsiasi, 111a un organisn10 di natura u1nana. [_ ... ]Esso è intrinsccan1ente destinato a svilupparsi sino c!lla nascita di un nuovo essere urnano con1plcto, nei confronti ciel quale si instaura sin dagli inizi la nostra rcsponsabilità» 11 •
Su questa base si fondano alcune conseguenze 1norali n1olto chiare: se l'cn1brionc è "uno cli noi" e inerita il 111assi1110 rispetto, non si vede con1c possano risultare lecite talune pratiche, quali In produzione di "en1brioni soprnnnu111erari'' nei procedi111enti di fecondazione artificiale, il congcla1nento di e111brioni, la speriinentazione su en1brioni vivi, che non abbia uno scopo diretta111cnte terapeutico 12 •
llT. LA FINE DELLA VITA
La questione dell'inizio della vita un1a11a è sicuran1ente connessa con quella della fìne della vita stessa. Entrambe queste problematiche, infatti, hanno a che fare con la dignità del soggetto personale, la cui vita è un "unicu1n" irripetibile, destinato all'eternità. Sia l'inizio che la fine della vita, inoltre, sono dci processi, ossia non possono ridursi ad un preciso "'11101nento". Con1e abbiaino già visto a proposito dell'origine della vita, non è possibile adottare per questa problematica lo schen1a della "soglia". Analogo discorso va fatto in ordine alla cessazione delPesistenza un1ana, la quale non può essere ricondotta
II
f/Jid.
12 CONGr~EC:1\ZJONE f'FI< Li\ D01TJ<JN/\ DEJJ,A FEDE,//
rispetto .. '
cil., 5-6.
ad un
L'inizio, la.fine e il fine della vita u1nana
127
n1on1cnto preciso, 1n quanto il n1onre, con1e il nascere, è per l'appunto un processo, che consta di diverse fasi1.1. Il problema dell'accc1tamento della morte è oggi molto rilevante, soprattutto in relazione all'espianto di organi da cadavere allo scopo di donazione e trapianto. È ovvio, infatti, che risulta del lut!o illecito il prelievo di organi a una persona che non è, con certezza, n1orta. La coinprensibile "fretta" con cui si deve procedere all'espianto di organi, per 1nantenerne intatta la funzionalità, non può in nessun 111odo legitti111are prelievi su soggetti che non abbiano, con sicureza, cessato di vivere. Allo stato attuale esistono anche in Italia disposizioni di legge che tutelano sufficienten1ente i inalati tenninali, il che non esclude che ci sia un vasto dibattito circa i criteri eia seguire per stabilire con certezza quando un soggetto può considerarsi 111orto. La Pontificia Accademia delle Scienze, in un documento pubblicato nel 1985, sostiene che "L.a 1norte interviene quando: a) le funzioni cardiache e respiratorie spontanee sono irrin1ediabiln1ente cessate, oppure b) si è verificato l'arresto irreversibile di tutte le f1u1?;ioni cercbrali" 1.f.
In questo docu111ento si introduce quindi il concetto di "n1orte cerebrale" co111e uno dei criteri per accertare la 111orte. Su questo concetto si è sviluppato in questi anni un vivace dibattito, al fine di chiarire che cosa si debba intendere con l'espressione "morte cerebrale". li Con1itato nazionale cli bioetica offre, a tal riguardo, una definizione di 111orte 111olto chiara, nel n101ncnto in cui sostiene che la 111orte è la "perdita totale e irreversibile delle capacità dell'organismo di mantenere autono111a111cntc la propria unità funzionale" 15 . Sulla stessa falsa-
11 ·
Cfr I\1. Ct\SCONE, Ten1i ... , ci!., 67-73. ~ PONTlF!Clt\ t\CCAl)l]vl IA DELLE SCIENZE, VVorkù1g 011 the artifici{!/ pro/un g{l//011 of' L!fé and the deteJ'lnin{lfion of the ex{lcf 1110111e11f r~f' f)e{lfh, Città del Ynticnno, 19-21 1
ottobre 1985. 15
/ '1101110
CorvllTt\TO NAZ!ONt\LE f)f ll!OETJCA,
(1991-1992) 229-247.
!Jefinizione e occerlrm1enlo dello 111orle del-
Mar;o Cascane
128
riga si era già pronunciata, in precedenza, la Pontificia accaden1ia delle scienze, definendo la mo1ie come "la perdita irreversibile di qualsiasi capacità di integrazione e coordinazione delle funzioni fisiche e n1entali del corpo" 16 . Queste definizioni mettono in luce il fatto che la n1orte cerebrale non può essere intesa con1e la se1nplice 111or/e corticale, perché in quest'ultimo caso i centri del palencefalo rimangono integri e 'permane attiva la capacità di regolazione centrale delle funzioni 1netaboliche e vegetative, ivi co1npresa la respirazione autonoma. Da queste due definizioni si evince anche il rifiuto di identificare la mo1ie cerebrale con la morte del tro11coe11cefàlo, in quanto quest'ultima non implica di per sé che la struttura al di sopra del tronco abbia perso la possibilità di funzionare, se stimolata in modo adeguaton Si tratta, come si vede, di questioni molto delicate, sulle quali il dibattito tra gli esperti è ancora aperto. Su una cosa co111unquc c'è unani111e consenso: sul fatto che la n1orte, con1e la nascita, vadano concepite nell'ambito di una concezione unitaria della persona, che,
rifuggendo da ogni visione dualistica, intenda la persona con1c una "totalità
unificata".
CONCLUSIONE
Le nuove tecnologie e le recenti scoperte scientifiche, specialmente nel campo genetico, aprono la strada a possibilità che sono ad un ten1po esaltanti elf inquietanti. Sono esaltanti perché possono offrire possibilità terapeutiche fino a ieri ini1n1naginabili e possono garantire a tante persone un'esistenza più sana e dignitosa. Sarebbe quindi fuori luogo un atteggian1ento pregiudiziahncnte contrario. Sono inquietanti perché si possono 1nanipo!are in 1nodo arbitrario le sorgenti stesse della vita un1ana e le caratteristiche essenziali della persona. Occorre precisare che in questo can1po la scienza da sola non basta, per-
lVorking ... , ciL Cfr A. PUCA, Accertr1111ento e deter111inaz.io11e della 111orte, in Bioetica e c11/t11m 2 (1992) 215-228. ](,PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SC!ENZl::,
17
L'inizio, la fine e il fine {/ella vita un1a11a
129
ché essa non è in grado di dire, eia sola, chi è l'uon10 e quale dignità possieda l'esistenza un1ana. Questo ci porta a chiarire che non tutto ciò che è scientifican1ente possibile sia, per ciò stesso, 1noraln1cnte a1nn1issibile. JI potere il!in1itato della scienza, sganciato da ogni responsabilità 1norale e sociale, ha portato uno dei pionieri della fecondazione in vitro, J. 'festart, "padre" della prin1a ba1nbina fì·ancese concepita in provetta (1982), a chiedere una moratoria delle ricerche sulla fecondazione artificiale e a rivedere l'idea stessa cli progresso 1 ~. Il n1ondo attuale rischia di essere pieno cli tecniche, n1a privo di etica. Ciò provoca un grande n1a/essere, perché dà luogo ad un sapere che accresce il don1inio, n1a non la sapienza. È possibile che di fronte alla prospettiva di 111odificare la realtà dell'uon10, l'ansia di sapere e di fare porti in ciualche occasione a din1cnticare che la scienza JJUÒ se111pre di più di quello che rleve. Le tecnologie bioinediche stanno trasfonnando gli schen1i tradizionali del rapporto tra scienza e potere. Sta nascendo una nuova alleanza tra politici e scienziati bion1edici: qualcuno parla già di "biopolitica') e di "biocrazia'i. Non è esagerato affcrn1arc che nel dibattito sulle scienze bio'n1ediche sia in gioco la naturn stessa della democrazia. Del res!o. il tris!e collaudo di una collaborazione dei bioincdici a supporto di un sistcn1a totalitario è già avvenuto, e con 1nezzi tecnici incon1parabihnente inferiori a quelli attuali. È auspicabile che !'uon10 attuale abbia la percezione adeguata di ciò che sta rcaln1ente accadendo e riacquisti, attrraverso un pensiero critico e 111editante, una buona dose di ''sapienza", senza la quale la scienza non potrà inai porsi al servizio de!l'uon10, special1nentc del!'uon10 pili debole, dell'c1nbrionc, per esc1npio, al quale potren11110 ben applicare In frase evangelica: "Qualunque cosa avrete ratto al pili piccolo dei 111iei fratelli, l'avrete fatto a 1nc ... ".
1.~ J. TESTi\l~T,
L'1101'0
trasp(lrcntc, Jvlilnno J 988, 16.
Sezione miscellanea con documenti e studi Synaxis XVI/I (1998) 131-184
"FRAMMENTI DI UNA STORIA DELL'EMPIETÀ": A. ROSMINI CRITICO DELLA SUA EPOCA, DIMENTICA DELL'OGGETTIVITÀ, DEL TRASCENDENTE E DEL SOPRANNATURALE
FRANCESCO CONIGLI ARO.
Pre1nessa
Gli scritti di A. Rosn1ini 1nanifestano sen1prc intendin1enti npologetici e polemici. Quelli che vengono alla luce negli anni giovanili dell'autore li contengono addirittura formalmente. li ruolo portante viene espletato dagli intendimenti apologetici, che implicano, quale JJars lfestruens, la critica delle posizioni non condivise, e quale 11ars construens, la presentazione della dottrina cristiano-cattolica con1e l'unica possibile, oltre che come la più convincente. Tale percorso riflessivo viene fatto dal Rosmini all'interno dello sfondo generale delle sue conoscenze della dottrina cristiana, 111a in particolare in forza della sua acquisizione teoretica fonda111entale e detenninante, quella dell'"essere ideale", che costituisce ad un te111po il principio e la legge dell'oggettività. li Roveretano, così, dispone cli due regole dell'oggettività: la teologia cristiana, che viene ali111entata dalla rivelazione cd è custodita dalla chiesa, e l'essere ideale, che, in qlll:lnto atto cntitativo, costituisce la niente u111ana e, in quanto prescnzialità, la pone in atto prin10. Ovvia111cnte, si tratta di acquisizioni -fatte gra-
' Docente dì Stori<l della Teologia presso l'Università di Palenno.
Francesco C'on;gfiaru
132
duahncnte, 1na anche abbastanza presto. E questo in particolare va detto per quanto concerne la dottrina dell'essere ideale.
È interessante notare che, se la }Jars destruens ha co1ne an1bito proprio il contesto storico e culturale di riferimento delle analisi e delle riflessioni rosn1iniane, la pars construens esclude in ogni caso e con1pleta111entc tale contesto. Il Roveretano, infatti, 1nentre vede nella sua eroca la cli1nenticanza co1npleta della trascendenza e dcl soprannaturale e coglie la causa scatenante di ciò nella perdita, universal111cnte verificabile, del senso e dei criteri dell'oggettività, tenta il recupero di fattori tanto significativi 111ediante dottrine che entrano in tensione
con il contesto in questione, e cioè 1nediantc la teologia cristiann e la sua riflessione fìlosofica. Nella trntt8zione del nostro argo1nento procecleren10 insicn1e a! Rosn1ini, si8 seguendo la pista te1natica da lui tracciata, sia assun1cnclone il punto di vista. Per pista teinatica rosn1iniana intendia1no l'idea originaria dcl H.os1nini circa i Fraounenli lii una storia t!ell'e1n1Jietà, del 1834, in1plicante i due "discorsi accade1nici'' Beniconino C'onslanf ed 1 ,)'an-5'ilnoniani 1• Per punto di vista ros1111111ano intenclian10 l'assunzione esclusiva del punto di visto critico dcl Rovcretano. Ciò potrebbe sen1brnre ovvio, n1a non [o è più, se lo si inette in tensione con In possibilit8 di sottoporre ad un'an1pin verifica l'interpretazione del Rosn1ini. Nella presente circostanza, in cui ci occupia1110 dcl nostro
!-\. Rosn1ini pubblicò. a11oni1no. un volu1nc inlllolato fì·a11111n!nti di una s/oria dell'e111piehì, (Co' i Tipi di Cìiudi11a Pogliani, ìvlilano 183Ll. 180), contenente. alle pp. l-103, il discorso su Uc11ia111i110 Constant. !el!o clall'()rioli nel 1829 a lZ01na presso 1·Accnde1nia Ro1na11a di Religione Ca!lo!ic<l. e, alle pp. 104-178. il discorso su i ":':(/11-Si111011iani. dcl quale poco sappian10. sia quanto <li tc1npo della stesura. sia quanto alla data della lettura. Rin1andian10 il lellorc. che volesse conoscere ogni clettag!io sulle vicende e sul!e edizioni dei Fru111111enti di 111u1 storia de!l 'e111pi!!tà. <ld A. Ros1v11Nl, Fra111111e11ti di 1111a stori{! de// 'empietà e scriffi vari (=Fr.:N). a cura di R. Orecchin. Padovo1 1977, IX-XVI!. !\pproriHimno dclln presente occasione per ricordnre che il Rosn1ini nei due discorsi H1 ordinatan1cnte rifcri111e11to ad alcuni volu1ni dell'opera di B. CONSTANT, LJe la l?eligion considéréc dans sa so11rcc. ses .fòr111es et ses dcveloppc111ents, 5 voli., Paris 1824-1831, ed a S. !\. BAZARD - B. ENFi\NTIN (cd.). /Joctrine dc Saint-,)'imon. Exµosifion Prc111iérc an11ée ... Pnris 1830. Per il pensiero sa11si1noniano concernente l'an1bìto teinatico di cui ci stimno occupundo è iinportante l'opera postuma CL. li. DE S/\INT-StMON,1Vo11vca11 (~ristia11is111e. Paris 1825 e la prcseu!azionc sisternntica J~illnnc all'interno della scuola sansin1onia11a a partire da! 1829 nell'e_Ypositio11 de la doc/!'fne. <ld opera soprattutto di B. Enl~1ntin. 1
"Franunent i di uno storia del!' ernpietà"
tenia
111
133
poche pagine, ci vedian10 costretti a non attivare tale possibi-
lità, che, in uno studio di di111ensioni più an1pie, non potrebbe essere elusa. Assun1erc il punto di vista del Rosn1ini nel nostro caso, dunque, signifìca sia prescindere dalla sua statura di inteprete, sia entrare nella logica delle sue idee, al fine di scoprire che cosa egli pensa delroggcttività, della trascendenza e del soprannaturale attraverso la ricostruzione e l'analisi della lettura da lui fàtta di autori nei quali, stando alle sue parole, si trovano delle espressioni chiare, e soprattntto dei n1aestri autorevoli dell'empietà. Inoltre, il Rosmini, da quel pensatore "prepotente", qual è, non è in nessun 1nodo disposto a 1neUere in discussione la sua chiave di lettura dci feno1neni storici e culturali ed i suoi principi di approccio critico. È vero, però, che fa lunghe citazioni degli autori esa1ninati e che, quindi, consente loro, per così dire, di prendere parte alla sua riflessione; con1e è pur vero che ciò non attenua quel pa11icolarc suo atteggiainento che abbian10 chian1ato ''prepote11za''. Secondo il Rosmini, l'umanità della prima parte dell'Ottocento era affetta da un grave n1ale, difficile da diagnosticare e da curare. Egli sa di non essere un "1nedico" e, dunque, di non disporre di rin1ecli appropriati, tuttavia si f-à avanti con i due "discorsi accaden1ici" allo scopo di contribuire, con le sue conoscenze e con la sua parola, allo studio delle gravi contraddizioni dell'epoca culturale cd al loro supera1nento 2 . La 1nalattia epocale, che disgrega il tessuto dell'esistenza clel!'uon10 e dcl inondo e che tanto angoscia il Rosn1ini, è l'en1pietà. L' identi fìcazione di tale fattore scatenante per il Roverctano non è cosa di piccolo 1110111ento. Egli si 111ette ad osservare la storia dell'un1anità e la potente forza positiva che la anin1a, e cioè l'an1ore;
1
«il presente librcllo contiene due discorsi accnde1nici_ Secondo il titolo che n1ostrano in fronle, l'uno conf'uta gli errori di Cons!ant circa la religione, l'altro quel~ li dc' Sa11-Sin1oniani: ainbeduc hanno uno scopo rili generale, investigtino il carattere di quella 111a!attia che stra::ia co11 sì profòndi dolori / '11111011/tà, e ccrctmo riclurfe ad unitù di principio quc' sinto111i tanti, e sì strani. e sì contraddittori. e sì Infidi. che 1net1ono in disren1zione la scienza dci I)ottorL e rendono rncndaci gli aforisn1i più celebrali. Conosciuta la c8gionc dc!!a n1a!allia, è f'acilc conoscere qual cura le si convenga» (fEN 3: sottolineatura nostra).
F'rancesco Coniglioro
134
ma la sua contemplazione viene disturbata dall'odio, una forza distruttiva che attraversa l'intera storia un1ana. È così che, all'interno di un progetto di una 1-'lloria cieli 'ionanità, il R_os111ini si trovò a scrivere una ~)toria c!ell'cunore, e precisa111ente una storia dell'an1ore offerto da Dio alle creature nel corso dell'evento della salvezza, che raggiunge il suo culmine nell'opera salvifìca compiuta da Gesù Cristo, il Salvatore del mondo. E siccome la storia degli uomini e del mondo, ancorché profondamente segnata dall'amore, è sconvolta dall'odio, dall'odio per Dio e per gli uo111ini, che viene espresso 1ncdiante la ribellione e la ne-
gazione di Dio e l'avversione nei confronti degli uo1nini, il Ros1nini non poté sottrarsi all'i111perativo di trattare anche dell'odio e della sua potenza distruttiva. Ma che cos'è questo se non e1npietà?-1 Proprio per i fattori, che ne costituiscono la cotnprensione e l'estensione, a livello sia concettuale che dina1nico-prassico, l'e111pictà è ritenuta dal Ros1nini una della parti fondan1entali, più delicate, più complesse e più difficili della storia dell'umanità. Ed essa è tale sia perché ha co111e contenuto una buona parte della concreta realtà dell'uon10, specie nei settori più segreti e 111isteriosi, sia perché chi si è occupato della realtà u111ana sinora ha preferito occuparsi di ciò che in essa è naturale ed ovvio. Una tale scelta di can1po ha sottratto al sapere che concerne l'uon10 alcune delle sezioni di capitale i111portanza. Jn tal 1nodo, il H. osn1ini individua un te1Teno vergine e fertile di ricerca, al quale attingere 111ateriali preziosi per scrivere una "Storia filosofica dell'e1npictà", un'opera non ancora tentata e co1nunque destinata ad essere 1110\to utile sia alla religione che alla fi!osofia 4 .
I. Empietà Il Ros111ini, abbracciando in con1uni alle varie fanne di etnpietà della storia, ci dà dell'empietà una nella sua co1nprcnsione: e1npietà è
_ì
uno sguardo d'insie111c i caratteri che si sono presentate sulla ribalta definizione atta a contenerli tutti «un te111crario tentativo che l'uo1110
Ctì· A. ROSMINI. S'toria de!l'e111pietà (='SE), Do1nodossola (ivli!ano) 1957, 6-9.
'1Cfr FEN 59s.
"Franunenti di una storia tlell 'e111pietà"
135
fa di rendersi indipendente da Dio, con una orgogliosa speranza cli potersi ingrandire e felicitare da sé medesimo»'. Nello stesso contesto trovian10 altri elen1enti illun1inanti: l'cn1pietà è un fatto strano cd inconcepibile, a causa del quale l'uo1no «questa nobile creatura, fatta unica1nente per la felicità e per la virtù, si snatura, e si travolge ad odiare l'essenza stessa del bene e del vera>/'. Da queste idee presentate dal Roveretano si può enucleare e dedurre una serie di dati significativi per il nostro tema: il senso dell'uomo si trova nella felicità, che può essere conseguita soltanto nel bene e nel vero; l'accesso al bene ed al vero è possibile solo in Dio; l'uon10, che ritiene di potere conseguire il senso pieno del suo essere e la pienezza della felicità con le sole proprie forze, con1pie un atto orgoglioso di autoaffennazione; tale atto in1plica il gesto ten1erario del rifiuto di Dio; l'autoaffern1azione assoluta provoca il completo snaturamento dell'uomo; la felicità, quale compimento assoluto dcl senso e del destino dell'uomo, è indissolubilmente legata al dono della verità, intesa nel senso globale del tennine, e della grazia; l'empietà, che sottrae l'uomo alla logica del dono della rivelazione e della grazia ponendolo sulla via orgogliosa dell'autoaffermazione assoluta, è un atto di suicidio antropologico, e cioè, n1entre 111antiene innegabilmente l'uomo nei settori dell'essere e dell'esistenza, Io allontana dall'itinerario dell'autentico compimento e dal settore del senso. I dati appena enunziati contengono quella che possia1no chia1nare la concezione rosn1iniana generale dell'en1pictà. In essa è già evidente in modo preponderante l'attentato a Dio come negazione del soprannaturale) nel senso di autoattribuzione da parte delruon10 del destino assoluto e dei n1ezzi per conseguirlo, e cioè nel senso di attribuzione alle esclusive capacità dell'uomo della possibilità e del fatto del consegui1ncnto della condizione assoluta di felicità. Ma, a ben vedere, l'en1pietà con1porta un ulteriore passo, che è la co1npleta esclusione del Dio trascendente. Tutto questo in B. Constant e nei San-Si1noniani, secondo la !et-
5 PEN
59.
('FEN 60.
Francesco C'onig/;aro
136
tura che ne fa il Ros1nini, non si rende evidente i111111ediatan1ente, bensì si 111ostra graduahnentc in un contesto organico di negazioni, di affertnazioni e di deviazioni, volto a guidare il lettore all'interno di un groviglio concettuale taln1ente caratterizzato dall'a1nbiguità da trarlo in inganno.
Il filo rosso per capacitarsi di ci6 è costituito
dai caratteri
dell'empietà, che sono tre. Del sistema di pensiero del Constant, il Rosn1ini dice che possiede tutti i caratteri che l'en1pietà ha n1anifestato sempre e dovunque e, fermandosi a precisare, menziona soltanto il prin10 ed il secondo carattere 7; quando parla dcl siste111a dei SanSin1011iani, li 111enziona tutti e tre~. ll prin10, che abbia1110 già ricordato secondo un'altra for111ulazione ros1niniana, è il seguente: «un tentativo che fa l'uomo di escludere lddio, cercando di farsi grande e felice da sé n1edesin10» 0 ; il secondo in1plica «escludere il vero Dio, sostituirvi una finzione di Dio, e persuadersi che una finzione basti a sopperire al bisogno della cosa reale» 111 ; il terzo, che il Roveretano fonnula solo quando si occupa dei San-Si111oniani 11 , anche perché in n1odo particolare ne rispecchia quelli che, a suo dire, ne sono gli esiti vili ed avvilenti, co111potia l'idea dello scacco radicale in cui incorre colui che cn1pian1ente nega Dio; e cioè porta con sé il «cadere che fanno i ncn1ici di Dio dalln son1111a altezza nel profondo della viltà» 12 • L'idea con1plessiva, custodita cd espressa dn tutti e tre i caratteri de!l'en1pietà, si articola in tre 1110111enti, che possian10 esprin1ere sisten1atica111ente nel 111odo seguente: il rifiuto del Dio trascendente non elimina il problema di Dio, che, eon1e si direbbe ai nostri giorni, costituisce una costante antropologica, e, proprio per questa ragione, non sn1ette di pre111ere perché si trovi una soluzione. Questa viene trovata, nia con un apparato concettuale
7 Cfr PEN g 9
59, 63, 64. Cfr Fl'.N 67. 82. FEN 67.
111
11
FEN 64.
Dopo avere ripreso sinlelicarncntc, quale pre1nessa t1I discorso sui San-Sin1011innL il sistcnHl dcl Constan!, con inclusi i prin1i due caratteri dcll'empielù, il Ros1nini in modo conclusivo osserva: ((CCCO il nuovo sistcn1a: egli merita che sia considerato at!c11lrm1c11lc, perché è la jòrma che prende il scntin1enlo dcl!'c1npictà nel nostro secolo» (fEN 64). 12 FEN 82.
"Franunenli di una storia dell'e111pie1à"
137
di tipo raclicaln1ente in1n1anentistico.
I .I. Storia dell'empietà: momenti e fatti principali Il tentativo di sostituire Dio con una finzione costituisce la sostanza delPe1npietà cli ogni ten1po, a partire dai pri1nordi, ed è riscontrabile nelle tracce ben visibili della storia dei "figli degli uomini" raccontata nella Genesi. La Genesi è, tra l'altro, una "parabola della natura un1ana" e, quindi, racconta la storia degli uon1ini in prospettiva universale, di cui ogni particolare storia dell'cn1pietà non è che un fran11ncnto. Viene raccontata la colpa d'origine, fonte cli tutte le colpe successive e di ogni altra sciagura, e si fa ricorso ai caratteri tipici di ogni e111pictà. Il tentatore attrae l'uon10 ventilandog~i, co111c possibile 111eta da raggiungere, l'idea della divinità, che è il tipo e l'ideale di ogni grandezza e di ogni perfezione. L'uo1no si lascia convincere, pensando di potere conseguire, con le proprie forze e addirittura con n1ezzi banali e frivoli, la conquista della divinità e, per n1czzo di essa, il con1pin1ento della felicità. Il seguito della storia umana riproduce in ogni episodio di en1pietà quest'evento originario. Ovvia111ente, il fatto n1uta, 1na la struttura dell'evento resta, in quanto i suoi caratteri essenziali, quali costanti universali e necessarie, si ripresentano in1111ancabiln1enteL\ La Genesi racconta la storia dell'uon10 che, una volta travolto dal fascino esercitato su di lui dall'Eritis sicu/ Deus, la tremenda proposta del tentatore, si avvia per una strada di 111ale, e raggiunge il n1assi1110 livello di espressione nel racconto della Torre di Babele, in cui vengono presentate le tensioni i1111nani che attraversano l'essere un1ano, il quale, con atteggian1ento pron1eteico, tenta la scalata al Cielo, e cioè tenta di i1npadronirsi di ciò che accende e scatena le an1bizioni utnanc. Ma la scalata al Cielo si risolve in un atto di sacrilegio, in quanto implica il proposito di valicare il limite della trascendenza di Dio, ed in un atto di idolatria, in quanto il suo reale punto di arrivo consiste
1
·'CfrFEN 10-12.
Francesco Conigliaro
138
nella divinizzazione di qualcosa che appartiene all'ambito naturale ed umano. Del resto, l'oggetto dei desideri e delle passioni, che l'uomo pensasse di potere raggiungere esclusivan1ente 1ncdiante l'i111pegno titanico delle proprie forze, non potrebbe collocarsi in coordinate diverse. L'empietà assume forme diverse, a seconda dei tempi e dei luoghi, delle esperienze storiche generali e peculiari fatte dall'uomo e dcl livello culturale da lui raggiunto. Nella fase iniziale, e cioè subito dopo !a negazione e l'eli1ninazionc dcl vero Dio, nella grande crisi dell'assenza di ogni divinità, l'uon10 è illu111inato da due idee-guida: la pri111a, "Dio non può non essere verità", orienta la sua 1nente; la seconda, "in Dio è la sicurezzn dcl!'uo1110 fì·agile", conforta il suo anin10. Guidato da queste idee e sostenuto dalla potenza creatrice dell'in1111aginazione, egli tenta di sostituire il "vecchio" Dio: ricercando Dio non più nell'alto dei cicli 111a sulla terra, nel tentativo di divinizzare ciò che lo circonda e che è l'oggetto del suo desiderio, deve previa1ncnte identi fìcare verità ed oggetto del desiderio; dietro la spinta della debolezza, che lo caratterizza struttura[n1ente, si pone di fronte alla nuova divinità con l'atteggian1ento cli colui che vi cerca rifugio: la nuova divinità, senza essere Dio, deve dargli tutte le garanzie del vecchio Dio'", «In una parola, egli fa suo Dio cli tutto ciò che è fuori di Dio, per illudersi, colla lusinga che gli fa vedere una cotal potenza infinita o certo indetern1inata dove ella non è, onde assicurarsi un istante, e cahnarc le sue trepidazioni, e assopire i suoi essenziali bisogni» 15 • li processo di divinizzazione, a cui l'uon10 dà vita, si con1pie in coordinate universali, nel senso che segna ogni epoca della storia ed interessa ogni esistente. Infatti, a seconda dei tempi e dei luoghi, l'uo1110 divinizza ora i den1oni, ora la natura e le sue forze, ora gli eroi, ora fenomeni soggettivi, quali le virtù ed i vizi, e lo fa nella spasn1odicità dell'ansia e dei tentativi di soddisfare in una nuova divinità le speranze, andate perdute con la fine della divinità precedente, fino a quando l'in1111aginazione, dopo avere divinizzato ogni cosa, non trova
1'1 Ctì· PEN 11~!4. 15 FEN 15.
"Fran11nenti rii una storia riel!' ernpietà"
139
più materia eia divinizzare e, pertanto, perde il ruolo ed il rango di organo egen1one 1('. A!l'ir11111aginazionc subentra la filosofia, di cui è ani111a la capacità razionale dcll'uo1110. Essa, che ha il nierito di sottoporre forten1en1e a critica i tàlsi dei, s'inca1111nina per la strada della ricerca, 111a del tutto ignara dcl vero Dio e delle disavventure nelle quali si era venuto a trovare in seguito all'abbandono di lui. Lungo tale strada l'uo1110 riscopre l'antico desiderio di felicità e co111111ette gli stessi errori dell'u1nanità delle epoche precedenti e dell'umanità di tutti i tempi. li Rosmini si espri1ne con toni altan1cnte dra111n1atici: «Or collo sforzo che tàceva nllora la ragione dell'uon10 contro l'insensata opera dell'uon10, parve all'uo1110 111edesin10 di sentire in sé destarsi una occulta tUvilla di nobiltà. Egli con quel nuovo uso di sua ragione si t~1ccva accotio, che stava in lui una potenza elevata, il cui sviluppo non era· ancora con1pito, né po1ea prevedere a che dovesse tenninarc. Perciò il costante cd antico suo disegno di rendersi grande e felice da sé 1nedesin10, riacquistò lenn, e si avviò per una nuova direzione; l'uon10 pensò un istante di potere tàr senza di tutte le divinità sue creature, e prese anin10 e risoluzione di sottrarsi a queste, a quel n1odo stesso onde si era sottratto al Dio vero; e abbandonando tutto ciò che di soprannaturale aveva fino nllora sognato, volle trovare nella sua sola natura e nella sua sola ragione, !a sua grandezza e la sua felicità. Quando queste insensate lusinghe egli nutriva in sé niedesi1no, non conosceva ancora se stesso, che pur niai picnan1ente non conosce. Aveva egli di111entico quanto gli era avvenuto nel primo abbandono di Dio, e come fosse allora ricorso alla divinità appunto per trovare un aiuto da consun1arc la sua ribellione contro la divinità. La natura nel condusse la seconda volta allo stesso fatto, alla stessa contraddizione» n Questo fatto ha avuto luogo dai tempi della classicità greco-ron1ana fino all'età n1oderna. E se dcl n1011do classico il Roverctano ricorda soprattutto 1 110111i di Epicuro, Lucrezio, Giovenale e Plutarco, dell'età n1oderna ricorda soprattutto il Voltaire, valu-
16
17
Cfr FEN !3-18. PEN i 8s.
Francesco Con;gfiaro
140
lato come un negatore ed un bestemmiatore di Gesù Cristo, e la Rivoluzione Francese, un avveni1ncnto per lui sconvolgente sia per il sovverti1nento a cui aveva sottoposto Pordine socio-politico, sia per la sua invenzione pagana e politeistn della Dea Ragione, circondata dall'Olimpo di altre ipostasi, quali la Forza, il Commercio, l'Agricoltura e la Repubblica, e fatta oggetto di un culto blasfomo'"· Ma una ragione che, tnediante l'esercizio delle sue risorse, perviene all'autodivinizzazione, non 111erita alcun credito. E di fntti, nel corso dei secoli alle fasi dell'affermazione enfatica della ragione ha fat-
to seguito un atteggia1nento di pensiero, che è un vero e proprio scacco per la ragione: «L'uo1no adunque non potea non essere disgustato anche della sua ragione, che non l'aiutava n1eglio della i1111nagh1azio11e nel suo disegno: si vendicò pertanto della ragione: la dichiarò inetta n pervenire alla verità, e procla111ò, se111pre però con aria di trionfo, co1nc se passasse di vittoria in vittoria, lo scetticisn10, siste111a che strappava dalla sua -fronte il diaden1a di re dell'universo, e lo avviliva i1n1nensa1nente al di sotto degli esseri ai quali tace la luce della verità» 19 • Anche a proposito dello scetticismo il Rosmini ricorda alcuni personaggi dell'antico inondo greco-ron1ano con1e Pirrone e Sesto 20 . Lo scetticis1no non poteva in nessun 111odo soddisrare la bran1a di sapere dell'uo1no, soprattutto perché conduceva ad esiti distruttivi per l'intelligenza dell'uo1no e per la sua natura. ln una tale situazione di naufragio speculativo il cristianesi1110 apparve co111c la spiaggia della salvezza, e gli uon1ini «accolsero la buona novella che solo traevali di quel 111ortalc trangoscia111ento e insopportabile pugna in cui s'erano 111cssi con sé 1nedesi111i: ciò che pose fine al pri1110 grande periodo della 111 iserevole storia dell 'un1anità» 21 . Il cristianesi1110, che aveva acceso ancora una volta la luce del vero Dio ed aveva riavviato la storia del n1ondo con radici nuove, non aveva divelto l'antica radice di 1nenzogna che si nasconde 11ell'uo1110, e
18 Cfr FEN 21-25; cfr. anche: A. ROSMlNl, Filosofia del diritto ( 1841-1845). 5 voli., li, Padova 1967-1969. 2080-2122; r. CONlGLlARO, la politica tra logica e storia. Il pensiero .fi/osojìco-politico di Antonio Rosmini, Palern10 1985, 25-28. 19 211
rEN 23ss. Cfì· fEN 25s.
21 FEN
26.
"Franunenti cli una storia delf'enipietà"
14 l
questa trovò modo cli rico1ninciare la sua crescita, alimentandosi non di cose orn1ai den1istifìcate in atnbito religioso, con1e l'i1nn1aginazione, n1a di cose possibili nella cultura cristiana, co1ne le potenti energie della ragione. È così che eresia e filosofia, la prima attingendo alla fede cristiana e la seconda fondandosi sulla ragione, si tànno carico di con1piti de111olitori: dietro l'esigenza di una "111aggiore razionalità" si nasconde la "Juciferina baldanza". Grazie all'influenza di principi e categorie cristiani, che illu1ninano e guidano la riflessione, gli uon1ini non ripio1nbano nella tenebra dell'idolatria, n1a ritornano a fanne di "un1ana presunzione'', che negano, attingendo alla forza critica della ragione, i! soprannaturale 22 : «essi seguitano a nutrire la loro dissennata speranza di riuscire a tàrsi grandi e felici co' soli 1nezzi lor naturali» 23 . li Roverctano si rende conto di dare l'i111pressione di essere spinto a parlare in questo n1odo da 1notivi di forte disagio nei confronti della filosofia e, quindi, si affretta a precisare che la sua avversione è soltanto per quella forma di filosofia che si erge boriosamente a forma di sapere assoluto 2-1. Gli uon1ini se111brano percepire la gravità del rischio verso cui l'epoca storico-culturale conduce la vita intellettuale. E co111c già nella fase di declino dell'ln1pero ro111ano il cristianesin10 apparve l'unica possibilità di salvezza per la vita intellettuale, così accade nell'età post-illu111inistica: gli uon1ini stanchi danno segni di voler retrocedere dalle aberranti posizioni di incredulità e di eresia. L'idea-guida in questo can1n1ìno di ritorno viene così descritta dal Rosn1ini: «l'esperienza di
22
Cfr FF.N 26ss. 27. 2-1 ((A chi non coglie il nostro concetto, parrà rorse d1e queste nostre parole siano ingiuriose alla filosofia. Però ad allontanare da noi questo sospetto, che ci pungerebbe nd cuore, vogliaino fnrc osservare, che qui si ln1tta solo di quell(J filosofia elle si snatura da sé 111cclesin1a; si tratt<l di quella fi!osoiì<1 che, invece di conlentorsi di esser parte 11e]J'un1a110 per/'ezione, si arroga d'essere clln sola il tutto, !i.l sola guida dell'uo1no; di quella filosofia che 11011 soffre d'aver nu!!a sopra, né tampoco a paro di sé: di quella filosofia final1ne11tc, che, cli1ninata la religione rivelata, che non con1prcnde, si inette ne! suo posto, dichiarando di conquistare così una sua provincia, statale per addietro ingiustarncnle usurpala. Ognuno vede che a una scuola filosof'ica dc' nostri leinpi possono essere dirette giustan1enle queste nostre parolell (FEN 28 nota 1). V fEN
Francesco Conigliaro
142
tanti secoli scn1bra aver convinti tutti universaln1ente, che non possono gli uo1nini durare sopra la terra, né venire a capo di niun loro divisan1ento, senza pur credere a un Dio» 25 . Ma se, da una parte, l'uon10, che nega Dio, si vede come abbandonato alle sue sole forze, dall'altra la nuova affermazione di Dio non è un ritorno alla fede nel Dio trascendente, bensì un ricorso alla finzione legittin1ata da un sistcn1a filosofico-ateo ammantato di un apparato di segni di tipo religioso. Ed una tale i1npostazione, che viene ritenuta nuova, in realtà, rileva il Rosn1ini, è antica come l'einpietà26 •
1.2. Religione, idolatria ed empietà in B. Constanl Quanto alla dottrina di B. Constant, il Rosmini dice che non s1 tratta di un sistetna religioso, 111a di una for111a raffinata cli ctnpietà dotata di tutti i caratteri peculiari del fenoineno. Essa esclude Dio e crea una fonna sostitutiva cli divinità, la quale, essendo frutto di finzione, si rivela falsa ed illusoria. Per sfuggire agli inganni dell'illusione occorrerebbe seguire la via della ragione, che, secondo il (~onstant, approda in1n1ancabiln1ente allo scetticis1110, o anche la via de!Pautorità, che, secondo !o stesso pensatore fì·ancese, che è filosofo e protestante, 11011 può essere seguita, tanto più che finirebbe con il ricondurre al punto di pa1ienza, negato con tanta cletcrn1inazione, e cioè a Dio 27 • La soluzione è e resta quella di sostituire a Dio una finzione. Tale concezione si rende ancora più evidente nel contesto della trattazione constantiana della religione. Le religioni hanno origine nel sentin1ento t1111ano e ne seguono le vicende. In quanto prodotto dcl sentin1ento, esse sono uguali e sono perfettibili e sostituibili 21'. 'fuHavia, le religioni hanno una chance nel fatto che gli uon1ini, analizzando le loro stesse esperienze, si sono dovuti convincere che una strada senza religione i1nn1ctte in un destino di 111iseria sia per l'individuo che per
25 FEN 29. 26 Cfl· FEN 30s. 27 Cfr FEN 31-34. 64. 2 ~ C/'r FEN 7ss.
"Franvnenti (/i una storia del!' en1pietà"
143
la società. Ma la sostituzione del vero Dio con una finzione è, più che ritorno alla religione, en1pietà29 • fl Ros1nini critica la posizione del Constant con una serie di osservazioni, delle quali riportiamo alcune tra le più importanti: parlare di uguaglianza di religioni e sostenere a-1Jriori che nessuna di esse abbia titolo per rivendicare il qualificatore di assoluta, è sia fare un'affermazione che ripugna al cattolicesi1no sia partire da una supposizione indimostrata; per quanto validi e numerosi siauo i fatti addotti per spiegare aspetti storicistici dcl fenon1eno religioso, se ad essi viene fatta precedere una teoria indi1nostrata e, perciò, gratuita e falsa, che li don1ina, i fatti vengono fagocitati dal pregiudizio e, pertanto, perdono ogni valore; l'uo1110 è spinto da un desiderio irrefrenabile di rivestire di forn1c il senti111ento religioso, che si trova in lui naturaln1entc, 111a, per quante forn1e egli possa creare, non sarà 111ai soddisfatto, senza per altro uscirne sconfitto o stanco, in quanto, scoperta l'illusorietà di una farnia, sarà pronto a crearne un'altra, ancora senza successo, nia senza arrendersi ed arrestarsi 1nai-'11 • E se le osservazioni rosn1iniane appena riportate sono riconducibili ai pri1ni due caratteri de!l'ernpietà, ne possono essere individuate altre che denotano la presenza anche nel Constan! dei segni propri dcl terzo carattere dell'empietà, e cioè i segni «di credenze stolte, di passioni sfrenate, e di azioni fanatiche» _li quali conseguenze caratterizzanti della caduta degli e111pi «dalla son1111a altezza nel profondo della viltà» ·12 . Il J{osn1inì riprende, in una lettera ad Achille Mauri del 16 febbraio 1828, alcune delle osservazioni già fatte alla concezione constantiana della religione: dopo aver pre111esso che !1 opera del Constant sulla religione è ricca ed erudita, si vede costretto ad affennarc che essa, a n1otivo della forza del pregiudizio che la opprin1e, è piena di errori, dei quali elenca i principali: il lega111e tra evoluzione delle fanne religiose e ragione un1ana; la falsità di tutte le forn1e graduahnentc assunte dal sentitnento religioso; la riduzione della
2'J
Cfr FEN 62ss.
:io Cfr fEN 8 nota 1, 9 nota I. -' 1
FFN 47 .
.n FEN
82.
Froncesco Conigliaro
144
111orale alle n1ere relazioni tra gli uo1nini; la valutazione del potere sacerdotale in tennini di oppressione e di tirannia; l'assi111ilazione, sotto ogni aspetto, di tutti i tipi di sacerdozio, incluso quello cattolico-'"'.
1.3. Religione, idolatria ed empietà nei San-Simoniani Parlando dell'empietà dei San-Simoniani, e cioè di quel gruppo cli pensatori che con son1111a ironia chian1a «que' nuovi cervelli», A. IZ0sn1ini dichiara previatnente che si tratta de «il più solenne e per avventura il più bizzarro che trovar si possa ovechessia»-u. ese111pio di en1pietà. La ragione di una valutazione tanto dura si trova sia ne! fatto che l'e1npictà san-sin1011iana è dotata di tutti e tre i caratteri tipici, sia so-
prattutto nel fatto che le concettualizzazioni e le for111ulazioni da essa usate fanno sisten1atica111ente ricorso ai sofis111i) alle an1biguità ed alle n1istificazioni >s_ I San-Si111oniani si guardano bene dal riinuovere Dio, n1a, n1ecliante il processo di utnanizzazionc a cui lo sottopongono, lo in1111anentizzano fino a! punto da fare svanire ogni idea di trascendenza e di soprannaturale e da ridurre la religione e la sua evoluzione ad un 111ero tì·utto dell'attività creatrice dell'uon10·' 6 • La scelta della religione, da loro ·fritta, si rivela ben presto una procedura falsante. Infatti, un Dio un1anizzato e naturalizzato diventa evanescente con1e un t~1nla s111a, e per di più 1nosl1T1oso .n. In tale opera di falsificazione i San-
n A. ROSMIN!, Al Signor Abate Achille 1\Ju11ri a P(rviu, in Iu., l:ì)fsto/urio losojico, a cura di G. Bonalède. Trapani 1968. 78s.
Fi-
·1 ~ FEN 60.
"-'' Cfr FEN 60s. v, «Hanno essi bisogno, in tutti questi panegirici che tessono alla varie religioni, di ricorrere a qualche cleinento soprannaturale? Non ve lo crediate; e qui balle tutta la loro industria. Essi non hanno bisogno dl uscire dall'uoino, da questo perpetuo idolo di se stesso: essi vi parlano dei beni delle rcligionì .sì cnutnn1ente, che riescono ad ascrivere tutti que' beni solo alla spontaneil<t solo a un buono istinto dell<1 specie uinana~ e a !~ir uscire dulia natura co111une clcll'uorno, tullo quello che ha non1c di Dio e di divino: la religione, i beni della religione. Questo è il trovato di cui tanto si applaudono: per tal n1odo l'uon10 ri1nane indipendente. egli è il solo benel8ttorc di sé n1edesin10. All"unrnna natura l'anno regalo di un seniiincnto creatore, che si giace nel fOndo di essa eo1nc in suo nido; e le religioni tutte non sono che appari7.ioni. fenon1eni, rnanil'estazioni (il Constant le chia1nava JOnne) di quel scntin1enlo>J (!:1-::N 64s) . ."\?
Cfr FFN 65.
"f'ron11n.e11ti di una ,viaria t!ef!'en1p;e1à"
Sin1oniani non solo snaturano la realtà di che pervengono alla loro peculiare forn1a che consiste nel -fatto che <d'uon10 adora tura unica e panteistica da cui e1nana» -'~.
145
Dio e della religione, n1a andi idolatria, che è filosofica e la propria natura, o quella naÈ questo un tipo· cli idolatria
che trova confenna nelPelin1inazione cli quelle appartenenze cli Dio, che sono la verità, la bellezza ed il bene, e nella loro i1n1nediata sostituzione con fonne prive di oggettività e con1pletan1ente inficiate cli soggettivis1110 -19 • Ma tutto questo è co1ne [a produzione del luogo all'interno del quale creare la fonna pili perfetta di idolatria. Questa, inlàtti, consiste nel panteis1110, che iinplica la divinizzazione dell'uon10 e l'esclusione dalla sua realtà e dal suo a111bito anche dcl benché n1ini1110 residuo non divino e non clivinizzabile. Ad ogni -for111a di idolatria parziale viene sostituita "'l'idolatria della patrin'' e "l'adorazione ciel gran l)io", che è l'intera un1a11ità 10 • Secondo il J{osn1ini, i San-Sin1oniani propongono !a loro fonnn di idolatria in n1anicra n1olto diversa rispetto all'"lndiano": 1nentre qucst'ulti1no divinizza con grande sen1plicità ed ingenuilà il suo fèticcio, i prin1i, operando con l'nvvcclutezza degli evoluti europei, e cioè con la potenza critica della ragione, non si costruiscono il Dio cli cui hanno bisogno con le inani, nia con l'aHività razionale, lraenclo!o quasi dal loro spirito. Tultavia, nonostanle le notevoli differenze, che sono e restano accidentali, gli elen1enti sostanziali dell'idolatria sono in cntra111be le prospettive e, conc!usivan1entc, consislono nell'atto di sotton1issione, dn parte clel!'uon10, acl una propria creatura· 11 • Sinlelican1en1e il Roverctano così presenta la nuova religione e la leologia che ne discende: «Però le opere di quest'un1anità-gran-Dio debbono conscguenten1ente essere, in !oro linguaggio, divine: e In politica, la scienza, le belle nrti, rindustria, che essi chia111ano tutte ugualn1cnte teologia, non sono pit'1 tutte insie1ne che questa loro grande rcligio-
J,~
FFN 66. Cfr l'EN 66s. ~o Cfr FF.N 73s. 1 "' Cfr fEN 74s nota 2. \'l
Francesco Conigliara
146
Una religione così i1n1nanentistica1nente ed orizzontal111ente onnico111prensiva viene proposta con insistenza e viene difesa con energia dai suoi fondatori, ina, osserva il Ros1nini, ciò che in realtà viene proposto è una nuova scalata al cielo, non pili lungo la vecchia via percorsa dal titano Prometeo bensì lungo le vie aperte dalle varie for-
rne della creatività u111ana: l'industria, le arti, le scienze, la politica-1-1 . Di fì·onte all'opera titanica di con1pletan1ento e di perfeziona1nento del Saint-Simon, fondatore della nuova religione, tutti gli altri fondato-
ri di religioni, incluso Gesù di Nazareth, chian1ato dai cristiani Cristo e Figlio di Dio, hanno avuto un ruolo parziale e li111itato. Così si esprin1e
il Rosn1ini, che riporta un'idea del Saint-Sin1011: «Mosè ha pron1esso agli uon1ini la fraternità universale; Gesù Cristo l'ha ]JrCJJarata; SanSiinonc la realizza» 44 . I San-Si111oniani, che hanno portato avanti la dottrina del Saint-Simon, facendola avanzare per la via della perfettibilità e del progresso, hanno collocato il loro maestro al posto di Dio,
finendo con il creare "un'idea-uon10-idolo". Ma una tale divinità, sentenzia il Rosn1ini, è un'"idea-uo1no-idolo-n1ostro", e chi l'ha inventata ha di111enticato che l'uorno non è fatto per la superstizione, che è falsità ed i1111noralità, bensì per la verità, per la realtà e per la nioralità·L'. La collocazione del Saint-Sin1011 al vertice della religione, addirittura ancora più in alto di Gesù Cristo, l'Uon10-Dio, secondo il Rosn1ini costituisce il 111assi1110 dell'en1pietà ed è all'origine di una tren1enda "legge di contrappasso", che scandisce i ritn1i della religione dei San-Sin1oniani in tcrn1ini di degradazione niora[c: essi, nonché riedificare in n1cnzogna ciò che distruggono della realtà e adorare ciò che beste111111iano, percorrono fino in fondo l'itinerario tracciato dal terzo carattere dell'cn1pietà, che viene espresso con l'idea «di cadere che fanno i nemici di Dio dalla somma altezza nel profondo della viltirn "'. Tale viltà consiste nella ricerca della soddisfazione di tutte le possibili
42
FEN75 .
.n Cfr FEN 75. 44
45
FEN 76. Cfr FFN 77ss.
46 FEN
82.
"Fran11nenti di uno storio tlefl'e111pietà"
147
fanne di voluttà"' 7 •
2. Strrnnenti conceltuoli dell'en1pietà Quanto sia1110 venuti esponendo ci ha dato la possibilità di capacitarci dei contenuti che il Rosmini dà alle due forme di empietà che studia nei suoi Fra111111enO e/; una storia cle// 'e1111Jietà. Ma, al fine di penetrare nella struttura logica di entran1be, è necessario individuare e chiarire bene gli strun1enti concettuali ai quali B. Constant ed i SanSin1oniani ricorrono per i1npostare ed esporre le loro tesi. Ovvian1ente, dati i limiti ciel nostro lavoro cui abbiamo già accennato, tale operazione verrà fatta insien1e al Ros1nini, il quale, da pa1te sua, fa ricorso a stru1nenti concettuali idonei a sottoporre a critiche ed a correzione le dottrine da lui qualificate con1e cn1pic.
2. I. Pregiudizio Il Rosn1ini avverte tutto il pericolo nel quale si vengono a trovare gli uon1ini, sia con1e individui che corne cornunità, a 111otivo dei condizionan1enti originati dai pregiudizi. Questi possono consistere in prccon1prens10111 ed in ideologie 111istificanti. Le precoinprensioni possono essere distinte in prospettive n1entali assunte inconsapevo!n1cntc ed acritican1ente) ineli111inabili e condizionanti, su! piano dei fatti, l'approccio ai problcn1i, cd in attcggian1cnti 111entali, anch'essi precedenti e condizionanti l'approccio ai proble111i, n1a tnantenuti in un contesto di pigrizia n1entalc e di rifiuto di verifica e di revisione critica. Le ideologie n1istifìcanti, chia111ate pure ideologie in senso stretto, precedono e condizionano anch'esse l'approccio ai problen1i, e chi le produce e/o le utilizza è consapevole di usarne co1ne cli dispositivi volti a distogliere chi non è consapevole dalla realtà oggettiva ed effettuale. Il pregiudizio, dunque, è sen1pre pericoloso per l'oggettività, in quanto
~7
Cfr FEN 82-94.
148
F'rancesco C'onigliaro
costituisce una struttura che separa da essa. Se si tratta di una struttura non predisposta artatan1ente, ci si trova cli tì·ontc ad una pericolositil
vincibile, ancorché affrontabile con grande fatica. Ma le possibilità di vincere i! pericolo del pregiudizio si riducono nel caso della fuga consapevole dalla fatica della revisione critica, e si riducono sen1pre più, fino a scon1parire, nel caso della 1nistificazione.
Parlando del Constant, in una lettera inviata ad A. Mauri il 26 novcn1bre 1827, il Rosn1ini n1cttc a teina !a questione del pregiudizio, che espone il filosofo francese a tutti i rischi dell'ideologia. Sembra, però, che il pregiudizio che segna le sue opere sia dcl tipo dell'atteggia111ento n1cntalc 111ai sottoposto alla necessaria e doverosa revisione critica. li Constant è, stando al Ros111ini, "un bell'ingegno" ed "un be! cuore", n1a i pregiudizi dai quali parte, dotati con1c sono di portata sisten1atica e pertanto di grande efficacia speculativa, lo detenninano a svolgere le sue rificssioni lungo itinerari prestabiliti, disancorati da!l'oggcttivitù e dagli aiuti che da cssn scaturiscono in ordine al senso ed alla congruità del discorso-1s. Il giudizio globale del Rosinini sul (~on stant si !ibera qunsi da ogni attenuante e risuona con inaspettata durezza: «Nell'opera dcl Signor Constant [ ... ] precede una teoria che domina su' fatti stessi, gratuita, indin1ostrata [ ... ] quei fatti, che si stirano e storpiano, o presentano profilati a quel 111odo che bene stiano a! sistc111a; i! che è un lacciuolo teso alla scn1plicitù de) lettori. Tale è !'opera ciel sig. Constant relativan1ente al 111ctodo: un abuso di astrazione, un sisten1a senza prova, un pregiudizio che presiede secretan1cntc a una
.rn «Le confèsso che In kllurn della 1nedesi1na [ropera dcl Constan1 I n1i hn cagionalo un certo senso di tristezza profonda, veggendo in quali stranezze si perde anche un bello ingegno. se abbm1dona l'uniu1 guida della verilù, un bcll'ingegno. dico. e dirò anche un bel cuore, perché tale 111i pare quello di Conslant. 1na sciaguratan1c11te tradito ed illuso dalle abitudini pregiudicate e dugli nbbagli di una niente isolata, e perciò senza aiuto e sostegno. Una o due idee /Issale di soverchio hanno dato al Conslan1 un certo vedere sis1eina1ico. elle lo fi_1 orrenda1nente abusare della storin. s1irnnclo e conlraJTacenclo i fatti, rin1ovendo lo sgunrclo eia tutla quella serie cli fritti che riescono favorevoli al suo sistenw, né sarebbero con esso accordabili: tulli insonHllil vegg_endo. e sforzando gli a!1ri t1 vedere. tinto di quel colore che non isth nelle cose. 1na nel suo oeehioJ> (A. RoSMlNI, 1-:./Jistolario Filosr?/Ìco. ci!.. 7,/s). Jn una lettera inviata allo stesso 1\bate Achi!!e l\!lauri i! 16/02/1828 il Ros111ini tonrn a parlt1re sia dci talenti che dci pregiudizi del Constant: quanto ai pregiudizi dcl Constnnt dice così: «Ricca è !"erudizione. 111n lullavia parziale perché siste1natie<1>J (ihid, 78).
"F'ranunenti di uno storia dell'en11Jietà"
149
lunga serie di fatti infedelissin1anente riferiti>r 19 • Fennando la sua attenzione sui San-Sin1oniani e sui loro pregiudizi, il Roveretano è 1110110 più severo, in quanto ne inette in luce l'i1npostazione voluta1nente 1nistificatoria dei discorsi e gli intendi1nenti scopertan1ente volti a trarre in inganno. Il pregiudizio dei San-
Sirnonìanì è, dunque, un dispositivo ideologico in senso stretto cd il Rosn1ini, ricorrendo all'efficacia n1artellantc del linguaggio interrogativo,
affida al lettore il compito di trarre le conclusioni più adeguate: «Ma in che altro consiste la 111enzogna, se non in dire ciò che non si ha nell'anin10? [)j che altro nasce la forza de' sofis1ni che propagan Pcrrore, se non dall'an1biguità delle parole? Con1e avviene che J'uo1110 seduca sé 1nedesin10, se non con1inciando da una cotal persuasione leggera e superfìciale, creata in sé stesso dalla passione, e opposta alla voce della coscienza, che profonda e sicura si fa udire ne' penetrali dell'ani1110; e dal concedere la propria lingua ad istru1nento e n1inistra non di questa coscienza veritiera e nativa, n1a cli quella persuasione tàttizia, la quale coll'abuso delle parole si rinfì·anca e si consola nelle sue trepidazioni, e s'indurisce contro il dubitare che con1batte?» 50 •
2.2. Sentimento e illusione Il tenia del pregiudizio consente di cogliere in tutta la sua portata il rischio ideologico cui si trova esposta l'oggettività. La conoscenza elci filtri mediante i quali vengono controllate le idee è certamente un dato cli capitale in1portanza lungo la via del recupero e dell'offe1ia di garanzie all'oggettività. Ma a tale scopo sono necessarie altre acquisizioni nel ca111po preciso del soggettivisn10. Ed il Rosn1ini vi si inoltra occupandosi, insien1e al Constant ed ai San-Sin1011iani, dell'origine del feno1ncno religioso. B. Constant pone !)origine delle credenze religiose nel scntin1ento. Si tratta di ben altro che di un fattore volgare. Il sentin1ento in que-
.t'l FEN
8 11018
sn FEN 60s.
I.
150
Francesco Conigliaro
stione è una forza che accende nell\1on10 una inappagabile nostalgia d'infinito. Riportando le parole del Constant, il Roveretano dice: «tutte le forme esteriori ch'egli [il sentimento] ritrova sono a lui inadeguate, e rin1an sen1pre in esso qualche cosa d'in1n1enso, d' in-fìnito, che non può circoscriversi, e non può rappresentarsi» 51 . Il fatto grave è lo sviluppo che ad una tale idea di sentin1ento, in sé straordinariamente positiva, dà il Constant. Ad essa non segue la ricerca da patte dell'uomo dell'itinerario verticale, come dell'unico possibile per fare un'utentica esperienza dell'infinito, n1a il tentativo, posto in essere lungo un percorso orizzontale, di creare una religione, in cui soddisfare il desiderio, e sostituire incessanten1cnte una religione con un'altra, nella speranza di i1nbattersi finaln1ente in una vera1nente appagante. È così che il sentimento si trova alla base delle religioni, le quali, da parte loro, ne seguono le vicende. Ciò significa sia che le religioni, senza esclusione di nessuna, sono n1anifestazioni del senti111ento, sia che il senti1nento ne è la scaturigine 52 • Il sentitnento religioso, secondo B. Constant, è un fatto originario e pri111itivo, passione pura e cieca, furore ed esaltazione, privo di razionalità e di regole e, in quanto tale, non può non dar vita ad una serie infinita di forn1e religiose, nel tentativo) disperato ed illusorio, di trovare quella perfettamente corrispondente alle sue bra111e-"'. Ma un tale percorso di speranza vanifica la speranza
51 FEN 7. 52 Cfr FEN
7ss. 5-' Questa è certamente l'offe1ia prevalente di senso che !'idea cli scnti111c11to religioso ha in l3. Conslant. Tuttavia, non bisogn<1 trascurare il fatto che la n1edesin1a idea viene usala con altri significati, che lo stesso Ros111ini non esita a recare all'evidenza: «La p<1rola senti111ento religioso nell'opera del sig. Conslanl uon ha un fern10 e stabile significato. Egli se ne giova a significare tutto ciò che gli vien bene. Tre sono i significati principali che le attribuisce: quello 1°. cli un istinto creatore cli lu[[e le religioni, 2". di una pura aslr<1zione 1nenlalc, 3°. e final1nente di una 1nera capacità di ricevere !e rivelazioni religiose. rv1a di questi tre significati, quel che signoreggia in tutti i ragionaincnti è il priino, cd è que!!o appunto che noi co111battian10. Se al nos1ro autore si presenta alcuna c!iflicoltà insolubile a prendere il .1·enti11u:nto religioso nel pri1110 significato, cd egli ricorre al secondo. r... J Pili stretto m1cora dalle obbiezioni, egli lo riduce ad una scn1plicc facoltà passiva, co1ne nel luogo seguente. "Pili l'uon10 è convinto che la religione ci è stata rivelata per vie soprannaturali, e più egli deve conccclcrc che noi <1bbiarno la facoltà di ainrnettere in noi queste co111unicazioni 1neravig!iosc. Egli è questa facoltà che noi chiamiamo il sentiinenlo religioso'' (L. l). Ma chi contenderà in tal senso resistenza del sentiinenlo religioso? chi ha n1ai ncgnta
"//ranunenti cli una storia cle!l 'en1pietà"
I51
illusione e conduce speditamente all'idolatria''· Sennonché, questo percorso, mentre conduce ali' idolatria, allontana se1npre più dalla ragione e dalla ragionevolezza. E questo è un esito contraddittorio, se solo si considera che il Constant è protestante e, secondo la sua fede religiosa, che implica il "libero esame", dovrebbe attribuire alla ragione co1npiti e ruoli detenninanti anche in 111ateria di fede. Eppure il Constant preferisce il sentimento alla ragione. lnfatti, è ad esso che affida co1npetenza e con1piti creativi circa la religione. Ma gli esiti di una tale operazione in teina di verità sono catastrofici: in una visione corretta la contiguità della natura con la verità si realizza sul fronte della ragione e della razionalità; se, invece, è il scntin1ento a creare tutte le "forn1e religiose", e cioè le ceri1nonic e le pratiche, le credenze e perfino i dogn1i 55 , le conseguenze sono gravissin1e da ogni punto di vista. A tale proposito, il Rosmini si esprime nel modo seguente: «Facendo egli uscire la religione di per sé dall'un1ana natura, egli la rende soggettivai cioè la dichiara un'appartenenza del soggetto uon10. Or, s'ella è uno spontaneo prodotto dcll'un1ana natura, l'effetto non può essere n1aggiore, né più augusto della sua causa. Dunque, questo Dio del signore Constant, questa religione che ha l'uom per autore, non è più Dio, non è più religione: il signor Constant ha ritenuta la parola, e ha distrutta la sostanza della religione!»·16 • Del resto, non c'è da attendersi di più da una creatura dell'uomo: «A che si ridurrebbe un tant'essere, tostoché si scoprisse lui venir prodotto da un sentiinento della natura umana? Qual chimera sarebbe ella questa? Un infinito prodotto da un essere finito, creatura della sua creatura!» 57 • Il rilievo conclusivo dcl Rosmini circa le idee del Constant è che l'uomo è fatto per la grandezza, per la perfezione, per la felicità e, in ultin1a analisi, per Dio, e quest'ultin10 è un dato che il filosofo francese inette certan1ente 111
tale l~1co!tà? o cred'egli d'avere fhlla una scoperta? che il inondo intero sia cosl bnggiano, che d'una parte creda d'avere ricevuta una rivelazione, e neghi clal!'altra di avere la potenza di riceverla? Or se ritenian10 se1npre questo giusto signitìcato del scnlin1ento, tulti i suoi ragionmncnli vanno da se stessi per terra)) (fEN 47 notn 1). 5-<
Ctì' fEN 35. Cfr Fr:N 36ss. 56 FEN41. 57 fEN <12. 55
F'roncesco C'onigliaro
152
a teina. L'uon10, da parte sua, precisa il Roverctano, può conseguirli,
condizione che non li ricerchi in se stesso 5 ·~. La scaturigine del!::ì religione secondo B. Constant è il sentin1cnto, che il Ros111ini descrive in 1nodo abbastanza fedele e che critica co111c unn farnia pericolosa di soggcttivisn10, gr8vida di conseguenze catastrofiche proprio nel!'an1bito religioso. Con ciò intendiarno dire che, quanto al Constant, il Roveretano prin1a espone il pensiero e poi lo valuta critican1ente. Invece, quando esan1ina !'origine della religione secondo i San-Sin1oniani, egli è i1nn1ecliata1nentc critico e ricorre al tenni ne-concetto "illusione", che è, oltre che una valutazione critica della prospettiva soggettivistica, anche una inappellabile sentenza di condanna inotivata dalla 111edcsin1a prospettiva. I! -fatto è che dei SanSi111oniani il Rosn1ini non riesce a sopportare, sul piano sia speculativo che en1ozionale, né la sentenza che relega nell'ignoranza e nella superstizione tutta la tnateria religiosa che non può essere liquidata n1edia11te l'ateis1110 w, né l'attentato contro il buon senso e l'oggettività, con1n1csso nicdiante la conservazione dell'idea e del non1e Dio, idea e non1c dcl tutto privi di una effettiva realtà corrispondente, allo scopo di creare illusioni "beate'' e "fclicissin1e" con le quali spegnere ansie, soddisfare bisogni e creare idoli da adorare 60• 111a
él
2.3. Soggcttivisn10 e strurnenlalis1no
Procedere in inateria religiosa con la logica del sentin1ento e delle illusioni significa sancire dcfinitivan1ente il don1inio del soggcttivisn10 e consegnare ad esso i destini della religione e della teologi[]. Questo è ciò che il Roverctano intende iinpedire ad ogni costo, 111<1 è ciò che fanno B. Constant ed i San-Sin1oniani. Essi non f'anno che applicare in ca111po religioso le tesi teoretiche fonnu!ate da altri pensatori, soprattutto tedeschV>1. 1,a conclusione è che, quando il !un1c della ra-
:i~'
Cfr FLN 55. Cfr Fr::N 79s. r,o Cfr FEN 80ss.
59
cui si
rii Ritcninn10 in1poiianle riprodurre in parle una nota del lesto ros1ninia110. in fa in 111oc!o cstrc1nan1ente sintetico una storiti clcl sogge1tivis1110 lino <ii n1'1cs1ri
"f~ra1111ne11ti
di una storia def/'ernpief<ì"
153
gionc si fonda su se stesso, le idee che ne scaturiscono, essendo esso individuale e soggettivo, ne seguono le vicende e ne riproducono le caratteristiche 6 '. Del resto, dalle risposte alle domande su Dio e sulla vcritii date dal sentin1ento in un a1nbito di totale i1111nanenza non ci si può attendere se non un approdo all'illusione. Se tali dornande vengono a trovarsi di fronte ad alteggitl1nenti convinti circa !a non esistenza di Dio e del la verità e, nonostante tutto, pretnono verso una risposta positiva, si viene a produrre la situazione tipica per creare una qunlche fonna di divinità, di verità e di ogni altro valore necessario. Sen1hra di trovarsi di fronte a forn1e e rigure dotate di ineguagliabile assolutezza, perché libere perfino dalla legge dell'oggettività, 111a in realtù si tratta di "fantocci", di "finzioni'' e di "'n1enzogne''. Per i!lu1ninare la sorte dell'universale con la vicenda del particolare, riproducendo a tale scopo la critica che il Rosn1ini rivolge alla teoria kantiana della libertà, non basta proclan1are la propria libcrtù per essere cffettivan1ente liberi. È cotne dire che la postulazione della libertà non è sufficiente perché l\1on10 sia effcttivan1ente !ibero('\ lJna volta negata l'oggettivitù non è più possibile trovare [a via che conduce alla veritù oggettiva che fonda, sul piano razionale_, la conoscenza u1nana cd apre, sul piano religioso, l'itinernrio della conoscenza dcl Dio trascendentcr'--1. Il Ros1nini è un critico irriducibile delle tendenze in1111anentistiche en1piristiche e soggettivistiche che segnano la fi!osoi~a n1odernar,:;. Egli non sa rassegnarsi di fi·onte alla n1iseria nella quale si verrebbe a trovare avviluppato ed intrappolato l'uo1no se fosse incapace di conseguire l'oggettività nei 5
dell'en1pielù: «L<1 filosotìn lrn co111inciato ad essere soggcttivn senza saperlo co' sensisti. poi lrn con1inci<1to u sapere di essere soggettiva cog!.idealisti inglesi. inu la sogge11ività sua non ru co1npluta che in Gern111ni<1. Queste scuole che se111hrano in apparen7:<1 così diverse, hanno dunque un fondo co111une nell<l sostanza, lllltl comune lendenza. !11 Francia non si dedussero che delle conseguenze pr<ltiche, o piu11osto se ne ai111ò la dilTusione. J,a ./"orma poi che prende nel nostro secolo il sc11fi111cnto dt!l/ 'e111pic1à t': un prodotto di tulle insicinc le indicale scuole Jì!osofiche. è l'applicnzione di esse alla religione. è !"aver resn questa soggeHivn)) (l·'r:N 65 nola I). r,~ Cfr Prc.fàzionc dclrEditorc a Si:.: 12. ri:i Cfr FEN 55, 65ss. r,--1 Cfr A. CATTr\BIANL li sunsi111onis1110, sisN!111a c11//11ralc dello società /ec110logic;a. Saggio introduttivo a A. !{OSMINJ, F!·a111111e11ti di 1111a storia de// 'e111pietà (=l;AC), Torino 1968, I5s. 65 Cfr FAC 13.
Frnncesco Conigliaro
154
vari an1biti della sua esistenza e soprattutto in ca111po rcligiosor'6. Un sentin1ento ed una illusione che esercitano sull'uon10 una pressione tanto forte da non consentirgli di sottrarsi all'i1nperativo cli creare una forn1a qualsiasi cli divinità, al fine di trovare, sia co111e singolo che nelle fo1;111azioni sociali, forn1e sufficienti di sicurezza, è descrivibile solo in tcnnini di strun1entalis1no. 'fa\e in1perativo esercita una tOnna tanto forte di cogenza, che, ancorché scaturisca dalla natura u1nana, segue un percorso pulsionale e, pertanto, per nessuna ragione al inondo può essere ricondotta nell'a1nbito dell'oggettività. Ritenia1110 eccessivo estrapolare il Rosmini dalla sua epoca e farne una so1ta cli
profeta dell'antistru1nentalisn10 conte1nporaneo e di ogni tcn1po 67 , 111a è innegabile che egli abbia detto parole chiare su tale questione, sostenendo decisan1cnte che la religione non può essere ridotta a 111ero strun1ento di soddisfazione di bisogni u1nani, sia individuali che sociali. Dcl Constant egli denunzia la valutazione che questi fa de!le varie religioni non sul fronte della verità, bensì su quello dell'utilità. li senli111ento, che è la potenza creatrice delle religioni, seguendo la logica e le leggi delle circostanze, sostituisce una fonna dannosa di religione con
una più utile, pronto a sostituire quesl'ultin1a non appena la 111eclesi1na logica dell'utilità lo esigeràr'8 • 11 Constant, pensa il Ros111ini, è taln1ente preso dalla forza dell'egoismo umano che non si rende conto di affern1arlo neppure nell'atto stesso in cui è convinto di negarlo. Qual è, infatti, lo scopo della religiosità dell'uomo se non il suo stesso vantaggio, e cioè il superamento dcl rischio dell'infelicità nel quale incorrerebbe se non desse una -fonna all'istinto religioso che lo 111uovc con una forza irresistibile? 69 li Constant non agisce diversamente da quei filosofi pa-
66
Cfr FEN 42. Cfr FAc 24ss. (18 crr fl'.N 40.
(, 1
19 (
«Non è dunque l'uo1110, nel vostro sistc111a, religioso unica111enle pcl proprio vantaggio? Cioè per evitare quella disperata infeliciti'ì che gli è n1inacciata se non si lascia portare a tale istinto? Non avete voi in tal n1odo l'atto entrare nel calcolo dell'interesse bene inteso, anche i 111ovi1ncnti del cuore che ad ogni cnlcolo si sottraggono? Confutate dunque l'egoismo parziale de' lcn1pi nostri. con un cgoisn10 pili raffinato, pili universale: tutte le vostre declainazioni contro di questa vi!e passione, si riducono a pungerla perché ella non si rallarga abbnstanza, perché non clon1ina abbastanza in sul rnondo: e voi 18tc entrare nel don1inio de!!'egoisn10 la religione 111cclc-
"F'ranunenti di una storia dell'e1npietò"
155
gani che, riconoscendo utili cc1ie divinizzazioni, sacrificarono la verità all'uti!ità 711 • È vero che egli critica co111e "in1111ediato" ]"'interesse" di quei politici che vedono nella religione uno strumento di utilità pubblica, rispondente alle esigenze del principio di ordine socio-politico, 111a non riesce ad evitare, proprio su questo punto, le critiche del Rovcrctano. Questi, che pure apprezza una tale precisazione, insiste nel dire che [a concezione utilitaristica della religione coltivata dal Constant, anche se evita lo scoglio de!P"intcresse in1n1ediato", non evita del tutto la logica stru111entalistica ed utilitaristica dcll'interesse 71 . I San-Si111oniani, da parte loro, conservano l'idea cd il non1e di Dio affinché !'uon10, sostenuto da questa illusione, si senta contento e soddisfatto. Essi fanno dichiarazioni contro il principio dell'interesse e dell'utilità; 1na, osserva il Rosn1ini, si tratta di dichiarazioni ent:1tichc e strun1entali, volte a nascondere il principio chiaran1ente strun1entalista alla luce del quale effettivamente si opcran Punti precisi della dottrina san-sin1oniana, ai quali il Rosn1ini dedica non poche delle pagine del suo non lungo scritto, sono il tenia della "voluttà dci sensi" ed il tenia che, secondo la prassi e l'in1n1aginario collettivo, ne costituisce il fulcro, e cioè la donna, anzi la "fen1n1ina". Ai San-Sin1oniani, che difendono decisamente la libe1tà della donna rispetto ad ogni vincolo familiare, sociale e niorale e che si dichiarano ani1nati da puri scnti1ncnti di filantropia, il Ros111ini oppone una dura accusa di strun1entalis1110: «Povera la fe111n1ina !ibera! l~ssi non hanno alcuna verecondia a paragonarcela "a un banchetto divino, che aun1enta in 111agnificenza a ragione del nun1ero e della qualità de' convitati"! Ma in questo caso, la libertà appartiene ella al banchetto, ovvero a' convitati che in gran 11u1nero e con avide bran1e assidono al banchetto e ne divorano le vivande? [ ... ] Dunque non la libe1tà della donna, ma intendono procacciare la libertà di sé relativa111ente alla donna; a quel 111odo che non la libertà cli una fortezza cercano gli assalitori, n1a per sé il libero possesso di quella, e per questo n1otivo ne vogliono rotte le 111ura, e atterrate le sirna. che di sua natura pit'I n'è lontannll (FEN 43). 7° Cfr FEN 43 nota I. 71 Ctì· fEN 43s nota 2. 72 Cfr FEN 80.
f'roncesco Conig/f{lro
156
porte: ché sarebbe pur nuovo a credere che alla fortezza co111inc1asse una felice libertà, quando ella ha cessato d'avere baluardi, e porte e fos-
sati» 7·'.
2.4. Evo!uzionis1no, perfettismo, ottirnisn10
Le religioni, che nascono dal sentin1ento e dall'illusione con l'ausilio dell'i1nn1aginazionc) trovano nelle stesse facoltà naturali le ragioni per evolversi inclefinitan1cnte. B. Constant studia il fcnoineno religioso alla luce cli una visione antropologica che considera l'uo1110 e
tutte le sue attitudini ed attività cnrnttcrizzate dn un dinan1is1no progressivo straordinario. L'uon10 vive in forza della potenza cliron1pentc di un bisogno, che tende scn1prc alla sua soddisfazione, senza 1nai poterla conseguire piena111ente, e che ora svanisce e poi si ripresenta, in una tensione inarrestabile sen1prc soggetta allo scacco e scn1pre risorgente. Nessuna farnia conseguita soddisfa le bra111c del desiderio e nessuna delusione !o fa rinunciare. L'inconsistenza dell'esito non ne appaga le bran1e così con1e non ne spegne le speranze, le cui tensioni sono se111pre attive: «Così l'un1an genere, secondo il Constant, bisognoso di vestire con forn1c adeguate i! senti111ento religioso che ha in se 111cdesi1110 per natura, spera di dovergli riuscire la cosa colle prin1c fanne che trova: n1a questa speranza sua vana1nente lo illude, e gli dura sol quanto egli 111ette a scuoprire che quelle farnie sono al suo senti111ento inadeguate e sconvenienti. Allora egli ro111pe quelle fanne; 111a un nuovo e sernprc illusorio sperare: noi lascia però ozioso, e rico1nincia a crearne di nuove, e tuttavia vana111ente!» 74 • Anche i San-Si1noniani parlano di progresso del !e religioni, scaturente dal !oro Dio, che è l'un1anità. Da questa divinità un1anizzata, o u1nanità divinizzata, nascono tutte le religioni, inclusi il cristianesi1no e colui che ne è il centro, Gesù Cristo. Co111e il cristianesitno è stato un progresso rispetto alle religioni che lo hanno preceduto, così sorgeranno fanne di religione ancora più progredite di esso, aliinentate eia una divina facoltà
n FEN 84s: c/ì' anche FEN 84-95. 71 · f'EN
9 nota 1.
"f'rarnrnenti di uno storia de/l'ernpietà"
157
de!l'uon10, che viene chiatnata, a seconda dei casi, "ispirazione'', ''sin1patia" e "in1n1aginazionen 75 . La produzione di fanne religiose in forza della inesauribile potenza creativa del senti111ento e dell'in1n1aginazione avviene lungo un percorso non solo di progresso 1na anche di perfettisn10. Ciò significa che, lungo una linea produttiva dagli esiti ignoti, le J{)rn1e di religione sono co1ne segnate da un afflato ascensionale e da una organizzazione concettuale e prassica sempre più evoluta. La perfettibilità, quale legge universale, viene estesa sia dal Constant che dai San-Sin1oniani da!le cose u111ane alle cose divine e, dunque, alle religioni, senza alcuna eccezione 7r'. Il Ros111ini reagisce con tutte le sue forze all'ideologia ed al 111ito ciel progresso. A proposito del Constant, dice sia che i fatti, dai quali egli parte per din1ostrare !a sua tesi dell'universalità del perfcttistno religioso, sono un fì·an1111cnto così piccolo dell'esperibile nel settore che tàrnc la base di una argon1entazione teoretica cli portata universale costituisce un indebito passaggio dal particolare all'universale 77 , sia che vi è una qualche specie di verità, in sé gi<Ì perfetta e dunque non più perfettibile, che sfugge alla legge del perfettisn10 per la sen1p!ice ragione che, lungi dal potere e dal dovere essere 1nutata, deve invece essere custodita 1s. Ed a proposito dei San-Si1noniani, affcnna che l'ascrizione del pcrfettis1no religioso all'uo1110 quale suo inerito è una delle tante espressioni dello spirito di n1enzogna che !i ani1na 7'). Dei San-Sin1oniani il Roveretano denunzia anche l'illusorio ottin1is1no cli sta1npo il!un1inistico, che se, per un verso, li induce a considerare i inali, i vizi ed ogni genere cli lin1iti delt'uo1110 e ciel suo inondo all'interno della legge universale e "fatale" dello sviluppo e, pertanto, a farne 111on1enti interni e gradini necessari dell'evento dialettico del progresso·~ 0 , per un altro vcr-
7
-~
7 r,
Cfr FEN 70ss. Cfr FEN 7, 39s, 72s.
77 Cfr FFN 39s nota I. 7KCfrFEN 5!. 7lJ Cfì· FEN 73 . .~o «Perciò i Sm1-Si111011iani r... ] per isbatterc dall'indiala u1nanitù anche quell'onta, che le ri111arrcbbc ove de' mali si confessasse cagione, entrano in questo pensiero. di dover solloporre ad una n1cclcsinrn kggc di J'nta!c sviluppan1ento cosi i
158
f'roncesco Conigliaro
so li spinge a deridere il cristiancsi1no che non solo non ha n1ai preteso di trasforn1are il 111ondo in paradiso terrestre, 111a neppure ha circondato di 111istero e di an1biguità il fatto che questo 111011do sia una "valle di lacrin1enKi.
2.5. Antropocentris1no im1nanentistico
L'ntendi1nento di B. Constant e dei San-Sin1011iani, da una pa1tc, e di A. Rosmini, dall'altra, è quello di fare un discorso preciso sull'in1111anentisn10. La differenza è che, n1entrc i prin1i [o tànno per coglierne ogni fecondità) Paliro lo fa per con1batter!o nel n1odo più deciso. L' i111111anentis1110 consiste ce1tan1ente nel concepire I' uon10 con1e progetto dì se stesso, 111a soprattutto nel porre in lui l'inizio cd il con1pin1ento del suo essere e della sua vita e, ancora di più, nel risolvere in lui le prospettive globali dcl senso e dcl valore. In particolare, fare dell'uomo la culla della religione, in senso culturale e reale, equivale sia a fare dcl suo scnti1ncnto, dclln sua in1111aginazione e della sua illusione i principi ontogenetici della religione, sia ad attribuirgli le prerogative della divinità, sia, infine, ad identificarlo con Dio. Mentre il Constant cd i San-Sin1oniani procedono in questa direzione, il Rosn1ini si oppone con tutte le sue forze e dà indicazioni del tutto diverse 82 . L)i1nn1anentis1110, che è proposto dai sisterni di en1pietà e che i I l~osn1ini chia1na anche "pantcis1110') ~\ in realtà è una for111a di antro-
inali con1c i beni. cosi i vi7i come le virtù, dichiarando quelli non essere che un grndino necessnrio per nsccndcrc a queste. e considerando in cotnl rnoclo anche que' periodi di te1npo. cui In storin descrive più n1oslruosaincnlc n1acchiati cli scellernggine. e che essi chiamano con la denoininazione di critici. quali segreti progressi dello spirito umano, quali ctlctti ncccssarì delln stessa facol1à divina. quali JCnon1cni che si ;1vvicendano, venendo anche in essi osservata la legge della pcrfc1tibilitù!)) (FEN 72s). ~ 1 «E i San-Si1noniani si tengono così sicuro nelle mani il inondo sensibile. oggetto di !oro i1n1ncnsc pro1nessc, clri doverne fare che loro 1neglio n'aggrada: e vi assicurano, che tale e tanta è J'un1ana potenza su di lui. eia potervelo, in virll1 della dottrinn che insegnano. cangiare in un 1crrcno paradiso; di che essi traggono. tutti gioviali, ampia 1natcrit1 a ridere e schernire il povero Cristianesin10. i! quale di ciò ii:irc finora non fu capace, anzi confessò e dichiarò non dover esser il mondo presente che un !ungo di esilio e una vrillc di guai)) (FEN 93). Nl Cfr [~'FN; FAC 13, !9. NJ ;\d esernpio. cfr FEN 73.
"Fran11ne11ti r/; una storia rlel!'en1pierrì"
159
pocentris1110, al quale sono den1andati i con1piti in1111ani di dare risposte sui temi del principio e del fine speculativamente spinti sul fronte stesso dell'assoluto. Il Rovcretano ripete continuan1ente nei suoi Franunenti rii una storia dell'e1111Jietà che le due posizioni da lui studiate, quella del Constante quella dei San-Simoniani, pa1tono dal bisogno assoluto che l'uon10 ha di Dio; n1a, non appena ne fanno oggetto di discorso, prendono la strada errata dell'i1nn1anentis1110 e pervengono ad una concezione della divinità apparente e falsa. Così facendo, si comportano come filosofi che divinizzano se stessi e le proprie dottrine, e, nel conte111po, con1e increduli e, dunque, carne divinizzatori delle proprie 1niserie. Tutto questo, sostiene il Rosinini, è certan1ente cn1pietà, 111a non potrà 111ai essere chia111ata filosofia. Se è filosofia, si tratta di una filosofia dissennata e crudele. Essa, infatti, incatena l'uo1110 ai piedi di una divinità che, non riuscendo a sollevarsi niinin1an1ente dal livello creaturale ed un1ano, è soltanto una chi111era, e ne provoca !'infelicità sia distruggendone l'apertura ad una divinitil capace di con1piere in perfezione il senso dell'intero esistente) sia inceppandone la naturale tensione di libertà con i vincoli u1nilianli ed avvilenti di un fatalismo cieco, sia, infine, soffocandone le potenze attive che lo spingono e lo lanciano verso l'itinerario del trasccndin1ento 8-1• L'esito generale di tutto ciò non può che essere lo scetticisn10, e cioè lo sn1arri1nento ed il soffocan1ento della forza pri1nigenia della speranza o, in fonna più attenuata, il eonvincin1ento che la speranza possa andare delusa~ 5 •
Il Rosn1ini pensa che una filosofia che presu111a e pretenda cli ridurre l'uon10 alle din1cnsioni esclusivan1ente naturali, in rcaltil concepisce la natura co1ne l'inferno de!l'uo1110 e, in quanto tale, deve essere con1battuta con ogni 1nezzo e deve essere respinta energican1ente. J\I centro dei n1ezzi e delle energie, quale lun1inoso fulcro speculativo e pratico, si trova l'uoino. A questo proposito, i! Ros1nini si espri111e così: «No, la natura un1ana non è così orribile; non è l'inferno dove
~- 1 Cfr FEN 53ss . .~s Cfr FEN 33.
F'rancesco C'onigliaro
160
non s1 possa trovare Dio! un Dio vivo e vero, distinto da lei. L... l essa è tàtta per la grandezza, per la perfezione, per la felicihì, n1a a patto però che non la speri e non la cerchi gia1111nai in sé 111eclesi111a: è fatta per lddio, 111a a patto che ascolti le sue parolc»·~r'. J_,'antropocentris1no, che non riesce a tenere prigionieri n1 sé, in forn1a n1olto costretta e con1prcssa, né i! desiderio, se111pre pronto a 1ncttersi alla ricerca di fanne e figure nuove di religione, né la speran-
za, che in ultin1a nnalisi cd in ulti1na istanzn consiste in una forza centrifuga rispetto all'agghiacciante horror vacui·~ 7 , è, stando all'ulti1110 testo citato dcl f~os111ini, i! punto archin1edeo in cui porre !'ubi consisfcan del principio cli un discorso nuovo. Ne!l'uon10, che 8. C~onstant ed i San-Si111onia11i considerano una struttura centripeta, chiusa in se stessa e fagocitatrice di ogni cosa e che, passando per l'autodivinizznzionc, si dirige verso l'esito dello scetticisn10, attenuato appena eia una debole ed illusoria fonna di speranza, il Rosinini vede la possibilità cli recuperare ciò che sen1brava definitivan1ente ccl irrcn1issibih11cnte perduto, e cioè la possibilità di un discorso autentico sulla religione.
2.6. Jnnnanentisn10 assoluto e totale Le coordinate concettuali di un possibile discorso nuovo sono quelle stesse in cui sorge l'en1pictà nelle sue varie ]onne, e sono costituite dal se11tin1cnto religioso. «Quel sentin1enio - dice il Ros1nini riportando alcune righe cli una pagina clel!'npera L)e lo Religion.. di 8. Constant - cerca di inanitestarsi: e non riesce però 111ai a poter cspri111cre se stesso con1piutan1ente; ché tutte le fanne esteriori ch'egli ritrova sono a lui inadeguate, e riinan scn1pre in esso qualche cosa d 1 in1111enso, cliinfinito, che non può circoscriversi, e non può rappresentarsi»8~. li sentirnento in questione, fran1111ento d'infinito, pretensione cli discorso ed oggetto cli discorso, purché rigorosan1ente apofatico, se. nelle inani degli en1pi, viene usato con1e una ragione forte che pre1nc
~ 1'
~7 NN
FEN 55. Cfr FEN 33. FF:N 7.
"/;'ran11nenti {/i una storia del/' en1pietà"
161
verso la creazione di forn1e religiose se111pre n1eno inadeguRte, in altre rnani, idonee e disposte a considerarlo un i~1ttore essenziale dell'uon10 in quanto struttura aperta, può costituire un vero e proprio principio cli trascenclin1ento ed un prin10 passo verso la trascendenza: più che la capacità e l'attitudine delPuon10 a creare fonnc religiose, n1etterebbe in luce !'apertura dell\101110 alla grazia, !a sua idoneità ad accoglierla e l'aitesa di essa. C:ili autori studiati dal Rosn1ini nei suoi 1··ran11nenli.. utilizzano il sentin1ento religioso csc!usiva111en1e nel contesto ten1atico dell'cn1pietà, e ciò che viene recato 111aggionnente all'evidenza è l'elin1inazione cle!!ri religione rivelata e soprannaturale. lJn tale attent;Jto a! soprannaturale è, secondo i! Ros111ini, frutto cli una 1na!intesa lìloso-fia, orgogliosa ed autossuffìciente, che si attribuisce nrbitrariainente dignità e co111piti assoluti, cioè «di quella filosofia, che invece di contentarsi di esser jJUr/e nel! u1na11a perfezione, si arroga d'essere ella sola il tuffo, !a sola guicl;:i dell'uon10; di quella lìlosolìa che non soffì·e cli ;:1vcr nulla sopra, né ta111poco a paro di sé; di quella lì!osofia flna!n1e11te, che, clin1inata la religione rivelata, che 11011 co111prende, si inette nel suo posto, dichiarando di conquistare così una sua provincia, statale per addietro ingi usta1ncntc usurpata »s'J. Il Rosinini è ben nitro che contn1rio alla filosofia ed a!ln ragione, lllfl nel co11tc1npo è convinto del -f-~1tto che esse abbiano, tra l'altro, anche i cornpiti di custodire realtà, valori ed idee i11finitan1cntc più grandi delle loro capflcità e possibilità. CJ!i autori studiati, invece., la pensnno in 1nodo raclicahncntc diverso, e cioè nel senso che tutto può essere crenlo e n1ano111esso dalla ragione t1nH111a e dalle sue attivitil. <)ucsto discorso e111crge cliiarissi1nanie11le dall'intero scritto rosn1inia110 dedicato n 13. C:onstnnt. Il I:Zos111i11i dice che il pcnsalore Craneese, J~1cendo leva sulla forzn crcntrice della rngione, nega il vero [)io e, sostenuto dai detta1ni del se11Li111ento religioso, ne crea un sostituto. Si con1prendc, così, f'atteggian1e11lo decisa111e11te contrario a! soprannaturale dc! Constant, attcggia111ento che nella sostanza non viene 1nì1
Francesco Conigliaro
162
ni1nan1cntc scalfito, ancorché 111utato di segno, da un certo riconosc1mento da lui fatto rispetto al carattere soprannaturale della rei igione. li Roveretano sintetizza così una idea di B. Constant: «li principio del sig. Constant è di escludere tutto ciò che è soprannaturale nel rnoclo cli manifèstazione. Egli lascia però in dubbio, se le leggi della natura sieno venute da un principio soprannaturale; e in questo senso dic'egli cli non opporsi a chi an1111eHa un'origine soprannaturale della religione. Ma ciò non basta all'uo1no: questi ha bisogno di un oggetto SOJJrannaturale, il quale non può 1nanifestarsi se non in un 1noc!o SOJJrannatura!e. Tutto ciò che presenta la natura è limitato, e il bisogno dell'uomo è di uscire dal lin1itato, e di uscirvi non coll'i1nn1aginazionc sola, n1a in realtà, cioè con una reale con1unicazione coll'infinito» •m. Il ca111bia111ento di segno, di cui diceva1no, consiste nel fatto che il Constant, secondo l'interpretazione che ne dà il Rosn1ini, in un contesto generale di negazione di Dio, in cui viene negata anche la possibilità di una qunlsiasi origine soprannaturale della religione, che infatti scaturisce da! senti1nento religioso, si trova ·un'n1n1nissione circa l'origine soprannaturale della religione. Ma si tratta di un'a1111nissione solo nel senso che il Constant, lasciando aperta la questione dell'origine soprannaturale delle leggi della natura, e cioè lasciando aperta la questione della creazione, attribuisce nd un intervento di un essere creatore la produzione di tali leggi, tra le quali si trova il senti1nento religioso, che dà vita nel senso evolutivo e perfettistico precedente1nente spiegato alle varie re1igioni. Dall'an1111issione constantiana del soprannaturale viene escluso il soprannaturale, quanto all'"oggetto" e quanto al "111odo della rnanifestazione"; viene cioè escluso il soprannaturale con1e sorpresa e grazia rispetto alla natura e con1e paradosso. Ovvian1ente, il Rosn1ini non può trovarsi d'accordo, sia perché è convinto che il Constant, esponendo il suo pensiero, segua con sostanziale fern1ezza e coerenza la linea della dissoluzione del feno111eno religioso nella prospettiva soggettivistica strutturata attorno al scnti1ncnto religioso, sia perché si attiene alla concezione classica del soprannaturale, secondo cui si deve parlare di un unico fine ulti1110 pienan1ente saziativo e lo si deve con-
'JOFEN 31 nota I.
"Fran1111enti tli una storia tlel/'e111pietà" ·-·~---~~·--
163
--------------------
cep1re cotne con1pin1ento assoluto cd intrinseco della tensione dell'uoino alla pienezza e co1ne sorpresa rispetto alla natura 91 • Ma proprio per questo, il ''contenuto" del soprannaturale non può essere esposto a vicende scandite dalla potenza soggettiva del scnti1ncnto religioso. E, di conseguenza, il Constant, che segue un tale criterio, non ha una concezione corretta del soprannaturale, anzi non ne ha alcuna 92 . Che la ragione un1ana sia in grado di don1inare tutti i processi sia reali che logici, fino al punto da escludere Dio, è un'idea che viene all'evidenza in 1nodo ancora più chiaro nelle riflessioni dci SanSin1oniani. Essi, annota il Rosn1ini, si espri1110110 con tennini alta1nente positivi nei confronti delle religioni, specie ebraica e cristiana, nia si guardano bene dal riconoscerne l'origine soprannaturale. J1 Ros1nini continua: «Essi non hanno bisogno di uscire da!l'uon10, da questo perpetuo idolo di se stesso; essi vi parlano dei beni delle religioni sì cautan1ente, che riescono ad ascrivere tutti que' beni solo alla spontaneità, solo a un buono istinto della specie un1ana; e a far uscire dalla natura comune dell'uomo, tutto quello che ha nome di Dio e di divino: la religione, i beni della religione. Questo è il trovato di cui tanto si applau-
91 i\ questo proposito, dcsidcriarno citare qualche lesto ros1ninia110 1nolto signilicalivo: «Per verità l'essere si n1 presente al!'uon10 in una triplice fonna. eon1c reale, con1e idea, corne virtù. Ciascuna di queste fonncsieco1ne in suo ultirno tennine c1·attuazionc. si riduce nell'inlinito essere. L'uomo quasi in un co1<il sogno divino. cerca la rcalitrì i11fì11ita. che 11011 trova in natura; n1a ben intende. che se una realit<ì fosse veramente infinita. con tutte !e sue condizioni. ella dovrebbe essere lo stesso essere infinito; cerca uno scibile iq/ìnilo, che nell.idea 11011 ha se non in potenza, n1a ancora intende dc! pari, che se un oggello per se intelligibile fosse veramente cd fltlualinente infinito, con tutte le sue condizioni, di nuovo, non potrebbe esser allro che 1·csscrc infinito~ cerca finalmente que!l'iJ?fì11i/o a111ore, che in lui non è che unfl capacità cl'ainare delusa sempre, sempre 1radit<l dalle lusinghe e clall'infcdc!tfr cli tulle le cose ll<lllirflli: nia llnalinente, a 1nenle sana, vede quello non esser possibile. se non v"::1bbia un reale infinito, i11Jìnita1nente conosciuto, che ne sia l'oggetto amabilissi1110. ed intende. che un 1<11 tcnnine dcll'rnnore qualora ci fosse. non potrebbe essere ancora che l'essere stesso infinito, che tutto l'essere. tu11o il bene. Ciflscuna delle tre /'onne conduce il pensiero allo stesso tern1ine, all"identico essere in1ìnito» (A. ROSlvllNI, l)eg!i studi del/'A11tore l~ 0·DsA]. in lntrod11::io11e alla Fi!oS('./Ì(/ [=!r"I, 1851. Ro1na 1979, 89; cfr. ID., /,o carità, 1851. in la dottrina della carità, Don1odossola l 931. 60s: 1~·. CON!GLIARO, l!n111a1u!nza e trascendenza del sopra1111at11ra/e in Ros111ini. Palenno 1973. 201-228). 92 Ctì· Ft:N 31 nota 2.
F'rancesco Co11iglioro
164 dono: per tal 111odo torc
['uo1110
rin1ane indipendente, egli è i! solo bcncfi1t-
di se 111edesi1110. All'u1nana natura fanno regalo di un scntin1cnto
creatore, che si giace nel fondo di essa con1c in suo nido; e le religioni tutte non sono che apparizioni, fenon1eni, 1nanifcstazioni (il Constant !e chian1a fonnc) di quel sentin1cnto; le quali vengono succcssiva111ente ingenerandosi, corro1npendosi, e fra1nutandosi le une nelle altre, secondo certe leggi fondate nella 1ncdcsin1a natura u1nana, leggi supren1e, fatali, inesplicabi!i» 9 '. Le stupende verità del cristiancsi1no, incluso lo stesso Gesù Cristo, secondo i San-Si1noniani, hanno questa origine co1npletan1ente soggettiva ed in11nanentc'J.t. f~ eon1e dire che la n1enzogna-irappola dell'illusione originaria dcl!) /~'riff,y sicu/ Deu.s· ha prodotto !a sua 1nassi1na fccondilù non soltanto cancellando Dio dall'orizzonte ciel 111011clo 1na anche negando la possibilità stcssFI di individuare unn traccia della sua presenza o cli aprire un percorso orientato verso di lui. l)'nltrondc, le religioni intese con1e prodotto ciel sentin1ento sono totaln1ente aliene dal soprannaturale in senso cristiano'l 5 .
3. Str11111e11ti concettuali rosrninhn1i Agli strun1cnti concettuali approntati dagli autori 111ili1anti ne! sistc111a de!l'c1npictà il Ros111ini contrappone i propri, allo scopo di conseguire esiti di segno opposto. t__::gli si sente irnpegnato soprattutto a garantire l'oggettività del fatto religioso, con a! centro !)io, così co1ne viene presentato nella religione cristiana, il cui leisn10 poggia sulle strutture portanti della trascendenza cli [)io e dcl carattere rigorosan1ente soprannaturale della rivelazione e della grazia. Ovvia111ente bisogna tener conto del fatto che all'epoca della s!esura ( 1828-1829) dei due scritti contenuti nei Fra111111e11li.. il Rosrnini è guidato ancora da intencli111cnti apologetici. Si tratta di intendin1cnti che non !o lasceranno 111ai, n1a che nell'epoca ricordata sono avvertiti con particolare forza a 111olivo sia della giovane ctù dell'au-
LJ.f
FEN 65. Cfr FL:N 70.
<JS
Cfì· Sr: 12s.
'!_\
"Fron11ne11ti di una storia {fef 1'e111pietà"
165
!ore sia clelle difficoltà che i tempi suscitano nei confronti clclla chiesa. Cerlan1enle è rivelatore ed indicativo il fatto che i due scritti sull 1e1npictà sono stati raccolti dal Roveretano insicn1c con altri ispirati dagli stessi intcndi111cnti nel vo!un1c successivo intitolato AJJofogetica (1840). Gli scritti sul Constant e sui San-Simoniani si trovano insieme ad altri concernenti lJ. Foscolo, M. Gioia e (J. D. Roinagnosi, perché sono guidati, con1e questi, dall'esigenza della difesa della purezza della religione e del dogn1a dcl!a chiesa. Si può dire che nel pensiero dcl Ros111ini l'apologetica è a servizio dell'oggettività globale.
J. I.
Oggcttivit~
La critica che il Ros111ini nei Fra11une11ti ... , assun1cndo il punto di vista della filosofia della religione, oppone ai teorici dell e111pietà prende le n1osse dall'oggettività. Il Rovcretano è convinto del l'atto che, venendo 111eno l'oggettività, !a religione vacilla. li bisogno della religione si inscrive nello spazio esperienziale, csigcnzinlc e sc111antico del bisogno dclln verità. Egli dice: «E il bisogno di conoscere il vero, è il fonte di tutti i piì1 nobili sforzi dell'uon10: non ci sarebbe in noi il bisogno della religione, non quello della virtù, se prin1a non ci tòsse quello della verità»')(,. Ed il sentin1ento, sicco111e, stando a quanto è stato detto finora, si pone cd opera esclusiva111ente in a111biti soggettivi e, di conseguenza, non dà alcuna garanzia sul fì·ontc dell'oggettività e della verità, non può avere alcun ruolo nelle questioni dell'origine e della verità dcl!n religione. Seguendo gli i111pulsi del senti111ento, secondo il Ros111ini si perviene necessarian1en1e all'einpietà per !a ragione che si apre inevitabilinente In strada dcl gcncsiaco .h'rilis sicut lJeus, strada cstre111n111ente attraente cd eccitante nin anche co1nplcta1ncntc illusoria in quanto fa ricndcre !'uon10 su se stesso e, per di piì1, ne inette a nudo la fragilitù strutturale e l'intrinseca corruzione. Al tempo clclla lettura elci Dc la religio11 ... cli B. Cons!ant e, co1
')(, FL'.N 52.
166
Francesco Conigliaro
n1unque, della stesura dei Fra111111enti ... , il Tlos1nini aveva già acquisito in 111odo chiaro e definitivo le idee portanti circa l'oggettività in quanto ne aveva già affrontalo a livello teoretico ed in modo sistematico il problema nel Nuovo Saggio, che, essendo stato pubblicato nel 1830 '", ccrtatnente era in corso di stesura nello stesso arco di tc1npo dedicato alla elaborazione dei due scritti Discorso su Benicnnino C'ons/an/ e Discorso sui 5'an-5)in1011iani, che hanno visto la luce rispcttivan1cntc negli anni 1828 e 1828-1829. Se ci si ferma a considerare i riferimenti filosofici che il Rovcretano va facendo 1ncntrc analizza il pensiero del Constante dei San-Si1noniani, si ha l'opportunità di rendersi conto del fatto che l'autore attribuisce all'influsso di sisten1i di pensiero vanan1ente orientati in n1odo soggettivistico il sorgere ed il consolidarsi dci convincin1enti dei pensatori "etnpi" circa l'origine soggettiva della rei igione. I rifcri1ncnti particolari concernono la scuola sensista, la scuola scozzese e la scuola tedesca. li co1npi1nento dcll'orienta1ncnto soggettivistico si ha con l. Kant, sul quale il Rosmini concentra le proprie energie antisoggettivistichc e le spende abbondantcn1ente nel Nuovo 5'aggio'>". Quando il lzonen ralionis si fonda soltanto su se stes-
97 Cfr A. ROSt\·11NI, 1\1110110 Saggio sul/ 'or(r;ine delle idee (=Ns), 3 voli.. Roina 193Ll (!'1 ed. 1830). Allrt stessa epoca ri1nonta anche I ìn1pcg110 dcl Rosn1ini attorno ad opere anch'esse detenninanti per quel che concerne i! problcrna dcll"oggcltivitil. e sono i Pri11c1/Ji della scienza 111orale, !Vlilano 1941 (In ed. 1831) e Il ri11nova111enfo della .fìloso,fia in Italia proposto dal C'on!e Teren:::io 1\Ia111ia11i ed eso111i11ato do Antonio Ros111ini-5'erhati, 2 voi!.. fvtilano 1941 (I" ed. 1836). 9 xPcr i rifcri1ncnti a!lc fonti dollrinali dcl soggcttivisn10 in 1nrttcria religiosa
degli autori ''e1npi'' cfr F1~N 9, 35, 37s, 47, 65. Ci se1nbra opportuno riportare i passi pili significativi: «Prima del sig. Constant, il siste1na medesimo nel fondo fu proposto da J(ant nell'opera inlilolata Re/igio infra ler11Jfnos solius rationis; e non pochi autori tedeschi s'apprendono a questo partito. ra 1ncraviglia osservare co1ne il Constant non abbia fatto rtlcun cenno dci IOnti da cui egli tolse le sue dottrine. 1... ] Con1ccchcssia, il sisten1a del sig. Constant è una conseguenza necessaria della filosofia de' nostri te1npi, o che la si consideri nel pri1110 suo stadio (scuola sensistica), o nel secondo (scuola scozzese), o nel Lerzo (scuola ale1nanna). Tulle queste scuole /"anno uscir tutto dall'uo1110, sebbene differiscano nell'indicare qu<ll sia la potcn7.a dell'uon10 da cui cavano ogni cosa, allribuendo la prima Lullo a' sensi, la seconda tutto a una colai J~1col!ù incognita, la terza alla natura u1nana nttuata da alcune sue intrinseche IOnnc» (fEN 38 noia I); «Qui si potrà conoscere la rcla?.ionc del criticisn10 germanico col sistema religioso dci San-Si1no11iani e del signor B. Constanl. Sono queste relazioni attcntainente osservate, che ci spiegano la tela degli u1nani pensaincnti, e ci /"anno conoscere co111c lontane riescano le conseguenze di un principio filosofico, che si svolge qual gcrn1c
"Franunenti di una storia dell 'enJ.pietà"
167
so, si regge su una base individuale, soggettiva e 111utabile 99 e, perianto, non dà alcuna garanzia sui piani dell'oggettività e dell'universalità. Nel Nuovo Saggio il Rosmini inizia il suo grande discorso sull'ogget!ività dell'elemento formale della conoscenza. Si tratta della dottrina dell'"essere ideale" 100 , oggetto dell'intuito, cui il Rovcrctano pervenne in seguito all'analisi critica del pensiero speculativo"''· Date le caratteristiche dcl nostro presente lavoro, ci lin1itere1no solo a qualsparso nella società per 1·opera im1na11chcvolc dc! tc1npo. La filosofia ha co1ni11eialo ad essere soggeLLiva senza saperlo co' sensisti, poi ha co1ninciato n snpere cli essere soggelliva cogl'iclealistì inglesi, n1a la soggettività sua non fu compiuta che in Cìcrn1anin. Queste scuole che sen1brano in apparenza così diverse, hanno dunque un fondo eo!IHlnc nella sostnnzn, u1rn con1unc tendenza. ln Francia non si dedussero che delle conseguenze praliche, o piuttosto se ne aiutò la diffusione. La jòr111a poi che prende nel noslro secolo il se11ti111ento de//'empielà è un prodotto di tutte insle1nc le indicate scuole filosollehc. è l'applicazione di esse alla religione. è l'aver resa questa soggettiva>> (FEN 65 nota 1 ). 99
CfrSE 12.
La dottrina rosn1iniana dell'essere ideale è stnta studiatn da un nu1ncro infinito di punti di vista e, pertanto, su di essa esiste una bibliografia considerevole sia per quantità che per quali1à. In questa circostanza ci !in1ilian10 a rimandare ai vari vo!u1ni di C. BERGAMASCHI, Bibliogrqfia Ros111iniana, Strcsn 1989 cd ni due nostri volumi sul pensiero dc! Rosn1ini: /111111anenza e trascendenza del sopra111H1/11rale ... , cit.. e La politica Ira logica e storia ... , cit. !n questi due ultiini scritti il problc1na dell'essere ideale viene studinto 8!!'intcrno delle coordinale clell'antropo!ogia teologica e della filoso/la politica. 1111 F. Paoli tran1anda una confidenza dello stesso Rosn1ini il qtrnlc. ancora dìciottcnnc, avrebbe avuto una sorta di folgorazione intuitiva della dottrina dclr essere ideale (ciì· F. PAOLI. /)e/la vi/a di Antonio Ros111ini-5'erhati. !, Rovereto 1884, 19ss: (f. B. PAGANI, La vi/a di //n/onio Ros111ini seri/la da 1111 sacerdote de//'/s/i/11{0 del/o (~arità, I. Torino 1897, 89ss; G. Rossi, La vi/a di Antonio Ros111ini seri/la da un sacerdote dell'/sti/11/0 della (~arità, J, Rovereto !959, lllss). Data 1n mcntnlitù fortc1ncnte filosofico-critica ciel Rosnlini, non ci scrnbra il caso di confrontarsi sul tì·ontc della ·'folgorazione" né per trarne conseguenze negative per !'intero sisten1a ros1nìniano. coine E1 il (Jen1elli (cfr A. GEMELLI, !,a genesi religiosa della jìlosojìa di Antonio Ros111ini, in 1\A.Vv., Antonio Ros111ini nel centenario della 111orte, /Vlila110 1955, 24). né per clichinrarnc l'irrilevanza teoretica, con1e 1~1 il lvlancini (cfr I. lvlANC!Nl, /,e origini del/ 'idea de/l'essere nel giovane Rosmini, in AA.VV., Ros111ini e il ros1ninia11esil110 nel Veneto. Verona 1970, 389-398). Quanto al l\1ancini, dcsidcrian10 precisare che egli passa da una valulazione negativa del pensiero ros111iniano. come è evidente in op. cii. e, pri1na ancorn, ne 11 proble111a 111elafìsico nello sviluppo del pensiero ros111inia110, in AA.VV., Antonio Rosmini nel centenario della 111orte. cit.. 464-529, ad un apprczzrnncnto ciel tu[(o favorevole dello stesso, fino a parlare dcl 1\!uovo Saggio con1c del capolavoro dcl secolo XJX (cfr I. J\!IANCJNJ, /,a "(~rilica della Ragion pura" nella for111azio11e di A. Rosn1ini, in J\.A.VV., La forinazione di A. Ros111i11i nella cultura del suo te111po, Brescia ! 988. 151 ). lllll
Fronce.'·»co C'onigliaro
168
che accenno orientativo. 1-Aì presenza dell'essere ideale al!a inente viene rivelata dall'analisi trascendentale dell1esperienza, ina sono !a ricerca della sua origine e lo studio delle sue proprietà che consen1ono di coglierne vera111enle !a natura. Dopo avere escluso per l'essere ideale ogni origine di tipo ernpiristlco o di tipo razionalistico 11 c, il Rovereta110 trovn logica un'ultin1a possibilitù: «Rin1anc che l'iclen dell'essere sia innata nell'ani111n nostra; sicché noi nascian10 con la presenza, e colln visione dell'essere possibile sebbene non ci badia1110 che assai tnrdi» 11 1\. Anche l'analisi della struttura clcl!'uon10 porta alla 111cc\csi1na constatazione: «questo è i! sisten1a che an1n1cttc congenita nello spirito u1nano !'ùlea cle//'essel'e; perché non v'ha nul!a d'inte!!etivo priina di questa idea: sicché per lo 111eno conviene a111111ettere d'innato quest8 iclc8, perché nc!l'uon10 ci abbia l'elen1ento intel!ettivo» 111 -1• LJn'idea innata non puù che avere origini divine e non può essere data alla 1nente un1ana che con la creazione. Guidato da un ta!e convinci111ento, pervenuto alla f8se 1natura ciel suo pensiero, il Roveretano studia l'ideti de!l'csscrc insic1nc alla creazione e ne fa la trattazione pili an1pia ne!la l'eosqfìa, 105 ccl esat1a1nente nella "descrizione della creazione". Tuttavia, 11011 possono e non debbono essere trascurati i preziosi contributi provenienti da L 'fnlrocluzione ciel l/angelo seconc/o Giovanni, anch'essa risalente alla niaturità ros1niniana tor'. Nella "descrizione della creazione'' 1117 il Rosn1ini esan1ina l'atto creativo divino in n1aniera analoga all'esaine condotto su ogni atto operativo un1ano, e corne in quest'ultin10 vede il progetto e l'azione, così nel prin10 distingue tre _n101nenti od operazioni: ]'"astrazione divina'', \'''in1n1aginazionc divina" e la "sintesi divina". L'°'astrazione divina", che ha lo scopo cli ottenere l'essere ini-
1 H"
Cfr Ns ·'I 15-,168. r Ns '168. 111 --1 i\. ROS!'dlNI. Antropologia ,5opro111111t11ro/c (=;\s). I. Roina !983. l/8(i. 1115 Cfr J\. J~OSlvHNL Feoso/ìa, 8 voll" Ro111a-rVli!uno 193 8-19.-J J. Si ln1lla di u11-open1 postuinu, pubblicala per ln prima volta in 5 voli. negli anni 185rJ-187:L 111c1 lil cui stesura rin1onl<l aQJi anni !8'16-185.:l. 11 1
1011
Cfr i\. Rosrv11N1. /_ '/11frod11zio11e
1117
del /'(111gelo
secondo
(ìiovu1111i
1966. La stesura di tale opera risnlc agli anni 1839· 184-9. Cfr Teosofia. '158-~6~.
!olo. Padova
con1111e11-
"f-"ranunenti di una sforio de//'cn1pictà"
169
ziale 111ediantc la scpnrazione cli esso dal suo tcnninc, è un'open1z1011e, analoga111cnte all'astrazione operata clall'uo1no 111 \ cornpiuta da [)io nella sua stessa realtà nssoluta ed infinitn, che quindi ne è il fenninc, e ne è frutto !'essere iniziale, che il I~overetano ìdentificn con l'cscn1plarc del 111ondo 11 1'). ln sintesi, !"''astrazione divina" può essere così dcscrittn: in Dio l'atto con cui l'essere assoluto soggeHivo conosce l'essere nssoluto oggettivo o Verbo è accon1pagnato dnl!'atto, che il Rosn1ini ehiaina astrazione divina, con cui l)io distingue nell'essere assoluto oggettivo !'inizio dal lenninc, cioè separa dalla sussistenza e dnllc sue detcrn1inazioni l'essere, che così è sen1plicen1ente ideale 110 •. nu1 clic, provenendo dal Verbo, ne è sc111pre un'appartc11cnz8 111 •
ios «La pri1na opcrn1ionc della suprema i11!elligc11Ln per riguardu 1111.L'sscrc Jlnito fu qucll;1 che chiaincrò nsln1zionc divina. fvkdirn1tc questa oper111io11c l'intelligcn7n dell'Essere assoluto lihcra1ne11lc <1str11ssc dnll'nssoluto 1·essere iniziale. cioè, oltre inlcndcrc 1·1·:sscrc ·assoluto oggettivo. clln !Ccc u11 altro n11o c1·i111elligenz<1 col qunlc nell'Essere <.1ssoluto distinse l'ini1.io clii! 1cr111inc e vide quello separ:.1!0 d;1 questo. 11011 perché ncl!"Esscre assoluto obiettivo rosse ver11111cnlc separc1!u, llHl perché ella lo sepnravn per <1slnl7.ionc 1nent<1lc [... ].Questa astn11io11c o visione dell'essere finito nell'infinito non è nncora !'allo libcru delln creazione. ma appnr!icnc ull'alto necessario della divina in1clligenLa con cui conosce l'essere finito possibile. Ora quest'essere ini;òale. veduto dnll"Esscrc <lssoluto subict1ivo 11cll"Esscre assolu1o obii..:tlivo. non polevn essere questo stesso Essere ;1sso!u(o obiettivo essendo ns1n1llo. J;astr11tto è un co11ecllo 111e11tnle 1••• J. !.:essere iniziale dunque presente alla mente divina non è iden1ico nll'Esscrc assoluto ubic!tivo. 11ia è un altro. un prodollo dell'allo della niente stessa. la crcn1io11e d't111 proprio obict1o. Vero è che la 111e11lc divina us1n1e11teha trovalo t' produ11o questo oggetto. che dicirnno essere iniziule. tenendo Jlsso lo sguardo nell'Essere assoluto obie11ivo. li1011dc si può dire in questo senso clic lo vede in esso [ ... J» (Tcosofìo, ,f6L cfr ibid, 462). 1119 Cfr Tcosofìa, ,165. 1111 Alla rinc.dclln nostr<l breve presc11t;1zionc della pri111a opern1ione dclln crc<1zione. e cioè dell'"astra1io11e divina·· chiamatn ch1I Ros1ni11i anche ··aslra7.ione lcosoficn"". dcsideriarno precisare clic si tratta di un"opcrazionc di pcrtinenz<1 csc!usivn111c11tc divina. J~ vero che lo stesso Ros1nini laloru 1·aurihuisce anche all'uon10 (cfr Teos(!/Ìil. 1182). 1na lo fn i111propri;1111ènle ed annlogicnn1c11!c, in qtmn!o la mente 1111u11w acquisisce l'essere idenlc per illun1inazione, c!n parte cli Dio. e per intuii.ione, opcrn7.ionc di sua pertinenza: in ogni caso, l'essere ideule è se1nprc all"ini?io di tulle k opera7.ioni della 111e11te un1a11n e 1n;:ii alla fini: di una qunlsiasi di esse. 111 ((Si clinì: ··che ros'è qucst'oggel!o prodot1o a sé dnllc1 IVlcnle con uno sguardo cl"ustrazione. se dn una parte 11011 è In 111c111e slt:ssa. dall'altra 11011 è 1·oggc!!o assoluto"? Rispondo. che è la prima produzione. la cogni7ionc divina dell'essere finito possibile. il fo11da1nentale elcn1en10 della crealun1 1... 1. ia luce. che in qua11lo si con11111icn alle intelligcn7c crcnle. si può dir crca!n f. ... ]. ()ucsla prima crcn1urn dunque.
170
F'roncesco Conigliaro
L'"i1n1naginazione divina" costituisce la seconda operazione dell'atto
creativo; per n1ezzo di essa Dio i1nn1agina finito e li111itato il ter111ine reale 112 • La "sintesi divina", terza operazione dell 1unico atto creativo, assolve il con1pito assegnatole da Dio di congiungere l'essere iniziale,
che, in quanto "partenenza" dcl Verbo, è infinito 1na solo a livello ideale perché privo della sussistenza, con i tennini finiti e di dare, così, vita a tutti gli enti reali fìniti 11 .ì. La "descrizione della creazione" c1 dà l'opportunità di conoscere il pensiero rosminiano circa l'origine dell'essere ideale: Dio lo comnnica alla niente u1nana per illu111inazione con1e una luce 11 -1. Viene con1unicata solo "l'idea dell'essere in universale", un'idea ce1ian1ente li1nil'essere iniziale, non ha una sussistenza subicttiva, rna un'esistenza obietliva e relativa alla !Vlcntc creatrice, e quindi appresso, co1nc diren10, a tutte le n1enti create: esiste per l'atto della 1ncnte, e davanti ad essa, sc11z'esscre la niente slessa. L'atlo della inenLe la creò riguardando nell'oggetto assoluto e in sé sussistente. n1a non è l'oggcllo assoluto e in sé sussistente. f... ] Per queslo, e secondo tutte queste spiegazioni_ si dice che l'essere iniziale è qualcosa del Verbo divino, che è una sua partcncnza, che è un h1nic increato ecc. [... ].Pure il proclotlo dell'astrazione divin<l, esercitandosi questa sull'oggetto assoluto elle è Dio, ritiene alcune delle proprietù divine, la oggettivitcì, l'intelligibililiì ccc., onde nasce la distinzione tra il divino e Dio)) (J'eosofia, 461). i 12 «Il tennine reale i1n1naginato liinitatainente dalla niente operante e libera di Dio, è la rcalità dell'universo» (Teosojìa. 462). in «L'unione de' due clc1ncnti, l'essere iniziale, inizio con1une di tutti gli enti finiti, e il reale finito, o per dir 1neg!io i diversi reali finiti, tcnnini diversi dello stesso essere iniziale. Colla quale unione sono CIT<lti gli enti tìnitill (Teosofia, 463). 114 «Ella [la Teosofia] riprende in n1ano l'essere: e non si accontenta di sapere ch'esso apparisce co1nc un fatto presente alla niente urnana, il prin10 frìlto nell'ordine delle cognizioni, e fonte di queste, di che si appaga l'lclcologin: non si contenta né pure di riconoscere che quest'essere è necessarian1enlc quello che app<lriscc, e che però è veritù e criterio, di che la Logica è sodclisfr11ta; 1na do111m1da di più: Donde viene quest'essere con le sue proprietà trascendenti? Queste non possono venire dagli enti singol<ìri e finiti, né pure c!all'm1imlì umanlì, perché è inCinito, necessario e ini1nutttbilc. oggettivo ecc. Conviene dunque, che alla inente, la quale h<l per essa cominciato, sia stato dato da un ente superiore all<l 1nentc e a!!e cose finite: senza che ci sia un Ente infinito sussistente, non si potrebbe spiegare !a presenza di quest'essere all<l 111cntc un1<lna. Din1ostrando dunque l'Ideologia, che l'essere ideale non può essere cavato per nstrazionc dagli enti riniti, prepara la conseguenza che ne tira la Tcosofi<l: "dunque è dato alb 1nentc da un Ente infinito''. f\ila di pili le proprietà trascendenti sono dell'essere stesso intultoll (Teosqfìa, ! 180); ((A!!'uo1110 secondo natura è co1nunieala l'idea dell'essere in universale, n1a non la sussistenza divina per sé 1nanilèst<l; e quindi non gli è con1unicato i! Verbo, 1na una luce proveniente dal Verbo: In tal inodo, relativan1cntc <l!!'uo1no, viene li1nitato l'essere per sé n1anifesto, per guisa che all'uon10 rin1ane solo !"idea o il concetto dell'essere sen1plicc1nentc, senz<l la sussistenza: onde rin1an perduta la nozione di Verbo e la nozione di Dio, perocché i! Verbo e lcldio non è ciò che è in qualsivoglia 111odo liinitalo)) (IVG Xli; cfr. Ns 557).
"Fra1111ne11ti lii una storia llell'en1pietà"
171
tata, in quanto nell'atto della coinunicazione subisce la perdita della sussistenza, 111a, a prescindere da essa, dotata delle perfezioni della trascendenza 115 . Quanto alle proprietà dell'essere ideale'"', nella presente circostanza è bene fennarsi a considerare solo quelle che giovano a chiarirne ulterionnente la natura. In particolare, in riferin1cnto alla creazione, il Roveretano considera l'essere ideale sia con1e "essenza di essere" e lo chia1na "lu111e increato", sia dal punto di vista del n1odo Hl cui si trova nella niente u111ana, e cioè con1e "lun1e creato" 117 • l~'essere ideale, una volta presente alla niente, riceve il qualificatore "divino", n1a senza alcun pregiudizio per la trascendenza dell'essere reale divino e, conseguenten1entc, senza alcuna possibilità di !cgitti111ità per le ripetute accuse di ontologisn10 forn1ulate nei confì·onti del IZos111ini 11 ~. Dcl resto,
115
Cfr Teosofìa, 1182. Le proprietà dell'essere ideale possono essere considcn1tc secondo l'elenco prcscnlnlo dallo slesso Rovcrctano (nel Ns 416-437 si trovn il seguente elenco: oggettività, possibilit8 o idealità, sen1plicit8, unitù o idcntitù, universalitcì, neccssitù, i1nn1utabililù, eternità, indetern1inazionc) o secondo altri elenchi qualL ad esen1pio. quelli proposti dal Morelli (cfr E. iv!ORLLU, /)el Princ1jJio jìlosofìco ros111i11iano e del Panteis1110 Ontologico, !11 ;\A. Vv., Per Antonio Rosmini nel primo centenario dello suo nascita 24 111l1120 1897, I, fvli!ano 1897, 119-!63), dal Pignoloni (cfr E. PlGNOLONI, N(/t111·a e origine de!! 'idea de/l'essere, in AA. Vv .. L'essere ideale e 111oru/e in A. Ros111i11i, ;\lii dc!!c riunioni filosofiche di Stresa negli anni 1952-1953. ìvlilano 1955, 29, 31, 35, 38), dnl Tnvcrna Patron (cfrG. TAVERNA PATRON. Antropologia e religione in Ros111ini, Stresa 1987, 27ss) o anche da no.i stessi (cfr F. CoNJCìLIARO. !111lilanenza e trascendenza ... , cit., 151-164). 117 CfrJ\. RoSMINI, // rinnova111e11to del/a filosofia in Italia .. cit., 467 ·e 473: ID., Psicologia, 1846-1850, 4 vo!!.. Mi!<lno 1941-1951. 238: f. PIEMONTESE, L11111e increato e h1111e creato nel pensiero di A. Rosmini, in Hivista Rosminiana 61 ( 1967) 5-17; r. CONJGl.lARO, /111111anenza e trascendenza ... , cil., 161ss. Non riuscia1no t\ capire la ragione per la quale il Bozzelli critica chi parla di !unie creato in Ros111ini (cfr G. BOZZETTI, //divino e /)io, in Opere co111plete, 11!, tvlilano 1966, 3349). 118 I! problen1a del rapporto tra il divino e Dio nel pensiero del Ros1nini è stato 1~1!10 oggetto di discussioni e di pubblicazioni. On parte nostra ci lin1itiaino a fornire qualche indicazione bibliografica: U. HON1\N, Agostino, To111111aso. Rosmini, ivfilai10 1955; G. BOZZl'.TTI, //divino e Dio, cit., Ili, 3341-3350; f. CONIGLlARO, /111111anenza e trascendenza .. cit., 123-138; A. STAGLlANÒ, La "teologia" secondo Antonio Hos111i11i. Sistematica critica - inte1pretazione del 1·apporto fède e l'agione, Brescia 1988. 3,13-348; per una maturazione più recente de! prob1en1a cfr P. PELLEGRINO (ccl.), Ros111ini: il divino 11e!l '1101J10, (Atti dcl XXV corso della ·'C<ltteclra Rosinini'' - 1991 ), Strcsn - rvl ilazzo i 992. 11 <'
172 l'essere ideale costituisce, per un verso, il tì·utto dell'astrazione divina o teosofica e, per un altro verso, l'elen1cnto for111a!c della struttura apriorica della 1ncn1e, partecipato per il!un1inazione 119 • Ci se111hra oppo1tuno accennare anche alla proprietà dell'essere ideale indicata con il tcnnine "virtuale", a! quale è collegata In questione della "virtua!itù",
che costituisce un punto dctenninantc della rillessionc ros111iniana, soprattutto della 111aturità 1" 0 , e che risulta gravido di problc1ni di portata sia teoretica che pratica 1 ~ 1 • li dato da 1ncttere in evidenza con grande fòrza, dopo gli accenni
fatti all'es8111c feno1nc11ologica e trascendentale dell'esperienza conoscitiva, è l\cssere ideale. Esso costituisce il punto (eoretico e siste111atico fonda111cnfale dell'intera filosofia rosn1iniana ecl il fulcro della consistenza e dcl dina111is1110 dell'uo1110, spirilo finito. L'idea di essere. in quanto è innata ed infinita, si trova nella niente un1ana fin da!!' inizio
11 1 ' ;\
questo proposi1o. è bene ricorchire il: prnpnsi1.ione condn11nale .\_\:VIIL
XXXVI-XL. circa le quali il capo /'011da111cn1alc di accusa concerne la confusione
Irti
l'essere idcnle divino. presente alln n1enle, da u11<1 parte. e Dio ed il soprnnnnluralc. dall"nltra. Per orientarsi sulle questioni concernenti le proposizioni condannate cfr. i seguenti l<ivori recenti: Cì. CÌIANNJNJ, l~~\'{111/e delle p1·o;;osi::ioni filosqfiche delle <<Q11aranhu;. in l?iv1:1·1a Rosn1il1ia11a 77 ( 1983) 223-239: ID .. Esali/e delle proposizioni teologiche delle (1Q11a1·anhn1. ibid. 79 ( 1985) I-! 9. 341-38 ! : ;\, STAGL11\NÒ. Rilettura di /)roposi::ioni ros111i11ia11c. in Rassegna di teologia 28 ( 1987) 37cl-40 I, 1111 Citia1no so!t<lnlo alcuni brevi lesti rosn1iniani: ((Dire che 1·esscrc i11i1,ialc può divenire le entilù - cessando di essere inizinlc, <ilincno purn1nente iniziale - è il 1nedesi1no che dire che egli è in potenza tulle le entità, ossi<1 che ha vir1l1<ilincnte ltH1e le entitil nel suo seno)) (Teosq/ia. J 32); «ivln questa verilù. elle 0 J'essl:'re pf'r sd i11tel/igihile. e che. senza che le nrnnchi cos'<1Jcuna (gincclié se 111ancassc qudlcosn all'essere. non sarebbe pili l'essere), sta di continuo presente ullo spirito. contiene sì in se stessa 1uHc le cose vere. n1a in un n1odo i1nplici10 e virtuale; e però queste a principio 11011 si vedono in lei le une dalle nl1re né sepan1le né distinte. e nell'<itlO loro proprio. 111<1 l<ili vi si scoprono. coll'uso di diverse allivitit conoscitive. attu11 quello che vede in potenza_ e quello che già possiede i111plicilo. se lo rende esplicito, quello che è indistin1o, distinto; quello poi che sonHnerso e n<iscosto nelln vir1l1 dell'essere con1c in un n1;irc senza li111i1i. !ora venire n gn!!n. e quasi. direbbe Socralc. csercil<111du l'arte pescatoria. lo prende e Jo ripone nclln dispensa della sua 111e111oria)> (D.Si\ 71. i11 IF). 121 Acccnnian10 sollmilo alla diflicoltù che secondo noi è la più grave e che può essere espressa con !"interrogativo seguente: se In 111entc urnann. in virtl1 della pnr1ccipazione dclJ';_1s1r<itto divino cd csen1plare dcl inondo. viene in possesso dcl --gcnne·· da cui si sviluppa tutto lo scibile e tutlo l'esperibile. n che cusa si riduce il significnlo di tcnnini-conce!!i qtwli co1Hiscenz<1. libertù e storia? (cfr F. CoNJCìLli-\RO. 1111111une11za e trascende11::11 .... cii.. 99-121: ID" I.a politica tru logica f' storia .... cii.).
"Fran1111enti di uno storia de//'en1pietà"
173
in virtù della creazione e, pertanto, è di origine divina. Dcl resto se, in quanto idea, non può essere considerata che 111anifestazione di una sussistenza, in qunnto idea infinita è n1anifestazione dell'ìnf1ni1a sussistenza di Dio, è "partcnenza" dcl Verbo. L'essere ideale è il n1inì1110 innato, che pone !a niente un1ana in atto pri1no, e, nel conten1po, è il 111assin10 contenente, in quanto, a n1otivo della sua virtualità, possiede in germe cd in modo indistinto tutte le idee possibili. In forza cli quanto sian10 venuti dicendo, si può parlare di trascendentalità ros111iniana. Tuttavia, non si deve trascurare il fatto che ogni tc111atizzazione di essa può essere fatta solo sulla base dell'intuito innatistico, che ne consente un approccio n1ctaf1sico e inette sulla strada della veritù oggettiva e trascendente r""· L )essere ideale, così, si rivela il paradign1a della creazione e l'origine di ogni tensione che la attraversa, la ragione di ogni possibilità cd il punto cli partenza di ogni attività conoscitiva cd etica sia a livello naturale che a livello soprannatl!ralc. Posta così l'oggettività nella sua legge e ne! suo caso paradign1atico, in particolare in forza di quanto si dice circa l:origine divina dell'essere idcnle, oggetto dell'intuito, prodotto da [)io n1ediante i tre 1non1cnii della "descrizione della crcnzione" e da lui partecipato alla niente l\111ana, è f-~1ci!e individuare nello stesso essere ideale, "'partenenza" dc! Verbo, ln via per poter parlare di ])io, non violandone né la 111isteriosità né la trascendenza, e della rivelazione e della grazia, rispe1U111done i! carattere soprannaturale.
3.2. Soprannaturale La categoria "soprannaturale'' si rivela uno strun1ento prezioso nelle inani ciel R_osn1ini, fortcn1cnte in1peg11ato a co1nbat1crc i sisten1i de!l'etnpietù che, ora direita1nente ora i11c\irctta1ncntc, 111a sen1pre con
'" Cfr M. F. SCIM'C1\. /11terpre/11ci1111i r11s111i11io11e. Milc1111 1%3 2. 56s: F. Pr-:RCIV1\l.F:. Il ./ondu111e11fo e fu jì111zione 111e1qjìsica dcl 11/rasce11i/en1u!e ros111i11i11110>!. in RiFista Ros111iniana 72 ( 1978) 207-231.
f'rancesco C'onigliaro
174
grande detenninazione, avversano la trascendenza di Dio e della rivelazione. I settori tcn1atici da essa ac\0111brati, in 1nanicra più o 1neno
esplicita, sono i più vari. Uno dci punti più significativi ovvia1ncntc è quello che concerne il carattere soprannaturale della religione. li Ros111ini non è così ingenuo da pensare che la religione soprannaturale sia tutta e totaln1enle rivelata in ogni suo aspetto. Allo scopo basta un elen1ento che consenta di creare lo spazio ontologico, concettuale e se111antico per introdur-
re la trascendenza ed il soprannaturale. Tale elemento è costituito dalla grnzia, che è soprannaturale ed ha [a sua origine nel 111istcro trascen-
dente cli Dio. Il Rosmini nell'Antropologia Soprannaturale parla sia della religione in senso naturale sia della religione in senso soprannaturale. La proprietà specifica cli quest'ultirna è costituita eia «quel!' azio1u! reale che Dio stesso opera nello spirito clcll'uorno. li perché questa religione abbraccia di più della naturale: è quell'ele111cnto divino, che si suole appellare col. .. non1e di grazia, è quello che corona e coinpisce tutta la serie degli altri c!e111enli» 12 -1• Il Rosn1ini espone sinteticatnente tutti i fattori caratterizzanti la religione soprannaturale: «Il perché g!i ele111cnti che entrano a tònnare il concetto della religione soprannaturale riassu111endoli qui tutti sono i seguenti: 1° una teologia, o sicno delle idee intorno alla divinità. Non è poi essenziale che queste idee sieno vestite cli sin1bo!i e i111111ngini; 2° de' sentin1enti religiosi nati in virtl1 di quelle idee; 3° delle azioni religiose cd interiori cioè di culto. Queste azioni vengono naturaln1ente a prodursi anche al cli fuori in riti e cerùnonie, per le quali nasce il culto esterno; 4° un'azione divina che congiunge !o spirito un1ano ad inti111a e ren!c unione colla divinit8» 12 .i:. Ad eccezione di ciò che è strutturahncntc congiunto con trascendenza e soprannaturale, su cui non è disposto a fare nessuna concessione, il Rosn1ini non ha difficoltà a porre tutti gli altri fattori della religione in qualche 111oclo in rapporto con il senti111ento ed all'interno di un processo evolutivo 12 :'. In ogni caso, affenna il Ros111ini, è l'idea della divinità, quale che sia, che dà vita al senti111ento religioso e lo
12 -' As 12 1 · As 125
crr
1/79. 1/78s. SE 12s.
"Franunenti di una storia dell 'e1npietà"
175
alin1enta 126 . Ed una tale affern1azione ha valore e fecondità teoretica in an1bito religioso, nia prin1a ancora nel settore della struttura dell'attività utnana: «i'uon10 non sente intellettiva111ente, se pruna almeno oscuratnente non concepisce; e però primo è il concetto, secondo è il sentimento, ed ultima seguita l'operazione» m Fatte queste precisazioni, il Iloveretano passa ad enunziare i punti essenziali della religione: «E veramente, per quanto sieno torte le idee che gli uomini s'abbiano intorno alla divinità, essi tuttavia debbono convenire almeno in questo, che il concetto della divinità racchiude il pensiero di un ente sin isurata1nenie più potente dell 'uon10, e sì fatta1nentc buono, che in lui finaln1ente si con1pisca ed assolva l'un1ano desiderio. V'hanno dunque due punti fermi nella religione, Dio e l'uomo; v'ha dunque, io conchiudo, una relazione fern1a e i1111nutabile fra questi due esseri; e questa relazione invariabile è la religione presa nel suo a111pio significato; v'hanno adunque un gran nun1ero d'idee religiose che precedono qualsivoglia sentin1ento, e che sono le prin1itive generatrici di tutti i desideri» i n Dopo avere affermato quelli che, secondo lui, sono i punti fermi della religione, il Rosmini fa delle precisazioni circa il fatto e le condizioni di una evoluzione del fenon1eno religioso: «Vero è, che l'uon10 potrà digrossare e perfezionare succcssivan1ente la sua nianiera di pensare intorno alla divinità; se pure egli si trovi in circostanze favorevoli, le quali non itnpediscano, ed aiutino il suo lavoro» 129 • Con ciò ci sen1bra evidente che il Rostnini acceda, sia pure in 111aniera estrematnente titnida e prudente, ad una idea di evoluzione del fenon1e110 religioso, salvo restando il discorso su tutto ciò che della religione è immutabile. La sua critica irriducibile dei fenomeni e dei sistemi dell'empietà dipende dal fatto che tali posizioni, per un verso, negano che la verità sia perfetta e, per un altro verso, con la loro teoria della perfettibilità illi111itata della verità, generano lo scetticisn10Li0 .
126
Cfr FEN 48s. FEN 49. 128 f.EN 49s. 129 f<'EN 50. 1.-:io Cfr f'EN 50ss. 127
J-7rancesco C'onig/ioro
176
Pensare che la religione sia tutta e totn!Jnente presa ne!!e tran1e del processo evolutivo, fino al punto da essere segnata nella sua stessa sostanza dal senti111cnio, dall'evoluzio11isn10 e dallo scetticisn10, è u11 tàtlo dian1etrnlinente opposto all'idea che il cristianesi1110 ha di trascendenza e di soprannaturale. lJn tale sentire finisce co! travolgere l'idea stessa di Dio e riduce la verità cristiana, custodita con1e rivelata, e !o stesso Cristo, confessai-o co111c la pienezza della rivelazione e co1nc il rivelatore escatologico, a f(-:;noineni trnnsitori, provvisori e supe-
rabiJi131. 011re a fare queste considerazioni, che sostanzialrnente sono cli tipo apologetico, in quanto contrappongono la corretta concezione teologica cristiana alle visioni proposte cfr1i sistenli clell'cn1pictò, il Rosniini espone una visione organica dc! sopn1n11aturalc che, ancorché in n1ocio appena accennato, è presente già nei Fl·a111111en11· .. . LJn pri1no punto, che possia1no chian1arc ciell'i111111anenza dcl soprannaturale, concerne l'idoneità dello spirito lllllano alla chia111;:1ta al!n grazia. Il H_osrnini ten1atizza questo dato sin in tennini cli '"p<1ssività" che in tennini di ''desiderio". Nel corso cli un co11fi·onto serralo con il c:onstant circa il senti1nento religioso, egli espone !a terza n1anicra di intenderlo da parte del pensatore francese e perviene alla concezione dello spirito un1ano con1c potenza recettiva dcl soprannaturale: <d__,n parola senlin1en10 1·e/igioso nell'opera ciel sig. c:onstant non ha Ull ferino e stnbile significato. r... ] T're sono i sfgnif-ìcati principali che le attribuisce: l ... ] 3°. e finalinente di u1u1 n1era cnpacità di ricevere le rivelazioni religiose. l ... l egli lo riduce ;:id un;1 seinplicc facoltà passivn, co111c nel luogo seguente. ''I ... ] noi <1bbiarno In faco!t.:ì di an1n1cttere in noi queste cornunicazioni n1eravigliosc 1... Ma chi g!i contcnderù in tal senso l'esistenza del sentirnento religioso? chi lia n1;:ii negala L'.ile facoltù?» 1.1::. Ancora nel contesto dcl confronto con B. C~onstant, il Rovcretano parl8 del desiderio che l'uon10 ha di Dio e della necessitò che sia fJio stesso a prendere l'iniziativa di soddìsfarlo: «Per esprirnere la religione colla fòrn1ola sua più generale, ell8 è la co1nunicazione
r'.
UI 112
C:J'r Fi:N
70s. d7 nota
l-'l·:N
I.
"l'ranunenti di una storia llell'en1pietà"
177
dell'uon10 con Dio, cioè con un essere in1111ensan1entc grande, idoneo a supplire alla debolezza umana, sicché l'uomo, per la grazia e la potenza di quest'essere che adora, possa soddisfare quell'intrinseco e sempre vivo natural desiderio di una felicità e é!i una grandezza compiutm>'"Nell'Antropo!ogia soprannaturale, una fondan1entalc opera pubblicata postuma ma la cui stesura risale agli anni 1832-1836, il Rosn1ini identifica il bisogno, il desiderio ed in generale l'idoneità e la capacità dell'uo1no di essere chia1nato alla grazia con la struttura apriorica della sua mente, che ha il fulcro nell'essere ideale: opponendo al siste111a sensista la sua concezione dell'origine dell'uo1110, egli dice: «Paltro [siste111a] che fa nnscer l'uomo uon10, cioè ragionevole, questo è il siste111a che an11nctte congenita nello spirito u111ano Pit!ea e/e/l'essere; [... ] suppone sempre che l'uomo sia uomo cioè dotato ciel principio intellettivo fino dai prin1i istanti della sua esistenza. La religione cristiana suppone che da que' pri111i istanti egli sia altresì suscettibile cli accogliere la grazia in se 111edesin10, il che è quanto dire di partecipare della congiunzione colla divinità» i:q. I,,'essere ideale, infinita appartenenza ciel Verbo, è espressione sintetica indicatrice sia della struttura clell'uo1no sia delle tensioni che lo attraversano. Tra queste si distingue quella che lo lancia verso Dio, chiainata nella tradizione cristiana c!esilferiznn naturale viclencli Deu1n ed espressa dal Rovere1ano con tennini esen1plari sia per la chiarezza che per l'efficacia. A titolo ese1nplificativo riportia1110 un suo testo, che ci offre l'oppo1tunità di accostarci al suo pensiero e di coglierne i profondi 111otivi ispiratori: «L'uo1no è un soggetto reale: quindi non può fern1arsi all'idea, egli aspira a congiungersi col reale. Il reale dato all'uo1no nella natura è finito, e l'idea conduce l'uon10 a conoscere e ad an1are questo reale finito, tna nello stesso tc111po glielo mostra finito, ed essendo infinita l'idea gli niostra la possibilità, la necessità d'un altro reale infinito, che non è dato all'uo1no. L'uon10 a ciò che conosce, estende anche il suo desiderio: questo dunque va al!' infinito, a quel! infìnito che l idea gl inclica dover essere, sen1
i:n FF.N 48s. 1 "
As 1/86.
1
1
Francesco Conigliaro
178
za il quale né la potenza dell'idea sarebbe esaurita, né il conoscimento possibile all'uomo compito, né il suo desiderio di conoscere, di congiungersi e di godere appagato. Ora questo infinito reale è dato inizialmente all'uomo nel lume soprannaturale, che Jddio gratuitamente gli aggiunge: la percezione di questo lume sostanziale e sussistente è la percezione del divino Verbo; quivi il desiderio riposa, quivi l'uomo in un colai modo, anche nella vita presente, si sazia» 1' 5 Tale testo ci consente di mettere a tema alcuni dati. li Rosmini parla del desideriwn videndi Deum come del desiderio dell'essere reale infinito, meta assoluta unica possibile, perché l'unica vcran1ente e con1piuta111ente saziativa. 11 ricorso al termine desiderio è soltanto un'attivazione della potenzialità polise111ica del concetto-chiave rosn1iniano, essere ideale, al quale è legato, come a principio fontale, ogni dinamismo dell'essere un1ano. li desic!eriun1, in quanto scaturisce dall'essere ideale, è un dato fe1101nenologico che rivela l'opera di Dio che costituisce !'uo1110, lo chiama, lo orienta c lo guida al suo destino di pienezza. In sintesi, si può dire la stessa cosa espri1nendosi ros1niniana1nente in vari n1odi: la vita dell'uomo è scandita dai ritmi determinati dal desiderio di vedere Dio, dalla so1niglianza che cerca di congiungersi con l'i111111agine 1-1 6 , dal lume creato che si volge al Verbo divino lume increato, dall'essere ideale che tende all'essere reale infinito. Il desiderio di vedere Dio, che caratterizza in modo inequivocabile lo spirito umano fino al punto da costituirne l'identità dinamica profonda, consente di aprire il discorso sull'oggetto del desiderio, sulla realtà che polarizza su di sé in un radicale e totale coinvolgimento le aspirazioni umane, e cioè sul fine dell'uomo. A. Rosmini sa benissi1110 che Dio, con1e essere reale infinito assoluto, è infinita111ente lon-
ns DSA 85. Il Rosn1ini, attingendo in qualche 1nodo alla tradizione, distingue tra ''siinilitudine" cd ·'in11nagine", intendendo indicare con !a coppia dei tern1ini il nesso tra la potenzialità c!ell'uon10 a raggiungere i! eon1pirnento dcl suo essere ed il conseguirncnto ef'ft:ttivo di tale condizione, e con la tensione tra i due tcnnini la tensione esistente tra nalura e grazia. A 1110' di esen1pio citimno i! testo seguente: «L'essere che in quanto è veduto natural!nente dall'uotno è una si111ilit11dine di Dio, quando è con1pìto dalla grazia riceve una nuova nobiltù, un nuovo carattere, che può ricevere assai acconciarnentc e propriarnentc la c!cnon1inazione d'i111111agi11e di Dio» (As 2/28: 111a ancora cfr As 2/!-2/29; JVG Llll). 136
"Franunenti di una storia del! 'e1npietà"
179
tano, ma sa pure che per l'uomo, spirito finito aperto all'infinito, non si può dare un fine ultimo pienamente saziativo al di fuori di lui: all'idea infinita c01risponde solo la realtà infinita, e tale realtà non può essere che Diou 7 • Si tratta certa1ncnte della n1assiina possibilità, n1a occorre aggiungere che si tratta anche dell'unica possibilità: «Ma l'uomo con tutte le sue potenze non aveva in sé la propria felicità appunto perché le potenze non sono che 111ezzi di ottenere questa felicità, non sono che un vaso che ditnanda d'essere rien1pito. L'uo1110 dunque non trova in se stesso che un vuoto; 111a poteva 1neglio trovare il bene che lo satollasse nella natura? No, la natura, l'intero universo 1nateriale era ininore di lui dotato d'intelligenza; ed egli stesso tanto eccellente era pur solo una capacità con1e diceva1no, una capacità infinita: questa creatura adunque aveva un essenziale bisogno di Dio perché fossero piena1nente appagate le sue bran1e»L' 8 • ]_,'accesso dell'uotno alla grazia in1plica un salto qualitativo, che è un vero e proprio autotrasccndi1nento. Tali atti, secondo il Rosn1ini, non possono essere con1piuti senza l'aiuto di Dio. Nonostante tale situazione, l'uon10 non trova pace, e sa di non poterla trovare, se non nell'intimità dell'incontro con la realtà infinita coJTispondcnte all'idea infinita che è presente alla sua 1nente 1.w. li n1inin10 che si possa dire a questo proposito è che l'uon10 si viene a trovare in una condizione ontologica cd in una situazione esistenziale di "squilibrio", che può essere intesa nel senso esplorativo di "sbilancia1nento", di sbi!ancia1ncnto in avanti, che si risolve solo in seguito al1 1autodonazione di Dio in se stesso i.io.
1
~7
nN
Cfr A.
ROSMINJ,
Logica, 2 vo!L, Milano 1943, 1 !65; Teosofìa, 368-373.
As 2/45.
Cfr Teosojìa, 881; OSA 87. in li:. CfrCJ. VERSINI, /?apporlo ragione efCde in Rosn1ini, in ;/fii del conveg110 ros111i11iano - Stresa, 3-5 gennaio 1974, in Rivista Rosn1iniana 69 ( 1975) 11 s; C. BERGAMASCHI, in fnlervenli, ibid., 35; G. VERSINJ, Replica del relatore. ibid., 4\s: n1a cfr OSA 87, in IF . Approfittimno dell'occasione per accennare a!!'idea che in tale contesto tenu1tico viene all'evidenza, e cioè all'idea che l'uo1no, se non trova la sua pienezza in Dio, incorre ne!!o scacco del suo essere; a tale idea se ne accornpagna un 'altra: l"uon10 ha J"esigenzn di Dio; ciò, ovvian1cnte, è da intendere nel senso di esigenza della grazia. tvla parlare di esigenza della grazia, non equivale n negarln? !! IW 1411
180
Francesco Conigliaro
Conclus·io11,e Lo studio del pensiero di un autore si rivela fecoudo solo se viene condotto innanzitutto all'interno delle coordinate storico-culturali, tematiche e problematiche, che hanno destato la sua a!tenzionc e che hanno sti111olato la sua volontà a prendere pa1ie dialettican1ente a1 processi di rinessione in corso alla sua epoca, Solo su questa base è possibile an1pliarne ed incren1entarne successivan1entc Pestensionc della fecondità, trarne dei frutti preziosi e f-àrne delle applicazioni significative. Tuttavia, non bisogna n1ai trascurare il fatto che in casi co111c questo la fecondità è di tipo prevalenternentc 111etodologico e che eventuali spunti ten1atici e contenutistici non possono n1ai superare 1 limiti prudenziali dell'ispirazione e dello stimolo, i quali in ogni caso debbono essere situati in altri contesti in 1nodo organico e n1ai per giustapposizione estrinseca. In pa1ticolare, non si può 1nai fare una utilizzazione n1otivata da interessi ideologici ed ispirata ad una 1nentalità ideologica, con1e accade, ad ese1npio, con A. Cattabiani, il quale, in un suo S"aggio inlroLluttivo ai Fran1111enti ... 1-1 1 di A. J.Zos1nini, utilizza l'atteggia1nento rosn1iniano vigorosa1nente critico delle tendenze i1111nanentistiche, en1piristiche e soggettivistiche presenti nella filosofia n1oderna, con1e «diagnosi profetica dei nostri destini» I· 12 e, leggendolo soprattutto alla luce delle tesi più conservatrici di A. Del Noce"', lo strun1entalizza allo scopo di dare una valutazione generica111ente e problc1na in mnbito rosn1iniano non è nuovo, con1c non è nuova la soluzione in tcnnìni di gratuitù (ad esc111pio, cfr F. CONIGL!ARO, /111111anenza e trascendenza.. cil.); è stato anche fatto oggetto di un dibattito tra G. Vcrsini, !VI. ìvlanganclli e C. Bergam!lschi cit., 12-16. nel convegno dì Stresa dcl 1975 (cfr G. VERS!NL Rapporto ragione 37ss; f'vf. l\1ANCiANt.::LLL in !11terventi. ìn Ri1'isla Ros111inia11a 69 ( 1975) 21-27: U. PELLEGRINO, ibid., 29s). f, vero che la creaturn intcllelluale è aperta cd idonea al co1npin1cnto del suo essere in Dio, 1na è altrettanto vero che essa non ha alcun clirillo a ciò. Pertanto, è stato detto, sarebbe pili corretto 1net!ere da parte tcnnini equivoci_ corne ··esigenza'' e "nccessitù", e parlare di ''convenienza". Se, però, si ritiene di dover fare ricorso al termine esigenza, occorre 11011 trascurare il fotto che non si può trntlare di esigenza dclln ragione, 1na solo di esigenza condizionata, ipotcticfl e dipendente dn!!t1 volont<Ì cli l)io creatore. 141 Cfr A. CATTA8!ANI, Il sansi111011isn10, sisle111a .. , cii., in FAC 9-45. 1-12 !bid 45 4 l-l_ì Cfr ~~)pn~ttutto: A. DEL NOC[, Il prohle111a de// 'ateis1110, Bolog11<1 1990 ; Io., // problema politico dei cattolici, Ro1na 1967; ID., C'iviltà tecnologica e cristia11esi1110, in L'Osservatore Romano 108 (1968) nn. 3, 6, 9, 12: quattro articoli.
"}'ranunenti di una storia del!' ernpietà"
181
co111plessivan1ente i1n1nanentistica e "n1odernistica" della teologia conten1poranea. Se è vero che il Ros1nini alla sua epoca fu un innovatore, fino al punto da venire inquisito con Paccusa di avere fatto confusioni nei settori dottrinali del divino e di Dio e dell'immanenza e della trascendenza e da venire travolto con la condanna di 40 sue proposizioni i.i.i, verosi1nilincnte non è né opportuno né lecito utilizzarlo per dare forza a procedure e ad argo111entazioni accusatorie negli stessi ambiti tematici. Chi ha operato ispirandosi ad idee di ape1tura non può essere stru1nentalizzato, in altre epoche culturali, da chi ha interesse a ridurre ed a chiudere gli spazi di riflessione. Quanto sia1110 venuti dicendo nel presente breve scritto risponde alla semplice duplice esigenza di cogliere le motivazioni che hanno spinto il l.Zoveretano a dar vita ai }ìAannnenti eh una storia clell'en1JJietà e di recare all'evidenza le ragioni ispiratrici, già 111aturatc all'epoca della stesura dell'opera, sia delle sue annotazioni critiche che del suo progetto fi Ioso fico e teologico. Ci se111bra previa111ente in1portante n1cttere in luce il fatto che tutti gli aspetti della vita e dell'attività degli uomini vengono considerati dal Roveretano con1e 1110111enti interni al processo storico. Ciò fa sì che ogni dato venga da lui visto all'interno di coordinate processuali. E questo è indubbiamente un fattore di modernità a vanto della riflessione rosn1iniana. Solo che il Ros111ini non è disposto in nessun 111odo ad accedere all'idea che tutto ciò che è presente nella storia e vi accade in modo processuale sia riducibile alla processualità della storia. Un tale 1nodo di pensare potrebbe ridurre ogni cosa a processo e provocare il travolgi1nento dell'oggettività, della necessitò e dell'universalità nel soggettivo, nel contingente e nel particolare e la conseguente loro eclissi. L'assolutizzazione del processuale e del soggettivo con1po1terebbe con1e conseguenze necessarie di gran lunga pili gravi anche la re-
1·1·1 Per orientarsi circa il problc1na de!!e proposizioni rosn1inianc condannate ri1nandian10 al nostro ln1manenza e trascendenza .... cit, 3!1-326, 111a soprattutto ai più recenti lavori seguenti: G. GIANNINI, Esa111e delle proposizioni jìlosofìche ... , cit.: lo .. E'.\-a111e delle proposizioni teologiche .. ., cit.; 1\. STAGUANÒ, Rilettura di proposizioni ros111iniane, ci!.
182
Francesco Conigliaro
lativizzazione della religione e la dissoluzione della trascendenza e del soprannaturale. Per la sensibilità del Rosmini questo sarebbe non pure contrario ad ogni sana filosofia 111a anche espressione di en1pietà. Una tale catastrofica situazione accade se si verifica una confusione nella concezione circa le scaturigini delle strutture portanti dei vari aspetti della vita umana e delle sue attività. E certo, appena si pensa in 111odo tncra111ente en1piristico e si trovano le ragioni delle idee e delle cose nel senti1nento e nell'illusione, fattori sicuran1ente itnportanti ma del tutto inidonei a dare spiegazioni oggettive, universali e necessarie, la riflessione non può avere altri esiti che il soggettivis1110 e !o strumentalis1110 e il processo storico non può non ridursi che ad un 111ovi111ento evolutivo, nonnato dal perfettis1110 e da!Pottì111isn10 e detcnninato dal I 'aftennazione di un i1n111anentisn10 antropocentrico volto ad un in11na11cntisn10 assoluto e totale. Convinto del rischio insito in una tale logica, i! Ros111ini pensa cli dare alla sua rifiessionc una configurazione che ne sia i1n1nune e, a tal fine, non trova altro espediente teoretico che quello di affcrn1are il carattere trascendente della sorgente dell'oggettività, della necessità e dell'universalità. Si comprende subito che egli, adottando la feconda categoria di partecipazione, in1posta il suo discorso platonican1ente, n1a, ispirato dal pensiero cristiano, lo rapporta i1111nediata111ente a Dio e, di conseguenza, lo aiticola in tnodo rigorosa111cnte trascendente sia nei riferin1enti alla creazione che nei rifcrin1enti alla grazia. È vero che solo al tempo della stesura della Teosofia, e cioè al tempo della maturità, egli fà la co111plessa "descrizione della creazione", 111a non è 111eno vero che al te1npo dei Fran1111enli ... , conte1nporanean1ente alla stesura del Nuovo Saggio, le sue idee erano già sufficientemente mature. E lo erano indubbiamente nei delicati e fondamentali settori dottrinali dell'oggettività e del soprannaturale. li settore dell'oggettività si basa sulla dottrina dell'essere ideale, che, in quanto "partenenza" del Verbo, ha origine in Dio e per partecipazione-illu1ninazione viene con1unicata alla rnente u111ana, che in tal 1nodo viene costituita ontologica1nente e viene posta in atto pri1110. L'essere ideale ha così una funzione universahnente fondante
"Fran11nenti lii una storia de!l 'en1pietà"
183
nell'ambito creaturale, ed il Rosmini per tale ragione lo considera il "prin10 filosofico" 14\ 111a lo chian1a pure il "pri1110 ontologico", 111 quanto è il primo nell'ordine della scienza"''; e, poiché la scienza incomincia dalle idee, lo definisce il "primo ideologico"'"· La grande questione del soprannaturale, nelle sue implicazioni antropologiche, ha anch'essa il punto di partenza nella dottrina dell'essere ideale. Infatti, l'apertura dell'uomo al soprannaturale e la capacità di conseguirlo s'identificano con l'idea di essere in universale ed iniziale presente alla mente: l'idea infinita suscita nell'uomo il desiderizon vùJendi Deu111, che non si placa se non con la visione beatifica ed inizialn1cnte con ciò che, 111entre l'uon10 è via/or, ne è !'anticipazione, e cioè la grazia. L'idea infinita tende alla realtà infinita corrispondente ed in tal senso preme sull'uomo il quale si struggerebbe in un conato tanto vano quanto infinito se PEssere reale infinito non si autorivelasse e non si autodonasse in se stesso. In tal n1odo, nella riflessione ros1niniana Dio risulta in ogni senso il fondamento dell'oggettività: pa1iecipandosi come "atto cntitativo" e con1e "tOnna", costituisce nella loro realtà creaturale sia gli enti che la 111ente un1ana; autorivelandosi ed autodonandosi in se stesso, il!u111ina gli uon1ini con1e verità e li a1nn1ctte alla partecipazione della sua stessa vita con1e grazia. L'atto creativo, distinguendo tra infinito e finito e tra realtà ed idea, garantisce lo strettissimo rapporto che intercone tra Dio e le creature, a partire dall'uomo, da ogni rischio di confusione tra il divino e Dio e da ogni an1biguità circa il tenia della trascendenza; la libe1tà di Dio nella rivelazione e nella grazia ed il conseguimento da parte dell'uomo della divinizzazione solo per gratuito ed incondizionato dono divino consentono di acquisire idee chiare circa i temi teologici dell'immanenza e della trascendenza della grazia e della gratuità del soprannaturale. I Frammenli di una s/oria de/l'empietà nella mente del Roveretano rappresentano, ancorché a livello iniziale, un fo1te ed inequivoca-
i
45 Ctì· A. ROSMINI,
14 (' 1
~1
Ctì· ihid, 29. crr ibid, 31.
Preliminare alle opere ideologiche, in Ns.
L 3 I.
184
Francesco C'onig!ioro
bile grido cli allarme nei confronti cli ogni possibile deviazione 111 tale a111bito te1natico ed una precisazione decisa degli stru111enti concettunli da evitare e da aclot!are al fine cli garantire il trascendente ed il soprannaturale nella loro oggettivitĂ .
Synaxis XVI/! (1998) 185-2 I 8
LA "VERA JSTORJA DELLA SANTA MARJA VERGINI DI VALVERDE" REDATTA DA ERASMO MUSMECI VICARIO DI JACJ S. PHJLIPPO NEL 1645
MATTEO DONA1D'
La Vera Istoria della Santa Maria Vergini di Valverde del vicario Brasino Musn1eci 1, rinvenuta nell'archivio della chiesa parrocchiale di S. Filippo di Agira ad Aci S. Filippo (Catania) in occasione della pubblicazione del mio volume relativo alla chiesa suddetta (1994), è tra i più antichi 1nanoscritti 2 che narrino della vicenda 1niracolosa della costruzione della chiesa di Valverde'.
' Docente di Lettere negli Istituti Tecnici. Dedico questo scritto alla 1nen1oria di p. (ìiovanni Messina A.S., archivist8 presso la Curia arcivescovile di Catania, che svolse un attcntissi1no lavoro di ricerca
su Valverde e la sua chiesa. Suo costante, 1na non realizzato, desiderio ru la pubblicazione di un volun1e quanto pili possibile esauriente sulla Madonna valverdese. Per tale opera aveva appuntato fi1rnnchc la citazione iniziale che con ani1110 deferente ora faccian10 nostra: «Riguardo alle usanze praticate nei diversi luoghi .la sola e saluberrin1a regola da osservarsi è che non solo non dobbia.1110 riprovare quelle che non sono contrarie alla tèdc né ai buoni costun1i, anzi hanno la capaciti] d'esortare ad una vi1a pili santa dovunque le vec!ian10 stabilirsi o sappiarno già stabilite, n1a dobbian10 pure lodarle e in1itarlc» (S. AGOSTINO, Lettere !.lctt. 55 9 181). 1 Per notizie biografiche su Erastno tvlus111eci si veda la nota 28. 2 ll tcsto è scritto su un fascicolo di 12 fogli, che originarian1ente doveva far parte di una ·'Giuliana" (oggi s111e1nbrata ed irricostituibile) de!!'archivio della chiesa parrocchiale. l fogli, che 111isurano cn1. 20 x 28, hanno una numerazione originaria a pagina, che va da 417 a 440. Le pagine 417~426 contengono una bo!la del 1619 (con postille del !704 sulla prirna pagina), le pagine 427-429 sono bianche; da pagina 430 inizia il nostro clocun1ento che lernlina a pagina 440; la pagina 435, rin1asta bianca per
186
Matteo Donato
Redatta nel 1645, in essa non s1 riscontra alcuna dipendenza con le precedenti pubblicazioni sull'argomento; peraltro, rimasta sconosciuta nell'archivio della sopracitata chiesa parrocchiale (carpetta n. 7), non ha influenzato in alcun modo le posteriori pubblicazioni su!Pargo1nento. Ovvia1nente, co1ne per tutti gli scritti si111ilari, lo scopo del pio racconto è quello di fissare l'origine del culto della Madonna di Valverde e la fondazione della chiesa'. Le notizie storiche, entro cui disattenzione, presenta l'annotazione "scordanza" (din1enticanza). Ncll'ultirna pagina sono successive scritture sino al 1691 . .ì Al fine di un'in11nediata coinprensione del nostro contributo si dà una sintesi della Istoria redatta dal vicario Mus1neci. In Sicilia la rivalità tra l'e1niro Apolorar ed
il fratello Apocapo degenera in una lung<1 lotta annata con esiti alterni. A!!a 11ne prevale J\polorar che ha dalla sua l'aiuto 1nilitarc de! generale Giorgio Mani<lcc inviato dall'in1pcn1torc di Bisanzio. Mania.ce, poi, venuto a sapere dell'accordo segreto dei due 1ì·atclli, richiede cd ottiene l'aiuto di alcuni principi longobardi al cui servizio sono dei contingenti nonnanni. Dopo la vittoria sugli Arabi tvlaniace non rispetta i patti nella divisione ciel bottino, il che determina il ritiro in Italia dci Nonnanni. Dionisio Cuccuvaia, valoroso soldato al servizio del principe di Salerno, c!cciclc cli rcstrire in Sicilia dandosi al brigantaggio e prendendo a sua di1nora unri grotta in una valle chiainata Val Verde. Una de!le viUin1e di Dionisio, il catanese Egidio, n1inacciato di n1orte, invoca l'aiuto della Madonna, il cui in1n1ec!iato intervento è preannunciato da un forte Lerre111oto e da una luce abbagliante. A Dionisio che chiede perdono la l\.1fadonna ordina di lasciare la sua vita cli peccato, farsi eretnila, in!Onnarc il clero di Aci cd ancora fabbricarle una chiesa nel posto indicato da un circolo cli gru e scavare nella sua stessa grotta per trovare l'acqua. In Aci Dionisio avverte il castellano ed il vicario, si fonna una processione a cui 63 gru indicano il luogo dove edificare la chiesa. Rinvenuta l'acqua secondo l'indicazione della Madonna, !a piccola chiesa è finita cli t~1bbricarc il sabato dell'ultin1a dornenica di agosto. La clon1enic<1 n1attina si trova, n1iracolosan1ente potiato dagli Angeli, un dipinto cli Madonna con l3ainbino di 111irabile bellezza. A1npliata la chiesa originaria, i pricsani vogliono sposlare in luogo pili idoneo il dipinto, n1a l'operazione non riesce in alcun rnodo. 1\ seguito cli una nuova apparizione ad un devoto contadino, viene lolto ogni apparato n1eccanico ed il dipinto 111uta niiracolosainente posto senza alcun intervento un1ano. Attorno al dipinto è costruita una cappelletta con statue lignee e lmnpade di bronzo. Inoltre tre croci nella chiesa ricordano, a detta dci paesani, la consacrazione al ten1po di re Federico, il quale visitò la chiesa e fece alcune donazioni. Ai frequenti 111iraco!i della Madonna cli \fa!verc!e si deve la presenza nella chiesa di nun1erose torce e quadretti cx voto. Mons. O. Brancifortc, vescovo di Catania, la visitò nel 1644, prima di partire per R01na, !ascim1do ino!ti doni. Chiude il n1anoscrilto un elenco di undici 111iraco!i e la !ìnna dcl vicario Musn1eci, seguita eia notazioni dci vicari successivi fino al 1691. 4 «La pia leggenda contiene i11dircttan1cntc la n1cn1oria storica delle origini cli Valverde legate a! culto di un'icona della Madonna crcttri presso quello che allora costituiva il bosco di Aci. Nel Seicento 1nolti storici accolsero nei loro volurni leggende che dovevano servire a 111agnificare !e origini di città più o 1neno ffln1osc. La 1110da toccò centri grrindi e piccoli. Valverde non ebbe niitici eroi eia presentare, n1a la secolare leggenda di un bandito che si pente. A ben guardare non è Dionisio ad essere il
La "Vera Istoria della Santa Maria Vergini di Valverde"
187
si inquadra la leggenda di Dionisio, sono corrette e fanno pensare ad un'origine abbastanza colta della leggenda stessa. La Vera Istoria è documento di eccezionale importanza per le fonti e le informazioni, certamente più ricche ed utilizzate in modo più critico ed articolato rispetto a tutti gli altri testi pervenutici, editi ed inediti. È n1erito del vicario Mus1neci averci lasciato un racconto senza quelle amplificazioni sia storiche che devozionali che contraddistinguono gli altri testi relativi a S. Maria di Valverde. La prima notizia stampata di cui disponiamo circa la chiesa di Valverde ci viene da Ottavio Gaetani che nel 1617, trattando dcl le chiese dedicate alla Vergine, riferisce assai brevemente della pittura della Madonna in Valverde, «miracolosamente dipinta>>, citando come fonte non meglio identificati «documenti della chiesa»'. Qualche anno dopo ( 1622), anche Giacomo Gretser'', rifacendosi al Gaetani, ripete il «divinitus picta» 7 • Non passano dieci anni che Melchiorre lnchofer (1631), il quale non n1anca di citare Gretser, riferisce di aver letto un antico 1nanoscritto circa la prodigiosa fondazione della chiesa della Madonna di Valverde sotto il monte Etna vicino Aci". Si tratta della prima pubblifondatore. 111a la Madonna stessa colla sua volontà salvifica. Se a Valverde 111ancava un'origine 111itica, tuttavia i! lèlice connubio di favola e lCde le assicurava natali nobilissi111i)) (M. DONATO, Sulle origini di Valverde, in 1\Iemorie e Rendiconti, Accade111in degli Zclsnti e dei Dafniei di Acireale serie III, 8 [19881 274). 5 ().GAETANI, Idea Operis de Vitis Sic11/on1111 Sa11ctor11111, Panonni 1617, 98. 132. 6 J. GRETSER, Syntagma/e de i111aginib11s non 111anufactis deque a/iis a S. Luca pfctis, lngolstadii 1622, 317. Si trascrive il breve testo di Gretser: «Tauron1enii in Sicilia colitur m1tiqua !inago B. Virginis non 1nanulàcta; qualis ctian1 videtur i!la Dcipan1e I111ago, divinitus picta, quae colitur in Valle viridi in inante Etna, ut scribi! Octavius Costantinus (sic) in "'Idea operis de Sanctis Siciliae")), 7 Espressione questa che ricorre anche nell'opera anonin1a Exerciti11111 animae devotae, Parigi 1629: «Die trigesima Augusti. In Sicilia rcstun1 In1aginis divinitus pictac 11eatac Mariae Virginisll. 8 !'vi. INCHOFER, l~jJistola Beatae 1\Iariae Virginis ad i\Jessanenses. C'oniec/atio p/11ri111is ratio11ib11s e/ verisi111i/it11di11ib11s locuples, Viterbis 1631, note di appendice 30 e 66. Data la difficoltà di reperi1nento del testo di Incho!Cr e !a sua i1nporLa11za, se ne ritiene utile una sua trascrizione. Nola 30: «Mos rccitandae coronae pre~ cariae, non rectc trahitur ad annos Virginis 63. Quin potius dicendun1 esset Coronain B. Virginis quac 72 salutationes angelicas continct, si ritus antiquior rccitancli attendatur, in huius rei 1nemorian1 f'uisse institutam. V. Con1p. Mcndic. Verbo lndul. Pl. Pa-
188
Matteo Donalo
cazionc che narri in poche righe la vicenda 1niracolosa di Dionisio, concludendo che se era vero quanto ivi era narrato, la fondazione della chiesa precedeva di quasi due secoli la regola di s. Francesco.
Con il che si lasciava trasparire qualche dubbio relativa1nente alla credibilità della narrazione. Inchofer, da uo1no di fede, non 1netteva in discussione il prodigio, n1a, da uon10 di cultura, era perplesso circa il 1non1ento storico della fondazione della chiesa. Era l'eccezionalità della datazione della vicenda (secolo XI) a fargli esprimere quanto meno una riserva sulla veridicità di quanto era scritto nell'antico 111anoscritto. Trascorrevano circa altri dieci anni ancora, quando Giovan Battista De Grossis (1642), riferendo dell'immagine «non manufacta» e «n1iraculis auc1a» della Madonna di «Valle Viridi», narrava, in inaniera più an1pia rispetto ai suoi predecessori, la «fondazione prodigiosa dcl ten1pio» 9 • Precisando di non aver letto sull'argon1ento alcun'altra pubblicazione eccetto lnchofer, De Grossis in pari teinpo affern1ava che la sua decisione di «tra1nandare ai posteri» il racconto nasceva dal fatto che esso gli sen1brava acquistare «forza ed autorità» dai «n1anoscri11i più antichi di quattro secoli custoditi nell'archivio della chiesa»: 1nanoscritti di cui aveva soltanto notizia, 111a della cui esistenza non dubitava (facendoli risalire addirittura al 1200 circa), senza tenere conto cli lnchofer (da lui stesso poco prima citato), che riferiva di un solo manoscritto.
n1gr. 11; Rutil. Bcnzon in Psal. 86, cap. 46, Prod. J I. Lego in antiquo !Vis. prodigiosae fundationis teinpli Dciparac Vallis Viridis sub n1onle [tna prope Aci1n, sexaginta trcs grucs, ea rationc qua pridie Virgo, Dionisio cuidmn insigni Introni rcccns converso rcvelavcrat, signassc locu111 templi construendi, eoquc nwncro coronm11 Virginis, suo probala111 inistcrio significasse. Ncque tmnen hic quippimn dc scxagin1<1 tribus annis. Qui11 vero coronmn precaria1n co nuincro intcnl<1n1, non ex re ipsa scd ex intcrpretatione scriptoris illorun1 tc1nporu111 haucl aequulìs accipio: qunndo cius ternpli tìrnda!io, si vern sunt quac ibi 11<1rr;1ntur, duobus pacne secu!is antcvertit institutu1n Divi Francisci, cx quo tan1cn, longc etiain post, occasione1n h<1buit, inos i!!c rccitandi iuxta ca quac clixin1us in contcxtu ex Pelbarto etc>l. Nota 66: «Plura dc iinaginibus acheropytis vide apud .Jacob Grctser in ·'Syntagrnatc'' de hac re, ubi intcr alia caput !5 111e111init In1agines Deiparae non n1anu 1~1ctae, nobis sul notac, quac Tnuroincnii in Sicilia colitur, cl altcrius quae in Valle Viridi sub 111ontc Etna celebrcn1 habct 1ne1noria111 ctC)). 9 I. 13. DE GROSSlS, Catanense decachord111n, sive novissi111a Sacrac C'atanensis Fcc!esiae notitia, I, Catanae 1642, 11-12.
La "Vera Istoria della Santa Maria Vergini di Valverde"
189
A prescindere dal numero delle redazioni (una o più), sia Inchofer che De Grossis avevano veramente letto i fatti della prodigiosa fondazione della chiesa cli Valverde in qualche antica stesura o trascrizione? Se fino ad ieri si poteva avere il sospetto che lnchofer nel riportare la leggenda riferisse con1e diretta lettura sua l'infonnazione che gli proveniva dai sacerdoti della chiesa di Valverde, oggi, grazie al testo del vicario Musn1eci, non possia1no avere alcun dubbio. 11 Musrneci nel 1645 ci dice cli non conoscere «il libro autentico di detta storia». Addirittura la sua fonte orale, lo stesso vicario di Valverde, sac. Vincenzo Clarenza 111 , non gli aveva saputo precisare qunndo fosse andato perduto e come: se «abrogiato in tempo di pesti che fu m Sigilia o rubato». Così al Musrneci, che ogni giorno avrebbe potuto consultare il testo o i testi antichi (la chiesa di Aci S. Filippo dista da quella di Valverde appena tre chilon1etri), non restavano altro che «alcune reliquie
di libri antichi» che sono andati «persi». In altri tennini egli si era dovuto accontentare di resti di 111en1orie o tuttalpiù di qualche racconto più o 111eno recente che a quei libri si rifaceva. Sempre nella prima metà del XVII secolo, Rocco Pirri ( 1644), in sette stringate righe di testo 11 , ripete, circa l'«antiquissin1a i111ago divinitus depicta», quanto lnchofer e l)c (ìrossis avevano già pubblicato. La 1nancanza di citazione di una fonte scritta cd il riferi111ento ad una «tradizione assai costante» fanno pensare ancora ad una re111iniscenza di ciò che sentì narrare quando studiò a Catania o a notizie trasn1essc dai suoi ainici infonnatori circa le chiese fuori di Palcnno. Nel 1657 (dodici anni dopo la stesura del nostro manoscritto) co111paiono postu111e le //itae SancloruJJ1 ~)'icu!orI11n di Ottavio Gaetani: a pubblicarle è Pietro Salerno, cui si deve, per la parte riguardante la Madonna di Valverde, non solan1ente la stesura in latino, n1a un a111plian1ento notevole di notizie dovuto con ogni probabilità a relazioni
111
Per notizie biografiche su Vincenzo Clarenza si veda la nota 29. 11 R. Prn.R!, Sicilia Sacra disq11isitionib11s et 110/itiis illusf/'afa, 1644. Notitia Catanensis Ecclesiae. 111.
L Panorn1i
190
Matte o Donato
pervenute successivamente alla morte del Gaetani". Ciò balza evidente da un confronto tra l'informazione non firmata pervenuta al Gaetani intorno al 1608 1', della quale quasi sicuramente egli si avvalse per la sua Idea del 1617, e quanto invece si trova nel paragrafo delle Vitae: «Dei parenti imago divinitus picta guae colitur in Valle viridi in monte Aetna». In tale paragrafo è presentata tutta la vicenda di Dionisio, del di-
pinto e della chiesa, descritta così a1npia1nente con1e pri111a non aveva fatto nessuno, neanche lo stesso De Grossis che pure più di tutti gli al-
tri vi si era soffcnnato. La leggenda si articola in una serie di interventi miracolosi: I) invocazione di Egidio a seguito dell'assalto di Dionisio e pritna apparizione della Madonna; 2) miracolo delle gru; 3) miracolo della fonte perenne e suoi effetti sugli ammalati; 4) seconda apparizione della Madonna il sabato sera; 5) icona della Vergine rinvenuta la domenica; 6) miracolo dei dipinti cancellati; 7) apparizione della Vergine a Damiano; 8) prodigiosa traslazione dell'icona nella parte destra del tempio cui segue un so1nn1ario riferin1ento ad altri innutnerevo!i 111iracoli. In tutto il racconto vi è una molteplicità di interventi prodigiosi tale da richiedere nelle righe finali una conclusione insolita. Infatti la citazione delle fonti, per di più «confennate dai vescovi di Catania», nasconde il proposito di eliminare dubbi e perplessità che l'eccezionalità dci fa!ti esposti avrebbe potuto far nascere nei fedeli 14 •
12 O. GAETANI, Vitae Sanctoru111 Sic11!on1111, l)anorn1i 1657, 284~285. Lì ANONIMO (presso O. Gaetani), Sulle 1';/adonne di Sicilia. lnfor111azio11i procurate intorno a{ 1608, 111s. della Biblioteca regionale di Pa!enno, to1no 2°, f. 121v (L'inedito è stato da nic pubblicato in L6gos 3 [1996] I). L'J\nonin10 inforn1atore, a nostro avviso, non si può identitìcrn'C con il vicario Clarcnza; forse ru un sacerdole catanese, cornc sen1bra trasparire dal fatto che: I) si cura di dare la distanza della chiesa da Catania; 2) colloca la grotta del brigante nel bosco di Catania; 3) chirnna il brigante stesso Aloisio e non Dionisio; 4) non dù al racconto i! consueto tono celebrativo. i.i Ricordian10 a riguardo quanto ebbe '1 scrivere il can. V. RAC!TI ROMEO nel suo Acireafe e Dintorni. Guida storico-111011u111entale, ;\circ<llc 1927, 294-295: «Su lnl proposito corre una strana leggenda scrit!a ne!!'u!ti1no scorcio del secolo XVI da un prete che ufficiava con1e cappellano o vicario questo santuario [.... ].Tale scriHurn fu inviata al gesuita p. Ottavio Gaetani, dopo la cui rnortc, trovata tra le sue c<1rtc. venne pubblicata dal p. Pietro S<1Jcr110 della stessa coinpagnia - senza alcuno apprezzaincnto - nell'opera postuina del Gaetani». Di fì·ontc a! racconto leggendario riguardante la l\1adonna di Valverde una posizione più equilibrata ci appare quella de! padre agostiniano Francesco Recupero, che scriveva: «Questa è la tradizione raccolta dal Gaetani
La "Vera Istoria della Santa Maria Vergini dì Valverde"
19 l
L'ampio scritto del 1657 presenta ancora una sua particolare caratteristica: i dialoghi riferiti sia in forma indiretta che diretta. La forn1a dialogica, che 111ovi1nenta e dra1nn1atizza il raccontoi inf1uenzerà più o 111eno evidcnte111ente tutti i successivi scrittori che si rifaranno alle Vitae. Da dove il Gaetani (ossia il Salerno) aveva tratto la sudde!ta forma dialogica? La risposta è con ogni probabilità nelle righe finali del testo allorché le vicende narrate sono dette non solo tratte «ex monumentis ecclesiae», come si legge in Idea, ma anche dalle «literis Vicari.i Vallis Viridis». A scrivere le lettere fu quel don Vincenzo Clarenza, di cui si è già detto e che, quale primo vicario di Valverde, sul finire del Cinquecento e nei prin1i decenni del Seicento dove' svolgere un'intensa opera di informazione relativa alla sua chiesa 15 • E la "storia" del Clarenza certa1nente conteneva [onne dialogiche provenienti da rappresentazioni 111 «scena publica» cui fa riferimento il Musmeci nell'intitolazione della sua f/era [storia: rappresentazioni che in quel ten1po dovevano essere abbastanza frequenti e oltremodo suggestive. La pubblicazione delle Vitae del Gaetani segna un momento chiave per quanto riguarda la leggenda valverdese perché tutti gli scritti successivi diretia111ente o indirettan1ente si rifaranno ad esse 1('.
e ripelutn eia altri scrittori. La voce dei padri, tras1nessa sulla bocca delle generazioni, non nacque certainenle a caso. In essa possian10 scorgere un fondo e una tOnna: i! fondo è costituito dal nucleo di verilà storicn. 1nentre ln fOrina sanì. stata colorala di fantastiche tinte dalla spontanea e i1n111aginosa poesia del popolo con11nosso, tinte che una sana critica è costretta a sinorzarc» (F. RECUPERO, Cenni storici del santuario di Valverde, in La !?osa di Valverde [19411111arzo, 25). l.'i I dati cronologici ci ranno ritenere che don Vincenzo Clarenza, oltre nd inJ'onnare il Gaetani e ii !'viusn1eci, autore dcl nostro 1nanoscrillo, con ogni probabilitù Jì.1 anche la !Onte di lnchofer e di Dc Grossis. 16 Dopo le Vitae dcl Gaetani il processo di stratifìcnzioni successive, operatesi attorno al prin1itivo nucleo della leggenda di Dionisio, cambia aspetto. li lìssarsi o per così dire lo storicizzarsi della inatrice initico-rituale non pcnnettenì. pili accresci1nenti di t'ondo, nH.t n1odestc varianti e trasn1utazioni. Pertanto quanti continueranno a narrare la vicenda cli Dionisio, non godendo di una nuova docuincntazione, punteranno ad aggiornare la storia della chiesa di Valverde, inserendo ne! racconto fatti e vicende dal Seicento ai nostri giorni (presenza degli agostiniani scalzi, tcrre1noto dcl !693, ecc.). Qtiesta tendenza era de! resto giù presente nelle narrazioni anteriori al '600, legata a rno111enti prodigiosi (visita di re Federico Il!, le palle di Malta).
Matteo Donato
192
Così il Gumpperberg (1662), così il Carrera, che ora traduce ed amplifica il testo del Gaetani (ms. palermitano) ora Io rielabora con qualche piccola omissione (1679), così il Privitera (I 690) ed il Massa (I 709) che traduce e talora modifica il testo con intenti devozionali, così ancora Auriemma (1712) ed il Vasta Cirelli (1731) che dà a tutto il racconto una spiccata intonazione pietistica e laudativa, così infine l'Amico (1740), per quanto cnt1camente più vigile, il Mongitorc (I 743) ed i Bollandisti (I 753) 17 • Dopo che per volontà della famiglia dei principi Riggio nell'ultimo ventennio del '600 la chiesa di Valverde venne affidata agli agostiniani scalzi, saranno questi ultin1i a lasciarci delle testi111onianz.c (edite ed inedite) relative al culto della Madonna, alla chiesa cd al convento che venne eretto i1111nediatan1entc dopo i! loro insedian1ento 18 •
17
G. CiUMPPENBERG, At!as 111aria1111s r;uo Sanctac Dei Ge11itricis i\fariae /111ugi1111111 111irac11/osar11111 origines d11odeci111 /fistorian1111 centuriis explican/111·, rvlonachi 1662, 694-696; Gli Atlanti della chiesa di Sicilia, cioè i c\'anti che u lei si appartengono dci quali parte si descrivono le vite, parte se ne arrecano se111plice111e11te le 111e111orie do/ p. Francesco Carrera. siciliano della C'ompag11ia di (7esù, 111s. del scc. XVII presso la Biblioteca Regionale di l\1ler1110, oi segni VII - C - 10, 537-541: l'. CARRERA, Pantheon sicu/11111 sive, Sanctorum sic11/or11111 elor;ia, Genuac 1679, 223226; F. PRJVITERA, Annuario catanese, Catania 1690, !99; G. A. fVlASSA, La S'icilia in prospettiva, Palenno 1709, 120-123; T. AURJElv1MA, ;/f/ùtti scamhievoli tra la Vergine SS e i suoi devoti, Venezia 17!2, 280-281; S. VASTA C!RELLl,..-lci Antico, appresso Angelo Fclicella, Pfllcnno 1731, 273-280; V. A1v11co, Catana Illustrata, !, CntC111<1e !740 . 413-417; A. J'V10NGJTORE,De//a ,5fcilia ricercata nelle cose più 111e111orabi!i, I, l)nlcnno 1743, 232; li, 126-127; Acta Sa11cton1111: De Sanctis Sicu/is. VJ. Venezin 1753. 543. IN Se da questo 11101nen10 le tcstin1onianze pili significative saranno date appunto dagli agostiniani scalzi, è doveroso sottolineare con1e Lra gli flll!ori passali (lutti religiosi) i 1naggiori contributi siano pervenuti cfoi padri gesuiti (appartenevano, i11J'r11ti, allfl Con1pagnia cli Gesù, Gaetani, Grctser, Jnchofcr, Salerno, Gu111ppcnberg, CmTera, J'vlassa, Aurien1111a). Torna utile ricordare ancora carne lo sviluppo della devozione C1!!a fvladonna di Valverde avviene in pieno s!m1cio controrifonnistico che proprio nella tVlflc!onna aveva uno dei suoi cardini. ;\i gesuiti, che si dedicavano fllle n1issioni popolari e trovavano nelle rappresentazioni sacre uno strurnento ellìcacc di educazione cristiana dci ICdeli, la storia della !Vladonnfl di Valverde appariva fra le più idonee per svolgere il loro rninistero. ~~ probabile che si debba fld una loro in!luenza la rappresentazione della «storifl in scena publica» Sul tema si veda ;\, GUIDETTL Le 1nissioni 1H>polari. I grandi gesuiti italiani, ìvlilC1110 1988; B. J'vli\J!ORANA, E/c111e11fi dra111111atici della predicazione 1nissio11aria Osservazioni s11 1111 caso gesuitico 11·11 .X/,,11 e XVIII secolo, in l,a predicazione in Italia dopo il C~oncilio di lì·cnto tra C'i11q11ecento e Settecento. 1\lli del X convegno di studio dell'Associazione Italiani dei
La "Vera Istoria della Santa Maria Vergini di Valverde"
I 93
Com'è naturale, i primi anni furono quelli pili fervidi di iniziative: la fine del Seicento ed i primi decenni del Settecento videro ben quattro agostiniani scalzi curare la stesura e la diffusione di testi relativi alla prodigiosa icona della Vergine. Il primo di cui abbiamo notizia è Arcangelo da S. Giacomo che sarà vittima del terremoto del 1693. Nelle sue prediche quaresimali dcl 1690 inscriva il racconto della Gloriosa Immagine della Madonna di Valverde, «cavato dall'Historia [... ] del p. Ottavio Gaetano». li testo è rin1asto inedito 19 perché si tratta di una se1nplice traduzione dal Gaetani e per di più pervenuta incompleta. Mancano infatti i rogli finali ciel n1anoscritto ed il racconto s'interron1pe nel punto in cui con1incia a narrare la vicenda della 111iracolosa traslazione del dipinto. li secondo è Salvatore da S. Girolamo, autore di un volume edito in Napoli sul finire dcl '600 e fino ad oggi introvabile"'- Di tale volume ci è pervenuta una copia n1anoscritta del 1753 21 • Che la pubblicazione di Salvatore da S. Girolamo debba essere della lìne del XVII secolo risulta evidente dal fatto che Giambartolomeo da S. Claudia nei suoi Lustri storia/i ciel 1700 22 ne riporla fedelmente il testo L 1•
Prol'essori cli Storia della Chicsn (Napoli, 6-9 settc111brc 1995), a cura di O. 1Vlartina e
U. Dovere, Ron1a 1996, 127-152. llJ ARCANGELO DA s. GIACOMO, li 111issio11a11tt! apostolico. Prediche q11are.1·i!1Utli divise in tre to111i, h1ci Valverde 1690, torno pri1no dedicato alla Gran lVlaclrc di Dio rvraria cli Vslvcrde, fogli 3, !llS. presso la BibliolCC<l Zclanlea di 1\circalc. 2u SAL VATORF. Nl. DA S. CìJROLAMO, Storia del celebre Santuario e miracolosa !11u11agi11e di 1\losfr(I Signora. sotto titolo di Valverde, nella Parrocchia/e i\iatrice C'hù:so del/i RR. PP. Ag,ostinf(lnf Scalzi, nella c:111à di Aci Santi Antonio e Fi/if;po, Napoli fine secolo XVII. 21 Anche la copia di Salvstorc da S. Girolmno si trova presso la Biblioteca Zelantca di Acireale che k1 scquisì dopo la soppressione deg!i ordini religiosi ciel 1867. 22 GIAMllARTOLOMEO DA S. CLAUDIA, Lustri .5toria!i de' ,)'calzi Agostiniani Eremiti della Congregazione d'Italia e di Germania, 1\!lilano 1700, 588-591. 21 Il rarfronto dci due testi è oggi faciln1ente e!Tettusbile perché cntra1nbi sono stsli opportunan1ente riportstì da L. SAPIA, I! Santuario di Valverde. Fede e storia. E!e111enli bib/iogrqfici. Valverde 1984, 180-192. È cls chiarire che ls particolare dicitura del 111s, ha indotto inolti nell'errore cli ritenere il 1753 l'snno di sta1npa in Napoli, 1ncntrc si tratta dell'anno in cui venne redatta !a copit1. li csn. Racitì Ron1co è caduto in tale errore, come si riscontra ncll'snnotazione della sovrsccoperla scritta di suo pugno; inoltre egli ha rilenulo i! 1ns. della Zelantea uns «copia della 2n 1nctà del seco-
194
Matte o Donato
Rispetto a tutti i precedenti racconti pubblicati Salvatore da S. Girolamo presenta almeno due elementi di rilievo che lo avvicinano in qualche modo al testo del Musmeci. Il primo consiste nel fatto che dopo aver narrato la vicenda della chiesa fino a Federico lii, accenna all'episodio della liberazione di Malta (successivamente si sofferma sull'insediamento del suo ordine in Valverde e sulla «fondazione del convento»); il secondo nel!' elenco terminalo di 12 eventi miracolosi che costituiscono la «Giunta di alcuni miracoli e grazie con divote preghiere ed altri esempi». Tali miracoli, come si legge nella copia manoscritta di Salvatore da S. Girolamo, «si trovano registrati in due manoscritti, che sono, uno dell'antichità conservato gelosamente sino a nostri ten1pi, e l'altro delli più prossi111i ten1pi, che ànno curato registrare
i Religiosi attenti .... ». Per quanto riguarda il 111anoscritto «dell'antichità conservato gelosan1ente», credian10 che l'autore non dica il vero o quanto 1neno sia impreciso. Sappiamo infatti dal Musmeci che dei testi antichi erano rimaste solo delle «reliquie». Circa il manoscritto «delli più prossimi ten1pi», non si ha 111otivo di dubitare della sua stesura: purtroppo fino ad oggi sembra anche che tale testo sia andato perduto. I primi cinque miracoli narrati dal Musmeci e da Salvatore da S. Girolamo indicano una comune fonte che è molto probabilmente da riferire alla stesura curata dai «religiosi attenti». IZi111ane strano il fatto che al tern1inc della narrazione di ciascun 111iracolo in Salvatore da S. Girolan10 non si faccia 111ai cenno ai «quatretti» ex voto che il Musn1eci 1nostra di aver visto personaln1ente nella chiesa e a cui fa riferi1nento quasi costante nella sua esposizione. Il terzo agostiniano scalzo a scrivere sulla Madonna di Valverde è Giambartolomeo da S. Claudia. Questi, dopo aver riportato Pirri, trascrive puntuahnente, senza però citare l'autore, il testo di Salvatore da S. Girola1no. Non n1anca anche una parte di nuova personale docun1entazione che è quella relativa ad alcuni prodigiosi segni premonitori del terren1oto del 1693, alle 1norti e distruzioni da esso arrecate, al 111ìracolo dell'«intatta in1n1agine» della Madonna in 111ezzo alle rovine dcl
lo» (XVl!J), non avvedendosi che le annotazioni relative alla fine del '700, sono aggiunte di 1nano di1Terente da quel!a dell'estensore del testo.
La "Vera Istoria della Santa Maria Vergini di Valverde"
195
tempio. Manca invece la cosiddetta «giunta di miracoli e grazie», che concludeva il testo di Salvatore da S. Girolamo. Il quarto, infine, Arcangelo da S. Nicola (1725) nella sua pubblicazione 1nilanese non offre che le solite notizie riprese da Gactani 2 ·1• È ancora un agostiniano scalzo (il quinto) ad aprire la serie degli scrittori che nel XIX secolo si occuperanno della leggenda valvcrdcsc. Si tratta di Pietro da S. Maria, che si premura di citare le sue fonti (tutte edite), che conosce anche il Fazello, ma che non prende da quest'ulti1no, a differenza del Mus111eci, la parte introduttiva relativa ai fatti di Giorgio Maniace 2 s Ed anche se nel titolo si fa riferimento all'aggiunta di alcuni 1niracoli e grazie, essa in effetti si restringe al solo evento miracoloso dell'assedio di Malta (1565). Terminato tale racconto, Pietro da S. Maria aggiorna il suo testo con dati relativi alla fondazione del convento, alla famiglia dei Principi Riggio, alla posizione giuridica degli agostiniani scalzi fino al 1824. Siffatti dati occupano più della 1nctà del suo scritto che pertanto si presenta più interessato nel narrare vicende contetnporanee che nel rivisitare critica1nente il passato. Ove si escluda Lionardo Vigo e Salvatore Bmioli, tutti gli altri scrittori che nel corso dell'800 si sono occupati della Madonna di Valverde non hanno fatto altro che ripetere stancan1ente le consuete notizie. li Vigo (1857) offre la novità di un canto popolare che egli inserisce nella sua Raccolta 26; il Ba1ioli, un gesuita che per particolari cir-
2'1 ARCANGELO DA S. NICOLA, La 1\Iadonna di Valverde nel 111onte Etna della Sicilia, in li Pe!!egrino 1\Iariano, I!, Milano 1725, 299-301. 25 PIETRO DA S. MARIA, Storia del celebre Santuario e k!iracolosa l11111u1gi11e di 1\lostra Signora sotto il titolo di //a/verde e de!!a fondazione e Privilegi del Parrocchia/e c:onvenlo dei RR.111i PP. Agostiniani nella Città d'Aci 5,'. Antonio e Filippo. c:o!! 'agg/1111ta di" alcun/ miracoli e graz/e, Anno Doinini 1828, 1ns. presso !a Biblioteca Zelantea di Acireale. 26 L. VIGO, C'anti popolari siciliani, Catania 1857 2; ID., Raccolta a111p!issi111a di canti popolari siciliani, Catania 1870-1874, Canti Sacri, XXXIV (n. 3552): Dionisio e la Madonna di Valverde, 536-537.
196
Motteo Donato
costanze sul finire del secolo si trovò ad essere curato di Valverde, tenta una nuova siste111azione organica della leggenda 27 . Bartoli, che pubblicò le sue Brevi notizie storiche nel 1878 (negli anni seguenti saranno più volte ristampate), pur precisando tutte le sue fonti, non riferisce di alcun 1nanoscritto da lui consultato. Le sue conoscenze storiche ci sembrano superiori (per quanto acritiche) a quelle di quanti l'hanno preceduto; in lui inoltre è un più spiccato gusto per le date co1ne di1nostra il continuo riferin1ento ad esse, anche se in 111odo
.1111prec1so. .
Rimane di caratteristico una certa rielaborazione della leggenda relativa1nente all'episodio di Egidio sia con l'introduzione di un «pietoso» che lo avverte del pericolo sia con il presentare ben tre distinte e successive apparizioni della Vergine (nel Gaetani tale episodio comporta una sola apparizione della Madonna). Ed è ancora personale il ridimensionamento della paite relativa alla presenza a Valverde degli agostiniani scalzi. Circa la leggenda delle origini il XIX secolo si chiude senza alcun nuovo contributo rispetto alle notizie dei pri111i decenni del Seicento.
27 S. BARTOLI, Brel'i notizie storiche del Santuario di Maria SS. di \lall'erde, i 11 Il Bof/ettino Ecclesiastù~o di Acireale nn. 13-17 (1878); rislainpe in opuscoletto: Acireale 1878, 1883, 1892, ecc.
La "Vera Istoria della Santa Maria Vergini di Valverde"
I 97
Appendice
[p. 430] Vera Istoria della Santa Ai/aria Verg;,1i di Valverde racolta per
1ne D. Erasn10 !i 1lusn1eci2 8 Vicario in questa città di Jaci San PhHippo di età di
anni sessanfa, et testifico non solan1ente havere racolto detta storia di alcuni reliquie di libri antichi in detta chiesa quali asseri.\·cono /; ant;chi haverle persi n1a però 1nolti ho ù1leso predicare dal Sacerdote dottore h1 teologia don Vicenza C'!arenza quali io lo conosco vecldo e/apso di anni septanta29 et anco ho visto dui volte rapresentare detta storia in scena pub/ica nella ultilna don1enica di Agosto cli delta so .fèsta-w.
28 Don Eras1no Musn1eci, nato nel 1585, a partire dal 1613 ebbe pili volte rin~ novtilo l'incarico di vicario di Aci e di Aci S. Filippo. J'vlorì il 29 lL1glio dcl 1645. 29 Don Vincenzo ClarenL.a, o Chiarenza, fu (per quanto ci è dato sapere) il pri1no cuppcllano di Valverde a fregiarsi dcl titolo cli vicario. Nato intorno al 1544, dottore in teologia («doetor in sacris !itcris»), si trovò di frequente al centro di vicende conLrovcrsc e per di pili in un delicato n1on1enlo storico per la chiesa di Valverde: quello elci distacco delle chiese filiali che divenlavano sacnunentali (parrocchiali). Ne! 1573 prendeva i quattro ordini ininori; nel 1575, con1c st1ccrdole dc!lt1 parrocchia di Valverde, riceveva l'incarico di avere ((Cura particolare della ccclesia de la contrala dclii Boni Accursi» (incurico periodica111ente rinnovato fino al l 582); nel ! 580 otteneva dal vicario generale il beneficio fondato dal nobile Ambrogio Finocchiaro nella cappe!!a cli J'Vfaria SS. J\ssunta nella chiesa di Valverde; nel 1584 era non1inato vicario cli Valverde, nello stesso anno si recava a RcJ1na; nel 1587 aveva f~1coltà cli conlèssnrc e predicare a tulio il popolo de! territorio di Aci e del Bosco di Catania; nel 1593 pagava lo stendardo della confì·atcrnita della Misericordia, chiudendo un'annosa controversia; nel 1604 è docun1entato per l'u!tirna volta il suo rinnovo di no1nina a vicario di Valverde (cfr 1\1. DONATO, Per la storfr1 di Valverde. Ricerche inedite di Padre Giovanni 1\Iessina, .-LS., Accaclen1ia degli Zelanti e dei Datì1ici, Acireale 1984, 33-46, 102-120). fvlorì !'11 febbraio 1624 e venne sepolto nella chiesa di S. fvlaria di Valverde (ARCllJVIO l'ARROCC!!JALE DI S. MARIA])] VAL VERDI:, Liber dejÌ111ctor11111, 1622-1681, n. 4). Secondo !a tcsti1nonianza dc! Musn1cci le prediche risalgono ugli anni intorno al l 614; in tale periodo il C!arcnza aveva circa 70 anni, 1ncntre il Mus111eci era trentenne. 0 ·' Le rappresentazioni cui là rifcri1nento il l\'1us1neci, a nostro avviso, hanno inlluenzalo con notazioni dialogiche e drainn1atiche il racconto. Tale influenza è riscontrabile anche nel testo dCI Gaetani. La festa era l'unicn che richian1assc a Valverde nu111crosissi1ni fedeli.
198
Matteo Donato Apolofar0Mao1netto·11 , Am1niraglio e prencipi di Saraceni, Re di Sigilia,
fatta la pace con Micheli Pattagoni in1peratori della Gregia in Costantinopoli, et 1nandatoci un so figlio per ostagio stando detto Apolofaro in pace, et tirannizando Apocapo12 astuto fì·atello carnali allo ilnprovviso !o assaltò con uno esccrcito'·'. Et venendo alli n1ani restò J\pocapo vittorioso, et Apolofaro si fugio per aiuto allo in1peratori Michaeli, et ottenuto lo intento tornò in Sigilia. Et l'i1nperatori
fatta una bona annata con speranza di associare la Sigilia allo in1perio la 1nanclò sotto la guida di Giorgio Maniacc, il quale navigando verso Italia si andò trattenendo per sentire priina !'exito di Saracini in Sigilia.1·1• Apo!ofaro con Apocapo con navi exerciti di novo venuti a giornata [p. 431 JApocapo ne portò la peglo, et fugio per aiuto al prencipi di Africa, et ottenuto lo intento retornò con novo exercilo, et venuti di novo a battaglia lo vinsi et
.ti L'aggrovigliato racconto di Apolofaro e Apocapo inanca in tutte le altre ·'istoric'' che narrano della Madonno cli Valverde. È evidente elle il vicario f\/lus1nccì. soprallulto per la parte iniziale della sua Istoria, volle offrire ai lettori un suo particolare contributo, consisten[e nella narrazione pili articolata degli antefatti riguardanti l'intervento e l'azione di Giorgio Maniacc in Sicilia. A questo scopo si servì di T. FAZELLO, /)e rebus Sicu/is, Panonni 1558. Il racconto del rvfusineci, infaHi, non è che un fedele riassunto, con alcune parti 01nessc, del capitolo secondo dcl libro VI. seconda cieca, intitolato "Di Giorgio Maniace e delle egregie i1nprese da lui coinpiutc in Sicilia contro i Saraceni". I! testo dcl Faze!lo, per la parte che ci interessa, può essere riscontrato nella traduzione curata do Gianfranco Nuzzo (Pa!ern10 1990, 373-379). 32 Ancora oggi s'incontra qualche dilTlco!tù nel seguire la storia arab<l cli Sicilia. Ciò anche a seguito del convulso susseguirsi degli eventi, dell'incerta cronologia e dcl ripetersi dci norni. Per quel che riguarda !a nostra vicenda Apolofaro Nfaornctto è Ah1nad ibn Yusuf (cioè figlio di Yusut), soprannon1inato Al-Akhal, etniro kalbita di Palcrn10, .successo nel 1019 a! fratello Gial~tr. Apocapo è Abu J-Jafs, fratello di Al-Akta!. Apolofaro scrnbra alterazione di Abu Galàr, cioè padre di Gafar; tnentrc Apocapo è trascrizione esatta dal greco Arroxal/J. L'i1npcratore di Bisanzio è N1ichele !V PaJlagone (1034-1041), che nel 1038 inviò in Sicilia un'annata bizantina soHo i! co1nando di Giorgio Maniace. Su tutta la vicenda relativa a Maniacc cfr M. AMAR!. 5,'toria dei k/11s11/111ani in Sicilia, ediz. riveduta da C. A. Nallino. !I, Catania 1935, 438~455; S. TRAMONTANA, La Sicilia dall'insediamento nonnanno al Vespro (10611282), in Storia della Sicilia, lll, Napoli 1980, 177-304: 179-181). 33 In Sicilia i Musuhnani erano divisi in due opposte frlzioni che pur di riuscire vincitrici stipularono alleanze l'una con l'iinrero bizantino, l'altra con gli Ziriti d'Africa. A!-Akhal (Apolofaro) aveva accettato dal!'in1pcratore il titolo onorifico dì ''Maestro", titolo che per altro verso costituiva una vergogna per i Musul1nani. :i~ Coinbattuto dal fratello Abu I-fa[c; (Apocapo), Al-Alda! aveva chiesto cd ol~ tenuto aiuto dall'i1npcratore bizantino.
La "Vera Istoria della Santa Maria Vergini di Valverde"
199
cacciollo della Sigi!ia, et si feci signori di quella'-'l; ina Apolofaro con lo aiuto di Opo Capitanio dello Imperatori in Puglia con un grosso presidio di Greci et Saracini li quali sequevano Apolofaro refici testa un'altra volta et renovata in Sigilia la gucra con Apocapo felicin1enti racquistò lo i111perio-'6. Et finaln1ente rifacendo Apocapo17 novi provisioni per intercessioni di a1nici di autorità feciro paci et si accordorno di cacciare di Puglia lu exercitu itnperiali per lo sospetto che li tenevano; Maniace havuta notizia di questi cosi s'apparecchiò di reprin1ere la possanza di questi dui fratelli' 8
111a
per che le sue forze sole non erano a questo
bastanti però egli si ingegnò di havere lo aiuto, et l'a1nicizia di 111olti prencipi di Italia e niaxin1c di Landolfo prencipi di Capua, e signori di Longoinardi che erano in Italia, e di Guai1naro Salernitano e di Gugliern10 Fcrrabacco, e Ruberto Guiscardo, e degli altri fratelli Norn1ani-''J che in quel te111po erano n1olto fa111osi in Italia circa !a perizia cli l'arte 1nilitare, e fatta lega con essi si ingegnò cli cacciare li Saracini di Sìgilia, e di acquistarla allo iinperadori si con1e si !egc ne fatti di Norn1ani 40 . Giorgio Maniace chian1ato Molocco condusse allo acquisto di Sigilla Guglienno Ferrabacco, e li altri fratelli Nor111ani, et il prencipi di Capua, et quel di
.1 5
Abu Hafs, chiesto a sua volta !'intervento di AJ-Muizz Ibn Badis, de!!a dinastia africana Zirita, ollenne l'intervento annato di Abd-Allàh, figlio di Al-Muizz . .ì(, Leone Opo, n1andato dall'in1peratore nel 1034, si risolse a passare in Sicilia nel 1037. Dopo avere battuto Al-Mui?:z, i! capitano bizantino, ten1endo la riappacilicazionc dei Tvlusul1nani, si ritirò nell'Italia n1cridionalc, !asciando la Sicilia. Così Alf"vluizz e suo figlio Abcl-A!làh divennero arbitri cli tutta l'isola; nel 1038 l'c1niro Al1\khal era ucciso. L'intervento di Giorgio Maniace, successivo a quello di Leone Opo, ru rivolto contro Abd-Allàh. 7 ·' Il Tvfusineci che segue i! testo dc! fazello eia questo punto dù notizie in1precise. Apocapo era sco1nparso dalla scena po!itico-n1ilitare da un pezzo . .:iH Maniace in realtà non con1battè n1ai contro i due fratelli. Il suo intervento in Sicilia fu successivo alla 1nortc cli Al-Akhal (Apolofaro). 11 generale bizantino si trovò a coinbattcrc contro Abd-Allàh, rin1asto padrone della capitale e di tulla l'isola . .w Landolfo VI era principe di Benevento e dì Capua. Guain1ario V era principe di Salerno e duca di Puglia; tra le sue truppe aveva inserito un nucleo di soldati 1nerccnari nonnanni, tra cui figuravano i fratelli Guglieln10, Drogane e Unfredo d'Altavilla. Altri due fratelli, Roberto il Guiscardo e Ruggero, in questo prin10 1110111ento non erano presenti; richiainati eia Gugliehno, vennero poco dopo. «fcrrabacco)) è traduzione di "fcrrabacho" (Braccio di Ferro). 40 A questo punto i! f'v1usn1eci tralascia da! Fazello circa tre pagine di notizie sui Nonnanni.
Matteo Donato
200
Salerno con questi conditioni che si 111ettessiro insic1ne quattro excrcitf11 a co-
1nuni spesi per cacciare li Saracini di Sigilia, et che acquistata la vittoria [p. 432] si dividessi equahnenti la preda tra tutti.
Apparecchiateadunque tutte le cose necessarie per la guerra, e proveduti tutti li bisogni per cossi grandi i1npresa l'anno di nostra salute MIIII dico 1nille e quattro MIIII-1 2 di co1nune volere si condussiro tutti questi principi collegate in Sigilia, et intrali vinsiro Messina con la qual vittoria corsino sino a Siragusa et vintola' 1 ~
scorsiro la Sigilia, et venute a giornata con Apolofaro, et suo fì·atello
con cinque inilia Saracini restarno !i Christiani vincitori"'-1. Et havute discordie i!
41 Il Mus1neci nel presentarci il sopranno1ne di Giorgio Mani<1cc co1ne <dVlolocco)), ncll'cnu1nerare i suoi a!!eati e nello specificare la presenza di quattro eserciti segue puntualincntc il Fazello. Anche in F. MAUROLJCO, Sicanorun1 rer11111 co111pendi11111, fVlcssina 1562, Maniace è chinrnato ''Malocho". Tutti i testi relativi al nostro racconto, sia editi che rnanoscritti. concordano nell'indicazione dci contingenti alleati di Maniace. 42 Che il Musn1cci avesse qualche pcfplessità sull'esattezza del 1004 ci seinbra essere tcstin1onialo da! fatto che ripete ben tre volte la data. Ne! Gaetnni il racconto inizia proprio con la data7ionc 1040, che è l'anno non dell'invio del contingente bizantino (I 038), rna della battaglia di Traina. Altro testo che presenta una diversa cronologin è quello di Dc Grossis che riporta la data 1020. Nell'Anonin10 presso Gactnni, in Inchofer, co1ne pure in Pirri, 111anca l'indica7ione cronologica. 43 Il Musrncci, seguendo il fazcllo, non dà notizia della battaglia di Ro1netta e a sua volta non riportn dal Fa?:ello l'episodio siracusano del saraceno Arcadio e Guglielmo Braccio di ferro. Unico ad averlo presente è il Bartoli che nelle sue orinai tarde 1\fotizie storiche (1878) narra che Guglie!Jno trapassò «da banda a banda colla sua spada il ten1uto capo Saraceno Al-I(aicb). 41 · Jl 5000 è una svista del f\llusmeci: ne! fazel!o l'esercito dci due fratelli contnva più di 50.000 LJ01nini. In Bartoli l'esercito 1nusul!nano conta più di 35.000 uo1nini. Ribadian10 che Maniace con il suo nu111eroso quanto rissoso esercito non con1batté con Apo!ohiro, ossia Al~Aklial (già 111orlo), n1a con Abd-Allàh. Dopo l'assalto di Messina, la successiva vittoria di Ron1etta e l'assedio di Siracusa, !o scontro decisivo si ebbe n Troina nell'estate del 1040. A seguilo della sconfitta e dei conseguenti tutnul!i scoppiati a Palermo, !o zirita Abd~Allflh ritornò in Atì·ica, 1ncntrc il fratello dello sc01nparso Al~Akhal, 1\l-Hasan era eletto nuovo cn1iro di Sicilia. Giova ricordare ancora come il 1101nc di Maniace ricorra in un'altra vicenda legata al culto della l'vfadonna. La tradizione vuole che, a ricordo della vittoriosa battaglia c01nbattuta presso Traina, Maniace lasciasse nelle vicine cainpagne di Bronte (oggi lvfaniace) un dipinto bizantino della Madonna i! cui cullo sarebbe stato all'origine dell'abbazia di S. rvlaria di Maniace.
La "Vera Istoria della Santa Maria Vergini di Valverde"
20 I
Mani ace con le collegate prencipi per non ci havere osservato le Capitoli, sotto titolo di svernare tornaro li prencipi in Italia 45 • Or in questo te1npo vinni fra \u exercito del prencipi di Salerno un hon10 insigni valoroso di alta statura don1andato Dionisio Cuccuvaia'c' il quale nello acquisto di Sigi!ia si apportò valorosa1nente1-7, n1a nella divisioni delli spogli il Maniace lo trattò di nenti 4 ~'. Corso di ciò, ben che fosse devoto di Maria Vergini, si <lesi alle ruberie, et occisioni non havcndo volsuto retornare con il suo exercito, 111a restato in Sigilia e costì robando, et occiclendo si reclusi in una spelonca
45 I «Capitoli)) sono i patti intercorsi tra gli alleati relativamente alla distribuzione del bottino cli guerra. Tennina a questo punto la parte n1ze!!iana del racconto del Mus1neci. 16 · Sia lncholèr che De Grossis non ci danno b nazionali!~ cli Dionisio, né HCcennano alla statura fisica del brigante. Ne! Gaetani Dionisio è un soldato ligure che faceva parte de! contingente del duca di Capua Landolfo. In Carrera (1ns.), Salvatore da S. (ìirolan10, Barto!i si legge che Dionisio ern «genovese» e di statura oltre l'ordinario. Il nostro testo, che presenta Dionisio come un 1ncrccnario clel!'cscrcito di Guain1ario, è l'unico a dargli un cogno1ne: ''Cuccuvaia". In e!Tclti al brigante è assegnalo per cognon1c i! toponiino (documentato a partire da! 1500) della locali!ò dove era la grotta che l[l tradizione dicevn abitata da lui. "Cuccuvaia", che nel dialetto siciliano significa civetta, designava il luogo delle civette, una zona boscosa di diflici!c accesso. Oggi !a località si chiama "1'ontant1'' con chiaro rilèrin1cnto alla sorgiva e H!la presenza cli acque. ~ 7 Nella nostra istoria con1pnrc il non1c di Dionisio, proprio quando nel Fnzcl!o è presentata lH figura di Arduino. B. RADICE, Il casale e f 'obba::io di S 1\Iariu di i\)a11iace, in Archivio Storico Siciliano n. s., 33 ( 1909) 96~97 ha avanzato !a suggestiva ipotesi che Dionisio sia il lombardo Arduino, ribellatosi a Maniace dopo essere stato privuto dcl bollino della vittoria e per di pili gravcn1ente ingiuriato. «La leggenda, ca1nbinndo in Dionigi il noine dcl valoroso Arduino, lèce di costui un brigante, che non volendo seguire i Nonnanni, si gittò nei boschi dell'Etna; poscia, convertitosi per !'apparizione della Vergine, si diede a penitenza e fabbricò in onore di lei un ten1pio ncl!a valle di Valverde)). L'episodio di Arduino, o A!cloino, presente nc!!a storiografia nonnanna (in G. fvlALATERRA, lfistoria sicula, l. I, c. Vlll si narra cli «Arduinun1 quendan1 ilalun1, qui cx nostris cratll), con ogni probabilità costituisce il versante alto da cui dové originarsi su! versante basso, ossia popolare, !a leggenda di Dionisio. A In\ riguardo diventa signilicativo il fa!to che ne!!' Anonin10 presso Gaetani (1608) Dionisio con1paia con1c «un ladro chian1ato Aloisio)). ~H Nel Fazello e nel Malatcrra Arduino viene addirittura percosso. Nel Gaetani 1nanca lo scontro diretto tra fvlaniacc e Dionisio, e qucst'ultiino nella disputa tra lVfaniacc e Nonnanni prctè:risce darsi a! brigantaggio, non parteggiando per nessuno dci due contendenti. Ncll' Anonin10 presso Gaetani n1anca del tutto la parte prclin1inare relativa a Maniacc.
202
Matteo Donato
vicina alla strata di Messina'19 nella quali vi era sico1ne è al presenti una grotta ornata di grossissimi sassi sotto un gran 1nontice!/0 50 et stando in quella usciva alli passageri, et non sola1nente li robava 1na li occideva (questa grotta è situata in una valle do1nandata Val Verde oppure per il n1onte di gran vista che sopra teni dornandato Bel vedere). Et con questa crodeltà acquistò un fa1nosissin10 no-
111e di crudeli latro regnando per inulti anni con alcuni del!i 1norti brugiandoli 51 . [p. 433] Or stando questo fa1nosissi1no ladroni in questa crodeltà di robari occidire brugiare, et 1nandare le cinnire al vento, un passagiero divoto di Maria Vergini J1avendo di passari di detto loco per esser detto passagiero Catanesi di non1e Egidio nel inese di Agusto venendo della città di Messina intesi che quel giorno questo latrane Dionisio haveva robato et brugiato alcuni passageri. Confidato il Egidio nella gloriosa Regina del Cielo di cui era grandissin10 devoto 52 si resolse passare, et passando li uscì il latrone et sfoderata la spada lo prese con furiosa bravura per lo brazo, et tiratolo per terra senza ascoltare li pregi o pianto speranzatorecorsc con la 1nentc alla Regina del Cielo, et stando tirandolo nella selva per ociderlo si sentì un terren1oto stupendo, apparendo un gran Ju111e per tutta la selva et 1nonti che essendo notti pareva giorno. Et da quello sblcndore1·'
gridò una voci 54 chian1ando: "Dionisio, Dionisio" 55, et atterrito i! Dionisio restò
49 Si tralta di una indicazione runtuale circa la viabilità nel '600. La strada di f'vlessina, inL1tti, lìno al secolo scorso seguiva un tracciato interno e non lungo la costa. 50 li rnonticcllo è la collinetta di Montedoro. Nel «sico1ne è al presenti» è da scorgere una direHa conoscenza dei luoghi da parte del lVlusineci. Gaetani scrive di un «antro inaccessibile per rocce scoscese cd anfratti»; Salvatore da S. Giro!an10 fa rifugiare Dionisio ((ill una caverna profonda, e vasta di Valverde, circondata da balze inaccessibili». L'Anonirno presso il Gaetani cd il Dc Grossis sono gli unici che ci diano la distanza da Catania «8 1nilia passuwn>>. 51 Il «per inulti anni» non ha confenna in nessun <1!tro testo e sernbra n1csso quasi a contrappeso della data errata l 004. I! fatto che bruciasse i n1orti è con 111olta probabilità un'mnp!ificazione dran1n1atica del Musn1eci. Tale particolare, non si trova né in lnchofer, né nel De Grossis, né in Gaetani. 52 In Inchofcr e De Grossis non con1pare i! personaggio Egidio. Nel Gaclani questa parte pur in una fonna dialogica indiretta si prescnla più 1nossa. In Bartoli la narrazione di Egidio è stranarncntc collocata nel giugno dcl I038. 5 J Co111e in lutti i racconti di teofanie anche nel nostro l'apparizione della Vergine avviene per 1nezzo di una lmninosità abbagliante. 51 · Il terrcinoto («stupendo», «violentissin10», «vehcn1entissin1us», <<terribile»), la luce (((gran)), «clarissin1a») e la voce («gridù)), «ingcns») sono costanti in tutti i testi che presentano l'episodio di Egidio. L'accenno al terrc1noto potrebbe essere interpretato co1ne una fonna di intcrscan1bio iht eventi geologici e vita cristiana:
La "Vera Istoria della Santa Maria Vergini di Valverde"
203
con la spata alzata che stava per ocidiri lu Egidio. Rispose alla voci: "Chi sei che n1i chia1ni?"; risposi: "lo sono la 111atri di Idio discesa dal Celo per il 1nio devoto Egidio nelli toi 1nano". Subito inteso LI Dionisio la Vergini, si ingrenocchiò innante al viandante che poco spirava per il terrori, et inco1nenzò a don1andarle perdono et la Regina del Celo li dissi: "Dionisio per esser stato tu un ten1po 111io divoto ti voglio agiutare se tu farrai quanto ti dirò". Et pron1ettendo Dionisio obedire, li ordinò che !asciasse la n1ala vita, et si facessi in quel loco ro1nito, et si frabicassi una chiesa a no1ne di essa gloriosa Regina56 . Aceptò il Co1nanda1nento, et recercando [p. 434] il loco, Maria Vergine li dissi: "Va, e chia1na il Clero di Jaci, e tutti insie1ne venite al capo di questa valle. Dove troverete un giro et circolo di grue, lì 111i frabicherai la chiesa--; 7 et non temere del Signore di Jaci che è n1io pinsiero"-'i 8 • Respose il Dionisio: "Co1ne porrò frabicare la tua chiesa, inia Signora, in questi aspre lochi senza acqua?"; respose Maria Vergini: "Non dubitare; scaverai nella grotta della tua habitationi, et loco di defunti dalla tua crudelta rachiosi invocando il 1nio non1c. Troverai l'acqua !a quale non sechirà 1nai", et si pa1iì havertendolo di obedire et n1inarc bona vita per poterla vedere nel Cielo.
in De Grossis tale episodio n1anca ed il penti1ncnto di Dionisio avviene spontanean1entc. Succcssivarncnte gli appare !a tvladonna «in son1nis». Anche nelle poche righe del Pirri la Nladonna appare in sogno a Dionisio, mnn1onendo!o che le edificasse un ten1pio nel luogo in cui ella si tùssc !htta vedere. 55 Tutti gli altri testi, escluso Salvatore da S. Girolan10, riferiscono di un richian10. 56 Bartoli è l'unico che separi l'episodio dell'assalio <ld Egidio dai .successivi ordini della Madonna a Dionisio di 1nutar vita, farsi ere1nita, di costruirle una chiesa nel posto indicato dalle gru cd infine di scavare nella sua stessa grotta per trovare l'acqua. Così nel racconto del Bai·toli si hanno non uno, n1a ben tre interventi della Vergine. 57 Nel l)e Grossis la Madonna ordina in sogno a Dionisio di costruire la chic~ sa ne! punto designato dalle gru. 58 Nel 1040, quando tutto i! territorio era ancora in 1nano 111usultnana, un Signore di Aci è del tutto iinprobabilc. Il pri1no Signore o governatore dcl castello cli cui si abbia conoscenza fu noininato dal vescovo Ansgerio sul finire ciel secolo. ln Cìactani si legge che Dionisio avrebbe dovuto chian1are i <(111agìstratus>ì di Aci: è storican1entc acce1tato che Aci a quel tcn1po non aveva ((Jnagistratus» di sorta. In e!Tetti la leggenda di Dionisio fa riferin1ento a eventi storici che si verificheranno alcuni secoli dopo. Il racconto pertanto, in questa sua parte, è paleseinente anacronistico.
204
Matteo Donato Stupefatto il Dionisio della 1naestà et 111iscricordia di sì Alta Signora59 , se
ne andò alla grotta, et spogliatosi si vestì di eren1ita dclii spogli dclii fortivc robe di passageri et cossì cinto cli fune et sca!zo"0 se ne andò alla Città di Jaci vicina alle scogli Ciclopi 61 • Et intrato in quella, nella piaza si incontrò il Signore di quella gubcrnatori Iobroto i! quale calava dal Castello per esser di ciò havertito dalla Signora del Cie/062 • Et inteso dal Dionisio il caso, lo abracciò, et ragonato il Clero con li Vicario processionaln1ente 6-' se ne andorno sino al principio della
5'> In G<1etani la Madonna appare clliaran1cntc a Dionisio in rnezzo ad Unil grande n1o!litudinc di angeli e quando scompare lo fa «inter coelesles choros», n1entre in rvrus111cci il racconllL che pure dìalogica111e11tc è assai 111osso, non .. indulge in alcun 111odo nelle visioni prodigiose. c,o In Salvatore da S. Girolaino l'episodio ha l'a1nplificazione di un Dionisio che prin1<1 di andare ad Aci si confessa e fa penitenza. ri1 Si trnltri dci faraglioni di Aci Trezza._ chian1ati scogli dci ciclopi con riferin1cnlo nlla vicenda ini!ologica de! ciclope Polilè1no e di Ulisse. 62 Il MusinecL anche se non precisa la distanza, co111e Gaetani («tri{l fcnncpassuu1n 1nilia))), è il solo ad indicnre con tu!ta evidenza sin g!i scogli Ciclopi che il castello: due dati che non lasciano alcun dubbio trattasi dell'attuale /\ci Castello. Il Nostro è l'unico scrittore a riportare J'i11co11lro. Tulla la sequenza scn1bra invero rispondere ad un(] in1postazione tcatr(]]c del raccon!o, così pure il particolare della piazza: si tratta di un abbelliincnto sccnograllco che il ivtus111eci potè H1ciln1cntc introdurre facendo rifcri111ento allo spiazzo davnnti al cas1"c/1o che egli doveva conoscere personaln1cntc. 61 · La processione del clero, presente tra J'al!ro rinche in Gaetani, è un'auribuzionc al secolo X! di fì.ttti cara11eristici dci secoli XV! e XVII. Questa parte i11verosin1ilc dcl rncconlo 1nnnca dcl tullo in lnchol'cr e nel Dc Cìrossis. Tutta la 11arn1zione lcslin1onio e riflclle n1enlalitù cd esigenze del '600. Giù nel 1740 l'abate V. AMICO, Catania illustrata sive sacra et civilis 11rhis Catanoe historio, Catanii.t pars prior, 413418 aveva fatto presente crnnc sorebbe stata impossibile una processione fatta dal clero e dal popolo acese a Valverde nel 1040, in un periodo in cui la Sicilia era ancora in n1m10 ai Saraceni. (Né tanto 1neno si può ipotizzare per quel le111po l'csis1cnza di un ((Vicario»; il 1ern1inc c01npare soltanto nel nostro 111s). Un secolo dopo anche G. DI ÌVft\RZO, Delle belle arti in Sicilia, dai }/onnanni sino alla .fine del secolo )(ffl, Il, Palenno 1859, 133-134 notava co111c il racconto «include l'idea alquan1o difficile della fr>ndazionc di una chiesn e di una tropp(] popolarità di un culto cristinno 1nentrc ancora prevaleva il don1inio saraceno, che ogni novella istituzione religiosa acrcn1ente ai crisliani proibivt1>l. L'i111pero bizanlino riperdette la Sicilia, appena due anni dopo che il Maniace fu richiJn1alo n Costantinopoli. In laJc occnsione il generale bizantino trafugò le reliquie di s. Agata (gcnn(]io I 040), secondo alcuni per sottrarle ai tviusul111ani, secondo altri per ingraziarsi J'in1peratore dopo lo scontro con il nipote di questo, Stcl"àno (le reliquie ritornernnno a Catania nel l 126). La rifondazione dello Chiesa di Catania, dopo la progressiva soppressione delle sedi vescovili ad opera dei f"vlusulinani, si avrà sollanto nel I 092 allorché papa Urbano 11 conferrnerà con una sua bolla la costituzione del vescovato e della diocesi, decisa da Ruggero I, nonché l'elezione a vescovo de! bretone 1\nsgerio, abate della chiesa e del n1onastero bene-
La "Vera Istoria della Santa Maria Vergini di Valverde"
205
val!e dove trovorno le gruc0-1 et, quando quelli sessantatrc grue circuirno, designarno la chiesa(' 5 • Et retornati alla grotta, i! Dionisio desi in quella tre zappati, in non1c di Maria Vergini et uscì l'acqua (la quali acqua ogi in detta grotta si chia1na l'acqua di Cuccuvaja dal cogno1nc di eletto Dionisio videndosi 6r'. [p. 435J "Scordanza" [p. 436] di quella in onore di detta Signora don1andata Santa Maria di Valli Verdi grandissi1ni n1iracoli)67 •
dettino di Sant'Agatn (cfrC'hiesa e società in Sicilia. L'età 11or111a111u1, 1\tti dcl I convegno intcniaziona!c organizzato dall'urcidiocesi cli Catani<i, 25-27 nove111brc 1992, a cura cli G. 7.ito, Torino 1995). La Sicilia restenì nelle inani dci ìvl11suln1ani fino a! 1060. Dopo la conquista normanna, ancora nel I 095 in Aci si contavano ben 385 J'ocolai di ''agareni" (villani arabi). 6-l La vicenda 111iracolosa dcl 1040 se in alcuni punti nppare intessuta di chili storici l~tnlasiosi, per altro verso scnibra avere 1nodellato secondo !e sue necessità precisi dati ainbientali. Come per la grotta e l'acqua anche per !e gru, o n1eglio per il trn11sito delle gru, la leggenda riferisce dati che hanno riscontro pili o n1c110 puntunlc nella rca!tù. L'apparizione delle gru, unila al loro iniracoloso fcnnarsi, costituisce un'interessante nota n<1turalistica. Salvatore da S. Girolan10 sul finire dcl '600 scrive che «ogni <.1nno o nel mese dì 111<.1170 o di ottobre» le gru. <(passando con rallo volo)) si abbassavano sopra !a cappella prin1n di proseguire il loro ca111111ino. Fino a!!a pri111a nictù del nostro secolo è stato possibile osservare l~1cil111entc ne! ciclo di Valverde la 1nigrazione in storn1i delle gru. (,s !I nostro testo è tra i pochi a precisare i! nun1cro delle gru. Tale dalo è presente in Jnchofcr e in Dc Grossis. Il prin10, che si soffcrnrn in 1nodo pnrticoltirc sul signilìcato dcl numero 63, (vedi nota 8) da un l<l1o ci indica che esso veniva riferito ((flOll rectc» agli anni vissuta dalla 1Vladonna, dall'altro ci avverte elle poteva essere 1ncsso in relazione con il costu111c di recitare ((Coronan1 precnrian1» del Rosario. ln Dc Grossis la designazione della chics!l non avviene in base ad un volo circol<trc, 1na per un loro specifico indirizzarsi a terra (<dernun pctcntes»). In Gaetani la scena è più 1110vi1nenlata: inJ'aHi all'apparizione delle gru segue Ull!l preghiera co!lettivn e la triplice invocazione dc!la Madonna, cui parlecipnno !e gru stesse con ((Sllis cantibus>J. (, 6 !I 111iracolo dell'acqua presente in Gaetani 11011 è neppure nccennato in Dc Grossis. L'Anonimo presso Gaetani è il pri1no scri!tore che indichi il noine de!l'acqua. In localitù <(Fontana>>, un tc111po chiainata «contrnta di Cuccuvaia>>, nella «grotta di Dionisio)) ancora oggi è una n1odesla sorgiva che la pia leggenda vuole scaturita niiracolosainente (vedi nota 46). Nella grotla, oggi chiusa da uno sportello di rerro, nei pri1ni decenni dcl '900 si potevano scorgere «tracce di un rozzo dipinto della ìvfnc!onna di \fa!verdc» (F. RECUPERO,// sa11t11ario della J\Iadonna di Vah'erde. Cenni storici e preghiere. Catania 1929, 13). (, 7 Anche in Gnctani c'è un accenno ai n1iraco!I oltenuli da quanti bevevano l'acqua; in Salvatore da S. Girola1110 l'evento nliraco)o acquis1n una dimensione decisa111e11tc leggendaria («cln!lc quali lin1pidissin1c ncque bevendone n calca i Popoli restavano con 1neraviglia di tulli guariti d'ogni sorta d'in1ènnilò»), 1ncntrc viene 0111csso da Cìimnbarlolo1neo da S. Claudia che pure trascrive il suddetto Salvatore. Si traila di un tenia che non ebbe successivi sviluppi: come vedren10 pili avanti, sarù l'olio
Matteo Donato
206
Il detto Signore di Jaci, il Vicario et il Dionisio fì·abicorno una picciola chiesa in termine di un anno68 finendola il sabato dell'ultin1a do1nenica di agusto69 (nel qual giorno per insino al presenti 1645 se li celebra una sontuosissi111a festa con concorrenzia di Sigiliani di ogni parti di Sigi!ia). Et havendosi con1pleto detta chiesa, la do1nenica 1natina si trovò 1niracolosa1nente portata dalli Angeli
la figura di Maria Vergini bellissi1na depicta in una pietra70 di belleza 111irabi!i con Christo Nostro Signore ba111bino nelli brazza71 , il quali ban1bino teni un pie-
delle lan1paclc della Madonna, e non l'acqua, a godere cli grande reputazione con1c 1nezzo di guarigioni 1niracolose. r,i; In Inchofer, Dc Grossis e Pirri !a chiesa è costruita a spese di Dionisio («aere proprio») e non si fQ riferilncnto ai tc1npi di costnizionc. 11 nostro è l'unico a precisare trattarsi cl! <(piccio!a chiesa)) alla cui costruzione contribuirono i! Signore di Jaci, il Vicario e Dionisio. La notizia che la chiesa venne tcnninata nel giro cli un anno è presente in Gaetani e in An1ico. Pertm1to, consideralo che la vicenda di i\!Ianiace si svolse nel 1040, secondo la leggenda il ten1pio ebbe la sua prin1a edificazione nel 104 I. !n Bartoli, che, con1c si è già detto, anticipa al 1038 la vicenda, «la fabbricn, inco1ninciala nel 1039, fu condotta a con1pi1ncnto nell'agosto dcl 1040>>. <' 9 È questo l'ulti1110 rircrin1enlo della leggenda a Dionisio. li Bartoli, che dové avvertire co111e iinprovvisa la scon1parsa del brigante dal racconto, scrive fantasiosa1ncnte che Dionisio fu i! «custode)) della chiesa sino alla sua 1norte. «Avvenuta la quale, 111onsignor Vescovo di Catania affidonne la cun1 ad un sacerdote)}. 71lL<l notizia dell'erezione delln chiesa precedente all'iconn stessa clclln lv[ndonna costituisce una specie di lectio dijjìci!ior che contravviene a quello che per secoli è stato il nonnale processo cli edificazione di chiese nel territorio acese. La storiografia hn da ten1po accertato che prin1e a sorgere furono le edicole votive (locahncntc dette altarini) e che solo con il succccssivo cliffOndersi del culto si costruivano !e chiese, con1c protezione cd atnpliamento clc!!e precedenti strutture (cfr \!. RAC!Tl ROMEO, Acireale e dintorni, cil.; S. RACC\JGLJA, A1emorie storiche del (.'01n1111e di Aci Catena, Acireale 1892; M. DONATO, Per fa storia della C'attedrale di Acireale. in 1\Iemorie e l?endiconli, Accademia cleg!i Zelanti e dei Dafnici cli Acireale serie I!, 6 l1976"1; M. DONATO, Valverde, cii., 18). Molto probabilmente dové essere !a particolare bcllcz7a dell'icona valvcrdcse a far nascere sia la leggenda della sua origine 111iracolosa, sia la notizia dell'erezione della chiesa prin1n dcl dipinto. 71 Manca nel Musn1eci il n1iracolo dell'apparizione della Vergine n Dionisio il sabato notte in chiesa e con1parc semp!iccinente il 111iracolo del dipinto portato dagli angeli «in una pietra». Anche più avanti il Musn1cci, per quanto riguarda il supporto ciel dipinto. non là riferin1ento né al pilastro (((pilanu>) né alla parete («parieS>)) che sono presenti in Gaetani. Anche in lnchorcr e De Grossis J'(<i1nago non n1anufacta» della Vergine appare <nnirabilitcn>, dopo che Dionisio, 01ten1peranclo all'ordine nvuto in sogno dalla i\;ladonna, ha costruito la chiesa. Nel Gaetani e in Salvatore da S. Giro!an10 si narra che !a Madonna apparve il sabato notte li Dionisio tra un coro di vergini. L'intera visione si sarebbe poi dileguata in prossin1ità ciel pilastro del tc1npio. In tuHi gli scrittori il ritrovan1ento della pittura avviene la domenica 111aUina. Secondo la cronologia dcl Mus111eci il rniracolo sarebbe avvenuto nel 1005, secondo quella del Gaetani nel !041.
La "Vera Istoria della Santa Maria Vergini di Valverde"
207
colo grue in n1ano sinistra 72 ; et questa sontuosa Signora 7 ~ sta coronata da dui Angeli con tre corone di oro 7.i. E nel corso del te1npo li paesani7 5 crebero la chie-
72 Sulla raffigurazione della piccola gru da ten1po si è aperta una discussione tutt'altro che conclusa. S. Gru~co, li santuario di 1Vostra Signora di Valverde e il solenne pellegrinaggio interdiocesana del klaggio 1902, Acireale 1902 e G. TRAINA. Si111bolis1110 nel/ 'i111111agine della /\1adonna di Valverde, in La Rosa di Valverde, luglio 1933 avevano scorto nel volatile una colon1ba; di recente A. SCAND!JRRA, Valverde. lJn co11111ne dalla leggenda alfa storia, Catania 1977 ha creduto riconoscervi una piccola papera. In effetti riesce di/'ficile in base all'imrnagine pervenutaci riconoscere una gru nel volatile tenulo dalla Vergine e accarezzato da Ocsl1. Del!e nu1ncrose n1ppresentazioni della Madonna di Valverde la sola che presenti u1u1 n1fllgura7.ionc faunistican1ente accettabile della piccola gru è quella della chics<1 della rvl<1dd<1Jcna in Acireale: un dipinto delta line del XVJJJ secolo attribuito ad Alessandro Vast;:i. Varie considerazioni ci spingono a dubiturc che quella che oggi vedimno sia l'i1111n<1gine originaria della piccola gru cui ra riferin1cnto la lradizionc: non ulti1n<1 quella che il collo c!ell'ani111a!e in tutte le incisioni pervenuteci è al di sopra (e non <1! di sotto) della cintura alla nazarena che serra la veste rossa della Ivladonna. ?_ì Tutti i testi che accennano alla pittura sono concorc!anli ne!!a descrizione. !! Musrneci, che dellniscc «bel!issima», «di bellezza inirabilill. «sontuosa)> la figura della Vergine, non dà per il dipinto l'appre7.zun1cnto di «pitturu graeca» presente negli a!lri scrillori. In n1crito sul dipinto scrivevarno: «La tipologia della Mudonna (dalle guance e dalle labbra vcnniglie, dugli occhi scuri e vivaci, cla!!c lunghe ciglia nere) è tutt'altro che astrattfl e seinbra essere ispirata dfl una concreta realtà circostante. 11 dolce volto della l\. ladonna è quello di una florida l'anciulla siciliana (a riguardo diventano e1nblc1natici il velo della testa cd i capelli lisci spartiti al centro} e, per quello che ci è dato vedere oggi, non ha nulla della pensosa ieraticità delle l'vladonnc bizantine. Le stesse sue 1novenze, l'andan1enlo llucntc del vestiario pili che richian1are inoduli bizantini se1nbrano ril'a.rsì a niotivi prerinasci1nc11tali. Il ba1nbino che indossa una tunichetta bianca sembra 111eno toccato da interventi: il vollo conscrvfl nc!!'ovalc incornici<1to da capelli inanellati un che dell'originaria aristocratica bellezza che si è perduta nell'espressione c!c!!a Madonna>l (M. DONATO, Valverde, cit., 101-102). Trfl !e unanin1i uttcstazioni dcll'eccezionaliti'l artistica del dipinto, per quanto riguarda in particolare gli Angeli, raffigurati ad ali dispiegate e vesti svolazz<1nli, va ricordala la riscrv<1 critica di A1nico (op. ci!., 416) che !i giudicava opera di un pittore scadente («impcrito penicillol>). J)i J'vlarzo (op. cii., !33) riteneva che «lu pittura sopra 1nuro» sia stata «abbellita e ridipinta in epoca di son11no sviluppo artistico». Ed invero la dat<1zione dell'aflì-csco riesce oggi assai diflicilc anche a seguito delle evidenti ridipinturc rinascirncniali e post-ri1wscin1enlali. Si ritiene che solo un accurato rcst<1t1ro cd eventuali csan1i radiografici e chin1ici potranno port<1rc 1naggiore luce su tale probleina. 74 Le lre corone iconograJ1c<1111ente indicano l'incorona?.ionc dclln !vladonna da parte della SS. Trinità. 75 La nascita di Valverde, ad opera della popolazione <1cese che nel tc1npo lasciava la costa insicura per le scorrerie della pirateria n1usttln1<1na, con ogni probnbilità avviene attorno ad un<1 edicoltt della l'vfadonna eretta lungo una dc!!e poche ed insi1
208
Matteo Donato
sa di 111agior grandeza' 6, et volendo collocare !a in1agine in n1agior loco non fu possibili per arti di n1aestri né forza hu111ana levarsi, sino che un Contadino devoto di eletta Signora 77 , avertito da detta Signora Maria Vergine7~, andò solo, et tirato l'argano che stava acconcio da n1aestri si ne venni et per sè si collocò dove al presente79 è, in una cappelletta attorniata di gradi cli ferro con un cappello di cure strade che attraversavano i! bosco di Aci. La storia delle origini di Valverde s'identilic<1 con la storia della sua prin1a chies<1 costruita a protezione dell'cdico!a. Nei clocun1cnti dc! Trecento il paese, che era annoveralo tra le ·'vigne" dei Catanesi, è chimnato «Contrata Sanctac Mariflc Vallis Viridi.'»>. Dcl fenon1cno di identificazione dcl paese con la sua chiesa si ha tcsti1nonianza a tult'oggi nei toponi1ni locali ;\ci S. Filippo, Aci S. Antonio, Aci Catena, ;\ci S. Lucia, S. Gregorio, S. Giovanni la Punta. Il toponi1no '·Valli Virdi'' italianizzalo e senza accoinpagnarnento cli "S. tvtnria" appare per la pri1na volta nel 1531. 7f, li lJc Grossis scrive: «[ ... J in arnpliorcn1 augustioreinquc fonnain.ut ad pn1csens visitur, rcdegerunt». A questo punto sia !nchofer che Dc Grossis interro1npono la !oro narrazione: pertanto, a prescindere dell'ainpiczza e clivcrsitù elci tcstì. viene a 111ancarc tutta la parte re!ntiva alla 111iracolosa traslazione del dipinto. li racconto dell'mnplian1cnto della chiesa, costante in tutti i testi, appare nel tvlus1neci pili rispondente a vcritù, innanzitutto perché tale a111p!i<1111cnto è detto opera dei paesn11i. poi perché non indulge a n1<1nic di gn1nclczza quali appaiono nel G<1cltini (((Tcn1plu111 hoc auctun1 n1agnilìcel> ). 77 In Mus111eci non viene inclicoto - ed è clirlìci!c spiegarne il motivo - il noine del devoto della tvladonna, Dainiano. A ciò si aggiunga che tale devoto innon1ina!o è presentato con1e contadino, a cliHèrenza degli altri scrittori (Gaetani, ccc.) in cui co111parc come «fido pastori)). Ed invero Dionisio, Egidio, Dainiano. personaggi che danno avvio e conclusione n1iracolosi alla vicenda. appoiono per certi aspetti figure c111blc111atiche: il brigante pentito. il devoto salvato dalla JCclc, i! pastore o contadino illun1i11ato. 78 L'''avvcrli111enlo" presente in Gaetani n1anca ciel tutto in De Cìrossis i! cuì lesto non contiene il successivo rocconto della n1iracolosa trasl<lzione ciel dipinto. 79 In base al racconto del tviusn1eci l'evc1110 111ir<1coloso andrebbe cronologica1nente collocato priina de! 1296 (anno dcll.incorona1,ione cli Federico !Il), secondo Salvatore da S. Girolmno ed altri intorno al 1320. Nel Mus1neci n1anca anche la parte relativa alla preoccupa7.ione che il dipinto nello sposlan1cnto potesse essere danneggioto e la successiva storia 1nitologicti delle tre «tabellas>l dclln tV!adonnn che. ![ttlc per conservarne l'i1111naginc in caso di perdita dell'originale, la n1nUina seguente rurono trovate «dcletae>l (Gaetani, Carrera). lnvero i! 111iracolo della lrnsla7.Ìone dcl pilastro al fine di collocare i! dipinto dcll<l ìvladonna «Ìn 1nnggior loco» è eia collegare. a noslro avviso, a problcn1i costruttivi connessi con il can1bio di asse della chiesa allorché la si volle di inaggiorc grandezza. ()ggi l'<1lt<1re della tvladonna, che è innalzalo a ridosso del pilastro che sostiene. l'arco n1<1ggiore, appnre decentralo rispetto alla navata principale e ((Sembra essere poggiato provvisoria1nentc r... J !n attes<1 di più idonea sistc1nazione)) (R. D'J\NTONI - C. tvlt\!'v1BELLI - B. [)';\NTONI, Le chiese di Valverde, in ()rienta111e11ti tecnici 22 !"J984J 36-37). E tullavia raltarc, situato nel punto in cui si incrociano gli spazi interni pil! ainpi della chiesa, calan1ita subito J"auenzionc di chi entra: a ciò concorrendo 1notivi di fede, iinpìanto architettonico e ricchezza decorativa.
La "Vero Istoria della Santa Mario Vergini di Valverde"
209
Jegnan1e" 0 di sopra dorato con la statua di detta Signora Maria nella ci1na et sotto la grotta con il Dionisio, et intorno le statue di Santi Apostoli, et altri Sancti
con quantità cli latnpare di bronzo con lan1pi acesi di innanzis 1; quella prin1a chiesa frabicata dal detto Dionisio era in detta chiesa a n1ano sinistra sotto l'organo 82 che ogi [p. 437J sta in detta chiesa, la porta della quali è di
111ar111ora
nigra chian1ata della Triza~·' nelli Scogli ciclopici et pare nel n1uro di detta chiesa
80 È questa del l'vlusn1eci l'unica, e perciò stesso i111porlantissi1na testi1nonia11zn di una cappcllciia lignea della Madonna: appena dodici anni dopo la presente Vero Istoria in (ìaetnni si leggerò che il tcrnpio (o per 1neglio dire J'nltare) si prescntnva <<v<Hio lapide, et puro 111arinore111agnificun1 extructun1>l. Nel !640 i! vescovo Branciìor!c nella sun parlicokrreggiatn relazione ·'ad lirninn" riferiva di avere ordinato di ingrandire !'edicoln della Madonna secondo la forn1a eia lui indicntn (vedi nota 31). Nel 1645, ciuando scrive il Mus1neci, In situazione della cnppella non doveva essere 11n1tatn. È quindi inlorno agli <111ni einqnan!<J che l'edicola della 1Vlaclonna assun1e la sua auualc forma. 1 " La descrizione è quanto inai puntuale: preceduta da una cancellala in /Crro ccl ornata da una qum1titù di (([ainpare di bronZOll, !a cappelletta presentava una strutlura 1ripartita. Al centro era l'icona della Vergine; in <J!to unn copertura a cupola in lcguo doralo, su cui cainpeggiavti una statua della l\1adonna: in basso la grolin con Dionisio. Intorno erano «le statue cli Santi Apostoli, et altri Sancti)). Quella delle statue (o per rneg..lio intenderci statuette, assai probabilinenic lignee) è una tcstin1onianza ecccziontile: nessun altro scrittore riferisce cle!!a loro presenzn, né è rinrnsta una qualche traccia. (1.,"unicu sculturti che si conosca di una Madonna di Valverde è quella ralTigurtita in unn foto cli inizio secolo oggi in n1io possesso). Circa i «grndi di ferro)) ricorclinn10 che fino al 1903 una cancellnta in ferro bal!ulo chiudeva l'altare clcllu l'viadonn<l. L'a!lualc balaustra in inanni po!icro1ni è stata costruita dall'ing. Giovanni Cìrasso cli Acireale. ~ 2 L'organo cui si riJCrisce il t\1usn1eci era stato realizzato nel 1635 dal catanese Stefano Scrofana, <<Conìonne ntlo 1nodcllo dell'organo vecchio [... ]cli registri n. 8» (l'l/I. DONATO, Valverde, cit., 105). La sua collocazione nel!a chiesa ri1nane poco chinra. NJ La porla della Trizza (luce n1. 1,80 x 1), oggi chiusa nssic1ne a due sopn1stantl aperture (luce cni. 95 x 50 circa), appare ìnserit(J nel vrn10 rcllangolarc successivo a!J'antisacrcstia sulla parete destrn: rispetto alla chiesti viene a trovarsi dopo l'altare della tvladonna del Cannine, all'altezza dcl pulpito ligneo, di fi·onte il n101n11nento sepolcrale dc:i Principi Riggio e la grande arcata entro cui è l'altare della fVlaclonna. L'arco della porla in pietra lavica («n1ar111ora nigraJJ) reca nella parte superiore una targhetla in piclra calcare con la seguente iscrizione: .. I 0 S3 JHS". An1111csso che la lettura della data "1053'' sia corre!1(J - II-JS è ln sigla lati1rn del no111c di Gest'l -. non sappiaino in quale periodo la ttirgheLta sin slata cffcttlva1nc11tc collocnla. né a quale evento il 1053 fr1ccin riferi111ento (Per l'iscrizione cfrS. Dt:tvlARJA. li c11fto della 1\ladonna di Valverde in C'atania, Catania 1932, il-5). La porta de!!ti Trizza è la soh1 tcstin1onian7.a che ci ri111ane dell'antica chiesa rurn!e che nel 1446, con1e parrocchiale, era riconosciuta co111c una delle chiese unite <1lle prebende beneficiali dei canonici della co!!egiata catanese di S. iv1aria l'l~!c1nosina is1iluita da papa Eugenio IV. Anche
Matteo Donato
210 delta parte del 1nenzo
giornog~
innante la porta della capella della Con1pagnia
chia1nata della Misericordia~ 5 . Vi sono in detta chiesa alcuni croci per li quali appare, secondo dicino !i
paesani, esser stata
consegrat~ 6
in ten1po del Re Federico i! quali dicino havcr
visitato detta Signora in detta chiesa et datoci alcuni doni~ 7 ; dicono di più esser se i! nostro testo nell'esposizione non è chiaro, secondo quanto si legge, !a prcccden* te chiesa non aveva la direzione della presente, 111a era in un certo inodo perpendicolare ad essa. L'indica7,ionc del Musineci confcnna quanto, circa cinquant'anni dopo.
scriveva Salvatore da S. Girolan10 (seguito i1n111ediatnrnentc da Cìian1burtolo1neo da S. Claudia). Non sappiaino però da dove Salvatore da S. Girola1110 abbia tratto !e notizie che la cappella de!!a Madonna in tale precedente chiesa era «laterale dentro li cancelli dell'altare inaggìorc, ne!!a parte dell'epistola» e che «la chiesa era in fonna di croce con due cappelle ne' Inti dcl suo corpo». x-1- A! tempo elci Nlus1ncci la porta della Trizza era chia1nata anche «portice!la dì lo inczogionHlll. La porta principale era il «porticato grandi>l a cui si giungeva per la «Via di !o ponenti)): esisteva ancora un terzo ingresso «il porticatello di tra1no11ta~ na)) (da non confondere con l'attuale porta 1ninorc ereHa nel 1694), che attraverso il ci1nitero portava dietro la chiesa (notizie da appunti di p. Giovanni rvtessina). RicordianHi che il cainpanilc eretto nel corso del '500 non era inglobato alla chiesa e che il prospetto della n1cde.si1na era privo dell'aUualc avancorpo e portico dcl convento. 85 La cappella («oratoriu1n») della Misericordia, di cui la prin1a nolizia documentata è elci 1507, era congiunta Hlla chiesa parrocchiale per 111ezzo di una porta intennedia; fu diroccata dal terrcn1oto elci 1693. La nuova chiesa della Misericordia venne costruita nel 1696 all'incrocio delle attuali vie Vittorio En1anuelc 111 e dcl S11n~ tuario. La coinpagnia della rvliserìcordia. che due iscrizioni (in veril<Ì tardive) dicono fondata nel 1223. eresse la cappella con molta probabilità nc!!a seconda nielli dcl Quattrocento. 86 Dal testo sc1nbra che i! lVius111eci abbia visto cli persona le croci (oggi perdute), 1nentrc per la consacrazione appare abbastanza cauto («secondo dicino li paesani>>). In Gaetani, in cui i! tono del racconto è più decisan1ente celebrativo, le croci tcsti111oniavano senzallro dell'antica solenne consacrazione della chiesa ad opera c!i ben tre vescovi. 87 L'accenno a Federico !li d'Aragona, che 1nanca dcl tutto in Gretser. J11cho!'er, Dc Grossi e Pirri, è posto eia] !Vlusn1cci al tennine della sua storia. In Gaetani viceversa anticipa !a narrazione della niiracolosa traslazione del dipinto. In rvlusn1eci e nel Gaetani la visita, anche se non è espressainenle detto, scn1bra successiva all'ainplia111cnto del ten1pio. Carrcra, Salvatore da S. Giro!aino, Giainbartolon1eo da S. Clnuclia assegnano a Federico stesso l'an1plian1cnto, 111cntre Arcangelo da S. Giaco1no e !V!assu. c11tra111bi dipendenti da Gaetani, assegnano l'ingrandin1ento ai «divoti» in un periodo successivo alla visita di re fcderico. L'esistenza a Valverde di una chiesa dedicatfl al!a !Vladonna on1onin1a verso !a fine dcl Xl!I secolo s'inquadra perfettrnnentc nel generale clin1a storico-religioso dcl tcn1po: il culto cli tale Madonna, che scn1bra avere un'originaria n1alricc spagnola, in tutta la Sicilia è abbastanza docuincntato per i secoli Xli - XVI (cfr IVI. DONATO, Sulle or(r.;ini di Valverde, cit.; ID., Valverde, cit.. 1821). Non si hanno 111otivi per dubitare che Federico lii abbia potuto fare un suo pellegrinaggio a Valvcrclc, anche se 111anchin1110 di unn qualsia.si docun1entazione coeva; che il re abbia concesso dci benefici a!!a nostra chiesa è probabile: forse ru proprio
La "Vera Istoria della Santa Maria Vergini di Valverde"
211
certo privilegio di detto I:Ze in tesoreria nella gran coiie di questo Regno di Sigilia in Pa!ern10 88 et che il libro autentico di delta istoria si habia in detta chiesa abrogiato in ten1pi di pesti che fu in Sigilia o robato 89 . tale concessione ad alin1cn1are la 1ncn1oria della visita reale. Della particolare devozione del re potrebbe essere testi1nonia11za la notizia che la regina Eleonora avrebbe fatto edificare ad Enna una chiesa alla l'Vludonna di Valverde. In Cìaetani si legge che il re fece il pellegrinaggio con i! figlio Giovanni, duca di Rrmda7.zo {1317 - 1348). A seguire rigorosainente tede testo la visita dové effettuarsi dopo il 1320: Giovanni infr1Ui divenne duca di Randazzo solo dopo la 1norle dcl fratello Gugliel1110. Secondo Salvatore da S. Girolan10, seguilo da Gimnbartolorneo cfo S. Claudia, il re 1x1ssò per Valverde <<lnolti anni dopo quello della sua coronazione [... /che /'uda Cristo nato il 1296». l3arto!i, a seguito di una lellura affrettata de!!e sue fonti. scrive che il pellegrinaggio avvenne nel 1296 . .~s Il ìv1us1neci, pur con qualche perplessitù («dicono») è l'unico a fornirci la notizia di un privilegio di re Federico Hl nella tesoreria della Gran Corte a Palcnno (in inerito fino ad oggi non è stato trovato nulla). Circa poi i possessi (<q1raediis))) di cui, secondo Gaetani, Federico 111 avrebbe dotalo la chiesa, il Nostro non fii cenno alcuno. Né tanto 111eno in Mus1neci poteva esserci qualche cenno relativamente a! fatto che la chiesa di Valverde fosse costituita «capul)) di tulle le chiese di ;\ci, con1e si legge sen1prc in Gaetani: un cvìdentissi1no l~tlso secentesco, un ingenuo tentativo cli inserire la chiesa cli Valverde nella diatrilrn di un prirnalo per il quale nel '600 stavano scontrandosi le chiese dì Aci S. Filippo, Aci Aquilia. Aci Catena. Il Gticlani, che non conosceva la storia di Aci e che 1nancava di validi riscontri critici, poteva in buona fCde trascrivere nella sua opera dì una chiesa valvcrdcse «caputll, rna ii l\!lusn1cci che era vicario proprio in quella chiesa cli S. Filippo cui solo spet1ava storicainentc il titolo «fV!atcr et caput totius ;\cis», si guarda bene eia riportare la notizia. Che costituiva un J'also, peraltro puntualn1ente ripreso da Arcangelo da S. Giacoino, Salvatore da S. Girolan10, Gia111barlolo1nco da S. Claudia, tre agostiniani scalzi che avrebbero potuto quanto 111cno passarlo sotto silenzio o sinentirlo. !Via )'csti!tazionc ca111pm1ilisticn della propria chiesa fece velo alla veri là della storia. E per concludere questo particolare punto riguardante fcderico JIJ inanca ancora ne! l'vfusn1cci !a notizìu, riportata dal (ìactani (e dagli altri successivmnente ripresa), secondo cui il re altribuì («addixitl)) alla chiesa di Valverde quelle cli S. Giovanni al Bosco (S. Giovanni la Punta), S. /Viaria la Scala, S. Luciano. ()111issione che, a nostro avviso, potè verificarsi forse per un rif'itito da parte dcl fV!usrncci di notizie che dové giudicare incstillc. Noi oggi sia1110 in grado di precisare che le chiese cli S. (ìiovanni la Punta e S. Nfaria la Scnla a partire da! 1446, anno dell'erezione della Collegiata cli S. Nlaria clcll'Elc1nosina in Catania, contribuirono co111e liliali della parrocchiale di Valverde alla costituzione dell<l rendita delle 40 onzc assegnntc <.il canonico prebendario. Nulh1 sappiaino della chiesa di S. Luciano, che in Arcangelo da S. Giacoino, Salvnlore da S. Cìirolaino, Gimnbarto!o111eo da S. Claudi<:l e Bar1oli diventcr<Ì S. Giuliano, nell'abate An1ico S. Lucia, in Nlassti, Recupero e Sapia S. Giaco1110. i\'> Il vicario Mus1ncci apre e chiude il suo racconto riportandosi alle sue fonti. Sin ;1l/'inizio che alla f"ine della /''era Istorio egli confcnna che i ((libri antichi>>, o se si vuole <(i! libro autentico cli delta storia». erano andati «persi)) c se ne sconosceva il n1oclo: forse brucinti in tempi di peste. rorsc rubati. Quello che nel !645 riinaneva erano «reliquie di antichi libri», ossin tcstin1onianze 11011 scritte 1na raccontate, tra-
212
Matteo Donato
Questa Matri Sanctissin1a di Valverde abonda, et se1npre have abondato di grandissi1ni 1niracoli si co1ne si vede per l'abondanza di intorci che vi sono state portati, et bondanza di quatrecti dcpinti. Et io pozzo testificare si co1ne testifico havcr veduto tutti lì trabi di detta chiesa>11 pieni di intorci di gran valori, et vederci in detta festa concorso di genti forastieri di 111olti terri cli Sigilia, et Jaci quasi tutto intero. Et Monsignore D. Ottavio Branciforti vescovo di Catania fratello dcl prencipi di Scordia et del prcncipi di Leonforti !'anno 1644 l'ultin1a don1enica di Agusto volendosi partire per Ron1a a visitare li Santi Apostoli et reverirc il novo pontefici lnnocenzio X0 visitò detta Signora lasandoci 1nolti don i'>I. inanclatc. Con puntualitù il nostro ìv!us1ncci ci lestiric'1 che la sua storia nasce nppunlo da tali ((reliquie», inoltc delle qua!i avevano nel teologo don Vincenzo Clarenza il loro attento espositore. 90 La chiesa, cui fa ril'eri1nento il l\1usn1eci, è quella costruit<1 nel corso dcl '500. Padre Giovani l\/!essina, nel riportare in un suo appunto dcl 1945 una iscrizione dcl I 56il da lui rinvenuta in una trave del soffitto, annotnv'1: «()uesta trave corrisponde sopra l'nltare de!!a !Vtadonna di Valverde, un'altra cosa eia notare ancora è la scultura delle 1nensole cli tutti g!i architravi elle sostengono i! tello: è chiaro che questi co1nc pure il trave che porta la scriLLura di cui sopra provengono dalrantica chiesa)). Lll ''testificazione'' del l\1us111eci ci pen11ctte di conoscere che la coper!urn clel!a chiesa prin1a ciel terren1oto elci 1693 era con travi a vista. Dopo il terre1noto scoinparvcro le travi e scon1parvc pure la curva dell'nbsiclc (di essa sono state ritrovnte le J011dnn1enl'1 che presenlano le seguenti 1nisure: spessore delle n1ura 111. 1,20 - all'allacco 111. IAO -. dian1etro interno n1. 9, profondità ni. 3). Così oggi la chiesa risulta lcggern1entc più corta in quanto i! presbiterio tcnnina con una parete retta. (Sul santuario cfr l'v1. DONA"I O, Va/verde, cii., 91-106, 126-127). 91 Si tratta di una assai interessante notizia di cronaca che il tvlusn1cci dù con1c sua personale conoscenza; tale notizia non è riferita da nessuno dei lcstL sia editi che inediti, successivi al Musn1eci. «Nel 1644 1norì Urbano VI!! e gli successe con il non1e cli Innocc1170 X, i! card. Panfili, an1ico e protettore dcl BranciJOrte. La Stltl 110111ina accese in lui la speranza di trovare una soluzione dignitosa lllla difficile situazione che si era venula a creare nei coniì·onli delle autoritù civili di Catanill» (A. LONGl!!TANO. /,e re/a::ioni "ad !i111ina" della diocesi di Cutania (1640-16./6). in S~v11u.1is 2 fl984] 288). 11 vescovo BrnnciJOrtc 1norì nel 16LJ6 e venne sepolto nella chiesti dcli.Annunziata (oggi cattedrale) di Acirellle. Ne!!a rcla7ione ad /imina presentata dal Branciforte nel gennaio 1640 si legge:((;\ Valverde nell'edicola della Sanlissi111a Vergine, sita clcntro i! tc111pio, abbinn10 celebrato la 1nessa con senso di grande pietù per la santità di un luogo così celebre e per la generosità della stessa Vergine: nelh1 nostra poverlù abbia1110 dato delle ofCertc per i111pcu·are la ren1issione dci peccali e per dare un segno della nostra devozione verso !n !Vladre di Dio. Abbia1110 ordinato di ingrandire !'edicola secondo !a rornrn da noi indicata e di trasferire altrove la sncrcstia, che si trovava in un luogo n1olto scon1odOlJ (ibid., 335, 412). La 1nessa e le otTerle ciel !640 e la visita cd i inolti cloni del 1646 testinioniano della viva devozione dcl vescovo per la Madonna di Valverde. Da qui il suo interessmncnto per l'ingrnnclin1ento dell'edicola ed il trasferin1ento clc!la sacrestia.
La "Vera Istoria della Santa Maria Vergini di Valverde"
213
[p. 438] Fra li tanti innu111erabili 1neracu!i fatti di Nostra Signora Maria di Valli Verdi vi sono !i infì·ascripti videlicet 92 : Una giovinotta Gianna di An1ato fìglia di Francesco 9 -' di anni 8 della Città di Jaci Laquilia si precipitò nella gisterna di San Sebastiano lo vecchio9·1 affacciandosi in quella curiosan1ente et si annegò et stetti in quella 8 uri et 8 uri altri stetti fora della cisterna che in tutto stetti rnorta 16 uri, et trovata la 111atri et parenti portatila alla chiesa di Valverdi et untola con l'aglio della la111pa resuscitò; dcl quale n1iracolo in detta chiesa vi è un quatretto, et alcuni antichi n1i àn testificato saperlo di verità, et cossi è publica fa111a'> 5.
92 11 Gaelani, a conclusione del suo testo riguardante la Madonna di Valverde, 111ostra di sapere l'esistenza di una lunga serie di 111iracoli, cui pcrallro non fr1 specifico rìferin1cnto perché a suo dire avrebbe dovuto scrivere a riguardo un'altra !unghissin1a opera, nit1 che in effetti non cita in quanto non rispondenti all'i111postazionc generale dc! suo scrit!o. Salvatore da S. Girolmno presenta (pure lui alla fine della narrazione) una sequenza nun1crata di 12 «csc1npi)), ossia interventi rniracolosi._ dal titolo <11'\1iracoli e Grazie operale dalla Divina Pietà per n1ezzo della 1niracolosa in11nagine cli tvlaria Vergine sotto titolo di Valverde», seguita da una canzoncina cli 23 strofC (cfr L. SJ\J'lA, op. cit. , 123-150). Ne! nostro 1nanoscritto i 111in1coli, che sono I ! e non nu111~ rati, sono raccontati in n1odo scarno, senza co111111cnli e arnp!ilicazioni; non presentano titol<lzioni di testa e non sono seguiti, c0111e in Salvatore da S. Cìirolan10, da «Of'ferla e preghiera alla Vergine» (tcsli di dichiarata iinpronta devozionale); 111811ca infine la canzoncina cli chiusura. C'è da rilevare carne i prin1i cinque casi 1nir8colosi riguardino delle resurrezioni, sulla cui attendibilità è ovvio nutrire seri dubbi; due altri miracoli riguardano 111alaHic (cancro, paralisi); quattro presentano casi prodigiosi o straordinari (intercessioni e grazie varie). Per quanto riguarda i fedeli nliracolati rileviamo che tre sono di /'vfcssina, due di Catania ed uno rispettivmnente cli Valverde, ;\ci S. Antonio, Acireale. I! 1naggior nu1nero di 111iracolati 1nessincsi si potrebbe spiegare con un pili radicato e dilTuso culto della Madonna di Valverde: infatti a Messina giù sul finire del secolo Xli troviaino fondato un convento di n1onache di S. J\1aria di Valverde, dette pure suore della Nuova Penitenza. 0 -i Costituisce l'csetnpio pri1no di 1niraco!o riferito da Salvatore da S. Girolaino. 9.+ La vecchia chiesa di S. Sebastiano, costruita in Acireale nella seconda 111ctfl dcl 1400, sorgeva dove oggi è !a chiesa di S. Antonio di Padova. (Dcl vecchio edificio ri1nane soltanto il portale '111 stile gotico, cfr V. RACITJ ROMEO, Acireale e dintorni, cit., 117). Al 11101ncnto in cui scriveva il vicario tvlusrncci (!645) la fabbrica dell'a11uale basilica di S. Sebastiano, iniziata nel 1609, 1nancava ancora clcl!a volta dell'abside. 95 Nclt'esen1pio pri1no J'avvenin1ento prcscnw le seguenti differenze: I) il padre si chian1a Girolamo di J\n1ato; 2) la fanciulla rirnnnc nel pozzo 6 ore; 3) !a n1adrc va da sola «a piedi scalzill a Valverde a prendere l'olio della lan1pada; 4) non si fa riJeri1nc11to al «quatrettOJ), cioè all'ex voto. Il punto della chiesa dove erano collocati il prcscnle e tutti gli altri «quatretti)) non viene rnai indicato dal Mus1neci. Con ogni
214
Matteo Donato Una gintildonna Catancsa havendo partorito dui figlioli 111ascholi si
n1or-
siro subito senza baptcsin1096 . Adolorato il patre di ciò andò, intese le gran 111iraco!e, a Maria di Val Verde, prese dell'og!io et toccate !i ba1nbini con quello rcvi.sccrno, et si baptizorno. Co111parc il quatrctto del 1niracolo in detta chicsa'17 . Un giovane Vincenzo Barbagallo, figlio di Salvo, della città cll Jaci Sant' Antonio 98 si annegò nel fio1ni di Leontini, et trovato dal patre il quarto giorno portò il cadavere in Valverde, et posto lo innantc detta nostra Signora cli Valverde unto con l'aglio ben che fosse puzo!ento resuscitò. È n1iracolo vcrissi-
predicato da tutti, et vini è il quatretto in detta chiesa99 . Un figliolo di un Francesco Clarenza paesano stando ore setti n1orto unto con l'aglio resuscitò. Appare il 1niracolo in detta chiesaw11 • [p. 439] lJn<l donna venendo dalla Città di Catania verso Jaci a cavallo con un puttino nclli braccia 101 infasciato, per strata nel li sciari in un loco do111andato Scroppillo 11 i 2 , scantato il cavallo, cascò la donna con i! ba1nbino. Et posto il cavallo il piede ferrato sopra i! collo del puttino lo a1nn1azò, et livò la testa. La 111atrc videndo!o prese la testa, et postala al busto corsi alla chiesa di Nostra Signora di Valverde, et arrivata a detta Signora si adorn1entò, et resvigliata trovò il puttino vivo S<lno con una sirvietta al co!lo. Dita! stupendo 1niracolo vi ni è un 1110
probabilità saranno stati esposti in una parete prossi111a all "a!larc della lvlaclonna, n1a non è eia escludere che potessero essere collocati anche in sacrestia. 96 Costituisce l'ese1npio secondo cli 111iracolo riferito eia Salvatore da S. Girolan10, '!7 Nell'esen1pio secondo non si l"a rifcriinento al «quatretto» ex voto. n Costituisce l'esen1pio terzo di n1iracolo riJ'crito da Salvatore eia S. Girolan10. 99 Ne!!'cscn1pio l'avvcnin1ento presenta le seguenti differenze: I) è il figlio a chiainarsi Salvo; 2) elci padre non si conosce il non1c né si dice che è di Aci S. Antonio; 3) il giovane viene ritrovato due 111iglia lontano dcl posto clave era caduto; 4) non si t~t riferin1cnto all'unzione con l'olio: 5) sono citate tra i nu1nerosi ((testi1noni di viso» dcl nliracolo quallro persone; 6) n1anca, al solito, !a citazione del ((quatrctto)). 1011 Costituisce l'esc1npio quarto di 1niracolo riferito da Salvatore da S. (Jirol<1n10. In quest'ultiino il figlio rnorto «in età puerile» viene portato nella chiesa di S. Maria per esservi serollo. Manca il rifcri1nento al <(quatrctto». rni Costituisce l'esen1pio quinto di iniracolo rilèrito da Salvatore da S. Girola1110. Il Musn1cci, dopo aver rapidan1entc accennato al rniraco!o del piccolo Clarcnza, si soffern1a su questo rniraco!o con interessanti note personali. 102 Oggi la loca!itù si chian1n Sgroppillo, in territorio del c01nune di S. (Jrcgorio di Catania.
La "Vera Istoria della Santa Maria Vergù1i di Valverde"
21 5
quatreHo in detta chiesa si con1c io lo visto, et inteso/o predicare dal quondan1 Sacerdote teologo don Vicenza Clarenza 10-1 . Una signora della Città di Messina sentendo li gran 111iracoli vinni a detta Signora di Valverde con tutto il pccto 111anciato da un cancaro. Pastoie dell'aglio delle la1npe di poi di haverse svigliato si trovò sana. Questa signora si don1andava Ortentia 10-1• Un gioveni di la detta Città di Messina a1nn1utolito della paralisia, ontosi in detta chiesa di Valverde la lingua con l'aglio sanò, et li tornò la loquelarn5 • Un ba1nbino, figlio di un Antonio Guatcri, havendosi aglottito una spica, et si infennò stando per spati o di sei n1esi quasi per 111orirc. Intesi il patre et 111atri !i gran iniraco!i di Val verde venniro et preso l'aglio dalli !an1pi, et untate li reni del fanciullo fra il tern1ine di ore 24 sei i feci nel li reni una posteun1awr, et apertola uscio di quella la spica. Questo 111iracolo sta picto in chiesa di detta Signora in un quatretto 107 •
I! duca di Monte alto D. Cesare Mancata stando per n1orire 111andò la Signora donna Aloisia di Luna et Vegaill8 a prendere dell'aglio di detta Signora di Valverde, et essendole portato, unto detto duca col detto aglio, subito ebe la so vitaw9 .
Hn Ncll'csen1rio quinlo non si là riferin1cnto alla testa del ba1nbino staccata e riattaccata, né a! particolare della ((Sirvietla al collo», né al ((quatrctto» ex voto, né tanto meno alla predicazione di don Vincenzo Clarenza. 10 ~ Costituisce l'cscinpio settin10 di 1niracolo riferito da Salvatore da S. Girolamo. Nell'esernpio si fa rifcrin1ento ai fratelli che acco1npagnavano la donna, 1na non all'unzione con l'olio. 1115 Costituisce l'cscn1pio ottavo di 1niracolo riferito eia Salvatore d<1 S. Cìirolan10. Nell'cscn1pio, rnolto più articolato, si frt rifcrin1cnlo ai parenti del giovane, 1na non viene riportata l'unzione. 16 H Pustola. 107 Salvatore eia S. Girola1110 non riferisce questo 1niracolo. 111 '~ Cesare f\/loncacla e Pignatelli, principe di Patcrnò e duca di Montalto, discendeva da Guglielino Rai1nondo Moncada, che nel 1456 aveva co1nprato !o stato di Patcrnò. Dal 111atrin1onio con Aloisia Luna e Vega, nipote del vicerè di Sicilia Giovanni Vega, nacque Francesco Moncada e Luna, che nel 1572 successe al padre nella signoria. Dopo la inortc di Cesare Moncada donna Aloisia convolò a seconde nozze (cfr. S. Dr f\/1J\TTEO, Paternò. 1\love secoli di storia e di arte, Palerino 1976, 37~38). 1119 Anche questo 1niracolo non è narrato da Salvatore da S. Girolmno.
216
Molleo Donalo
[p. 440] La religione di Malta 1111 ìn una guerra, havuta la vittoria 111 con la intercessioni di detta Signora cli Valverde, li n18ndò un grosso dono, et dui balli, una di peso di 25 rotula di ferro et un'altra di peso 8, 15 rotula. L'ho visto io in detta chiesa dove al presenti 1645 sono detti palli 112 • Li torci che vi sonno state appesi allì trabi di detta chiesa refcritin1i da paesani et vistali io annotate sonno state n1ille, et tre cento, et quantità di qus-
trecti di detti n1iracoli et del li sudetti torciuni erano di peso di rotula 20 et 25 per ogn'una 1 1.1. Un Aro1natarid 14 Missinesi, che io so di causa scientia, stando facendo conservi, et apparate della botega in Sant' Antonio di questa Ciltà di Jaci cascò
110 11 tcnninc "religione" sta per ·'ordine''. Cndutn Rodi, ne! 1530 l'ordine degli ()spedalicri, i! cui non1c ufficiale è oggi Sovrano nlilitarc ordine gcroso!i1nitano di lVfalta. aveva ollenuto in feudo eia Carlo V l'isola di ]\~alta. 111 Il conflitto con i Turchi dì Soli1nano li ebbe il suo 11101nen!o dran11natico nel grande assedio dcl 1565. I Cavalieri di Malta, aiutati da 11u1ncrose spedizioni di soccorso tra le quali erano 1nilizie siciliane, opposero un'accanita resistenza agli assalti di J\!lustafft Pasei8. Durante l'assedio 1norì il corsaro Dragul (Dorghul), che dal 1556 era divenuto signore di Tripoli. Nel 1561, attaccando nove galere reali siciliane partile da ivlcssina e dire!le a Napoli, aveva catturato tra gli <.1ltri il vescovo cli Catanin Nicolfl ìvlaria Caraeciolo, che portò prigioniero a Tripoli: lo liberò nel 1562. dietro il pagnn1cnto di un riscatto di ben I 0.000 scucii (A. LONGI IJTANO, La parrocchia nello diocesi di Catania pri111a e dopo il Concilio di 7ì·ento, Palern10 !977. 72-76: ID .. // sinodo diocesano del vescovo di Catania ,1\lfcolo 1\ioria Caracciolo /1565}. in S~vnaxis 12 l19841 167-215). 112 !,e «dui balli>> pendevano incatenate alla «gn1ta di Jt::rro)) che recingeva !a cappella (vedi Salvatore da S. GiaconH)). Oggi si trovano nella navata sinistra presso il portale laterale c sono accon1pagnate dn una iscrizione su 1narrnodettata da Alronso Baldassnrc A. s.: «Libera e salva !'isola di fvfalta I dalle barbarie dcl turco invtisorc I ne! tuo no1ne potente I o Regina di Valverde I le due pnlle di cannone I sgon1inatrici delle trupre di Dragut Rais I a perenne ricordanza dcl prodigio I riconoscente e devota/ trofeo di gloria in1pcritura I volle aggiungere alla tua ricca coronti I nel 1565l>. Al testo (che in origine era dipinto su muro) in occasione della prin1a guerra 111ondiale Paolo Ricllo A. s. aggiunse: 1<Co1nc sernprc il bel suolo d'Italia I anche oggi proteggi I o rvlaria I 1917». La notizin dell'uccisione di Dragut ad opera delle due pHllc è presente in Salvatore da S. Girolaino, che narra l'episodio di l\1lalta non tra quelli 11u1nerati in sequenza, 111a poco dopo il n1iracolo de!lti traslazione del dipinto della Madonnu. 1 1 1. Con queste interessanti annotazioni viene n1on1c11tancaine11tc interroHtl la nnrrazionc dci 1niracoli. Giil sul finire della sua Istoria il Musn1eci si era so!Tern1ato a sotlolincare l'abbondanza di «quatrc1ti depinti» e di «intorci di gran valore» che pendevano dalle travi de!!a chiesa. 11 1 • L'aro1natario, che preparava medicinali e sciroppi, esercitava la professione su liecn?:a dell'università. La liccnzn non era un tilolo accadernico ma un semplice nulltt osla per l'esercizio de!!a professione (A. LONG!!Jl/\NO, Saggi di ricerca s11 J0111i
La "Vera Istoria della Santa Maria VergÌ11i di Valverde"
217
an11nalato a 1norte, et tale che le fcciro il tabuto 115 . Havuta la nova la 1noglie venni di Messina et andò alla Signora di Valverde et !a pregò che ci lo lassassc solan1cnte per un anno, et li lasciò un corsetto di asprino 11 r' guarnito di trizelti cli oro be!lissin10. Ebe la gratia et ci portò alla chiesa i! tabuto il quale io ho visto, et alla fini dell'anno si n1orsi 117 • lo D. Erasn10 Musn1eci vicario in eletta città di Jaci S. Philippo l'anno 1645 et lo scripsi qui per 111cn1oria 11 H Il sopradetlo racconto è verissi1110, e fu cavato dall'Antichi libri della chiesa di Nostra Signora di Valverde, et il sudctto vicario che scrissi il sopra detto racconto si n1orsi all'otto giorni che finì di scrivere i! quale lìni111ento fu nelle 21 di giugnetto et lui si n1orsi nel 29 Jel 1nedes1no ne!l'8nno 1645.
D. Vincenzo Reytano vicario Il sudetto di Reytano fu anche vicario in questa Malrice !'anno 1646 et 111orsi l'anno del Signore l653 11 'J.
Scélndura vicario
del! '.Archivio Arcivescovi/e di C'atania, in /11seg11a111enti e professioni. /, '1111iveristà di Catanf(I e le città della Sicilia, a curn di G. Zilo, Catania 1990. 55~103: 69). I l."i Cassa da 111orto. 11 <' Si tralla di una particolare ston~1. I! tcnninc ricorre in altri docu1ncnti dc!!'archivìo parrocchiale di Aci S. Filìppo. 117 Anche quest'u!tin10 1niracolo, che riguarda una persona di cui 'il ìvtus1neci affcr111a di avere diretta conoscenza («so di causa scicntia)) ), non viene citato in Salvatore da S. Girolan10. 118 Tcsti1nonianzn chiarissiina che lo scrivere «per 1ne1norin» del f\tlus111cci dipenda esscnzialincn!e dal vicario Clarcnza, cfa!le reliquie dei libri antichi e dalla tradizione sta ne! fritto che egli neppure accenni a!!a vicenda localn1cnte rilevante e di cui poteva dare dircita lestin1011ianza, relativa a grazie concesse dalla Madonna alla ciltù di Aci SS. Antonio e Filippo. Nel 1628, sanciltJ la costituzione di detta cillù, i giurati e ln gente dei due quartieri, considerando «1niraco!osa1nc11te ottenuta la separazione» da Aquilia (Acireale), si erano recnti in pellegrinaggio nella chiesa di Valverde in segno di ringrazian1cnto alla Madonna che eleggcvnno a ((Patronain 1\dvocatan1 Protectricc111 et Gubernatriccn1». li pellegrinaggio si ripeteva nel 1639 sen1prc in ringrazia1nento «della grazia concessalill della rinnovata separazione da Aquilia. Il silenzio da parte del J'v1usn1eci sui due pellegrinaggi può ascriversi ad 1111 aUeggin111cnto di prudenza o ancora ad un ril~1rsi a!!e direttive del vicario Clarcnzn che non aveva credulo degno di 1ncn1oria il pellegrinaggio di ringraziamento del 1530 legato al fr1ntasioso falso storico del ritorno degli a1nbasciatori acesi da Bruxelles (c1ì· tv1. DON1\TO. Valverde, cit., 27, 37, 39). 119 Nei docu111cnti di nrchivio della rarrocchia di Aci S. filippo il Rcytano con1pare coine vicario già dal 1642.
Matteo Donato
218
Et il sudetto di Scandura fu fatto vicario l'anno 1662 dal quondan1 cardinale Astalli e n1orse l'anno 1672 a 11 di Giugno 1:10 .
L'istesso giorno fu fatto vicario il sac. D. Eras1110 Scalia e si 1norse il 5 di Gennaio 1691 121 .
llo Nella sequenza rnanca il vicario Stefano Costanzo ( 1653-1658). Don Bartolo1neo Scanclura, inorto all'etĂ di 57 anni, con1pare con1c vicario di Aci S. Filippo gi;ĂŹ dal 1658. Il cardinale CatniHo Astal!i fu vescovo di Catania negli anni 1661-1663. 121 Il vicario Erasn10 Scalia, rnorto all'cL8 cli 76 anni, era pure canonico secondario della cattedrale di S. Agat<l. Con il 1691 h<1 tcrn1inc la sequenza dci vicari: a detcrn1inare la!e tcnnine concorrono la fine del fascicolo e lo sconvolgi1ncnto prodotto da! terren1oto del 1693.
Synaxis XVI/1 (1998) 219-281
TEOLOGIA E CATECHESI NELL'EPISCOPATO DI PIETRO GALLETTI LA CONGREGAZIONE DELLA DOITRINA CRISTIANA (CATANIA I735)
ANTONIO coco' - SONYA SOFIA ,
Quando si affronta il tema della catechesi ci si riferisce - com'è noto - all'insegna111ento della religione cristiana da parte di un 1ninistro competente della Chiesa•, Anche se, con il passare dei secoli, il metodo di insegna1nento e l'oggetto hanno subito vari ca1nbian1cnti, il concetto fondamentale non è affatto mutato, L'apostolo Pietro, primo ban-
ditore della "buona novella", sen1bra aver tracciato le grandi linee della catechesi orale, fonte pri1naria degli scritti neotesta1nentari; in seguito vengono a delinearsi, in ragione delle diverse esigenze di a111biente, particolari fanne o tipi di catechesi; n1a ciò che in1porta è far conoscere, dapprima in 1naniera son1111aria e poi in 1naniera se1npre più adeguata, la persona e l'opera del Cristo, le sue opere, la sua dottrina,
' Prol'essorc associato di Storia 111oderna alla Facoltà di lettere dell'Univcrsilà di Catania. ~~ Dottoressa in Lingue e lettere straniere. 1 Sul ten1a si veda: la voce Catechesi, in Enciclopedia cattolica, 111, CitLà dcl Vaticano 1949, 1094-1116; 1. DANIÉLOU - R. DU CHARLAT, lo catechesi nei prùni seco/;, Torino - Leumann 1967; Valori al!uali de!!a catechesi patrùtica, a cura di S. Felici, Roina 1979; Evangelizzazione e catechesi, a cura di G. Cancelli, Milano 1980; P. BRAJDO, Mo111e11ti di storfrt della catechesi e de! catechi.1·1110 dal Concilio di Trento al Concilio Vaticano I, Ro1na 1982·, A. ETCHAGARAY, Storia de!!a catechesi, Ron1a 2 I 983 .
Antonio Coca - Sonyo So,f;c1
220
Con l'organizzazione dcl catecu1nenato cristiano, il tennine ac-
quista un significato più ristretto,
in quanto si riferisce all'insegna-
1nento orale che prepara al battesi1no; successìva1nente, però, - dopo
che la diffusione della nuova fede raggiunse le cli1ncnsioni ben note, connesse al vasto processo di cristianizzazione - l'organizzazione de! catecun1enato non ebbe più 1notivo di esistere: l'istruzione prin1aria spettava adesso ai genitori e ai padrini; la catechesi preparatoria al battesimo lasciò il posto all'insegnamento post-battesimale. Nel medioe-
vo, con la rinascita della vita urbana e la "fonnazione" dei villaggi, l'istruzione catechistica era affidata ai sacerdoti catechisti; essa si svolgeva spccialn1ente la do111enica, nelle chiese e nelle scuole, secondo le varie indicazioni dei sinodi provinciali. A poco a poco essa si an1pliò non solo nell'articolazione degli argo111enti n1a anche - per così dire nello spazio, dato che si affiancò l'esercizio concreto della pratica religiosa. La riforn1n protestnnte servì - in una fase più tarda e "1noderna" - da stimolo per un'ulteriore e più profonda riforma della Chiesa. Si ebbe più lucida consapevolezza dei livelli d'ignoranza delle 111asse popolari2 e degli "abusi'' della predicazione. Con il Concilio di rrrcnto, infine, si avviò un i111portante processo cli cristianizzazione che ebbe lunga durata in età 111oderna. In tal senso va ricordato il ruolo che acquistarono i gesuiti per In loro incessante attività di riforn1a e, soprattutto, per il rie1npi111ento del vuoto profondo esistente in can1po catechistico. I testi co1npilati da loro trovarono infatti nel (~'atechisnlo Ro1nano, redatto per volontcì del concilio-', un punto di arrivo 111a, allo stesso ten1po, un punto di partenza ·1• Tra gli altri ordini religiosi, poi, i barnabiti 5 e i
2
La Sacra Scrittura era trascurala nelle chiese cnttedrali e nelle scuole pubbliche, nei conventi e nei 1nonastcri. Su questo aspello si veda L. L1\ ROSA, S!oria della c<rfeches; ;,, Sù:;/ia (secc. XVt-XIX), Lninezia Tcrn1e 1986, 55. ~Il titolo esatto ùcll'opern è Catecliismus ex decreto Conci/ii Tridenti11i ad porochos, fu co1npilato da una con11nissione di quntlro teologi insigni no1ninala da Pio !V e pubblicato ;1 Rorna nel 1566. Nello stesso anno fu pubblicata una versione italinJHL L'opera fu accolta con plauso universale e se ne fecero anche estraui e cornpendi ud uso dei fanciulli (C. TESTOHE, Catechis1110, in Enciclopedia calfolic({, cit., Ili, ! [ 181125). -l Sulla Con1pagnia di Gesi:J si veda la voce Co111pug11io di (]es!Ì, in Di::.ionllrio degli istil11ti di pe1fez.io11e, Il, R(nna 1975. 1216-1343, in parlicolnre il paragrafo "IX
Teologia e catechesi nel/' episcopato di Pietro Gnllel!i
221
fi·atelli delle scuole cristiane6 , considerando la catechesì tra i loro scopi principali, fondarono congregazioni religiose di catechisti, come quella dci Preti secolari della dottrina cristiana o la Congregazione laicale della dottrina cristiana dei "Vanchetoni", così chia111ati per la loro
aspirazione ad un con1porta111ento 111odesto. Oltre agli ordini religiosi, anche i sacerdoti di alcune diocesi si diedero da fare in questo clima di diffuso mutamento. Ricordiamo fra gli altri Castellino da Castello, sacerdote della diocesi di Como, che nel 1536 istituì la pri111a con1pagnia della dottrina cristiana che, ben presto, si diffuse in altre città dell'Italia settentrionale 7, nei castelli e nelle borgate. li secolo XVI è quindi il secolo d'oro della catechesi cattolica, che può fare riferimento a un testo ufficiale (il Catechismo Romano) e a iniziative private di grande diffusione (i catechis111i del CanisioN e del Bellannino''). Dalla fine dcl secolo XVII però e per tutto il secolo XVIII catechesi'', scriuo G. Gan1nù, 13 J 6-J 322; G. SOJV!/v!AVIU_,1\, La Co111pag11i(f di c;es!Ì da Sa11t'Jg11(fz.io o oggi, ìvlil:1no 1985. -' A.ivL Ell.Bi\, Chierù:i regolari di s. Puo!o. in f)iz.io11(!rio degli istituti di /Jl'1fez.ione, Il. cit., 945-974. 6 1\1.J\. HElUv!ANS, Fratelli delle scuole cristiane, in f)i;.ionario degli istituti di pe1fezio11e, IV, Ron1a J 977, 728-746. 7 Cenova, Vigevano, Verona, Piacenzn, P<1r111a, Lodi, Cren1ona, Varese. (Catechesi, in /~'ncic!opedia caf!o/ica, cit., J 112). ~ P. CANlSIO, Catechis1110 111aggiorc: S11111111a doctrì11r1e christionae (Vienna, 1555), ad uso delle persone colte e dci catechisti; Ca!echis1110 111i11i11111s: .Y11111111l1 doctrinae christiu11ae per q11aestioncs lradita et ad capt11111 r11dion1111 r1cco111111rHlatuc (lngolstadt, 1556), per i ranciulli ed il roroJo; Catcchis1110 111i11ore: Parv11!; catechiso1n1· catholicon"n (Colonia. !558), testo inlenncdio per la giovcntl1 studios<l. S. Pietro Canisio nacque 1'8 1naggio J 521 a Ni1ncga, hi principnle cillà della Chc!dria. Dopo aver fond;:ito h1 prin1a con1uni1h gesuitica in Cìerrnania, diede buona prova di sé negli an11i dcl Concilio cli Trento e fu 1nanclato dw Ignazio di Loyola <1!!'univcrsità bavarese di lngolstadl, dove iniziò la sun a!Livil~l di riforn1a. Egli fondò quindi vnri collegi fino nel arrivnre alla suprema cnric;:1 di provinciale dcJl'orclinc per ln Ccnnnnia superiore. Alla sua operositù di 1nissionnrio e in parie di diplon1alico, aggiunse anche uno dci pili eJTicaci slru111enli di istruzione, educazione e pro1x1ganda ca!!olicu, ossi<1 la S1011111a doctri11oe christianae, dcl 1555. Trnscorsc gli ulli111i anni della sua vita predicando. l\1orì il 2 ! dice111bre J 597 nel collegio di Priburgo da fui fondato. (A.J\1. LANZ, Pielro Coni.1·io, in E11cic/opedio cotto!ù:(f, cii., Ili, 1451-1452). 9 R. BELl.1\R/vJJNO, Doctri11a christùo1r1 brePt-: (1597). È appena il caso di ricordare che Robcrlo Bcllannino è figura cospicua della teologia dcl In controrifonna. Dopo aver studiato filosofia e letlcre ed essere entralo nel!a Con1pagnia cli Gcsl1, fu ordi nat·o sacerdote nel 1570 e gli furono conferili, nel te1npo, diversi uffici: n1crnbro della co111n1issione per la revisione della Volgata Sistinn, rel!orc del Collegio Rornano,
222
Antonio Coca - Sonya Sofia
la catechesi subì un processo di declino legato ad una perdita di valore, nella sensibilità collettiva, di ogni espressione parenetica connessa alla guida delle coscienze. Con l'illun1inis1110, infatti, si rafforzò la tendenza
a rigettare i dog1ni e le autorità che non potessero trovare nella ragione il loro fondamento. Solo nel XIX e XX secolo la catechesi subì un'inversione di tendenza, grazie pure al ristabilimento della Compagnia di Gesù (1814) e al sorgere di nuove congregazioni religiose. Una per tutte, i salesiani di s. Giovanni Bosco 10 • Ma cosa avvenne nel secolo XV!ll in Sicilia e, in pa1ticolar modo, a Catania? A questa domanda sarebbe molto più facile rispondere se le fonti non fossero così difficili da reperire. Persino sull'influenza esercitata dal Catechismo Romano, che sta alla base di tutta la catechesi, alcuni punti restano ancora da esplorare. Da qualche te1npo, però, si nota un particolare i111pegno nella ricerca della prassi catechistica. Dalle fonti disponibili apprendiamo che quel fervore educativo e 1nissionario, detenninato dal Concilio di Trento e dalla controriforn1a,
fece sorgere anche in Sicilia iniziative di rilievo. A Catania, durante la celebrazione del concilio, si deve al vescovo Nicola Maria Caracciolo la pri1na iniziativa organica di catechesi per i fanciulli c per gli adulti. Nel marzo del 1556 egli inviò una lettera circolare ai vicari della diocesi per invitarli a pron1uovere l'insegnamento del catechismo nelle chiese sacramentali. La lettera era accompagnata da una disposizione del viceré, che invitava i giurati delle cittcì a dare il proprio appoggio all'iniziativa del vescovo. Poiché a Catania non esistevano parrocchie con propri confini territoriali, in una costituzione dell'8 aprile 1556, stabilì i confini di quattordici chiese sacra-
consultore ciel S. Uffizio, esnn1inatore per !a nomina elci vescovi e infine crirclinale, entrando a far parte cli quasi tutte le congregazioni del 1en11xi. Non1inato arcivescovo cli Capua, dopo la n1orte di Cle1nenlc Vili e cli Leone Xl ( 1605), cnlrò in due conclavi c. nel secondo di questi (in cui fu eletto Paolo V). era tra i favoriti per !'elezione a! soglio pontificio. Trallenuto a Ro1na da! nuovo papa con1e suo consigliere, prese parte n tutte le pili grandi questioni religiose dcl suo tc1npo. ivlorì il 17 sette1nbre 1621, all'etù di 80 anni. Tra le sue opere, oltre alla Dof!rina cristiana bre\!e, ndottata u11iversnln1enle e adallatn, con aggiunte o 1nodifiche, in infinite edizioni fino all'inizio dcl nostro secolo, ricordian10 le celebri Control'ersie, possente stru1nento di difesa del cattoliccsin10 (A. PIOLANTI, Roberto Betlannino, in fc;"nciclopedia Co!!olic({, cit., X, 1043-1049). io R. ALBERDI - C. SEIVIERi\RO, Società sa!esù111a di s. Giol'<11111i Bosco, in Diz.ionario degli istituti di pe1fezio11e, V!!I, Ron1a 1988, 1689-1714.
Teologia e catechesi nel!' epi.l'CO/>alo di Pietro Galletti
223
n1cntali nelle quali dovevano riunirsi i ban1bini per il catechisn10. L'incarico dell'insegnamento fu affidato ai gesuiti del Collegio dell'Ascen-
sione, che egli stesso poco prima aveva fatto venire a Catania 11 • Dal documento del vescovo apprendiamo che era prevista la distribuzione di alcuni libretti a stampa, quasi certamente forniti dai gesuiti12. L'iniziativa fu attuata e da una lettera del p. Antonio Vinck a s. Ignazio di Loyola siamo informati che ebbe pieno successo''· Per l'istruzione degli adulti era prevista una forn1a di catechesi festiva consistente nella lettura e spiegazione dei "casi di coscienza". Si trattava di casj concreti, desunti dalla vita quotidiana, che per una soluzione o risposta esigevano l'approfondin1ento di un punto particolare della dottrina cristiana 1'1. Subito dopo la chiusura del Concilio di Trento, lo stesso vescovo Caracciolo, nel sinodo diocesano celebrato nel 1565, emanò altre disposizioni per l'istruzione catechistica dei fedeli 15 • Questa avveniva durante la 1nessa e consisteva nella ripetizione di forn1ulc e di preghiere che i partecipanti dovevano i1nparare a 111cn1oria 16 .
11 «T-fnven10 ordinato chi dicti figlioli cli cth di sei anni sino rilli Xli inclusive clebbiano ogni don1enicn et ogni iorno di festa comandata esseri conclucti cl n1inali ciaschiduno alla sun ecc!csia parrochia!i et in quella in1pararc 18 clecta cloctrina cristiana cl per 111aestri loro a questo cffcctu saranno li curali o c8ppel!;:1ni cli dec!i ecclesii parrochiali f ... ]. Vi si tran1ectino alcuni libretti slan1pali cli la dieta doctrina cristinna accioché sappiano in chi li habiano da istruire)> (A. LONGHITANO, La parrocchia nella diocesi di Catania prù110 e dopo il Concilio di Tre11to, Palcnno 1977, 57-58). 12 ARCH!VJO STORICO DIOCESANO, T11tt'Affi 1555-1556, rol. 240-24 I. IJ «A vanti la partcnzn del rcv.1no vescovo di questa ci!là per Ron1a si diedi ordine di insignnrc la dottrina cristiana alli figlioli di questa cin1 in 14 chiese. et la don1cnica si comn1cnsò con n10!1n satisfactionc et con!ctza clelli citatini di questa ci là» (tvl. CATALANO, Lt.1 fondazio11e e le pri111e 11ice11de del collegio dei gesuiti di C'afonia {1556-1574}, in Archivio Storico per lo Sicilia Orientale 13 [1916] 34-80: 74). 1 ~ A. LONGHITANO, La parrocchia, cii., 57-58. 15 «Sia ad111011ito e! <Jcln1inistratore di sacra1ncnti erudire In plebe di prcccp!i dela lege, rcn1en1orn11do!i splsso dcli articoli dc/a fede, cli sacn1111en!i dila Chiesa, con qualchi breve declarationi et dc la oratione dorninicn ditta el "Pater Noster"» (Io., Le costit11zio11e sinodali del l'CSCOFo di Cata11ia Nicola Maria Caracciolo [ 1565/, in Svna.ris 12 [1994] 167-215, rubrica art. 83 "Circa quale cose principalmente cl pnrroc.chiano deve erudire sua plebe"). 16 «Ordina1no a tutti sacerdoti chi ogni clo1ninica et festa con1anclala infra li sollenni del!n 111issa, secondo chi Dio ci concedirà, lo quale sole dare Ja gn1tia sua et con
224
Antonio Coco - Sonya Sofia
li vescovo Giovanni Torres, nel sinodo del 1622, raccon1andò ai sacerdoti e ai parroci delle chiese sacran1entali di istituire [a confrater-
nita della dottrina cristiana, i cui 111e1nbri dovevano condurre i fanciulli dal parroco nelle do1neniche e nei g1orn1 di festa e aiutarlo a istruirli
nella religionc 17 . Su questa stessa scia si pose il vescovo Michelangelo Bonadies nel sinodo del 1668. Richiamandosi alle norme del Concilio cli Trento, ricordava ai parroci e ai cappellani sacra1nentali il dovere cli insegnare la dottrina cristiana secondo il metodo del Bellannino 18 • Allo stesso tc1npo li eso1tava ad erigere la congregazione della dottrina cristiana 1'J. Per incoraggiare i parroci e i cappellani sacran1entali ad attuare questa
n1olla virtl1 a quelli chi predicano lo cvangelio suo S'1nto, debiano explanare '11 popolo lo evnngclio con carilù el simplicità <le cori, cl quelli s:Jcerdoti che sono ig1iorn11ti iinparino dn li sacerdoti eruditi, cl hahiano la cxpositione ciclo cvnngclio in volgare, et rclèriscano quelli cosi quali su utili al popolo, cl declarnto chi hnviranno lo evnngclio secondo che Dio ci havirà concesso, dcbiano prononti<1rc la or!llione clo1ninica pri1na in btino cl in volg<lrc !ingu<'l: "Pater noster", "Patre noslro" et di poi cossì 1neclcs1no la snluLalioni nngclica dicendo: "Ave IV1nria" cl lo si1nbolo de li !lpostoli: "'Credo in Dcun1", "Credo in Dio" et li dechi prccclli: "Unu1n cole Deurn clc ... ", "Adorn uno solo Dio etc ... " et !a confessioni generali clichcndo: "lo n1i confesso a lùdio etc ... " et acl1noniscano ancora li loro parrocha11i che scn1prc se l'acino lo signo de la snnta croce: "In no1ni11e Palris et Filii cl Spirilus Snncti. An1en"» (ibid., art. 102: "Chi li sacerdoti adn1inisLrntori tulli li giorni cli fcsli clebiano cleclarare lo cvangelio ala ecclcsia"). 17 «Parochis ac sacraincnlnliu111 ccclcsiaru1n praerectis huius rei curn1n 1naxi1ne con1111enùa1nus, cosque cnlxc roga111u1; ul in suis quisque ccclesiis cloctrinne christinnac sodaliliurn instituant, in quo qui adscripti fuerinl id n1uncri suscipienl ut don1inicis fcstisque diebus p!lrochun1 dive curntun1 in hoc snluberrin10 docencli rnunere adiuvent>) ( Ca/({ne11.1·is Ecclesiae s_vnodu.1· dioecesnnn ab il/11stri.1"si1110 e/ re1'.1110 [Jo111ino loanne [)e Ton·es ()ssorio episcopo Cata11c11si celebrala, Militc!li 1623, c<ipilolo VI, "l)e Doclrina Christiana", !45-147). 1 ·~ «Nos igitur per ciusden1 Conci lii tutissi111t1n1 iter noslras oves cluccre cupicntcs, idcrn eiscle1n curalis enixe inculcmnus, insupcr aclclcntcs, ut sallein dicbus do1ni11icis post prandiun1 parochiac suae finibus content!ls ca1np<1nu!is per regionc1n 1nissis stala horn ipse parochus, seu cape!lnnus aul nlius sncerdos per i!luin ùcputnndus nel tc1nplun1 pucros et puellas convocet, ibique nel 111inus per [1onun eos prin1is fidei cloctrinis i111buat [ .. l quod raci!c cl non sinc niagno rructu assequctur si doctrinac christianae tradcnclae 1nethodun1 ab c1nincnlissi1110 Bel!annino cdit:.1111 rarniliarcn1 sibi redclab) (ìvl. BON1\ DIES, l)ecreta in pri11cipc dioece.1·t1na s1·11odo, Calnnae [ 668, I 0- l 1 ). 19 «Et quiden1 adeo nobis csl cardi tani piurn el fructifcru1n 1nunus, ul 1natris ecclesiae pr<iefcctis iniungere deccrna1nus, ul in ca quisquc christianne doctrinac sodalitiun1 institual, in quo nonnisi boni 1101ninis clerici et secularcs acl docencln initia fidci idonei acl1niltantur, quonm1 pnrs don1inica ùie nb ipson11n superiore acl ndiuva11du1n illurn curatun1 scu capellnnun1 in tmn snluberri1no officio, pars nel aliu111 et aliu111 distribu!l!Ur» (/. c.).
Teologia e catechesi ne!!' episcopato di Pietro Galletti
225
iniziativa ricordava le indulgenze concesse da Pio V e da Gregorio XITI ai soci di queste congregazioni. Le norn1c di questi sinodi troveranno piena attuazione solo dopo il 1721, quando a Palermo, durante il governo dell'arcivescovo Giuseppe Gash, sorgerà la Congregazione della dottrina cristiana :w, che in breve tempo dalla capitale si diffuse in altre città della Sicilia''. La nuova istituzione non sen1pre e ovunque ebbe pari vitalità a causa della scarsa preparazione del clero, che a volte non si trovava nelle condizioni di co1nbattere l'ignoranza e la superstizione popolare. Fra i vescovi che si in1pegnarono 111aggionnentc bisogna ricordare le grandi figure di Girola1110 Palcnno a Mazara, Lorenzo Gioeni ad Agrigento, Carlo Mineo a Patti e Francesco l~esta a Monreale. Quest'u Jtin10, in particolare, per unifonnare l'insegna1nento della dottrina nella sua diocesi, pubblicò un catechis1110 in lingua siciliana (tratto da quello ron1ano), che già nel 1770 giunse alla terza edizione 22 • Anche Salvatore Ventimiglia'\ vescovo cli Catania dal 1757 al 1771, constatata la 1nancanza in Sicilia di un con1pendio della dottrina
2 ° F. ALBANESE, Cenni storici sulla Co11grcgazio11e della [)ottrino Cristiano di Pa/enno intitolata al/({ prese11tozio11e di Maria SS. al /e111pio, Palcnno l 9 J O, 8. 21 Alln congregazione di Palern10 furono aggregnte quelle sor!e nei cornuni di "Tern1ini, Nicosin, Taor1ninn, Mazara, l\1arsala, Alcaino, Catania, Chiusa, l\1onreale, Monte S. Giuliano" (ibid., !O). "Tu!te le Congregazioni fondate nelln Diocesi del Regno, tutte riconoscono con1e madre la congregazione cli Pa!enno, dalla quale hanno ricevuto le regole, le istruzioni, il fervore e lo zelo" Ubid., 14). Sulla congregazione cli Palcrn10 si vedano anche L. LA ROSA, Storia de//({ cntechesi, cii., 153 e G. DI FAZIO, S({/votore \le11tù11ig/ia e il ril111ovf1111e11to de/fu catechesi 11e/l'ltalia del Settecento, in Orie111l111u'nti Sociali 1 (198!) 63-102: 67. 22 F. TESTA, Ele111e111i della dottrh1a cristiana esposi i in lingua siciliana ad uso della diocesi di A1011rea/e, 1764 (prin1a edizione). Secondo Tcsln la catechesi avviene solo ornhnente. In ml senso l'attenzione è rivolta a due tipi di pubblico: i lettori istruttori, alfabelizzali e bilingue, che trovano nel testo i contenuti dn lras111cltere (scritti in siciliano) e le istruzioni sul n1odo in cui usarli (scritte in ilaliai10); e gli ascoltatori analfabeti e n1onolingue che entrano in contcitto col catcchisn10 In.unite la parola del lellore. Per l'episcopato dcl Testa il punto di partenza è costituito da G. MILLU?Zl, Storia del se1nù1{1J'io arcive.1·c0File di A1011reale, Siena 1895, J 36-186. 2-ì Salvatore Ventiniiglia nacque a Palenno il 15 luglio 1721. Dopo aver compiuto i suoi studi presso il Collegio Carolino di Palenno retto dai gesuiti si recò in Calabria per tentare un'esperienza di vita conlen1plntiva. Ricntrnto a Palcnno fu prescelto con1e vicrn·io generale dal vescovo l\1arccHo Papiniano Cusani. Nel 1757 ru nominato
226
An.tonio Coco - Son.ya Sofia
cristiana in "lingua siciliana" adatto alle nuove esigenze dei te1npi, pubblicò un suo catechismo e fece di tutto per favorirne la diffusione". lstituì, quindi, una congregazione di "preti operai" con il compito di istruire i fedeli nei quartieri della città e nei comuni della diocesi. Il Ventimiglia con il suo catechismo fece un notevole passo avanti rispetto ai suoi predecessori, che erano rin1asti ancorati alla prassi tradizionale dci gesuiti e avevano fatto adottare - ancora nella pri1na 1nctà del secolo XV!ll - il Catechismo Romano del Bellarmino (sia pure tradotto in lingua siciliana per facilitarne l'apprendimento ai fanciulli). In questo senso possiamo dire che l'iniziativa del Ventimiglia si colloca perfettan1ente nel periodo dell' "illun1inis1110 riforn1atore", che caratterizzò la Sicilia del XVIII secolo. Il Ventimiglia era stato preceduto nel governo della diocesi di Catania da Pietro Galletti", che aveva ereditato dai suoi predecessori
vescovo di Catania e rivolse la sua attenzione alla cura dcl se1ninario e del!'universilà. Fra i suoi principali i1npegni pastorali c'ern la pron1ozione della catechesi e delle opere di carità. Nel 1772 il Venti1niglia rinunciò al vescovado di Cataniti, ina i n1otivi di tale decisione non sono 1nolto chiari: alcuni ritengono che le di1nissioni siano state provocate dai contrasti con !e autoiità cittadine, che non gli consentivano di svolgere il suo 1ninistero serenrnnente, nitri alle sue idee gianseniste o alla SU<l vocazione per la vita conten1platìva. Dopo le di1nissioni Salvatore Ventin1iglia fu non1inato arcivescovo titolare cli Nicon1eclia e inquisitore generale. Negli anni '80 si ritirò a vita privata facendo dono all'universitù di Catania della sua vasta biblioteca. Morì 1'8 aprile 1797, pri1na di cornpiere 76 anni. Sul Ventin1iglia si veda: S. Z/\PPALÀ GRASSO, kle111oria inton10 a!!e più cospicue azioni di 111011s. SahY1tore Ve11ti111ig/i(I, Palenno 1797, 8-10; G. Dl FAZIO, Safv(lfore Ventifnig/i(I, cit.; P. SAPIENZA,// 1·i/a11cio de{ se111i11ario di Catanio durante l'episcopato di A1011s. Salvatore Ventùniglia ( 1757-1772), in Sy11axis 7 (1989) 329-372; A. LONGHITANO, Le relazioni "ad li111ina" de!/(I diocl!si di Catania (1762), in s,,noxis IO (1992) 315-418. 24 S. VENTJM!Gl.IA, Co111pe11dio della l)oftri11a Cristiana ricavato do/ C(lfechis1110 ro1110110 e disposto in !i11gt1a siciliana (1761 pri1nn ediz.). Questo testo è concepito nella forn1<l sintetica cli don1ancle e risposte al fine di rendere più facile !a n1en1orizzazinne. 25 Pietro Galletti nacque da farniglia nobile a San Ca!nldo il 27 o\lobre 1664. Dopo <lVer con1piuto gli studi nel collegio dei gesuiti di Palerrno, si trovò costretto a lasciare la Co1npagnia di Gesù a causa delle sue non buone condizioni di snlute. Fu ordinato sacerdote a Palerrno il 3 rnaggio 1692 e no1ninato parroco di Sant' Antonio al Cassero nel 1703. Ebbe anche altri incarichi: teologo nel Tribunale della regia n1onarchia, vicario capitolare a Monreale (1703) vicario generale a Patti (!706) e irH]Uisitore provinciale dal 1713 al 1720. Il 27 agosto 1729 presentato dal re corne vescovo cli Catania; 111a dnl 1739 al 1742 fu obblignto a trasferirsi n Palenno per esercitare l'ufficio cli inquisitore generale di Sicilia. Morì il 6 aprile 1757 (A. LONGHITANO, Le
ru
Teologia e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
227
una situazione dra1111natica: dopo la controversia !iparitana 26 la diocesi era rin1asta senza guida o perché i vescovi non avevano raggiunto la sede o perché erano 111orti pri1na ancora di iniziare l'attività pastorale. Il Galletti sapeva che la città aveva bisogno di una "ricostruzione" 1natcriale e 1norale 111a, nonostante il raggiungi111ento di alcuni traguardi di rilievo", il suo governo pastorale fu contrassegnato da notevoli difficoltà; a parte le critiche di diversa natura che furono 1nosse alla sua azione pastorale 28 , fu soprattutto il 111ode!lo anacronistico della sua 111alrice culturale - quella gesuitica - e della sua formazione complessiva che lasciano perplessi gli storici. Nella formazione intellettuale del clero, ad esempio, moltiplicato e riunito in collegiate 2'> per una sua concezione di Chiesa forte e organizzata, il (]alletti riproponeva i vecchi n1odcl!i che si rifacevano alla scolastica e alla controrifonna. In questa situazione, nel sen1inario reloz.ioni "ad li111i11u" della diocesi di Catania ( 1730-J 751 ), in Syna.n's I O [ 199 l J I 30-
132). 26 Sulla controversia liparilana si vedano !e indicazioni di base, <111che bibliogr:;d-"icn1nente pili aggiornale, di A. LONGHJTANO, Le relazioni "ad lù11i11a" della diocesi di Catania (1702-1717), in Syna.Yis 7 (1989) 127-288. 27 Tra i trnguardi di rilievo ricorùiwno: !'esecuzione parziale dcl prospetto delln caLtedralc (V. L!Bll.ANDO, li "ri111arc(/bile q[farc del prospet!o" 1'accari11ia110 della cottedrole di Co!ania, in Scritti in onore t/; (Jtta\lio /vforisani, Catania l 982, 379-4 J 4 e G. POLICASTl<O, Catanio nel Sellecenlo, Catania 1950, 262-284) la costruzione della sede per l'archivio storico, l'arricchimento interno (decorazioni e arredi) della C<ltledrale e il cnn1pletainento della costruzione del se1ninnrio, i cui locnli verranno nn1pliati pili lnrdi d<1l Ventin1iglia (G. POLJCASTRO, li se111i11{11·io r11·ch esco!'i!e di Ca!onia, in Archivio Storico per lo Sicilia (Jric111ale 44 [1948] 53-85; G. ZITO - C. SCAUA, Fonli per la storia della diocesi di Calanio: l'archivio storico del se111i11ario, in Syna.ris ! I! 983] 1
295-313). 2 ~ I! C1al!elli
ru
accusalo di calunniare i predecessori descrivendo negaliv<1111enle - n forti tinte - lo staio del In diocesi; di pretendere nelle visi!c pnslorali esagerate proc11rationes (n1odiche son1n1e a titolo di ri1nborso spese); cli obhlignre gli interessali, nei processi penali contro alcuni sacerdotì, a dichiar<lrsi rei per applicnre una pena pecuniaria in luogo dcl carcere; cli 1naltrallare i 1nendicanli in vescovado: di sperperare il patrin1onio della cat!edrale; CATANl1\ Af{Cl-llVJO CAPITOLO CA'lTEDRALE, Co11/rOl'(:'rSÌti gi11risdiz.io11ale tra il Rel'.1110 Copilolo della Santo Chiesa Ca1tedrale di Calaniu con l'J!l.n10 D. Pietro Gallct!i \lcscol'O di delta per alcune grafie ed cse111io11i occordatc ul Capitolo dello C'of!eggiata di !aci Reo/e ntfl'anno 1731, J82v-183r. Trn gli storici catanesi solo i! Ferrara sernbra ri1enere infondate le suddette accuse (P. FERH1\J{t\, Storia di Catania sino alla //"ne del stc. XVI/, C<llania 1829, 240-241). 29 L'elenco clelie collegi<Jte esistenti nelle diocesi di Catrn1i·a negli anni dell'episcopato Gallettì si trova in A. LONGH!TANO, La parrocr:hio, cit., 134.
228
Antonio Coca
Sonya Sofia
di Catania non potevano entrare i nuovi fcnnenti culturali presenti 111 altre diocesi della Sicilia. Nel 1752, quando il Ventimiglia descriverà le tristi condizioni in cui versava la diocesi, assien1c al nun1ero eccessivo del clero, farà rilevare il suo decadimento morale e intellettuale. In una fase storica che segna la svolta tra l'eredità della controriforma e la cultura "moderna" dell'età dei lumi, il Galletti, per la sua formazione e per Pazione pastorale ispirata a 1nodelli "datati", si colloca dalla parte "debole" (ricordiamo l'espulsione dei gesuiti nel 1767), nell'ambito di una tradizione che già 1nostra i pri1ni sinto1ni di sfaldan1ento. E tuttavia il Galletti è spinto - per inti111a convinzione - ad interessarsi non solo all'aggiorna1nento teologico dc! sacerdote (ricordia1110 al riguardo che fra i punti di fOrza del suo progra1nn1a pastora le vi era lo studio dei casi di coscienza che con espressione altisonante chia1na "scuola di teologia n1orale") Jo, 1na anche alla fonnazione cristiana dci fedeli, spesso abbandonati a se stessi e disaffezionati alla pratica dei sacran1enti. Egli, quindi, non solo pro1nosse n1issioni popo!ari11, 111a diede anche in1pulso a scuole di catechisn10. L'esperienz(l di parroco acquisita a Palern10 lo spinse a fondare anche a Catania nel 1735 la Congregazione della dottrina cristiana, 111unita di nonne statutarie per regolarne la vita e l'azione. La copia 111anoscritta degli statuti originali della congregazione di Catania, che qui pubblichian10, è conservata presso l'Archivio storico de! sen1inario arcivescovile ed è intitolata Regole, Istruzioni e (~'a;Jitoli,
che si prescrivono per osservarsi inviolabilmente dal/i RR. PP. della Venerabile Congregazione della Dottrina Cristiana, jimdata in qoest" città di Catania nell'anno del Signore 1735 [. ..]. Essa ha forma di qua-
_ìn Il Galletti n1irava ad istruire il clero sulla teologia 1non1lc per rar si che fosse agevolato il co1npito del confessore nei confronti ciel penitente, lenendo conto dei cli versi casi possibili cli co1nportarnenlo. Egli no1ninò corne "lettori" i gesuiti e, in n1ancanza cli questi, clen1enti capaci e cornpetcnti di altri ordini religiosi (A. LONGH!TANO Le relazioni.. [ J 730-1751], cit., 15 ! ). 11 Sulle 111issionì popolari si vedano: A.FLICHE - V. MARTJN, Storia dello Chiesa, X, Torino 1976, 235-252; H. JEDIN, Storia de/In Chiesa, IV, rvtilano, 1975, 584600; 242-259; A. GUIDETn, Le 111issioni popo/ori. I grllndi ges11i1i itolù111i, !Vl i !ano 1988; G. DE ROSA, Linguaggio e Fito religioso {/!frrn'erso le 111issioni popolllri dcl A1ezzogiorno 11c// 'età 111oden1a, in Orie11f{l/l/e111i sociali 2 ( l 98 ! ) 7-37 ora in \lesco1•i popolo e J1/{1gia nel Sud, Napoli 1983, 195-226. 1
Teologia e catechesi nell'episcopalo di Pietro Calie/li
229
demo, privo di copertina, di dimensioni cm. 19,3 per 14 le cui pagine (da I a 89 recto e verso+ 5 in bianco) sono legate insieme da due lacci
di cuoio che, dopo più di due secoli e n1ezzo) sono natural1nente fì·agili e logorati. Nonostante le 1nacchie di inchiostro e le pagine ingiallite e scolorite, ci è stato possibile trascrivere integraln1ente il testo e, per renderne più facile la lettura, abbiamo preferito sciogliere le abbreviazioni più difficili e adattare il più possibile a criteri 111oderni le 111aiuscole e la punteggiatura. TI n1anoscritto è inedito e viene pubblicato integra!Jnente in appendice non solo per renderne possibile la consultazione senza danneggiare l'originale, n1a soprattutto per 111ettcre a disposizione degli storici una fonte preziosa per lo studio dell'azione della Chiesa fra il periodo della controriforma e l'età dei lumi. La congregazione di Catania - con1e tutte le altre nate sul 1110dello paler111itano - fu fondata per combattere l'ignoranza religiosa e favorire l'insegnamento dei principi della fede all'infanzia. Tale co111pito era affidato ai sacerdoti-n1en1bri, i quali ogni giorno dovevano alternarsi nelle strade e nei cortili della città. Entrare a far parte della congregazione non era facile; si ha l'i1npressionc che il Galletti rendesse pili accessibile l'ordinazione sacerdotale che non l'ingresso nella congregazione. I sacerdoti che volevano aderire ad essa erano soggetti a rigida selezione e, solo se an1n1essi al noviziato, avevano sci 111esi di te111po per dare buona prova di sé ai "n1aestri di novizi". A111111essi in congregazione, i nuovi padri avevano l'obbligo di vestire in 111aniera adeguata, evitando di portare i capelli lunghi, l'abito crnto" e l'anello al dito (segno di vanità); dovevano evitare di giocare a ca11e o a dadi e cli partecipare a rappresentazioni teatrali, salvo che non fossero sacre rappresentazioni alle quali non partecipavano donne. l\1tti i sacerdoti dovevano, inoltre, "venerare" e rispettare i! padre prefetto (rappresentante di Cristo) e obbedire ai superiori che lo sostituivano in caso di assenza. JI prefetto era il custode delle "regole", a lui spettava il con1pito di farle osservare e, allo stesso te111po, il divieto di ca111biarle
-' 2 L'nbito corto era pennesso solo fuori cillà in periodo di villeggiatura (Regole, e i,* X).
230
Antonio Coco - Sonya So_fia
o interpretarle per evitare che venisse n1eno il credito verso i padri fondatori. Il prefeilo era al vertice della gerarchia che vigeva all'interno della congregazione, seguivano gerarchican1ente: il padre 111aestro di novizi, il 1ninistro, il sotto-1ninistro, il segretario e, infine,
gli intènnieri, i sagrestani e i portinai. Chi non aden1piva i propri doveri era "processato" da una consulta, convocata anche quando bisognava prendere decisioni importanti o per l'elezione dei superiori; per queste riunioni era previsto un cerin1011iale adatto. Ogni venerdì - ad eccezione del venerdì santo, del venerdì dell'ottava del Corpus Don1ini e del venerdì in cui ricorrevano i festeggia1nenti in onore di s. Agata, le processioni o le feste di precetto - i padri erano obbligati a riunirsi in congregazione per nleditare e pregare; negli altri giorni della settin1ana dovevano "insegnare" la dottrina nelle strade e nei cortili della città _ì_t e, in tempo di quaresima, nelle chiese. L'inscgnarnento durava un'ora e co1ninciava circa due ore pri1na de! tran1onto del sole: dalla chiesa parrocchiale partiva una processione, alla quale erano invitati ad unirsi i fanciulli "della dottrina"; giunti nel luogo prescelto, le fanciulle erano affidate ai preti più anziani e i fanciulli ai più giovani, a gruppi di quattro o cinque. Ogni padre iniziava l'istruzione sul testo, facendo i1nparare le do1nandc e le risposte; non si andava avanti fino a quando tutti non le avessero bene i1npresse in 1nente-1 ~. Il giorno seguente l'istruzione doveva ricon1inciare dal punto in cui era interrotta. fn ogni contrada !'insegna1nento doveva durare fino a quando l'istruzione dei fanciulli non si fosse co111pletata; potevano confessarsi e accostarsi alla con1unione solo coloro che erano giudicati "idonei". Da quanto si è detto, si può notare che il metodo seguito dal catechista si fondava su una fiducia illin1itata della fonnula in1parata "a nie1noria". li fine prefisso era quello di ripetere n1eccanican1ente ciò
Tl L'insegnan1cnto della dottrina subiva una interruzione dalla rest<l del Corpus Do1nini a!l'oU-ava; dalla don1enica in albis fino all'ascensione; dnl lunedì santo al giorno di pasqua; g!i ulti1ni tre giorni in cui viene festeggiata la pntrona s. Agatn e i 1 giorno di nalale (Regole, c l, §XV). JI La prinut don1anda è: "Siti vui cristinnu?"; e la risposta: "Ci sugnu pri grnzia di Diu" (Regole, "Metodo per la istruzione de' Figliuoli che s'istruiscono nelle strade o cartigli", § IJI).
Teolog;a e cateches; nel/'ep;scopato e/; Pietro Gallett;
23 I
che era contenuto nel co1npendio, senza preoccuparsi eccessivan1cnte di spiegare il significato delle parole; dovevano considerarsi soddisfatti quando tutti le avevano imparate a memoria. È da notare inoltre che, dato il forte tasso di analfabetismo, la lingua usata era quella siciliana, per far sì che gli elementi della dottrina diventassero patrimonio stabile di ogni fedele. Niente di originale, quindi, rispetto alle iniziative catechistiche delle altre province siciliane, né per il metodo seguito dal catechista, né, tanto meno, per il testo cli dottrina utilizzato. Per concludere, dopo aver illustrato l'azione per l'istruzione dell'infanzia e per l'aggiornamento teologico dci sacerdoti, vogliamo accennare alle altre iniziative pastorali del Galletti. Una delle sue prin-
cipali preoccupazioni riguardava la riforn1a dei 1nonasteri fen1111inili, che non sfuggivano alla situazione generale di crisi della diocesi. Egli pensava di ottenere buoni risultati inviando i padri della Compagnia cli Gesl1, per tenere corsi di esercizi spirituali secondo il 111ctodo ignaziano. Se111bra che il Galletti abbia ottenuto un certo successo con un'attenta
azione di controllo e di vigilanza sull'a1111ninistrazione dei beni ecclesiastici; scriveva infatti a Ron1a che egli era riuscito a recuperare son1me di denaro, considerale già perdute dagli amministratori locali. Infine si può ragionevoln1ente supporre che egli sia riuscito a far riaprire il monte di pietà (istituto finalizzato a combattere l'usura attraverso la concessione di prestiti su pegno alle classi meno abbienti)", che a Catania aveva avuto un'esistenza precaria. L'azione di governo del Galletti andò incontro ad un progressivo decadimento dopo la nomina di inquisitore generale di Sicilia (quando fu costretto a trasferirsi a Palermo) e per le sue precarie condizioni di salute, che non gli permisero più di controllare l'operato di collaboratori inaffidabili.
Cilt~t
35 Sul tenia si vedn G. CONIGLIO, Monti di pietà, in Enciclopedia caftolica, Vili, dcl Vaticano 1952, 1378-1380.
232
Antonio Coco - Sonya Sofia Appendice
Ad Maioren1 Dci Glorian1,
SS.n1ae Virginis Matris Lu1ninis, Sanclorun1 Ange!oru111 Cuslociun1, SancLi Josephi, Divac Agathac, 01nniu1nque: Sanclorun1 nostrac Congregalionis Protectorun1.
Regole, Istruzioni, e Capitoli, che si prescrivono per osservarsi inviolabihnente clalli Reverendi Padri della Venerabile Congregazione della Dottrina Cristiana, tOndata in questa Città di Catania l'anno dcl Signore 1735, salto titolo della Tn11nacolata Vergine Maria, la Madre del Lun1c, e sotto la protezione clelli
Angioli Custodi, e del glorioso Patriarca S. Giuseppe, della gloriosissin1a Vergine e Martire S. Agata nostra Concittadina e Padrona, e di lutti li Santi coll'autorità clell'Ill.1110 e Revd.1110 Mons.r Vescovo cli cletla Cillà di Catania D.n Pietro Galletti e ciel Rcvcl.1no Sig.r D.r D.n Giovanni H..izzari suo Vicario Generale.
Capo I Ten1po, Obligo, e Luogo della Dottrina prescrilla ai nostri Padri. §I Il fine cli questa Santa Congregazione si è J.'attendcrc con particolar Cervo re, e diligenza alla [2} buona educazione dci Fanciulli e Fanciulle delta nostra Cittù di Catania con estirpare dalla niente elci fedeli la pcrniciosissi1na ignoranza elci Misteri di nostra Santa fede Cattolica Ro111ana, essendo una tale ignoranza il fonte, cd Origine di tutti i vizii e n1ali costurni nel Cristianesin10, con1c se ne piangono tutti li Santi Padri.
§ 11 Per conseguirsi un fine si alto, e di tanta gloria di Dio nostro Signore e salute delle Anin1c eia lui redente, si è stabilito, che tutti i Reverendi Padri di nostra Congregazione ogni giorno alternativan1ente debbano rare la Dottrina Cristiana nelle Strade, e Corligli della nostra Città lCrn1anclosi in ogni Panucchia presasi ad istruire tanto te111po, quanto sarà d'uopo per estirpare la ignoranza, aJ istruire li fanciulli, e f<inciulle di essa.
Teologia e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
233
§III Per htcilitarne la prattica, e togliersi ogni Confusione in una opera si gloriosa, si stabilisce, che tutti i Padri professi, con1c rncglio li verrà con1n1odo, sc1nprc pcrù con dispensa del Padre Prefetto, sian10 tenuti sciegliersi un giorno della Scuin1ana in cui dovranno fare la Dottrina in1prctcribilrnente; E se saranno Jegiti1na1ncntc i1npcditi, ne dovranno dare la scusa al Padre Prefetto per esa111inarc la !egitin1azionc, li Novizii però, e Perseveranti sono [3] obligati in tutte !e Feste; Bcnchè li Perseveranti non possano rare Dourina nelle Strade, e Cartigli, 111a sol nella Chiesa occorrendo necessità. Si frH"à sen1prc la Dourina nelle Strade, e Cartigli in tutti i te1npi, ina nei giorni festivi, e Do1nenichc, oltre i Cortigli, e Strade si dovrà lasciare una copia di Padri nella Chiesa Parochialc se vi sarà opportuna Co111111odità cli farsi. Nel tc111po però di Quaresi1na si osservi quanto a suo luogo sarà prescritto. § IV In tutli i giorni dell'anno, cd in tutte le Stagioni l'ora della Dottrina
incon1incierà scn1pre ad ore 22 e tennincrà ad ore 23 - nelle Strade, e Cortigli, e nelle chiese in ten1po cli Quaresi111a, toltone le Chiese Parocchiali, nelle quali potrà farsi più innanzi secondo la opportunità delle Circostanze di detta Chiesa richiederà. Si dovranno radunare i Padri nella Chiesa Parocchiale, o altra, se sarù quella in1pcdita, trovandosi ivi puntuahnente tutti i Dottrinanti di quel giorno poco pri1na delle ore 22 e eia quella usciranno a' due a' due col berello in capo in forrna
cii Congregazione, n1a nei giorni resti vi precederà un Padre che porta lo Stendardo, !41 cscn1plare silenzio, racco-
al quale sieguono i Padri con singolar 1nodestia, cd
gliendo i t~tnciulli per le Strade ove passano, invitandoli con fan1igliare allegrezza alla Dottrina, e giunti al luogo da farsi la istruzione si JCnneranno per ricevere con totale indifferenza la obbedienza di sedere, ed insegnare, la Dottrina i11 quella Strada, o Cartiglio che piaccrù al Ministro, o SottoMinislro, o in 111ancanza di questi al Padre più antico, che presiede, al quale si avverte cli procedere in ciò con 111aturità, e prudenza, assegnando orclinarian1cntc le fanciulle ai più 1naturi di età, e li fanciulli ai pili giovani, lasciandosi la libertà in caso particolare di poter qualunque Padre prevenire ù chi presiede per assegnarlo ad istruire li fanciulli, e non le fanciulle, scn1pre però con subbordinanza indifferente ti ciò, che gli sar~1 ordinato, senza replicare, ri111ettendone ti Dio la cura di ri1nediare al bisogno.
Antonio Coca - Sonya Sofia
234
S'incarica ù quei Padri che anno servi di non portarli scco nell'inviarsi dalla
Parocchia alla istruzione, n1a o \1invicranno priina cli uscire per aspettarli al luogo destinato, o li faranno andare 1110\to distante eia essi.
§V Postisi già a sedere ognuno dei Padri nel luogo assegnatoli lenendo in capo il berctto [5] col Mantello sopra le due Spalle, e coi i piedi con1posti, guardandosi di porli un sopra l'altro tenendo nelle inani la Dourina, avendo in essa Ii
occhi fissi per non vagarli altrove, e dare qualquc an1111irazione ai pusilli, clrn<:Ì. principio alla istruzione, la proseguirà, e tcr111incrà in lutto unifonnandosi
~l
quan-
to li vien prescritto nel Capo 21, ove distintan1ente si dice il Modo da tenersi nell'insegnare la Dottrina senza punto alterarlo, ne1nn1en per 1notivo di n1aggior utile, o cli n1aggior <iccerto di insegna1nento; durcrù scn1pre la Dottrina in qualsisia lcrnpo non più di un' ora, quale finita si dia dal Padre che presiede il segno col Ca111pancllo, al cui suono subbito e senza dire più una sillaba, ogni Padre Dottrinantc insie1ne colli fanciu11i si ponga in ginocchio, e terrninerù la Dottrina con recitarsi eia tutti insien1e i! Credo, i! Pater nnster, l'Ave Maria, l'atto cli Fede, Speranza, e Carità, e con quello di Dolore, e Proposilo, e ciò finito, si radunano insicn1c tutti li Padri della Copia e prcsasi una caritatevo! licenza si partiranno ù suo gusto. § VI In una Contrada dovrà durare l'insegna111ento finocchè sarà stin1ala
compita la istruzione clé fanciulli il chè sarà incon1hcnza dcl Padre Ministro cli conferirlo col Padre Prcfello, ccl in sua [6] assenza col Padre Maestro, eia i quali accorciatosi con il Paroco un giorno il più opportuno si raranno confessare, e connnunicarc in quello tutti i figliuoli, e Figliuole, quali saranno giudicati abili da i Padri, che avendoli pritna esan1inato con diligenza daranno ad ognuno de i fanciulli scrilla l'approbazione, segnandola col proprio non1e del Padre che l'ha approvati. §VII Avvisati prima i fanciulli del giorno, in cui dovranno confessarsi, e cornn1unicarsi, si faranno radunare nella Chiesa Parocchiale, alla quale si porteranno tutti quei Padri che saranno dal Padre Prefetto avvisati per assistere in quel giorno ben 111attino alli sudctti figliuoli tenendo separati i Maschi dalle Fen1ine, avvertendoli à ben prepararsi alla Confessione, e Con11nunione, suggerendoli quei sentin1enti, che ben li dispongano à ricevere un tanto Sagran1ento. Si avviserà ancora dal Padre Prefetto uno dei nostri Padri acciochè co1n1nunicasse li figliuoli,
Teologia e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
235
fr1cendo!i pritna uno affettuoso colloquio adattato alla capacità di quelli, e nel con1n1unicarli tengano li Padri pronti vasetti d'acqua per chi sarà bisogno ù fargli ingiotthire la Sagra Particola, e friranno ritirare segregati in un luogo i fanciulli, ed in un'altra le fanciulle già co111111unicati
~1
queste [7] ed
a quelli
vi assisterà un
Padre, che li aggiulcrà à rendere al Sagran1cntato Signore le dovulc grazie ed ù chiedergli quelle più in1portanti per profitlo delle Anirne loro.
§ VIII Occorendo che sovragionga alli Esercizi i già incon1inciati li nostra Congregazione si ad in tra, con1e fuori di essa quel Padre che deve presiedere, subbito che se ne accorge il Padre che sta presiedendo gli ceda il luogo, e la preccdcnza. §IX Pri111a di inco1ninciarsi la istruzione di una Parocchia dovrà precedere un giro universale cli tutti i Padri ed un'altra pria di tenninarsi, nel ché si osservi quanto stri prescritto nel Capo 41. § X Se in qualque giorno occorresse, che per caggio11 di pioggia non si po-
tesse fare la Dottrina nelle Strade, non si pennetta assoluta1nente farsi nelle Case, perchè in tal caso si ritirino i Padri in qualque Chiesa, in difetto di questa in qua!que entrala senza li figliuoli, rinocchè cessa la pioggia, quale cessala, ripiglino la Dottrina, e quel tempo di pioggia si con1puta, co1nc se avessero fatto la Dottrina, proibendosi assolutan1ente farsi nell'Entrate delle Case, o picciole, o grandi siano, 1nolto 1neno in Case priva [8] te, n1a si lascia dall'in tutto, e se si trova inco1ninciata la Istruzione, e sopragionga la pioggia, si dia subbito da chi presiede il segno, e si parti no per quella volta, se non fosse leggiera, che fra brieve cessasse. § Xl I' Chierici di nostra Congregazione tanto Professi, con1e Novizii, e
Perseveranti n1ai possano essere assegnati à far la Dottrina nelle Strade, 111a so!a1nente nelle Chiese in tempo di Quaresiina per insegnare i' soli fanciulli Maschi. §XII Uno dci più principali ohlighi, e più in1portante esercizio di Carità
cli nostra Congregazione si è, che i nostri Padri ogni anno nel tempo di Quaresilll<l
divisi in più Parocchic secondo sarà stabilito dalla Reverenda Consulta, atten-
deranno con il possibil fervore ad istruire tutti quei fanciulli, che dovranno fare la prin1a Confessione, e Co1nrnunionc. Questa istruzione dovrà birsi in tutti li Mar-
236
A111011io
Coca - Sonya Sofia
tcdì, Giovedì Sabbato, e Do1nenichc, oltre li giorni festivi che incontreranno nella Seltinu1na, principiando dal prin10 Martedì della prin1a Scttin1ana fino al S<1bba10 delle Paline e cessando la Scttinu1na Santa, si ripiglierà nel lunedì dclJq P.:1squa fino al giorno, in cui si con1rnunicheranno nella Parocchia i fanciulli. f_Sl"! Per lo adc1npin1cnto fruttuoso della qua! regola si osservi inviolabiln1cntc ciò, che su questo punto sarà disposto nel Capo eia queste Sante Regole, e quanto slà prescritto nel 9 V ciel prescnlc Capo I. § XIIT Per togliere ogni Confusione nello insegnare kt lJottrina, e per n1aggior facilLà dci noslri Padri dovendo essere lutti unifonni nel lo istruire i !~111ciulli, non dovn1nno servirsi di allr<J Dottrina, scn6 cli quella sarà loro proposta dalla I\.everencla Consulta, suggerendola de verbo ad \ler/J11111 ai fanciulli, al li quali riuscirebbe di son1n10 ritarda1nento la varietà delle parole, quantunque ritengano il n1eclesi1no significato.
§XIV Si farà la Dottrina ai figliuoli in tulli i giorni dell'anno, così di lavoro, coine festivi, anche di precetto, solan1en!c vacher~1 il Venerdì, quel giorno è destinalo à congregarsi tutti i nostri Padri in Congregazione per atlendere so!o al profitto dell'Ani1na propria. §XV Di pili v<Jcherà la Dottrina dalla Festa del Crnpus l)o111i11i per tutto il giorno della Ouava, dal lunedì Santo per tutlo il giorno di Pasqua, vacherù pure nelli trè giorni ulti1ni cli Carnovale, ne!li giorni festivi precedenti alla [_ ](l"! Festa della nostra Concittadina S. Agata, incluso il giorno stesso della sua festa, sicco1nc anche l'istesso s'intende per la fesla della translazione della istessa nostra danza. Oltre clelli accennali vacherà la Dottrina in quei giorni, nei quali per qualque accidente fosse sti1nato prudente il vacare d<1lla Reverenda Consulta. E rinaln1cntc dovrù vacare dalla J)on1enica in A!/Ji.\· fino all'Ascensione del Signore exclusivoe nel qual te1npo nessuno dei Padri potrà applicarsi ù far Dottrina nelle Strade, o Cortig!i; Solo si pennette al Padre Prefetto poter dispensare a due, o al pili tré dei Padri cli poter f<1re Dottrina in qualche Chiesa, n1a questa dispensa sia rara ed in caso di precisa necessità eia csan1inarsi cblla Reverenda Consulta. Pinalmcntc vacherà la l)ottrina nel giorno dcl Santo Natale so!a1nentc. Capo li
Teologia e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
237
Dcl Nun1cro, e Qualità dclli Padri di nostra Congregazione. 9 I In riguardo alla Copiosa A1essae che abbraccia lo lslituto della nostra Congregazione non si deve prefiggere nun1cro dci Padri che possano essere an1n1cssi a' cooperare in questo sì eccellente esercizio di Carità, an7,i si desidera, e s'irnplora dal Celeste Padre di Fa1niglia, che 1nettesse in cuore a' tutti li Reverendi Ecclesiastici cli questa c:ittà i! giusto pensiero cli dover !~ttig8rc fl IJ alla Cultura della sua Vigna Evangelica, e 1nandassc un nun1cro innun1erabilc di fervorosi Opcrarii; nondirncno si stabilisce col presente Capitolo, che possano essere
an1-
rncssi nella nostra Congregazione tutti quei H_everendi Sacerdoti Secolari che vorranno travagliare ù questa Santa opera, purchè siano prin1a ben conosciuti, e provati, e che abbiano le cospicue condizioni in appresso cennate. E che possano essere accettati tulti quelli Chierici, (benchè con n1aggior cautela) che vorranno liberan1enle L1tigare per la gloria cli nostro Signore, purchè abbiano la età aln1e110 cli anni J 8, e le qualità necessarie con rnaggior rigore, ccl allenzionc cli quella si uscr2t nel ricevere li Sacerdoti. §II Venendo dunque Soggetto, che richiede l'ingresso nella nostra Congregazione pri111a cli accettarsi (sia Sacerdote, o chierico) si debba dal Padre Prcfello indispensabilrncnte proporre (i tutta la Reverenda Consulta, dalla quale si esa1nini rigorosan1ente, se assistono le qualità necessarie al Soggetto proposto, e se la Congregazione può sperare l'assistenza dovuta per istruire li Panciulli nelle Strade, e se possa J'requentare la Congregazione nelli aggiuntarncnti dcl Venerdì. §III Il Padre Segretario tenerà pronti alcuni esen1plari ciel Me111oriale, che dovrà presentare alla Reverenda Consulta il Padre che brarna essere a111n1esso, in cui vi sia espresso il norne di dello Padre, la Patria, ]'anni, lo in1piego, e la Parocchia nella quale abita, per aversi piena I_ 12] notizia de! Soggetto eia Pnclri Con1
sultori, alli quali s'incaric<1 l obligo cli dare inco1nbenza ;_l chi n1eglio giudicheranno d'inforn1ursi indispensabihnentc dal Paroco proprio circu li costun1i, e 111oc\o di vivere di esso, cd in ciò siano accorlissirni per non incian1pare in errore, elle potrebbe essere di son1n10 sconcerto
a tutta la Congregazione.
§IV Oltre Jc cennate qualità ricercate in chi vuol essere ascrillo nella nostra Congregazione grande1nente avvertino li Padri Consullori al ten1perarnento, e
Antonio Coca - Srmya Sofia
238
Docilità del Soggetto, non potendosi csprirnerc quanto pregiudica la pace, e quiete della Co1n1nunità un Soggetto quantunque Santo, n1a d'inflessibile arbitrio, e torbido di scntin1enti, e an1ante di singolarità, che però sia onninainenle escluso cb questa Santa Congregazione chi fosse infeLto di una tal peste, per non aversi a'
tc111crc il totale estenninio di tutta la Congregazione, non avendo il Den1onio rn·n1a più forte a distruggere la più Santa Connnunità, che cotal sorta di Uo111ini torbidi, amanti delle loro stra1nbc opinioni velali da una apparenza di perfezione. ~V
Patta questa prin1a Consulta, cd avuta buona notizia dal Paroco circa
clelli costu1ni dcl Padre a1111ncltcnclo, e dctcnninatosi clalli Padri Consultori di accellarsi, sarà an1n1esso all<t Perseveranza per lo Sp<tzio ahneno di un Mese dietro la Congregazione senza falta neruna, se non fosse per causa legitiina da esa1ni [ J 3] narsi in Consulta , fatta la perseveranza di eletto Mese, si dovrà tenere altra
Consulta per risolversi in Don1ino, se deve essere an1n1esso al Noviziato, e stabilito cli a111rnetterlo si farà entrare in Congregazione secondo il nostro Ceren1onialc.
§ VI A111111esso un Padre Novizio dovrà provarsi nel Noviziato sotto la cura ciel Padre Maestro per lo spazio alineno di sei n1esi, qual finito ahbia cli nuovo
a convocarsi
la Reverenda Consulta, dalla di cui detenninazione clipenclc se deve
esser an1111esso alla Professione, e clilongarsi il ternpo per ineglio sperin1entarlo, di n1aniera che prin1a di proressarsi un Padre abbiano da precedere innanzi tre Consulle nella fonna, e ten1po di sopra stabiliti, e nel professarlo si osservi il Ccren1oni<lle cli nostra Congregazione. ~VII
Per non aversi ù sbagliare in punto così in1porlante, qual si è la rece-
zione dci Soggetti, eia! quale dipende o lo stabilin1entu, o la distruzione di sf Santa Congregazione si deve avvertire, che li Padri devono essere Sacerdoti, o aln1eno Chierici ordinali ;n Mi11orUJus provcùuti cli un gran capitale di virtù soda, e Modestia singolare nelli occhi, nell'abito, ed in tutti li anclan1cnti, di eostunli regolatissin1i; essendo ché senza un buon capitale cli particolari virtù potrebbesi incian1pare in gravissin10 errore per la fan1igliarità, che dovrassi avere col!e Persone ciel Secolo; e
IJ/{/Xi111ae
r
delle Donne nelle 14] Strade e Corti gli, che VCJTanno cli vici-
no ad ascoltare la Dottrina, onde bisogna, che tutti siano specchio purissin10 cli esen1plarità per poter apportare edificazione piuttosto, che 111otivo di Derisione, e di hiasin10 alla Congregazione.
Teologia e catechesi ne/l'episcopato di Pietro Galletti
239
§VIII Siano indispcnsabilrnentc esclusi dalla nostra Congregazione i Lai-
ci, e tulli quei Sacerdoti, o Chierici che acco1npagncranno Figliuoli alle Scuole publichc o private o che siano esattori di altrui cfTcui, SagrisLani, 1V1aestri di Scuole pubbliche di lettere, U111anità, e Gn11nn1atica, co111e pure Professori cli Medicina, fattori, Agenti di qualsisia sorla, non potendosi da essi sperare la dovuta assistenza per caggion dello impiego. § IX Essendo lo Istituto di nostra Congregazione uno dé pili sublin1i, e
perfetti di quanti ve ne sono nella Santa Chiesa Cattolic<1, ognuno dci Padri che perfeftan1cnte attende all<l osservanza di esso, può con verità gloriarsi di fare un OITizio Aposlolico, Angelico, e Divino, e può veran1cnte dirsi un Apostolo, un Angiolo, e un certo inodo Dio, e Salvadorc delli Uon1ini, ali i quali insegna la via dcl Ciclo, avvertendosi ad ognuno di essi quel delta di S. Paolo ad Ron1anos 2, 19: es.~·e !u111e11 cecon1111, /11n1e11 eor11r11 qui in tenebris sunt, er11ditoren1 i11sipie11 ti urn, Ma gistru rii i11/011ti11 n1, ha be 11 teni [ 15 / fn rn1c/f11 scientia e, et veritntis in /ege ti cui ben si adatta lo elogio dello Spirito Santo in Daniele al Capo I 0,3: qui ad iustitiarn erudiunt 111ultos, fìt!geb1111t qunsi Sre!loe in perpet11as Eter11itotes. Or dovendo corrispondere alla e1nincnza dello Istituto i n1ezzi più conducenti alla prattica cli esso, si è detcnninato prender la regola delle Coslituzioni, Ordinazioni, e Decreti dci So111n1i Pontefici, e Conci lii Ecu111enici della S. Chie-
sa, la quale per essere assistita dallo Spirito Santo ci assicura di non poter errare conforn1andoci ai suoi Santi Decreti. Dovendo dunque nel presente Capitolo prescriversi ai nostri Padri il 1nodo di vestire più decente, nioclcsto, e discreto, prin1a di forrnarnc la regola, si pongono loro innanzi agli occhi per ben considerarli alcuni Decreti dei Son1n1i Pontefici, c Concilii intorno al vestire, che debbono inviolabilincntc usare i Preti Secolari. Sisto V in una sua Costituzione così decretò: E:cclesiasticis on111ibus esr !ege statut1t111, 11! qui C/erici 110111e11 sunt cnnsecuti etiarn ìn 111i11oribus ordinib11s constit11ti Clerico!i coractere insigniti, quan1 1 is excepti, Clerica/en1 hobit11111, hoc est vesles talares convenienter de/erre debeant, inobedientib11s paenis in1positis,· sic e11i111 decet, ut à Secu!oribus habit11 d(fferant. Dei Concili i vaglia per tutti ìl Tridentino, che avendo detto nella Sessione 14 [16] de Rej'on11otio11e Cap 6 in principio: Quia 11ern, etsi habitus 11011 ,facit !11n11acu111, oportet tarnen C!ericos 1
240
Antonio Coco - Sonya Sofh1
vestes proprio congrue11tes ordini se111per de/erre, 11t per dece11tù:in1 hobi1t1s extri11seci r11or11r11 i11trinsecar11 hones1ate111 ostendant. Così definisce poi nella Sess.nc 22 Pou!o post n1editu11 de Refonn cap. 5 rinovando tutte le antiche Costituz:ioni, Canoni, e Pene in esse contenute, dicendo: Sratuit Sancta Sy11odus, ut quoe olids d S1in1111is Pontifùjbus, et d Socris Concifiis de C!ericorun1 \lito, honestate, c11!tu, Doctrina, ac de /11x11, Co1111nessotionib11s, 6 quibuscu111que crir11i11ibus, nec 11011 secu/aribus negotiis .fl1giendis copiosé, ac sa/ubritér sancita fì1er1111t, eaden1
in poster11111 iisden1 paenis, ve! n1aioribus arbitrio Ordino rii in1ponendis observe11t11 /'.
* X Per tanto la nostra Congregazione per conCorn1arsi a!!e Sante leggi della Chiesa Madre, e per n1aggior profitto dei Popoli da istruirsi, h<.'i stabilito per il presente Capitolo, che tutti !i Padri così Sacerdoti, co1ne Chierici usino
u11
ve-
stire n1odesto, e decente proprio dì un Operario Vangclico, proibendo cli portare Capelli longhi, e Zazzare, cd abito corlo nella Cittù, pcrn1eltenclolo solo nel te1npo della Villeggiatura fuori della Cittù, dovendo ogni Sacerdote aver dinanzi al li occhi il n1odestissi1no Giesù N.S. il cli cui esen1pio [ 17] dobbian10 tulli in1itare, per quanto si può con l'aggiuto clel!a Divina Gra1.ia. §XI Nessuno dci nostri Padri in qualunque grado, e Dignitù si trovi, possa rare gli Escrcizii della nostra Congregazione della Dottrina si ne!le Chiese, con1e nelle Strade, e Cartigli con l'anello al dito per non dare ai sen1plici an1111irazione di VJnitù troppo inco111patibile col IVlinistero u1nilc cli Operario Vangelico, si pennette però, e si lolera chi lo portasse per la Cittù fuori gli Esercizi di nostra Congregazione quanto più rnodeslan1ente si
JR!().
§XII Di più si prohibisca, che né in publico, ne in privato possano li
110-
stri Padri giocare alle Carte, o Dadi, non solo perchè potrebbe esservi qua!que Vizio, aln1cno quoad n1odull1, 1na anche perchè perderebbcsi il tcn1po tanto prezioso, e se <lccadesse, che qualque Padre incorresse in tal errore, fatte le dovute n1onizioni, se non si en1enda sia subito escluso dalla noslra Congregazione Si pennelle so!an1enle il gioco delli Scacchi, ìvlarclla, o altro innoccenle diverlin1ento per sollievo dell'Anin10.
Teolo/jia e catechesi ne/l'episcopoto di Pietro Galletti
241
§XIII Stiano Lutti avvertiti li nostri Padri a non dar causa raggionevolc di sca11clalo, o 111otivo di esser accusati j qualsisia tribunale, poichè costando alla Reverenda Consulta di averne il rnolivo sarà cancellato. [ 181 § XIV Devono tutti li Padri essere obbeclicntissin1i ai con1andi dcl Padre Prefetto riconoscendolo corne quello, che rappresenta la Persona cli Cristo nostro Signore, ed ;l lutti li Superiori, che in sua assenza presiedono respcltìva111cntc nelli Escrcizìi di nostra Congregazione si ud intra , co111e ad e.Ytra, cd in
caso di scus;i, o di renderli raggiane del proprio operato si facci con indicibile 1110destia, rispetto, cd u111iltù, altrin1cnti soggiaccrù a publiche 1norlificazioni secondo la gravil~1 dello errore, potendo il Padre Prefetto col voto della Consulta privarlo
di voce alti va, e passiva, cd in caso ù'incorrigibiltà divenire alla Cancellazione. § XV Ogni Padre della nostra Congregazione ancorchè Pondatore tiene
oblìgo di trovarsi presente allo aggiunlan1enlo che si fil ogni venerdì dnlle ore 21, e 3 quarti sino alle ore 23. 1~i Novizii però è perseveranti si dovranno trovare in Congregazione alle ore 21 cd un quarto assicn1e col Padre Maestro, da cui sentiranno la spieg;_1zionc delJe Regole. Di pili un giorno la Settiinana devono hire la Dottrina nelle Strade, o Cortigli, oltre la Quaresin1a, secondo si h{i stabilito nel Capi1olo della Dottrina cli quel te1npo, li Novizi i però sono tenuti fare la Dottrina nelle Don1cniche, e Feste oltre un giorno la Settin1ana, li Perseveranti ogni giorno nel solo ten1po della loro Perse [ 19 j vcranza. S!in avvertito il Padre Prefetto sul osservanza puntuale cli questa Regola, clipendenclo tutto il fervore della Dourina clel!a Sctti111ana dall'assistenza, e frequenza dei Padri allo aggiuntainenlo del venerdì, che però ne csigga rigorosan1entc le 111ancanzc; Che se qualquc Padre per sua colpa, o negligenza senza scusa raggioncvo!c 111ancasse tre venerdì continui dalla Congregazione J~1tte le tre n1onizioni, e non si correggerti, si facci la Consulta, e col voto dei Padri Consullori, o ciel inaggior nun1ero cli essi si dctcnnini la Cancellazione elci Padre n1ancanle. *XVI E per non (Jllegarsi ignoranza, sia nolo <i tutli li Padri, che la Congregazione si elce fare in lutti li Venerdì dell'anno, eccettuali quei Venerdì, né quali occorrono feste dì precetto con ohligo di sentir Messa; ù riguardo che in lali giorni festivi lutti i Padri che non anno legitin10 i1npedi1ncnto clovran110 intervenire al luogo della i)ollrina per ìslruire i' l~1nciulli. l)i più vacherà la Congregazione ne!
Antonio Coca - Sonva Sofia
242
Venerdì Santo, nel Venerdì della Ottava ciel Corpus Do1nini, nel Venerdì fra le feste di S. Agata; e finaln1ente se occorresse i1npcclirnento urgente in qualque altro Venerdì da esa1ninarsi dalla Reverenda Consulta, con1e resta anche stabilito di vacare in quei Venerdì, nclli quali vi sarà Processione, alla [20] quale deve intervenire tulto il Clero.
Capo JII Del Modo si deve osservare nella elezione dci Consultori. §I La Consulta si forn1a di nun1° 7 Padri e siano seinprc l'infrascrilti cioè il prirno il Padre Prefetto attuale, il 2° il Padre Maestro cli Novizii attuale, il 3° il Padre Prefetto i111111ediata1nenlc passato al Padre Prefetto attuale, il 4° il Padre Maestro i1nrnediata1nentc passato, il 5° il Padre Ministro, il 6° quel Padre, che nella elezione dcl Prefetto ebbe più voci doppo il Padre Maestro, il setti1110 un Padre eligenclo dalli Predetti Padri Consultori naturali, e nel caso che due Padri avessero avuto voti eguali appresso i voti ciel Padre Maestro, allora restino tutti due Consultori, ed in caso, che non vi fosse Padre, che avesse avuto voti doppo il Padre Maestro, allora li due Consultori si eliggeranno dalla Consulta; Quali Consultori si abbiano eia congregare pri1na del giorno della publicazionc clé nuovi Officiali n1inori, quali si cliggeranno col voto a!rneno della n1aggior parte dé Consultori. [2 l"J §II Perchè può accadere, che i! Padre Maestro elci Novizi i passato fosse eletto Prefetto attuale, e verrebbe
;_'i
rnancarc uno dci Consultori naturali, perciò
in tale, e sin1ili casi s'intende eletto per Consultore naturale quel Padre, ch'ebbe più voci appresso il prin10 cloppo il nuovo Maestro eletto.
§ III Se 1norissc il Padre Prefetto attuale in te1npo ciel suo Governo, si dispone per i! presente Capitolo, che nella pri1na Congregazione doppo la di lui n1orte il Padre Maestro intin1assc la nuova elezione dcl Prefetto con sostituire un'altra Padre de più provetti per co1npin1ento elci Padri Consultori, e questo nuovo Prefetto eletto tcrn1inerà lo rin1anente dcl Governo, e venuto il giorno deter111inato dalle nostre regole si farà cli nuovo la solita elezione; cd in tal caso uni-
Teologia e catechesi 11ell'episcopato di Pietro Galletti
243
can1entc si potrà confi1111arc lo stesso Prefetto, se la n1aggior parte dei Padri vorrà
confinnarlo. § IV Nessuno Padre può proporre in Consulla qualsisia Materia, se non
ché il solo Padre Prefetto, il quale avverta con ogni diligenza, rettitudine, e sincerità di proponere sen1plicc111ente la Materia da consultarsi, acciò restino liberi tutti
i Padri Consultori in dare il proprio voto secondo Dio loro ispirerà. § V Se occorresse ;:l qualqucduno dei Consultori [22] necessità di proponcrc
n1atcria degna di Consulta, ne supplichi il Padre Prefetto, e questo sii tenuto in-
tì111arla; che se il Padre Prcfe1to negasse, o differisse aslutan1ente la Consulta richicstali, ne facci la istanza al Padre Maetro dei Novizii, acciò questo, cd in suo luogo il prin10 Consultore inti1ni nccessarian1enle la Consulta, supplicando anche il Padre Prefetto ù coinpiacersi di esser presente
a tale
Consulta, alla quale sii
obligato intervenire, co111e anco il Padre Maestro, e se si dovrà disco1Terc in detta Consulta straordinaria cosa contro il Padre Prefet!o o Maestro dei Novizi i, allora cl<1l prin10 Consultore con il dovuto rispetto si pregherà ad appartarsi dalla Consulta, al che siano ohligatì finochè dalli Padri Consultori sarà finito il discorso, e delern1inato il ponto dello affare consultato, finita la Consulta il Padre Segretario supplicherà il Padre Prefetto, 6 Padre Maestro, o an1bidue ad entrare nel luogo della Consulta, e questi siano tenuli entrarvi, enlrali giù il P<1clre Consultore che presiede intin1erà loro la risoluzione della Reverenda Consulta, acciò così il Padre Prefetto, o Padre Maestro eseguissero pontualn1enle, e con ese1nplaritù quanto verrà loro intin1ato. Che se non volessero (Dio Guardi) obbedire alla delta detern1inazionc, sian10 subito deposti da! loro Officio, e se bisogna, anche cancellarli ad arhitrio della Reverenda Consulta. [23] §VI Se però la Materia da consultarsi non fosse contro il Padre PreJ'etto ò Padre Maestro, ina di altra Materia degna cli Consulta, e questi non anno voluto intin1arla, in tal caso s'intin1i la Consulta corne stà disposto nel precedente § V e radunatisi i Consultori con far prin1a appartare i! Padre Prefetto e Padre
Maestro csa1nineranno tra loro se la Materia è degna di consultarsi, e risolutosi che si, supplicheranno il Padre Prefetto e Padre Maestro ad intervenire <llla detta Consulta con1e sopra, al chè siano tenuti; cd entrati il prin10 dci Consullori dirù loro la detern1inazionc della Reverenda Consulta di doversi proponcrc la tal 18.ccn-
Antonio Coco - Sonya Sofia
244
eia, e siano obligati proporla respcttivainentc sotto le pene ben vislc alla Reverenda Consulta. § VII Tutti i Padri Consultori, ed anca il Padre Prefetto tengono ugual1nentc un sol voto.
§VIII Ogni due n1esi indispensabiln1cnte sia tenuto il Padre Prefetlo inti-
1narc una Consulta generale, nella quale si dovranno csan1inarc uno per uno lulti Padri di nostra Congregazione tanto circa i coslun1i, e loro cliponan1cnti,
li
quanto circa la 1-ì"equcnza della Congregazione ccl esercizio della Dottrina, e trovan-
dosi qualquc rnanc<1nza notabile, e degna cli Correzione, se li facci in quella inaniera con1c giudicherù i11 Do111i110 la Reverenda Consulla o in privato, o in publica Congregazione, e se fosse difetlo di considcrazio [24-) ne, potrù sospendersi dallo esercizio della Dottrina nelle Strade, e Cortigli, e se non si e1ncnderà, si devcnga alla Cancellazione, e così tal volta bisogna farsi, se si vuol n1antenerc il fervore, o decoro di tutta la Congregazione.
Capo IV Del IVIodo di pratticarsi nel tàrsi la Consulta.
§I Radunai-isi tulli li Padri Consultori, e posti ù sedere ognuno nel luogo dcl suo proprio grado, se ne stiano con son1n10 silenzio, e 111odcstia; e fallo dal Padre Prefetto il segno, si pongono in ginocchio, e diranno altcrnalivan1entc col Padre Prefetto lo Inno: Veni Creotor Spirit11s con la Orazione, J)eus, qui co1do
fideli11111 doppo ricorrano alla SS.111a Vergine col Sub tu11111 prcsidi11111 etc ed all'Angiolo Custode coll'Antifona, A11ge/e Dei etc cd al nuovo segno dcl Padre PrcJCuo si farù la proposizione della n1ateria eia consultarsi sen1plice111entc, senza ché palesi lo interno suo senti1nento per lasciare ognuno nella totale sua libertà cli dichiarare il suo voto. ~
11 Proposla la Materia da consultarsi il J>adrc Prctetto Carlt dar principio ai
voti, incon1incianclo [25] dall'ulti1no Consultore, seguendo ]'altri per ordine, e finiti tutti conchiuderù il Padre Prcfctlo secondo il 1naggior nu1nero dci Voti.
Teologia e catechesi nell'episcopoto di Pietro Galletti
245
§III Se qualquc Consultore avesse da dire cosa d'i1nportanza si ponghì in ginocchio, e ne di1nandi prirna licenza al Padre Prefetto e se gli sarà dnta, dirà u111iln1cnlc, e con tutta indifferenza quello gli occorre, allrin1cnti taccia, cd avuto il nuovo segno si ponghi a sedere. §IV Se il Padre che dice il suo voto sarà lungo, polrà il Padre Prefetto interrornpcrlo, cd il detto Padre subito sarà obligato a tacere, lo che si facci con tutta prudenza. Finita la Consulta dalosi il segno del Padre Prefetto s'inginocchiano tutti, e daranno le grazie al Signore, con dire: Agin111s Tibi grotias etc. § V Occorrendo, che la ìVIateria da consultarsi toccasse ad alcuno dei Con-
sultori, etian1 il Padre Prefello e Maestro dci Novizii, con santa libertà si facci avvisato tal Padre, ancorchè sia lo istesso Prefetto, e questo sia tenulo appartarsi dalla Consulta per darsi ai Consultori piena libertà di detenninare quello riconosceranno nel Signore essere utile, e beneficio della Santa Congregazione, lo chè si prattìchi con prudente destrezza, e si osservi quanto slà disposto nel§ V dcl Capo !Il.
126] Capo V Dell'Obligo dcl Segreto di ciò si tratta in Consulta. § T Perchè tutto lo nostro Istituto, e governo di nostra Congregazione stà
appoggiato alle Sante detern1inazioni della Reverenda Consulta, nella quale deve avere ognuno la piena libertà di parlare, carne se fosse nel Tribunale della Divina Giustizia senza fine secondario, o Passione, e riguardo ai rispetti un1ani, avendo per unico, e prin1ario oggetto la sola Gloria di Dio N.S. la correzione dci propri i costuini, la estirpazione della ignoranza, !a istruzione dci fanciulli, e la inviolabile osservanza delle nostre Sante Regole, fù di 1nestieri. Che tutto quello tengono cli notizia li Padri Consultori lo potessero palesare in Consulta senza eccezione di Persone; e potendo sortire, che qualque Padre Consultore avesse tin1orc di palesare il suo voto, o Materia altra irnportantissin1a toccante alle sopraclette Costituzioni per causa di potersi sapere fuori della Consulta quello ivi si dice, e tratta, per ovviare
a tanto inconveniente si deterrnina inaltcrabiltnente.
Antonio Coca - Sonyo Sofio
246
§Il Che i Padri Consullori siano obligati con rigorosissi1110 sigillo naturale
a tenere sen1prc, e con tutto segreto, tutto quello si
parlerà, e si udirà parlare
in qualsisia [27] Consulta, anche del proprio parere dato in essa, e ciò con ohhligazionc gravissin1a in Conscientia, che nasce ex vi sigilli natura/is, et ex dc11nno
quod foti Con1111unitati, ve{ a/icui particulari subiecto posset evenire e.:r fì·octione, et ex n1011{festatione tofis Secreti senza a111111cttcre scusa di ronnali!-ù, o grr111i,
di cquivocazione.
Pinita poi la Consulla si esortano i Padri Consultori ù neppur lra essi parlar più ciel suo Volo, o di quello degli altri, n1a ognuno cattivi il suo intelletto, e la Volontà in ohsequiun1 obedientiae. Costando poi, che alcuno abbii palesato cosa veruna discorsa in Consulta sia subito privato dell'Officio di Consultore, aJ inabilitato di poter concorrere alla Prefettura, e Maestro di Novizii.
Capo VI Della elezione dcl Padre Prc(etto, e Maestro dei Novizii. § I Innanzi che si diviene al Modo da prauicarsi nella Elezione del Padre
Prefetto e Maestro di Novizii, deve giungere a!!a Notizia cli tutti li Padri carne un fuln1ine terribilissi1no, dal quale ognuno si dovrà guardare per non reslarne incenerito, quanto si stabilisce nel presente Capitolo. [28] §II Che niuno delli Padri possa pretendere nè diretta1nentc, ne incliretlarnente i voti per abilitarlo alla elezione sudetta, neppure 111ostrarne un benchè 1nene1no desiderio di essere abilitato, o eletto per Prefetto, 6 Maestro di Novizii, o qualunque altro officio della Congrega;done, e col n1edesin10 rigore si prohibisce à tutti li Padri di non dichiarare con alcuno il suo genio, o desiderio di dare il suo voto ad alcuno dci Padri ancorchè fosse 1neritevolissi1no, n1a debba starsi ognuno col suo accorto silenzio i1nplorando dallo Spirito Santo i! suo Divino lu1ne per fargli chiaran1ente conoscere in qua! Persona dei Padri concorrono qlle qualità necessarie, ed assidua ti·equcnza per poter govenuirc la sua Congregazione col Santo Zelo, e prudenza che richiedesi
a tanto grande istituto, né aver altro
fine
in essa elezione, che la n1aggior gloria di Dio nostro Signore, cd avanzi della Congregazione per la estirpazione della ignoranza dcl Popolo di questa Città.
Teologia e catechesi nel!' episcopato di Pietro Galletti
24 7
§III Si stabilisce di più per decreto inalterabile, ed indispensabile, che incorrendo qualsisia dei Padri nella frazione della suddetta legge, sia, e s'intenda subito ipso iure, et ipso.facto privato delle Con1municazione dei Suffragi i, ed Esercizi i di nostra Congregazione dichiarato reo di tale delitto subito sia cacciato dalla nostra Congregazione senza speranza di poter essere più anirnesso, e reintegralo sotto qualsivoglia titolo; volendo, che questa legge sen1pre stia in suo robore, et finn irate indispensabihncnte, senza eccezione di Persone; ed oltre di questo g<!sti-
go ne terna altri n1aggiori un tal Delinquente dalla Divina Giustizia severissirna contro gli An1biziosi, e fautori dcll'A1nbizionc di essi. §IV Se tal Padre si trovasse già eletto Prefetto o Maestro di Novizii, non solo sii deposto, rna anche eietto, e cacciato via con1c sopra; Se però detto Padre eletto non fosse delinquente per non aver avuto partecipazione, né Scienza di tal surrettizia elezione, in tal caso sia solan1enLc deposto dal suo Offizio, slante non essere stato canonicarnente elcLto, sicco1ne d'ora per allora si dichiara nulla, e surrettizia detta elezione, non però cancellato. Siano però puniti li Delinquenti con la pena di sopra stabilita.
§ V Se uno, o più dclii nostri Padri avessero, (quod nbsit) cornn1esso tal errore, per lo quale si ritrovano incorsi nelle pene sopra stabilite, cd il delitto fosse occulto, e non ancor saputo, allora si pennette, che se spontancan1ente si accuseranno dell'errore appresso il Padre Prefetto passato, quale resta pri1110 Consultore, possa da questo provedersi in qlla rniglior n1anicra, che in /301 Dornino giudicherà allo errore, purchè non siano passati due n1esi dalla elezione; Se però della Segreta accusa sortirà passati due rnesi dall'elezione, siano più acerbarnentc gastigati li Delinquenti.
§ VI Si prohibisce assolutamente ti tulli, e qualsisia dci Padri di qualunque stato, titolo, e condizione, che non abbiano ardire di glossare, o intcrpetrare con sofistiche fonnalità la sovradetta legge di elezione, 111a quella osservare ad ungue111 de verbo ad verbun1 prour iacet, ordinandosi per il pnte Decreto, che nella spicga7.ione cli questa legge si abbia da prendere la parte più severa, rigorosa e fr1vorabi!e alla indennità di detta legge, e non altrimenti, né in altro niodo.
Antonio Coca - Sonya
248
Sr~fia
§VII Ogni Padre cli nostra Congregazione co111e a1nante di Dio, e zelante del bene, e profitto di essa deve riferire al Padre Prefetto se sapesse qualque difelto notabile di qualche Padre, acciò il Padre Prefetto con la dovuta cari la, e zelo riparasse nel 111iglior 1nodo, che sarà opportuno, alla cn1cndazionc ciel Padre c\ircuoso.
Capo Vll Dclii Padri che possono concorrere alla Prefettura. ~I
Uno dclii requisiti essenziali, che deve ave l31] re un Padre per poter
concorrere alla Prefettura, si è la età cli anni 30 con1pi!ì. ~TI
p; cli più che abbia tre anni di proressione da contarsi dal giorno, che
fece la Prorcssionc in nostra Congregazione e questa legge sia indispensabile. § 111 Prin1a di venire il giorno destinato alla suddetta Elezione si abbia (_b
convocare i11dispensabiln1entc la Reverenda Consulta in un giorno ben visto al Padre Prefetto attuale ed in essa si fateci scrutinio dei Padri <1bi!ì per concorrere alla Prefettura, nei quali si dovrù ricercare non so!a1nente le Co11clizioni sucle!te, 1na anche le allre doti necessarie al buon governo, cioè la frequenza agli Esercizi dello lslituto, e di più che non siano abitualtnentc infcnni, e che non fossero privi cli voce passiva, e sopralutlo che sia di so1nnu1 esen1plaritù di vita, sicchè dal eletto Scrutinio abbia eia risultare la Nonlina dclli Padri abilitati in detta Consulta, e quella doversi publicare in Congregazione nel giorno delle elezione cd e/Tetto, che nessun Padre possa dar voce
a Soggetto, che non sia prin1a
abilil<1to dalla Re-
verenda Consulta e non espresso in detla lista. § IV In niun caso sia lecito confirn1are il Padre Prefetto attuale, ne il Padre Maestro di Novizii, n1a che abbiano eia vacare ahncno un'anno per poter di nuovo concorrere al 1neclesirno ollizio, non si esclude però, che [32] il Padre Maeslro attuale possa concorrere alla Prefettura solan1cnte, e doppo un'anno ad esser f'v1aestro dei Novizij.
Teologia e catechesi ne/l'episcopato di Pietro Galletti
249
§V Eletto che sarà il Padre Prefetto, e Macslro di Novizij 116 possono in
nerun conto rinunziare l'offizio in1posto loro dalla volontà del Signore sollo pena
cli essere cancellati, cd eietti dalla Congregazione senz'ahra causa.
Capo Vili l)eJ Modo d{t osservarsi in detta elezione. §I I! giorno clclcrn1inato per farsi l'elezione dei nuovi Superiori sia se1nprc il pri1no Venerdì di Gennaro, cd il pri1no Venerdì di Luglio in1prctcribili11cnte, se non coincidesse in tal Venerdì Pesta cli precetto, differendosi per quella volta al Venerdì i111111edh1te seguente, ed accadendo che non si trovasse presente in tal giorno il Padre Prefetto, facci la elezione il Padre Maestro dì Novizij, se non
sia
uno dci No1nina1i al Concorso della Prefettura, cd in dife!lo di an1bidue facci la elezione il prin10 dei Consultori ivi presente non pron1osso al!<l Prefettura, ed in diJCtto di questi la facci il Pre più antico nel rollo, parin1cntc non pro1nosso alla PrcJ'ettura. [33] Restando sen1pre stabilito, che niuno dei Padri concorrenti alla detta elezione possa 1nai intervenire al tavolino, ove si fa l<l suddctla elezione.
§ 1111 Venerdì antecedente al giorno della elezione lutti li Pnc\ri abbiano cb invocare in lutla la Setti1nana l'aggiunto del Divino Spirito coll'Inno, Veni Creo-
tnr Spirit11s etc acciò sì cor11piaccia la Divina I3ontà ispirarli quello, ch'è cli n1aggìor gloria di l)io nostro Signore, cd aun1cnlo cli Spirito della nostra Congregazione. § lll Venuto il giorno, e radunati !i Padri in Congregazione, e falli gli esercizii colla n1aggior brevità, (il che rin1ettesi all'albilrio dcl Padre Prefetto) Jàcendosi dal 1nedesi1no una fervorosa prefazione, esorterà li Padri tutti ad una Sanla, e prudente elezione, invocheranno tutti l'assistenza dello Spiri lo Santo dicendo il Veni Creotor Spiritus etc, e finita la solita Orazione si pubblichcrù dal Padre Segretario con voce intelligibile la lista cli quei Padri, che solan1cnte possono concorrere alla Prefettura, doppo inco1ninciando il Padre Prefello, Padre Maestro, e Padre Segretario, il più antico, e successivan1cnle tutti li Padri Professi con ordine anderanno
aquella parte, ove ritrovasi
un tavolino, o altro designato dal Pa-
Antonio Coco - Sonya Sofia
250
dre Prefetto con calarnaro pronto, penne, cd alcune schedolctlc in bianco, [34] cd inginocchiatosi ogni Padre di voce attiva, scriverà in una di quelle scheclole tre
nc)]ni diversi dclii Padri abilitati al!a Prefcltura secondo giudicherà in donlino cku· la sua voce per eleggersi Prefetto, e volgendo sossopra detta schcclola scritta la
111etterà in un Cappello, che ivi ritrovcrassi, e se ne andrà ognuno
a sedere
al suo
luogo. §IV Tcnninata questa funzione, il Padre Segretario andcrà ù prender detto Cappello con dette schedale nel 1nedesin10, e li consegnerà al Prefetto, il quale farà sedere al suo canto due Novizij, e coll'intervento delli stessi si nun1ereranno delle schcdolc, vedendosi se corrispondono al nun1ero delli Vocali, e se non corrispondono, di nuovo tutti li Padri Vocali torneranno ù rare un nuovo Polizino, 1101ninando con1e prin1a trè Padri delli abilitati alla Prefettura, e ritrovandosi uguali, il Padre Prefetto colli due fratelli Novizij co111incierà rileggere di una in una le sehedole suggerendo { non1i al Padre Segretario, il quale terrà un foglio cli carta, ed un'altra ne terrà i! Padre Prefetto, o chi presiede in sua assenza, scrivendo in quella an1biduc il norne dcl Padre,
acui è stata data la voce,
e tirando una longa linea
[35) al Norne n1etted1 una barretta {i quella linea ciel Padre già scritto, e cosi seguendo per ogni Padre 1noltiplicanclo la barretta per quanto sarà la n1oltiplicazione dclii voti, e finite tutte le scheclole, osserveranno cliligente111entc una delle lisle col nun1ero delle barrette, seu voci, e doppo co1nproveranno l'altra lista, e non essendo uguali, torneranno ri rileggere le schedale per correggere la disuguaglianza, e ritrovandosi unifonni si faccia il conto del nu111cro delle voci, e quel Padre che avrà avuto più voci sarà il Prefetto eletto, quell'altro, che in1111cdiata111ente al prin10 avrà più voci degli altri sarà il Padre Maestro cli Novizij, e quel Padre, ch'cscc in 3° luogo cli voci sari1 il 3° Consultore, i! quale in caso cli 111ancanza, o di n1orte del Padre Maestro adotti l'Offizio di Maestro cli Novizij per h1terin1 sino al fine ciel Seinestrc. §V Se accade, che vi sia nurnero uguale di voci in due, o più Padri in tal caso si htcciano tante polizine dal Padre Prefetto, e dal Novizio più antico dclii due ù suo lato sedenti si prenderà la prin1a, cd il non1e del Padre in questa ultirna poliza uscita descritto, sarà il Padre Prcfelto già eletto, la seconda sarà l36) il Padre Maestro dei Novizii, e se accadesse la 3a questo sarà il terzo Consultore; e dell'istesso n1odo si farà nella elezione del Padre Maestro di Novizij in caso di voci uguali.
Teologia e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
§ VI Perchè il Padre Maestro di Novizi.i attuale essendo abilitato
251
a concor-
rere alla Prefettura della nuova elezione può sortire in secondo luogo di voci, e tornarebbe ad essere Maestro di Novizij in questa nuova elezione, perciò in tal caso si stabilisce, che ascenda all'Offizio di Maestro di Novizij quel Padre, ch'esce in 3° luogo di voci, e dovrebbe essere terzo Consultore, ed il sovraddetto Padre Maestro di Novizij occuperà il luogo di 3° Consultore.
§ VII Fatta già, e stabilita la suddetta elezione, tutte le schedole se le trattenghi il Padre Prefetto passato, conservandole assieme colle liste sino al fine della Congregazione qual finita, prima di uscire dalla mederna debba brugiare le Suddette schedole, il ché se l'incarisce in Do111ino, e le due liste consegnerà una al Padre nuovo Prefetto, e l'altra
al Padre Prefetto attuale.
[37] Capo IX Del Modo di dare il possesso al nuovo Superiore. § I Resultata come nel sopraddetto Capitolo la nuova elezione, il Padre
Prefetto che deve uscire si prenderà un SS.1no Crocifisso, e dietro di se il Padre Maestro dei Novizij, che dee anche uscire, ed in suo luogo il Segretario con una disciplina alle Mani, e si n1etteranno in giro circolando la Cong.ne recitando con voce mediocre il Cantico Benedictus, e nel\'ulti1110 versetto lllu111inare his etc il Padre Prefetto che deve uscire consegna al nuovo Prefetto il SS.1110 Crocifisso, e fr1cci Consegnare la disciplina al nuovo Padre Maestro li quali aneleranno all'Altare in Corna Evangelii colla faccia verso i Padri, Ii quali tutti anco i Novizij a'due a'duc ordine suo facendo la riverenza all'Altare si prosteranno à baciare li piedi al
eletto nuovo Padre Prefetto e doppo alzatisi l'abbracciano dandosi la pace dal Padre Prefetto ad ognuno con dire Pax tecun1 ed ognuno risponderà et cun1 spiritun1 tuo, e passando al Padre Maestro li daranno solan1cntc l'abbraccio di pace, e fi·a tanto
Antonio Coca - Sonyo Sofio
252
da tutli si canterà il te De11111 /audo11111s; li Novizij però [38] baceranno li piedi <1nchc al Padre Maestro. §II Finita questa funzione il nuovo Prefetto col SS.1110 Crocifisso in inano anelerà
a sedere al luogo destinalo, cd il Padre Maestro eletto
sederà 8 111ano si-
nistra del detto Padre Prefetto, quindi il Padre Prefetto eletto inginocchiato faccia lo rendi1nento cli grazie alla Divina Bontà, che si è degnata cliggcrlo, ricevendo una tal carica ù11n1ediotoe dalle Divine Mani, e doppo ringrazierà li Padri con1e strun1cnto del Divino Beneplacito, li esorti alla perseveranza ciel nostro Santo Istituto, e con nuovi 111otivi li ecciterà all'obligo d'istruire la Gioventù, e particolarn1ente alla Santità della Vita necessaria per !~w frullo negli altri
a n1agg1or
gloria
ciel Signore.
9 III
Prin1a di venire il giorno dell'altro aggiontarnento si aggiontcranno
per fare lo. nuova Creazione degli ()fficiali, il Padre Prefetto attuale, e passato, il Padre Maestro allualc, e passato con il Segretario passato, ed in 111anca11za de! Padre Prefetto ò rvlaestro dc Novizij passati potrù sosti1uirsi dal Padre Prefetto at1ualc qualque Padre cli quelli, che sono stati Superiori, e se per qualquc accidente gravissin10 fosse i1npedito il Padre Prefetto altuale in quel giorno, si differisca questa elezione vino <tlla sua [39 J venula, se non fosse longa la sua tardanza, perchè allora potrù farla di sua licenza i! Padre Maestro attuale. Questi Officiali saranno l'infrascrilli, cioè un Segre!ario, un Ministro, un SotloMinistro, due Visit<ltori cl'.lnferni, un Prefclto di Sagrislia con qualtro Sagrislani n1inori, e due Portinari, e questi delli più Anziani, quali giù eletti si publicheranno dal Padre Segretario nel prin10 aggiontan1ento che accaderà, esortandoli il Padre Prefetto all'ade111pi111ento ciel suo Officio, ricevendolo con1e datoli dalla 111ano di Dio. Oltre di detti Officiali publici vi siano due Angioli Custodi della Congregazione occulti, con1c appresso si dirà. § 1V Si avverte, che siccon1e si proibisce rigorosan1cnle, che nessuno dclii
Padri possa prirna della elezione parlare del Prefetto cligendo, tolto li Padri Consultori nella Consulta, così nello stesso rigore si proibisce di potersi parlare doppo la nuova elezione, e poi 1nanifestare ad alcuno il suo voto dato, o negato, rna con s<tnlo silenzio ciascun Padre ringrazi i il Signore della elezione sortila.
Teologia e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
253
Capo X Dell'Officio del Padre Prefetto. § I li Padre Prcfctlo è il Capo di tulti li Padri che fonnano il Corpo di no-
stra Congregazione sicchè tiene l' [40_] assoluto do111inio dcl governo così Spirituale, con1c tcrnporalc, politico, cd cconon1ico, al quale si deve prestare tulto il possibile ossequio, e venerazione, riguardando tuUi in esso Cristo nostro Signore, che ci con1anda, o ci guida, desiderando con Santa
~unbizione,
ed invidia di riceve-
re i suoi con1andi, cd obbedirlo alla cicca, così nelle rnalcric spettanti alla Congregazione ad int11s et od extra senza investigare i! perchè, con1e ancon1 nelle esortazioni, e
(~orrezioni
fraterne per la 1noderazione dei Costu1ni de Padri obbedendo-
lo sin1iln1ente nell'eseguire le 1nortifica7,ionì, che loro i1npo11erà, o per esercizio, o per gastigo, ancorchè apparissero o/Jsque uffa ra1frn1e, e n1otivo, non essendo obligato il Padre Prefetto ad assegnar la raggione, n1a secondo riconoscerà essere espediente alla perfezione della virlli dei Padri così liberan1ente potrà esercitarli, o gastigarli, cd in questo h{t da risultare spccialn1ente la escn1plarità, l'vlodc.stia, o:l U1nillà dc.lli Padri. § 11 Si<l il Padre Prcretto confonne licne il titolo onorevole, così il prin10 ;l sostenere il peso della esecuzione pontualissi1na di tulle le regole. e si facci ob-
bedire eia tutti pili coll'esc1npio della Vita, che colle parole. ]4 I]§ III In ogni Venerdì nel puhlìco aggiontan1ento farà leggere dal Padre
Segretario un Capitolo delle noslre Regole slin1ato da lui pili profiltevole. § I.V Sia il pri1no ù venire in c:ongregazione per obligare gli c1ltri ù venire
in ten1po opportuno per con1i11ciare la Congregazione e finirla nel tern1inc stabililo, COl11C si dirà(\
SUO
luogo, cd essendo sonata ]'ora prc.scrilta COJninci ]a (:on-
gregaziOllC con quelli Pc1clri che si trovano presenti. ~
V Farà esso l'esercizij della Congregazione in ogni Venerdì secondo il
tenore di dette Regole, esercitando, e n1ortificando quelli Padri, che vengono tardi in Congregazione, e n1olto pili li n1ancanti senza legitin1a causa, essendo sulle spalle dcl n1ede1110 appoggiata la sussistenz<l della Congregazione e delle sue rcgo-
Antonio Coco - Sonya Sofia
254
apoco ù poco, se il Padre Prefetto non curerà d'infervorare la freddezza dclli altri invigilando a non rendersi colpevole nel tribu-· le, quali caderanno, e disperderanno
nalc della Divina Giustizia delli difetti, e rnancan?;e delli altri Padri per sua trascu-
raggine.
§ VI Non sia facile
a conceder
licenza senza farsi accertato della legiti1na
scusa, per cui dcl licenza cli 1nancare dalla Congregazione, o di scusar li Padri 8. non accettare li esercizii della Dottrina, o altri da 142-] in1porseli.
§ VII Nel caso d'infennità tiene obligo di avvisare il Padre Maestro di Novizij, e Reverenda Consulta per dare la dovuta providcnza alli accidenti che occorrono in Congregazione. §VIII Non possa andare <1 longa Villeggiatura fuori la nostra Città cli Catania senza darne parte alla Reverenda Consulta per 1nostrarsi in tutte le sue azioni Esernplarissin10 con1c norn1a cieli i altri.
§IX Nel caso che la Reverenda Consulta avesse inotivo di querelJ ciel procedere, o azioni dcl 111eclesin10 Prefetto e classe co111n1issione
<-1
qualque Padre (il
quale sen1pre sia dé Consultori) cli tarlo a111111onire di qua!que clitetto, allora il detto Prefetto ricaverà la nionizione, e ricordo corne fattili dallo slcsso Dio, ed in caso cli giustificazione del suo operato si porti con ogni n1oclestia, e con tutta la possibile urniltà senza clazionc cli voce, ne altro segno, con che n1ostrassc disgusto della Correzione, e benchè innoccentc, ne renda perciò grazie al Signore, a:! alla Reverenda Consulta, che abbia per111esso lai 1notivo di esercitarlo, né cli tale an11nonizionc possa prendere occasione d'investigare l'origine d'oncle avvenne, n1a solo pigliarsela come venuta dalle inani ciel nostro Signore Giesù Cristo pri1110 Maestro della vera U1niltà. [43] Avverte però chi fà la Correzione <i portarsi col detto Prefetto pari1nente con un1iltà, carità, e rispetto, che devesi al grado cli Superiore. § X In caso di Necessità tiene la potestà, ccl autorità
a beneplacito
di poter
convocare la Reverenda Consulta, quale abbia da costare dclli 7 Padri, co111e .si è detto,
a suo luogo, ma se la Necessità sarà più urgente potrà
f-Jre la Consulta con
cinque delli sudetti Padri Consultori, e non avendoli pronti, possa in difetto sola1nente cli uno, o due, al co1npin1ento di cinque eliggere esso per quella volta ta11-
Teologia e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
255
ftnn, o uno, o due dci Padri, li più antichi, ed anziani secondo il rollo esislcnlc,
cd in tal caso di urgente necessità la inaggior parte di detti cinque Consultori cletcnnincranno la Consulta suddetta.
§ XI Tiene ancor obligo il Padre Prefetto di fare ogni due incsi una Consulta generale, nella quale si facci scrutinio così sopra li anclan1cnti di tutti li Padri, con1e della osservanza delle regole, e disordini forse occorsi nell'esercizio della Dottrina, dovendosi notare dal Padre Segretario (il quale scn1pre interviene nella Consulta senza dar voto, se non fosse sostituito dal Padre Prefetto in clifcllo di Consultore) tutte le dctcrn1inazioni della Consulta intorno all'ernenclazioni, e correzioni da fru-si tanto puhliche, co1ne private, acciò la Reverenda Consulta possa esiggere l'effet [441 tuazioni di quello che si ha risolto.
§ XII Per quanto 111ai sarù possibile non si n1uli, né 1neglio, né in altra fonna la disposizione clclli nostri Capitoli, n1a si osservino od literon1, cd apponlino, carne sono disposti, soggettando i particolari senti1nenti alle 111ature deliberazioni delle nostre Regole. Che se i11 fl1turu111 per qualquc raggionevo/issitno, e grave 1notivo ci obligassc la Esperienza cd alterare, glossare, inlerpetrare, abolire, o 111igliorare in tutto, o in parte qualquc Costituzione di nostra Congregazione non si clcvenga gia1n1nai a ciò fare dalla sola Reverenda Consulta, rna oltre di essa si debbano chian1are in Consulta tutti li Padri Prefetti, e Maestri cli Novizij passati, e per dar loro ternpo cli riflettere allo affare che si hù da trattare, per non ciarli 1notivo cli n1ancare, si debbano avvisare quindeci giorni prin1a, e dar loro in scrip-
tis il ponto, che si hù da discorrere (sigillato però, acciochè tanto il Padre, che h<i da intervenire alla Consulta lo tenga segreto, quanto per non dar n1otivo al Nunzio, con cui s'invierà cli saper ciò, che con tutta la segretezza si ha da trattare in piena Consulta) si proibisce in lanto sotto pena cli cancellazione
a tutti
li Padri,
che anno da inlcrvenire di non con(erire tra loro li suoi scntin1cnti, acciochè ognuno liberarnentc nel giorno destinato dica ciò che Iddio l'ispirerà. Né per tale Consulta sia in1peclita ù farsi la Congregazione nel solito Ve [45] nerclì, n1a per essa si detennini da! Padre Prefetto un giorno diverso acco111oclato alla 1naggior parte dci Padri. § XIII Avverta il Padre Prefetto, che in molte regole stà giudicato cli rin1el-
tere alla sua prudenza !a osservanza cli esse, e cli sua licenza potersi secondo le cir-
Antonio Coca - Sonya Sofia
256
costanze dispensare, 1na in ciò scn1prc s'intenda, ch'egli si tratlenga nella pane pili rigorosa, e favorevole alle leggi di nostra Congregazione con riflettere, che eh 111eno1nc inosservanze nasce ordinarian1cnlc il rilassan1cnto delle Con1n1unità pili fervorose. § XIV Il nuovo Prefetto eletto che sarù prin1a di venire l'altro aggionta-
rnento scielga occultan1cntc due Padri li più opportuni
a frtr
l'officio cli Angioli
Custodi della Congregazione, n1a che uno non sappia l'altro chi sia, e questi An-
gioli Custodi devono riferire al Padre PrclCUo tutto ciò, che noteranno cli clife11oso in qualque Padre della Congregazione, acciò si diano da esso con tutta carità li rin1cdii oppor1uni.
§XV Per fine il nuovo Padre Prefetto eletto abbia cura di esiggere dal PrcJ'etto passalo il libro Originale delle regole di nostra Congreg<lzionc, e quanto tiene il suo potere attinenze ad essa, per poi poterle consegnare ognuno successivarncnte al Prefe!to futuro.
[461 Capo Xl Dcll'Offizio del Padre Maestro cli Novizij. §I 11 Padre Jvlaeslro cli Novizij deve tenere cura speciale, cd invigilare sopra li andan1enti, n1oclestia, e frequenza di Novizij anìln<1cs1randoli nello istituto, e H.cgolc della Congregazione così od i111ro, con1e od extro, acciò si educhino con r-ervore per essere poi atti alla Professione, dovendoli esercitare colle n1ortificazioni, discrete però, e prudenti secondo il ten1po, e luogo, che ricercano, inipri1nendoli sen1pre un sincero affetto a[ nostro Santo istiltHo, istruendoli anche nel inodo, e n1ctodo d'insegnar la lJottrina, e ciel !ratto affabile devono prat1icare colli fanciulli. § II :E' però il Padre I'v:laestro deve sen1pre trovarsi rnezz'ora innanzi con1in-
cia la Congregazione cioè{\ ventun'ora ed un quarto, nel qua! ten1po in luogo ritirato leggerà, e spiegherà le regole alli Novizij, e Perseveranti, e cb essi es1ggeri\ conto circa la osservanza dì quelle.
Teologia e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
257
§ III Sicco1ne è facile la nostra n1isera Natura ù cadere nei difetti, e trasgressioni ciel proprio istituto, così deve esser pronto ogni Novizio, e Perseverante accusarsi col Padre Maeslro dei suoi errori circa !a osservanza delle regole con tutta sincerilà, 111oxhnu se ne saranno richiesti da! Padre Maestro, accettando poi con tulta un1iltù [47] ed allegrezza quella Penitenza, che gli sarù i1nposta con la dovuta carità, e discretezza. § IV In caso dì Morte, o di assenza dcl Padre Prcl'ctto, senza lasciare il suo
Officio, nel suo luogo parlerà la Carica di Prcfcuu sino alla venuta dcl n1cdcsin10, o nuova elezione eia farsi nel lcn1po dctcnninalo, e proprio della Elezione dcl Padre Prefetto giusta le disposizioni delle nostre Costituzioni. § V Occorrendo urgentissin1a necessità, che non può partir diinora, potrà
convocare la Consulta, e detern1inare in essa 111ore solito la Materia urgente, se però può clilTerirsi ad altro giorno, nel quale vi può intervenire il Padre Prefetto non possa farlo, essendo scn1prc il capo della consulta il Padre Prefetto,
a cui
sì
deve prestare lutto l'ossequio, e ubbidienza, anche assente. Se però l'assenza dcl Padre Prefetto fosse longa, allora sia lecito al Padre Maestro (ogni volta vi sii necessità) convocare la Consulta, e quanto in essa sarà dctcrn1inato si noterà dal Segretario nel solito libro con 111ettere ogni volta la causa, sen stante absentio ciel Padre Prefetto. §VI Deve detto Padre Maestro di Novizij terene un libro, ne! quale hù eh notare il nun1ero dé Novizij, la età, il giorno, nel quale sono arn1nessi <i perseveranza, cd il giorno, in cui si an11nettono al Noviziato, ed il giorno, in cui fanno la Professione, con1e pure
notcr~t
le inancanze [48] dalla Congregazione per d<.ffnc
distinta relazione nelle Consulte. § Vll Trascorsi sei 1ncsi da contarsi dal giorno, in cui fù ainn1csso il No-
vizio al Noviziato, se gli parerà degno cli professarsi, avviserà il Padre Prefetto per convocar la Consulta, ed in essa csarninarsi, se debba arn1nettersi alla Professione, e nel professarsi il Novizio darà nota distinta a! Padre Segretario del Non1e, Cognon1c, età per notarlo nel ruollo dei Padri Congregali.
Antonio Coca - Sonya Sofia
258
§ VIII Abbi cura il Padre Maestro, incon1inciandosi la Congregazione cli
lasciar un libro ali i Perseveranti, acciò non stiino oziosi dietro la Congregazione n1a spendino bene quel ternpo leggendo assien1c sino al fine della Congregazione,
e lo stesso s'incarisca, che facessero quei Padri che vengono prin1a d'incon1inciar la Congregazione, e non passare il tempo vana111cnlc in ciarle, dovendosi se1npre osservare un rigoroso silenzio nella Congregazione alla presenza di Giesù Sagrarnentato, con1e n1cglio si dirù
a suo luogo.
§IX Sarà anche pensiero del Padre Maestro, che i! Novizio prin1a di professarsi facci la Confessione generale se così giudicherò il di lui Padre Spirituale, e se sarà Chierico, si con1unicherà la n1altina, che se n1ancherà in ciò, non si professi in pena della sua Negligenza. § X Cessando i! Padre Maestro dal suo Offizio, finito il Se1ncstre, dovrà consegnare al nuovo Maestro la nota distinla dci suoi Novizij e Perseveranti, a_\
infonnarlo dcl 111odo, con sui si sono diportati nel ten1po dcl No [49) vi7,iato.
Capo XII Dcll'Offizio dcl Padre Segretario. ~
T Tenga il Padre Segretario tre libri, nel prin10 dei quali noti lul!i li
110-
1ni dclii Padri quando entrano, notando nella prin1a Colonna il 1101ne, la giornata, n1cse, cd età di loro propria n1ano; nella seconda Colonna il giorno della Professione; nella terza colonna, che resta in bianco, si dovrà notare il giorno della Cancellazione, oppure s'entrerà in Religione, o dignità di pennanenza fuori di Catania, e farne nota1nento in detto spazio, ovvero la Morte. §II Nel secondo lihro deve per ogni Pagella notare tutti li No1ni c\elli Padri con tirare le linee di 1nodo tale, che vcnghi
arestare spazio
per potersi in ogni
aggiontan1ento notare nel proprio quadrato di ognuno il segno; cioè, se in quel giorno san) vcnulo in Congregazione, scrivasi in eletto Quadrato !a lellcra (V) che significa Venuta; se avrà 1naneato con scusa !egiti111a accettata dal Padre Prefetto la lettera (S). Se si troverà inferrno la lettera (I). Se però avrà n1ancato senza scuse, co1ne sopra, la lettera (M).
Teologia e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
259
§III Dovrà nel n1cdcsimo libro scrivere in una pagella prcccdcnlc alle elette per tutti [501 li aggionta1nenti del Sernestre la lista elci nuovi Superiori, ed offiziali, registrando la giornata della elezione, ccl in pri1no luogo il Padre Prefetto, Padre Maestro di Novizij; Padre Segretario, e Padri Consultori. § IV Nel terzo libro si dcvon notare tutte le Consulte con1inciando dalla
giornata, e seguendo i non1i di quei Padri, che intervennero alla Consulla. Indi descriverà la Materia proposta, 1ncttcrà sollo la risulta, finnanclola colla propria 1nano, e solloscrizione. § V Nel fine cli ogni Scn1cstrc frtccia firrnare tutlc le Consulte del Padre
Prefetto, e Padre Maestro ch'cscono dal governo. § VI Sia in cura, ed obligo dcl n1cdc1110 in ogni giorno cli Congregazione
n1ostrarc al Padre Prefetto o Padre Maeslro in difetto del Padre Prefetto il notan1ento dello aggionlan1cnto passato, posto e regislralo nel secondo libro, per conoscere quelli Padri avranno n1ancato, ad cffello che il Padre Prefetto cscguischi l'obligo tiene circa la n1ancanza dclii Padri secondo l'obligo loro. §VII Il Padre Segretario di più sia diligente in finire il suo 01-Tizio, nella nuova elezione dcl Padre Prefetto di consegnare al Padre Segretario nuova1nente eletto tutti i libri cli nostra Congregazione, e quanto tiene in suo potere per uso della nostra Congregazione. [5 I] Capo Xlll Dell'Offizio dcl Padre Ministro. §I Il Padre Ministro della Dottrina, cd in sua 111ancanza il Padre Sotto1ninistro è in obligo di avere speciale cura d'intervenire ogni giorno alla Dottrina, e::! in assenza dcl Padre Prefetto, e Maestro di Novizij rappresenti lui la persona ciel incdcn10 nelle funzioni esterne della DoUrina, dando lutti li ordini opportuni, e politici, e tutli li Padri sono Lcnuti obbedirlo con1c voce, e Persona del Padre Prefello.
Antonio Coco - Sonya Sofia
260
§ 11 Abbia cura, e facoltà di a1n1nacstrarc tutLi li Padri, spccialn1ente i
Chierici tanto Professi, co111e Novizij, correggendo con carità Lutti i dilCtLi atLinenti alli Esercizi i della Dottrina, con fare avvisato il Padre Prefetto di quanto occorresse di disordine, e l'acci pratticare perfettan1ente tutti li a1n111inicolì intorno alla prattica clelli Esercizij della Dottrina, e 1nodo d'insegnarla, per quanto stà prescritto nelle nostre Regole, e secondo le circostanze dctlcrù la Prudenza. §III Tenga appresso di se la nota delle Copie del li Padri che sono assegnati a far la Dottrina per tutti i giorni della Settitnana per osservare !i Padri 1nancanti, e darne notizia al Padre Prefetto. ~IV
Finalrnente deve tenere la chiave della Cassa del Crocifisso, ed aver
cura delle Ca111panellc, In1pollettc, Dottrine, e quanto vi è in esse per serviggio della Dottrina, [52] e sia diligente in non perdersi cosa alcuna, dovendo ogni Ministro passato consegnare al nuovo Ministro quanto vi è nella Cassa, e così successiva1nentc.
Capo XIV Dell'Obligo dclli Visilalori dcll'Infcnni. § I La Cordiale unione, che s'intende essere strettissirna in Gicsù Cristo
nostro Signore tra li Padri cli nostra Congregazione ricercarebbe, che se ne
J~1ccssc
viva din1ostranza precisa nelle occorrenze cl'infennitù, n1a il cotidiano, e continuo esercizio del nostro Istituto della Dottrina non pennette alla Congregazione di n1ostrare tutto il cordiale affetto, che conserva ne Padri, alineno si è stabilito 1110strarlo in parte che però. §II Li visitatori clell'Jnfenni devono invigilare in avere notizia, che qualsisia de nostri Padri fosse infern10, lo visitino per quanto clun1 la i11fen11itù più volte, ne diano avviso al Padre Prefetto, acciò questi ne dasse parte in publica Congregazione, alTinchè li Padri possano esercitare col Padre inferrno la loro caritù, aJ affetto cordiale, che conservano nel cuore, e per cornpire {J questa Regola si csen-
Teologia e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
261
tano li Padri cli nostra Congregazione di andare all'Ospedale, con1111utanclolo con questo atto di carità. ~ ITI Li Padri Infcnnieri con santa carit[1, cd insien1e con tutta la discretezza 111 caso di gravissin1a infcnnità, quae tendi! od 111orter11 del Padre infcrn10, [53]
procurino, che detto Padre riceva li Sagran1cnti della Chiesa, rncntre ancora non ha con1inciato
a perdere i
sentimenti, incarendosi
a tulli
li nostri Padri, che nel
tcn1po delle loro gravi inferrnità, se così li piacerà, si valgano dclli Padri inlCrn1ieri per tutto quello loro occorrerà per sollievo dell'Anin1a, cd anche delle ncccssit~1
corporali, se ne avranno di bisogno, che però li Visitatori dcll'Infenni di bel
n1odo si dovranno inforn1arc occulta1nente dello stato dello Infenno, e sapendo che sia in pericolo dì n1orire procureranno discretarncnte farlo entrare in cognizione del pericolo, in cui si ritrova, ed il Padre Infcnno avvisato deve corrispondere all'avviso con segni vivissin1i di ringrazian1ento, e valersi di quella notizia per suo 1naggior profitto; accadendo più delle volte, che per incuria, e lusinghe dé Medici, e Parenti, anche le Persone più devote 111uoiono senza li previ i dovuti escrcizij di ben 1norire. ~
IV Non s'in1pone obligo ai nostri Padri neppure alli Visitatori dcil'In-
fern1i di ricordare nell'Agonia i! Padre lvlorihondo, atteso chè nol pennette il nostro Istituto; nonclin1eno li Visitatori dell'lnfenni tengono ohligo avvisare il Padre PrclCtto, sapendo che alcuno dei nostri Padri si trova già in agonia, acciò il Padre Prefetto suhhito ne facesse avvisata la Congregazione, acciò se qualquc Padre volesse libera111cnte assisterli, potesse pratticarlo. Tuui i Padri però in averne la notizia subito sono in ohligo cli recitare la litania della Beata Vergine invocandola in aggiuto [54] ciel Padre Moribondo, e fare altre Orazioni, che loro suggerirà la propria divozione. § V Accorgendosi li Padri infermieri, che qualque Padre infenno fosse in
qualque gravissin1a 1niscria, e povertà ne faranno avvisato il Padre Prefetto, i I quale si cooperi colli altri nostri Padri
aprocurare di sollevarlo per quanto si
e l'istcssa Carità s'intenda usare, se qualquc Padre in Vita venisse
a cadere
può,
ti stato
cli non potersi sostentare per qualche accidente, lo che si ri1neue alla carità del Padre Prc(ctto, e elci nostri Padri.
Antonio Coco - Sonya Sofia
262
§VI Morto che sarà alcuno dei nostri Padri !'Jnfennicri ne daranno subbito avviso al Padre Prefcllo, acciò questi in publica Congregazione ne dii notizia alli Padri, li quali dovranno più presto che potranno prendere una Indulgenza plenaria applicabile in suffraggio all'Ani1na dcl Padre clefonto, ed assistere al Santo Sagrificio della Messa per l'Anin1a del 1nedc1no, e di più l'applicheranno un 1ncse di esercizij spirituali soliti farsi da ognuno per suffraggio dell'Ani111a ciel Padre Defonto.
Capo XV Dcll'Obligo del li Sagrestani. §I Li Sagrestani di nostra Congregazione siano quattro, uno sia Maggiore, e li altri tre Minori. Il Maggiore hft da essere ncccssarian1cntc Sacerdote, il loro obli [55] go si è l'apparecchiare tutto quello, che necessita in Congregazione, e perciò prevengano l'ora sforzandosi di venire li pri111i, per apparecchiarla pri1na che vengano li Padri.
§Il Apparecchino il tavolino con due sedie, o banco longho per il Prelètto, e Maestro di Novizij, e un banco per il Segretario, e sopra lo tavolino facciano trovare una In1polletta, il Can1panello, e li due libri, cioè quello delle Meditazioni, e quello della lettura.
§Ili Procurino cli proveder la Congregazione di due candele di cera, che ardano innanzi al SS.mo Sagra111ento, 111cntre dura la Congregazione. ~
IV Tengano pronte le scope per quando sarà bisogno di scopare la Con-
gregazione, e di più un vosciatore, tenendo polita la Congregazione, con1c quella, ch'è la Ca111era della SS.111a Vergine.
§ V Non si possano niai far feste, e Solennitù nella nostra Congregazione, solan1ente si pennette nella Festa di nostra Signora sotto titolo della Madre SS.1na ciel lun1e, di poter n1cttere 12 candele all'Altare, e nienre altro.
Teologia e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
263
§ VI Faccino trovare pronta l'acqua bcnedella alla porta della Congregazio-
ne, acciò li Padri nell'entrare, e nello uscire si seguino con quella nella fronte. ~VII
Il Padre Preteuo di Sagrestia tiene obligo cli consegnare al nuovo suo
Successore nella nuova elezione [56] dclii Officiali tutto quello si trova in poter
suo, attinente alla nostra Congregazione
Capo XVI Dell'Obligo delli Portinari. § I Li Porti nari di nostra Congregazione devono essere due, che siano delli
Provetti, ed Anziani della Congregazione, staranno ?i sedere vicino alla Porta in due banchetti, e saranno tnolto gelosi della Porta, che stia serrata, en1pedendo, che non entri, chi non deve entrare secondo l'ordine avranno ricevuto del Padre Prefetto
§ II Di tanto in tanto stiano à vedere li anda1ncnti, e 1nodcstia dclii Perseveranti, e ne diano notizia al Padre Maestro dci Novizij. §III Venendo Persona per chian1are qualque Padre in ten1po cli Congregazione, non possano in conto alcuno portare tale a1nbasciata nel tcn1po della Orazione, se non fosse cosa di sornn1a pre1nura; in altro tcrnpo opportino delta arnbasciata al Padre Prefetto, dandola in ginocchio, e dal mcdesirno attendano l'ordine di quello dovranno h1re.
[57] Capo XVII l)el Ceren1oniale, che devesi osservare eia tutti li Padri negli csercizij cli Congregazione eosf ad in tra, cornc ad extra.
§I Venendo li Padri alla Congregazione prin1a cli essere inco1ninciata, avvertano di osservare un rigoroso silenzio, e n1odestia, rillettendo, che sono alla
264
Antonio Coca - Sonya Sofia
presenza cli Dio per rendere conto de/l'Anin1a propria, e per n1aggior raccoglin1ento cli spiri lo si stabilisce, che rnczz'ora innanzi della Congregazione in esservi due Padri venuti, uno cli quelli tiene obligo di leggere un libro Spirituale in voce alta, ccl intelligibile agli altri e seinprc quando non si faranno cscrcizij di Congregazione il Padre Prefetto tenga cura, che non stiano oziosi i Padri, 111a facci leggere qualquc libro, cornc sarebbe nel giorno che si [à la elezione del Prefetto. §TI Occorrendo che qualche Padre venisse in tcn1po, nel quale sarà co111inciata la Congregazione si porterà nella seguente n1anicra.
§ TTI Se sarà nel tcn1po, che si stà leggendo la Meditazione, si niella in ginocchio, e non si alzi, sinochè gli sarà dato il segno dal Padre Prefello, e vada ù sedere; se è con1inciata la Orazione, si trattenghi in ginoccchio finochè sarà dato il segno di alzarsi tutti li Padri, e quelli che sono venuti tardi vadzino ù prostrarsi [58/ ai piedi dcl Padre Prefetto, bacino la terrn, e ricevuta la benedizione dal n1cdesirno, vadano ci sedere ù suo luogo. § TV Li Novizij oltre la Ceri1nonia suclcua faccino l'islessa funzione col
Padre Maestro baciando la terra carne sopra. § V Se però la venuta fosse prin1a della Meditazione, ed Orazione, ingi-
nocchiato in rnczzo della Congregazione baci quattro volle la terra, 3 in onore della SS.ina Trinità, ccl una in ossequio della SS.rna Vergine cd avuto il segno col Can1panello, si porti ai piedi del Padre Prefetto, baci cli nuovo la terra, e vadi <i sedere.
Capo XVTII Degli cscrcizij coticliani da pratticarsi in particolare, e privatan1ente dai nostri Padri §I Ogni noslro Padre per n1aggior gloria cli Dio noslro Signore, e profitto dcll'J\nin1a sua deve ogni giorno csercilare, e pratticarc le inJì·ascrille regole. Prin10 in alznrsi da letto la n1attina nella propria casa, o in Chiesa deve tare alrncno n1cz7.'ora cli Orazione 1nentale.
Teologia e cutechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
2°. La sera prin1a di anelare
aletto deve fare un quarto di csan1c
265
di coscienza
per conoscere, ccl cn1endare tullì li difetti dell'Anirna Sua, cd un'altra csan1e farà ù inezzo giorno sopra qualque clìfetto [59] parlicolarc, e sopra l'acquisto di qualquc Virtù, che gli 111anca, durandolo ù suo arbitrio quanto può. 3°. Deve spendere alineno un quarto d'ora per prepararsi alla Santa Messa, quale deve celebrare con tanta attenzione, co111e se fosse l'ultin1a di sua Vita, e doppo rare il rcndin1ento di grazie a!n1cno per un quarto d'ora, cd avendo con1rnodità potrà vedere una Messa oltre la celebrala. 4°. })eve al111cno un quarto d'ora leggere qualquc libro spirituale. 5°. Deve avere speciale divozione alla Passione di nostro Signore Giuesi:J Cristo con recitare cinque }Joter, et Ave alle sue SS.n1c Piaghe, acciò illun1inasse tutti i Peccatori, ed insien1e avere particolare an1orc alla SS.n1a Vergine, con recitarle ogni giorno le Litanie. 6°. Deve sopra tutto attendere alla prattica della vera Virtù, esercitandosi nella un1iltà, Carità, Ubbidienza, Pazienza, Mortificazione delle Passioni interne, e sopra tutto in una singolare Modestia in tutte le sue Azioni, e precise quando si farà la Dottrina nei Cartigli, e nelle strade. §Il Di tutti questi esercizij ne darà ognuno conto al Padre Prefetto, quando ne sarù richiesto in privato conto cli Coscien7.a, o in puhlica Congregazione, se così piacerà al Padre Prefeuo, al quale resta se111pre la facollà 160_] cli dispensare sopra clettii esercizij cotidiani
aquel Padre, che
per legitin10 in1pedin1ento non ne
potesse fare alcuno. § III Per la puntuale osservanza delli sudctti esercizi.i deve il Padre Prefetto
chia1narc ti se un Padre per ogni Sctlin1ana, acciò gli renda conto stret1o di Coscienza circa la Osservanza dcl nostro Istituto, e delle H.egolc di nostra Congregazione, e darli dovuti, e salutari ricordi secondo la
Necessit~1
di tal Padre.
Capo XIX D'allrc Proibizioni ai nostri Padri. §I Essendo indispensabile al perfeuo con1ponhnento dei nostri Padri la regola di tutti i costun1i per verificarsi in essi quel eletto dello Apostolo: ut sobrie
Antonio Coco - Sonya Sofia
266
h1ste, et pie vivan1us h1 hoc seculo pur obligati
a render conto
Deo, e/ hon1ini-
bus, sapientibus, et i11sipia11tibus essendo ccrtissin10, che un'Open.trio Vangclico non basta esser Santo nello interno, et corrun lJeo, n1a anche clev'csscr tale nello esterno, et corani horninibus co1nc sian10 istruiti dal n1cde1110 Apostolo: Nen1ini dontes u!h1111 qff"ensionen1, ne vituperetur 111inisteri11n1 nostr11r11 onde ancorchè superrlua l'aggiunta dcl presente capitolo, ad ogni 1nodo in qualunque .futuro ten1pore si stabilisce. §II Che nessuno dei Padri Professi, Novizij, e Perseveranti possa recitare, e rappresen 161_] tare qualquc parte in Con1edic, o tragedie, così publiclle, con1c private, nc1nn1cno intervenire alle Connneclie publiche, o private, e vedere li zanni, essendo gravissin10 disordine con1parirc in pnlco, star presente {J tali opprobriose Vanità chi pri111a è con1parso, e cloppo avrà da cotnparire in atto di pratticare l'opera più insigne, e gloriosa di un' Operario Vangelico, qual è lo istituto della nostra Congregazione, n1oxin1e per la fan1igliarità che dovrà tenere nei Conigli. § III Solan1ente si pennette poter essere presente
a vedere le
l~apprcsenta
zioni Sagre, nelle quali non intervengono Donne rappresentanti; con che offerendosi occasione ù tal Padre di anelar
a vedere tal
opera Sagra, ne debba ricevere la
benedizione dal Padre Prefetto.
§ IV E per 1naggiore, e rigorosa osservanza ciel presente Capitolo, e riparare ad un tal disordine, s'in1pone ad ogni Controvenlore, e trasgressore di questa regola cli esser privo della partecipazione cli tutti gli Esercizij, che si fanno in nostra Congregazione così ad intrn, co111e ad extra per lo spazio di un'anno; e se tale notizia perverrà
a qualque
Padre sia in obligo di 111aniJCstarlo al Padre Prefetto,
acciò provandosi detto eccesso fosse la] Padre privato di voce attiva e passiva per lo spazio cli eletto anno, e privato di far la Dottrina, o eietto dalla nostra Congregazione secondo la gravità ciel delitto, o altre pene ben viste al Padre Prefetto e Reverenda Consulta. §V In caso però, che il Padre trasgressore di detta regola n1anifestasse il suo difetto sconte in publica Congregazione, [621 e ne classe segni vivissiini di sornn10 dolore, e pentin1ento, allora sia in libertà del Padre Prefetto e Reverenda Consulta di 1ninorare la pena, purchè non sia stato Recidivo, o l'avesse fatto clolosa1nente.
Teologia e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
267
Capo XX Del Modo, ovvero Praltica di far la Dottrina ai fanciulli nelle Strade, e Cartigli.
§I Pcrchè il fine pri1nario del nostro Istituto è lo istruire li fanciulli nella Dottrina Cristiana nelle Strade, ccl in ten1po di Quaresin1a nelle Chiese, nel qual esercizio potrebbe il Dc1nonio scrninarc di molta zizania, e si potrebbero incorrere inolli scogli per rovinare la nostra Congregazione, e perdersi la copiosa Messa di tanta gloria ciel Signore, e profitto spirituale di tante Aniine, se dalla oculatezza dclli superiori, e Consultori non si riparassero subito, che nascono anche i piccioli disordini, che nelle Con1111unità sono inevitabili; perciò s'incarica la Coscienza
del Padre Prcfcllo, e Reverenda Consulta, che ogni due n1esi inclispensabi!n1enle si facci una Consulta generale, nella quale si facci scrutinio diligentissin10 sopra l'osservanza del nostro Istituto, rnoclo cli eseguirlo, e circa li andan1cnti dci Padri e trovandosi che riforn1are, o riprendere, con santa libertà, e prudenza si eseguisc<1 con chi che sia dci Padri anche esentando, e proibendo à chi giudicheranno dall'Esercizio della Dollrina [63] § II Sia punito con pene gravissin1c, cd anche eiello dalla Congrega--
zione con1e Superbo, Scandaloso, e Ten1erario qualunque Padre per antico e provetto che sia, il quale n1ostrasse 1neno1no risenti1nento, e si preggiudicasse in persona propria, o in persona di altri, quando sarà penitenziato, o appartato dalli Escrcizij della Dottrina, anche se fosse innoccentissin10, dovendo ognuno aver i gloria, l'essere un1iliato, ed esercitato clalli Superiori, e Reverenda Consulta, la quale deve godere una inalterabile libertà nelle ])eterrninazioni per la Conservazione di nostra Congregazione §III Siano avvertili tutti i Padri di essere pontuali, e trovarsi pronti prin1a delle ore 22 nel giorno loro assegnato per fare la Dottrina, portandosi ognuno il bi retto proprio di lana, e la Dottrina, e per quanto sarà possibile procurino in caso di sovraggiunto i1npcclin1ento sostituire qualque altro in suo luogo, per non n11norarc in quel giorno la copia dei Padri § IV Nello insegnare la Dottrina usino i Padri con quei fanciulli una pater-
na carità, e li trattino con an1orevolezza veran1ente di Padre, ricordevoli di quella
Antonio Coca - Sonya Sofia
268 incJTabilc
af1~1hillà
di Cristo nostro Signore usata coi fanciulli, e della sua arnore-
volc riprensione [alta alli Apostoli, che con indiscreto rigore lì cacciavano da se;
E però se qualquecluno dei Figliuoletti fosse sn1odcsto, an1abiln1cnlc il correggano, [64J e se fosse incorrigibile potrà dirsi al Padre, che
va girando,
e da questi lo
facciano correggere, per non farsi odiosi nello esercizio della Dottrina. § V Si raccon1anda a tutti i Padri, che nell'insegnare la Dottrina siano un vivissin10 specchio di esen1plarità non vagando con ]'occhi, ni<1 che li 111antengano fissi nella Do1trina, che tengono nelle Mani; Di tanto in tanto potranno alzare
]'occhi al Cielo ofTcrcndo
a Dio
nostro Signore quella fa1·iga, che per solo suo
an1orc stanno esercitando. §VI Indrizzino diretta1nente seinpre l'insegnan1cnto <i fanciulli, ed indirettan1entc alli grandi che senza invitarli si troveranno presenti; e se taluna delli Grandi h1eesse qu<1lque di1nanda sopra la Dollrina con lutta libertà risponda, e prosicgua lo insegna1nento alli fanciulli. §VII Deve scn1pre con1inciare la Dottrina alle ore 22 in ponto, e per essere pontuali à tal ora prevenghino i Padri con trovarsi nella Chiesa clcstinat·a ù Congregarsi un puoco prin1a, per non trasgredirsi l'ora stabilita, e perciò il P::idre che presiede in esser venuti due Padri, cd è già il ten1po di farsi la Dottrina, non aspetti altri, 111a si parta con quelli, e dì<1 principio, e venendo ]'altri, li vada assegnando
a luoghi detcnninati.
§ VIII Chi presiede abbia sagacità prudente nello assegn<1re i Padri col ri-
rlesso di assegn<1re i Padri più vecchi alle fanciulle, e li più Giovani alli Maschi. Se qual 165] che Padre però avesse n1otivo di scusarsi dallo insegnare o li fanciulli, o le J'anciulle, ne potrà prevenire segretainente il Padre che presiede, e questi accetterà caritativ<1111ente la scusa, operando sen1pre colle regole della dovuta prudenza. §IX Nello anelare dalla Chiesa alle Strade detern1inatc della Dottrina si vada col bi retto in capo, e con tutta la possibile Modestia, esortandosi tutti ù non ciarlare per le strade, n1a a due a due incan1inarsi, essendo gih inco111inciato l'esercizio della Dottrina nell'uscirsì dalla Chiesa, nella quale anno prirna invocato i I Divino Spiri Lo con l'Inno, Ven; Creotor Sp;r;rus, l'aggiuto della SS.n1a Vergine
Teologia e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
269
col sub fil/fin presidiurn, e l'assistenza dcl Santo Angiolo Custode con la preghiera, A11ge/e Dei ere.
§X Assegnato già il Padre al suo luogo dia principio alla Dot!rinn con recitare in ginocchio assien1c con fanciulli un'Avc alla SS.n1a Vergine invocandola dcl suo patrocinio per quella opera, e subbilo postosi ù sedere tenendo innanzi
a se li
fanciulli, cominci la istruzione suggerendo
apoco a poco
a circolo de verbo
od verbun1 senza ncruna n1utazionc le parole della nostra Dottrina, e non passino innanzi, se prin1a non avranno i figliuoli in1parala !a priina parlc, e le prin1c petizioni, ed accorgendosi che la sappi<ino
passcr~1
alle altre din1anclc, e cossì succcssi-
va1ncnlc, non curandosi f66] tanto di spedire tutta la Dottrina in un giorno, 1na che insegnino quel Lanlo, di che saranno capaci li Ragaz;zi, replicando più volte l'istcssc interrogazioni, finchè l'apprendano bene. §XI Finita l'ora della Istruz;ionc, chi presiede darà il segno in n1oclo intelligibile col Can1panello, al di cui tocco prontainentc cessino d'insegnare li Padri, e postisi in ginocchio con fanciulli diranno ù voce alta il Credo, Poter, Ave, Atto di Fede, Speranza, e Carità coll'atto della Contrizione, e Proposito, e conchiucleranno la Istruzione con dire sia lodato il SS.1110 Sagra1nenlo etc nialedclto il Peccato Mortale, ccl alzatisi si uniranno tutti li Padri assie111e col Padre, che presiede, e si licenz;iino an1orosan1cnte. §XII Qui si avverte, che se nello insegnare si devono i Padri guardare dalle burle, e cose ridicole, e se accadesse, con1e può facihnente accadere, che la scn1plicità dci fanciulli nel gcstilc, o nel parlar loro scialingualo dessero qualquc
1110-
tivo di ridere all'altri, con santa 111aturità fingano il n1otivo dato, e prosieguano l'insegnan1cnto senza 111ostrarsi scienti del rnotivo di quel riso con disinvoltura, si 1nortiJ'ichino per an1or dcl Signore, dovendosi in un La] esercizio spirare una Santa sobrietà, e gravità n1odestissin1a in lultc le azioni, se si vuole 1nante11erc in fervore [67] il Santo istituto. §XIII Per gravìssi1ni, giustissin1i, e ben considerali 1notivi si proibisce
a
tutti i nostri Padri, che nel fr1re !a Dottrina nelle Strade, o nel principio, o nel fine fossero richiesti dalle Con vicine di parlare di qualque atto di Carità, o di lin1osina non stiino ad intron1ettersi in conto veruno n10J.:i111e se sotto tal pretesto fossero
Antonio Coco - Sonya Sofia
270
chinn1ati in qualquc Casa, non possano 111ai andarvi, se non fosse per urgentissin1a causa, corne per necessità di assistere 8. qualque Moribondo, o per qualque accidente in1proviso di Confessione, dovendosi in quell'ora solan1ente aUcndere alla istruzione dé fanciulli, per il quale unico fine sono inviati dalla Ubbidienza.
Cupo XXI
Di un'altra Obligo della nostra Congregazione. §I Oltre l'obligo di fare la Dottrina nei Corligli, e nelle Parroccl1ie ogni
anno, co111e si è detto, tiene di più obligo la nostra Congregazione d'invigilare, ul aver cura delle Scuole publichc delle Donne, e questo per ordine di Monsignor Illust.1110 e perciò si ri1ncttc al Padre Prefetto l'osservanza cli questa Regola con inviare di tanto, in tanto, ovvero ogni 111cse, e co1ne 111eglio può pratticarsi due Padri aln1eno, or ad una, or ad un altra di dette [68] Scuole cli Fen1ine, con avvertire, che i Padri che 1nanderà siano dclli più provelti, 111aturi, cd anziani, li quali si scieglieranno col parere delli Consultori, e questi Padri n1andati dal Padre Prefclto anelando alle dette Scuole con tutta n1odes!ia, e creanza prudcntissirna procurino di osservare i dcportarnenti delle Maestre verso le Figliuole, e sopratutto csan1incranno qualque fanciulla nelle cose della Dottrina, per vedere se le dette Maestre con1piscano col suo ob!fgo di a111111aestrare le Discepole nelle cose spettanti alla Dottrina, ed osservando qualque disordine ne diano a! Padre Prcfelto la notizia, acciò questi ne facci consapevole Mansignor Illustrissin10 per dare gli opportuni rin1edii. §II Di più Monsignor Illustrissin10 incariscc la nostra Congregazione, che di tanlo in tanto il Padre Prefetto invigilasse sopra gli andan1enti dclli Maestri cli Scuole publiche con inviare Padri di tutta 1naturità, e prudenza, ed esan1inare li figliuoli, ed osservare se sappiano li ruclin1enti del Calhechisn10, e di lutto ne dassero notizia al Padre Prefelto, e questi ne conferissea di quanto occorre con IVIonsignor IJ!ustrissin10 per dare gli opportuni ripari.
[ 69] Capo XXII
Teologia e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
271
Modo, ovvero Prattica degli esercizij od infra, che si fanno in nostra Congregazione.
§ l L'ora di darsi principio a gli escrcizij di nostra Congregazione sarà dall'ora 21 e 3 quarti insino al!'ore 23. Sicchè non possa ne pri1na dell'ora 21 e 3
quarti co1ninciarsi, ne finirsi più tardi clell'ore 23. §Il Il Padre Prefclto in sanare l'ora 21 e 3 quarti darà il segno col Can1pancllo, e al tocco di questo subbito entrerà il Padre Maestro di Novizij lasciando fuora li Perseveranti, e posti in ginocchio falla proroncla riverenza al SS.1110 Sagra, e baciando quallro volte la terra vicino ai piedì del Prcfcllo, e Padre Maestro,
il quale si alzerà pri111a dé Novizij acciò posto {i sedere baciano ancora ri lui lì piedi li Novizij, e cloppo andarsene al luogo destinalo loro.
9 III Darà princìpio il Padre Prefetto alli esercizij della Congregazione fr1cendo pri1na un brcvissin10 colloquio, col quale avviverà in tulli li Padri la iède della presenza di Dio, eccitandoli alla Contrizione di tutti li difetti, e peccati co1nn1essi, per li quali si sono resi indegni di stare alla presenza del Signore, e tutti si accuseranno peccatori contro la divina Maiestà dicendo il Co1!fiteo1", e si faccia con sentin1ento interno cli profonda un1iltà secondo il detto dello Spirito Santo nell'Ecclesiastico: i11st11s in principio sennunis accusator est sui detto tb tutti il Co1(fiteol', il Prefetto, o chi presiede in assenza cli lui ripiglia con dire:
Misereatur vestri etc. J11d11/ge11tia111 etc con la seguente Orazione pro re111issio11e peccntoru. Oren1us l)e11s, qui 1111//11111 respuis, sed quo11t11111vis pecca11tib11s per poe11ite11tio111 pia n1iseratio11e plocaris respice propitius ad preces hu111i!itatis nostroe, et i/111111i110 corda nostro, 11! t11n voleo1n11s i111p/ere praecepta. Per Christ11111 Do111i11u111 11ostn1111. Ainen. Dopo s'invocherà da lutti l'aggiuto della SS.n1a Vergine col sub
praesidiu111 etc ed il Divino Spirito coll'Inno seguente: \le11i Soncte Spirit11s, et e111itte coe!itlfS /11cis tuae rodi11111. \Ien; pater pa11pen1111, veni datar t11I111en1111, l'Clli !11n1e11 cordi11111.
t11u111
Antonio Coca - Sonya Sofia
272
C'onso/ator oplin1e, du!cis hospes Anin1oe, d11/ce refi·igeriu111. [7 /_/In /abore requies, in estu ten1peries, in fletu solatiur11. O lux beatissilna reple cortis inti111a tuor11111 flde/111111. Sine 1110 nrnnine, nihil est in hon1i11e, nihil est h111oxiu111. Lava quod est sordid11111, riga q11od est aridun1, sano quod est sa11cit1111. Flecte quod est rigidu111, f'ove quod est jì·igidun1, rege quod est devi11111. Da fltisjidefibus, in te co11fide11tib11s, socn11n septenari11J11. Da virtutis 111eritun1, da salutis e.Yi/11111, da perenne ga11di1tll1. A1nen Finito detto Inno il Padre Prefetto dirà l'Orazione: Deus qui corda.fideli11111 etc e l'altra, Actiones nostras etc finita questa Orazione il Padre Prefetto dm·à il segno col Ca1npanello, e li Padri tutti baciata la terra si porranno <:l sedere a suo
luogo, il Padre Prefetto darò ci leggere al Padre Segretario i! libro per fare un quarto di lettura; doppo la quale si leggerà la Meditazione, doppo darà il segno, e si porranno tutti li Padri in ginocchio, dicendo il Padre Prefetto l'Orazione: [72] Oren111s
Larr:ire quae sun111s Don1i11e se111per spiritu111 cogitrou/i quoe recto s1111r, prupitius et agendi, ut qui si11e te esse 11011 poss1111111s, sec1111d11111 re vi\'ere Foleo11111s. Per Christu111 Don1i1111111 f/Ofr11r11. An1cn. Faranno doppo un quarto d'Orazione n1entalc, la quale conchiuderà il Padre Prefetto con un brevissin10 colloquio, e dato il segno si porranno lutti
a sedere.
9 IV Pinita l'Orazione 111entale il Padre Prefetto esiggerà le n1ancanze, e
l~1-
rà leggere dal Padre Segretario li Padri 111ancanli, dando !e dovute providcnzc con
tutta carità, e di più esiggerà dalli Padri conlo ù Santi Esercizij della Dottrina se stiano stati pontuali li Padri assegnati nell'eseguire quanto loro è stato iinposto, e in avviseranno i Padri che dovranno fare la Dottrina nella Setti1nana ventura, e quanto occorrerà doversi accusare. Ciò finito si conchiuderà la Congregazione con dare il Padre Prefetto un'Orazione giacolatoria per fino all'altra Congregazione e si tenninerà ogni volta con recitarsi d<J due Padri le litanie della SS.nu1 Vergine conchiudendo con la Orazione: Grotio111. tifo etc aggiongendovi !'()razione pro Con-
gregazJone, che dice: Defende quae s1111111s Don1i11e Beata Maria sen1per \lirgi11e intercedente ista111 ab on1ni adversirarefa111i/iln11, et toto corde tibi prostratr1111 o/J hosti11111 propfrius tuere c/en1enter insidiis. Per Christu [)on1i1111111 nostn1111. An1en. [73] E prostrati poscia
a faccia per lcrra diranno tre volte tutti:
Teologia e catechesi ne/l'episcopato di Pierro Galle/li
273
Te ergo quae s111r111sfon1ulis tuis s11bve11i, quos pretioso so11guù1e reden1i-
sti E alzati poi li Padri con son1n10 silenzio dentro la Congregazione nessuno
ardisca parlare,
111a
uscendo con tutta 1nodestia dia ognuno
aconoscere l'intero
suo
raccoglin1cnto, pensando prallicare li buoni propositi fatti, cd il fervore concepito dal Divino conforto. §V Pcrchè in ogni aggiuntan1ento del Venerdì si
dovr~t
leggere uno dci no-
stri Capitoli, acciò tutti li Padri ne tenessero viva la 1nc1noria, per lanlo si lascia in arbitrio dcl Padre Prefetto di rarlo leggere in te111po che sti1nerà pili opportuno, e secondo l'opportunità delle Circonslanze potrà anche qualquc volta con1n1utarc la lettura dcl Capitolo con parte della lezione Spirituale, o totaln1entc lasciare la lezione dcl Capitolo, o lezione del libro Spirituale, il tutto rin1ctlcsi alla di lui prudenza per non esser di tedio la Congregazione. Siccon1c pure si rin1ettc ad Jrbitrio del Padre Prefetto qualquc volta rara per urgente necessità abbreviare gli ]~sercizij della Congregazione.
[74] Capo XXIII
S'inculca ai Padri di nostra Congrcgat,ione l'inviolabile osservanza delli presenti Capitoli, e l~cgole. §I Attenta la 111atura considerazione, con la quale si è invigilato nella forn1azionc dclii presenti Cc~pitoli per la osservanza del noslro Santo istituto così al intro, con1e od extro, e revisione diligente fatta, e publicazionc di essi, con1c anche con la confcrn1a dcll'lll.1no e H.cv.1110 Monsignor Vescovo nostro presente, sotto le quali regole, e Capitoli si anno obligato, e si obligano tutti li Padri che prcsenten1ente si trovano arrollati, così parin1cnte s'intende, che debbano ob!igarsi tutti li Padri che i11fì1t11n1111 dovranno entrare, senza eccezione cli Persone, anche in Dìgnità costitu1e. ~ 11 Nessuno dci Prefetti fuluri etù1111 con tutta la Consulta, abbia ardire di 1nutare !'effettuazione del li presenti Capitoli, n1a restarsi scn1pre i11 s110 robore, et finnitote 0111ni fi1turo te111pore, e qucsto per non di1ninuirsi il fervore elci noslri
274
Antonio C'oco - Sonya Sofia
prin1i Padri, quali illun1inati dallo Spirito Santo tanto riconobbero doversi prallicare. § ITI Si stabilisce, che li presenti Capitoli originali, e solloscritti clal-
!'Ill.1no Monsignor Vescovo, e Vicario Generale debbano restare in potere del Padre Prefetto, che [75) pro te1npore sarà in Ù(/ù1itun1 et in pe11Jet11u111, ad effetto di non solo conservarli, rna di spesso leggerli, per esiggerne la inviolabile osserv<ln-
za con espressa proibizione di poterli in conto alcuno prestare, e dare {\ Persone estere, con ohligo però solarnente di consegnarli an1ani proprie ciel nuovo Prete1to, che pro ten1pore sarà nell'istesso giorno della nuova elezione, al quale se li dona l'istesso obli go col suo Successore, e così sueeessivan1ente in fi1t11run1. § IV Si dispone, che li presenti Capitoli, e Regole con1e qui stanno, s1 dovessero registrare, o copiare in un'allro libro, e doversi in fine firn1arc dal Padre Prefetto, Padre Maestro, e Padre Segretario di quella Sedia, in ten1po delltt quale si registreranno, e parin1entc se ne abbia da fare un consi111ile, quale debba restare in potere ciel Padre Segretario pro ten1porefì1turo, a cui s'i1nponc obligo di doverselo studiare, ad effetto che vedendo nella esecuzione delle Regole qualque irregolari là l'abbia eia co1n1nunicare ad aures al Padre Pre!Ctto per darsi subilo il rcn1edio opportuno, con1c anche aver la cura di fare intesi, cd istrulli li Perseveranti, e Novizij, quando il Padre Maestro stitna cli a1nrnetlcrsi un Padre alla Professione. §V E affinchè i11fl1t11n1111 apparisse, che questi /76-1 sono li Capitoli Originali, sotto li quali è stata fondata, e approvata dal ntro Tl!.1110 e H.ev.1110 Monsignor D. Pietro Galletti, e dal suo l{cv.1110 Monsignor Vicario Genen.1!e D.r D.n Giovanni Rizzari, si è detcrrninato doversi sottoscrivere da tutti li Padri, che per tutt'oggi si ritrovano aver fatto la Professione. §VI Per quanto 111ai sarà possibile, non si debba n1ai 111utare, ne in 111eglio, ne in altra fonna la disposizione dclii presenti Capitoli, n1a si osserveranno
ad /iternn1, cd appuntino, corne sono disposti, soggettanclo ognuno i parlicoiarti scntin1cnti alle n1aturc deliberazioni delle nostre Regole. Che se in Jìlfllrllfll per qualque ragionevolissin10, e grave 1notivo ob!igasse l'esperienza ad alienare, glossare, interpretare, abolire, o n1igliorarc in tutto, o in parte qualqueduna delle Costituzioni cli nostra Congregazione, non si dcvenga già1nai ù ciò fare dalla sola f{evercnda Consulta, n1a oltre di essa si debbano chian1arc in Consulta tutti li Pa-
Teoloi;iu e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
275
clri Prefetti, e Maestri di Novizij passati, e per dar loro tcn1po di riflettere all'affare che si ha da trattare, e per non darli n1otivo di 111ancarc, si debbano avvisare quin-
cleci giorni prin1a, e dar loro in scriptis il Punto, che si ha da discorrere siggi!lato, acciòchè tanto il Padre, che ha da intervenire alla Consulta [77] lo tenga segreto, quanto per non dar n1otivo al Nunzio, con cui s'invierà, di sapere ciò, che con tutto il segreto si hù da trauarc in piena Consulta. Si proibisce in tanto sotto pena della Cancellazione
a tutti
li Padri che an-
no eia intervenire in detta Consulta cli potere conferire tra di loro li suoi scntin1cnti, acciochè ognuno libcran1cnte ne! giorno destinalo elica quel tanto Dio gli ispirerà. Non si disn1etta però il giorno destinato per tale Consulta per 1nancanza cli puochi Padri, che per qualsisia n1otivo 1nancassero in quel giorno, 1na si conchiuda quello sarà detenni nato dalla 1naggior Parte dé Convocati secondo lo Stile delle ordinarie Consulte. Se però la Materia fosse di tanto rilievo, che necessitasse cliscutersi in pili Consullc, si facci secondo richiede la 111atura prudenza dci Padri Consultori naturali, e sopra giunti. Questa consulta non si farà cli Venerdì, 111a
111
giorno, e in luogo delern1inalo dal Padre Prefetlo.
[78] Metodo per la Istruzione dei Figliuoli, che s'istruiscono nelle Strade, o Corligli. ~
l Il Padre Dollrinantc destinato da chi presiede all'istruzione della sua
Classe prin1a di sedere si scgnerù con li Figliuoli col segno della Crocl'. dicendo;\ voce alla con pausa: 111
110111/f
di /11 Patri, e di /11 J.'i1-:hi11, e {/; /11 S'pirit11
Son/11.
Acc11ssì è. *TI Il Padre sudctto sedendo aprirù il lihrclto della f)oltrina, e senza n1ulare le parole, tali, quali sono di parola in parola senza glossare, spiegare, o predicare in tono fan1iliare, e con pausa l'insegncriì alli figliuoli deportandosi il Padre Dotlrinanlc in ques!<1 azione con tale consl<1n!e n1ansuctudine, ccl affabile contegno che non solo rechi edificazione, n1a anche non sia di ritegno quale siccon1e è L1ci!e
a pigi iar scandalo eia ogni
con1pos(o, così è clispostissin1a
{i
a quella
tenera etù,
0111bra di azione, o gesto
lllCll
teniere, cd affrontarsi parlando con Persone non
conoscenti, e che non sappiano allettarli ed anin1arli coll'al'fabiltù, e dolcezza dcl tratto, dcl vollo, e delle parole.
276
Antonio Coca - Sonya Sofia
§ 111Per1ncglio accertare la istruzione disporrà il Padre DoHrinantc la clas-
se
a se assegnata in più Copie di tre, o cli quauro, o di cinque per ogni
[79] Copia
secondo il 1naggiore, o n1inore nu1nero dci Figliuoli, cd indi proporrà per la prin1a Copia con voce chiara, e con pausa, ascoltando I'altri. Videlicel: Siri uui Cristh1nu? e per allora non risponderanno i Figliuoli, n1a egli stesso per tre volte con voce chiara, e con pausa gli risponderà, Ci sugnu pri grazia d; Di11; e doppo proponendo alla prima Copia la Donutnda, ed avutane la risposta, clo1nandcrà la stessa cosa alla seconda Copia, e succcssiva1nente all'a!tre, e finahncntc avendo già risposto tutte le Copie in particolare, farà J'istessa don1anda. Vidclicet: Shi u11i
Cristianu? per far rispondere a tutte le Copie unitarncntc, Ci sugnu pri grazia di Diu; cd allora nella stessa n1anicra passerà a proporre ](l seconda Don1anda, e successiva1nente l'altra, senzJ punto allentare, cd alterare i! rnetoclo prescritto per la prima J)o1nanda, poichè questo Metodo cli proporre, e rispondere si hù tal1nentc {_b prallicarc, che non è lecito neppure n1utarlo con altro 1nigliore. §IV Invigili perciò il Padre Ministro, o chi presiede in sua vece alle Strade, o Cartigli, se li Padri Dottrinanti si servono di questo Metodo, e (Tovandone alcuno, che l'alterasse, per la pri1na volta lo corregga, 1nc se lo trovasse per la seconda volta contu1nace, ne avvisi il Padre PrefcLto, acciòchè questi con la renda [80] Consulta piglino le detcnninazioni per correggere il Contun1ace.
I~evc
§ V Non si passerà <i proporre la 2a l)ornancla, se aln1eno dalla 111aggior
parte non si è bene risposto alla pri1na; ne il giorno seguente si prosiegua l'istruzione eia dove si è lasciata il giorno preccclcnle, quando il Padre l)ottrinantc conoscerà, che non si sappia dalla 1naggior parte dei Figliuoli la lezione precedente. § VI E perchè ordinaria1nente nelle istruzioni delle Strade ogni giorno si
111utano li Padri Dottrinanli, e perciò non sapendosi ove sia tcr111inato il giorno precedente, è bene, che per questo, co1ne per altri ri1narcabili inotivi si h1ccia110 indispcnsabilrnente ripetere da i figliuoli le precedenti lezioni inco1ninciando dal principio della Dottrina; si farà però qucsla rcpetizione con la celerità possibile, cd in questa n1anicra: proporra il Padre Dottrinanle la pri1na Do111anda alla prirna Figliuola, o Figliuolo di 111ano destra, la seconda al prirno cli n1ano sinistra, la 3a al secondo di 1na110 destra, e la quarta al secondo di rnano sinistra; e rispondendo bene, prosiegua con velocità sino <'i tanto discuoprcrà, che li Figliuoli non sappiano
Teologia e cateches) nell'episcopato di Pietro Galletti
277
altro, ed allora rirneltendosi al 1nclodo descritto al nun1° 3° senza ponlo alterarlo darà principio alla nuova istruzione. [81] § Vll Se però il MinisLro, o chi presiede in sua vece avvisassero il Padre Dollrinante qualquc cosa attinente alla islruzione, o da dove dchba principiare, o in qual parte debba un poco più trattenersi, allora il Padre Dottrinanlc senza alterare il metodo d'insegnare, ubbidirà al Ministro, o ti chi presiede, dispensando in ciò, ch'é prescritto al nun1° 6°.
Avvertenze per le Istruzioni nelle Chiese. ~
VIII Questo stesso inetodo senza ponto alterarlo si deve pratticare nelle
istruzioni, che si ranno nella Chiesa, se però l'angustia clella Chiesa, o il poco nun1ero dei Padri Dottrinanti non classe l'aggio di dividere in più classi li figliuo-
li, senza che l'una disturbi sensibihnente l'altra, allora in questo caso dividendo in una slessa Nave li Figli, dalle Figlie salendo in alto un Padre Dottrinantc restando due, o più Padri Dottrinanti assistenti alli Figliuoli, e racchetati li Figliuoli, il Dottrinanlc, ch'è in alto prin1a d'interrogare i Figliuoli proporrà al prirno Padre assistente la priina Don1anda, <i cui risponderà il ccnnato Padre con voce chiara, e distinta. lncli dal Padre ch'è in alto si pratticherù lo stesso con gli altri Padri assistenti, e doppo cli aver risposto tutti li Padri assistenti, passeranno essi
a prop
[82] orre con voce piana al li Figliuoli la Don1anda ad essi proposta, e faranno rispondere li Cigliuoli
a tre o
quattro unitan1ente la volta, n1a con voce piana, per
poi rispondere tutti assien1e all'interrogazione dcl Padre Dottrinante, che stà in alto, 111a con voce alta, chiara, e distinta. Il resto in Chiesa si prattica conforn1e si è disposto al nu111°. 4° 5° 6°, e 7°. Avvertenze per il tcn1po di Quaresin1a.
§ IX La Mira dci Dottrinanti nella Quaresi1na si è disporre, ccl istruire li Ragazz,i, che anno l'etù per la Confessione, e Co1nrnunionc, 111a pcrchè anco con questi vengono alle Chiese li Figliuoli di età più tenera, perciò per quanto sarà possihile prin1a d'inco1ninciare la istruzione, si separeranno questi da quelli che sono capaci per la Confessione, e se la Chiesa sarà capace si faranno tutti così li Maschi, con1e le Fcn1ine acco111111odare in luogo distinto, dcslinando per essi un
Antonio Coco - Sonyu Sofio
278
solo Padre che li trattenga con l'istruzione della quale sono capaci, collocandosi alla destra le Ragazzine, ed alla sinistra li Ragazzini, seinpre però osservando nell'insegnarli ciò, ch'è disposto al nun1° 3° 5°, e 6°, se però la Chiesa non fosse capace, s'istrueranno se1nprc da un solo codesti teneri figliuoli innanzi la porla della Chiesa, o in altro luogo ben visto
a chi
presiede.
[83] §X Il n1etodo d'istruire sarà il descritto al nu1n° 3°. Se però la Chiesa non fosse capace di pili classi, o non si fossero Padri bastanti, allora si terrà il n1ctodo del nu111° 5°, se1nprc però osservandosi ciò, che si è disposto al nun1° 6°, e 7°, e scoprendo il Dottrinantc in queste Istruzioni, che non sappiano li figliuoli !e cose da sapersi per essere abililali alla istruzione per la confessione, e Co1111nunionc non perda te1npo, ina di un subilo li ri111elta alla Classe dei leneri rigliuoli, acciòchè apprendessero li prinii Rudi1nenli, raccornanclandoli con parlicolarità ù quel Padre, acciòchè questi abbia ad essi tulla la cura, trascurando cli applicarsi per allora con li figliuoli pili teneri, ed abilitandosi in quesla Classe li faccia subbito passare alla Classe di quelli che s'istruiscono per la Confessione, e Co111nn1nione.
S Xl Avverti no
li P<1clri Dollrinanti
a non esser co11discenclenti, o falsan1e11-
te pietosi nell'abilitare per la Confessione, e Co111n1unione, poichè 1neglio è, che si differisca altro anno, che senza la dovuta cognizione
a n1ctterli precipitosan1cntc
alla partecipazione elci Sagran1cnti cotanto Sagrosanti, e tre111cndi, e ciò 111olto pili che l'Esperienza c'insegna, che la gente idiota, e rninuta se non s'istrusce nella età tenera, non s'istruerà gian1n1ai. § XII La Dottrina così nelle Slracle, con1c nelle !84) Chiese, se111pre si ter111inerà con far recitare in con1111une il Pater noster, Ave Maria, e Credo, l'alto della fede Speranza, e Carità, e l'atto di Contrizione, e Proposito. Fine delle Regole, e Capitoli di nostra Congregazione. Questo libro è Copia clelli Capitoli originali di nostra Congregazione e si è fonnato per confonnarci alle stesse nostre Regole, che ci prescrivono, che ollra li Capitoli Originali si l~tcciano due Copie, e si sottoscrivano dal Padre Prefetlo attuale, e Maestro di Novizij, e Segretario attuali, che saranno per quel ten1po, perciò questa Copia presente è sottoscritta clall'infrascrilli oggi che corrono.
Teologia e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
+ Gian Baptisla M. Riccioli + Giovanni Coltraro + Girolan10 Vincenzo
Prel'ctto Maestro cli Novizij Marcellino Segretario
[85] Indice delli Capitoli di queste Regole"'
Capo T. Tc1npo, Obligo, e Luogo della Dottrina prcscritLa ai nostri Padri pag. Capo 11. Del Nu1nero, e QualitĂ dclii Padri di noslra Congregazione pag. 1O Capo III. Dcl Modo si deve osservare nella elezione dci Consultori pag. 20
Capo IV. l)e\ Modo di pratticarsi nel farsi la Consulla pag. 24 Capo V. Dcll 'Obligo dcl Segreto di ciò si tratta in Consulta pag. 26 Capo VI. Della Elezione ciel Padre Prefelto, e Maestro cli Novizij pag. 27
Capo Vll. Dclii Padri che possono concorrere alla Prefettura pag. 30 Capo VIII. Dcl Modo da osservarsi in detta elezione pag. 32 Capo IX. Dcl Modo di dare il possesso al nuovo Superiore pag. 37 Capo X. Dell'Officio ciel Padre Prefetto pag. 39 Capo XI. Dell'Officio del Padre Maeslro di Novizij pag. 46
36
I nurncri indicati nell'indice si riferiscono alla pagina interna del testo.
279
Antonio Coca - Sonya Sofia
280
[86] Capo Xli. Dell'Of/'icio del Padre Segrclario pag. 49 Capo XIII. Dell'Officio Jcl Padre Ministro pag. 51 Capo XIV. Dell'Ohligo dclii Visitatori d'Infcrn1i pag. 52 Capo XV. Dcil'Obligo delli Sagrestani pag. 54 Capo XVI. Dell'Obligo Jelli Porlinari pag. 56 Capo XVII. l)ci Ccrcn1oniale, che devesi osservare eia tutti li Padri negli escrcizij
cli Congregazione cosĂŹ ad infra, co1ne od extra pag. 57 Capo XVIII. Dclii Esercizij cotidiani da prauicarsi in particolare, e privat.:u11cnlc dai nostri Padri pag. 58 Capo XIX. Di altre Proibizioni ai nostri Padri png. 60 C:apo XX. De! I\.1odo, ovvero Praltica cli J'ar la Dotlrina ai fanciulli nelle Strade,
e
C~ortigli
pag. 62
Capo XXI. Di un ailr'Obligo di nostra Congregazione pag. 67 Capo XXII. Modo, ovvero Prattica <lelli escrcizij ad intra, che si fanno in nostra Congregazione pag. 69 Capo XXT11. S'inculca ai Padri di nostra Congregazione la inviolabile osservanza dclii presenti Capitoli, e Regole pag. 74 Metodo per la istruzione dĂŠ Figliuoli, che s'istruiscono nelle Strade, o Cortigli pag. 78 Avvertenze per le Istruzioni nelle Chiese pag. 81 Avverlcnze per il tc1npo di Quaresi1na pag. 82 Ad Maioren1 Dei GJorian1
281
Teologia e catechesi nell'episcopato di Pietro Galletti
rss] Escn1plarc dal n1cn1oriale che dovrà presentare
alla Reverenda
Consul~
ta quel Sacerdote o Chierico, che desidera esser an1111csso nel nun1ero de nostri Congregati della Santa Dottrina Cristiana, a tenore di quanto viene registrato nel
§ III Dcl Capo II delle nostre Regole: Rcliggiosissin1i Padri ll Sacerdote NN o li Chierico NN della Città di N e della terra N abitante 111
questa nel!a Parrocchia di N di anni .... , il quale si trova coll'in1piego cli N
(oppure) senza vcrun in1picgo 1nosso da Dio, e dal vivo csc1npio delle RR.VV., desidera applicarsi all'esercizio tanto utile d'insegnare a Figliuoli la Santa Dottrina, e perchè non potrà n1ai esercitare tal ufficio, se pria non sarà an1111csso dalle l~cvcrcndc
Loro nel nurnero degli altri Congregati della Dottrina Cristiana, che
però prega un1ihnente la hontà Loro, se lanlo avranno <i piacere, e lo stin1eranno degno, di accel [89] tarlo per uno il più 1nenon10 dei loro ben degni Confratelli; e supplicandole ben di nuovo ad accordargli tal grazia tanto sospirata si resta tarnente.
clivo~
Note e commenti Synaxis XVII I (1998) 283-309
GIORGIO LA PIRA E LA GIAC DI CATANIA LETIERE INEDITE
NICOLA CA YALLARO'
La pubblicazione di queste lettere, speditemi da Giorgio La Pira tra il 1933 e il 1940, vuole offrire una doppia testimonianza personale: alla sua biografia spirituale e alla storia dell'associazionismo cattolico e della spiritualità laicale in diocesi di Catania negli anni '30. Non rientra tra le finalità di questa nota prendere in esame quanto già è stato scritto su l .. a Pira, o ricostruire il suo ricco patrin1onio spirituale ed umano: sono ormai copiosi gli studi scientifici e divulgativi su di lui e sulla sua attività politica, culturale, sociale e sulla sua spiritualità. Mi li1nito, pe11anto, a redigere una nota introduttiva che contestualizzi la documentazione edita in Appendice. Nell'ambito delle iniziative promosse per l'Anno Santo della Redenzione (1933), la Presidenza Centrale della GIAC (Gioventù Italiana di Azione Cattolica) organizzò anche per le diocesi della Sicilia orientale un convegno catechistico. Dopo lo scontro con il regime fascista nel 1931, Pio Xl aveva rivendicato la libertà dell'associazionismo cattolico e la GIAC, "pupilla degli occhi del Papa", riprendeva con rinnovato slancio il suo can11nino nelle diocesi italiane. Quel convegno catechistico del 1933, sia per il contesto sociale e politico che per il cli1na religioso e spirituale connesso con l'Anno Santo, era finalizzato alla fònnazione dei giovani di Azione Cattolica e
" Presidente della GJAC Diocesana di Catania dal 1934 al 1953.
284
Nicola Cavallaro
a ridare un forte impulso all'iniziativa calla vita spirituale dell'associa-
zione catanese. Al convegno, tenutosi nella sede dell'allora sen1inario dei PP. Bianchi (oggi non vi è più nemmeno In comunità di questi religiosi), tennero le relazioni: don Domenico Rocciolo della diocesi di Milcto, il dott. Catalanotto cli Napoli e il prof. Giorgio La Pira dell'Università cli Firenze. La struttura del convegno, la ricchezza dei contenuti e, in special 111odo, l'incontro con i relatori lasciò rilevanti segni nella diocesi di Catania: diversi giovani che vi presero parte si orientarono al sacerdozio e nei partecipanti si sviluppò un grande desiderio di apostolato. La Pira, in ricordo, regalò ad ognuno una in11naginetta raffigu-
rante Gesù che si accosta ad una porta e dice: "lo sto alla porta e picchio ... Aprin1i)'. Sul retro di essa un augurio personalizzato, scritto e firmato da lui. Nell'immaginetta che mi regalò scrisse: "l'occhio tuo abbia tale splendore di innocenza da assicurare agli uon11ni dell'esistenza del Paradiso". Fu l'inizio di una lunga e fraterna an1icizia. Dalle lettere emergono i temi propri della spiritualità dell'Azione Cattolica di quegli anni, intrecciati ad alcune espressioni devozionali, espressi con la freschezza di uno stile epistolare che non indulge a divagazioni superflue. Anche i non1i e gli an1bienti a cui si riferisce in alcune lettere soprattutto danno un piccolo 1na en1 bleinatico segnale del rapporto che La Pira 111antenne con la sua Sicilia. Ciò che n1aggionnente, però, colpisce è lo stile di radicalità con cui La Pira espri1ne la sua intensa vita di1nensionc spirituale. Al conten1po, egli spingeva anche noi giovani dell'Azione Cattolica ad avere coraggio ne!Pintraprenderc una ascesi spirituale che desse significato e forza all'impegno apostolico chiestoci per l'appartenenza a quella che allora era la niodalità peculiare di associazionisn10 cattolico.
Giorgio La Piro e la GI/\C di Catanh1
Appendice I'
285
1
31 ottobre 1933 Ave Maria! Carissi1no, quanta gioia nli ha dato la tua lettera! Quale n1istero di bellezza divina, non è vero? Ebbene, ringrazian10 la Vergine che tanto desiderio di innocenza e tanla luce cli Ciclo ha posto nel nostro cuore! Continua, Cavallaro caro, nella via così ardcnten1entc intrapresa: Tddio li farà scn1pre pili intin10 dcl Suo Cuore e ti farà gustare !e dolcez7.c dci puri~ Questa è la vita cristiana: questo anticipo, gaudioso, lun1inoso, dclln vita eterna! Se vedi Forzese-' digli che io gli auguro la consun1azionc piena ne!la caritiì.I I.o voglian10 tutto di Dio e tullo dei fratelli; pronto a quelle audacie di an1ore che fanno gareggiare gli uo1nini con gli Angeli. E tu spingi altre anirne a percorrere queste strade scn1inatc di castissi1ni g1gli. Sai? Qui abbiil1no fonnillO un bel gruppo dì giovani uniti anche dal voto scn1estralc cli castilà: perché non vi unite così anche voi? Quando verrò ìn Sicilia verrò cerlan1ente a C<ltania. l~icorda111i
al Rev. l)on Mcizzaglia-1, al caro Santagati 5 (il r<lgionierc!) e a
tutti i nostri carissi1ni an1ici. Gesù ci stringa ìn un vincolo cli carilà infinita. J\ffezionatissin10
La Pira
Scrivin1i spesso!
1 Nol<t alla trnscrizione delle lettere: si è provveduto sola1nenLe a sciogliere la d;:itazione delle lettere e ad uniforn1arc i paragrafi Ji esse. ~ Su c<u1a intestala: Regia Univcrsil<Ì degli Studi di Firenze, Facollii cli (~iurisprudcnza. -' Mc1nbro del Circolo di Azione Callo!ica "Ferrini" . .! S<1c. Vito Mazzaglia, Assistente ùioces<ino della GIAC. 5 Giuseppe Sanlngati, An1nlinistra1orc del centro diocesano della G!1\C.
Nicola Cavallaro
286
5 gennaio 1934
Ave Maria l Nicolino carissi1no, Gesù ti chiarna ad una vita di scn1pre pili perfeuapurità ed unità. Dico purità ed unità inlcriore: cioè niente e cuore totalincnte affondati in Dio!
Vita vestra ahscondita cu111 Christo in Deo. E i 111aggiori oneri che ti vengono sono in conseguenza cli questa n1aggiore unità interiore che nrricchiscc la tua ani111<1 cli più abbondante vita: cli quella vita che Gcsi) è venuto a portare lff vira111 habeant et abundantis haben11! Consacrian10ci i11ticran1entc a Cristo! Quale gioia potere portnrc nel cuore UIHl sola fian1n1a: quella ciel!' a1norc celeste~ Gcsl1 è la nostrn perla inli111a, lo splendore verginale della nostra a11i1na.
Rcndia1noci, dunque, pili soavi, più scn1plici, più a1nanli, più lieti, più belli: affinché tullo il nostro essere sia soprannaturalincnte trasfiguralo nella luce e nel bene. Nel cuore dolcissin10 di Gesù e di Maria. i\ fTczionatissin10
La Pira
3
16 aprile 1934 Ave Maria! Cavallaro carissin10, co111e è bella la nostra inli111a corrispondenza di ani1ne! Gcsì:1 ci ha fatto così do!cc1nente fratelli, non è vero? Fratelli perché ci brucia in cuore un n1cdesin10 an1ore: quello caslissi1110 di Gesù Cristo. Lo an1ia1110 tanto questo An1ico dolce, questo consolatore delle anirne. Spesso le nostre pupille si fcnnano con1e
6
zc.
In calce alla lcl!era indica la sua residenza fiorentina: Pnlazzo Pucci, 2 Firen-
Giorgio La Pira e la GIAC di Catania
287
n1cravigliaLc cli tenerezza e di gratitudine sul vollo adorabile di Gesù! La sera, al tra1nonto e la n1altina all'aurora nel silenzio sacro del cuore la figura soavissin1a dcl Redc1Hore ci appare ricca di bellezza e di Luce! Quanta consolazione ali ora nel nostro anin10! Gesl1 ci sorride ccl in noi scn1pre più si accresce il calore cli questo sorriso divino l'aurazionc verso i purissinli ideali della vita celeste. Sì, sian10 sulla terra con1c i poeti dcl
I~egno
di J)io: abbia1no nel cuore
tanta nostalgia santa di Paradiso! La purezza? Oh, è l'occhio i1n111acolato che ci frt protendere l'ani1na desiderosa verso i cieli visibili: di là cla questo azzurro verginale che tanto ci attira nell'infinito santo di Dio, si stende il Regno al quale Lenclia1110, la clolcissi1na casa ciel nostro eterno an1ore. Crescian10 rratello caro in questo desiderio cli puritù santa: di più in più nsplendcnti corne Angeli! Quale scopo pili grande di questo nella vita? Essere co1nc Gesù Cristo ricchi della i1nn1acolata bellezza di Dio. Ricorclan1i a tutti i carissin1i fratelli dì Catania: voglia il Signore che si abbiJno a rinnovare le indi1nenticabili giornate della cstù trascorsa. Un abbraccio fraterno nel Signore. La Pira Scrivin1i spesso! Afl'ctluosi auguri di santitù a Russo e Forzesc7 ! Bravi!
4
Sacro Cuore di Gesù 1934/13 giugno/ Carissin10 Cavallaro, sono tanto certo che la Madonna ti darù vigorie grandi le quali ti pennelleranno di superare i prossi111i
c.san1i~.
Quanta contentezza 111i recano le tue parole!
J3 tanto bella questa intin1ità verginale dcl cuore nostro col Cuore cli Cfesl1 e cli
7
Entrmnbi erano entrati nel noviziato dci Padri Bianchi l\1issionari d'Africa.
~, Per conseguire i! cliplorna di ragioniere.
Nicola Cavallaro
288
Iv:Iaria! Sì, vivia1no sc1npre così Nicolò caro con questo dolcissirno sospiro cli Paradiso nel cuore. L'anin1a nostra deve sernprc restare aperta verso l'alto: perché è solo dalle cin1c verginali del Ciclo che scende nel cuore nostro la rugiada ristoratrice dclJa
luce e ciel bene. Quanta bellezza nella conlen1plazione pura di Dio: non è vero? Studian10, dunque con fervore, ogni cosa faccia1110 con fervore; perché questo fervore che inti1nan1e11te ci infian1111a è fuoco celeste. Quel fuoco 111istcrioso
che Gesù accende nelle anirnc pure arnanti di Lui. Ricorclan1i al Padre Mazzaglia, a Pug!isi 9, Sanlaga!i e a tulli i nos!Ti an1ici: il Signore ci dia la grazia di rivederci presto e di rivivere nncora qualche giornata con1une di preghiera e di gioia. Nel Signore. Affczionatissin10
La Pira
5
2 ogosto 1934 10
Verrò presto a Catania: li rivedrò con innnensa gioia! Preparian10 un bel convegno - una tappa nuova. Partecipa ai noslri cari a111ici qucs1a notizia. })isposto a fare qualche visi!a anche in centri della periferi.:1; /aJ!orare per Cristo.
<J Nino Pugli~i (1904-1934), pre~identc diocesano della G11\C. escn1rlare per la sua intensa vita spirituale e lo zelo apostolico. Per nrnntenerne viva In n1e1nori;:1, nel venticinquesìn10 della inorle, pubblicò una biografia l'allora assistente ecclesiastico V. MAZZAGLIA. Nino Pug/isi. Catania 1959. w Cartol!na d:J Bolzano.
Gforgìo La Pira e la G!AC dì Catania
289
---------------------·---~·----·--------·-·--
6
22 ogosto 1934''
Nicolino caro, la Madonna ti avvolga in una at1nosfera di celeste purità: elevi l'anirna tua
al Cielo e fissi là per seinpre la tua interiore din1ora: vedi, è questa atn1osfera cli Paradiso che deve soave1nenic nascondere il nostro cuore, co1nc una nube sacra, agli occhi degli uornini per renderlo tutto aperto al Cielo! Non ci interessi più che una sola cosa: Gesù, l'invisibile e divina bellezza di Gesù! L'occhio interiore della Grazia ci affissi perenne111ente in Dio! Questa è la via regale della santificazione: questo oblio della te1Ta per la conquista dcl Ciclo!
E faccian1oci scala, per questa realtà della Croce di Gcsl1: co111e è bello vivere con Lui crocifissi al n1ondo 1na gloriosi ìn Dio. Voglia il Signore feconclnre il SCllle che abbian10 sen1inato nei giornì passati: e sboccino nun1erose le anin1e pure operose costruttive: quelle anin1e che sono vcran1cnlc i terreni architetti del regno di Cristo! Tu donati sen1pre più gcnerosan1entc al Signore: J'agli offerta di tutta la tua vita e di tutte le tue cose e chiedigli in cornpcnso l'an1orc dci cclcsli e la forza apostolica delln preghiera e della parola. Ricorclan1i ai carissin1i Pcscc 12 , Puglisi, Santagati cd a lulli gli <unici. Ossequian1i Padre Mazzaglia, Padre Caruso 1-', Padre Parisi 1-1, elc. Fraternan1ente nel Signore l~a
I~icorda:
11
Pira
24-30 15
Cartolina postale. Sebastiano Pesce, delegato diocesano degli Aspiranti di A7,ionc CalLolica. 1-' Sac. Salvatore Caruso, vice assistente della GJAC. i-1- Sac. Salvatore Parisi, direttore c!ell'Onltorio S. Giuseppe, a Ca1<111ia in via Carlo Forlanini. l.'i I giorni della setti1nana di agosto dedicali al ritiro spirituale. 12
Nicola Cavallaro
290
7 30 agosto 1934
Nicolino caro, la Madonna Santa è hclla, la nostra Jolcissi1na Man1111a ti avrà dello tante cose nei tuoi giorni di ritiro: seguila con tenerezza infantile di figlio questa Vergine bella che ha nel Cuore le divine lun1inosità del Paradiso. Maria, Maria scn1prc e dovunque Maria: con1c è bello questo non1e che rende vcran1cntc dolcissin1a la pronunzia e soave l'accento!
È più che una parola un gen1ito celeste ciel cuore, un vero atto di esperienza dcl Paradiso. Perché nel non1c santo cli Maria è carne incluso il non1c divino cli Gcsl1!
Maria, Gesù, ecco il nostro Cielo in terra! Cosa ci n1anca? Nulla: perché l'anima innocente, l'anin1a bella, l'ani1na con i1nn1cdiatczza, J'ani1na senza ripieghi, 1na sen1plice e lu1ninosa, è un'anirna cara a Maria cd a Nostro Signore. Nicolino chicdian10 la grazia di essere così: fanciulli e poeti del Cielo. J] questa la vera reallà: questa dolce an1icizia di Dio che ci
1~1
in terra JClici con1c so-
no felici in Ciclo gli angeli ccl i santi. Quindi buoni, gioiosi, celesti, vergini, dcl Ciclo inson1n1a: se sarc1110 così faren10 con se1nplicità so1nn1a un gran bene in 111ezzo agli uon1ini. Nicolino caro il Paradiso sarà in eterno la Casa della nostra a1nicizia e della nostra perenne vicinanza. Nel Cuore dilcttissin10 di Gesù e di Maria Giorgio
Giorgio La Pira e la GIAC di Catania
291
8
111ndunna della Mercede 1934 (24 setternbre]
Nicolino caro, la tua lettera l'ho avuta solo l'altro ieri: pazienza. I tuoi aspirantini 1r' saranno stati coni pensali da una attrazione più inti1na che ha sopra di loro esercitato
il Cuore adorabile di Gesù. Che essi crescano con1e fiori senza n1acchia, calici santi ove sì contengono ani1nc verginali.
E siano vera1nentc per Ja terra sale di bontà e luce dì bellezza: gli Angeli dcl Paradiso possano sopra cli loro posare con santa invidia lo sguardo a1nn1irato! Ave Maria: qucslo saluto rivolto da Gabriele alla Madonna deve essere il
saluto che l'Angelo custode deve potere rivolgere a noi ogni giorno: e cc lo rivolgerà quando troverà il cuore e la inente ricolrni di luce celeste. Nicolino caro,
Ge~ù
ti stringa fortcn1ente al Suo Cuore e ti dia di assapora-
re sulla lc1Ta le dolcezze della Sua vita apostolica ricca di fr1tiche n1a non n1eno ricca cli soavissirne esultanze. Scrivin1i a lungo. Tanti affettuosi ricordi a Pesce, Santagati, Puglisi, etc. Ossequi a Don Mazzaglia. Con affetto fraterno nel Signore
La Pira
911
IO ottobre 1934
Nicolino caro, eon1e si và? Non dubito della risposta: 'fu n1i dici che lo Spirito Santo ef10nde nel tuo cuore desideri scn1pre più grandi di santità e di an1ore! Sì, la vita
16
Fanciulli di Azione Cattolica. 0 J ollobre I 934 invia da Assisi una cartolina illustrata con la se1nplice dicitura: Al'e Mario.' 17
Il
Nicola Cavallaro
292
interiore è vita divina a noi partecipata: ora l'anirna che ha assaporato questo cclcsle a!irncnto diventa sc1npre più affan1ata di Dio! L'aspirazione cui tendian10 con tutte le forze del nostro essere è l'identificazione con Gesù Cristo! Avere nel cuore la celeste verginità che rese ricettacolo sacro il Cuore in11nacolato deJla Madonna! Nicolino 111io è in questo ge1nito di innocenza e di luce in questa amorosa tendenza alla supren1a bellezza e alla suprema bontà che si sustanzia la nostra scesa interiore! Co1ne è bello can1n1inare con lena ogni giorno rinnovata verso le ciine della pili celeste perfezione. Abbian10 tanto desiderio di an1arc Iddio: lo Spirito Santo effonde nei nostri cuori queste bra1ne di arnorc che rendono la nostra vita te1Tena un'anticipo di quella eterna. Corrian10, a1norosan1cnte, verginalrnentc, con canto, con gioia, con sorriso! Gesù benedetto, giglio delle convalli, vuole ornare di luce e di bellezza la nostra anitnat Corria1110: Jesu corona virginurn! E vivian10 nell'attesa cornc le vergini prudenti con1e le anin1e in preghiera: lucerna e ordenles i11 n1anibus vestris! Vivian10 arando e operando. Nel Signore
La Pira
IO
23 ollobre 1934 Ave Maria! Nicolino caro, non so cosa dirli [ Coltiva sen1pre e sen1pre n1cglio questo giglio celeste che la grazia fa riorire nel tuo cuore! Credilo: queste vibrazioni sante che tu avverti nell'inti1no della tua aniina sono con1e i gern1ogli verginali di una prin1avcra divina che spande nel tuo cuore la pienezza dei suoi doni! È Gesù che viene lenta1nente, giorno per giorno fcnnandosi in te! Gesù lo ha detLo: noi sian10 un po' con1e la Madonna: lo concepian10 nelle viscere sante ciel nostro cuore santificato clall'an1ore santissin10 dello Spirito di Dio!
Giorgio La Pira e la GIAC di Catania
293
Co1nprendi? Dice S. Paolo che noi portiamo questa ricchezza infinita in
vasi debolissi111L Custodian10 dunque con infinita cautela questa n1istica pianticella che viene in noi sviluppandosi: è Gesù stesso: noi siarno con1e la Vergine ricchi interionnente ùi Gcslt! E allora la preghiera interiore, il raccogli1ncnto soave il silenzio
virgines, l'orazione amanlc, lulta questa almosfera celesle dcl cuore coslituisca il dolce tesoro di ogni ora della nostra vita. Gesù lo merita: dobbian10 giungere sino ad appassionarci interiorn1cnle cli Lui. Fratellino 111io, sentian10 i1nrnacolata nel cuore la dolce invocazione dcl Cielo! Fratcrna1nente La Pira
11
18 novernbre 1934 Ave Maria! Nicolino caro, con1c ascende la tua ani1na di luce in luce! Sì, dobbia1no tenerci stretti vi-
cino a Gesù! Beate le anin1c che hanno riposto la loro din1ora in quell'adorabile Cuore! Co1ne tutto è soave quando il cuore nostro riposa santarnentc nel Signore! Anche in noi allora Jluisce con gioia infinita quell'acqua celeste che ha in Dio la sua fonte. Il Signore ci conceda, Nicolino caro, un an1orc grande e verginale! In 1nezzo a questo n1onclo che è cli tutto interessato tranne che cli Gesù possano i nostri cuori portare pienezza di entusiasmo, luce di idee, sete di divino. Raccolti e silenziosi, esultanti e puri, sotto lo sguardo tencrissin10 di Gesù e di Maria percorriarno con a1nore la via della nostra intirna perfezione. Ricorclan1i a Puglisi, Pesce, Santagati, Don Mazzaglia e tutti. Pesce cosa ha fallo? Con affetto grande nel Signore La Pira
Nicola Cavallaro
294
12
20 dicembre J934
Nicolino caro, Sì, Gesi:J ci conceda un cuore così puro ùa sentire vcran1cnte le celesti m·n1onie degli Angeli. Notte beata nella quale verarnenlc Ciclo e terra furono congiunte nella soavissi1na bellezza dcl han1binel/o Gcsl1 ! Nicolino caro, la Madonna ci conceda davvero cli aniarc con verginale passione Colui che è la gc111111a che irnpcrla le anirne nostre. Din1111i: di chi sian10? Di Gesù! Per chi viviarno? Per CJcsù! Quale è il nostro unico alin1cnto interiore? Gcsi:1! Quale il non1c dolcissi1no che ci ric1npie il cuore di gaudio e la niente cli luce? Gesù! In ;pso 011111ia condito s1111t: Egli è veran1cnte Colui sul quale è salclan1cntc irnpostata tutta la nostra vita. Pietra angolare di tutta la creazione. A111ico celeste delle ani111e a Lui consacrate. Nicolino caro, an1ian1olo con passione cresciuta il nostro dilettissi1no Gcsli! Allora anche a noi, con1c al nostro inclin1enticabile Puglisi sarà dato di cant<1re l'eterno cd an1oroso <11leluia. Ti abbraccio con vivissin10 affetto.
Nel Signore
I.a Pira
13
5 gennaio 1935
Nicolino caro, costruire, dunque: ecco il nostro 111otto! Costruire è erigere una cattedrale cli luce e cli a111orc, con !a nostra vita, al Signore di bontà che rechiarno a1norosan1ente in fondo al nostro cuore. Noi con1prcndia1no bene con1c tutta la nostra vita non abbia nitra finalità: sian10 dei costruttori sulla terra ciel Regno di Dio! E Iddio ci fornisce di tanta luce, non è vero? La niente nostra si abitua ai pensieri santi, alle n1editazioni celesti: e noi salian10
Giorgio Lo Piro e la GIAC di Catania
295
con I 'intcllcuo di verità in verità sin a quella Pri1na Veritù che splende sulla ci1na della nostra ani111a! Beati qui audiant verb11n1 Dei et custodiant iflud! La santificazione nostra è proporzionata a questa intensità di vita interiore: quanto più asccndian10 verso l'unico, verso il Prh1cipiun1 - Principiurn qui loquitur vobis - tanto più l'anitna nostra è fatta cap<:1ce di arfinarsi in Dio - Per quen1 011111io.facta Sllllf. Vedi, è qucsla ascensione 1nentale che deve costituire la nostra quotidiana conquista: ogni giorno una cima, ogni giorno più in alto in questo ca111111ino interiore che conduce così soavernentc in alto l'anin1a nostra! E questa vita ùi elevazione ci rien1pic cli tanto gaudio! Non è vero? La niente che inedita, che si sopraeleva tocca veran1entc i lln1iti sacri dcl Cielo Co11versatio vesrra cl!nl Angelis in Coe!is - É qui la fonte di ogni purezza; qui il sorriso sacro cli Dio che irradia cli luce la nostra ani111a. Nicolino niio, venite e vidctc qua1n suavis est Dorninus; vacata et gustate qua1n suavis est Don1inus! Potcssirno attuare una vita sen1prc più una, una unitù sen1pre piì:1 consu-
1nata col Signore! Col silenzio ricco di a1nore nell'anirna noi anclrerno così innanzi nella via della perfezione. Il nostro cuore sia dunque ricco di questa luce ainorosa che ci fa elevare gli occhi della niente al Ciclo: ut d11111 visibiliter Deurn cognoscin111s per hunc i11
hn 1isibili11111 0111oren1 ropian1ur. Avanti, dunque, con slancio santo per questa via intin1a dell'elevazione in Dio. La Madonna ci conceda questa bellezza celeste dell'anin1a: faccia che il nostro cuore sia davvero il tc111pio verginale ove nasce il Signore. In Cristo
La Pira
14
I 5 gennain 1935
Carissiino, già, è tutta la vita nostra - se vuole essere vita di apostolato - deve serbare questa divina fì·eschczza che l'aniore di Dio ci con1unica: è lo Spirito Santo che
Nicola Cavallaro
296
111uovc i nostri cuori ad an1arc e guida le nostre 1nenti a far luce nel ca1nn1ino nostro ed altrui! Se sarc1no docili a queste 111ozioni sante di Dio, se saren10 1-Cdcli nella "an1n1inistrazionc" sapiente dci doni del Signore anche noi coopcrcrcrno alla vera diffusione del regno di Cristo. E saremo anche tanto felici! Perché il regno cli Cristo è pace e gaudio nello Spirito Santo.
Il Signore non attende il giudizio per renderci il dono della pace e della gioia: il Magn(ficat fu cantato in terra; e tante anirnc lo ricantano ad ogni ora. Preghian10 a vicenda perché il Signore sia la dolce ed unica ricchezza de!l'anin1a nostra. l,a Pira Ricorda1ni a tutti Ossequi all'Assistente Ecclesiastico.
15
I5febbroio 1935 Ave Maria!
Nicolino caro, continuian10, dunque, il nostro dolce carnn1ino di ainorc che ci conduce <r! una unione scn1pre più perfetta con Gesù. Gesù deve essere l'oggetto unico della nostra adorazione interiore: essere ricchi ciel 1nysterhan Christi con1c S. Paolo: in noi abiti vcra1nente nbundantes verbu111 Christi. Nicolino 1nio, essere anirne cli orazione verginale! Aprire la inentc alla Luce affinché in noi inabili la virtus Christi. Quando l'alba ci trova con la niente aperta alla dolce ricerca della VcriLù, quale gioia pura e verginale! Ecco la nostra son1iglianza con la Madonna: et Verbun1 cnro .fncflflll est: perché nelle menti verginali, Lutte desiderose della Luce e del l3enc, il Verbo si fa1 c<irnc, la Luce scende, ristoratrice e feconda. Sernprc avanti, Nicolino caro, con una unica prospettiva: il Ciclo! Noi non vogliarno che Gesù e con Gesù la Madonna e tutta la celeste schiera dei Beali dcl Paradiso. Nell'affetto vivissi1no dcl Cuore di Gesù e di Maria. La Pira
Giorgio La Pira e la G!AC di Catania
297
16
9 marzo 1935
Carissiino Cavallaro, sono arrivato stan1attina a Messina: dovevo proseguire per Catania, n1a una stanchezza non leggera mi ha costrclto a fare qui la prima tappa. I-Io un bisogno enorn1c di stare qualche te1npo in assoluto riposo - specie n1entalc - vicino al
Signore! Per questo ho pensato di ritardare di un giorno e n1czzo la inia venuta: verrò Sabato 1nattina - ore J O - e starò con voi sabato e don1enica.
Credo che questo non costituirà una ragione di squilibrio nelle vostre cose: intanto frtrà il carissin10 Don
Rocciolo 1 ~
quell'opera di santa penetrazione nelle
anime, opera che costituisce lo scopo unico di tutti i nostri convegni.
Questi due giorni di riposo 1narino n1i pen11elteranno cli ddare alla niente quella salutare energia tanto necessaria per potere operare il bene! Dai "silenz.i 111ari11i" nei guaii qui vivrò in questi due giorni l'anin1a inia sarà con voi presente e invocherà dal buon Dio e dalla Madre Celeste quella pienezza di grazie così necessarie per la vita. Ricorda1ni a tutti e al carissi1no Don Rocciolo in particolare. Con vivo affcuo nel SignorcLa Pira Per qualsiasi evenienza telegrafa La Pira presso F.lli Occhipinti 19 Messina.
18
Do111cnico Rocciolo, sacerdote della diocesi di Milcto; era stato relatore al convegno catechistico dcl I 933, durante il quale si avvia il rapporto di an1icizia con La Pira. 19 La 1narnma di La Pira era una Occhipinti: i fratelli di lei vivevano a Messina e avevano aiutato Giorgio per gli studi in quella Università.
Nicola Cavallaro
298
17
I I marza 1935
Ave Maria! Nicolino 1nio caro, va bene, ci vcdrc1no a Ro1na! Ed intanto continuian10: la nostra vita è un
dolce can1111ino: ogni giorno più innanzi nella ascesa soave e santa che ci conduce al 1nontc della perfezione e della bellezza eterna! Dio è il sole divino che attira le anirnc nostre: e le anirnc nostre - in Cristo - sono vcrarnentc con1e corolle di fiori arnorosainentc aperte per accogliere il calore e la luce. Nuovi ogni giorno: ogni giorno fari cli bellezza e cli santità che devono rischiarare le tenebre della terra: vox estos lux r11undi! Lasciarnoci assirnilarc da Gesù: procuri::uno di possedere la Sua n1enlc, il Suo Cuore, la Sua divina capacitù di sacrificio e di luce! Ricorcla1ni a tutti e sc1npre con gioia nelle dolci vie delle celeste avanzale. La Pira
Nel Signore
18
27 maggio 1935
In lcllcra
Carissiino Nicolino, sc1npre più in alto! Come è bello 1nirare il Cielo con l'occhio puro con1e Gesù lo n1irava: e/evotis ocu!is in coe!t1n1! Quale sguardo di desiderio che partiva dalle profondità verginali dcl Cuore divino! Questo ciclo che vcdian10 ci parla di un altro cielo: di quello che formerà in eterno l'oggetto della nostra gioia perenne e perfeua! Crcsciarno, Nicolino caro, nella ricchezza di questo desiderio divino:
pere~
grinan1ur; siarno viaggiatori che vanno verso la Patria celeste; e quale soave cosa
è ricordarsi in terra delle bellezze del Cielo.
Giorgio La Pira e la GIAC di Catania
299
Ricordarsi? Si, perché davvero la Grazia cli Dio ha posto in noi con1c il genne e la rnen1oria della Patria eterna: noi abbian10 nel Condo dcl cuore con1e
l'eco di annonic sante che derivano dal Paradiso: audivi arcana verbo: e questo è vero non solo per S. Paolo n1a per tutte le ani111c che .si sono lasciate an1111ae.strare da Dio: senti S. Giovanni (6,45) or1111is qui audivit Patren1 et didicit venit rrl 111e.
Asco Ilare Dio cd irnparare eia Dio (docibi!es Dei): ecco il nostro dolcissi1no con1pito sulla terra! Ora questa ascoltazione di Dio e questa dolce dottrina di Dio pone nel cuore nostro annonic sante di Cielo. L.a Madonna ci conceda, Nicolino caro, questa verginale sapienza interiore: possano le nostre anin1e essere ricche di luce e di ainore: affinché la nostra vita diventata vila cli Gesl1 Cristo possa essere davvero pienezza di vita eterna. Ricorda1ni a lutti Nel Signore
La Pira
19
27 maggio 1935 2a lettera Nicolino caro, le nostre lettere si incrociano: stan1attina avevo scritto la lettera e pili tardi ricevevo la tua. Si, verrò per le giornate di preghiera e studio: prcparian1ole sin da ora nel desiderio e nella preghiera. lddio ci conceda quella abhonclanza cli Grazie che ci concesse nel ritiro cli Catania. Siano giornate di protòncla trasfo1Tnazione interiore: bisogna guidare i fratelli per i pascoli fertili della interiorità. Il Regno di Dio è essenziahnente interiore: ref.:!IUJn. Dei infra vos! E beate le anime che accolgono la parola cli Dio e la custodiscono (beati qui n11di1111t verht1111 Dei et custodiunt i!fud). In quei giorni dobbian10 dare alle anin1e il gusto dell'orazione! Pregare, lodare, mnare ceco un atto essenziale per la vita cristiana: Gesù erat pernoctans i11 oratione Dei.
Nicola Cavallaro
300
La Vergine dcl Paradiso ci anticipi con la Sua celeste intercessione queste sante attrazioni che renderanno felici le nostre ore: beati quelli che il Padre attrae a Gesl1 ed a Maria. Con vivissin10 affetto nel Signore
La Pira
20
26 ogostu 1935
Carissin10 Nicolino, Li accludo una lettera che rarai leggere, riscrvatan1cnte, a Don
l~icceri 20 .
Cornc stanno i nostri an1ici? Bruno21 , Failla22 , Papale2\ Fulvio 2.,, etc.?
Possa il Signore farci con1prcnderc sen1prc 111eglio la dolce verità che è Lui: haec est vita aeterna ut cogno~·cculf Te et q11enr. . Jesus Christi. Da qui la necessità di fare che rcahnente la nostra anin1a sia, per la sua inti111a purità, l'aula verginale in cui il Signore an1orosan1ente si riposa. Et qui creavit n1e requievd in labernacu!a n1ea! Tutto fare unican1ente per an1or di Dio: lavor<1re, studiare, operare, tuuo 13re se111prc unica1nenle nel pensiero soave del Signore.
Quan1 p11!chra est gene ratio rectonun cu111 c!aritate/ Quando conquistcren10 questa celeste beltà interiore, quando sare1110 davvero se111plici e puri con1e fanciulli il Signore
trovcr~1
dolccn1ente in noi il luogo del
Suo celeste riposo. l~icorda111i
a lutti e prega la Madonnina per n1e.
Nel Signore fraternamente
La Pira
Ad Assisi, Oasi del Sacro Cuore, fino al 5 sctten1brc.
20
Il futuro Rcttor Maggiore dei Salesi<1ni, in quegli anni a Catnnia. Prof. Carn1elo Bruno, docente cli 1naternatica al Liceo Scientifico "Principe Un1berto", 1ne1nbro ciel centro diocesano della GrAC e responsabile della diffusione della "Buona sla1npa". 22 Prof. Fulvio Fuilla, professore cli lettere nei licei, n1cn1bro dcl centro diocesano della GIAC. 23 Salvatore P<1pale, segretario diocesano della GIAC e futuro sindaco cli Catania. 2 "' Si tratta dello stesso prof. Failla. 21
Giorgio La Pira e la G!AC di Catania
301
2 J 25
31dicembre1935 Nicolino caro,
sono a Messina (presso F.lli Occhipinti) in riposo e, con1c pare, in lungo riposo! Il Signore benedetto Li conceda, fratello caro, quanto !a tua anin1a an1orosa1nente desidera: l'unione piena con Lui. Tutta la sostanza della nostra vita sta in questa unione con Dio alla quale aspiriamo dal profondo della nostra anin1a. Gesù ci conceda, dunque, quella dolce rianima di carità che trasforn1a il nostro cuore in una vera rornace d'an1ore: an1orc puro, an1ore vivo, a1nore Lrasfonnantc che ripone in Dio tutta la nostra vita. È alla genesi di qucst'an1orc che !a Madonna 111atcrna-
rncnte presiede: essa genera nel nostro animo questa fia1nrna pura che ci rende bel-
li a! cospetto degli Angeli e degli uon1ini. Ricordan1i scn1pre nell 'orazionc. Affezionalissirno
La Pira
22
8 ge1111oio 1936
Carissin10 Nicolino, senti: io dovrei recarn1i sull'Etna per un pò di VOC(//IZafi-esca!
Hai notizie dell'albergo 26 che è slalo reccntc111entc aperto? A quanti n1ctri
si lrova? C'è una Chiesa vicina? Sai danni particolari sulla vila che può ivi condursi? Ti sarò n1olto gralo se vorrai dinni qualche cosa in n1crito.
2
·'i 26
Cartolìna postale. Si riferisce al "Grande Albergo dell'Etna" che era stalo inaugurato di recente
da Mussolini. La Pira, però, venne osritato ben volentieri dai salesiani di Pcdara: vi ri1nase tre n1esi per riprendersi da un periodo di esaurin1ento.
Nicola Cavallaro
302
I~a
Grazie e con fì·atcrno affctlo nel Signore
Pira
Cari saluti a Failla: gli scriverò. Presso F.lli Occhipinti.
23 27
8 gennaio 1936 Carissin10, Sono a Callanisset!a e andrò ad Enna: così è risolto il problc111a della 111on-
lagna; n1a non ho din1csso il pensiero di una gila sull'Etna! Sto 111eglio e ringraziarno il buon Dio. Grazie di cuore per tutto: prega i! Signore e la Madonna bella per n1e. I~a
Affezionatissin10
Pira
Cari saluti agli a1nici.
3.febbmio 1936 Caro Nicolino, Giovedì prossi1no verso le ore 17 sarò in casa del proL Pe!roncclli 29 piazza Cavour 19.
Affettuosa1nente
In Cristo
I~a
Pira
n Cartolina postale. 28
Cartolina postale.
~ 9 l'vJario Petroncclli,
n1e1nbro dell'Azione Cattolica e docente ncll'Univcrsilil degli Studi di Catania; subito dopo la guerra Rettore l\1<1gnifico della stessa Universiti1.
Giorgio La Pira e la GIAC di Catania
303
25~ 11
6jebbraio 1936 Carissin10 Nicolino, sarò a Catania sabato alle 16 circa: alle 17 sarò in casa cli Petroncclli (piazza Cavour 19).
Don1enica 111altina vorrei andare un po' sull'Etna: che ne dici? Gradirei vedere Failla e gli altri an1ici. Af1Cttuosa1nentc nel Signore
Ln Pira
26-' 1
14 aprile 1936
Carissi1no, sono a Messina da sabato; sarò a Firenze n1ercoleJì prossi1no (22): transi-
terò da H. on1a i! 21 alle ore l 1. 'fanti affettuosi saluti a tulti gli arnici: se vedi Don Rocciolo ricordan1i a
Lui. Auguri di ogni bene per la riuscita della scltin1ana: soprallutto auguri di
una intiinità sc1nprc più piena col Signore. Affezionati ssi 1110
.lii -'
1
Cartolina postale. Cartolina postale.
J_,a Pira
Nicola Cavallaro
304
27
1 /11g/io 1936
Carissi1no Nicolino,
dunque ridiscendo in Sicilia ai pri1ni di luglio! Sto 111olto n1eglio e sono onnai certo che le forze si restaureranno intieran1cntc con il nuovo riposo. Tu cosa fai? E gli amici? Quando
f-~1te
le giornate?
Hai avuto gli opuscoli relativi ai gruppi? Vedi di dare in1pulso a queste
"piccole" n1a salde cellule di vita soprannaturale: apostolato a grllppi fitsi, è cotesto un n1ctodo che si di1nostra ricco di efficacia.
Ci vcdreino presto. Ricordan1i a Lutti.
Con vivissirno affetto
Nel Signore
La Pira
28 32
25 /11g/io 1936
Carissin10 Nicolino, invece di scendere verso la Sicilia sono salilo verso le Alpi l E in realtà era ancora necessario che quest'aria salubre della 1nontagna venisse a consolidare, co111c spero, la inia salute così profondan1ente rnigliorata. Parteciperò col cuore alle vostre giornate; voglia il Signore suscitare nelle ani1nc dei vostri giovani il desiderio vivo cd operoso di una vita santa. Sono tanto contento che venga Gedda: egli ha quel senso ordinalo e sapiente delle cose che è pure tanto necessario per in1postare e costruire la vi la nostra.
n Da Cortina d'A1npezzo, villa Il Carroccio.
Giorgio La Pira e la GIAC di Catania
305
_Bisogna che il calore del cuore sia conlcnuto entro le linee architettoniche della mente: è da questo equilibrio di calore e di luce che viene fuori la figura co1npleta e luminosa dcl figlio di Dio.
Ricordarni a tutti i nostri carissir11i <-unici (Bruno, Failla, Santagati, Papale, etc.) ed al caro P. Mazzaglia.
l,a Pira
Tuo nel Signore
29
6 ngosto 1936
Carissin10 Nicolino,
non sono presente pcrsonaln1cntc, n1a qucslo non significa che il 1nio cuore non vi riveda tuHi e non auguri a tutti i frutti pili copiosi e pcnnancnti di bene.
Il lavoro da con1picrc va svolto in due direzioni: I) sgon1brarc l' anin1a eh ogni nube interiore affinché il sole divino possa splendere interionnente; da qui la necessità di tenere libero il cuore perché la carità !o invada e di tenere libera la niente perché !a verità la illunlini; 2) 111ettere a profitto queste ricchezze intin1e di cui Dio ci ha fatti possessori con la prudente sapienza di costruttori; il che significa abituarsi a n1cditarc intorno al nostro aposlolalo cd a disegnare un piano di realizzazioni progressive. L'azione deve essere se111pre architettonica: deve cioè svolgersi, solto l'iinpulso della vita inti1na, secondo un piano sapiente. S. Paolo ci atnrnaestra in questo quando dice che egli si propose cli costruire con1e sapiente architetto ponendo per fonda1nento la conoscenza e l'an1ore cli Cristo. Felici noi se potrc1no e sapren10 noi pure n1ostrare alle ani1ne la divina grandezza di Gesù e se sapreino orientarle verso questo fine unico di tutla la vita. Ma rìcordian1oci: niente apostolato vero senza salvezza interiore di unione con Dio; niente apostolato, perciò, senza una vita intin1a di orazione e cli n1cdilazione; perché l'apostolato è il frutto cli un albero che affonda le sue radici nel cuore di Gesù e che si a!irnenta, perciò, di carità, di urniltà, di nascondi1nento, cli sacrificio e, talvolta, anche di lagri1ne.
Nicola Cavallaro
306
Ricorda1ni a tutti: Papale, Bruno, Santagati, Pesce, edero (111i sfugge il non1c!)
Tanti cari saluti anche a Gedda'-' e cari ricordi ai pp. Salesiani e a P. Mazzag!ia.
Nel Signore
I~a
Pira
3QJ-l
16 setten1bre 1936
C8rissin10 Nicolino, giovedì 17 alle ore 19,50 sarò a Catania: resterò il 18, n18 ho in progran1r11a di andare a Pcdara's. Possiarno vederci?
Posso vedere anche gli allri a1nici?
Atfettuosa111enlc Vado a Cibali 3<' presso i Salesiani.
La Pira
3l
10 giugno 1938
Carissin10 Nicolino, grazie! Ccrlo non è frtcile l'adesione con1pleta all'evangclo! La parola di Gesù è una vera parola vitale, esplosiva: scardina l'ani111a u111ana dai suoi attaccan1cnti alle cose terrene e la eleva alla n1cditazione e alla sperin1entazione di quelle celesti:
..... ibi nostra.fixa sin! corda ubi vero s1111t go udio.
:n Presente a Catania per un convegno diocesano. i-1 Cartolina postnle. ~ 5 Nella coinunità dei Padri Salesiani. ·'fi Quartiere della città di Catania dove ha sede l'Ispellorin Sicula Salesiana.
Giorgio La Pira e la GIAC di Catania
307
È in queslo totale e pennanente disincagliarsi dalla terra pur senza abbandonarla che sta l'essenza della vocazione cristiana! Cosa facile? No ccrta1nentc: bisogna serbare l'equilibrio: e questo è difficile. Ma l'orazione, l'apostolato, la carità in tutte le direzioni l'aclen1pin1cnlo intelligenlc dei propri doveri sono slrun1cnti preziosi che pcnnettono di raggiungere questo equilibrio in n101 1 in1entu: equilibrio ascendente; quotidiana salita verso la ci1na! hnitare Gesù: è questa la grande nonna di vita: perché solo Gesù è la via che conduce alla verità. Tanti J'n:ilerni auguri a le ed agli altri an1ici: che la dolce Vergine del Cielo ponga nelle aniine nostre il sorriso sc1nplice e irnn1utabile delle anin1c che sperano e che a1nano.
AJT. in Cristo
La Pira
32-ì7
30 sette111bre 1938 Carissin10 Cavallaro,
do1nani sabato sarò di passaggio da Catania verso le 15,30.
Aff.
L.-a Pira
33
15 c1;cen1bre 1938
Carissi1no Nicolò, volevo J'cnnarrni a Catania: ma il tcn1po, stavolta, n1i ha tradito.
Sarù per un'altra volta. Trovcrcn10 certan1cntc un'occasione che ci pennetta ùi stare insic1nc un po'.
37
Cartolina postale.
Nicola Cavallaro
308
Il teinpo, nostro alleato, è anche nostro avversario! Ma è grande gioia quando qucslo tc111po è speso per l'unico fine che ci 111tcrcssa: Dio. 1~i
auguro il bene più grande dcll'ani1na. In Cristo
La Pira
34
Natale 1938
Carissi1no Nicolino, sono indeciso! Ti dirò con grande fralcrnità: le n1ic povere finanze sono di 111olto sotto zero! I nostri fornitori cli pane e di latte e cli inclun1cnti aspettano lutti di essere pagati. E allora? Allora un viaggio in Sicilia richiede quanlo è sufficiente per pagare almeno 2 quintali di pane! Capisci? Le nostre piccole iniziative di bene hanno preso uno sviluppo che io non prevedevo: e se è vero che la Provvidenza è scrnpre vicina pure non inancano le preoccupazioni. Si potrebbe l~Ire così: richiedere che io sia 1nandato dal centro: così, questo problen1a avrebbe una soluzione! Perdona se io ti scrivo in questo 111odo: 1na co1nc fare? Tu e gli arnici di Catania n1critalc un dono co1npleto di Sé: siete creature generose, anin1e aperte alle sollecitazioni di Dio, creature che sanno donare senza riserva! Io pensavo di prendere un po' di vacanza: n1a corne si fa a resistere alle fraterne insistenze tue e di Fulvio e degli altri? Iddio benedica i vostri sforzi, Nicolino caro: la via dell'apostolato è la via regale; è la via di Gesù e dci Santi, non n1ancheranno le tribolazioni: n1a quale cornpenso nella p<Jcc e nella gioia che Gesù ci dona! Buon Nat(lle per lutti: la Vergine Santa h1ccia dei vostri cuori dei tabernacoli in1n1acolati nei quali si trova il Signore. A tfett uosan1en te La Pira
Giorgio La Pira e la GIAC di Catania
309
35
16 111arzo 1940 Carissin10 Nicolino, prospettive nuove: ma ideale sen1prc identico: portare alle anin1e la verità
di Dio. Non ci resta che continuare: continuare a!Tinando nella preghiera, nc11a carità, nella 1neditazionc, nello studio i nostri stru111cnti di apostolato. Uniti a Cristo sare1no partecipi della virtù redentrice di Cristo. Prega per rne e ricorclan1i alla cara Madre nostra de! Cielo.
Nel Signore H.icorda1ni a tutti. Failla? Sarò a Siracusa dal 2 al 5 rnaggio.
La Pira
Recensioni
Synaxis XVl/l (1998) 311-325
GIANANTONIO BORGONOVO, La no/le e il suo sole. Luce e tenebre nel
libro di Giobbe. Analisi simbolica (AnBib 135), Editrice Pontificio Istituto Biblico, Roma 1995, pp 498. Questo grosso volume di G. Borgonovo, pubblicato iu "Analecta Biblica" nell'ottobre del 1995, riporta integralmente il contenuto della tesi di dottorato in Scienze Bibliche, diretta da L. Alonso Schokel e difesa dall'autore nel giugno dello stesso anno. Come viene ricordato nell'Introduzione, la bibliografia inerente al libro di Giobbe può essere definita vcratnente "in1pressionantc" (p IX); è pertanto
un n1erito di
questo lavoro quello di avere individualo ed applicato un nuovo modello interpretativo nell'accostamento ad un testo biblico che ancora oggi uon smette di interpellare ed inquietare il lettore. Il metodo proposto da Borgouovo intende mticolare in maniera metodica l'approccio simbolico; egli attraversa così tutto ìl poema giobbiano evidenziando l'alternanza dialettica del simbolismo portante luce-tenebre, proletticamente anticipato nel c 3, autentico «inizio fontale del dinamismo simbolico del libro» (p XI). L'autore mostra conclusivamente come, al tennine
del suo "tragitto
sin1bolico",
il protagonista
giunga alla
«percezione di essere egli stesso il simbolo» (p 333), comprendendosi finalmente come luogo di una singolare rivelazione della sapienza divina operante nella creazione.
11 capitolo I (pp 3-45) viene dedicalo ad un'accurata analisi della riflessione filosofica sul simbolismo, con particolare riguardo agli sviluppi degli ultimi cinquant'anni, attraverso il pensiero di E. Cassirer, P.
312
Recensioni
Ricmur, G. Durand e G. Bachelard. Tale disamina è guidata dall'intento di fare emergere l'influenza del pensiero filosofico nel modo d'intendere il simbolo, assieme alla sua eventuale ricezione nella ricerca biblica. Fo1tunata1nente si passa dal rifiuto spinoziano dell'in11naginazione simbolica ad un recupero del simbolo, colto infine nel suo ruolo conoscitivo-interpretativo della realtà. L'attribuzione di un'identità s im bo-
li ca ad ogni testo, specie se poetico, ed un successivo
csan1e
condotto
lungo le coordinate del simbolo possono permettere di superare la dicoto1nia tra il senso di un dato testo e la verità del suo contenuto, denunciata già dallo stesso Spinoza. Solo così si può ottenere una composizione arn1onica tra la "co111prensione", intesa precipuan1ente quale orizzonte veritativo all'interno del quale collocare l'approccio ermeneutico, c la semplice "spiegazione", che da sola correrebbe il rischio di «prendere ideologicamente il posto della verità ultima» o di isterilirsi in un infinito esercizio fìlologico atto sola1nente a suggerire un «senso, ma solo "possibile"» (p 40). Nel capitolo Il (pp 46-1 00) si passa ad un esame dei presupposti critici destinati ad orientare il lavoro di ricerca. Senza la pretesa di offrire un completo status quaestionis di tutte le problematiche legate al libro di Giobbe, B. accosta i molteplici "nodi" testuali nell'intento di offrire un valido appoggio alla sua scelta di lettura fondamentalmente sincronica dell'opera, che pur tuttavia non disattende l'oggettività di una forn1azione del testo realizzatasi in n10111enti successivi. Lo scopo di questo secondo capitolo è quello di dare fondamento ai criteri - metodologici e non 111eran1ente antologici - che hanno deten11inato la scelta delle pericopi da prendere in considerazione ai fini dell'indagine simbolica: cc 3; 4, 12-21; 9, 2-24; IO, 1-22; 11, 2-20; 13, 28-14, 22; 15, 2-35; 23, 2-24, 25; 25, 2-6; 26, 5-13; 28; 38, 1-42, 6. Si tratta dei brani in cui, secondo l'autore, en1ergono con 1naggiore evidenza gli elementi simbolici che si collegano all'asse luce e tenebre (cfr Xl!), individuata co1ne struttura portante dell'intero poen1a. Al/Cl fine viene presa in esame anche la pericope 40, 15-41,26, ma solo per sotto Iinearne il legame simbolico con il primo discorso di Dio (38, 2-38) e per riprendere conclusiva1nente il teina dell'ironia, attraverso la quale si attua un rovescia1nento delle nu1nerose in1111agini di onnipotenza divina che attraversano il poe1na.
Recensioni
313
Vale la pena di sottolineare la breve, ma precisa ricerca lessicale con la quale Borgonovo, contrariatnente all'opinione do1ninante, intende dimostrare, sulla base dell'omogeneità del linguaggio, l'appartenenza dcl c 28 all'insieme originario del poema, in cui svolgerebbe una funzione analoga al coro della tragedia greca. Anche l'individuazione di un'origine autonoma e posteriore per i discorsi di Elihu (cc 32-37) viene fondata principalmente su ragioni lessicali, oltre a quelle strutturali e stilistiche che vengono pure considerate. Un'applicazione critica dell'approccio sincronico consiglierebbe, secondo l'A., di leggere questi capitoli alla fine del dramma, del quale essi rappresenterebbero il primo di una lunga serie di commentari (cfr 69). I discorsi di Dio (38, 1-42,6) vengono considerati «parte integrante del dramma originario» (p 79) e significativi al fine di una sintesi fra teologia della creazione e teologia dell'alleanza che disegneranno l'orizzonte entro il quale comprendere la conclusione dell'opera: «L'avventura spirituale di Giobbe, prolettica1nentc annunziata in Gb 28 e vissuta nell'itinerario dei discorsi divini, sta proprìo nel co1nprendere la sua situazione particolare in analogia alla vicenda cosinica, che viene interpretata con1e "creazione" in divenire, fondata sull'essere del suo Creatore, eppure distinta da Lui. La nuova conoscenza che ne deriva è il risultato ad un ten1po di una cosmogonia e di una maieutica» (p 331 ). li nucleo fondamentale dell'opera di Borgonovo è costituito dai capitoli lii, IV e V (sezione analitica): l'autore prende dettagliatamente in considerazione le pericopi individuate secondo i criteri dell'asse si111bolico, di cui si è detto in precedenza. Già all'inizio, l'analisi simbolica del c 3 per111ette di identificare i tre registri - cos111ogonico, eticoideologico, esistenziale e metafisico - secondo i quali si organizzano le valenze del simbolismo luce-tenebre nell'esame delle altre pericopi. Mentre il capitolo lii (pp 103-200) esamina i brani relativi agli interventi del protagonista, nel capitolo IV (pp 201-252) si studiano gli interventi degli amici e nel V (pp 253-325) vengono approfonditi il e 28, i discorsi di Dio e le successive risposte di Giobbe. Per ciascuna pericope viene offe1ia una traduzione pa1iicolannente accurata, originale ed attenta ai molteplici problemi testuali e filologici soggiacenti, che vengono a1npian1ente richian1ati e discussi nelle note. Seguono ogni volta un'analisi retorica, per poter individuare, attraverso la struttura
314
Recensioni
letteraria, i legami del brano con l'insieme del poema, e l'analisi propriamente simbolica, che costituisce il contributo più originale della ricerca. Alla fine (pp 327-339), Borgonovo ritiene di poter approdare ad un nuovo "dire Dio", in cui è proprio la polivalenza si1nbolica dell'esperienza tragica cli Giobbe a postulare una vera sintesi fra la teologia della creazione e la teologia dell'alleanza . Certamente, il simbolismo luce-tenebre che risalta con immediatezza nell'analisi del e 3 non se1npre riesce ad essere presentato in n1aniera altrettanto convincente nella disa111ina delle pericopi successive, e talvolta si avve1te l'i1npressione di una qualche forzatura. Tuttavia, il lavoro cli Borgonovo è da considerare senza dubbio positivamente, per la grande co111petenza con cui vengono trattati i nun1erosi argon1enti che concorrono nella organizzazione della ricerca e, soprattutto~ perché l'autore offre un esempio intelligente di sintesi fra le diverse procedure esegetiche, orn1ai classiche - 1netodo storico-critico, critica testuale, filologia, filologia con1parata, ecc. - e un'ern1encutica più n1atura, che sa trarre profitto dalla recente rivalutazione del simbolo sul piano filosofico e letterario.
Carnzela C'orrarlini S'jlenti
FRIEDRICH V. REITERER (ccl.), Freundschafi bei Ben Siro. Beitriige des Symposions zu Ben Sira. SaLz.burg 1995 (BZAW 244), Walter de Gruyter, Berlin · New York 1996, pp 264. PANCRATIUS C. BEENTJES (ed.), The Book of Ben Siro in Modem Research. Proceedings of the First 1n.ternational Ben Siro Conference 2831 July 1996, Soesterherg, Netherlands (BZAW 255), Walter dc Gruyter, Berlin · New York 1997, pp 232. Questi due volumi che, usciti a distanza di un anno nella prestigiosa collana "Beihefte zur Zeitschrift fì.ir die alttestamentliche Wissenschaft" (~BZA W), riportano gli atti di due convegni sul Siracide o Ben Sira (~BS) che si sono tenuti rispettivamente a Salisburgo nel giugno 1995 e a Soestcrberg (Utrecht) nel luglio 1996, testimoniano significativamente i I fervore degli studi che circonda attualmente questo
315 libro deuterocanonico della Bibbia. li primo era imperniato sull'approdi BS, Pan1icizia, 1nentre il secondo, che voleva celebrare il centenario della prima scoperta dei mss. ebraici trovati nella Geniza del Cairo (p l 896ss), si è proposto di offrire un piÚ ampio panorama degli attuali indirizzi di studio su questo libro. Al tema dell'amicizia sono state dedicate a Salisburgo sei relazioni che hanno analizzato le pericopi che ne trattano nel libro, ad eccezione della breve menzione che se ne ha in 9, I O. P. Beentjes (Utrecht), che studia 6,5-17, rileva prima, dal punto di vista formale, sia la struttura (vv 5-6. 7-13. 14-17) e sia gli altri espedienti poetici (assonanza, allitterazione e rima finale), e poi, dal punto di vista del contenuto e della stessa ter111inologia, una dipendenza da 1 Sani 25,5b.25.29.39. L. Schrader (Kiel) nota come in 12,8-12 (8-9: amico; 10-12: nen1ico) il "ne111ico", nei cui confronti si racco1nanda non solo fondin1ento di un tenia caratteristico
prudenza, n1a anche diffidenza, rappresenti un personaggio che viene considerato concorrente dal punto di vista professionale. In questo at-
teggian1cnto si riflette una situazione di profonda disgregazione sociale. Ma in BS non si riscontra, nonostante qualche son1iglianza, quel pessin1isn10 tanto radicale che caratterizza lo scrittore greco Teognidc (sec. VI), che si sentiva tradito dall'amico - come lui stesso confessa nella sua pedofilia. Kieweler (Vienna) analizzando 19,6-19 sottolinea con1e BS, nonostante i vari influssi esterni circolanti nel suo an1biente, dipenda soprattutto dalla Tara; nei rapporti di a111icizia egli raccon1anda il cliscerni1nento, il dialogo pacato e l'astensione - per quanto possi-
bile - dal ricorso al tribunale. J. Marbiick (Graz) studia in maniera sistematica la pericope 22, 19-26 sul rischio e sul mantenimento dell'a111icizia, esan1inando successivan1ente il contesto, la versione gre-
ca, la versione siriaca, la Vulgata, il commento di Cornelio a Lapide. Secondo O. Kaiser (Marburg) nella versione greca di 27, 16-21 si possono presupporre solo delle variazioni formali rispetto all'originale ebraico che non possediamo, ma nella sostanziale identità dcl contenuto. In esso si riflettono le tipiche tensioni tra conservatori e progressisti di fronte all'ellenismo dell'epoca di BS, e l'emergere dell'amicizia di elezione, analogamente a quanto avviene nell'Attica del V sec. L'ultimo brano sull'amicizia (37,1-6) è studiato da G. Sauer (Vienna)
316 che, dopo un attento confronto c11t1co dei due mss. ebraici (B, O) che lo riportano (O è migliore di B, corretto in 8"' secondo O), nota come Ben Sira si ispira a 2 Sam 26 (Davide e Gionata); il suo carattere religioso non è esplicito, ma solo presupposto. L'organizzatore del Simposio ed editore degli atti, F. V. Reiterer (Facoltà di teologia cattolica di Salisburgo) ha studiato un brano che non tratta interamente dell'amicizia (25, 1-11 ), ma ne tocca alcuni aspetti trattando delle relazioni con alcune categorie di persone, con1e gli anziani, il povero arro-
gante, il vecchio adultero, il ricco fallito, i figli, i coniugi. 11 criterio dominante è quello del bene comune. Infine, le due assistenti di Salisburgo hanno presentato due ricerche di carattere lessicografico. Ingrid I<ran1111er ha esan1inato i due verbi sinoni1ni bOs e klan1 (''aver vergogna") in rapporto al tema dell'amicizia (5, l 4a-6, 1a; 20,21 a-23b; 22,25; 29,14; 4!,18c.22c): tra l'altro, la falsa vergogna può far tradire J'an1icizia, può spingere a fare delle pron1esse che poi non si possono n1antenere, 1111111
ecc. Invece Renate Egger-Wenzcl ha studiato la radice
(''essere integro") in Gb e Sir, distinguendo un aspetto quantitati-
vo (cfr Sir 38,17; 40,14) da quello qualitativo, come "integrità" manifestata nelle relazioni interpersonali: una qualità che si può acquisire nel corso della vita.
li convegno olandese di Soesterberg mostra in maniera esemplare le principali linee di ricerca attuali sul libro del Siracide; le dieci relazioni possono essere raggruppate in quattro aree principali: I) la scope1ia dei mss. ebraici; 2) questioni introduttive; 3) approccio tematicocontenutistico; 4) diversi condizionan1enti storici sul pensiero di BS. I) I I centenario (1896-1996) della prima scoperta dci mss. ebraici viene co1111ne1norato con dovizia di particolari biografici sui diversi protagonisti da S. C. Reif, direttore del "Taylor-Schechter Genizah Research Institute" di Cambridge, che alla fine offre pure l'inventario dei mss. conservati in questo Istituto (mss. A, B, C, F; 19 fogli). - C. Martone (Facoltà di Lettere dell'Università di Torino) ristudia i mss. scoperti a Qumran (1,19-20; 6,14-15. 20-31; 51,13-20) e a Masada (39,27-44, 17), sottolineando in conclusione l'impo1tanza della letteratura qun1ranica per una 111igliore con1prensione del libro del
Siracide. - L'organizzatore del convegno, P. C. Beentjes (Università cattolica teologica di Utrecht) presenta il criterio da lui seguito in una
I?ecensioni
317
nuova pubblicazione dei mss., che frattanto è uscita nel 1997 presso l'editore Brill di Leida, quello della riproduzione integrale di tutti i mss. in forn1a sinottica; un feno1neno che si osserva nel loro confronto e su cui si deve richian1are l'attenzione è quello di varianti provocate da errore di audizione nella dettatura. 2) Sulle questioni introduttive F. V. Reiterer (Salisburgo) presenta una vasta e documentata panoramica delle pubblicazioni dedicate al Siracide dal 1980 al 1996, suddivisa nelle seguenti questioni: nome dell'autore, canonicità, tras1nissione del testo nelle sue diverse fon11e (breve e lunga) e versioni antiche, numerazione dei capitoli e versetti, persona di BS (professione, età), datazione, composizione (~divisio ne), dipendenze culturali, ten1i principali (sapienza, legge e creazione), creazione e letteratura intertestan1entaria, lode dei padri, BS e la donna. - J. Marbiick (Graz) presenta una nutrita rassegna degli studi sull'individuazione dci possibili criteri, letterari e ten1atici, in base ai quali le varie parti del libro, composte durante la sua vita da BS, sono state da lui stesso, o forse da un discepolo dopo di lui, riunite insieme. Si devono a111111cttere pri111a, in ogni caso, delle co1nposizioni o raccolte parziali, come quelle sulla creazione (42,15-43,33), sulla storia (4449.50), l'autoelogio della sapienza (24), la descrizione dello scriba (38,24-39,11), le sezioni sulla teodicea (15,11-18,14; 39,12-35) e sulla preghiera (22,27-23,27). 3) Tre relazioni se1nbrano seguire un approccio te1naticocontenutistico, applicato allo studio di tre differenti pericopi. A. Di Lella (Washington) studia il poema programmatico del Sir in 1, 11-30 sul timore del Signore (espressione che vi ricorre 12 volte) e la sapienza (7 volte). li testo si struttura in due pai1i: A, suddivisa nelle strofe I (11-13), Il (14-15), III (16-17), IV (18-19), V (20-21); B, suddivisa nelle strofe VI (22-24), VII (25-27), Vili (28-30ab), IX (30cf). Il timore del Signore deve ispirare la pratica dei con1anda1nenti, in confonnità con l'insegna1nento deuteroni1nico. - M. Gilbert (Na1nur) esan1ina la pericope 10,19-11,6 sulla sapienza del povero, premettendo all'analisi della te1natica, che sottolinea la legittin1a fierezza del povero che è saggio, la critica testuale dei n1ss. ebraici (A e B) e una nuova proposta sulla struttura dcl brano. - N. Calduch - l3enagcs (Roma) commenta successivamnete i passi 2,1-6; 4,11-19; 6,18-37; 31(34), 9-17; 44, 19-
318
Recensioni
21; 51, 1-12 evidenziando l'importanza del tema della "prova" (Tria!) che li accon1una. 4) Due voci a111ericanc sottolineano alcuni condiziona1nenti storici dell'insegnamento di BS. Claudia V. Camp (Forth Worth, Texas) analizza dal punto di vista dell'antropologia culturale dell'area mediterranea la rappresentazione della fen11ninilità in BS, do1ninata in 1naniera riduttiva dal doppio concetto di onore e vergogna. L'aspetto dell'onore si applica alla fe1n1ninilità, 1na in quanto è considerata in astratto e identificata con la sapienza e con il culto, mentre è solo l'aspetto della vergogna che si applica, in 111aniera ovvian1ente negativa alla donna reale, considerata come pericolosa. Questo pregiudizio culturale agisce anche a livello inconscio. B. G. Wright (Bethlehern, Pennsilvania) situa l'atteggiamento filosacerdotale di BS nel contesto del suo te1npo con1c reazione a quei circoli antisacerdotali dai quali hanno avuto origine il libro dei Vigilanti, il Libro asrro110111ico di Enoch, il Doczunento artanaico t!i Levi. Così si spiegherebbero le sue an1111onizioni a non investigare le cose occulte (3,21-24), a non confidare nei sogni e nelle visioni (34, 1-8), nonché la contrarietà al calendario solare (43,1-8) e alla figura di Enoch (44,16; 49,14). Questi due volumi collettivi costituiscono insieme una vera n1cssa a punto degli studi sul libro del Siracide e nello stesso tempo un forte in1pulso alla loro continuazione. Entran1bi gli organizzatori di questi due convegni pensano di continuare, ciascuno con una fonnula diversa, queste iniziative.
Antonino A1inissale
NAOMI H. ROSENBLATT, Wrestling wirh Angels. What Cenesis reaches us about our 5'ph-itual l<lentity, Sexuality, an<I Persona! Relath1nships, Delta Trade Paperbacks, New York 1997 (ed. ori g. Delacorte Press, New York 1995, pp XXIV-388) Non i1n1naginavo che sulla Genesi si potesse scrivere un libro così vivace, profondo cd attuale, come questo bel libro di Naomi Ro-
Recensioni
319
senblatt, una firma che ho incontrato per la pnma volta nel supplemento letterario domenicale del Washington Post. L'autrice, nata e cresciuta in Israele (Haifa) fino ai 18 anni e trasferitasi negli Stati Uniti in seguito al 111atri111onio, è di professione una psicoterapeuta cli Washington che tiene, tra l'altro, degli incontri biblici per i senatori del Capito!. In questo libro il testo biblico è "riletto" alla luce della problematica psicologica oggi più avve1iita, per ritrovare nei personaggi dcl racconto genesiaco, da Adamo a Giuseppe, il riflesso della condizione un1ana nei suoi aspetti più intin1i e perenni, in 111odo che la loro vita diventa metafora della nostra vita, colta soprattutto nella sfera dei diversi rapporti fan1iliari. Il libro, scritto con uno stile leggero ed accattivante, si 111uove su diversi registri. Per pri1110 si segue il filo del racconto biblico, distribuito 111 35 capitoli; esso è quindi "con1111entato" in n1odo che si tàccia en1ergcre di volta in volta un raccordo con le diverse tensioni psicologiche che si ritrovano in varie forn1e nei rapporti tra 111oglic e n1arito, tra genitori e tigli, tra fratelli e parenti in genere. Quando si presenta l'occasione, l'autrice aggiunge dci riferin1enti all'esperienza dci propri pazienti e, a volte, qualche significativo squarcio autobiografico, che richia111a sia l'a1nbiente israeliano e sia quello americano, in pa1ticolare della capitale. Dal punto di vista biblico il testo è considerato con un approccio sincronico con1c se fosse la creazione di un solo autore, il quale di solito conferisce unità psicologica alla personalità e alla storia dei diversi personaggi. A volte si fornisce pure qualche infonnazione storica che aiuta a situare 111eglio nei te111pi arcaici l'episodio considerato. Nel suo insie111e il libro con1bina due diversi generi, quello del ro111anzo e quello dcl saggio, che si intrecciano e si alternano, conferendo profondità al racconto e scioltezza alla riflessione. li titolo di ogni capitolo rispecchia il contenuto narrativo del brano considerato, 111entre nel sottotitolo che vi si aggiunge si indica il registro psicologico sul quale esso viene proiettato; per ese111pio: "Abramo parte: quando si segue un ideale (vision) personale" (e 7); "Giuseppe in esilio: 111aturarc attraverso le avversità" (e 31). Co111c si vede, l'orizzonte del discorso è di tipo etico-laico; si fa appello con 111olta discrezione al senso di Dio che in1plicita111entc c'è dentro ogni uo1110, e che si identifica per l'autrice - anche quando parla esplicita-
320
Recensioni
mente dell'immagine di Dio - con quella molla interiore che dovrebbe scattare in ognuno per vivere riconciliato con se stesso e con gli altri. In coerenza con l'approccio psicologico dcl libro, Adamo ed Eva sono visti con1e una cristallizzazione si111bolica della pri1na esperienza sessuale che è insie111e esaltante e conturbante. Della vita sessuale in genere la Rosenblatt presenta una visione molto naturale, che trova la sua realizzazione più appagante e più vera nella fedeltà della coppia che sa crescere nel dialogo interpersonale. Traspare nel libro la pazienza ed il rispetto con cui l'autrice sembra che soglia ascoltare i suoi pazienti,
senza 111ancare nello stesso tempo del coraggio necessario per far appello alla decisione di ognuno, la quale richiede impegno e fiducia in se
stessi. li titolo ("Lottando con angeli: Ciò che la Genesi ci insegna sulla
nostra identità spirituale, sessualità e relazioni
personali'')
allude
all'episodio della lotta di Giacobbe con un angelo (Genesi 32), che assurge en1ble1natica1nentc a sin1bolo della condizione di ogni uon10 che ha da lottare con angeli e demoni interiori per raggiungere la sua più autentica realizzazione. Mi setnbra che tutto il libro presenti in 111aniera sen1plice e concreta l'insien1e dei valori un1ani e spirituali che caratterizzano la tradizione ebraica, con1c la fan1iglia e il bisogno di rifarsi una patria dovunque ci si trovi; da qui si con1prende il rifcri1nento alla "identità spirituale" nel sottotitolo. Anche dal punto di vista psicologico, questa identità spirituale, concepita come quadro di valori da assecondare dentro di sé e da esprimere nel proprio ambiente di vita, costituisce il vero nucleo della personalità dell'uomo e della donna, sul quale si basa lo stesso dispiegamento della sessualità e della relazioni interpersonali. Questo libro può aiutare ì cristiani secolarizzati a riscoprire il grande patri1nonio un1a110 della Bibbia, con1c pure può spingere i cristiani portati a troppo spiritualis1no a cogliere e valorizzare l'elemento specifico del l'Antico Testamento, che consiste soprattutto nella sua "111ondanità" e, spccificatan1ente in questo caso, nello sve!an1ento delle tensioni e delle contraddizioni che caratterizzano l'esistenza u1nana di ogni te111po. Per concludere, preferisco cedere la parola alla stessa autrice, scegliendo un passo che 1ni sen1bra significativo per co111prenderc la sua visione "teologica", se è lecito usare questo tern1ine a proposito di un
Recensioni
321
libro che non intende fare teologia: «Non è che gli esseri umani siano intrinsican1ente cattivi, 111a è che le relazioni u1nane portano inevitabilinente in sé una situazione di conflitto. Invece di vedere questa verità con1e un proble111a insolubile, la Genesi la considera con1e una buona opportunità per esprimere il meglio che c'è in noi. Essendo fatti ad i1n1nagine di Dio, noi sian10 tutti forniti con gli stru1nenti atti a riparare questa situazione umana. Unicamente con le qualità umane della pazienza, confidenza e coraggio, noi possedia1110 Pattrezzatura idonea per annonizzare i conflitti che nonnaln1ente turbano le relazioni familiari. Le relazioni sono uno degli ambiti in cui Dio dipende dalla nostra cooperazione nel riparare e rinnovare la sua creazione» (p 375).
Antonh10 Mhz;ssa/e
DIMITRI D'ANDREA, Prome/eo e Ulisse. Nalura umana e ordine politico in 1'honu1s Hobbes, La Nuova Italia Scientifica, Ro111a 1997, pp
21 O. Nel tentativo di chiarire il rapporto che intercorre fra antropologia e politica all'interno della riflessione hobbcsiana, il D'Andrea pone a fonda111ento del suo lavoro la tesi che individua in un graduale processo di ''neutralizzazione" della natura un1ana la chiave di spiegazione della diversità esistente tra due opere di Hobbcs: gli Elemel1fs (1640) e il Levialhan (1651). Nel passaggio dall'uno all'altro scritto si assisterebbe, dunque, ad una progressiva deviazione d'interesse che, prendendo le 111osse da una teoria delle passioni, si sposta poi in direzione di una riOessione antropologica in senso stretto. Nel Leviathan, infatti, il punto cardine della trattazione viene fatto consistere non più ne!Panalisi specifica delle passioni un1ane, 111a nella ricerca di quelle costanti antropologiche e di quegli elementi costitutivi della specie umana che, pur essendone il necessario presupposto, risultano indipendenti da qualsiasi loro concreta manifestazione emotiva. Non a caso, a proposito dell'opera del 1651, il O' Andrea usa l'espressione "svolta sociologica", dal 111on1ento che
322
Recension;
proprio in questo contesto vengono fatti emergere i princìpi semplici e generali che dirigono l'agire individuale, a prescindere dal persegui1nento di scopi particolari. Nell'intento di elaborare una teoria neutrale della natura u111ana, è stato possibile all'autore rintracciare il margine di discrimine tra uo1110 e ani1nale e, sulla base di ciò, ancor 111eglio definire le caratteristiche dell'"animale-uon10". Quest' ulti1110, essendo in grado di superare i limiti fisiologici e temporali dell'appetito prettamente animale, risulta dotato di un'eccessiva libertà e privo di qualsiasi li1nite. La sua vita en1otiva appare regolata dai 1neccanis111i espansivi di un desiderio che si configura come illimitato e perpetuo. Ma soprattutto è la ricerca di un piacere della mente il primo principio in base al quale è possibile effettuare una distinzione tra inondo u111ano e inondo ani111ale. Se negli E/en1ents, infatti, il desiderio di potere si concretizza in una passione specifica, ossia nel piacere della superiorità (quindi nella gloria); nel lev;a1ha11, invece, si ha un desiderio di potere indefinito e generale, che spesso esula dalla componente dell'alterità un1ana. Tale piacere della 1nente è fine a se stesso, in quanto scaturisce dalla sen1p!ice contemplazione delle proprie potenzialità. Al suo esordio l'opera del D'Andrea prende in esan1e quella interpretazione tradizionale del pensiero hobbesiauo che, sulla base della contrapposizione tra piaceri del senso e piaceri della niente, concepisce distinti due prototipi: l'uomo dell'utile e l'uomo della gloria. In risposta a ciò il D'Andrea rileva con1e in realtà nel percorso filosofico hobbesìano la distinzione tra le due tipologie u111ane abbia gradatan1ente perso rilevanza e co1ne questo si sia verificato in conseguenza dello sviluppo progressivo di quel processo di neutralizzazione della natura u1nana cui abbian10 pri1na accennato. Il significato di tale processo è rintracciabile in due ordini di effetti: in primo luogo, entrambi i tipi u111ani indistintan1entc ricorrono alla violenza; secondaria111ente, le ragioni che spingono l'uon10 a fare uso di violenza non vengono più individuate nei fini concreti che questi si propone, bensì negli stessi princìpi costitutivi della natura un1ana. Perciò, se l'indefinito desiderio di potere appa1iiene a tutt'e due le categorie u1nanc in questione, allora, su questo terreno antropologico, anche le cause di conflitto vengono del tutto generalizzate.
Recensioni
323
Il testo procede poi ad un'analisi dettagliata delle operazioni mediante le quali, secondo Hobbes, si esplica la vita emotiva dell'uomo: da qui le definizioni di sensazione, i1nn1aginazione e nletnoria anche sotto il profilo propriamente fisiologico. Dall'indagine riguardante i meccanismi che stanno alla base della rappresentazione dei futuro prende avvio, invece, la differenziazione tra ''pensiero causale", che consiste nella ponderazione delle conseguenze di un 'azione futura ed è propria solo dcll'uon10, e "agire teleologico'' che si n1anifesta nell'azione co1npiuta esclusiva111ente in vista di un fine, caratteristica questa tipicatnente ani111ale. Ma i fattori principali di dìscrin1inazione tra uo1110 e animale sono rappresentati, oltre che dal linguaggio e dalla ragione, soprattutto dalla curiosità e dalla preoccupazione, laddove per gli ani111ali si deve se111prc parlare di occupazione. Più in particolare, in n1erito alla curiosità, possian10 affennare che essa è sicura1nente la con1ponentc più fcl!ie e più evidente dell'individuo moderno. Quest'ultimo, se per un verso è spinto ad oltrepassare ogni li111ite, per l'altro, quando si trova di fronte ad un futuro "ignoto" e "incontrollabile", prova angoscia e sgon1ento, speri111entando su di sé tutta la precarietà che deriva dalla perdita del limite. Si profilano, dunque, due impo1ianti costanti antropologiche: la curiosità per il futuro e l'ansia per il do1nani, chiari segni dell'an1bivalenza che inficia alla radice il carattere della 111odcrnità. In tal senso, non possia1110 non ricordare la critica di Pascal alla curiosité dell'uo1110, che si alin1enta di vanità e che n1isera1nente passa dall'ansia alla noia. La molla propulsiva della curiosità, per 1-lobbes, è con1unque da ricercare in quel "desiderio perpetuo e senza tregua di un potere dopo l'altro che cessa soltanto nella morte" (Leviahan c XI). Esso è vasto, progressivo, infinito ed inarrestabile. E dal momento che l'uo1110, a differenza degli anin1ali, è sprovvisto di 111eccanis1ni anestetici, infinita è la sua disponibilità al piacere, con la conseguenza che !a quiete e111otiva non costituirà 1nai per lui una n1cta raggiungibile. La stessa definizione hobbesiana della felicità risente di questa in1postazione: essere felici, infatti, non vuol dire altro che accrescere quantitativamente il proprio potere individuale. A questo punto viene chiarito il diverso metodo utilizzato dal filosofo inglese nel corso dei suoi scritti, per trattare la tematica del desiderio: mentre negli Elements e nel Dc Cive egli "deduce i connotati del desiderio u111ano dalla natura coni-
324
Recensioni
pctitiva e antagonistica degli appetiti u111ani", nell'ottica di una ricerca di superiorità che risponde all'esigenza psicologica di distinguersi dagli altri e al tempo stesso di ottenere conferma dagli stessi; nel Leviathan, invece, si assiste al declino della fonzione sistematica della gloria, poiché l'individuo vive "un perpetuo succedersi di desideri nuovi e diversi'' e la piacevolezza del potere viene sperimentata in sé e per sé, prescindendo, con1e si è già anticipato, dalla relazione con l'alterità u1nana. Nel terzo capitolo il D'Andrea si adopera nella ricostruzione hobbesiana dei fondamenti della violenza, tenendo presenti in particolare due obbiettivi: quello di concepire il co111portan1ento aggressivo e violento dell'uon10 co1nc qualcosa di connaturato al 111odo di essere della sua specie; e l'altro che consiste nel tentativo di cn1ancipare la propensione alla vialenza e le sue inotivazioni da qualsiasi valutazione di ordine etico. In generale possia1110 aftènnare che la violenza si configura con1c la capacità di vincere la resistenza altrui. Essa può tuttavia espri1nersi sotto diverse fonne: la rapina, il don1inio e l'obbedienza. Se la rapina si esplica nell'appropriazione violenta dei beni altrui, il don1inio i111plica invece un potere 1nolto più sottile che, servendosi della paura della n101ie con1e stru111ento, agisce principaln1entc a livello psicologico, concretizzandosi di fatto in un controllo incondizionato della volontà altrui. Interviene, dunque, nel concetto di don1inio un rnotivo più nientale che 1nateriale, il quale trova la giusta espressione nel proposito del cosiddetto "spossessa1nento". Ad e1ncrgere è, perciò, la componente dell'intenzionalità e del desiderio di dominio in quanto tale. In questo contesto la paura assun1e la duplice veste, da una parte, di prima spinta verso l'origine dello Stato e, dall'altra, di fondamento antropologico insufficiente a garantire il rispetto delle leggi di natura in assenza di un potere coercitivo. Resta di fatto che il conflitto tra la natura u111ana, segnata da un individualis1110 illin1itato, e l'ordine sociale, raggiungibile solo artificialn1ente, rin1ane co1nunquc insuperabile in modo definitivo. Prometeo, l'eroe dell'atto eversivo, della curiosità, del disordine interiore ed esteriore cederà il passo all'Ulisse dcl canto delle sirene soltanto temporaneamente, poiché il tentativo cli instaurare un ordine ed una stabilità artificiali è destinato alla precarietà ed alla 1nortalità.
Recensioni
325
------------------------·-----··---
L'indagine del D'Andrea si spinge, dunque, oltre il terreno prettamente politico, per inquadrare lo sviluppo dell'antropologia hobbesiana in un'ottica che si discosta dccisa1nente dalle trattazioni tradizionali. Tra l'altro, coercnte1nente con lo scopo da lui perseguito in questo lavoro, l'in1111aginc dell'individuo dibattuto tra curiosità ed angoscia nella sua altalenante a1nbiguità costitutiva risulta perfettan1ente rispondente all'indole della soggettività moderna. In conclusione, possian10 senz'altro riconoscere al D'Andrea il 111erito di avere realizzato un organico lavoro di analisi critica, fornendo un scrio contributo per una reinterpretazione del pensiero hobbesiano.
Raffaella Sorce
Presentazioni
Synaxis XVII I (I 998) 326-333
AA. VV., !lgata, la santa di Catania, Editrice Velar, Bergamo 1996
In un'epoca in cui le pubblicazioni di una ce1ia an1piezza documentaria e i lavori di sicura erudizione si fanno sen1pre più desiderare, se non altro per ragioni di ordine editoriale e finanziario, è doveroso rendere 01naggio a chi, con1e 1nons. Vittorio Peri, persegue da alcuni anni, con serena intelligenza, una illustrazione testuale e iconografica di eroi della santità cristiana. Dopo santa Rita, sposata e consacrata, ecco sant' Agata, 1na1iirc. Queste bellissime pagine permettono, anche a chi è generalmente poco addentro negli intricati codici interpretativi della letteratura agiografica antica e 111edievale, un incontro co1nodo e piacevole con la santa patrona di Catania, nella sua realtà liturgica e devozionale, artistica e folkloristica. li ritorno di Agata nella letteratura agiografica seria è un evento straordinario, perché è la din1ostrazione di un evento significativo. Sotto la guida di Vittorio Peri, i singoli contributi di questo volume pmtano alla conoscenza degli storici del pensiero, della religiosità popolare e dell'atte (iconografica e musicale) un ulteriore flusso di i11forn1azioni. l nuovi dati provengono da un'analisi vitale, che è condotta nell'ambito dell'indagine storiografica più accurata. Il destinatario del volume è un pubblico intelligente, desideroso di rinnovare la sua conoscenza di una personalità della Chiesa antica. Espressione di una civiltà - quella dell'antico impero romano d'Occidente - e di unajède - quella dei primi secoli - brutalmente colpi-
Presentazioni
3 27
ta da ripetute persecuzioni, Agata è testin1one di un passato, di un n1omento storico anteriore al riconosci1nento del cristianesi1no con1e religione di Stato (editto di Tessalonica, 28 febbraio del 380). L'espressione è sobria, pur nella diversità stilistica dei singoli contributi. È un itinerario che ripercorre la storia, il culto, la pietà popolare e le espressioni artistiche dedicate alla santa martire: tutto è lumeggiato sinteticamente, per inquadrare il senso della sua presenza in Occidente. Agata è inserita anche nelle liturgie cncaristiche, con l'inserin1ento dcl suo non1e tra i santi dcl Canone ro1nano I. Questi sussidi critici sono capaci di evocare, di presentare, di progettare un nuovo volto di una santa pa1ticolarn1ente venerata. È un coro a quattro voci, quasi i quattro nuovi evangelisti cli s. Agata, in modo sinottico: Gaetano Zito (li contesto storico del martirio di Agata, 13-4 7); Adolfo Longhitano (Il culto di Agata, 67-125); Salvatore Consoli (La pietà popolare siciliana, 127-145); e un binon1io artistico sotto il segno di ,). /1gata f,\]Jiratrice cli artisti: Antonio Marcellino (Musica, 147-165) e Angiolo Bella (Immagini artistiche e devozionali, 167-179). Sotto il profilo visivo, è una squisita realizzazione editoriale: un gioiello di progetto grafico, di impaginazione, di fotocomposizione, di riproduzione a colori di tante opere d'aitc specifiche. L'ecliiricc VELAR, già nota per altre edizioni agiografiche, ha aggiunto un nuovo titolo d'omaggio alla santa di Catania. E, da cittadino europeo, chi scrive crede doveroso e gioioso il compito di sottolineare questa realizzazione che unisce l'Italia settentrionale (dove è stampato il libro), l'Jtalia centrale e l'Umbria (dove lavora il curatore), l'Italia meridionale (che, a Catania tras111ettc una originale celebrazione di una inartire autentica). D'ora in poi, ogniqualvolia si rifletterà su Agata, si dovranno distinguere due n101nenti: un "Antico ·restan1ento", prin1a di Vittorio Peri, e un "Nuovo Testan1ento", con Peri e dopo Peri, d'intesa con i volenterosi suoi collaboratori catanesi! È un 1110111ento decisivo; una linea di dcn1arcazione culturale e agiografica. I collaboratori sono noli e apprezzati. Questi specialisti avevano già interpretato tanti aspetti della loro professionalità. Per esempio, Gaetano Zito ha curato una trilogia, C'hie .">a e società in l)icilia, che, in
328
Presentazioni
tre volumi, cousidera L'età normanna. J secoli Xll-XVf, I secoli XV!fX!X, presso la Società Editrice Internazionale di Torino (1995): sono gli atti dei convegni internazionali organizzati dall'arcidiocesi di Catania tra il 1992 e il 1994. E tra i collaboratori si segnala specialmente Adolfo Longhitano, con pagine documentate su Oligarchie .fàmiliari
ed ecclesiastiche nella controversia parrocchiale di Catania (secc. XVXVJ!) e Dal modello illumina/o del vescovo Ventimiglia alla normalizzazione ecclesiastica del vescovo Deodata (rispettivamente li, 293322, e lll, 41-58).
*** Il contributo di G. Zito è agiologico. Si ambienta il martirio cli Agata nel quadro storico, politico e legale, in cui si trovò il cristianesimo e la stessa comunità ecclesiale nel secolo Ili. Si precisa l'identità di alcune fonti agiografiche cristiane, nonché la nozione cli martirio. Si ricorre con intelligenza alla 1nigliore analisi storiografica dell'antico cristianesimo in Sicilia (per esempio, Lellia Gracco Ruggini, Paolo Siniscalco, Giorgio Otranto), nonché ad altri contributi seri sulla Sicilia pre-araba. Agata, all'epoca dell'imperatore Decio (250 d. C.), subì il n1artirio, nello stesso periodo di s. Cipriano vescovo di Cartagine. Già nel 251 il suo velo blocca una colata lavica dell'Etna. Tipicamente siciliana (cittadina di Catania, arrestata e 111artirizzata a Catania), è venerata anche a Costantinopoli; riunisce attorno alla Sicilia l'Africa e l'Oriente mediterraneo. Agata, come Lucia, Euplo e altri santi siciliani, sono laici. Nel secolo VI si elabora la redazione di biografie agiografiche in ambienti clericali, e si dovrà sfun1are l'aspetto laico per evidenziare il cnratterc di testi1none eroico. Di per sé, un laico non poteva che professare la fede con l'eroicità delle virtù, senza predicare neppure il Vangelo. Gregorio Magno, nei suoi Dialoghi (redatti nel 593-594 ), segnala la meraviglia suscitata da qualche 1nonaco e abate che insegnavano, a titolo personale, il Vangelo, senza specifico mandato. La donna era dunque 111artire, non necessaria111ente vergine (è noto il caso delle n1artiri africane: tra queste c'è Felicita, sposata, che
Presentazioni
329
partorisce 111 carcere). Appartiene alla tipologia delle donne martiri, che preferiscono il sacrificio dell'esistenza e della realtà matrimoniale. Cecilia invece rinuncia a sposarsi con il fidanzato Valeriano, per riunirsi a Cristo: nell'alto stesso del supplizio martirialc conclusosi con la morte, vedrà lo sposo finora invisibile. Agata è situata in un itinerario che le attribuisce una funzione protettrice sulla città. Non si può indagare su una persona significativa senza misurarsi con la realtà storica. Alla curiosità che anima il lettore, si corrisponde efficacemente non solo riesaminando tanti problemi di carattere generale, nia anche quelli di una nutrita serie di interrogativi che eventualmente avrebbero affrancato Agata da una apparente siste1nazione nell'an1bito delle cosiddette "leggende" agiografiche. Infatti poche notizie storiche si presentano già a pri1na vista credibili e inequivocabili. E tuttavia molti hanno dubitato della storicità della santa, e ciò in ragione del tenore estrc1na1nente articolato della JJassio) che riferisce con abbondanza di particolari sull'orrore delle t01ture inflitte a questa giovane donna. Gli Atti dcl martirio - dei quali si trasmette il testo latino accanto ad una versione italiana (pp 59-65) - risalgono alla seconda nietà del secolo V. É un'epoca assai tardiva per tras1nettere notizie su una donna che visse nella pri1na n1età del secolo III, e subì il maitirio nella persecuzione di Decio, il 5 febbraio del 254. Tale data risulta certa, perché gli Atti niartiriali antichi concordano nell'attribuire il martirio al tempo di Decio. Già nel 1907, Albert Dufourcq (Elude sur !es Gesta n1ar/J;ru111 ron1ains, Il, Le 1nouve111ent légendaire romain, 194-226) aveva rivelato parallelismi tra Lucia ed Agata, tra Siracusa e Catania. La leggenda agiografica è attestata dal secolo V; il culto gode di notevole prestigio, come risulta dalla testimonianza di Gregorio Magno (+604), che le dedica una chiesa nel rione romano di Suburra; 1na già il Papa Sin11naco le aveva intitolato una chiesa sulla via Aurelia negli anni 498-514. Il testo agiografico è imparentato con quello relativo ai santi Vito, Alessandro, Marcellino, Cecilia, Pancrazio e Lucia. Sono tutti testi romani elaborati all'inizio del secolo VI; due versioni greche degli Atti di Agata la collegano con Catania e con Palermo: queste sono le due residenze dei rettori dei patrimoni siciliani
330
Presen fazioni
della Chiesa romana. Gli autori potrebbero essere monaci sciti esiliati dall'Africa in Sardegna e attivi a Roma all'inizio del secolo VI. Adolfo Longhitano ha ricostruito accuratamente il culto della santa. In fondo, si tratta di un'espressione di religiosità popolare che evidenzia l'impatto della martire sull'identità devozionale della città e della regione. Le feste popolari sono organizzate dal 4 al 6 febbraio, c il 17 agosto. La fiera di s. Agata, le messe solenni, i cortei processionali, il grido dei devoti, il fercolo e il reliquiario, le maschere, le immagini devozionali, le rappresentazioni artistiche 111onu111entali: tutto esprin1e la vivacità di un culto co1nunitario. La pietà popolare documenta la presenza cristiana in Sicilia; queste pagine di Salvatore Consoli sono redatte con sensibilità e prudenza, senza cadere nell'e1notività panegirica! L'analisi della di111ensione religiosa della pietà popolare in Sicilia dovrebbe essere approfondita, secondo l'auspicio dell'A. (p 142). E tanto dovrebbe dirsi a proposito della musica e dcl canto. Qualcosa in più poteva arricchire questa sezione, specialn1ente per la 111essa Gauclea1nus e per le altre antifone in canto gregoriano. Ma la docun1entazione relativa alla musica dei secoli XVJ e seguenti è abbondante. Le indicazioni raggruppate definiscono i caratteri sacri o profani di rappresentazioni teatrali e musicali, in occasione della festa della santa. E qualche studioso rintraccia ancora testi inediti, co111c è avvenuto a Cren1ona, dove Giovanna Mari ha trovato una sequenza inedita di un graduale del 1452 circa. l/intero volu111e illustra in n1odo straordinario la ricca iconografia della martire: le fotografie sono di qualità eccezionale. L'immagine sacra è specchio di una paiiecipazione sociale alla devozione e al culto, con tanti rilievi precisi e giusti. Si supera abbondante1nente la sintesi di Renato Aprile, inserita alla voce "Agata" della nota Bib/iotheca Sanctorum (!, 196 l ).
*** 1n conclusione, questo volu1ne espri1ne un aspetto di "storia vissuta dcl popolo cristiano" (per riprendere l'espressione dello storico
331
Presentazioni
Jean Delumeau), a Catania, in Sicilia e altrove. Sembra una utopia che, dopo tanti studi su s. Agata, ci sia ancora qualcuno che abbia l'idea di fornire una ulteriore interpretazione di una delle più fan1ose e a1nate
sante della Sicilia. La pecuiiai·ità della prospettiva analitica assunta è legittimata dalla convinzione che Agata meriti una valutazione documentata del suo ambiente devozionale e liturgico, popolare ed erudito. Particolarmente stimolanti si presentano dunque tutti i contributi che dimostrano lo stato attuale delle ricerche agatine. Merita di essere sottolineato lo sforzo con cui si è inteso chiarire la situazione, presentandola nell'ambito della realtà catanese. È un invito a leggere: l'occhio è rallegrato dalla finezza tipografica ed editoriale, e la mente riceve un cibo di ottin1a qualità, che si trasforn1a poi in devozione cd in preghie-
ra. Per questi doni, il curatore e tutti i collaboratori, a tutti i livelli, n1eritano un cordiale ringrazia1nento, nella speranza che la Chiesa locale e la Città abbiano il coraggio di sfruttare al 111assin10 questa anto-
logia agiografica. Regi11ald Gregoire
AA. VV., La cultura del Clero sicilia110 in Syuaxis XV/2 ( 1997). Con questo n. XV/2, 1997 Synaxis, la rivista dello Studio Teologico S. Paolo e dell'Istituto per la Ricerca e la Documentazione S. Paolo di Catania, presenta i risultati di un seminario su "La cultura del clero siciliano". li seminario è frutto della collaborazione tra docenti dei San Paolo, della facoltà Teologica di Palermo e storici locali. Questa ricerca rientra in un progetto più ani.pio di contestualiz-
zazione della riflessione teologica; infatti fa seguito a quelle sul fenomeno della "La tì.iitina", in Synaxis Xlll/l (1995) e "Chiesa e mafia in Sicilia", in Synaxis XIV/I (1996), e sarà seguita da una su "Religione popolare e fede cristiana in Sicilia: teologia e storia", i cui risultati saranno pubblicati su Synaxis XVJ/2 (1998). Nell'intenzione del curatore di questo seminario sulla cultura del clero siciliano, esso tenta di rispondere all'esigenza «di cogliere le ti-
332
Presentazioni
------------·----------
pologie culturali del clero siciliano, delimitate nell'arco cronologico tra l'Unità e il pontificato di Pio Xll, al fine di pervenire ad una comprensione più ampia del rapporto chiesa-società nell'isola, e offrire piste di riflessione nella prospettiva di una valutazione critica del presente)) (p 387). Pur con i limiti delle opere collettive, cioè alcune inevitabili ripetizioni e un pluralismo di prospettive storiografiche, lo
scopo è ainpian1ente raggiunto. Si delinea un quadro ilhnninante per co1nprenderc
l'atteggiamento del clero dell'Isola nei confronti della realtà socio-politica e il suo agire verso le popolazioni affidate alle loro cure pastorali. Si comprende pure il tipo di incidenza che su di esse ha indubbiamente esercitato. Questi comportamenti furono sostanzialmente determinati dalla visione di Chiesa prevalente in quel tempo, sebbene lo storico riesca a n1ettcre in evidenza anche quelle 1nediazioni a livello locale, sia nella sua trasn1issione che nel suo accon1odan1ento. Il punto nodale che cn1erge dalla ricerca è senz'altro l'unità
d'Italia col passaggio dal regin1e borbonico, che aveva
ereditato
l'istituto, unico nel suo genere, della Legazia Apostolica, al regine liberale dello stato unitario. L'istituto della Legazia Apostolica, nel bene e nel 111ale, aveva detenninato senti111enti di un fo1te senso di autonon1ìa nel clero isolano, co111e conseguenza dell'ecclesiologia tcndenzial111cnte gallicana e rcgalista che caratterizzava la Legazia Apostolica. Con l'Unità si impone una visione conflittuale dei rapporti stato-chiesa ed una ecclesiologia centralista. La fonnazione del clero è orn1ai 111odellata da questa ecclesiologia e il prete è se111pre pili visto co111e un prete fedele alla Chiesa in quanto è fedele al papa. li rappo1to con la società si esprin1eva attraverso il rinnovan1ento devozionale e caritativo. Si sviluppa sen1pre più un atteggian1ento di "difesa" e la stessa azione caritativa è vista prevalente111cnie con1e stru1nento per affern1are il ruolo dominante della Chiesa estromessa dalla via sociale dal liberalismo e dall'anticlericalismo. Queste linee di tendenza vengono descritte sia con un'an1pia analisi dei modelli ecclesiologici (con i saggi di M.F. Stabile e G. Zito) e delle condizioni materiali del clero isolano (il saggio di A. Longhitano), sia con la presentazione di alcune figure emblematiche che queste
Presentaz;oni
333
tendenze e questi modelli hanno incarnato (nei saggi di S. Vacca per quanto riguarda il clero religioso, i cappuccini in specie, di C. Naro, G. Di Fazio, F. Ferreto, G. Cristaldi, per il clero regolare), come pure di alcuni luoghi di formazione (nei saggi di M. Pennisi e G. Mammina). Gli studiosi che hanno collaborato alla ricerca hanno alle loro spalle una consolidata esperienza di ricerca su queste te111atiche, co111e si può notare pure dall'ampia bibliografia riportata. Essi perciò hanno potuto offrire delle vere sintesi di analisi molto estese. La ricerca si inserisce a pieno titolo tra gli studi storici che recente111ente hanno affrontato la storia del clero italiano nel suo insien1e e non solo tra gli studi localistici che, seppur interessanti, restano spesso confinati negli interessi dei cultori di storia locale. Il metodo di ricerca utilizzato e i te1ni evocati costituiranno sicura1nentc niotivo di interesse per una vasta cerchia di lettori. Un 'ultin1a osservazione riguarda l'attualità di una ricerca di tal genere. Ogni "progetto culturale" non può ignorare la storia e le tradizioni dci soggetti destinatari e dei protagonisti del progetto stesso. La conoscenza della cultura del clero e dell'azione culturale che esso, nel bene e nel male, ha svolto è un elemento imprescindibile per un progetto culturale che voglia coinvolgere non solo le élite colte ma l'intero popolo di Dio, che non voglia essere un semplice piano di riconquista, 1na un servizio di rinnova1nento e di fcnnento della società intera.
Maurizio A/iolla
Synaxis XVl/1 (1998) 335-339
NOTIZIARIO DELLO STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO
1. Licenziali in Teologia morale
Hanno conseguito il grado accademico della Licenza in Teologia morale, il 9 gennaio 1998: O. GULJNO, "Diventare Sposa del Verbo". Dinamismo morale della lettura origeniana del Cantico dei Cantici (relatore prof. V. Lom bino) il 29 maggio 1998: S. INCOGNITO, La concretezza dell'amore nella vita di Padre Giacon10
c~usn1a110
(relatore prof. S. Consoli) il 26 giugno 1998: P. WAFULA, A look at matrimonial jĂŹdelity among !he Babuku-
su afi'ican tribe-Kenya in the /ight of Genesis 2,24 (relatore prof. R. Taddei) 2. Baccellieri in Teologia
Hanno conseguito il grado accademico del Baccalaureato 111 Teologia, il 9 gennaio 1998: M. FIDONE, L'utilizzazione del Sai 39 (40), 7-9 in Eh 10,5-10 (relatore prof. A. Gangemi)
Noliziario dello S!udio S. Paolo
336
C. RASPA, Valore linguistico della formula "cm]JO di Cristo" alla luce della fenomenologia della percezione di lvfaurice lvferleauPonty (relatore prof. M. Aliotta) il 26 giugno 1998: A. M. TROVATO, Sequela e povertà nei Sinottici (relatore prof. L. Calambrogio)
3. Master in Pastorale familiare J.Ianno conseguito il Master in Pastorale fa1niliare, il 25 giugno 1998:
M. l. BARC!A, La famiglia soggetto di pastorale nella Chiesa e
nella società (relatore prof. S. Bellom ia) C. MORELLI, La fàmiglia soggetto di pastorale nella Chiesa e
nella società (relatore prof. S. Bellom ia)
4. 1Yornine 1. Il 5 febbraio 1998 Giovanni Paolo Il ha nominato Salvatore ]JOJ7palardo, vicario generale dell'arcidiocesi di Catania, vescovo cli Nicosia. Con tale non1ina egli entra a far parte dei vescovi responsabili dello Studio S. Paolo. 2. Con il nulla osta dell'Ordinario, il benestare del Moderatore e il parere favorevole del Collegio dei docenti, in data 22 febbraio 1998 il Preside ha no111inato Docente incaricato Nunzio C~apizzi, presbitero dell'arcidiocesi di Catania: pertanto egli è entrato a far parte del Collegio dei docenti. 3. A seguito della sua nomina a rettore dell'Almo Collegio Capranica, Michele Pennisi ha dato le dimissioni dal Consiglio dello Studio e dal Collegio dei docenti. Nel Consiglio dello Studio, in sostitu-
Notiziario dello Studio S. Paolo zione, è stato eletto
111
337
data 20 febbraio 1998 il prof. Salvatore Mari-
no. 5. Lectio con1111unfa· Alla luce dell'esperienza di questi anni, nelle sedi statutarie s1 e ritenuto di dover appo1tare dei correttivi alla prassi adottata per la Lectio con11nunis dei singoli corsi. Pe1tanto, acf ex1Jerilnentun1, per quest'anno si è deciso che nella riunione di corso all'inizio del sen1estre ogni professore inviti un collega ad apportare un contributo su un teina di specifica pertinenza, offrendo così agli alunni la possibilità di cogliere la diversità di metodo e la interdisciplinarietà. Di seguito vengono indicati gli incontri interdisciplinari tenutisi: l Propedeutico A Gangerni - S. Marino: Il Vangelo dal giudaismo al mondo pagano; A. Gangcn1i - A. Longhitano: Legge e caris111i. Il Propedeutico A. Gange1ni - S. Latora: L 'i11te17Jretazio11e ciel/a ~'icrittura secondo Spinoza; G. Schillaci - F. Ventorino: Sul legame etica-metafisica; G. Ruggieri - F. Ventorino: J<ede, ragione, segni; S. Latora - G. Ruggieri: Filosofia e teologia in Vincenzo La Via; S. Latora - G. Schillaci: Il
]Jrilnato del! 'etica secondo Lévinas. Triennio teologico M. Aliotta - G. Federico: La spiritualità nella liturgia; S. Dell'Agii - A. Minissale: Lezione comune sul recente libro di NAOMI H. ROSENIJLATT, Wrestling with Angels. What Genesis teaches us about our Spiritual Jdentity, Sexua/ity ami Persona/ Relatio11ships, Delta, New York 1996; N. Capizzi - G. Zito: Aspetti ecclesiologici e storici delle Costituzioni del Vaticano i: Dei Filius e Pastor aeternus.
338
Notiziario dello Studio S. Paolo
6. Dis]JUtatio e se111inario interdisci;J!inare L'annuale disputatio, in funzione della crescita dello Studio 1'eologico come co1nunità scientifica, e il sen1inario interdisciplinare, occasione di ricerca e confronto tra i professori del S. Paolo e altri appositamente invitati, hanno approfondito il tema delle espressioni popolari della religione cristiana; coordinatore ne è stato il prof. Mamiz10 Aliotta. La disputa/io ha avuto il momento conclusivo del suo iter il 5 marzo 1998 con la relazione finale della prof.ssa Carmelina Chiara Canta dell'Università "La Sapienza" di 1Zo111a su "La religione e la reli-
giosità popolare". Il seminario di ricerca ha puntualizzato gli aspetti di Religione popolare e fede cristiana in Sicilia: teologia e storia. La pubblicazione dei contributi è programmata per Synaxi.1· XVJ/2 che uscirà a dicembre 1998. 7. TI convegno con !'Università
li convegno che il S. Paolo tiene con l'Università degli Studi di Catania, orn1ai biennale, è in fase di avanzata preparazione. Gli studiosi di a1nbedue le istituzioni accaden1iche, continuando nella ricerca degli elen1enti caratteristici della cultura siciliana, terranno le loro relazioni su Il Cristo siciliano. Il convegno si celebrerà nei giorni 22 e 23 aprile 1999. 8. Collaborazione scientifica Il S. Paolo ha collaborato per la realizzazione del convegno di studi su Vincenzo La Via nella filosofia italiana del Novecento tenutosi a Catania nei giorni 16-17 febbraio 1998. Tra gli altri enti promotori vi erano: Università degli Studi di Catania: Facoltà di Lettere e Filosofia e Facoltà di Scienze della Formazione; Centro Nazionale delle Ricerche; Provincia Regionale di Catania; Istituto Superiore di Scienze Religiose "S. Luca" di Catania.
Notizioriu dello Studio S. Paolo
339
9. Premio "kfons. Prof Santi Pesce"
Istituito a cura di un gruppo di ex-fucini di Catania per 111antenere viva la n1cn1oria di 111ons. Santi Pesce, il pren1io quest'anno è stato assegnato a Cannelo Raspa della diocesi di Acireale, per la 1nigliore tesi cli Baccalaureato in Teologia.
I O. Premio "Andrea Paolo Sgroi" I Padri Filippini dell'Oratorio, per tenere vivo il ricordo cli Andrea Paolo Sgroi - alunno ciel quinto anno di teologia dello Studio S. Paolo, tornato a Dio il 20 aprile 1998 - nonché ciel suo grande desiderio cli coinp!etarc g!i studi e di raggiungere il presbiterato, istituiscono il Pren1io "Andrea Paolo Sgroi" a partire dal! 1anno accaden1ico 1997-98,
frutto della omonima borsa di studio fondata presso lo Studio S. Paolo in data 26 maggio 1998, festa di S. Filippo Neri. li pre111io sarà annualn1cnte assegnato ad una 'fesi di Baccalaureato in rrcologìa ritenuta 111eritevole dalla co1111nissione esan1inatrice. 11. "Rustica/io"
li 12 maggio 1998, fedele ad una delle sue più radicate e v1vac1 tradizioni, la "fa111iglia" dello Studio 'fcologico S. Paolo ha vissuto l'annuale rust;catio recandosi in visita a Militello in Val di Catania e a Vizzini. Grazie all'ottin1a regia della presidenza clell'asse111blea degli studenti, sono stati bene ar111011izzati i n1on1enti culturali, la visita alla chiesa S. Benedetto e al museo S. Nicolò di Militello e ai luoghi verghiani a Vizzini; ecclesiali, con la celebrazione eucaristica nel Santuario Maria SS.n1a della Stella; cli fraternità, con il pranzo al centro cli agriturisn10 "Dain" e il 1110111ento di sana e ilare "ironia" sulla vita del S. Paolo.
Fi11ilo di su1111pn1路(' 11\'l lJH'Ci('. di (,'i11g110 1CJC)i{
dalla
'l'ipoli1og-raf"it1 (,'ni:tl('tl
Ari n~; t I<'