Nuova serie XVlll/2 - 2000
STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO & ISTITUTO PER LA DOCUMENTAZIONE ELA RICERCA S. PAOLO
CATANIA
Propriel霉 letteraria riscrvLllLl
1路1ampa Tip. Grafica Saturnia - Siracusa
Te!. 0931 .49 40 40 - Fax 0931.49 41 41
INDICE Seminario interdisciplinare "Vfofe11za ed ed1Acazio11e alla pace in Sicilicr"
281
INTRODUZIONE (Maurizio A!iotta) CONVIVENZA TRA CRISTIANI, EBREI E MUSULMANI IN SICILIA (VII-XI SECOLO) (Salvatore Murino) !. L'isola più grande del Mediterraneo
285
2. Latini e bizantini
287 292 299 302
3. Bizantini e arabi 4. Situazione degli ebrei 5. Conclusione . VIOLENZA E ASCOLTO NEL CAMMINO DEL CREDENTE: ANALISI PSICOLOGICA (Nello Dell'Agii) 1. Violenza ed ospitalità nella tradizione ebraico-chassidica
305 307
2. Violenza e coinpassione nella tradizione terapeutica delle Chiese d'oriente 3. Violenza ed alt1uis1no nella psicologia clinica conten1poranca
311
4. Visione d'insic1nc e proposte psicopedagogiche
314 326
5. L'arte dell'ascolto: tra lectio divina e lectio
329
h11111r1110.
TRACCE PER UNA SPIRITUALITÀ DELLA PACE IN SICILIA (Alberto Neglia O. Conn.) Pre1nessa
I. Pace e attesa 1nessianica 2. Gesù nostra pace 3. Pace e vita spirituale. 4. La proposta di un can1n1ino 5. Pace in Sicilia 6. La pace dal riconoscin1ento dci diritti unu1ni. 7. La 1nafia co1ne negazione della pace. 8. La pace frutto di conversione 9. Impegno educativo Hl. Per concludere: la "croce" via della pnce SABATO SANTO PER LA PACE IN SICILIA?
335 335 336 337 338 342 342 344 345 348 351
UNA IPOTESI DI LETTURA DELLE
ESPERIENZE DI CARITAS, VOLONTARIATO, OHIEZIONE DI COSCIENZA
(Maurilio Assenza)
I. Conati di esodo e lunghi deserti
353
2. I soggetti in questione: Caritas, volontariato, obiezione di coscienza . 3. Stagioni diverse
355 361
4. Quale lettura con1plessiva? Un sabato santo per la pace?
364
5. Un orizzonte coinplessivo: la lettura dei segni dei teinpi
370
GLI ULTIMI, UN POPOLO DI VIOLENTATI (Vincenza Sorce) Emarginazione come violenza Indifferenza con1e violenza Inefficienza come violenza Disinfonnazione co1ne violenza La consapevolezza dei diritti come prevenzione della violenza. Universo con1plesso e dram1natico Principali leggi in Sicilia: i diritti pro1nessi
373 373 374 374 374 375 377 380
Le ca1te dei diritti Per una pedagogia della non violenza Il paradosso della fan1iglia Processo terapeutico e liberazione dalla violenza
382
383
L'EDUCAZIONE ALLA PACE IN ALCUNI SCRITTI DEL VESCOVO
385 387 390
MAR10 STURZO (Pasquale Busce1110 1. I volti della pace 2. Costruire la pace in una societĂ violenta Conclusione
398
LA SICILIA E LA PAX MEDITERRANEA DAI "COLLOQUI" DI LA PIRA AL "MEETING" DI CATANIA (Giuseppe Di Fazio - Enrico Piscione) Pretnessa
40I
1. La Pira e le radici della pace 1nedilerranea
403
2. Il Meeting del Mediterraneo e il nesso pace-religione
407
3. Religione, diritti e giustizia Conclusione
415
4II
CHIESA E MOV !MENTO PER LA PACE A COMI SO (Mario Pavone) 1. Gli avveni1nenti
417
2. Tra politica, diplornazia e profezia
440
3. Il conflitto delle interpretazioni
444
CHIAMATI AD ESSERE COSTRUTTORI DI PACE. ACCENTUAZIONI PEDAGOGICHE NELL'AZIONE PASTORALE DI DON PINO PUGLISI
(Corrado Lorejice).
457
1. "Pace lascio a voi" (Gv 14,27) Un tema ernergente nella riflessione e nell'opera di don Puglisi
458
2. "Vj ho chianutti an1ici" (Gv 15,15) Mediare la "civiltà della vita" a chi si affaccia all'esistenza
463
3. "Con1e ho fatto io così fate anche voi" (Gv 13,15)
Servitori dell'evangelo della pace: i tratti di una proposta educativa. «COSTRUITE CITTÀ DELLA PACE>>.
467
PASTORALE GIOVANILE ED EDUCAZIONE
(Vittorio Rocca) Premessa 1. La pastorale dei giovani delle Chiese di Sicilia
ALLA PACE NEI DOCUtvlENTI DELLA CESI
2. L'educazione alla pace nella pastorale giovanile in Sicilia
477 478 484
VIOLENZA ED EDUCAZIONE ALLA PACE NEI DISCORSI DI GIOVANNI PAOLO Il IN SICILIA (Salvatore Consoli)
Pre1nessa I. Ani e stato di degradante violenza 2. Principali cause che in1pediscono la pace 3. Le vie per la pace 4. Strun1enti e 111ezzi specifici per costruire la pace 5. La nlissione di ·'crocevia" e "incontro" tra popoli diversi
491 491 495 498 506 511
Conclusioni
514
RICORDANDO IL PROFESSORE ALFIO FISICHELLA (franco Lo11ghita110)
517
NOTIZIARIO DELLO STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO
523
NOTIZIARIO DEL CESIFER
525
Seminario interdisciplinare "Violenza ed educazione alla pace in Sicilia"
Synaxis XVlll/2 (2000) 281-283
INTRODUZIONE Il tema di questo seminario interdisciplinare è quanto mai attuale. La stagione della coscientizzazione sm temi della non violenza e dell'educazione alla pace sembra tramontata assieme a quella delle ideologie. Questo legame è sintomatico di una concezione della pace e della non violenza legata ad un orientamento antropologico o ad una presa di posizione politica. Anche la teologia sembra distratta e interessata ad altro: vi è un ripiegamento su se stessa più che un desiderio di approfondimento. Proprio questa situazione di stallo, tuttavia, richiede un ripensamento a tutto campo sulle strutture di violenza e sull'educazione alla non violenza. I contributi qui presentati si muovono su uno spettro molto ampio: da quello psicologico individuale a quello strutturale e politico; da quello della testimonianza personale a quello della responsabilità comunitaria. Se l'interesse maggiore è puntato sulla realtà ecclesiale, ciò non significa che si sia dimenticata la realtà civile. Vi è d'altronde un intreccio tra i due piani che non si può ignorare. Ci troviamo di fronte ad un'influenza reciproca, che ha determinato modi di pensare c costumi ormai ben radicati sia nella Chiesa sia nella società. La contestualizzazione nell'ambito siciliano, com'è tipico della nostra rivista, limita indubbiamente la prospettiva, ma nello stesso tempo offre la possibilità di vedere nel concreto come agiscono alcuni meccanismi che determinano i processi più ampi. I contributi mettono in luce che la ricerca delle cause della violenza, individuale e istituzionale, non va fatta all'esterno, o perlomeno esclusivamente all'esterno, dell'istituzione ecclesiastica, ma al suo stesso interno. Dinanzi alla tendenza di ricercare sempre nella società le cause del malessere della comunità cristiana, va ribadito che, in modo specialissimo per quanto attiene il nostro terna, bisogna rovesciare la logica: poiché la comunità cristiana non ha pienamente vissuto la vocazione le cose vanno male. Nella misura in cui la Chiesa non è stata testimonianza viva di non violenza e non si è posta come educatrice di non violenza, anche la società ha perpetuato nel suo seno i meccanismi che generano violenza e le strutture di violenza.
282
Maiu·izio A/iotta
Emerge pure una pronta reazione, con una forte denuncia, dinanzi ai singoli atti di violenza, senza però che si percorrano vie di conversione che consentano di non perpetuare quegli stati che generano i singoli atti di violenza, mantenendo logiche e strutture di privilegio clericale e di clientelismo e all'interno della Chiesa e nei rapporti con la società. In Sicilia la violenza assume forme storicamente ben detenninate: istituzioni non a servizio della persona, ma delle clientele, una politica asservita agli interessi di parte, la violenza organizzata nella società mafiosa come strumento d'esercizio del potere finalizzato al!'aJTicchimento. Gli stili di vita che ne derivano sono chiaramente segnati da una forte carica di violenza sociale, che si traduce nell'affermazione della legge del più forte. Il volto violento delle nostre città non è certamente diverso da quello di altre città del resto del paese e del mondo, ma si caratterizza per l'assenza quasi totale di ogni pur minimo tentativo di cmTettivo. La mancanza della voce profetica della comunità cristiana è un'aggravante di questa situazione. l contributi raccolti evidenziano che non mancano gli interventi, le singole testimonianze. Ciò che veramente difetta è l'educazione alla non violenza e il suo esercizio a livello di educazione di base, di catechesi ordinaria, di educazione familiare, così da indmTe ad uno stile di vita improntato alla logica delle beatitudini. C'è attenzione a coloro che sono vittime privilegiate della violenza, cioè i bambini e i poveri (di denaro e di cultura), ma è vissuta come esercizio straordinario di gruppi di persone che si distinguono dagli altri per particolare dedizione. Manca, ancora una volta, la coscienza che la pratica della non violenza e la sua educazione dovrebbe essere esercizio quotidiano di persone comuni. Il seminario ha messo in luce che in Sicilia si è avuta negli ultimi decenni un'abbondante semina di voci e di testimonianza, quali La Pira, don Puglisi, Giovanni Paolo II, tuttavia non sembra che il terreno su cui è caduta sia stato sempre quello buono. Sarebbe compito specifico delle Chiese locali accogliere questi semi e coltivarli attraverso un'opportuna attenzione pedagogica. Un primo gruppo di contributi riguarda la prassi delle Chiese siciliane e le sue istituzioni. S. Marino offre un contributo storiografico sulla letteratura che studia la presenza in Sicilia di cristiani, ebrei e musulmani. Sebbene questi studi non presentino casi concreti del tipo di convivenza tra i tre gruppi etnico religiosi, risulta che tale convivenza fo possibile. La Sicilia non fu certo un 'isola felix, n1a rappresentò certo un'occasione di convivenza multiculturale. Con N. De/l'Agii l'attenzione si sposta decisamente dall'ieri all'oggi e dai gruppi all'individuo. L'articolo, infatti, esamina le condizioni in cui si fonnano strutture profonde del carattere, che danno luogo a personalità autoritarie e violente nell'ambito delle istituzioni ecclesiastiche.
Introduzione
283
A. Neg/ia considera, invece, il vissuto delle comunità cristiane e mette in luce anche alcuni aspetti problematici che contraddicono la natura del Vaugelo della pace che la Chiesa dovrebbe vivere e annunciare. M. Assenza, esaminando l'esperienza delle Caritas diocesane di Sicilia, offre un esempio di come la comunità cristiana ha tentato di attualizzare il Vangelo della pace. Mette in evidenza luci e ombre e, in ogni caso, il cammino che le Chiese siciliane hanno compiuto negli ultimi decenni. Lo sguardo si apre alla realtà socio politica con il contributo di V Sorce, che mostra come le stesse istituzioni siano fonte di violenza nei confronti dei cittadini quando, come sovente accade, disattendono le leggi o le applicano in maniera clientelare e faziosa. Un secondo gruppo di contributi mette a fooco alcune figure ed eventi significativi radicati nella realtà siciliana. P. Buscemi esamina il pensiero di Mario Sturzo, che fu vescovo di Piazza Armerina, sul tema della pace e la sua preoccupazione pedagogica, attraverso alcune sue lettere pastorali. G. Di Fazio ed E. Piscione accostano la figura e l'opera di G. La Pira, sindaco siciliano di Firenze, che fece della costruzione della pace tra i popoli uno degli obiettivi privilegiati della sua azione politica, all'iniziativa del "Meeting del Meditenaneo", incontri svoltisi a Catania dal 1981 al 1991, con lo scopo di avvicinare culture e popoli diversi del Mediterraneo. M. Pavone riesamina la vicenda dell'installazione dei missili a Comiso alla luce dell'incontro e delle tensioni tra Chiesa locale e movimenti della pace. C. Lorefice presenta un incisivo ritratto del parroco palermitano P. Puglisi, testimone dell'educazione alla pace e alla non violenza in un noto quartiere mafioso della sua città. V Rocca esamina le linee pedagogiche di educazione alla pace nei documenti della CESI. Infine, S. Consoli esamina il magistero sulla pace di Giovanni Paolo II, contenuto nei suoi discorsi tenuti nei diversi viaggi nelle diocesi siciliane: ne viene fuori un insegnamento organico, non di circostanza, ma aderente alla realtà e, per molti aspetti, profetico. Maurizio A /iolla
Synaxis XVIII/2 (2000) 285-303
CONVIVENZA TRA CRISTIANI, EBREI E MUSULMANI IN SICILIA (VII-Xl SECOLO) SALVATORE MARINO*
1. L 'isola più grande del Mediterraneo «L'importanza della Sicilia [... ] dipendeva soprattutto dalla sua posizione strategica al centro dcl Mediterraneo [così] in special modo, la storia della Sicilia è stata sempre stretta1nente collegata alle vicende del potere navale nel mediterraneo» 1,
infatti in tutte le epoche per i vari popoli emergenti nell'Europa meridionale «l'Isola costituiva il naturale trait d'union tra l'Africa e l'Italia [... ] il suo possesso, inoltre, veniva considerato indispensabile per la difesa ed il controllo dell'Africa e delle rotte n1editerranee>> 2
così si può affermare che la Sicilia è una di quelle teITe la cui posizione geografica condiziona e a volte determina la propria vocazione storica. Da una pa1ie essendo un'isola, ma la più grande del Medite1rnneo, avrebbe contribuito a creare nei propri abitanti quella "tremenda insularità d'animo" di cui parla Tornasi di Lampedusa nel Gattopardo; d'altra parte proprio la sua posizione geografica ha fatto si che «la Sicilia, salvo qualche breve periodo, con1e il normanno, non è 111ai stata uno stato indipendente»,
ma è stata «parte di formazioni statali continentali più grandi, di volta in volta la greca, la romana, la bizantina, l'araba, la spagnola, la borbonica»,
*
Docente incaricato dì Storia della Chiesa nello Studio Teologico S. Paolo di
Catania. 1
P. CoRSl, Costante II a Siracusa, in Archivio Storico Siracusano (=AsS) supple1nento 3 (1981) 160. 2 F. GIUNTA, Caratteri della civiltà hizantina Sicilia, ibid.. 102.
Salvatore Marino
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tuttavia a causa della sua estensione «per la gestione del suo governo locale ha sempre ottenuto e goduto forme assai an1pie di autonomia»J.
Dietro l'affermazione di essere parte di formazioni statali continentali più grandi si intravede una serie interminabile di invasioni progressive di popoli differenti, con lente e reciproche assimilazioni, ma anche con resistenze più o meno decise, con contemporanea permanenza di più popoli e di più lingue nei vari territori e/o nei vari strati sociali. Si pnò discutere se tale situazione storica abbia forse prodotto nel substrato cul!urale siciliano l'idea che il governo centrale sia un'entità estranea al popolo e quindi una realtà da cui diffidare e difendersi. Ma d'altra parte, ed è quello che a noi qui interessa, è in questa stessa situazione che, secondo Isidoro La Lumia, «per uno specioso feno1neno, la tolleranza in materia di fede, 1noderna conquista di civiltà progredita, si scorge in pieno Medioevo ammessa e praticata in Sicilia. Nella 111onarchia eretta da' Norn1anni, all'XI secolo, Latini, Greci, Musuln1ani, Giudei, s'incontravano e convivevano ritenendo ceritnonie, credenze e consuetudini proprie»4 •
in
pace,
Questo giudizio storiografico, che ritiene il periodo normanno come «una aetas aurea, in cui Oriente ed Occidente, lungi dallo scontrarsi sembrano fondersi in ese1nplarc spirito di tolleranza, assestandosi comunque in un n1iheu culturale di interesse ineguagliato ed insuperabile per tutto il Medioevo [ ... ], potrebbe risultare, ahneno nelle linee generali, ancora valido».
Ciò è stato possibile perché «all'indo1nani della conquista [... ] i Normanni si trovarono a fronteggiare questa non facile situazione che la sola forza della spada non soltanto non era riuscita a risolvere, 1na neppure a 1nodificare. Si trovarono ad operare in un ambiente socio-culturale tanto co111posito da non rintracciare le strutture valide su cui appoggiare le fondazioni di una cultura unitaria, tanto più che le
3
F. RENDA, Storia della .A1afia, Palenno 1997, 37. " I. LA LUMJA, Gli ebrei siciliani, in Delle cose di Sicilia, a cura di L. Sciascia, l, Palenno 19862 , 41 O.
C'onvivenza tra cristiani, ebrei e 1nusul!nani in Sicilia
287
tradizioni culturali, sia dalla parte continentale, che di quella insulare del Regno eccedevano la misura del loro inodesto bagaglio» 5•
Quindi le circostanze storiche e la cultura dei popoli sottomessi hanno guidato le scelte dei normanni, ciò significa il riconoscere che le strutture delle relazioni tra i popoli soggetti erano già esistenti. Cercheremo in questo breve studio, senza pretese di originalità e di completezza, di far emergere qnali siano state le relazioni e i rapporti tra bizantini, latini, arabi ed ebrei, nella Sicilia dal VII ali 'XI secolo.
2. Latini e bizantini
È necessario anzitutto premettere che «tra il Vl1 e !'Xl secolo, la Sicilia attraversa n1olte e varie vicende: la provincia, che con Giustiniano aveva già avuto un particolare ordinamento, diventa teina bizantino, en1irato n1usuhnano, contea norn1anna. La co1nposizione etnica, il fonda1nento culturale e religioso del ceto dei notabili si 111odifica e ca1nbia radicahnente. I Bizantini prevalgono sui Latini e li assorbono, i Musulmani sopraffanno i Siculi-bizantini ed in gran parte li assi1nilano, religiosamente e culturabnente, finché i Norn1anni conquistano l'isola, assoggettano i Musuhnani che sono rimasti nel paese, iniziano la retroconversione dei discendenti dei rinnegati, la conversione dei discendenti degli i1nn1igrati, la latinizzazione del ceto dei notabili» 1'.
La Sicilia nella fase finale dell'Impero romano aveva conosciuto una progressiva decadenza culminata con l'invasione dei goti. La decisione di Giustiniano di ristabilire l'antico impero, sia nel diritto che nella politica e nel tenitorio, portò, tra l'altro, alla riconquista della Sicilia iniziata nel 535 e terminata soltanto nel 551, malgrado le apparenti facilità derivanti dalla «scarsità dei presidi goti e, fatto rilevante e ricon·ente nella storia della Sicilia, dalle a1nichevoli accoglienze della popolazione isolana» 7 •
Con la conquista bizantina la Sicilia si 5
La cultura siciliana dell'età nonnanna, in Archivio Storico della Sicilia 69 (1973) 1. 7-9. 6 G. FASOLJ, Le cit!à siciliane dall'istit11zio11e del teina bizantino alla conquf,<;f:: nonnanna, ìn ASS, I! ( 1956) 65. 7 F. GJUNTA, Caratteri della civiltà, cil., 102.
Orie111a/e
G. RESTA, (~Asso)
Salvatore Marino
288
«stacca politicamente dall'Occidente e penetra decisan1ente nell'orbita del inondo bizantino»\
ma già questa particolare situazione si viveva da tempo, specialmente nella Sicilia orientale. Belisario infatti, al suo arrivo trova che a Siracusa si «respirava la oikeosis, lo SJJirito di.fa111ig/;a verso i Greci»
perché «l'isola già agli inizi dcl V secolo, pur essendo provincia della pars Occidentalis gravita nell'orbita della pars Orientalis, sia sul piano politicomilitare, che econo1nico-111onetale» 9 •
Però malgrado le amichevoli attese della popolazione locale, non bisogna dimenticare che «con i Bizantini penetrò in Sicilia anche il loro spietato siste1na fiscale, che portò gli indigeni ad un ulteriore progressivo dcpaupera1nento [... ] Gregorio Magno [affenna che le tasse erano tali] ut ]Jossessores ad nefànclissin1a111 gente111 Longobardorun1 cogantur f?:f!Ì1gere» 111•
Questo fiscalismo, cui si aggiungeranno successivamente i problemi legati sia alla bizantinizzazione che all'iconoclastia, provoca una sempre più decisa resistenza da parte della Chiesa romana, che è la più ricca proprietaria terriera dell'isola" e che da sempre considera la Sicilia come facente parte della propria provincia ecclesiastica. È ricordare che «il corpo sacerdotale, sino al VII secolo fu di netta estrazione latina»,
infatti nell'isola nei secoli precedenti si era attuata
"Jbid., I 04. 9 S.L. AGNELLO, Chiese siracusane del VI secolo, in ASS, cit., 116. 111 F. GIUNTA, Caratteri della civiltà, cit., 105. 11 «Al tcn1po di Gregorio Magno, si calcola che la sola Chiesa Ron1ana disponesse in Sicilia di circa 3.200.000 iugeri, cioè 800.000 ettari suddivisi fra 400 grandi affittuari e approssin1ativan1ente 250 fa1niglie coloniche per ogni affittuario [... ] accanto alla proprielà pertinenti alle varie sedi episcopali isolane, le Chiese di Ro1na, di Milano, di Ravenna, di Canosa ne! Vl secolo risultavano possedere in Sicilia territori vastissi1ni» (L. CHACCO RUGU!Nl, La Sicilia tra Ro111a e Bisanzio, in Storia della Siciha, III, Napoli 1980, J 3).
Convivenza tra cristiani, ebrei e n1usu!n1ani in Sicilia
289
«una vigorosa penetrazione pastorale ro1nana, la quale mostrò di attecchire ben più prontan1ente ed efficacen1ente di quanto non fossero riuscite a tàre le diran1azioni dell'am111inistrazionc ilnperiale nell'arco di circa quattro secoli [... ]L'opera di mediazione fra le direttive latinizzanti della Chiesa di Roma e le tradizioni greco-orientali radicate nel costume ecclesiastico e nella liturgia locale venne portata avanti con abilità e prudenza dall'episcopato di Sicilia» 12 •
All'inizio del VII secolo conosciamo l'atteggiamento del. papa Gregorio Magno in relazione all'Oriente, questi danna parte «insiste più volte sul fatto di non sapere il greco, probabihnente si trattava di una ignoranza voluta>> 13,
dall'altra fonda nell'isola sei monasteri, di cni tre nel palennitano «roccafo1ic della cultura latino-africana»H,
e su di questi in modo specifico «si era riservato la giurisdizione» 15,
ma soprattutto, pur rispettando nei suoi interventi pastorali una grande cmTettezza fmmale, promosse nelle diocesi siciliane la presenza e l'azione di una serie di vescovi a lui fedeli", il tutto per cercare di contrastare la penetrazione bizantina. Il legame che Roma aveva costruito nei secoli con la realtà isolana «non era soltanto apparente, perché mostrò la sua solidità proprio nel periodo della lotta per la i111n1agini» 17,
12
lbid., 8-9. V. VON FALKENHAUSEN, Chiesa greca e Chiesa latina in Sicilia prilna della conquista araha, in ASS, cit., 149. 14 L. CRACCO RUGGINI, La Sicilia ... , ciL, 19. IO V. VON FALKENHAUSEN, Chiesa greca ... , cit., 138. 16 Cfr ibid., 140-143; L. CRACC:O RUGGINI, La Sicilia ... , cit, 28-29. 17 F. (ìllJNTA, La prilna Chiesa Ro111a110-Bizanti11a, in Chiesa e società in Sìcilia. L'età nonna1111l1, Atti del I convegno inten1aziona!e organizzato dall'arcidiocesi di Catania, 25-27 novembre 1992, a cura di G. Zito, Torino ! 995, 8. 13
Salvatore Marino
290
tuttavia proprio la lotta icouoclasta provocò una accelerazione del processo di bizantinizzazione portato avanti da Costantinopoli, così «divenne anzitutto con1pleta l'ellenizzazione della gerarchia episcopale[ ... ] si colloca pure a quest'epoca, con ogni verosin1iglianza il passaggio dal rito latino a quello greco. Nel contempo, si stringono vieppiù i contatti diretti tra il clero e le comunità 1nonastiche in Sicilia e quelle delle altre provincie bizantine» 18 •
Si può così facilmente comprendere come tra latini e bizantini v1 sia stata una certa tensione e come «il progresso del greco doveva creare una certa inquietudine negli an1bienti
ron1ani» 19 •
Questa progressiva penetrazione del bizantinismo però non s1 è ottenuta con la forza. Considerando infatti che i bizantini sono stati presenti per secoli anche m altre aree dell'Italia, s1 può affermare che l'amministrazione dei «bizantini non ha 1nai i111posto il greco ad una provincia prevalenten1ente di lingua latina [ ... ] a Siracusa si parlava, e forse si celebrava la niessa, in ainbedue lingue»:' 0 •
Si pone quindi il problema di come sia avvenuta la progressiva bizantinizzazione della Sicilia, questione foriemente dibattuta tra gli storici. Da nessuno si nega il fàtto, ma molto divergenti sono le spiegazioni, che però sostanzialmente si riducono al problema se vi sia stata nell'antichità una permanenza continuativa di grecità nell'isola, malgrado la luuga presenza romana. Ciò significa che in Sicilia sempre o quasi sarebbero state presenti ambedue le lingue. Ed anche durante il periodo della permanenza bizantina «bisogna tenere presente che se il latino sco1nparve come voce di un nic;rvin1cnto culturale, il tàtto è dovuto soltanto all'assenza di una classe colta, la quale era stata assitnilata dalla greca. Il popolo però ri1nanc tenace difensore della propria lingua e delle proprie tradizioni[ ... ] il bizantinis1no siciliano vive non per gli atteggiamenti esterni della popolazione di lingua 18
L. CRACCO RUGGINI, La Sicilia ... , cit., 46.
19
V. VON Ft\LKEN\lt\USEN,
111
/hid.. 149, 151.
Chiesa greca ... , cit.,
149.
Convivenza tra cristiani, ebrei e n1usuln1ani in Sicilia
291
latina, ma per la vitalità stessa della costituitasi società ~;L.uÌ.u-òiLanlina. Suio così possiamo spiegarci la sua intrinseca capacità di resistenza sotto gli Arabi e la sua rinascita sotto i Norn1anni» 21 •
Come avviene quindi durante i secoli esaminati il progressivo cambiamento? Escludendo che sia stato imposto, almeno pnma dell'iconoclastia, solo con pressioni politiche, si può affermare che «il clero e il 1nonachesi1no greco sono stati il naturale veicolo della cultura
bizantina [... ] quello della cultura è il solo aspetto dello spirito bizantino che penetra in Sicilia, perché nel campo dell'arte figurativa ed architettonica la tradizione ro1nana resiste» 22 •
Per i latini questo lento processo di bizantinizzazione «del clero secolare e regolare ebbe conseguenze dannose dal punto di vista cattolico: la diversa n1entalità religiosa greca e latina spinsero su un piano di fonnalità tutta esteriore i rapporti tra il clero greco e grecizzato e la massa dei fedeli latini, che di fronte alle seduzioni dell'Islam si trovarono poi assai meno difesi che non i fedeli di lingua greca, co1ne lascia intravedere la finale prevalenza dei cristiani greci in confronto ai cristiani latini al tempo della conquista norn1anna» 23 .
Ciò significa che il processo di bizantinizzazione fu efficace, «l'esan1e delle poche testiinonianze ri1nasteci porta alla conclusione che nel IX secolo a Siracusa fioriva una cultura, che si caratterizzava in modo non dissitnile da quella costantinopolitana» ~, 2
infatti «la città di Siracusa che nell'878 cadde nelle loro l1nusullnani] inani era una città greca[ ... ]. Ma anche la popolazione cristiana che i Nonnanni, duecento 21 F. GIUNTA, C'aratteri della civiltà ... , cit., 112-113. "Ibid., Ili. 21 G. FASOLI, Le città siciliane ... , cit., 70; «I cristiani nell'isola cran tuttavia n1escolati Greci ed Italici. A ciò par abbiano posto 1nente i Non11anni, nelle cui cronache le genti battezzate di Sicilia[ ... ] sono distinte in due classi che rispondono nel nostro 1nodo di dire ai riti latino e greco, chian1andosi da altri cattolici e cristiani e da altri dove greci o greci cristiani, e dove addirittura cristiani» (M. AMARI, Storia dei A1usuhnani di Sicilia, II, Catania 1935, 458-459). 24 R. ANASTASI, L'Epistola di Teodosio Jitfonaco, in ASS, cit., 181-182.
Salvatore Marino
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anni dopo trovarono in Sicilia era greca[ ... ] la grecità dell'isola, per essere sopravvissuta a più di duecento anni di occupazione araba, deve aver avuto radici ben profonde» 25 •
Questo radicamento con il tempo genera delle tensioni tra i bizantini isolani e il governo cenh·ale di Costantinopoli. Anche nell'ambito religioso, «il distacco dalla giurisdizione di Ro1na significò sul piano religioso - e non su quello soltanto -· anche il delinearsi di una graduale riorganizzazione ecclesiastica dell'isola, che rifletteva autonornia e distanza psicologica crescenti rispetto alla stessa Bisanzio»2 &.
La crescente autonomia e le incomprensioni produssero progressive tensioni sociali e politiche che prepararono le lotte intestine tra «i Bizantini divenuti ormai figli dell'isola» 27
e il governo di Costantinopoli, tensioni che poi sfociarono nella chiamata degli arabi in Sicilia da parte del tmmarca Eufemio, a prescindere che questi si fosse mosso per chiedere aiuti o per propmTe agli arabi l'occupazione dell'isola'".
3. Bizantini e arabi
Nelle relazioni tra i due popoli bisogna ricordare che pur essendo «Bisanzio ne111ica, restò per l'Islam una specie di 1nito e un non confessato t11odello» 19 •
Infatti «se è pur vero che furono soprattutto le vicende di guerra a tenere in contatto basilei e califfi nonché i rispettivi sudditi, non è men vero che a quegli scontri seguirono fecondi incontri tra le due lingue e le due culture, fra l'una e l'altra n1anifestazione del pensiero e dell 'a1ie, incontri cui fecero da pre111essa, o sia 25
V. VON FALKENHAUSEN, Chiesa greca ... , cit., 155. La Sicilia ... , cit., 46. n U. RJZZJTANO, Storia e cultura nella Sicilia Saracena, Palcrn10 1975, 110. 28 Cfr ibid.. 108-110. 29 F. GABRIELLI, Prh1cipio e fine di Siracusa araba, in ASS, cit., 208. 16
L. CRACCO RUGGINI,
Convivenza tra cristiani, ebrei e n1usubnani in Sicilia
293
pure da corollario, scatnbi di missioni diplomatiche fra quei due mondi e di traffici commerciali rin1asti ininterrotti, gli uni e gli altri, anche nell'i111perversare delle azioni annate» 30 •
Dalle sue origini l'Islam aveva avuto una espansione travolgente, fu fe1mato soltanto nel 718 a Costantinopoli e nel 732 a Poitiers; durante questo secolo di inintenotta espansione gli arabi avevano migliorato la loro flotta, operando già una serie di incursioni anche in Sicilia" per saccheggiare e depredare. A queste incursioni facevano poi seguito una serie di tregue e trattati. La conquista vera dell'isola cominciò, dopo circa 175 anni di scofferie, a causa dell'illusione del ricordato tunnarca Eufemio, quando Asad lbn al Furat sbarcò a Mazara nell'827, con un esercito composto da arabi, berberi e andalusi. La conquista dell'isola però, contrariamente alle campagne militari del secolo precedente, non fu immediata: ci vollero 75 anni, che salgono a 138 se consideriamo che Rometta ultimo baluardo bizantino cadde soltanto nel 965. Questa conquista così lenta, oltre alla naturale resistenza dei bizantini di Sicilia e dell'Impero, è motivata anche dai contrasti interni ai popoli componenti l'esercito degli invasori, «l'isola, o quella pa1ie di essa più direttamente sotton1cssa all'autorità inusuln1ana, fu afflitta fin dai pri1ni anni della conquista da due calatnità: da una parte la sempre più pronunciata tendenza all 'autogove1110, il che si risolveva spesso in accaniti contrasti tra le classi privilegiate dei Musuhnani [ ... ] e l'autorità costituita; dall'altra la continua lotta per la locale supren1azia tra Arabi e Berberi»n.
Il modo rallentato, ma costante con cui si realizzò la conquista p011ò ad un continuo stato di guerra tra invasori ed isolani, specialmente nel primo periodo, ma anche ad una serie di tregue, di commerci e di relazioni necessarie a causa della vicinanza reciproca, quindi ad un lento e progressivo acclimatarsi dell'Islam in Sicilia. Considerando l'importanza che Siracusa aveva nella Sicilia bizantina, il Gabrielli afferma che in realtà 1'878, data della caduta della città in mano araba, e il I 086, data della riconquista nonnanna, 30
31
U. RIZZITANO, La conquista araba, in Storia della Sicilia, cit., III, 102.
«La pri111a azione corsara degli Arabi su alcune città costiere della Sicilia 1neridionale è avvenuta - secondo alcuni annalisti - nel 652» (Io., Storia e cultura ... , cit., 107). 32 Io., La conquista araba, cit., 114.
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«seguano due date basilari dell'avventura arabo-sicula, quasi un'alfa e un' 01nega della Sicilia 1nusulmana [ ... ] simbolo del grande incontro-scontro medite1Taneo fra l'ellenismo bizantino, e poi il inondo latino che si sostituisce nella comune fede cristiana, e l'arabo Islam»33 •
In ogni caso è da ricordare che le modalità storiche della conquista araba e la presenza sul ten-itorio dell'isola di forze bizantine capaci di resistere e di reagire, le tregue e i tentativi di riconquista, le crisi interne degli arabi e le spedizioni punitive dei bizantini contro città che avevano patteggiato con il nemico, pagando dei tt·ibnti, generarono «un co1nplesso spostamento di popolazioni[ ... ] trasferimento o deportazione di prigionieri cristiani [ ... ] vuoti cohnati con i1n1nigrazioni dall 'Africa» 34 •
Queste immigrazioni da una parte facilitarono la fonnazione di una civiltà araba nell'isola, ma dall'altra portarono allo scontro tra arabi e berberi, scontt·o originato sia da cause religiose interne all'Islam, lotta tra sunniti e sciiti, sia da questioni legate alla gestione del potere politico ed economico. Scontri che nel tempo p01iarono alla disgregazione del potere politico musulmano nell'isola e allo sviluppo delle signorie dei Caid. Tale evoluzione favorì un primo tentativo bizantino di riconquista sotto la guida del generale Maniace (1038 - 1040), conquista poi condotta a te1mine dai nmmanni favoriti anche da un accordo con il Caid di Siracusa lbn al Tumnah. Con le loro divisioni interne gli arabi ripetevano la stessa precedente storia dei bizantini! Come abbiamo già avuto modo di notare, i nonnanni al loro arrivo trovarono cristiani sia latini che greci, ma «fra i Nonnanni e i greci la diffidenza era reciproca: i liberatori nonnann1 dovevano sembrare degli usurpatori ai greci di Sicilia, abituati da generazioni ad attendere e ricevere soccorsi n1ilitari ed incitamenti alla resistenza da Bisanzio, 1nantenuti nella devozione del Basileus e del Patriarca di Costantinopoli da generazioni di inonaci e di sacerdoti; ed i Nonnanni dovevano esserne pienamente consapevoli» 35 •
Questa presenza di cristiani attesta una permanenza del cristianesimo anche sotto l'occupazione araba, durante la quale 33
Principio ejìne ... , cit., 208. FASOLI, Le città siciliane ... , cit., 75 . .lS lhid., 80. -1
F.
4 G.
GABRIELLI,
C'onvivenza tra cristiani, ehrei e nntsuhnani in Sicilia
295
«le città restarono anche centri cristiani: il problen1a quantitativo delle conversioni all'lsla1n ha un'importanza relativa quando si consideri la continuità della funzione religiosa cristiana assolta dalle città siciliane occupate dai musuhnani» 36 •
La persistenza del cristianesimo può essere provata anche dalla «continuità dcl culto dei tnartiri locali, incardinata alla to1nba del Santo: S. Pancrazio a Taormina, S. Agata e S. Euplio a Catania, S. Lucia e S. Marciano a Siracusa. Altrettanto significativi gli elc1nenti evidentissi1na1nente pagani di certe feste religiose cittadine, elen1enti che si sarebbero perduti se nelle città vi fosse stata una co1npleta interruzione di vita religiosa cristiana [ ... ] anche se le fonti nan·ative tacciono, noi possia1no essere certi che i quadri della gerarchia cattolica non si scomposero e che qualche fra1nmento se ne salvò» 37 •
Ce1tamente durante l'invasione araba vi furono delle persecuzioni, cd in alcuni casi anche gravi, come può essere documentato dai fatti di Lipari, tanto che «l'isola deve essere ri1nasta pressoché spopolata per due secoli e tnezzo»'\
o dalla naiTazione della m01te di Niceta durante l'assedio di Siracusa, «era questi un tarentino, espertissimo nella tecnica militare e valoroso, il quale, nel periodo dell'assedio, ogni giorno 111alediceva Maon1etto, ritenuto il più grande dei profeti di quel popolo [ ... ] lo scorticarono vivo dal torace al pube [ ... ] dilaniarono con pertiche le viscere [ ... ] addentarono il cuore 111entre ancora pulsava» 39 •
Diverso però fu l'atleggiamento degli stessi arabi verso il vescovo della città, il quale invece diceva
36
Jbid., 76. lbid, 77, «anche in inerito ai vescovadi, non abbian10 n1otivo di ritenerli definitivan1ente sco1nparsi se sullo scorcio del secolo IX furono presenti al Concilio di Costantinopoli, per la deposizione di Fozio, i Vescovi di Cef-àlù cdi Catania, e se al suo arrivo a Palen110, nel 1072, il Guiscardo vi trovò un arcivescovo>> (U. RIZZITANO, !,a conquista araha, cit., 121 ). 17 -
lR L. BERNABÒ-BREA, Lipari, i Vulcani, l 'i17fèrno e S. Bartolo111eo. Le isole Eolie dal Tardo Antico ai Nonnanni, in ASS, cit., 42. y) R. ANASTASl, L'Epistola ... , cit., 178.
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«noi non bestem1nia1no i profeti, poiché siamo stati educati a 1nagnificarli, ignoriamo, però, questo profeta che voi adorate» 40 •
Possiamo quindi affermare che lo stato dei cristiani in Sicilia sotto la dominazione araba fu complesso. Fin verso la metà del secolo X abbiamo una situazione variegata: città progressivamente conquistate, altre tributarie del bellicoso vicino, altre di bizantini resistenti. Soltanto per un breve periodo la Sicilia è interamente sottomessa (tra il 965 caduta di Rometta e il I 038 tentativo di Mania ce, e poi il 1060 inizio conquista nmmanna). In ogni caso però secondo I' Amari «la schiatta vinta in Sicilia vivea meno aggravata sotto i Musuln1ani, che le popolazioni italiche di terrafenna sotto i Longobardi e i Franchi»~ • 1
Era uso arabo appena conquistata una città aprire una moschea e regolare la posizione dei cristiani e degli ebrei secondo le leggi del Corano, che possono così riassumersi «tutti gli uo1nini crederebbero, se Allah avesse voluto; poiché Allah ha deciso altrimenti ed ha lasciato i 111iscredenti nella loro pervicacia, la persuasione è vana quanto la violenza»~ , 2
così la persecuzione e la lotta diretta sono contro quanti sono nemici di Dio, questi sono coloro che tentano di distruggere l'Islam, ma anche quanti lo combattono accanitamente (ricordare il diverso trattamento tra Niceta e del vescovo di Siracusa). Quanti fanno parte del popolo del libro, cioè ebrei e cristiani che hanno la Scrittura, se direttamente non combattono l'Islam possono vivere sicuri e praticare le proprie leggi pagando un tributo, che è considerato un riconoscimento della superiorità dell 'Tslam. «Non coazione dunque, né propaganda violenta, salvo che per i nemici aperti, 111a nem1neno uguaglianza per i non credenti rispetto ai Musuln1ani; larga tolleranza religiosa, 1na prcdon1inio politico riservato ai soli credenti» 41 •
Questa mentalità origina una serie di disposizioni verso i cristiani: non possono costruire chiese o monasteri, ma possono restaurare quelli esistenti, .io '
11
42 .j]
L.c. M. AMARI, Storia dei A1usuhnani di Sicilia, I, Catania 1933, 627. S. NoJA, La situazione giuridica dei non n1usuln1ani 11el!'/sla111, in !bid, 204.
ASS,
cit., 203 .
C'onvivenza tra cristiani, ehrei e nJusubnani in Sicilia
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si può esercitare il culto ma non in pubblico, si può leggere il Vangelo ma non farlo sentire, tanto meno predicarlo ai musulmani, si può pregare ma non si può portare la croce in pubblico. Vi sono però anche altre angherie più o meno dure: non possono portare armi né montare a cavallo, non possono costruire case più ampie e più belle di quelle dei musulmani né fare cortei funebri vistosi, non possono bere vino in pubblico né entrare nei bagni insieme ai musulmani, cui devono cedere il passo in strada, devono alzarsi quando entra un musulmano e devono segnare le loro cose e i loro vestiti con un pezzo di stoffa. L ,osselV'anza di queste disposizioni variava, come sempre, secondo periodi e secondo l'esercizio del potere da parte degli arabi". Tuttavia è la constatazione che fa l' Amari. «aprendo i volu1ni delle agiografie siciliane reca 1neraviglia lo scarsissin10 numero dei 1nartiri dell'epoca musulmana»45 .
Ciò non si può imputare a una carenza di memoria locale, legata alla lunga dominazione araba. Secondo I' Amari è stata una scelta di politica ecclesiastica fatta dai monaci. Gli arabi uccidevano solo chi combatteva contt·o il Corano con le armi; questo certo non veniva fatto né dai monaci né dai vescovi, ma dai soldati, così «n1a1iiri [ ... ] non ne mancavano. Migliaia di combattenti, fatti prigionieri e proposta loro talvolta, a rigore del diritto di guerra, l'alternativa fra l'apostasia e la morte, eleggeano fì·anca1nente la n1orte; con1e fecero sempre e in ogni luogo i soldati dell'impero bizantino. Ma il clero non volea santi laici, molto 1neno soldati[ ... ] perciò sì poche le vitti1nc cui il n1artirio desse titolo di santità»" 0 •
È «difficile pronunciarsi, per mancanza di adeguata documentazione, sulla consistenza, la localizzazione e soprattutto l'attività delrelemento siculobizantino nella Sicilia durante l'occupazione saracena»"7.
Cfr M. AMARI, Storia dei lvfusul111ani .. , cit., I, 618-622. Ibid., 630. 46 L.c. 7 .i U. RIZZJTANO, Storia e cultura ... , cit., 120. i.i 45
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si può quindi affermare che «non esiste del tutto una storia dei non Musulmani di Sicilia o in Sicilia nel periodo in cui i Musuhnani ebbero il regno>rrn,
infatti «su una pole1nica islamico-cristiana [ ... ] non sia1no sufficientemente infonnati [ ... ] è piuttosto da ritenere che sulle contestazioni di carattere stretta1nente religioso prevalsero istanze di natura pratica, quali le esigenze degli interscambi [ ... ] la collaborazione sul piano dei rispettivi interessi [anche la religione] non rappresentò una barriera insormontabile agli effetti dei matrimoni 1nisti tra cristiani e musuhnani»~ 9 .
La tt·asformazione politico-tributaria del regime delle terre fatta dagli invasori, il pagamento del tributo da parte dei vinti, la carestia del 949, diverse immigrazioni dall'Africa ed emigrazioni dalla Sicilia fecero sì che all'mTivo dei norrnanni, malgrado ci fosse una presenza latino-greca che rese poi più facile la rilatinizzazione, «in Sicilia quasi due secoli di do1ninazione araba erano riusciti a costruire
unajàcies, se non etnica, certo culturale assai omogenea[ ... ] l'arabizzazione era penetrata assai a fondo: è sufficiente rilevare che negli stessi documenti normanni i toponimi sono quasi sempre di origine araba, e, fatto abbastanza significativo, soprattutto quelli attinenti al niondo rurale. D'altro canto per i cronisti della conquista i siciliani sono quasi tutti nen1ici di Dio e dei Normanni [ ... ] e non viene prospettata alcuna distinzione di carattere etnico tra isolani di origine araba e isolani di origine latino~bizantina»;
la cultura araba quindi «ha posto radici profonde nella stessa coscienza isolana ed ha inciso notevolmente nelle fonne di vita, nei costumi, sugli stessi aspetti urbanistici ed architettonici della regione [ ... ) tanto radicate da lasciare tracce
48
S. NOJA, La situazione ... , cit., 201. Anche lo stesso Amari ricorda: «è bene notare che quanto ho qui scritto degli di1nn1i, quanto dirò degli schiavi, si ritrae dagli esen1pi d'altri paesi; ma che si dee ritenere prescritto anche in Sicilia, per la 1nedesimità delle circostanze e l'unifon11ità delle costu1nanze 1nusulmane» (M. AMARI, Storia dei Musuln1ani ... , cit., I, 622). 49 U. RrZZITANO, Storia e cultura ... , cit., 122.
C'onvivenza tra cristiani, ebrei e nn1suh11ani in Sicilia
299
considerevoli nel lessico siciliano e persino motivi e stilemi negli stessi canti popolari» 50 •
Secondo l' Amari si può anche far risaltare un differente livello di arabizzazione tra le varie parti dell'isola: «Alla conquista nonnanna il Val Demone si trovò pieno di cristiani e sminuzzoli anche se ne contavano per le Valli di Noto e di Mazara, in Siracusa, Palermo, Vicari, Petralia ed altri luoghi. La vicenda della gue1Ta normanna nelle quali bastarono due anni ad occupare il Val Demone e ce ne vollero trenta a soggiogar le altre due valli provano similmente che nella prima regione fossero pochi presidii musulinani nelle principali città e fotiezze in mezzo a popolazioni cristiane timide ma nemiche; e nel rimanente dell'isola, al contrario, pochissimi cristiani soffocati tra le turbe dei circoncisi» 51 •
Possiamo concludere affermando che «la conquista musuln1ana, a riscatto delle ino11ificanti razzie e devastazioni operate dagli eserciti che la realizzarono, servì ad avvalorare ulteriormente la funzione storica della Sicilia quale punto di convergenza di razze, lingue e religioni diverse di cui l'isola 111editerranea assicurò in ogni epoca l'incontro sul suo suolo ospitale, così come nel corso della sua vicenda islamica agevolò quella convivenza tra cristiani e n1usulmani che, dopo un esordio inevitabihnente cruento, ebbe la sua felice conclusione in un dialogo tra le due pa1ii che Nonnanni e Svevi seppero mirabihnente orchestrare quando altrove si an·oventava se1npre più la contesa isla111ico-cristiana» 51 •
4. Situazione degli ebrei Malgrado «l'esiguità dei dati ce1ti attualn1ente disponibilil! 53 ,
50
U. RESTA, La cultura sù:iliana nel/ 'età nonnanna, in ASSO, cit., 15-16. M. AMARI, Storia dei A1usuhnani ... , cit., II, 456-457. 52 U. RtZZlTANO, La conquista araba, cit., 171. 53 C. GEBBIA, Con1unità ebraiche nella Sicilia ùnperiale e tardo antica, in ASSO 75 (1979) 2-3, 241. 51
Salvatore A1arino
300
non si pnò ragionevolmente dnbitare di una presenza di ebrei in Sicilia già all'inizio dell'era cristiana, ciò è attestato sia da varie vite di proto-vescovi, ma soprattutto da repe1ii archeologici e da una serie di dati legati al commercio e all'artigianato, attività sempre presenti nelle varie epoche e che hanno imposto rapporti con latini, bizantini e arabi. La tipologia sociale degli ebrei, pur essendo questi sempre una piccola minoranza della popolazione della Sicilia, è articolata ed è tale «da poter ipotizzare almeno una loro ben precisa e distinta fisionomia con1e ele111ento sociale: non è da credersi che essi si fossero a1nalgamati con le
popolazioni indigene [1nalgrado] il largo uso della lingua latina e greca riscontrato nelle epigrafi» ~. 5
Per l'inizio del nostro periodo storico la fonte più autorevole che possediamo è l'Epistolario di Gregorio Magno. «Dall'epistolario si evince la politica religiosa del pontefice e la sua viva sollecitudine per la diffusione del cristianesi1no anche tra le coinunilà giudaiche» 55 ,
tuttavia egli «procurava allettare, invitare alla tède, più che perseguitare, gli eresiarchi e i giudei, però nel suo ca1ieggio abbondano le lettere con cui, avverso il fervore irrequieto dei vescovi, estendeva u:ri patrocinio benevolo alla schiatta israelitica in Francia, Sardegna, Sicilia» 5&.
Così nei riguardi degli ebrei Gregorio Magno si rivela un papa illuminato, poiché affermava che «questi, al pari degli individui, non potevano venir cristianizzati con la forza» 57 •
Egli se da una parte ha di mira la conversione, dall'altra si mostra attento e preoccupato di difendere gli ebrei, ma anche i latini, nella loro specificità. Già prima del suo papato
Jbid., 264. Jbid.. 260. ' 6 I. LA LUMIA, Gli ebrei siciliani, cit., 411. S.J
55
57
D. ABULAFIA, Le co1nunità di Sicilia dagli Arabi all'espulsione, in Storia d'Italia, Annali 11, Torino 1985, 49.
Convivenza tra cristiani, ebrei e 1nusuhnani in Sicilia
301
«l'atteggiamento di Bisanzio nei confronti degli ebrei»
era basato «sulla scorta della legislazione giustinianea decisainente
5
restrittiva» ~.
Tale atteggiamento si inasprisce sotto Basilio I (873-874), che «si assunse la missione di portare tutti gli ebrei dell'i1npero ad accettare la religione cristiana. Tentate invano le arti dcl convincimento e le lusinghe delle re111unerazioni, egli passa all'azione drastica: decretò che in tutte le centinaia di co1nunità sparse nei suoi don1ini dovesse essere vietato il culto ebraico e gli ebrei dovessero essere conve1iiti. Tutta l 'Ttalia bizantina fu coinvolta in questa azione»'9 •
Si può quindi affe1mare che durante il periodo bizantino in Sicilia la relazione con gli ebrei rimase sostanziahnente dì tensione con l'autorità, 1na questa pressione non fo tanto radicale da impedire la presenza nell'isola di questo popolo, infatti già al! 'inizio della «conquista 1nusulmana del secolo IX si registra la presenza di solide co1nunità ebraiche nelle principali città siciliane. L'an·ivo dei 1nusuhnani allentò notevohnente la situazione» 60 •
Così «sulla storia degli ebrei siciliani hanno inciso i caratteri specifici di un'isola che faceva da ponte tra cristianità ed islam, essendo collocata al centro della vie con11nerciali che collegavano un'Europa occidentale in fase di espansione econon1ica coi porti principali del mondo islamico»61 •
La lunga durata dell'occupazione e l'atteggiamento tenuto dai musulmani in Sicilia furono un avvenimento molto significativo per gli ebrei isolani,
L.c. A. MILANO, Storia degli ebrei in Italia, Torino 1992, 53. 60 D. ABULAFIA, Le co1111111ità ... , cit., 49. 61 lbid., 48. 5s
59
302
Salvatore Marjno
«si può dire che nessuna dominazione straniera passata per l'Italia sia pervenuta ad esercitare su di loro un influsso così profondo come quella araba»62 •
Infatti pur essendo stati costretti a portare un segno distintivo sm vestiti e a pagare le tasse come tutti gli altri non credenti, «una n1aggiore similarità di lingua e di cultura con la classe dominante, una migliore conoscenza degli usi e dei costumi arabi, li portarono a fungere in molti casi di anello di congiunzione tra la casta 1nusulmana ad essi superiore e quella cristiana ad essi uguale» 6\
così «fì:'a due religioni (cristianesin10 ed isla1n) e fì:'a molteplici culture, armate l'una contro l'altra pur evitando collisioni, quella ebraica non solo poteva avere, come ebbe, 1naggiori opportunità di coesistenza, 1na in qualche 1nodo si presentò anche con funzione equilibratrice» ~. 6
5. Co11clusio11e Tutti gli storici concordano sul ruolo storico-geografico proprio dell'isola, «coIIegata sia alI'Afì·ica e al Levante, sia all'Europa, la Sicilia è se1nbrata a volte il centro stesso del mondo civile, tuttavia, e per gli stessi motivi, è stata sempre oggetto di cupidigia per ogni potente vicino nonché il punto d'incontro ove imperi estranei si affrontavano per risolvere le loro divergenze private»,
da queste lotte e confronti «uno dei risultati fu il crearsi di una esotica confusione di culture [ ... ]da un lato abbiamo una serie di popoli invasori, dall'altro c'è la stessa società sottostante, la popolazione soggetta. Chi erano i siciliani? E in qual n1odo essi reagirono ai loro successivi conquistatori?»,
r,,_ A. MILANO, Storia degli ebrei in Italia, cit., 55. (,_] lhid, 56. 0 ~ lbid., 52.
Convivenza tra cristiani, ebrei e 111usu/1nani in Sicilia
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è difficile nelle varie epoche poter storicamente determinare il loro comportamento, sembra che «in realtà i Siciliani sono stati sempre divisi tra loto, e non è da escludere che questo abbia an·ecato loro un danno grave quanto quello dell'oppressione straniera [ ... ] Che si accetti o meno l'esistenza di una nazione siciliana, è questione di terminologia. Ciò che è difficile negare è la presenza diffusa di quell'atteggiamento dello spirito che Lampedusa chia1nava una terrificante insularilà d'anilno, le cui origini vanno senza dubbio ricercate nella reazione di un popolo molte volte conquistato e 1nalgovernato da un governo dopo l'altro[ ... ] gran parte del meglio e gran patte del peggio della storia siciliana proviene da questa fiera insularità» 65 •
Questa tendenza alla divisione e all'accoglienza del diverso, credo, possa essere l'humus di fondo che ha dato origine in Sicilia ad una reciproca tolleranza e convivenza tra le diverse razze e religioni. Tale atteggiamento nelle reciproche relazioni tra cristiani, musulmani ed ebrei, a mio parere, è legato anche al fatto che, specialmente per il periodo che abbiamo preso in considerazione, le invasioni non sono state rapide e subito decisive (ciò vale anche per quella nonnanna, che di fatto poi è stata tollerante), ma sono state progressive ed aiutate da precedenti divisioni interne tra il popolo dominante. Infatti il successivo monolitismo delle conquiste latine ha posto una serie di problemi a popolazioni straniere e ciò ne ha provocato o l'assorbimento o l'espulsione. Quindi per il periodo da noi considerato più che di tolleranza di principio si può parlare di una tolleranza di fatto e di una convivenza più o meno pacifica collegata a situazioni politiche, a difficoltà ad impone le leggi per la carenza di un vero monopolio di potere da parte dell'autorità centrale, a divisioni interne tra i conquistatori, e forse anche alla capacità di accoglienza del diverso e all'ospitalità, che è ancora un valore molto sentito dalla popolazione siciliana.
65
D. MACK SMITH, Storia della Sicilia Mecheva/e e 1noderna, I, Bari 1973, 2-4.
Synaxis XVIII/2 (2000) 305-333
VIOLENZA E ASCOLTO NEL CAMMINO DEL CREDENTE: ANALISI PSICOLOGICA NELLO DELL'AGLI*
«Preghiamo perché ciascuno di noi, riconoscendo che anche uomini di Chiesa, in nome della fede e della morale, hanno talora fatto ricorso a metodi non evangelici nel pur doveroso impegno di difesa della verità, sappia imitare il Signore Gesù, mite e umile di cuore. Preghiamo perché il riconoscimento dei peccati, che hanno lacerato l'unità del corpo di Cristo e ferito la carità fraterna, appiani la strada verso la riconciliazione e la con1unione di tutti i cristiani. Preghiamo perché, nel ricordo delle sofferenze patite dal popolo di Israele nella storia, i cristiani sappiano riconoscere i peccati commessi da non pochi di loro contro il popolo dell'alleanza e delle benedizioni, e così purificare il loro cuore. Preghiamo perché nella contemplazione di Gesù, nostro Signore e nostra pace, i cristiani sappiano pentirsi delle parole e dei comportamenti, che a volle sono stati loro suggeriti dall'orgoglio, dall'odio, dalla volontà di dominio sugli altri, dall'inimicizia verso gli aderenti ad altre religioni e verso gruppi sociali più deboli, come quelli degli immigrati e degli zingari. Preghiamo per tutti quelli che sono stati offesi nella loro dignità umana e i cui diritti sono stati conculcati; preghiamo per le donne troppo spesso umiliate ed emarginate, e riconosciamo le forme di acquiescenza di cui anche i cristiani si sono resi colpevoli. Preghiamo per tutti gli esseri del mondo, specialmente per i minorenni vittime di abusi, per i poveri, gli emarginati, gli ultimi; preghiamo per i più indifesi, i non-nati soppressi nel seno materno, o persino utilizzati a fini sperimentali da quanti hanno abusato delle possibilità offerte dalla biotecnologia stravolgendo le finalità della scienza»'. È ancora vivo il ricordo della "giornata del perdono" celebrata dal Papa a Roma e della supplica da lui rivolta al Signore perché perdoni le
* Docente incaricato di Psicologia nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1
GIOVANNI PAOLO Il, "Giornata de/ perdono'', in Il Regno 856 (2000) 223-231.
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Nello De/I 'Agli
colpe commesse dai cristiani quando "hanno accondisceso a metodi di intolleranza", quando tra loro "si sono reciprocamente condannati e combattuti", quando "hanno fatto soffrire la discendenza di Abramo", quando "hanno sconfessato il Vangelo e, cedendo alla logica della forza, hanno violato i diritti di etnie e di popoli, disprezzando le loro culture e le loro tradizioni religiose", quando "si sono resi colpevoli di atteggiamenti di e1narginazione e di esclusione, acconsentendo a discriininazioni a n1otivo della razza e dell'etnia diversi", quando non hanno riconosciuto il Signore nei bisognosi e "hanno commesso ingiustizie confidando nella ricchezza, nel potere e disprezzando i piccoli". "Mai più contraddizioni alla carità nel servizio della verità, mai più gesti contro la comunione della Chiesa, mai più offese verso qualsiasi popolo, mai più ricorsi alla logica della violenza, mai più discriminazioni, esclusioni, oppressioni, disprezzo dei poveri e degli ultimi" ha esortato il Papa ed alcune domande, tra le altre, si impongono al teologo che sia anche psicologo impegnato nel campo della formazione cristiana e che voglia raccoglierne il grido e condividerne l'atteggiamento penitenziale, di continua conversione: cosa succede, dal punto di vista psicologico, in un uon10 di Chiesa, per cui possa, pur ispirandosi a Gesù Cristo, ed anzi in Suo nome, n1antenere e sviluppare una personalità autoritaria, violenta, irrispettosa dell'alterità? Cosa succede, dal punto di vista psicologico, per cui un uomo di chiesa, per così dire, non diventi un uon10 di Dio, un uon10 evangelico? Cosa succede, dal punto di vista psicologico, in un uomo di chiesa per cui egli usi la religione al servizio della propria carica di violenza e non come strun1ento di trasforn1azione e guarigione del cuore? Prima di procedere nel tentativo di formulare qualche possibile risposta a tali domande, mi sembra utile porre tre premesse. La prima ha a che fare con la significatività del punto di vista psicologico riguardo al tema che stian10 trattando: se è vero che esso non è certo l'unico rilevante nell'affrontare il tema in questione (basti pensare, ad es., alla necessità del contributo degli storici per inquadrare adeguatamente fenomeni complessi come quello della violenza ecclesiale), ciò nondimeno ha tutta la sua importanza, in quanto ba a che fare con quel cuore dell'uomo cui il Signore stesso ha invitato a guardare per vivere una religiosità autentica111entc evangelica (cfr ad es. Mc 7,6-13). La seconda premessa ha a che fare con la delimitazione dell'ambito del punto di vista psicologico: cosa significa propriamente punto di vista psicologico nell'affrontare il tema della violenza nella istituzione ecclesiale? In modo estremamente sintetico, mi sembra di poter dire che esso consista
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nel guardare ai processi intrapsichici, evolutivi e relazionali che la persona umana vive e nel vedere in che modo si connettono con la sua religiosità. In questo contesto, è forse utile chiarire che la psicologia nulla può dire sulla religione in quanto tale (ad es., nulla può dire uno psicologo in quanto psicologo sull'esistenza o non esistenza di Dio), ma può avere qualcosa da dire sulla religiosità degli individui, ossia sulla loro condotta religiosa e sui diversi livelli di maturazione della religiosità. La terza premessa ha a che fare con le fonti cui ho scelto di fare riferimento: in tal senso, la mia decisione è stata quella di muovermi non solo nell'ambito della psicoterapia contemporanea (con particolare riguardo alla psicoterapia della Gestalt, all"analisi transazionale e alla psicologia del Sè ), ma di utilizzare anc«»he i contributi di due tradizioni terapeutiche nate in orizzonte religioso: quella ebraico-chassidica e quella delle Chiese cristiane d'oriente, motivato in questo dal desiderio di somigliare almeno un po' allo scriba saggio che dal suo tesoro estrae cose antiche e cose nuove.
I. T7 iolenza ccl OS'}Jitalità nella lrac/izione tera1Jeutica ebraico-chassillica «All'inizio è la relazione»': così scriveva M. Buber, ed in effetti «la sacra Scrittura presenta la traina di un 'antropologia dialogica dì grande suggestione, in cui i termini dell'incontro - Dio e l'uomo - sono posti originariamente nel loro spessore personale in una posizione di differenza che supera l'indifferenza e che trova il terreno dell'incontro attraverso una graduale e reciproca educazione all"'altro"»'. Nel contesto di questa educazione all'altro, ospitare Dio ed il prossimo nella propria vita, accogliendo la loro diversità e confrontandosi con la loro alterità, superando l'alternativa possibile ad ognuno di noi di relazioni violente e distruttive, è l'obiettivo di tutto un cammino pedagogicoterapeutico che la tradizione ebraico-chassidica vede all'interno della teshuvah (il ritorno al Signore con cuore pieno) e che porta alla kedushà, ovvero la pienezza ed il risana111ento del cuore.
M. BUBER, Il principio dialogico e altri saggi, Cinisello Halsaino 1993, 72. Ricci SINDONI, Linguaggio de/l'eterno e ri.\posta del te111po. /)ialogo e profCzia ne//'ebrai.1·1110 conte111poraneo, in Lafì/osl!fÌa del dialogo. Da B11ber o Levinas, a cura cli M. è
_; P.
Martini, Assisi 1995, 83.
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A tale obiettivo si giunge attraverso tutto un percorso fallo di sei tappe•. La prima, il ritorno a se stessi, ha a che fare con la disponibilità a conoscersi. "Adamo, dove sei?": ogni volta che Dio pone una domanda del genere, non è per sapere qualcosa che Lui ignora, ma per provocare nell'uomo una possibilità di consapevolezza'. Non c'è risanamento del cuore senza disponibilità a guardarsi dentro, senza disponibilità alla conoscenza di sé: l'uomo che tende a nascondersi a Dio e a se stesso deve tornare a rivelarsi a Dio e a se stesso. La seconda tappa, l'individuazione del proprio cammino patiicolare, ha a che fare con l'assunzione responsabile dei propri desideri più profondi. Rabbì Sussja in punto di mmie esclamò: «Nel mondo futuro non mi si chiederà: perché non sei stato Mosè, mi si chiederà invece perché non sei stato Sussja?»". Il desiderio di imitazione, tappa evolutiva necessaria al bambino, deve lasciar posto alla liberazione della propria creatività personale. La terza tappa, la risolutezza, ha a che fare con l'unificazione delle proprie forze interiori: ciò non è frutto semplicemente di buona volontà, ma dell'immersione nella relazione con il Signore, soprattutto attraverso la preghiei·a, lo studio della parola e la carità (dottrina delle tre colonne e del mondo)'. La quarta tappa, il cominciare da se stessi, ha a che fare con il superamento di ogni vittimismo, della tendenza a colpevolizzare gli altri e ad usare loro violenza, per imparare, invece, nel corso degli inevitabili conflitti interpersonali, a lavorare su se stessi. Infatti, i conflitti relazionali non fanno che parlarci di conflitti presenti nel nostro animo. Non si tratta, quindi, di aspettare il cambiamento altrni o di provocarlo con la violenza ('mio marito, mia moglie, mio padre, mia figlia, il Signore, il prossimo, ecc., devono essere diversi'), ma di capire le radici del conflillo presenti nel proprio cuore. Il lavoro su se stessi non va fallo in modo moralistico ("devo essere più buono"), ma in modo terapeutico ("cosa capisco di me grazie al conflitto e cosa mi occorre superare dentro di me per superare il conflitto"): «il punto di Archimede a partire dal quale posso da parte mia sollevare il mondo è la ~ Cfr, ad es., M. BUBER, Il canunino del/'1101110, Magnano (Ve) 1990 e L.(). MJLS, Jlasidic C'are and C'ounseling, in Dictiona1y qf'Pastoral Care and C'ounselinp;, a cura di R.J.
Hunter, Nashville 1990, 494-496. 5 Ciì· M. BVBER, Il principio dialogico ... , cit., 21. 6 Cfr ibid., 27. 7 Cfr B. STANDAERT, Le tre colonne del inondo, Magnano (Ve) ! 992, 9-1 O.
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trasfo1mazione di me stesso. Se invece pongo due punti di appoggio, uno qui nella mia anima e l'altro là, nell'anima del mio simile in conflitto con me, quell'unico punto sul quale mi si era ape1ta una prospettiva, mi sfugge in1mediata1nente» 8 , La quinta e la sesta tappa (il superamento di sé e l'ospitalità) hanno a che fare con il dono di sé e con l'ospitare Dio e il prossimo laddove ci si trova: solo l'uomo che ha iniziato a lavorare su se stesso può realmente donarsi e, come Abramo, imparare ad accogliere Dio c il prossimo nella propria vita. Lo zaddik, il maestro che aiuta a compiere il cammino verso il superamento di sé e l'ospitalità, è un vero e proprio terapeuta spirituale, il cui compito non è essenzialmente quello di insegnare e dirigere, ma di facilitare, nel contesto del ritorno al Signore, la crescita interiore e l'integrazione personale. In tutto questo cammino, la violenza si pone come tentazione possibile per l'uomo religioso che non abbia disponibilità a conoscersi ca lavorare su se stesso e, in questo caso, come inevitabile punto d'approdo opposto all'ospitalità. Per evitare ciò, è estremamente importante che «l'uomo si renda conto anzitulto lui stesso che le situazioni conflittuali che l'oppongono agli altri sono solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua anima, e che quindi deve sforzarsi di superare il proprio conflitto inte1iore per potersi così rivolgere ai suoi simili da uomo trasformato, pacificato, e allacciare con loro relazioni nuove, trasformate [ ... ]»". Per questo è importante, secondo l'insegnamento chassidico, non considerare semplicemente i motivi oggettivi che fanno entrare in conflitto le persone (ad es. diverse idee teologiche), ma i motivi interiori, le "malattie" interiori, i complessi inconsci che trasformano il conflitto da occasione di confronto e di crescita in spazio di violenza. In questo contesto, inoltre, assume particolare importanza il tema della lotta con Dio, vissuta in modo esemplare da Giacobbe. Vediamo allora con l'aiuto di Naomi H. Rosemblatt (ebrea, psicoterapeuta e docente di Sacra Scrittura) e di Joshua 1-lorwitz", in che modo nella storia di Giacobbe è esemplificato un cammino di riconciliazione e guarigione dalla violenza attrraverso la lotta con Dio. 8
M. 8UBER, li ca1111ni110 ... , cit., 45.
9
lbid., 44.
IO Cfì· N.l-1. ROSEMBLATT - J. 1-lOR\VITZ, ~Vrest!ing ll'ith Angels. rvhaf Genesis teaches us about our spiritual identity, sexuality, and persona! relationships, Ne\v York 1996. Un
ringraziaincnto al prof. Minissa!c per avenni suggerilo la lettura di questa pubblicazione.
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Giacobbe ed Esaù, figli di Isacco e Rebecca, vengono presentati dall'autore sacro rispettivamente come "un uomo tranquillo che dimorava sotto le tende", figlio prediletto dalla madre, e come "un uomo della steppa abile nella caccia", prediletto dal padre, ed in competizione tra loro fin dalla nascita (cfr Gn 25, 24-28). Per chi ha esperienza di cura psicologica delle famiglie, è facile pensare che ogni competizione eccessiva e duratura tra i figli ed il fatto che i genitori si leghino particolarmente a qualcuno di essi, è segno di un conflitto irrisolto e carico di violenza all'interno della coppia genitoriale. In effetti, Isacco è figlio di un padre molto importante e molto anziano, abituato ad uno stile meditativo (cfr Gn 24,63)", che cerca nella moglie confo1to dopo la morte della madre. Quest'uomo, che possiamo immaginare dolce e riservato, può avere deluso la moglie ed inoltre può aver idealizzato il rozzo figlio Esaù, vedendo in lui e proiettando su di lui una maschilità forte che ha sentito in sé mancante. Rebecca, d'altro canto, può essersi appoggiata su Giacobbe e aver visto in lui l'uomo ideale da crescere. In ogni caso, è certo che Rebecca favorisce Giacobbe e la competizione tra quest'ultimo ed Esaù, nella questione della benedizione legata alla primogenitura, raggiunge il ve1tice: Esaù perseguita Giacobbe e questi deve andare via per evitare l'ira violenta del fratello. Potremmo dire che sull'onda di questa violenza familiare, Giacobbe intraprende un cammino in cui incontra il Signore (cfr Gn 28, 10-22) e gli esprin1e una fede 1nolto i1nmatura e condizionata: «Se Dio sarà con n1e e n1i proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il n1io Dio». Incontrato Labano, Giacobbe sperimenta ancora, attraverso quest'uomo che diventa suo suocero, una figura patema inaflìdabile, capace di giocarlo per il suo interesse, e dal volto progressivamente violento (cfr Gn 31,2) e decide di tornare nella sua patria. Ma in questo ritorno, il problema è sempre la violenza di Esaù e Giacobbe pensa di placarla con doni. Giunto, però, al guado dello labbok, simbolo del guado della maturità, Dio si gli si fa di nuovo incontro e i due vengono a contesa, alla lotta. È attraverso tale lotta con Dio, che ha il sapore della lotta dei guerrieri e dell'abbraccio degli amanti, in cui desiderio e aggressività si riuniscono e si risolvono nell'incontro-scontro con l'Altro, 11
Così traducono il versetto in questione gli aulori su citati: <dsaac, {... ),
1neditate in the ficld al eveningtidc» cfr ibid., 224.
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che Giacobbe si riconcilia con la figura patema, si sente finalmente benedetto e può allora prepararsi alla riconciliazione con il fratello, libero dalla competizione e dalla paura. La riconciliazione con Dio, precedentemente amato in modo molto condizionato, si realizza al tennine di una lotta ed è premessa necessaria per vedere il fratello come tale e non come rivale. La lotta con Colui che può benedire diventa via inevitabile per la riconciliazione con il fratello e per il superamento della violenza contenuta fin dentro i rapporti familiari e le storie religiose e, comunque, la riconciliazione non si risolve nell'annullamento delle inevitabili differenze e separazioni: Esaù ritorna verso Seir, mentre Giacobbe "si traspmia" a Succot (cfrGn33, 16-17).
2. Violenza e con11Jassio11e nella tralfizione teraJJeutica delle C71iese d'oriente
Nell'insegnamento dei padri orientali, a causa del peccato sussiste nell'uomo una patologia che riguarda tulle e tre le parti dell'animo: quella razionale, quella desiderante e quella aggressiva. Si può allora parlare di una vera e propria patologia della conoscenza, del desiderio e dell'aggressività. Infatti, peccando contro Dio, ossia allontanandosi da Lui e fuoriuscendo dalla relazione con Lui, l'uomo non orienta più le sue facoltà verso il Signore, n1a in n1odo disordinato verso le realtà sensibili e, così, tà nascere dentro di sé le passioni. Queste non fanno parte della natura dell'uomo, ma carattetizzano lo stato patologico in cui l'uon10 viene a trovarsi a causa del
peccato. Infatti, segno di un agire non secondo natura, le passioni possono essere considerate delle vere e proprie malattie e il cammino spirituale coincide con la guarigione interiore dal peccato e dalle passioni stesse. San Giovanni Damasceno'' precisa che non si tratta di acquisire le virtù come se si trattasse di qualcosa che viene dall'esterno, perché esse sono costitutive dell'uomo, fanno parte della sua natura. In altri termini, l'amore guarito consiste nella rimozione degli ostacoli che impediscono all'uomo di vivere secondo natura. Razionalità, desiderio ed aggressività non sono destinate alla distruzione, ma alla loro piena liberazione: l'impassibilità di cui parlano i padri non significa infatti insensibilità, ma capacità di un amore purificato, guarito e, proprio perché tale, veramente razionale, ardente (parte desiderante) e forte (parte aggressiva dell'animo).
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G.
DAìvlASCENO,
Laj€de ortodo.D·a. III, 14.
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Per quel che riguarda specificamente il nostro tema, si può dire che l'aggressività è costitutiva della natura umana, è dono fatto all'uomo dal Signore creatore e che il suo scopo è trasfonnarsi in fermezza interiore che contribuisca a rendere l'uomo capace di un amore forte: egli agisce secondo natura quando la sua pmte aggressiva lotta per la virtù, ossia per la sua autorealizzazione in Dio. L'aggressività naturale va distinta dalla passione dell'ira che ne è il tt·aviamento; a tale passione è dovuto il comportamento violento nei confronti del prossimo e di se stessi, e i padri, sforzandosi di studiarla, ne individuano alcune cause: essa scatta ncll 'uomo essenzialmente per due motivi, ossia quando egli sente minacciato un suo attaccamento (quando, cioè, l'uomo si sente frustrato in una sua pretesa egocentrica) o quando sente minacciato il suo orgoglio, l'immagine ideale di se stesso. In quest'ultimo caso, l'ira è figlia della philautia, ossia dell'amore egocentrico di sé, della vanagloria e dell'orgoglio che fanno sì che gli altri non siano più percepiti dal singolo come fratelli, ma come strumenti della propria affe1mazione vanagloriosa o come pericolosi conc01Tenti per essa (i padri parlano, in questo senso, di visione delirante della realtà, propria dell'uomo soggetto alle passioni). La philautia, la vanagloria e l'orgoglio si caratterizzano per la ricerca di gloria e di ammirazione altrui e portano al desiderio di potere e di dominio, all'ambizione. Secondo i padri, l'ascesi e la vita spirituale, soprattutto quella ecclesiastica, possono essere usate al servizio della vanagloria e dell'ambizione e l'ira si spiegherebbe come tentativo di reagire alle minacce che il singolo sente p01tate al suo senso di superiorità. L'uomo di Chiesa orgoglioso è da essi descritto come arrogante, infatuato di sé, estremamente confidente in se stesso, con la pretesa di essere nel giusto e di sapere tutto, che desidera comandare, rifiuta le critiche, non accetta di sottomettersi, usa un'ironia carica di violenza nei confronti degli altri e tende a distinguersi ossessivamente dagli altri per mostrare la sua superiorità". La vi1tù opposta alla passione dell'ira è la compassione, ossia l'amore mite, paziente ed umile capace di "sentire con" ogni creatura, secondo l'esortazione dell'apostolo: "portate ciascuno i pesi degli altri"(Gal 6,2). San Giovanni Crisostomo'" afferma: «donde viene la collera ordinariamente? Da 13 Cfr J. LARCllET, Therapeutique des 1naladies spirituelle. Une introduction a la tradition ascétique de /'Egli.se orthodoxe, Suresnes 1991, 241-257; (Ì-. BUNGE, Vino dei draghi e pane degli angeh. L 'ù1segnan1ento di Evagrio Pontico sul! 'ù·a e la 111itezza, Magnano 1999. Vedre1no più in là co1ne tali osservazioni siano in linea con quelle dei clinici
conten1poranei. I~ JEAN CRVSOSTOME, Ho1n. 32 sur !es Ac., 3.
Violenza e asco/lo nel carnn1ino del credente
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un eccesso di arroganza e di orgoglio. Sopprimi queste cause e la malattia sparirà», san Gregorio di Nissa" similmente nota: «Se tu sbarri la p01ta all'orgoglio, la collera non potrà entrare» e san Giovanni Climaco precisa: «l'assenza di collera è un segno della natura divenuta insensibile alle ingiurie» e per arrivare a questo stato egli consiglia «di non far dipendere i nostri progressi nella pace interiore dalla volontà altrui, che non è mai in nostro potere» e di non sperare per la nostra guarigione dalla perfezione altrui, ma di crescere noi nella longanimità"'. In sintesi, secondo i padri orientali, per avviare un processo di guarigione dalla violenza, è necessario capire, ogniqualvolta essa scatta in noi, il suo perché (quale pensiero in noi la causa, senza perderci nell'illusione che dipenda semplicemente dal eomp01tamento altrui), e la disponibilità ad ascoltare sinceramente gli altri anche quando ci criticano o ci attaccano. In questo contesto, la figura di Cristo è da essi compresa come medico delle anime e dei corpi e la sua opera terapeutica è vista realizzarsi fondamentalmente attraverso la Parola e i Sacramenti. A san Giovanni Crisoston10 17 la Chiesa appare con1e un "laboratorio spirituale" dove si trovano i rimedi opportuni perché l'uomo possa essere guarito dalle sue malattie. Ma perché l'opera salvifico-terapeutica di Cristo si attualizzi nell \tomo concreto sono necessarie delle condizioni soggettive; tra queste risultano essenziali l'attenzione a se stessi, la preghiera continua e il ricorso al padre spirituale. L'attenzione a se stessi non è da intendersi in senso moralistico co1ne tentativo di controllo del proprio comportamento, ma come attitudine a gettare uno sguardo limpido su di sé nel concreto delle proprie vicende relazionali: "nessuno può conoscere Dio se pri1na non ha conosciuto se stesso" leggiamo nella Philocalia, e Isacco il Siro'·' ci ricorda che «chi sa vedersi com'è è più grande di chi risuscita i morti». Nella pratica, attenzione a se stessi significa fare attenzione alla propria vita interiore e cercare di collegare le proprie percezioni, i propri pensieri ed i propri comp01tamenti alle motivazioni sottostanti; la discesa nella profondità del proprio cuore è vista come condizione indispensabile per una autentica relazione con il Signore.
1 '
GRÉG011u: DE NYSSE, f/0111.
10
.IEAN CLIMAQUE, Ech., VI!!, 2.
17
Cfr CirOVANNJ CHISOSTOMO, 01nelia sul Genesi Il.
13
!SACCO IL SIRO,
Sentenze.
2 sur /es Béat.,
5.
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Nella preghiera continua, qualsiasi sia la condizione di partenza, ossia lo stato di gravità patologica iniziale, l'uomo violento ed iracondo entra in relazione e in contatto con Dio e Gli permette di guarirlo. Così, pregare assiduamente significa impegnarsi coscientemente e responsabilmente in un processo terapeutico che porta alla guarigione e allo sviluppo della virtù della compassione: per san Giovanni Crisostomo'" la preghiera consiste nel presentare al medico celeste le nostre ferite e nella relazione con Lui che vede nel segreto (cfr Ml 6, 18), che scruta i cuori (cfr Sai 7, I O) e che manifesta i segreti dci cuori (cfr I Cor 4,5), è possibile allora che ci vengano progressivamente donale la luce, il sostegno e la guarigione di cui abbiamo bisogno. La guarigione dalla passione dell'ira passa, quindi, dal farsi violenza per entrare nella preghiera continua (cfr Mt 11, 12; Le 16, 16). Nella direzione spirituale, I' abbà aiuta il figlio spirituale nel lavoro di attenzione su di sé e san Gregorio di Nazianzo 211 , paragonando la n1edicina delle anime a quella dei corpi, affenna che quest'ultima pratica poco l'analisi dcl profondo, concernendo la sua attività per la maggior parte le apparenze, mentre i padri spirituali mettono tutta la loro cura e tutto il loro zelo nello studio dell'uomo che è nascosto in fondo al cuore. P. Evdokimov'' ha parlato di psicoanalisi ante litteram e, certamente, all'interno della relazione tra padre e figlio spirituale gioca un ruolo fondamentale la rivelazione dei pensieri (lògismoi); questi non coincidono con i peccali, ma con le tendenze presenti nel profondo del cuore (la psicologia contemporanea parlerebbe di schemi affcttivo-cognitivo1notivazionali) e che causano danni nella 111isura in cui non sono condivise ed elaborate con una persona amorevole e competente, capace cioè di co111passione e discernin1ento. Attenzione a se stessi, preghiera continua e rivelazione del propno cuore ali' ahhà come vie di guarigione, quindi, da ogni passione e da quella dell'ira in particolare.
3. Violenza ec! altr11isn10 nella ]Jsico/ogia clinica conten11Jora11ea
"Lo zelo senza la riflessione non è cosa buona" (Pr 19,2) leggiamo nel libro dei Proverbi e potremmo aggiungere che lo zelo senza riflessione ed
19
sul Genesi _,Y,Y:,f. 5. Il, 9. Cfr P. EVDOKIMOV, Le età della vita spirit11ale, Bologna 1981. Cfr GJOVANNl CRJSOSTOMO, ()1nr!lia
° Cfr (f]{f'.GORJO Dl NAZ!ANZO, Discorsi 1-3,
2
21
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ascolto empatico dell'alterità porta alla violenza. Parlare di violenza religiosa significa parlare di fanatismo e, nella definizione di F. Dorsch'', esso è descritto come «una forma di aggressione operante il più delle volte in maniera zelante e molto persistente, motivata dal soggetto (per esempio un fanatico della verità) in modo prevalentemente positivo, ma spesso animata dall'invidia e dall'odio». Una serie di domande nasce nel clinico: perché alcuni uomini di chiesa anivano a rispettare e capire gli alh·i, mentre altri sembrano nutrire ostilità nei confronti del diverso? Perché i primi accettano le differenze ed il pluralismo, mentre i secondi li sperimentano come pericolosi? Perché i primi tollerano le situazioni ape11e e complesse, mentre i secondi hanno bisogno di verità incrollabili? Perché i primi tollerano, nel faticoso cammino verso la verità, la messa in discussione dci loro principi ed i secondi la vivono come una crisi della loro stessa identità'? Perché i primi possono accogliere e valorizzare le obiezioni e le critiche che vengono loro mosse, mentre i secondi le vivono come insopportabili'? Perché per i primi l'evangelizzazione significa trasmissione mite ed umile dell'evangclo, riconoscimento dell'interlocutore in un dialogo paritario, in cui non si pretende solo di dare, ma si vuole anche imparare dall'altro, mentre per i secondi di fatto l'altro è ridotto ad oggetto della propria pretesa di insegnamento e più che di evangelizzazione bisognerebbe parlare di proselitismo'? Perché, più in generale, tanti uomini di Chiesa hanno lottato per la promozione umana, mentre altri hanno fatto sì che la Chiesa si opponesse quasi ad ogni progresso e ad ogni conquista dell'umanità'? Perché, oggi, alcuni accolgono la sfida che viene dalla secolarizzazione con un atteggiamento di ricerca, mentre altri cedono alla tentazione dell'integralismo? Perché alcuni credono che il dialogo, il dibattito franco cd aperto su alcuni nodi disciplinari, dottrinali e pastorali siano occasioni di crescita all'interno dello stesso tessuto ecclesiale, mentre altri ne hanno in qualche modo paura e lo rifiutano con fastidio? Tali domande, dal punto di vista psicologico, si possono riassumere in una: a quale grado dì sicurezza interiore sono a1Tivati i prin1i, tale da pern1ettere loro un dialogo paritario e reciprocan1ente a1Ticchente con
l'alterità, e a quale altro grado evolutivo si sono arrestali i secondi?
èè
F. DORSCH, P.sycho/ogischcs TYorterhuch, Bern-Stuttgart-Wien 1976, 184.
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Secondo G. Hole", una persona religiosa appartenente a questo secondo grnppo presenta il bisogno di «eliminare tutte le altre possibilità e tutte le ince1iezze circa la giustezza della via scelta», quello di sottomettersi ad una persona il cui prestigio sia indubitabile, quello di «ridune entità complesse e polivalenti a pochi principi e proposizioni dottrinali, che devono essere fonnulate in maniera chiara e perentoria» e quello di «imporre aggressivamente la propria idea e la propria posizione, da cui segue l'eventuale impiego di mezzi coercitivi contro coloro che la pensano diversamente»"~.
Dietro ciò sussiste, evidentemente, «un non sentirsi in grado di confrontarsi con altre opinioni e altri stili di vita e preferire la sicurezza, la tranquillità e la "proposizione chiara" alla ricerca del senso» 25 • Non
aprendosi veramente al dialogo, tale persona cerca di respingere ed escludere le proprie stesse insicurezze ed i propri stessi dubbi: essa manca della «disponibilità alla vita aperta in virtù della fiducia»"' e la violenza ecclesiale rimanda ad una «smentita affannosa del proprio dubbio, una fede piena di 1niscredcnza» 27 . 11 punto è ora chiarire cosa succede ad una persona religiosa così descritta durante il suo sviluppo psicologico per formarsi come tale. La persona che stiamo descrivendo ama più le sue idee e i suoi ideali che le persone concrete ed in nome della verità (parzialmente colta) manca di carità. In altri tennini, essa manca di empatia nei confronti altrui, apparentemente vive un senso di superiorità nei confronti degli altri che cerca di controllare a modo proprio, ma, evidentemente, a un livello più profondo la diversità altrui le procura angoscia, più precisamente come un'angoscia di perdita del proprio fondamento e del proprio ancoraggio. Questi "sintomi", in verità, rimandano lo psicologo clinico a due possibili piste evolutive: un arresto nella maturazione delle competenze al contatto (ovvero un fallimento nei processi di attaccamento relazionale) ed una fissazione nell'evoluzione dei processi narcisistici. In modo estremamente sintetico, seguendo la prima pista potremmo dire che la mancanza di adeguato sostegno ambientale può causare nella persona in crescita un mTesto nel cammino verso la maturazione di quelle 2 -1 G. HOLE, li jànatisn10. La propensione a//'estre111isn10 e le sue radici psichiche, Cinisello Balsaino 2000, 22-24. 24 lbid., 43. ,, lbìd., 23. 26 ST.H. PFURTNER, Fundan1enta!i.1'111us. Die F!ucht ins radikale, Freiburg 199 l, 188. 27 C. TURCKE, Kassensturz. Zur Lage der Theo/ogie, Frankfurt 1992, 12.
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co1npetenze relazionali necessarie ad un incontro autenticamente un1ano, cioè paritario, empatico e libero dalla violenza; in effetti, la deprivazione affettiva, la perdita o l'abuso, dovuti ad una mancata sintonizzazione ed empatia da parte dei genitori e degli educatori, possono portare la persona ad un senso del proprio Sé così impoverito che «difenderlo diventa di capitale importanza, non importa a quale costo per l'alh-m>": la violenza si capirebbe in questo caso come tentativo di riparare una perdita. Seguendo la seconda pista, potremmo dire che la violenza si spiegherebbe come dovuta a gravi ferite narcisistiche del Sé, che possono portare, per compensazione, alla negazione della propria vulnerabilità e ad un desiderio di invincibilità, onnipotenza, gloria e dominio sugli altri. Vediamo, comunque, di procedere con ordine presentando in modo sintetico alcune riflessioni sul cammino evolutivo percorso dalla persona umana e che può p01iarla alla maturazione delle competenze relazionali che riassumia1no nel termine alh11is1no o ad uno sbocco in1maturo e violento della personalità, e come tutto ciò può connettersi con la sua religiosità. Un bambino piccolo strilla acutamente perché gli è stato sottratto un giocattolo da un suo coetaneo: nessuno si sogna di accusarlo di egoisn10) 1na è comunemente accettato che egli abbia difficoltà ad accettare un punto di vista diverso dal suo; un adolescente scinde la realtà in buoni e cattivi, idealizza un gruppo, vede nemici fuori da esso e sente il bisogno di "mettere i puntini sulle i" nei confronti degli altri: possiamo tollerarlo sapendo che è impegnato nella costruzione dei confini della propria identità. Ma sia dal bambino sia dall'adolescente in questione ci aspettiamo che nel corso degli anni saf>piano sempre più tener conto dell'altrui punto di vista e che anzi, divenuti adulti, sappiano promuovere l'individualità e l'autonomia psichica dei loro figli o dei loro allievi. Un punto può essere, allora, seppure in via provvisoria, fissato: nel cammino che va dall'infanzia all'età adulta, l'essere umano è chiamato a percoffere diverse tappe evolutive, alla fine delle quali potrà maturare l'altruismo, inteso quale capacità di prendersi cura degli altri al modo di un genitore affeth10so e competente, senza nmanere nella trappola dell'egocentrismo affettivo e cognitivo.
""F. DE ZULUETA,
Milano 1999, 7.
Dal dolore alla violenza. Le origini tra11111atù:he de!/'aggressivilà,
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Ma cosa significa essere un genitore affettuoso e competente? Interessanti risultano in tal senso, tra tanti, il contributo di R. Beavers'", che ha studiato lo stile di funzionamento delle famiglie sane e di quelle patologiche, ed il contributo di L. Benjamin e P. Scilligo"', i quali hanno presentalo un modello evolutivo e relazionale che evidenzia cosa significa, nelle relazioni educative, gestire l'affettività e il potere interpersonale m modo costruttivo o distruttivo. Sinteticamente, è possibile dire che un genitore affettuoso e competente è capace di un amore rispettoso, empatico e premuroso. Il rispetto ha a che fare con la capacità di vedere l'altro nella sua individualità, senza volerlo cambiare a proprio piacimento, senza plagiarlo o manipolarlo per i propri scopi, ma aiutandolo ad essere sempre più se stesso. L'empatia è la capacità di sentire e vedere le cose dal punto di vista dell'altro, rinunziando ad ogni giudizio negativo o preconcetto. La premura ha a che fare con la capacità di vedere lucidamente e non egocentrican1ente i bisogni dell'altro e di andargli incontro per sostenerlo in modo adeguato nella soddisfazione di essi. Ma poniamo un caso: una 1nadre cade in depressione quando il figlio diciottenne deve traslèrirsi in altra città per andare all'università. Non sostenuto dalla madre depressa, il figlio non riesce a continuare gli studi. Qui la madre, evidentemente, non riesce a dare il sostegno adeguato al figlio per aiutarlo a separarsi da casa. Al contrario, vive tale separazione con1e una ininaccia, ne è terrorizzata, cade in depressione, per lei è una perdita. Potremmo dire che la bambina che vive dentro la madre, a causa di ferite interiori subite nel passato e/o a causa di lacune vissute nel rapporto matriinoniale, prende il sopravvento e protesta in n1odo passivo contro la separazione del figlio. Evidentemente, la maturazione delle competenze genitoriali non è scontata, non coincide con l'età anagrafica e per ciascuno di noi è un ca1nn1ino travagliato. Considerian10 un altro ese1npio: un giovane entra nell'istituzione ecclesiastica, sembra tèliee di farlo, dopo qualche anno con i confratelli non fa che accusarsi reciprocamente di egoismo e tradimento degli ideali evangelici; ciò accade soprattutto quando si sente trascurato o contrariato. Evidentemente, l'amore altruistico non si è evoluto e, per dirla con
"~ Cfr W.R. IlEAVERS, P.\lY·hotherapy and <Jnnl'fh. AfC1111il_y .1yste111s perspectil'e, Nc\V York 1981. m Cfr P. SCJLLIGO, Siste111i intrapsichici ed interpersonali, Ron1a l 987.
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Francesco d'Assisi," pretende che gli altri siano cristiani migliori; vive ·nell'attesa di essere prete per poter finalmente fare a modo suo in parrocchia, ma anche qui sperimenterà come arroganti gli altri, in questo caso i laici; potremmo dire che il bambino che vive dentro di lui si ostina nel cercare di avere dagli altri ciò che ritiene essenziale per la sopravvivenza psicologica e non riesce a prendersi cura di sé e degli altri in modo adeguato. Ho usalo la metafora del bambino/a che vive dentro l'adulto, ispirandomi consapevolmente ai contributi degli analisti transazionali, ai quali dobbiamo gli studi sullo sviluppo del copione, inteso quale piano di vita "costruito" nell'infanzia e nell'adolescenza a scopo di sopravvivenza psicologica e capace di co-governarc il comportamento nel presente: quanto più profonde o traumatiche sono state le ferite psicologiche subite e non elaborate durante la crescita, tanto più f011e sarà il potere del copione 'scritto' nell'infanzia e nell'adolescenza sull'adulto e la difficoltà di quesi'ultin10 a rinunziare ai sogni in esso contenuti 3·'. ln modo estre111an1ente sintetico, potrc1nn10 dire che la 111aturazione delle competenze genitoriali e dell'amore altruistico è al termine di un ca111n1ino evolutivo fatto di diverse tappe e che in ognuna di esse è presente il rischio della fissazione e della regressione. Paradossalmente, nella vita adulta sono necessarie delle relazioni che ci mettano profondamente in discussione (in questo senso sananti), e all'interno di esse è necessario un ca1n1nino di consapevolezza, per aiutare il ban1bino che sian10 stati ad evolvere verso stadi più 1naturi e progressivan1ente diventare un genitore altruista e co1npetente che sa prendersi cura di sé e degli altri con rispetto ed empatia, senza plagiarli, usar loro violenza e senza cercare prove della propria autosti111a. Risulta, allora, utile studiare i modelli evolutivi che la psicologia contemporanea ci oifre, per tentare di capire qualcosa sul bambino che sìan10 stati e che continua a vivere dentro di noi, sulla violenza di cui esso è portatore in relazione alle ferite subite e non elaborate, e sul modo in cui può usare la religione al servizio della fissazione e della regressione psichica. Da questo punto di vista, n1i sen1bra che i contributi più interessanti vengano dagli studiosi della psicologia del Sè" e dal mondo della psicoterapia della Gestalt. 11 fR1\NCESCO n'Ass1s1, Lettera ad un 1ni11istro, in f'onti Francescane 234, Padova 1982. 168. '" Cfr ad. es., S. V/OOLLA!v!S - M. BRO\VN. Analisi Transazionale, Assisi 1985. 11 Cfr ad. es., H. [(OHUT, J\1Circisis1110 e analisi dcl sé. Torino 1976.
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Partiamo proprio da quest'ultimo, seguendo le intuizioni di G. Salonia 3 ~.
«L'ottica gestaltica focalizza nello sviluppo infantile l'organizzazione e la maturazione della capacità di entrare in contatto, in modo sano e nutriente, con l'Ambiente. Competenza, questa, che si forma attraverso una sequenza evolutiva di modalità di contatto sempre più complesse e funzionali, in un delicato intreccio di maturazione interna e di elicitazione mate111a»~ 5 •
Fase della conflnenza primaria, dell'introiezione, della proiezione, della retroflessione e del contatto pieno sono le fasi individuate da Salonia. Nella fase della confluenza primaria (0-6 mesi), il bambino "vive" se stesso e la madre come un tutto onnipotente e non ha ancora maturato il senso dei confini tra se stesso e l'ambiente. Il compito pedagogico della madre è, in questa fase, quello di pennettere «ai vissuti del bambiuo di ancorarsi, senza s1narrirsi in un a1nalgama caotico, confuso e inconsapevole
[ ... ] , La madre, in altre parole, pennette al bambino di sentirsi contenuto senza essere distrutto dalle proprie angosce». Nella fase dell'introiezione (6-9 mesi), si iniziano a delineare i confini dell'Io, emerge una prima differenziazione tra organismo e ambiente: «In questa differenziazione, l'Organismo percepisce se stesso come vuoto e l'Ambiente nella funzione di riempire questo vuoto[ ... ]. Ambiente che nutre e Organismo che riceve compongono la modalità di contatto chiamata introiezione. Vuoto, dentro, nutrimento, dipendenza [ ... ] sono i temi esistenziali di questa fase»'". Lo sviluppo dentale che avviene ad un certo momento di questa fase, con i suoi risvolti psichici, modifica l'introiezione e la rende più attiva: l'aggressività dentale serve al bambino per destrutturare e ristrutturare il "nutrimento" (fisico e psichico), non rimanendo fenno ad un ingoiare passivo. Il compito pedagogico della madre è in questa fase quello di "dare" al bambino in modo opportuno, intuendo i suoi bisogni e differenziandoli dai propri. Nella fase della proiezione (9-15 mesi), «si sviluppa una specifica attenzione per il fuori di sé visto come contenitore delle proprie tensioni prima e, dopo, come realtà da esplorare e manipolare»". Piccolo-grande è il tema dominante di questa fase e, in essa, il compito pedagogico della madre 14 (f. SALONIA, Dal Noi a!!'fo-Tu: contrib11to per una teoria evolutiva del confallo, in Quaderni di c;estalt 5 ( 1989) 8-9, 45-54. "Jbid., 47. 36 !bid., 49. 17 fbid., 50.
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è quello di contenere l'energia "dirompente" del bambino, la sua aggressività, i suoi rifiuti e la sua ostinazione.
Nella fase della retroflessione (15-18 mesi), il bambino matura la capacità di «fare a se stesso sia quello che voJTebbe ricevere dall'ambiente sia quello che vorrebbe fare all'ambiente (modalità di contatto che la Psicoterapia della Gestalt chiama retroflessione)»'"; in altri tennini, matura i primi rudimenti del saper prendersi cura di sé e di una relativa autonomia. li compito pedagogico della madre è ora quello di incoraggiare questa relativa autonomia e di tollerare le normali ambivalenze ad essa collegata (autonomia significa sia piacere di farcela da solo che paura della solitudine!). Nella fase del contatto pieno, «l'Organismo può essere totalmente presente e può lasciarsi andare all'esperienza del noi, nella consapevolezza di ritrovare dopo i propri confini. Sia l'Organismo che l'Ambiente sono capaci di riconoscere e contenere la propria eccitazione e riinanere figura,
prima di lasciarsi andare in una gestalt nuova che è il contatto»'". Ciò che qui preme sottolineare è che in ogni fase descritta, il bambino matura, se adeguatamente sostenuto, una competenza particolare: nella confluenza primaria la capacità di abbandonarsi all'ambiente con il senso di un confine comune per due realtà (il proprio organismo e l'ambiente) che di per se stesse sono separate; nell'introiezione la capacità di differenziarsi dall'ambiente e di dipendere e di ricevere da esso in modo sano; nella proiezione la capacità di controdipendere dall'ambiente e di proiettarsi attivamente verso-contro di esso; nella retroflessione la capacità di prendersi cura di se stesso; nel contatto pieno la capacità di riconoscere e maturare la propria energia mentre si lascia andare al contatto. Queste competenze acquisite nelle diverse fasi sono poi maturate dalla persona a livelli sempre più evoluti e complessi via via che va avanti la crescita e, nell'età adulta, il contatto pieno si realizza come capacità di incontrare l'altro in un'effettiva reciprocità. Tali competenze vengono allora a costituire i mattoni necessari per arrivare, infine, all'altrnismo; quest'ultimo poggerà su di esse e sarà il frutto della risoluzione delle fissazioni possibili in ognuna di esse. L'itinerario verso l'altruismo è quindi tracciato: esso presuppone il superamento delle illusioni simbiotiche, delle dipendenze autoannullanti, delle ribellioni senza
'"Ibid., 51. L.c.
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fine e delle difese narcisistiche e la maturazione della capacità di incontrare l'alh·o in una effettiva reciprocità. In questo processo evolutivo, la persona cresce sia grazie alle cure ambientali adeguate srn grazie ad una naturale spinta verso l'autorealizzazione, in cui gioca un ruolo fondamentale la sua stessa aggressività. Questa, infatti, lo sostiene nell'accettare e prendere ciò che sente utile per la sua crescita, nel rifiutare ciò che sente dannoso per essa e nel proiettarsi sanamente verso l'ambiente nel gioco relazionale che instaura con esso. Naturale spinta all'autorealizzazione e cure ambientali adeguate, in alh·i termini, permettono nel bambino lo sviluppo di positivi processi di "attaccamento relazionale": questo può essere considerato come una forma di sintonizzazione psicobiologica che si verifica per tutta la vita in molte relazioni e che ha la sua forma primaria nella relazione madre-bambino. Qualora i processi primari di attaccamento vadano bene in porto, la persona in crescita è molto favorita nello sviluppare un atteggiamento positivo nei confronti del Sé e dell"'altro", e ciò la aiuterà nel costruire e mantenere relazioni soddisfacenti e nel passaggio dalla dipendenza infantile all'interdipendenza adulta. Ma qualora le cure ambientali non siano adeguate, ad es. se il bambino subisce separazioni, rifiuti o abusi senza possibilità di un'elaborazione positiva, alla persona in crescita viene a mancare un sostegno opportuno, i suoi processi di attaccamento risultano danneggiati, essa manifesta vulnerabilità psicologica e la sua naturale aggressività tende a trasformarsi in rabbia distruttiva; in altri termini, la persona sviluppa un potenziale di violenza (peraltro comprensibile come tentativo di cambiare le cose e di evitare la depressione) e non matura qualcuna delle competenze relazionali di cui sopra. In questo caso, la competenza al contatto può risultare inficiata e la persona può sviluppare uno stile relazionale caratterizzato da un arresto evolutivo e da una particolare forma di violenza. Nello stile confluente «si esige la somiglianza e si rifiuta di tollerare ogni divergenza»~ 0 , la persona non "vede" l'altro, è incapace di rispetta111e e promuoverne l'individualità e l'autonomia, vive di illusioni simbiotiche; qui la violenza si manifesta come bisogno di controllare (fino alla tortura e all'omicidio) la diversità, e la religione è vissuta come ricerca di esperienza fusionale col divino e col gruppo di appartenenza . .in F. PERLS, L'approccio della Gesta!t. Testi111011e oculare della terapia, Ron1a
1977, 45.
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Nello stile introiettivo, la persona subisce dall'ambiente pressioni, insegnan1enti, valori senza rielaborarli critican1ente, '"ingoia" ciò che proviene dall'esterno senza "masticarlo", esalta il principio di autorità; qui la violenza si manifesta come dipendenza autoannullante e la religione è vissuta per molti versi al servizio dell'oppressione di se stessi. Nello stile proiettivo, la persona proietta sugli altri il suo bisogno non evoluto di dominio e vive in atteggiamento di sfida nei confronti dell'autorità; qui la violenza si manifesta come ribellione senza fine e la religione è vissuta "contro" qualche altro. Nello stile retroflessivo, la persona ha sviluppato una certa autonomia psicologica, ina non riesce a consegnarsi realisticamente ed a1norevohnente agli altri e vive e si relaziona ad essi da una posizione di superiorità. Qui la violenza si n1anifcsta con1e senso di superiorità sui più sentiti co1ne inferiori, e come invidia e competitività con gli altri sentiti come rivali; la religione è vissuta al servizio delle proprie difese narcisistiche e come possibilità di glmia e di potere. Così, «un'intera ga1n1na di con1portan1enti un1ani apparentcn1cnte disparati come l'abuso infantile, quello coniugale, l'omicidio, il suicidio, la depressione e altre forme di psicopatologia, se guardata dalla prospettiva dcl sistema di attaccamento, può allora essere interpretata come differenti manifestazioni dell 'insnccesso del sistema di attaccamento e di sintonizzazione. Questi disturbi confermano il bisogno che abbiamo gli uni degli altri, bisogno che si manifesta nelle nostre relazioni di attaccamento: la violenza deriva dall'attaccamento andato male [ ... ] Amore e odio possono essere quindi reciprocamente connessi: secondo questa opinione, il comportamento di affiliazione e la distruttività sembrano due diverse manifestazioni dello stesso sistema di attaccamento; [ ... ] l'altruismo e l'aggressione sono due diverse manifestazioni dello stesso fenomeno, che rispecchia sia il nostro bisogno dell'"altro" sia ciò che accade quando questo bisogno non può venire soddisfatto»"'. La psicologia dcl Sé di H. Kohut e della sua scuola, guardando allo sviluppo del bambino, «postula un Sé primario che, in una matrice costituita da oggetti Sé" empatici, considerata una condizione indispensabile per 41 F. DE ZUL.Ul-:-1 A, f)a/ dolore alla violenza. Le origini tra111natiche del! 'aggressività, cit.. 334-337. 2 -1 Per oggetto in psicoanalisi si intende la rappresentazione psichica dell'altro; H. Kohut parla di oggetto-Sé per evidenziare che negli stadi evolutivi iniziali l'altro è ancora percepito in funzione del Sé.
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l'esistenza psicologica così come l'ossigeno per la vita biologica, sperimenta da una parte la grandezza dell'oggetto-Sé (affermazioni; ambizioni), e dall'altra la perfezione dell'oggetto-Sé (idealizzazione di mete altrui; entusiasmo per ideali altrui). Le pulsioni sono fenomeni secondari. Esse sono prodotti di disintegrazione che fanno seguito al crollo delle configurazioni complesse primarie della psiche in conseguenza di difetti (empatici) nella matrice degli oggetti-Sé»"'. In altri termini, secondo la psicologia del Sé, il bambino, nel suo sviluppo, attraversa due fasi importanti, quella del Sé grandioso e quella dell'Oggetto idealizzato. Nella prima il bambino (e poi a un livello più evoluto l'adolescente) tende a viversi in modo grandioso-esibizionistico~", nella seconda tende ad identificarsi con una figura idealizzata e a volersi sentire in associazione con essa". Nel normale sviluppo, gli aspetti grandioso-esibizionistici del Sé e l'idealizzazione altrui si trasformano i primi in sane ambizioni e la seconda in buoni ideali, ed entrambi concorrono ad una sana autosti1na. Ma perché lo sviluppo sia normale è necessaria, secondo gli psicologi del Sé, che il bambino (e poi l'adolescente) incontrino un oggetto-Sé rispecchiante (per quel che riguarda il Sé grandioso) ed un oggetto-Sé associante (per quel che riguarda il bisogno di idealizzazione), ossia genitori empatici che capiscano e facciano evolvere i bisogni esibizionistici e di associazione della persona in crescita. Kohut sottolinea, quindi, quale atteggiamento genitoriale principe che favorisce lo sviluppo del bambino, l'importanza dell'empatia, da lui descritta come "la risonanza del Sé nel Sé degli altri, essere compresi, avere qualcuno che si sforza di capirci"". Più precisamente, secondo Kohut e la sua scuola, la psicopatologia ed in particolare la violenza dipendono dal cronico insuccesso dell'empatia: «quando un bambino deve confrontarsi con genitori che non riescono a rispondere empaticamente all'emergere del suo Sé, la sua originaria ricerca di oggetti-Sé si disgrega in impulsi aggressivi o sessuali, secondo le dinamiche familiari»". 43
H. KoHUT, Potere, coraggio e narcisisn10, Rotna 1986, 94. "" Quanta ricerca di identità e di sicurezza ne!!'"esibirsi" grazie alla talare, gli abiti liturgici, una scelta di vita particolare .. 45 Quanta ricerca di identità e sicurezza nel sentirsi associati ad un leader (il Papa, ad es.) cui si riconosce caris1na .. ""H. KoHUT, Potere, coraggio e narn~~·is1110, cit., 230. ~ 7 F. DE ZULUETA, Dal dolore alla violenza. Le origini traz1111atiche dell'aggressività, cit., 147.
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Di conseguenza, secondo Kohut, la risposta al problema della violenza umaua sta nella comprensione del fenomeno della rabbia narcisistica: la persona (o potremmo dire tornando al linguaggio degli analisti transazionali il bambino dentro la persona), a causa delle ferite vissute e non elaborate nell'infanzia, sente il proprio Sé debole e bisognoso di essere rigidamente preservato; chiaramente, «per un Sé debole, I'"altro" deve diventare l'oggetto da controllare, tutto ciò che ricorda debolezza interna o dolore deve essere bandito, anche a costo del Sé o della disumanizzazione dell"'altro"»"'. Considerando in modo estremamente sintetico i contributi evolutivi su citati, potremmo dire che la violenza può essere compresa, dal punto di vista psicologico, come una particolare e distruiliva espressione dell'aggressività umana dovuta a gravi ferite narcisistiche del Sé, ad un fallimento dei processi di attaccamento e ad un deficit nello sviluppo della maturazione della competenza al contatto. ln questo contesto, la religione può essere vissuta dalla persona in due modi diversi, a seconda delle sue libere scelte e del sostegno ambientale disponibile: come possibilità di guarigione e trasformazione di sé nell'incontro risanante col Signore (e questo richiede la disponibilità a fare i conti sia col dolore che sta sotto la rabbia dovuta alle ferite evolutive, sia con la disponibilità ad affidarci ad un Altro che ci conduce altrove) o al servizio del proprio bisogno di vendetta e di rivalsa: il bambino e l'adolescente ferito, in questo caso, cercano non tanto di essere salvati dal Signore, ma di autosalvarsi grazie alla religione; così, ad es., un bambino o un adolescente ferito nei suoi bisogni di ailaccamento, o di contatto o di emergenza del Sé, può sentire bloccato il suo processo evolutivo (verso un attaccamento 1naturo, verso la con1petenza al contatto, verso una sana autostin1a, in una parola verso l'altruismo) e cercare «la liberazione da sensazioni penose ed insopporlabili»~ 9 , quali sentirsi sn1arrito, angosciato, inferiore, incerto sul da farsi, costruendo un'im1nagine idealizzata di sé, grazie alla quale si innalza al di sopra degli altri e cerca di compensare la sua profonda sfiducia in se stesso. Paradossalmente, in nome di Dio, si fa come Dio ed in questo contesto, il bisogno di controllare gli altri, di dominare su di essi, di conseguire gloria, di fare carriera) di esibirsi attraverso "pizzi e talari", di eliminare la diversità, o di primeggiare su di essa emergono prepotentemente. 4
S
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fbid., 336. K. HORNEY, 1\Tevrosi e sFi/11ppo della personalità, Ro1na 1981, 21.
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Possiamo, allora, capire meglio, anche dal punto di vista psicologico, la polemica del Signore con alcuni "ecclesiastici" del suo tempo, polemica che, non dimentichiamolo, sfociò nell'uccisione del Figlio dell'nomo e Figlio di Dio, ossia nel simbolo per eccellenza di ogni violenza religiosa che, in nome di Dio, colpisce l'uomo e Dio e che, ci suggeriscono i vangeli, fu motivata, dal punto di vista psicologico, dall'invidia, tema particolarmente importante nella personalità narcisista (cfr Mt 27, 18; Mc 15, 16). Tali uomini religiosi furono percepiti e descritti dal Signore come bisognosi dell'ammirazione degli uomini, dei posti d'onore, dei titoli onorifici; ipocriti, spietati ed insensibili ai bisogni altrui, formalisti e legalisti (cfr Mt 23) e ad essi egli propose come ideale il pubblicano che riconosce la sua condizione di terrestre peccatore e ricordò più volte di non essere venuto per i sani, 1na per i inalati.
4. Visione d'insieme e proposte psicopedagogiche Quanto suesposto ci permette di fissare un punto: nell'ottica della psicologia clinica conten1poranea, la violenza, e nel nostro caso specifico la violenza dell'uomo di Chiesa, ha per madre la sofferenza (più precisamente una sofferenza non elaborata e, di conseguenza, non divenuta occasione di crescita per la persona) e per padre un tentativo di autosalvezza che gli analisti transazionali chian1ano copione. Da questo punto di vista, se ogni violenza, e soprattutto quella perpetrata in no1ne di Dio, ci risulta inaccettabile, è anche vero che possian10 guardare con empatia alla sofferenza che l'uomo di Chiesa "violento" ha vissuto e alla creatività i1npiegata nei tentativi di uscirne. Laddove ne "i Fioretti" è narrato del "santissimo miracolo che fece santo Francesco, quando convertì il ferocissimo lupo d' Agobbio", ciò che colpisce nell'opera svolta da frate Francesco per facilitare tale conversione, è che egli diagnostica, con lucidità e compassione insieme, la causa della violenza del lupo ("io so bene che per la farne hi hai fatto ogni male") cd aiuta quest'ultin10 a "fare la pace", a riconciliarsi con gli uon1ini che ha attaccato e che a sua volta lo hanno perseguitato'11 : "dentro" ogni violenza c'è in qualche modo farne d'amore, sofferenza dovuta alla privazione, vissuti di
0
I Fioretti di San Francesco, in Fonti f'rancescane 1852, cit., 1500-1503. Ringrazio CJ. Salonia, docente presso la Facolt~ Teologica di Sicilia, per avenni tàtto riflettere, durante un corso !enuto insie111e, su questa pagina francescana. '
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emarginazione, bisogno di pace e riconciliazione, richiesta (anche inespressa) di aiuto. Ciò che è mancato alla persona in crescita è stato il sostegno necessario ad elaborare la sofferenza e la propria storia passata in modo da renderla occasione di crescita per sé e per gli altri piuttosto che contenerla rigidamente a scapito di sé e dell"'altro". Ciò che è necessario è, quindi, favorire, all'interno della comunità ecclesiale, un clima ed un contesto pedagogico che permetta tale elaborazione, che favorisca il passaggio dal copione (ovvero dall'autosalvezza) alla salvezza e che aiuti la persona a riprendere il sentiero evolutivo interrotto verso la crescita e l'altruismo. Così, la persona "bloccata" in uno stile relazionale "immaturo" (confluente, introiettivo, proiettivo o retrotlessivo) o quella "bloccata" in una fase narcisistica precoce (grandioso-esibizionistica o idealizzante I"'altro") potrebbe essere aiutata a fare passi verso livelli più evoluti di fi.mzionamento interiore e rclazionale' 1• Da questo punto di vista, valutando prospetticamente quanto ricaviamo dalla moderna psicoterapia e dalle tradizioni terapeutico-spirituali cui abbiamo fatto riferimento, è possibile evidenziare alcune linee comuni: psicologia clinica moderna e tradizione spirituale concordano nell'affermare che l'altruismo (ovvero l'ospitalità e l'amore compassionevole) è al termine di un cammino, in cui sussistono alcuni snodi obbligati dal punto di vista psicopedagogico. - L'attenzione a se stessi (o lavoro di consapevolezza di sé): non c'è crescita senza disponibilità ad uno sguardo limpido su se stessi, senza disponibilità a fare i conti con la propria storia di dolore, con i propri blocchi evolutivi, con i propri bisogni inespressi, con le motivazioni e le passioni che guidano i nostri comportamenti. - L'accettazione profonda di sé (è quello che la psicoterapia della Gestalt chiama teoria paradossale del cambiamento: iniziamo a cambiare solo quando ci accettiamo come siamo): ogni tentativo copi onico di autosalvezza significa il tentativo di mettere da parte alcune sofferenze vissute come insopportabili per cercare di innalzarsi al di sopra di se stessi; se ciò è comprensibile dal punto di vista del bambino o dell'adolescente in crescila, è anche vero che arrestarsi a questo significa andare verso una deriva narcisistica, viaggiare verso il mito di una sempre maggiore forza ed invulnerabilità, quasi nel senso di un "supero1nisn10 cristiano"; non 51 Cfr M. SPAGNUOLO LOBH, // sostegno specijìco nelle interruzioni di contatto, in QuadcrnidiCìcstalt6(1990) 10-11, 13-25.
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riconoscere più la propria parte oscura e proiettarla negli altri; stabilire con gli altri relazioni non paritarie, 111a vissute con senso di superiorità; non avere disponibilità ad un ascolto profondo e continuato degli altri. Con santa Teresina di Lisieux possiamo, invece, riconciliarci con la nostra debolezza e vulnerabilità, abbandonandoci alla relazione trasformante con il Signore di ogni misericordia: il cammino verso la crescita e l'altruismo non va allora nel senso di una sempre maggiore perfezione che risponda ad un ideale dell'Io, ad un bisogno narcisistico di perfezione e di conseguente gloria e potere, ma nel senso del!' accettazione serena di se stessi (e della propria piccolezza) e dell'apertura confidente all'Altro in posizione di ascolto. - li lavoro su se stessi: "non pretendere che gli altri siano cristiani migliori" ci ricorda san Francesco e lo stesso santo ci invita a prenderci cura degli altri e ad at1idarci agli altri come sono''; all'interno degli inevitabili conflitti relazionali che la vita riserva, è necessario superare il tentativo di cambiare gli altri, per imparare a lavorare sistematicamente sui propri conflitti interiori. - L'apertura radicale all'"altro" (al mistero dell'alterità che si incarna nell'altro concreto) in posizione di ascolto: l'apprendimento dell'aiie dell'ascolto profondo, rispettoso ed empatico ci pe1111ette, al di là di quali siano state le nostre vicende evolutive, di uscire dall'egocentrismo e dall'insensibilità per andare verso un altruismo reale e non di facciata; imparare ad ascoltare l'altro sempre e comunque, con empatia e compassione, direi in posizione di minorità per evidenziare la voglia di apprendere dalla s1ia diversità e la voglia di superare ogni arroganza e spirito di superiorità, mi sembra via obbligata per superare ogni fondamentalismo e fanatismo e per imparare lo spirito della tolleranza e dell'autentico rispetto, per somigliare (facendo riferimento ad un'immagine di Levinas) non ad Ulisse che ritorna sempre a se stesso, ma ad Abramo, l'uomo dell'esodo verso l'altro. Mi sembra che in Dt 8 sia espresso qualcosa di simile laddove il popolo di Dio è invitato a ricordare tutto il cammino compiuto nel deserto, cammino necessario al fine di conoscere quello che ha nel cuore, di diventare umile e di imparare ad ascoltare. Ma è proprio sull'arte dell'ascolto che desidero soffermarmi ancora per poi concludere queste sintetiche riflessioni.
'" FRANCESCO D'Assisi, Regola Bollata, in F'onti f 'rancescane 91, cit., 127.
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5. L 'arie de/l'ascolto: Ira lectio divina e lectio hnmana «Un senso di sé debole e una bassa autostima, le loro origini dalla deprivazione, dalla perdita e dall'abuso, tutto contribuisce alla violenza dell'uomo. Quando le condizioni culturali e genitoriali non riescono a darci un senso di valore, il Sé sa solo come sopravvivere e !'"altro" deve diventare !'"oggetto" di un Sé che deve avere in mano il controllo. Tutto ciò che può ricordare la debolezza interna e il dolore va evitato, anche a costo di distruggere il Sé o disumanizzare l'altro. Quando le condizioni culturali e parentali lo consentono, il Sé sviluppa autostima ed empatia»'\ cioè una capacità di entrare in relazione che riconosce e rispetta le differenze, risuona nell'altro e rende questa sintonizzazione affettiva un'altra fonte di autostima. Favorire un clima e un contesto pedagogico ecclesiale in cui le persone siano facilitate a riconoscere e rispettare le differenze e ad entrare in empatia con gli altri mi sembra l'obiettivo principe di un cammino che voglia aiutare ciascuno di noi a guarire dalla violenza: l'ascolto rispettoso ed empatico opposto alla violenza. Uno dei tanti strumenti utili ad ampliare la capacità di ascolto dell'uomo di Chiesa in formazione può essere quello che, in analogia con la lectio divina, ho chiamato lectio ln1111a11a" e che qui presento in modo essenziale. Nel corso dei secoli, la tradizione che ha elaborato il metodo della lectio divina ha individuato quattro passaggi fondamentali che permettono, scrutando le Scritture, di arrivare ad ascoltare la parola del Signore in esse contenuta: la lectio, in cui il compito è quello di ascoltare cosa l'Altro dice; la meditatio, in cui il compito è quello di meditare su ciò che l'Altro mi dice, ossia cogliere, e non solo intellettualmente, le implicazioni relazionali della Parola; l'orotio, in cui il compito è quello di rispondere creativamente all'Altro; la contemplatio, in cui il compito è permettere l'assimilazione dell'incontro con l'Altro e che tale incontro porti ad una visione più ampia e approfondita della realtà. -"F. DE ZULUETA,
Dal dolore alla violenza. Le origini lra11111atiche defl'uggressività,
cit.. 174. q N. DELL'AGLI, Lectio divina e lectio 11111a11a: 1'e1:s·o un nuovo n1odel/o di acco1npag11a111e11fo spirit11a{e, in /11 charitate pax. Studi in onore del cardinale Salvatore De Giorgi, a cura dì F. Arn1etta e M. Naro, Palenno (Ve) 1999.
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Uno stndio amoroso di ciò che l'Altro dice per ascoltarlo con cuore pensante. Analogamente, è possibile ipotizzare che ogni persona in relazione con noi ci offra un testo'' che chiede di essere letto con intelligenza ed amore per poter entrare in contatto con il suo cuore. È possibile allora pensare che i passaggi da compiere in una lectio divina siano gli stessi da realizzare in un dialogo tra creature inteso come lectio humana: l'incontro con l'Altro, Creatore o creatnra, per essere maturante, richiede sempre disponibilità ad un ascolto attento cd approfondito ed attitudine alla ricerca. Prima tappa: leggere ciò che l'altro dice. Si tratta anzitutto, con spirito di discernimento, compassione e minorità, ovvero ai piedi dell'altt·o, in atteggiamento di servizio, di 'leggere' ciò che un'altt·a persona dice. Analogamente a quando si fa lectio divina, per passare da una lettura superficiale ad una approfondita, sono necessari diversi accorgimenti: - cogliere il "genere letterario"'" usato dall'altra persona, ossia lo stile relazionale attraverso cui presenta i propri bisogni (si può chiedere di essere amali anche comportandosi in modo odioso, ad es.); - situare nel contesto (in questo caso il suo ciclo vitale") quello che una persona na1Ta; - cogliere il messaggio centrale di ciò che l'altro vupl dire, ossia cogliere il suo dolore, le sue ferite, i suoi sentimenti e il suo bisogno emergente. L'ascolto non può essere solo un fatto intellettuale, ma è anche un fatto di cuore e richiede un lungo apprendistato per essere empatico" con1e si esprin1ono i clinici n1odcrni o co1npassionevole per dirla con i padri, per imparare a custodire le parole dell'altro come in un terreno buono; ''Cli E.
PoLSTER,
()gni vita inerita z111 1·0111anzo. Quando raccontarsi è terapia, Ron1a
1988.
56 Interessanti in questo senso risultano gli studi sull'intenzionalità organisn1ica secondo la Psicoterapia della Cìcstalt, quelli sul copione secondo l'analisi transazionale e quelli sulle rappresentazioni n1cntali dcl inondo secondo i terapeuti cognitivi e della prograrnn1azione neurolinguistica. Per questi ultin1i cfr, ad es., R. BANDLl-J{ - J. (fl{INDU{, La str11tt11ra della 111agia, Ro1na 1981 e C. DE S!L VESTR!, J fOnda111enti teorici c clinici del!a terapia razionale e111otiva, Ro1na 1981. 7 ' In questo caso sono interessanti i n1odelli evolutivi oiTerli dall'attuale psicologia
clinica. ~ Sull'i1nportanza dell'en1patia cfr, ad es., H. FRANTA - Ci. SALONIA, C'on111nicazio11e inte11;ersonale, Ron1a 1981. Le tecniche della riJOnnulazione e della verbalizzazione (ivi descrille) e quella dcl ''fare l'altro" sono senz'altro u!ili per a1npliare la propria capacità di ascolto en1patico.
5
Violenza e ascolto nel cannnino del credente
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- fare attenzione alle parole chiave, ai terni che si ripetono, ai "campi se1nantici" che ricorrono nella comunicazione di chi ci parla; - individuare "il sistema dei personaggi'"", ossia cogliere le interrelazioni tra i personaggi (quelli del brano nella lectio divino e quelli del racconto dell'altro nella lectio i1Uma11a); - fare attenzione alle influenze dell'infanzia e dell'adolescenza sui vissuti attuali di una persona, così con1e nella lectio divina si cercano i precedenti veterotestamentari di un brano neotestamentario: come abbiamo visto in tutto il corso dell'articolo, c'è un bambino che vive dentro ogni adulto e che chiede ascolto e comprensione dci suoi drammi evolutivi; - leggere in chiave "cristologica" quanto narrato dall'altro: cosa mi rivela del suo rapporto con i Signore? Di quale protesta è carica il rapporto con Lui? Dove e come la persona lo interrompe? Come Lo percepisce? Come si sente da Lui percepita? - leggere in chiave "soteriologica" quanto narrato dall'altro: dove cerca salvezza; in che modo? Quale l'idolo nascosto nel suo cuore? Di cosa ha bisogno per passare dall'autosalvezza alla salvezza'' Mi sc1nbra in1portante sottolineare, ancora una volta, a scanso di equivoci, che tutto ciò non va fatto da una posizione di superiorità, 111a "togliendosi i calzari", stando con Maria, la sorella di Lazzaro, ai piedi dell'altro, in posizione di minorità ('come un frate minore e servo inutile'""), con volontà di imparare da lui, chiunque sia, liberi da pregiudizi, e come Maria, la madre del Signore, imparando a custodire nel cuore tutto ciò che l'altro vive e narra, tollerando ciò che ancora non si capisce, contenendone contraddizioni cd a111bivalenzc1,]. Seconda tappa: meditare su ciò che l'altro mi dice. Ogni comunicazione ha un aspetto relazionale oltre che contenutistico: questo significa affern1are che in ogni interazione ogni persona dà una definizione di sé (come mi vedo di fronte a te) e dcl partner comunicativo (come ti vedo di fronte a me) ed esprime un 'intenzionalità relazionale. È importante, allora, prendersi tempo per rileggere quello che l'altro dice al fine di capire cosa vuol comunicare dal punto di vista relazionale: attraverso i contenuti che esprin1e, la persona che ci parla «ricerca e prende informazioni sulla relazione: fino a che punto aprirsi, fidarsi, sentirsi w l!lun1inanti in questo senso risultano gli studi di psicologia sisten1ica; cfr, ad es., (Ì. BATESON, Verso 1111 'ecologia della 111ente. Milano 1976. 611 FRANCESCO D' Ass1s1, Regola 11011 bollata, in f~onli fì·anccscane, cit., 39. 1 " Il j'.)'/nballein usalo in Le 2,19 non richian1a forse i! reggere gli opposti? Cfr F.R. DE (l/\SPU<.JS, A1aria di 1Vazareth. Icona di Israele e della Chiesa, Magnano (Ve) 1997, 136.
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Nello De// 'Agli
contenuta? Dalle risposte a queste domande derivano l'instaurarsi, il proseguimento e l'efficacia»" del dialogo con noi. Questo significa che (guariti da uno dei mali che affliggono il mondo ecclesiale, la miopia relazionale, dovuta al mantenimento di una mentalità esclusivamente verità-dipendente), bisogna imparare a "meditare" sui messaggi delle persone che ci parlano domandandoci: «Cosa sta cercando di dire a me sulla nostra relazione? Quello che mi dice e quello che gli dico che tipo di relazione stanno costruendo?» 1' 1 Accogliere, custodire e ruminare (cfr Pr 2) le parole dell'altro in quanto rivelative del tentativo che sta compiendo per costruire il rapporto noi, è passaggio obbligato di ogni relazione autenticamente significativa'·". Terza tappa: rispondere. Se si è stati realmente disponibili ad ascoltare l'altro senza difese, con empatia e in spirito di minorità, e nel contempo facendo attenzione a se stessi, è possibile incontrare l'altro e rispondergli creativamente. Ogni incontro è autenticamente tale se «si basa sulla condivisione delle intenzionalità reciproche dei partners coinvolti e se permette la creazione di un sintesi effettiva tra le posizioni in gioco. Una figura nuova, in termini gestaltici, è il risultato e il segno di un valido contatto. Nella misura in cui uno dci partners in interazione prevarica e in1pone la propria definizione della situazione, si ha un contatto nevrotico, non nutritivo. E questa ci pare anche la lezione della moderna ermeneutica: perché un vero dialogo accada tra i dialoganti deve avvenire la lotta, e alla fine nessuno dei due deve asservire l'altt·o, ma nella fatica della contrattazione bisogna che si mTivi insien1e ad un orizzonte inedito rispetto ai due orizzonti di appartenenza: ciò che Gadamer (1983) chiama fosione di orizzonti»"'. Ogni incontro autentico è incontro-scontro con l'altro, esodo verso l'altro e di lui accoglienza per camminare insieme verso una terra-altrove che è il luogo della crescita. Quarta tappa: assimilazione del!' iucontro. ~ G. SALONIA, Te111po e relazione. L'intenzionalità enneneutica co111e orizzonte enneneutico della Gesta// Terapia, in Quaderni di Gesta// 8 (1992) 14, 12. 6
h_, L.c. 1
'-1 Aiutano in questo senso gli studi sul!a prag1natica della connmicazione u111<1na e quelli sui processi transfcrali che in essa incvitahiln1cntc avvengono. Cfr ad es., P. W ATZLA \VICK - J.H. BEA VIN - D.D. JACKSON, Prag111atica della co1n1111icazione 11111a11u, Ron1a l 971 e M. NOVELLINO, L'Analisi Transazionale del Tran~jèrt, Milano 1988. 65 M. SPAGNUOLO LOBB - G. SALONI!\ - A. S!CllERJ\, Dal "c/;sagio della civiltà" a//'adatta111e11to creativo. li rapporfo i11divid110-co111u11itò nella psicoterapia del terzo 111i!len11io, in Quaderni di (7estalt 13 ( 1997) 24-25, I02-103.
VfrJ!enza e ascolto nel ca1nn1ino del credente
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Guigo Il il Certosino"" parla dell'ultima fase della lectio divina come quella dell'assimilazione saporosa della parola del Signore. Analogamente la psicoterapia della Gestalt ha evidenziato come l'organismo umano nel suo contatto con l'ambiente passi attraverso diverse fasi (pre-contatto, contatto, contatto pieno e post-contatto)"', di cui quest'ultima ha il senso di un 'assimilazione digestiva dello scambio con l'ambiente. Ebbene, dopo ogni dialogo con una persona, è necessario fermarsi a "digerire": cosa abbiamo imparato di nuovo su di noi e sull'altro, cosa mi è difficile capire e digerire di lui; cosa rimane aperto? Ogni dialogo autenticamente tale allarga l'orizzonte e permette una visione più complessa e approfondita delle cose. Violenza o ospitalità, violenza o compassione, violenza o altruismo: la vita ci porta a volte o spesso ad un bivio, ed il dolore può farci imboccare l'una o l'altra direzione. La disponibilità all'ascolto (di Dio, degli altri, di noi stessi e del bambino che vive dentro di noi) ci porterà più utilmente a trasfigurare il dolore e ad imboccare la via della crescita. «Ascolta, Israele ... » «Avvicinarsi per ascoltare vale più dcl sacrificio offerto dagli stolti che non comprendono neppure di far male» (Qo 4, 17).
66 GUIGO II IL CERTOSINO, Lei/era a//'a111ico Gen;aso sulla vita conte111ploOva, in Pregare la Parola. JntroduzhJne alla "Lf'ctin Divina", a cura di E. Bianchi, Torino 1990, 105-123. 67 F. PERLS - R.F. HEFFERLINE - P. GOODMAN, Teoria e prafica della terapia della Gesta/!, Rorna 1997.
Synaxis XVIll/2 (2000) 335-352
TRACCE PER UNA SPIRITUALITÀ DELLA PACE IN SICILIA ALBERTO NEGLIA O. Carrn:
Pren1essa Quando si parla di pace, oggi, facilmente si fa riferimento ad alleanze strategiche, equilibrio di forze e di armi; si ritiene quindi che la pace sia frutto di alchimie politiche e del buon senso dci "grandi" di questo mondo. Preoccupa che in questa logica, a volte, sono coinvolti anche i credenti, i quali si pongono accanto alle altre forze politiche e sociali e ai poteri di questo mondo, e ritengono di dover usare gli stessi mezzi e la stessa strategia per conseguire la pace. li loro discorso appare privo di un'ossatura profetica e di quella creatività che scaturisce dalla preghiera come familiarità del credente con il suo Signore che è la Pace. Per recuperare quest'anima profetica, propria del credente, è bene lasciarsi illuminare dalla Parola biblica e soprattutto dal vissuto di Gesù.
1. Pace e attesa n1essia11ica Nella riflessione veterotestamentaria, la pace (shalom), il cui opposto è violenza (han1as), non è solo assenza di tensione o gue1Ta, 111a positivamente designa il benessere dell'esistenza quotidiana, lo stato dell'uo1no che vive in armonia con la creatura, con se stesso, con Dio. È prosperità e pienezza di vita, è tutto ciò che è donato da Dio a qualsiasi livello, per cui si può dire con il profeta che pace e salvezza sono sinonimi: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi, che annunzia la pace, n1essaggero di bene) che annuncia la salvezza, che dice a Sion: Regna il tuo Dio» (ls 52,7). La pace, quindi, è dono che procede da Dio e non dagli uomini, essa è costitutiva della natura di Dio, infatti, Pace è il suo nome, "Jhwh-Shalom" (Gdc 6,24).
Docente incaricato di Teologia spirituale nello Studio Teologico S. Paolo di Catania.
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A/herto Neglia
Proprio perché la pace è da Dio, i profeti contestano la pace come frutto di accordi e compromessi con i popoli vicini, ritenuti più forti, una pace che fa a meno dell'impegno della conversione personale e della pratica della giustizia verso i poveri e gli oppressi. Essi, inoltre, collegano l'idea della pace con l'attesa del Messia: l'Emmanuele, il Dio-con noi "sarà la pace" (Mi 5,4). Egli instaurerà una pace non riservata a Israele, ma universale, che si stabilirà fra tutti i popoli, per cui, nell'esperienza più genuina di Israele, l'attesa dcl Messia è anche attesa della pace e la preghiera per la pace è preghiera per la venuta del Messia.
2. Gesù nostra pace
Gesù non delude le attese di Israele. Dai racconti evangelici emerge l'immagine di Gesù-Messia che porta a compimento gli annunci profetici in ordine alla pace. li Nuovo Testamento, in altri termini, proclama che la pace, oggetto della speranza d'Israele, è in atto dal momento in cui Dio visita il suo popolo «per guidare i nostri passi sulla via della pace» (Le 1, 79). Nel vangelo di Luca, in particolare, è presente una grande inclusione tematica che evidenzia che tutta l'esperienza di Gesù è una parabola di pace. In esso, infatti, è detto che quando Gesù, "Principe della pace" (Is 9,5), nasce a Betlemme, gli angeli annunciano la pace agli uomini oggetto della benevolenza di Dio (Le 2, 14 ). Nello stesso vangelo è detto che Gesù risorto, durante l'ulti1na apparizione ai suoi apostoli, consegna ad essi la pace co1ne dono e sigillo che caratterizza tutta la sua vita (Le 24,36). Non solo il racconto di Luca, del resto, ma tutto il Nuovo Testamento non è altro che annuncio della pace compiuta in Cristo. Gesù viene sulla terra per annunciare agli uomini che Dio è Signore di tutti e quindi per portare a tutte le genti la nuova novella della pace (At 10,36). Egli non è solo colui che evangelizza la pace, ricorda Paolo, ma anche colui che mediante il sangue della sua croce, riconcilia tutte le cose, facendo la pace (Col 1,20). Con la sua morte in croce, sottolinea ancora l'Apostolo, Gesù distruggeva in sé I 'inin1icizia, abbatteva il 1nuro di separazione che teneva lontani giudei e pagani, e creava un uon10 nuovo, per cui, conclude Paolo, «Gesù è la nostra pace» (Ef2,14). Se Gesù è la nostra pace, se con la sua croce e la sua resurrezione dai mmii Dio ha riconciliato con sé il mondo intero che gli era nemico, allora il tema della pace, per coloro che credono nel Dio di Gesù di Nazaret non sì
Tracce ]Jer una sph·itualità della pace ù1 Sicilia
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pone come esigenza etica o sociale, ma sta nello spazio della fede ed è di ordine cristologico e rivelativo'.
3. Pace e vita spirituale
Se la pace fosse qualcosa di sovrapposto alla vita di fede, il suo riferimento si potrebbe trascurare senza che la vita spirituale ne venisse a soffrire sostanzialmente. Ma poiché la pace è intrinseca al dono globale, definitivo e supremo fatto da Dio all'uomo per mezzo di Gesù Cristo, allora la pace è costitutiva della vita spirituale, in quanto vita coinvolta nel dinamismo trinitario e animata dallo spirito del Padre e del Figlio, che è spirito di comunione e di pace. Se la vita spirituale è, nello Spirito e mediante Cristo, coinvolgimento esperienziale permanente con il Dio della pace, «essa non può svolgersi al di foori di un dinamismo pacificatore proiettato nella storia. Più ancora, poiché la pace appartiene all'identità delle tre persone divine, l'essere umano non può sottrarsi a riconoscersi caratterizzato essenziahnente da essa»". In questo orizzonte far maturare un impegno serio per la pace nella propria vita spirituale corrisponde ad uno svilupparsi dell'uomo secondo un progetto esistenziale che fa proprio il progetto di Dio. Perché creato ad immagine di Dio, la pace è nativamente iscritta nel cuore di ogni uomo. Ma essa, per ogni credente è anche proposta esplicita da parte di Gesù. Egli, nel discorso della montagna, designa un profilo spirituale dei suoi discepoli, proclamando «beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). li tcnnine eirenopoiòi, usato da Matteo, composto da pace e da.fare si potrebbe meglio rendere con "costruttori di pace" ed evidenzia che «non si tratta di sognare un mondo magico, ma di fare qualche cosa di concreto, nel inondo così con1'è, con i suoi tren1endi antagonisn1i, egoismi, durezze e contraddizioni. Si deve fare la pace, nello stesso senso con cui si fa un ponte o una casa, cioè si deve costruirla con il proprio sforzo»'. Il credente che incontra il Dio della pace, insomma, non può chiudersi in se stesso.
1 Cfr E. BIANCHI, L'annuncio della pace nella Bibbia, in La pace, dono e proJCzia, Magnano (Ve) 1985, 3. 2 S. DE FlORES, Vita spirituale, in Dizionario di teologia della pace, a cura di L. Lorenzctti, Bologna 1997, ! 022. _i R. COSTE, Pa1):, in DSp 12,l, col 44.
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Alberto Neglia
Il Dio che lo coinvolge, infatti, è il Dio che si mischia con la storia del suo popolo, è un Dio che, nel figlio Gesù, fa la pace appassionandosi al "reale", inserendosi nei fraintendimenti di un incontro di una relazione concreta, accettandone tutto il rischio. Sequestrato dà Gesù, il credente non ha semplicemente il permesso, ha l'obbligo di sfare nella conflittualità della vita e di prendere posizione, se vuole vivere e scoprire di persona ciò che crede. Come vivere da uomo di pace i conflitti, senza cedere allo logica della violenza e alla tentazione dell'aggressività che tende a sopprime l'altro?
4. La proJJOs/a cli un can11ni110
La pace è certamente dono di Dio, ma non diventa in modo miracolistico prassi dell'uomo, essa richiede un processo educativo personale e comunitario. Questo itinerario, tra l'altro non è pianificabile per tutti perché va adattato alla sensibilità e alla situazione di ogni persona, e dipende anche dalle situazioni esterne con cui ognuno è chiamato a misurarsi. Pur tenendo conto di tutto questo, è possibile, comunque, proporre alcuni atteggiamenti da coltivare per vivere, all 'intemo delle realtà conflittuali, come pellegrini di pace. Ne indichiamo alcuni: 4.1. Purificazione del cuore e amore ai nemici li cuore, biblicamente, è il luogo delle decisioni e delle scelte, ma il cuore è fonte di ogni maligni là umana (Ml 15, 19) e tende ad essere imprigionato nelle spire dell'odio e della vendetta, deve quindi essere liberato da queste strette per seguire l'esempio di Dio pronto al perdono. Il primo in1pegno, quindi, è verso se stessi. C)è una logica n1011t!ana che taglia l'esistenza e coinvolge principalmente il cuore da cui bisogna liberarsi per attivare una prassi di pace. Dal cuore, liberato, purificato e abitato dallo Spirito del Signore Gesù, muove un alleggiamento nuovo che abilita il credente a convertirsi dalla logica della rappresaglia alla logica dell'amore dci ne1nici. In Gesù, che prende posto nel cuore dell'uomo e lo riplasma, infatti, il rapporto con il prossimo è definito dall'amore, ne consegue che l'esperienza di amore è l'humus da cui emerge la proposta di pace di Gesù. Ed in Gesù l amore ro1npe i inuri della separazione e dilaga abbracciando anche i ne111ici. L'invito «an1a il prossin10 tuo con1e te stesso», noto alla tradizione 1
Tracce per una spiritualità della pace in Sicilia
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veterotestamentaria, viene da Gesù modificato e portato a compimento con una nuova proposta: «Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Mt 5,44). Questo nuovo aspetto dell'amore tra gli uomini, che trova la sua fonte esemplare nella misericordia del Padre, «che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gl'ingiusti» (Mt 5,45), disinnesca in modo radicale l'ideologia del nemico che lungo la storia biblica e quella successiva cristiana ha giustificato l'eliminazione fisica dell'altro uomo. Da Gesù in tal modo viene proposto, anche nelle situazioni di tensione e di violenza, l'amore come unica realtà capace di spezzare la spirale della violenza e la logica della rappresaglia, di liberare il malvagio dalla sua iniquità e di dare un indirizzo pacifico ai rapporti tra gli uomini. Questo amore incondizionato per i nemici, proposto da Gesù, non è sinonimo di ingenuità di fronte ai soprusi quotidiani; né si identifica, come giustamente fa notare G. Mattai, con il silenzio pavido, la rassegnazione passiva e l'abdicazione morale di fronte all'ingiustizia, alla violenza oppressiva, al rifiuto del progetto salvifico di Dio. Nel suo comportamento pratico, che illu1nina il suo tnessaggio, Gesù non ha mai esitato a denunciare con estrema chiarezza violenze e peccati, a qualunque livello fossero compiuti. Lo ha fatto con tanta fermezza di linguaggio e vigore profetico di atteggiamenti da attirare su di sé una reazione violenta, culminante sulla croce. Egli quindi ha insegnato con le parole e con la vita che alla violenza e al peccato bisogna reagire, non però seguendo la legge del taglione e usando strun1enti di 1no1te, 1na con la forza creativa dcl1 1an1orc che stign1atizza la violenza e i soprusi, ma si preoccupa anche di recuperare il 1nalvagio e l'oppressore. Gesù è modello vitale di tale amore per i nemici: egli durante la passione non solo non restituisce gli insulti e non 1ninaccia (1 Pt 2,23), n1a dalla croce prega il Padre per i suoi crocifissori, implorando per essi il perdono (Le 23,34). 4.2. La nonviolenza La nonviolenza è forza attiva che si interessa degli altri uomini, del loro avvenire, della loro conversione. Gesù vive questo atteggiamento e lo propone come stile profetico (Mt 5,20-48), che spiazza e confonde l'avversario perché ehi lo pratica si fa ~ Cfr G. MATTAI,
Sulla pace, Napoli 1984, 21.
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carico del male altrui e del mondo. Il nonviolento, infatti, nella proposta di Gesù, è colui che guarda l'altro non soltanto come è oggi, servo delle tenebre, ma come potrebbe essere, figlio della luce. Per questo, anche se l'altro si serve, della violenza aggressiva e delle armi, il nonviolento userà strumenti innocui per offrire al nemico la possibilità di un futuro diverso, alternativo alla violenza. Per comprendere meglio questa proposta di Gesù, è bene prendere in considerazione la sua esperienza, soprattutto il modo come vive la sua cattura, il processo e la crocifissione. Egli ha un modo dirompente nell'affrontare la violenza ingiusta che lo porta alla morte infamante e dolorosa della croce. Nell'orto del Getsemani, infatti, al discepolo che tenta di usare la spada, Gesù impone di rimetterla nel fodero (Mt 26,52), perché è convinto che le armi come tali appartengono a una economia di mo11e che ha «per padre il diavolo, colui che è omicida fin dal principio» (Gv 8,44), e quindi chi si affida alle armi, non si affida al Signore, ma al diavolo che da sempre si oppone alla legge di Dio. Gesù, quindi, rinuncia a una difosa armata e rinuncia ai poteri che gli vengono dall'alto per distruggere gli avversari. Egli, invece, si riveste di una 1nitc fortezza e patisce nella sua carne l ingiustizia e la violenza. Così facendo, egli apparentemente non porta nessun cambiamento alle forze storiche, ma offre ai poveri una potenza che sta tra le componenti della storia: una potenza disarmata, una violenza di pacifici che è veramente efficace'. 1
4.3. La tolleranza La tolleranza ci viene imposta, oggi, dalla stessa necessità di sopravvivenza, tanto è vero che l'ONU ha sentito il bisogno di proporre il 1995 come "l'anno internazionale della tolleranza", vista questa come condizione e fondamento della pace sulla terra. Qui la proponiamo come scelta consapevole e quindi vissuta non come passiva sopportazione di conflitti, ma come gioiosa fatica quotidiana, attiva ricerca del giusto punto di incontro tra noi e l'altro, tra noi e il diverso. L'uomo impara la tolleranza guardando al modo con cui Dio tratta le sue creature e soprattutto contemplando ciò che ha fatto il giusto per eccellenza, Cristo: volto, cuore, parola di Dio.
'Cfr E.
BlANCIII,
L'annuncio ... , cit., 25.
Tracce per una jpfritua/ità della ]Jace ;,1 Sicilia
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La tolleranza quindi non è dell'indifferente, non implica neutralità di pensiero, anzi quanto più la persona ha chiara la propria identità e si avverte unificata da una presenza, tanto più sarà nelle condizioni per coltivare l'attitudine alla tolleranza. La vita avvolta da una presenza/verità, non ci può rendere intolleranti perché suscita in noi il senso del fascino e della meraviglia che sempre ci sorprende. li dogmatismo, invece, rende intolleranti: chi pensa di possedere la verità falsifica il mistero e diventa automaticamente intollerante, accecato dall'orgoglio. Chi invece cerca la verità si arricchisce della conoscenza che di essa ha ogni persona e della luce stessa di Dio. Cristo ha detto che la verità rende liberi: liberi dalla presunzione di avere il monopolio dell'ortodossia; liberi dai pregiudizi che impediscono di apprendere sempre da ogni persona, soprattutto dai più piccoli e dai più poveri; liberi dal fanatis1no che induce a perseguitare un essere umano, ritenuto 1neno
importante di un principio o di una astratta categoria mentale". La tolleranza, quindi, è la virtù della persona unificata, pacificata, forte, che sa pazientare, che non si ilTigidisce, che prende la vita con sereno coraggio, che accetta di camminare nella diversità di opinione, di pensiero e di fede, e che fa ricorso al dialogo per superare l'errore, nella consapevolezza che nessuno ha il monopolio della verità e che questa si presenta in modo poliedrico. ln questo orizzonte chi dialoga si apre agli altri non tanto per msegnare, quanto per apprendere. Un dialogo, infatti, che mira principahnenle a convertire l1altro non è fecondo, 1nentrc I1intesa arriverà come dono a chi con pazienza saprà donarsi e saprà accogliere. 4.4. Rispetto per il creato Proporre oggi il rispetto per il creato o parlare di ecologia non significa voler affrontare un tema culturale alla moda, ma è un'urgenza. L'inquinamento dell'acqua, dell'aria, della terra è la conseguenza di un rapporto scmTetto, violento tra l'uomo e l'ambiente, un rapporto innaturale, tra creature pensale da Dio per vivere in pace. La natura è oggi in più maniere violentata. li fenomeno è preoccupante per la sua ampiezza a scala 1nondiale, per la vastità a vari livelli, e perché è avanzante con l'avanzare della logica del profitto.
° Cfr
B. HAERING - V. SALVOLDI, Tolleranza. Per un'etica di solidarietà e di pace,
Milano 1995, 69-70.
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Il cristiano maturo, consapevole di questo dato di fatto non può esimersi dal farsi promotore di uno stile di vita che contesta profeticamente gli atteggiamenti consumistici, rinunciando a un tenore di vita che si è dimostrato essere incompatibile con le leggi dell'equilibrio uomo-natura e assumendo una sobrietà capace di rendere vivibile il nostro pianeta badando alla qualità di una vita da sviluppare nella solidarietà.
5. Pace in Sicilia
Banco di prova degli operatori di pace è la propria comunità, una comunità che si allarga e che abbraccia l'ambiente con tutte le sue diversità e conflittualità. È lì che il credente è chiamato a «vivere in pace con tutti» (Rm 12,18), e a «propagare il vangelo della pace» (Ef6,15). È giusto quindi domandarsi: come essere uomini di pace in Sicilia? È opportuno ricordare, ancora, che l'opposto a pace (sha/0111), non è guerra, ma violenza (hamas), la violenza essenziale che scompagina il complesso delle relazioni tra l'uomo e Dio, tra l'uomo e le cose, tra l'uomo e l'altro uomo. Violenza è qualsiasi influenza che fa sì che lo sviluppo umano, sociale, politico, psicologico, spirituale sia inferiore a quello che sarebbe possibile. Il problema della violenza non è solo un problema di persone ma è sovente un problema di stru!ture che impediscono lo sviluppo. Essere operatori di pace in Sicilia, allorà significa prima di tutto iudividuare quali sono le forme personali o strutturali di violenza, palesi ma anche nascoste o sofisticate che condizionano lo shalom personale e comunitario, per snidarle, individuarne le cause e per cercare di neutralizzale per consentire la crescita di rapporti nella giustizia e nell'armonia.
6. La J?ace cfal riconoscilnento dei diritti un1ani
Si tratta, in altri termini di educarsi a leggere la realtà siciliana che non può dirsi appiattita su un paradigma omogeneo. Presenta massicce contraddizioni insite nel suo tessuto che postulano un vigilante discernimento nelle scelte quotidiane. Alcune di queste contraddizioni, quali quelle tra società legale e società illegale; tra elementi che denotano una forte spinta vitale e elementi che segnalano i sintomi di una società seduta; tra consumi medio-alti e povertà reale di gruppi sociali particolari, le
Tracce per una sph·itua/;tà della pace in Sicilia
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evidenziava, parecchi anni addietro, il prof De Rita nel convegno delle Chiese di Sicilia del 1985'. Dì fronte alle contraddizioni a volte volute, programmate, segni evidenti di diritti umani calpestati, non si può reagire con una espressione tipica della nostra cultura siciliana: «lo sono in pace con tutti perché mi faccio gli affari miei e penso alla mia famiglia». La pace deve partire dal riconoscimento dei diritti umani fondamentali di ogni uomo\ soprattutto di chi non se li trova riconosciuti, cioè dei poveri e dei più emarginati. E i diritti umani violati in Sicilia sono certamente molti. Il rapporto uomo-donna, per esempio, è costitutivamente falsato da pregiudizi ideologici e da squilibri di forza. Certo, formalmente sono superati certi schemi sociali e culturali che vedevano la donna subordinata in tutto ad un contesto che poneva il maschio al centro dell'attenzione e del potere reale. Ma, non possiamo chiudere gli occhi sulla situazione che vivono «!ante ragazze nei nostri paesi e nei quartieri popolari delle città: non studiano, non lavorano, sono tenute in casa senza quasi avere possibilità di uscire e di frequentare altri ambienti, talora neanche la Chiesa ... »''. «La costruzione della pace non può prescindere dal riconoscimento e dalla promozione della dignità personale della donna»"', l'uomo di pace, allora non può fare a meno di «valutare e intervenire in tutte quelle strutture di potere economico, politico, culturale, religioso che non consentono l'esprimersi di tale dignità»". Accanto alla donna è da prendere in seria considerazione la situazione dei bambini a cui in vario modo spesso si fa violenza e in modo pa1ticolare con la piaga della pedofilia. Altri ambiti certamente segnati dalla violenza a cui l'uomo di pace non può restare indifferente è quello della disoccupazione, del lavoro, ma anche quello della salute, quello ecologico, quello del dialogo interculturale 7
Cfr G. DI·: RrrA, La società siciliana tra contraddizioni e speranza, in CONFLRENZA EPISCOPALE SICILIANA, Una presenza per servire, Palcnno 1985, 65-70. H «Solo quando una cultura dci diritti u1nani, - scriveva Giovanni Paolo II qualche anno fa nel 1ncssaggio per la gion1ata della pace - rispettosa delle diverse tradizioni, diventa parte integrante del palri1nonio n1orale dell'umanità, si può guardare con serena fiducia al futuro» (GJOVANNI PAOLO II, Nel rispe'ito dei diritti 111na11i il segreto della pace vera, in Il Regno 828 [ 1999] 5). 9 S. PAPPALARDO, l,e chiese di Siciha: una presenza per servire, in CONFERENZA EPISCOPALE S!C!LJANA, Una presenza per servire, cit., 60. ioGJOVANNl PAOLO II, Donna: educatrice alla pace, in Il Regno 740 (1995) 2. 11 A. V ALERlO, Donna, segno di contraddizione, in Dizionario di teologia della pace, a cura di L. Lorenzeui, Bologna 1997, 3 70.
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soprattutto con i popoli che si affacciano sul Mediterraneo. Possibilmente. questi ambiti saranno esaminati negli altri contributi di questa monografia, per cui non li approfondisco. Mi preme, invece, riflettere su quella forma organizzata della violenza, presente in modo notevole in Sicilia, che è la mafia, perché essa in un modo o in un altro calpesta i più elementari diritti umani, innerva gli ambiti menzionati e vi incide negativamente. L'uomo di pace si pone il problema: come vivere da credente, animato dallo Spirito e dalla passione evangelica, di fronte alla mafia?
7. La mafia come negazione della pace
Sì, perché la mafia non è un fenomeno qualsiasi, è la violenza organizzala, quindi è la negazione della pace. È un'associazione di persone che, per il raggiungimento di un maggior potere economico, politico, di prestigio, personale o di gruppo, operano senza scrupolo con totale disprezzo dei diritti degli altri. L'immagine della piovra la descrive bene, perché è strisciante, impalpabile, s'insinua con i propri tentacoli dovunque, corrompendo le coscienze, in quanto fa leva su tre elementi importanti: denaro, potere e paura". Essa con favori o con n1inacce avvicina e coinvolge uon1ini politici, amministratori locali, magistrati, banchieri e anche uomini di Chiesa. Fa uso sistematico della violenza che viene impiegata per intimidire l'ambiente, per pura vendetta, per "ammaestramento". Fonda il suo potere sulla paura e sull'omertà. Ed allora, che fare? Come stare di fronte a un nemico invisibile, che si mimetizza nei vari strati sociali e che può avere il volto dell'emarginato o del fi.mzionario, del politico o del magistrato? Ci rendiamo conto che il metodo repressivo non è sufficiente, come non sono sufficienti dichiarazioni eclatanti, anche di uo1nini di Chiesa, che lasciano la situazione come prima. Certo è importante parlare, ma soprattutto è urgente l'elaborazione di un processo educativo che sottragga l'operatore di pace ed ogni uomo da un atteggiamento mafioso che spesso viene assi1nilato con1e l'aria che si respira 11 . ~ Cfr G. (iIOIA, Quale nonviolenza di.fi·o11te alla n1afla?, in Un no111e che ca111bia. J,a nonviolenza ne!la società civile, f\1olfetta (BA) 1989, 105. 13 «La Chiesa - fa giustainente notare S. Consoli - particolannentc nella predicazione e negli interventi autorevoli, non può !i1nitarsi alla denuncia del 1eno1neno 1nafioso, per la prevalente preoccupazione di parlare all'opinione pubblica, 1na deve rivolgere il pressante
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Questo impegno non può essere compito del singolo credente, ma deve essere assunto dalla comunità cristiana, nel suo insie1ne 14 •
8. La pacefi~utto di conversione Prendere coscienza di questo, non è roba da poco e non è compito del singolo cristiano, ma dell'intera comunità. Ebbene una Chiesa così interpellata, cosa deve fare? Se è fondata l'affermazione di Falcone che la mafia ci assomiglia, ci asso1niglia co1nc stato e con1c società civile e come co1nunità ecclesiale, nel senso che il sistema di comrzione è certamente alimentato anche dal basso, dai nostri comportamenti, allora il primo cammino da intraprendere è quello della conversione. Quando si parla di conversione, non si tratta solo di una trasformazione dello stile personale da parte del singolo credente o del singolo pastore; ma è in gioco la stessa identità della Chiesa. Convertirsi, vuol dire, prima di tutto, lasciarsi alle spalle un modello di Chiesa "giuridico gerarchico", fortemente conservatore delle relazioni sociali esistenti, che lascia pochissimi spazi praticabili per contrastare il fenomeno mafia. Convertirsi è dar vita a un modello di Chiesa che, avendo co1ne radice e con1e orizzonte la coinunione trinitaria, si concretizzi in "popolo di Dio", in popolo storicamente in cammino e radicato in un territorio. Questo modello storico liberante viene indicato da più parti come via della Chiesa italiana e ci sembra l'unico modello in grado di far fronte all'en1ergenza mafiosa 15 • 8.1. Farsi minoranza pellegrina Questa Chiesa, "popolo di Dio" in cammino è chiamata a mettersi definitivamente alle spalle forn1e di connivenza con i poteri dell'Isola e a appello e dare un vero aiuto alla conversione, facendo prevalere la preoccupazione di parlare alle coscienze» (S. CONSOLI, la 111qfìa nel pensiero di Giovanni Paolo Il, in Synaxis 14 [ 1996] 176). Cfr anche C. NARO, !11cult11razione dellafède e "ricaduta" civile della pastorale, ibid, 74. 14 «Con1e la soluzione del proble111a inafia richiede un can1bian1ento radicale della vita politica e della società, così af1ì·ontarc il feno111eno n1afia deve essere per la Chiesa un 111odo di rin1etterc in discussione la vita stessa della con1unità ecclesiale» (F.M. STABILE, Cattolicesilno siciliano e 111qfìu, ibid.. 53). 15 Cfr G. MAZLJLLO, 1'4ode/li ecc/esiologici e contesto 111q{toso. in Chiesa e lotta alla 1nc!fia, Molfetta (BA) 1992, 47-59.
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farsi minoranza pellegrina, assieme ai poveri, lasciandosi guidare dall'unica Parola che salva"'. Questo ca1nmino, questa purfficazione della n1e111oria, è necessario, perché se è vero che è esistito un forte nesso tra mafia e politica e soprattutto con i partiti al potere; se è vero che è esistito un forte collateralismo tra chiesa e D.C. (partito al potere per oltre 40 anni in Sicilia), allora esiste anche una responsabilità della Chiesa nel fenomeno mafia. La Chiesa è stata parte della classe dirigente in Sicilia e nel paese, nel bene e nel male. Fatte le debite eccezioni, ha condiviso il comportamento del potere e i consegnenti benefici, per ingenuità (per motivi ideologici: panra del comunismo) o per interesse. La Chiesa nel corso di questi decenni è stata più oggetto di sollecitazioni che soggetto protagonista di cambiamento e di vera promozione nel nostro me1idione. Essa talora si è adeguata ad atteggiamenti e comportamenti diffusi nella realtà meridionale, quali la dipendenza dalle istituzioni pubbliche, la richiesta di intervento, la stessa accettazione di pratiche clientelari, compiendo un'opera di mediazione con i pubblici poteri. In altri termini non è stata "altra" rispetto alle dinamiche culturali e sociopolitiche del contesto meridionale, perdendo di lucidità e determinazione nell'animazione di una promozione del Sud in qualche misura liberatorio rispetto ai 1neccanisn1i dispersivi. Contro questa situazione, i vescovi italiani, un decennio fa scrivevano: «La Chiesa, oggi, in Italia, specie quella operante nel Sud ... deve espri111ersi co111e segno di contraddizione ... , in ogni scelta, rispetto alla cultura secolarista ed utilitaristica e di fronte a quelle dina1niche socio-politiche che sono devianti nei confì·onti dell 'autcntico bene con1unc. La chiesa deve essere profetican1entc libera ... da ogni influsso, condizionan1ento e ricerca di potere nialinteso; deve educare con la parola e la testin1011ianza di vita alla prin1a beatitudine del vangelo che è la jJovertà, co1ne distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni a111biguo co111pro1nesso o ingiusto privilegio, con1c servizio fino al dono di sé, con1c esperienza generosatnentc vissuta di sol idarictà>> 17 •
11 ' «Questa Chiesa, sottolinea F. M. Stabile, deve clefinitivan1entc chiudere con le con111ronìissioni con il potere politico e con le éliles locali, deve avere più fiducia nella IOrza dcl Vangelo e della con1unità e costituirsi con1e con1unità di fede critica di fronte alla società in cui vive piuttosto che cercare consensi e appoggi per nostalgie o illusioni di ricostruire una unità che non sìa di fede e di carità» (F.l'vL STABILE, Callolicesilno ... , cii., 53-54). 17 CE!, Chiesa italiana e 1\4ezzogior110: sviluppo nella solidarietà, Milano 1989, 25.
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Qui, in pratica, viene ricordato che la Chiesa diventerà segno di contraddizione nei riguardi di una certa mafiosità di comportamento, se diventerà profeticamente libera e povera. Libertà e pove1ià sono intimamente collegate. È libero, chi è talmente povero per scelta da non avere più paura, perché non ha più niente da perdere. E allora mi sembra opportuno sottolineare con P. Sorge: «La nuova evangelizzazione esige che uscia1no dal Ten1pio per abitare la Tenda [ ... ]. È giunta l'età della tenda, di una Chiesa, cioè, che quale 1ninoranza non1ade, si acco1npagni agi i uo1nini nel polveroso can11nino attraverso le 1nille vie della storia» 1s.
Questa povertà non è segno di timidezza, ma di coraggio, di "parresia", e consentirà alla Chiesa di liberarsi da qualsiasi compromesso politico mafioso. Solo una Chiesa effettivamente povera, infatti, può liberarsi realmente dalle forme più o meno occulte di collusione, di connivenza o di omertà nei confronti di posizioni dcl potere mafioso, soprattutto in occasioni di tornate elettorali e nelle procedure per chiedere finanziamenti, pur legalmente leciti, ma inquinati da meccanismi clientelari per ottenerli 19 •
8.2. La profezia della solidarietà e della partecipazione Una Chiesa, popolo di Dio in cammino, povera, libera dalle amicizie ambigue e interessate, potrà essere solidale con i poveri e con gli oppressi, potrà meglio condividere la povertà e la modestia di vita della gente, interpretarne i bisogni, e opporsi al mito dcl facile guadagno e al sequestro dcl denaro pubblico da parte di alcuni gruppi di potere. Questa solidarietà allargata, sarà profezia nei riguardi della frammentazione, frutto dell'individualismo borghese e della solidarietà limitata, tipica della cultura mafiosa. Una Chiesa povera e solidale con i poveri eliminerà al suo interno ogni atteggiamento mafioso, presente in essa quando nelle comunità ecclesiali le decisioni operative non vengono prese in n1odo dc1nocratico, 1na vengono imposte dall'alto; quando in essa non c'è un uso pubblico, trasparente e controllato di tutto il denaro e dei beni di cui dispone; quando 1
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P. SOHGE, La presenza dei religiosi in Sicilia, in CONFERENZA EPISCOPALE U11a presenza per servire. 1 religiosi nella vita e nella 111issione delle chiese e/; S'ici/ia, Palcrn10 1989, 136. 19 Cfr L. AscnJTTO, 1'1ajìa e conversione della chiesa, in Segno l 07- ! 08 (1989) 14. SICILIANA,
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non si ascoltano in essa le voci delle minoranze e anzi le si soffoca sul nascere; quando in essa le fanne di esercizio dell'autorità non si fanno servizio, ma esercizio di potere"n. Una Chiesa povera diventerà luogo della sinodalità, cioè spazio dove si ca111111ina insien1e, attraverso un processo che si concretizza nel progettare, nel discernere le diverse alternative di azione, nel decidere, nel realizzare quanto è stato deciso, nel verificare i risultati e gli effetti di quanto è stato realizzato, nel riorentare i metodi, gli strumenti, la direzione del cammino stesso, e quindi anche l'individuazione degli stessi compagni di strada. Una Chiesa che fa un cammino di questo tipo difficilmente potrà dar spazio all'interno a comportamenti mafiosi, e diventerà proposta educativa, profetica di partecipazione anche per la società civile nelle sue varie 1nanifestazioni.
9. ln1peg110 educativo
Non c'è pace dove resiste la mafia. È chiaro, allora che essa per la Chiesa è il banco di prova della sua capacità critica e rinnovatrice della società, e bisogna che essa affronti questa prova non in maniera individuale, ma come popolo, come comunità". «La mafia - sottolinea S. Consoli - nasce c cresce perché trova un terreno adatto; il superamento ne sarà possibile solo creando un nuovo hiunus: ciò concretamente consiste nel forn1are una nuova coscienza»''. L'impegno delle comunità cristiane, quindi, deve mirare alla: 9, 1. Formazione delle coscienze Attraverso una rinnovata catechesi e predicazione che sia orientata alla liberazione: - dalla paura, mediante una catechesi che promuova la cultura della verità, della denuncia protètica, della lotta coraggiosa contro l'omc1tà; - dalla dipendenza, mediante una catechesi che mette in evidenza la dignità della persona umana, che stimola 1'insieme delle capacità soggettive e progettuali che possono rendere ogni uomo protagonista della propria crescita; Cfr I.e. Cfr G. SAVJ\GNONE, La nuova evangelizzazione di.fronte alla cultura della 111ajìa in Una Città per !'1101110 12 (1993) I, 73. 22 S. CONSOLI, La 111ajla ... , cil., 157. cn
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- dalla disgregazione sociale con una catechesi e una cultura di aperta socialità, e compartecipazione, nel tentativo di ricostruire il tessuto umano e sociale, lacerato spesso da odi, violenze, omicidi; - dalla rassegnazione, con la catechesi e la cultura della partecipazione viva sia nella società civile come in quella ecclesiale". Solo con una catechesi che trasformi i cristiani da gente che vive di tradizioni in portatori convinti e convincenti del messaggio liberante del Cristo, si possono far crescere comunità vive, pronte a lottare con voce profetica contro tutte le forme palesi e occulte di mafia. Una catechesi che sposti la fonnazione dei cristiani dal piano intimistico e soggettivo al primato della dimensione sociale. 9.2. Educazione alla legalità Diceva Borsellino, già nel 1988: <dn realtà bisogna prendere atto che il sottosviluppo econon1ico non è, o non da solo, responsabile della tracotanza 1nafiosa, che ha radici ben più con1plesse, tanto da far definire in studi recenti la 1nafia non il prezzo della n1iseria ina il costo della sfiducia»"~.
E aggiungeva: «La via obbligata per la ri1nozione delle cause che costituiscono la forza di una organizzazione crin1inale passa attraverso la restituzione della fiducia nella pubblica an1ministrazione[ ... ] Fiducia nello Stato significa innanzi tutto fiducia in una eiìicientc an1n1inistrazionc della giustizia, sia penale sia civile. Fiducia nelle istituzioni significa soprattutto affidabilità delle an1n1inistrazioni locali, quelle cioè con le quali il contatto del cittadino è in11nediato e diretto e che attuahnente risultano incapaci di gestire la cosa pubblica senza aggrovigliarsi negli interessi pa1iicolaristici e nelle lotte di tàzioni partitiche,,è'.
Per ovviare a questo degrado le comunità cristiane sono impegnate in un serio discernimento nella scelta dci propri amministratori e i singoli credenti sono coinvolti con la loro competenza e con il loro impegno a n Cfr (f. AGOSTJNO Ai/afta ed evangelizzazione nel crotonese, in /1 Regno 700 (1993) 160. '.'.i P. BORSELLINO, Arfafìa: il nodo è politico, in Sestno I 00 ( 1988) 22. "!bid., 24.
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gestire con onestà la cosa pubblica. Si tratta, per dirla ancora con Borsellino: «di fare il nostro dovere; rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici»'". Il proprio dovere, nell'ottica dell'impegno e della responsabilità cristiana, che qui si propone, non è solo quello scritto nei regolamenti, ma include lo spirito di un servizio da rendere con tutto il dono di se stessi. In questo senso Falcone e Borsellino non hanno fatto mai altro che il proprio dovere. 9.3. Attenzione privilegiata ai lontani La pastorale, cioè, se vuole sovvertire la logica mafiosa, non può restare nel chiuso delle sacrestie, nel devozionale, ma deve entrare nella storia con coscienza illuminata dalla fede. Una pastorale di questo tipo suppone una valorizzazione della laicità di tutta la Chiesa che porti la stessa a saper stare in compagnia con le persone socialmente "più deboli", per ridefinire con loro e con tutti gli uomini di buona volontà, le categorie del bene comune c delle qualità della vita". Tra questi lontani e "più deboli", oggi vi sono certamente molti giovani, ad essi, quindi, va rivolta una attenzione privilegiata. l giovani, al momento dell'ingresso nel mondo del lavoro, nella grande maggioranza si trovano a dover cercare il "padrino" che indifferentemente può essere un mafioso o un politico o un sindacalista. In ogni caso si tratta di affiliarsi a un clan. Per quelli che vivono nei quartieri a rischio la situazione è ancora più drammatica, perché fin da piccoli sono coinvolti in abitazioni insufficienti e malsane, sono educati al contrabbando, al furto e ad espedienti vari per sopravvivere e quindi ad una cultura di prepotenza e di violenza. Qui la mafia recluta la manovalanza. La pastorale va pensata a partire da loro, con la creazione di spazi aggregauti nei quali si può stare in co1npagnia, riflettere e 1nalurare assien1e a loro"". Un serio in1pegno pastorale a favore dei giovani deve neccssariarnenlc puntare alla promozione della famiglia e della scuola. Alla promozione della famiglia perché non si chiuda in "clan", ma educhi al sociale. A quella della
26 Testirnonianza di P. 8orse!!ino durante la veglia di preghiera nel trigesin10 della strage di (~apaci, riportata in Una Città per I '1101110 11 ( 1992) 3-4, 29. 1 ' Cfr R. IACCARJNO, Il ruolo dei laici in un contesto 111qfìoso, in Chiesa e lotta alla 1nqfia, cit., 128. 2 ~ Non è un caso che la 111afia abbia ucciso don Pino Puglisi. È stata un segnale 1nirato e ainn1onitore 11crché i n1alìosi avevano capito che l'azione pastorale di don Puglisi puntava a sottrarre i giovani alla loro influenza devastante.
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scuola perché diventi luogo educativo per tutti i giovani. l mafiosi, infatti, abitualmente reclutano la manodopera tra gli analfabeti. Una comunità parrocchiale che si preoccupa della scolarizzazione dei ragazzi e dei giovani sottrae linfa alla mafia e introduce il giovane 111 nn processo educativo che stimola a conquistarsi spazi di libertà. 9.4. Creare strutture organiche di riflessione Una pastorale, infine, che vuole assumersi l'impegno di demolire le basi culturali anticristiane della mafia, deve attrezzarsi per la formazione e l'aggiornamento corretto degli operatori pastorali sulla complessa realtà del feno111eno n1afioso.
1O. Per concluclere: la "croce" via della JJace
Noi siamo convinti che oggi la Chiesa gioca la sua fedeltà al Signore e misura la capacità di testimoniare l'Evangelo e di rispondere ai drammi della storia nella compagnia degli uomini proprio sulla dottrina e sulla prassi della pace. La pace che propone Gesù, però, non è certo una realtà facile da vivere, perché non è un annuncio di astratti principi, ina è una prassi che smaschera l'idolatria del potere e delle armi e si pone nei conllitti drammatici con la disponibilità a farsi carico della violenza dei potenti. La pace vissuta e proposta da Gesù si muove nello spazio della follia della croce e può chiedere anche il dono della vita, è una pace difficile da comprendere e spesso suscita stupore e scandalo. Gesù, consapevole di tutto questo, prima della passione avverte i discepoli: «Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte» (Mt 26,31 ). E, in effetti, in quella tragica notte lo scandalo annebbia i loro occhi. Durante l'arresto gli apostoli vorrebbero difendere Gesù con le anni, constatata la volontà nonviolenta di Gesù, incapaci di entrare in questa logica nuova, mentre Gesù, Messia della pace, viene condotto al patibolo, essi scandalizzati fuggono (Mt 26,56). La prassi di pace di Gesù ha scandalizzato gli apostoli e continua a scandalizzare anche i credenti di oggi che, con1e evidenziavo all'inizio, a
volte confidano più sulle alleanze con i potenti e sulla potenza delle armi che su Cristo. Ma la profezia evangelica, in ordine alla pace non consente di «scendere in Egitto per cercare aiuto», né di «confidare nei carri ... e nella
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cavalleria» (ls 31, 1). La profezia evangelica ricorda che la pace è Qualcuno. La pace è il Trafitto, che appare in mezzo a noi e mostra le sue mani e il suo fianco (Gv 20,19.26), dicendo: «La pace sia con voi». Come per Cristo, quindi, anche per il cristiano non esiste altra via della pace se non quella della martyria e della follia della croce. E alla luce della croce, discriminazione, violenza, razzismo, equilibrio del terrore, guerra giusta, difesa armata non sono più motivati perché non esiste più necessità storica per giustificarli. La necessita cede i propri motivi di fronte a Cristo che nella croce dona il Padre al mondo, mettendo gli uomini nel dovere-possibilità di superare la violenza che lacera e divide e di affacciarsi a una storia possibile di armonia nella giustizia.
Synaxis XVIII/2 (2000) 353-372
SABATO SANTO PER LA PACE IN SICILIA? UN'IPOTESI D1 LETTURA DELLE ESPERIENZE DI CARITAS, VOLONTARIATO, OBIEZIONE DI COSCIENZA MAURILIO ASSENZA'
I. Canali di esodo e lunghi deserti
«La riflessione nonviolenta italiana - che pure ha prodotto sforzi estremamente significativi - sconta un ritardo molto forte proprio sul tema di una strategia di lotta alla mafia, che non ne deleghi la realizzazione alle sole strutture statali deputate alla repressione. Eppure è proprio su questo campo che la nonviolenza si gioca oggi gran parte della sua credibilità cd efficacia nel nostro paese»': in questi termini, agli inizi degli anni '90, ci si esprime da parte dei rappresentanti del volontariato e del pacifismo meridionale (in gran parte collegato alle Caritas), in uno dei momenti di più lucida consapevolezza sulla necessità di uscire dalle secche del pacifismo rituale e dell'assistenzialismo augusto, entrambi considerati come un limite ed un ostacolo per una lettura della real!à capace di andare alla radice dei problemi e così delineare cambiamenti incisivi nella direzione di un futuro di pace nella giustizia e nella fraternità. Nel 1993 - data del primo documento collettivo del volontariato meridionale collegato alla Caritas sul rapporto tra "mafie e nonviolenza" - si ritiene che la crescita di una più chiara coscienza civile e la svolta nel mondo del pacifismo possano contare su esperienze innovative in atto, dal lavoro su strada al servizio civile degli obiettori di coscienza, dal! 'impegno di alcune comunità religiose e monastiche nella vita sociale e civile alle organizzazioni contro la violenza estorsiva: «questi - si legge nel citato documento sono i segni concreti di speranza nel Sud che ogni volta vediamo crescere nella consapevolezza della necessità di risalire alle cause dei processi della
* Docente dì Storia e filosofia al Liceo Scientifico di Modica. 1
A1afie e nonviolenza. Materiali di lavoro, a cura dell'Osservatorio 111eridionale, Molfetta (BA) 1993, 5.
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dipendenza, della violenza palese ed occnlta, per non restare il fiore all'occhiello di un sistema che perpetui l'ingiustizia e l'oppressione»'. Sempre .in questi anni - in Sicilia come nel resto d'Italia - si coltiva la speranza di pÒter far leva in particolare sugli obiettori di coscienza. La credibilità (talora enfatizzata) di un servizio alle persone in difficoltà e la cura per la formazione vengono viste come le basi concrete su cui poter costrnire un movimento capillare di educazione alla pace: «Il movimento degli obiettori - sottolinea padre Cavagna, laeder storico del pacifismo di ispirazione cristiana, a conclusione di uno dei tanti convegni sulla pace - ha impotianza fondamentale per una svolta culturale e politica di pace. A differenza di tanti che gridano "pace, pace'', ma non vogliono cambiare una virgola del sistema di guerra imperante, il movimento degli obiettori determina un cambiamento reale: ogni anno, decine di migliaia di giovani, oramai, non entrano più nella macchina bellica. Dipenderà dalla capacità di enti e obiettori di fàre formazione, il far sì che la crescita di questo movimento, da fenomeno numerico, diventi anche qualitativo. Il movimento degli obiettori può divenire il fattore determinante della svolta storica di nonviolenza e di pace»·1• A quasi dieci anni di distanza, non mi pare - per quello che ho visto e che so - che queste speranze si siano realizzate e che queste consapevolezze si siano tradotte in camtnini corali, in presenze incisive, in segnali di cambiamento. Ciò è dovuto soprattutto alle grandi e accelerate trasformazioni socio-culturali di questo nostro tempo', che vanno in direzione opposta alla costrnzione di identità personali e collettive salde, ma anche a limiti e contraddizioni (interni ed esterni ai movimenti pacifisti) clie
'Jbid., 6. I crislìani e l'obiezione di coscienza al servizio 1nilitare, a cura di A. Cavagna, Bologna 1992, 188. ~ Per un quadro sintetico delle trasfo1n1azioni culturali del nostro tempo, cfr R. BODEI, Novecento: apogeo e crisi del 111oder110, in Storia conte1nporanea, Ro1na 1997, 283-306. Sen1pre ai fini di una lettura dei ca1nbian1enti culturali del nostro ten1po, si segnalano: E. HOHSBAWM, Il secolo breve, Milano 1995; P. KENNEDY, Verso il XXI secolo, Milano 1993; JF. LYOT ARO, La condizione post111oderna, Milano 1981; C. TAYLOR, Il disagio della 1nodernità, Bari 1991; A. ToURATNE, Critica della n1odernità, Milano 1993; R. BODEI, La filosojìa nel Novecento, Roma 1997; G. CocCOLlNI, Sul crinale di un 'epoca, Bologna 1997; A. LLANO, La nuova sensibilità, Milano 1995; N. GALATINO, Dire uo1110 oggi, Cinisello Balsan10 (MI) 1993; C. MAGRJS, Itaca e oltre, lv1ilano 1991; cfr anche i due nu1neri della rivista internazionale di teologia Concili11111 4 (1999) - La fede in una società della gratijìcazione istantanea, e 5 ( 1999) - Realtà e speranza, e il forum della Rivista di teologia 111orale sull'etica nel post1noderno - cfÌ" 2 ( 1998) 173-209. 3
Esperienze di Caritas, volontariato, obiezione di coscienza
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ham10 condizionato gli orientamenti dei vari soggetti impegnati, m Sicilia come altrove, a dare un volto concreto alla pace. Da qui l'utilità di ripercorrere venticinque anni di tentativi che interessano tre soggetti diversi ma tra loro vicini - come la Caritas, il volontariato e gli obiettori - impegnati per la pace con preoccupazione non solo operativa, ma anche educativa, per poter fonnulare, più che un bilancio, alcuni interrogativi che forse possono far intravedere qualche prospettiva "altra".
2. I soggetti in questione: Caritas, volontariato, obiezione di coscienza Preliminarmente penso sia utile chiarire chi sono i soggetti m questione e cosa attorno a questi soggetti si è sviluppato in questi anni. La Caritas - nello sforzo propositivo costante della Caritas italiana e nell'identità formale tracciata dagli Statuti - dovrebbe essere un organismo ufficiale di promozione della carità evangelica, con un ruolo prevalentemente pedagogico'. Sottolineo "dovrebbe", perché nella realtà 5 Il primo articolo dei vari Statuti della Caritas ai diversi livelli - nazionale, diocesano, pa1rocchiale, vicariale - contiene sempre alcuni ele1nenti necessari per non tradire l'identità: - è un organismo ufficiale, presieduto dal vescovo nelle diocesi e dal pmroco nelle parrocchie, espressione dei consigli pastorali (per distinguerla dalle associazioni spontanee di volontariato), - ha come fine la promozione della testimonianza della carità e non può gestire opere (per sottolineare che destinatarie de!l'azione della Caritas sono le co1nunità, perché esse superando la tendenza alla delega - si interessino dei poveri), - ha come orizzonte la solidarietà, la giustizia sociale, la pace nell'ottica del ripartire dagli ulti1ni (per sottolineare la qualità evangelica e promozionale che deve assumere ogni iniziativa e presa di coscienza), - ha un compito prevalentemente pedagogico (ancora una volta per evitare deleghe o riduzioni di significato, con una particolare specificazione - la pedagogia dei fatti o dei segni che sottolinea l'interazione tra prassi e riflessione, da cui dovrebbe scaturire una efficace educazione personale e co1nunitaria all'attenzione, comunque operosa, ai poveri). li testo del primo Statuto della Caritas può ritrovarsi in Notiziario CE! 14 ( 1971) 250252; l'ultimo Statuto, rivisto e co1Tetto, su Notiziario C'EJ 11 (1990) 301-310. Per una chiarificazione co1nplessiva dell'organismo pastorale è utile il quaderno n 39 edito nel 1989 dalla Caritas italiana, La CarUas diocesana, che, alle pp 181 -- 184, riporla il "Discorso di Paolo VI al I convegno nazionale della Carìtas (1972)" di fondamentale importanza perché ne delinea il ruolo prevalentemente pedagogico. Due buone e agili sintesi della riflessione pastorale delle Caritas diocesane italiane può ritrovarsi nei due documenti, frutto di un largo confronto e quindi particolannente rappresentativi, Lo riconobbero nello spezzare del pane carta pastorale, Bologna 1996, e Da questo vi riconoscerr'lnno - la Caritas parrocchiale,
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concreta ci sono almeno due problemi: nella pastorale ordinaria l'attenzione ai poveri resta troppo periferica e superficiale; le emergenze spingono a coprire bisogni più che a progettare interventi di lungo respiro. E si gestiscono, più o meno direttamente, iniziative che in Sicilia, forse più che altrove, zoppicano soprattutto per il debole contesto pubblico e restano pesantemente a carico di chi le promuove. Di conseguenza prevale presso l'opinione pubblica l'immagine - non sempre smentita dalla realtà, soprattutto a livello parrocchiale - di una Caritas diversa rispetto alla sua identità più propria: una smia di pronto soccorso, magari più efficiente e più n1noderno 11 , e non un pungolo alla 11 buona coscienza collettiva" o uno strumento teso a salti di qualità nella vita e nel volto delle comunità cristiane. In particolare nella comunità ecclesiale - quella comunità ecclesiale, di cui la Caritas è semplice strumento - va notata una forte resistenza al tema profondamente evangelico (caro a Giovanni XXIII e ad alcuni padri conciliari) della "Chiesa povera e dei poveri": può essere colta come emblematica, durante il lii convegno ecclesiale delle Chiese di Sicilia del 1993, la "deriva" del gruppo di studio su questo tema (peraltro inserito faticosamente e senza troppa convinzione) che finì con il parlare di temi marginali (come la pastorale dei marittimi) senza nemmeno sfiorare questioni essenziali come la povertà della Chiesa, la sua collocazione, il suo stile complessivo". Anche laddove maturazioni significative si sono espresse Bologna 1999. Per un approfondin1ento delle problen1atiche pastorali e teologiche esistono 1nolti testi; qui se ne citano solo alcuni, che risultano abbastanza significativi per i contenuti e per le collaborazioni da cui scaturiscono: A1otivi e 1nodi della carità ecclesiale, Brescia 1983, quaderno di "Servizio della Parola"; Diaconia della carità nella pastorale della chiesa locale, opera pron1ossa dalla Carilas italiana, curata da P. Doni, Padova 1986; La carità. Teologia e pastorale alla luce del Dio-agtipe, Bologna 1988; Carità e politica. La din1ensione politica della carità e la solidarietà nella politica. Bologna 1990; Il Vangelo della carità per la chiesa e la società, Bologna 1994. G!i ultin1i tre sono stati curati dal Pontificìo Istituto· pastorale dell'Università Lateranense. Esiste anche uno studio giuridico utile per capire la collocazione della Caritas nel contesto degli organisnli pastorali: B. ROMA, Caritas, la carità realizzata, Bologna 1993. Tra i 1nolti convegni annuali delle Caritas diocesane, si cita aln1eno quello pro1nosso insie1ne a! Coop (Centro di orientan1ento pastorale), i cui atti sono stati pubblicati nel volurne Lu :,:fìda della carità. Verso una parrocchia falla Vangelo per gli ultilni, Bologna 1994. lnoltrc non va clin1enticato che il teina della carità nella Chiesa è stato approfondito in uno degli annuali convegni dell'Ali (Associazione teologica italiana), i cui atti sono riportati nel vohnne Ati, De caritate Ecc/esiae, Padova 1997. lliguardo alla Caritas nel Sud, con rifcri1ncnto anche alla Sicilia va citato il volun1c pron1osso dalla Caritas italiana e curato da L. Baronia, 1\!fr:zzogiorno e solidarietà, Casale Monferrato (AL) 1995. 6 Cfr CESJ, !Vuova e1'angelizzazione e pastorale, Atti del Ill convegno ecclesiale di Sicilia, Acireale 15-l 9 novcinbrc 1993, Palenno 1994. In particolare vedi pp 37-41; 181-221; 249-247.
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in testi chiari e precisi - penso al sinodo' della mia diocesi, la Chiesa di Noto - non è detto che questa consapevolezza poi passi nel vissuto concreto delle comunità cristiane. Da qui la inancanza di un sicuro retroterra e quindi un procedere quantomeno faticoso e incerto delle Caritas di Sicilia e il rischio di una riduzione a semplice ente socio-assistenziale. Il volontariato' - secondo soggetto in questione - è un mondo variegato, in cui prevalgono associazioni e grnppi che si impegnano in primo luogo nell'assistenza diretta, anche se non mancano esperienze più significative che sviluppano la dimensione politica della solidarietà, ma proprio per questo restano circondate talora da diffidenza e spesso senza collegamenti mc1s1v1 e duraturi. Le due più significative forme di raccordo risultano il Movi" (movimento di volontariato italiano) e il Cnca'" 7 Cfr Secondo sinodo della diocesi di Noto. Doczonento ,finale, supplen1ento alla Rivista della diocesi di Noto, gennaio-dicetnbre 1996, inserto n 1. 8 Per una visione d'insicn1c aggiornata agli ullin1i anni ri1nando al Rapporto biennale sul 11olontarialo in Italia, 1998, curato ed edito dalla Presidenza del Consiglio - dipartin1ento per gli affari sociali. Tra le varie agenzie di supporto, va citata la Fivo!, ovvero "Fondazione italiana per il volontariato", costituita il 23 tnaggio 1991 con lo scopo di «proinuovcre, incoraggiare e sostenere i! volontariato, in tutte le fon11e e in tutti i ca111pi in cui è 1nezzo di adempin1ento del dovere di solidarietà sociale, sancito dalla Costituzione della Repubblica». La Fivol, a sua volta, ad appena un niese e 1nezzo dalla sua fondazione, il 5 luglio del 1991 ha pron1osso la nascita della "Conferenza pennanente dei Presidenti de!!e Associazioni e Federazioni Nazionali dcl volontariato" e pubblica, fra l'altro, i "Quaderni del volontariato" e la "Rivista del Volontariato". Riguardo al Sud, e quindi anche alla Sicilia, vanno citati in 1nodo particolare, i volu1ni curati dal Centro di fonnazione e studi per il Mezzogion10 Volontariato e n1ezzogior110. A~petti e proble111i e Volontariato e 111ezzogior110. Alonogrt!/Ìe territoriali, Bologna 1986. Va ancora segnalato, L'azione volontaria nel 1'1ezzogiorno, a cura di V. Cesareo e G. Rossi, Bologna 1989. 9 Il Movi (Movin1ento di volontariato ìta!iano), costituito nel 1978, dopo un triennio di verifica, rappresenta non solo uno dei prin1i tentativi di coordinainento del volontariato italiano, n1a anche tcstin1onia la scelta di operare sulla base di un sano p!uralis1110, senza separare il volontariato di varie ispirazione. «Dopo gli anni della contestazione ~- si legge in una scheda divulgativa inserita nel sito Internet dcl Movi -, sti111olanti per i nuovi fennenti di den1ocrazia, nia troppo spesso velleitari, i gruppi di volontariato più 111aturi avvertono l'esigenza di sostituire alla protesta e alla partecipazione pura1nente fonnale, consentita dalle istih1zioni, un i1npegno operativo nel quotidiano, inteso a costruire una cultura e una prassi de!la solidarietà. [ ... ]Per avviare concretaincntc la costruzione di un costu111e di solidarietà i gruppi ritennero indispensabile superare anzitutto il passato reciproco isolan1ento. [ .. ] Essi decisero insie1ne di dar vita a un processo di collega1nento de1nocratico, autogestito, di tipo federativo». In Sicilia, oltre al collegainento regionale, vi sono attualmente co!lega1ncnti provinciali nelle province di Caltanissetta, Catania, Palern10, Trapani. in li Cnca (coordina1nento nazionale delle conn1nità di accoglienza) è presente in Sicilia con circa trenta gruppi. Il Cnca, costituitosi nel 1981, si pone l'obiettivo di pro111uovere, pri1na ancora che dei servizi, una cittadinanza solidale e ha tradotto in un
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(coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza); più recente, e anche più conosciuta dall'opinione pubblica, l'Associazione Libera, che raggruppa non solo volontari ma anche realtà istituzionali, educative e associative attorno all'obiettivo di liberare il territorio dalla mafia anzitutto recuperando livelli di vivibilità nel territorio". Una presenza consistente resta quella del volontariato vincenziano", che ha compiuto uno sforzo di rinnovamento per superare la tradizionale immagine delle "dame di carità" che dall'alto andavano ad aiutare i poveri, ma non mancano difficoltà quando poi occorre tradurre le maturazioni dei convegni nella prassi ordinaria. Dal mondo del volontariato si sono sviluppate espenenze di cooperative di solidarietà sociale, che spesso rappresentano un misto tra impegno solidale e spirito di impresa, e ciò sia sul versante del territorio che di reti più ampie, come quella del "commercio equo e solidale'"'. "manifesto" di grande rilevanza culturale questo scopo (cii l'inserto di Ani/nazione sociale n. 1O del 1988, pubblicato in collaborazione con Il Regno, dal titolo Cittadino volontario); pubblica ogni anno alcuni testi e un year-book, in cui, oltre a riportare informazioni sui vari gruppi aderenti, pone questioni rilevanti di carattere culturale e politico; ha inoltre attivato un confronto con il mondo della comunicazione attraverso convegni e testi sul "redattore sociale"; ha pro1nosso una serie di percorsi di spiritualità, che hanno avuto anche occasioni pubbliche nei convegni promossi insieme alla Caritas italiana e alla rivista Il Regno (si cita per tutti il volume Annunciare la carità, vivere la speranza, Capodarco di Fenno [Ar] 1997). 11 "Libera" è nata nella seconda metà degli anni '90 co1ne «associazione di associazioni [il cui] elemento unificante [è] la consapevolezza che per sconfiggere le tnafie l'azione dei corpi dello Stato è necessaria, ma non sufficiente». Per questo Libera si presenta come "legalità organizzata" (cfr scheda divulgativa sul sito Internet dell'Associazione). Tra le associazioni che hanno aderito: l'Azione cattolica, le A cli, le Pubbliche assistenze, l'Arei, i Centri di accoglienza, la Confesercenti, il Centro sportivo italiano, Emmaus Italia, la Federsolidarietà, la Fondazione Cesar, la Fondazione Marrazzo, la Gioe, i Giovani popolari, il Gruppo Abele, il Gruppo di Fiesole, !a Legambiente, la Lila (Lega italiana per la lotta all'Aids), Magistratura democratica, il Movi, la Nazionale italiana cantanti, l'Osservatorio per la legalità, Pax Christi, il Sindacato italiano appartenenti alla Polizia, la Sinistra giovanile, i Giovani e l'Unione sportiva Acli. 12 L'Associazione, fonnalmente denominata dal 1990 "Volontariato vincenziano", vanta radici storiche antiche (1617, con il nome di "Dame della carità di S. Vincenzo dei Paoli"). Essa ha lo scopo di venire incontro a tutte le necessità di persone bisognose ed è presente in Sicilia con 144 gruppi adulti e 9 giovanili (dati 1999, tratti dalla rassegna mensile Annali della Carità, n 9-10, settembre-ottobre 2000). 13 Si tratta di forme di cooperative il cui scopo «non è di incentivare il commercio fine a se stesso, ma piuttosto quello di promuoverlo con obiettivi etici e trasformarlo in un co1nmercio più equo, per consentire a quante più persone possibile l'accesso a prodotti socialmente ed ecologica1nente puliti, per non partecipare allo sfruttmnento di uo1nini e donne remunerati con salari da faine o alla distruzione dell'a1nbiente» (Guida al co1n1nercio equo e
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Grazie al volontariato "resistono" alcune esperienze innovative tese a dare una risposta a bisogni scoperti, soprattutto centri o case-famiglia per minori e donne in difficoltà o centri di ascolto: sono iniziative che suppliscono alla grave mancanza di efficaci e qualificati servizi pubblici e per questo restano spesso anch'esse prive di spessore culturale e politico. Vi sono centri più organizzati, sia "indigeni" (come "casa Rosetta" 1\ realtà polivalente, con consistenti strutture di accoglienza e di formazione) o "trapiantati", come alcune strutture - soprattutto per tossicodipendenti promosse da realtà non siciliane, che spesso mancano di un rapporto organico con il territorio 15. Gli obiettori di coscienza - terzo soggetto in questione - hanno rappresentato (uso il passato prossimo, perché bisognerà pensare alla loro estinzione quando si passerà all'esercito professionale) una presenza giovanile alquanto consistente nelle iniziative di solidarietà promosse dalle Caritas, diventando ora spinta ad operare dei salti di qualità, ora peso da gestire, comunque risorsa utile senza la quale molti servizi non si sarebbero potuti avviare e continuare. La maggioranza degli obiettori ha svolto e svolge il proprio servizio civile nella Caritas: essa, rispetto ad altri enti, chiede un impegno più serio (che comporta in genere la vita comune, un tirocinio, l'ottica del tempo pieno) ed offre più opportunità fonnative. Peraltro da almeno quindici anni tutti gli obiettori della Caritas hanno solidale, Bologna 1993, 16). In Sicilia l'esperienza si sta diffondendo se1npre di più; attualmente - alla fine dell'anno 2000- si contano più di dicci botteghe e punti vendita, senza tenere conto di iniziative temporanee di sensibilizzazione, co1ne mostre o bancarelle. Attorno a ogni bottega si sviluppano forme di sensibilizzazione, che vanno dalla disponibilità di pubblicazioni terzomondia!i e pacifiste all'organizzazione di incontri con testin1oni o esperienze culturali diverse, fino a ca1npagne di protesta contro ogni fonna di violenza e di sfrutta1nento. 11 • L'associazione "Casa Fmniglia Rosetta" è nata a Caltanissetta, agli inizi degli anni '80, con1e esperienza di volontariato pron1ossa da don Vincenzo Sorce e da un gruppo di suoi collaboratori. Attualmente conta 220 operatori e serve circa 1000 utenti, con servizi - sia in Sicilia che nei paesi del Sud del mondo - relativi ai portatori di handicaps, ai minori, alle ragazze madri, a persone con proble1ni di droga o di aids o di alcol e per anziani. Gestisce, inoltre, iniziative fonnative rivolte a operatori sociali, con1e l'Istituto 111editcrraneo per la formazione, ricerca, terapia e psicoterapia, centri di spiritualità e attività editoriali (la Casa editrice "Solidarietà", il tri1nestrale a carattere scientifico Solidarietà, il trin1estrale E111111aus come organo di informazione dell'attività dell'Associazione, Casa ji:nniglia per /ufti con1e circolare di con1l1nicazione degli operatori). 15 Si può esemplificare con l'esperienza delle Co1n11nità incontro di don Gehnini, con varie case in Sicilia e anche con gruppi di appoggio, 1na senza specifiche iniziative di più a1npia portata (rispetto al servizio stesso) rivolte al territorio.
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l'obbligo di frequentare un corso regionale residenziale, in cui si continuano a proporre - accanto a temi della spiritualità, della relazione, del servizio - i temi della nonviolenza e dell'impegno politico per la pace e la giustizia". Sono corsi che hanno avuto momenti di partecipazione entusiasta, qnando agli effetti dei cosiddetti "metodi attivi" - si agginngeva una discreta carica ' modo a partire dagli anni '90 motivazionale. Negli ultimi anni - grosso procedono più stancamente, soprattutto perché alla crescita quantitativa degli obiettori ha conisposto un calo di motivazioni, una cadnta di tono e di stile (un "imborghesimento", si sarebbe detto una volta), una evidente indifferenza ai temi della pace e della politica o alle iniziative di studio, una prevalenza delle emozioni nello stesso servizio ai poveri, fenomeni tutti da leggere nel contesto più generale delle trasformazioni che riguardano l'intero mondo giovanile (compresi - per fare riferimento a scelte molto più impegnative - seminaristi e giovani presbiteri). I legami tra questi soggetti - Caritas, volontariato, obiettori di coscienza - sono dati soprattutto dal fatto che l'ispirazione ecclesiale nel campo della solidarietà, sia spontanea che organizzata, in Sicilia prevale nettamente rispetto ad altre ispirazioni. A ciò va aggiunto il molo della Caritas, che si pone come ponte tra l'istituzione ecclesiale e la spontaneità di base. Essa peraltro risulta l'unico soggetto che ha potuto assicurare una continuità nei singoli tenitori ed effettivi coordinamenti regionali (va ricordato in questo senso l'impegno della Delegazione regionale Caritas" e 16 Fra i testi che possono dare un'idea delle tematiche prevalenti nella formazione degli obiettori, ne ricordo aln1eno due, entran1bi curati dalla Caritas italiana: L'abecedario dell'obiettore e L'antologia del!'ohieltore, Molfetta 1991. Per qualche anno, ma in tnodo discontinuo, è stata pure tentata da pai1e della Caritas una rivista specifica degli obiettori e delle giovani dell'anno di volontariato sociale: Arcobaleno di pace. 17 La Delegazione regionale Caritas è costituita dai direttori delle Caritas di Sicilia, che a loro volta individuano loro referenti per i vari ambiti (Caritas parrocchiali, volontariato, pace, ecc.). Esiste un vade1necu1n "Le Caritas di Sicilia", in cui vengono presentati sia la Delegazione regionale siciliana della Caritas sia le principali attività (culturali e di servizio) di ogni Caritas diocesana fino al 1991, edito a cura della stessa Delegazione, come pure esistono conservati presso l'Archivio della Delegazione regionale - attualn1ente presso la Caritas diocesana di Piazza Annerina - copie degli annuali convegni regionali e dei verbali degli incontri dei direttori delle Caritas di Sicilia. Ogni anno inoltre si svolgono convegni regionali. Questi i ten1i a1Trontati nell'ultin10 decennio: "Parrocchia, diaconia della carità, Caritas" (Acireale 27-29 gennaio 1994; Palenno 16-J 8 febbraio 1995; Acireale 15-17 febbraio 1996; Marina di Ragusa 13-15 febbraio 1997), "Carità, pastorale organica, stato sociale" (Agrigento 12-14 febbraio 1998), "Paternità di Dio e frate1nità degli uon1ini" (Caltanissetta 18-20 febbraio 1999), "Politiche sociali in Sicilia" (Piazza Annerina 7-9 ottobre), "Da Comi so al Kosovo" (Con1iso 2-4 inaggio 2000).
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ora ultimamente la promozione di un "laboratorio regionale delle politiche sociali" 18).
3. Stagioni diverse
Se è facile riconoscere l'interazione tra i tre soggetti esaminati, più articolato è lo sviluppo nel tempo. Riprendendo alcuni passaggi già accennati, si possono individuare tre stagioni nella storia dell'impegno per la pace che ha per riferimento l'area collegata con la Caritas. La prima stagione va fatta risalire alla fine degli anni settanta e agli inizi degli anni ottanta, quando le Caritas diocesane sono ancora agli inizi, il volontariato opera senza capacità di coordinamento e con una netta prevalenza della San Vincenzo, mentre la pace si lega alle lotte contro i missili a Comiso e la f01ie militarizzazione della Sicilia e viene considerata da molti un ambito separato, da guardare con sospetto. Sono anni in cui, sul tema della pace, è in primo piano il protagonismo della sinistra e la base cattolica più ape1ia al dialogo si sente mo1iificata da gesti ritenuti contraddittori (come la benedizione della prima pietra della chiesa nella parte americana della base Nato) e dall'ostilità manifestata da ce1ii settori ecclesiastici n"ei confronti del pacifismo".
18 Il progetto di un "laboratorio delle politiche sociali'', a lungo coltivato e concretizzato nel corso del 2000, è pro1nosso congiuntamente dalle diciotto Caritas diocesane di Sicilia, con la collaborazione della Caritas italiana e della Conferenza episcopale siciliana, ed affidato per la gestione operativa all 'Ecos-Med di Messina, piccola società cooperativa sociale per lo sviluppo dell'econon1ia solidale ne! Mediterraneo. L'avvio ufficiale coincide con un se111inario tenuto a Messina dal 30 novembre al 2 dice1nbre 2000 e, con1c è detto in una circolare del 9 noven1bre 2000 dell'attuale delegato regionale della Caritas, don Giuseppe Giugno, esso svilupperà le seguenti azioni: «realizzazione di un'analisi quantitativa sulle condizioni socio-econon1iche del ten·itorio siciliano (cluster analysis) e realizzazione del rapporto annuale sulle povertà; acco1npagna1nento scientifico alle Caritas diocesane per la realizzazione di progetti ed analisi territoriali tematiche[ ... ]; accompagna111ento alle Caritas per l'avvio e il consolida1nento degli Osservatori diocesani delle povertà; progettazione e realizzazione di un sito telematico distribuito nelle diciotto diocesi siciliane; realizzazione di studi e ricerche e organizzazione delle docu1nentazioni acquisite a livello diocesano; creazione dell'Osservatorio legislativo per la verifica e falsificazione dell'attuale legislazione, individuazione di nuovi strun1enti di intervento, realizzazione di un forun1 teie1natico di legislazione partecipata». 19 Anche in questo caso a titolo esen1plificativo ricordo un libretto pubblicato da PAX CHRISTI, Le strade della pace. Cristiani a Co1r1iso, s.d.
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Dalla metà degli anni '80 ai primi degli '90 è la Caritas a fare da collante a molte esperienze di servizio e a dare alle lotte un risvolto diverso, di diretto impegno sul versante dei bisogni. li tema della pace in questi anni diventa una spina al fianco, soprattutto quando qualcuno ricorda l'identità più propria degli obiettori. Esplicitamente infatti essi - nei documenti ufficiali della Caritas italiana, che resta la prima responsabile della loro gestione - dovrebbero anzitutto impegnarsi sul versante della nonviolenza (e in modo complementare nel servizio ai poveri, avendo come supporto l'esperienza della vita comune e la formazione avviata da un tirocinio teorico-pratico), ma di fatto il servizio prevale nettamente su tutto il resto; qualcuno - evidenziando la contraddizione e andando più oltre - rileva come uno degli obiettivi della Caritas è la promozione della pace, anche al di là della presenza degli obiettori, e quindi un impegno esplicito in tal senso dovrebbe esserci comunque. Su questi nodi in questi anni si creano tensioni fra gli obiettori più consapevoli e molti responsabili dei centri operativi, che vogliono molte volte solo obiettori utili ai servizi, e anche con alcuni direttori Caritas. Sono anni in cui si tenta il Crac, (coordinamento regionale degli obiettori di coscienza)'" con incontri mensili e assemblee annuali, alternando momenti di entusiasmo - nel convenire e nell'incontro con testimoni - e di delusione quando ci si accorge che comunque la maggioranza degli obiettori non conosce una sufficiente autodisciplina per poter essere fedeli agli impegni assunti. E appare chiaro che, al di là degli incontri, non si riesce ad attivare e consolidare nessuna azione continuativa sul versante della pace e della nonviolenza. Per anni si parla di un centro regionale di studi, ma non decolla mai, malgrado sia proprio il delegato regionale della Caritas di allora ad appoggiare con convinzione la proposta". 10
Sì tratta di una struttura di coordinamento, che si è riunita dal 1990 fino al 1997 e che prevedeva la presenza di rappresentanti degli obiettori (uno o due per diocesi) e di un direttore Caritas delegato. A volte venivano invitati anche g!i altri direttori Caritas e negli ultin1i anni anche i fonnatori degli obiettori. Le decisioni erano vincolanti solo dal punto di vista morale. Di fatto esse si li1nitavano all'organizzazione di mon1enti comuni o di iniziative di sensibilizzazione da svolgere contemporanea1nente e di comune accordo. Le riunioni diventavano anche cassa di risonanza delle difficoltà di rappo110 tra Caritas, centri operativi (servizi socio-assistenziali in cui si svolge il servizio civile) e obiettori di coscienza. Proble1na ricorrente nei vari incontri è stato quello relativo alle din1ensioni politiche e culturali della nonviolenza, che sono rin1aste sempre 1narginali nella strutturazione dei centri operativi rispetto al servizio diretto alle persone. 21 L'idea è stata fatta propria da n1ons. Franco Montenegro, delegato regionale della Caritas dal 1993 al 1998, attuale vescovo ausiliare di Messina e delegato della Conferenza episcopale siciliana per la pastorale della carità.
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Debole resta la sensibilità ecclesiale in questo campo, come dimostra la scarsa presenza del tema della pace al III convegno delle Chiese di Sicilia e la diserzione dello specifico ambito di lavoro. Nel volontariato in questi stessi anni c'è un certo fermento, sia sul versante di tentativi più innovativi che della formazione. Vi sono anche esperienze di anni di volontariato sociale in tre diocesi", che però non hanno alcuna continuità; va ancora segnalato il corso di formazione nazionale svoltosi in Sicilia durante la guerra del Golfo". Nell'insieme, in questi anni, per molti giovani, Caritas - obiezione di coscienza - volontariato rappresentano comunque un'occasione di contatto concreto con i bisogni dei poveri e con i temi della nonviolenza, esperienza che per parecchi di loro inciderà sulle scelte della vita adulta: vari obiettori diventano seminaristi, con un retroterra più preciso di contatto con la realtà; altri consapevolmente scelgono impegni professionali sul versante sociale che si caratterizzano per forti motivazioni; altri ancora trasferiscono nell'impegno politico quanto maturato nel servizio civile". La seconda metà degli anni novanta rappresenta una stagione ambivalente. Nel mondo degli obiettori di coscienza si registra il citato aumento numerico a cui corrisponde una forte caduta di tensioni nelle motivazioni; nel mondo ecclesiale il prevalere dei movimenti sulla parrocchia - per il loro carattere spesso intimistico e autoreferenziale contribuisce, insieme al clima culturale complessivo, a una caduta di tono e di presenze anche nel volontariato. Tuttavia ciò che resiste all'urto della stanchezza si consolida e perseverano soprattutto quanti operano in fanne miste di impegno volontario e lavorativo insieme, valorizzate in genere più sul versante sociale che ecclesiale.
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Si tratta delle diocesi di Monreale, Noto (con tre esperienze in anni diversi - 1988,
1990, 1993) e Ragusa. 23
Gli atti sono stati pubblicati nello stesso anno con1e "quaderno della Caritas
italiana". 24
Non ci sono per la Sicilia dati co1nplessivi precisi; si può però ragionevohnente pensare a una precisa continuità tra servizio e scelte successive per ahneno il venti per cento degli obiettori, a una più generale influenza del tempo de!l'obiezione sulle proprie scelte di vita per un altro trenta per cento, con un calo negli ultimi anni. A livello nazionale la Caritas ha condotto un'inchiesta che può essere utile in generale per capire il valore con1unque di un tempo fo1mativo intensivo (cfr CARITAS ITALIANA, Dopo /'obiezione, Molfetta 1992), che spinge alla proposta dì un servizio civile nazionale obbligatorio n1otivata dal punto di vista del valore educativo (cfr Docun1e11tazione Ila li a Caritas 1 [2000], Per un progetto di servizio civile degli obiettori di coscienza).
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4. Quale lettura complessiva? Un sabato santo per la pace?
Personalmente ho vissuto e vivo dall'interno questo cammino e quindi, dopo aver messo insieme alcuni dati, vorrei tentare una lettura complessiva come un testimone partecipe, da una parte coinvolto e corresponsabile di tentativi come di limiti e contraddizioni (in quanto condirettore della Caritas diocesana di Noto dal 1987 e, dal 1991 al 1998, responsabile regionale degli obiettori), dall'altra spinto provvidenzialmente a superare un senso chiuso di appartenenza da cammini quotidiani nella compagnia degli uomini (dall'insegnamento della storia e filosofia in una scuola pubblica alla mia comunità, poco organizzata, ma radicata da venticinque anni nell'ascolto delle Scritture, nell'Eucaristia domenicale e nella relazione con i poveri) e da esperienze di più ampio respiro (soprattutto il sinodo della mia diocesi). Ogni "storia" è comunque se1npre anzitutto "interpretazione", già per come la si racconta e ancor più per come la si legge. Quanto cercherò di dire pertanto sarà solo una delle tante ipotesi di lettura. Rispetto al tanto bene che si è fatto e sperimentato in questi anni, ho scelto di porre attenzione ai limiti, perché mi sembrano più utili ai fini di una reale verifica. Rispetto a un bilancio dagli esiti definiti, preferisco evidenziare dei nodi per poter attraverso di essi - cogliere possibili orizzonti "altri" rispetto a quelli sperimentati, in cui la categoria prevalente è stata quella del "fare'', che - a mio parere - non si è dimostrata nell'insieme capace di produrre tradizioni significative e durature. Aggiungere che i nodi rilevati sono per molti versi irrisolti, non dovrebbe avere il connotato di una valutazione negativa: dice soltanto che una riflessione critica su circa venticinque anni di esperienze in quel mondo variegato che ruota attorno a Caritas-volontariato-obiezione di coscienza fa emergere dei problemi che - nella loro genesi più profonda e nell'orizzonte che lasciano intravedere - riguardano tutti e possono per questo diventare motivo di corale conversione evangelica; dice ancora che affrontare criticamente e umilmente la realtà, rispetto alla fuga in slogan ed emozioni, permette quanto meno di cercare "altro", accettando i necessari momenti di silenzio e di attesa (senza dar luogo ad agitazioni o depressioni sterili, senza inventare indebiti smTogati), confidando nell'azione incessante dello Spirito di Cristo che continua ad operare nella storia degli uomini e nella vita della Chiesa. Si potrebbe riprendere in tal senso il riferimento al sabato santo, proposto dal card. Martini come criterio di lettura complessiva del nostro tempo": forse per la pace è tempo di un'attesa che si colloca tra il "caro 25
C.M. MARTINI, La Madonna del sabato santo. Lettera pastorale 2000-2001, in 11 Regno 868 (2000) 618-624.
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prezzo" della croce e il "masso rotolato" della resurrezione, tra un misura più alta del semplice impegno e nn operare diverso dal nostro costruire, progettare, organizzare. Con altro riferimento biblico - fatto proprio dalla mia Chiesa di Noto nelle decisioni finali del sinodo diocesano - forse siamo in tempi in cui vivere un'attesa come quella del profeta Geremia, chiamato ad annunciare la pace messianica tra gente ridanciana'". In concreto la domanda diventa: cosa può essere criticamente rilevato nell'esperienza fatta da Caritas, volontari, obiettori di Sicilia, in modo tale da diventare utile per tutti, ai fini di una prn lucida ed evangelica consapevolezza sulle nostre responsabilità nell'accogliere ed affrettare il compimento della pace e della riconciliazione offerta agli uomini da Dio, Padre di tutti, nel! 'unigenito Figlio che ha dato se stesso per noi "mentre eravamo ancora peccatori"? 4.1. Un primo nodo: il livello della riflessione sulla pace Ricostrnendo l'esperienza e scorrendo il materiale prodotto in questi anni (circolari, testimonianze, verifiche dei corsi di formazione, verbali di incontri, documenti di Caritas e di grnppi di obiettori o volontari), la caratteristica che subito risalta per quanto riguarda il tema della pace è la mancanza di un livello adeguato di riflessione radicata in contenuti sostanziali, capaci di dare agli impegni una valenza profonda e veramente incisiva. Parlo volutamente di livello, perché se prendiamo le relazioni di convegni o i documenti ufficiali delle Caritas non mancano testi significativi. Mi riferisco piuttosto a come i temi circolano fra le persone coinvolte: negli incontri si scivola facilmente sul versante pratico e la pace viene assorbita dai temi generici della solidarietà; nella formazione i materiali usati, anche negli anni più intensi per partecipazione, restano imbrigliati in modelli 6
Secondo sinodo della diocesi di Noto, Riscoprire Gesù lungo le nostre strade, decisione quarantottesi1na: «La Chiesa di Noto, aprendo gli occhi, soprattutto grazie a! gc111ellaggio con la diocesi zairese di Bute1nbo-Beni, sul dra1nn1a n1ondiale della povertà, della faine, delle guerre che opprin10110 i figli di Dio, vuole po1Te con u1niltà segni poveri di con1unione e di ricerca della pace. Tali segni non vanno 1nisurati in base al successo e all'efficacia un1ana, ma espri1nono l'esigenza di non conformarsi alla 1nentalità di questo inondo, prefigurando invece !a pace del Regno 1nessianico. Essi vogliono richimnare alla 111cn1oria la figura di Gere1nia, profeta solitario pure nella compagnia del proprio popolo, in n1ezzo a gente ridanciana che non coglieva la gravità del 1non1ento storico (Ger 15, 17). Come lui, anche noi sian10 chia1nati all'annuncio della pace che Dio ha preparato per Ge1usalemn1e, 1na di cui gli uo111ini spesso provano terrore (Ger 33,9)>>. "
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parziali, ora per accentuazione dei dati biologici e psicologici - una nonviolenza tntta legata all'equilibrio dei bisogni - ora per astratte previsioni di disarmo e per generiche riflessioni morali; nelle iniziative manca spesso una vera creatività e continuità. L'utilizzo, poi, della Bibbia facilmente rischia di ridursi alla collezione di alcuni brani o a una semplice aggiunta, con la preoccupazione di giustificare soprattutto motivazioni morali. A me pare che ciò sia indicativo di una duplice e più generale carenza ancora presente, malgrado indicazioni e sforzi, nella comunità ecclesiale: la mancanza di 1111 nutrimento biblico ordinario, la mancanza di una seria lettnra della storia e dei mutamenti cultnrali del nostro tempo. A qnesta carenza della comunità ecclesiale, va aggiunta una tendenza più diffusa a non riflettere seriamente, a procedere per immagini e per tecniche, facendo venire meno quella capacità di analisi e quella forza dell'arte educativa che sole permettono di interagire con se stessi, con gli altri e con la realtà come soggetti pensanti e non come intontiti spettatori di quel che accade. Ancora una volta non voglio dimenticare come tanti tentativi siano stati e siano generosi, ma solo un attingere a radici più profonde (Bibbia e libro, potremmo dire, riformulando il diffuso binomio Bibbia e giornale), e fare questo in modo autentico, potrebbe generare vere svolte di qualità, senza le quali è difficile, non solo operare efficacemente, ma anche resistere adeguatamente. Resta attnale in tal senso la risposta di Bonhoeffer all'interrogativo «chi resterà saldo? ... solo colui che si affida» - e il suo invito alla qualità, quella qualità che «è il nemico più potente di qualsiasi massificazione» e che «dal punto di vista culturale[ ... ] significa tornare dal giornale al libro, dalla fretta alla calma e al silenzio, dalla dispersione al raccoglimento, dalla sensazione alla riflessione, dal virtuosismo all'arte, dallo snobismo alla modestia, dalla esagerazione alla misura»". 4.2. Un secondo nodo: la mancanza di soggetti popolari L'altro dato evidente è che il patrimonio di riflessione e di esperienza difficilmente si è trasferito ed è trasferibile alla vita ordinaria della gente, e ancora una volta non solo per i contenuti, quanto per la carenza di quella riflessione pensosa che sola permetta di chiarire i modelli di fondo e di ascoltare la realtà. Il risultato è che la pace sembra affidata a delle élites, a 27
D. BDNHOEFFER, Resistenza e resa, trad. it. a cura di A. Gallas, Cinisello Balsamo (MI) 1988, 70.
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dei momenti isolati della vita, a degli stili esotici. Rispetto a questa scarsa incisività del movimento pacifista in Sicilia (ma non solo), risalta la capacità espressiva del nostro popolo di identificare il proprio dolore nel Gesù motto e nell'Addolorata il venerdì santo o di legare la "pace" all'incontro dei simulacri di Gesù risorto e della Madonna la mattina di Pasqua. Certo resta un 1espressione, non è ancora una coscienza collettiva, e tuttavia sono tradizioni, sono momenti veramente corali. Non penso a una loro colonizzazione. Penso a nn incontro - nei tempi lunghi - tra quest'espressività e un impegno per la pace e per la nonviolenza di fronte ai poteri fotti delle nostra terra, mafie e clientelismi in particolare. Quest'incontro potrebbe essere facilitato da una Chiesa che si converte ai modelli evangelici, soprattutto nell'uso dei soldi e del potere: allora la gente avrebbe più fiducia e vi sarebbero le condizioni per culture della legalità e della pace radicate nel vissuto quotidiano, e il popolo siciliano potrebbe dare al proprio esprimersi valenze più complessive. Penso alla necessità per le Chiese di vere esperienze sinodali, che potrebbero non solo rinnovare e attuare al loro interno l'evento del Vaticano Il nella sua valenza di nuova Pentecoste, ma diventare esemplari per lievitare nuovi cammini di liberazione. Solo su questo versante peraltro si pone con credibilità il tema della laicità della Chiesa e dei laici, che dovrebbe essere l'attenzione di questi anni per le Chiese siciliane, essendò oggetto del IV convegno regionale'": non mi pare infatti si tratti di dare più spazi ai laici quasi per allargare i poteri clericali, quanto di ridefinirsi tutti nella qualità di battezzati come popolo che appartiene solo a Dio e che professa la propria fede nel Crocifisso di fronte ai poteri di questo mondo, annunciando e invocando un altro mondo, il mondo di giustizia e di pace che solo Dio può donarci in pienezza. Su tale strada possiamo cogliere anche in Sicilia un'avanguardia nel martirio, martirio laico nella sostanza evangelica di un dare la vita per tutti, sulle strade, oltre ogni steccato, in una precisa collocazione tra i poveri. Questo maitirio laico - che ha come contrappunto grigio e oscuro una presenza cristiana affidata a mediazioni di potere - diventa una provocazione alla Chiesa, perché chiarisca la sua collocazione con verità e umiltà (non è
8 " Acireale 20~24 1narzo 200 I. In preparazione al convegno la Conferenza episcopale siciliana ha pubblicato uno stnnnento di lavoro nella collana "Docu1nenti" del periodico "Chiese di Sicilia", I laici per la n1issione della Chiesa in Sicilia nel terzo 111illennio, a cura della Segreteria pastorale CESI, Palermo 2000.
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peraltro questo il senso della richiesta di perdono che tanto sta a cuore all'attuale pontefice Giovanni Paolo II?). Solo così mi pare diventi credibile la testimonianza dei credenti e dell'intera Chiesa, offrendo ciò che è veramente proprio, e cioè "il Vangelo e nient'altro": in una società in cui si risveglia faticosamente la coscienza della cosa pubblica in contrasto con le perverse e pervasive logiche clientelari e mafiose, con uomini e donne che pagano di persona sulla base di motivazioni etiche pluraliste, «ciò che la Chiesa può offrire in proprio è, [... ] accanto al riconoscimento di una società civile che si è andata costituendo su propri fondamenti etici, attraverso la dialettica interna ad essa e alla quale partecipano certamente mescolati agli altri anche i cristiani, una diversa universalità radicata nella esperienza di comunione. [... ] Compito della Chiesa, proprio di fronte alla dignità etica manifestata da esponenti delle più diverse culture, marxista e laica in primo luogo, al servizio della cosa pubblica, è quello di riconoscere umilmente il proprio compito che poi è soltanto quello affidatole dal suo Signore: far risplendere la luce di una riconciliazione da cui nessuno è escluso, dalla quale ognuno è giudicato e in cui ognuno è accolto»).9 • 4.3. Due aspetti particolari: formazione e politica Dne aspetti particolari mi pare vadano sottolineati come causa ed effetto al tempo stesso dei due nodi rilevati (livello superficiale della riflessione e scarsa capacità di coinvolgimenti corali): - un impianto fonnativo poco incisivo e troppo settoriale; - un'attenzione alquanto marginale alla politica. La formazione resta, in positivo e in negativo, lo snodo principale di tanti sviluppi, ma anche l'azione più doverosa e possibile da cui si può ripartire per salti di qualità. Allo stato attuale, c pensando a questi anni, mi pare che sia stata e resti tuttora troppo affidata ora alle tecniche ora agli entusiasn1i di momenti sh·aordinari, e non a cammini ordinari che si nutrano di essenziale e che si pongano anzitutto l'obiettivo di far crescere soggetti capaci di identità e scelte mature. Qui c'è una grande responsabilità delle nostre Chiese, che dovrebbero avere il coraggio di rivisitare il proprio patrimonio fmmativo e di reagire di fronte a orientamenti preoccupanti, come qnello attuale della scuola italiana nella sua impostazione pragmatista, tecnicista e aziendalista. Una formazione autentica dovrebbe, a mio parere, 29
G.
RUGGIERI,
Il Vangelo e la lupara, Bologna 1993, 53-54.
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superare quella settorialità che mira all'operatività dando troppo per scontate le radici e creando dispersioni e frammentazioni; una formazione autentica dovrebbe, quindi, nutrirsi di contenuti sostanziali e dovrebbe avere come metodo di fondo la vita intesa come compagnia degli uomini, vita comune nella sua ordinarietà. Avendo visitato molte esperienze siciliane di impegno per la pace e la solidarietà, posso rilevare empiricamente come tutto diventa diverso quando le persone e le comunità crescono in questo modo. Ancora una volta potrei riferire anche di una scelta di conversione pastorale del sinodo della mia Chiesa, per sottolinearne la lucidità (ma anche le diflìcoltà di attuazione): «da una Chiesa dispersa nelle molte attività a una Chiesa che ritrovi le cose essenziali della fede e sappia comunicarle come pellegrina sulle strade dell'uomo, mediante un radicamento nel territorio»"'. Se la formazione è importante, altrettanto importante è la politica, perché la pace non solo necessita di uomini e donne veramente adulti, ma anche deve essere rapportata alla convivenza organizzata e alla storia degli uomini. Non mi attardo sulle tendenze generali, che spingono a intravedere un declino della politica o comunque delle fonne democratiche della migliore tradizione occidentale; le ricordo soltanto ancora una volta per completezza di riferimenti nell'analisi. Cercando, invece, di guardare all'esperienza di questi anni in modo più specifico, si possono rilevare due limiti più evidenti: da una pa11e, le Caritas, quelle volte che volevano prendere decise e chiare posizioni, in molti casi hanno dovuto fare i conti con prudenze istituzionali troppo paralizzanti e con subculture ecclesiastiche che - a fronte delle posizioni ufficiali sulla legalità - restano vischiosamente intrise di strategie ambigue; d'altra parte, nei momenti (non molti) in cui il tema politico ha attraversato il mondo dei volontari e degli obiettori, è prevalso un idealismo ingenuo, soprattutto in quanti si impegnano per la pace con più dedizione. Anche in questo caso mi pare che rilevare limiti e contraddizioni possa essere utile per voltare pagina. Mi pare interessante in particolare una prospettiva non estranea a riflessione e prassi di Caritas, volontariato, obiettori, e cioè ripensare dal basso e con pazienza la politica, come ricostruzione nelle nostre città del senso di appartenenza a tradizioni e identità comuni: «molto meglio [rispetto ad altro], senza catastrofismi o condanne, lasciare il tempo alla maturazione di processi lunghi e in gran parte imprevedibili, assumendo gli atteggiamenti più produttivi in un
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Secondo sinodo Nella diocesi di Noto, decisione quat1ordiccsi1na.
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momento di evoluzione. Ascoltare, anzitutto, ovvero dar voce alla storia di tntti, contribuendo a non far perdere il lievito, ma a collocarla dentro una memoria "grande", quella di una tradizione di cui siamo continuamente chiamati a ritessere i lìli. Pensare, poi, che significa ritrovare il coraggio di fermarsi a riflettere e a stndiare, a fare silenzio e a meditare, riconoscendo l'inadeguatezza delle categorie precedenti e cercandone audacemente di nuove. Raccontare, infine, ovvero ricreare senza sosta spazi liberi e vivi di ricerca e di confronto, ma soprattutto luoghi in cui sia possibile narrarsi e narrare, ritrovare - raccontandosi la vita e la storia di volti e corpi reali - i segni di una nuova identità co1nunc» 31 •
5. Un orizzonte co1111J!essivo: la lettura dei segni clei te1111Jf-
1 "
La rilettura - attraverso la focalizzazione di alcuni nodi e il rimando a problemi e prospettive più ampie - delle esperienze di impegno per la pace maturate e attivate in questi anni nell'ambito della Caritas ha quanto meno fatto emergere problemi più complessivi e radicali. E tuttavia, ritornando al riferin1ento del sabato santo, 1ni sen1bra utile cercare alla fine una categoria unitaria che permetta all'attesa di volgersi verso il futuro, e mi pare la si possa ritrovare in quella dei segni dei tempi, così come proposta da papa Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano II, intesa come fioritura, attraverso quel silenzio vigile che autentica i cammini di conversione, di "parole evangeliche" dentro la storia degli uomini. Questo "ac-cadrà" se, invece di coltivare compromessi mondani ispirati a ottin1isn1i o pessin1is111i u1nani, si avrà a cuore quella profezia, fortemente richiamata da Dossetti al concilio proprio sul tema della pace"; se - alla contrapposizione al mondo come mondo tutto nel peccato, tipica di una pastorale 111obilitante e ansiosa - si saprà sostituire una serena lettura
A. S!CJJl'RA, li te111po per 111aturare. A!!u ricerca dei segni di un'identità co1111111e, in k/essaggcro copp11cci110, n1aggio-giugno, Bologna 2000, l 5 . 1
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.ìvli sc1nbra che in questo orizzonte possano incontrarsi in n1odo fecondo teologi e quanti operano nelle frontiere della povertà e dc! conflitto sociale, con la preoccupazione che dovrebbe rin1anere costante - a raccordarsi con1unque con il vissuto quotidiano della gente e con le resistenze che 1naturano nella società civile. Un passo concreto in tale direzione è !'intesa tra delegazione regionale Caritas e facoltà teologica di Palenno per alcuni corsi su .i
Lerni relativi alla carità. n Cfr J.A. KoMONCJIAK, La redazione della Ga11diu111 et spes, in 11 Regno 13 (1999) 452-453.
Ejper;enze cf; C~aritas, volontariato, obiezione di coscienza
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della realtà e una cordiale partecipazione al cammino di tutti, nella convinzione che sarà Dio, e non la nostra bravura o la nostra sapienza, a concludere positivamente questa storia e a far fiorire la pace per la nostra terra e per il nostro tempo. Con la categoria dei segni dei tempi riaffermiamo, in altri termini, che la storia è luogo teologico, rinunciamo alla presunzione di avere nostre ricette e soluzioni e ci impegnia1no invece a cercare insieme a tutti la pace e la giustizia, disponendoci a corali conversioni, grazie alle quali potremo per usare un'espressione cara a papa Giovanni - «inco1ninciare a comprendere meglio il Vangelo». Un segnale chiaro dell'ingresso in questa nuova comprensione sarà la possibilità per "la società siciliana" di «specchiarsi non tanto in un suo doppio, pulito e messo a nuovo, 1na in una testi111onianza radicaln1ente diversa dei rapporti comunitari, caratterizzata dalla povertà e dall'accoglienza, dall'assoluta estraneità ai processi di formazione dcl consenso e del potere sociale. Tutto ciò può apparire un sogno, ma tutto il resto rispetto a questo è solo n1iseranda e ipocrita astuzia ecclesiastica» 3 ~. li grembo di questa possibilità resta l'annuncio tout court del Vangelo, perché «certi nodi gordiani [ ... ] non possono essere tagliati altro che con la spada, e con la spada della parola di Dio, chiara e semplice»". Forma di questo grembo è - nell'esperienza credente - l'affidamento della preghiera e il rischio dell'operare cercando insieme a tutti la pace. Cerco, in questa prospettiva, una sintesi conclusiva nelle parole che dal carcere scriveva Dictrich Bonhoeffcr, parole che mi sembrano attuali per la confessione umile delle nostre colpe e per le nostre rinnovate obbedienze a Dio che ci chia111a ad essere operatori di pace: «la nostra Chiesa, che in questi anni ha lottato solo per la propria sopravvivenza, come fosse fine a se stessa, è incapace di essere portatrice per gli uomini e per il mondo della parola che riconcilia e redime. Perciò le parole di un tempo devono perdere la loro forza e an1n1utolire, e il nostro essere cristiani oggi consisterà solo in due cose: nel pregare e nell'operare ciò che è giusto tra gli uomini. TI pensare, il parlare e l'organizzare, per ciò che riguarda le realtà del cri.stianesin10, dovranno nascere da questo pregare e operare. [ ... ] Sarà un linguaggio nuovo, forse con1pletan1ente non-religioso, n1a capace di liberare e redimere, come il linguaggio di Gesù, tanto che gli uomini ne saranno q G. RuoG!ERl, !/ Vangelo e la lll/Htra, cii., 53. '' Cfr Dosselti, riportato da J.A. Korv!ONCHAK, f,a redazione della (;adit1111 et .1pes, cii.,
453.
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spaventati e tuttavia vinti dalla sua potenza, il linguaggio di una nuova giustizia e di una nuova veritĂ , il linguaggio che annuncia la pace di Dio con gli uomini e la vicinanza del suo regnoÂť"',
ir, D. BONHOEFFER,
Resistenza e resa, cit.,
370.
Synaxis XVlll/l (2000) 373-384
GLI ULTIMI, UN POPOLO DI VIOLENTATI VINCENZO SORCE*
Questo mio intervento si colloca nell'ottica dell'esperienza, non della trattazione sistcn1atica. Un'esperienza n1aturata nella condivisione di vita con le persone in difficoltà. E la violenza è nn universo complesso, dai mille volti, dai molti linguaggi'.
En1argi11azione co1ne violenza L'en1arginazione è il risultato di una società a diverse velocità che scarica sui binari lenti della storia i più deboli, i più fe1iti. Li scarica dagli interessi attivi: econon1ia, politica, an11ninistrazione, cultura, co1nunità, diritti. Sono considerati ingombranti, scomodi, inutili, dannosi. E perciò da eliminare, da mettere tra parentesi, da allontanare. Nei loro riguardi si adotta spesso uua lenta, prolungata, cinica eutanasia. Li sì emargina nelle coscienze, innanzi tutto. Si demanda tutto alla sfortuna, alla disgrazia, allo Stato. Li sì 1imuove dall'mizzontc della propria responsabilità, della propria solidarietà, dcl prop1io impegno.
lnclffferenza co1ne violenza
La società attiva è h·avolta dalla frenesia, della produzione, del successo, dcli' attivismo. Una persona vale per quello che dà, che produce, che mette sul mercato. È ignorata la cenn·alità della persona con i suoi bisogni, con le sue esigenze, con le sue domande. In un tempo di alta tecnologia, di futuro, di planetarizzazione-', di ingegneria genetica, di ncw ccono1ny, non ci si può Jènnare accanto a chi ci è di ostacolo nella corsa al profitto. E si va oltre, si va avanti, *Docente di Teologia pastorale nella Facoltà Teologica di Sicilia. [Jnu cultura non violenta. /,a /eslilno11ia11za di don Pino Puglisi, a cura di V. Sorce, Callanissetta 1997. è Prl. ALSTON, Diritti 111nani e r;lohalizzazione, Torino 1999; K. OIJMAJ-:, li senso della globalizzazione, Milano 1998. 1
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ignorando chi non tiene il ritmo. Provando fastidio per chi non produce, per chi offusca l'immagine di una società ricca, moderna, efficiente. E nell'indifferenza vengono calpestati valori, dignità, libe1tà, diritti della persona.
lnf!flìcienza con1e violenza L'arco delle responsabilità della società verso gli esclusi è ampio, ricco di gradazioni. C'è una violenza attiva co1ne l'uccidere e una violenza passiva con1e il non fare, il non promuovere, il non far crescere. La vita politica, amministrativa, economica, burocratica che non si mettono al se1vizio dello sviluppo globale della persona, della promozione dei se1vizi, di una vita sempre più vivibile, sono espressione di violenza, sono fonne nascoste, sofisticate di violenza, perché calpestano i dùitti delle persone, dei più deboli. Bloccano l'affe1marsi della giustizia sociale, negano i diritti umani, rallentano lo sviluppo della società, mortificano le energie dcl tenitorio, ostacolano l'affermarsi della creatività e della partecipazione attiva delle persone alla cosa pubblica. È violenza la non competenza degli amministratori, la non profossionalilà, la mancata capacità di progra1111narc, la concezione della politica non con1e servizio, n1a co1ne potere.
Disi11/0r111azio11e co111e violenza
Molte persone restano ai margini della vita sociale, della vita democratica per mancanza d'informazione. Non conoscono i loro dilitti, le loro possibilità di crescita, le loro opportunità) i servizi esistenti. Non sanno a chi rivolgersi, a chi chiedere, cosa chiedere. La solitudine si moltiplica, la miseria dilaga, la frustrazione aumenta, il degrado sociale e morale si fa più forte. Il non sapere equivale a non vivere. Informare è come dare la parola che è consapevolezza, che è potere, che è strumento di liberazione da molti condizionamenti. In fondo, cogliere le diverse sfaccettature della violenza vuol dire attrezzarsi meglio per combatterla.
La consapevolezza ciei liiritti co1ne ]Jrevenzione e/ella violenza. Universo con11Jlesso e clran1111atico
C'è un universo variegato della povertà e dell'emarginazione. Fmtto dei diritti mancati, non conosciuti, non applicali, non promossi, non proposti. Un dato
Gli ultilni, un popolo cli violentati
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imp01iante è la crescita della consapevolezza delle istituzioni a promuovere 1 di1itti. In questi tempi si sono moltiplicate le "corti dei di1itti". Ma c'è un'abissale distanza tra le proclamazioni e le applicazioni. Addentrandoci nel pianeta delle pove11à, avvertiremo l'urgenza della promozione dei diritti. Disabili fisici, psichici, mot01i, sensoriali, mentali, tossicodipendenti, ammalati di aids, prostitute, cn1igrati, carcerati, non1adi, am1nalati tern1inali, senza fissa din1ora, disoccupati, niinori a 1ischio, anziani, alcolisti, persone plive di cultura, senza casa. Un universo complesso e drammatico'.
PrincijJa/i leggi in Sicilia: i diritti ]Jro111essi Per gli anziani: modifiche, integrazioni ed ulteriori modificazioni per l'attuazione delle leggi regionali 6 maggio 1981, n 87 e 26 marzo 1986, n 14, recanti interventi e servizi a favore degli anziani e della legge regionale 9 maggio 1986, n 22, di 1iordino dei servizi socio-assistenziali, G.U. Regionale n 14/1986. Per i portatori di handiccqJs; istituzione, organizzazione e gestione dei servizi per i soggetti p011at01i di handicaps. Legge regionale 18 aprile 1981, n 68, G.U. Regionale 176/1981. Per i tossicodipendenti: piano contro l'uso non terapeutico delle sostanze stupefacenti o psicoh·ope. Primi interventi, legge regionale 21 agosto 1984, n 64, G.U. Regionale 286/1984. Per i se1Tizi socio-assistenziali: legge regionale 9 maggio 1986, n 22, G.U. Regionale 23/1986. Per i talassemici: legge regionale I 0 agosto 1990, n 20, G.U. Regionale 49/1990. Per gli utenti dei servizi sanitari: norme per la salvaguardia dei diritti dell'utente del se1vizio sanitario nazionale e istituzione dell'Ufficio di pubblica tutela degli utenti dei se1vizi sanitmi. Legge regionale 30 gennaio 1991, n 7, G.U. Regionale 15/1991'. Sono solo alcune indicazioni sul piano legislativo che mettono in 1isalto la crescita della coscienza civile in questa direzione. Occorre una strategia globale e programmata per la trasfonnazione della prassi. L'edilizia, sia in can1po sanita1io, carcerario, in n1olli servizi socioassistenziali, pubblici e privati, fa sì che essi diventino spesso spazi di violenza, 3 S. CìA1-T1\ - V. PRISClANIJJ\RO, I volti della solidarietà, Cinisello Balsan10 1998; V. SORCE, /\!uo1'a evangelizzazione esce/fa degli 11/Nn'li, Caltanissetta 1995. " G.P. MANCiANOZZJ, Dizionario te111atico delle leggi, Torino 1993; Dizionario delle istituzioni e dei diritti del ciffadino, a cura di L. Violante, Ron1a 1996.
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perché non rispettosi della privacy personale, degli spazi vitali della persona, non rispettosi della situazione di disagio e di malattia. È violenza il non utilizzo in Sicilia dei fonti previsti per l'edilizia destinata ad accogliere gli ammalati di aids, per la fonnazione degli operatori delle tossicodipendenze, dei progetti di fonnazione professionale, dell'edilizia ospedaliera, per la riorganizzazione dei se1vizi. È violenza contro disabili la mancanza di abbattimento delle barriere architettoniche. Un esempio di violenza strutturale. In Italia è ormai lrnppo noto il sovraffollamento delle carceri. La popolazione carceraria composta da tossicodipendenti, ultimamente, è stata stimata in 17.000 unità. Eppure a Villalba (Caltanissetta) ormai da diversi anni è stato costruito un nuovo carcere. È inutilizzato. Nuovo ma chiuso. Non è utilizzato per i detenuti. Non è utilizzalo per i tossicodipendemi. Eppure tutti parlano di collasso. Sc1ive Franco Mogavero su Avvenire: «li carcere non è solo soluzione alla delinquenza. È lo slogan della "Conferenza Nazionale volontariato e giustizia", che rappresenta enti e gruppi impegnati in esperienze negli istituti di pena. li Presidente della Conferenza, Livio Ferrari, in poche battute ne sintetizza gli obiettivi: "Noi non siamo dalla parte dei delinquenti. Vogliamo dare con forza centralità all'essere umano"». FcJTari tira fumi i dati dell'indagine nazionale condotta da un'equipe di ricercatori della Fondazione italiana per il volontariato: «li 15% dei detenuti è rappresentato da giovani sbandati per la droga e i1n1nigrati extraco1nunitari». Queste categorie, prosegue il Presidente, «non si può continuare a metterle in carcere. Si devono trovare strade diverse». Gli alni numeri del dossier "Non solo carcere" vengono presentati da Renato Frisanco, il direttore della ricerca. Sono 351 le organizzazioni coinvolte nell'universo carcermio. Circa il 65% di esse si occupa di persone che usufruiscono di misure alternative o sostitutive alla detenzione, mentre il 55% si fa carico anche dell'accompagnamento nella delicata fase del reinserimento di ex detenuti. li contingente "pro-Caino" si avvale di 8.500 volontari che garantiscono un impegno settimanale di circa 21.500 ore. Entrano in contatto in un anno 63.000 persone e si fanno carico di oln·c 13.300 detenuti, di 3.500 ex carcerati e di 4.900 famiglie. L'opera dei volontari mota soprattutto attorno alla fonnazione dei detenuti con interventi specifici: recupero scolastico, alfabetizzazione dei meno scolarizzati, allestimento e gestione di una biblioteca, organizzazione di attività spmiive, culturali e teatrali. Ma Frisanco va oltre le cifì·e e lancia un'an1ara considerazione: «l volontali non sono trattati alla pmi degli operatori pubblici. Non sempre le istituzioni hanno accettato la nosn·a collaborazione. È questa la nosn·a sfida».
Gf; u/ti111i, un popolo lii violentati
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li capo dipmtimento dell'Amministrazione penitenziale, Gian Carlo Caselli, difènde con forza il servizio e le proposte dci volontmi: «L'opinione pubblica pensa che siano dalla pmte dei carcerati. Bisogna sensibilizzarla e farla crescere». Caselli analizza "i problemacci" del sistema carcerario: «Abbiamo toccato il record del sovraffollamento. Diverse strntture sono fatiscenti. C'è carenza di educatmi e assistenti sociali. Il fenomeno epocale dell'immigrazione è un fiume in piena che trascina scorie e dehiti anche nell'ambito penitenzimim>. L'intervento del direttore dell'Amministrazione penitenziale si concentra anche sull'impennata dei detenuti tossicodipendenti: «Bisogna riflettere sui risultati delle politiche proibizionistiche in materia di stupefacenti. Dobbiamo chiederci se queste siano state efficaci». Riguardo al tema tossicodipendenza e carceri, anche il ministro per la solidarietà sociale, Livia Turco, ha ribadito la sua posizione: «no ai tossicodipendenti in galera». li ministro, in vista della Conferenza nazionale che si terrà a novembre, a Genova, ha auspicato che sia da Caselli, sia dal ministro della giustizia Fassino, «alla luce delle nuove proposte operative», siano avviati progetti alternativi per queste persone'. t~ solo uno spaccato dove sì incontrano e si scontrano la negazione dci diritti e la difesa dei diritti.
Le carte dei diritti
Una delle armi della prevenzione della violenza è la sh·ada legislativa che passa dai Parlamenti, dalle Costituenti. La legislazione che si fa cultura. La cultura è la strada vincente per l'un1anizzazìone della società. Inforn1azione, fOnnazionc, cullura, fanno parte di un approccio globale in una strategia di prevenzione della violenza che sa n1ettere al centro la persona con i suoi diritti, con i suoi bisogni più profondi. Lottare per la difesa dei diritti dei più deboli equivale a lottare contro la violenza. Si sono moltiplicate, onnai, le dichiarazioni. Interessante il "Preambolo alla Dichiarazione universale dei diritti un1ani" dcll 'C)nu, che esprin1e una strategia della prevenzione della violenza: «Considerato che il 1iconoscimento della dignità inerente a h1tti i membri della famiglia umana e dci loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo;
-' A1 11'enire, 28 ottobre 2000, 12.
Vincenzo Sorce
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Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno p01iato ad atti di barbarie che hanno ofteso la coscienza dell'umanità e che l'avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libe1tà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione della gente comune; Considerato che è indispensabile che i diritti umani siano protetti da n01me giuridiche, se si vuole evitare che gli esseri umani siano costretti a rico1Terc, con1e ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l'oppressione; Considerato che è indispensabile promuovere lo sviluppo di relazioni an1ichevoli tra le Nazioni; Considerato che i popoli delle Nazioni Unite hanno 1iaffermato nello Statuto la loro fede nei diiitti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nell'uguaglianza dei diritti dell'uomo e della donna ed ham10 deciso di promuovere il progresso sociale e migliori condizioni di vita in una più ampia libeità; Considerato che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in
cooperazione con le Nazioni Unite, il riconoscimento e il rispetto universale dei dilitti umani e delle libe11à fondamentali; Considerato che una concezione comune di questi diritti e di queste libe11à è della massima impm1anza per la realizzazione di questi impegni. Adesso, per tutto questo, l'Assemblea Generale Proclama la presente Dichiarazione universale dci diritti umani come modello comune da realizzare (common standard of achievement) per tutti i popoli e tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo e ogni organo della società, tenendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, mediante l'insegnamento e l'educazione, il 1ispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantire, mediante provvedimenti progressivi di carattere nazionale e internazionale, I'universale ed effettivo iiconoscin1ento e Iispetto tanto tra i popoli degli Stati membri, quanto tra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione. [ ... ] Articolo 2 I . Ogni individuo è titolare di tutti i diritti e di tutte le libe11à enunciati nella
presente Dichiarazione, senza distinzioni di alcun genere, quali la razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l'origine nazionale o sociale, la condizione economica (prope1iy), di nascita o Olo'lli altra condizione. 2. Nessun'altra distinzione potrà inoltre essere fatta sulla base dello status politico, giu1idico o inten1azionale del Paese o del territorio cui una persona appartiene,
Gli ultin1i, un JJOJJO/o di violentati
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sia che tale Paese o tenitorio sia indipendente o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità. Aiiicolo 3 Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona. Articolo 4 Nessuno individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saram10 proibite sotto qualsiasi fonna. Articolo S Nessun individuo potrà essere sottoposto a tmiura o trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti. Articolo 6 Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della prop1ia personalità girnidiea. Articolo 7 Tutti sono uguali dinanzi alla legge e sono, senza alcuna discli1ninazione, titolmi del diritto alla protezione da pmie della legge. Tutti sono titolari del diritto ad una uguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione e contro qualsiasi istigazione a tale discrin1inazione0 ». L'esperienza di questi anni, sia a livello regionale che nazionale ed internazionale, n1i ha confcnnato nella convinzione che terra fi~1tile della violenza è l'ignoranza, la 1nancanza d'istruzione, di fonnazione. Dare la parola vuol dire dare la consapevolezza, la responsabilità, la dignità'. Così si esprime il "Patto internazionale sui dilitti economici, sociali e culturali": «A1ticolo 13 I. Gli Stati pmte del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo all'istruzione (education). Essi convengono sul fatto che l'istruzione deve mirare al pieno sviluppo della personalità umana e del senso della sua dignità
6
I. VERGNANO, I diritti 1111u111i, Torino 1998. P. fREIRE, Pedagogia degli oppressi, Milano J 970; Io., L'educazione co1ne pratica de!!a lihertà, Milano 1972; L. M!LANI, Lettere ad una pn?fessoressa, Firenze 1973. 7
Vù1cenzo Sorce
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ed a rafforzare il rispetto per i diritti umani e le libertà fondamentali. Essi convengono inoltre che l'istruzione deve mettere tutti gli individui in grado di partecipare in modo effettivo alla vita di una società libera, deve promuovere la comprensione, la tolleranza e l'amicizia tra tutte le Nazioni e tutti i gruppi razziali, etnici o religiosi ed incoraggiare lo sviluppo delle attività delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace. 2. Gli Stati paite del presente Patto, al fine di assicurare la piena attuazione di questo diiitto, riconoscono che: a. l'istruzione primaria deve essere obbligatoria e accessibile gratuitamente a tutti; b. l'istruzione secondaria nelle sue diverse fon11e, inclusa l'istruzione secondmia tecnica e professionale, deve essere resa generale ed accessibile a tutti con ogni 1nezzo a ciò idoneo, e in pa11icolare 1ncdiante \'instaurazione progressiva dell'istruzione gratuita; c. l 'istt1rzione supe1iore deve essere resa accessibile a tutti su un piano di uguaglianza, in base alle attitudini di ciascuno, con ogni mezzo a ciò idoneo e in particolare mediante l'instaurazione progressiva dell'istruzione gratuita; d. l'istruzione di base deve essere incoraggiata o intensificata nella inisura del possibile, a beneficio degli individui che non hanno 1icevuto l'ishc1zione
pri1naria o non ne ham10 con1plctato il corso; e. si deve perseguire attivamente lo sviluppo di un sistema di scuole di ogni grado, stabilire un adeguato sistema di borse di studio ed assicurare un continuo miglioramento delle condizioni materiali del personale insegnante. 3. Gli Stati pmte del presente Patto sì impegnano a rispettare la libertà dei genitori e, ove del caso, dei tut01i legali di scegliere per i figli scuole diverse da quelle istituite dalle autorità pubbliche, pun::hé eonfo1111i ai requisiti minimi fondamentali che possono essere prescritti o approvati dallo Stato in materia di istruzione e di curare l'educazione religiosa e n1orale dei figli in confor111ità con le proprie convinzioni.
4. Nessuna disposizione di questo articolo sarà inte11Jrctata nel senso di recare pregiudizio alla libe1tà degli individui e degli enti di fondare e dirigere istituti di istruzione, purché i principi enunciati nel primo paragrafo di questio miicolo vengano rispettati e l'istruzione in1pa1tita in tali istituti sia conforn1e ai requisiti minimi fondamentali che possono essere presc1itti dallo Stato»'.
Per una peclagogia della non violenza g
I.
VEHGNANO,
I diritti u111a11i, cii.
Gli u/1;,ni, un pupo/o di violentati
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Ampia e ricca è la documentazione che offre diverse indicazioni sul piano educativo. La Dichiarazione universale del 1948 esorta affinché «ogni individuo e ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l'insegnamento e l'educazione, il rispetto di questi diriUi e di queste libertà e di garantire l'universale ed effettivo riconoscimento»'. La convenzione contro la discriminazione nel campo dell'insegnamento affenna: «l'educazione deve tendere al rafforzamento dei dùitti dell'uomo e le libertà fondamentali e deve promuovere la comprensione, la tolleranza e l'amicizia fra tutte le Nazioni e tutti i gruppi razziali o religiosi». La convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale dice: «adottare immediate ed efficaci misure, in pmticolare nei campi dell'insegnamento, dell'educazione, della cultura e dell'inf01mazionc, per lottare contro i pregiudizi». Gli stessi contenuti offrono la convenzione sui diritti dell'infanzia (19891990), la Dichiarazione di Vienna sui diritti umani e Programma d'azione (1993), il Decennio per l'educazione ai diritti umani ( 1994). Ad essi si uniscono l'attività dell'UNESCO e del Consiglio d'Europa per l)cducazione ai diritti un1ani 10 . Recentemente l'Europa si è data una "Carla dei diritti fondamentali dell'Unione Europea" sulla quale riporlo le riserve espresse dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee. «Nel quadro di una riflessione sugli sviluppi del processo di unificazione europea e sull'appo1to che vi può dare la Chiesa cattolica, il Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa ha dedicato una pmticolarc attenzione alla Cmta dci diritti fondamentali dell'Unione europea che sarà proclamata in occasione della riunione del Consiglio europeo di Nizza del prossimo 7-8 dicembre. I vescovi hanno ritenuto che la Carla rientra in quel processo di rafforzamento del quadro istituzionale dell'Unione europea che rappresenta di per sé un fatto positivo, perché consolida la rete di vincoli e di cooperazioni, liberamente assunta, che è presidio e impulso di sviluppo nella pace, nella giustizia e nella solidarietà per il nostro continente. I diritti umani appartengono infatti alla parte migliore della tradizione religiosa e morale, culturale e civile dell'Europa. Al contempo i vescovi hanno dovuto prendere atto che alcune fonnulazioni adottate sono incomplete o anche francamente non accettabili. Tra queste, oltre all'assenza di ogni riferimento a Dio, in pmticolare quella che stabilisce il divieto della clonazione di esseri umani, limitandolo però alla clonazione riproduttiva; ~f. LOTTI --- N. Cì-lANDOMENICO, Insegnare i diriffi 111nani, IO
fbid., 156-173.
Torino
1998.
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Vù1cenzo
Sorce
quella che, distinguendo il "diritto di sposarsi" dal "diritto di costituire una famiglia", intende legittimare, chiamandole famiglie, fonne di unione diverse dal mal!imonio; quella che omette di iiconoscere alle Chiese e comunità religiose in quanto tali una prop1ia specifica rilevanza gimidica e istituzionale. I vescovi hanno peraltro apprezzato l'importanza ricouosciuta alla stretta connessione di questa Caita con alcuni principi etico-sociali, come quelli di sussidiarietà, di solidarietà e di iispetto delle identità nazionali, oltre che con il quadro dei dilitti già affermati da precedenti documenti internazionali di alto significato, nonché tradizioni costituzionali degli Stati membri. La Chiesa cattolica in Europa sa di poter molto contribuire -· insieme alle altre Chiese e comunità cristiane - all'incremento del patt·imonio religioso, spirituale e morale del nostm continente. l vescovi incoraggiano pe1tanto ogni sforzo che, sia nei singoli paesi, sia a livello europeo, n1iri a rinnovare e potenziare qucll 'humus culturale di matrice cristiana che è stato storicamente, e può essere più che mai nel foturo, fattore determinante - insieme ad altre tradizioni - di uma111zzaz10ne e di promozione dell'unità per tutti i popoli del continente europeo 11 ».
11 paradosso deilafàmiglia Ho cercato di indicare spazi, ambiti dove si annida la violenza, carenze che penncttono la crescita della violenza. È paradossale notare come la famiglia, chiamata a custodire la vita, ad educare al rispetto della persona, spesso diviene una struttura di violenza. Ecco un rapporto drammatico di Giovanna Cavalli: «Questa è l'età dell'innocenza calpestata. Dei bambini incompresi, picchiati, tt·ascurati, mandati a lavorare. Sempre più inditèsi: nel 1996 le violenze sessuali sui minori (quelle denunciate) erano 306, sono salite a 470 nel 1997, a 534 nel 1998, nel 1999 sono state 511. Un onme quotidiano: ogni giorno due piccole vittime subiscono abusi sessuali. Non accade altrove, 111a sotto i nostri occhi. La denuncia parte dal Telefono Azzurro che in collaborazione con I'Eurispes ha compilato il primo rappmto nazionale sull'infanzia presentato ieri all'Università La Sapienza di Roma. Una fotografia di un paese che an1a poco i suoi ba1nbini, che non sa capirli. In un anno (da luglio 1999 a giugno 2000) il centralino di Telefono Azzurro ha 11
Avvenire, 24 ottobre 2000.
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ricevuto 587.445 telefonate. Una media di 48.954 richieste di aiuto al mese, I 632 al giorno, 68 all'ora, più di una al minuto. Non tutti i casi gravi, ce1to. Ma per 32.305 minori che si sono 1ivolti al numero amico è stato necessario l'intervento di un consulente specializzato, mentre 6.879 (19 al giorno) erano in serio pe1icolo. A chiamare sono soprattutto bambine (63,4 per cento) e rispetto all'età, ragazzini tra gli l l e i 14 anni (51 per cento), seguiti dai piccini che hanno meno di 10 anni (35,9 per cento). Di cosa vogliono parlare? A turbarli sono soprattutto i problemi con i genitori (25,7 per cento), ma 18 su cento dichiarano di aver subito un abuso sessuale. La regione in cui si sono registrate il n1aggior numero di violenze sessuali sui minori è la Lombardia: il 16 per cento. Seguila dalla Sicilia con 71 casi di pedofìlia. Il centro Italia è l'arca meno a rischio. Nel mondo oltre 2 milioni di bambini sono sottoposti a sfruttamento sessuale per video o foto pornografiche, un giro d'affari valutato intorno ai 5 mila miliardi. Il pericolo sì nasconde in famiglia. Molto spesso l'aggressore (che 87 volte su 100 è italiano) è proprio chi dovrebbe proteggere il bambino, ossia uno dei genitmi (il papà nel 29,9 per cento dei casi, la mamma nel 6,41), fratelli e sorelle (2,7 per cento), altri parenti (15 per cento), conoscenti (21,7 per cento). Soltanto nell'8,6 per cento dei casi l'aguzzino è uno sconosciuto. "Non bastano 830 rinvii a giudizio, né le dichiarazioni di un solo ministro per combattere la pedofilia" avve1te Ernesto Caffo, fondatore di Telefono Azzurro, "La giustizia è lenta, i ba1nbini sono lasciati soli,'. Bambini appena nati e subito traditi: ogni anno vengono al mondo 529 mila piccini, ogni giorno uno di loro viene abbandonato. Nel 1999 ben 1.246 sono stati dichiarati in stato di adottabilità, 15 mila vivono negli istituti. Quasi un bimbo su dieci vive la famiglia come un problema, alcuni la descrivono come "una tragedia". Bambini sfìl!ltati. ln Italia, calcola l'Eurispcs, sono 300 mila i minori impegnati in lavori a tempo pieno o parziale. Al Sud circa il 30 per cento dei piccoli tra i l O e 14 anni svolge una qualche forma di attività remunerata. Nel 1999 si sono verificati oltre 19 mila incidenti sul lavoro che hanno coinvolto giovani al di sotto dei 17 anni»1.'.
lè
G. CAVALLI, Dossier sui n1i11ori, in Corriere della sera. 28 ottobre, 2.
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Processo tercqJeutico e liberazione dalla violenza La tossicodipendenza esprime disagio psicologico e sociale e, spesso, è espressione di violenza. C'è un rappmto intrecciato tra droga, criminalità organizzata, cultura della violenza. li non senso, la mancanza di sicurezza, di punti di rifèrimento, spesso conducono all'aggressività e alla violenza. Ho seguito centinaia di persone tossicodipendenti nel "Progetto Terra Promessa" 13 Un'esperienza straordinaria di reciprocità educativa. Spesso all"ivano persone dal carcere con un curriculun1 significativo di violenza, con schede che 111ettono paura, con presentazioni inquietanti. Marchiati. Segnati. Ed è sorprendente come molti, non tutti e non sempre, intraprendono il canunino terapeutico, il processo di cambiamento, in modo radicale e globale. Il programma terapeutico, strutturato sulla centralità della persona, sui valmi, sull'etica della responsabilità, sulla spiritualità della solidmietà, cona·ibuisce marcatamente al risveglio della coscienza, alla fonnazione di una coscienza retta, di una nuova in1postazionc di vita che 1ifiuta la violenza e sceglie il rispetto, il servizio, l'amore. C'è una profonda messa in discussione del proprio passato, delle scelte precedenti, ed il coraggio di superare ome1tà, legami pe1icolosi, modelli delinquenziali. Spesso, uscire dalla droga vuol dire uscire dalla violenza. Per questo le comunità si presentano come sa·umcnti privilegiati di cambiamento radicale, di prevenzione della criminalità. I vissuti di violenza si traducono in sensi di colpa, bisogno di perdono, do1nanda di riconciliazione 14 • ln una strategia di prevenzione radicale della violenza, stiamo prestando molta attenzione al pianeta infanzia, ai 111inori a rischio, con strutture a Caltanissetta, Ragusa, Roma, Brasile. Interventi precoci ed adeguali che coinvolgono le famiglie e tendono a modificare le dinamiche evolutive a rischio. Un lavoro faticoso ma esaltante che documenta la recuperabilità della persona e le sue possibilità di cambiamento. La non violenza non è un'utopia incantata, 111a una realtà possibile.
11
l-1
V. SOl{CE, li coraggio di osare, Milano 1995. A. AcEnHl - L. EUSl'Bl, Colpa e pena?, Milano 1998.
Synaxis XVIIJ/2 (2000) 385-399
L'EDUCAZIONE ALLA PACE IN ALCUNI SCRITTI DEL VESCOVO MARIO STURZO PASQUALE BUSCEMI'
Nell'affrontare il tema della pace in mons. Mario Sturzo occorre tener conto di alcune premesse importanti che servono a comprendere e qualificare il contributo che l'autore offre, come anche l'originalità del suo pensiero su questo tema. Un primo elemento lo ricaviamo dalla biografia dello stesso in quanto personalità poliedrica e riccamente significativa: offro solamente qualche breve nota per inquadrare il tempo storico e il contesto culturale in cui è vissuto; rimandando a pubblicazioni più deUagliate e complete'. Mario Sturzo nasce e cresce in un contesto familiare sensibile alla causa sociale. Il padre, impegnato politicamente, promosse opere cattoliche di base, orientate a costruire un giusto e sano convivere pacifico all'interno della città. l figli crebbero aiutati e stimolati dall'esperienza dei genitori, che forgiò il carattere dell'intera famiglia e fu la premessa importante per comprendere le scelte vocazionali dei sei figli, due dei quali furono sacerdoti e una religiosa. Un secondo contr·ibuto è offerto dalla considerazione che riguarda la personalità dei due fratelli: impegnati a promuovere uno stile armonico, corretto e pacifico; non sono accomunati solamente dal sangue e dalla scelta della vita sacerdotale, ma hanno in comune la medesima formazioue culturale, spirituale e sociale e sono ambedue determinati dalle stesse preoccupazioni. L'accostamento dei due fratelli è opportuno, in quanto le loro opere sono interdipendenti e complementari; il prof Latora parla di complementarietà culturale, filosofica e teologica·.
* Docente incaricato di Teologia 111orale nello Studio Teologico S.
Paolo di Catania. 1\Jario Sturzo. Un Vescovo a cor!fronto con la 1noden1ità, Atti del convegno di studi, Piazza Annerina 29-30 ottobre 1993, Caltanissetta 1994; La chiesa di Sicilia dal Vaticano I al Vaticano li, voll 2, Caltanissetta 1994: S. LATOnA, AJario e Luigi Sturzo. Itinerari alla santità, Catania 1999; ID., J\fario e Luigi Sturzo. Per una rinascita culturale del cattolicesi1110, Catania 1991. 2 llJ., J'1ario e Luigi Sturzo. Itinerari alla santità, cit., 7. 1
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Pasquale Buscen1i
Le modalità di realizzazioni sono diverse, ma unico è il progetto culturale: un cattolicesimo rinnovato alla luce delle nuove istanze. Mario cura gli aspetti filosofici, teologici e pastorali; Luigi quelli politici e sociali. Molte idee mah1rate da Mario sono fatte proprie, integrale ed elaborate da Luigi. Entrambi sono attenti e fedeli interpetri del rinnovamento ecclesiale voluto da papa Leone XIII, fautori di un dialogo serio, sereno e convinto tra Chiesa e modernità. Sono accomunali dallo stesso amore, a volte sofferto, che nutrono per la Chiesa, fino ad accettare umiliazioni; tuttavia desiderosi di raggiungere ambedue la santità quale scopo primario del loro essere ed agire'. Un terzo apporto lo possiamo ricavare facendo attenzione al contesto socio-culturale in cui opera Mario Sturzo prima da sacerdote ed in seguito come vescovo. L'arco di tempo in cui è vissuto (1° novembre 1861 - 12 novembre 1941) è caratterizzato da grandi cambiamenti sociali, politici, culturali e religiosi (unità d'Italia con conseguente polemica anticlericale; I conflitto mondiale; ascesa del fascismo e li conflitto mondiale). Questi eventi hanno accentuato problemi pastorali e culturali di notevole interesse, provocando il pensare teologico e l'organizzazione pastorale della comunità cristiana. «Scopria1110 oggidì una quantità di sinton1i di profonda decadenza fisica e civile che [ .... J si rivela dalla tnancanza di una seria educazione interiore[ ... ] Se la natura sorge con le tendenze al n1ale, l'educazione interviene per reprin1ere queste tendenze e sviluppare i gern1i del benc» 4.
l vescovi accusano uno scollamento se1npre più rischioso tra istituzioni ecclesiali e vita morale; un movimento di secolarizzazione delle masse, di scristianizzazione con conseguente rilassamento dei costumi ed il sorgere di nuovi ceti intellettuali contrari alla Chiesa. Mario assieme al fratello vive questi fermenti, si inserisce in questo agone culturale offrendo il suo contributo personale; i suoi scritti, infatti, sono da considerare preziosi per comprendere la ricchezza e l'originalità del suo pensiero, ma sono da inserire in questo contesto storico, tenendo conto delle ansie pastorali e culturali del pastore. Gli scritti risentono anche della metodologia tipica del tempo in cui visse Sturzo; per esempio l'uso della Sacra Scrittura è scientificamente poco attendibile in quanto è utilizzata per 3
Cfr M. STUl{ZO, La sa11tità ne/l'itinerario de// 'anùna in Dio, Asti 1935, 88-89. Io., Liberazione. Le!!era pastorale per la quaresilna de! 1912, Piazza Annerina 1912, 1-7. 4
l 'educaz;one alla pace in Mario Sturzo
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motivi apologetici e parenetici. Le argomentazioni sono impostate prevalentemente in chiave filosofica e moralistica: le citazioni bibliche, in realtà limitate, servono per avvallare le argomentazioni che l'autore propone.
I. I volti della pace
Il terna della pace, anche se non trova una esplicita trattazione negli scritti del vescovo, tuttavia non possiamo affermare che sia assente: le lettere ci aiutano a cogliere un tratto caratterizzante la riflessione sulla pace: la percezione del nesso tra sfera interiore e fatti esterni; la consapevolezza che la persona è soggetto che va continuamente educato alla luce del fine ultimo, ciò è una conquista progressiva che a partire dal cuore dell'uomo si dilata fino a divenire qualcosa che interessa non soltanto il ben-vivere della singola persona, ma anche la sopravvivenza della società umana. Esamino il terna della pace e della sua educazione in alcuni scritti che considero emblematici di tutta la riflessione sturziana. Evidentemente la scelta metodologicamente operata è limitativa ma non arbitraria in guanto la selezione è fatta a partire dagli scritti che sono o programmatici dell'episcopato sturziano o riepilogativi della letteratura del nostro autore. Fin dall'inizio del suo episcopato, già dalla prima lettera pastorale dcl 1903, si sente spinto a un lavoro cli restaurazione: che non si co111pie in un giorno né in un luogo, né da una o jJoche persone-'. L'opera che propone è determinata da una chiara visione della realtà:
«l ... ] la corruzione dei costumi se111pre crescente, la niiscredenza divenuta quasi universale, la sfì·enata cupidigia che insie1ne con il disagio econo1nico spinge a violare ogni diritto, a sconvolgere ogni buon ordina111ento, l'acuirsi quotidiano della lotta tra ricchi e poveri, il non tener conto più dei richia111i della coscienza e degli i111pulsi della grazia»". Le lettere pastorali e gli altri scritti documentano assai bene come siano i sentieri dell'interiorità i luoghi privilegiati lungo i quali sì incammina la ricerca della pace, intesa co1ne desiderio di educazione di una autentica comunione universale con Dio e tra gli uon1ini. A distanza di un anno dalla pubblicazione della sua prima lettera pastorale e dalla presentazione del programma pastorale ivi presente, mons. 5 ID .. I lettera pastorale, Piazza Arn1crina 1903, 4. 6
L.c.
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Sturzo si rallegra perché molte opere sono sorte con entusiasmo e rapidità facendo sperare in una buona restaurazione etica oltre che economica, però una preoccupazione è sempre presente in lui: la formazione di una vera coscienza un1ana. «[ .. ] La rigenerazione degli spiriti per finire nella rigenerazione della socictà» 7 •
Tutte le opere sociali come: la cassa rurale, la cooperativa, la banca, dovevano essere pregne dello Spirito di Gesù Cristo. Si tratta di una vera "ascesi", che esige resistenza e vigilanza, anzitutto per non lasciarsi sopraffare dalla sconfortante esperienza del risentimento proprio e altrui. La ricerca della pace passa per la responsabilità della cmTezione, quel faticoso esercizio di onesta introspezione che solo la grazia di Dio consente e sostiene avendo cura di scendere continuamente dentro il proprio io, facendo luce nella selva dei sentimenti e nutrendo il coraggio di fugare la malizia del compiacimento. L 'espe1icnza della durezza del cuore, ossia del peccato che è dentro, ma anche fuori dell'uomo, apre la strada alla scoperta della pace e alla consapevolezza che solo Dio può offrirla, e permette di accoglierla come una gioia che viene dall'alto. Sono anzitutto gli affanni di questo mondo, nei quali si spendono tante energie, a spingerci a desiderare la quiete eterna; a vincerli è soltanto quella pace che sa costruire unità nella carità e la cui richiesta è in ultima analisi il senso stesso del richia1110 a concentrarsi sulla vita interiore. «La filosofia e la 1nedicina insie1nc unite, studiando i principi dell'etica, le leggi dcl pensiero e dell'organisn10 umano le conseguenze del bene nello spirito e nel corpo, sono venute alla conclusione che l'ani1na un1ana ha bisogno di un fonda1nento 1norale, con1e il sangue ha bisogno di ossigeno. L 'uon10, adunque, non solo se vuole essere onesto, 1na se vuole essere sano attenda alla propria rigenerazione n1orale» 3 .
Una tale disposizione spirituale ha il significato di sottrarre l'uomo al pericolo di cadere sia in una esperienza religiosa caratterizzata da una sorte di autosufficienza inti1nistica, sia in un attivis1no dispersivo e, in fondo, sterile. In questo quadro l'innalzamento a Dio diviene garanzia che il nostro 7
8
Io., Il lettera pastorale, Piazza Arn1erinal 904, 1. ID., Liherazione. Lettera pastorale ... , ciL., 48.
L'educazione alla pace in A!fario Sturzo
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agire, anche nelle contraddizioni poste dalla vicenda umana srn un agire nella pace della carità divina. «La natura infetta della colpa di origine c nelle condizioni che abbian10 visto, ha bisogno di un incessante lavoro di liberazione. Neanche quando si è arrivati alle più alte cime della santità si potrà credere che questo bisogno sia cessato. I inalvagi istinti non si estinguono con la virtù, ina si do111ano; i11a tuttavia restano nel nostro essere e reagiscono incessante1nente [ ... ]La fede e la grazia co1ne rendono ai nostri occhi sacro il nostro COl])O [ ... ],e perciò ci spingono all'azione di repressione degli istinti nialnati, così ci tànno guardare con lo stesso occhio i nostri prossin1i [ ... ], nia ci tànno conoscere sotto una luce superiore, gli effetti della solidarietà» 9 •
Il credente deve arrivare ad avere chiara coscienza che, in pri1110 luogo, i nemici da sconfiggere sono soprattutto le passioni con cui questo mondo terreno viene amato cd il fedele distolto dalla conquista dei beni eterni. «San Paolo insegnò[ ... ] che in noi ci sono due leggi contrarie e ripugnanti: la legge della n1ateria e la legge dello Spirito; contrarietà, ripugnanza, disordine, proveniente dal peccato di origine. Non è il caso di insistere su questo punto, perché lo stato di squilibrio del nostro essere, lo stato di conflitto incessante tra le aspirazioni al bene e le tendenze al niale è di111ostrato in una n1aniera irrefutabile dalla storia di tutti i te1npi e di tutti i luoghi. A nie basta per tirarne per conclusione la legge che il bisogno di liberazione, essendo inerente alle condizione della natura un1ana, dura tutta quanta la vita» 1 ".
Il combattimento spirituale ha come termine corrispondente, nella società u1nana, il con1battimento contro il nen1ico visibile: in an1bedue i casi la pace si configura non quale semplice assenza di guerra, bensì quale risposta attiva all'ordine n1alvagio del vivere nel peccato e in ciò che il peccato co1nporta. Pacificare significa fare ordine e concordia nella totalità della realtà, ossia sul piano delle relazioni un1ane e su quello delle relazioni con Dio, cui le prin1e sono gerarchican1ente subordinate. «L 'uo1110 per natura è spinto verso il bene; e questa è una legge così assoluta che rende in1possibile, con1e insegna San Ton1111aso, che si possa volere il '!
Jbid, 54--55. /bid.10 li.
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F'asqua!e Buscen1i
111alc in quanto 111ale. E quando uno tnisera1nente vi si piega, è sen1pre dietro un falso apprendi111cnto di bene. Ma l'uomo non ha nella vita presente la piena conoscenza dcl bene assoluto; debole è la sua intelligenza, ed ha la volontà agitata dal tun1ul10 delle passioni. Queste esercitano in noi l'azione della luce, del fuoco, del moto[ ... ] qui si scorge la grande imp011anza delle idee [ ... ] l'idea diventa legge di azione anche quando le idee sono false. influiscono totaln1ente sulla coscienza che la falsano e creano uno stato patologico più o 111eno grave più o 111cno insanabileJ> 11 •
Importante è notare anche l'attenzione che Mario Sturzo destina all'ambiente e a ciò che esso comporta per la buona riuscita della persona, come anche per la storpiatura della stessa e il decadimento morale della
società. «Ora faccian10 una piccola son11na: unia1no ai 111ali che l'uon10 poiia in sé per vizio di natura, a causa della colpa di origine e delle colpe personali, il nialc che proviene dalla legge dell'a111biente, e sarà tàcile persuadersi se ci sia persona che possa non avere bisogno dell'opera di liberazione [ ... ] In una società che crolla da lutte le parti, bisogna innanzitutto raddrizzare le idee J ... 1 L'ignoranza degli u111ani destini dovrebbe logican1cnte geiiare nella costernazione gli uo111ini; la conoscenza chiara ed esente da ogni dubbio, dovrebbe produrre I' efi'etto contrariolf 1 '-
2. Costruire la }Jace ù1 una società violenta Mario Sturzo vive sulla propria pelle i tormenti della sua epoca, alla ricerca di una stabilità concreta1nente realizzabile e, insien1e, di un rinnovamento profondo che parta soprattutto dalle idee e conduca ad un sano e santo vivere. Nella sua esperienza di pastore e studioso ha vissuto 1non1enti di violenza e di sofferenza e, da allora, la percezione di questa oscura 111alattia del cuore dell'uo1110 lo acco1npagna nel can1111ino di purificazione incontro ali' Assoluto. Alla continua ricerca di una pace possibile, ritiene che la società cristiana, nel disannare i suoi nen1ici e nel correggere i loro errori, svolga il ruolo proprio dcl pacificatore.
li
12
Jbid, 12-13. lbid, 14, 16, 19.
L'educazione alfa pace in Mario Sturzo
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La Chiesa è la sola forza spirituale e morale che può fare fronte allo smarrimento e alla disgregazione in cui è caduta una comunità politica, incapace di proiettarsi in avanti. «La fede è una virtù soprannaturale. Il credere[ ... ] richiede necessaria111ente l'intervento divino; ricevuta la fede, una 111utazione profonda avviene nello spirito un1ano e la visione del problen1a della vita attinge la certezza n1assi111a che non a111111ette dubbio, che esclude ogni tin1ore. l n questa rigenerazione l'aniina riceve con1e un nuovo principio di vita, che noi chian1ia1110 grazia>> 11 •
Nel corso della sua prima lettera pastorale, Mario Sturzo esamina la radice da cui si dipa1te ogni forma di male morale nella persona e nella società: l'egoismo. «La storia della un1anità, di tutti i te1npi e di tutti i luoghi, ci prova esistere negli uon1ini una tendenza, che per essere costante ed universale, è espressione di una legge ( ... ] riconosciuta con1e legge di corruzione e distinta col non1e di egoisn10» 1 ~.
Anche nella li lettera pastorale del 1904 offre gli stessi spunti per identificare nel male morale la causa di tanto disordine all'interno della persona e della società; richiama la necessità di illuminare di fede autentican1ente e genuinan1ente cristiana tutte le attività e iniziative in 111odo di arginare il male sempre pili invadente; inoltre il vescovo otfre una panoramica socio-culturale e religiosa del suo tempo: «l ... J non ci trovian10 a lottare contro il inale [ ... ]In quanto funesto retaggio della colpa di origine, che conta111ina la società u111ana, per nostra sventura ci trovian10 di fronte alle conseguenze di lunghi rivolgin1enti religiosi, civili e sociali ed alle pren1esse di nuovi rivolgi111entì più gravi dei pri1ni e pili disastrosi dci prin1i. Il cristiano oggi, quasi svegliandosi da lungo sonno 1 si trova in una società nuova, cristiana ancora nel non1e, nia pagana nello spirito» 1 ' .
r...
L'antidoto per combattere tale forza che sprigiona ogni forma di n1alvagità, co1Ton1pendo ani1ni, costun1i e ogni IOrn1a di società non è la giustizia, intesa con1e virtù coercitiva e regolativa dei rapporti un1an1, ina è fhid., 42-43. ID., J lettera pastorale, ciL., 6. 15 Ibid, 6-8. l_1
14
Pasquale Buscen1i
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la legge dell'amore. Sturzo non tratta dell'educazione ai valori e quindi a una vita moralmente corretta in astratto, ma sviluppa una concezione positiva e concreta dell'educazione morale della persona, intesa come realizzazione della creatura umana, dotata di libertà e razionalità, di relazionalità trascendente ed interumana, di moralità e di religiosità intesa come rapportarsi continuo con Dio, som1110 bene e so1n1no vero. Propone una educazione fondata sui valori della persona e ispirata alle esigenze di giustizia e di amore. «Ora se l 'u111ana società esiste [ ... ] è necessario che venga evocata una legge più forte dcll'egois1no ed all'egois1no contraria, la quale ordini i rapporti dei consociati e li renda annonici, tuisca i diritti dei deboli, sollevi gli un1ili, e mettendo freno alle sopraffazioni della forza, sancisca la n1on:ile eguaglianza di tutti gli uo1nini. Al qual fine la sola giustizia non basta [ . .. ] La giustizia, quand'anche valesse a vincere l'cgois1no sola non basterebbe a vincere I' cgoisn10, sola non basterebbe a regolare tutti i rapporti dei consociati [ ... ] quest'altra legge, che sia ainpia quanto la libeiià u1nana, che con1prenda tutti i rapporti dei consociati, che valga ad ani111are ed integrare la legge della giustizia, è chiaro che non potrebbe essere che la legge dell'an1ore» 1 ('.
Si sbagliano coloro che pensano che siano sufficienti leggi corrette e strutture giuste per migliorare la qualità della vita della persona e della società e per giungere alla sintesi della realtà umana che è la santità, intesa, non soltanto come vita in Dio, ma anche come perfetta realizzazione della persona, chiamata cd ontologican1ente orientata a vivere in pace con Dio, con se stessa, con gli altri e in comunione con tutto il creato. È noto dalla storia un1ana ed è verità evidente dai fàtti che senza un nuovo spirito e senza nuovi atteggian1enti, scaturenti dall'evento cristiano, non è possibile dar vita a sane strutture, orientate a realizzare la santità che è anche pace, inoralità, autentican1cnte ed essenzialmente sana e buona. Per i cristiani l'in1pegno nell'educazione sisten1atica, orientala a forn1are persone e co1nunità an1anli del bene, della verità, della pace è frutto della loro fede nella redenzione. La legge dell'amore non può avere piena enicacia, se non è preceduta dall'intervento gratuito, ma indispensabile che corrisponde all'opera di restaurazione con1piuta da Gesù Cristo. «Occorre indagare la cagione del 111alc, non l'eflètto, ( ... ] e applicare il rin1edio [ .. ] Trovian10 registrato dalla storia un avve11in1ento singolare e del
16
L.c.
l'educazione alla pace ù1 Mario Sturzo
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tutto straordinario: la con1parsa di Gesù Cristo, che si presenta con la inissione di restauratore [ ... ] e che solo detennina un ciclo di civiltà affatto nuovo e spinge l 'un1anità, che fino allora nelle vie etiche e religiose aveva ca1111ninato a ritroso, a un progresso, che ha per tern1ine l'infinito [ ... ] La legge della giustizia non basta a vincere l'egoisn10 perché è legge[ ... ] Ma dopo il prcdon1inio dell'egois1no, per evocare la legge dell'a1nore bisogna che l'un1anità venga restaurata. Qui un can1po nuovo si è schiuso al nostro sguardo, il can1po del soprannaturale[ ... ] non ci si deve fàre tneraviglia se Gesù Cristo nell'opera dell'umana restaurazione tende un can11nino diverso di quello che si sarebbero aspettati gli stessi discepoli; infàtti non poteva fare altrin1enti per la ragione che ogni questione sociale non è tnai soltanto econo1nica, n1a principaln1ente è 111orale e religiosa!! 17 •
L'opera della redenzione compiuta da Gesù Cristo è efficace, perché can1bia l 'uo1no dal suo interno; la restaurazione cristiana sconvolge anche i contemporanei di Gesù che attendevano stravolgimenti sociali. «Essendo il fine ultin10 dcll'uon10, e perciò il vero fine, la felicità eterna, Gesù (~risto non poteva proporsi, con1e ragione principale ed essenziale dcli' opera sua, che rende capace I' uon10 cli conseguire questo fine [ ... J C:ìesù Cristo non venne a sdoppiare l'uon10, a stabilire antagonisn10 tra il ciclo e la terra, anzi venne a restaurare ogni cosa. Se cliversan1ente avesse voluto fare, sarebbe stata necessaria una nuova creazione [ ... ] La natura doveva restare co1ne fondainento, l'uo1110 con1e subictto del soprannaturale, quindi i rapporti pura111cntc un1ani non potevano essere violati, nia invece dovevano essere integrati. Quando Gesù Cristo, annunziando la nuova legge, ha parole di condanna, non vuole colpire che l'egoisn10 con tutte le sue esplicazioni, che con espressione cnfr1tica designa col non1c di n1ondo [ ... J Infatti quello stesso labbro che si schiude alla tàn1osa escla111azionc dcl "quid protest" si schiude anche a rievocare le leggi di natura, a dare nuova sanzione al decalogo, a condannare l'on1icidio e il suicidio, l'usura, la fornicazione, la nienzogna, l'ipocrisia, a elevare a sacran1ento il 111atri111onio, a ingiungere il rispetto alle autorità te1Tene, a proclan1are la n1orale eguaglianza degli uon1ini, la legge della fratellanza e soprattutto a proclan1are con1e legge delle leggi, con1e legge nuova e innovatrice l'an1ore esplicantesi non solo nel voler bene altrui, nia nel fare bene e nel farlo con preferenza ai piccoli, ai deboli, ai poveri)) ~. 1
In quest'opera di rinnovamento e di redenzione voluta e compiuta da Dio è interessante sottolineare un aspetto importante della visione 17
IN
lhid., 9-11. fhid, J l-12.
Pasquale Busce1ni
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antropologica maturata da Sturzo: la fede nell'uomo e nelle possibilità sane e buone che in lui esistono; non ci si può assuefare all'idea che la persona sia per natura portata o predisposta al male, al peccato al disordine. L'uomo è creatura di Dio, viene da Dio, è orientalo a Dio; il suo fine è la felicità eterna e per raggiungerlo occorre che si orienti al bene e che lo realizzi in sé ed attorno a sé. Dentro ogni uomo risiedono predisposizioni naturali ed energie sane che possono essere orientate per il raggiungimento della meta: la santità, la moralità della persona, la pace. Inoltre il credente, che si sa salvato da Dio in Cristo Gesù e certo che il Redentore dona ad ogni persona ciò che manca o è difettoso a causa del peccato, cioè nuovi dinamismi di vita e di amore che Io rendono capace di pensare, praticare e vivere la santità vera e l'annonia con1pleta nei diversi an1biti in cui è chian1ato a realizzarsi: con Dio, con se stesso con gli altri e con l'intera realtà creata. Il salvato, rinato in Cristo è reso capace di realizzare di1nensioni nuove e di vivere rapporti nuovi nelle diverse dimensioni. Da qui il bisogno di un lavoro di ricostruzione organico e profondo: «[ ... ] in quanto deve n1irarc a rìcostruire una vita nuova, rispondente ai nuovi bisogni; la quale sia cristiana nello spirito, nell'essenza [ ... J lavoro profondo in quanto [ .. . ] deve penetrare lo spirito di ogni ordina111e111o, non può non con1inciare dal penetrare e rinnovellare la coscienza dei popoli» 14 •
Lo scopo delle intuizioni pedagogiche di Sturzo è quello di aiutare l'uomo a trarre fuori da sé il meglio di sé, superando e sconfiggendo il male inteso con1e presenza di idee sbagliate, di scntin1enti cattivi, di ragionan1enti formulati in sistemi tìlosofici destabilizzanti la persona nel suo orientamento trascendentale verso l)io e verso quel ben essere e ben vivere che soltanto Lui può garantire è assicurare. Educare la persona alla vera un1anità e quindi ad una vita 111oraltncnte sana, in perfetta arn1onia e pace con Dio con sé e con gli altri, significa educarlo alla santità come condizione strutturale di tutta la sua vera essenza. Conseguente1nente l'iter educativo esige uno sforzo organico, n1otivato, che pcrn1etta ad ognuno di cogliersi con1e essere responsabile, solidale e non indifferente o cieco di fronte ai mali della società. La fonnazione della coscienza diventa per 111ons. Sturzo un obiettivo importante per realizzare il suo programma pastorale, ma è anche la preoccupazione di qualunque realtà associativa ecclesiale. L'idea di formare 19
ID., Il lettera paslora!e, cit., 4.
L'educazione alla ]Jace in Mario Sturzo
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la coscienza è molto ampia, in quanto non si riferisce esclusivamente alla coscienza cristiana ma a quella morale, richiamando contenuti che sono in riferimento alla cultura sociale, civile, morale e religiosa. I mezzi per raggiungere questi obiettivi sono diversi, come per esempio la diffusione della buona stampa l'insegnamento sano nelle scuole, lo studio del catechismo nelle parrocchie e nelle famiglie"'. «A1nale la verità, operate in confor111ità ai detta111i presenti della vostra coscienza: la luce i1nmancabiln1ente verrà. Dio, a111alo con1e verità, vi verrà incontro con an1orc, ed in un 111odo o in un altro disporrà l'anin1a vostra a ricevere il dono e i lu111i della fcde>r~ 1
Un'affermazione centrale ribadita continuamente nel corso degli scritti sturziani è quella di fare attenzione alle idee, al dialogo con le persone, poiché l 'uon10 vive e cresce in dialogo, in una situazione di relazionalità continua e di dialettica, da quella fondamentale ed essenziale con Dio a quella con gli altri uomini. Il dialogo permette alla persona di condividere la situazione del prossnno e conten1poranea1nente di crescere nella comprensione degli altri e di se, e di prestare aiuto alle persone che si incontrano. Il dialogo costruito sulla verità e fondato su idee sane e corrette aiuterà a scoprire la diversità di opinione non con1c potenziale antagonis1no ma come sorgente di arricchimento e di crescita nella comprensione della verità e nel raggiungimento della maturità umana. Essere persona in dialogo significa prendere coscienza della interdipendenza esistente tra gli uomini e tra le realtà sociali, contrastare le strutture di peccato che portano all'isolamento e alla assolutizzazione di sistemi di pensiero distanti dalla verità. Per 111ons. Sturzo è in1portante educare il pensiero e fare attenzione alle idee: «[ ... ]la rigenerazione delle idee è il prin10 ele111ento della rigenerazione della vita [ .. . ] la superficialità etica produce un grande indeboli111ento della coscienza che i filosofi chian1ano lassisn10 intellettuale. Con l'obliare le loro obbligazioni, disinteressarsi dell'ideale etico, concentrare la loro attenzione sopra d'altre cose, il dovere non dice loro più niente. Oggi non è più la vita che è guidata dalla coscienza n1a è la coscienza che si piega alla vita. ('on l 'indebolin1ento della coscienza la superficialità etica produce quella 111ancanza di carattere che oggi tanto in1pensierisce i filosofi e i pedagogisti ~o Cfr ihid, 5-6. 21
ID.,
Libernzio11e. Lcllcra JH1stora/e ... , cit., 26.
396 .. ] se la religione non salva, avviene[ ... ] che il pensiero abdica in favore di questa carne piena di orgoglio, il corpo affOga l'anima, i sensi prevalgono sullo spirito e la la1npada interiore si spegne o 1110111cntanean1entc o ahitnè! per lungo ten1po se non per setnpre. È il sole 111orale che viene eclissato dal suo satellite, l'intelligenza dal corpo, la vita psichica dalla vita degli organi fatti per servire, n1a quando co1ne oggi avviene, la società si trova in una di queste crisi funeste la ripercussione sulle crisi giovanili e poi sulla vita di tutti gli uo1nini, è tale da tnettere 01Tore»è 2.
Nella visione di Mario Sturzo c'è coordinamento tra amore divino e amore fraterno: l'uno richiama l'altro, l'uno è premessa indispensabile per l'altro:
«l .. J con
Gesù Cristo[ ... ] I'uon10 è reso capace della scienza dell'infinito la scienza dell'infinito è reso capace dell'amore dell'infinito. Assai aveva palpitato il cuore sen1pre in cerca di un bene che saziasse le sue bra1ne, senza 1nai trovarlo l ... l scende da Dio questo nuovo a1nore, co1ne dono; a lui risale con1e palpito per ridiscendere sui prossi1ni!r~
l ... J con
1
Dalla croce del Risorto si diparte per l'uomo un nuovo eone, un inedito cammino storico, ormai reso possibile ai seguaci del Signore, intessuto di perdono, di riconciliazione, di vita nuova, di una logica che spiazza vecchi sisten1i di vita ed avvia processi incessanti di vera un1anità, tutta protesa verso la santità, ossia la vita in Dio, come intin1ità profondamente esistenziale con il mistero di Dio, che a sua volta si traduce 111 rapporti inte1versonali regolati esclusivamente dall'amore, dalla solidarietà e dalla sincera e pacifica fraternità. La Chiesa non può non conoscere, valutare e con1prenderc il n1ondo in cui vivian10 con le sue attese, le sue preoccupazioni, le sue paure e i dra111111atici problen1i in esso presenti. «La Chiesa direttan1ente ha una 1nissione religiosa e spirituale. e indirettan1ente o n1eglio per connessione ha una n1issione sociale. La cosa che più ripugna all'essenza del cristiancsin10 è la società fine a se stessa e gli individui subordinati a ttil fine, l'uo1no per la società e non la società per l'uo1110 1 ... ] ogni individuo nell'ideale cristiano è con1e se fosse un intero 111ondo, e ha il diritto di riguardare con1e avvenuta solan1cntc per se la restaurazione dell'u1nanità [ ... ]la forn1a di restaurazione della società è l ... ] la den1ocrazia cristiana. Oggi è la cosiddetta questione sociale che agita
:'] !bid., 35-38. 21 -
ID" I /e!lera pastorale, cit., l 3.
L'educazione alla pace in 111ario Sturzo
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l'un1ana convivenza, oggi si con1batte per regolare la distribuzione della ricchezza, co1ne ieri si co1nbatté per conquistare le più a1npie libe1ià [ ... ]ecco cioè la necessità che la Chiesa scenda nel can1po sociale ed aiuti la società un1ana ad uscire dai 111ali cagionati dal libcralisn10 e la pre1nunisca contro quelli che arreca ed è per arrecare il socialismo, proponendo un sistcn1a che risolva, conforme le esigenze della civiltà e del progresso di oggi, la questione sociale ed anche confanne lo spirito del Vangelo[ ... ] per evitare gli equivoci è da pre1nettere che il concetto essenziale e più an1pio di democrazia, è pur se1npre quello di una cospirazione di forze sociali, giuridiche ed ccono111iche particolarn1ente rivolte a proteggere, rispettare, elevare il popolo [ .. . ] pratica1nente è un estensione dei più benefizi della civiltà cristiana alle classi inferiori» 2 -1.
Siamo lontani dal considerare la Chiesa come istih1zione destinata a curare il sacro e a regolare la vita liturgico-sacramentale dei fedeli. La concezione ecclesiologica di Stnrzo è determinata dalla lettura culturale e teologica dcl momento storico in cui vive. Egli presenta la Chiesa come comunità inissionaria, inandata ad annunciare il Vangelo, a testin1oniare la novità della redenzione nella società, combattendo errori e correggendo stili di vita poco consoni con l'autentica e n1atura umanità, istaurando criteri nuovi, promovendo idee nuove e modelli culturali che scahiriscono dall'evento salvifico. La visione della Chiesa che Sturzo presenta può essere benissimo sintetizzata con le immagine evangeliche dcl granello di sale, di lievito o della lucerna (cfr Mt 5, 13-15). Interessante è notare la consapevolezza che il pastore ha nell'esercizio del suo ministero e nel chiamare la sua Chiesa a scendere in campo, forte anche dell'invito della Rerum Novarum di Leone XIII, per risolvere le questioni più spinose e preoccupanti che disturbano il quieto vivere dentro e foori la Chiesa: errori filosofici e teologici, insegnati nelle scuole e diffosi da correnti di pensiero sparse in h1tta Europa, ma anche disimpegno nell'attuare il bene sociale alla luce del messaggio evangelico, che provoca sconvolgimenti sociali indescrivibili. «Noi un fine più alto anin1a e niuove [ ... ] che non è quello della società civile; r... ] il bene spirituale delle aniine la loro eterna salvezza, e perciò più disinteressata, più costante, più efficace, più apostolica deve riuscire l'opera nostra. La quale 1nolleplice vuole essere oggi: de1nolirc tutta la congerie degli e1Tori dci tàlsi sistenli, che i1npediscono l'attuazione sociale del cristianesiino [ ... ] ricostruire l'edifizio del bene socialn1ente, con1c uno dei niezzi per 21 · Jbid.,
21-23.
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richiatnare al bene gli individui;[ ... ] desolante assai è l'ora presente, eppure le ca111pane delle nostre chiese annunziano le solite feste ed i sacerdoti attendono alle solite opere. Che vuol dire tanta depravazione insie1ne a tanta operosità? [ ... ] è l'a111biente sociale corrotto che corro1npe. Il lavoro dci sacerdoti, che non è qual dovrebbe essere, non basta a salvare la società[ ... ] Uscite di sacrestia [ ... ] scendian10 tutli zelo in 111ezzo alle turbe, raccoglia1nole in associazioni all'on1bra della croce, [.. .] creeren10 nelle nostre associazioni un an1biente nuovo, pieno di fede, di pietà, pieno di Gesù Cristo »:- ~.
(}Jnc Ius ione Anche se il terna della pace e della educazione alla pace non ha una trattazione specifica cd esplicita nelle opere di mons. Sturzo. tuttavia non possiamo affermare che esso sia assente, in quanto l'educazione che intende propone è onnicomprensiva e globalizzante, nel senso che non è solo educazione della n1ente o sola1nente del cuore, o solo teorica, o solo pratica) ma è una attività che riguarda tutta la persona, per l'intero arco della sua vita, per l'intera gamma delle sue disposizioni e delle sue realizzazioni; una buona educazione è garanzia per la buona riuscita e realizzazione della persona e della società, tna è anche la prc1nessa per una pacifica convivenza sociale, riguarda il singolo come individuo ma anche come componente della società. Spesso afferma che l'educazione non riguarda soltanto coloro che ancora non sono pervenuti alla inaturità degli anni, n1a sono tutti gli uo1nini di qualunque età e di qualunque grado di maturazione, poiché essa dura tutta la vita. Dopo i grandi traviamenti si chiamerà rieducazione; quando la vita procede in modo ordinato si chiamerà perfezionamento; quando l'uomo bada da sé a c01Teggersi o a progredire, si chiamerà autoeducazione o auto-
pcrfezione"1'. La vera ragione dell'educazione non è quella che si limita alle visioni della pura ragione umana in ordine soltanto alla vita temporale, ma abbraccia tutto l'uomo in una prospettiva sintetica, in ciò che in lui è transitorio ed in ciò che è perenne, in ciò che lo fa uomo onesto è in ciò che lo fa cristiano santo 27 •
25
26 27
Jbid., 26-27. Cfr Io., L'educazione nelle sue ragioni s11pre111e, Torino 1938, 27. Cfr ibid., 3.
L'educazione alla pace in A1ario Sturzo
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L'educazione vera e propria è svolgimento di razionalità e di libertà; è conoscere quello che uno è, quello che non sarà senza un particolare lavoro di pensiero e di volontà, quel che uno deve essere; non soltanto avvicina l'uomo all'uomo, sostanziando nell'indeclinabile alterità l'umana rapporlualità, ma essa da senso e sostanza alla vita sociale nelle sue varie fonne porta a un pacifico e sano convivere tra gli uo1nini' 8 • L'educazione coinvolge la persona in tutto il suo essere e il suo vivere concreto, si riflette sulla società e sulle scelte che portano la stessa ad orga111zzars1 con1e convivenza inorahnente matura e pacifica111ente organizzata. L'educazione si fa per via di valori inviolabili, assoluti, è finalizzata alla vita interiore che è la vita in Dio. È un processo etico-formativo, in quanto l 'uon10 è razionale e nasce ignorante, la sua conoscenza viene elaborala dentro dei rapporti naturali e sociali'''. La vita interiore consiste nell'interiorizzare sen1pre n1eglio i 1nigliori elementi della vita sociale come storia, in modo ordinato, a partire da Dio ed avendo Dio come termine ultimo di qualunque rappo110. La vita interiore anin1a tutte le azioni, le tendenze, i fini, santifica i rapporti ten1porali, le conquiste della mente e gli affetti della volontà, dispone al conseguimento del fine supremo che è Dio"'. Sturzo considera l'educazione con1e processo etico, siste111atico, finalistico. Il vincolo ultimo che lega l'uomo, lo spinge, lo at11na e perfeziona è la religione, anzi la vita mistica come espressione della vita interiore: a fondamento di tutto ci sta l'incontro salvifico con Dio. La religione pe11anto conclude il processo educativo. In ultiino cosa è l'educazione per Mario Sturzo? È un ordinare o riordinare le tendenze dell'uomo e disciplinarle in modo tale che egli si renda disposto con felicità e amore a tutti i doveri della vita in ordine al fine intrinseco che è la santità da vivere con gli altri, nella Chiesa e nella società un1ana-l].
~H Cfr ibid., 15-17. 29
Cfr [D., Proble1ni dijìlosojìa de!! 'educazione, Trani 1930, 235.
°Cfr ihid., 245. 31 3
Cfr ID.,/, 'educazione nelle sue rar;ioni supre111e, cit., ! 7.
Synaxis XVlll/2 (2000) 401-415
LA SICILIA E LA PAX MEDITERRANEA DAl "COLLOQUI" DI LA PIRA AL "MEETING" Dl CA TANIA GIUSEPPE DI FAZIO* - ENRICO PISCIONE"'*
Pre1nessa
Gerusalemme è oggi più che mai la città che rappresenta, agli occhi dell'opinione pubblica, il crocevia della pace nel mondo. Lo si è capito in maniera eclatante in due circostanze recenti di segno opposto: positivamente, con la visita del Papa in Israele e Palestina (marzo 2000) che ha fatto intravedere come possibile e ricca di frutti per il mondo intero la pacifica convivenza di ebrei, cristiani e musulmani nella Città Santa'; negativamente, coi nuovi scontri armati nei Territori (a paitire dall'ottobre 2000) che hanno evidenziato la fragilità degli accordi politici e provocato l'immediato e massiccio intervento della diplomazia internazionale (dall'Onu agli Usa, dall'Egitto all'Unione europea), sfociato nel vertice e nella fragile intesa di Sharm cl Sheikh ( 16-17 ottobre 2000). Il cammino della collaborazione fra ebrei, cristiani e musulmani si presenta, dunque, uno dei nodi fondamentali dcl futuro di pace dell'umanità: per quanto, tuttavia, esso appaia irto di ostacoli, e la pax mediterranea sia sempre più minacciata da rigurgiti fondamentalisti, un sostegno alla speranza viene dai tentativi di dialogo, in molti casi profetici, compiuti nell'ultimo quarto del XX secolo, tentativi che hanno consentito di compiere progressi irreversibili. In questa nota intendiamo soffermarci in modo particolare su due iniziative sviluppatesi in luoghi diversi, ma idealmente congiunte dal desiderio di favorire la pace e il dialogo fra le tre grandi religioni nate dal ceppo di Abramo: i «Colloqui del Mediterraneo» ispirati da Giorgio La Pira
*Caposervizio del settore politico dc! quotidiano «La Sicilia». **Docente invitato di Logica nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 Si veda in particolare il discorso tenuto da S.S. Giovanni Paolo II il 23 n1arzo 2000
al Pontificio Istituto di Notrc-Da111e di Gc1usale1n1ne durante l'incontro interrelìgioso.
G. Di f'azio - E. Piscione
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a Firenze' e il «Meeting del Mediterraneo», promosso a Catania da esponenti del movimento di Comnnione e liberazione'. I Colloqni del Mediterraneo muovevano dalla consapevolezza che «i popoli mediterranei hanno[ ... ], anche se pieno di lacerazioni e di contrasti, un fondo storico comune, un destino spirituale, culturale cd in un certo senso anche politico comune. La loro unità - sosteneva ancora La Pira - è essenziale ed è in qualche modo quasi una premessa per l'unità dell'intera famiglia dei popoli»'. Nella nuova era «tecnologica, atomica ed apocalittica», secondo il politico siciliano sindaco di Firenze, i seguaci delle religioni abramitiche dovevano riscoprire la loro missione storica: «Elevare sul mondo la lampada di Dio»'.
è I «Colloqui del Mediterraneo» si tennero a FirenLe dal 1958 al 1965 e videro !a partecipazione di responsabili civili e religiosi della triplice fan1iglia di Abrarno. Di particolare interesse sono gli alti del pri1110 colloquio: Pre111ier Col/oque 11u;diterru11éen de Florence, Palazzo \lccchio 3-6 octobre 1958, F!orence J 958.
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Il Meeting del Mediterraneo s'è svolto con cadenza annuale a Catania dal 1981 al
1991, tranne ncg!i anni 1987 e 1989 in cui esso ha avuto luogo rispelliva1ncnle ad Atene e a Malta. Questi i te1ni trattati: «Il coraggio di riprendersi la vita» ( 1981 ), «Una cultura per l'uon10J> ( 1982), «Cultura e potere nella storia del Mediterraneo)) ( 1984), «La riscoperta dcl Mediterraneo» (1985), «Sulle sponde del 1nare di Ulisse: l'in1possibile ritorno?» (1986). «Tradizioni religiose e te1npo presenlel> (!987), «Religiosità, ideologia e potere)) (1987, sotto fonna cli sen1inario internazionale di studi), «Terra pro1nessa e u1nana avventura» ( 1988), «Diritto di vivere, diritto di credercJ> (1989), «Proposta educativa e pluralis1110 religioso e culturale)) ( 1990), «A Ile radici della pace)) ( l 991 ). Tra le personalità cattoliche che hanno preso attivan1entc parte ai lavori del Meeting del Mediterraneo segnalia1no: il card. P. Poupard; il nunzio apostolico E. Fahrat; i vescovi (ì. Mercieca (Malta), D. Picchincnna e L. Bo1111narito (Catania), J. Martinez Fcrnandez (Cordova, Spagna); il fondatore di Co1nunione e liberazione n1ons. L. Giuss<1ni; gli esperti di dialogo islan1o~cristiano Ci. AlJa\vati (don1enicano, storico direttore del centro studi sull'!slain del Cairo), M. Borrnrnns {del Pontificio Istituto di Studi arabi) e J(. San1ir (gesuita, docente di letteratura araba all'università S. Joseph di Beirul); il francesc!lno D. lager (Israele) e l'esperto di diritto orientale J). Salachas. Fra le personalità clel n1ondo ortodosso ricordian10 111ons. T. Tribizas (1nelropolita greco-ortodosso cli Corfù e Paxì), E. Tsivikis (Accade1nia teologica di Salonicco) e J. Chadijphotis (portavoce del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa di Grecia). Fr<1 gli intellettuali del mondo 1nusuln1ano ed ebraico coinvolti alliva1ncnle nel Meeting dc! Mediterraneo figurano: A. Al lraqui (università del Cairo), li. Hennaifer (Istituto di civilizzazione 1nusuln1ana, università della Zitouna, Tunisi), S. Ghrab e M. Talbi (università di Tunisi), A. Ben Chorin (rnbbino riforn1ato, Gerusalen1n1e) e A. Piattelli (co1nunità israelita, Ro1na). Sulle attività del Meeting del Mediterraneo cfr anche(). Sc11;iv11uT DI FRIJJJBF.RG e M. BORRìvJANS, A111s11h11a11s et chr(;fiens en lta/ie, in Jslr1111ochristia11a 19 ( 1993) 184ss. -t Cì. LA PJR/\, Unità della f{1111iglia di Abra1110 e pace dei popoli 111editerranei, in La hadia 6, 5 noven1brc 1982, 47. ()ra anche in li sentiero di Jsuia. Firenze 1996"1, 560. _\ lhid, 48.
La Sic;/ia e la Pax 111editerra11ea
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All'origine ideale del Meeting del Mediterraneo è possibile collocare, invece, le parole pronunciate dal Santo Padre Giovanni Paolo II nella Valle del Beli ce il 20 novembre 1982: «Se il Signore "dimorerà in mezzo a te", tena di Sicilia che emergi dal mare più ricco di storia, e nei secoli sei stata un crocevia di popoli, potrai svolgere anche nel foturo un ruolo provvidenziale di raccordo tra l'Oriente e l'Occidente, e favorire l'incontro fra civiltà diverse, su tutte riverberando la luce portata agli uomini dal Cristo, Figlio di Dio e Figlio di Maria. Se il Signore "dimorerà in mezzo a te". Non dimenticarlo! Sta qui il segreto dei tuoi futuri destini»'. La molla che ha fatto scattare le iniziative del Meeting del Meditenaneo - che hanno sempre coinvolto in un confronto cordiale e pubblico ebrei, cristiani (cattolici e ortodossi) e musulmani è stata la riscoperta lieta e ragionevole di una identità cristiana, capace di suscitare una passione al dialogo con altre realtà religiose e culturali e di promuovere una condivisione dei bisogni della Chiesa nel Medio Oriente. Nella nostra indagine, piuttosto che lo sviluppo cronologico, cercheremo di mettere in evidenza le tematiche culturali emerse dalle iniziative in esan1e.
I. La Pira e le radici e/ella JJace 111ecfiterranea
11 «cristiano siciliano» Giorgio La Pira ha sempre molto sentito il tema della pace, tanto da metterlo al centro dei Colloqui mediterranei, il primo dei quali si tenne a Firenze - la città di cui era sindaco - nel 1958, allorché la questione arabo-israeliana era condizionata dagli esiti della crisi di Suez e la guerra franco-algerina viveva un 1110111ento d'in1passe. «Cosa era -- osserva La Pira nel suo fondo religioso e storico, questo Colloquio? [ ... ] un 6 GIOVANNI PAOLO I!, ()111elia per la S. 1\4e5sa nella Valle del Be/ice, 20 novernbre 1982. Un segno rilcvan!e a livello culturale del dialogo fra Oriente e ()ccidente è costituito dalln Facoltà Teologica di Sicilia, che opera a Palenno dal 1981 e che ha sviluppato ricerche e iniziative significative in questo cainpo. Cfr C. NARO, Prese11tuzio11e, in in charitate pax. Studi in onore del Cardinale Salvatore l)e (7io1gi. Palern10 1999, 5-J 2. Si vedano anche: C. VALEN/JANO, Le C'hiese di Sicilia e /({ loro c11lfuru per il dialogo ish11110-cristiano, in fio Theologo.\ 1 (1983) 505ss e F .S. C!JCINOTTA, La teologia orientale nello Facoltà Teo/ogicu di Sicilia. klo111e11ti, fìg11re, progetti, in In charitute ... , cit., 325-337. G. COLOrvlBO, La teologia italiana. 111ateriali e prospettive !950-1993, I'viilnno !995, 187 sostiene che Paolo VI coltivava l'intenzione cli assegnare alla nascente Facoltà Teologica di Sicilia i! compito di «costituirsi centro di riferi111ento per la civiltà inediterranea che autoinaticainente i1npegna al dialogo con l'ortodossia - la Grecia - e al confronlo con l'lsla1n dell'Africa scttentrìonale».
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convegno nel quale - per la prima volta nella loro storia tanto drammatica, n1isteriosa e avventurosa - si ritrovavano insie1nc, a Firenze, attorno all'altare di Cristo (in Santa Croce) e sul colle in certo senso più alto della civiltà cristiana ed umana (in Palazzo Vecchio) i rappresentanti qualificati della tripartita famiglia dei popoli credenti in Dio uno, discendenti dal con1une patriarca Abran10: ebrei, cristiani, inusuln1ani» 7• li sindaco di Firenze, aprendo il suo cuore alle monache di clausura, è convinto che una co1Tente sotterranea regga il movimento storico toccando la Città di Gerusalemme. Perciò si può affermare che la pace e la guerra delle tre fedi abramitiche sono la cartina di tornasole della pace e della guerra di h1tti i popoli. Dunque il «fil rouge» che avvolge tutta la vicenda storica è appeso a Gerusalen1me, la civitas sacra ad ebrei, cristiani e musulmani, civitas a cui indirizzano il proprio sguardo di fede i figli di Abran10. Nella interpretazione biblica della vicenda stmica, secondo La Pira, la tensione conflittuale che colpisce l'intero Mediterraneo trova la sua spiegazione teologica nella «plenitudo gentiunrn e nella «plenitudo judaeormm>. «La storia dei popoli . scrive La Pira . è governata da due fini, che ne formano uno solo: la plenitudo ge11tilm1 (Rm 11, 25) e la pieni/udo judaeorum (Rm 11, 12): l'ingresso delle nazioni, cioè, e l'ingresso di Israele nella città mistica (la Chiesa) del Redentore risorto. La storia è davvero "inquieta", "sofferente" (ingemiscit: Rm 8, 22) per via di questa misteriosa gestazione alla quale Dio la destina ( ... parturit usque adhuc: Rm 8, 22). Una gestazione che dà dolori mentre essa avviene (Gv 16, 20): dolori che saranno, però, cambiati, come quelli della madre (Gv 16, 21) in gaudio ed esultazione infinita. Ecco, Madre Reverenda, - prosegue La Pira - qualche luce oricntatrice sulla storia attuale: il Signore persegue i suoi fini! Se ha portato a Gerusalemme il centro della Sua strategia ci deve essere in ciò una ragione di in11nensa portata soprannaturale e storica: non per nulla Gerusalen11ne è, nella mente di Gesù, non solo il punto di partenza (Atti 1, 8) ma anche, in ce1to senso, il punto di arrivo (Rm 11, 12: forse Mt 24, 39) della nuova storia che da Lui si inizia»~. 7 G. Li\ PIRA, Lei/ere alle claustrali, Milano 1978, 169. Utili osservazioni sul ten1a in esan1e si trovano nel volun1e di P.A. Ci\l{NEl\10LLA, Un cristiano siciliano, CaltanissettaRon1a, 1999. s Cl. LA PIRA, Lettere alle cla11slrlili, cit, ! 35-136.
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La Pira ribadisce con il suo realismo biblico che le problematiche sia a livello storico sia politico non possono trovare soluzione se non vengono collocate nel grande orizzonte costituito dal Vangelo. Occorre pertanto osservare il moto storico con una prospettiva teologica e ci si accorgerà che i «problemi storici dei popoli di Ismaele e di Israele - che si connettono, nel loro tessuto più profondo, coi problemi della intiera cristianità e con quelli del mondo in ti ero - non trovano luce e soluzione se non riportati "a livello di Abramo", comune padre dei credenti, patriarca comune delle genti di Israele, di Ismaele e delle genti cristiane»''. La prospettiva profetica di La Pira, che non disprezza il grande realismo dell'azione concreta, denuncia però come manchevole, ai fini della risoluzione delle questioni politiche sia di Israele che degli Stati arabi, il miope calcolo politico. Esso è per sua natura molto mutevole e non si sforza di vedere la complessa realtà mediterranea con gli occhi di Dio che mira all'unità. La Pira cosi si esprin1e in una lettera indirizzata al re J--Iussein di Giordania: «Affrontatelo [il problema di Dio] come lo affronterebbe il patriarca Abramo, padre di tutti i credenti: padre, in modo tanto diretto di Ismaele e cli lsacco e dei popoli da essi discendenti. Affrontatelo come Dio desidera che sia affrontato: con lo scopo, cioè, di comporre ad unità la grande famiglia dei credenti affinché essa elevi sul mondo intero la lampada di Dio, destinata a fare luce a tutti i popoli» 1n. La concordia della tripartita discendenza di Abramo costituisce il punto solido su cui si può costruire la pace nel mondo. La pace universale, come già si è dello, ha per La Pira due condizioni: la pax abramitica e l'accettare Gerusale111n1e co1ne runica patria religiosa. Si badi che l'unità di cui parla La Pira non coincide con quella propriamente religiosa, come se la concordia fra i popoli esigesse la «reductio ad unum» delle religioni. I discendenti di Israele e di Ismaele, in forza dell'identica paternità da pmte di Abramo, dovrebbero ritrovarsi in un'alleanza Jì·aterna di convivenza politica e civile sicché l'intero ecu1nene senta l'obbligo morale di dirigere i propri occhi verso la Gerusalemme che vive la pace fra la comune figliolanza di Abramo. A Golda Meyr, leader israeliano, il Nostro fa osservare in una lettera che la stessa rinascita dci popoli arabi è legata all'esserci di Israele. li telos lhid., !22. G. La Pira sindaco. Scriffi. disco1'.~'i, !et/ere, a cura di U. De Siervo - G. e (ì-. Giovannoni, II, Firenze 1988-1989, 377. !)
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implicito nelle religioni, che è di natura squisitamente teologica, «domiua, ci pare - scrive La Pira - questo conten1poraneo risorgere e avanzare dello stesso mistero: il mistero delle nazioni di Abramo»". I popoli che si affacciano sul «lago di Tiberiade» hanno il compito storico di propagare la forte carica mistica e profetica impressa nel loro profondo: essi sono chiamati a irraggiare concordia, fraternità e solidarietà e questo in forza del fatto che, come già si è osservato, Gerusalemme è la città santa sia degli ebrei che dei cristiani e dei musulmani. Il convergere in essa è il rispecchiamento del patto di Alleanza col Dio di Abramo, di Isacco, di Ismaele e di Giacobbe. Il Tempio, la Cattedrale e la Moschea sono il punto di riferimento delle nazioni che riempiono di sé tu!ta la regione di Abramo. La pace in Medio Oriente, secondo La Pira, sebbene si basi sulla prospettiva biblica della storia, ha un suo sano realismo che non rinnega per nulla la corposa lezione dei fatti e li interpreta secondo il disegno che la Provvidenza ha sul mondo. Ci sono, per La Pira, due «fatti incontestabili»: il primo è l'impossibilità della guerra totale perché essa annienterebbe il mondo intero 1 ~, il secondo fatto è che le nazioni n1editerranee sono interconnesse tì·a di loro per una millenaria vicenda storica, religiosa, politica e civile. Da ciò deriva che la loro unità e la loro pacifica coesistenza sono un punto iITinunciabile per il loro stesso sopravvivere. Dalla comune origine storica dei discendenti di Abramo deriva anche un comune destino politico, oltre che s'intende - spirituale e culturale. Date queste premesse la pace abramitica non può non realizzarsi. «La pace mediterranea - scrive, infatti, La Pira ne li sentiero di Isaia diventerà davvero come una misteriosa, divina "pietra filosofale" che trasforma in oro le cose che tocca. E una grande civiltà - la nuova civiltà del mondo - avrebbe qui, in Terra Santa e nel Mediterraneo, il suo fondamento e il suo grande punto di genesi. É un sogno? É vero: ma questa età apocalittica in cui vìvia1no e nel cui interno se1npre più ci ìnoltrìan10, è appunto l'età dei
fbid, 382. Su questo punto la profezia di La Pini si scontrava col realismo politico di Fanfani. «Su un punto - ha scritto Fanfani - divcrgc1111110 scn1prc: il punto della previsione circa la sorte del inondo nei decenni finali di questo secolo. La Pira[ ... ] riteneva fennmnente che il inondo sarebbe entrato in una n1illenaria era di pace. Io ritenevo - e purtroppo dai J3LLi sono costretto a ritenere ancora - che prinu1 dell'auspicabile nlillennio pacifico il 111ondo sarebbe stato sottoposto a durissilne prove. Anche nell'u1Lin1a conversazione ch'ebbi con La Pira, accanto al letto che doveva essere il suo letto di tnortc, riaffiorò la disparità delle nostre previsioni» (A. FANF ANl, Applicazioni !upiriane al 1netodojì·a11cescano, in La Pira oggi, Firenze 1982, 343). Il
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sogni (l'immaginazione al potere), l'età dell'utopia, l'età nella quale l'utopia diventa storia e il sogno diventa realtà»''.
2. li Afeeting del Mediterraneo e il nesso pace-religione Quando, agli inizi degli anni Ottanta, il Meeting del Mediterraneo organizzò i suoi primi convegni internazionali invitando personalità della triplice famiglia di Abramo, il «Mare Nostnmm usciva appena da un decennio di oblìo nella opinione pubblica internazionale. Esso era stato di volta in volta definito ora una reliquia di antiche civiltà e religioni, ora un ambito marginale del sistema politico-economico, ora una palla al piede del Nord Europa sviluppato. Nella migliore delle ipotesi esso era considerato una riserva di risorse da sfì-uttare Ci son voluti lo shock provocato dalla Guerra del Golfo e il crollo del Muro di Berlino per riproporre, da un lato, l'importanza strategica della questione mediterranea per l'intera umanità e, dall'altro, il ruolo centrale del fatto religioso per la difesa dei diritti umani e della pace. Mediterraneo e rinascita del sacro sono così divenuti due temi del dibattito culturale e politico di fine secolo", giungendo a confluire nella tematica sul nesso inscindibile pace-religione. L'incontro intcrreligioso di Assisi del 1986, per la verità, aveva gia evidenziato in modo inequivocabile la stretta connessione fra l'unità dei credenti e la pace. In quella circostanza Giovanni Paolo TI aveva espresso chiaramente la consapevolezza che «mai come ora nella storia dell'umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace» 11'. La divisione fra i popoli e tì·a gli uon1ini, in questa prospettiva, nasce dalla censura della dimensione religiosa. Infatti, quando si nega questa dimensione essenziale, l'uomo diviene riducibile ad una particella della 1
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Cf. LA PIR:\, 11 sentiero di Isaia, cit., 563. Cfr La riscoperta del 1\-Iediterra11eo. Alla ricerca di 1111a cultura de!l'inconfro,
Catania 1985. Ora anche in edizione spagno!a: El 1\-Iediterraneo otra vez, Madrid 1987. Il volu1ne n1ccoglie contributi di S. l\1oscati, (). Bucci, F. Cardini, B. Bou1naza, R. Bulliglione, A. Chouraqui, S. Ghrab, F. Ricci, M. Talbi. Cfr in proposito le tesi contrapposte sostenute da G. l(EPEL, La rivincita di Dio, 1
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trad. il., Mi!ano 1991 e S. QUINZIO, f,a sco1?/Ìlfa di Dio, Milano 1992. ~ G!OVANNJ PAOLO li, Discorso ad Assisi, in/, '()ssenY1/ore Ronu1110, 30 ottobre 1986. 1
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natura o ad un elemento anonimo della città umana: un essere privo di dignità e, perciò, facilmente manipolabile". Tuttavia questa evidenza sembra scontrarsi con la constatazione che il risveglio religioso nei Paesi del Sud del Mediterraneo si stia dimostrando un «pericolo sociale» e uno strumento per nuove gue!Te ideologiche e religiose, piuttosto che un fattore di pacificazione. Sarebbe troppo facile trovare esemplificazioni di questa tesi nella storia politica degli ultimi decenni: basti pensare a una certa lettura del caso libanese, della vicenda algerina o della nuova Intifada palestinese. Per evitare, dunque, fuorvianti conclusioni, occorre qui introdurre un ele111ento di chiarificazione, che ricavian10 - con1e le osservazioni successive -· dai contributi offerti dal dibattito svoltosi nel corso degli anni all'interno dei Meeting del Mediterraneo". Il risveglio religioso che riscontriamo nel Sud del Mediterraneo appare minacciato da un virus pericoloso: l'ideologia, che produce violenza e divisione. La religione assoggettata all'ideologia, e confusa col fattore etnico, diviene fonda1nentalisn10, si tran1uta in forza di divisione o in astratto strumento di potere. Sarebbe, comunque, riduttivo etichettare tutta la rinascita musulmana degli ultimi decenni come un segno del ritorno integrale al passato; così come non si può sbrigativamente definire fondamentalista ogni ripresa di vita religiosa. Per penetrare nel complesso mondo dell'Islam contemporaneo cr affidiamo ad alcuni intellettuali arabi che hanno cercato di interpretarlo. Secondo Mohammed Benjelloun Touimi, autorevole studioso marocchino, non si può capire l'attrazione esercitata dal fonda1nentalisn10 sulle masse se non sì considera «il fallimento delle politiche di modernizzazione». «Le disillusioni sul progresso - scrive Touimi - non hanno lasciato alle masse 17
In proposito si vedano: R. GUARDJNI, La_(ìne dell'epoca 1noder11a. li potere, Brescia 1987 e L. (fJUSSANJ, L'io, il potere, le opere, (fcnova 2000, in particolare le pp 9-25. 1 ~ Ri1nandiaino, in particolare, alle seguenti pubblicazioni curate dall'associazione Meeting del Mediterraneo: f"[J riscoperta del 111editerra11eo, cit.; Sulle sponde del 11u.1re di [!fisse. L'ilnpossibile ritorno?, Pa!enno 1987 (contiene contributi di S. Azzaro, N. Bux, (i. Casale, J, Chadijphotis, M. Elyazghi, J. Levrat, J. Martinez Fernandez, J. Oriol, A. Piattelli, P. Poupard, R. Ronza, K. Smnir, G. Scidà, F. Vcntorino); Terra pnnnessa e 111na11a avventura, Catania 1989 (con contributi di T. Ben Chorin, A. Bennakhlout: R. Buttiglione, R. Forn1igo11i, L. Giussani, J. Martinez Fcrnandcz, M. Martini, A. Rofè, f\11. Toui1ni, T. Tribizas); Diriflo di vivere, diritto di credere, Catania 1990 (con contributi di F. Ada1ni, M. Borrn1ans, S. Busuttil, R. Buttiglionc, A. Al lraqui, C. Mannino, R. Nicolosi, C. Portatadino, K. San1ir, G. Scattolin, G. Scid3. T. Tribizas, G. Vittadini).
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sradicate, emarginate, frustrate ed umiliate, altra scelta se non quella di lasciarsi cullare nell'illusione di un ritorno ad un Islam puro e duro»'''. «Per cui - prosegue Touimi - ad una modernizzazione selvaggia, imposta ed abortita, si è contrapposta un'identità chiusa per la quale lo straniero (l'Occidente m particolare) rappresenta la mmaccrn che hisogna con1battere»è 0 • Dal punto di vista religioso il fondamentalismo islamico si caratterizza come la ricerca dì un'«autenticità selvaggia» centrata su una mitica età dell'oro''. Questo tipo di «autenticità», tuttavia, si mantiene e cresce solo in una prospettiva di «tensione e di conflitto permanenti che si appoggiano su un'ideologia dell'esclusione»". Khalil San1ir - usa Un gesuita egiziano, docente a Beirut un 1i1nn1agine che ci aiuta a capire 111eglio il fenon1eno. «Nel n1ondo arabo scrive - sta accadendo qualcosa di simile a quando in Occidente la borsa va su e giù, e la gente corre a comprare l'oro. L'oro per il musulmano è il Corano, è l'Islam integrale, come è stato professato ai tempi del profeta». «Ma questo - aggiunge San1ir - è un discorso n1itico, perché nessuno sa con1e si possa applicare tale sche1na nel Duc1nila» 21 • Eppure l'ideologia fondamentalista trova largo seguito nelle masse popolari diseredate e deluse (dai profì.tghi palestinesi ai senzatetto dell'Egitto e dell'Algeria), che vedono in essa un miraggio cui aggrapparsi. La storia recente ci dice, inoltre, che questo humus ideologico-religioso è facile strun1ento di in1provvisati califlì con n1irc di potenza. È bene, con1unque, ricordare che 11 Islan1 conten1poraneo presenta al suo inte1110 un filone di «autenticità aperta», per usare un 1espressione di Touin1i, che è portatore di una ripresa religiosa capace di accogliere l1altro e di essere altresì fondamento per la pace''. Il rischio dell'infìltrazionc ideologica non è, tuttavia, esclusivo dell 1Jslan1. Ebrais1no e Cristianesi1no contcn1poranei non ne sono i1n1nuni.
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MJ3. Tou11v11, ls!u111: 111oder11ità ed a11te111ici1ù, in Terra pro111essa .. , cit., 53-55.
f/Jid., 56. èl Cfr B. ETIENNE, L'islun1is1110 radicale, trad. it., Milano 1988 e G. Kl-J'EL, Lu rivincita di [)io, cii., 25-62. Cll
l\!I.B. Toui:vJL fyfc1111: 111oder11itù ed autenticità, cit., 56. K. S,\Lvlll{, 1\4011do uraho e Occide11te: 1111a!e dialogo?, in G. DI FAZIO, La 111ezzal1111u eia croce, Catania !991, 102-103. ~ Ri1nandian10, in particolare, al documento t:tat et re!igion, redatto da! Gruppo cli Ricerca Isla1110-cristiano, in !sla111ochristiuna 12 ( l 986) 49- 72. èè
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Nell'Ebraismo il «virus» fondamentalista ha trovato teITeno fertile in alcune correnti di pensiero e movimenti religiosi. Di fronte a uno Stato e a una società culturalmente influenzati dalla concezione laica del sionismo, gli ultrà ebraici s1 sono proposti una «rigiudaizzazione di Israele»". Portabandiera di questa tendenza negli anni Ottanta dcl XX secolo è stato il movimento politico-religioso Gush Emunim. Sorto nel 1974, all'indomani della gucITa arabo-israeliana dell'ottobre 1973, esso ha perseguito due obiettivi fondamentali: «stabilire la piena sovranità israeliana sulla totalità della Terra di Israele» e sottomettere lo Stato alla legge ebraica'''. I militanti di Gush Emunim si sono distinti nella lotta per creare insediamenti ebraici nei Territori e per contrastare la ritirata di Israele dal Sinai, così come previsto dagli accordi di Camp David. É interessante notare che questa posizione politica è stata fondata su principi ideologico-religiosi. Infatti, il Gush Emunim ha sostituito «la nozione giuridica di Stato di Israele col concetto biblico di Terra di Israele (Erez Jisrael), che legittima l'occupazione dei Territori in nome del patto stipulato tra Dio e il Popolo»''. I militanti di Gush Emunim non si sono limitati a di fendere questi principi per vie pacifiche; in alcuni casi, anzi, hanno fatto esplicito ricorso ad azioni di «contro-terrorisrno». La seconda metà degli anni Ottanta ha visto il declino di questo movimento e la crescita delle sette e dei partiti «Charcdinrn (ortodossi), propugnatori di una rigiudaizzazione dal basso. Si sono moltiplicati, nel frattempo, i partiti religiosi e la loro influenza nella vita politica israeliana s'è fatta determinante. Pur nella divaricazione delle posizioni, essi hanno, inoltre, perseguito un punto in con1unc: l'attenta vigilanza per l'applicazione nella vita pubblica quotidiana dei precetti della Torah. Gli ultrà dell'Ebraisn10 sono così divenuti una pietra d 1incia1npo nel can11nino di pacificazione fra ebrei e palestinesi. Considerando, infatti, ogni concessione ai palestinesi nei TctTitori co111e una violazione della Legge divina, essi rendono i111praticabile qualsiasi soluzione negoziale nel contenzioso araboisraeliano. Nell'Occidente cristiano la fede religiosa ha conosciuto nel XX secolo assie1ne alla testin1onianza del 1nartirio e alla «nuova priinavera» dei
2"' Cfr (f. KEl'EL, La ril•incita di Dio, cii., 163-218 e G. Dl co11q11ista di Ccrusa!e11m1e, in 30 G'iorni 2, J'ebbraio 1987, 34-41. 2" G. K_EPEL, La ril•il1cita di Dio, ciL., 183ss. ii lbid, 166.
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movimenti ecclesiali, anche alcuni esempi di strumentalizzazione ideologica a fini politici. Javier Martinez Fernandcz, intellettuale spagnolo e oggi vescovo di Cordova, ha descritto così questa forma di ideologia religiosa: «Essa scaturisce dalla vertigine, è figlia della paura. Si percepiscono con maggiore o n1inore chiarezza certi rischi della inodcrnità e la si condanna con vigore. Si reagisce violentemente contro la modernità e si agita il nome di Dio per allontanare il pericolm»'. «Nel mio Paese - prosegue Martinez Fernandez questo tipo di religiosità ha giocato un ruolo tragicamente decisivo nella rivoluzione che ha portato alla gueJTa civile»''. «La religione, però - spiega il vescovo spagnolo - non è figlia della paura e della reazione ma affiora nell'uomo come un frutto del desiderio di pienezza che c'è in noi e che ci è stato dato da Dio stesso»'". Nella degradazione ideologica della religione tale esperienza è ridotta a mezze verità, che vengono utilizzate scn1pre co111e arn1i contro il nen1ico supposto e «che soltanto vagamente ricordano la ricchezza e la capacità un1anizzante della vera esperienza religiosa»". Per questi motivi, pertanto, la ripresa del dialogo fra ebrei, cristiani e musulmani non può che ripartire dalla purificazione della memoria e da una richiesta reciproca di perdono per le colpe dcl passato, così come proposto e attuato in più occasioni da Giovanni Paolo li".
3. Religione, dirilli e giustizia Quando parliamo di religiosità come fattore di pace, intendiamo perciò riferirci all'«atteggia111ento autenticamente religioso» e non alla sua riduzione ideologica 33 •
è~ .L l\!IART1NE7. FEl<NJ\NDEZ, Religiosità e ideologia nel!u .\ìJagna 111oder11a, in Sulle sponde del 111ure di Ulisse ... , cit., 36-37. ''! lhid, 36. 111 lhid., 37. 11 lbid., 37-38. 'è Su questo terna, cfr in particolare GIOVANNI PAOLO Il, Jncarnalionis 1l 1~J1sferil1111. Bolla di indizione dcl Grande Giubileo de//~/111110 [J11e11111a, Città del Vaticano 1998 e L. AccATTOU, Karol H'oj(l'la. L 11101110 di_/ìne 111i/le1111io, Cinisello Balsan10 1998, 302-315. 11 Sull'attcggfr11nento autenLica1nente religioso e il suo rapporto con la fede e con l'ideologia ri1nandia1no a L. GJUSSANJ, li senso religioso, Milano 1997, in particolare le pp 129-165 e Io., L'autocoscienza del cos1110, Milano 2000, 13-32.
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André Chouraqui, uno dci più noti intellettuali del mondo ebraico, ha sostenuto in proposito una tesi interessante: «Il solo modo di assicurare una convivenza tra uomini di diverse religioni e nazionalità - ha sostenuto durante uno dei Meeting del Mediterraneo - è quello di essere fedeli a se stessi: una religione vera1nente vissuta non può separare l'uon10, quando questo accade è un tradimento del messaggio dell'uomo e di Dio»". La prospelliva qui evidenziata contraddice una tendenza culturale in voga in Occidente, secondo la quale l'unità fra gli uomini si costruisce "diluendo", se non appiattendo dcl tutto, le identità e, comunque, mettendo tra parentesi la fede religiosa". È quasi un luogo comune, infatti, nelle società opulente, dove è in atto un processo orn1ai avanzato di secolarizzazione e di 01110Jogazione culturale, considerare un pericolo sociale la persona o i gruppi che si fanno portatori di precise identità culturali, etniche o religiose'". Ed è altrettanto comune in certa pubblicistica ritrovare, assieme a pubbliche dichiarazioni di tolleranza, la considerazione che le identità religiose siano la base delle guerre dci nostri tempi. Basta esan1inare con1e sono state trattate dai 1nass inedia la guerra del Libano e la nuova Intifada palestinese per rendersi conto di quanta falsità ci sia in questa posizione. Adesso che il quadro socio-politico libanese s'è finalmente chiarito, emerge che nel Paese dei cedri nei lunghi anni del conflitto non si è con1battuta una guerra civile, 111a piuttosto una guerra fì·a le potenze mediorientali per assicurarsi il dominio sul Libano e una posizione di pren1inenza in tutta l'area. In questo contesto le diversità religiose sono state usate strun1entaln1ente per innescare un conflitto eterodiretto-11 Ma se
1 ' A. CJ !OURAQU!, L 1101110 del ,,Jcditerraneo e /({pace, in La riscoperta ... , cit., 56 . ., Si veda in proposito il dibattito suscitato in Italia dalla pubblicazione della Fì'des et Rario. Il filosofo Paolo Florcs d'Arcais è arrivato a sostenere che un agire con1une fra uon1ini di fede e uon1ini "de! disincanto" è possibile «solo a partire da una fede che riconosca l'aleisn10 della n1gionc, e che si proclaini e pratichi perciò "qu!a absurdu1n" - fl1llia per la ragione>l (P. FLORES D'J\RC1\!.\ L>io esiste?, in A1icro111er;a 2 [2000] 39-40). Puntuale la risposta dc! cardinale J. Ratzinger, nello stesso nutnero della rivista (.J. RATZIN(iER, La verità cu!tolica, ibid., 41-96). Utile alla cornprensione di questa problc1natica anche il dibattito seguito alla presa cli posizione ciel cardinale Biffi sulla i111111igrazione 1nusulinana in Italia (cfr [)ossier Jsla111, a cura del Centro culturale "C. Peguy", Cawnia 2000). 16 Chiarificatore è, a questo proposito, i! saggio di K. SA!vl!IC La bo111ba 1nigratoria investe l'Europa: co1?fliflo o integrazione?, in L 'intcgr(lzione possibile. !111111igruti extraco111unitari e /J}'(?f11ghi in Italia, Catania 1992, 32-49. ,, Cfr B. CERVFLLF.RA, Libano, la pacejì1t111n, Bologna !988 e J(. SAlv1!R-R. RONZA, li ca.<Jo Libano, in Dirillo di \'Ìvere, dil'itto di credere, ciL, 53-64. 1
La s;c;/ia e la Pax 111ed;1erranea
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l'ideologia religiosa è servita da copertura a tante guerre, la religiosità autentica - e solo essa - può ricostruire un nuovo umanesi1110. «Nelle nostre società siamo chiamati ad otrrire - scrive lo storico hmisino Mohammed Talbi, rivolgendosi agli uomini di fede delle tre grandi religioni del ceppo di Abramo - una testimonianza davvero autentica, che sappia rappresentare la fede con1e una forza convincente, con1e una co111unicazione vera che riesce a 1rasforn1are l'uon10, che Io un1anizza di più e che genera un nuovo umanesimo»". In altri termini le vie della pace nel MediteITaneo passano per il recupero della «verità su Dio». «Solo così - ha scritto J. Martinez Fernandez - si affermeranno le nostre identità e ciononostante saremo incomparabilmente più vicini di quanto non siamo oggi: con semplicità perché saren10 tutti più vicini a Dio»w. Nel suo viaggio in Terra Santa, Giovanni Paolo Il, ha ricordato ad ebrei, cristiani e n1usuhnani che «la chian1ata a riconoscere il Creatore dell'universo e il Signore della storia è essenziale per garantire il benessere degli individui e il corretto sviluppo della società». E ha chiarito: «Quando a1nia1no il nostro prossin10 1nostria1110 an1ore verso Dio e quando gli facciamo del male offendiamo Dio. Ciò significa che la religione è nemica dell'esclusione e della discriminazione, dell'odio e della rivalità, della violenza e dcl conflitto. La religione non è e non deve diventare un pretesto per la violenza, in particolare quando l'identità religiosa coincide con ' l'identità etnica e culturale. Religione e pace vanno insie111e!>rrn. Questa grande possibilità d'incontro che si apre ai popoli del Libro trova oggi due luoghi privilegiati di verifica: in Europa, l'integrazione degli immigrati extracomunitari e, in Medio Oriente, la libertà per le minoranze religiose. Gli immigrati, e in particolare quelli provenienti dal Sud del Mediterraneo, costituiscono onnai nei Paesi europei una presenza ineludibile, anzi si può ben dire che essi facciano parte integrante del nostro spazio sociale e culturale" Gli esen1pi di una accoglienza inatura, tuttavia, 1
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_:g M. TAU-Il, U111anesùno ateo e 11111anesilno religioso nel 111011do 1\'1editerraneo, in La riscoperta ... , cit., 7!. 9 -1 J. MART!NE7. FEl{NANDEZ, Religiosità e ideologia nella Spagna 111oderna, cit., 37. 0 " (ì-JOVANNI PAOLO Il, Discorso al Pontifìcio Istituto di 1Votre Da111e, Gerusale1nn1e 23 1narzo 2000. La citazione è tratta dal testo difTuso da!ta sala sta1npa della S. Sede il 23.3.2000. 11 Cfr F. DASSETTO-A. BASTFNJER, Europa: 111101Y1.fro11/iera de!!'f\'la111, Ro1na 1988; L'integrazione possihi/e. J111111igrati exfraco111u11itari e profiighi in l!alia, cit.; S. ALLJEVl - F. DASSETTO, !/ritorno de//'!s/a111. I 11111s11lina11i in Italia, Ro1na ! 993~ A. NElìRINI, i 11u1s11l!na11i
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non sono ancora numerosi, nonostante gli interventi legislativi dei governi e la generosità dei gruppi di volontariato"'. È a molti chiaro che gli immigrati non possono essere considerati co1ne una categoria astratta o, tanton1eno, come un agglomerato indistinto di cittadini di serie B. L'accoglienza vera comporta che essi vengano considerati come portatori di una cultura che va custodita, ma nel rispetto delle "regole" fondamentali del Paese ospitante: solo così sarà possibile una reale integrazione degli extracomunitari nel tessuto delle società occidentali. La presenza degli immigrati mette a nudo il vuoto di identità di molti gruppi sociali europei"'. Questa identità debole che avverte l'immigrato come un nemico da combattere o come il povero da aiutare - costituisce il teneno fertile per lo sviluppo del razzismo o di un «buonisn10 terzo1nondista». La strada, dunque, per una accoglienza degli immigrati passa per una ripresa di valori culturali da parte della civiltà europea: solo così essa sarà capace di accogliere il "diverso""". D 1altro canto, non si può pensare a una pace vera in Medio Oriente senza che si rispettino i principi della giustizia e della libertà religiosa. La politica degli Stati confessionali - che fa presa negli Stati musulmani e trova consensi anche in Israele - costituisce un pericolo per la convivenza fra i popoli, in quanto nega uno dei diritti umani fondamentali: la libertà religiosa. Senza il rispetto pieno di questo diritto dinicilmentc si potranno costruire assetti socio-politici fondati sulla democrazia e sul rispetto della pace.
tra noi, Caltanissetta-Ron1a l 999; S. ALUl'Vl, I nuovi 1111ts11/J11u11i, I convertiti a//'ls/0111, Roina 1999. -1: Cfr llJ,, La sfida de//'i1111nigrazio11e, Bologna 199 ! . -li «L'occidentale - scrive K. San1ir - non ha da nascondere la propria identità, o da vergognarsene, con1c se dovesse farsi perdonare di essere occidentale. A 1nio parere, questo atteggia1nento è una 1nalaLtia assai diffusa in occidente, soprattutto in ainbiente cattolico. La chia1nerei il "n1caculpis1no". Co111c tutte le 111alattic, questa voglia di battersi sen1pre il petto deve essere curata pri1na che divenga un'epidcinia. [ ... ] Si lralta di stabilire un dialogo tra persone avendo due identità ben distinte, persone che si riconoscono con1e tali (cioè co1ne diverse nelle loro identità) e che sono fiere di esserlo» (K. SAlvHR, La bo1nba 1nigratoria .. cit., 36 ). 1 -1-1 Si vedano in proposito !e considerazioni dci cardinali C.M. MARTINI, 1\Toi e / Jsh11n. Dall'accoglienza al dialogo, Messaggio per la festa di s. A1nbrogio, Milano 6 dice1nbrc 1990, in Di111e11sioni dello Sl'ifuppo I (1991) 2 e G. BIFFI, Riso1giine11to, Stato /uico e identità 11azio11a/e, Casale Nlonferrato 1999.
La Sicilia e la Pax 1nediterranea
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Conclusione I due tentativi di dialogo fra esponenti delle grandi religioni del ceppo di Abramo che abbiamo analizzato in questo saggio hanno avuto, come detto, radici in Sicilia. Il primo è stato frntto di una figura carismatica ··· Giorgio La Pira - che pottò a maturità di coscienza le radici storiche della tradizione cristiana dell'Isola (fatta di un dialogo serrato con l'Oriente e con l'Islam). Il secondo, invece, è nato da alcuni laici formatisi nel movimento di Comunione e liberazione in Sicilia. I «Colloqui» e il «Meeting del Mediterraneo», piuttosto che essere consegnati alla storia con la nostalgia per un protagonismo avuto dai cattolici siciliani in un passato ancora a noi prossin10 n1a non più attuale, costituiscono un utile punto di paragone e di stimolo per l'avvio del terzo millennio. Forse mai come in questo frangente storico, infatti, il popolo siciliano ha guardato alla Chiesa con la fiducia di chi attende una parola chiarificatrice sul presente e con la speranza di ritrovare le ragioni e l'energia morale per intraprendere un cammino di progresso, solidarietà e pace. La risposta ai bisogni dell'Isola non si può, tuttavia, disgiungere da un protagonis1no nuovo nello scenario nazionale e internazionale, che prenda le mosse dalla vocazione che la storia e la geografia hanno affidato alla Sicilia: essere crocevia di popoli e di culture. I «Colloqui» lapiriani e il «Meeting del Mediterraneo» hanno segnato una strada, delineando la positività e l'efficacia di una «identità aperta» come fattore di unità e di pace. Ancora una volta, la riscoperta del «tesoro» dclJIIsola, ovvero la sua tradizione cristiana vissuta consapevolmente, può essere la chiave per una azione sociale e culturale creativa dei cattolici nella realtà siciliana e per un protagonisn10 buono che apra nuove frontiere alla pace e al dialogo fra i popoli del Mediterraneo.
Synaxis XVlll/2 (2000) 417- 456
CHIESA E MOVIMENTO PER LA PACE A COMISO MARIO PAVONE*
1. Gli avvenilnenti I.!. L'aeroporto «Vincenzo Magliocco» di Comiso fu voluto personalmente da Mussolini, nel quadro del programma fascista di n1ilitarizzazione della Sicilia, co111e punto strategico necessario al controllo della base inglese di Malta e come avamposto del piano imperialista di espansione sul Mediterraneo e verso il Nord-Africa. Il relativo disegno di legge, presentato dallo stesso Mussolini 1'8 marzo 1937, venne subito approvato dalla Camera dei Deputati. I lavori di costruzione ebbero inizio immediatamente e furono ultimati nel 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale. li progetto era dunque tutto italiano, ma fu reso operativo dalle truppe tedesche. Al riguardo, scrive L. Rimmaudo che «se il Fascismo comprese la rilevanza strategica di Comiso e della Sicilia, furono soprattutto i tedeschi ad utilizzare il "Magliocco" per bombardare Malta con i loro Sukas e per appoggiare le operazioni nazi-fasciste in Nord-Africa. Nel gennaio '41, a guerra da poco scoppiata, il Decimo CoqJo tedesco da bombardamento e sei batterie contraeree FLAK da 88 millimetri si insediarono a Comiso. Da Comiso partirono tutte le incursioni su Malta e contro i convogli inglesi in navigazione nel Canale di Sicilia»'. L' 11 luglio 1943, dopo due terribili incursioni ( 17 maggio e 17 giugno) che avevano *Docente di Filosofia, psicologia e scienze dell'educazione nell'Istituto Statale «(J.H. Vico» di Ragusa. 1 L. Rllv11v1AUDO, L'aeroporto di Co111iso e la 111ilitarizzazio11e della I>ro11i11cia, in !,'area degli Jblei tro le due guerre, Atti del convegno storico, Ragusa - Modica 13-15 n1arzo ! 986 ( 1987) 292. La inia scarna sched::i è tratta da questa relazione dcl con1pianlo L. Ri1n111audo, all'epoca corrispondente da Conliso del quotidiano !_a Sicilia. che pagò con non poche ainarezze (e perfino con un grave attentato incendfririo alla sua casa di can1pagna) lo scrupolo giornalistico con cui negli anni '80 seguì le vicende relative all'installazione a Co1niso della base 1nissilistica. I suoi servizi di cronaca costituiscono oggi una ricca e in1prescindibi!e 10nte di notizie per chiunque voglia ricostruire in n1odo esauriente quella vicenda. Per il processo di n1ilitarizzazione della Sicilia dopo il 1950, vd M. CEvllNO, 111ilitarizzazione e pacffì.1·1110 in Sicilia (JY50-1983), in Segno 44-45 (1983) ! 1-18; U. SANTINO, li pagliaio ato111ico: la Sicilia nella strutegia di guerra degli anni '80, ibid, 19-34.
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raso al suolo l1acroporlo e provocato in città decine di n1orti e feriti, i reparti della 45a Divisione corazzata a1nericana entrarono a Co111iso ed espugnarono il «Maglioceo». Nel 1965, sull'onda ciel boom economico e del diffuso ottimismo che segnarono lutto quel decennio, l'aeroporto fu riaperto al traffico e restituito all'uso civile con1c luogo di transito pacifico e base di rilancio dcll 1econon1ia iblea', Nel 1972 il «Magliocco» venne richiuso e lasciato incustodito per n1olti anni. Il sogno degli anni '60 sen1brò poi dissolversi definitivan1ente 118 agosto 1981 quando il Consiglio dei Ministri presieduto da Giovanni Spadolini decise 11installazione a Con1iso di 112 n1issili a testata nucleare in ot!emperanza alla risoluzione del Parlamenlo il quale il 6 dicembre 1979 aveva iinpegnato l'Italia ad aderire al progran1111a 1nissilistico della Nato. Pochi giorni dopo (12 dicembre) il Consiglio Allantico, riunitosi a Bruxelles, aveva deliberato di dispiegare 572 missili nucleari a media gittata (Pershing e C~ruise) in cinque paesi dell 1Europa occidentale (C)landa, CJran Bretagna, Gern1ania, Belgio e Italia), contestuahnente alla progressione dci negoziati sul controllo degli an11an1enti a n1edio raggio con l'lJnione Sovietica, sulla base del cosiddetto «approccio a due binari» già precedentcn1ente concordato nel corso di un incontro che si era svolto alla Guadalupa tra i rappresentanti dci governi statunitense, tedesco, inglese e tì·ancese. Quella for111ula era stata suggerita dal cancelliere tedesco l Ieln1ut Schn1idt il quale, durante una conCercnza a Londra neltiottobre 1977, aveva affern1ato: «Una li111itazionc delle arn1i strategiche che riguardi solo gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica costituircì inevitabiln1ente una n1inaccia per la sicurezza dci membri dell'Europa occidentale dell'Alleanza di fronte alla superiorità n1ilitare sovietica in Europa, se non riuscire1110 ad elin1inare le disparità tra le potenze n1ilitari in Europa, in parallelo con i negoziati Salt». Per quanto riguarda (_'on1iso, l 1installazione dei «Cruise» venne approvata dcfinitivamenle dal Parlamento italiano, sotto il governo Craxi, il 16 novembre 1983. 1.2. La corsa al riarn10, suggerita - pili che da 111otivi razionali dalla paura reciproca dei blocchi, fu intc1vretata dall\1pinione pubblica n1ondiale co1nc preludio ad una possibile guerra nucleare che avrebbe colpito in1111ediatan1ente l1Europa, trasforn1ando il vecchio continente in un
è In questa sede l'aggettivo «ibleo)) sarà usato nella sua accezione corrente, con1e sinoniino di {(ragusano)) sen1anticainentc esteso a tutta h1 provincia di Ragusa, a prescindere dalla questione storiografica tuttora dibattuta dell'cll'ctliva origine greca dcl suo capoluogo.
Chiesa e rnovilnen!o ]Jer la pace a
C'on1iso
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teatro esclusivo di scontro tra due superpotenze (Stati Uniti e Unione Sovietica) non direttamente coinvolte e come tali meno responsabilmente impegnate sulla linea della ricerca di una soluzione pacifica dcl conflitto. Quella percezione iniziale, poi confcnnata da nu111erose e autorevoli analisi politiche e scientifiche, diede respiro e vigore nuovi ai 1novin1enti per la pace'. Nel 1981 si riunì per la prima volta la Convenzione «End» (European Nuclear 1)isarn1an1ent) statutarian1entc orientata contro ogni progetto di n1ilitarizzazione nucleare deli 1Europa. Le n1aniCestazioni per la pace (dibattiti, convegni, petizioni, inarce) che ne seguirono furono in1poncn1i. Per dare un'idea dell 1an1piezza e della progressione del fenon1eno può essere utile trascrivere le cifre riportate al1 1interno di una più an1pia nota recente111ente diffusa da una fonte «insospettabile:» perché politican1ente e ideologican1ente non n1vorevole al n1ovin1ento: «Se a f'ine 179 le din1ostrazioni non contavano più di 20-30n1ila n1anifestan1i, a fine 180 le cifre raggiungevano onnai le 80-1001nila persone. E a fine 18 l si arrivava a 400mila ad Amsterdam, 350mila a Bonn, 250mila a Bruxelles, 250mila a Londra, JOOmila a Copenaghen. Record a Roma, con mezzo milione di persone [ ... J poi venne il dice1nbre '83, e a H. on1a i din1ostranti passarono a 600n1iln»~.
In Italia il 111ovi111ento assunse il carattere di una vasta e spontanea aggregazione dove in breve ten1po confluirono intere forze politiche (laiche e di sinistra), gruppi e associazioni culturali e religiose (cattoliche e protestanti) che rappresentavano esperienze e appartenenze niolto diverse: Acli, Arei, Pax C~hristi, sindacati, parrocchie, co1nunità evangeliche, organizzaLioni non-violente, an1bientalisti, obiettori di coscienza, ecc. Non si trattò di una reazione scon1posta ed e111otiva, con1e dal1 1opposta sponda religiosa e politica si tentò di insinuare. Le n1anilèstazioni di n1assa furono precedute ed accon1pagnatc, per fern13rci all 1a111bito cattolico, da in1pegnativi 111on1enti di riflessione teologica e politica che contribuirono a dotare il movimento di un solido quadro teorico di riferimento. Fin dal 1979 la rivista Segno di Palern10 ospitò un prin10 dossier sul tenia Per la jJuce e il llisarn10, confro l'ins'lallazione cle,g/; eurcJlnissili con1prendente - oltre ad 1
Per uno sgunrclu d'insieme sulla genesi (rc!igìosa), sulle tappe storiche fondrnnentali
e sui problc111i dei 1novi1nenli per la pace, vd J. JOilLIN, L'erol11zio11e storica dei 111ori111e111i per lo pace. Dall'ispiruzione religioso alla Fisio11e 11111u11isfica, in La ('ii•i/rà Ca!!olica, 1984, Il, 536-549; Jn., I prohlc111i dei 11101·in1c111i per la pace og;;;i, ihid.. IV, 334-346; Cì.C. M'"\IUNO, liiol'i11n:11/o pacijìsta e lolle po11olari agli inizi dl!g/i a1111i '50, in Segno, ciL, l 05-182. ~ l'vL S11-:FANINl, Quando ;\fosca lo ordincn'a i pacljìsti sce11de1·a110 in 11ù1zza, in Q11otidia110.nct, 9 ottobre 1999.
1ì!/ariu Pavone
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alcuni interventi di E. Chiavacci, R. Bettazzi, varie associazioni cattoliche Santa Sede sul disarmo generale del 3 venne al movimento, un anno dopo, promosso dalla rivista Bozze che si
La Valle, M. Agnes, mons. Luigi anche l'importante documento della giugno 1976'. Un ulteriore impulso dal convegno nazionale di studio tenne a Torino nei giorni 15-16
novc1nbre sul tenia l'annuncio ciel/a pace in un
111011clo
di guerra.
Presentandone ai lettori i principali contributi, R. La Valle affermò la necessità di «un ca1nmino ulteriore che non svaluta né surroga il can1n1ino dell 1analisi storica, politica, econo1nica, ideologica, e nem1neno ne prescinde, ma riparte esattamente là dove l'analisi culturale e politica si arresta». 11 fondatore e direttore di Bozze spiegò poi il senso e la direzione di quella
ncerca:
«12 il ca111111ino che va a cercare, oltre ogni fc110111enologia sociale, dov'è !1ultin1a radice della pace e della guerra. Perché investigate tutte le cause, c'è un'altra causa da cercare a un livello più profondo; questa causa, o radice, sta nel cuore del!'uo1110; in ulti1na istanza non si può dire che la chiave della pace e della guerra è qua, o là, al Pentagono o al Crc111lino; essa è dentro di noi, là dove si decide la qualità dcl rapporto un1ano, del rarporto tra le persone, dell1t1on10 con la donna, di ciascuno con tutti. La scelta non è tra 11an1ore e l'odio. Posta così l'alternativa, la questione sarebbe fin troppo se111plice; fuori della patologia, nessuno sceglie l'odio, nessuno assun1c la violenza con1c prin1a scelta, nessuno la prende con1c fine a se stessa, nessuno 111ilìta per la distruzione, la niorte. La scelta è piuttosto di quale an1ore, la scelta è dì ciò che 111eltia1110 al centro dcl nostro siste111a, di ciò attorno a cui si organizza tutta la nostra vita, di quello che è il nucleo dcl nostro sisten1a vitale [ ... J Ora questo nucleo, cioè l'ul1in1a e suprc111a 111otivazione della nostra vita, può essere o !1a1norc di sé, oppure l1a1nore dell'altro; per usare un tern1inc di riferin1ento culturale ben noto, a partire dalla ricerca di Anders Nygren, o è "eros" o è "agi:lpe". È una scelta decisiva, perché, a partire da essa, tutto il resto viene di conseguenza!/'. Nei mesi successivi alla decisione governativa del 7 agosto 1981 sorsero in 111tta Italia circa quattrocento «Con1itati per la pacen che si coordinarono su base nazionale. Con1iso, scelta dalla Nato e dal gove1110 italiano cotne base strategica del piano di n1ilitarizzazione del Mediterraneo, divenne ben presto una delle capitali del pacifismo e punto di confluenza di decine di migliaia di persone provenienti da h1tte le regioni italiane e da vari 'Cfr Segno 8-9 (1979) 54-70. L1\ V ALLE, A Ile radici della pace, in Bozze 81 I ( 1981) 6- 7.
(, R.
Chiesa e n1ovilnento per la pace a C'on1iso
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paesi europei 7 che, con intensità crescente, trasforn1arono la cittadina iblea, oltre che in un luogo di studio e di protesta simbolica, anche in uno spazio di preghiera, di testimonianza permanente e di dialogo ecumenico. Durante l'estate 1983 un gruppo di pacifisti diede vita nei pressi della base Nato al campo permanente di iniziativa «lmac» (International Meeting Against Cruisc)'. Quasi a sottolineare il carattere ecumenico cd interreligioso del movimento, dopo avere percorso a piedi circa 1000 chilometri ed avere toccato decine di paesi della Sicilia, Jinyu Morischita, un monaco buddista di 35 anni giapponese della provincia di Nagasaky, il 22 dicembre 1982 giunse a Comiso per «protestare contro l'installazione dei missili "Cruise", la n1ilitarizzazione della Sicilia e la stì·enata corsa agli anna1nenti in tutte le parti del mondo»". 1.3. La Chiesa ragusana non rimase indifferente alla prospettiva dell'installazione dei missili a Comiso. Il 27 settembre 1981, benedicendo la prima pietra dell'erigenda chiesa parrocchiale di S. Antonio cli Padova (la più vicina al «Magliocco» tra le chiese comisane) il vescovo mons. Angelo Rizzo si foce interprete della viva preoccupazione di tutta la comunità iblea. Nella formula di preghiera che fu trascritta su pergamena per essere sigillata all'interno della prima pietra il vescovo volle aggiungere la seguente significativa invocnione: «Salga a Lui (a Cristo) questo tempio come anelito di questo popolo che implora la pace in un momento in cui la progettata installazione di 1nissili a testata nucleare nel vicino can1po dì aviazione "Magliocco" tanto turbamento arreca alle nostre coscienze di
l\!Ia si ebbero anche significative presenze di religiosi e di suore provenienti dagli Stati Uniti. -1 Per un breve profilo storico dc!l'l1nac, vd B.G. GABRJELI, Co111iso e il 1no\!i111e11!0 per lu puce_ in Segno, cit., 86-95. 1 ' R. DIGRANDI, Cro11uca de/fu lotta per Con1iso, in Segno 36 (1984) 76-78 ..l!nyu Morishita scelse Conliso co111c sua residenza definitiva e come luogo pern1anente di testi111onianza personale per la pace; prese parte altiva a tulle le 1nanifcstazio11i dei pacifisti, ivi con1presi i 111orne111i cli preghiera organizzati nella cilladina iblea dai gruppi cattolici. Di1norò inizialinente presso il Ca1npo internazionale per la pace. A lui si deve anche la recente progetlazionc e la realizzazione nei pressi di Co1niso (in contrada «Cannicarao») di una «Pagoda per In pncel> che è sl8t8 innugurata il 24 1naggio J 998 alla presenza di 50 1nonaci buddisti provenienti da lutto il inondo e con la partecipazione delle 1nassin1c autorità religiose e civili della provincia di Ragusa. Per un profilo biografico di Jinyu ìvlorishita, vd L. Rllvli\·11\UDO, li pac!fìsta «gioi/o cr111dido», in La Sicilia, 24 marzo 1985, 4.
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uomini e di cristiani»"'. Purtroppo, non disponiamo del testo della riflessione proposta dal vescovo nel corso di quella cerin1onia. Ad essa fece con1unque esplicito riferìn1ento lo stesso n1ons. Rizzo, poco più di un anno dopo, a conclusione cli un discorso pronunciato il 1G dicembre 1982 nella chiesa n1adre di Co1niso: «Forse qualcuno di voi era presente al rito della posa della prin1a pietra della erigenda chiesa parrocchiale di S. ;\ntonio il 27 setten1brc 1981 e ricordcrù il n1io intervento di allora. I-lo ritenuto di doverlo ricordare anch'io a ragion veduta. perché penso sia stato quello il prin10 intervento, in senso assoluto di a111orc alla pace e di condanna ai 111issili fatto in questa città. Non si era innescato ancora, qui tra noi, il 111ovin1ento pacifista che non sen1prc è apparso con1e 111ovi111c11to di an1ore alla pace autentica. li vostro vescovo hR voluto fare quel solenne pronuncian1cnto proprio perché il sito di quella prin1a pietra era il più prossin10 al can1po Nato. ln quella circostanza ricordo di aver pregato Dio, nella perorazione conclusiva dcl discorso, di liberarci dalla tentazione dc lici violenzn e quand'anche, per dcprcct:1bile presenza di una busc niissi!istica, ci rosse i1nposto di restare coinvolti in un clin1a di violenza per la provocazione della violenza di altri, ho soggiunto nella preghiera, di illu1ninare gli unn1ini con la forza lun1inos.:i che ci è venuta chi un popo!o e c!J un uo1110» 11 •
f-lo voluto riprodurre inlegral111ente questi due docun1enli, finora poco conosciuti, perché ritengo che essi costituiscano, sotto il prolìlo cronologico e contenutistico, un punto di riJèrin1ento i111prcscindibile ai fini di unll 111igliore con1prensionc dello stato d 1anin10 con cui n1ons. Rizzo rcllgÌ alla prin1a notizia della progettata base 111issilistica. C:ìli eventi successivi suggerirono a qualche esponente del 111ondo laico conclusioni at'fì·eliatc su un presunto aiicggian1ento, se non di acquiescenza, di sostanziale disi111pegno del vescovo nei confi·ontì della delicata problc111atica posta dalla presenzn della base 111issilistica nel suo territorio diocesano. Per la veritcì quell 1interpretazione, giustan1ente respinta dal vescovo, non fu condivisa neppure dai pacifisti cattolici i quali dal canto !oro, pur optando per una linea cli pubblico dissenso su talune scelte di carattere pratico adottate dal vescovo
111 Il testo integrale della preghien1 è stato riprodotto alla p. 11 n. n. dell'opuscolo pubb!iu1lo a Co1niso nel 1999 a cun1 dell::i parroccl1i<1 S. Antonio di Padov<J, in occasione della dedicazione della chiesa parrocchiale. 11 CorvllT..\TO PER !L CONVl:(iNO DELLE Cl!JLSI· IJ! S!CILI.-\, La giovane Chieso rug11sa11a
in ct1111111ino, !L
Ragusa 1984, JS.
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C'hiesa e 1novi1ne11to pf'r la ]Jace a C'o111iso
nel triennio successivo, non sollevarono n1ai alcun dubbio sulla bontà dei senti111enti che le avevano ispirate. l.a divergenza riguardò dunque non i principi generali nia il n1etodo e il linguaggio, non il piano teologico n1a quello più pratico e contingente delle valutazioni politiche e delle più idonee strategie pastorali. Per tale ragione, uniti nella co111une condanna delle arn1i nucleari, il vescovo e il n1ovin1e11to per la pace procedettero su due linee parallele e talora contrapposte, non condividendo \ uno le analisi, le definizioni e i n1etodi dell altro. Per citare un prin10 esen1pio, la 111arcia «Milano-Con1iso» (27 nove111bre - 18 dicen1bre 1982) che sì concluse nella piazza Fonte Diana di Comiso non trovò il favore dcl vescovo il quale, nel già citato discorso pronunciato nella chiesa n1adrc della n1cdesi111a città, prese esplicita111cnte le distanze da que\! 1iniziativa, sottolineando l1irriducibile differenza tra la sua «via della pace» e quella dei pron1otori delle 111arce: 1
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«Mi pren1e, però. all'inizio cii questa nostra celebrazione liturgica Jàrc un'in1portante precisazione perché, contraria1ne11te a quello che abitualn1entc non accade per le nostre assen1blee eucaristiche per l'asscn1blca di questa seni vi sono delle attese fuori posto per delle inforn1azioni diffuse con prepotenza ed illcgittin1a111en1e cinl!a stainpa quotidiana. Nei giorni scorsi la sta1npn regionale ha detto che questa nostra celebrazione era niente di n1eno con1e introduzione <1d <1ltrc n1anifestazioni che si fan1nno in questa città di C'on1iso o, per essere pili esatti, che qui in C_'on1iso avranno la conclusione. ]\;li riferisco ad una 111arcia, non saprei cl<1 chi organizzata, che partendo da Milano ha con1e 111eta C'oiniso. E poi, dopo di questa, di un 1r1ltra niarcia in partenza da Catania ed infine non so cli quali altre iniziative. Si è delto nella sta111pa che nella nostra Diocesi, il vescovo cd i suoi presbiteri e i fedeli, poiché questa è la chiesa, intende unirsi ai n1arciatori della pace quasi che le "vie della pace" che noi intendian10 percorrere s'identifichino con quelle che altri liberan1cnte possono percorrere. Sia1110 dinanzi ad un grosso equivoco che io voglio chiarire prinKl di dare ini7iO aliti nostra celebrazione e !o faccio, una volta che se ne presenta !1occasione, insien1e con alcune altre precisazioni che si sono rese non solo utili 1na necessarie ... » 1è.
Anche all 1interno dcl clero diocesano le posizioni furono tulCaltro che convergenti. Un appello per la pace sottoscritto da un nutrito gruppo cli lhid.. 26. l\!lons. Ri7zo espresse il suo pensiero sul problc1na dci n1issili a Con1iso anche nel corso dcl convegno regionale li Papa u Pulen110 1111 c111110 dopo, ! 2 novc1nbre 1983, Palcrn10 1984, 85-97, 116-118. l\!la si vedano pure le interviste rilasciate al Corriere della Seru, 4 dicen1bre 1983, e a li Sabato, I 0-16 dicernbre 1983. 1
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intellettuali di diverso orientamento culturale e politico raccolse l'adesione di numerosi sacerdoti di Ragusa, di Monterosso Almo, di Scoglitti (frazione di Viuoria) e perfino di titolari di importanti emiche diocesane (il vicario episcopale per il clero, l'arcidiacono del capitolo della cattedrale, l'assistente diocesano di Azione Cattolica), ma non registrò alcun sostegno da parte del clero comisano 1-'. 1.4. Il movimento però aveva ormai assunto da oltre un anno una dimensione interdiocesana e interconfessionale. Un dossier pubblicato nel mese di dicembre 1981 dalla rivista Segno testimonia la ricchezza di contributi e l'ampia convergenza che si era già stabilita tra parrocchie, gruppi e movimenti, cattolici e protestanti, di tutta l'isola'". Tra questi è da segnalare un appello rivolto «ai cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà» in cui, tia f!altro, 1 firn1atari csprllnevano un severo giudizio non solo di incompatibilità tra il Vangelo e la decisione governativa di installazione dei missili a Comiso ma anche di dura condanna della proliferazione delle armi
Per il lesto e l'elenco dei finnatari dell'appello (11dice1nbre1982), vd Lu Siciliu, 12 dicc1nbre 1982, 17; l'Unità. 12 dicc1nbre 1982, 7; Dialogo (Modica), dice1nbre 1982, 1-2. Per quanto riguarda il diverso oricntan1ento espresso dal clero cli Con1iso rispetto a quello dc! clero del capoluogo ibleo, occorre ricordare che nel decennio precedente nun1erosi gruppi di sacerdoti e laici ragusani, in stretto collegan1ento con vari settori della vicina diocesi di Noto, avevano inaturato un atteggian1ento di progressiva autono1nia nei confronti del tradizionale 1nodello dell'unità politica dci caLtolicL n1cntre a Co1niso ancora negli anni '80 si continuava ad operare nel quadro del vecchio collateralis1no. A ciò si aggiunga il non sereno rapporto esistente tra la chiesa con1isana e Nicola Cagnes, presidente del Cuciip (Co1nilato unitario per il disanno e la pace), principale esponente del Pci locale e più volte sindaco di Coiniso. I)i lui scrisse B.Cì. (fabricli: «Il Cudip è staio ed è ancora troppo il cornitato di Giaco1no Cagncs, anzi: per Comiso non è altri che ''Nicola" Cagnes, con tutti i pregi e i difetti che la gente riconosce al vecchio ex-sindaco e leader con1unista, adorato dagli anziani del suo partito e rispettato (1na non seguito) dai più giovani, inavvicinabile da chi, per un 1notivo o per l'altro. ha votalo per l'attuale mn1nìnistrazione» (11.Cì. GABRIEU, Co111iso e il 111ovi111enlo per la pace, ci!., 88). Per i rapporti tra la Chiesa iblea e il n1ondo politico locale, ini pcnnctto di segnalare il in io .saggio Chiesa e politica a Ragusa, in Pugine dal S11d (Ragusa), gennaio-febbraio ! 990, 9-1 O e n1arzo-aprile 1990, ! 4-16; vd pure la inia relazione I.a Diocesi di Ragusa: una Chiesa nascente tra 111101·e .\fìde socio/i e di110111iche co11ciliari, in La pro1 i11cia lhleu 11c!!'lruliu Rep11bh!ica11a, Atti del convegno storico, Ragusa 23 - 24 noven1bre 1995, Ragusa 1996, 108172: 169-172. 1 ~ Vd Segno 28 (1981) 28-58. La rivista Segno costituisce una ricca e i1nprescindibile fonte di notizie e cli riflessioni sul n1ovi1ne11to per la pace a Co1niso (con particolare rifcri1nento al dibattito interno al n1ondo cattolico). OILre al fascicolo n 28 appena ci!nto, si vedano sopraltulto le racco!Le di interventi e docu111cnti pubblicate nei nn 30 (1982), 36 ( 1983). 44-45 ( 1983) e 46-4 7 ( 1984 ). 1
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nucleari (Cruise ed ss20) «in ogni altra parte del mondo» e di «ogni progetto di costruzione della bomba N sia da parte americana che sovietica». Il documento suggeriva inoltre un'importante chiave di lettura della scelta di Comiso come base nucleare: «La recente iniziativa del governo italiano, al di là delle contingenti considerazioni di natura geografica e strategica, si inscrive nella stessa logica del secolare disimpegno nei confronti di tutto il Mezzogiorno. Respingiamo dunque e denunciamo come mistificante ed estranea al Vangelo la propaganda tendente ad accreditare l'installazione dei n1issili a Con1iso co1ne stru111ento di sviluppo cconon1ico e socialen 1'. La partecipazione dei cristiani al 111ovi1nento per la pace, tutt 1altro che 1narginale o subalterna ad altre iniziative più politica111ente caratterizzate, si espresse con un proprio linguaggio e nei tcnnini di un radicalis1110 evangelico che superava lo stesso principio della dissuasione. Emblematico è, al riguardo, quanto si legge nell'editoriale del già citato fascicolo della rivista Segno: «Voglian10 concludere queste brevi e so111111arie note con una osservazione rivolta ai cristiani nel niovi111ento per la pace. In questi 111esi in cui il 1novi111ento ha fatto irruzione nelle piazze e nelle strade d'Italia e d'Europa, i cristiani che vi hanno partecipato si sono confusi giusta111ente con gli altri senza particolari parole d'ordine, che non potevano avere. L'hanno f3Ho spesso a titolo personale e dì gruppo, nia non sono stati con1pletan1ente soli: singoli vescovi hanno preso la parola n1anifestando solidarietà e prendendo posizione netta di condanna della guerra, della fabbricazione ed cspoiiazione di anni. Tuttavia a noi scn1bra che se sul piano polilico - e i! nodo della pace e del!a guerra è principaln1ente se non tutto politico - i cristiani e le loro chiese non hanno speciflcitù da portare e da far pesare, un punto possono assu1nere ed avanzare con1c relativa111entc caratterizzante la loro presenza e partecipazione alla lotta per la pace: la proposta e la richiesta radicale del disanno unilaterale, con1e concretezza e con1e utopia ... » 11'.
L'istanza cli un definitivo superamento del concetto dell'equilibrio delle forze e della strategia della dissuasione, cui lo stesso Concilio
15 Il foglio, stilalo e stmnpato a Ragusa ai prin1i di ottobre 1981, ebbe una larga di1Tusione in nu111crose parrocchie, nelle scuole e nel corso della prin1a grande n1anilèstazione che si tenne a Conliso il giorno I J dello stesso n1ese. Il testo integrale del documento fu poi inserito nel sopracitato dossier della rivista Segno 28 (1981) ,:i0-41. Per una breve cronaca della 111anifesta7ione dell' 11 otLobre, cui presero parte circa 35.000 persone (a fronte delle previste 10.000), vd G. CAfiN1:s, Co1niso, upp1111tu111ento per la pace, in S'egno, eit., 5-8. 16 Editoriale. Spezzare le carene di Yulra, in Segno 28 ( ! 981) 4.
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se1nbrava aver «dato credito, sia pure con1e n11nor n1ale, anche qui intorbidando il suo discorso con gli argon1enti 1nutuati dalla logica co1nune)), era già en1ersa durante il precitato convegno nazionale di Torino. Nella sua
relazione conclusiva R. La Valle aveva sollevato seri dubbi sulla possibilità che il più recente sviluppo della corsa agli annan1cnti potesse ancora accreditare l1idea enunciata dal c:oncilio che l1«8n1111assa111cnto di annL che
va au111entando cli anno in anno, serve, in n1anicra certo inconsueta, a dissuadere eventuali avversari dal con1picrc atti cli gucrra» 1'·'. Tra la logica con1une, fatta propria dal c:oncilio, e la reale dina111ica della corsa agli arn1an1enti si era nel fratten1po venuta a dctenninarc una situazione assolutan1ente nuova che in1poneva un radicale ripcnsan1ento del precedente schcn1a interpretativo e un ritorno all i111111ediatczza del linguaggio evangelico: 1
«l)i fatto la strategia della dissuasione è stata abbandonata da coloro stessi che !'avevano inventata. A!l8 strategici della dissuasione bastavano 400 testale nucleari, ~00 per parte, per assicurare il reciproco deterrente. ()ggi di tcsl(lte nucleari cc ne sono 50.000. La direttiva n. 59 dc! presidente Carter dice che ora le anni nucleari nun devono servire a dissu<Hlere, 111<1 a colpire degli obiettivi dctcrn1inatL il che pern1ette di ;.1blx1ss8re 1.01 sogli8 della guerra nucleare, perché se prinit1 essa non poteva essere pens<:ita che co111c guerr<ì generLJle, oggi può essere i1nn1aginata e progran1111ata con1c guerrn territorialn1cnle e 111aterìa!n1e11te li111itata, con1e guerra "di teatro". Dunque non avrebbe senso ncn1111eno dal punto di Yista n1ondano che la Chiesa continunsse t1 tener buono l'alibi del!Q dissuasione per giustificare la corsn agli arn1a1nenti. f)i fron1e all'invcrosirnile aun1e11to e proliferazione delle arn1i nucleari, l8 Chiesa non può che ripetere: giù !e arn1i; non può che richiedere opportune e illIJJOrt1111e, la totale e incondizionat.:1 rinuncia alle anni nucleari, non può che riprendere quellu prin1a fòrn1ulazione dc! ('oncilio, di ripudio dcl!c arn1i nucleari, ricordata da Iv1ancini» 1'.
La rivista JJozze Cu pron1otricc di un altro in1portante convegno nazìonale sul tcn1a Jnvcce tlei 1nissili che si tenne a l{_agusa e a Co1niso nei g1or111 J -2 111aggio 1982. L iniziativa era stata preceduta da alcuni contributi 1
(iu11di11111 et SjF:s, n 82.
R. LA VALLI·,, S'celtc 11r~e11/i e /lacsi in milssi1110 pericolo, in Bozze 81, cit., 156-157. cli I. ìVIANCINJ, vd nello stesso fascicolo Cristiuni difì·o11te u!lu pace (do Burth al Vaticano Il), ihid, 117-144, in cui il co111pianto filosofo e teologo ricostruì breven1cnte le circostanze che avevano portato all'«approccio riduttivo del Concilio» e alla «sconfitta dcll'uudncia iniziale». Per i presupposti storico-culturali, vd l'intervento di G. Ruc;c;JEH.l, Può fu pace \'cnire du//o cultura occide11talc?, ihid., 59-72. 1
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Per il riferiinento all'intervento
Chiesa e 1novilnenio per la pace a
C'o111iso
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di G. Ruggieri, E. Chiavacci, R. Brancoli e I. Mancini, pubblicati nei fascicolo di Bozze 82 2 ( 1982 Y''. che ne avevano anticipalo alcuni dci principali 111otivi ispiratori. Inoltre, un colloquio tra R. La Valle e L. Sciascia aveva contribuito a dilatare ìl significato e la prospettiva del convegno. Dopo avere ascoltato l 1enunciazione dcl teina fnFece e/e; n1is.•d/i, lo scrittore aveva subito risposto: «l'acqua: invece dei n1issili, l1acqua)>:> 1', vale a dire l1elen1entosimbolo riassuntivo delle reali esigenze e delle più profonde aspettative della Sicilia e con1e tale «si111bolo alternativo a ciò di cui è si111bolo l 1idolo nucleare>)'; Il convegno tentò di scavare in profondità nella vita e nella storia della Sicilia co1ne luogo di una prevalente non violenza tutta introversa che genera e assicura la violenza esterna di una n1inoranza a sua volta nioltiplicata dnll'antica violenza dcl potere statale (L. Sciascia); nella cultura dell 1occidente per cercarvi le radici cli un «pensiero che partorisce violenza» (L Mancini); nella storia della C'.hiesa per scoprirvi astuzie niondane, tentazioni politiche e lalora una cerla ritrosia ad cspri1nere la profezia della pace (G. JZuggieri); nella Sacra Scrittura per ritrovarvi il «giudizio taglìentc della parola di Dio» sull'idolatria dei potere e delle sue armi (M. Toschi); nella storia della provincia iblea con1c laboratorio e a1nbito applicativo cli un originale e fortunato n1odello sociocconon1ìco, ìncon1patibile - n1algraclo le grnvi inaden1picnzc di una certa classe dirìgentc -- con la falsa in1111agine di un area arretrata e desertica già proposta con1c sJOnclo al progetto reazionario che lendeva «a sostituire nelle aree arretrate del nostro paese la 1\iroga 11 delle spese n1ilitari agli investin1enti sociahncnte produttivi» (Ci. Barone); negli arsenali di guerra per descrivere il potere distruttivo e radioattivo delle anni nucleari (R. Pucci)~ e, in/-ìne, nella di111ensione utopica e profetica della pace per attingervi le ragioni profonde e la capacità in1111aginativa cli una valida «alternativa al sisten1a di guerra» (R. La Valle)-'' A non1c e per decisione dei partecipanti al convegno fu infine inviato a tulti i vescovi delle chiese cli Sicilia un 111essaggio contenente, fì·a l 1altro, l'espressione di un diffuso disagio per il silenzio dei pastori («non 1
1 "
Cfr ID .. Lu JHICe diffìci!c, 5-19; E. C!!JAVACC!, 1-.."licu del/11 pace e legge del do111i11io,
21-62; R. RRI\NCOLI, ..-Von passa in A111eriea fu linea di Rcugun, 63-78; I. lvlANCJNI, Cu//111·0 di destru e di gue/'/'11. Per quanto <<111/0l'a» l~ sen11H·e lu 1·ccchia dcstru, I ! J-l 46. :'o R. L,\ \!i\LLL, La colr"11baf(Tita, in Bozze 82 J ( 1982) l O. :'I lhid, Il. :>è Gli "Al Li'' dcl convegno furono pubblicati nel numero 4 di Bo::.ze 82. Da ricordare è pure il convegno delle Chiese evangeliche siciliane che si svolse a Co1niso dal 31 n1aggio al 2 giugno dc! 111cdesi1no anno.
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comprendiamo il vostro silenzio») e il pressante invito «a squarciare il velo dell'e1rnre e a manifestare al mondo ciò che davvero giova alla sua pace»''. La sera del 1° maggio i convegnisti si recarono in pellegrinaggio a Comiso fino «alla soglia dell'idolo nucleare» e sostarono davanti al cancello centrale dell'aeroporto «Magliocco» dove diedero vita ad una suggestiva veglia per la pace che fu introdotta dalla «Salmodia della penitenza» e si concluse con ]'«Inno della pace n1cssianica»è-1•
1.5. Quella liturgia penitenziale segnò l'ingresso utììciale della «preghiera» nell'esperienza del movimento per la pace in Sicilia, oltre che come impegno interiore, personale e di gruppo, anche come figura pubblica e visibile e come «segno di contraddizione» per gli stessi credenti. In coincidenza con il venerdì santo del 1983 il «Coordinamento Cristiani per la Pace» (un nutrito gruppo di sacerdoti, diocesani e appartenenti a diversi ordini religiosi, laici, membri di varie associazioni: Azione Cattolica, Acli, Gioventù Aelista, Pax Chrisli, Fuci, Mir, ecc.) soprattutto siciliani, ma provenienti anche da altre provincie italiane e perfino dall'estero si fece promotore di un incontro di digiuno, di ritle.'5ione e di preghiera per la pace a Comiso. Su quasi tutti i cartelli portati a mano dai circa trecento pellegrini che presero parte al rito figurava la rappresentazione di un fi.mgo atomico, con al centro il crociÌlsso, accompagnatn dalle parole di mons. Hunthausen, vescovo di Seattle (USA): «L'atomica è l'ultima croce dell'uomo, i nostri preparativi di guerra nucleare sono la crocifissione globale di Gesù Cristo». L 1iniziativa trovò il sostegno dei parroci della città i quali accolsero cordialmente i pellegrini e autorizzarono l'uso delle chiese principali come stazioni iniziali della Via Crucis che si concluse davanti ai cancelli dcl «Magliocco». Nel foglio programmatico si leggeva che il gruppo «preoccupato per la folle corsa al riarmo sia ad Est che acl Ovest, ha sentito la necessità di testin1oniarc la propria partecipazione alla passione di Cristo, _:>_1 lbid, 155-158. Al silenzio della Chiesa aveva L1tto esplicito riferi1ncnto durante il convegno Cì. Ruggieri, lainentando che il vescovo di Ragusa non aveva «ancora fatto conoscere il suo pensiero con una presa di posizione che in1pei;,'11assc i<l sua chiesa; ilnchc se -aggiungeva Ruggicri nella sua predicszione non ha t:1uo n1ancare, oltre alla esortazione di pace, i richimni al realisn10 dell'equilibrio delle arn1i» (ihid. 35-36). "~ li dépliant inviato ai convegnisti presentava la veglia con1e «Visita "ad lin1ina" ul!'idolo nuclearel>. Il testo della veglia (riprodotto inlegraln1ente alle pp 127-154 degli "Atti" dcl convegno) era stato curato da David l'vlaria Turoldo cd era introdolto dalla seguente nota rituale: «L'assen1blea è in pellegrinaggio verso Con1iso. Tulti ca1n1nlnano a! buio e cantano la sahnoclìa della penitenza. Apre la processione un enonnc cero pnsqua!e, unica luce che illun1ina il ca1n1nino>>. La presidenza delta veglia di preghiera venne affidala a Italo Mancini.
Chiesa e n1ovin1ento )Jer la pace a C'on1iso
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il Venerdì Santo (l 0 aprile), a Comiso, nel luogo in cui i governanti hanno deciso di installare entro questo anno i micidiali missili nucleari "Cruise"». La Via Crucis fu ripetuta negli anni successivi fino al 1988 crescendo in numero di adesioni e in ampiezza geografica. Le polemiche seguite alla benedizione della prima pietra dell'erigenda chiesa nella base Nato ebbero una ripercussione negativa anche sui rapporti tra il clero locale e i promotori della Via Crucis. Nel 1984 i pellegrini trovarono ancora ospitalità nell'androne del convento dei frati francescani dei Minori conventuali ma non poterono più usufruire delle chiese panocchiali". Nell'anno successivo il vescovo mons. Rizzo e i parroci di Comiso si irrigidirono a tal punto da proibire ai frati di ripetere perfino il gesto dell'accoglienza dei numerosi pellegrini convenuti a Comiso per partecipare alla Via Crucis. Nel 1986 il pellegrinaggio partì da Palermo, con soste nel poligono di tiro sulle Madonie e a Sigonella; l'anno successivo iniziò da Messina. Nel 1988 mosse da Trapani ed ebbe una particolare intonazione francescana «perché - scrissero gli organizzatori -- anche se ogni anno vi hanno partecipato suore e frati francescani, questa volta si struttura quasi come prima tappa di quel più vasto ca1nn1ino che da diverse direzioni europee conduce verso il "Dialogo ecu111enico su giustizia, pace e salvaguardia del creato" che si svolgerà ad Assisi dal 6 al 12 agosto 1988»'". 1.6. li vescovo di Ragusa mons. Angelo Rizzo, pur non sconfessando utllcialmente le iniziative di preghiera portate avanti dal movimento per la pace, dichiarò in varie sedi di non condividerne né la forma pubblica né i motivi, a suo parere propagandistici, che le ispiravano''. li contrasto sul più idoneo intervento della comunità ecclesiale nella questione dei missili a 2 Nel servizio giornalistico dcl giorno successivo fu riportato un n1io rilievo ' sull'oggetliva contraddizione che era possibile cogliere tra il richimno al valore dell'ospitalità e dell'accoglienza con cui il vescovo e i parroci di Con1iso appena tre n1esi pri1na avevano giustificato il progetto di una slstcn1atica assistenza religiosa ai nli!itari della base 1nissilistica e il loro contestuale rifiuto di ospitare nelle chiese della città i pacifisti, e perfino i non pochi sacerdoti della stessa diocesi, che avevano aderito all'iniziativa della Via Crucis. 21 ' Per le cronache della Via Crucis dal 1983 al 1988, cfr i servizi giornalistici di L. REvflv11\UDO sulla pagina regionale del quotidiano La Sicilia (2 aprile 1983; 21 aprile 1984; 5 aprile 1985; 7 aprile 1985; 16 aprile 1986; 18 aprile 1987; 2 aprile 1988); cfr pure P. 80LDRIN!, [,a r'ia Crucis di ('0111iso, in Segno 48-49 ( J 984) 57-58. Per quanto riguarda la Via Crucis del 1985, cfr pure la cronaca pubblicata in Serl'izio della Parola ! 69 ( ! 985) 44-45. 27 Ad uno dei sacerdoti organizzatori della Via Crucis fece invece recapitare una lettera con la quale espri111eva la propria piena disponibilitù ad incontrare i pacifisti, n1a solo nella cappella del vescovado, per un 11101nento di preghiera con1une.
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Comiso esplose in modo pubblico e clamoroso a seguito della cenrnorna della posa della prima pielra per l'erigenda chiesa all'interno della stessa base Nato (23 dicembre 1983). Quella liturgia, presieduta da mons. Rizzo, divenne presto oggetto di dibattito e di vivaci contestazioni. Nei giorni in1n1ediata1ncntc successivi alla cerin1onia un nutrito gruppo di sacerdoti, laici, gruppi e 111ovin1enti cattolici operanti nel capoluogo ibleo con1inciò a riunirsi nella sede della «ex-Fuci»" per la stesura di un docun1ento di formale dissenso nei confronti, ollre che del geslo rituale compiuto dal vescovo, dell'erigenda chiesa nel suo insien1c. La con1plessità e la particolare delicatezza del1 1argon1ento suggerirono ai pro1notori dell'iniziativa di
subordinare il bisogno di un in11necliato intervento alla non n1eno in1portante ricerca di una fonnula che fosse capace di coniugare la chiarezza del dissenso con la sobrietà dcl linguaggio, la forza della denuncia del progetto in sé con il doveroso rispetto per la persona e le intenzioni dcl vescovo. Per tale ragione il clocun1ento poté essere diffuso, nella f(Jrn1a di una !~e/tera aperta ai cristiani lii Ragusa, solo a partire dall 1 11 gennaio 1984 e, per effetto di tale ritardo, fu poi erronearncnle interpretalo dall'opinione pubblica in tern1ini cli sen1plice sviluppo en1otivo cli altre più tcn1pestive iniziative di protesta-"1• D. Giancarlo Griggio (al1 1cpoca vicario coadiutore della parrocchia S. Paolo Aposlolo di Ragusa), ispirandosi alla bozza della lettera aperta che circolava già da una settin1ana in forn1a riservata tra i gruppi più dircttan1ente interessati all 1iniziativa, e anticipandone i concetti essenziali, il 30 dicembre - durante la preghiera dei fedeli della messa conclusiva dell'assemblea diocesana - e il giorno dopo, nel corso dell'omelia di capodanno, criticò pubblican1ente il rito cli benedizione presieduto dal vescovo, qualificando co1ne «1cn1pio di Marte» l'erigenda chiesa nella base n1issilistica. La notizia fì..t raccolta eia un cronista, co1Tispondentc locale del quotidiano !"a Sicilia e dell'Agenzia A,VSA, e venne subito lrasn1essa ai principali organi di stan1pa nazionali e internazionali. L 1autonon1a iniziativa di don Cìriggio e il suo tentativo di personalizzare la protesta non giovarono al nonnalc sviluppo della Lettera Oj)(?rta ai cristiani di Ragusa, che dovette :''Era il gruppo degli t111iversitE1ri (o ex universitm·i) callolici cli RElgusa che, Jln dalla inetii degli anni '70 si en1 ul1icic:iln1cntc co!!octito nell'arcn dcl cosiddetto ((dissenso cattolico», ponendosi nel capoluogo ibleo con1c punto cli raccordo col più vasto 1novi1nenlo nazion<ile delle Co1nunitù di base. '" Il docun1ento fu pubblicato intcgrahnenle, oltre che dal quoticli8no Lu Sici/i({, 12 gennaio 1984; d8l quindicinale locale Dialogo, gennaio 1984, 2; da Adistu. 18 gennaio 1984; da Segno 46-4 7 ( 1984) 91-94 e eia Il Regno 7 ( 1984) 243-244.
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subire un ulteriore rinvio a causa dei necessari aggiustan1enti in1posti da quell 1in1prcvisto intervento e fu poi, se non ignorata del tutto dai grandi quotidiani nazionali, segnalata in n1odo scarno e distorto, co111e scn1plice docun1ento di adesione all 1intervento dcl giovane sacerdotern. Frattanto lo scrittore Leonardo Sciascia, sollecitato ad espri111ere una sua opinione personale sul gesto rituale di n1ons. Rizzo, aveva affer111ato: «È la solita storia della politica della Chiesa che benedice anche le bandiere di guerra. E però le cose che la C:hiesa fa in un senso o ncll 1altro onnai non contano tanto» 31 • li prestigio del personaggio contribuì a dare a quelJ1intcrvento una risonanza eccessiva. Oggì però il rilievo forn1ulato da L. Sciasciri appare concettualn1ente e storican1cnte insostenibile sta nei suoi tern1ini generali, co111e giudizio son1111ario sulla «politica della C~hiesa», sia in relazione all'eJTettivo significato dell 1iniziativa di 111ons. Rizl':O. Più corretto e nieno approssin1ativo soHo il profilo dci riferi1nenti storici nii sen1bra invece il rilievo di F.M. Stabile secondo il quale negli ultin1i sessantanni «un atteggia1nento 111eno zelante nelle parate ufficiali e più oculato nelle benedizioni avrebbe rispannialo alla chiesa, e quindi alla crcclihilìtà del suo annun?:io, tante pesanti ;_iccuse di an1biguità, se non di connivenza, verso il regin1e fascista, certi partiti e 110111ini politici, certo equivoco potere econon1ico»'è Al vescovo di IZagusa pervennero attestati di solidarietà e insien1c di dissenso da parte di sacerdoti, gruppi cattolici, n1ovin1enti e singoli intellettuali. I parroci di Comiso si schierarono dalla parte ciel vescovo n1cntrc il clero dcl capoluogo iblco, convocato d'urgenza, espresse a stragrande 1naggioranza un giudizio più articolato: di dissenso nei conf-ì·onti "' IVlalgr::ido che lino a quel 1no111en10 don Ciriggio non :lvcsse niai partecipalo, né nrnteri<1hnenle né si111bolicmnenle, ad alcuna ini7.iativa paciJisla, si g.iunsc perfino a scrivere di lui che «è diventato il capofila dell'ennesi1na rivolta contro i 1nissili)) e che «sull'onda del suo intervento, altri preti di Ragusa, della provinci<1 e persino di Catnnia hunno successiva111entc solloscritto docnn1enli duri e 1nanifcsta1nenle critici contro l'oper::ito del vescovO>l (cfr M. FL:i\,li\G.\LU. i\lissi/i i11 sacrestio, in L)on1enicu del Corrien\ gennaio l 984, 3 7-38). i! Il testo integrale della lunga intervista concessa dallo scrittore siciliano al quotidiano Lo S'ici!iu il 31 dice1nbre 1983 fr1ccva p::irtc di un pili mnpio servizio sull'«Anno dei 1nissìli» con1prensivo anche dell'opinione dcl noto giornalis!:1 a111ericano Leo J. \Volleinborg il quale. in nelli1 opposizione nlln tesi Sciascia («secondo 1ne si deve fare un discorso totale di pace: dobbiaino proporre il discirn10 unilaterale>l), sostenne la necessiti1 dei Cruise «piazzali in Sicilia, più particolannentc nell'angolo sudorientale dcllci Sicilia>l. L'intervista dello scrittore siciliano ebbe uno strascico pole1nico con un<1 replica di 1nons. Rizzo cui seguì una conlroreplic<l di L. Scinsci<1 (cfr La S'ici/ia. 3 gennaio 1984. 5; 6 gennaio 1984, I; 14 genn::iio 1984, ! ). ':' Cfr L '(Jra (Palenno ), I 8 gennaio 1984, I: Se~no 46-47 ( l 984) 1O1.
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dell'iniziativa del vescovo, che fo valutala in modo negativo sia sollo il profilo etico e liturgico-pastorale sia a motivo della mancata consnltazione del clero diocesano, e al tempo stesso di non adesione al metodo della pubblica contestazione scelto dai promotori della Lettera aperta. I parroci di Con1iso non stilarono alcun docu1nento, 1na espressero il loro pensiero attraverso dichiarazioni personali che furono diffuse dal quotidiano La Sicilia. Solidarietà al vescovo fu espressa pure da un gruppo di laici del capoluogo variamente collegati a «Comunione e liberazione)) e agli ambienti culturali e politici di centrodestra". Mons. Rizzo chiarì il significato del suo gesto con un documento ufficiale dal titolo Comi.1·0. Chiesa "Cristo, nostra pace". Il perché di una he11echzio11e 1·1 che ne evidenziava le effettive rnotivazioni pastorali, n1a coglieva solo in parte le ragioni «delle sofferte voci di dissenso», come lo stesso vescovo le defìnì aggiungendo che erano «degne di ogni attenzione perché ispirate - alcune - da nobili sentimenti di autentico amore»". In sintesi, mons. Rizzo giustificò il suo operato affermando che «Un "campo militare" che esiste nel territorio di una Diocesi, poiché è abitato da uomini, è per la Chiesa un luogo dove Essa - che è a tutti debitrice - deve offrire il suo servizio di annuncio della Parola, di celebrazione della salvezza nei sacran1enii, di accoglienza e testin1onianza nella carità di Cristo». 11 responsabile della comunità cristiana del luogo non può in coscienza (senza colpa) rifiutare un servizio religioso desiderato e insistentemente richiesto. Il campo militare Nato di Comiso è formato nella quasi totalità da soldati che professano una fede religiosa. La coesistenza della chiesa e della base missilistica - aggiunse n1ons. Rizzo --- non costituisce una contraddizione insanabile se gli uomini che abitano nel ca1npo n1ilitare «chiedono di essere aiutati a vivere secondo l1insegnan1cnto di Cristo, principe di pace» e di non restare «soli con i missili in preda alla disperazione o alla follia omicida». E ciò, a differenza di altri campi militari dove altri uomini fossero eventualn1ente «costretti a convivere con identici o più n1icidiali stru1nenti di 111orte senza il sostegno o l'interiore sollecitazione dì un n1onito di ordine trascendente e spirituale come quello di Cristo, salvatore e giudice»"'. Il 1
Cfì· La Sicilia, 13 gennaio 1984, 4; 14 gennaio 1984, 4; 24 gennaio 1984, 5. li docun1ento fu pubblicnto sul Bo!!effino t:cc/e5iastico dello /)iocesi di Ragusa ( 1983) 98-l 02 (cfr anche Segno, cit., I 02-105; kfondo cattolico di Sicilia, 1O febbraio 1984; Il Regno, cit., 244-245). ;; I/)!({., 99-100. 6 ' Mons. Rizzo alludeva certainente alle busi ato1niche del blocco sovietico. Tant'è che aggiunse: «E tanto peggio se, consapcvolinenle o inconsapevolinente (quei u1111pi rnilitari) '
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costo (4 miliardi) previsto per la costruzione è contenuto e, comunque, non graverà sulla diocesi di Ragusa. Infine, «i pacifisti credenti e sinceri che sostano in preghiera dietro le mura di cinta del campo [ ... ] dovrebbero trovare un motivo di gioia nel sapere che per la pace oltre che foori si prega anche dentro quelle mura». Dal canto loro, i firmatari della lettera aperta ai cristiani di Ragusa denunciarono l'ambiguità della presenza di una chiesa intitolata a «Cristo, nostra pace» all'interno di un campo militare la cui costruzione costituiva, oltre che «un colossale c1TOre politico (anche) il segno della più grave pervers10ne che l'uomo abbia mai conosciuto nella sua storia plurimi 1lenaria»: «A nostro giudizio, giustificare o 111inin1izzare, sul piano 111orale, il possesso di arn1i nucleari, significherebbe non soltanto aderire ad un'aberrante concezione dei rapporti internazionali 1na anche e soprattutto, negare la realtà stessa di Dio creatore, an1ante della vita e delle sue opere. [ ... ]La chiesa di Dio che è in Ragusa, nonostante le insistenti sollecitazioni rivolte al vescovo da sacerdoti e laici, non si è ancora pronunciata sulla base 111issilistica di Co111iso. Le uniche prese di posizione ufficiali finora registrale riguardano esclusivan1ente le critiche alle iniziative pacifiste (ivi co111prese quelle pro111osse da sacerdoti e laici in1pegnati), gratuitan1ente giudicate "a senso unico". In tal inodo ci si è sottratti al dovere 111orale e profetico di dare un 110111e al "vitello d'oro 11 che si sta costruendo a Con1iso [ ... ] Il ten1pio sarà ironican1ente intitolato "Cristo nostra pace 11 , con la stessa logica con cui due111ila anni fa Ponzio Pilato consentì che sulla croce venissero incise le parole: 11 (Ìcsù Nazareno Re dei Giudei" [... ] Non è la pri111a volta che "Erode" 1nostra interesse per il Messia. La 111otivazione ufficiale è quella di sen1pre: adorare il ba111bino (Mt 2, 8). Però l'intenzione vera è un'altra: sbarazzarsi di una presenza tanto scotnoda. Non è la prin1a volta che il tentatore sfida la santità del Figlio di Dio chiedendogli di prostrarsi davanti a lui in adorazione nella prospettiva del possesso di 11 lulti i regni del inondo con la loro gloriai! (Mt 4, 8-1 O). Al contrario di quanto si vorrebbe tàr credere, la base di Con1iso è solo un luogo di distruzione e di peccato incapace di esprin1ere valori positivi e del tutto estraneo (oltre che alla cultura e al patri111onio di fede della nostra isola) alle più autentiche istanze di giustizia e di pace presenti oggi nel 111011do. I principali obiettivi dci n1issili che vi
fossero usati con pretese egen1oniche universali da capi ranatici che, in preda ad aberranti ideologie atee, si rivelano al inondo con1e figli di I3elial, l'unico con cui gia1n1nai Cristo potrà raggiungere un'intesa per l'intrinseca inconciliabilità».
434 saranno installati sono infatti i paesi in via di sviluppo, ivi con1prcsi quelli del già ton11entato Medio Oriente[ ... ]».
L'analogia col gesto di Pilato e il richiamo all'ambigua religiosità di Erode erano, nelle intenzioni degli autori della Lettera aperta, metaforicamente attribuite alle autorità della Nato, e non a mons. Rizzo come invece si pensò negli ambienti della curia diocesana. Del resto, e non a mons. Rizzo, come invece si pensò negli ambienti della curia diocesana. Del resto, si apprese solo in un secondo tempo che il titolo della chiesa era stato proposto proprio dal vescovo. Inoltre, il documento contestava al massimo responsabile della diocesi di avere proceduto a quella benedizione sulla base di un ordinario atto amministrativo, che non teneva conto della peculiarità della situazione, e senza alcuna prelin1inare consultazione né dei suoi più stretti collaboratori né del Consiglio presbiterale. Infine, precisando di non avere voluto con la loro critica alla benedizione solenne di quella prima pietra «negare il diritto dei 1nilitari all1assistenza religiosa» che a loro giudizio andava «proposta in forn1e nuove e progran1111ata con1unitarian1ente a livello diocesano)) - espressero «il loro dolore per il fatto che il gesto del vescovo, così con1 1era stato posto, appariva a n101ti credenti e non credenti corne la legittin1azione dei n1issili»'' 17
Nel corso degli incontri che avevano preceduto la diJTusionc del docu1nento si era unanimc1nente sottolinealo dw parte dei pron1otori dell'iniziwtiva che il vasto n1ovin1ento internazionale di contestazione, anche inorale, ai 1nissili nucleari rendeva l'erigenda chieséi nella base n1issilistica inassinli!abile a tutte le altre strullure religiose presenti nei nonnali can1pi militari. A tale concetto si ispirò anche il prof Salvatore Dipasqualc, presidente provinciale delle Acli di Ragusa, in una lettera approvata all'unani1nità dall'asse1nblca provinciale dei dirigenti e poi inviala wl vescovo 1'8 gennaio 1984. Il docu1nenlo era nel co1nplesso una replica a wluni rilievi critici rivolti alle Acli da parte di n1ons. Rizzo nella già citata intervista pubblicata nel settin1anale Il Sahato: «n1i dispiace che qui in Sicilia anche alcuni dirigenti di un 111ovi1nento cristiano cli lavoratori siano caduti nel traboechelto pacifista con ingenuo candore, scusabile negli inesperti». S. Dlpasquale rispose ricordando che <1nell'in1peg110 per la pace e contro la proliferazione degli arnwmcnti aton1ici (quello che viene definito "trabocchetto pacifisl<l") non sono presenti solo "alcuni dirigenti'' siciliani delle Acli 1na, fin dal prin10 n1on1cnto e senza riserve, tutto i! n1ovin1cnto. Non a caso è stato il nostro presidente nazionale a consegnare, la scorsa esl<lte, un pressante invito alla tratLativa ai rappresentanti delle due superpotenze a Cìinevra. E il documento del 22 ollobre scorso è finnato dalle Acli, assien1c al!a Azione caltolica italiana, wll'Agesci, a Pax Christi, a CL ecc. Se sian10 perciò "ingenui cd inesperti". ci trovia1no in buona co1npagnia [ ... ·1 Non possiamo accettare le ragioni che - nelle righe della stessa intervista - vengono suggerite co1ne 1notivo per non aderire all'i111pegno pacifista. Siwn10 ini~1tti profondainentc convinti che testin1oniare la verità sia un dovere a cui i cristiani non possono sollrarsi per n1isere ragioni cli tatticis1no politico ! ... J Concordiaino senza riserve con lei che la pwce non può essere solo assenza di guerra. Proprio per questo riteniaii10 aberrante - quando sono già disponibili arn1i sufficienti a
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Quest'ultimo rilievo fu suggerito dal timore che la partecipazione ufficiale del vescovo alla cerimonia - al di là delle effettive intenzioni pastorali che l'avevano ispirata - potesse essere percepita all'esterno della diocesi co1ne una scelta sin1metrica alle valutazioni soggettive con cui n1ons. Rizzo, contestualmente alla condanna morale dei missili in quanto tali, aveva più volte ostentato un orientamento personale palesemente filogovernativo e filoccidentale, censurando tutte le iniziative dei pacifisti e giustificando sollo il profilo politico-militare il piano di riarmo predisposto dalla Nato («Se Ii togliessimo [i missili] solo da una parte, daremmo spazio alla parte avversa, all'avversario, e questo non sarebbe giusto»)". Peraltro, l'ipotesi dell'ispirazione fondamentalmente «politica» delle scelte operate dal vescovo trova un significativo riscontro proprio in quel suo richian10 - che in ambito pacilìsta era ritenuto poco evangelico e poco ecclesiale - alla categoria dcli' «avversari cm. I lìrmatari della Lettera aperta chiedevano infine un riesame dcl «nulla osta» vescovile alla costruzione della chiesa, la «restituzione» ai poveri della somma di quattro miliardi già stanziata per la costruzione di quella struttura e l'organizzazione di «un convegno diocesano, aperto a lutto il popolo di Dio, per un'adeguata analisi dei problemi posti dalla costruzione della base missilistica»". distruggere 1noltc volte il nostro pianeta - continuare nella folle corsa alla n1oltiplicazione degli ordigni nucleari, che sono ogget1ivan1cnte superflui anche ai fini della deterrenza; essi in co111penso assorbono una enonnc quan!ità di risorse, che 1neglio potrebbero essere uti!iLzate proprio per il riscatto dci poveri e per l'instaurazione di una vera giustizia sociale nel n1ondo[ ... j>J: cfr Segno 46-47 (1984) 94-95. 11 • Cfr C'orriere della Sera, l. c. Pcrsonahnente segnalai pure il rischio che le intenzioni pastorali del vescovo potessero confondersi e contanlinarsi con il «n1odello di pace» portalo avanti dalla Nato e di cui pcrnltro il co1nandantc italiano ten. col. Giovanni Cnppabianca si era già fatto interprete, nel corso della ceri111011ia della benedizione dcllu pri1na pietra, sottolineando che il motivo che giustificava In pennanenza dei 1nilitari in quella base era «la salvaguardia della pace». Per la cronnca della cerin1onÌ3, vd il servizio di L. RIM1'v11\UDO in La Sicilia, 23 diccn1bre 191-13, 5. Per i miei rilievi personali e per il giudizio espresso da altri esponenti (sacerdoti e laici) della diocesi di Ragusa, vd R. CfiACOìvJELLI, Con1iso, 11110 (Jfe/r(/ che fa disc11terc, in Fa1nigff(I C'ristiana, 22 gcrnrnio 1984, 50-52. Per il rischio di stnunentalizzazionc dcl gesto dcl vescovo da pclrte delle autorità politiche e militari, cfr. anche il Lesto di un'altra «Lellera aperta a n1ons. Angelo Rizzo vescovo di Ragusa» finnata da undici sacerdoti di Catania dove, fra l'altro, si legge: «Non pensa che una stru!tura ecclesiale nella rabbrica di n1orte possu fare il gioco di chi vuol L1r passare senza troppi dissensi, anzi con un certo consenso, la logica delh1 sfrenala corsa agii arn1an1cnti'h> (La Sicilia, 6 gennaio 1984, 5; Ses;oo 46-47 [ 1984] 91 ). i'I Per un'an1pia raccolta di docu1nenti relativi al dibattito seguito al rito di benedizione della prin1n pietra, cfr il dossier Buse 111issilistica di Co111iso: la pietru dello scandalo, in Seguo 46-47 (1984) 88-lOS.
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1.7. Su tutta quella vicenda gli altri vescovi siciliani adottarono un atteggiamento di disimpegno e di indecifrabile silenzio che fo mantenuto, malgrado le aspettative della curia iblea, perfino nel corso del I 0 convegno delle Chiese di Sicilia «Una presenza per servire. Le Chiese di Sicilia a 20 anni dal Concilio verso il 2000» (Acireale 25 febbraio - I 0 marzo 1985)•". Emblematico appare quanto, al riguardo, ebbe a scrivere mons. Giovanni Battaglia, presidente della Caritas e coordinatore responsabile del Comitato diocesano per il convegno delle Chiese di Sicilia, in una nota di cronaca pubblicala, a conclusione del convegno, sul Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Ragusa: «Sul piano delle emergenze non è stato taciuto il peculiare problema della base missilistica di Comiso, che tanto affligge la nostra Chiesa, per la non sen1pre univoca interpretazione dei problen1i da essa indotti e delle strategie pedagogiche e pastorali da adottare per educare alla pace il nostro popolo senza entrare nello specifico di problemi per i quali la Chiesa non ha né la competenza né la forza di intervenire. In proposito nella relazione~ 1 venne espressan1ente la1nentato che "La Chiesa Ragusana, riguardo alla base missilistica, lamenta di essere stata lasciata sola, di non aver avuto il conf01io incisivo delle altre Chiese sorelle"»•'. Non sfoggirà la sostanziale congruenza di tale rilievo al motivo centrale del n1essaggio che qualche anno pri111a era stato inviato ai vescovi siciliani dai partecipanti al convegno Invece dei missili. Ritengo che il 1 • ° Con1111enlando il gesto rituale con1piuto da n1ons. Rizzo, F.M. Stabile espresse dei dubbi sulla possibilità che l'i1n1nincnte convegno delle chiese di Sicilia potesse affrontare in inodo adeguato il problen1a specifico della base 111issilistica di Co111iso senza i! superan1cnto dello «stile ecclesiastico ribadito dallo stesso vescovo di Ragusa, ina coinune a tutti g!i altri)). Riconducendo l'operato di 1nons. Rizzo ad una prassi gencralinente seguita da tutti i vescovi, Stabile scrisse che nonostante che si parli sernpre più di partecipazione ecclesiale allraverso i consigli presbiterali e pastorali «questo coinvolgi1nento sì esplica spesso su prob!en1i innocui e, a volte, n1arginali [con la sisteinatica esclusione dci] problen1i che riguardano la guerra e la pace, la presenza della 1nafia, i rapporti con partiti e uo1nini politici)) (cfr l'Ora. 18 gennaio 1984, cit.; e Segno 46-47 (1984) I). -1i Allude alla relazione presentata dai delegati iblci alla segreteria del convegno. -lè G. Bt\T!'ACiLIA, Il contributo della chiesu ragusana al convegno delle (:/1iese di Sicilia, in Bollelfino Ecclesiustico della Diocesi di Rag11sa ( l 985) 2, 43. Questo richiaino all'indifferenza deHe «Chiese sorelle» trovò un i1nplicito riscontro nella soflèrta rievocazione che di tutta quella vicenda fèce qualche anno dopo lo stesso n1ons. Rizzo in occasione del natale 1987: «Il Natale del 1983 si è trasforn1ato addirittura in un vero "Getsc1nani"; sono stati giorni trc1nencli per 1ne: con1c uon10, con1c credente e co1ne vescovo. Ho sof1èrto perfino la solitudine; nia con l'aiuto dcl Signore, ho fatto con serenità quella scelta che se nii ha posto. per non poco ten1po con1c "segno di contraddizione" anche fuori della nostra terra, non 1ni ha fatto inai 1nancare da allora una larga solidarietà in ogni parte d'Italia>! (vd Il nostro ]\lata/e ... Questo 1\latale, in La Provincia di Ras;usa, novcn1bre-dicc1nbre 1987, 22).
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«silenzio)) dell'episcopato siciliano - forse causa e insieme effetto delle scelte operate dalla Chiesa ragusana - costituisca uno dei nodi storici e storiografici tuttora irrisolti di tutta la questione della base missilistica a Comiso. In vista della stesura della presente relazione ho chiesto direttamente a mons. Rizzo di potere accedere al suo archivio personale, oltre che per una più esauriente esposizione dei fatti, anche al fine di porre la mia delicata indagine al riparo dal possibile rischio dell'analisi parziale e unilaterale. Purtroppo le sue non buone condizioni di salute, unitamente alla necessità di una migliore sistemazione della massa di documenti da lui raccolti in ventisette anni di ministero episcopale, non gli hanno ancora consentito di esaudire la n1ia richiesta. Pertanto, in 1nancanza di più solidi supporti
archivistici, ho dovuto circoscrivere il mio impegno di ricerca entro il ristretto perimetro dell'esame sulle questioni ancora aperte della «vicendaComiso» dei dati «ufficiali)) già acquisiti e dell'opportuna riflessione. Introducendo il testo della già citata intervista concessa da mons. Rizzo al settimanale li Sabato, G. Di Fazio accennò a vari tentativi fatti dal presule «per sollecitare i suoi confratelli italiani a promuovere un'azione comune. Come nell'ultima assemblea generale della CEI - aggiungeva Di Fazio dove il suo appello è stato favorevolmente accolto)). L'intervistatore (presumibilmente già informato dallo stesso mons. Rizzo) si riferiva con tutta probabilità all'assemblea ordinaria annuale della CE! che si era svolta a Roma nei giorni 11-16 aprile 1983; dunque, parecchi mesi prima della tanto discussa cerimonia di benedizione della prima pietra della costruenda chiesa nella base Nato di Comiso. Poiché l1auspicata «azione con1une» non ci fu - o, nel 1nigliore dei casi, si espresse solo in 1nodo indiretto e privato - sen1bra oggi ragionevole
porre qualche domanda: perché l'appello lanciato da mons. Rizzo restò circoscritto entro quel particolare ainbito assen1bleare e non si tradusse n1ai
in una presa di posizione ufficiale da parte né della CEI né della Conferenza Episcopale Siciliana'' Cautele ispirate dall'«alto)) (dalla S. Sede) e precedentemente concordate tra mons. Rizzo e tutti gli altri vescovi o presa di distanza da talune scelte, di merito e di metodo, poi operate dal vescovo di Ragusa e che altri settori dell'episcopato non condivisero? Presenza di linee non convergenti all'interno della CEI o sottovalutazione della «questioneComiso)) come problema pastorale di tutta la chiesa italiana? Volontaria autoesclusione dcl superiore organismo episcopale da un dibattito che, a
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tratti, mostrò la tendenza a scadere su un terreno di confronto riconducibile a problematiche interne alla diocesi iblea?u Per quanto riguarda poi i termini del dissenso che, all'inizio degli anni '80, contrappose mons. Rizzo al movimento per la pace, occmTe ricordare che la base missilistica fatta installare dalla Nato e dal Governo italiano nel tenitorio ibleo IU solo l'occasione e il fattore scatenante di un confronto dialettico tra due culture, assai diverse e diHicilmente componibili, che in altri momenti e in altre sedi erano già approdate a ben più radicali espressioni di reciproca delegittimazione. A lutto ciò si aggiunga l'insieme degli elementi connessi al particolare stile pastorale di mons. Rizzo il quale, al tempo della disputa sulla base Nato di Comiso, interpretava ancora il proprio ruolo ispirandosi ad una definizione di chiesa già da lui illustrata, fin dall'inizio del suo ministero episcopale ( 1974), mediante un «organigramma a cerchi concentrici» che collocava il vescovo nella zona centrale e tutti gli altri organismi diocesani nelle fasce periferiche. Nella sezione di quello stesso documento dedicata alle «note esplicative dell'organigramma» il ~ 3 Per quando riguarda qucst'ultin1a do1nanda è bene sollolinearc che, all'interno della Chiesa iblea, il dibattito sui 1nissili a Co1niso fu vissuto anche c01nc una variante di gravi e non risolti conlliLti interni che già da vari anni avevano reso poco idilliaco il rapporto tra n1ons. Rizzo e buona parle del clero diocesano. Per fcrn1arci ad uno degli cscn1pi più significativi e più cla1norosi, basterà ricordare che il 16 ottobre 1979 ben nove n1e1nbri del Consiglio presbiterale diocesano (e tra questi, l'arcidiacono del capitolo della Cattedrale 1nons. Giovanni Corallo e l'arciprete della chiesa inadre di Vittoria nions. Giuseppe Calì) si erm10 iOnnahnentc di1nessi dal loro incarico a seguito di gravi dissensi en1crsi ne! corso dell'ultin1a riunione del 2 ottobre 1979 dello stesso organisn10 diocesano. I finnatari della lettera precisavano che le loro di1nissioni «erano state richieste dalle assen1blee plenarie dcl clero delle rispettive zone pastorali)). In sostanza i presbiteri din1issionari contestavano al vescovo: 1) di avere tradotto in tcnnini di «in1posizione» la nuova prospettiva dell'avviccnda111cnto dei parroci che nel inese di scttc1nbre 1974 il precedente Consiglio presbiterale diocesano aveva introdotto affidandone però l'attuazione alla libera e spontanea dichiarazione di disponibilità da parte dei singoli responsnbili delle con1unità parrocchiali; 2) di avere ainbiguaincnte prospettalo al Consiglio, nella forn1a di «Consultazioni1> su varie nuove noininc di parroci, decisioni che di fatto erano già state adottate in 1nodo definitivo. Nel verbale della sedula del 2 ottobre l 979 si legge: «La discussione divenne ben presto ani1nata perché buona parte dei presenti riteneva che tutto fosse giù stalo deciso e che quindi si trattava di conu1nicazioni e non di consultazioni 1 ... ] Il c!in1a creatosi an1pliò il discorso sui rapporti tra il vescovo, il clero, i! C.Pr.D., e non si giunse a conclusioni1> (cfr Bollettino l:'cclesiastico della Diocesi di Ragusa, XXIV 11974] 4, 79-80). Quelle tensioni, che presto si inasprirono attorno alla questione specifica della 110111ina del parroco della catLedralc, ebbero (nell'ultin10 trin1estre del 1979) un'eco anche nella stan1pa e nelle en1illenti radiotelevisive locali: cfr il quotidiano li Diario: 6 ottobre, 12 ottobre, 19 ottobre, 21 ottobre, 24 ottobre, 27 ottobre, 31 ollobre (co111prendcntc anche il testo integrale della lettera di di1nissioni dci 1nen1bri del Consiglio presbiterale diocesano), 1 novcn1bre, 4 nove111brc, 13 dice1nbre, 27 dice1nbre.
C'hiesa e 111ovin1ento jJer la pace a Co1niso
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nuovo pastore della diocesi aveva precisato di avere voluto in tal modo proporre un imn1agine di «chiesa co1nunionale», alternativa ai vecchi e orn1ai superati modelli di tipo «piramidale e verticistico», e di volersi nel contempo impegnare a «tenere in gran conto la collaborazione e la corresponsabile partecipazione di tutti i membri della comunità ecclesiale». Sul piano della prassi però quella dichiarazione programmatica si era spesso tradotta, e continuò a tradursi anche negli anni successivi, in una sorta di «centralismo direttivo e unidirezionale» (dal vescovo alla diocesi) che molto spesso lo aveva indotto a proporsi come interprete unico delle più delicate emergenze diocesane. Muovendo da tale presupposto, mons. Rizzo affermò che l'assemblea diocesana straordinaria sui problemi posti dalla base Nato di Comiso, benché richiesta da numerosi sacerdoti e laici, non presentava a suo parere alcun carattere di necessità: «su tale argo111ento -- era solito dire - non c'è nulla da discutere e tutto è già definito dal magistero sociale della Chiesa». Da qui, pure il suo atteggiamento di insofferenza e di dit1idenza nei confronti dei pacifisti (e in generale verso ogni esperienza di movimento non direttamente controllabile dalla Chiesa o dalle autorità civili e militari)'' che egli assimilò, in modo sommario, all'ideologia marxista e al fronte abortista, sostenendo che le loro «vie della pace» dovevano essere nettamente separate da quelle proprie della comunità ecclesiale''. 1
+i Sono note le sue riserve nei confronti di ogni progetto pastorale o educativo teso ad ainpliare lo spazio della corresponsabilità su tcn1i delicati qutili le scelte n1ilitari del Cìoverno, la lotta alla cri1ninalità organizzata ecc. Questa sua chiusura è da collegare al ti111ore che tali iniziative possano risolversi in un illcgittin10 passaggio di co1npetenze dal vertice istituzionale alla base della co1nunità dei credenti o dci seinplici cittadini. Intervenendo il 2 dice1nbre 1983, nell'aula 1nagna del Liceo scientifico "E. Fern1i" cli Ragusa, a un incontro protnosso congiunla1ncntc dall'allora 1ninis1ro della pubblica istruzione F. Falcucci e dall'alto co111111issario per la lotta contro !a n1afia E. De Francesco, nel quadro dì un progran1111a di sensibilizzazione di tutte le scuole siciliane sul grave problcn1a isolano, n1ons. Rizzo si espresse in senso nellan1entc contrario al n1otivo ispiratore di quell'iniziativa, sostenendo (alla presenza - oltre che dei due autorevoli ospiti - di presidi, docenti e studenti di tutta !a provincia di Ragusa) che la lotta contro la crinlinalit<Ì organiz7ata era di esclusiva co1npetenza della n1agistratura e della polizia e che il con1pito della scuola era di fOnnare non dei «n1aliologi», 1na dei cittadini onesti e protèssionahnente co1npctcnti. Con analoghe n1otivazioni, in occasione dcl 2° convegno delle Chiese di Sicilia, respinse !a proposta di una «pastorale organica contro la niafia» fonnulata in quella sede dal gesuita B. Sorge. Per il rapporto di n1ons. Ri7zo con la politica, 111i pennello di segnalare quanto ne ho scritto nel 111io già citato articolo C'hiesa e politica a Ragusa, in Pagine dal Sud 2, Ragusa 1990, 15-16. -1~ Mons. Rizzo tornò sul teina del «pacifis1110 a senso unico» anche in occasione della (Juerra del CJolfo. Intervenendo a Conliso ad una 1nanifestazione (per la pace e contro !a guerra) organizzata dai giovani di Azione Cattolica, disse: «Ii pacilis1no indiscri1ninato, a senso unico, che con1batle solo nella direzione di una parte e non tiene conto dci valori
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Questa definizione del ruolo della gerarchia e del suo rapporto col mondo politico e sociale non poteva non scontrarsi col diverso stile e con la diversa cultura del movimento per la pace o, quanto meno, di alcuni settori di esso i quali - a prescindere dal loro specifico orientamento sulla «questione-Co1niso» - po1iavano avanti da vari anni un progran11na di rinnovamento ecclesiale e sociale non congruente alla mentalità di mons. Rizzo e che in buona misura si ispirava al percorso culturale delle «Comunità di base». Non è un caso che i due percorsi si divisero, fino a contrapporsi, non tanto sul valore in sé della pace, ma - come spiegherò meglio più avanti - sulla sua dimensione culturale: il massimo responsabile della diocesi e i pmrnci di Comiso sottovalutarono il problema della ricerca del «linguaggio» più idoneo a esprimere la condanna dei missili, mentre i pacifisti identificarono quell'aspetto come un momento centrale del processo di costruzione della pace. La divaricazione, ideale e di metodo, che sulla «questionc-Co1niso» si venne a deten11inare tra mons. Rizzo e il 1novi1nento per la pace trova in questo diverso retroterra ecclesiale e culturale la sua ultima e più profonda spiegazione"''.
2. Tra politica, diplomazia e profezia Nella medesima pagina 11 del già citato n 10-16 dicembre 1983, il settimanale di «Comunione e liberazione» Il Sabato pubblicò, a fianco dell'intervista di mons. Angelo Rizzo («La pace vera non è pacifista»), un servizio di M. Carcano dal titolo «li Papa e Craxi gettano due ponti sul Tevere» dedicato all'incontro tra Giovanni Paolo li e il neo-presidente dcl Consiglio dei Ministri Bettino Craxi. I due testi vanno interpretati nella loro (intenzionale?) configurazione sinottica. Infatti, alle tesi sostenute da mons. sostanziali che sono in gioco non difende la causa della pace [ ... ] Rin1archcvole è l'attcggiainento di un certo pacifisn10 che ha se1npre da ridire solo da una partc1> ( cfr La Sicilia, 5 febbraio 1991, 16 ). 16 In questa sede è doveroso ricordare pure che, durante !a guerra nei Balcani, n1ons. Rizzo ha sostenuto tutti i progra1111ni di riconversione dell'ex base Nato di Con1iso, facendosi altrcsì pro1notore, presso il (Joverno italiano di un progetto di utilizzo di quella struttura a vantaggio dei profughi dcl Kosovo: cfr Lettera del Vesco\'O al Presidente del C'onsig/io dei i\,finistri e al 1\1inistro degli Interni, in Bolle!lino Ecclesiastico della Diocesi di Ragusa, XLIV ( 1999) ! , 8. Intensa è stata poi, a seguito dell'iniziativa del vescovo, l'attività svolta dalla Caritas diocesana e dal volontariato cattolico a sostegno delle inigliaia di prof'ughi ospitati nella stessa ex base Nato, opportunmnentc ribattezzata «Peace To\vn» (città dc!!a pace): cfr Per i profùghi dcl KosO\'O - Co111iso, ibid,3, 8.
C'hiesa e 111ovilnento ]Jer la 11ace a C'o111iso
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Rizzo (duro giudizio morale sui missili in generale, da lui definiti «bubboni purulenti», realismo politico come presupposto del «dover convivere coi missili», svalutazione morale e culturale del movimento per la pace)"' facevano da contrappunto le riflessioni di M. Carcano il quale, ricostruendo - sulla base di semplici illazioni personali - il contenuto del colloquio tra il Papa e Craxi, scrisse: «In pri1no luogo viene naturalmente il teina cie/la JJace. Con grande realismo la Chiesa cattolica non ha mai sottovalutato il problema dell'equilibrio degli armamenti e non ha mai creduto che la lotta per la pace si risolvesse in un appello sentimentale al disarmo unilaterale dei due». Non meno significativo è quanto si legge nel servizio di Carcano a proposito del Concordato, da lui ipotizzato come secondo argomento del colloquio c interpretato in tcnnini di reciproco, benché non univoco, interesse: n1orale quello del Papa, contingente e politico quello di Craxi"'. L'autore concludeva il proprio servizio giornalistico con un altra in1portante annotazione: «Infine si può pensare che, cessate le strumentalizzazioni di parte dei n1esi passati, in 1
17 Questi i passaggi salienti dell'intervista: «Anche ad estirpare un bubbone con un doloroso intervento chirurgico non è detto che a breve scadenza non ne spunti un altro dal 1110111ento che il sangue è infetto. A.llora bisogna essere realisti: dobbian10, purtroppo, abituarci a convivere coi n1issili. Trasferirli in altri posti o accantonarli non significa din1enlicare con1e si fanno[ ... ] quanti dci pacifisti che n1arciano per la non instaJla7ione dei n1issili, sono contro l'aborto'?)). Tali rilievi riecheggiavano le tesi già proposte da nions. Rizzo pochi giorni prin1a (4 dicen1bre) in un'intervista rilasciata al C'orriere della Sera: «Alle n1arce per la pace i con1isani in genere non partecipano. Con1e niai? La gente non scende in piazza perché è convinta che non c'è niente da L1re: con1unque vada, i 1nissili arriveranno. Poi i co1nisani ten1ono di essere stnnnentalizzati dai partiti [ ... I Si tratta di 1narce su Co1niso, e non dei co1nisani [ ... ]Le n1arce, secondo noi, non servono a nulla 1 ••• j lo, corne la inaggior parte dei vescovi italiani, ritengo che, co1ne punto di passaggio sulla strad<J del clisanno, la deterrenza sia legillin1a [ ... ]Noi non dician10 che è necessario convivere coi n1issilì, n1a di fatto ci sono. Se 1i togliessin10 solo da una parte, daren11110 spazio alla parte avversa, all'avversario, e questo non sarebbe giusto». ~~ «11 Papa vuole che la Chiesa italiana riprenda con decisione una funzione di guida verso la coscienza della nazione, che sia presente con energia nella società[ ... ) Anche Craxi è interessalo a risolvere in ten1pi brevi il problen1a del Concordalo. Una Chiesa che ha più incidenza diretta nella società, che parla di più in prin1a persona è anche una Chiesa che ha n1eno la tentazione di negarsi ad una pnrte politica e si rivolge con più convinzione a tutte le con1ponenti della societ3. Un concordato concluso da un governo a presidenza socialista 1nisurerebbc in rnodo più chiaro un'accettazione cordiale anche da parte dci laici della regolazione dei rapporti frn Stato e Chiesa in Italia e 1nellerebbe !'accordo al riparo dn contestazioni strun1entali, n1entre d'altro canto servirebbe a Craxi per n1ostrare che il suo disegno politico non è rivolto contro la Chiesa e lo aiuterebbe a ridi1nensionare una certa i1nn1agine permissivista ed anticattolica che il suo partito si è guadagnato in occasione dei rcferendun1 sul divorzio e sull'3borlo)).
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questo contesto si sia avviata ad una ragionevole soluzione anche la vicenda lor-Banco Ambrosiano». L'operazione tentata da Il Sabato, a prescindere dalle effettive intenzioni della Redazione e dalle valutazioni personali dei suoi singoli collaboratori, offre un'utile sintesi degli eventi politici e diplomatici che all'inizio degli anni '80 fecero da sfondo al dibattito relativo alla base missilistica di Comiso. Un dato comnnque è certo: il «problema-Comiso» esplose in un momento in cui la Santa Sede era impegnata nella costruzione di un delicato sistema di rapporti diplomatici con i governi italiano e statunitense. Basti ricordare che il IO gennaio 1984 (proprio nei giorni in cui in Sicilia infuriavano le polemiche sull'erigenda chiesa nella base Nato di Comiso') fu contemporaneamente annunciata a Washington e in Vaticano la decisione della Santa Sede e degli Stati Uniti d'America «di stabilire tra loro relazioni diplomatiche, a livello di nunziatura apostolica da parte della Santa Sede e di ambasciata da parte degli Stati Uniti d'America, a partire dal 10 gennaio 1984»"". Tre giorni dopo, giunse a Roma William Wilson in qualità di primo ambasciatore designato dagli Stati Uniti presso la Santa Sede'". Allo stesso periodo risale la conclusione delle trattative per la revisione del Concordato del 1929 tra la Chiesa e lo Stato italiano. Il testo dcl nuovo accordo fo firmato, com'è noto, il 18 febbraio 1984". Infine, le implicazioni politiche e diplomatiche dcl caso «Banco Ambrosiano-IOR» sono facilmente intuibili e dcl resto trovano un significativo riscontro nella fitta trama di contatti che su tale argomento forano stabiliti tra le autorità italiane e quelle
vaticane 5-'. l'J Cfr Cronaca Co11te111poranea. Vita della Chiesa, in La Cii,iltà Cattolica, 1984, I, 268. L'accordo fu reso possibile dalla decisione dcl Congresso (finnata dal presidente Rcagsn, n1algrado l'opposizione di taluni a111bienti n1assi1nalisti an1ericani) di abrogare una legge vecchia di 117 anni !a quale vietava al governo federale ogni stanzia111ento di fondi per il ntanleni111euto di una rapprese111anza diplon1atica presso la Santa Sede. 0 ' Wilson era stato da tre anni rappresentante personale del presidente Reagan presso la Santa Sede. Al suo arrivo a!l'aeroporlo cli Fiu1nicino dichiarò: «a n1io giudizio, la non1ina di un nunzio apostolico a Washington e di un 1.11nbasciatore an1ericano presso i! \1aticano rappresentano un fatto positivo perché tutto ciò o11ie la possibilità agli Stati Uniti e alla Santa Sede di avere tra loro due canali di infonnazione rapidi ed e11icienti» (cfr La Siciliu, !4 gennaio ! 984, 2). 51 Per il testo dell'accordo, per i suoi antecedenti storici e per !e prospettive aperte dal nuovo Concordato, vd in La Civiltà Cattolicu, 1984, I: Editoriale, 11 Concordato tra fu Chiesa e lo Stato ieri e oggi (417-435), Docun1ento, Accordo di re1'isio11e del C"oncordato !_ateranense (470-478); F. Lorv1Hf\RDJ, f nuovi rapporti C'hiesa e lo Stato in ltalia (479-494). "Il 17 giugno 1982 il Banco A111brosiano ers staio posto in liquidazione coalla. Il giorno successivo fu trovato in1piccato a Londra Roberto Calvi sotto il Balckfrias Bridge. Per
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Allo stato attuale non ci è dato sapere se e in che misura quelle vicende influirono sull'atteggiamento assunto dalla Santa Sede e dall'episcopato italiano nei confronti della base missilistica di Comiso. Fino all'acquisizione di dati sicuri e definitivi, l'analisi storica potrà solo registrare la concomitanza dei fatti, fonnulare qualche fecondo inte1rngativo e avanzare una ragionevole ipotesi di lavoro sui possibili motivi ispiratori di quella linea di «prudenza» che sul «caso Comiso», a differenza della più netta presa di posizione sulla legge dello Stato che consentiva l'interruzione della gravidanza (confcnnata dal referendum del 17 maggio 1981 ), caratterizzò l'orientamento di quasi tutto l'episcopato italiano' 3 l numerosi gruppi aderenti al movimento per la pace chiesero ai vescovi un linguaggio più «profetico» e una più severa condanna, oltre che dei missili nucleari in quanto tali, della stessa logica politica e militare che li aveva generati. Occorre tuttavia chiedersi se nel concreto contesto storico in cui tale dibattito si sviluppò era realistico ipotizzare una diversa modalità d'intervento che avrebbe esposto la Chiesa al rischio di una sua grave marginalizzazione proprio in quell'arca politico-diplomatica che - a fronte del più problematico rapporto con il blocco sovietico - garantiva ai vertici ecclesiastici una più ampia sfera di azione e un'effettiva libertà di espressione. Più in generale, la domanda riguarda il linguaggio della profezia e la possibilità che essa si adatti - oltre che all'immediatezza del «n1ovi111ento» - anche ai canali, ai vincoli e ai rit111i propri deir«istituzione».
uno sguardo d'insien1e su tutta quella vicenda, cfr F. LOldBAnD1, Il caso ((Banco A111brosianolor>>, in !"a Civiltà Cat!olica, 1982, IV, 588-600. '-' È i1npensabile infatti che su un argo111ento cosi delicato non sia stata iinpartita a 111ons. Rizzo alcuna direttiva da parte della Santa Sede, della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana e della Presidenza della Conferenza Episcopale Sìcili<111a i! cui «silenzio» uHicialc fu sostanziahnente congruente ai principì generali più volte enunciati dal vescovo di Ragusa. Peraltro, è da ricordare che il progetto relativo alla costruzione della chiesa nella base nucleare di Con1iso fu fatto proprio (e forse preli1ninannente autorizzato) anche da 1nons. Gaetano Bonicelli, all'epoca ordinario n1ilitafe, il quale concelebrò assien1e a mons. Rizzo in quella n1edesin1a chiesa, dichiarando pubblica111ente di condividere senza riserve le analisi e le n1otivazioni pastorali dcl vescovo di Ragusa. Per !a veritcì, ncll'a1nbilo deil'episcopato ci fu pure qualche espressione di dissenso, n1ccolta in privato da 111e e da altri sacerdoti della diocesi di Ragusa, 111<1 riguardò non la linea genernle, bensì taluni interventi particolari non concordali con gli altri vescovi (co1ne ad esen1pio l'eccessiva <n1fficialità:» della presenza di n1011s. Rizzo alla ceri1nonia della posa della pri1na pietra) che furono giudicati non opportuni in relazione al contesto culturale cd en1otivo dcl vivace dìbal!ito di quegli anni.
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3.1/ conflitto delle inlCJ]Jretazioni 3.1. Presentando su La Civilrà Cattolica le due anime del pacifismo cattolico'', F. Lombardi sottolineò l'esigenza del dialogo e della reciproca comprens10ne: «Bisognerà rinnovare gli sforzi per capirsi, allargare e approfondire prospettive intellettuali e spirituali, vedere dove c'è vera incompatibilità e dove piuttosto complementarità. È il compito aperto della costruzione quotidiana della pace nell'informazione, nella formazione, nella ricerca spirituale; perché - effettivamente ·- marciare non basta, o meglio, n1arciare fisican1ente non può essere che il simbolo di un continuo 111arciare intellettualmente e spiritualmente»". Mi pare di potere affermare che a Comiso quell'istanza non fu raccolta e che l'auspicato sforzo di elaborazione dall'una e dall'altra parte - ora del «simbolo comune» cedette il passo all'analisi parziale ora al bisogno di affe1mazione dei rispettivi modelli culturali e politici di riferimento"» F. Lombardi aggiunse che «il fatto che non tutti ritengano oggi di poter convergere a proposito di un tema così tendenzialmente unitivo come la pace, è oggettivamente una sfida che non può lasciare tranquilli né gli uni né gli altri»". A mio parere però la divergenza era inevitabile e, al di là della specifica questione dei 111issili a Con1iso, era riconducibile a visioni teologiche, politiche e pastorali assai diverse e, per certi versi, contrapposte. ll conflitto fu dunque reale e talvolta anche duro ma, più che su questo o quell'altro aspetto particolare dcl «problema-Comism>, esplose in modo vivace soprattutto sul piano culturale delle preliminari definizioni e delle
54 L'autore prese lo spunto dalla partecipazione di nun1erosi cattolici alla grande 1nanifestazione ro1nana del 22 ottobre 1983 valutata in senso positivo da P.(J. Liverani (Avvenire, 23 ottobre 1983, I), e dall8 contro1nanifeslazione organizzala a Milano il 7 noven1bre successivo per iniziativa del Movi1nento Popolare e di Con1unionc e liberazione. ''F. LOi'dBARDl, i nodi della politica estera ita/i(fna. E11ro1nissili, l"iha110, ilnpegno per la pace, in La Cii,iltà Cattolica, 1983, IV, 601. 1 ' ' Non si trattò solo di un dato di fatto. Mancò la di1nensionc stessa della ricerca e prcva!se, in un contesto oggellivon1cnte delicato e con1plesso, !a tendenza alla sen1plificazionc e all'enunciazione apodittica. All'accusa di non essersi consu!Lato, n1ons. Rizzo rispose: «se avessi avuto dci dubbi, 1ni snrci consigliato. Ma non ne avevo, e non ne ho neppure ora» (cfr R. G1AC01v!ELL1, Co1niso, 1111a pietra che fà discutere, cit., 51 ). En1blen1atico fu poi il sisten1atico rigetto da parte cli 111ons. Rizzo dell'insistente richiesta di convocazione straordinaria de 1l'assen1 bica diocesana. 57 f. LoJvlBARDI, I noc/; della politica estero italiana. ... , cit.. 601.
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interpretazioni's. Per fern1arci ad un ese1npio, n1ons. Rizzo e i pa1Toci di Comiso ritennero che la presenza di una chiesa nella base Nato, con la dedica a «Cristo nostra pace», costituisse da sola il più idoneo e più pregnante segno di contestazione di ogni progetto di guerra nucleare. l pacifisti, dal canto loro, sostennero invece che quella funzione profetica sarebbe stata meglio assicurata da un tempio posto al di fuori della base nucleare, come luogo di incontro sia dei militari che dei comuni cittadini (e degli stessi pacifisti) e che, in quel particolare contesto storico segnato da una diffusa ribellione morale e civile nei confronti delle anni nucleari, l'iniziativa «religiosa» della Nato e la partecipazione uflìciale del vescovo erano, se non da censurare in assoluto, da considerare inopportune quantomeno nella forma in cui erano state progettate ed attuate. 3.2. La divergenza non riguardò solo la costruzione della chiesa nella base militare, ma si estese anche al problema più generale della scelta delle sedi in cui manifestare per la pace. Da una parte i cattolici aderenti al movimento identificarono Comiso come «luogo teologico» e di sfida profetica all'«idolo nucleare»; dall'altra parte il vescovo di Ragusa sostenne che occorreva inanifcstarc non davanti alle basi inilitari, bensì nei luoghi politici della loro progettazione e nelle principali capitali dcl potere intcrnazionale 09 • Si deve inoltre ricordare che 1nons. Rizzo vedeva dietro a tutte le manifestazioni pacifiste l'ombra dell'Unione Sovietica e del Pci e che pertanto gran parte dei suoi giudizi sulle iniziative pacifiste era di fatto mediata da questa sua particolare precomprensione. Fu così che, fra l'altro, si giunse perfino alla proposta di una sorta di rovesciamento del linguaggio sin1b0Jico: ai pacifisti si suggeriva di <<1narciare a Varsavia» per contestare la base 1nissilistica di Comiso) mentre nella città siciliana dei Cruise furono organizzali (e sostenuti dallo stesso vescovo) dibattiti e manifestazioni «pro Polonia». Per la verità, mons. Rizzo era tutt'altro che insensibile al valore del ss Per una breve riflessione sull'aspetto culturale della questione degli euro1nissili a
Con1iso, vd !9~26.
MOVli'dENTO
PAX CHRfSTI, Le strade della pace. C'ristiani a C'o111iso, Napoli
1984,
' 9 «Non a Con1iso - affennò 1nons. Rizzo - si risolvono i problcn1i che, qui agitati, non l~rnno che rendere più difficile la situazione nostra. Sarebbe n1olto più opportuno orienlare le 111arce verso Bruxelles o Ginevra, verso Ro1na o n1eglio ancora, verso Ne\v York o Mosca piuttosto che far gravare su questo popolo di onesti lavonl!ori il pesante fardello di questo drarn1na dell'un1anit8 con i suoi inevitabili risvolti politico-sociali che intorbidano l'at1nosfcra serena della civica convivenza. Lasciateci, o pacifisti al nostro lavoro, alla nostra dignitosa sofferenza e pazienza» (COiv!l l'A'rn f'ER IL CONVE(iNO DELLE CHIESE DI SICILIA, La giovane Chiesa ragusana in Cun1111i110, cit., 29).
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segno di pace posto, oltre che nelle sedi dcl superiore potere politico, anche nelle basi militari; tant'è che giustificò il progetto dell'erigenda chiesa a11 1interno del «Magliocco» con una motivazione che oggettivan1ente era affine al linguaggio e alle iniziative dei pacifisti: «dedicare a "Cristo nostra pace" una chiesa in una base di n1issili è una provocazione di fede, una forma quasi paradossale di preghiera: "Tu che sci il Dio della pace, proprio qui devi farti valercH»i>O. Oggi sembra ragionevole chiedersi come sia stato possibile sostenere l'inutilità della scelta pacifista di Comiso come luogo di contestazione delle armi nucleari, col contestuale invito a marciare nelle capitali del potere mondiale, affermando al tempo stesso l'efficacia profetica di una «provocazione di fede» rivolta dal vescovo al Dio della pace all'interno della base comisana («proprio qui dcvi farti valere»). In virtù di quale presupposto teologico o politico, al vescovo era consentito contestare i missili dall'interno della base militare, mentre i pacifisti avrebbero dovuto orientare le loro n1anifestazioni verso sedi n1olto distanti da Co1niso'? La contraddizione, forse sfoggita allo stesso mons. Rizzo, può essere tuttavia facilmente risolta se si pensa che a Comiso i simboli della pace furono definiti all'interno cli prospettive culturali e politiche diverse e talora contrapposte: il «segno di contraddizione» posto da mons. Rizzo puntava solo alla radice morale del problema elci missili", scavalcando il piano inter1nedio delle decisioni governative e parla1ncntari che ne avevano reso possibile I1installazione; i pacifisti invece 1narciavano a Con1iso - oltre che in non solo per meditare sulla altri «punti caldi» dcl continente europeo radice morale dell'odio e della violenza, ma anche per protestare in modo si111bolico contro il progetto 111issilistico nel suo con1plesso, e in posizione dialettica anche nei confronti delle scelte operate dalle autorità della Nato e ratificate dal Governo italiano. 3.3. Dcl resto, un altro terreno di scontro (anche in ambito ecclesiale) fu proprio quello politico e militare. l cattolici che in qualche modo 10 '
R. (iJACOMELL!, Co111iso, 1111a pietra chefà discutere, cil., 51. 61 Nella parte conclusiva dcl suo 1nessaggio natalizio dcl 1982 si !egge: «Noi considcriarno l'inslalla7ionc dci 1nissili che vuol farsi nel nostro territorio con1e un bubbone pestifero che sta paurosan1ente crescendo per aggiungersi ai 1no!ti altri che già rendono irriconoscibile il corpo infetto del rnondo. Ed allora ci sc1nbra doveroso avvertire ogni uon10, pregandolo -- ed è questo il nostro messaggio - ad alta voce: prin1a e più ancora che dei bubboni preoccupatevi dell'infezione totale de! corpo che è nel sangue1> (cfr Segno 36 [1983] I I I).
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approvarono l'iniziativa della Nato, respinsero la prospettiva del disarmo unilaterale, richiamandosi al principio della deterrenza già enunciato dal Concilio e riproposto negli ultimi anni da Giovanni Paolo TI e da varie conferenze episcopali"'. Di ben altro avviso furono i movimenti per la pace i quali segnalarono sia l'ambiguità che il carattere illusorio di quel progetto, tenuto anche conto dell'impossibilità - specie a partire dalla direttiva n 59 del presidente americano Carter - di interpretare in termini di «strategia della dissuasione» il piano di riarmo atomico predisposto dalla Nato, che varie e autorevoli fonti politico-militari tendevano invece a collocare nella nuova prospettiva della cosiddetta «guerra di teatro» tutta orientata verso obiettivi determinati. Al riguardo, era opinione diffusa tra i pacifisti che la base di Comiso fosse strategicamente collegabile all'ipolesi di un possibile scontro 1
'è Sui rresurposti tnorali della deterrenza, vd G. DE RosA, Guerra 1111cleare, deterrenzu e coscienza n1orale, in La Ch·i!tò Cattolica, 1983, II, 313-328. Sul teina della pace, sono da segnalare i docuinenti dei vescovi olandesi, tedeschi occidentali, giapponesi, belgi e francesi riprodotti integrahnen1e da Adista e da Il Reg110-doc11111e11ti (cfr pure Segno 44-45 11983] 244-248). Al principio della deterrenza si ispirarono anche i vescovi slatun!tensi nella loro lettera La sfìda della pace dcl 1983. Per un ripensmnenlo critico cli quella dollrina, giudicata onnai inadeguata rispetto alle successive iniziative militari degli Stati Uniti, vd il recente docu1J1ento 1ìnnato da 73 vescovi ainericani di Pax Christi (aprile/giugno 1999) dove. fra l'altro, si legge: «Il cainbimnento de!ln strategia statunitense dall'idea di utilizzare il nucleare co1ne deterrente per altri Stati che possiedono anni nucleari a quella di tenere sollo tiro tutte le nazioni che possono sviluppare qualsiasi arnia cli clistncdone cli 1nassa - è relativan1cnte recente. Tale sviluppo solleva serie preoccupazioni. Questa estensione del ruolo delle arn1i nucleari contraddice ne!lan1ente la nostra valutazione». Le conclusioni cui sono rece11te1nenle pervenuti i vescovi an1erìcani cli «Pnx Chrisli)) coni'ennano le valutazioni gi~1 proposte in Italia dallo stesso n1ovin1cnto fin dal J98Li (cfr MoVJ!'dENTO PAX C!-JRISTJ, Le strade della pace.Cristiani u C'o111iso. cii., 7-!8 l''L'aspctto tccnico-111ilitarc'']). Di diverso parere è nions. Cìiovanni M<1rra, arcivescovo di Messina e già ordinario n1ilitarc per l'Italia, secondo i! quale: «Oggi possiaino constatare con1e la deterrenza e la dissuasione nonostante i rischi che avrebbero potuto co1nportarc - hanno prodotto risultati positivi di pace e di disarn10» (G. l'vIARRA, Te11de11zc dcl 111011do cuttolico sul h!n1a dello pace e dello g11erru, conl'erenza tenuta il 20 gennaio 1992 a Roina, in occasione de!!a XLII! sessione !991-1992 del Centro Alti Studi per la Difesa, apparso in un opuscolo edito da quell'organis1110 e ripubblicnto sul n. 204 di ('ristia11ità, e oggi disponibile nnche sul sito Internet di <iAlleanLa cattolica»). Mons. l'viarra, pur riconoscendo che il pacifis1no è presente ncll'::issociazionisn10 cal!olico grazie all'influsso esercitato da! <d'v1oviinento Pax Christi fondato nel 1944», tende a porre una netta linea di den1arcazione tra le posizioni dei pacifisti callolici e il pensiero utTici<1le della Chiesa: «Va qui subito rilevato che le posizioni dei pacifisti callolici, pur esprin1c11do una tendenza di taluni settori dcl inondo cattolico laìco e cli lin1itaLe fasce ecclesiastiche, non rappresentano afE1tto la !inca direttrice ufficiale della Chiesa cattolica nella gerarchia e nella stragrande 1naggioranza del popolo cristiano: sovente questi 1novi1nenti stnunentalizzano i necessari interventi ciel Papa per rivestirsi di una uJ1ìcialità che le loro posizioni estren1iste non hanno».
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programmaticamente circoscritto al bacino del Mediterraneo, al Nord Africa e al Medio Oriente. D'altro canto si riteneva sempre in ambito pacifista che il giudizio di «legittimità morale» della strategia della dissuasione fmmulato dal Magistero indicasse solo un limite massimo di possibilità consentite, comunque non vincolante in coscienza per chi, nella gravissima prospettiva pratica di una guerra nucleare, non intendeva desumere le proprie analisi e i propri modelli di comportamento da un'astratta - ancorché autorevole enunciazione dottrinale. La corsa al riarn10 era poi gencrahnente vista co1ne la conseguenza inevitabile di un più generale conflitto ideologico che collocava le due superpotenze in una dimensione, oltre che politica e 1nilitarc, anche etica e quasi inetafisica 6-1 • È nota l'espressione «in1pero del male» rivolta all'URSS dal presidente americano Ronald Reagan al quale, dal canto loro, i movimenti per la pace attribuivano una visione tendenzialmente totalizzante sia sotto il profilo politico che in ambito religioso'''. 3.4. Tutt'altro che convergente fu poi nel mondo cattolico il giudizio sm movimenti pacifisti, sul loro linguaggio, sulla loro particolare forma di impegno per la pace (che si estrinsecava anche attraverso le marce e le manifestazioni di massa), e sul ruolo svolto al loro interno dai cattolici che vi aderirono o che ne lì.1rono i principali promotori. Da una parte si guardò ad 6 -' A proposito della di111ensionc ideologica della cosiddetta <iguerra fredda», scrivono ancora i vescovi a111ericani di «Pax Christi>l: «Nel 1998 il conlesto globale è notevolinente diverso da quello di alcuni anni fa. Durante tutta la ''guerra fredda" l'arsenale nucleare venne sviluppalo e 1nantenuto con1e ulti1no baluardo, in un conllillo ideologico che oppose quelle che erano considerate due JOrze storiche contrapposte - capita!is1no in ()ccidcnte e con1unis1110 in ()rienle. L'mnpiezza di questo conflitto era detern1inata dalla reciproca esclusività di entrainbe le ideologie. Le arn1i nucleari e la politica della "'Sicura Mutua Distruzione" vennero accettate, co1ne il contesto inevitabile di quella particolare contrapposizione. (Jggi l'Unione Sovietica non esiste pili. Gli Stati Uniti stanno ora aiutando la dcn1ocratica Federazione Russa a s111antellare quelle anni nucleari che rino a poco te1npo fa erano schierate per distruggerci. Eppure, le anni accu1nulate per tutt<J la durata della "Guerra fredda" sono sopravvissute a quel periodo storico, e sono in cerca oggi di nuove giustiricazioni e nuove 1nissioni da co1npicrc». (,.i Solo a partire dal 2 gennaio 1984, in un'intervista al settiinanale an1ericano Thne, R. Reagan aflennò di volere rinunciare definiLivan1cntc a tale espressione al fine di contribuire personahnenle al processo di distensione internazionale anche attraverso l'uso di un linguaggio più inorbido (vd G. RULLI, Le .\peranze di S!occo/Jna, in La Civiltà Cattolica, 1984, J, 497-498). Sul peso detenninante esercitato dal fonda1nentalisn10 evangelico in relazione al successo elettorale di Reagan, si veda il dossier de!l'«Eurispes»: Reagan, la 1111ova Destra e l'A11'/erica degli anni '80 e, in particolare, il capitolo quarto La "(7rande Crociata": fò11da111entali.1·1110 evangelico e conservatori.1·1110 radicale (testo disponibile sul sito internet dell'«Eurispcs)> ).
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essi con diffidenza e dall'altra non mancarono voci, anche antorevoli, che ne evidenziavano i meriti e l'efficacia. Secondo mons. Rizzo, le manifestazioni di massa erano inutili, ambigue e maggiormente esposte alla violenza e alla strnmentalizzazione politica, mentre per il vescovo di Molfetta mons. Tonino Bello l'impegno del movimento per la pace era «Buona Notizia che la pace è ancora possibile ed è un dovere per tutti proclamarla [soprattutto in un momento difficile come questo] in cui molti pensano che oggi questa moda di discorrere sulla pace stia calando, tanto non serve a niente ... ». Non meno positivo fu l'orientamento dell'arcivescovo di Palermo card. Salvatore Pappalardo il quale, rispondendo all'invito rivoltogli dai tre sindacati CgilCisl-Uil e dalle Acli in occasione della marcia regionale del 29 novembre 1981 a Palermo, scrisse: «Richiesto di un messaggio in occasione della manifestazione per la pace, lo invio volentieri con l'augurio di larga e convinta partecipazione. Come si potrebbe non essere solidali su un tema di così fondamentale importanza'?»'". Il motivo profetico della «pace possibile», enunciato da mons. Bello, fo contemporaneamente sviluppato a Comiso dalla comunità parrocchiale Maria SS. Annunziata (una delle due maggiori chiese della città) la quale, a partire dalla pasqua del 1979, «volendo aderire anche con modalità proprie scrive mons. Giovanni Battaglia - al vasto movimento pacifista di sensibilizzazione alla pace [ ... ] orientò tutto il discorso pedagogico, culturale e di evangelizzazione sul tema della pace, della giustizia, del rispetto della vita, ccc.». Nella pasqua del 1982 la medesima comunità predispose un denso programma di iniziative culturali, artistiche e di solidarietà «che, durante tutto l'arco dell'anno accompagnarono e scandirono i vari tempi liturgici e anche le fasi civili». Furono indetti due concorsi, uno (,j Nella già citata intervista al Corriere della Sera, n1ons. Rizzo aiTennò: (<Ma le 111arce, secondo noi, non servono a nulla. Sul problctna dci 1nissili, anche qui a Coiniso è in alto uno scontro politico, nla !a gente resta alla finestra». Rifacendosi agli stessi concetti, nel già citato discorso del 16 dicen1bre 1982 aveva rigettato la «prospelliva politica delle agitazioni di piazza)) (COJVJITATO PER IL CONVEGNO DELLE ClllESE DI SICILIA, La giovane C'hicsa ragusana in C'a1111ni110, cit., 29). Il brano di n1ons. Bello è tratto dal 1nessaggio inviato al 1° convegno di «Pax Christi Sud» svoltosi a (ì-a!lipoli nel 1983 (cfr Adisfa, 12-13-14 dicen1bre 1983, 10). Per i! testo integrale de! n1essaggio del card. Pappalardo ai sindacati confederali e alle Acli, cfr Segno 28 ( 1981) 54-55. Sulla stessa linea di pensiero enunciata da 111ons. Bello e dal card. Pappalardo si collocarono il vescovi n1ons. Dante Be111ini e Luigi Bettazzi. Da ricordare è pure la riuscita n1arcia per la pace che si svolse a Milano alla fine anno 1982 «SOtlo la presidenza dc! card. C.fVI. Martini e con la presenza di dieci vescovi e di diecin1ila persone» (G. NOVELLI, La Chiesa cattolica italiana e il 1novùnento per la pace, in Segno 44-45 (1983) 78).
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artistico (per il manifesto della pasqua comisana) e uno letterario, su scala nazionale, incentrato sul tema: «La speranza è la decisione militante di vivere con la certezza che noi non abbiamo esplorato tutti i possibili, se non tentiamo l'impossibile» (R. Garaudy). Alla luce di quest'affermazione «si chiedeva di individuare quale altra via, alternativa alle armi, sembrava possibile, per organizzare una difesa civile e non violenta della pace». Fu inviata copia del manifesto con lettera d'invito a tutte le testate televisive e della carta stampata a livello nazionale e alle comunità cristiane in tutta Italia. All'iniziativa aderirono parecchi vescovi e prestigiosi esponenti dcl mondo della cultura e della politica. Su quella scia, il celebre pillare co1nisano Salvatore Fiun1e si fece a sua volta promotore di un altro concorso per un nuovo manifesto della pace «a più allo livello artistico, nell'intento di formare a Comiso un "Museo della Pace", dove si sarebbero dovute raccogliere opere di artisti famosi». Il programma di educazione alla pace sviluppato dalla parrocchia del!' Annunziata culminò nella «festa della Pace» che fa celebrata, secondo la tradizione comisana, in coincidenza della pasqua del 1983''''. Invece negli interventi del vescovo di Ragusa fa sistematico iI tentativo di porre una netta linea di den1arcazione tra le iniziative del n1ovi1nento per la pace (da lui definite «pacifisn10 unilaterale, a senso unico, propagandalo dai pacifisti che calano dal Nord»"' [e determinalo] «da una vera psicosi della paura e da una forma di isterismo collettivo collegabile, forse, al vuoto di ideali, al nichilismo disfattista imperante») e l'atteggiamento - a suo parere, più lucido e più pacato - della comunità 1i1> Mons. Giovanni Battaglia, che fu parroco della parrocchia Maria SS. Annun7iata dal 1963 al rnese di ottobre dcl 1983, scrive che la (<festa della Pace» della Pasqua 1983 «registrò una folla oceanica» (cfr Pietre vive. Pagine antologiche s11//'A11111111ziata di C:o111iso, a cura di Cì. Battaglia, Ragusa 1998, 137-141). Nel volun1c è stato riprodotto il testo inlegnlle del 111essaggio che fu lras1nesso a tutte le agenzie di stampa, alle radio e televisioni pubbliche e private. Nel docurnento si coglie i! progra1nn1a pedagogico della con1unità tutto orientato verso la costruzione della pace attraverso la valorizzazione delle espressioni tipiche della religiosità popolare e della cultura del popolo co111isano. Era stato proprio 111ons. Battaglia a dare, il venerdì santo del 1983, il cordiale benvenuto nella chiesa dell'Annunziata ai pacifisti convenuti a Con1iso per la prin1a Via Crucis. 7 " C'orriere della Sera, cit. Appare evidente anche su questo punto la presenza di un'insanabile contraddizione logica: da una parle si a1Tern1ava che il proble1na dei 1nissili a Con1iso era ne!!a sua radice internazionale, e di conseguenza occorreva inarciare non a Coinìso 1na verso Ginevra o Bruxelles e, dal!'altra, si tendeva ad inquadrare il n1edesin10 problen1a in una din1ensione regionale, se non addirittura locale, sostenendo che i soggetti più idonei a inte1vretare in niodo autentico ìl significato dei 111issili in Sicilia erano non i pacifisti che «calavano dal Nord)), bensì i cittadini con1isani.
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comisana, c più in generale di tutta la diocesi iblca, nell'ambito della quale, affe11nò il vescovo, «il panico non è così generalizzato co1ne si vorrebbe far credere. E non per ignoranza delle persone. Sono informate sia dei pericoli che della follia e dello scandalo costituiti dalle spese per le armi di morte))"'. Di opinione opposta era, al riguardo, L. Sciascia il quale nella citata intervista affermò: «Proprio in questi giorni sono stato nel Ragusano e ho visto gente atterrita. A parte forse qualche commerciante che si illude, io ho visto persone veran1ente spaventate: Pimpicgato, il professore ... »6q. La definizione del pacifismo come fenomeno estraneo alla cultura del popolo siciliano è implicitamente presente anche in L. Sciascia secondo il quale «in Sicilia i pacifisti [erano] visti piuttosto male. È sempre la solita storia - affermò lo scrittore - i siciliani non tollerano l'intrusione di altri nelle loro faccende. E poi questo mondo del pacifismo esteriore, conclamato è pittoresco e irritante» 70 • Con1e si può notare, la tesi di Sciascia -- pur muovendo da presupposti autonomi - era, sotto il profilo della critica al pacifis1110, sostanziahnentc coincidente con le valutazioni di n1ons. Rizzo. Si coglie nell'analisi dello scrittore (come in quella di mons. Rizzo) la tendenza a formulare la questione dei missili, in modo riduttivo, in termini di «faccenda propria dei siciliani)) o, più semplicemente, dei comisani. In quel contesto sfuggì a Sciascia la necessità di interpretare la presenza della base Nato a Comiso secondo categorie non riconducibili a taluni «tòpoi letterari)), marcatamente presenti nella sua produzione culturale, che lo spingevano ad integrare tutto (fatta eccezione per il linguaggio, a suo parere intrusivo e iITitante, dei pacifisti) nell'immagine, a lui congeniale, della Sicilia come metafòra e come luogo di mma non violenza tutta introversa che genera e assicura la violenza esterna» (da lui proposta nel corso dcl convegno Invece dei missili) che egli, pur criticandola, aveva - forse incoscian1cnte - introiettata. Nessuna tneraviglia, dunque, se poi il mondo del «pacifismo esteriore e conclamato» gli apparve «pittoresco e irritante» e che nella sua breve analisi risultassero assenti sia la di1nensione internazionale del problema di una possibile guerra nucleare sia il conseguente diritto di ogni «cittadino dcl n1ondo» a n1arciare anche a c:on1iso (con o senza il consenso dei siciliani). Coloro i quali si opposero al programma di militarizzazione del territorio ibleo evidenziarono inoltre i gravi rischi rappresentati dai Cruise 1>s Cfr //Sabato, I 0-16 dicembre 1983. Lu Sicilia, 3 ! dicc111bre !'983, 1. 711 L.c.
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per l'economia e per la stessa integrità morale e sociale delle popolazioni ragusane". Mons. Rizzo non si impegnò sn quel piano di lettnra e preferì piuttosto insistere sui presnnti riflessi negativi della presenza dci pacifisti nel teJTitorio ibleo. Particolarmente duro nei confronti del movimento per la pace fo il suo già citato messaggio natalizio del 1982 nell'ambito del quale riproponendo le critiche già mosse ai pacifisti nel discorso del 16 dicembre affermò che «questa terra violentata per la scelta operata, con la ferita al fianco della base in costruzione non gradisce, forse, di essere con tanta frequenza calpestata dai piedi impietosi dei marciatori e molestata dalle grida scomposte ispirate più dalla violenza e dall'odio di parte che non dall'amore per la pace»". E dopo avere ribadito il suo personale eouviucimento che l'epica lotta tra le due contrapposte potenze si sarebbe risolta in Polonia «la più orientale delle nazioni occidentali e la più occidentale delle orientali», rivolse ai pacifisti un invito: «Si guardi, dunque, a Varsavia e non a Comiso. Si marci verso Ginevra o Bruxelles e le pressioni sociali si facciano sulle piazze di Mosca e New York! Che ci si lasci in pacet» 73 • Generalizzando singoli episodi o fenomeni circoscritti ad alcune frange di cosiddetti pacifisti, l'avversa propaganda politica tentò di screditare il tnovimento nel suo insieme presentandone i progra1n1ni e le iniziative in termini di «pacifismo parziale e a senso unico» 1·1• E ciò, inalgrado che i documenti prodotti dal movimento attestino il rifiuto coerente e convergente di tutto il piano di riaimo deciso dai governi e la condanna di tutti i missili, sia gli occidentali Pershing e Cruise sia i sovietici SS20. Occorre partire da 71
Su queslo punto L. Sciascia espresse un giudizio analogo a quello dci pacifisti.
Nella sopracitata intervista si legge: «La cosa terribile è che stanno installando questi n1issili in una zona che era tra le più assestate ecouo111ican1ente dell'isola. Ci sarà uno
sconvolgi1nento dell'econo1nia». 72 Segno 36 (1982) 110. Nel corso del già citato intervento del 16 diccn1brc aveva apcrtan1cntc dichiarato: «Non ho len1uto di prendere, pili volte e con chiarezza, posizione a difesa di questa città continuan1ente calpestata dal 111ovin1ento dei piedi dei 111arciatori per chiede111e il rispello alle sue tradizioni di serena e scrnplice laboriosità» (cfr COMJ rATO P!-:1{ IL CONVEGNO DELLE CHIESE DI SICILIA, la giovane Chiesa ragusana in ca1111ni110, cit., 29). n Ibid., 110-111. ~ Per quanto riguarda la partecipazione dei cattolici si lentò di s1ninuin1e la consistenza nun1erica riconducendola all'iniziativa di pochi gruppi e di «piccole fì·ange» del clero o di laici aderenti a 1novi1nenti non allineati sulle posizioni ufficiali della gerarchia. Al contrario, le fonti docu1nenlano la partecipazione anche di qualificati gruppi cattolici, di 1novi111cnti e di autorevoli esponenti di ordini religiosi 1naschili e fe1nn1inili. Per un'analisi critìca della ricorrente accusa di «stnnnentalizzazione>) rivolta ai pacifisti cattolici, vd P. BDLDR!Nl, Religiosi e suore: la d{[/ìcile via della testilnonianza, in Segno 44-45 ( 1983) 81-86. 1
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queste premesse se si vuole interpretare in modo corretto l'effettiva ispirazione dell'ondata di pacifismo che negli anni '80 attraversò il vecchio continente e spinse milioni di persone a protestare apertamente, olti-e che nelle principali capitali europee, anche davanti alle basi militari in cui il piano di riarmo deciso dai governi stava trovando concreta attuazione. A sostegno dell'accusa di unilateralità e di subalternità politica rivolta al movimento per la pace si citavano fonti bene infonnate che attestavano in modo irrefutabile l'esistenza di una regia sovietica ispiratrice e manipolatrice di tutte le iniziative degli «ingenui pacifisti»". Oggi, a distanza di quasi un ventennio, il giudizio può forse essere formulato in modo più distaccato e sereno. Non sarebbe infatti ragionevole negare, all'interno di un fenomeno così vasto e incontrollabile, come quello del pacifismo degli anni '80, la presenza di contaminazioni politiche e ideologiche, di infiltrazioni esterne e di tentativi di strumentalizzazione messi in atto dall'URSS. Anzi, da un recente studio di Fabio Giovannini risulterebbe che Markus Wolf, ex capo della temutissima Stasi, aveva fra l'altro anche il compito di gestire «L'appoggio, nel 1981, al gruppo "Generali per la pace", ex uflìciali della Nato passati a posizioni pacifiste'". Tra costoro l'italiano Nino Pasti, col suo gruppuscolo "Lotta per la pace". Secondo M. Stefanini, da cui traggo i dati relativi al lavoro di F. Giovannini, «La massa di mezzi ostentata dal gruppuscolo di Pasti, forse per "ricattare" il Pci, dimostra che l'URSS, pompava alla campagna soldi in mauiera diretta. I documenti del "dossier Bukovski" permettono di ricostruire alcune vicende di quel Fondo della pace, creato dal governo sovietico con 400 milioni di rubli l'anno, dei quali almeno 140 erano spesi direttamente in Occidente. Al cambio di allora, 35 milioni di dollari»n. Tuttavia tale doverosa constatazione non può essere corretta1nente utilizzata a sostegno di una ricostruzione storica dei fatti che tentasse di risolvere tutto il n1ovin1ento pacifista in un'unica 1natrice ideologica e politica, sorvolando sull'assoluta autonomia dei percorsi culturali e degli stili espressi dai numerosi gruppi che ne furono protagonisti effettivi". 7 ' Tra gli studi più accurati sull'argo1nenlo è da ricordare soprattullo quello cli J. BARRON, i\Junipo/u!ori di pace, in S'elezio11e dal Reader\ Digest, noven1bre 1982, 188-222. ;1. F. GJOVANNINI, Le spie rosse. [Ja Richard So1ge a Ki1n Philby e 1\1ish IYo(f Ron1a 1999.131. 77 Cii Quotidia110.11e/, cii. 'S 11 settin1analc // Sahato, 29 oltobre 1983, assin1ilò al Pci indiscrinlinatainenle tutti i partecipanti alla 1nanifestazione del 22 ouobre 1983. Di diverso avviso fu il settin1anale cle1nocristiano La Discussione, 31 ottobre l 983, 11 secondo il quale «anche a Ron1a è
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Peraltro, tale operazione non sarebbe immune dal rischio di forzature interpretative e di un'illegittima sovrappos1z10ne di due categorie sociologiche (il «movimento» e ['«istituzione») che vanno invece nettamente distinte, collocandosi l'una, per sua stessa definizione, in una posizione diversa e spesso dialettica rispetto all'altra. L'assoluta impossibilità di assi1nilarc i due piani appare poi ancora più evidente se il «movi1nenio» si 1
sviluppa in un an1bito den1ocratico n1entre l «istituzione» si identifica con un regime dittatoriale. Di più: un blocco politico e militare di natura dittatoriale che, sia pure per opportunistiche considerazioni strategiche, si ta ispiratore di iniziative pacifiste è costretto - lo voglia o no, ne sia consapevole o no - a tàrsi pro1notorc anche di una cultura che gli è estranea e che non può non agire al suo interno, in senso evolutivo, con1e 111otivo di crisi e di dissoluzione dello stesso impianto politico che lo sorregge. Non è un caso, per citare un esempio assai emblematico, che i pacifisti tedeschi che pochi cresciuta la partecipazione ideologica e non coinunista e la presenza di catto!icit>.
Sull'argon1ento intervenne, più volte e con giudiLi più pacali, La Ciri!tà C'ntto/icu. G. Rulli, dopo avere definito «gratuita e senza prove» l'<1ccusa spesso rivoh<i ai pacifisti caLtoiici «di essere in collusione con i marxisti e d'identificarsi con la loro ideologia», affcrinò che 1<non se1nbra corrispondere a verità che i cattolici e i cristiani in generale si siano lasciati trascinare su posizioni di parie» (cfr G. RULLI, 1Vatura e attil'ifà dci 111ovùnc111i pacifìstì, in La C'iviltà
C'attolica, 1983, TI, 294-302; per il passo citato, ve! I cristiani e il pac{fìs1110, 297-298). Nel giù citato articolo di F. Lo1nbardi si legge che dall'ovvio assunto che "1narciarc non basta" «non segue che non si debba, o almeno non Si possa utilincntc 111arciarc» (F. LOl\·!BAl{D!, I nodi della politica.. cit., 599). Lo stesso autore riportò quanto P.C.i. Liverani aveva scrit!o su A1'l'e11ire, 23 otlobre 1983. a con1n1ento della grande nwnifes1aLione roniana: «la n1anifcstazione nel suo i11sie1ne espri1neva una carica di speranza che non contraddice ls speranza cristiana e di cui non è possibile non tenere conto». Mettendo infine in risalto la specificil<l della partecipazione dei cristiani alle inarce per la pace, F. Lo1nbardi sostenne che «è sen1pre n1e110 fricile pensare e dire che sono ciel tu!lo strun1entali.zzabili dal partito con1unistm> (ihid., 600). A proposito delle n1a11iìestazioni di 1nassa degli anni 1981-1982, J. Joblin scrisse: «In ogni Paese si raccolsero centinaia di migliaia di persone, e le ''n1arcc della pace" ebbero una parte iinportante nella dilTusione dell'idea pacilisl<.L Questi vasti asscn1bra1nenti collellivi costituirono autentiche liturgie, dove i partecipmlli potevano sentire di non essere soli ma parte d'un popolo, la cui forzs stava nell'unione. Furono occasione di un'esperienza che confina col religioso, in quanto le "111arcc" contribuirono a conferire un valore trascendente all'i1npegno personale per la pace: ogni di1nostrante veniva quasi a fondersi in un 1novi1nento cl'insie1ne, contribuendo così - per quanto stava in lui - al successo d'una causa, che richiede tutto da chi vi aderisce» (J. JOBLIN, /, 'evol11zio11e storica.. cit .. 342). Per una riflessione complessiva sui risvolti religiosi e n1orali dcl proble1na degli euronlissili e per una breve cronistoria della partecipazione dei cattolici italiani al 1novi1nento per la pace, cfr S. CECCANTL E11nn11issili: 1111a .~fida per la coscienza cristiana, in Segno 44-45 (1983) 65-74; G. NOVELLL La Chiesa cattolica italiana e il 11101·i111e11to per la pace, ibid., 75-
80.
Ch;esa e 1novilnento ]Jer la pace a C'on1iso
455
anni prima avevano protestato in Germania contro gli euromissili nelle strade e nelle piazze di Bonn, nel 1989 si siano poi trovati insieme con le migliaia di giovani che nell'ex DDR si erano organizzati attorno alla «Getsemanikierche» (chiesa evangelica del Getsemani) contro la dittatura comunista, nel comune gesto simbolico della demolizione del muro di Berlino"'. 3.5. Infine, a Comiso la pace non fu un «tema unitivo» neppure sotto il profilo del comune impegno spirituale. Emersero infatti due modelli diversi e per certi versi alternativi di preghiera: uno proposto dal vescovo di Ragusa e dal clero di Corniso e l'altro sostenuto da tutti quei sacerdoti e laici (cattolici e protestanti) che si riconoscevano nelle analisi, nei metodi e nei programmi del movimento per la pace"'. li primo sì sviluppò secondo una linea di i1npegno quasi esclusivan1ente spirituale, n1entre il secondo si concretizzò in un'insien1e di iniziative che tendevano a coniugare la tensione interiore con la ricerca, ritenuta altrettanto necessaria, di gesti visibili e carichi di significati profetici. L'uno identificò il tempio come il luogo più idoneo all'invocazione della pace, l'altro scelse Io spazio pubblico (la piazza, la strada e il pcri111etro esterno al «Magliocco») con1e linea reale e ideale del suo itinerario penitenziale. li primo puntava alla condanna degli ordigni nucleari sotto l'esclusivo profilo morale della loro oggettiva forza distruttiva, n1a giustificando - o quanto n1cno tollerando la logica politica che li aveva generati; il secondo tendeva invece a delegìtti1nare lo stesso progetto politico e militare delle autorità della Nato e dcl Governo italiano, collocando la base 1nissilistica di Con1iso nella definizione teologica di «idolo nucleare» che ne svelava !'intrinseca perversione.
1 '' Ne ho avuto notizia personaln1entc, conversando a Berlino ne! 1984 proprio davanti alla i<Cìctse1nanikierche» con <1lcuni dci lcaders del 1novin1cnto. ~n Non è casuale che i due inodelli non siano 1nai confluili in un'unica e superiore espressione liturgica e che - nonostante l'ipotesi, incidenl<1ln1ente e astratta1nenle forn1ulata da n1ons. Rizzo, di una linea spirituale che, a suo parere, avrebbe potuto unire i due gruppi - di fatto il vescovo stesso si rifiutò in n1odo sisle1natico di pregare assie1ne ai «pacifisti credenti e sinceri che sostavano dietro le 111ura di cinta del cainpo>l, e questi da parte loro 11011 vollero niai {neppure ideal1nente) intrecciare la proprin invocazione con quella di chi aveva at:cellato di pregare all'intc1110 della base inilitare. Inson1111a, la scelta del «luogo della preghiera)) non ìu un fatto contingente o 1narginale, 1na servì a dare visibilità al diverso giudizio che ognuno dci due soggelli aveva JOrnndato non solo sulla legiltin1ità politica e n1orale del «ean1po» nel suo i11sien1e, 111a - di conseguenza - anche sull'«ortodossia» del rito lìturgico che veniva celebrato sull'opposto versante spirituale.
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Mario Pavone
In conseguenza della prima lettura, il vescovo di Ragusa ritenne che gli ordigni nucleari potessero coesistere, nello stesso perimetro, con un te1npio in cui l'invocazione a «Cristo nostra pace» avrebbe ani1nato la speranza e affrettato il tempo della loro definitiva distruzione; nella seconda prospettiva invece i pellegrini si fermavano alle soglie dell'<<idolo nucleare» per sfidarne in nome del Vangelo l'arroganza e creare in tal modo una simbolica e ilTidncibile zona di separazione in cui il cartello dcli' «Alt, zona militare» posto davanti al cancello d'ingresso della base militare, a dispetto delle reali intenzioni che ne avevano ispirato l'installazione, fu costretto ad assumere la funzione nuova di segno di un invalicabile confine teologico morale.
Synaxis XVlll/2 (2000) 457-475
CHIAMA TI AD ESSERE COSTRUTTORI DI PACE ACCENTUAZIONI PEDAGOGICHE NELL'AZTONE PASTORALE DI DON PINO PUGLISI' CORRADO LOREFICE'
Come è ormai riconosciuto da più parti, tra i tratti della poliedrica personalità di don Pino Puglisi ne emerge in paiticolare uno: quello di educatore dal pensiero e dal tratto pedagogico originale'. Essendo l'ambito della presente ricerca circoscritto al tema dell'educazione alla pace e alla non violenza, per portare alla luce le scelte pedagogiche di padre Puglisi ci si è soffermati quasi esclusivamente sui testi dei Campi scuola da lui tenuti dal 1984 al 1992, editi a cura di mons. Francesco Pizzo, e sulla documentazione e le testimonianze riportate nella biografia di Francesco Deliziosi'. Abbiamo tralasciato così di consultare la volun1inosa docun1entazionc inedita conservata nell'archivio del Centro Ascolto Giovani "Don Giuseppe Puglisi" di via Matteo Bonello, 6 a Palermo.
*Docente invitato di Teologia n1orale nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 Cìiuscppc Puglisi nasce a Pa!enno il 15 sctten1bre 1937. Ordinato presbitero il 2 luglio 1960, nel 1990 diventa parroco della parrocchia S. Gaetano di Brancaccio, borgata che gli aveva dato i natali e dove, il 15 scttcn1bre 1993, giorno dcl suo 56° con1pleanno, viene
ucciso dalla 1nafi<1. Nel 1999 dalla chiesa palern1ilan<1 è stato chiesto alla con1peteute autorità ecclesiastica il riconoscin1ento del 111artirio di don Puglìsi. è Cfr Don Giuseppe Puglisi ed1~catore dei giovani e fonnatore di coscienze. ('c1111pi scuola 1984-1992, a cura di F. Pizzo, Palern10 1994, 8,15 ('--= C'r11npi scuola, seguito dal nu1nero del carnpo e dalla pagina); C. DI FATTA, li C'entro A.s·co/to Gio1'a11i "Don (7i11seppc P1tglisi", in Vocuzioni 3 (1995) 71-72. 1 F. DELIZIOSI, «3P» Padre Pino Puglisi. La vita e la pastorale del prete ucciso daffa 111qfìa, Milano 1994. Sono slati consultati anche gli Atti del processo P11g!isi, in Segno 197198 (1998). Per ulteriori dati biografici cfr F. ANFOSSJ, P1tg!isi. Un piccolo prete_(ra i grandi boss, Cinisello Balsan10 1994.
458
C'orrodo Lare.free
li presente lavoro non ha la pretesa di essere esaustivo, consapevoli come siamo delle ovvie difficoltà di metodo che non possono essere soddisfatte in questa sede, mentre, come argutamente precisa Cosimo Scordato, avremmo «bisogno non solo di una corretta metodologia che metta a punto fonti, testin1onianze, ina altrettanto di una adeguata elaborazione»~. Esso dunque si prefigge di contribuire a stimolare l'approfondimento del pensiero e dell'opera di una lìgura che non può certo essere confinata dentro l'angusto appellativo di prete-antimafia'. L'averlo collaborato per un triennio al Centro Regionale Vocazioni di Sicilia motiva e giustifica la nostra convinzione - condivisa da tanti altri che hanno avuto consuetudine di vita con lui - circa la sua con1plcssa personalità, nascosta da uno stile dì vita in1prontato all 'un1iltà e alla n1itezza evangelica. Cogliercn10 il percorso educativo 111esso in atto da questo cristianoprete'' facitorc dcll'evangelo della non violenza prendendo in prestito dall'icona giovannea dell'ultima cena (Gv 13-17) tre "parole" rivolte da Gesù, "pedagogo della pace", ai suoi discepoli. Esse scandiranno i tre obiettivi del presente lavoro: a) rilevare l'interesse di don Puglisi per il tema della violenza e della pace; b) evidenziare i destinatari, i contesti educativi e il n1etodo didattico utilizzato; e) delineare il contenuto del suo insegnan1ento.
I.
"Pace lascio a voi" (Gv 14,27)
Un fe1na e1nerge11te nella r?f!essfrJne e 11e//'01Jera cli c/011 Puglisi (_~'è un chiaro intreccio, orn1ai da tutti riconosciuto, tra l'opera educativa di don Puglisi e la sua vicenda biografica, che lo ha visto piena1ncnte incarnato nella vita sociale ed ecclesiale della sua città e di tutta l'Isola.
-1 C. SCOl{UA I o, Don Pino P11g/isi. Ed11cato/'e alla non violenza, in Unu c11!t11ru non violenta. La testÌlnonianza di don Pino P11glisi, a cura cli V. Sorce, Callanissella 1997, 45. '«.ìvli pi<1ce ricordarlo con1c prete "conciliare", non con1e un prete anti1nafia. Il téte-a-
tètc con la 1nalla non fu dellalo da una lotta pren1cditata e prograinmata. La n1afia disturbava l'esercizio dcl suo ufficio (inteso co1ne dovere e co1ne 1ninistcro) pastorale e avvenne lo scontro in cui Pino Puglisi ha perso la vita» (G. R!BAUDO, Pl'eti a11ti111afìa? In 111e1noria di Padre P11glisi, in ()rie11fc11nenti pastorali 11 11993_1 9). 6 «lo non n1i realizzo con la vocazione battcsi1nale "in generale", - afTennava don Puglisi in una catechesi vocazionale - n1a con la inia vocazione battcsi1nale di prete» (cit. in [)on Pino Pug/isi prete e 111artire, Trapani 2000, 76).
L'azione pedagogica di JJino Puglisi
459
Sia nella veste di anin1atore vocazionale', sia nel suo 1ninistero pastorale di parroco della pairncchia S. Gaetano nel qua1tiere Brancaccio di Palermo, si rivela attento lettore del vissuto reale dci destinatari del suo servizio. La sua proposta vocazionale o le sue scelte pastorali restano sempre segnate dalla provocazione che sale dalla realtà isolana, appesantita dalla diffusa "cultura della violenza" alimentata dalla mentalità e dalla prassi n1afiosa. Nascono così le lucide Jellurc dell'ambiente sociale e culturale nel quale don Pino ha vissuto, esposte in alcuni passaggi degli insegnamenti tenuti ai can1pi vocazionali: «l valori di cui parla (Jesù nelle beatitudini hanno, nel 111ondo di oggi, dei controvalori[_ ... ]. Anche lajUrza, quando diventa un culto, u1K1 legge, è un segno dì degrado dell'uo1110, per cui anche la violenza e la vendetta, conseguenti a questo culto, sono oggi considerale un n1odo di pensare con1e un altro:>r'; o in altri discorsi pronunziali in parrocchia o nella sede della
Fuci, con1e si evince dall'introduzione alle catechesi sul Padre nostro:
·Don Pino viene no111inalo direttore del Centro Diocesano VocaLioni di Palenno nel novcn1bre del 1979 e nel 1983 diventa anche responsabile del Centro Regionale e consigliere nazionale. fino al 1990 quando, chi<1n1alo ad essere pnrroco a Brancaccio, !ascerà l'incarico. Un i1npegno che lo segnerà profi1ndan1entc e che darà una connota7.ione voc!lzionale anche ;:d suo insegnan1enlo nelle scuole stntali, preoccupato con1'en1 di offrire agli alunni itinerari tOnnativi a1npi piuttosto che !lride e disincarnate nozioni religiose. Don Puglisi, «capì presto che l'interesse per la vocaLione e le vocazioni non doveva riguardare scn1plice1nentc i gruppi che si nlternavano nella sede dcl CDV 1na doveva coinvolgere gli alunni de!la scuola e i gruppi parrocchiali, a co1ninciare dagli adolescenti e giovani che frequentavano la scuola Vittorio En1anuclc ... » (F. Pizzo. L)on GiusepJH! P11gh~\'i c111i111ato1·e can\nu1tico della pastorale delle 1'ocuzioni, Palern10 2000, ! 7). ~cr1111pi scuola, l 0 Ca1npo, 40-41. La cultura e la 1nentalità 111afiosa e1ncrgc anche dalln pan1frasi lJ patri1111ostr11 r11 piccioff11, naia dal confronto di quella logica con la preghiera di Gesù. Ne riportian10 il testo in JOnna sinottica e la traduzione italiana:
C~orrado
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Lorefice
«Quella 1nafiosa non è solo una "società" (che si chian1i "clan", "cosca" o "fatniglia"). È, a suo modo, una cultura, un'etica, un n1odo di pensare, un criterio di giudizio, una regola di co1nporta1ncnto, un 1nodo di stringere e rispettare dei legami all'interno del gruppo, un linguaggio, un costu1ne.
Padre nostro, che sei nei cicli, sia santificato i! tuo non1c.
Parrinu 1niu e ra nostra Famigghia, tu si on1u d'onuri e di va!uri, lu to non1i l'ha fari arrispittari Venga il tuo regno. e tutti quanti t'avenu1 a Sia iàlta la tua volontà. obbidiri. Chiddu chi dici ognunu l'avi a fari picchì è leggi, si nun voli 111uriri. Dacci oggi i I nostro pane Tu nni si patri ca nni quotidiano. Runi pani, pani e travagghiu e nun t'arrifardii d'arrin1unnari anticcbia a cu pusseri picchì sai ca i picciotti hannu a nlanciari. Perdona i nostri debiti co1ne Cu sgarra, lu sapenu1, noi li ri1nettian10 ai nostri avi a pagari. debitori. Nun pirdunari vasinnò si 'nfan1i ed è 'nfan1i cu parra e fa la spia. Chista è la leggi di sta Cumpagnia. Non indurci in tentazione 111a Mi raccun1annu a lia, liberaci dal 111alc. parrinu 1niu. Liberan1i ri li sbirri e ra custnra libera a inia e a tutti li to an1ici. Aincn. Sen1pri sarà accussì e cu fici fici.
Padrino ITIIO e della nostra fa1niglia, tu sei d'onore e di l!Ol110 valore. il tuo non1e devi fare rispettare e tutti ti dobbia1no ubbidire. Quello che dici ognuno lo deve 1àre perché questa è la legge se non vuole 1norire. Tu sei il nostro padre e ci dai il pane, pane e lavoro. E non ti tiri indietro se bisogna togliere a chi possiede perché sai che i tuoi ragazzi devono 111angiare. Chi sbaglia, lo sappian10, deve pagare. Non perdonare oppure diventi infa1ne e inf3n1e è chi parla e chi fa la spia. Questa è la legge di questa associazione. Mi raccon1ando a te, padrino, liberaini d<1i poliziolli e dalla questura, libera ine e tutti i tuoi mnici. Sen1pre sarà così e quel che è stato è stato.
(Upatri1111oslr11 r11 picciottu, in F. Dl·:!JZJOSI, «3P» Padre Pino Pug/isi .. , cit., 159-160). Cfr il con1111ento al Padre nostro di L. CERRITO, Letturu esistenziale del Padre nostro per 1111 itinerario di catechesi a co1?fro11to con la "cultura" e la 111entalità 111ajìosa, Pa!ern10 1992, che nella prcinessa porta la finna di don Puglisi.
L'azione JJedagogica di Pino Puglisi
461
Malgrado tutte le sue miinetizzazioni, si tratta di una cultura e di una 1ncntalità antievangelica e anticristiana, addirittura, per tanti aspetti, satanica. Essa falsa tennini che indicano valori positivi cotne "fan1iglia", "amicizia", "solidarietà", "onore", "dignità"; li distorce e li carica di significati dian1etraln1ente opposti a quelli cristiani allo scopo di don1inare con la prepotenza, realizzare con1plicità nel tnale, affennazione di sé, dipendenza, nsservin1cnto e disprezzo dell'altro, prestigio basato sul potere e la ricchezza, ricercata con tutti i 1nezzi. A questo si aggiunge il diritto-dovere di farsi giustizia da sé e di vendicare l'offesa, di soppri1nere l'avversario o il testi1nonc. Ora questa "cultura", lenta111ente e insensibihnente, viene assorbita dalla gente dei nostri paesi, pure estranea alla "società della 111afia", pure ricca di tanti valori, e convive in tutta buona fede con fonne di religiosità tradizionali e devozionali» 9 •
Da qui la spiccata sensibilità del prete palermitano verso i temi della non violenza, della giustizia e della pace, sempre accostati alla luce del messaggio evangelico, ove trovava le necessarie energie per dare, assieme a quanti condividevano con lui la fede in Cristo, il suo fattivo e generoso apporto alla liberazione della sua gente da ogni forma di sopraffazione e schiavitù: «È necessario contestare e scardinare questa n1entalità, sostituirla con una nientalità cd un co111po1ia1ncnto autentican1cnte cristiano cd evangelico. Bisogna contestarla con la forza della Parola di Dio e sostituirla con gli autentici valori che la Parola di Dio ci proponc>1 10 •
Ma la riflessione e l'impegno per la pace in don Puglisi acquistano un significato più ampio di quello etico: per il cristiano la via della non violenza e della pace evangelica «è la via maestra di chi vuole essere veran1entc discepolo di Gesù»". Si spiega così la singolare scelta di iniziare con le beatitudini ("Seguire Gesù nelle beatitudini") l'itinerario vocazionale proposto agli adolescenti lungo i cinque Campi scuola: la vita cristiana, intesa come adesione libera e consapevole all'e-vangelo" di Cristo, è 9
Introduzione alle catechesi sul Padre nostro. in F. DEt.11.IOSI, «3P» Padre Pino Pug/isi ... , cit., 162-163. Si veda anche la dettagliata esposizione del 1991 sui prob!e1ni che presentava il quartiere Brancaccio: Relazione ai parroci del quartiere (1991), ihid., 134-135. IO
{,.C.
11
F. Pizzo, !11trod11zione generale ai Ca111pi-scuola, in Cc1111pi scuola, l 8.
lè Già il tern1inc EU<p-ayytÀtITTOV porta inscritto nel suo significato etin1ologico la din1ensione vocazionale: buona-notizia, appello, proposta.
C'o1Tado Loreflce
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accoglienza del Regno e della sua logica, dono e dinamica di vita e non mera adesione ad una legge estrinseca. E le beatitudini sono la «nuova legge che non è iI11posla, 111a proposta, che dà gioia se viene accolta e viene fatta propria, se diventa vita personale e si realizza, secondo guanto diceva il profeta Geren1ia: "Verranno giorni nei quali con la casa di Israele [ ... ]io concluderò un'alleanza nuova[ ... ] Porrò la 111ia legge nel loro anin10, la scriverò nel loro cuore" (Ger 31, 31-34)» 11 .
Per cui, con1e vedre1no, 1nilezza e impegno per la pace, sono tratti costitutivi del singolo credente e dell'intera comunità cristiana che attinge la sua vitalità da Cristo, il Mite e il Pacificatore. ln padre Puglisi questo impegno ha una netta qualificazione ecclesiale. Egli mutua dal Concilio Vaticano Il, di cui aveva assorbito le istanze di "aggiornan1cnto" 1\ l'idea di Chiesa sacra1nento, segno e strumento di unità 1" per l'intera fan1iglia u111ana 11'. Era infatti profonda1nente convinto che la missione della con1unità cristiana nel tc1Titorio consiste nell'essere compagna degli uomini verso la realizzazione dell'unica famiglia di Dio e che l'in1pegno di essa a favore del n1ondo, in particolare per la pro111ozione della giustizia e della pace, inerisce alla sua stessa identità. Diffondere la dinamica eristica della solidarietà per debellare la logica del dominio, fonte di ogni genere di violenza e di oppressione, è dunque uno degli aspetti più significativi della proposta educativa e della prassi pastorale di don Puglisi:
1
-i Cmnpi scuola, I ° Ca111po, 40. Parlando espressan1ente della beatitudine dei 1niti e degli operatori cli pace, così si esprin1e: «Queste due beatitudini le troviaino scolpite ad alto rilievo nella vita di Gesù. I suoi insegna1nenti non sono teorici, 1na sono prurici, perché pron1anano dalla sua viLa» (ihid., 44). 11 ' (<1 docu1ncnti del Concilio - sosteneva padre Puglisi sono di pienissi1na attualitù, anzi purtroppo non sono ancora del tullo passati nella nostra 1nenlalità, nella nostra vita e nella nostra attivitò)) (Discorso agli anilnatori 1'ocazio11a/i, in f. DEL!ZIOSl, «3P» Padrr:: Pino Puglisi ... , cit., 69). f)i Puglisi, prete dcl Concilio, lo stesso Deliziosi <1sserisce che ((è stato sin dall'inizio al servizio degli ultin1i, al fianco degli orfr1ni, nei quartieri più poveri della cill<Ì. Confortato dal Concilio, ha accollo negli anni seguenti anche gli incarichi più ingrati, rifiutali da tanti allri. Alla fine ha accettato Brancaccio. E il suo scontro con la logica 1nafiosa risponde, n1olto se1nplice1nentc, a quel principio di Cristo: non tollerare 1nai il dominio dc!l'uo1no su!!'uo1no» (ibid., 57). 1 " Cfr L11111r::11 Ge11!itm1, n 1. 16 Cfr G'a11di111n er Spes (= GS), n 42.
L'azione pedagogica di Pino Puglisi
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«Il luogo più sperduto affern1ava tra l'altro - può essere l'on1belico dell'universo se la con1unità che vi abita segue Cristo. E se sì Ìlnpegna nel proprio territorio per la giustizia socialeìì 17 •
2.
"Vi ho chiamati amici" (Gv 15,15) Adecliare la "civiltà e/ella vita" a chi si q[fùccia
a/l'esislenza 1 ~
I destinatari privilegiati del ministero presbiterale di don Pino Puglisi sono sopraHutto le giovani generazioni, quanti con1inciano a 1nuovere i prin1i passi dentro il grande ''111is1ero" della vita 19 • E siccon1e essa è una "traditio", una "consegna" non solo della struttura biologica ma soprattutto di ciò che le dà valore e significato, per il prete palern1itano era urgente oftì·ire un ainbientc sano di vita e una chiara proposta forn1ativa a chi, soprattutto se posto in un contesto "antieducativo" più o n1eno prossi1no, deve ancora apprendere l'arte del vivere. Si tratta, co1ne lui stesso alTern1ava, di prediligere la via dcll'incornazione, dcl coinvolgimento diretto e della condivisione per «fornire altri 111odelli, soprattutto ai giovani, e cercare di sn1uovere le acque>>" 11 •
Raggiungere e incontrare i ba1nbini, i ragazzi, gli adolescenti e i giovani è una nota caratteristica della sua azione pastorale. Con essi entrava in un rapporto di gratuita e costante a111icizia, da lui definita «il lido più desiderato dei ragazzi, ed anche dagli adulti e dagli anziani»-'
1 •
17 Cit. in F. DELJZJOSl, ((31»> Padre Pino P11g/isi.. cit., 56. E altrove così si espritncva: «Bisogna chiedere giustizia non vendetLa. Questo è il cainn1ino e !a fOrza dcl cristianesin1ot> (cit. in lu., [)011 Gi11.w!J;pe P11g/isi. li prete 111arfire ucciso dulia 111qfìa, Bagheria 1999, 13). ~ Per una ricostruzione dcl 1netodo di don Puglisi si vedano le osservazioni di C. ScoRD.Yro, Don Pino P11g/isi. Educatore alla 11011 l'iolenza, cit., 45-68. 19 «Credeva sinceramente nei ragazzi e nei giovani. Aveva per essi un rispetto sincero e spontaneo; sapeva L1rsi uno di loro con sctnplicità, e tuttavia dosando al n1on1cnto giusto, con discrezione innata e con autentica sapienza pedagogica, il colpo d'ala che orienta e non si di1nenticn più» (S. DI CRISTINA, .\ìJiritua!ità di 1111 preshitero diocesano: don Giuseppe P1rglisi, in Don Pino P11g!isi prete e 111artirc, cit.,73). 11 " Intervento a// 'incontro "Chiesa e 1nqfìa ": la cultura del serl'izio e dcli 'ar11ore contro la c11/t11ra del 1nalaffàre (18 febbraio 1993), in F. DELl/IOSl, <(3P» Padre Pino P11glisi ... , cit., 167. 1
Corrado Lorefice
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Dotato di grande umanità e di capacità di ascolto, si dedicava a tempo pieno ai tanti suoi alunni dell'Istituto Roosevelt o del Liceo classico "Vittorio Emanuele Il", agli adolescenti e ai giovani che frequentavano le iniziative del CDV, a quanti incontrava nelle associazioni e nei movi1nenti e, non ultimo, a quelli cosiddetti a rischio che vivevano a Godrano o nei quartieri di periferia del capoluogo siciliano, soprattutto nella Brancaccio degradata, ove, come si evince da questo suo intervento, è forte il bisogno di immettere contenuti educativi alternativi: «Il primo dovere a Brancaccio è rin1boccarsi le tnanichc. E i pritni obiettivi sono i ba111bini e gli adolescenli: con loro sia1no ancora in te111po, l'azione pedagogica può essere efficace. c:on i giovani e con gli adulti è invece tutto più difficile.[ ... ]. Per i giovani è inolto i111portante poter contare sul consenso del gruppo, della società. È quello che la inafia chian1a "onorabilità". Per questo bisogna unirsi, dare appoggi esten1i al ragazzo, solidarietà, farlo sentire partecipe di un "gruppo" alternativo a quello fan1iliare»:i:i.
In un passo della GS, documento molto caro a padre Pino, il Concilio precisa che <da salvezza della persona e della società un1ana e cristiana è strcttan1ente connessa con una felice situazione della co1nunilà coniugale e fa1niliare»è.i. Una convinzione da lui pienan1ente condivisa e testiinoniata dalla sua "naturale" stima e attenzione riservata alla famiglia che è «per natura sua la cellula base della società e della
convivenza»?~.
Per questo don Puglisi non si tira indietro neanche di fronte all'arduo compito di raggiungere quellefàmiglie che propinano ai figli la cultura della
~I c:c1111pi scuola, 5° Ca1npo, 129. Il teina dell'anlicizia dal prete palennitano è tahnente sentito da dedicarvi un'estesa e avvincente riflessione nel 5° Ca1npo (cfr ibid., 127130). è:'Jntervento a//'i11co11tro "Chiesa (:' 111qjia", in F. DEUZJOSJ, ((3P» Padre Pino Pug!isi ... , cit., 164-165. «L'adolescenza è l'età in cui si conlincia a diventare grandi perché è l'età delle pri111e i1npegnativc riflessioni, de!tc in1portanti scelte di vita: attraverso tutto ciò si cresce e ci si 1natura>> (Ca1npi scuola, 5° Ca111po, 127).
"r;s,n47. 1
C'a1npi scuola, 5° Can1po, 131. Rito111ano spesso nelle riflessioni e negli scritti di don Puglisi contenuti di chiara i111pronta concilisre, con1e si può evincere ds questa sua altra puntualizzazione sulla costitutiva rilevanza sociale del 1nstrin1onio e della L1111iglia: «Mollo spesso sì tende 8 rendere il n1atrin1onio un fatto senza nessuna in1plicazione sociale. [ ... ] È proprio dalla tà1niglia che si forn1a la società. La fainiglia è il nucleo della società e ne costituisce anche il principio» (I.e). :'·
L'azione pedagogica lii Pino Puglisi
465
prevaricazione, della violenza e dell'illegalità, tradendo così la loro originaria identità di luogo educativo per antonomasia. Nel presentare lo stato della pmrncchia tra l'altro ebbe a dire: «In n1olte tàn1iglie non ci sono principi etici stabili, 1na tutto viene valutato sul 11101nento, in base alla necessità. Non c'è rispetto per la propria dignità, né per quella altrui. Non c'è rispetto per la proprietà. Da ciò nasce quell'insie1ne nel senso che la loro illegalità non è neanche di "trasgressioni legali" avvertita - coine il lavoro nero, il contrabbando, lo spaccio di droga, i furti
[ ... ]»".
Certo non si fa illusioni, ma è convinto che «anche alle tàn1iglie, però, si può dare un segno» 2('.
E per questo, durante un'omelia, non ha paura di rivolgersi con coraggiosa schiettezza alla sua gente: «Non è da Cosa Nostra che potete aspettarvi un futuro n1igliore per il vostro quartiere. !l 111afioso non potrà 111ai darvi una scuola inedia per i vostri figli o un asilo nido dove lasciare i ba1nbini quando andate al lavoro»;
come anche ai protagonisti delle intimidazioni che avevano colpito le case di tre famiglie della parrocchia: «Von·ei conoscervi e conoscere i niotivi che vi spingono ad ostacolare chi tenta di educare i vostri figli alla lcgalìtà, al rispetto reciproco, ai valori della cultura e della convivenza civile. Perché non volete che i vostri ba1nbini vengano a n1e'?»è 7 •
Si trattava allora di promuovere una presenza alternativa dei cristiani e della parrocchia nel territorio, una presenza provocatoria capace di innescare le "forze sovversive non-violente" insite nell'evangelo del Regno e capaci di far sorgere il "nuovo" lì dove invece il "vecchio" fa di tutto per ri1nanere inalterato e allargare i suoi confini. La sua opera evangelizzatrice fu per questo anche impegno di promozione umana. Denunziare, prendere ès Relazione ai parroci del quartiere (1991), in F. OEUZIOSI, ((3P>> Padre Pino Puglisi ... , cit., 135. x, Intervento ali 'incontro "C'hiesa e 111qfìa ", ibid., 165. n 01nelia del 25 luglio 1993, ihid, 173.
Corrado Lor<?;/ìce
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posizione, far nascere e richiedere alle istituzioni ciò che è indispensabile per la vita, creare luoghi di aggregazione per le giovani generazioni: tutto scaturisce dall'obbedienza fedele a Cristo Gesù, venuto nel mondo a liberare l'uomo da ogni dominio e schiavitù. Ecco perché, secondo padre Puglisi, per scalfire le coscienze distorte dalla cultura della violenza e dalla mentalità che essa riesce a diffondere, è essenziale coniugare insieme "parola" e "segno": «La n1afiosità si nutre della cultura dell'illegalità. Per questo credo a tutte quelle forn1e di analisi, studio, di protesta civile che tendono a co1nbattcrc la n1entalità 1nafiosa l ... ]. A questo punto può servire parlare di 111afia, parlarne spesso, in n1odo capillare, a scuola: è una battaglia contro la 111cntalità n1afiosa, che si diffonde anche attraverso attcggian1cnti e abitudini quotidiane. Non ci si fern1i però ai cortei, alle denunce, alle proteste. Tutte queste iniziative hanno valore, attenzione, non vorrei essere frainteso. I-fanno valore n1a se ci si fern1a a questo livello sono soltanto parole. E le parole devono essere convalidate dai fritti. Abbiaino ascoltato quasi cinquant'anni di parole da questi qui, i politici, che ora vengono sbugiardati. Parole, belle parole. [ ... ] Non cadian10 anche noi in questo stile. Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un scgnol!èx.
Una pastorale incarnata nell'oggi della storia deve duuque prediligere, secondo don Puglisi, l'eco110111ia dei segni. Una classe scolastica, un Ccnnpo scuola o un luogo cli ritrovo per adolescenti può assu1nere una Jl1nzione simbolica e liberare tutte le potenzialità in essa racchiuse. Tali ambiti, invece di limitarsi alla mera ripetitività di vuote parole, possono trasformarsi in tempi e spazi di comunicazione di "idee" e valori, di relazioni e di verifìche capaci di "ti-significare" tutta la vita. Così co1ne lo può essere un Centro sociale nel territorio di una parrocchia problematica come quella di S. Gaetano: un se1ne di solidarietà lì dove l'indifferenza on1crtosa regna sovrana. La consapevolezza della forza del "segno", infatii, suscitò in don Pino l'idea di realizzare nel cuore di "Cosa nostra" il Centro "Padre nostro".:''1, una struttura dì accoglienza ape1ta ai ragazzi, agli anziani, ai poveri 2
~ !111en·ento al! 'inco1111·0 "Chiesu e l//(!fÌa ", ibid, 166-16 7. '') Risulta interessante il con1111ento, riportato da F. Deliziosi, di due voci che a diverso titolo hanno riflettuto sulla scelta di don Pug!isi di creare il Centro sociale "Padre Nostro": «Avere fondato il Centro "Padre Nostro" a duecento n1etri dalla casa dei frate!li Graviano -afTenna il sostituto procuratore Lorenzo !Vlatassa è il si1nbolo, la circostanLa più probante, anche in tern1ini cli vicinanza spaziale, ciel suo i1npegno nel quartiere. Non c'è bisogno di essere siciliani per leggere in questa volontà la sfida evidente al potere niafioso che predo1nina nella zonal>. Lia Cerrito, dell'Istituto secolare "Missionarie dc! Vangelo'', sostiene
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ed emarginati, alle famiglie in difficoltà; un luogo alternativo ove s1 praticano stili "altri" di vita e si adottano "alh·e" proposte educative: «Niente teorie psico-pedagogiche astratte, allora. Il bin1bo di queste fan1iglie non può capirle. Capisce invece i gesti che si fanno, i n1on1enti di gioco, di convivenza, vissuti con un nuovo stile rispetto a quelli che conosce a casa. Ecco, il ban1bino può cogliere 111odelli di co111porta1nento anche guardando due adulti che qui al c=cntro si trattano con tnolto garbo e rispetto, due adulti che sono in sintonia. li loro co1nporta1nento già di per sé è un segno.[ ... ] Chi cerca il guadagno ad ogni costo, anche s111erciando 111orte, può essere colpito dal vedere una suora, un volontario che vanno a trovarlo gratuitan1ente, per solidarietà un1ana e cristiana. Già questa visita è una controproposta[ ... ]» 111 •
Il Centro è oggi una realtà viva, «segno emblematico che resterà come stimolo e richian10 per la continuazione educativa in quel territorio»-11 e punto di riferimento non solo per la città isolana ma per altre realtà attive a livello nazionale e mondiale''- Ispirandosi nelle finalità e nel metodo di lavoro all'insegnamento di padre Puglisi, il suo obiettivo primario rimane quello di promuovere e sostenere la cultura della legalità, della solidarietà e deila pace per una città degli uo1nini a din1ensione un1ana.
3.
"Come ho fatto io così fate anche voi" (Gv 13, 15) Servitori llefl 'eva11gelo della jJace: i tratti lii una prOJJOS!a ellucativa
In Gv 13,15 e I 5, I 3 possiamo cogliere un casuale ma prezioso parallelismo numerico: se in Gv 13,I5 leggiamo: "Come ho fatto io così fate anche voi'', in Gv 15, 13 trovian10 il contenuto, già significato nella lavanda dei piedi, di ciò che Cristo ha fatto e, di conseguenza, ciò che il discepolo deve fare: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i suoi an1ici".
che «Non fu una scelta cssualc. Intitolare quella casa, per la quale <1veva tanto sofferto, alla preghiera di Cìcsù era un segnale per tutta Brancaccio. E i boss lo capirono bene: don Pino non era un prete predicatore che si linlila alle parole, 111a flgiva in profondità e, piano piano, slava creando un argine, senza 1nai scendere a co1npro1ncssi» (ihid.,146. 162). 11 -' Jnten'enlo a//'i11co11/ro "C'hiesa e 111afia ", ihid., l 64-l 65. 11 F. P11.1.o, Prejàzione, in Ca1npi scuoia,! O. 1' Per 1naggiori inforinazioni sui principi ispiratori e sulle attività dcl Centro "Padre Nostro" si consulti il sito internet hllp://\vww.cenlrop8clrenostro.it.
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Per il discepolo di Cristo la vita è vocazione all'amore e quindi dono totale, "esserci per gli altri". Essa, dunque, costruisce e non demolisce, condivide e non possiede, promuove e non sopprime, genera vita e non uccide, si mette da parte e non s'impone, muore per far vivere. Un motivo plausibile, questo, che potrebbe spiegare il perché sia sulla tomba di mons. Oscar Arnulfo Romero a San Salvador, sia sulla tomba di alcuni religiosi missionari uccisi nell'ex Zaire, abbiamo potuto trovare lo stesso versetto giovanneo (Gv 15,13) che si legge sulla tomba di padre Puglisi a Palermo. Del mistero dell'Amore il parroco di Brancaccio non conosceva solo i principi teorici bensì la "fonte", ed è «rimasto talmente affascinato da spendere e vendere tutto pur di dimorare per sempre in esso, perfino la vita. E ne è diventato l'araldo. Fatti, non parole. Silenzi operosi, non sterili cla111ori»_1_1 È questo l'humus da cui trae origine e a cui costantemente si alimenta la proposta pedagogica di don Pino Puglisi «educatore e formatore di coscienze che [ ... ] "con la sua intransigenza evangelica si collocava dalla parte della pace, della verità, della giustizia, dalla pmte di ogni più piccolo Abele della te1Ta"»''. Un autentico pedagogo, capace di mettere insieme, m armonica reciprocità, contenuti educativi e metodo didattico. 3. l. Ripa1tire dal senso della vita Se nella cultura dominante è superflua la questione circa il senso della vita o, peggio ancora, esso è riposto su incerti significati, il prin10 co1npito dell'opera educativa è "l'evocazione del senso". Era il punto di partenza di don Puglisi nell'approccio con le giovani generazioni, come attesta il tema del 3° Campo scuola, "Che senso ha la mia vita?": «Che senso ha la vita? È un interrogativo che tutti ci sia1no posti e ci ponia1110; abbia1110 una risposta? Noi questa risposta dobbian10 cercare per trovare un senso alla vita. Dove cercarla? Provia1110 attorno a noi: che senso danno alla vita tutte le co111ponenti della società nella quale vivia1no? l ... J il valore presentato è la ricchezza, per poter consu111are, "avere" per procurarsi i vari confort [... ]che noi, per ritenerci felici, reputian10 indispcnsabilin-1'.
" C. LOREFICE, A don (Ji11seppe Pug/isi, in L 'invito del J\,faestro 2 ( 1993) I.
f. PIZZO, Pr~(ozione, ciL., 8. 35 C'a111pi scuola, 3° Ca1npo, 91. _1-1
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Un elemento ricorrente nella proposta educativa di don Pino Puglisi è appunto aiutare l'altro a porsi domande che vadano oltre la superficie del vivere quotidiano, mettere in moto il gusto della ricerca di risposte che soddisfino il "cuore" e la "mente". Sostenuto dal suo interesse per la psicologia, che coltivava con letture specializzate, è convinto che l'uomo, costitutivamente aperto al "sensoH, non si realizza piena1nente senza averlo trovato: «occorre dare uno scopo alla propria vita e cercare di raggiungerlo [ .. ].Una volta a Frankl regalarono un boomerang e gli spiegarono con1e funzionava. Gli dissero che quell'oggetto ritorna verso colui che lo ha lanciato quando questi ha sbagliato la 1nira. Lui arguta111ente con11nentò: proprio come la vita dell'uo1no, che si ripiega e si chiude in se stesso quando ha fallito, quando ha sbagliato il con1pito da realizzare[ ... ] »36 •
E il significato fondamentale della vita non può arrivare dall'esterno, non può essere dato dal "possesso'' di qualcosa, ma va trovato ncll' "essere" della persona: «In quel libro che 111olti abbia1no letto, Avere o essere?, [From111J fa un esan1c spietato della società di oggi. E propone un nuovo tnodello che incoraggi il can1bia1nento, che tàccia capire la gioia del dare e condividere, non già dell'accumulare e dello sfruttare. L'essere, non l'avere.[ ... ] Nulla al di fuori di noi può dare significato alla nostra vita» 17 •
Si spiega così, la situazione di diffusa nevrosi presente nelln nostra società generatrice di "strutture patologiche" e disumanizzanti: «Questo tipo di società "produce" nevrosi e non aiuta a raggiungere serenità e tranquillità interiore, non aiuta a tàrei aprire verso quei valori che possono dare vita alla persona~~ 'H.
Tale motivazione spingeva padre Puglisi, fmte del pensiero dello psicoterapeuta amcricauo Karl Rogcrs''', a far emergere e rendere operativa in quanti accostava attraverso il suo ministero la "Forza di base" che ha una 36
Discorso agli anùnatori vocazionali, in f. DELIZIOSI, «3P» Padre Pino Puglisi.
cit., 68. Cfr V. FRANKL, La st![ferenza di una vita senza senso, Leun1ann 1992. 37 lbid., 69. Cfr E. F1u1MM, Avere o essere?, Milano 1976. 38 C'c1111pi scuola, 3° Can1po, 92. _1•)
Cfr K. ROGERS, La terapia centrata sul cliente, Firenze 1970.
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direzione fondamentale positiva e che sola può strappare la maschera assunta dal soggetto stesso o imposta dalla società; maschera che se da una parte fa perdere la memoria di se stessi, dall'altra annulla le irripetibili capacità di ciascuno destinate all'umanizzazione dcl mondo. 3.2. La vocazione divina dell'uomo
È interessante notare come nella sua proposta educativa don Puglisi coniughi insieme il dato teologico e quello antropologico. L'uomo si riconosce e può realizzarsi come tale solo nell'apertura all'altro. Egli infatti affermava: «L'uon10 si realizza nell 1uo1no. [ ... ]Se esistesse un essere un1ano autarchico, autosufficiente, egli non possederebbe caratteristiche tnnanc; proprio i rapporti che legano gli uomini testificano la nostra partecipazione alla natura utnana. Ognuno di noi è paiie dell'altro; se ci si isola dai nostri si111ili non si può raggiungere indipendenza e n1aturità, infatti, tanto più un uon10 è isolato, tanto n1cno è indipendente>rrn.
L'uomo è dunque un essere di per sé relazionale. È fatto per la relazione: «L'uon10 è stato fatto per vivere in società, con altri, in dialogo.[ .. J L'uon10 non può vivere in solitudine, l'uon10 ha bisogno di chi possa ascoltarlo e di 'chi possa parlargli. [ ... ] L'uo1no è fatto per vivere in dialogo con gli altri esseri co1ne lui e in dialogo con Dio stesso»41 •
Ma il fondamento ultimo di questa sua realtà risiede nel dato teologico della vocazione divina dell'uomo. Per padre Puglisi, infatti, la relazione con il simile e con il mondo rimanda alla relazione costitutiva con Dio. E solo nel ritrovato dialogo con Dio l'uomo può vivere in pienezza ogni altra relazione. La vocazione alla comunione con Dio è il senso ultimo dell'esistenza umana. Il mondo e gli altt·i, lungi dallo schiavizzare l'uomo, sono un segno rivelativo della relazione con Dio, che lo ha pensato e creato a sua i1nn1agine e son1iglianza: «L 'uon10 è al vertice di lutto il crealo e il creato è a suo servizio, Dio lo ha fatto per lui. [ ... ] L'uotno proprio perché creato a son1iglianza di Dio, è partecipe del dominio di Dio; partecipe del potere di Dio Signore assoluto; e ~° 41
C'c11npi scuola, 5° Cmnpo, 127, 136. lhid., 3° Can1po, 97.
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questa partecipazione è l'origine della con1unione fra l'uomo e Dio. [... ] L'uon10 è il pensiero pri1nario di Dio»"".
La sua costituzione relazionale, e in definitiva la sua stessa dignità e valore, per don Puglisi, si fondano sul dato antropologico genesiaco della somiglianza divina. Solamente nell'apertura verso l'Altro e gli altri l'uomo realizzerà in pienezza la sua identità, mentre tradirà se stesso (e gli altri) tutte le volte che all'apertura preferirà la chiusura, al dono di sé la "rapina", al dialogo la violenza, alla giustizia l'ingiustizia: «Co1ne noi sappia1no il nostro Dio è amore, con1unicazione, condivisione, cd è Unità e Trinità insicn1e. Dio non sa stare solo, vive in con1pagnia e ci insegna che la vita diventa vera se vissuta con gli altri e per gli altri; la vita è uscire da sé, aprirsi agli altri, donarsi agli altri. Dio ci chiama a questo tipo di vita, e Adan10, creato da Dio si1nile a lui, è l'atto più grande dell'an1ore di f)io; anche per questo l'uo1no essendo creatura, venendo dall'a1nore, è tàtto per vivere nell'an1ore, per l'a1nore e la co1nunicazione. Dalla Bibbia traian10 testi1nonianza che Ada1110, nonostante la sua possibilità di contatto diretto con Dio, con il creato, non è soddisfatto picnan1ente, non avvc1ic la sua co1npletezza, fin quando Dio non crea la donna si1nile a lui, nello spirito e nella carne. Ada1no ha bisogno di Eva per sentirsi co1npleto>ru.
3.3. Il dono di sé secondo la misura di Cristo Nel Cristo, morto e risorto, don Puglisi coglie il pieno compimento dalla vocazione divina dell'uomo. Egli è l'uomo completo; colui che ha vissuto in pienezza la relazione con Dio e con gli uon1ini. Le sue riflessioni ci consegnano una grande passione per l'umanità di Cristo, "l'Uomo perfetto", come lui stesso amava chiamarlo, riferendosi indubbiamente ad una delle idee più significative del Vaticano Il. Diceva infatti che osservando <da figura di Gesù [ ... J scopria1no la sua un1anità; sono valori u1nani quelli che porta avanti, con1e anche i suoi senti111enti; sono validi universaln1ente, per ogni uon10, indipendcntc1nente dal fatto che si sia cristiani o 111eno. Gesù nella sua grandezza è pure un Uon10 e softie co1ne un uon10; però è anche Dio: è troppo un1ano per essere solo uon10, è l'uo1110 perfetto; un uon10 11
!bid., 95-96. Cfr GS, n 41. Ca111pi scuola, 5° Cmnpo, 132. Per don Pino bisogna sen1pre n1ettere «al prin10 posto il valore della persona u1nana, di ogni persona, di ogni uo1no ... » (ibid., 1° Can1po, 47). ~-
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diverso dagli altri uomini. Uno di noi non avrebbe potuto e non sarebbe riuscito ad avere tanta umanità come Gesù» 4•1•
La persona di Gesù Cristo «è il luogo dell'esperienza della piena umanità»" perché è stato capace, in obbedienza alla volontà salvifica del Padre, di vivere nel dono totale di sé. Ed è proprio nel commento a Gv 12, 24 che cogliamo il nucleo centrale della visione di don Puglisi sulla vita cristiana: «Gesù ci richiama alla logica del chicco di frun1cnto; è la stessa logica della vita vera, della vita di Gesù. Gesù ha po1iato 111olto frutto quando è inorto; 111orendo sulla croce e risorgendo ha dato co1ne frutto la rigenerazione de\l'un1anità. [... ] Se noi voglia1no restare i111n1aturi allora rifiutere1no la logica della croce, la logica del chicco di fì·u1nento. (J1i vuol crescere deve accogliere la logica dcl chicco di fnnnento» 46 •
L'uomo in Cristo, il cristiano, è l'uomo adulto che struttura la sua vita m funzione del dono di se all'altro. E questo, come sostiene lo stesso don Puglisi in un discorso agli operatori e ai volontari della sua pmrncchia, vale a maggior ragione per chi nella comunità cristiana ha un preciso ruolo educativo: «Nel nostro 111odo di relazionarci con gli altri dobbiamo sempre tenere con1e unità di 1nisura l'i1n1nenso amore con il quale Dio ci ha amati in Cristo. Il Figlio di Dio si è fatto carne per ristabilire l'armonia iniziale, e, ancora oggi, ogni battezzato si pone co1ne incarnazione attuale e perenne dell'an1ore di Dio>> H.
li Cristo getta una grande luce sulla vita umana: essa in ultima analisi è vocazione all'amore e dunque deve essere vissuta come risposta e progetto d'amore. E questa luce va mediata nell'opera educativa:
Jbid., 4° Ca111po, I 08. Cfr Gs, 41. C. SCORDATO, Don Pino Puglisi tra 111inistero e 1nartirio, in Don Pino Puglisi prete e 1narfire, cit., 57. 6 " C'an1pi scuola, 4° Cainpo, 116. 7 -1 !11trod11zione al Convegno "Parrocchia, pastorale della carità, territorio'', 14-16 oltobre 1992, in Don Pino Pug/isi prete e 111artire, cit., 89. Altrove affennava: «()ccorre volgere il nostro sguardo su Cristo, !'uon10 Dio, che in se stesso ha realizzato pienan1ente il disegno del Padre; diventa perciò uo1110 nonnativo per tutti i credenti, e non solo. Il filosofo 1narxista E. Brucke dice: "Cristo è un uon10 nonnativo, al quale possono tare riferin1ento tutti gli uo1nini di tutti i ten1pi'\> (CaJJ'tpi scuola, 2° Cainpo, 68). .j.j
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«Venti, sessanta, cento anni[ ... ] la vita. A che serve se sbaglian10 direzione? Ciò che i111porta è incontrare Cristo, vivere cotne lui, annunziare il suo amore che salva. Portare speranza e non dimenticare che tutti, ciascuno al proprio posto, anche pagando di persona, sian10 i costruttori di un mondo nuovo>rrn.
Ma amare secondo la misura di Cristo è qualcosa di impegnativo e di arduo ed è possibile solo se ci si radica in lui, che nel dono dello SpiritoAmore, rende la creatura capace di un amore eroico e radicale come il suo, fino all'amore dei nemici: «Dio che è Padre, nel Figlio, attraverso lo Spirito Santo, diffonde l'amore nei cuori che lo accolgono, e vitalizza i genni, che già esistono, dell'accoglienza, della pazienza, della con1prensione, del perdono, della solidarietà, fino all'a111ore del ncinico, per chi è bisognoso e devastato nel suo essere, per chi è solo e s1na1Tito. La carità "agape" produce una sorta di sublin1azione dell'atnore, una continua verifica di esso, perché non scivoli nei facili alibi di coloro che dicono spesso di a111are tutti senza differenza e non an1ano nessuno»~'1 •
3.4. Uomini non violenti al servizio della pace Lo stile di vita non violento e il servizio alla pace ineriscono all'essere stesso del cristiano trasformato e vivificato dall'amore di Dio. «Dio ci ha fatti per essere segno della sua presenza di A111ore» 50 •
E l'amore di Dio manifestatosi in Cristo Gesù nella nostra concreta vita ha proprio questa peculiare caralteristica: la misericordia e il perdono dei nemici. Gesù infatti secondo don Puglisi «espri1ne l'infinita n1isericordia di Dio»' 1•
Su questo aspetto si dilunga spesso. Da buon frequentatore delle Scritture è stato capace di carpire 1 segreti più profondi di Dio. È attratto dall'evangclo di Luca che presenta un Gesù longanime, "visitatore" delle .rn Discorso agli anilnatori vocazionali, in F. Or:u1.1os1, <<3P» Padre Pino P11glisi ... , cit., 80.
"cy C'c1111pi scuola, 5° Can1po, 130. <n !bid., 3° Cainpo, 98. 1 " !bid., 2° Cainpo, 76.
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case dei pubblicani e benevolo persino con le prostitute. Nel 4° Campo parlando ai giovani dell'Uomo di Nazaret mette in rilievo soprattutto questo suo peculiare tratto: «Lo vcdian10 tfequentarc gente poco racco1nandabile [ ... ]. Gesù a111a tutte le persone che incontra, fosse anche il suo peggiore ne111ico; infatti una delle sue ulti111e parole è stato il perdono per quelli che lo avevano inchiodato sulla croce. [ ... ] Gesù è n1ite. Fa l'elogio della dolcezza. Raccomanda la non violenza: "porgi l'altra guancia". Secondo Gesù la dolcezza deve estendersi anche ai ne1nici: "A1nate i vostri ne1nici, tàte del bene a quelli che vi odiano" (Le 6,27)»".
Chi guarda alla vita cristiana in tennini di vocazione, c10è come risposta a Cristo che chiama alla sua sequela, chi lo ha "conosciuto" e accolto al centro dei suoi interessi, chi è stato diretto testimone della "Parola di misericordia fattasi carne'', sarà umile riflesso e irradiazione della magnanimità di Dio: «Questo atteggian1ento di Gesl1, di n1isericordia nei confronti dell'uo1110 dovrebbe poi essere la n1isericordia nostra; dice Gesù nel discorso della 1nontagna riferitoci da S. Luca: "siate n1isericordiosi con1c è 1nisericordioso il Padre vostro celeste" (Le 6,36). La nostra 1nisericordia nasce dall'aver ricevuto tnisericordia da Dio, dall'essere oggetto di 1niscricordia. [ ... ] La 1nisericordia deve essere rivolta a tutti, speciahnente verso chi non sen1bra n1critarla»'3 •
r... ]
Da qui il grande rilievo che acquistano le beatitudini nella proposta educativa di padre Puglisi: chi come Gesù, il Beato per eccellenza, si affida totalmente a Dio e non ripone la sua forza nelle cose di questo mondo (prima beatitudine) è liberato dalla logica umana non redenta della "rapina" ed è disposto anche a subire la violenza perché conosce la forza risanante della mitezza'" (terza e quinta beatitudine), divenendo così un operatore di pace (settima beatitudine): «Si può costruire la pace solo se non si è legati ai beni della terra.[ ... ] Il 111ite è colui che si abbandona nel Signore e segue la sua via. Il tennine n1ite 51 !bid., 4° Ca1npo, 110. s.i lbid., 2° Ca111po, 76-77. '-1 Mitezza e non violenza, con1e si può vedere nel testo appresso riportato, hanno in don Puglisi un significato sinonin1ico.
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acquista anche il significato di non violento; il non violento è colui che non si affida alla forza delle anni, colui che non reagisce alla violenza con la violenza; l ... ] Gesù è stato n1ite nel senso che non ha niai usato la violenza con le persone; quando queste sono state violente nei suoi confronti Lui non lo è stato»''.
In definitiva, essere costruttori di pace per don Puglisi significa impegnarsi concretamente a intessere rapporti gratuiti e a promuovere gesti di riconciliazione e di perdono perché <di pacifico non è un "pacioccone" che non si preoccupa per niente e di niente, nia colui che cerca di intessere rapporti con gli altri. Colui che vuole costruire la pace deve cercare di tàre in 1nodo che ci sia lo sti1nolo della riconciliazione e dcl perdono>>'6 •
Il non violento e il pacificatore diventa così un gioioso ("beato") compagno di viaggio di ogni uomo nell'esaltante «can1n1ino della libertà» 57 •
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Ca111pi scuola, I ° Cainpo, 44. !bid., 45. 7 ' lhid., 57. '
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Synaxis XVIIl/2 (2000) 477-489
«COSTRUITE CITTÀ DELLA PACE» PASTORALE GIOVAN ILE ED EDUCAZIONE ALLA PACE NEI DOCUMENTI DELLA CESI VITTORIO ROCCA*'
Pre111essa La coscienza da parte della Chiesa sull'importanza del ruolo dei giovani nelle comunità ecclesiali e nella società si è andata sempre più sviluppando, soprattutto a partire dal Concilio Valicano II. Significativa e particolarmente emblematica della presa di coscienza della Chiesa nei confronti del ruolo dei giovani e della relazione che con essi la Chiesa vuole instaurare è la istituzione della Giornata Mondiale della Gioventù, avvenuta per volontà di Giovanni Paolo II nel 1984. I giovani vivono una fase particolarmente importante per lo sviluppo e la formazione della personalità umana e cristiana, per la scoperta del proprio "io" e del progetto di vita. Necessitano quindi di una particolare attenzione da parte delle comunità ecclesiali, in modo che la totalità della loro realtà ed esperienza (corporeità, affettività, solidarietà, impegno, servizio) venga ad essere evangelizzata. Ma i giovani inoltre costituiscono una realtà sociale cd ecclesiale di grande rilevanza. Essi sono infatti quelli che, mentre manifestano tanti fattori di crisi della società, ricevono il più forte impallo con la nuova cultura che nasce. Per il dinan1isn10 proprio dell età e la loro generosità, i giovani possono con1piere 1nolto per aiutare la nascita di una società e di una cultura impregnate di valori evangelici, quali la pace. 1
La pace in quanto orizzonte culturale, ricerca appassionata di verità e
giustizia come punti fmti della convivenza umana, sta certamente alla base di una pastorale dei giovani ecclesiale. Lo ricorda con forza Gaudium et Spes al n 82:
*Docente invitato di Teologia n1orale nello Studio Teologico S. Paolo di Catania.
Vii torio Rocca
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«Quanti si consacrano all'attività dell'educazione, speciahnente della gioventù, o contribuiscono a forn1are la pubblica opinione, devono considerare gravissin10 loro dovere la pren1ura di inculcare negli ani111i di tutti nuovi sentin1enti di pace. Ed invero ciascuno di noi deve can1biare il suo cuore, avendo di inira il mondo intero e quei con1piti che noi tutti, insie1nc, possian10 svolgere perché l\nnanità si incan11nini verso 111igliori destini».
Anche le Chiese siciliane hanno guardato e guardano ai giovani con estremo interesse: si riconosce in essi una carica di novità, una disponibilità al rinnovamento, una apertura al futuro di pace da realizzare, un fermento di ca1nbian1ento per una nuova società. A livello di pronunciamenti magisteriali si può affcnnare che la Chiesa in Sicilia guarda ai giovani in n1odo positivo, con rinnovato in1pegno di servizio e con il desiderio di sviluppare sempre più un dialogo, una "presenza per servire)'. Il presente contributo ha lo scopo di approfondire, nei pronunciamenti delle Chiese di Sicilia, la relazione tra giovani e pace; il suo compito non è di dire tutto sull'argomento e neppure di offrire una sintesi organica. TI suo scopo, molto più semplicemente, è quello di offrire alcuni elementi e sottolineare alcune prospettive. Si procederà attraverso due punti: in primo luogo si delineerà il quadro complessivo della pastorale giovanile in Sicilia e, conseguenten1ente, si evidenzierà la tensione educativa della stessa pastorale giovanile in relazione al tema della pace.
1. La paslorale dei giovani delle Chiese di Sicilia
A livello regionale non sono mancati né la volontà né i tentativi di individuare i presupposti e di proporre itinerari significativi per fondare su basi solide una pastorale dei giovani. Già nel 1975 la Conferenza Episcopale Siciliana (CESI) si era posto il problema creando un gruppo di lavoro e promuovendo una prima indagine sul mondo giovanile, la quale fornì a mons. Garsia (vescovo di Caltanissetta) gli elementi per tracciare, alla fine degli anni '70, delle linee di pastorale giovanile'. Il vescovo indicava come obiettivo l'integrazione fede-vita, per cui era necessario sostenere i giovani ad elaborare un progetto di vita umanizzante, alla luce di Cristo; introdurre i giovani alla lettura della Bibbia; annunciare Cristo, tutto il Cristo, senza 1
A.
GARSIA,
Pastorale giovanile oggi in Sicilia, ciclostilato.
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ammorbidimenti. Tutto ciò - affermava mons. Garsia - esigeva un modo nuovo di essere delle Chiese di Sicilia: discepole della parola, incarnate, testimoni del Vangelo, di tutto il Vangelo, in comnnione. A livello operativo le diocesi venivano invitate a dotarsi di un proprio piano pastorale giovanile inserito nella pastorale globale, con scelte teologiche, metodologiche e con contenuti e obiettivi a lunga e a breve scadenza, con momenti di verifica; un piano diversificato per i giovani di dentro, per i giovani della soglia, per i giovani di fuori. Nel I 0 convegno delle Chiese di Sicilia - Una presenza per servire -
lo stesso mons. Garsia, nella relazione conclusiva, riprendendo il terna dei giovani, così, tra l'altro, affennava: «l giovani ci chiedono che si conosca il loro 111ondo, che si instauri con loro
un dialogo costante, capace di cogliere con attenzione le loro do111ande. Le nostre Chiese possono rispondere ai proble111i dei giovani con una seria pastorale attraverso una educazione alla fede che ne pro111uova lo sviluppo 2 integrale, il protagonisn10 ecclesiale e !1in1pcgno nella stori<n> .
Queste convinzioni suscitarono, per la Segreteria pastorale della CESI, l'impegno di stimolare nelle diocesi ed a partire dal loro comune lavoro, la elaborazione puntuale di un progetto unitario di pastorale giovanile sia a
livello regionale, sia a livello diocesano, e la responsabilità di porre in essere tutte quelle iniziative e attività necessarie per il raggiungimento di tale scopo. li progetto unitario di pastorale giovanile fu elaborato attorno a cinque opzioni di fondo. È opportuno riportarle, così come vengono presentate dalle lnc!icazioni co111z111i1Jer la jJastorale giovanile lielle Chiese cli Sicilia: La vita vissuta appassionata1nente, fino all 1incontro con Cristo vita, incarnalo e vivente nella Chiesa e nella storia. li centro della pastorale dei giovani è 11in1pegno per una vera educazione alla fede. li territorio, che cspri1ne e in cui si incarna la cultura, il n1odo di essere e la testimonianza della fede. Questa scelta comporta l'apertura a tutti i giovani presenti nel territorio, nella loro diversa condizione culturale, sociale e di fede. La cliocesanità, con1e can11111no globale, che passa attraverso la parrocchia, nel dialogo, nella partecipazione, nella corresponsabilità,
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Ct:SI, Una presenza per sen'Ìre, Atti del convegno delle Chiese di Sicilia, Acireale 1985,219.
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attraverso le vie e i metodi proposti dai vescovi e dalle esigenze pastorali, nel rispetto dei carismi e delle vocazioni. La comunità degli educatori, che esprime e traduce la comunità globale, mentre supera protagonismi e improvvisazioni e testimonia concretamente la comunità ecclesiale. La 111issionarietà: i giovani vanno cercati, incontrati, accolti, ed essi devono incontrarsi tra loro. I giovani evangelizzano i giovani 3 • Culmine di questo lavoro pastorale è la celebrazione del 1° convegnofesta dei giovani di Sicilia, Presenza Giovane - gioia cli servire, ad Acireale nel 1991 ". La relazione conclusiva di mons. Francesco Miccichè, vescovo delegato regionale per la pastorale giovanile, ne coglie e ne propone con chiarezza significato, valore, rilevanza ecclesiale: «Questa Chiesa di Sicilia ha sì, proble1ni, difficoltà nel can1nlino, grossi ostacoli da superare, n1a ha, altresì, questo grande potenziale, questa tòrza straordinaria di cui non può, non deve privarsi, i giovani. Aprirsi alla gioventù, all 1in1prevedibile giovanile, puntare sui giovani quale valore da non n1isconosccre, n1a anzi da tenere pern1ancnte111ente presente e di cui tì·uire è la vocazione della nostra realtà ecclesiale siciliana che fa il suo atto di fede con la gioventù, nella gioventù e per la gioventù. Noi Vescovi delle Chiese di Sicilia vi dician10 con vero convincin1ento: abbia1110 bisogno di voi, sian10 con voi e per voi, disponibili all 1ascolto, alla reciproca collaborazione, vi sentian10 parte viva e vitale della Chiesa. [ ... ]L'azione dell'Ufficio Regionale di pastorale giovanile si indirizzerà soprattutto alla pron1ozione di operatori intelligenti e preparati di pastorale giovanile. Il progetto pastorale unitario di pastorale giovanile, paiiendo dalla grande sfida della fede che accetta le sfide negative del inondo d'oggi, deve puntare sui valori intorno a cui si costruisce vera un1anità e vera chiesa. Vale la pena di ricordarli: dignità di ogni uon10, reciprocità uo1110-donna, pace, giustizia, solidarietà, niondialità, an1ore alla natura.
1 CESI (UfTicio Regionale per la Pastorale dei Giovani), Indicazioni con1uni per la pastorale giovanile delle Chiese di Sicilia, Palerino 1992. ~La ricchezza di esperienza che intanto era 1naturata, negli anni che vanno dal 1985 a! 1991, cioè dal 1° convegno de!le Chiese di Sicilia al convegno-festa dei giovani, è raccolta nell'interessante: CES!, Dossier Giovani, Palern10 1991, che contiene, tra l'altro, gli atti di due convegni per operatori realizzati nel 1988 e nel 1991. In particolare si rin1anda: per quanto riguarda la storia della pastorale giovanile da! 1985 al 1991 ed il percorso verso il 1° convegno-festa, ai contributi rispcttivmnentc di Di Vita (pp 79-84) e di Pun1a (pp 71-76); al conlribulo di L. PEl{RELLI, Linee per 1111 progetto di pastorale giovanile delle C'hiese di Sicilia. 41-58, fondarnentale per il prosieguo dcl cmn1nino.
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Il progetto unitario di pastorale giovanile patte, 1natura, si definisce e si spiega negli itinerari di fede che si sforzerà di promuovere, nella ricerca dell'interiorità da far riscoprire co1ne pri1no e fondatnentale valore nella forn1azione di personalità mature. La tensione a radicare ed inverare i valori nel vissuto quotidiano è lo sforzo da cui il mondo giovanile non può esimersi attraverso 11educazione al sociale e al politico» 5•
Le indicazioni e le suggestioni di mons. Miccichè costituirono la consegna, il mandato e le piste di lavoro per la pastorale dei giovani m Sicilia. La visita del Papa ad alcune diocesi siciliane e la celebrazione del 3° convegno regionale delle Chiese di Sicilia - Nuova evangelizzazione e pastorale - costituiscono gli eventi ecclesiali fondamentali che dal 1993 hanno ulteriormente scandito le tappe del cammino pastorale giovanile regionale. In occasione della visita del Papa venne organizzalo un incontro regionale cui presero parte circa 20.000 giovani (Agrigento, 8-9 maggio 1993)": " ... Giovane, te lo dico io: alzali!". La presenza, poi, della pastorale giovanile al 3° convegno ecclesiale si è evidenziata nel gruppo di studio "I giovani nella Chiesa e nella società", che ha sostanzialmente riconfermato le linee maturate sino allora. Negli orientamenti pastorali che la CESI ha dato alle Chiese di Sicilia, a pasqua del 1994, come flutto del convegno, "l'impegno maturo per la pastorale giovanile" appare come una tra le vie programmatiche per una nuova evangelizzazione: «Oggi, i giovani costituiscono una vera sfida per la Chiesa. Per questo i probletni giovanili, da quelli che considerano la loro preparazione alla vita e 5
UFFICIO REGIONALE PER LA PASTORALE DEI (ÌJOVANI,
Punti di rijèrilnen/o per la
riflessione e il co1?fi·onto, Palermo l 996, 2-3. 6 Dal n1essaggio-invito rivolto ai giovani da rnons. Miccichè si evince bene il significato dell'incontro col Santo Padre: «I Giovani di Sicilia intendono vivere la prossi1na visita del Papa a!la nostra Isola co1ne dono-evento di grazia, si impegnano nella riflessione personale e dì gruppo e si danno appunta1nento numerosi ad Agrigento per incontrare il Papa, per celebrare la speranza, per recitare con Pietro iLcredo giovane delle Chiese di Sicilia, già proclan1ato nel grande convegno-festa di Acireale. Invito, pertanto, giovani ed. educatori a vivere ii dono che il Signore fa alle nostre Chiese, i1npegnandoci in una sapienziale lettura dei segni dei te1npi, così carichi dì potenzialità per un fuhlro di giustizia, di onestà, di legalità, di pace e di u1nana solidarietà)). I discorsi pronunciati dal Papa sono stati poi riportati nel fascicolo, curato dall'Uilicio Regionale, ... Giovane, te lo dico io: alzati!.
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il disagio sociale che li riguarda, a quelli del loro inserimento nella vita vissuta della Chiesa con1e della Società civile, debbono rientrare nel nonnale dibattito e diventare oggetto delle attenzioni pastorali di ogni co111unità ecclesiale. Ma va riaffern1ato con forza che i giovani costituiscono e debbono costituire, insien1e con tutti gli altri fedeli, l'unico "soggetto" della 111issionc della Chiesa, attraverso lo specifico loro proprio, di profezia e di futuro, donato dallo Spirito alla Chiesa»'.
Un ulteriore riferimento è dato dall'itinerario di preparazione al 3° convegno ecclesiale della Chiesa italiana (Palermo 1995), relativamente al 5° ambito dedicato appunto a "I Giovani". Dalle ·schede di lavoro per le commissioni di studio durante il convegno si riportano, come elementi per un'analisi della situazione, alcune interessanti considerazioni: «TI prag1natis1no che caratterizza la nostra cultura, porta i giovani a privilegiare le esperienze concrete, intense, fran11nentarie; ne favorisce la fragilità di carattere e il disordine affettivo; li induce al disiinpcgno e all'evasione, oppure al protagonisn10 esasperato e alla trasgressione. Tra i giovani però sono sen1pre niolto avvertiti i valori della pace, della solidarietà, dell'an1icizia, della compagnia, della bellezza; è rilevante la partecipazione al volontariato; rin1angono vive l'esigenza di esperienze piene di senso, la don1anda religiosa, l1attrattiva di (}esù Cristo. Solitudine, disoccupazione, en1arginazionc pesano sulla condizione giovanile. Gli adulti si occupano poco dci proble1ni e degli interessi dci giovani. Molte famiglie non sono capaci di offrire ad essi esperienze significative di fede e di a1nore. Le comunità cristiane senza dubbio dedicano loro molte energie; spesso però sono monopolizzate dagli adulti e non sanno aprire spazi di co1nunicazione e di coinvolgi1nentoJ> 8 •
Un'ultima tappa significativa del cammino pastorale dei giovani di Sicilia è il 2° convegno-festa tenutosi ad Acireale nel 1998 (Sogniamo una Vita più). Quest'evento ecclesiale aveva come obiettivo un ulteriore salto di qualità nel progetto educativo dei giovani, sia a livello diocesano che regionale, come sottolineava il card. De Giorgi all'inizio del convegno: «Delineare un serio itinerario di vita cristiana adeguato, proponibile e vivibile nel terzo n1illennio, fondato su una spiritualità incarnata, cristocentrica, ecclesiale, feriale, laicale e giovanile che pron1uova la vita vissuta
7
CESI,
8
UFFICIO REGJONALE PER LA PASTORALE DEI GIOVANI,
ATuova Evangelizzazione e Pastorale, Palenno 1994, n 40. Punii di r(ferilnento .. 'cit., 4-5.
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appassionatan1ente, fino all'incontro con Cristo-vita, incarnato e vivente nella Chiesa e nella storia» 9•
L'idea centrale dcl convegno-festa (il "sogno" di Dio) è stata articolata su tre prospettive di fondo: la spiritualità, l'ecclesiologia, l'impegno sociale. Al termine dei lavori, ai giovani rappresentanti le diciotto diocesi siciliane, i vescovi consegnarono la "Carta dei giovani del 2000", una sorta di vademecum-sintesi delle riflessioni, sogni, speranze scaturite dai giorni di convegno: «Noi sognian10, noi voglian10 vivere, noi intendiamo accendere la speranza, noi voglian10 can1minare spediti verso la libertà, la gioia, la trasparenza, il bene. I. Il sogno-progetto di Dio si fa strada in te se a111i il silenzio, se ti alleni all'ascolto, se coltivi la preghiera, se ti apri al soffio vivificante dello Spirito, se fài deserto, se assi111ili la Parola; 2. Il sogno di Dio illumina e dà concretezza ai tuoi sogni; 3. Se sogni, acco111pagnato spiritualn1ente, vivrai la vita co1ne vocazione e 1111ss1one; 4. Chi non si allena a sognare ha un futuro nebuloso e ince1io; non pennettere a nessuno di toglierti questo dirilio; 5. Sognare è la forza giovane di cui le nostre chiese e la società hanno estren10 bisogno, anche il socio-politico ha bisogno del tuo sogno giovane; 6. La speranza ha i colori dei tuoi sogni; giovane non turbarti a causa del fì·astuono delle false sicurezze gridate dai venditori ciarlatani del nulla; Cristo non è un'idea, Cristo è vita donata, è presenza arricchente, è gioia e speranza; 7. Sognare insien1e è forza diron1pente e trainante; la Chiesa ha il volto della co1nunione che tu, giovane, riesci a vivere; 8. Sogna nella fede, iicentra la tua vita in Clisto, abbracciati alla croce gloriosa che dà un senso coinpiuto alla tua storia; 9. Senza i tuoi sogni le 18 Chiese di Sicilia sono povere di prospettive, di futuro, di speranza; nella Chiesa sei protagonista, hai un posto che ti appartiene, non chiuderti alla n1inisterialità ordinata; I O. Con i tuoi sogni colora la Sicilia di speranza, essi sono la luce ainica che orienta il ca1n1nino di crescita nei valori vcri~> n. 1
'!ID, Sognia1110 una Vita più. Doc1nnentazio11e, Pa!enno 1998, 1. IU fhid., 23.
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2. L'educazione alla pace nella pastorale giovani/e in Sicilia
Dopo aver sommariamente descritto il cammino della pastorale dei giovani in Sicilia è possibile ora delinearne in modo specifico l'intento educativo alla pace. Si tratta di un'urgenza e di una sfida chiaramente avvertite. Un dato importante, dal quale la pastorale giovanile in Sicilia ha cercato di muoversi, dalla fine degli anni ottanta, è il riferimento alla situazione, nella logica dell'Incarnazione. La "situazione" da non considerarsi come il punto di arrivo di un intervento o il momento della "prova": considerata invece con1e "luogo ermeneutico", luogo cioè dove la pastorale è chiamata ad "incarnarsi" dentro le sfide che provengono dall'essere giovani e dall'esserlo in questa concreta situazione. Il modello di pastorale giovanile che incontriamo in Sicilia è riassumibile nello slogan-programma: Presenza giovane - gioia di servire. Anzitutto "presenza'', come «capacità della Chiesa di incarnarsi in mezzo ai giovani e dentro di loro, assumendo il loro specifico volto e facendosi carico della loro particolare esperienza di vita segnata da precise condizioni e situazioni spirituali, culturali, sociali, economiche, fisiche e psichiche. "Presenza giovane", per conseguenza, che proclama e richiede una presenza
disponibile, generosa, educante e salvifica della Chiesa affianco ai giovani, che dai giovani però riceve il dono di una perenne giovinezza ... ». Presenza giovane che diventa conseguente1nente gioia di servire: «servire è la nostra realizzazione e la nostra vera gioia ed è l'unica via per offrire la speranza e la gioia ad ogni uomo[ ... ] la gioia di Cristo[ ... ] la gioia che è Cristo»". Il primo e più grande interrogativo che questo modello di pastorale dei giovani affronta è allora quello relativo ai "problemi" da cui la Chiesa si sente interpellata. Sulla misura della comprensione dei problemi, essa progetta un'azione educativa. La realtà giovanile è quella che esprime maggiormente le tante contraddizioni della società siciliana: i giovani vivono il dramma di un presente inquietante e senza tante prospettive per il futuro e sembrano combattuti tra speranze e frustrazioni, esigenza di giustizia e violenza, ricerca di senso e vita sprecata.
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L. PUMA, Verso il Convegno-Festa, in CESI, Dossier Giovani, cit., 73-74.
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La pastorale dei giovani in Sicilia si è mossa dalla "situazione", carica di valori e di contraddizioni". Il giovane siciliano è risultato essere alla ricerca di valori significativi per la propria vita quotidiana, orientata al bisogno di felicità. «Non è vera l'affcrn1azione relativa ad una "eclissi 1norale dei giovani": essi hanno un "n1odo diverso" di intendere le cose, una "nuova identità" e una "1norale fondata e orientata al bisogno di felicità": ai primi sette posti i giovani delle più recenti ricerche pongono i nuovi valori posttnaterialistici: pace inondialc, onestà personale, vita fatniliare serena, libertà, religiosità, giustizia sociale, lavoro per tutti, a111ore alla natura, ecologia [ ... ] I giovani siciliani, per contro, denunciano co1ne piaghe della società siciliana quelli che ritengono n1ali più gravi: violenza critninale, disoccupazione, inafia, droga, tnalgoverno, 111ancanza di spazio per i giovani, indifferenza per i deboli ... Sian10 di fronte ad una cresciuta sensibilità verso nuovi valori e ad una richiesta esplicita di propostc-progetti!»u.
L'analisi della sihiazione delle domande dei giovani fo perciò di estremo interesse: al primo posto tra i valori significativi, nelle indagini sociologiche, risultava esserci la pace; tra i "mali" più gravi della società siciliana e1nergevano la violenza, la disoccupazione e la 1nafia. Tale analisi della realtà lì.1 letta dalla pastorale giovanile come una sfida: la pastorale ecclesiale era infatti chiamata ad incarnarsi nella realtà dei giovani per mirare alla integrazione fede e vita, attraverso la ricerca dei valori e dci significati. Assai significativo, in questo contesto, risulta essere il 111essaggio dei Vescovi ai Giovani di Sicilia", scritto nel J 991, alla vigilia del 1° convegnofesta regionale. È un messaggio che nasce da un ascolto attento delle domande e delle aspirazioni dei giovani: «A voi, giovani di questa lerra di Sicilia, torn1entata e generosa, ci rivolgian10 con fiducia, con gioia e con a111ore. lè Sulla condizione giovanile in Sicilia cfr R. fRAT"l1\LLONF, Tratti c11lturali siciliani e .<ipirit11a!ità giovanile, in CL CRAVOTTA (ed.), SJ;irit11ulittÌ del quotidiano. Proposte e itinerari per la catechesi giovanile, Napoli 1984; M. EMlvJA, I giovani credono uncora? Ricerca longitudinale socio-psicologica condotta su 6000 soggetti sulla religiosità dci giovani in Sicilia, Ragusa 1983; (f. URSO, Giovani n C'atania tra contraddizioni e speranze, Acireale 1988; CESl, (;io1Y111i in pro.'>pettiva. Vissuto del tcn1po e religiosità in Sicilio, Messina 2001 11 G. URSO, Giovani in Sicilia alla ricerca di valori signifìcativi, in CESI, Dossier Giovani, cil., 191. 1-1 Cfr C'ESI, [)ossier Giovani, cit., 29-31.
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Vittorio Rocca Siamo i vostri vescovi e voglia1110, con tutta la nostra forza, dirvi che c'è nel nostro cuore un grande bisogno: stare con voi, co1nprendervi profonda1nente, condividere le vostre speranze e i vostri desideri».
Tra i desideri di vita dei giovani i vescovi, in particolare, sottolineano i "nuovi orizzonti" valoriali: «la clignità di ogni uon10 con1e centro della storia e delle istituzioni; la rec;procità uo1110-donna nella costruzione di nuove e più profOnde relazioni; la pace, che nasce da un cuore nuovo, e che è tensione costante di verità, di dialogo, di conciliazione; la giustizia che esclude ogni discrin1inazionc per chi è diverso, che si ta tolleranza, rispetto, uguaglianza, che rifiuta ogni violenza; la solidarietà con1e nuovo non1e dello sviluppo; l'unil'ersalità che vi fa appaiienerc al 111ondo, facendo vostri i problen1i di tutti; un intenso an1ore alla natura e all'a111biente. Nella pron1ozione di questi cd altri autentici valori ci avrete sen1pre accanto a VOI».
L'educazione alla pace, alla pace vera, si potrebbe dire, "nasce da un cuore nuovo'', ossia da una coscienza riconciliata: con se stessi, con gli altri, con la natura e con Dio. Affern1ano ancora i vescovi: «Giovani, ca111111inia1110 insìen1e verso questi orizzonti: (;iovani jJer i giovani e tutti ]Jer il l?.egno di giustizia, di a1nore e di pace, instauralo da Gesù e da Lui ora affidato a noi. Mettendo, ogni giorno, nel cantiere della vostra crescita, allegria e speranza, ansia di donazione e senso di responsabilità, volontà di prepararvi alla vita e solidarietà, lavoro e preghiera».
La pastorale dei giovani in Sicilia ha dunque colto il "nuovo" valore della pace come sfida posta alla Chiesa. La pace - insieme ad altri valori interpretata con1e "segno dei ten1pi", atiinché i giovani possano essere aiutati a viverla in profondità alla luce del Vangelo. Ma che cosa si intende per pace? E come conseguentemente educare i giovani alla pace" «Parlando di pace non intendiamo solamente una situazione di non-guerra, statica e tranquilla, ma qualcosa di più. Ed è un concetto che non viene inteso solo in senso personale ed individuale o in
Educazione alla pace nei docun1enti della C'ES!
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senso politico, ma questi due ambiti sono sempre uniti, la pace è per l'insieme dcl popolo di Dio»". L'azione educativa alla pace deve essere quindi consapevole dell'unità della famiglia umana, de "l'insieme del popolo di Dio", inteso come bene comune che supera gli interessi di parte e le ristrette ottiche territorialistiche. «Si va alla ricerca della sicurezza nei confì·onti degli altri. Ma finora per sicurezza s 1intende prevalentemente sicurezza t11ilitare, sicurezza da qualcosa di esterno, per cui è necessario difendersi con un esercito e con delle anni. Tale concetto allora è on11ai superato, poiché l'obiettivo da difendere non è il territorio, tna le persone, la cultura di un popolo. Quindi non bastano più le arn1i per difenderci da un ipotetico ne111ico, ci sono n1inacce interne co111e l'inquina111ento che insidiano la vita stessa; ci sono la disoccupazione, la riduzione delle risorse di cibo, la diseguale distribuzione delle ricchezze e dei guadagni. Queste sono tninacce t11olto più pressanti» 16 •
La pace è da intendersi come pienezza di vita, non può identificarsi nella pura assenza di conflitti. L'opera educativa alla pace passa allora per il difficile compito di trasmettere come la conflittualità si deve assumere e superare. L'educazione alla pace diventa quindi educazione della coscienza. L'educazione della coscienza è uno degli obiettivi di fondo (insieme alla educazione, all'amore e all'educazione socio-politica) che la pastorale dei giovani in Sicilia si è data: «Educazione della coscienza, per acquisire capacità di giudizio e di discen1i111ento, per saper leggere evangelican1ente i n1ovi111cnti culturali dcl nostro ten1po e i valori che continuan1ente en1ergono, attraverso il confronto con la non11a, la Parola di Dio e il n1agistero della c:hiesa. Potrebbe costituire lo specifico delle Chiese di Sicilia quale contributo al problc111a-111afìa» 17 •
La fonnazione 1norale della coscienza è quindi lo "specifico" dell'azione educativa della Chiesa nei confronti dei giovani, anche per quanto riguarda il "problema-mafia''. Nel 2° convegno-festa regionale (Acireale 1998), nei "laboratori" di dialogo e di confronto tra i convegnisti, tra raltro, e1nergeva:
1 ' 1b 17
L. PERRELU, (;io1Y111i e nuovi l'alori, in CESI, Dossier Giovani, cit., 62. L.c. UFFICIO REGIONALE PER LA PASTORALE DEI GIOVANI, Indicazioni CO//Jlllli
pastorale giovanile delle Chiese di Sicilia, cit., R. 1
per la
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«Nel tessuto giovanile e soprattutto tra gli adolescenti, sono ancora presenti fermenti di mentalità tnafiosa che porta in auge i controvalori di morte. Sono ancora presenti fenomeni come il clientelisn10, la ricerca della raccomandazione e il tàvore del mondo politico. Il sogno dei giovani di Sicilia è la carità per la concorrenza alla
mafia, la scelta culturale di educazione alla legalità, alla giustizia, all'amore, alla pace e all'u1niltà» 18 •
Educare alla pace significa allora liberare le coscienze da ciò che opprime, dai condizionamenti egoistici e corporativi. Educare alla pace significa anche, nella sua più larga accezione, educare all'amore «quale din1ensionc fondamentale dell'uomo che dà senso al1 1esistenza e cotne
orientamento vocazionale di donazione al progetto di Dio An1ore, con la possibilità - oggi urgente - di chiarire concetti e denunciare degenerazioni e devianze» '1. 1
L'educazione alla pace necessita inoltre l'educazione alla giustizia, al rispetto effettivo dei diritti di tutto l'uomo e di ogni persona, della nonviolenza attiva e della disobbedienza creativa, in una parola, della formazione socio-politica, altro fondamentale obiettivo della pastorale dei g1ovam: «Educazione socio-politica per la difesa del valore assoluto e inviolabile della persona, attraverso il senso cristiano della convivenza u111ana, della giustizia, della professionalità, del pensare politicante, in definitiva nel contesto attuale italiano che esige l'i111pegno responsabile e intelligente di tutti, specie dei cristiani, chia111ati a se111inare speranza contro le spinte deresponsabilizzanti o autoritarie>>è 0 •
Una delle risposte fondamentali alla educazione alla pace dei giovani per le Chiese di Sicilia sta dunque nel formare una coscienza critica, libera, propositiva; sta nella capacità creativa di impegnarsi, come singolo e come collettività, per cercare un nuovo modo di far politica, un modo diverso di entrare in co1nunicazione con l'altro; n1a soprattutto è in1pegno continuo e quotidiano per costruire una civiltà di pace dove la persona può trovare pienezza di vita. rn Io., Sognia1110 una Vita più. Doc111ne11tazione, cit., 58. Io., Indicazioni co1111111i ... , cit., B. 2. :'o Jbid., B. 3. 11 '
t,'ducazione alfa pace ne; docun1enti della ------
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CESJ
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Si tratta di costruire un "sogno", il sogno di una "Vita più", di una "città della pace", dove i giovani credenti hanno una parte da protagonisti. Le "consegne" dei vescovi al termine del 2° convegno-festa regionale riassumono bene -- in definitiva - l'impegno educativo per una coscienza di pace dei giovani di Sicilia: «Nel socio-politico, vi siete interrogati, avete fatto discen1in1ento, avete rifiutato il ruolo di subalterni, avete richiesto spazi di autonomia e di autogestione, non vi si adattano le definizioni di spazzatura della società, di sbullonati nulla facenti, di guastafeste e di in1becilli; il vostro pensare giovane credente per la città vi ha visto sognare città di pace, frontiere di un futuro di uoinini liberi e responsabili guidati da regole e comporta1nenti etici che si ispirano al Vangelo, città rette da uo1nini ani1nati da carità politica, trasparenti, dediti al bene co1nune, i1npegnati sul fronte della legalità, città non più preda della n1afia, asservite da un potere politico clientelare e corrotto, città felicissin1e perché rette da uo1nini votati al servizio del bene con1une, ani1nati da autentica carità politica, città ospitali, pulite, ordinate, vivibili, a di111ensioni u1nane, città fraterne, solidali dove la vita viene accolta e non rifiutata, dove Dio, Cristo Gesù e il suo Vangelo hanno diritto di cittadinanza. li sociale è il can1po in cui si n1isura la credibilità della nostra fede, del nostro credo; il politico nella sua valenza nobile di realtà che interessa la polis è l'area in cui si 111uove l'azione ordinata e carica di senso dei vero credente. Voi giovani siete nelle nostre città, nei nostri paesi il crocevia di un pensiero sociale-politico orientato verso il futuro non contristato da 111alaffare, con1paraggi inatìosi, omertà, inciviltà di costu111i, nialesserc occupazionale, inco1nunicabilità, niancanza di solidarietà. Stateci dentro la storia travagliata di questi nostri anni con la carica interiore dcl vostro credo; giovani, an1ate questa terra di Sicilia, queste nostre città e paesi, a111ateli perché vi appaitengono, sono il vostro passato, rappresentano il vostro futuro. Costruite città della pace, città senza tì·onticre, città della solidarietà, città della gioia, coltivate la civiltà dcll'a111ore .. >r~ • 1
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UFFICIO
1
F.
Mrcc1c11ì:, !11te1pretazio11e del Sogno. Co11c/11sio11i del vescovo delegato, in
REGIONALE
PER
Doc111nentazio11e, cit., 61.
LA
P.i\S"lORALE
DEI
(ÌIOVANI,
Sog11ir11no
una
Vita
più.
Synaxis XVlll/2 (2000) 491-516
VIOLENZA ED EDUCAZIONE ALLA PACE NEI DISCORSI DI GIOVANNI PAOLO li IN SICILIA SALVATORE CONSOLI*
Pre111essa
Questa ricerca continua la precedente: «La mafia nel pensiero di Giovanni Paolo Il»' condotta all'interno del seminario interdisciplinare «Chiesa e mafia in Sicilia» tenuto dallo Studio Teologico S. Paolo nel 1996. Il presente articolo al seminario interdisciplinare su «Violenza ed educazione alla pace in Sicilia>> intende dare un preciso contributo: evidenziare il pensiero del Papa sul fenomeno della violenza nell'Isola, e individuare le vie e gli strumenti che egli indica per un 'educazione efficace alla pace. L'articolo analizza i discorsi enunciati dal Pontefice durante le quattro visite in Sicilia e quelli tenuti in occasione delle visite «ad liminm> dei vescovi dcl!' Isola. Sarebbe stato utile il confronto con gli altri interventi delle autorità ecclesiastiche e civili in occasione delle stesse visite come pure sarebbe stato opportuno cogliere la reazione della stampa: i limiti di spazio non l'hanno consentito.
I.
Atti e stato cli clegraclanle violenza
Nella sua prima visita in Sicilia nel I982, a Palermo, parlando al clero e ai religiosi, il Papa atìlda alla missione di salvezza, che è propria del loro n1inistero, fenomeni quali «Ii 111oltiplìcarsi e l'acutizzarsi della violenza e dcl terrorisn10, la rete
*Ordinario di Teologia 1norale nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 Cfr S. CONSOLI, La 111qfìa nel pensiero di Giovanni Paolo Il. Indicazioni n1etodo!ogiche per uno specifico intervento pastorale della Chiesa, in S)-'11(/XÌS 14 ( 1996) 143177.
Salvatore Consoli
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n101tcplice e sotterranea della delinquenza, che sfocia in cri1nini ed omicidi» 2 ,
sottolineando che sono da leggere quali segni di decadenza, oltre che del senso religioso, anche del livello di civiltà. E, appena mTivato, parlando alla cittadinanza, amaramente afferma che «l fatti di violenza barbara, che da troppo te1npo insanguinano le strade di questa splendida Città, offendono la dignità u1nana» 3.
Ma aggiunge subito che offendono ugualmente la dignità umana «le condizioni subtunane di vita, le discri1ninazioni nei diritti fondan1entali, le disuguaglianze econotnichc e sociali»"
perché, essendo contrari alla giustizia, inquinano i rapporti umani e non «pern1ettono ai singoli ed ai gruppi di raggiungere più piena1nente e più speditan1cntc la propria 1naturazione e perfezione»'.
Giovanni Paolo Il non si limita a constatare gli atti di violenza ma evidenzia anche lo stato di violenza: e considera violenza non solo l'offesa diretta e la distrnzione della persona ma anche il non consentire alla stessa persona la piena realizzazione tnnana. Sarebbe limitativo, infatti, denunciare gli atti dimenticando lo stato di violenza, come pure impressionarsi della violenza fisica e tacere quella morale, giuridica e politica". Nel 1986, parlando ai vescovi siciliani in visita «ad limina», il Papa tra i problemi morali che travagliano la Sicilia in primo luogo pone «la delinquenza che in questi ultìtni anni ha assunto proporzioni allarn1anti: da quella spicciola, che talvolta coinvolge adolescenti e ragazzi, a quella ben più grave che è l'associazione a dehnquere di sta1npo 1nafioso - con interessi e giro di capitali ingenti - dovuta alla bran1osia di ricchezza e alla sete di
" La l'isita del Papa in Siciliu (20-21 noven1brc 1982), in Rh 1isla della L-,hiesa pa/ennitana, dicen1bre 1982, 74 (d'ora in poi abbr. PA). 'Jbid, 51. 4 L.c.
, Le. 6
Cfr S. CONSOLI, voce Violenza, in Dizionario di bioetica, Acirealc-Rologna 1994, I 032-1036.
Violenza e pace nei discorsi di Giovani Paolo II ù1 Sic;/ia
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potere» 7 •
E, oltre a constatare un aumento della violenza, sottolinea con preoccupazione quella organizzata, particolmmente quella di stampo mafioso maggimmente pericolosa per le sue molteplici diramazioni in tutti i settori della vita associata. E, nella visita «ad limina» del 1991, condivide con i vescovi l'apprensione «per l'espandersi della cri1ninalità organizzata di stampo 1nafioso, sempre più se1ninatrice di vittime e di dclitti» 8 ;
e non esita a parlarne in termini di piaga sociale, che costituisce una seria minaccia anche per la Chiesa in quanto «1nina dall 1inte1110 la coscienza etica e la cultura cristiana del popolo siciliano» 9 •
Nel 1993, tornando in Sicilia, parla della mafia e del suo stile di violenza in tennini di disonore e di mortificazione 10 per la persona e, con senso di profonda partecipazione, afferma con dolore: «La vostra un1anità è stata profonda1nente u1niliata, di recente, dalle gesta ignobili di sparute ininoranze criminali e da afìì·ettate generalizzazioni dell'opinione pubblica» 11 •
Ad Agrigento, davanti al tempio "della Concordia", gli viene spontaneo dire: «Vi sia concordia in questa vostra terra. Una concordia senza mo1ii, senza assassinati, senza paure, senza minacce, senza vittime [ ... ] avete il diritto di vivere nella pace. I colpevoli che disturbano questa pace po1iano sulle loro coscienze tante vittime umane [ ... ] Questo popolo siciliano è un popolo che ama la vita, che dà la vita. Non può vivere sotto la pressione di una civiltà 7
L'Osservatore Ro111a110, 22-23 setien1bre 1986, 4. Ad Siciliae episcopos cora111 ad1nissos, in Acta Apostolcae Sedis 84 (1992) 1125 (d'ora in poi abbr. AAS). 9 L.c. 1° Cfr Visita di S.S. G'iovanni Paolo II in Agrigento (8-9 111aggio 1993), in BolletNno ecclesiale agrigentino 86 (1993) 114 (d'ora in poi abbr. AG). ll Ibid., 77. 8
Salvatore C'anso/i
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contraria, di una civiltà della 1norte. Qui ci vuole una civiltà della vita» 1'.';
afferma chiaramente che la violenza è la negazione della pace e sottolinea che contraddice il desiderio di vita che caratterizza il popolo siciliano. La violenza è rottura drastica, bruta e cruenta dell'armonia che deve contrassegnare i rapporti u1nani interpersonali e sociali 11 ; è trionfo del sopruso e dell'inganno'•. Per Giovanni Paolo II è preoccupante il fatto che la violenza diventa una facile tentazione 1' speciahnente per i giovani 16 • Nel 1994, a Catania, parla di «forme di sopraffazione e cmrnzione esercitate da alcuni a danno dei molti,," come pure del «proliferare della violenza organizzata»" e, con sentimento di profonda partecipazione salutando la cittadinanza al suo aJTivo aveva detto: «Troppe volte e da troppo te1npo i figli di questa con1unità hanno subìto l 'u1niliazione di essere additati con1e abitanti di una città degradata e violenta, do1ninata dalla crin1inalità, rassegnata e resa invivibile» 19 •
La violenza, negazione della dignità umana e contraddizione della vocazione dell'uomo alla pace, è un fenomeno che umilia la comunità e la civiltà e degrada l'umanità. Giovanni Paolo Il risulta ben informato delle stragi, dei lutti e dei morti che precedono ogni suo viaggio in Sicilia e sa bene che l'Isola è una comunità offesa e sconvolta dalla violenza mafiosa. Conosce pure gli interrogativi che molti credenti si pongono sulle proprie responsabilità nel recente processo di imbarbarimento e i nobili tentativi di quanti si battono per superare l'arroganza mafiosa innescando un processo di liberazione sempre più esteso e convinto.
"!bid.. 134. 11 Cfr li Papa a C'a/tanissefla (9-1 O 1naggio 1993), in Aloni/ore diocesano, 1naggio 1993, 85 (d'ora in poi abbr. CL). 14 lbid, 102. 15
Cfr AG 77. Il So1111110 Pontefice Giovanni Paolo Il visita la Chiesa di A1azara (8 111aggio 1993), in Bollettino ecclesiastico 88 (1993) 89 (d'ora in poi abbr. MV); CL 87. 17 Visita del S. Padre alla c:hiesa di C'atania (4-5 noven1bre J 994), Catania 1994, 1O (d'ora in poi abbr. cr). 18 lbid, 44. 19 lbid., 10. 1
~ Cfr
Violenza e pace nei discorsi cli Giovani Paolo Il in Siciha
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2. Princz]Ja!i cause che ilnpediscono la pace
Nei suoi interventi Giovanni Paolo li analizza sempre le cause che, non rispettando la dignità umana e non permettendo una vita serena, sono di ostacolo ad una vera pace. Mi limito a raccogliere le principali cause indicate. 1. Parlando alla popolazione del Belice indica il vivere nella "baracca" come insopportabile situazione precaria indegna di persone civili se si tien conto che «La casa è esigenza prilnaria e fonda1nentale per l'uo1110: in essa fioriscono gli affetti fan1iliari, si educano i figli e si gode del proprio lavoro»:>n.
Non va dimenticato che nel 1982, data della visita, era da ben 14 anni che nel Beliee molte famiglie vivevano ancora nella baracca e ciò secondo il Papa «è una degradazione, ed un segno di precarietà, che offende e un1ilia» 21 •
Si tratta di uno stato di violenza che certa1nente 11011 favorisce l'essere e il vivere in pace, ed è particola11ncnte nocivo ai più piccoli: «Sia dunque offerta a tutti la possibilità d'una casa decorosa; sia offe11a particolannente ai ban1bini, i quali hanno bisogno d'un loro nido, d'un luogo sereno e caldo, dove crescere e svilupparsi, senza il rischio di traun1i e di 111alattie>> 22
2. Il Papa indica come altra causa la mancanza di rispetto della persona umana e del bene comune". Nella sua visita del 1993 individua alcuni segni dell'influenza della cultura mafiosa: «(Jcrn1oglia infatti e cresce il se1ne della ingiustizia sociale, del disordine urbanistico cd an1bientale, della disgregazione della fan1ig\ia, della droga, del
39. L.c.
:>o PA "
1
.:: L.c. 21
Cfr ihid., 51.
Sa/valore C'ansali
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degrado an1ministrativo e politico» 2",
e sottolinea che tale situazione costituisce un progressivo sfaldamento della pacifica convivenza. E, con senso di realismo, parla della «strada della ingiustizia, della sopraftàzionc, dell'egoismo che spegne in sé e negli altri la gioia di esistere»"'.
Ed insiste suH'individualismo che è rinnegamento di quella solidarietà che sta alla base del bene comune: «Non è forse da ravvisare in questo la ragione ultin1a del fallimento di una cultura impostata sul tornaconto personale, che non considera i reali bisogni delle persone, specialn1ente delle più povere, condannate a rimanere vittime delle ingiustizie di una società sempre più con1petitiva e sempre meno solidale?» 26 •
Stigmatizza pure l'inganno giacché «Quando questa tre111enda progressione dell'inganno si estende sino a diventare espressione di vita collettiva, si realizza quel "peccato sociale" che in1possessandosi degli organismi e delle strutture, scatena terribili potenze oppressive ed occulte. Si hanno, allora, quelle forn1e di cri1ninalità organizzata che inortificano e spezzano le coscienze, togliendo a tutti la serenità ed umiliando la speranza>> 27 •
3. Evidenzia, anche, come causa grave e preoccupante la mancanza di giustizia e lavoro per tutti'·'. Non esita ad affermare che «la disoccupazione è la morte dei giovani» 29 • Nel discorso ai vescovi in visita «ad limina» nel 1986 dice che «i 'Isola presenta oggi una certa sperequazione eco110111ica e la piaga della :i~ MV
97. Giovanni Paolo Il in visita a Trapani (8 111aggio 1993), Trapani 1994, 38 (d'ora in poi abbr. TP); cfr anche CT 10. 26 AG 130. n TP 39. 28 Cfr PA 120. "
0
29
L.c.
T/io!enza e pace nei discorsi lfi Giovani Paolo il in Sicilia
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niancanza di lavoro, soprattutto per i più giovani; esistono non poche sacche di pove1ià, anche nelle grandi città»-iu.
E nella visita «ad limina» del 1991 insiste: «Tante donne e uon1ini sono ancora privi di una degna attività lavorativa e tnolti giovani cercano tàticosamente, talora a lungo e invano, una prilna occupazione. La disoccupazione soprattutto giovanile è un proble1na di proporzioni così vaste da farlo configurare con1e una questione fra le più gravi degli anni '90»_1 1•
Ad Agrigento parla chiaramente della «piaga della disoccupazione, che turba la tranquillità delle fa1niglie e le prospettive dei giovani» 3.'.
E anche a Siracusa insiste nel parlare di «piaga della disoccupazione» che desta grande preoccupazione", in considerazione anche del fatto che in Sicilia «la cri111inalità inafiosa ha potuto per lunghi decenni spadroneggiare proprio facendo leva sull'esteso bisogno di lavon)»-'-1.
4. E in vista della pace considera negativamente anche la situazione di abbandono culturale e sociale di certi giovani. Molti giovani infatti «crescono in an1bienti di subcultura, di superstizione, di violenza, in balia dei rigurgiti della città, fi1cilc preda della corruzione, della violenza, della droga» 3 \
situazione penosa che si registra particolannentc nelle grandi città siciliane, soprattutto nei molti quartieri periferici, quasi dimenticati dalle varie strutture degli enti statali e locali. ;n
L '()sscrvatore Ro111l1110, 22-23 settembre 1986, 4.
1
AAS, /.c. _,._,Alì 77. '
"Cfr (J10VANN! PAOLO lf, Visita pastorale a Siracusu (5-6 nove1nbre 1994). 01nclia e discorsi, Siracusa 1994, 38 (d'ora in poi abbr. SI{). l-l lbid., 39. 15 PA 120.
Salvatore C'anso/i
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3. Le vie per la pace Analizzando i discorsi fatti in Sicilia si possono facilmente desumere le principali vie che Giovanni Paolo !I indica per il raggiungimento della pace: non va di1nenticato che il suo è un parlare da cristiano a cristiani, anche se in buona parte le sue indicazioni possono essere capite e accettate anche da chi non vive la fede.
1. Come prima via per la pace Giovanni Paolo II indica il rispetto della persona umana e la promozione del bene comune. La realizzazione della serenità e della pace innanzitutto «in1pcgna tuttì direttan1ente e personahnentc, alla pron1ozione del bene con1unc e, in particolare, al continuo ed effettivo rispetto della persona u1nana, alla vigile ed an1orevole attenzione ai bisogni dci più piccoli, degli e111arginati, degli "ultin1i">>'r',
e va sottolineata la concretezza del discorso: il bene è veramente comune quando è ricercato da parte di tutti e quando salvaguarda il bene di tutti, nessuno escluso; il bene di una persona comporta il soddisfare tutti i suoi bisogni concreti, soprattutto quello della maturazione e della perfezione
personale. La ricerca del bene con1une con1porta una precisa educazione ed una
grande fatica che abbisognano di essere aiutate e sostenute; il Papa, con grande senso di realisn10, ai Vescovi concretan1ente indica che «è necessario che le vostre C'ornunità ecclesiali siano luoghi e stru111enti di aggregazione per tutti coloro che intendono consacrarsi attiva1nente al servizio del bene co1nune»-''
Ad Agrigento esprime con molta chiarezza il suo pensiero: «Le difficoltà del 111on1ento attuale rinsaldino in ciascuno la detenninata volontà di oftì·ire il proprio contributo, perché sia perseguito piena1nente il bene con1une, con una attenLione singolare alle fasce più deboli della società: agli anziani, ai disabili, agli en1arginati, agli in1111igrati»-'~.
·~ Jbid, 51.
1126. 77.
_,.., i\AS. 18
AG
Violenza e )Jace nei discorsi di Giovani Paolo il in Sicilia
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Nel messaggio ai giovani che celebrano il giubileo a Siracusa significativamente ricorda che nel partecipare alla vita pubblica e nell'impegno all'interno delle istituzioni bisogna mantenersi «distaccati da ogni interesse personale[ ... ] operando sc111prc e soltanto per il bene con1une»-19 •
La ricerca del bene e della giustizia deve diventare impegno concreto e fattivo, ad esempio per il superamento della disoccupazione c dcl fenomeno droga: «sappiate costruire un futuro ed una società nuovi, in cui ci sia giustizia e lavoro per tutti, la disoccupazione è la n1orte dei giovani. Un fu1uro ed un<1 società nuovi, in cui non ci sia più la droga; la droga è il colpo di scure alle radici dell'esserc»-rn.
E a Siracusa ritorna sul problen1a della disoccupazione e indica co1nc poterlo superare: «La disoccupazione può essere vinta solo se viene affrontata con senso di alta responsabilità dall 'insic111c delle forze interessate l ... "] Si richiede un generoso .~forzo co!!ettivo [... ] nel quadro di una politica occupazionale attenta alle esigenze dci singoli e delle fan1iglie, con particolare riguardo alle fr1sce giovanili>>-1 1
,
se è indispensabile la politica occupazionale non lo è di 1neno lo sforzo collettivo che impegna la generosità di tutti c di ciascuno. La pace con1porta il rispetto dell'uon10; quanto aiuta in tal senso va gioiosa111ente accolto e scrian1ente incren1entato: «Quando l'attività scientifica incide positìvtnnente sul rispetto e la tutela della dignità dell'uon10, contribuisce in inaniera significativa alla costruzione della pace. È pertanto necessario pro1nuovere instancabiln1entc una cultura scientifica, capace di guardare sc111prc a "tutto l'uon10" e a "tutti gli uo111ini" al servizio del bene e della solidarietà universale. Riveste, in proposito, grande rilevanza il progresso dcl dialogo tra scienza e fecie»-1.'.
~1
L '(Js.\'('rl'afore Ro111a110, 23-24 ottobre 2000, 7. 120. SR 39-40.
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Anche il progresso economico e sociale, se è a servizio della persona e della comunità, può essere via alla pace; il Papa ai siciliani, andati a Roma a rendergli la visita, dice con serenità: «Occorre fare ancora passi per raggiungere nel progresso una vera pace
socialc».i'_
2. Il Papa come seconda via indica la formazione della coscienza. Parlando ai docenti universitari, a Palermo, dice: «E chi più di voi, cui è affidato il delicato ed in1pegnativo spazio della cultura, può incidere sull'insie1nc delle idee, sui con1po1ian1enti, sul patrin1onio di valori da tras1nel1ere, sugli orientan1enti di fondo di coloro che saranno i responsabili aniinatori della società di don1ani?».i\
la forza delle idee è maggiore delle misure repressive ed è un antidoto ai mali della società, compreso il fenomeno della mafia. E nel discorso ai presbiteri e ai religiosi ribadisce: «Siate educatori e for111atori di coscienze certe, rette ed illu111inate, perché i fedeli siano ben guidati nelle loro consapevoli scelte in can1po n1orale>r1',
e tal compito si assolve concretamente «nel fonda111entale i111pegno di pron1uovere 1 valori spirituali e 111orali, che coincidono con i valori autentici dcll'uon10»-1 6 •
Contro il rischio di un adattamento passivo alle situazioni il Papa ribadisce «la necessità di curare la forn1azione di coscienze 111ature, di suscitare rinnovato coraggio, cli con1battcrc ogni fon11a di rassegnazione., di pro111uovere la cultura della vita, dcll'an1ore e del perdono>>-1"'.
-1-1/ / discorso di Giovanni Paolo 11 ai /Hlrtec1jH111ti ul pellegri11uggio delle [Jiocesi siciliane di Trapani, J'fazara del Vallo, Caltanissetta, Af?rlf?C11to e Cutnnia, in /, '(Jsservalore Ro111ano, 23 giugno !995, 5 (d'ora in poi <1bbr. Discorso al pellegrinaggio). -1-1 PA 65. 15 lbid., 74. -16 L.c. -1!
AAS,
I.e.
T/iolenza e )Jace nei discorsi di Giovani Paolo II in Sicilia
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La sua convinzione è profonda e precisa: «si tratta di iinpegnarsi ognuno e se1npre a 111antenerc una coscienza onesta, giusta, delicata, responsabile. Ognuno al suo posto si faccia pron1otore di giustizia, di fraternità, di generoso altruismo>1'1\
dunque non può mancare il contributo della singola persona: ciascuno può e deve darlo in base alla coscienza, giacché la persona è la propria coscienza. Il Papa è convinto che per non rassegnarsi al male e per migliorare l'attuale società è necessaria una grande forza morale e a tal fine «è soprattutto indispensabile l'analisi della propria coscienza, che ognuno deve con1pierc ogni giorno davanti a Dio, a se stesso, ed alla con1unità in cui vive [ ... ] Mantenete viva ed efficace questa 111obilitazione psicologica e spirituale delle coscienze, anin1andola particolannente con la forza della preghiera1>~ •
9
Questo discorso sulla coscienza, proprio dell'antropologia cristiana, è quanto mai attuale in questo momento in cui prevale un senso fatalistico dell'ineluttabile e si ha una fiducia esagerala nelle analisi sociologiche. É opportuno precisare che il Papa fa un discorso cristiano: parla infatti di una coscienza illuminata dalla fede in Gesù Cristo"' e animata dalla forza della preghiera". 3. Una terza via è quella dell'amore: «La pace è sempre frutto dell'an1ore»''.', ma di un ainore concreto che diventa partecipazione, condivisione, corresponsabilità e creatività. Con i giovani, a Palermo, è molto chiaro e preciso: «Avete assunto l'a111ore a fì-onte dell'odio e della violenza. E tale amore voi praticate a favore dci poveri, dei deboli, degli handicappati, degli e111arginati, degli anziani, dei diseredati»'_i .
.i~ PA
114 . L.c. '° Cfr ibid., 115. 51 Cfr ibid., 114.
.i
9
''Ti' 60. "f'A
119.
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Anche a Messina, nel 1988, sempre con i giovani è molto lineare e dà precise indicazioni pedagogiche: «Se voi sapete rendervi solidali con i più poveri, generosi ncll'assu111ervi le vostre responsabilità, creativi nell'inventare strutture idonee per far fì·onte ai problen1i e111ergenti, voi vedrete sorgere dalle vostre 111ani quel inondo nuovo, saldainente fondato sulla giustizia e sulla solidarictà» 5\
quando l'a1nore diventa i1npegno è capace di creare una società nuova, dove non ha ragion d'essere la guerra: le mani guidate dall'amore producono la pace. L'amore vero non può non divenire solidarietà, indispensabile alla pace: «Solidarietà è parola che entra sc1npre di più nella coscienza dei nostri conten1poranei [ ... ] Essa non si riduce a un vago sentin1ento di attenzione verso gli altri [ ... ] 1--Ia con1c n1odcllo il Cristo crocifisso: è dunque un atteggia1nento di autentica condivisione, che, tàcendo n1ettere da parte ogni egoistico tornaconto, rende la persona capace di donarsi agli altri [ ... ] In una società ;:oolidale, chi ha di più si sente responsabile di chi ba di 111eno e quanto possiede lo inette a servizio degli altri. Non si tratta di condividere soltanto beni niateriali, n1a il te111po, l'intelligenza, la cultura, la sensibilità. Tutti, dunque, hanno qualcosa da donare ai fratelli>>''.
La solidarietà, quindi, è determinazione ad impegnarsi per il bene comune dando il proprio contributo: si tratta di una via indispensabile alla pace. Impegna tutti e ciascuno, perché tutti siamo responsabili di tutti. Non potrà esserci pace senza una cultura della solidarietà, che implica anche il recupero della legalità. L'a1nore, pur essendo soprannaturale, deve diventare u1nano, nel senso che deve essere in grado di aiutare l 'uon10 a vivere i suoi problc1ni. Ai presbiteri e ai religiosi di Trapani chiede espressamente: «Insegnate la legge dcll'a111orc cristiano! La carità soprannaturale spezza catene ataviche di odio o di vendetta. Siate voi per prin1i a proporvi con1e ese1npi fulgidi di quella solidarietà e di quel servizio, che Cristo ha lasciato
-'"Giovanni Paolo Il a 1'fessina per la ca11011izzazio11e della beata.J::11stochia S1neralda C'ah{fàto (11 giugno 1988), in Bollettino ecclesiastico 111essinese 67 (1988) 167 (d'ora in poi abbr. ME).
'"CL 96.
Violenza e ]Jace nei discorsi di Giovani Paolo Il in 5ùcilia
503
co111e testan1ento ai suoi disccpoli»v'.
L'amore vero comporta il superamento della cultura impostata sul tornaconto personale che, non facendo considerare i bisogni reali delle persone, condanna i poveri e i deboli a rimanere vittime delle ingiustizie di questa società, sempre più competitiva e sempre meno solidale". L'amore c1istiano non può non portare alla conversione grazie alla quale «l'egoisn10 è sostituito dall'altruisn10, l'odio dall'an1ore, la vendetta dal perdono, la cupidigia dal servizio a111orevole, l'cgois1110 e l'individualis1110 dalla solidarietà, la divisione dalla concordia l- .. J la violenza dalla niisericordia» ' 8 ,
atteggiameuti tutti capaci di creare rapporti e situazioni di pace. L'amore non può non diventare concordia. Giovanni Paolo Il è spinto a parlarne ad Agrigento accanto al tempio "della Concordia": «Sia questo non1e profetico. Vi sia concordia in questa vostra terra. lJna concordia senza niorti, senza assassinali, senza paure, senza n1inacce, senza vitti111e. Che sia concordia. Sia la pace a cui aspira ogni popolo, ogni persona tnnana, ogni fan1 igl ia»w.
La concordia, espressione dell'amore, è al contempo via alla pace ed esperienza di pace. L'amore produce la «civiltà dcl!' Amore»: Giovanni Paolo Il ne parla tante volte. A Caltanissetta esorta i giovani in modo preciso: «Allenatevi l- .. J per essere costruttori generosi ed ardenti della "Civiltà dell' Aniorc">/'0 •
A Catania dirà che la civiltà dell'amore può e deve essere costruita da tutti insieme attraverso le necessarie vie della giustizia e della pace'". 6 ' T!'
17.
"CfrAG 130. 58 lbid., 129. 51 ' Jbid., 134. (,il('!. 82. i>1
Cfr
CT
42.
Salvatore Consoli
504
4. Una quarta via indicata è quella della speranza. Il Papa parla di una speranza concreta che non può non avere dei riverberi sociali: «La speranza che libera la storia dalla fatalità del male, dell'ingiustizia, della guerra)> 6".
Ma perché la speranza possa costruire un foturo e una società nuovi in cui non ci sia più violenza e gue1Ta, è necessario che «Sia la vostra una speranza tenace, diffusiva di fronte al fatalis1no, alla disgregazione, all'omertà, alla en1arginazione delittuosa, al crin1ine, che tanto sangue, tanti 111orti ha fatto sulle vostre strade» 63 •
Come ben si vede si tratta di una speranza che, facendo superare disfattismo ed egoismo, diventa liberazione dalle strutture ingiuste e risurrezione dei deboli, dei poveri e degli emarginati. A Trapani il Papa si presenta come annunciatore della speranza e invita ad essere se1ninatori dì speranza, precisando che si tratta di quella speranza che, fondandosi su Gesù Cristo che ha già vinto il mondo ed è Signore della storia, è capace di risolvere i gravi problemi della Sicilia, a condizione che, superando la rassegnazione, diventi dedizione fiduciosa e tenace nella ricerca del vero bene della popolazione"". Due anni prima, incontrando i vescovi siciliani a Roma per la visita «ad limina», aveva assegnato loro un compito di speranza: «[ .. ] siate piuttosto apostoli di 0Uimis1no e di speranza, infondendo fiducia ai più diretti collaboratori e al1 1intera società della vostra Regione11 65 •
La speranza deve diventare coraggio e partecipazione responsabile: «[ ... ] abbiate il coraggio della pace: costruite con tenacia una co111unità a di1nensione d'uomo, respingendo ogni richia1110 alla violenza e all'egoisn10 [ ... ] vi addito le vie della speranza e dell'ardin1ento, della pattecipazione responsabile e del fraterno i111pcgno in ogni an1bito dcl vivere civiJe,,M.
r,
1
63
6
"
65 i,r,
PA 120. lbid., 121. CfrTP 16-17. AAS, [ 127. AG 77.
Violenza e ]Jace nei discorsi di Giovani Paolo Il in Sicilia
505
La speranza, frutto della risu!1'ezione di Cristo, è dono e chiamata ad alzarsi, a n1ettersi in piedi: «"Alzati!"[ ... J Giovani che n1i ascoltate, sì, egli vi invita a inettervi in piedi; vuole che ad Agrigento, nell'Isola [ ... ] i giovani prendano in n1ano il loro avvenire[ ... ] Alzarsi vuol dire n1cttersi in ca1111nino, un cam111ino di ricerca e di liberazione, di lotta al proprio egois1no e di apertura ai fratelli[ ... ] Reagite con fcrn1ezza ad ogni fallace se111inatore di egois1no e di violenza[ ... J Se uno si alza, se uno si converte, leva con sé il niondo intorno a lui, lo fa alzare. E quale spinta veran1enle rinnovatrice potrà ricevere da tutto ciò l'intera società! La società deve essere guarita, rinnovata attraverso ciascuno di noi; ciascuno ha la sua parte in questa conversione co111unitaria che costituisce la vera realizzazione della civiltà del!' ;unoren° 7;
la speranza facendo alzare la persona le consente di sollevare l'ambiente e la società in cui vive, essa rende la persona veramente attiva e protagonista. Anche a Catania, nel 1994, insisterà sul dovere di alzarsi, Al pnmo incontro con la cittadinanza dice: «Catania, alzati e rivestiti di luce e di giustizia [ ... ] A tutti dico: state in piedi, concittadini della 1nartire Agata, sappiate vincere il 111ale con il bene! Colui che ha sconfitto il peccato e la niorte è con voi!» '~. 1
La speranza, se diventa conversione personale, consente di trasformare la società in civiltà dell'a1nore, dove cioè non hanno luogo violenza e guc!1'a. L'alzarsi, atteggiamento caratteristico della speranza cristiana, è un 1novin1ento che partendo da Cristo che si alza dal sepolcro, passa attraverso la persona per estendersi alla società. La speranza dà la forza necessaria per non abbattersi nel vedere trionfare intorno il sopruso e l'inganno'·" e infonde coraggio nel reagire al 1naleìn. La speranza è un dono personale che va alimentato nella comunità: «È ten1po di riorganizzare insie111e la speranza. L'ora della rinascita deve far sprigionare le tòrzc del bene da Ìlnpiegare senza indugi per dar vita ad un presente più un1ano e cristiano, e ad un futuro n1igliore per tutti. Siate
67
lbid' 85-88. 11. 69 Cfr CL 102. 711 Cfì· SR 39. 1.~ CT
Salvatore Consoli
506
consapevoli e pronti ad offrire ciascuno il proprio contributo» 71 •
A Siracusa parlerà della necessità di una grande mobilitazione di energie per affrontare e risolvere i gravi problemi del momento". E per apprezzare maggiormente queste sottolineature del Papa, non bisogna dimenticare che secondo l'insegnamento del Vaticano 11 la Chiesa è «comtmità di speranza»", ed ha il compito di essere «gcnne validissimo di speranza» 1 ~.
4. Stri1111e11ti e n1ezzi SJJec?fìci per costruire la JJace
Le ingiustizie non debbono generare il fatalis1no e nen1111eno l'illusione di poter vincere il male con la violenza e con la forza, al contrario: «Voi tuttavia avete anni che, sia pure 111eno appariscenti, non sono 111eno efficaci: le arn1i della preghiera, della dedizione perseverante [ ... ] della 111issionc pedagogica e caritativa, della purezza di vita, della parola franca e sincera, della pazienza cristiana, piena di una speranza d'in1111ortalità. Sono queste le stesse anni di Cristo r... ] Sono le arn1i che hanno vinto il 111ondo»'.'5;
il rapporto con Dio ca1nbia la vita personale e consente una relazione nuova con gli altri e con la società: la pace, essendo un bene con1une, è opera di tutti. Tra le molte armi o mezzi indicati dal Papa mi piace evidenziarne appena alcuni. I. Innanzitutto l'aiuto della pedagogia pastorale. Non la violenza e nemmeno la forza ma la parola di verità e di speranza possono aiutare gli altri a ca1nbiarc e a diventare costruttori di pace. Giovanni Paolo 11 richiama la 111issionc pedagogica con1e 111ezzo che la Chiesa possiede per essere costruttrice di pace. Ai Vescovi in visita «ad limina», nel 1991, richiama il dovere proprio della pastorale
71
CT 45. '' Cfr SR 39. 71 L111ne11 Ge11tit1111, n 8. -i Jbid., 11 9. -, 5 Pi\ 83.
Violenza e pace nei discorsi di Giovani Paolo 11 in Sicilia
507
«a sostenere la buona volontà di tanta gente onesta e laboriosa, che quotidianan1cnle opera per la giustizia e per la pace» 70 •
Nel 1993, a Mazara del Vallo, con i presbiteri e i religiosi è molto preciso: «Siate particolarn1ente vicini ai giovani, troppe volte frastornati dai 111oltcplici richian1i della società aliuale, tentati spesso dal successo tàcilc, dalla droga e dalla violenza. Sappiate essere per loro degli autentici pedagoghi, in grado di aiutare le loro personalità in via di inaturazione a scoprire dentro di sé la verità e la libertà del progetto di Dio» 77 •
È proprio della pedagogia cristiana, espressione della misericordia di Dio, essere vicino all'altro, soprattutto se giovane, nelle tentazioni e diventare servizio della verità e guida alla libertà. La Chiesa non può limitarsi a considerare la pace come fatto politico e sociale, deve riscoprirlo come suo compito pedagogico: lo assolverà educando sul modello di Cristo mite e re della pace come pure proponendo le beatitudini come ideali propri dcl discepolato cristiano. 2. li Papa richiama l'altro mezzo che è la preghiera. A Palermo, parlando alle religiose, tra le armi efficaci di cui dispongono annovera espressamente e in primo luogo <dc anni della preghiera»''.
A Catania, parlando limpegno sociale:
ai
g10va111, mette in relazione la preghiera con
«La preghiera incide fòrle1ne11/e, ad ese111pio, sulla vita sociale: un essere un1a110, che si rivolge a Dio con cuore sincero, non può inodellare il suo con1porta111ento sulla legge della forza e della sopraffazione! Si vede allora che la preghiera è sorgente di un1anizzazione e di libcrazione» 1' \
16
AAS, 1125. -, /vlV 89. 7 "
sPA83. 9 CT 29.
Salvatore C'ansali
508
la preghiera, mettendo in contatto con il mistero di Dio, fa emergere tutto quanto è in contrasto con la santità di Dio, e quindi, anche, la ingiustizia e la violenza. 3. Giovanni Paolo Il indica come mezzo anche la liturgia. A Messina, nel discorso ai giovani parla di «un n1oto pendolare, che sospinge dal cuore del inondo all'altare e viceversa: ci si i1n1nerge nei problc1ni dcl n1011do con la forza di carità attinta da Cristo nella liturgia; e si ritorna a celebrare l'Eucaristia portando all'altare i problen1i e le ansie, le gioie e i dolori dei fratelli incontrati lungo le strade del 111ondo»~ 11 ,
con la carità senza limiti che sì attinge nella liturgia è possibile superare le gravi ingiustizie che si incontrano nella società e si può vivere quel rapporto di fraternità che diventa rispetto dell'altro, atteggiamento indispensabile per la pace. A Catania, sempre con i giovani, è molto chiaro: «Se la "linfa" di Gesli scorre in noi, subito con1inciano a inaturare certijì·ut/Ì
buoni ben riconoscibili. L'apostolo Paolo ci insegna a identificarli parlando ai cristiani della Galazia: "an1orc, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, initezza, do111inio di sé" (Gal 5,22). Quando le nuove generazioni po1iano questi frutti, la corruzione è vinta, la violenza è vinta, la 111afia è vinta; e a Catania, in Sicilia, in tutta Italia, nel niondo si realizza la civiltà dcll'an1ore» 81 .
La logica del Papa è chiaramente mistagogica: la grazia, donala dai sacramenti celebrati nella liturgia, crea l'uomo nuovo che, a sua volta, vincendo i mali storici, realizza la civiltà dell'amore, contrassegnata proprio dalla pace. A Siracusa, salutando i bambini, continua e approfondisce il discorso mistagogico: «Molti di voi già lo ricevono nel sacran1cnto dell'Eucaristia. [ ... ] È lì che potete trovare la forza per essere buoni e contribuire a 111igliorare il 111ondo» 8",
811
81 8
è
ME 168. CT
31.
SR 26.
Violenza e pace nei discorsi di Giovani Paolo Il in Sicilia
509
il miglioramento del mondo passa attraverso il cambiamento dell'uomo reso possibile dalla forza dei sacramenti, e specialmente dell'Eucaristia. E specifica quali sono i mezzi che si ricevono per trasformare il inondo in una convivenza di pace: «Ecco: Cicsù vi n1ette nelle n1anì le sue arn1i, arn1i pacifiche; non coltelli e pistole, co111c vedete alla televisione e con1e pu1iroppo a volte succede nella realtà. Le sue anni sono: la preghiera, il perdono e il .s·acrfficùn>~',
solo le armi "pacifiche" possono e debbono produrre la pace: questa è l'esperienza specifica dei cristiani. 4. Un altro mezzo è la conversione. Ad Agrigento, nel discorso ai giovani, parlando dci sentieri della criminalità, della droga, dei lavori illeciti e degradanti dice con chiarezza e fcrn1czza:
«l ... ]
reagite con fern1ezza ad ogni fallace sc111inatore di egoisn10 e di violenza. E se qualcuno per caso si trovasse irretito nei sentieri dcl n1ale e si sentisse perduto, rientrato in sé stesso trovi il coraggio di tornare indietro verso la casa del Padre, con1c il figlio prodigo dcl Vangelo l ... ] Se uno si alza, se uno si converte, leva con sé il 111ondo intorno a lui, lo fa alzare [ ... ] La società deve essere guarita, rinnovata attraverso ciascuno di noi; ciascuno ha la sua parte in questa conversione con1unitaria che costituisce la vera realizzazione della civiltà dell 'an1ore»~~. (~01ne ben si vede, non si liinita ad esortare 1noralistican1ente alla conversione) 1na pedagogica111entc sottolinea la din1ensione comunitaria e sociale della conversione: data la nah1ra sociale dcll 'uon10) la conversione della persona ha dci conseguenziali riverberi sulla società. Come il peccato sociale è tì·utto dei peccati personali, così il ca111bian1ento sociale passa attraverso la conversione delle persone, cioè il necessario can1bian1ento di mentalità. Opportuna la sottolineatura che non c'è conversione senza pentin1ento, e non c'è penti1ncnto senza il "tagliare via" quanto contrasta con
si
f/Jid., 26.
~-I i\G
87-88.
.5alvatore Cunsoh
510
il Vange!O''': l'egoismo, l'odio, la vendetta, la cupidigia, la divisione, la violenzaHf•.
E non manca l'altra sottolineatura, propria della migliore pedagogia cristiana, che la conversione esige «una coraggiosa tcsti111onianza esteriore, che si espri111e in una convinta condanna del 111alc. Essa esige, qui, nella vostra terra, una chiara riprovazione della cultura della 111afia, che è una cultura di 111orte, profondan1cnte disu111ana, antievangclica, ne111ica della dignità delle persone e della convivenza civilc»~ 7 .
La cultura mafiosa, essendo antievangelica, va sottoposta a conversione; e il pentiincnto, per essere sincero, non può non diventare riprovazione e dissociazione dalle varie e 1no1teplici espressioni di questa cultura. Ha fatto scalpore sulla stampa il richiamo a volersi convertire fatto ad Agrigento agli uomini della mafia: «Nel non1e di C:ristù, crocifisso e risorto, di C'risto che è via, verità e vita, 111i rivolgo ai responsabili: convertitevi, un giorno arriverà il giudizio di Dio»s:;_
È un richian10 proprio di un pastore e di chiara natura e 1notivazione evangeliche; è una precisa indicazione alle Chiese affinché nel n10111ento in cui parlano del fenomeno della mafia, non dimentichino gli uomini irretiti dalla n1afia e li aiutino a liberarsene. 5. Giovanni Paolo JJ richia1na anche il n1ezzo, particolarn1ente efficace, che è il sacrificio. Ad Agrigento ricorda con commozione coloro che in Sicilia «per affern1arc gli ideali della giustizia e della legalità, hanno pagato col sacrificio della vita, il loro in1pegno di lotta contro le forze violente dcl 111ale»:;'J.
Cfr ibid, 88. si, Cfr ihid.. 129. p lbid., 130. ss Jbid., 134-135. 89 lbid, 106. s;
Vfr1lenza e ]Jace nei discorsi di Giovani Paolo il in Sicilia
511
E, con molto realismo pastorale, il Papa è convinto che perché ci possa essere la pace «La Chiesa siciliana è chia111ata, oggi con1e ieri, a condividere l'i111pegno, la fatica e i rischi di coloro che lottano, anche con discapito personale, per gettare le prcn1csse di un futuro di progresso, di giustizia e di pace per l'intera lsola» 90 •
È forte, ma necessario, questo richiamo dcl vescovo di Roma alle Chiese di Sicilia ad uscire da un certo verbalismo nel quale potrebbero attestarsi: la giustizia e la pace comportano, come ha insegnato la Caudium et Spes, il caricarsi di quella croce che «dalla carne e dal mondo viene messa sulle spalle di quanti cercano la pace e la giustizia»'! 1•
5. La 111;ssione cli «crocevia» e «incontro»jì·a j.JO}Jo/i clivers;
Nelle varie visite fatte alle Chiese dell'Isola il Papa mette sempre m risalto che la Sicilia, nella sua storia plurisecolare, è stata centro di convergenza e di incontro di culture diverse, evidenziando che «per la sua posizione naturale, è un centro di con1unicazionc tra Oriente e ()ccidente, un provvidenziale congiungìn1ento tra sponde di diversi popoli»'Jè.
Giovanni Paolo H se, a motivo della posizione geografica, legge al passato la storia della Sicilia con1e un «Crocevia di civiltà e di incontro tra Oriente e Occidente» 9 -',
al presente la vede quale «punto di incontro e di convergenza tra Oriente e Occidente e ponte verso i Paesi del Nord Afì·ica»'1-1.
911
Jbid., 131. et 5/_Jt:s. l'A 88. lhid., 99. lhid., ! 19.
') 1 Ga11di11111 '!è 91 <J-J
11
38.
Salvatore Consoli
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Secondo tali indicazioni la posizione geografica e la storia, quindi, debbono costituire per la Sicilia segni di una chiamata di Dio ad una 1nissione specifica. Parlando a Messina è chiaro: «La vostra città, infatti, carissin1i fratelli e sorelle, con1e porta della Sicilia e dell'oriente, attraverso la quale l'Europa ed i popoli del Mediterraneo, incontrandosi, hanno dato origine ad una civiltà ed ad una cultura ancora vive ed ape1ie al futuro, è naturaln1cntc chia1nata a diventare co1ne la città evangelica posta sul n1ontc, che irraggia luce n1ediante il bene che vi si con1pie»'6 .
Ed è ancora più esplicito e maggiormente propositivo con i giovani della stessa città: «Chi non sa che la vostra Città, "porta della Sicilia", è ad un te111po un balcone aftàcciato sul continente e un naturale crocevia fì·a Oriente e ()ccidente, tra Nord e Sud? Non v'è in questo una sorta di vocazione particolare? Voi siete chian1ati ad essere uon1ini e donne del dialogo: dialogo religioso tra ()riente e ()ccidcntc cristiano; dialogo culturale tra il n1ondo europeo e quello dell'Africa e dcl vicino Oriente; dialogo sociale tra Sud e Nord per la crescita cconon1ica delle zone n1eridionali»'16 ,
e il dialogo che il Papa affida ai giovani è un presupposto necessario per la pace. Nel 1993 parlando alla cittadinanza dice che «Mazara del Vallo è un crocevia tra la civiltii europea cristiana e quella arabo-111usuln1ana. Essa vive continua1nente la sfida della tolleranza e del dialogo»'1;·,
tolleranza e dialogo messi a dura prova dal fenomeno dell'immigrazione africana, a motivo soprattutto della scarsità di lavoro. Anche a Mazara, dal fatto di essere «vero crocevia della storia fra due civi1Là»' deduce che la città ha la 111issionc di dare un «notevole contributo ad una cultura di tolleranza e di pace»''''. 1 \
<J:i <I(,
r..JJ-: 134. lhid, 166.
17 '
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'!~
Jbid, 97.
<)<)!".c.
82.
Violenza e pace nei discorsi di Giovani Paolo Il in Sicilia
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A Caltanissetta Giovanni Paolo Il richiama e sottolinea questa vocazione della Sicilia ad assolvere un compito di convivenza e di pace: «Caltanissetta[ Posta nel cuore della Sicilia, Tu sei crocevia di strade che hanno scandito il camn1ino della civiltà sicula: sii ancora oggi all'altezza di questa tua vocazione; riscopri la fede dei tuoi padri, crescendo senza tentennatnenti nella fedele e docile attuazione dei valori della civile convivenza. Sii luogo di accoglienza e di incontro»w0 •
Viene sempre collegato all'essere, geograficamente e storicamente, crocevia il compito di diventare centro di convivenza e strumento di pace. Nella stessa città esprime chiaramente la sua convinzione quando espressamente affenna che bisogna «far riscoprire alla Sicilia il suo ruolo di ponte tra cutture e popoli diversi; un ruolo che le deriva dalla sua storia di cerniera tra Europa occidentale, Asia n1eridionale ed Africa isla1nica» 1111 •
L'essere "ponte" e "cerniera" diventa 1nissione a divenire luogo e strumento di confronto e di dialogo: è quanto il Papa sinceramente auspica «Se poi si considera la peculiare posizione della Sicilia, posta al centro dell'area n1editerranea, è legittin10 prevedere che qui si possano incontrare persone appa1ienenti ai popoli di diversa cultura, lingua e religione prospicienti il Mediterraneo» 10è.
Quello della Sicilia, quindi, è un compito di pace non solo per l'Europa ma anche per tutto il Mediterraneo; un compito non leggero ma certamente esaltante: sarà dovere delle Chiese di Sicilia richiamare e sostenere i fedeli in questa missione che il Papa ha aiutato a scoprire. Nel suo ultimo viaggio in Sicilia, a Catania, ritorna sulla sua convinzione che «La Sicilia non è un'espressione geografica» 1n3 :
11111
CL 69. !bid, 76. Hc L.c. io_1 Cl 52. IOI
Salvatore Consoli
514
ma l'essere stata punto d'approdo di popoli e crogiolo di diverse culture e della civiltà europea, la impegna per un futuro di cultura di pace. Nel messaggio inviato in occasione del pellegrinaggio giubilare al santuario di Siracusa affida ai giovani il compito di realizzare «la vocazione della Sicilia ad essere crocevia di popoli nel cuore dcl Mcd iterraneo» 10-1,
che si fonda sul grande patrimonio naturale e culturale dell'isola. È anche importante richiamare il significato che, ad Agrigento, il Papa ha attribuito al tempio "della Concordia", rimasto dalla antichità nella Valle dci Templi, e il valore profetico che ne ha saputo cogliere per l'impegno di pace della Sicilia.
Conclusioni 1. Giovanni Paolo Il è convinto e, quindi, richiama fortemente alla coscienza dei cristiani di Sicilia che lavorare per la pace fa parte del discepolato cristiano. Una traccia significativa si trova nel discorso, rivolto a Catania, ai presbiteri, ai religiosi e ai laici impegnati: «Essere discepoli di Cristo stin1ola ed i111pegna a costruire una società se1npre più giusta, una con1unità sen1pre più accogliente, se111pre più "luogo di vita"[ ... ] quali sono i frutti dcl Regno? Sono certan1ente la verità, la libertà, il rispetto della vita, la giustizia, l'onestà e la solidarietà. Frulti da invocare 111cdiante una preghiera costante e intensa, affinché divengano coscienza personale, sociale e co111unitaria>> n"'_ 1
2. l,.,a pace non viene presentata in n1odo generico 111a è descritta concretamente nei principali elementi che la costituiscono, quali ad esempio libertà, rispetto per la dignità del! 'uomo e per la vita, giustizia, qualità del rapporto interpersonale e sociale [ ... ] 3. L'educazione deve mirare a che il dovere di lavorare per la pace diventi, innanzitutto, coscienza personale: ciascuno deve essere consapevole della necessità del proprio contributo ed essere pronto ad offrirlo, a qualsiasi 1 11 { 10
L 'Ossen atore Ron1ano, 23-24 ottobre 2000, 7. ;cr45. 1
Violenza e pace nei di5·corsi di Giovani Pool o Il in Sicilia
515
costo. È preciso e forte l'appello del Papa ai cristiani di Sicilia: «Abbiate l'umile coraggio di prendere nelle vostre mani il futuro, illuminati e guidati dalla signoria di Cristo» 10{'. 4. Inserendosi nella migliore pedagogia cristiana, Giovanni Paolo TI non dimentica di additare la cura del cuore. Ricorda infatti che per costrnire la pace bisogna «annonizzare una convivenza civile costanten1ente 111inacciata dalle eruzioni vulcaniche del cuore u111ano sUFFICIO IZEGION/\LE PER LA P1\STORALE DEJ G!OVANI,egnato, con1e ricorda un in1portante docu111ento dell'ultin10 Concilio, da un profondo squilibrio (cfr Goudit11n et .)jJes, n 13)» 1117 .
5. La pace è un fì·utto di natura sociale e con1unitaria: bisogna, pertanto, sprigionare e organizzare insieme le forze del bene da impiegare per dar vita ad un presente più umano e ad nn futuro migliore per tutti e per dare alla Sicilia «un vollo rinnovato» 1118 • 6. Le indicazioni che Giovanni Paolo TI dà alle varie Chiese di Sicilia non sono moralistiche o generiche ma specifiche, riguardanti c10è l'intervento pastorale, proprio della Chiesa. 7. Le sue insistenze sono dovute anche al fa!!o che il Papa è profondan1cntc convinto che «c'è in Sicilia un popolo buono, ospite.ile, generoso, religioso, che an1a la pace e vuole la giustizia» 1119 :
le Chiese hanno il dovere pastorale di aiutare questo popolo, con i mezzi propri della pedagogia cristiana, a realizzare la pace e la giustizia profondamente desiderate. Essendo convinto della «volontà di riscatto» 1111 dei siciliani, ritiene responsabilmente che «Di questo popolo siciliano, pieno di risorse e valori, la Chiesa [ ... ] deve ](J(,
111 111
11
;
~
N 110
Discorso a{ pellegrinuggio, l.c. Cl 53.
Discorso al pellegrinaggio, I.e. L 'Ossen'alore Ronu1110, 22-23 sellen1brc 1986. 4. IJiscorso al pellegrinaggio, I.e.
Sa/valore Consoli
516
continuare ad essere sicuro punto di riferi1nento» 111 •
8. A Palermo nel 1995, in occasione del terzo convegno della Chiesa in Italia, dà un preciso segnale di speranza: «Cotne non riconoscere [ .. . ] che la gente del meridione, in tanti suoi esponenti, viene da tetnpo riproponendo le ragioni di una cultura della tnoralilà, della legalità, della solidarietà, che sta progressivan1ente scalzando alla radice la mala pianta della cri111inalità organizzata?» 112 :
s1 tratta di una constatazione vera che incoraggia molto a prosegull"e, innanzitutto, nella via del superamento della violenza e, poi, nella costruzione della pace.
111 112
AAS, 1125. L'Osservatore R(n11a110, 24 noveinbrc 1995, 4.
Synaxis XVTIJ/2 (2000) 517-521 li 20 settembre 2000 è stato chiamato nella casa del Padre il prof Alfio Fisiche/la che ha insegnato Sociologia generale e Sociologia religiosa e pastorale dalla fondazione dello Studio Teologico .fino all'anno accademico I 988-1989. li S. Paolo, riconoscente per il servizhJ ricevuto, ne ha chiesto una n1e1norh1 a cion Franco Longhitano, JJarroco in S. Maria ciel/a Salute a C'atania, che, so11rattutto in questi u!tilni anni, gli è staio .fi·aternan1ente vicino. RICORDANDO IL PROFESSORE ALFIO FISICHELLA
Quando il novello sacerdote Alfio Fisichella usciva dal seminario io vi entravo. Quella mattina del 19 ottobre 1947 ha lasciato nella mia memoria di adolescente in1111agini, senti1nenti ed en1ozio11i indelebili. Vedo ancora scorrere con1e in un fihn Ce\liniano la lunga teoria dci sen1inaristi che attraversava la via diritta di S. Giovanni la Punta, in quell'atn1osfera paesana d'un ten1po, senza il traffico di auton1obili, colina di pace e di silenzio, nel quale si fondevano insieme il fruscio delle talari e il calpestio sulle foglie dei platani cadute per l'autunno inoltrato. Rivedo i rari capannelli mattutini degli uomini, che al passaggio della doppia fila dei chierici intuivano e con1111entavano la straordinarietà di quella do1nenica 1nattìna, 1nentre con i soliti discorsi a loro fl1n1iliari gustavano il riposo festivo. Sento risuonare i passi che le donne, con l'abito della festa, affì·ettavano per assicurarsi un posto nella chiesa e godersi la funzione. Rivedo lo stagliarsi - quasi a sorpresa, dopo l'ultima curva - dell'imponente prospetto della chiesa madre, con quella scritta che -- per quei pochi che ne intuivano il signilìcato - diveniva 1notivo di ca111panilistico orgoglio: "Inter natos nlulicrun1 non surrcxit n1ajor Joanne Baptista". Era con1e una 111irabile scenografia lo sfondo nitidissimo d'invidiabile bellezza: l'Etna con la 1nontagnola in prin10 piano e con una lieve spruzzata di neve sulla son1n1ità del cratere) quasi a dire "(~bi salirà all'altare del Signore? Chi ha le n1ani innocenti ed il cuore puro". Il tempio era colmo quando le campane - sciolte tutte per fare arrivare anche nella can1pagna circostante rannuncio di un evento eccezionale - diedero il segno che l'arcivescovo era già sul li1nitare della soglia. _Benedicente e aflàbile, venerando e paterno, diaflu10 e solenne -n1algrado i suoi 77 anni 111ons. Carn1elo Patanè era radioso e si notava
518
Franco Longh;tano
quanto fosse esaltato, pur nella sua limitata statura, al canto possente e solennissimo del "Saecrdos et Pontifex" che la Schola intonò, con gli acuti dei soprani e dei contralti e le voci gravi e baritonali degli adulti. Quel giorno erano in nove gli ordinandi. Li ho visti pregare e mi è parso vederli sognare. Anche tutti noi con loro pregavamo, chiedendo al Signore che ciascuno di loro - con tono e carisn1a diverso - divenisse segno sensibile dei doni dello Spi1ito Santo, come annuncio di grazia per la Chiesa e per la nostra diocesi. Penso che ogni n1an1111a chiedesse al Signore, nel giorno dell'ordinazione presbiterale, che il proprio lìglio divenisse un "santo sacerdote", 111a che potesse un giorno anche occupare un posto di prestigio. Ai genitori, come alla madre dei figli di Zehedco, si possono consentire
anche i sogni an1bil'.iosi. Erano ten1pì duri quelli e di grandi istanze e capovolgin1cnti sociali, quando solo pregare non poteva bastare. Le ferite inferte dalla guerra non si erano ancora cicatrizzate. Erano state rin1osse le n1accric degli edifici distrutti dai bo111bardan1enti, n1a urgeva recuperare quei valori che la furia della guerra aveva distrutto e nello stesso te111po contenere l 'i111peto delle nuove ideologie irron1penti. Si usciva appena dagli anni in cui gli ele1nentì pili indispensabili per sopravvivere si potevano acquistare solo con la carta annonaria. «Eppure .scrive n1ons. Maurino Licciarclello, coetaneo e confì·atello di ordinazione sacerdotale di n1ons. Fisichella né furore di guerra, né t~1n1e, né sacrifici, né ristrettezza di locali, né inevitabili privazioni, né assoluta n1ancanza delle più elen1entari con1oditò, riuscirono a bloccare il can11nino arduo, n1a esaltante, di quei n1anipoli di chierici che "in spc contra spen1", vollero, ugualn1cnte, scalare la vetta sublin1c del sacerdozi<.H>. Lo sguardo e le cure a111orevoli dì quel grande rettore che fu 111ons. Francesco Pennisi avrebbero caratterizzato la storia di tante generazioni di sacerdoti. Non dispensavano, però, dal rigore e dalle privazioni, che erano in1poste dalle circostanze, e che si trasforn1avano quasi in scuola e nonna per chi doveva forn1arsì a non essere don1ani un "delicatus niiles" n1a un tcstin1011e credibile che il "Sacerdo?:io è Poesia" anche in n1ez7.0 ai pericoli di un "Sacerdozio Tradito" perché incon1preso dalla logìca del 111ondo circostante, dal potere e talvolta anche dai propri fiuniliari. Due grflndi guerre, que\!a europea e quella 111ondia!e, invece di cancellare il ricordo della "Reru111 Novarun1" e della ''Quadragesin10 anno" ne avevano invece sottolineato sen1pre di più la necessità dell'in1pcgno della C'hiesa nel sociale. L 11talia fascista e la Gennania hitleriana avevano cercato di elin1inare tutte le opere sociali cattoliche, n1ovi111enti e sindacati a beneficio elci loro organisn1ì totalitari. Ora, nel nion1ento in cui il con1unisn10
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rivoluzionario - con la dottrina e con l'azione cercava di in1porsi co1ne concezione totale dell'uomo e della società, sarebbe stato antievangclico un disimpegno dei cattolici per la promozione nel campo sociale. Pio Xli, al clamoroso Radiomessaggio della pentecoste dcl 1941, aveva Jàtto seguire renciclica "Que111ad1nodum)' per una pren1urosa assistenza ai fanciulli indigenti, proprio quell'anno 1947 pubblicava l'enciclica "Optatissima Pax" con la quale esortava alla pacificazione delle classi sociali e dei popoli. ln questo contesto globale, la vocazione del novello sacerdote padre Fisichella acquistava una nuova prospettiva profetica e assun1eva la diinensione di servizio nella accezione più an1pia <lei tern1ine: servizio alla Chiesa, servizio all'uo1no e servizio alla società. Negli anni del sen1inario era stato assiduo lettore di 11 L,a Civiltà ('attolica 11 e seguiva con passione gli aggiorna1nenti del problen1a sociale. È stato in seguito ad un incontro con padre J\. Brucculcri S.J. che maturò il proposito di laurearsi in sociologia. La nostra brava gente, a quel te111po, per indicare un prete diocesano lo chian1ava "prete di casa". Per padre Fisichella la casa in ca1npagna resterà per se111pre un ritorno alle sorgenti e un Eden incon1parabile, da condividere con i fan1iliari, i confratelli ed i suoi a111ici inigliori, casa di accoglienza per i confratelli in 1110111enti di bisogno di ristoro spirituale e fraterno. Lottò per averne il pern1csso e intraprese con coraggio la strada per Lovanio, da dove, con la laurea in sociologia, avrebbe n1eglio potuto coniugare la problematica della città secolare con quelli della città di Dio. Il papà di don Allìo, non è che ne fosse del tutto convinto, però rinunciò al prestigio che gli avrebbe dato il figlio prete restando a Trecastagni 1nagari un giorno co1ne futuro arciprete - e, con la stessa pazienza Jungin1irante de\J1agricol1ore, il quale sa che le Jàtichc fatte per la vigna non sono niai spese sprecate, si in1pcgnò a sostenerne il sacrificio econon1ico, investendo le sue an1bizioni nella vocazione dcl figlio. - Padre Fisiche! la, n1entre Jì·equentava la prestigiosa Ui1iversità di Lovanio, studiando sociologia e scienze politiche, tece una preziosa esperienza per quattro anni con1c cappellano dei 1ninatori di carbone italiani. - Per un anno studiò, in Olanda all'Aja, diritto internazionale e lavorò con gli en1igrati italiani. - Nell'anno '53, studiò a Parigi "dottrina sociale della c~hiesa''. Fu' vice parroco aggiunto nella parrocchia della Trinità. C~ollaborò con lo staff di Econo111ia e hu1nanisn1e e delle Scttin1ane sociali di Francia. Vi conobbe Congar, Chenu, Danielou, Lebret, Follict. Il gruppo che elaborò la "Gaudium et Spes". Lavorò pure con la Mission de Paris; i Preti Operai e vi conobbe
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l'Abbè Pierre. Per la prima volta iniziò la pastorale d'avanguardia con l'Abbè'Le Brus, in favore delle prostitute di Monmartre e Pigalle. - Inviato a Ginevra, vi completò gli studi di economia all'Istituto di Alti Studi. Nei 4 anni di permanenza ebbe vari incarichi pastorali. - Aiutò la Missione Cattolica Italiana (gli italiani coniugati erano 120.000). - Lavorò all'Onu alla Commissione di codificazione per il diritto internazionale al Bit (Ufficio Internazionale del Lavoro). - Fu per 3 anni cappellano a Merlinge presso la famiglia Savoia. - Insegnò religione cattolica in un collegio internazionale. Nel 1960 padre Fisichella torna in patria. - Insegnante di religione al liceo classico "N. Spedalieri" e per lunghi anm allo scientifico "Boggio Lera" e all'istituto S. Giuseppe delle suore do111enicane, dove, negli anni più recenti, è stato l'anin1atore dell'associazione "Ginestra Bianca" per l'aiuto alla Missione in Guatemala. - Fondatore con padre Gaudioso e professore di sociologia cd economia alla Scuola di Servizio Sociale a Catania, professore alle Scuole analoghe di Siracusa e Caltagirone. - Professore di Sociologia religiosa e Dottrina sociale della Chiesa, prima nel corso liceale e teologale del seminario maggiore e poi allo Studio Teologico S. Paolo. - Professore di Etica professionale per vari anni alle Scuole specializzate per ostetriche e Infermieri professionali. - Pubblicista e conferenziere di problemi sociali. - Professore di Psicosociologia pastorale all'lgnatianu111 di Messina. - Fondatore ed animatore di un'opera per le prostitute minori. Per il loro recupero, con la collaborazione del sac. Giovanni Grasso e della dott.ssa Lo Giudice fu acquistato un Istituto Casa Famiglia, dove lavorò per 15 anni. Dal 1975: - Membro e segretario del Consiglio Presbiterale Diocesano (CPD). Membro nel Direttivo della Commissione Presbiterale Regionale (CPS). Membro nel Direttivo della Commissione Presbiterale Nazionale (CPI). - Per 20 anni membro del Consiglio di Amministrazione dell'Istituto Centrale Sostentamento Clero presso la Conferenza Episcopale Italiana (CEI.). Inoltre
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- Per 15 anni all'ODA come vicepresidente nel Consiglio di An11ninistrazione. - Nel giornale diocesano "Prospettive" (redazione). - Nella rivista di Servizio Sociale (Meridiano) - direttore. - Vicepresidente dell'Opera Missionaria "Ginestra Bianca". - Collaboratore di vari giornali e riviste. Spesso invitato, come sociologo e come sacerdote, in dibattili e tavole rotonde alle televisioni locali e ai convegni. Questi cenni sugli impegni di vita di mons. Fisichella, canonico onorario della Basilica Cattedrale, li ho voluti presentare non come chi va a rispolverare e ricomporre delle carte nel magazzino del passato, ma con la gratitudine che gli devo, innanzi tutto come mio maestro ed amico, e per i ventitré anni in cui ha collaborato nel ministero pastorale presso la parrocchia S. Maria della Salute di Catania. Come uomo, maestro e sacerdote, dotato di un grande spirito di intuizione, non ha lasciato solo onne sulla sabbia - orn1e che il 1en1po disperde -- 1na è passato seminando su un terreno vivo in cui il sen1e, anche se scon1parso sotto la zolla, rispunta sotto altra forma per aprirsi verso il cielo del futuro. Non si è stancato di seminare, anche quando aveva già la consapevolezza che i suoi occhi non avrebbero più visto la Jìoritura, n1a che al1ri un giorno avrebbero potuto saziare la loro t~u11e.
Franco Longhitano
Svnaxis XVIII/2 (2000) 523-524
NOTIZIARIO DELLO STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO I. licenzJafi in Teo/og;ia 1nora/e
I-Tanno conseguito la Licenza in Teologia n1orale il 6 ottobre 2000: TAMÀ EUGENIO, Il cristiano alla sequela reale di Gesù. Itinerario catecheth:o spirituale llel/a tJorola nelle c/01ne11iche cli Quaresilna ciel ciclo /1 (relatore prof. Attilio Gangemi)
li modello di prete secondo Giuseppe Vizzini vescovo di Noto (1913-1935) (relatore proL Gaetano Zito) WECiLARZ WLADYSLAW,
2. Baccellieri in Teo!o,r,;ia
J--Tanno conseguito il Baccalaureato in Teologia il 6 ottobre 2000: RABBITO ROSARIO, !I cristim10 difì·ontc alla morte nel cotechismo clef;li aclu!ti "Lu verità vi.fàrà libel'i" (relatore prof. Maurizio Aliotta) RAI MONDI FABIO,
Le trudizioni sapienziali in Gv I, 1-3.3.14 (relatore proC Attilio Gangcmi)
H.-<._ìSANA VJNCl::NZO, F:'/en1e11ti cli son1iglia11za nella cornparazione c-/el "[)e SìJiritu Sancto" cli Basi/o e il "[Je Trini fate" cli Agostino (relatore prof Rosario Gisana) SCJBETTA DA Vlf)F, La cattolicità tiella spiritualità in if.gesci. l'esperienza della Branca R!S (relatore prof. Gaetano Zito)
Nohziario del!o Studio S. Paolo
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3. Master in Pastorale.familiare Hanno conseguito il Master in Pastorale familiare
il 6 ottobre 2000: CATANIA
ROSALBA
Nlatrhnonio: eia un incontro
GIOVANNA
u1na110
IMPEDUGLIA
CARMELA,
a un cannnino di santità (relatore prof. Alberto Neglia)
4. inaugurazione Anno /lccacle111ico Il 17 novembre 2000 si è tenuta l'inaugurazione del 31 ° anno accaden1ico del S. Paolo. La concelebrazione eucaristica è stata presieduta da mons. Cataldo Naro preside della Facoltà Teologica di Sicilia. Dopo la relazione dcl preside, il prof. Antonino Minissale, dello Studio Teologico, ha tenuto la prolusione accadcn1ica sul tenia: Le tracluzioni e/ella Bibbio.
5. Lectio con1n1u11is
Questi gli incontri interdisciplinari tenuti: T Propedeutico
S. Latora - M. Di Pasquale Barbanti - N. D'Anna: Problematiche sulla /ìloso/ìa ellenistica
6. li convegno con /'Univers'itù Si terrà il 5 e 6 aprile 2001 il tradizionale convegno con l'Università degli Studi di Catania sul terna: Cultura della vita e cultura della morie nella Sicilia del '900.
S)maxis XV!ll/2 (2000) 525-526
NOTIZIARIO DEL CESIFER
Il Centro di Studi Interdisciplinari del Fenomeno Religioso, è nato in data 26 aprile 1999, da una convenzione tra l'Università degli Studi di Catania, l'Arcivescovado e lo Studio Teologico S. Paolo. Esso ha come scopo quello di ricercare, secondo i metodi recepiti nelle varie comunità scientifiche che in esso sono rappresentate, i vari aspetti storico-culturali delle manifestazioni religiose che sono presenti nella società siciliana. Ne è coordinatore il prof. Giuseppe Ruggieri, ordinario di Teologia fondamentale presso lo Studio Teologico S. Paolo e ne sono ricercatori professori dello stesso Studio Teologico e delle Facoltà di Lettere e filosofia, di Giurisprudenza e di Scienze dell'Università di Catania. li primo colloquio scientifico del CcSIFeR ha avuto luogo il 12-13 maggio dcl 2000 ed è stato dedicato all'Islam, con particolare attenzione all'eredità che esso ha lasciato in Sicilia, ma senza dimenticare i problemi attuali derivanti dalla presenza di una corposa minoranza islamica. Gli Atti del colloquio vedranno la luce nell'autunno del 2001 e inaugureranno la serie dei Quaderni del CeS!FeR. Al colloquio hanno presentato relazioni: Paolo Branca, dell'Università Cattolica di Milano: Introduzione alla lettura del Corano; Aldo Giannasi, del Pontificio Istituto Stt1di arabi e islamici di Roma: La religiosità vissuta dell 'hlam; Antonino Pellitteri, dell'Università di Palermo, con 2 distinte rclazioni: Aspetti della relazione "Islam, amor di patria e arabismo"; Apporlo dcli 'Islam e "specificità" della Sicilia secondo certa }Jroduzione siciliana storico-letterarhr del sec. XIX e e/egli inizi del
Novecento; Francesco Castro, della Università di Roma Tor Vergata: La co11/essione religiosa islan1ica in Italia.
Il 20 ottobre del 2000, il CeSiFeR ha invece dedicalo un seminario di ricerca alla dialettica tra "Norma e vissuto nell'esperienza cristiana". Il seminario ha avuto uno svolgimento diacronico, in maniera tale che il tema non fosse affrontato a partire da una teorizzazione preconcetta della dialettica stessa, ma fosse reperito dentro alcuni esempi concreti della storia del cristianesimo. Gli Atti del colloquio saranno editati nel 2002 e costituiranno il secondo dei Quaderni del CeSJFeR. Le relazioni del
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Notiziario del ('eS!FcR
seminano sono state, nell'ordine, le seguenti: Salvatore Pricoco: li monachesimo prebenedettino; Teresa Sardella: Il controllo sociale della sessualità nel JV secolo; Franco Migliorino: Gra111111atica dei desicleri e docilità dei cmJJi. Itinerari medievali sulla censura ecclesiastica; Adolfo Longhitano: La '.'fuitina": consuetudini e 11or1ne; Marilena Modica: La rego!an1entazio11e del n1isticisn10 nella letteratura seicentesca ciel/a clis'cretio spirituum; Ilenia Rigliaco: Etty Hillesum. Antonio Coco: Alcune letture di Miche/ de Certeau; Giuseppe Ruggieri: la recezione del motu proprio "Ad tuendamfìdem ". Dal marzo 2000 il CeS!FeR ha dato inoltre inizio ad una ricerca sociologica volta a produrre una prilna mappa dei gruppi e n1ovilncnti religiosi non cattolici presenti a Catania e nel suo hinterland. La ricerca sul campo dovrebbe concludersi nell'arco di un anno cd è coordinata dal prof. Renato D'Amico della Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Catania.
«DOCUMENTI E STUDI DI SYNAXIS»
G. ZITO, La cura pastorale a Catania negli anni dell'episcopato Dusmet (1867-1894), Galatea Editrice, Acireale 1987, pp. 596 A. GANGEMI, I racconti post-pasquali nel vangelo di S. Giovanni. I. Gesù si manifesta a Maria Maddalena (Gv 20,1-18), Galatea Editrice, Acireale 1989, pp. 288 P. SAPIENZA, Rosmini e la crisi delle ideologie utopistiche. Per una lettura etico-politica, Galatea Editrice, Acireale 1990, pp. 158 A. GANGEMI, I racconti post-pasquali nel vangelo di S. Giovanni. II. Gesù appare ai discepoli (Gv 20, 19-31), Galatea Editrice, Acireale 1990,pp.294 A. GANGEMI, I racconti post-pasquali nel vangelo di S. Giovanni. III. Gesù si manifesta presso il lago (Gv 21,1-14), Galatea Editrice, Acireale 1993, pp. 524 G. ScHILLACI, Ra/azione senza relazione. Il ritrarsi e il darsi di Dio come itinerario metafisico nel pensiero di Lévinas, Galatea Editrice, Acireale 1996, pp. 418 A. GANGEMI, Signore, Tu a me lavi i piedi? Pietro e il mistero dell'amore di Gesù. Studio esegetico teologico di Gv 13,6-11, Galatea Editrice, Acireale 1999, pp. 244
e
â&#x20AC;˘ I n1
Organizzazione territoriale nella provincia Adrano
via San Pietro, 11
tel. 095/7694114
Biancavilla
piazza Collegiata, 24
tel. 095/7711075
Bronte
via Roma, 7
tel. 095/7723132
Catania Sede
corso Sicilia, 51
tel. 095/317322
Catania Ag. "2"
via F. Crispi, 264
tel. 095/537900
Catania Ag. "3"
via G. Leopardi, 77
tel. 095/375111
Catania Ag. "4"
corso Italia, 98
tel. 095/532559
Patemò
piazza Regina Margherita, 1O tel. 095/854333
Paternò Ag. "2"
via E. Bellia, 132
tel. 095/856421
Finito di stmnpare nel n1ese di settembre 2001 dalla Tip. Grafica Saturnia - Siracusa