SYNAXIS XXVI/3 - 2008
STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO CATANIA
INDICE
Sezione teologico-morale CrEazIoNE ED EvoluzIoNE. Il pENsIEro DI JosEph ratzINgEr (Francesco Brancato) . . . . . . . . 1. una vexata quaestio . . . . . . 2. lo status quaestionis . . . . . . 3. Creazione ed evoluzione: la proposta di J. ratzinger . . Conclusione . . . . . . . .
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prospEttIvE DElla rICErCa tEologICo-moralE a partIrE Dal vatICaNo II CoN partIColarE rIfErImENto all’ItalIa (Corrado Lorefice) . . . . . . . . 1. le istanze di aggiornamento introdotte dal Concilio vaticano II . 2. l’orientamento della teologia morale post-conciliare . . 3. la riflessione teologico-morale dopo la Veritatis splendor . . una nota conclusiva . . . . . .
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Il DuplICE uso DElla mEtafora spoNsalE tra CrIsto E la ChIEsa NEl De ConCorDantia CathoLiCa DI NICColò CusaNo (alfredo andronico) . . . . . . . . premessa . . . . . . . . 1. Il De Concordantia Catholica . . . . . 2. le fonti del motivo sponsale . . . . . 3. Critica sull’approccio alle fonti . . . . . 4. Il duplice uso della metafora sponsale . . . .
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Sezione miscellanea Il CoNCIlIo DI trENto: tra sINoDalItÀ E CENtralIsmo (Salavatore Marino) . . . . . . .
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la fIlosofIa DEl rosmINI NEI pENsatorI DI sICIlIa (Salvatore Latora) . . . . . . . . 1. la base teoretica del rapporto di filosofia e religione nel pensiero di a. rosmini . . . . . . . 2. vincenzo la via, La fondazione rosminiana della pratica, saggio pubblicato in teoresi 4 (1954) 283- 329 . . . . la CostruzIoNE DEl sEmINarIo DEI ChIErICI a CataNIa (DallE orIgINI alla fINE DEl sEttECENto) (Salvo Calogero) . . . . . . 1. le origini del seminario dei chierici . . 2. la ricostruzione dopo il terremoto del 1693 . . 3. Il completamento del seminario (palazzo dei Chierici) . 4. la costruzione della «fabrica nova» . . .
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Note Il XvI CoNvEgNo ECumENICo INtErNazIoNalEDI spIrItualItÀ ortoDossa (ComuNItÀ moNastICa DI bosE, 18-21 sEttEmbrE 2008) (Mario torcivia) . . . . . . . .
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pIEtro prINI. Il sIgNIfICato DEl suo luNgo pErCorso DI pENsIEro NEl CoNtEsto DElla fIlosofIa DEl XX sEColo (Salvatore Latora) . . . . . . . . 133
Recensioni .
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Presentazione
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NotIzIarIo DEllo stuDIo tEologICo s. paolo
Sezione teologico-morale Synaxis 3 (2008) 5-19 CrEazIoNE ED EvoluzIoNE. Il pENsIEro DI JosEph ratzINgEr* fraNCEsCo braNCato**
1. uNa Vexata quaeStio In un interessante saggio del teologo Carlo molari, scritto agli inizi degli anni ottanta, dal titolo Darwinismo e teologia cattolica, venivano presentate le varie fasi della reazione del mondo teologico alle teorie darwiniste. In un primo periodo si è registrata una “guerra aperta”, affermava molari, in un secondo una “tregua in armi”; in un terzo una sorta di “armistizio”; in un quarto, infine, da ritenersi in atto a partire dagli anni settanta del secolo scorso, il raggiungimento di una pace duratura. Il risultato del lungo e tormentato confronto ha portato la teologia a modificare alcuni modelli acquisiti e ad accoglierne degli altri che hanno però prodotto un significativo sconvolgimento nell’impianto teologico, e tutto questo sino a quando il problema, che precedentemente aveva occupato quasi per intero la scena del confronto tra teologia e scienza, si è disfatto nelle sue stesse componenti. l’operazione condotta all’interno stesso della teologia, non ha comunque estinto il “nucleo solido centrale” della dottrina, poiché tutta questa serie di operazioni ha solamente rivisitato la sua cosiddetta “cintura * prolusione tenuta in occasione dell’Inaugurazione dell’anno accademico dello studio teologico s. paolo di Catania, 17 ottobre del 2008. Il presente contributo, in una forma molto più ampliata, è ora apparso anche in un libro scritto dallo stesso autore: Creazione ed evoluzione. La grammatica di un dialogo possibile, troina 2009. ** Docente di teologia dogmatica presso lo studio teologico s. paolo di Catania.
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Francesco Brancato
di protezione”. In ogni modo, alla fine di una discussione che si è trascinata per circa un secolo, «il problema si è dissolto quasi naturalmente e senza rumore. ora non esiste più — poteva sentenziare molari. ma non perché l’evoluzione sia stata dimostrata vera o sia stata accolta dai teologi, ma perché allo stato attuale essa non pone più alcun problema alla teologia»1. tutto questo è così vero, continuava il teologo, che la stessa discussione relativa all’evoluzione da lì a breve, secondo le sue previsioni, sarebbe scomparsa dai manuali teologici nello stesso modo in cui sono scomparse polemiche famose nei secoli scorsi. se ne sarebbe parlato solamente nell’ambito delle storie della teologia, poiché in realtà costituiva un “falso problema teologico” nato da equivoci totalmente e definitivamente dissolti. Il problema non avrebbe interessato più la teologia. la pace che si è stabilita tra teologia e scienza su questo punto non è precaria ma definitiva. «si potrebbe dire che nella attuale prospettiva teologica è una “pace eterna”»2. basta dare un’occhiata alla sterminata e ingovernabile bibliografia che negli ultimi anni è stata prodotta su questo tema, a 150 anni dalla pubblicazione de L’origine delle specie di Charles Darwin, per capire che il numero dei teologi “rimasti invischiati” in questo dibattito, contrariamente alle supposizioni di molari, è cresciuto sempre più. E questo per la rimotivata consapevolezza che la teologia, se in passato, almeno in alcuni casi, si è industriata a minare il campo d’azione della scienza e a costruire trincee sempre più sicure e affidabili, ora deve tentare di bonificare le terre di confine perché si produca un dialogo fruttuoso e impegnativo allo stesso tempo, sia nell’ambito accademico, sia — prima di tutto — nel rapporto vitale con la prassi ecclesiale e il vissuto concreto degli uomini. le affermazioni di molari, infatti, possono essere vere solo nella misura in cui si assegna il giusto valore alle sue indicazioni temporali: “allo stato attuale”, “attualmente”, egli dice; in quanto, altrimenti, sarebbero quanto mai smentite soprattutto “allo stato attuale” in cui l’interesse per questa questione ha assunto un’importanza eccezionale. Di questo argomento si è abbondantemente occupata la stampa cattolica (principalmente: L’osservatore romano, La Civiltà Cattolica, Communio, Concilium, Vita e Pensiero e molte altre riviste teologiche 1 2
C. molarI, Darwinismo e teologia cattolica. un secolo di conflitti, roma 1984, 13. ibid., 101.
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italiane o estere). si è assistito specialmente negli ultimi anni all’aumento vertiginoso di studi su aspetti particolari o anche sulle prospettive di fondo che sottostanno a questa problematica. Non ultima va segnalata una nota della Commissione teologica Internazionale del luglio del 2004: Comunione e servizio. La persona umana creata a immagine di Dio, che si è interessata diffusamente di questo tema in modo particolare nel paragrafo La scienza e l’amministrazione della conoscenza (nn. 62-70)3. Diverse iniziative si sono svolte nei maggiori atenei teologici romani e molte altre sono previste durante le celebrazioni degli importanti anniversari che cadono nel 2009 (200 anni dalla nascita di Ch. Darwin e, come veniva ricordato poco prima, 150 anni dalla pubblicazione de L’origine delle specie). Il leitmotiv di questi interventi è stato ed è l’insistenza, a più riprese, sul fatto che la teoria dell’evoluzione è oggi diventata il crocevia di scienza, filosofia e teologia. tutto ciò è avvenuto e avviene anche in risposta ad alcune sollecitazioni che sono giunte dal magistero recente, soprattutto il magistero di giovanni paolo II (si ricordi, ad esempio, la lettera al direttore dell’osservatorio vaticano del 1988) e di benedetto XvI. In questo contributo mi riferirò esclusivamente ad alcuni aspetti dell’importante apporto offerto dalla riflessione teologica di J. ratzinger, in cui è possibile leggere come la sintesi chiara e lucida dell’intero percorso di approfondimento di questo argomento fatto dalla teologia degli ultimi decenni. Quella del teologo ratzinger è una riflessione coerente e si snoda lungo una chiara linea di continuità, riproposta fondamentalmente anche nei suoi interventi magisteriali. 2. lo StatuS quaeStioniS prima di addentrarci nella presentazione del pensiero di ratzinger, credo che sia utile fare una breve premessa che ci serve a delineare il giusto contesto della discussione.
3 CommIssIoNE tEologICa INtErNazIoNalE, Comunione e servizio. La persona umana creata a immagine di Dio, in Ev, 22/2870-2964.
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Francesco Brancato
2.1. Le condizioni per il dialogo Negli ultimi anni, teologi, scienziati e filosofi si sono soffermati a individuare e precisare le condizioni indispensabili per un possibile dialogo tra teologia della creazione e teoria dell’evoluzione; dialogo che diventa improbabile e impraticabile quando l’evoluzione si trasforma in evoluzionismo quale paradigma indiscusso per spiegare anche l’esistenza, lo sviluppo del linguaggio, dell’arte, dell’etica e della scienza, in termini gradualistico-evolutivi, al pari di tutti i fenomeni propri dell’evoluzione naturale, come ha denunciato Ch. schönborn nel suo interessante articolo apparso sul new York times (“Cercare un disegno nella natura”) nel luglio del 20054. In quell’articolo, infatti, il Cardinale di vienna reagiva ad alcune provocazioni e tentava tra l’altro di rispondere in maniera critica e sintetica a tutta una serie di duri attacchi alla visione cristiana del mondo e della vita, provenienti non solo da interventi recenti, ma anche da lontano, come ad esempio da studiosi come Jacques monod, premio Nobel per la medicina, autore del libro il caso e la necessità, il quale afferma che la scienza è l’unica fonte di verità e il neodarwinismo è il canone definitivo della biologia moderna, con il conseguente rifiuto di ogni possibile finalismo nel cosmo e nell’evoluzione della vita5, o come richard Dawkins, autore, tra l’altro, di due importanti saggi, manifesto della corrente atea e intransigente del neodarwinismo più radicale, quali il gene egoista e L’orologiaio cieco, in cui parla dell’organismo individuale come di una semplice macchina per la sopravvivenza, una sorta di colonia di geni, e in cui propone una concezione materialista e positivista della realtà6. Dawkins, scienziato di fama, è colui che senza esitazione ha affermato che la fede è «uno dei grandi mali del mondo, comparabile al virus del vaiolo, ma più difficile da sconfiggere»7. basterebbe poco per provare come questo clima non sia affatto estraneo 4 C. sChöNborN, Finding Design in nature, in new York times, 7-7-2005 (www.nytimes.com/2005/07/07/opinion/07schonborn.html). 5 Cfr. J. moNoD, il caso e la necessità, milano 19713. 6 r. DawkINs, il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente, milano 1995; ID., L’orologiaio cieco, milano 2003. Dello stesso autore si veda anche L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, milano 2007. 7 r. DawkINs, citato in a. mCgrath, Dio e l’evoluzione. La discussione attuale, soveria mannelli 2006, 108.
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anche ad alcuni eminenti studiosi italiani e a tutta una corrente di pensiero di casa nostra in cui la visione del mondo e della vita offerta dalla teologia cristiana è fortemente osteggiata: si ricordino ad esempio gli interventi di telmo pievani, dell’università di milano, o gli approfondimenti di riviste come MicroMega su questo argomento, in cui si ospitano articoli che intendono attaccare quelle che vengono ritenute le inopportune e poco qualificate “incursioni della teologia nel campo delle scienze” e quindi l’avanzante offensiva creazionista nei confronti della teoria dell’evoluzione8. 2.2. L’ “intelligent Design” un altro punto su cui attualmente si è concentrato l’interesse di scienziati, ma soprattutto di filosofi e teologici, è quello riguardante la teoria dell’intelligent Design, maturata nell’ambiente dei creazionisti americani quale versione moderna del cosiddetto creazionismo scientifico. la teologia ha messo in luce gli aspetti positivi e vantaggiosi insiti in questa teoria che testimonia a favore del fatto che l’osservazione della natura e lo studio dell’universo ci parlano — con “schiacciante evidenza”, direbbe schönborn — di un ordine, di un progetto, di un’armonia, di intenzione e fine, ma non ha mancato di denunciare i pericoli che l’attraversano soprattutto nel momento in cui Dio e la sua azione vengono inseriti in dibattiti che dovrebbero essere contenuti nello stretto ambito della scienza, al fine di colmare alcune lacune attuali del sapere, miscelando così due diversi livelli di indagine sulla realtà. sono comunque interessanti le domande che in questo contesto vengono poste alla scienza e alla filosofia: Esiste un finalismo nel mondo e nell’evoluzione della vita oppure il tutto è affidato al cieco gioco del caso? si può rintracciare un logos e quindi un ordine nel mondo oppure ogni cosa non è altro che il frutto di accidentali e momentanee combinazioni degli elementi fondamentali della realtà? È a questi interrogativi che è necessario rispondere, perché altrimenti, negando che le cose abbiano un senso all’in8 Cfr. MicroMega del marzo del 2008, rivista diretta da p. flores D’arcais, in particolare l’almanacco di Scienza, e t. pIEvaNI, Creazione senza Dio, torino 2006; ID., La teoria dell’evoluzione. attualità di una rivoluzione scientifica, bologna 2006.
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terno di un progetto e di un disegno, e che quindi abbiano un significato altro rispetto al loro essere semplicemente delle cose, l’ideologia darwinista nega di fatto che ci sia spazio per delle direttive etiche nella natura da cui, poi, deriverebbero all’uomo delle responsabilità. 2.3. il “Principio antropico” un terzo campo di confronto tra teologia della creazione ed evoluzione è oggi rappresentato dal cosiddetto “principio antropico”. Quale visione dell’uomo emerge infatti dal dibattito tra teologia e scienze della natura? la teoria del principio antropico vuole far luce appunto su tutta una serie di considerazioni secondo cui se non si fossero presentate straordinarie coincidenze nella forma delle leggi fisiche e nei valori delle costanti di natura, la biochimica, la vita e la vita intelligente non sarebbero state possibili. vuole far luce — sia nella sua versione forte che in quella debole — sui fattori principali dell’evoluzione umana e così rispondere alla domanda se l’uomo rappresenti il risultato del tutto casuale dell’evoluzione della vita o, a motivo della sua singolarità irriducibile, della sua unicità rispetto a tutti gli altri esseri viventi, sia invece il punto di arrivo e di maturazione di un processo non del tutto casuale. Il principio antropico vuole cioè cogliere il senso dell’evoluzione e della collocazione dell’uomo nel contesto dei processi evolutivi e biologici. 3. CrEazIoNE ED EvoluzIoNE: la proposta DI J. ratzINgEr Quanto è stato presentato sino ad ora in maniera sintetica ed altre importanti tematiche le incontriamo, almeno implicitamente, come si diceva, nella ricca riflessione del teologo ratzinger il quale, anche da pontefice ha continuato a prestare attenzione a questi temi, ospitando ad esempio a Castel gandolfo nel settembre del 2006, il suo gruppo di studenti (Schülerkreis) per discutere proprio su Creazione ed evoluzione9. riprendo perciò a questo punto, finalmente, alcuni elementi essenziali del suo pensiero. 9 Cfr. s. otto horN – s. wIEDENhofEr (curr.), Creazione ed evoluzione, Schülerkreis (gruppo di studenti di J. ratzinger), bologna 2007.
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3.1. Creazione/evoluzione: un rapporto possibile In una serie di trasmissioni radiofoniche sul tema Credere nella creazione e teoria dell’evoluzione, alla fine degli anni ’60, ratzinger sosteneva che Darwin ha scatenato una rivoluzione dell’immagine del mondo non inferiore a quella prodotta dalle teorie di Copernico. le conseguenze di questa svolta, anzi, si sono rivelate ancora più drammatiche di quelle prodotte dalla rivoluzione copernicana in quanto la dimensione del tempo tocca l’uomo molto più di quanto lo tocchi quella dello spazio. ormai «la comprensione di fondo del reale cambia: il divenire al posto dell’essere, lo sviluppo al posto della creazione, l’ascesa al posto del declino»10. Questo modo di ragionare e argomentare, come è evidente, ha messo in forse le stesse basi della classica teologia della creazione e quindi l’idea dell’uomo e del mondo ad essa inerente. ma se la fede nella creazione indaga sul “perché” dell’essere in sé, in quanto il suo problema è perché c’è qualcosa e non il niente (livello ontologico, metafisico), l’idea dello sviluppo e dell’evoluzione si chiede invece perché ci sono proprio “queste” cose e non altre e quindi da dove hanno tratto la loro determinatezza (livello fenomenico). la fede nella creazione si muove dunque a livello ontologico poiché indaga ciò che sta a fondamento delle singole cose e tenta di rendere ragione di quel misterioso “è” che costituisce tutte le cose che esistono. Di conseguenza, mentre quest’ultima riguarda la differenza tra niente e qualcosa, per cui il vero problema sta nell’intelligenza della questione relativa al passaggio dal nulla all’essere, l’idea dello sviluppo è interessata alla differenza tra qualcosa e qualcos’altro, e il problema è di comprendere come qualcosa nel corso del tempo muti e dia origine a qualcos’altro e come le cose siano in relazione tra di esse. tutto ciò attiene anche alla relazione dell’uomo, una fra le tante creature, con il resto del mondo, perché l’essere umano non può essere tenuto fuori dalla catena dell’evoluzione. Non si può dividere semplicemente l’uomo tra naturalisti (competenti per quanto riguarda il corpo quale 10 lezione radiofonica tenuta da J. ratzinger nel 1968 e qui ripresa da il foglio quotidiano, 23-12-2005, 1, e riproposto in http://culturacattolica.it/. Questi interventi di J. ratzinger sono stati raccolti in un libro dal titolo Wer ist das eigentlich – Gott?, münchen 1969, qui recuperati da C. sChöNborN, prefazione a s. otto horN – s. wIEDENhofEr (curr.), Creazione ed evoluzione, cit., 8, nota 3.
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prodotto dell’evoluzione) e teologi (competenti sull’anima quale creazione immediata da parte di Dio), perché questo modo di procedere condurrebbe ad un rigoroso e insopportabile aut-aut incapace, di per sé, di concedere una qualche mediazione. seppure nella diversità degli ambiti e della metodologia di indagine, è perciò stesso necessario individuare punti di contatto per l’intelligenza del mondo e dell’uomo. se è vero che l’essere, uomo compreso, è tempo, non solo ha tempo, per cui l’essere viene conosciuto dinamicamente, nel suo procedere in avanti, è anche indubitabile che la domanda se l’essere inteso in questo modo abbia o meno un senso, esula dalla competenza della ricerca scientifica e quindi non rientra nelle proposizioni della teoria dell’evoluzione. a questa domanda si può infatti dare una risposta soltanto nell’ambito di un “sistema di fede”, fede nella creazione nel rispetto della comprensione evolutiva del mondo. È quanto ratzinger ha ribadito anche nel suo magistero pontificio. rivolgendosi ad esempio ai partecipanti alla plenaria della pontificia accademia delle scienze, nel novembre del 2006, in occasione di un congresso dal titolo la prevedibilità nella scienza: accuratezza e limiti, egli ricordava che la ragione non è una prerogativa esclusiva degli uomini di scienza, né è incompatibile con la fede e con l’apertura al trascendente iscritta nel cuore stesso dell’uomo. Quest’ultimo, lasciato esclusivamente a se stesso e privato del suo riferimento al trascendente, subisce infatti una seria menomazione. Il metodo scientifico come tale esclude il pensiero di Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o prescientifico”, ma così facendo esso giunge ad una riduzione del raggio di scienza e ragione. se infatti la scienza è solo questo, allora è l’uomo che subisce una riduzione perché gli interrogativi propri dell’uomo (“da dove veniamo”, “verso dove andiamo”, il significato dell’ethos, ecc.) non potrebbero trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla scienza, e verrebbero così spostati in un ambito esclusivamente soggettivo11. avendo chiaro tutto ciò, si può dire che il dialogo vero tra teologia e scienza non può basarsi su un “di volta in volta” estremamente instabile e provvisorio, ma deve intuire e cercare solide fondamenta su cui poggiare stabilmente. 11 Cfr. bENEDEtto XvI, Discorso ai partecipanti alla plenaria della Pontificia accademia delle Scienze, 6-11-2006, in L’osservatore romano, 6-7/11/2006, 4.
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3.2. «ha fondato la terra con la sapienza, ha consolidato i cieli con intelligenza» (Pr 3,19) È a partire da quanto è stato detto sino ad ora che papa ratzinger può asserire: «Davanti alla questione fondamentale irrisolvibile dalla stessa teoria dell’evoluzione — se comandi l’insensatezza o il senso — la fede esprime la convinzione che il mondo nella sua interezza, come dice la bibbia, venga fuori dal logos, cioè dal senso creatore, e rappresenti la forma contingente del suo proprio compimento»12. È cioè possibile affermare una vera razionalità della materia. «si può leggerla. Essa ha una matematica in sé. È essa stessa ragionevole, anche se nel lungo cammino dell’evoluzione c’è l’irrazionale, il caotico e il distruttivo; ma la materia come tale è leggibile»13. Questo potrebbe poi non bastare. «Nonostante il suo errare e percorrere strade sbagliate lungo lo stretto corridoio, nella scelta delle poche mutazioni positive e nello sfruttamento della poca probabilità, il processo stesso è qualcosa di razionale»14. la domanda è dunque da dove venga questa razionalità, ovvero, se sia o no legittimo chiedersi se esista una razionalità originaria che si rispecchia nella razionalità della materia e in quella dell’intero processo. anche nel discorso tenuto all’università di ratisbona nel settembre del 2006, papa ratzinger parlava di una natura che rivela una razionalità scientifica nell’ordine che la caratterizza. la razionalità presente nella mente dell’uomo e quella presente nel mondo, nella loro concordanza devono trovare una spiegazione in qualche ragione profonda che è alla base di entrambe. È la razionalità del Creatore che dà origine alla razionalità dell’uomo e alla razionalità presente nel mondo. ratzinger fa a questo punto un passo avanti. Il Logos nel cristianesimo primitivo, egli afferma, non comparve solo come ragione matematica alla base di tutte le cose, ma come amore creativo; per cui primato del Logos e primato dell’amore si dimostrarono alla fine praticamente identici: la ragione vera è perciò l’amore e l’amore è la ragione vera. Ecco allora che è possibile parlare di “ragionevolezza della fede”, di bENEDEtto XvI, in s. otto horN – s. wIEDENhofEr (curr.), Creazione ed evoluzione, cit., (dibattito), 156. 13 L.c. 14 L.c. 12
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“correlazione con la ragione comune”, di “cosmo della ragione”, e soprattutto, ed è questa l’affermazione più forte, del fatto che “non agire secondo ragione”, suén loégw è contrario alla natura di Dio, poiché Dio agisce con logos. Certo, continuava il papa in quell’occasione, l’amore sorpassa la conoscenza (cfr. Ef 3,19), ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero, tuttavia esso rimane l’amore del Dio-logos, per cui lo stesso culto cristiano è logikhé latreòa, un culto che concorda con il verbo eterno e con la nostra ragione (cfr. rm 12,1)15. È una riflessione, questa, che smaschera il percorso ambiguo e insidioso della ragione moderna che si è fatta esclusivamente — autolimitando se stessa — ragione calcolante in vista di scopi immediati da raggiungere, per un maggiore sfruttamento e una più grande utilizzabilità funzionale della realtà. Il mondo di cui si sta parlando è invece il mondo concreto, segnato anche da tutte le contraddizioni e dalla drammatica esperienza del dolore che pone domande pungenti alla fede: che senso ha avuto il faticoso cammino dell’evoluzione se poi si è giunti ai drammi del Novecento e ai drammi che quotidianamente affliggono il mondo intero? la razionalità della materia, infatti, apre una finestra sul Creator Spiritus ed indica la via ad una civiltà della ragione che può portare l’uomo realmente alla sua maturità, ma può anche creare le possibilità per un suo annientamento. l’unica risposta possibile, afferma il papa, è allora la parola della croce che è la porta verso la resurrezione. a questo proposito, durante l’omelia della veglia di pasqua del 2006, disse: «la resurrezione di Cristo […], se possiamo per una volta usare il linguaggio della teoria dell’evoluzione, è la più grande “mutazione”, il salto assolutamente più decisivo, verso una dimensione totalmente nuova, che nella lunga storia della vita e dei suoi sviluppi mai si sia avuto: un salto in un ordine completamente nuovo, che riguarda noi e concerne tutta la storia […]. È un salto di qualità nella storia dell’“evoluzione” e della vita in genere verso una nuova vita futura, verso un mondo nuovo che, partendo da Cristo, già penetra continuamente in questo nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé»16. Cfr. bENEDEtto XvI, “incontro con i rappresentanti della scienza” all’università di ratisbona in germania, tenuto il 12-9-2006, in L’osservatore romano, 14-9-2006, 6-7. 16 bENEDEtto XvI, omelia per la Veglia di Pasqua, 15-4-2006, in L’osservatore romano, 18-19/4/2006, 4. 15
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Ciò significa uscire dall’identificazione pura e semplice di cammino e meta, e riconoscere che in realtà solamente la resurrezione di Cristo è il senso profondo del cammino stesso, è la verità del mondo. E la verità dell’essere, di ogni essere, ci dice che il mondo è perché è dal Dio che non è pensiero esclusivamente auto-contemplante, come può essere il Dio filosofico che fa riferimento essenzialmente a se stesso, ma è dal Dio che è definito fondamentalmente dalla categoria della relazione. Non solo c’è un senso generale per l’intero universo e la sua storia, per il cammino dell’evoluzione, ma anche un senso per ogni singolo ente che è, proprio perché pensato da Dio, e in quanto pensato è lógos, è verità partecipata. verità partecipata e lógos per il fatto che Dio «è apertura creatrice, che abbraccia il tutto. In questo modo sono posti un’immagine e un ordinamento del mondo completamente nuovi: quale suprema possibilità dell’essere non appare più la libertà assoluta di uno che basta a se stesso e vive per se stesso. la suprema modalità dell’essere include invece l’elemento ‘relazione’», aveva già detto ratzinger nella sua introduzione al cristianesimo17. la relazione è la modalità originaria del reale, dell’essere, dunque. Il Lógos dell’universo è amore; il pensiero originario creativo è creativo perché in quanto pensiero è amore e in quanto amore è pensiero. a partire da qui, continua ratzinger, è chiaro come il modello centrale del concetto di creazione non sia tanto quello dell’artigiano, bensì lo spirito creatore, il pensiero creatore che, perfettamente libero, crea altre libertà, facendo così della libertà la forma strutturale di tutto l’essere. Ciò significa che la suprema legge del mondo non è la necessità cosmica, bensì la libertà propria del pensiero creatore quale presupposto e fondamento di tutto l’essere. E di nuovo, significa ammettere che nel mondo, proprio in quanto caratterizzato dalla struttura della libertà, è presente anche l’oscuro mistero del male. Infatti, «un mondo, voluto e creato sotto il segno del rischio della libertà e dell’amore, non è mai pura matematica. In quanto spazio dell’amore, è anche spazio per il gioco delle libertà, e implica il rischio del male»18. Il rischio del possibile fallimento da parte dell’uomo di questo progetto divino sul mondo, che deve essere tuttavia valutato sullo sfondo dell’azione salvifica di Dio che nella libertà perfettamente compiuta 17 18
J. ratzINgEr, introduzione al cristianesimo, brescia 200715, 138. ibid., 149.
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del suo figlio ha sconfitto il male e le sue molteplici espressioni. In Cristo, infatti, quale Lógos eterno fattosi carne, la storia della libertà ha raggiunto il suo apice, il male è stato definitivamente annientato e la storia del mondo ha ricevuto il suo definitivo orientamento che è la pienezza divina. 3.3. «Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi?» (Sal 8,5) già nell’omelia del suo insediamento benedetto XvI asserì che «noi non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario»19. la materia dunque può essere ben intesa come un momento nella storia dello spirito che non è puro prodotto dello sviluppo, ma è creato. uomo-mondo sono quindi sì posti su una linea comune, ma non per questo sulla stessa linea retta e orizzontale, perché la fede nella creazione ci dice che l’uomo è stato creato in maniera più specifica e più diretta da Dio rispetto alle cose naturali, e questo perché egli è stato creato da Dio non solo come un essere che c’è, ma come un essere che lo conosce. «Il fango è divenuto uomo nel momento in cui un ente per la prima volta, anche se ancora in forma alquanto oscura, è stato in grado di formare l’idea di Dio. Il primo tu che — per quanto balbettando — venne rivolto da bocca d’uomo a Dio, designa il momento in cui lo spirito è comparso nel mondo. Qui si è varcato il rubicone dell’antropogenesi»20. l’evoluzione può illuminare questo cammino, ma non può darcene perfettamente una ragione. È la rivelazione che ci dice che l’uomo è, non solo ha, la capacità di stare accanto a Dio; è chiamato a diventare sempre più quello che egli è: l’essere che in eterno deve dare del tu a Dio. Concetto, questo, ribadito in altre occasioni, come quando, nel discorso rivolto ai partecipanti al convegno: identità mutevole dell’individuo, promosso sia dalla académie des Sciences di parigi sia dalla pontificia accademia delle scienze, nel gennaio 2008, papa ratzinger disse: bENEDEtto XvI, omelia tenuta durante la Celebrazione eucaristica per l’inizio del pontificato, 24-4-2005, in L’osservatore romano, 25-4-2005, 5. 20 J. ratzINgEr, qui citato da C. sChöNborN nella prefazione a s. otto horN – s. wIEDENhofEr (curr.), Creazione ed evoluzione, cit., 11-12. 19
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«mentre le scienze esatte, naturali e umane, hanno fatto prodigiosi progressi nella conoscenza dell’uomo e del suo universo, grande è la tentazione di voler circoscrivere completamente l’identità dell’essere umano e di chiuderlo nel sapere che ne può derivare. per non intraprendere questa via, è importante dare voce alla ricerca antropologica, filosofica e teologica, che permette di far apparire e mantenere nell’uomo il suo mistero, poiché nessuna scienza può dire chi è l’uomo, da dove viene e dove va»21.
la scienza, per ciò stesso, non può proporsi come unica spiegazione del mistero dell’uomo. Essa, a ben guardare, non può neppure penetrare nel mistero dell’uomo, ma può solamente indagare diffusamente sul “fenomeno” uomo e sul mondo. la riflessione teologica può al contrario aprire l’uomo al suo oltre e vedere in gesù di Nazareth l’uomo esemplare, l’unico che può svelare l’uomo all’uomo. Egli è infatti l’ultimo uomo, l’éschaton adàm, in quanto introduce l’uomo nel suo futuro. tale futuro consiste nel fatto che egli non è più soltanto uomo, ma è ormai una sola cosa con Dio. In quanto uomo esemplare, però, Cristo travalica i confini dell’umano. solo così, anzi, egli è davvero l’uomo esemplare in quanto «l’uomo è tanto più presso di sé quanto più è presso gli altri; egli perviene a se stesso solo staccandosi da sé; perviene a se stesso solo attraverso l’altro e grazie all’essere presso l’altro»22. l’essere umano è ordinato all’altro, al veramente altro, cioè a Dio. È tanto più presso di sé quanto più è presso il totalmente altro, e ciò è reso possibile nel momento in cui diviene totale apertura a Dio. È quanto si è realizzato perfettamente in Cristo gesù il quale è l’uomo totalmente uscito da se stesso, veramente pervenuto a se stesso. Dire questo significa confessare che «il pieno divenire-uomo dell’uomo presuppone il divenire-uomo di Dio»23. In tal senso, e solo in tal senso, la fede vede in gesù l’uomo in cui si è compiuto l’ultimo salto evolutivo. In lui, infatti, è già avvenuto il superamento dei limiti dell’essere-uomo, del suo isolamento monadico, e si è realizzata la massima apertura dell’uomo e la sua più integra personalizzazione. bENEDEtto XvI, Discorso ai partecipanti al convegno inter-accademico “L’identità mutevole dell’individuo”, 28-1-2008, in L’osservatore romano, 29-1-2008, 8. 22 J. ratzINgEr, introduzione al cristianesimo, cit., 224. 23 ibid., 225. 21
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Francesco Brancato
bisogna pertanto ribadire che la fede nella creazione ci dice che il mondo in divenire, così come è indagato e spiegato dalla scienza, è un mondo sensato, che lo spirito e la vita non sono una “muffa casuale sulla superficie del materiale”, che l’uomo non è una “scimmia senza peli”, aggiunge ratzinger, ma lo scopo di quello che accade. ogni uomo è creato direttamente da Dio poiché ogni singolo uomo è in rapporto diretto con lui; è, in un certo senso, adamo. per questa ragione, l’istante dell’umanazione non può essere fissato dalla paleontologia, ma solamente dalla considerazione della fede che legge nell’essere stesso dell’uomo il suo riferimento al Creatore, la sua apertura originaria a Dio in Cristo. CoNClusIoNE l’indagine che ho condotto sin qui credo che ci abbia portato a comprendere un po’ meglio che il lavoro della teologia degli ultimi anni consiste nel tentativo di dialogare sì con le scienze della natura e con le scienze umane in genere, prime tra tutte la filosofia e l’antropologia culturale, ma con la consapevolezza che il suo compito primario e specifico è quello di giungere all’approfondimento di tutta la ricchezza insita nell’affermazione della creazione in Cristo e quindi del carattere cristologico-trinitario della creazione stessa. Il confronto con la scienza è dunque doveroso, ma ciò non può portare ad una sorta di “adattamento” della teologia alla domanda ambientalista con la sua dannosa pregiudiziale anti-antropologica. Dal punto di vista epistemologico, il vero punto di forza della teologia «sta [quindi] nel saldo riferimento al proprio specifico statuto. Il suo punto di riferimento è cioè in primo luogo la confessione di fede nel Dio che crea il mondo al vertice del quale pone l’uomo, e lo redime in gesù Cristo, per condurlo al suo compimento nello spirito: da qui essa pensa il cosmo e l’uomo. Naturalmente essa può e deve confrontarsi in modo approfondito con i temi e gli argomenti che le vengono proposti dalla fisica [e dalla biologia] di oggi, esaminandone criticamente le implicazioni e cogliendo gli arricchimenti di senso che esse possono offrirle, ma sempre al fine di pronunziare quella parola che richiami il solo fondamento del suo dire»24. 24
s. moraNDINI, teologia e fisica, brescia 2007, 120.
Creazione ed evoluzione. il pensiero di Joseph ratzinger
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È questo il solo modo per continuare a credere in Dio nell’età della scienza. È questo il solo modo per pensare un futuro per il mondo, oltre — non semplicemente al di là o nonostante — le prospettive che la fisica, la cosmologia, la biologia e la genetica sono in grado di delineare. In campo teologico, in particolare, ciò che appare urgente è un maggiore approfondimento della prospettiva cristologica, come ha auspicato ratzinger, alla luce della quale comprendere anche le principali questioni aperte dell’antropologia teologica contemporanea. alla dimensione cristologica deve essere intimamente congiunta quella escatologica, poiché in realtà l’unico punto di approdo del processo evolutivo del mondo sono i cieli nuovi e la terra nuova, compimento esuberante della creazione di Dio, di questo mondo, quale dono che comunque viene dall’alto e che si incarna nel tessuto della storia, poiché è qui che si ha una preparazione reale e un inizio altrettanto reale del mondo futuro. tale cammino è dell’uomo, ma lo è nella misura in cui è vissuto nella compagnia degli uomini (dimensione ecclesiale e comunitaria) e nella comunione con l’intero creato (dimensione cosmologica). Nella vita sacramentale e soprattutto nell’Eucaristia ci è dato però di assaporare sin da adesso l’esito finale, la trasfigurazione definitiva del mondo, la sua forma ultima, quale spazio per la piena glorificazione del Dio uno e trino. allora il termine del cammino del mondo è la perfetta comunione con il Creatore, Dio tutto in tutte le cose, la pienezza dell’amore nel quale tutte le cose sono raccolte, per il quale sono dispiegate e verso cui realizzano il loro ritorno. se quindi non sappiamo come sarà trasformato questo mondo (cfr. Gaudium et Spes 39) sappiamo però che assumerà i contorni dell’amore perfettamente donato e perfettamente accolto: è questa la massima evoluzione del mondo nella sua piena potenzialità ricettiva della grazia e del dono dello spirito Creatore.
Synaxis 3 (2008) 21-39 prospEttIvE DElla rICErCa tEologICo-moralE a partIrE Dal vatICaNo II CoN partIColarE rIfErImENto all’ItalIa CorraDo lorEfICE*
Il presente contributo vuole ripercorrere sinteticamente in prospettiva storica, con particolare riferimento all’Italia, l’ultimo segmento della riflessione teologico-morale, segnato dalle istanze di aggiornamento introdotte dal Concilio vaticano II, e di rilevarne alcuni nodi e prospettive1. 1. lE IstaNzE DI aggIorNamENto INtroDottE Dal CoNCIlIo vatICaNo II la teologia morale è la disciplina che più di ogni altra il Concilio vaticano II ha voluto che si rinnovasse con particolare attenzione e cura. le grandi carenze del suo insegnamento nei seminari, il fatto che molti manuali non rispondevano più al sentire dell’uomo adulto del nostro tempo, la constatazione che la scienza morale non appariva primariamente e pienamente cristiana, sono stati fattori che hanno portato ad un bisogno di rinnovamento. «affirmari oportet necessitas theologiam moralem intime ligandi cum theologia dogmatica eam fundandi in sacra scriptura eamque integrandi in mysterio Christi et salutis. rogetur etiam ut caritas sit centrum eius sicuti est centrum et recapitulatio legis Christi»2. Docente di teologia morale presso lo studio teologico s. paolo di Catania. per un bilancio complessivo sulla teologia morale nel XX secolo cfr. J.g. zIEglEr, La teologia morale, in r. vaNDEr guCht – h. vorgrImlEr (edd.), Bilancio della teologia del xx secolo, III, roma 1972, 336-388; b. pEtrÀ, teologia morale, in g. CaNobbIo – p. CoDa (edd.), La teologia del xx secolo. un bilancio, III, roma 2003, 97-193. 2 È la richiesta del card. leger fatta in un suo intervento al Concilio (Congregatio * 1
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1.1. il tramonto della manualistica post-tridentina3 In Italia prima del Concilio vaticano II, l’insegnamento della morale aveva una connotazione precettistica. si insegnava la casistica: la teologia morale nata come scienza a sé nel XvI secolo e che arriva fino alla seconda metà del XX secolo. una morale impostata, fondandosi sullo schema del decalogo, in termini negativi (ciò che non va fatto) piuttosto che in termini positivi (ciò che si è chiamati a fare); dove emerge la centralità decisiva del principio di autorità, effettivo presupposto formale di tutto il suo impianto; votata alla riflessione sul peccato e alle sue accurate catalogazioni, disattenta ai valori e alle virtù; di chiaro tenore individualistico, dimentica della costitutiva socialità della persona e della sua responsabilità storica; abituata a valutare l’atto in sé, tralasciando di collocarlo nel contesto più ampio della persona e del vissuto storico-ecclesiale-sociale; dipendente dal sistema filosofico neotomista4 e sotto l’influsso del diritto canonico e civile. Insomma, una morale inadatta a far emergere le esigenze etiche dell’Evangelo poiché non fondata sulla parola di Dio contenuta nelle scritture5 e disattenta alla storia e ai cambiamenti epocali in essa iniziati specialmente negli ultimi due secoli. basti pensare alla questione sociale scoppiata con l’industrializzazione, alla secolarizzazione, con la pretesa autonomia della ragione umana anche nelle questioni etiche (etica della sola ragione), le due guerre mondiali, il progresso delle scienze empiriche, in modo particolare la fisica e la biologia, e delle scienze antropologiche, come la psicologia e al sociologia, le promettenti possibilità di intervento sull’essere umano e sul cosmo. la teologia morale veniva chiamata a un rinnovamento metodologico generalis CXXII, 14 novembris 1964): acta Synodalia Sacrosancti Concilii oecumenici Vaticani Secundi, vol. III, pars vII, Città del vaticano, 710. 3 sulla morale dei manualisti e i suoi limiti si veda l’importante saggio di a. vErmEErsCh (s.J.: 1858-1936), uno dei più grandi moralisti della prima metà del secolo XX, Soixante ans de théologie morale, in nouvelle revue théologique lvI (1929) 863-884. 4 Il Neotomismo fu sostenuto e promosso da leone XIII nell’enciclica aeterni Patris (1879). sulla situazione dell’insegnamento della morale in Italia cfr. il colloquio di valentino maraldi con E. ChIavaCCI, il cammino della Morale, milano 2005, 19-37. 5 Nei manuali l’approccio biblico era di stampo estrinsecista. Infatti il rimando ai testi biblici si poneva come momento aggiunto ad una previa riflessione razionale di impianto deduttivo.
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e contenutistico che fosse capace di toglierla dalle sabbie mobili dell’irrilevanza storica sia nella vita personale degli uomini del nostro tempo sia nella vita dell’intera famiglia umana. Confronto con la modernità intorno ai problemi etici, attenzione al soggetto agente e radicamento nell’economia della salvezza, erano le urgenze dell’oramai necessario e richiesto cambiamento6. Questa diffusa esigenza di una fondazione religiosa della morale, a partire da una comprensione antropologica personalista, nell’assise conciliare convocata da giovanni XXIII ha trovato accogliente e autorevole ascolto, specialmente quando si è trattato di dare indicazioni sul compito 6 la riflessione morale, nella prima metà del Novecento, al di fuori della manualistica, conosce un vivace fermento. alcuni teologi consapevoli dei mutamenti culturali e sociali, percorrono vie alternative, guardano a nuove sintesi, ricercano nuovi linguaggi soprattutto nell’ambito filosofico. l’epoca moderna ha mutato il profilo antropologico di riferimento, intraprendendo quel percorso che ha condotto ad una maggiore attenzione alla dimensione relazionale del soggetto agente, piuttosto che alla natura del soggetto metafisicamente inteso. si deve specialmente alla corrente filosofica del personalismo del sec. XX l’aver iniziato questo mutamento di prospettiva. l’uomo non è semplicemente un “essere” (esse-in) ma un “essere relazionale”, un “essere in relazione” (esse-ad). si pensi all’influenza del pensiero di max scheler (1874-1928) con il suo personalismo etico o di un martin heidegger (1889-1976), all’umanesimo integrale di Jacques maritain (1882-1973) e al personalismo comunitario di Emmanuel mounier (1905-1950). ma anche nel campo stesso della teologia si assiste a nuovi interessi che, forti della riscoperta della cristologia, dell’ecclesiologia ripensata a partire dalla sacramentaria e della liturgia quale fondamento della vita e della spiritualità cristiana, incideranno non poco nella riflessione etica. Non mancarono pertanto tentativi volti a riscrivere, a partire da queste acquisizioni, la proposta teologicomorale. tra le opere più significative, quella di fritz tillmann (4 parti, voll. 6, handbuch der katholischen Sittenlehre, Düsseldorf 1934-1938), dove l’autore mutuando da m. scheler la distinzione tra esemplare (Vorbild) e norma assume, come capace di dare impostazione unitaria e specificatamente cristiana al discorso etico, l’imitazione di Cristo (vol. 3: Die idee der nachfolge Christi); di Émile mersch (Morale et Corps Mystique, paris 1937) che sceglie come principio unificante l’incorporazione a Cristo. Il manuale di bernard häring (Das Gesetz Christi. Moraltheologie dargestellt für Priester und Laien, freiburg 1954; trad. it. La legge di Cristo, brescia 1957) è l’opera che, a ridosso del concilio, tenta di raccogliere insieme gli apporti più importanti di una riflessione così vivace in un periodo che nondimeno ha conosciuto le due guerre mondiali. «accanto a padre häring, in Italia, fra coloro che iniziarono un lavoro di rinnovamento va ricordato tullo goffi a brescia. […] Domenico Capone, redentorista, professore all’accademia alfonsiana. C’è stato soprattutto, il più importante in Italia, Josef fuchs, che iniziò a insegnare alla gregoriana nel 1954» (E. ChIavaCCI, il cammino della Morale, cit., 48).
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della teologia nella maturazione della coscienza ecclesiale e della fede adulta dei fedeli laici, e di iniziare una coraggiosa e radicale revisione degli studi teologici in vista della formazione dei futuri preti7. 1.2. Le prospettive del Vaticano ii 8 In riferimento alla teologia morale, possiamo così sintetizzare le linee essenziali del rinnovamento che il Concilio, pur non avendo scelto di offrire formalmente un documento che affrontasse unitariamente la problematica morale, ha voluto proporre9: – la prima rivolta a ritrovare le sorgenti specifiche e i fondamenti propri, riconquistando il suo legame con la scrittura10, la dogma7 Il Concilio ha proposto la revisione degli studi ecclesiastici nel Decreto sulla formazione sacerdotale, optatam totius. 8 Il Concilio ha affrontato alcuni aspetti morali in vari documenti e sotto diverse prospettive: cfr. J. fuChs, armonizzazione delle affermazioni conciliari sulla morale cristiana, in r. latourEllE (cur.), Vaticano ii: bilancio e prospettive venticinque anni dopo (1962-1987), 2, assisi 1987, 1017-1034. 9 vista l’economia del presente contributo non possiamo affrontare il complesso e non sempre chiaro rapporto tra teologia morale e Concilio se consideriamo che il fronte stesso del rinnovamento convergente al Concilio non è stato unitario. giustamente b. petrà vi riconosce “due anime”: «un’anima, che trova la sua espressione organica in b. häring e che riconduce la teologia morale alla sua fondazione religiosa nel contesto della comprensione personalistica dell’uomo: la scrittura è al cuore di tale visione; vi si ritrova il senso profondo dell’unità dell’esperienza cristiana nella vita in Cristo e nella Chiesa; il filosofo novecentesco di riferimento è m. scheler. l’altra anima è piuttosto rappresentata in ambito morale da Joseph fuchs: il suo punto di partenza è antropologico e gnoseologico; cerca di coniugare soggettività moderna e normatività cristiana basata sulle essenze assumendo la categoria dell’autonomia attraverso il linguaggio della decisione morale; il filosofo di riferimento è m. heidegger mediato da k. rahner. le due anime sembrano identificarsi in questo momento, giacché l’orizzonte cristocentrico e la visione vocazionale e personalistica dell’esistenza cristiana le unisce. le unisce anche l’opposizione alla manualistica tradizionale che rivendica l’oggettività dell’ordine morale e conferisce un ruolo sempre maggiore all’insegnamento morale del magistero. In realtà non coincidono. Il Concilio porterà il segno di apparente e provvisoria unità delle due anime del rinnovamento» (b. pEtrÀ, teologia morale, cit., 122-123). 10 Il Concilio vaticano II, preceduto da un vasto rinnovamento biblico, ha reso possibile ai cattolici l’accesso pieno alla sacra scrittura. la costituzione Dei Verbum sulla rivelazione propone a tutti i cristiani, e prima di tutto ai teologi, la lettura, la meditazione e
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tica, la liturgia, e mettendo in risalto un suo oggetto più ampio che non si riduca al solo studio degli atti umani ma che abbracci invece la descrizione dell’altezza delle vocazione dei fedeli in Cristo (optatam totius 16), in quanto fondamento della prassi morale del cristiano, ridando una centralità alla dignità della persona umana e alla coscienza (Dignitatis humanae e Gaudium et spes 16); – la seconda impegnata a riservare una maggiore considerazione all’analisi delle questioni peculiari dell’uomo moderno, mostrando la grande luce che può venire dalla rivelazione per la loro soluzione; all’esame dei problemi morali attraverso una comprensione reciproca e profonda dell’Evangelo e dell’esperienza umana (Gaudium et spes 4611); – la terza protesa a dare più spessore scientifico all’esposizione della teologia morale, ponendola nella condizione di poter affrontare il confronto con le scienze umane, soprattutto con le scienze antropologiche in quanto riguardano il soggetto morale che è appunto la persona umana. alla base di tutto soggiaceva, di sicuro, la grande preoccupazione pastorale dei padri conciliari per l’evidente estrinsecismo della fede in rapporto alla vita vissuta dei credenti12, la poca incidenza nella cultura contemporanea del sapere teologico che custodiva i contenuti autentici della fede dentro un linguaggio ormai sorpassato e incapace di interloquire con il pensiero moderno13 e, soprattutto, l’esigenza di ripensare teologicamente lo studio della sacra scrittura come sorgente primaria della «scienza di Cristo (scientiam iesu Christi)» (Fil 3, 8) in accordo con la tradizione (cfr. n. 21; 24-25). Il decreto optatam totius sulla formazione sacerdotale insiste perché si metta una cura particolare nell’insegnare la sacra scrittura nei seminari. Questo studio deve essere come tutta l’anima della teologia, il che vale specialmente per la teologia morale. Il ritorno della teologia morale alla scrittura è in pieno accordo con la grande tradizione teologica della Chiesa dai primi secoli in avanti. 11 È il testo della Costituzione pastorale che insegna a valutare i problemi del genere umano e della storia «sub luce Evangelii et humanae experientiae». 12 Cfr. Gaudium et spes 43. 13 Esiste, afferma sinteticamente g. ruggieri, «una visione in qualche modo dominante (quella dei “profeti di sventura”) nella tradizione della chiesa cattolica, dalla restaurazione ottocentesca fino a tutta la prima metà del nostro secolo. a partire dalla rivoluzione francese infatti il magistero cattolico si era irrigidito in una valutazione negativa della storia moderna. Come data d’inizio “ideale” di questa valutazione, anche se essa affonda le sue radici nell’apologetica settecentesca, si può citare l’enciclica Mirari vos (15
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la storia e, conseguentemente, il grande tentativo che ha attraversato tutta la modernità, di dare un’interpretazione secolare all’avvenimento cristiano, riconducendolo all’espressione più alta dell’umanesimo14. 2. l’orIENtamENto DElla tEologIa moralE post-CoNCIlIarE Il lavoro di rinnovamento era quindi quantitativamente molto e aperto su diversi fronti. Nonostante la buona volontà e l’entusiasmo, restava la complessità che spesso portava a grandi tensioni, soprattutto perché veniva chiamato in causa il problema della coscienza morale e del suo rapporto con l’autorità del magistero quale unico ed autentico interprete della legge naturale e custode del depositum fidei (rivelazione-tradizione)15. agosto 1832) di gregorio XvI, il quale leggeva la storia contemporanea sotto il segno di una “congiura dei malvagi” che non permetteva indulgenza e benignità alcuna da parte della chiesa e imponeva piuttosto di “reprimere con il bastone” i vari errori. Questo giudizio globalmente negativo sulla storia e sulla società occidentale, soprattutto sulle società democratiche, non fu soltanto ripreso nel magistero di pio IX (basti citare il Sillabo), ma codificato per così dire solennemente nel proemio che apre la Costituzione dogmatica del vaticano I sulla fede cattolica Dei Filius: la storia moderna, dopo il concilio tridentino, viene descritta come la progressiva corruzione dell’uomo, provocata dalla negazione protestante del principio di autorità» (g. ruggIErI, Per una ermeneutica del Vaticano ii, in Concilium 35 [1999] 1, 28). 14 «Il fenomeno — del cristianesimo secolare — si è manifestato storicamente come un’interpretazione, che pretendeva di essere radicale, dell’apertura al mondo promossa dal Concilio vaticano II: una Chiesa fino allora sulla difensiva e in lotta con un mondo ostile, diffidente verso tutto ciò che il mondo offriva e rappresentava, diventa, una Chiesa desiderosa di dialogare col mondo, cominciando dal riconoscere il valore degli obiettivi che il mondo vuole raggiungere: la libertà, la giustizia, le scienze, la tecnica, le idee filosofiche, tutto ciò che in una parola contribuisce alla costruzione del mondo moderno» (s. pINCkaErs, Le fonti della morale cristiana. Metodo, contenuto, storia, milano 1992, 361). per una comprensione della storia e del mondo come “luogo teologico” e per una ermeneutica dei segni dei tempi cfr. g. ruggIErI, La verità crocifissa, roma 2007, 81-114 (il capitolo 4 che porta il titolo: La storia come luogo teologico: i segni dei tempi) e l’interessante e “provocatoria” lettura di questa categoria conciliare che fa J. ComblIN, i segni dei tempi, in Concilium 41 (2005) 4, 96-111. Il vaticano II, mutuandola da giovanni XXIII (cfr. la Costituzione apostolica di indizione del concilio vaticano II, humanae salutis [25 dicembre 1961]; l’enciclica Pacem in terris [11 aprile1963]), utilizza quattro volte, nei suoi documenti finali, l’espressione “segni dei tempi”, anche se il concetto come tale ritorna spesso: Gaudium et spes 4; Presbyterorum ordinis 9; apostolicam actuositatem 14; unitatis redintegratio 4. 15 Non possiamo qui non accennare alla spinosa questione dell’etica della situazione
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Il cammino di rinnovamento ha dovuto così misurarsi con precise tematiche che sono subito emerse dall’approfondimento della metodologia: – l’accesa discussione sulla legge naturale e sulla competenza del magistero della Chiesa in tema di morale, soprattutto in riferimento al dibattito sorto con la comparsa sull’humanae vitae16; e al suo influsso sul rinnovamento della teologia morale. Nata, nella prima metà del Novecento, in ambiente luterano (il filosofo Eberhard grisebach nel 1928 conia il termine Situationsethik), partendo dalla premessa della unicità e irripetibilità di ogni singola situazione, sosteneva che la giustezza di una decisione e di una scelta veniva determinata di volta in volta dalla sincerità e rettitudine d’intenzione davanti a Dio. pio XII nel radiomessaggio del 23 marzo 1952 e nell’allocuzione del 18 aprile 1952 affrontando rispettivamente il tema della coscienza e della legge naturale contestò questa “nuova morale” (cfr. acta apostolicae Sedis XlIv [1952] 270-278; 413-419). Il sant’uffizio la condannò nell’Istruzione De ethica Situationis del 2 febbraio 1956, sottolineandone il pericoloso soggettivismo e individualismo, vero e proprio attentato all’oggettività della morale cattolica, in quanto conduce a disconoscere la natura umana universale, con la conseguente negazione dell’esistenza e della validità della legge naturale (cfr. acta apostolicae Sedis XlvIII [1956] 144-145). sulla problematica e la posizione di k. ranher e J. fuchs i quali, sebbene prendendo le distanze dall’etica della situazione, si dimostravano favorevoli a considerare la struttura singolare dell’esistenza umana concreta, per cui l’agire umano non è mai la mera applicazione a un caso di norme universali ma frutto di un processo decisionale che la persona conduce dinanzi a Dio, cfr. b. pEtrÀ, teologia morale, cit., 117-122. 16 acta apostolicae Sedis lX (1968) 481-503. la pubblicazione dell’enciclica, che porta la data del 25 luglio 1968, provoca forti reazioni e alimenta un vivacissimo dibattito. I teologi sono posti di fronte ad un bivio: accettare l’enciclica nei suoi contenuti normativi, giustificati e fondati sulla legge naturale, o prenderne le distanze e, dunque, aprire la questione circa l’autorità del magistero in questioni morali e in modo particolare in rapporto alla coscienza del credente. Ed è qui che si evidenzia una diversità di prospettiva anche tra i teologi che hanno partecipato al processo di rinnovamento della teologia morale. «I teologi che accettano l’autorità del magistero e che riformulano la loro comprensione della teologia morale in questa luce sono per lo più i teologi che sottolineano fortemente la fondazione religiosa della teologia morale; sono cioè teologi sospinti da un aspetto fondamentale del rinnovamento teologico-morale. I teologi, invece, che rinviano al primato della coscienza e sottolineano l’autonomia, sono quelli che rivendicano la coincidenza materiale tra etica umana ed etica cristiana, tesi ben presente nella manualistica preconciliare» (b. pEtrÀ, teologia morale, cit., 136). sugli antefatti della pubblicazione dell’humanae vitae e sui pronunciamenti delle Conferenze Episcopali dopo la comparsa dell’enciclica cfr. J.m. paupErt, Controllo delle nascite e teologia. il dossier roma, ed. it. a cura di leandro rossi, brescia 1967; l. rossI (cur.), humanae vitae e magistero episcopale, bologna 1969. sulla teologia dell’enciclica cfr. J. o’rIorDaN, evoluzione della teologia del matrimonio da Leone xiii ai nostri giorni, assisi 1974, 66-85.
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– l’individuazione dello specifico dell’etica cristiana insieme alla discussione sull’autonomia morale. Ci si domanda se la morale cristiana sia una morale religiosa (di fede) o una morale di ragione e che cosa apporti la fede di suo in ordine all’agire morale17. – a questo si aggiunga che, in conseguenza della reazione all’humanae vitae, si diffonde la prospettiva teleologica18 come superamento della rigidità della norma morale giustificata da paolo vI in modo deontologico19. ma questo punto di vista può 17 si prospetta da parte di non pochi moralisti, a differenza di quanti affermano uno specifico contenuto categoriale cristiano dell’etica, l’idea che non esistano norme morali concrete specificamente cristiane. le norme dell’etica cristiana coincidono con quelle dell’etica umana. l’humanum è tale per tutti gli uomini, credenti o meno. Questo non significa che la teoria dell’autonomia in ambito morale rivendichi la totale indipendenza della razionalità umana nei confronti della rivelazione. si parla, infatti, di “autonomia teonoma”. J. fuchs distingueva tra “norma categoriale” e “intenzionalità” collocando lo specifico cristiano su questo secondo livello (trascendentale), mentre per quanto riguarda il primo livello (categoriale), i cristiani parteciperebbero della morale umana fondata sulla recta ratio comune a tutti gli uomini (cfr. esiste una morale cristiana? questioni critiche in un tempo di secolarizzazione, brescia 1970 e, sempre per l’ambito italiano, s. bastIaNEl, il carattere specifico della morale cristiana. una riflessione dal dibattito italiano, assisi 1975). Da qui anche l’altra questione, strettamente collegata alla precedente, circa la cosiddetta morale autonoma in contesto cristiano (a. auer, f. böckle, b. schüller, J. fuchs, s. privitera,) secondo la quale l’uomo può costruire autonomamente una morale essendo dotato di ragione e potendo pertanto cogliere le esigenze etiche (per la riflessione italiana cfr. anche s. bastIaNEl, autonomia morale del credente, brescia 1980). Questa impostazione si differenzia dall’etica della fede (b. stöckle, a. vögtle) secondo la quale, vista la caducità dell’uomo e l’incapacità conoscitiva della ragione pratica, la fede è indispensabile per individuare le norme morali che debbono ispirare e guidare la prassi. per un orientamento su tale dibattito cfr. o. bErNasCoNI, Morale autonoma ed etica della fede, bologna 1981. 18 f. böckle scrive che «è teleologica (da telos = fine) quella teoria secondo la quale tutte le azioni devono essere giudicate in chiave morale esclusivamente in base alle loro conseguenze. un numero crescente di moralisti cattolici è convinto che le norme morali nell’ambito dei rapporti interumani possono essere fondate soltanto se si tiene conto di tutte le conseguenze prevedibili dell’azione» (Fundamentalmoral, münchen 1977, trad. it., Morale fondamentale, brescia 1979, 263). 19 J. fuchs afferma: «l’argomentazione deontologica crede di poter dimostrare un dovere assoluto (deon) riguardo a certi atti, indipendentemente dalle eventuali conseguenze — per es. la norma della “humanae vitae”», assolutezza derivante «“dalla natura dell’atto — dal fine naturale dell’atto”)» oppure «“a causa della mancanza del diritto”» (essere del Signore, roma 1981, 181.186). sul diverso modo di argomentare del teleologo
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sconfinare nell’utilitarismo. Di qui la reazione magisteriale e la conseguente ripresa della domanda sul ruolo dell’autorità e il grado di obbligazione da attribuire in ambito etico al magistero. si intravede, così, l’orientamento del magistero che giungerà all’acme con l’enciclica di giovanni paolo II Veritatis splendor20 (1993) e che inciderà non poco sulla posteriore riflessione teologico-morale. tra approccio personalista ed esigenza di continuità normativa della morale cattolica, si delineerà nel magistero centrale un personalismo (il cosiddetto personalismo magisteriale) che rivaluta la natura biologica della persona umana scorgendo in essa, per la determinazione dell’orientamento etico, dei significati imprescindibili individuabili dalla ragione umana. tale personalismo che costituisce il retroterra degli attuali dibattiti circa le questioni etiche di frontiera, dall’embrione all’eutanasia, dalla famiglia alla sessualità, trova la sua prima formulazione nella Dichiarazione circa alcune questioni di etica sessuale Persona humana del 29 dicembre 197521. Nel trattare alcune questioni di etica sessuale (rapporti prematrimoniali, masturbazione e relazioni omosessuali) a motivo di certe posizioni permissive di alcuni moralisti che vantano un orientamento personalista, la dichiarazione sostiene che ciascun uomo è chiamato a scoprire, accrescere e realizzare, con la luce della ragione, i valori iscritti nella sua natura, valori che non derivano dalla decisione umana, ma che sono segnati nel suo stesso cuore e pertanto richiedono il rispetto dell’ordine naturale, e cioè di quei principi immutabili fondati sugli elementi costitutivi e le relazioni essenziali della persona umana che superano le circostanze storiche e di cui la Chiesa è stata designata interprete qualificata e autentica. Questo significa che in un singolo atto si può dare peccato mortale al di là dell’opzione fondamentale della persona che lo pone in essere, cioè quando l’uomo con deliberato consenso «compie una scelta il cui oggetto è gravemente disordinato» (n. 10). Da qui la tensione sempre più crescente tra magistero, che rafforza ulteriormente il suo ruolo in ambito etico, lo schieramento della teologia e del deontologo cfr. ibid., 180-188; s. prIvItEra, La questione bioetica. nodi problematici e spunti risolutivi, acireale 1999, 131-139. 20 acta apostolicae Sedis lXXXv (1993) 1133-1228. 21 acta apostolicae Sedis lXvIII (1976) 77-96.
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morale critica e i teologi, alcuni dei quali appartenenti alla più giovane generazione, che hanno fatto proprio il personalismo magisteriale. È sulla base di queste premesse che si muove giovanni paolo II già all’inizio del suo lungo e complesso pontificato. Egli riconferma il dettato dell’humanae vitae nell’Esortazione apostolica post-sinodale Familiaris consortio del 22 novembre 198122, così come lo farà anche la Congregazione per la dottrina della fede nell’Istruzione sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione Donum vitae del 22 febbraio 198723. ma è nella Veritatis splendor che rinveniamo lo stato più maturo del personalismo magisteriale. In questa enciclica circa alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa, datata 6 agosto 1993, il papa offre il quadro di una teologia morale organicamente strutturata che getta luce e approfondisce quanto, l’anno prima, era stato precisato in ambito etico nel Catechismo della Chiesa cattolica24. l’enciclica intende rispondere, entrando direttamente nel dibattito teologico-morale, a quanti mettono in discussione in modo radicale l’intero patrimonio morale della Chiesa minandone le fondamenta. per questa ragione affronta «alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale 22 acta apostolicae Sedis lXXIv (1982) 81-191. In questo ha certamente influito il fatto che karol wojtyla era stato, quale membro della Commissione pontificia “pro studio populationis, familiae et natalitatis”, istituita da giovanni XXIII nel marzo 1963, confermata e ampliata da paolo vI, tra i sostenitori dei valori antropologici ed etici propugnati dall’humanae vitae. 23 acta apostolicae Sedis lXXX (1988) 70-102. troviamo qui una definizione chiara di legge morale naturale: «la legge morale naturale esprime e prescrive le finalità, i diritti e i doveri che si fondano sulla natura corporale e spirituale della persona umana. pertanto essa non può essere concepita come normatività semplicemente biologica, ma deve essere definita come l’ordine razionale secondo il quale l’uomo è chiamato dal Creatore a dirigere e a regolare la sua vita e i suoi atti e, in particolare, a usare e disporre del proprio corpo» (n. 3). 24 strutturato come una sorta di manuale di morale di pronta consultazione, pur non entrando nel merito del dibattito teologico-morale, sottolinea il tema della oggettività della verità e della conformazione ad essa degli atti umani. l’editio typica (Cathechismus Catholicae ecclesiae, Città del vaticano 1997) porta la data del 15 agosto 1997, anche se il Catechismo è stato pubblicato nel 1992. per una introduzione al Catechismo cfr. il Catechismo del Vaticano ii. introduzione al Catechismo della Chiesa Cattolica, Cinisello balsamo 1993.
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della Chiesa, sotto forma di necessario discernimento su problemi controversi tra gli studiosi dell’etica e della teologia morale» (n. 5). la morale dell’autonomia con le sue conclusioni viene affrontata a viso scoperto, soprattutto nel secondo capitolo, e specialmente per quanto riguarda il rapporto libertà-verità, legge-coscienza, opzione fondamentalesingoli atti umani. per giovanni paolo II il problema di fondo è la rottura del legame tra libertà di scelta e verità della legge morale iscritta nel cuore dell’uomo, specchio della stessa sapienza e bontà del Creatore. l’obiettivo critico centrale della Veritatis splendor è il relativismo morale tipico di certe filosofie contemporanee che hanno rotto ogni legame con la legge naturale e il suo fondamento trascendente. alcune correnti di teologia morale influenzate da questa svolta soggettivistica ed individualistica, hanno finito per privilegiare troppo la dimensione soggettiva della scelta, attribuendo un’autonomia radicale e quindi pericolosa alla scelta del singolo, rischiando di cadere in un’etica della situazione e di rompere il legame essenziale tra libertà e verità, tra scelta della coscienza e legge naturale iscritta in essa da Dio. Il pericolo di questo punto di vista è muovere da una prospettiva relativista che utilizza un concetto soggettivo di libertà, staccato da ogni rapporto con il suo oggetto: Dio. «Ciò significa ultimamente definire la libertà mediante se stessa e farne un’istanza creatrice di sé e dei suoi valori. È così che al limite l’uomo non avrebbe neppure natura, e sarebbe per se stesso il proprio progetto di esistenza. l’uomo non sarebbe nient’altro che la sua libertà!» (n. 46)25.
per questo l’enciclica insiste sul fatto che la legge naturale è di per sé immutabile e costituisce, di conseguenza, un basamento costitutivo non 25 «ma il fattore progetto, pur manifestando la nota dell’autonomia e della creatività — un bene d’altronde irrinunciabile! — se viene esasperato induce il soggetto all’autorealizzazione e all’autoreferenzialità e quindi alla solitudine, proprio perché non c’è più l’idea del Creatore e, dunque, della “chiamata”, della relazione, del dialogo, della reciprocità, dell’attuare una “vocazione”. l’uomo si trova immerso nel mondo e nella storia e qui è all’opera nel libero esercizio della sua libertà, impegnato a tracciare da solo il sentiero della sua vita» (C. lorEfICE, ripensare il significato della vita: dalla propiziazione all’in-vocazione, dal possesso al dono, in s. CoNsolI – E. palumbo – m. torCIvIa [curr.], Magia, superstizione e cristianesimo, Catania-firenze 2004 [Quaderni di synaxis, 16], 173-191: 175).
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negoziabile26. tale sottolineatura non intacca la libertà del singolo garantita dalla coscienza. Quest’ultima, infatti, è segnata proprio dalla capacità di riconoscere il vincolo oggettivo e di applicare la norma al singolo caso particolare. Esiste dunque un legame inscindibile tra libertà e verità. Il superamento dell’arbitrio poggia su questo intrinseco rapporto. tanto meno ci può essere dissociazione tra l’opzione fondamentale e le scelte deliberate di un determinato comportamento. Non si può scegliere, liberamente e consapevolmente, un comportamento concernente materia grave in contrasto con la legge morale e, ciononostante, presumere di mantenere, a livello trascendentale, un’opzione positiva di carità per Dio. posta l’esigenza di oggettività del comportamento morale, l’atto morale è buono quando si conforma al vero bene nel rispetto dei beni moralmente rilevanti per la persona e, dunque, conformi alla legge naturale. la sua moralità non è data solamente dall’intenzione del soggetto e dalla ponderazione delle conseguenze e degli effetti positivi o negativi27. Di qui il riconoscimento e la reiterata condanna dei “mali intrinseci” e di tutti i comportamenti morali che, comunque interpretati e legittimati, mettono in discussione la dipendenza della morale dalla fede28, attribuendo al singolo una eccessiva libertà di scelta che lo porta ad entrare in conflitto, sulle 26 la nozione di legge naturale dalla Veritatis splendor viene fermamente sostenuta, contro l’accusa di mero biologismo, specialmente nei nn. 40. 47-48 rivendicandone l’evidente valore razionale. 27 C’è qui una netta presa di distanza dai sistemi del proporzionalismo, consequenzialismo e teleologismo, espressamente chiamati in causa nell’introduzione a Lettera enciclica Veritatis Splendor del sommo pontefice Giovanni Paolo ii. testo e commenti, Città del vaticano 1994, 7-8. ma nell’impostazione scaturita dalla Gaudium et spes e dalle istanze relative all’aggiornamento della disciplina contenute in optatam totius 16, Enrico Chiavacci riconosce, invece, un esplicito profilo teleologico dell’etica cristiana. solo che nel dibattito teologico si è creata una deplorevole confusione mentale tra “teleologico” e “consequenzialista”, inteso, tra l’altro, come sinonimo di “utilitarista”. a suo avviso alla luce delle indicazioni conciliari, il fine da perseguire è quello supremo dell’esistenza, la carità, verso cui tutta la vita morale deve tendere: «ma il Concilio vaticano II aveva dato alla teologia morale una svolta secca, chiaramente teleologica, […] suo compito è illustrare l’altezza della vocazione umana “in Cristo in caritate pro mundi vita fructum ferendi”. vi è dunque un telos che deve essere il cardine dell’annuncio e della vita morale cristiana» (E. ChIavaCCI, teologia morale fondamentale, assisi 2007, 342). 28 Nella terza parte dell’enciclica si afferma espressamente che fede e vita morale sono inseparabili (cfr. nn. 88-89).
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questioni etiche oggi più scottanti, con la legge naturale interpretata e difesa dal magistero. 3. la rIflEssIoNE tEologICo-moralE Dopo la VeritatiS SPLenDor29 Con la Veritatis splendor il magistero se, da una parte, ha individuato e precisato una morale fondata sulla oggettività determinabile della verità della persona e della sua azione, dall’altra, ha anche sollevato il disappunto di notevoli ambiti della ricerca teologico-morale. risulta infatti acritica e restrittiva la visione magisteriale dell’autonomia della ragione etica, oggi in modo speciale, poiché, in un mondo divenuto villaggio, dove i diversi sono tenuti a condividere e affrontare problemi epocali comuni, si assiste all’emergenza legata al pluralismo culturale, religioso ed etico. se chiaro è il processo di ri-teologizzazione del discorso morale ed evidente la ricezione delle istanze del vaticano II, non altrettanto scontato è il risvolto, sulla ricerca teologica, di questo energico intervento del magistero in ambito morale. una “militanza” che elabora e rivendica un’etica oggettiva, metafisicamente costruita, con la riaffermazione di una monolitica legge naturale, considerata l’ultima spiaggia per evitare la deriva dell’uomo post-moderno30. 29 per inquadrare tale periodo rimandiamo a g. aNgElINI, i sentieri impervi della morale dalla gaudium et spes alla veritatis splendor, in a trent’anni dal Concilio: Memoria e profezia, roma 1995, 347-380; ID., L’incerta vicenda della teologia morale fondamentale, in teologia 26 (2001) 385-405. Cfr. anche a. boNaNDI, il difficile rinnovamento. Percorsi fondamentali della teologia morale postconciliare, assisi 2003. una breve sintesi dell’evoluzione della teologia morale in Italia si trova in l. lorENzEttI, L’etica teologica in italia, in m. vIDal garCía, nuova morale fondamentale. La dimora teologica dell’etica, bologna 2004, 501-515. 30 «In tal senso, lo sforzo del magistero è stato ed è poderoso; tuttavia, ciò ha significato e significa una tale crescita dell’intervento magisteriale in aree morali da determinare due conseguenze colme di rischi per il futuro. la prima è che in tal modo si costituisce di fatto una teologia morale propria del magistero, investita della sua autorità: ogni teologia morale diversa si trova così in situazione sospetta o sospettabile. la seconda è che l’impegno diretto e frequente dell’autorità magisteriale in ambiti normativi concreti, largamente connotati dalla provvisorietà delle conoscenze e dall’opinabilità delle conclusioni, espone il magistero a possibili errori, incongruenze, determinazioni precoci o intempestive con indebolimento della propria autorità» (b. pEtrÀ, teologia morale, cit., 165).
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a partire da questo impasse si delinea un non facile cammino per la teologia morale che, nondimeno in Italia, conosce una certa vivacità31 in vista della delineazione di nuove prospettive che valorizzino i risultati raggiunti grazie al rinnovamento promosso dal Concilio ma che non tralascino le attuali sfide delle grandi trasformazioni culturali e sociali e delle nuove questioni etiche. «la strada da seguire era autorevolmente indicata soprattutto con due testi programmatici del concilio vaticano II: i moralisti italiani vi hanno fatto costante ricorso per motivare ricerche e proposte. Come si può dedurre, i due testi non dicono la stessa cosa: il primo esorta la teologia morale a darsi un’impostazione teologica, precisamente cristocentrica; il secondo orienta verso un’impostazione teologica senza specificazioni»32.
per questo non c’è nella produzione morale, sia manualistica che saggistica, sia nell’ambito della fondamentale come in quello della speciale, un approccio e un modello unitario, quanto piuttosto un pluralismo di 31 In Italia il rinnovamento della morale e il profilarsi di una propria identità euristica e propositiva passa — anche se non esclusivamente — attraverso due “protagonisti”: la nascita dell’associazione teologica italiana per lo studio della morale (atIsm), già nel 1966, e la pubblicazione trimestrale della rivista di teologia morale (1969): «fin dal primo congresso nazionale (1966), l’associazione avvertì l’opportunità di una rivista, quale strumento di confronto e di comunicazione tra i teologi moralisti, i filosofi e gli uomini e le donne di scienza. […] alla domanda di allora “perché fondare una rivista?”, le risposte erano più di una: perché in Italia — e anche in Europa — mancava una rivista dedicata esclusivamente alla morale, filosofica e teologica; perché le nuove ricerche e ipotesi di studio meritavano un confronto a livello pubblico; perché i teologi moralisti italiani, che si erano costituiti in associazione, intendevano superare la condizione di fruitori passivi di una morale elaborata altrove, e farsi soggetto creativo di ricerca e di proposta morale. più ambiziosamente, si voleva costituire una via italiana al discorso teologico-morale, nella consapevolezza che un progetto del genere comportava il superamento di una duplice dipendenza che, in Italia, si protraeva da tempo: l’una nei confronti della scuola romana alla quale si attingeva in maniera quasi esclusiva e ripetitiva; l’altro verso i teologi moralisti stranieri, specie francesi e tedeschi, dai quali più o meno consapevolmente si dipendeva» (l. lorENzEttI, L’etica teologica in italia, cit., 503-504; cfr. anche le pp. 508-510 dove si dà un nutrito elenco di teologi italiani che, sia nell’area della morale fondamentale e generale, come in quella speciale e applicata, si sono misurati con la pubblicazione di trattati, monografie e saggi). 32 ibid., 505. I testi conciliari a cui fa riferimento lorenzetti sono optatam totius 16 e Gaudium et spes 46.
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metodi e di percorsi segnati da attenzioni differenziate. Ci si muove comunque entro questi due ambiti fondamentali: quello della teologizzazione della morale cristiana a partire dal convincimento che l’antropologia viene arricchita dalla teologia (l’etica più è cristiana più è umana) e quello del ricorso all’ermeneutica e al dialogo-discernimento con i vari modi di parlare (linguaggi) e culture del nostro tempo33. la riflessione e la ricerca morale indubbiamente conserva un orientamento teologico. Negli ultimi quindici anni, dietro l’influenza della Veritatis splendor, si afferma una propensione a mettere l’accento sulle indicazioni metodologiche richieste dal testo di ot 16, ridando soprattutto un fondamento cristologico alla teologia morale: «al centro del messaggio cristiano — sostiene giannino piana — non vi è un principio astratto ma la persona di Cristo, in quanto realtà in cui si è reso visibile e sperimentabile l’amore di Dio, e come di conseguenza questo amore diviene l’intima struttura della personalità cristiana e legge del suo agire»34. 33 In questa elaborazione del discorso morale acquista un particolare valore la considerazione della ricchezza presente nelle diverse culture, filosofie, esperienze artistiche e sociali: una quantità di esperienze che in tutta la sua copiosità e varietà deve essere di sostegno alla Chiesa nella ricerca continua della verità e della stessa verità sull’uomo. afferma la Gaudium et spes: «È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello spirito santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta» (n. 44). 34 g. pIaNa, L’agire morale: tra ricerca di senso e definizione normativa, assisi 2001, 42-43. «la rivelazione di Dio in Cristo […] non aggiunge un supplemento di criteri per l’agire morale, bensì mette l’uomo in una nuova condizione che gli permette di esprimersi come “figlio” libero, perché liberato». occorre gettare «le premesse perché la centralità di Cristo nella vita morale venga intesa non solo in termini esemplari, come cioè bisogna comportarsi, “ma anche e soprattutto in ‘termini sostantivi’, non perché (Cristo) ci suggerisce il contenuto delle nostre decisioni, ma perché egli diventa, con la sua grazia, il ‘sostentamento’ e la forza che mantiene la coscienza cristiana in grado di orientarsi verso la carità» (N. CIola, La centralità di Gesù Cristo per la morale. attualità dell’Etica di Dietrich Bonhoeffer sessant’anni dopo, in Studia Moralia 43 [2005] 23-47:41). Cfr. anche C. zuCCaro, Cristologia e morale. Storia, interpretazioni, prospettive, bologna 2003; r. pENNa, il Dna del cristianesimo. L’identità cristiana allo stato nascente, Cinisello balsamo 2004; m. DolDI, Fondamenti cristologici della morale in alcuni autori italiani, roma 2000 dove l’autore analizza alcuni teologi moralisti: Capone, tettamanzi, bastianel, scola.
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Certo, tale opzione cristocentrica non può rappresentare un semplice dato conclusivo piuttosto lo spazio ove allestire il percorso della ricerca teologico morale per un intelligente discernimento sull’agire umano nel presente storico mediante l’esercizio critico della ragione in vista di una elaborazione normativa. basilio petrà, ponendosi la domanda: “quale teologia morale per il XXI secolo?”, non manca di sottolineare che essa, in alcuni ambiti importanti, «ha oggi molte difficoltà nell’assolvere alla sua funzione di elaborare criticamente le norme di comportamento per il cristiano, fondandone insieme il carattere umano (razionale) e la coerenza con la rivelazione. […] E intanto cresce lo iato tra quello che la gente vive e l’ufficialità della morale cattolica. […] alcune norme non appaiono difendibili anche a persone esperte e competenti, perché non corrispondono più alle nuove consapevolezze antropologiche. […] a partire dall’humanae Vitae, il magistero ha chiesto alla teologia morale una difesa di certe norme, mettendola in profondo disagio. […] proprio questo è il vero problema: la teologia morale non potrà fare molto per superare lo iato tra norme e ethos dei fedeli se non potrà ripensare anche alcune determinate norme alla luce delle nuove consapevolezze antropologiche, come in passato ha ripensato le norme dell’usura e della schiavitù»35.
si pone pertanto l’urgenza di una ricerca sul fondamento, ma, parimenti, l’approdo alla imprescindibile dimensione normativa che connota la riflessione etica. C’è, in ogni caso, l’esigenza di dare razionalità e quindi universalità alla proposta morale cristiana. In questa direzione resta emblematica la ricerca pionieristica in Italia del compianto salvatore privitera, con il suo “modo analitico di fare etica”, il rigoroso vaglio semantico degli asserti morali e la distinzione dei piani del discorso etico (normativo, parenetico, meta-etico)36.
35 b. pEtrÀ, quale teologia morale per il xxi secolo?, in rivista di teologia Morale 145 (2005) 80-81. 36 per un primo approccio ai temi morali affrontati dal teologo siciliano cfr. p. CogNato, il pensiero moral-teologico, in s. lEoNE (cur.) tra gli ulivi del Getsemani. in ricordo di Salvatore Privitera, supplemento di Bioetica e cultura 27 (2005) 28-34. alle pp. 75-91 viene riportata la bibliografia completa degli scritti di s. privitera.
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Quando si entra nel merito delle questioni etiche odierne più urgenti, quali quelle che, per esempio, vengono dal fronte della bioetica, della sessualità, della salvaguardia del creato e della convivenza pacifica tra i popoli, è chiaro che tale esigenza diventa ancora più impellente37. la teologia morale così prende coscienza della sua chiamata ad accompagnare l’uomo della nostra epoca e delle nostre culture, con le sue contraddizioni e aspettative, verso la sua comprensione e realizzazione etica. se da una parte egli, infatti, si mostra indifferente e sospettoso nella ricerca della verità etica, dall’altra non manca di far trapelare i segni di una impellente domanda etica e di una nostalgica richiesta di senso. tra l’altro è proprio dell’Evangelo fondare e alimentare una prassi, offrire un universo di significato che funga da riferimento per l’uomo di fede, ma anche per tutti gli “uomini di buona volontà” (giovanni XXIII), e da principio morale ineludibile: l’attenzione e la “pre-occupazione” per l’altro, chiunque esso sia, l’esserci-per-altri di bonhefferiana memoria38. 37 l’odierno ripensamento della disciplina è impegnato anche sul fronte del bisogno di rintracciare la prospettiva teorica e pratica di un linguaggio etico mondiale capace di far ritrovare l’intera famiglia umana su quei valori comuni che rendono possibile una assunzione di responsabilità per una convivenza pacifica e solidale e per la continuità della presenza stessa dell’uomo sulla terra. C’è chi propone soluzioni che vanno nella direzione del comune consenso etico fra le religioni e le culture cfr. h. küNg, Progetto per un’etica mondiale, milano 1991; p.C. borI, Per un consenso etico tra le culture. tesi sulla lettura secolare delle scritture ebraico-cristiane, genova 1991. 38 tra gli appunti per un progetto di studio scritti in carcere, D. bonhoeffer annotava: «Incontro con gesù Cristo. Esperienza del fatto che qui è dato un rovesciamento completo dell’essere dell’uomo per il fatto che gesù “esiste per altri”, esclusivamente. l’“esserciper-altri”di gesù è l’esperienza della trascendenza! solo dalla libertà da se stessi, solo dall’“esserci-per-altri” fino alla morte nasce l’onnipotenza, l’onniscienza, l’onnipresenza. fede è partecipare a questo essere di gesù. (Incarnazione, croce, risurrezione). Il nostro rapporto con Dio non è un rapporto “religioso” con un essere, il più alto, il più potente, il migliore che si possa pensare — questa non è autentica trascendenza — bensì è una nuova vita nell’“esserci-per-altri ”, nel partecipare all’essere di gesù. Il trascendente non è l’impegno infinito, irraggiungibile, ma il prossimo che è dato di volta in volta, che è raggiungibile. Dio in forma umana! non il mostruoso, il caotico, il lontano, l’orribile in forma di animale, come nelle religioni orientali; ma neppure nelle forme concettuali dell’assoluto, del metafisico, dell’infinito, ecc.; e neppure la greca forma divino-umana dell’“uomo in sé”, bensì “l’uomo per altri”!, e perciò il crocifisso. l’uomo che vive a partire dal trascendente» (E. bEtghE [cur.], resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, Cinisello balsamo 1988, 462).
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risiede qui il nocciolo duro della questione etica: il senso ultimo da dare all’esistenza. la domanda morale è domanda di senso che abbraccia tutte le dimensioni della vita dell’uomo. la questione normativa concreta, viene dopo e scaturisce da quella. Nessuno può scegliere o aderire ad una norma senza un senso della vita. una vita che, in ogni caso, ci pone di fronte a noi stessi nell’essere di fronte agli altri. per questo Enrico Chiavacci, in chiave prospettica, attraverso la sua riflessione, mette l’attenzione sul ripensamento dell’agire significativo (o del senso dell’agire) da intendere sia in riferimento all’autoconsapevolezza del soggetto (auto-coscienza), come al suo rivolgersi all’altro da sé. Di conseguenza occorre restituire una maggiore attenzione alla biografia morale del soggetto e al suo impegno di dare corpo, nell’oggi della storia, alla propria libertà attraverso una assunzione di responsabilità e di comportamenti significativi, per sé e per gli altri. «Non è dunque pensabile la moralità senza relazione all’altro. E l’altro — qualunque fratello in umanità — non è un altro astratto, […]: è chi, nel preciso momento storico in cui sono chiamato a vivere, entra comunque nel mio orizzonte di vita e di esperienza. Nell’oggi in cui io vivo e scrivo l’intera famiglia umana mi è presente, nella difficile convivenza interculturale da un lato, nella tragica convivenza dell’unico sistema planetario economico e mediale dall’altro lato. si deve aggiungere l’altro che vivrà domani, l’umanità ventura che già entra nel mio orizzonte, in quanto io sono consapevole che con le mie scelte ne condiziono la qualità della vita. Del resto Nostro signore è nato, ha parlato, ha agito, è morto anche per me e per chi mi sta leggendo, per noi che saremmo vissuti 2000 anni dopo; e il suo vangelo modifica o guida le mie scelte. l’altro, dunque: ed è proprio in tutti gli ambiti del rapporto con l’altro che oggi si muove il dibattito filosoficosociale. I temi della bioetica, della guerra, dell’economia, della giustizia, della politica, dell’ecologia, della famiglia, sono oggi tutti sul tappeto per gli studiosi di etica. E in ogni caso e in ogni autore — che lo si voglia o no — è sempre l’assunzione di un significato dell’altro per me che fonda la riflessione etica contemporanea»39. 39 E. ChIavaCCI, invito alla teologia morale, brescia 19962, 127-128. per una teologia della coscienza cfr. D. CapoNE, La teologia della coscienza morale nel Concilio e dopo il Concilio, in Studia Moralia XXIv (1986) 221-249; s. maJoraNo, La coscienza. Per una lettura cristiana, Cinisello balsamo 1994. sulla collocazione del concetto di responsabilità nell’attuale riflessione etica, con particolare riferimento alla bioetica, cfr. C. lorEfICE,
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uNa Nota CoNClusIva la teologia morale è oggi chiamata ad espletare il non semplice ma esaltante compito che già b. häring le assegnava all’indomani del Concilio40: esprimere, all’interno di una Chiesa sempre più consapevole di essere compagna degli uomini verso il compimento del regno, una diakonia di mediazione tra fede e vita, tra teologia e antropologia, tra verità morale e norma categoriale, tra Evangelo e cultura/e, tra intelligenza della fede e intelligenza scientifica, tra magistero e sensus fidei (ed ethos) dei fedeli41, perché ciascun uomo, motivato dal dono sincero di sé, sia un “responsabile” ermeneuta della vita.
L’agire responsabile in medicina della riproduzione e rigenerativa, in s. CoNsolI – v. roCCa (curr.), embrioni, cellule e persona: biomedicina, giurisprudenza ed etica a confronto. atti del Convegno di studi organizzato dallo studio teologico s. paolo e dalla facoltà di medicina e Chirurgia dell’università degli studi di Catania, Catania 3-4 maggio 2007, Catania-firenze 2007 (Quaderni di synaxis 21), 83-100. 40 Cfr. b. härINg, Moraltheologie unterwegs, in Studia Moralia 4 (1966) 7-18. 41 a maggior ragione oggi poiché il magistero, come abbiamo visto, non è «semplicemente impegnato a mantenere la verità del cammino, ma direttamente coinvolto nel discernimento morale con una sua teologia morale propria» (b. pEtrÀ, teologia morale,cit., 166).
Synaxis 3 (2008) 41-69 Il DuplICE uso DElla mEtafora spoNsalE tra CrIsto E la ChIEsa NEl De ConCorDantia CathoLiCa DI NICColò CusaNo* alfrEDo aNDroNICo**
prEmEssa l’opera del Cusano1 risulta fortemente contrassegnata dall’uso della metafora sponsale tra Cristo e la Chiesa. Il nostro studio verterà sul significato che essa assume nella sua opera teologica più importante, il De Concordantia Catholica, in cui egli esprime la sua concezione ecclesiologica. Il Cusano, almeno nella prima parte della sua vita, appare fortemente legato alla concezione conciliarista di Chiesa sinodale2, che aveva avuto il * Estratto della tesi di baccalaureato discussa il 12 ottobre 2007 presso lo studio teologico s. paolo di Catania, relatore il prof. giuseppe ruggieri ** baccelliere in teologia. 1 per un’approfondimento della figura e dell’opera del Cusano cfr. g. ChrIstIaNsoN (cur.), nicholas of Cusa, leiden 1991; g. ChrIstIaNsoN – t.m. IzbICkI (curr.), nicholas of Cusa and Christ and the Church, leiden 1996; k. flasCh, nicolaus Cusanus, münchen 2007; w.J. hoyE, Die mystische theologie des nicolaus Cusanus, freiburg 2004; t.m. IzbICkI – g. ChrIstIaNsoN (curr.), nicholas of Cusa in Search of God and Wisdom, leiden 1991; g. kallEN, Praefatio editoris, in N. DE Cusa, De Concordantia Catholica in vol. XIv/1 di opera omnia, a cura di g. kallen, hamburg 1964, IX-XIII; D. larrE (cur.), nicolas de Cues, penseur et artisan del’unité, lyon 2005; g. NEusIus, nikolaus von Kues (1401-1464), lindenberg 2007. 2 per un approfondimento della tematica cfr. g. albErIgo, Chiesa conciliare. identità e significato del conciliarismo, brescia 1981; w. baum, Konziliarismus und humanismus, wien 1988; C.m. bEllItto, ambivalence and infallibility at the Council of Constance, bologna 2001; ID., il conciliarismo, in g. albErIgo – g. ruggIErI – r. rusCoNI (curr.), il Cristianesimo. Grande atlante, III, torino 2006, 1092-1101; a. laNDI, Le radici del conciliarismo. una storia della canonistica medievale alla luce dello sviluppo del primato del papa, torino 2001; a.C. lEoparDI, il Conciliarismo. Genesi e sviluppo, bari
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suo culmine nel decreto haec Sancta3 e nel decreto Frequens4 del concilio di Costanza del 1414/185. le categorie di concordantia e di repraesentatio vengono espresse nell’opera in questione a partire dal motivo sponsale, il quale diventa così il mezzo attraverso cui egli esprime da una parte il discorso della santificazione della Chiesa e della sua adesione allo sposo celeste, dall’altra la necessità del consenso: la sponsalità illumina infatti tale necessità a tutti i livelli rappresentativi della Chiesa. la categoria di repraesentatio non deve essere considerata nel senso giuridico moderno di delega o sostituzione, bensì nel suo significato originario di rendere presente e attuale la realtà rappresentata6. l’uso del motivo sponsale ha quindi delle implicanze nell’esplicitazione di essa, della concezione dell’episcopato e del legame tra le Chiese particolari e la sede romana, nella relazione tra consensus e convocazione, celebrazione e ricezione dei concili. Quindi, nella teologia del nostro autore la metafora diventa uno dei mezzi per chiarire il fondamento ultimo di tutto il discorso sui sinodi: infatti da Cristo, capo e signore, deriva la sponsalità, vista nella sua duplice dimensione, dalla sponsalità si passa alla concordantia, dalla concordantia all’unico episcopato, dall’episcopato al concilio, anch’esso espressione di concordantia, dal concilio, infine, che è manifestazione e “ri-presenta1978; b. tIErNEy, Fundations of the Conciliar theory, Cambridge 1997; p. DE vooght, Les pouvoirs du concile et l’autorité du pape au concile de Constance. Le décret haec sancta synodus du 6 avril 1415, paris 1965. 3 Cfr. CoNCIlIo ECumENICo DI CostaNza, Decr. sull’autorità e integrità del Concilio; ripetizione e conferma nella redazione originale abbreviata nella precedente sessione dal card. zabarella malgrado l’opposizione delle nazioni haec sancta Synodus (sessione v, 06. 04. 1415) in CoD (= g. albErIgo et al. [curr.], Conciliorum oecumenicorum Decreta, bologna 2002), 409. 4 Cfr. CoNCIlIo ECumENICo DI CostaNza, Decr. dei concili generali Frequens generalium conciliorum (sessione XXXvIII, 28. 08. 1417), in CoD, 438-439. 5 Cfr. h. JEDIN (dir.), Storia della Chiesa, v/2, milano 1977, 136ss; J. gIll, Costance et Bale-Florence, paris 1965, 218-261. 6 per approfondire il tema della repraesentatio cfr. h. hofmaNN, repräsentation. Studien zur Wort und Begriffsgeschichte von der antike bis ins 19. Jahrhundert, berlin 2003; m. mErlo, Vinculum concordiae. il problema della rappresentanza nel pensiero di nicolò Cusano, milano 1997.
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zione” della Chiesa universale, si ritorna a Cristo e al connubio perpetuo e indissolubile. Cercheremo di vedere questo operando uno studio approfondito prima di tutto sulla presenza del motivo sponsale dell’opera, sulla radicazione di esso nelle fonti scritturistiche, patristiche e canonistiche, per poi esplicitare in maniera più chiara il significato del duplice uso, che rappresenta il tema ultimo del nostro lavoro. 1. Il De ConCorDantia CathoLiCa l’opera teologica del Cusano è concepita in un momento molto particolare della storia della Chiesa: tra XIv e Xv secolo l’Europa era attraversata da una profonda esigenza di rinnovamento in reazione alle idee guida della società medievale. In tale contesto assai complesso si colloca lo scisma d’occidente, in reazione al quale fu celebrato il concilio di Costanza. per il ristabilimento della situazione e per il risanamento dello scisma avevano giocato un ruolo importantissimo le idee conciliariste, le quali sostenevano la tesi che il concilio ecumenico legittimamente riunito aveva un’autorità maggiore rispetto a quella del papa; tale affermazione veniva argomentata dicendo che il concilio riceve la sua autorità direttamente da Cristo e non da colui che lo presiede, dal momento che anche costui deve sottostare alla legge di Cristo7. l’obbiettivo del concilio di Costanza alla fine della sua celebrazione, alla luce dei decreti da esso approvati, sembra chiaro: garantire al concilio uno stabile esercizio della sua autorità ultima nella Chiesa anche nei confronti del papa e per sempre8. In ossequio alle direttive del concilio furono convocati nel 1423 il concilio di pavia-siena e nel 1431 il concilio di basilea, a cui il Cusano fu invitato a prendere parte prima come difensore della causa del suo protettore, il conte ulrico di manderscheid, poi come membro della commissione de fide.
7 Cfr. J. gErsoN, Sermone del 21 Marzo 1415, in C. m. bEllItto, il conciliarismo, cit., 1098. 8 Cfr. i decreti citati alle note n. 3 e 4.
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1.1. Scopo e contenuto dell’opera al periodo di basilea risale la stesura del De Concordantia Catholica (1432-1433). anche il Cusano, come altri prima di lui, in quest’opera vede nel concilio legittimamente riunito il supremo potere magisteriale, legislativo e giudiziario, superiore al papa, perché la rappresentazione più perfetta della Chiesa universale. l’opera è divisa in tre parti: una prima parte, in cui si parla della Chiesa intesa come la concordanza di tutti gli uomini uniti a Cristo, il quale, a partire da questo legame, è sposo della Chiesa stessa; una seconda parte, la più lunga, in cui si parla in maniera molto approfondita dei concili, argomento principale dell’opera; una terza parte, in cui si cercano di vedere i nessi fondamentali tra l’impero, e precisamente quello tedesco, di cui il nostro autore fa parte, e la gerarchia ecclesiastica; vi si danno inoltre delle indicazioni per la valida convocazione di un concilio. lo scopo fondamentale dell’opera era quello di dare al concilio di basilea dei suggerimenti pratici per risollevare la situazione in cui ci si trovava, che non era delle più felici: si veniva fuori da uno scisma che si era riusciti a eliminare soltanto con colpi di mano e un impegno non poco gravoso; Costanza aveva decretato la superiorità del concilio generale sul papa e l’esigenza di celebrarne uno a intervalli regolari; i papi, da parte loro, cercavano di riprendersi in mano il potere che ormai sembrava perduto per sempre. la proposta del Cusano non ha la pretesa di essere assoluta essa vuole rimanere in continuità con la fede della Chiesa e la tradizione; tant’è vero che egli riserva al concilio la libertà di accettarla o rigettarla9. 1.2. La presenza della metafora sponsale nell’opera già nella prefazione del nostro trattato si riscontra un riferimento al tema sponsale tra Cristo e la sua Chiesa: la breve sintesi del primo capitolo in essa presente così dice: «la Chiesa è costituita dalla concordanza univer9 Cfr. CC (= N. DE Cusa, De Concordantia Catholica in g. kallEN [cur.], opera omnia, XIv/1-4, hamburg 1959-68. per la traduzione italiana si fa riferimento a N. CusaNo, opere religiose, a cura di p. gaia, torino 1971) 598.
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sale di tutti gli spiriti razionali uniti con dolcissima armonia a Cristo, via verità e vita, il quale perciò è lo Sposo della Chiesa»10. Da questo breve accenno comprendiamo subito l’importanza che il motivo sponsale ha all’interno dell’opera: esso è inserito nel titolo del primo capitolo assieme al tema della concordanza o armonia di tutti gli spiriti razionali, i quali in virtù di essa posseggono un vincolo strettissimo d’amore con il loro signore, che è «via, verità e vita»11. Il primo capitolo del primo libro esordisce esponendo il concetto di concordantia, che è quel principio per il quale la Chiesa concorda nell’unico signore e nei molteplici sudditi; essa deriva da Dio e ad essa sono predestinati tutti gli uomini12; per spiegare questa predestinazione all’armonia il Cusano prende come punto di partenza la lettera agli Efesini al capitolo 5 e poi radica il suo tema nella tradizione della Chiesa citando ambrogio e girolamo. Così afferma: «Questa predestinazione è dimostrata dall’apostolo con la sentenza del Genesi, per cui l’uomo lascerà il padre e la madre e aderirà a sua moglie e saranno due in una carne sola. È il sacramento di Cristo e della Chiesa. Se quindi l’unione di adamo ed eva è un grande sacramento in Cristo e nella Chiesa, è certo che, come eva fu osso delle ossa dell’uomo e carne della sua carne, così anche la Chiesa, composta dalle membra di Cristo, è osso delle sue ossa e carne della sua carne. perciò ambrogio, volendo magnificare quell’epistola di paolo, dice nella sua lettera ad Erennio: “tra il popolo di Dio non si diffuse mai una lettera così ricca di benedizione come questa”. E continuando, afferma che Cristo siede alla destra del padre, e che noi tutti “non solo sederemo, ma consederemo con Cristo ed il suo corpo in cielo”. ma affinché noi potessimo pervenire, mediante la fede, a quell’unione di perfetta armonia, Cristo ha istituito la Chiesa come un organismo articolato in gradi e funzioni diverse, “facendo gli uni apostoli, gli altri vescovi, gli altri dottori, ecc.”, affinché ognuno, “nell’unità della fede e della conoscenza potesse unirsi al capo, e non venisse a mancare, per così dire, nessun membro a Cristo che è capo di tutti e che, mediante la razionale armonia propria del verbo, rende compaginato, compatto e connesso in tutte le articolazioni delle sue funzioni l’unico corpo dei fedeli, e lo fa crescere 10 11 12
ibid., 3. Corsivo mio. gv 14, 6. Cfr. CC I, 1, 4.
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alfredo andronico in ogni sua parte in modo proporzionato, edificandolo nella carità, per formare in tutti un unico tempio e per costruire nello spirito di tutti un’unica abitazione divina. tale corpo va inteso, io penso, non solo come l’unione di fede e di spirito degli uomini santi, ma anche come l’unione di tutti i credenti e perfino di tutti gli spiriti razionali superiori, come le virtù e le potenze angeliche. In tal modo questo corpo, risultante di tutti gli spiriti di natura razionale unificati da una singolare armonia di forze e di funzioni, aderisce a Cristo, suo capo, per formare un organismo così perfettamente compaginato da rendere impercettibili le giunture dei singoli membri aderenti”. anche s. gerolamo concorda su questo quando dice : “eva significa la Chiesa perché è la madre dei viventi, adamo significa Cristo, il matrimonio significa l’unità dello spirito. Cristo è capo della donna, e la donna, cioè la Chiesa, è formata dalla costa dell’uomo ed è carne della sua carne”. Di questo parlano anche molti scritti di santi padri che, per brevità, devo tralasciare»13.
la predestinazione dell’uomo ad essere figlio nel figlio14 è, quindi, dimostrata da paolo e poi da ambrogio e girolamo: l’uomo è ordinato a lasciare suo padre e sua madre, ad aderire a sua moglie e ad essere con lei una carne sola; così anche Cristo con la Chiesa. Come Eva è osso delle ossa di adamo e carne della sua carne, così anche la Chiesa è osso delle ossa e carne della carne di Cristo; questo comporta, secondo il dettato di ambrogio, che come Cristo è stato glorificato e siede alla destra del padre, così anche noi, la Chiesa, siederemo alla destra di Dio assieme a Cristo nella glorificazione. ma affinché si realizzasse questa unione armonica del Capo con le membra, Cristo ha costituito la Chiesa come un organismo ordinato, in cui ciascun membro ricopre una propria funzione specifica. tale corpo dei fedeli così costituito viene edificato nella carità da lui per formare in lui un unico tempio, abitazione della sua divinità. tale corpo inoltre va inteso non solo come l’unione dei fedeli ancora pellegrini sulla terra, bensì come l’unione di Chiesa celeste e Chiesa terrena; in questa unione il corpo così composto aderisce al suo signore con una forza tale che si crea una armonia che rende impercettibili le differenze all’interno di esso. poco più avanti il nostro autore afferma che la concordantia perfetta 13 14
ibid., 5. Corsivo mio. Cfr. ibid., 4.
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la si può scorgere nell’unità e trinità di Dio, perché in essa le giunture che legano le singole persone divine sono infinitamente impercettibili da rendere infinitamente perfetta l’armonia che si instaura tra esse; in tale concordanza si può dunque cogliere «la più alta ed incomprensibile verità che si presenti agli occhi dell’intelletto umano»15. poi continua: «per quanto riguarda il nostro argomento, basti sapere che “il padre è la sorgente della vita che si dirama nel figlio e fluisce in tutti nello spirito santo”, come dice alberto magno nel commento a matteo; che mediante l’unità dello spirito si costituisce il matrimonio esistente tra Cristo e la Chiesa, come afferma Cipriano nel De unitate ecclesiae: “chi vuole avere Dio come padre non può venire rigenerato alla vita se non attraverso la madre dei viventi, cioè la Chiesa”; e che, quindi, poiché nell’unità dello spirito si è con Cristo, siamo membra di Cristo, dal quale veniamo gradualmente trasformati mediante la nostra adesione e comunione con lui »16.
la vita, quindi, proviene dal padre che nel nostro testo è definito «sorgente»; da lui essa «si dirama» nel figlio per poi fluire in tutti nello spirito. attraverso lo spirito e mediante l’unità che nasce da lui si costituisce, quindi, il connubio sponsale tra Cristo e la Chiesa. Ciò comporta, secondo l’affermazione di Cipriano, che nessuno può avere Dio come padre, se non ha tale Chiesa, sposa del Cristo, come madre. Dalla maternità della Chiesa e dalla rigenerazione di vita che essa offre scaturisce per i fedeli l’unità con Cristo e il divenire sue membra, destinate alla trasformazione graduale che conduce alla glorificazione. al termine del capitolo il nostro sintetizza quanto ha esposto con una breve affermazione conclusiva, in cui si riscontra ancora una volta il motivo sponsale: «sintetizzando quanto detto, si può concludere che Cristo è via, verità e vita, capo di tutte le creature, marito e sposo della Chiesa, la quale è costituita dall’unione (concordantia) di tutte le creature razionali con Cristo quale unico capo e tra loro quali membra molteplici, secondo vari gradi gerarchici»17. 15 16 17
ibid., 6. ibid., 7. Corsivo mio. ibid., 8. Corsivo mio.
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Nel secondo capitolo del primo libro il Cusano si propone di vedere in maniera più accurata cosa significhi che la Chiesa è costituita dall’unione con Cristo. tutte le cose derivano da Dio e sono state create da lui, esistono delle creature (gli angeli) che hanno un grado di concordantia con lui maggiore di altre. tuttavia esiste una distanza infinita tra la creatura, anche se appartenente a questo grado più alto, e il Creatore; solo il figlio è «immagine» e «splendore» del padre. In questo processo di emanazione che si viene a creare quanto più si scende di grado, tanto più aumenta questa distanza e diminuisce la somiglianza; tale processo termina nel nulla. la Chiesa quindi, da parte sua, è formata da spiriti razionali e da uomini uniti a Cristo, anche se con gradi di adesione differenti l’uno dall’altro18. ritorna ancora quindi il discorso dell’unione con Cristo da parte dei fedeli, nonostante qui non si parli esplicitamente di sponsalità. Nel terzo capitolo il nostro autore mostra gli ordini distinti di cui è costituita la Chiesa (celeste e terrestre) e sostiene che l’anima dell’uomo, mediante la fede, diventa consorte della natura divina, perché si nutre della sapienza che scaturisce da Cristo. attraverso di lui, infatti, siamo resi «figli adottivi del signore» e possiamo chiamarlo con il nome di padre; grazie a lui siamo «destinati a risorgere incorrotti» e a contemplare l’eterna luce del regno di Dio. Cristo, quindi, è definito il «buon pastore» e noi «le sue pecorelle»: ogni creatura razionale per mantenersi in vita deve aderire a lui19; e conclude dicendo: «Da tutto ciò si può concludere che la Chiesa Cattolica si fonda sull’unità con Cristo mediante la fede. poiché senza la fede è impossibile raggiungere quell’eterna gloria desiderata, contemplare Dio e il signore gesù salvatore»20.
ancora una volta il motivo sponsale appare solo accennato senza l’uso di una terminologia esplicita che si riferisca ad esso. Il quarto capitolo, invece, è molto importante per il nostro lavoro; in esso la metafora sponsale ricorre molto di frequente ed è espressa quasi 18 19 20
Cfr. ibid., 2, 9-12. Cfr. ibid., 3, 13-18. ibid., 18. Corsivo mio.
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sempre in maniera esplicita. vediamo, quindi, il primo brano a cui possiamo fare riferimento: «per limitarci a pochi ordinati accenni su questo vasto argomento, diciamo che il corpo della Chiesa aderisce a Cristo nello Spirito, perché in esso abita lo spirito che vivifica tutto il suo corpo e ogni suo membro, allo stesso modo che l’anima è tutta in tutto il corpo ed in ogni sua parte, come spiega ampiamente agostino nella lettera a Dardano sulla presenza di Dio. E perciò questo corpo animale, derivato da adamo, è diventato spirituale per la rigenerazione in Cristo. In questa rigenerazione ciò che era morto e consepolto con Cristo è risorto come uomo nuovo più spirituale, simile a una promessa sposa senza macchia, per poter giungere, combattendo, alla vittoria che passa attraverso la morte, allorquando essa risorgerà come sposa perfettamente spirituale ed incorruttibile e perverrà all’unione del perpetuo matrimonio»21.
la Chiesa, corpo del signore gesù Cristo, aderisce a lui per mezzo dello spirito santo. la rigenerazione è elargita ad essa mediante il mistero pasquale, il quale fa sì che sia cancellato in lei il peccato mortifero contratto in adamo e, secondo il modello di Cristo, sia condotta a diventare «uomo nuovo più spirituale», «promessa sposa senza macchia». la lotta contro il peccato, quindi, conduce la Chiesa a partecipare del grande mistero di glorificazione manifestatosi in Cristo morto, sepolto e risorto; al momento della risurrezione, in cui tale partecipazione sarà assoluta, essa si ritroverà «sposa perfettamente incorruttibile» per Cristo e giungerà alla consumazione del «perpetuo matrimonio» con lui. Il secondo passo riguardante il tema sponsale lo ritroviamo poco più avanti nel contesto di cui abbiamo già in precedenza fatto cenno, nel quale si parla di «predestinati» e «presciti», i primi sono coloro che, mediante la loro adesione a Cristo nella fede, perverranno alla gloria futura, i secondi coloro che non vi perverranno per via del loro mancato assenso. Nel corpo della Chiesa, infatti, sono presenti sia i primi che i secondi, tuttavia questo «giudizio» rimane nascosto agli uomini, i quali mediante la ragione non possono distinguere chi appartenga all’una o all’altra categoria; è, quindi, il momento della morte che determina tale attribuzione categoriale, tant’è 21
ibid., 4, 21. Corsivo mio.
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vero che in vita il predestinato può trovarsi nel peccato, mentre il prescito essere in grazia. ma a questo punto cerchiamo di vedere come il motivo sponsale si lega a questo discorso: «[…] diciamo che la Chiesa è costituita di predestinati e di presciti, in base alla considerazione che ogni fedele che fa la volontà di Dio diventa un solo spirito con Lui mediante il consenso con cui contrae gli sponsali per la futura consumazione del matrimonio. Dio infatti, essendo ottimo, distribuisce la grazia giustificante a chi è disposto e ne è capace. ma il fatto che non tutti i membri di questa Chiesa militante perverranno alla consumazione del matrimonio dimostra che l’uomo ha la possibilità di perdere, per i suoi demeriti, l’ultima vittoria che passa attraverso la morte»22.
ancora una volta gli «sponsali» con Cristo sono visti in funzione della glorificazione celeste: il consenso del singolo fedele a tale unione lo predestina alla consumazione del matrimonio perfetto nella Chiesa celeste. la «grazia giustificante» distribuita da Dio, perciò, dipende dalla disposizione interiore che ognuno possiede per accoglierla e farla fruttificare. tale accoglienza e operosità nella Chiesa è il merito o il demerito di ognuno e stabilisce la partecipazione al connubio celeste con Cristo o la privazione da esso. poco più avanti il Cusano sottolinea la relazione che intercorre tra metafora sponsale e sinodo: «C’è ancora un altro modo di considerare la Chiesa. per esso la Chiesa viene concepita come una sposa fedele che obbedisce docilmente alla sua parte più alta e più nobile, la quale l’assoggetta e la tiene a freno affinché rimanga fedele allo Sposo»23.
la Chiesa è sposa fedele e in quanto tale rimane fedele al proprio sposo, la sua parte più alta la indirizza nel suo cammino, affinché questa sua obbedienza al Cristo rimanga sempre reale. Naturalmente, in ultima istanza, la parte più alta è nobile della Chiesa è Cristo stesso, suo Capo e signore, 22 23
ibid., 22. Corsivo mio. ibid., 23. Corsivo mio.
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a cui l’uomo deve assoggettarsi nella fede. la Chiesa militante, quindi, è descritta dal Cusano con l’immagine di un esercito che riconosce come proprio imperatore Cristo24. Il nostro conclude, quindi, affermando che la fede in Cristo è l’elemento costitutivo della Chiesa, per poi aggiungere: «E quantunque la fede senza le opere sia morta, tuttavia se permane la fede, non si è tagliati fuori dalla Chiesa, ma si è ancora uniti ad essa come un membro arido. perciò tale Chiesa, per la presenza di questa fede, vien detta sposa immacolata, quantunque, per causa di molti fedeli che peccano nel corpo e nell’anima, possa vedersi attribuiti spesso nomi diversi e contrastanti»25.
la mancanza delle opere può, perciò, in alcuni fedeli rimanere congiunta alla presenza della fede: tali membri sono «aridi» per la mancanza delle opere, tuttavia essi rimangono uniti alla Chiesa; è quindi la fede in Cristo a rendere tale Chiesa sposa immacolata, sebbene a causa di questi membri si diano, per un processo di generalizzazione, nomi diversi ad essa, come avviene per alcune comunità che per la presenza di membri «buoni e cattivi» sono dette a volte tutte buone e altre volte tutte cattive26. Quindi il nostro autore introduce un’altra immagine per spiegare questo concetto: «Da ciò pertanto si deduce che la promessa di matrimonio con cui Cristo si fidanzò con la Chiesa militante e con ogni suo membro è simile all’eventuale promessa dell’imperatore di sposare la regina di Francia in quanto regina e sovrana di francia, cioè con la condizione che essa si adoperi a ridurre il regno alla propria obbedienza e ad offrirlo al futuro sposo, sotto la pena di non concludere il matrimonio. perciò, anche se la regina rimane costante nella sua fedeltà al promesso sposo, ma non reprime finalmente la ribellione del regno e non lo riduce all’obbedienza, pur avendone la possibilità, essa non viene sposata. Il promesso sposo infatti non l’ha obbligata a cose impossibili, ma solo a cose difficili. Ciò vale anche per la generalità della Chiesa militante»27. 24 25 26 27
Cfr. ibid., 23-25. ibid., 25. Corsivo mio. Cfr. l.c. ibid., 26. Corsivo mio.
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Qui con un paragone che si riferisce ai regni temporali il nostro fa comprendere che la Chiesa militante è portatrice di una promessa fattale da Cristo, quella della conclusione del matrimonio, a patto che, però, essa si impegni nelle cose difficili dettatele dal suo sposo al momento del fidanzamento. la fedeltà costante è elemento essenziale a raggiungere questo fine, ma non basta; la Chiesa militante, «la regina di francia», ha il compito di «reprimere la ribellione del regno» e di ridurlo alla «obbedienza» nei confronti dello sposo promesso. Il quinto capitolo si sofferma invece sulla metafora del Corpo già diversamente accennata e solo a mo’ di riepilogo riprende il tema della concordanza tra lo sposo e la sposa: «Dunque, per prima cosa bisogna considerare che la Chiesa, presa nel suo complesso, è una pur esistendo nelle tre parti di Chiesa trionfante, dormiente e militante. tale unità garantisce l’unica perenne concordanza dell’unico Sposo e dell’unica Sposa»28.
È l’unità della Chiesa, pur nella sua molteplicità, a garantire la concordantia che la rende sposa in perpetua armonia con il suo sposo. In questo «tutto ordinato» la Chiesa militante, che è ancora priva della visione beatifica, ricopre l’ultimo posto ed è ancora in dubbio su quale sarà la sua condizione finale, la Chiesa trionfante il primo e la sua condizione finale è già stata fissata29. sono questi i riferimenti al motivo sponsale che troviamo nel primo libro del De Concordantia Catholica, essi si propongono di dare un fondamento solido a tutto il discorso che verrà dopo, quello sui concili del secondo libro e quello sull’impero del terzo. tale motivo sponsale, proprio perché da questo momento in poi il discorso si fa più specifico, verrà solamente accennato dal Cusano in due capitoli del secondo libro: il diciottesimo e il trentaduesimo. Nel diciottesimo capitolo del secondo libro il nostro autore parla del potere del papa e afferma che il potere della Chiesa nel suo complesso è superiore a quello del pontefice romano. Il sinodo, che è rappresentativo 28 29
ibid., 5, 30. Corsivo mio. Cfr. ibid., 30-31.
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appunto della concordantia ecclesiae, rappresenta in modo più perfetto quello che pietro da solo rappresenta in modo indeterminato e confuso30. Inoltre l’unione tra il capo e i sudditi costituisce l’unico corpo, e questo è dovuto sempre al mutuo consenso dei due che si manifesta mediante l’elezione e l’accettazione. tale reciproco consenso è dato sul modello dell’unione tra Cristo e la Chiesa: «affinché dall’unione del capo e dei sudditi si costituisca armonicamente un unico corpo, la ragione e il diritto naturale e divino esigono che questa unione matrimoniale spirituale si effettui per mutuo consenso, il quale si manifesta appunto nell’elezione da parte di tutti e nell’accettazione dell’eletto, proprio come per consenso si costituisce il matrimonio spirituale tra Cristo e la Chiesa»31.
Il trentaduesimo capitolo del secondo libro è dedicato alla scelta nella Chiesa dei legittimi rappresentanti; tale scelta, secondo il Cusano, deve avvenire per elezione. Queste elezioni devono essere svolte in assoluta libertà e senza pressioni; tutti coloro che venissero nominati senza che la nomina abbia queste caratteristiche devono essere deposti: un vescovo che non fosse voluto dal popolo non può essere imposto. Quindi il nostro offre diversi motivi perché si rispettino questi principi32. tra le altre cose confuta la tesi di coloro che dicono che soltanto il papa abbia da sempre nominato i patriarchi e i primati e quella di coloro che sostengono che anticamente talvolta si provvedeva a dare i vescovi alle Chiese senza l’elezione. Questo principio non è valido dal momento che se in alcuni luoghi non esistevano le Chiese, è logico che non si poteva fare l’elezione; e parla dei primi evangelizzatori di questi luoghi, facendo ancora una volta riferimento al tema sponsale: «perciò quei primi missionari, in quanto rappresentavano Cristo, secondo adamo, si formarono la nuova eva (la Chiesa) dalla sua costola, cioè dalla costola del verbo divino, e la sposarono. Ma in seguito a questa Chiesa così 30 31 32
Cfr. ibid., II, 18, 156-166. ibid., 164. Corsivo mio. Cfr. ibid., 32, 228-241.
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alfredo andronico generata non venne dato altro sposo se non quello che essa stessa desiderava»33.
si conclude qui la nostra ricerca del motivo sponsale nel De Concordantia Catholica; a questo punto approfondiremo i riferimenti alle fonti da cui il Cusano trae questo nostro tema. 2. lE foNtI DEl motIvo spoNsalE per quanto riguarda le fonti, si è voluta operare una scelta: andare a vedere solo quelle che più direttamente hanno a che fare con la metafora sponsale o perché inserite in un contesto in cui essa è il tema dominante o perché esse stesse trattano tale tema; si sono tralasciate invece, per esempio, le fonti che erano inserite per suffragare il tema dell’unico Capo e delle molte membra, che non ha attinenza in senso stretto con il nostro lavoro. 2.1. La Sacra Scrittura la prima citazione che Cusano fa, già all’inizio del primo capitolo, circa il motivo sponsale è quella del libro della genesi, tratta però dalla rilettura dell’apostolo nella lettera agli Efesini al capitolo 5. Il nostro autore dice: «hanc praedestinationem probat apostolus ad Ephesios per id, quod a principio pronuntiatum est, quia reliquit homo patrem et matrem et adhaerebit uxori suae, et erunt ambo in carne una. sacramentum est Christi et ecclesiae»34.
prendiamo ora in esame il testo della lettera agli Efesini dalla vulgata, versione a cui egli fa riferimento:
33 34
ibid., 236. Corsivo mio. ibid., I, 1, 5.
il duplice uso della metafora sponsale tra Cristo e la Chiesa
55
«Nemo enim umquam carnem suam odio habuit, sed nutrit et fovet eam, sicut et Christus ecclesiam, quia membra sumus corporis eius, de carne eius et de ossibus eius. propter hoc relinquet homo patrem et matrem suam et adhaerebit uxori suae, et erunt duo in carne una. sacramentum hoc magnum est, ego autem dico in Christo et in ecclesia»35.
osservando attentamente il secondo brano vediamo che per paolo l’uomo è naturalmente ordinato a lasciare suo padre e sua madre, per unirsi a sua moglie; questa per lui è un’analogia importante per comprendere il rapporto tra Cristo e la sua Chiesa. l’unione tra adamo ed Eva, tra l’uomo e la donna, diventa così sacramento fondamentale per comprendere tale rapporto. la Chiesa, quindi, Corpo di Cristo e sua diletta sposa, formata dalle sue membra, è come la prima donna per il primo uomo, osso delle sue ossa e carne della sua carne. tuttavia se andiamo a leggere attentamente la lettera agli Efesini, ci accorgiamo che il contesto di paolo non sembra essere ecclesiologico, come quello di Cusano, ma pastorale, riferito al rapporto tra i coniugi. Quindi qui il nostro autore, come d’altra parte prima di lui avevano fatto anche i padri della Chiesa, non sta facendo una lettura letterale della scrittura, ma ne sta spostando l’accento per portare un suffragio al suo discorso. 2.2. i Padri latini e la Scolastica Dopo questo riferimento alla scrittura il nostro autore comincia la sua lunga trattazione riferendosi fondamentalmente ai padri della Chiesa e precisamente ad alcuni padri latini come ambrogio, girolamo, Cipriano e agostino. Non sembra di secondaria importanza il fatto che egli faccia riferimento anche alla scolastica, precisamente ad alberto magno; ciò dimostra infatti come la sua cultura non si limitasse soltanto alla conoscenza dei primi secoli del Cristianesimo, ma come egli riesca nella trattazione del suo tema ad avere uno sguardo d’insieme della tradizione della Chiesa.
35
Ef 5, 29-32.
56
alfredo andronico
2.2.1. ambrogio la seconda fonte che ritroviamo, sempre nel secondo capitolo, dopo la citazione della lettera agli Efesini, è ambrogio; Cusano cita un commento al suddetto scritto di paolo tratto da una lettera di ambrogio all’amico Ireneo; dice: «unde ambrosius in epistula 16 ad herennium hanc epistulam pauli extollens ait: “Nulla benedictionis tantae epistula increpuit in plebem dei sicut illa”. Et dicit, quod Christus sedet ad dexteram patris, et nos omnes “non sedebimus, sed consedebimus in Christo et eius carne in caelestibus”»36.
Il brano della lettera in realtà è molto più lungo della breve sintesi che il Cusano cerca di farne: «Nulla autem epistola tantum benedictionis increpuit in plebe Dei, quantum ista, in qua non solum benedictos nos a Deo, sed in omni benedictione benedictos et spiritali et in coelestibus significavit divinae locuples gratiae testis, et praedestinatos nos in adoptionem filiorum, in filio quoque Dei nos cumulatos gratia, abundasse ea ad cognoscendum mysterium aeternae voluntatis: tum praeterea in plenitudine temporum cum pacificarentur omnia in Cristo, et quae in terra sunt, et quae in coelo, sorte nos in ipso constitutos, ut quae legis sunt implerentur in nobis, et quae gratiae: cum etiam secundum legem electi videremur in juventutis aetate, quae est vita immaculata, nihil habentes lasciviae puerilis, et senilis infirmitatis: docti quoque praelium non solum adversus carnem et sanguinem, sed etiam adversus omnem militiam spiritalis nequitiae, quae est in coelestibus, vividis gerere virtutibus. […] simus itaque nos possessio Dei, et ille nobis portio, in quo sunt divitiae gloriae et hereditatis ejus. Quis enim dives, nisi solus Deus, qui omnia creavit? sed multo magis dives misericordia, qui omnes redemit, et nos, secundum carnis naturam, irae filios et commotioni obnoxios mutavit quasi auctor naturae, ut simus filii pacis et charitatis. Quis enim naturam mutare potest, nisi qui creavit naturam. Itaque suscitavit mortuos, et vivificatos in Christo sedere fecit in coelestibus in ipso Domino Jesu. […] sed quia in illa carne Christi, per consortium ejusdem naturae, caro 36
CC I,
1, 5.
il duplice uso della metafora sponsale tra Cristo e la Chiesa
57
omnis umani generis onorata est. Nam sicut ille in nostra carne subditus legitur, per unitatem carnis et obedientiam corporis, in quo fuit obediens usque ad mortem; sic et nos in illius carne consedimus in coelestibus. Non ergo sedimus, sed in Cristo consedimus, qui solus sedet ad dexteram Dei filius hominis, sicut ipse dixit: “amodo videbitis filium hominis sedentem ad dexteram Dei”»37.
In questo passo ambrogio cerca di spiegare a Ireneo la ricchezza e la profondità del messaggio contenuto nella lettera agli Efesini; usa un linguaggio celebrativo per spiegarne il contenuto e di questo è consapevole il nostro autore quando cita: «nulla benedictionis tantae epistula increpuit in plebem dei sicut illa». la citazione della lettera ad Ireneo da parte di Cusano è fatta molto in sintesi, egli cita solamente la frase conclusiva del lungo discorso di ambrogio sulla glorificazione celeste: «non sedebimus, sed consedebimus in Christo et eius carnem in caelestibus». tuttavia una lettura attenta dimostra come il contenuto sia citato alla lettera, rispettando anche il contesto della fonte. 2.2.2. girolamo la terza fonte del primo capitolo del nostro trattato è girolamo, qui il motivo sponsale è esplicitamente preso in considerazione, contrariamente al testo di ambrogio, che serviva solo da supporto per introdurlo. si citano due passi di girolamo, uno tratto dalla lettera ad algasiam e un altro tratto dalla lettera ad Geruchiam De monogamia; il primo non ci interessa, perché tratta, riferendosi al discorso che immediatamente lo precede, del tema di Cristo capo dell’unico corpo che è la Chiesa38, il secondo invece tratta esplicitamente il motivo sponsale. Nel De Concordantia Catholica leggiamo: «Eva ecclesiam significat, quia mater viventium, adam Christum, matriambrogIo, ad iraeneum, in pl (=Patrologiae Cursus Completus omnium SS. Patrum, Doctorum, Scriptorumque ecclesiasticorum. Series Latina, accurante J.-p. migne) 16, 1315-1316. 38 Cfr. gIrolamo, ad algasiam, in pl 22, 1031. 37
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alfredo andronico monium unitatem spiritus. Christus caput mulieris, et mulier, id est ecclesia, de costa viri formata et caro de carne»39.
Il brano di girolamo è più lungo di quello di Cusano; dice: «primi hominis creatura nos doceat, plures nuptias refutare. unus adam, et una Eva, imo una ex eo costa separatur in feminam. rursumque quod divisum fuerat, nuptiis copulatur, dicente scriptura: erunt duo in carnem unam; non in duas, nec in tres. Propter quod relinquet homo patrem, et matrem, et adhaerebit uxori suae (genes. 2, 24); certe non uxoribus. Quod testimonium paulus edisserens, ad Christum refert, et ad Ecclesiam (1. Cor. 6.16 et seqq.); ut primus adam in carne, et secundus in spiritu monogamus sit. sit una Eva mater cunctorum viventium, et una Ecclesia parens omnium Christianorum»40.
Come dice il titolo stesso, questa lettera è una sorta di apologia della monogamia, indirizzata ad una giovane di nome geruchia; non vi si riscontra la citazione del nostro, che sembra invece sintetizzare in una frase molto breve un discorso più lungo. Qui egli sembra appropriarsi di un discorso che ha un intento apologetico specifico e diverso per suffragare le propria tesi. 2.2.3. Cipriano alcuni capoversi più avanti ritroviamo altre due citazioni: quella di alberto magno (che tratteremo più avanti per ovvi motivi di ordine cronologico) e quella di Cipriano; quest’ultimo nel De unitate ecclesiae afferma che nessuno può avere Dio come padre se non ha la Chiesa come madre. Il Cusano cita questa fonte in questo modo: «sicut placet Cypriano in De unitate ecclesiae: “Qui Deum patrem habere vult, non potest in vitam regenerari nisi per matrem viventium, scilicet ecclesiam”»41. 39 40 41
CC I, 1, 5. gIrolamo, CC I, 1, 7.
ad Geruchiam. De monogamia, in pl 22, 1053.
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anche il testo di Cipriano è molto più lungo della citazione del nostro autore: «adulterari non potest sponsa Christi, incorrupta est et pudica. unam domum novit, unius cubiculi sanctitatem casto pudore custodit. haec nos Deo servat, haec filios regno quos regeneravit assignat. Quisquis ab Ecclesia segregatus, adulterae jungitur, a promissis Ecclesiae separatur: nec perveniet ad Christi praemia, qui relinquit Ecclesiam Christi. alienus est, profanus est, hostis est. habere jam non potest Deum patrem, qui Ecclesiam non habet matrem»42.
Cipriano con il De unitate ecclesiae combatte lo scisma di Novaziano. In esso egli mette in evidenza la necessità che ogni cristiano rimanga nella Chiesa cattolica, cioè in comunione con un pastore legittimo, per la propria salvezza. Egli è dello stesso parere del nostro autore: pensa che ci sia un unico episcopato di cui partecipano tutti i singoli vescovi e che l’unica cathedra Petri sia presente in qualsiasi Chiesa dove presiede un legittimo vescovo cattolico. Nel testo, di cui il Cusano cita solo la conclusione, egli afferma che la Chiesa, sposa di Cristo, è santa e custodisce con casto pudore la propria santità. Queste cose riserva Dio a coloro che ha rigenerato mediante l’azione di essa; perciò chiunque se ne separa, e quindi non ce l’ha come madre, non può avere Dio come padre. Il riferimento, anche se appare un po’ diverso dal punto di vista morfologico, tuttavia conserva il significato originale della fonte. In Cipriano comunque il motivo sponsale appare solo indirettamente accennato. Questa citazione, anche se breve, sembra una delle più importanti nella dinamica della nostra opera; ciò dipende dal fatto che, come già si è accennato, Cusano condivide in pieno il pensiero del padre della Chiesa che sta citando. Cosa non indifferente è il fatto che, mentre per molte altre fonti nel De Concordantia Catholica compare solamente il nome dell’autore a cui si attribuisce la citazione, qui invece compare anche il titolo dell’opera da cui è tratta, segno del fatto che l’autore riservi una attenzione del tutto particolare ad essa. tra l’altro anche il contesto delle opere è simile: ambedue 42
CIprIaNo, De unitate ecclesiae, in pl 4, 502-503.
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nascono per confutare e risolvere uno scisma che lacera la Chiesa; a partire dal contesto storico, poi, ambedue arrivano alle stesse considerazioni di carattere ecclesiologico, per esempio il discorso sulle Chiese particolari, quello sui sinodi e la collegialità, i rapporti con la Chiesa di roma43… 2.2.4. agostino un’altra fonte che possiamo prendere in considerazione è agostino. Nel quarto capitolo il nostro autore fa un riferimento alla lettera ad Dardanum De praesentia Dei: «Et ut de multis pauca per ordinem dicamus, in hoc corpore, quod ita Christo adhaeret in spiritu, habitat spiritus vivificans totum corpus et quodlibet eius membrum, sicut anima est tota in toto et in qualibet eius parte, ut hoc late prosequitur augustinus ad Dardanum De Dei praesentia. Et ideo corpus istud animale ex adam contractum factum est spirituale per regenerationem in Christo. In qua regeneratione mortuum et consepultum Christo homo novus spiritualior surrexit tamquam sponsa sine macula desponsata, ut per militiam deveniat ad victoriam, quae est per mortem, ut tunc sponsa spiritualissima incorruptibilis resurgens traducatur ad unionem perpetui matrimonii»44.
Il testo di agostino si presenta come una connessione di citazioni bibliche, precisamente tratte dalla prima lettera di paolo ai Corinzi45 e come un commento ad esse: «Quae cum ita sint, duo ista quae in uno fiunt homine, nasci et renasci, ad duos homines pertinent: unum ad illum primum adam, alterum ad secundum qui dicitur Christus. Sed non prius, ait apostolus, quod spirituale est, sed quod animale; postea spirituale. Primus homo de terra, terrenus; secundus homo de coelo, coelestis: qualis terrenus tales et terreni; et qualis Cfr. p. sINIsCalCo, Gli aspetti teologici, in CIprIaNo DI CartagINE, L’unità della Chiesa, roma-bologna 2006, 66-90. 44 CC I, 4, 21. 45 Cfr. 1Cor 15, 35-53. 43
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coelestis, tales et coelestes. Sicut portavimus imaginem terreni, portemus et imaginem ejus qui de coelo est: item dicit, Per unum hominem mors, et per unum hominem resurrexio mortuorum. Sicut enim in adam omnes moriuntur, ita et in Christo omnes vivificabuntur. omnes, et omnes ideo dixit, quia in mortem nemo nisi per illum, in vita nemo nisi per istum. In primo patuit quid hominis arbitrium valeret ad mortem; in secundo autem quid Dei adjutorium valeret ad vitam. Denique primus homo, nonnisi homo; secundus vero, Deus et homo: peccatum enim factum est relicto Deo; justitia non fit sine Deo. ac per hoc nec moreremur, nisi per carnalem propaginem de membris illius veniremus; nec viveremus nisi per spiritualem connexionem membra hujus essemus. Ideo nobis opus fuit nasci, et renasci; illi autem propter nos tantummodo nasci. Nos enim a peccato ad justitiam renascendo transimus; ille autem a nullo peccato ad justitiam transitum fecit: sed in eo quod baptizatus est, nostrae regenerationis sacramentum, sua humilitate altius commendavit; veterem tamen hominem nostrum passione, novum autem resurrectione significans»46.
la lettera a Dardano di agostino si pone in posizione polemica contro i pelagiani, anche se non li nomina mai espressamente. Dice, riprendendo l’apostolo paolo, che come in adamo tutti gli uomini portano l’immagine dell’uomo terreno, così in Cristo vengono rigenerati per portare l’immagine dell’uomo celeste. Nel primo hanno ricevuto la morte, nel secondo vengono vivificati. Il testo di Cusano fino a un certo punto si mantiene fedele alla fonte e cerca di sintetizzarla mantenendone invariato il significato, tuttavia a un certo punto introduce la categoria sponsale, che non compare nella fonte. In agostino, un po’ più avanti, riscontriamo un riferimento al tema del matrimonio, ma in questo contesto si cerca di spiegare il concetto della concupiscenza della carne e, ancora, della rigenerazione in Cristo47. 2.2.5. alberto magno Il testo di alberto magno è stato posto per ultimo nella nostra analisi 46 47
agostINo, De praesentia Dei, in pl 33, 843ss. Cfr. ibid., 844.
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per una ragione di ordine cronologico e per distinguere la sua riflessione da quella dei padri della Chiesa; esso in realtà è strettamente collegato a quello di Cipriano, assume nel discorso il ruolo di base logica e legame per poter procedere nel ragionamento con il testo di Cipriano; il Cusano così lo cita: «Quoniam haec concordantia est ipsamet veritas summa. — sed non est nostri propositi — sufficit cum alberto magno super verbo: tu es Christus, filius Dei vivi, matth. 16 scire ad nostrum propositum, quod “pater est fons vitae, quae in filio venam accipit et fluxum in omnes in spiritu sancto”, quoniam per unitatem spiritus matrimonium, quod inter Christum et ecclesiam est, constituitur, sicut placet Cypriano in De unitate ecclesiae»48.
se andiamo a vedere il Commentarius in Matthaeum, nel commento a mt 16, 18, troviamo: «Et sic omnis vitae fons est pater, et haec vita venam accipit in filio et fluxum in omnes in spiritu sancto»49.
Questa citazione è inserita precisamente nel contesto del commento alla professione di fede di pietro tu es Christus. alberto magno, dopo aver fatto un lungo discorso in cui spiega la frase di pietro servendosi di diversi passi della scrittura, cita il salmo 36 (35) al versetto 10a, in cui si dice È in te la sorgente della vita, e lo commenta con queste parole: et sic omnis vitae fons est Pater, et haec vita venam accipit in Filio et fluxum in omnes in Spiritu Sancto. la citazione del nostro sembra essere fedele al testo di alberto magno, tuttavia in esso non si riscontra il seguito, cioè il discorso sul motivo sponsale, che sarebbe invece una aggiunta di Cusano, che partendo dalla relazione trinitaria di cui parla la fonte, trova il terreno favorevole per spiegare che mediante l’unita dello spirito si forma il connubio tra Cristo e la Chiesa, espresso poi indirettamente nella successiva citazione di Cipriano, di cui già abbiamo parlato.
48
XXI/2,
CC I, 1, 7. albErto magNo,
Commentarius in Matthaeum, w. kübEl (cur.), opera omnia, Colonia 1987, 16, 18.
49
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2.3. Le fonti canonistiche Numerose sono anche le fonti canonistiche, il Decretum Gratiani, decretali, ecc..., citate da Cusano. per quanto riguarda il nostro tema esso sembra comparire soltanto in una citazione del suddetto Decreto; Cusano così si riferisce alla sua fonte, indicandone due passi: «Et quamquam fides sine operibus mortua sit, tamen non est praescisio durante fide, sed adhuc est conexio ad instar membri aridi I q. I Sicut urgeri 23 q. 7 quemadmodum. unde dicitur haec ecclesia immaculata sponsa secundum fidem, licet per inoboedientiam animae et corporis multorum varia nomina saepe sortiatur […]»50.
ambedue le citazioni del nostro riportano il tema che sta trattando, cioè quello della fede senza le opere, tuttavia il motivo sponsale lo si trova accennato solo nella prima: « sicut urgeri uideor, cum mihi dicitur: ergo hereticus dimittit peccatum? sic et ego urgeo, cum dico: ergo cum iuste baptizat, auarus, religionis simulator dimittit peccata? si per uim sacramenti, sicut ille, et ille; si per meritum suum, nec ille, nec ille. Illud enim sacramentum et in malis hominibus Christi esse cognoscitur, in corpore autem unicae columbae, inmaculatae nec ille, nec ille inuenitur. ut si cuius manus esset arida, uerum quidem esset membrum, quamuis sine sanguine inefficax esset, et mortuum sic et fides, cum sit uera, tamen sine operibus mortua est. item: §. 1. sic in heresi baptizatus in nomine sanctae trinitatis non fit tamen templum Dei, si ab heresi non recesserit, quomodo neque in auaritia in eodem nomine baptizatus fit templum Dei, si ab auaritia non recedat, que est ydolorum seruitus»51.
In questo brano, in cui si parla dei Donatisti e della validità del battesimo amministrato da loro, il tema della metafora sponsale appare soltanto accennato quando si dice: «in corpore unicae columbae, inmaculatae», citando il Cantico dei Cantici52. 50
CC I, 4, 25. gratIaNus,
Corpus iuris Canonici. Pars prior, curavit aE. frIEDbErg, lipsiae 1879, c. 47 C. 1 q. 1 sicut urgeri, 376-377. 52 Cfr. Ct 6,9. 51
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Dando uno sguardo, però, all’apparato critico del friedberg ci si accorge innanzitutto che l’editio romana del Decretum amplia ancora di più questo accenno aggiungendo «incorruptae, sanctae, pudicae, non habentis maculam aut rugam nec…»; dopo il riferimento al Cantico, perciò qui troviamo anche quello alla lettera agli Efesini53. Inoltre, nota il critico testuale che il Decreto di graziano trae questo tema da altre collezioni canonistiche che lo hanno usato prima di lui: quella di anselmo di lucca, quella di policarpo redatta prima del 1118 e quella di algero di liegi. Nella seconda citazione54 invece il riferimento al motivo sponsale non compare. 3. CrItICa sull’approCCIo allE foNtI l’intento del Cusano che si percepisce già leggendo la prefazione alla sua opera era quello di andare a ricercare le opere di autori che ai suoi tempi erano state dimenticate dai più, per fare un discorso organico sulla Chiesa, che fosse radicato nella tradizione. Nella prefazione infatti leggiamo che egli, per comporre il De Concordantia Catholica, ha raccolto con grande cura da armadi di vecchi conventi opere che ormai erano andate perdute. la sua teologia vuole basarsi su testimonianze di “prima mano” e non su compendi, che fanno una “lettura fondamentalista” del discorso che trattano. Questo suo modo di approcciarsi alle fonti, tuttavia, comporta uno stile, come dice egli stesso, «negletto», non sempre chiaro e ordinato che porta il lettore a fare una grande fatica per mantenere il filo logico del discorso che si sta trattando55. andando al nostro lavoro sulle fonti riguardanti la metafora sponsale, possiamo dire che esse sono di facile individuazione: Cusano cita infatti autori importanti ed autorevoli, che nella storia della Chiesa hanno avuto un peso non indifferente. tuttavia un confronto attento tra le citazioni e le opere originali ci ha fatto notare che esse sono prese in considerazione quasi sempre sintetizzate 53 54 55
Cfr. Ef 5, 27. Cfr. gratIaNus, Corpus, cit., c. 4 C. 23 q. 7 Quemadmodum membrum, 952-953. Cfr. CC 2.
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e rimaneggiate per adattarsi meglio al discorso che si sta trattando; ciò a volte implica una mancanza di fedeltà al messaggio originale. Inoltre spesso il nostro autore non tiene conto del contesto in cui l’opera dell’autore antico è concepita, ciò comporta un allontanamento dal contenuto originale. tralasciando il discorso sulla lettera agli Efesini, che ha intento pastorale e non ecclesiologico, dal momento che essa in quest’ultimo senso è stata letta dalla riflessione patristica, possiamo dire per esempio che la lettera di girolamo ad Geruchiam, De monogamia presenta sì il tema del matrimonio, fa sì un riferimento al rapporto sponsale tra Cristo e la Chiesa, ma tale riferimento è finalizzato a confutare la poligamia e ad appoggiare il tema della monogamia. Discorso simile si può fare per la lettera di agostino ad Dardanum, De praesentia Dei, in cui il motivo sponsale non compare affatto: nella polemica contro i seguaci di pelagio si nomina adamo, ma per dire che in lui tutti gli uomini sono peccatori, mentre in Cristo sono giustificati, e soltanto dopo, parlando della carne e della concupiscenza, si fa un accenno molto piccolo al matrimonio e alla generazione della prole. la citazione del Commentarius in Matthaeum di alberto magno, poi, è inserita solo come punto di appoggio per quella di Cipriano, in essa non si riscontra nessun riferimento al motivo sponsale che invece il Cusano attribuisce alla fonte senza problemi. Così anche per la seconda citazione del Decretum Gratiani. alla lettera invece sono prese le due citazioni di ambrogio e Cipriano e la prima del Decretum che non trattano apertamente il motivo sponsale, ma sono legate al tema con cui il nostro autore lo sta suffragando. Concludendo questo nostro discorso possiamo dire che il Cusano è sicuramente riuscito nel suo intento di fondare il suo discorso su fonti antiche attendibili e cariche di autorità, tuttavia a volte i suoi rimandi appaiono un po’ forzati. probabilmente però questo problema è dovuto al desiderio di documentare ogni elemento della sua posizione per renderla più attendibile ai lettori. 4. Il DuplICE uso DElla mEtafora spoNsalE Come abbiamo notato nella premessa, leggendo le opere del Cusano e primariamente il De Concordantia Catholica, si nota che esiste un duplice
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contesto d’uso della metafora sponsale. Naturalmente questa caratteristica dipende dall’impiego che il nostro autore fa del tema e dal discorso che egli vuole argomentare con esso. tale duplice contesto d’uso si delinea sostanzialmente nelle due accezioni che ci accingiamo a trattare in maniera specifica, cioè quella della santificazione della Chiesa finalizzata alla sua perfetta adesione al Cristo, il suo sposo, e quella del consenso, la cui necessità nella Chiesa è resa manifesta appunto dalla sponsalità, che di quest’ultimo diventa fondamento teologico informante. 4.1. La santificazione e la perfetta adesione a Cristo Il tema della metafora sponsale tra Cristo e la Chiesa assume prima di tutto nel Cusano l’accezione di santificazione finalizzata alla perfetta adesione della sposa, la Chiesa, allo sposo, il Cristo. Questo tema si riscontra molto di frequente nella nostra opera ed è tratto dalle fonti; la Chiesa per lui è la concordanza di tutti gli uomini uniti al signore gesù Cristo56. punto di partenza di questa affermazione è la lettera di paolo apostolo agli Efesini, in cui l’unione sponsale tra l’uomo e la donna è vista come sacramento dell’unione sponsale tra Cristo e la Chiesa; Cristo ha amato la Chiesa, sua sposa, l’ha resa santa e l’ha purificata con il suo sacrificio per farsela comparire dinanzi tutta santa e immacolata57. Questo tema che ha la sua radicazione fondamentale nella sacra scrittura è poi ripreso dai padri della Chiesa, che ne hanno fatto uno dei capi saldi del loro discorso ecclesiologico; ambrogio, per esempio, in un passo citato dal Cusano afferma che Cristo glorificato siede alla destra del padre, allo stesso modo anche noi consederemo con lui in cielo. Il nostro pervenire a Cristo glorificato in cielo e alla perfetta armonia è opera della fede; ma perché ciò avvenga, è necessario, secondo ambrogio, che la Chiesa sia istituita come un organismo ordinato in diversi gradi e funzioni; per questo motivo il Cristo ha istituito alcuni apostoli, altri vescovi, altri dottori. Il 56 57
Cfr. CC 3. Cfr. ef 5, 27-28.
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momento culminante di questo processo tuttavia non è la divisione gerarchica dei poteri, che ha solamente una funzione strumentale, bensì l’unione al Capo, che con la sua grazia rende il corpo ecclesiale connesso e articolato in tutte le sue funzioni, facendolo crescere ed edificandolo nella carità, al fine di renderlo, nello spirito, tempio del Dio vivente58. allo stesso modo il tema viene ripreso da girolamo, il quale, nella rilettura che ne fa il nostro che, come abbiamo già visto, non tiene conto del contesto dello scritto, afferma che la Chiesa è simboleggiata in Eva, Cristo in adamo e l’unità dello spirito nel matrimonio tra i due; conseguenza logica di questo ragionamento, per girolamo, è che Cristo è capo della Chiesa, che è formata dalla sua costola ed è carne della sua carne59. Il tema è poi trattato da Cusano in riferimento ad alberto magno e a Cipriano: il primo afferma che il padre, sorgente della vita, si dirama nel figlio, per poi fluire in tutti nello spirito; il secondo che mediante questo fluire ha vita l’unione tra Cristo e la Chiesa, per cui nessuno può dire di avere Dio come padre se non è stato rigenerato dalla Chiesa, ovvero la madre di tutti i viventi60. Nella sintesi che Cusano fa alla fine del capitolo primo, si afferma che Cristo è sposo della Chiesa, la quale è costituita dall’unione delle creature razionali con lui: Cristo è il capo, i fedeli, divisi secondo i vari gradi gerarchici, sono le membra molteplici61. Questi brevi accenni alle fonti ci fanno ben capire che per quanto riguarda questo primo aspetto del motivo sponsale il Cusano non inventa nulla di nuovo, ma riprende ciò che la sacra scrittura e la tradizione patristica gli ha consegnato: il padre, per mezzo del figlio, nella potenza dello spirito santo, dona alla Chiesa la santificazione, rendendola sposa senza macchia per il suo signore, capace di aderire a lui con tutta se stessa. In questo primo aspetto, quindi, risulta evidente come il Cusano cerchi di marcare in maniera molto forte l’aspetto dell’obbedienza, che la Chiesa deve prestare per la sua adesione a Cristo e per il raggiungimento degli sponsali eterni con lui. Questa obbedienza poi si chiarisce meglio se si prende in considerazione il concetto dell’adesione a Cristo; è quest’ultimo 58 59 60 61
Cfr. ambrogIo, ad iraeneum, cit. Cfr. CC I, 1, 5. Cfr. ibid, 7. Cfr. ibid, 8.
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infatti il punto apicale dell’obbedienza: dalla disponibilità della Chiesa ad obbedire al suo signore, scaturisce l’adesione a lui, alla sua parola e alla sua opera di salvezza; tale adesione quindi si declina in categorie umane con la metafora sponsale: l’unione sponsale tra uomo e donna diventa analogia forte per comprendere l’unione della Chiesa con Cristo. 4.2. il consenso Il discorso appare un po’ diverso se si vanno a vedere quei passi in cui la categoria sponsale è utilizzata in riferimento al consenso ecclesiale; qui il discorso a prima vista sembrerebbe rovesciato, nel senso che si potrebbe pensare a una sorta di principio democratico per cui sarebbe il consenso dei singoli a fondare le decisioni ecclesiali. In realtà il principio sta proprio all’opposto: la metafora sponsale illumina la necessità del consenso a tutti i livelli, partendo quindi pur sempre dall’alto e mai dal basso. per comprendere meglio questo aspetto, riprendiamo un passo del Cusano, che nel capitolo precedente abbiamo visto solo in parte: «affinché dall’unione del capo e dei sudditi si costituisca armonicamente un unico corpo, la ragione e il diritto naturale e divino esigono che questa unione matrimoniale spirituale si effettui per mutuo consenso, il quale si manifesta appunto nell’elezione da parte di tutti e nell’accettazione dell’eletto, proprio come per consenso si costituisce il matrimonio spirituale tra Cristo e la Chiesa. perciò, sebbene si possano conferire i sacramenti anche a chi non li accetta volentieri, questo non vale per il matrimonio, poiché il consenso qui entra a costituirne l’essenza. ora la Chiesa è sposa del sacerdote, come si vedrà più diffusamente in seguito (§232). perciò se si vuole realizzare un retto ordinamento, si dovrebbero seguire le norme indicate nel concilio di toledo ed in altri testi del Decreto, secondo le quali il clero parrocchiale deve essere eletto dai laici, o almeno deve procacciarsi il loro consenso, il clero poi, col consenso degli stessi laici, deve eleggere il vescovo, i vescovi, col consenso del clero, devono eleggere il metropolita, i metropoliti delle province, con il consenso dei vescovi, devono eleggere i rappresentanti delle province, quali assistenti del pontefice romano chiamati cardinali, ed infine questi cardinali devono eleggere il papa, possibilmente col consenso dei metropoliti. ma se non sembrasse utile attendere tale
il duplice uso della metafora sponsale tra Cristo e la Chiesa
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consenso per i pericoli di una prolungata vacanza, si proceda nel migliore ordine possibile, come si è fatto finora. In questo modo il pontefice romano avrebbe accanto a sé un concilio permanente legittimamente rappresentativo della Chiesa universale, e con il consenso del quale la Chiesa sarebbe senza dubbio governata in modo perfetto»62.
Il concilio diventa così celebrazione della concordantia, cioè della sinfonia dello spirito di cui diremo in seguito; questa caratteristica trova nel Cusano il suo punto di partenza e il suo punto di arrivo nella metafora sponsale: il concilio è così il risultato di una serie di sposalizi nei quali è figurata l’analogia per eccellenza, cioè l’unione sponsale con Cristo, il quale unisce a sé la Chiesa. Il meccanismo rappresentativo che qui si instaura non è quindi quello della delega, così come nell’accezione moderna, ma quello dell’unione sponsale. Quindi, Cristo produce il corpus mysticum, unendo a sé gli spiriti razionali: questa unione, operata dallo spirito, analoga a quella del matrimonio, deve quindi essere ri-presentata nei diversi gradi da cui hanno origine le decisioni nella Chiesa63. Il consenso, perciò, deve essere interpretato a partire dal suo fondamento teologico, cioè l’efficacia dell’azione di Cristo nella Chiesa. In essa il signore opera la repraesentatio trinitatis; a partire da questa operazione tutte le strutture ecclesiastiche si devono adeguare al mistero da rappresentare. si noti in ultima istanza che qui il principio è teologico: è Cristo il punto di partenza del consenso ecclesiale e il suo punto di arrivo. Naturalmente, se nell’aspetto della santificazione e dell’adesione il Cusano sottolineava l’obbedienza, in questo secondo aspetto sottolinea la libertà. tale secondo aspetto risulta essere una sua originalità nella costruzione del discorso ecclesiologico.
ibid., II, 18, 164. Cfr. g. ruggIErI, «Communio» e «repraesentatio», in a. loNghItaNo (cur.), repraesentatio. Sinodalità ecclesiale e integrazione politica, atti del convegno di studi organizzato dallo studio teologico s. paolo e dalla facoltà di giurisprudenza dell’università degli studi di Catania (Catania 21-22 aprile 2005), Catania-firenze 2007, 218-219. 62 63
Sezione miscellanea Synaxis 3 (2008) 71-82 Il CoNCIlIo DI trENto: tra sINoDalItÀ E CENtralIsmo salvatorE marINo*
la presente ricerca si occupa soltanto di un particolare aspetto del Concilio di trento: l’analisi dei decreti generali di riforma promulgati nelle varie sessioni. attraverso l’analisi dei vari canoni si vuol far emergere come nei decreti di questo Concilio la figura e il ruolo del vescovo siano stati nello stesso momento da una parte rivalutati (e quindi in questa prospettiva si parla di sinodalità, intesa questa come rilancio dell’autorità del vescovo) e dall’altra però collegati in modo stretto e subordinato al papa (centralismo). Ciò è avvenuto sia attraverso l’uso del titolo di Delegatus apostolicae sedis, usato 27 volte nei canoni di riforma, per indicare il tipo di potere dato ai vescovi per condurre in porto le riforme, sia per il modo in cui, a Concilio concluso, gli stessi decreti di riforma sono stati nel tempo interpretati e applicati dal papato. a me sembra quindi che la frase, che avrebbe detto filippo II a proposito dei vescovi riuniti in Concilio:«come vescovi sono andati a trento, come parroci ne sono ritornati»1, sia contemporaneamente vera e falsa. per iniziare questa riflessione mi sembra significativo partire da quello che affermava alberigo «non esiste una dottrina organica e compiuta del tridentino sulla Chiesa. un sistema ecclesiologico era al di fuori dei fini che il concilio si era posto […] il Concilio non ha voluto esprimere una
Docente di storia della Chiesa presso lo studio teologico s. paolo di Catania. h. JEDIN, Delegatus Sedis apostolicae e potere episcopale a trento, in ID., Chiesa della fede, Chiesa della storia, brescia 1972, 275. * 1
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ecclesiologia»2. Questa considerazione manifesta tutta la sua importanza per il nostro tema, se ricordiamo che il periodo successivo alla riforma gregoriana e quello del grande scisma di occidente, nei fatti, avevano prodotto un indebolimento del potere dei vescovi. per i canonisti della riforma gregoriana infatti «la Chiesa intera sarebbe come una immensa diocesi […] nella quale, non potendo essere presente ovunque né bastare a tutto, il papa istituirebbe dei vicari (vices suas agentes), chiamati <in partem sollecitudinis>, cioè partecipanti alla sua giurisdizione, senza averne la pienezza […] leone IX (scriveva) a Cerulario < ut in toto orbes sacerdotes ita hunc caput habeant sicut omnes judices regem >»3. Non c’è dubbio che poi nei secoli successivi l’esercizio dell’autorità del papa sia stato favorito anche dal grande sviluppo dell’esenzione dei monaci e degli ordini religiosi e dal progressivo accentramento delle dispense e dei benefici da parte del papato. ulteriori cause del diminuito potere dei vescovi sono da ricercarsi anche nel progressivo sganciamento dei Capitoli e di altre realtà ecclesiali dall’autorità del vescovo ed inoltre nella ingerenza in ambito ecclesiale del potere politico ai vari livelli e con vari pretesti. Così il ruolo del vescovo e della sua autorità si era ridotto a ben misera cosa e «a roma ci si rendeva conto che questo stato di cose era insostenibile»4. possiamo quindi affermare che in ambito ecclesiale siamo in una situazione di crisi del corpo episcopale. In questo contesto si apre il Concilio di trento. pur tenendo in debito conto quanto sopra detto, e tralasciando tutte le altre problematiche che sono state toccate a trento, nell’ambito ecclesiologico possiamo affermare che «sono emerse nel concilio — nei decreti e nelle discussioni — diverse concezioni ecclesiologiche che sono parzialmente divergenti»5, queste tuttavia, pur essendosi variamente confrontate e contrastate, «avevano come punto in comune l’origine divina del potere g. albErIgo, ecclesiologia del Concilio di trento, in rivista di Storia della Chiesa in italia, 18 (1964) 238.239. 3 y. CoNgar, il posto del papato nella devozione ecclesiale dei riformatori dell’xi secolo, in Sentire ecclesiam, I, roma 1964, 352-353. 4 h. JEDIN, Delegatus Sedis apostolicae, cit., 281. 5 k.gaNzEr, L’ecclesiologia del concilio di trento, in a. albErIgo – I. roggEr (curr.), il Concilio di trento nella prospettiva del terzo millennio, brescia 1997, 169. 2
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episcopale, ma, al momento dell’elaborazione del testo conciliare sul sacerdozio, le considerazioni di opportunità furono più forti degli approcci corretti alla questione. al posto dunque di un’ascrizione diretta del sacerdozio alla divina eucaristia, si preferì, nel contesto conciliare, collegare questo rapporto incontestabile alla successione apostolica dei vescovi…»6. Questa scelta ha poi creato non pochi problemi nello svolgimento del Concilio. tuttavia leggendo i decreti di riforma in modo progressivo e unitario ci si rende conto che «trento ha concentrato tutta questa missione pastorale nelle mani dei vescovi i cui obblighi, ma anche i poteri, sono costantemente ribaditi; è vero che questi sono spesso affermati in relazione al potere papale, ut delegatus Sanctae Sedis, ma è soprattutto allo scopo di infrangere le numerose esenzioni con le quali fino ad allora si scontrava il potere episcopale. Con questo si delinea un’altra categoria di perdenti, gli ordini religiosi […] la cui azione risulta maggiormente subordinata all’autorità dei vescovi»7. «la figura del vescovo tridentino è quella di un curatore di anime, come si andava affermando nella libellistica che faceva da sfondo alle decisioni conciliari (…così) di necessità è visto in mezzo al suo popolo»8, questa affermazione, che emergerà con chiarezza alla fine del concilio, è però già presente in nuce fin dall’inizio. fin dai canoni di riforma della quinta sessione (17/6/1546), in cui si pone il problema di come fare conoscere ai fedeli cristiani la scrittura, della cui ispirazione si era precedentemente trattato, emerge con forza il ruolo del vescovo, ma anche la necessità, già in questo contesto indirettamente suggerita di fatto, della sua personale residenza in diocesi. affermando infatti l’importanza della scrittura e della sua trasmissione a tutto il popolo di Dio, il Concilio delega ai vescovi il compito sia di controllo che di promozione. la conseguenza logica è che dove esiste un beneficio teologico bisogna renderlo efficiente assegnandolo inoltre a persone idonee (can. 1), dove non è esistente ed è possibile bisogna “istituirlo” (can. 2), nelle diocesi più piccole vi sia almeno un “maestro” che spieghi ai chierici e ai fedeli tutta 6 D. papaNDrEou, Coscienza conciliare ed esperienza sacramentale nel concilio di trento, in ibid., 221 7 m. vENarD, La Chiesa Cattolica, in Storia del Cristianesimo, vIII, roma 2001, 237. 8 l. CrIstIaNI, La Chiesa al tempo del Concilio di trento in a. flIChE –v. martIN (curr.), Storia della Chiesa, XvII, torino 1977, 613.614.
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la scrittura (can. 3). Questo impegno di conoscere la scrittura obbliga anche i monasteri (can. 4), i conventi (can. 5) e i ginnasi pubblici (can. 6). Il vescovo deve esaminare chi insegnerà (can. 7), tutti questi naturalmente poi devono poter usufruire delle loro prebende (can. 8); il vescovo ha il potere e il dovere di controllare che non vi siano eretici (can. 15), imbroglioni (can. 16), elemosinanti (can. 17), queste categorie di persone è chiaro che non devono predicare. Il “compito principale” del vescovo è di predicare la scrittura (can 9), se è impedito deve scegliere una persona adatta che lo supplisca (can.10), inoltre deve imporre di fare altrettanto, tutte le Domenica e le feste, a quanti, a vario titolo, sono in cura d’anime (can. 11). già in questa sessione, per superare le prevedibili resistenze che potevano essere frapposte ai decreti di riforma dagli “esenti”, viene attribuito ai vescovi l’autorità di “delegati della Sede apostolica”, questa espressione viene usata tre volte: per infrangere la eventuale “negligenza degli abati” nell’attuare la predicazione prescritta nei loro monasteri (can. 4) o nelle chiese parrocchiali da loro dipendenti (can. 12) e, soprattutto, il vescovo può e deve controllare dappertutto, anche nei casi di esenti, l’ortodossia dell’insegnamento interdicendo la predicazione ad eventuali eretici (can. 15)9. Nel periodo di tempo successivo alla quinta sessione si hanno in Concilio grandi tensioni sia esterne, inizio della guerra smalcaldica, sia interne, discussioni legate al decreto sulla giustificazione e alla commissione sulla residenza dei vescovi e dei benefici. In questa commissione il «conflitto divenne violento quando si toccarono le più profonde cause di abuso: il fondamento dell’obbligo di residenza, il complesso degli impedimenta, l’accumulo di benefici soprattutto nel caso dei cardinali»10. malgrado tutti i problemi e gli attacchi contro l’uso del termine delegatus Sanctae Sedis, che secondo alcuni interventi sminuiva il ruolo del vescovo11, alla conclusione della sesta sessione (13/1/1547) da una parte il titolo viene 9 Cfr. g. albErIgo et al. (curr.), Conciliorum oecumenicorum Decreta (= CoD), bologna 1996, 667-670. 10 h. JEDIN, il Concilio di trento, II, brescia 1962, 388, nella commissione «essi constatavano che l’attività pastorale del vescovo era soggetta ad impedimenti provenienti da due parti: dalle autorità secolari e dalla curia papale»: ibid., 381. 11 Il vescovo di fiesole «se valde condolere, episcopos in suis dioecesibus auctoritate aliena agere», cit. da h. JEDIN, Delegatus Sedis apostolicae, cit., 284, contro di lui «tumultus magni… excitati», cit. da h. JEDIN, il Concilio di trento, cit., 417.
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mantenuto e dell’altra vengono emanati dei decreti che prevedono la residenza dei vescovi. già infatti in questa sessione il primo dei decreti tratteggia la figura del vescovo-pastore. si prende atto che si ha «la disciplina ecclesiastica assai decaduta» e che bisogna «correggere i corrotti costumi del clero e del popolo cristiano», per fare ciò bisogna iniziare dai capi, quindi «in futuro per il governo delle chiese (peso temibile per gli stessi angeli) verranno scelte […] solo persone assolutamente degne (maxime digne), la cui condotta anteriore e tutta l’esistenza, dalla fanciullezza fino agli anni più maturi, dedicata al servizio della disciplina ecclesiastica, renda loro buona testimonianza». pur non avendo chiarito nessuno dei problemi teologici in discussione, si afferma che i pastori per custodire il loro gregge non devono essere «immersi nella cura degli interessi temporali», perché questi li portano lontani dalla propria diocesi; così «per garantire più stabilmente la residenza e riformare i costumi nella chiesa» vengono comminate una serie di pene pecuniarie ai trasgressori (can. 1)12. la residenza e l’onestà dei costumi è richiesta anche a quelli di grado inferiore al vescovo, in quale con l’autorità di legato della Sede apostolica dovrà controllare, applicando le sanzioni previste, che quanti — detentori di benefici (can. 2), chierici e religiosi (can. 3), capitoli di cattedrali e collegiate (can. 4, qui però è da notare che si parla non di delegato, ma “con l’autorità apostolica”) — abbiano il dovere della residenza lo mettano poi realmente in pratica. viene tuttavia ribadito che ciascun vescovo può esercitare i propri diritti e doveri soltanto all’interno della propria diocesi (can. 5)13. Nella settima sessione (3/3/1547), ancora a trento e nel contesto del dibattito sui sacramenti del battesimo e della confermazione, il titolo sopraricordato viene usato soltanto nei canoni n. 6 e n. 14. Nel complesso di questi canoni di riforma si da per scontata la inseparabilità di ufficio e beneficio, ma questo fatto comporta che, data la necessità della residenza del titolare, si abbia un solo beneficio. Inoltre “per la gloria di Dio e l’incremento della religione cristiana” si devono eleggere, sia come vescovi che come sacerdoti, uomini maturi, nati da legittimo matri12 13
681-682. Cfr. ibid., 682-683. CoD,
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monio, colti, esemplari, come previsto dall’antico diritto (cann. 1 e 3). viene abolito il cumulo dei vescovadi (can. 2) e anche dei benefici minori (can. 4) Il vescovo deve esercitare con attenzione il controllo sulle dispense per rendere possibile l’unione di più benefici minori (can. 5) e anche le dispense perpetue, «fatte prima degli ultimi quaranta anni», devono essere da lui esaminate come delegato della Sede apostolica (can. 6), inoltre «in virtù dell’autorità apostolica» potranno e dovranno visitare «i benefici ecclesiastici con cura d’anime» ed anche le chiese esenti (can. 7 e 8); dovranno anche controllare le ordinazioni e accertarsi che gli ordinati prendano possesso e servizio nei tempi previsti (cann. 9-13). anche per le cause civili di persone esenti il vescovo, «in quanto delegato a questo proposito della stessa Sede apostolica» può giudicare (can. 14), senza il potere derivante da questo titolo i vescovi «abbiano cura che tutti gli ospedali siano fedelmente e diligentemente diretti dai loro amministratori» (can. 15). Credo si possa affermare che da questi canoni di riforma emerga con chiarezza che lo scopo delle riforme indicate è “perché non venga in alcun modo trascurata la cura delle anime” (can. 5)14. le situazioni storiche poi portarono, nel periodo 1547/49, al trasferimento del Concilio a bologna. a conclusione delle analisi storiche condotte su questo periodo lo Jedin afferma: “Non ci perdiamo nel labirinto di speculazioni intorno a possibilità storiche, ma procediamo da fatti sicuri quando diciamo: senza la traslazione a bologna del concilio la scissione religiosa avrebbe potuto avere un altro esito”15. Nella nuova ripresa del Concilio a trento (1551/52) nella tredicesima sessione (11/10/1551), dopo i canoni sull’Eucaristia, vengono emanati quelli sulla riforma, perché il Concilio vuole «stabilire alcune norme sulla giurisdizione dei vescovi, perché, conformemente al decreto dell’ultima sessione, risiedano più volentieri nelle chiese loro affidate, avendo più facilità e opportunità per governare e mantenere le persone loro soggette nell’onestà della vita e dei costumi»16. Il vescovo ha il diritto di svolgere bene il suo ministero, tuttavia deve 14 15 16
ibid., 686-689. h. JEDIN, il Concilio di trento, cit., 511. CoD, 698.
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fare attenzione a non esagerare nell’imporre la sua autorità ai propri fedeli, deve trovare un equilibrio tra l’essere comprensivo e l’essere autoritario, in modo tale da scoraggiare tanti altri che potrebbero sbagliare. In questa sessioni si emanano decreti prevalentemente giuridici, i primi cinque canoni rafforzano il potere di giudizio dei vescovi nei tribunali ecclesiastici sia nei confronti del clero che nei confronti dei sudditi e altri tre invece proibiscono i ricorsi in itinere, tutto questo serve per dare tranquillità al vescovo nell’esercizio dello stesso giudizio. soltanto al canone quinto viene ripreso il termine “delegato della Sede apostolica” per poter agire contro quei delinquenti che da roma hanno ottenuto l’assoluzione delle loro colpe con l’inganno17. Nella quattordicesima sessione (25/11/51), su tredici canoni di riforma, l’espressione viene usata soltanto al can. 4, quando si riafferma ancora una volta il diritto dei vescovi di correggere i costumi anche degli esenti. però in fondo in questa tornata di canoni non si è ripreso quasi niente dei dibattiti precedenti, così i canoni approvati restano «di fatto una riforma più sedicente che reale […] per la maggior parte dei partecipanti al concilio i canoni di riforma furono una grossa delusione»18, ci si limitò infatti ad una serie di piccole indicazioni di ordinaria gestione delle diocesi. senza il permesso del vescovo chi è stato sospeso o fermato non può essere promosso agli ordini (can. 1), ma si ribadisce il divieto per il vescovo sia di ordinare (can. 2) che di condannare le persone di altra diocesi (can. 8), debbono essere sospesi gli ordinati senza permesso (can. 3), gli assassini volontari non possono essere ordinati preti (can. 7), il vescovo deve controllare gli eventuali eccessi degli esenti anche al di fuori dalla visita pastorale (can. 5). I chierici devono portare gli abiti clericali per avere i benefici (can. 6). seguono dei canoni per precisare delle questioni sui benefici (cann. 9 e 10). Inoltre i regolari passati ad altro ordine e viventi fuori convento non sono abilitati ad avere benefici (can. 11). Il patronato sui benefici può essere esercitato soltanto con il permesso del vescovo (cann. 12-13)19. a questo punto si ha ancora una volta una sospensione del Concilio, questa sospensione di fatto poi, per l’atteggiamento di paolo Iv, si protrasse 17 18 19
Cfr. ibid., 699-701. ID., il Concilio di trento, III, brescia 1973, 470.471. Cfr. CoD, 714-718.
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fino a pio Iv, quando a trento si riprende con il terzo periodo conciliare, a partire dal 1561. È però da ricordare che il problema della residenza dei vescovi, malgrado fosse stato affermato nei canoni di riforma già accettati, non aveva avuto una soluzione: a roma infatti nel 1556 erano presenti più di cento vescovi e nel 1561 ve ne erano ancora 8020. Così nelle discussioni legate alla riapertura del Concilio, «non era solamente in discussione il problema di come riuscire a far osservare il dovere della residenza, si scontravano fra loro due concetti di chiesa, dei quali si pensava che in nessun modo fossero compatibili tra loro»21. I contrasti erano soprattutto su quali basi teologicogiurudiche affermare la residenza dei vescovi, infine per uscire dalle secche dei dibattiti fu interpellato il papa, questi ordinava di bloccare per il momento la continuazione del dibattito sulla residenza, ritenendo infatti più opportuno rinviarlo nel contesto del sacramento dell’ordine22. I canoni di riforma emanati nella XXI sessione (16 luglio 1562) contengono per ben sei volte l’affermazione che il vescovo deve fare le riforme in quanto delegato della sede apostolica. viene ribadito che le ordinazioni non devono avvenire in modo simoniaco (can. 1), ma perché non ci sia l’umiliante visione del clero che chiede l’elemosina, bisogna ordinare con un beneficio o con il patrimonio (can. 2). I canoni successivi, che toccano interessi già costituiti, vedono il vescovo chiamato ad essere riformatore in quanto delegato della sede apostolica: deve provvedere che venga distribuita la rendita di prebenda a chi esercita il culto come canonico (can. 3), può costringere i parroci o rettori di chiese, se hanno un popolo numeroso, a prendere altri sacerdoti in aiuto, e può costituire nuove parrocchie (can. 4); se vi sono difficoltà economiche può unire, accorpare o trasferire benefici (cann. 5 e 7), in ogni caso deve controllare il clero sia dal punto di vista di cultura che di virtù e può, secondo le necessità, imporre un aiuto per la pastorale (can. 6), è chiamato a visitare tutte quelle strutture che sono esenti (can. 8) e deve impedire che vi siano in diocesi collettori di elemosine (can. 9)23. 20 Cfr. h. JEDIN, La lotta intorno all’obbligo di residenza dei vescovi –1562/63, in ID., Chiesa della fede, cit., 294-315. 21 ID., il Concilio di trento, Iv/1, brescia 1979, 185. 22 Cfr. ibid., 205. 23 Cfr. CoD, 728-732.
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Nella XXII sessione (17/9/1562), sul valore del sacrificio della s. messa, i canoni di riforma toccano ancora una volta dei temi marginali, tuttavia la nostra locuzione si trova in cinque canoni. I primi due ribadiscono ancora una volta la necessità che i chierici preposti a parrocchie o benefici devono risplendere per onestà, buon esempio e cultura e possono essere preposti alla cattedrale soltanto persone degne e che abbiano almeno sei mesi di ordinazione (can.1 e 2). Il titolo di delegato della sede apostolica viene ribadito per dare il potere di controllo ed eventualmente comminare le relative pene a quanti si assentano immotivatamente dai loro uffici (can. 3) per controllare le cause e le disposizioni testamentarie (can. 5/6) l’operato dei notai (can. 10) e per visitare le strutture esenti (can. 8). viene comminata la scomunica e la perdita del patronato a quanti si volessero appropriare di beni ecclesiastici o stornarli per altri usi (can.11)24. Il lungo travaglio della sessione successiva, legata al sacramento dell’ordine, si conclude con l’affermazione dell’origine divina della gerarchia. In questa sessione, la XXIII (15/7/1563), non abbiamo nessun cenno alla nostra locuzione, ciò vuol forse dire che già da tutti è assodato il potere dei vescovi? In ogni caso lo Jedin afferma «se si considera il decreto di riforma nel suo contesto storico, bisogna riconoscere che esso fu un tentativo di purificare un clero divenuto troppo numeroso, impedendo l’afflusso di elementi privi di vita spirituale… se il tentativo non riuscì del tutto le cause furono molteplici, per lo più di carattere sociale»25. sono emanati in questa sessione una serie di canoni legati ad una riforma sostanziale del clero. si afferma che, essendo precetto divino curare il gregge, tutti, compresi i cardinali, sono obbligati alla residenza personale e a non uscire dalla diocesi specialmente nei tempi liturgici forti. gli unici motivi di eccezione sono per l’esercizio della carità, per necessità, per ubbidienza, e per il benessere della chiesa o dello stato, e tali eccezioni devono essere approvate dal metropolita o dal papa, in ogni caso non si stare lontani per più di due o tre mesi complessivi. se si va fuori in modo ingiustificato i redditi devono essere devoluti al duomo o ai poveri. (can. 1). anche i Cardinali sono obbligati a prendere possesso delle cattedrali entro tre mesi (can. 2). gli ordini vengono conferiti dal vescovo personal24 25
Cfr. ibid., 737-741. h. JEDIN, il Concilio di trento, Iv/2, brescia 1981, 114.
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mente (can. 3). seguono poi una serie di canoni sulle modalità e sulle condizioni per il conferimento dei vari tipi di ordini. tali canoni costituiranno l’ossatura delle riforma del clero. si conclude questa sessione con il canone più lungo in assoluto (can.18) che riguarda la costituzione dei seminari in ogni diocesi26, «l’obbligo di fondare i seminari fu un atto ardito, quasi troppo ardito. tutto dipendeva dalla riuscita o meno di dare alla chiesa vescovi che seguissero il modello del buon pastore»27. Nella XXIv sessione (11-11-1563) legata al sacramento del matrimonio, nei canoni di riforma emerge «una prova evidente che il concilio voleva consolidare l’autorità dei vescovi per il solo motivo che questa era l’unica via per giungere al miglioramento e al rinnovamento di tutto il ministero pastorale […] era presente la buona volontà di cercare un modus vivendi attuabile nella pratica, che poteva consistere solo in un rafforzamento di fatto dell’autorità episcopale»28. viene ripresa quindi nei canoni la figura del vescovo e viene affermata la necessità della visita pastorale, ma soprattutto viene affermata la necessita dei sinodi provinciali, disposizione che di fatto fa crescere l’autorità del metropolita, e la celebrazione di un sinodo annuale in ogni diocesi29. I quattro canoni (9,10,11,14) in cui è richiamata la nostra affermazione sono sempre relativi ai diritto di controllo su persone e cose, nessun privilegio deve impedire il potere del vescovo. ma il più importante è il can. 10 in cui in modo generico si afferma che i vescovi «in tutto ciò che riguarda la vita e le correzione dei costumi dei fedeli loro soggetti, avranno il diritto e il potere, anche come delegati dalla Sede apostolica, di comandare, regolare, punire ed eseguire, secondo norme canoniche, quanto, a loro prudente giudizio, sembrerà necessario alla correzione dei loro fedeli e al vantaggio delle loro diocesi»30. Emerge qui chiaramente che «fu proprio l’ufficio vescovile ad essere collocato in una posizione chiave»31per l’attuazione della riforma. 26 27 28 29 30 31
Cfr. CoD, 744-753. h. JEDIN, il Concilio di trento, cit., 114. ID., Delegatus Sedis apostolicae, cit., 288. Cfr. i Sinodi diocesani siciliani del ’500, in Synaxis 19 (2001) 2. CoD, 765 (759-773). k. gaNzEr, L’ecclesiologia del concilio di trento, cit., 165.
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Nella XXv sessione (3/12/63), quella conclusiva, si hanno 21 canoni, molto diversi tra di loro. Il primo è una specie di piccolo specchio del vescovo. la residenza dei vescovi è ribadita per la gloria di Dio e per la salus animarum, quindi il vescovo deve essere per tutti un esempio di virtù: «infatti non c’è dubbio che gli altri fedeli saranno più facilmente infiammati a coltivare la religione e l’innocenza della vita se vedranno i loro pastori preoccupati non delle cose del mondo, ma della salvezza delle anime e della patria celeste»32. si richiede esplicitamente anche ai cardinali di rinunziare al nepotismo. Nel canone secondo si fa obbligo a tutti i partecipanti ai previsti successivi sinodi provinciali e diocesani di fare esplicita accettazione del concilio. gli altri canoni vanno dalla riforma della vita del clero a quella dei regolari, dalle prebende ai capitoli, dagli affari economici ai problemi morali, su tutto deve vigilare il vescovo. l’unica volta che viene ripreso il termine di “delegato della Sede apostolica” è al canone 9, tutto dedicato allo scioglimento e alla approvazione dei patronati. la lettura consecutiva dei canoni fa emergere come l’idea della riforma, con la correlativa necessità di correggere gli abusi, pur essendo sempre presente nei dibattiti, è maturata secondo le situazioni e gli scontri interni ed esterni al Concilio. per quanto riguarda la nostra ricerca Jedin afferma che «il concilio di trento, almeno in linea di fatto ha rafforzato l’autorità dei vescovi nelle loro diocesi. la formula tamquam Sedis apostolicae delegatus fu l’accorgimento canonistico che rese possibile tale affermazione, senza ledere sostanzialmente le prerogative papali»33.tale rafforzamento del potere episcopale è vero, tanto che si può affermare che il diritto del concilio di trento è un diritto episcopale, tuttavia però in stretta correlazione con quello papale34. alberigo afferma che «il Concilio non ha voluto esprimere una ecclesiologia e quando si è trovato nella necessità di affrontarne qualche aspetto, l’ha fatto con grande prudenza, limitandosi agli elementi più sicuramente tradizionali e unanimemente ritenuti dai padri»35, questo fatto da una parte 32 33
CoD, 784. h. JEDIN, Delegatus Sedis apostolicae, 288. Cfr. trente, II, in g. DumEIgE (par.), histoire
34 des Conciles oecumeniques, paris 1981, 553-554. 35 g. albErIgo, ecclesiologia del Concilio di trento, cit., 239.
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spiega la difficoltà che il concilio ha di definire la relazione tra papato ed episcopato, infatti «la particolarità teologica e la qualificazione ecclesiologica dell’ufficio vescovile non furono tuttavia chiariti a sufficienza, poiché non ci si poteva accordare sulla definizione giurisdizionale dell’ufficio vescovile nel suo rapporto con il primato papale»36, dall’altra fa affermare ad un ortodosso che «l’immagine della chiesa cattolica romana, quale risulta dal funzionamento e dalle decisioni ufficiali del Concilio di trento, ritrova le caratteristiche fondamentali dell’ecclesiologia e della tradizione ecclesiale comune del primo millennio»37. Così nella relazione papa-vescovi «cioè per il lato della ecclesiologia, il concilio restò a metà strada […] la definizione del primato papale, la determinazione dell’ufficio vescovile e la posizione del concilio restavano domande aperte per il futuro, anche se singoli raggruppamenti – papalisti da un lato, gallicani dall’altro, pretendevano possedere risposte definitive»38. fu proprio questa indeterminazione, per non parlare di ambiguità, nel concilio infatti «va anche osservata nell’insieme una tendenza al rafforzamento del centralismo romano»39, a rendere possibile il fatto che subito dopo la chiusura del concilio le sue linee direttive di riforma «presero un orientamento rigidamente univoco e accentrato (…perché) interpretazione e applicazione vennero prese saldamente in mano dal papato e dalla Curia romana»40. si può così affermare che «il poco entusiasmo ecclesiologico nel conferire in certi casi ai vescovi in quanto legati papali — tamquam apostolicae Sedis delegati — pieni poteri per la realizzazione delle riforme, si mostrò nel seguito un ostacolo, poiché le misure dei vescovi furono spesso intralciate dalle dispense, esenzioni, privilegi ecc. papali»41. sarà forse non vera l’affermazione che al concilio si entrò come vescovi e si uscì come parroci, però certamente è vero che dopo trento, nella concreta applicazione dei canoni di riforma, si ebbe il tridentinismo.
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k. gaNzEr, ecclesiologia del Concilio di trento, cit., 165. D.papaNDrEou, Coscienza conciliare, cit., 225. k. gaNzEr, ecclesiologia del Concilio di trento, cit., 166.170. ibid., 171. g. albErIgo, ecclesiologia del Concilio di trento, cit., 241. k. gaNzEr, ecclesiologia del Concilio di trento, cit., 171.
Synaxis 3 (2008) 83-96 la fIlosofIa DEl rosmINI NEI pENsatorI DI sICIlIa salvatorE latora*
Nella raccolta di scritti di Eugenio Di Carlo: La filosofia del rosmini in Sicilia (a cura di peppino pellegrino ), roma-stresa 2001, viene espresso un auspicio dal curatore: continuare l’opera del Di Carlo; e per colmare le inevitabili omissioni, viene ricordato tra gli altri: «vincenzo la via1 e la sua *
Docente emerito di storia della filosofia presso lo studio teologico s. paolo di
Catania 1 vincenzo la via nasce a Nicosia (Enna ) il 28 gennaio 1895. la famiglia si trasferisce a roma dove il giovane frequenta l’università avendo come maestri b. varisco, g. barzellotti e g. gentile; si laurea in filosofia sostenendo una tesi su: il problema della verità e l’intellettualismo. Insegna dapprima nei licei e poi, per incarico, storia della filosofia nell’università di genova (1932) e, per comando, storia della filosofia e psicologia, in quella di urbino. Nel 1940, vinto il concorso di professore ordinario di filosofia teoretica, si trasferisce a messina, dove insegna pedagogia presso la facoltà di magistero, e filosofia teoretica presso la facoltà di lettere e filosofia. Dal 1946 al 1956 è preside della facoltà di magistero a messina, dove presiede nel 1948 il Xv Congresso Nazionale di filosofia; è presidente del Comitato docenti universitari cattolici e copre la carica di rettore dello studio teologico per laici. Nella città del faro fonda la rivista “teoresi” (1946), che rappresenta un luogo di incontri delle voci più significative della filosofia italiana ed europea. lo seguono fervidi ingegni che ne proseguono l’opera come: g. ghersi, f. mercadante, f. bartolone, m. manno, g. Catalfamo, C. amato, s. lo giudice ed altri. Nel 1957 è chiamato nell’università di Catania, dove copre la cattedra di filosofia teoretica nell’università ed ha l’incarico di pedagogia nell’Istituto di magistero. anche a Catania la via prosegue la sua feconda attività scientifica e di insegnamento, e costituisce, per dir così “una seconda scuola”, dopo quella che per 16 anni aveva coltivato a messina, seguito da collaboratori altrettanto validi e impegnati attorno a “teoresi” come m. Cristaldi, a. brancaforte, Ed. landolt, p. bucalo, r.v. Cristaldi, s. latora, C. vullo ed altri. muore a s. gregorio di Catania il 31 luglio 1982 ed è sepolto nel cimitero di giarre (Catania). punti di riferimento fondamentali per il suo percorso filosofico e per la genesi del suo assoluto realismo sono stati: g. gentile, antonio rosmini e maurice blondel. per la bibliografia e il pensiero cfr. la voce la via, a cura di mario manno, in enciclopedia Filosofica, milano 2006. E ancora di mario manno, il saggio: teoresi. biografia e cronache
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scuola, già sulla breccia dal 1946, frequentata fin dagli inizi da rosminiani di provata e continuativa (per oltre un cinquantennio!) operosità» (p. 7). Della scuola del la via, nell’università di messina, ricordiamo: guido ghersi, francesco mercadante, filippo bartolone, giuseppe Catalfamo, mario manno, peppino pellegrino, Carmelo amato, santi lo giudice etc. E nell’università di Catania: mariano Cristaldi, antonio brancaforte, Eduard landolt, rosario vittorio Cristaldi, salvatore latora, don piero sapienza, ma, anche se per altre vie, possiamo aggiungere il rosminiano don giuseppe Cristaldi, che insegnò nell’università Cattolica di milano etc. Nel primo centenario della morte di antonio rosmini, 1955, teoresi, la rivista fondata e diretta da vincenzo la via, dedicava un numero unico al pensatore roveretano con i contributi significativi di molti autori., come guido ghersi, Eugenio Di Carlo, Cirillo bergamaschi, Icino turaldo, antonio mangano, Clemente riva, Enrico turolla, vincenzo la via, mario manno, Carlo Caviglione. giuseppe pellegrino e Carlo Caviglione iniziano qui le indagini sull’opera della rosminiana angelina lanza. Interessanti anche le recensioni delle opere di: I.turaldo, La dottrina cristologia di a. rosmini; m.t. antonelli, L’ascesi Cristiana in a. rosmini; l’antologia pedagogica, a cura di f. mercadante; E. perini, a. rosmini e la medicina2. di una rivista di cultura filosofica (1946-1982), in f. aNgElI (cur.), La cultura filosofica italiana attraverso le riviste, milano 2006. per gli sviluppi del suo pensiero e per una accurata bibliografia cfr. a. braNCafortE (cur.), omaggio a La Via, Catania 1969. E da ultimo: s. latora (cur.), atti del Convegno sul pensiero di Vincenzo La Via dell’università di Catania, in Laós 7 (2000), che riporta i contributi di: giuseppe giarrizzo, paolo manganaro, pietro prini, Carmelo vigna, antimo Negri, Carmelo amato, luigi la via, salvatore latora, placido bucolo, antonio brancaforte, Eduard landolt, J.Chaix-ruy et alii. 2 teoresi X (1955) 3-4, fascicolo dedicato ad antonio rosmini. saggi: g. ghErsI, aristotele contro rosmini; E. DI Carlo, La filosofia di rosmini in Sicilia; C. bErgamasChI, Le origini dell’essere comunissimo secondo rosmini; I. tubalDo, rosmini di fronte alla teologia moderna; a. maNgaNo, Filiazione della sinteticità speculativa di Bernardino Varisco rispetto alla metafisica critica di a. rosmini; Cl. rIva, origine del principio intellettivo in a. rosmini; E. turolla, Biografia interiore di a. rosmini; v. la vIa, La base teoretica del rapporto di Filosofia e religione nel pensiero di a. rosmini. sic et non: m. maNNo, interpretazioni rosminiane: idea e realtà-idea e esistenza. testimonianze:
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tanta vitalità spirituale e ricchezza di analisi speculativa riteniamo vada rivissuta e fatta conoscere, come finora, mi pare, non sia stato fatto. Come michele federico sciacca va ricordato per la istituzione della “Cattedra rosmini” e per l’instancabile opera di ricerca, per far conoscere l’autentico pensiero del filosofo cristiano di rovereto e dissipare dubbi e incertezze interpretative; così, un altro siciliano, vincenzo la via, attraverso un implacabile e logico argomentare con un inimitabile stile essenziale, fa riscoprire la originalità rivoluzionaria della filosofia rosminiana «come necessaria via da percorrere per la cercata “restituzione della filosofia a se stessa”, e, con ciò dell’uomo alla interezza del suo esser “persona” o “coscienza e libertà». vincenzo la via ha raccolto nel volume: La problematica etico-religiosa in antonio rosmini, Catania 1964 due magistrali scritti: La base teoretica del rapporto di filosofia e religione nel pensiero di a. rosmini, in teoresi X (1955) 3-4, che riporta la comunicazione tenuta al Congresso internazionale di filosofia «antonio rosmini» (stresa, 20-26 luglio 1956 ); e La fondazione rosminiana della pratica,in teoresi IX (1954) 4, relazione tenuta nell’incontro Internazionale rosminiano di bolzano (28- 30 settembre 1954). si ricorda del la via, anche la introduzione all’antologia: antonio rosmini – Gnoseologia, Morale e Pedagogia, a cura di francesco mercadante, messina, 1954; e, soprattutto, per avere suscitato nei suoi discepoli ed amici l’entusiasmo per l’importanza e la centralità del pensiero di antonio rosmini. Quando la via affronta questi temi centrali del pensiero rosminiano ha già sviluppato un suo pensiero personale, che è il modo più produttivo per affrontare il pensiero di altri, se non si vuole restare ad un livello di semplice esposizione e comprendere invece la portata rivoluzionari del rosminianesimo, come invece egli ha fatto. Nell’editoriale che la via scrive in occasione del Primo Venticinquennio di “ teoresi” (1946-1970)3, egli traccia il percorso del suo g. pEllEgrINo, Sulle orme di rosmini: angelina Lanza-Damiani (con inediti autobiografici); C. CavIglIoNE, La filosofia rosminiana nella vita di angelina lanza-Damiani. recensioni – Notiziario – bibliografia rosminiana. bisogna ricordare che la rivista teoresi fin dal primo numero ha una rubrica fissa dal titolo: rosminiana. 3 teoresi XXvI (1971) 1-4.
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pensiero e la storia della rivista, il cui programma veniva incontro «a quanti, rinati dalla cupa tragedia delle due guerre, chiedevano di poter ritrovare se stessi attraverso una radicale “autocritica”, da un canto, dell’idealismo antinomico, astratto e illusorio, che aveva dominato la scena culturale più recente d’Europa, e, dall’altro, del realismo opaco e massicciamente impenetrabile alla razionalità o del “naturalismo” che aveva mortificato l’intelligenza e la volontà delle generazioni passate ( e aveva generato quella contraddittoria antitesi idealistica)» (p. 4). Ebbene, egli, che era stato uno tra i migliori discepoli del gentile, di cui aveva rielaborato il pensiero in un’opera, L’idealismo attuale di Giovanni Gentile, trani 1925, che resta un classico negli studi gentiliani, ne opera il più radicale ribaltamento con la rigorosa “ autocritica dell’attualismo” e restituisce la filosofia alla sua autentica funzione ontologica e metafisica elaborando un suo pensiero che egli nominò assoluto realismo, il quale ha alla base il Conoscere fondante. In questa inversione della posizione tradizionale del problema dell’ontologia, egli trova indicata la via nel ripensamento della filosofia rosminiana e nella “riforma blondeliana del filosofare”, operando, come giustamente è stato rilevato “una controrivoluzione copernicana”, in una fase di rinnovamento della speculazione europea, che noi riteniamo ancora attuale. «Non più, perciò umanesimo assoluto o totalitario, né nichilismo tragico e corrosivo che da quello deriva» (p. 5). Come può la filosofia esser conforme alla sua verità, se non riconoscendo la necessità di trascendersi? ora, la verità della filosofia è l’idea dell’essere, in quanto principio dell’universale intelligibilità dell’esperienza e fondamento in sé della certezza dell’Essere: «un’idea che contiene la certezza, ma non può farci penetrare nella sostanza stessa dell’Essere, il quale d’altra parte è rivelato in quest’idea come ad un tempo id quo maius cogitari nequit e maius quam cogitari possit. la verità immanente della filosofia è insieme ricchezza e povertà: ci dà il tutto nell’idea dell’essere, ma nulla ci dà poi di questo tutto, come filosofia… E questo è il servizio che la filosofia, quanto è più veramente libera, ossia conforme alla propria verità, rende alla religione: di farci riconoscere e misurare quel vuoto che la religione dovrà cominciare a colmare» (pp. 5-6).
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È, quindi, necessario e corretto il rapporto tra il compimento della filosofia e la teologia, per la interna apertura della “filosofia” alla “fede cristiana” che porta a confutare “l’ateismo come negazione impossibile”. (sono tutti titoli come pietre miliari, di saggi laviani!). 1. la basE tEorEtICa DEl rapporto DI fIlosofIa E rElIgIoNE NEl pENsIEro DI a. rosmINI 4 generalmente, sostiene il la via, si fa coincidere la sostanza del pensiero del rosmini con la critica radicale dell’empirismo e del soggettivismo come il carattere peculiare della filosofia moderna. Certo, non si nega affatto tale merito, ma per comprendere la sorgente di tale critica, bisogna determinare ciò che il rosmini stesso ha chiamato “Il sistema di verità”. ora tante obiezioni, continua il la via, tante polemiche e discussioni sulla filosofia rosminiana (anche quelle ad es. Di Domenico D’orsi, discepolo di ottaviano5) poggiano su un mero equivoco iniziale, che riguarda il modo di concepire il problema del conoscere, che è quel modo irriflesso, e comune a molti critici «di raffigurarsi il rapporto conoscitivo come un rapporto da istituire fra il soggetto e la verità» (p. 313), mentre il grande merito del rosmini sta proprio nel superamento di quella ingannevole apparenza che pretende di anticipare il soggetto al rapporto originario e fondante che lo costituisce come soggetto. È stato questo il limite della critica kantiana, che attribuisce al soggetto la mediazione trascendentale, nell’ambito di una filosofia del finito. ma come può tal soggetto saper la propria finitezza e contingenza «se non mediante un conoscere che idealmente le trascenda, in grazia dell’infinità ideale della pura idea dell’essere che al soggetto ha ad esser presente come oggetto immediato e lume della mente e forma della verità 4 tutti i riferimenti e le citazioni delle pagine si riferiscono al fascicolo di “teoresi”, numero interamente dedicato a rosmini e già citato. 5 Cfr. di D. D’orsI, il soggettivismo di rosmini – La teoria della species e le origini dell’idealismo immanentistico, in Sophia 1 (1959) 26-41, a cui ha risposto il Boll. Charitas, febb. (1959) 69-70. accuse vecchie, a cui hanno risposto tante volte, sciacca e, come vedremo, anche la via in modo rigoroso e teoreticamente ineccepibile. si veda anche in teoresi (1946) 2-3: sic et non: f. mErCaDaNtE, nota alla polemica tra P.Boyer e ottaviano, 135.
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e della cognizione, affinché si dia o vi sia il rapporto appunto fondante originariamente il soggetto in quanto “io”?… vi è dunque per il rosmini “una specie d’infinità propria della natura intelligente”, ed è per virtù di quella che lo spirito o il soggetto conoscente trascende idealmente, e può quindi conoscere la limitazione o la propria finitezza e contingenza» (p. 315). avendo formulato esplicitamente il fondamento dell’intero suo discorso filosofico, il rosmini «ha potuto fornire alla speculazione il criterio valido che permette di riprendere il filo d’oro della “filosofia perenne”, incautamente e rovinosamente spezzato quando fu avanzata (con ugual senso, per quanto con diversa forza, da Cartesio e da kant) appunto la famosa istanza, falsamente ritenuta “critica”, di una mediazione giudicativa assoluta del fatto universale del conoscere da parte del soggetto pensante e dubitante» (Ivi). la via, infatti, sulla linea del rosmini, ha descritto in un suo saggio: i fondamenti di una critica della “ critica”6. Ecco, per il la via, le conquiste ineludibili della speculazione rosminiana: a) avere individuato nel soggetto umano intelligente il principio di una rivelazione naturale, attraverso l’intuizione dell’essere sotto forma ideale; b) avere trovato nel soggetto umano intelligente il luogo metafisico spirituale; c) in cui il soggetto umano personale riconosce il vincolo col trascendente; quindi d) nella dottrina rosminiana come in quella di maurice blondel (con la differenza di una maggior giustificazione teoretica nel rosmini, precisa il la via a p. 324) consegue la ricognizione del vincolo di filosofia e religione, di immanenza e trascendenza che rivela un’infinita mancanza, che può esser colmata dal sussistente trascendente medesimo. «vi ha dunque nella natura umana una limitazione essenziale, necessaria, per la quale questa natura ha bisogno di Dio per essere pienamente soddisfatta»7. In una serie di definizioni, pubblicate su «teoresi», la via ha sviluppato con estremo rigore la sua tematica del«Conoscere fondante» e della «presenza donante» come principio dell’oggettività assoluta del pensare. Così anche nelle altre puntualizzazioni si vede come egli abbia seguito e sviluppato la struttura essenziale del pensiero rosminiano per costruire il suo 6 7
Cfr., teoresi I (1946) 2-3, 104-106 rosmINI, antropologia soprannaturale, II, I, 3.
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assoluto realismo. si vedano almeno alcune delle precisazioni come: la «metafisica»; l’«Immanenza» e la «trascendenza»; «Causalità data e Causa prima»; «l’affermazione necessaria»; «Il realismo e l’argomento ontologico»; «Esperienza religiosa e teoreticità»; «la interna apertura della “filosofia” alla “fede cristiana”»; «l’ateismo come negazione impossibile»8. «Necessità o amore? Introduzione al concetto della filosofia come “via a Dio” ad mentem divi thomae». Così la via, citando puntualmente dalle opere del rosmini, come da l’antropologia soprannaturale, dal nuovo Saggio e dalla teosofia, può concludere il suo saggio, di cui abbiamo dato una breve esposizione: «Né da ultimo è possibile “ascendere ad una scienza compiuta delle cose” senza sollevarsi fino a Colui nel quale tutte si accolgono, s’imperniano, si collegano e unificano. Eppure l’idea onde l’uomo naturalmente conosce “non contiene l’essere completo”. È così che il lume stesso che la ragione ha “le vale a conoscere la mancanza di qualche altro lume che le completi quel primo (benché non sappia dire a se stessa che cosa quest’altro lume sarà)”. È pertanto la consapevolezza stessa, a cui la filosofia giunge al termine del suo giro, del naturalmente insormontabile “squilibrio fra l’ideale e il reale”, che interiormenteappende la filosofia alla superiore mediazione della rivelazione e della grazia.» (p. 326). 2. vINCENzo la vIa, La FonDazione roSMiniana pubblICato IN teoreSi 4 (1954) 283- 329
DeLLa PratiCa, saggIo
tutto l’esordio del la via, in questo secondo saggio, dice del profondo valore fondativo del pensiero del rosmini , strettamente legato all’aspetto teoretico, ontologico e metafisico, e così attuale da farci meglio intendere la crisi tragica dei nostri tempi e porgerci una indicazione come via di uscita e di liberazione. riteniamo questi pensieri di grande attualità, quasi fossero pensati per i nostri tempi altrettanto tragici, come quelli in cui furono scritti, più di cinque lustri fa! Con la stessa rigorosa fedeltà ai testi, con cui il la via ha affrontato, 8 Cfr., teoresi, rispettivamente: (1958) 3-4; (1959) 3-4; (1960) 1 e 2-3; (1961) 1, 23, 4; (1974)1-2.
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nel primo saggio, il problema del conoscere filosofico in rapporto alla religione, così egli ripercorre gli sviluppi argomentativi della fondazione rosminiana della pratica e cioè del problema morale, i cui principi fondano i criteri della giustizia e dell’ordine etico- politico delle società. ma tanta aderenza e affinitàcon il pensiero e le argomentazioni del rosmini, si spiegano perché il la via aveva già sviluppato pensieri nella stessa direzione, ad es. il Conoscere Fondante e la Presenza Donante, che, come abbiamo accennato, rivelano la stessa intuizione dell’essere idealerosminiano e prospettano una Controrivoluzione copernicana del filosofare! Il pensiero di un altro può essere, in qualche modo, compreso solo da colui che già, a sua volta, abbia pensato gli stessi pensieri o, almeno, pensieri simili! (l. wittgenstein). l’opera di sciacca e dei discepoli nei confronti della riscoperta e valorizzazione del pensiero rosminiano, può avere integrazione e complementarità, riteniamo, in quella del la via e della sua scuola, e perciò va riscoperta affinché non cada nell’oblio. Dove sta, si chiede il la via, la straordinaria attualità di una speculazione come quella del roveretano? E risponde con le stesse parole del rosmini tratte dalla premessa alla prima edizione dei Principi della scienza morale; essa consiste nel «richiamare il mondo, titubante e desolato nell’incertezza, alle prime abbandonate verità, e ristabilire i fondamenti sui quali conviene che si regga tutta la vita morale dell’uomo, dai quali solo s’origina la giustizia, e trae l’esser felice o la domestica società o la civile». l’origine della crisi attuale deriva dalla crisi dei fondamenti o meglio dalla crisi del fondamento. ma in che cosa consiste tal fondamento se non nella verità? la via vede nella filosofia del rosmini, come nella sua, un esempio preclaro di filosofia alethica. «ora, nessun’altra veduta filosofica è, al pari di quella del rosmini, tutta esplicitamente incentrata sulla verità: non tanto (si faccia attenzione!) sulla mera nozione di verità, quanto, ben più decisivamente e fecondamente, sullo stesso immediato, originario, ineluttabile comunicarsi della verità, siccome “oggetto”, all’uomo, e darsi, ad un tempo, di essa, qual “forma” dell’essere intellettivo e personale, nell’uomo; che, così, è e trovasi posto per sé e dato a sé medesimo nel modo di essenziale rapporto alla e colla verità. Donde la peculiare caratteristica che fa l’importanza storica eccezionale, e
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che individua il nucleo di validità perenne, del rosminianesimo… l’interrogazione sulla verità non verte sulla determinazione particolare o sul contenuto determinato di qualche (sia questa quale si voglia) verità, ma, bensì, su ciò per cui ogni verità è verità, universalmente, cioè su quella vErItÀ prIma onde son possibili tutte le altre, che per mezzo di essa si rendono visibili e son giudicabili come verità… E invero, il Nostro non fa se non l’inevitabile constatazione che “vi ha indubitatamente una prima verità, la quale comunica senza mezzo con tutte le menti, e questa è l’EssErE stesso nella sua essenza interminata e nella sua forma ideale”. una constatazione che è una rivoluzione: il capovolgimento della posizione tradizionalmente ammessa (e ammessa generalmente ancora, nonostante il rosmini) al punto di partenza del filosofare» (pp. 284-285). È così rovesciata l’impostazione della vecchia metafisica: noi non ci possiamo proporre di definire l’EssErE, le cui determinazioni assolute ci trascendono; possiamo però definire gli enti dati a noi nel “sentimento” (nell’esperienza) e possiamo definirli nella luce o presenza ideale o oggettiva dell’essere. Nella filosofia rosminiana, l’uomo, nella sua essenza e nella sua esistenza è, in quanto gli è immanente la verità, vincolato e sospeso, per dir così, al sussistente trascendente che unico può reggere il contenuto di trascendenza dell’eSSere. Questa stessa fondamentale intuizione rende possibile l’agire dell’uomo, assegnandone il fine e la norma, e conferendo al volere umano la sua forma specifica, ossia la moralità, che è aspirazione al bene e cioè a quel valore e perfezione che non può che coincidere con l’essere. ora, per il rosmini, quello che per la teologia è il mistero della trinità, in filosofia si specifica come struttura trinitaria dell’Essere, come reale, come ideale e come amore o moralità, cioè come sintesi di reale e di ideale. «l’essenza dell’essere è ad un tempo subietto per sé agente, per sé affermato, per sé amato, e, con altre parole, realità, verità, bene: forme che non hanno alcun genere superiore, perché l’essere è ciascuna di esse, e ciascuna di esse è l’essere» (teos., III, 1049 ). Il bene universale coincide con l’essere universale, ma l’uomo in concreto scopre la loro alterità e nello stesso tempo la sua finitudine, che è limitazione ontologica, dentro quella relazione al trascendente per cui si sa
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essere potenziale, obbligato a scegliere fra bene oggettivo e bene soggettivo. Ed è proprio allora che l’uomo passa dalla potenza all’atto della moralità ed è chiamato ad esercitare la sua libera volontà. «l’uomo, dice il rosmini “comincia ad essere attualmente morale quando aderisce colla sua propria attività volontaria all’essere in tutta l’estensione del suo ordine”. E ancora “la volontà che ama l’essere e l’ordine dell’essere è la volontà buona”. “l’essere ha un ordine in sé medesimo… e quest’ordine è quello che dev’essere riconosciuto dalla volontà, onde la formula dell’obbligazione universale può anche esprimersi così: riconosci l’essere qual è nel suo ordine”. Non è, però, così facile, nota il la via, rendersi conto del completo significato della nozione di “ordine dell’essere”, e pertanto del carattere di centralità che di tale insostituibile nozione fa la chiave di volta della fondazione della pratica qui in esame» (p. 294). la prima legge della obbligazione morale è la stessa legge della verità. la legge è oggettiva: essa non è l’uomo, ma la luce dell’uomo: sta qui l’errore di kant, nell’aver confuso la “ragione” come potere soggettivo, appunto, col “lume della ragione”, che è la stessa “verità”, l’oggetto stesso, altro dal soggetto uomo. E per questa ragione, osserva il rosmini, sottolineato dal la via, riuscì impossibile a kant la giustificazione di quella inviolabilità della volontà e libertà umana, di quella inviolabilità della persona umana, di cui il filosofo tedesco avrebbe dovuto fornire il perché per potere attribuire non arbitrariamente all’umana persona la natura di fine, e non mezzo, dell’agire morale. In conclusione: l’oggetto obbligante è tutto l’essere nel suo ordine, di cui noi abbiamo una pura idea fondante, mediante la quale e dentro la quale, in un medesimo atto, è dato il reale per noi e noi siamo dati a noi stessi. È perciò che la libertà, continua il la via, con la quale si può dire che veramente e pienamente passi all’atto la moralità nell’uomo, non si manifesta se non quando sorge lotta o conflitto fra i beni della sfera soggettiva e il bene oggettivo, che, in sé, è il bene assoluto. per il rosmini la libertà è appunto «quell’atto di elezione nel quale l’uomo, avendo da una parte un bene soggettivo, dall’altra un bene oggettivo e assoluto… preferisce l’uno dei due all’altro» (antropologia Morale, III, 639). l’elezione è dunque libera ma non facoltativa (come dopo il rosmini vedrà pure il blondel): Libertas ipsa voluntas, come insegna sant’agostino.
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a causa della dualità costitutiva dell’essere umano sono comprensibili, il “male”, che non è affatto qualche cosa dell’essere, ma deriva dalla volontà mala, che usa malamente quella forza che le è data, invece, per il libero congiungimento con l’essere; e il “peccato”, che spiega agostino, citato dal rosmini: «voluntas aversa ab incommutabili bono et conversa ad proprium, peccat». rosmini considera l’uomo come soggetto completo, cioè persona che è la potenza di affermare tutto l’essere, è attuale nodo di ideale e reale, di teoretico e pratico: cosciente vincolo dell’immanente e del trascendente. In una ricognizione completa dell’essere uomo come persona egli individua tre modi: mediante l’intelletto colla partecipazione della verità; mediante la facoltà di volere, colla pratica della virtù; e mediante il sentimento, colla fruizione della felicità o della beatitudine. rafforza le sue asserzioni con l’assioma del vangelo: la verità vi farà liberi: Veritas liberabit vos; e con san tommaso: «totius libertatis radix in ratione costituta», che il la via ha inserito come esergo ad ogni numero della sua rivista “teoresi”. l’altro aspetto importane che il la via sottolinea, sulla scorta delle riflessioni del rosmini, è il rapporto fra morale e diritto, fra natura e società, fra principio morale e principio religioso: considerazioni che chiudono il suo saggio su «la fondazione rosminiana della pratica». ma nello studiare noi queste pagine, un’intuizione c’è venuta spontanea, quando le abbiamo integrate con quelle de l’antologia rosminiana, già citata, curata da francesco mercadante (con prefazione di lavia e pubblicata nelle ediz. di “teoresi” negli stessi anni, riteniamo, del saggio in oggetto) specialmente nella sezione che riguarda La Morale; e nella Sezione terza: relazione del principio morale col principio religioso. È facile immaginare che ci sia stato un fecondo rapporto fra discepolo e maestro come confermano le numerose e corrispondenti citazioni del saggio del la via, ma ciò non adombra affatto, il procedere logico e la forma linguistica tutta personale, che in qualche modo abbiamo cercato in parte di riprodurre graficamente, di quel metafisico di razza che è stato vincenzo la via. sollecitato anzi da tale maestro, il mercadante, avvalendosi della sua competenza giuridica, ha sviluppato in modo personale le sue ricerche rosminiane, confluite poi in quel volume che riteniamomolto utile: il regolamento della modalità dei diritti – Contenuto e limiti della funzione sociale
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secondo rosmini, milano 1975. ma di ciò intendiamo trattare in un successivo saggio. ritornando all’ultima parte del saggio laviano su La fondazione rosminiana della pratica, ecco i punti salienti. l’intera concezione rosminiana del diritto si basa sul riconoscimento che «l’elemento giuridico del dovere s’innesta nella radice morale, e a questa indivisamente si attacca», il diritto deriva quindi dalla oggettiva legge morale universale che rosmini aveva espresso nella suprema legge della giustizia: riconosci praticamente ogni essere nel suo ordine; su tal fondamento egli afferma il nesso tra “persona” e “proprietà”, «è un imperato della legge morale, che comanda di non far male alla persona, di non cagionarle, staccando da essa qualche sua parte, quel dolore da cui nasce il risentimento personale. Non vi è il diritto che dove vi ha persona e proprietà di essa». ma bisogna precisare che nel rapporto tra diritto e dovere, prima viene il dovere che scaturisce dalla fondante legge morale. la persona, secondo rosmini, non ha il diritto, ma è il diritto, non ha la libertà, ma è la libertà: la persona dell’uomo è il diritto umano sussistente. Il rosmini sostiene il diritto della natura umana essenziale e inviolabile posto in assoluto con la realtà medesima razionale e morale della persona: e ciò contro gli errori di hobbes, che nega una giustizia precedente al patto sociale; e contro rousseau, che fantastica uno stato anteriore alla ragione stessa e alla socialità. Circa il rapporto tra società e individuo, anche in questo caso egli afferma, e il la via lo mette in risalto, la priorità della persona sulla società, altrimenti si cadrebbe nell’errore di quel mostruoso capovolgimento «onde lo hobbes subordinò l’umanità alla società» e così hegel, allo stato etico e marx, alla struttura economica. «rosminianamente, “la società”, lungi dal produrre, non può non presupporre, per poterci essere, la “ragione di fine” nella “persona” come tale. E invero, la persona è, rosminianamente, per quell’idea che “è l’essere universale, che sta presente alle nature razionali e che le illumina”: le nature razionali “per questa idea sono ordinate all’essere assoluto, ed è perciò che hanno la ragione di fine di una volontà buona: sicché “questa ragione di fine che hanno gli esseri intelligenti è ciò che costituisce la loro personalità, ed
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è sotto questo rispetto che si dà alla natura umana la natura di fine, cioè perch’ella contiene il principio in sè del supremo fine» (pp. 322-323). Il vincolo sociale è opposto al vincolo di signoria ed esclude quindi la servitù: nessuno infatti ha diritto di comandare a colui che sta ai comandi dell’infinito; per conservare l’integrità di valore delle persone i diritti vanno regolati nella loro modalità e in modo che coesistano senza sacrificarsi gli uni agli altri. per la salvaguardia di questi principi inviolabili delle persone non può non esserci, per il rosmini, che una società universale del genere umano in cui si affermino i diritti connaturali di ogni uomo, che hanno come oggetti tre beni identici in tutti: la verità,la virtù, la felicità, che sono le qualità unitive e sociali delle intelligenze. ora «la naturale società universale è, perciò un “abbozzo” o “disegno” della teocratica società effettuata dall’uomo-Dio, la realtà soprannaturale della Chiesa, data, quando il verbo assunse l’umana carne, per permettere al genere umano il conseguimento di quella perfezione di cui esso ha l’idea, senza averne la determinazione e la realità, e a cui egli tende col suo più segreto e intimo voto, siccome all’adempimento della sua destinazione» (pp. 327-328). la via precisa infine che la relazione con la trascendenza, che, grazie all’idea, distingue ed unisce tutte le persone, è di natura essenzialmente religiosa e può essere soddisfatta dallo stesso Infinito, la cui realtà può solo comunicarsi soprannaturalmente. «ora, senza tal compimento, la moralità, come valore dell’azione umana, mancherebbe di vera “effettività”: rimarrebbe fondata sulla mera idea, la quale “ è regola di bene, ma non è il bene reale”» (p. 329). fecondo ci è parso nel la via questo confronto (lui discepolo del gentile e critico radicale dell’attualismo), con il pensiero di rosmini e del blondel con i risultati del suo percorso teoretico, ma anche altri, le cui opere ci ripromettiamo di esaminare, si sono cimentati col pensiero del rosmini in un costante confronto con pensatori significativi del nostro tempo, come mercadante con Capograssi, landolt con heidegger, Carmelo amato, in un recente,interessante saggio ha detto heidegger, il rosmini del novecento (in itinerarium 32 [2006] 227-240), teodoro Di bella, discepolo di bartolone, con il vol.: L’autenticità dell’esistenza e il problema di Dio in M. heidegger, (messina 2004), s. latora ha sviluppato il rapporto tra il
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pensiero di rosmini e i fratelli sturzo, mariano Cristaldi con paul ricoeur, brancaforte con la svolta linguistica della filosofia contemporanea, don giuseppe Cristaldi con Newman, santi lo giudice che sviluppa problemi di etica sociale, per citare solo alcuni nomi dei rosminiani attorno al la via. (a santi lo giudice si deve il volume: i problemi dell’idealismo e del realismo nella prospettiva di Vincenzo La Via, messina 1996, utile anche perché riporta in appendice un’accurata bibliografia). Del resto, non è stato questo il metodo del rosmini, e non sono queste le finalità che da alcuni anni si vanno perseguendo con i Simposi rosminiani? E l’eredità del pensiero di vincenzo la via non è stato quello di restituire la filosofia ad una propria e distinta funzione, che è quella teoretica, da cui dipende ogni vera decisione morale, specialmente in un periodo di crisi dei fondamenti come il nostro?
Synaxis 3 (2008) 97-127 la CostruzIoNE DEl sEmINarIo DEI ChIErICI a CataNIa (dalle origini alla fine del Settecento) salvo CalogEro*
1. lE orIgINI DEl sEmINarIo DEI ChIErICI Il seminario dei chierici di Catania fu fondato canonicamente il 18 aprile 1572, ma de facto funzionò dal 1569 seguendo le disposizioni del nuovo vescovo antonio faraone che istituì la deputazione con decreto del 18 ottobre 15711. Nella veduta a volo d’uccello della città di Catania pubblicata da braun – hogenberg2 intorno al 1575 non figura l’edificio del seminario, Ingegnere specializzato nel restauro di edifici storici e monumentali. Nell’autunno del 1571, «ad effetto d’intervenire alla costituzione e disposizione per fondarsi detto seminario secondo il decreto del sacro Concilio tridentino», furono nominati deputati don guglielmo anzalone, priore della Cattedrale e don Ippolito d’aversa, canonico e decano di detta Cattedrale, eletti rispettivamente dal Capitolo il 19 settembre, e dal vescovo con decreto del 18 ottobre 1571 (arChIvIo storICo DEl sEmINarIo arCIvEsCovIlE DI CataNIa [= a.s.s.a. Ct], sezione delle origini, La fondazione del Seminario di Catania e i suoi benefattori con le scritture concernenti alle tasse e ritasse, editti, destinazioni di delegati e commissarij, regole e Stabilimenti, rolli, aggravi e altri. tomo I, 10, 11, 21 – cfr. g. polICastro, il Seminario arcivescovile di Catania, in a.s.s.o., serie Iv, 1 (1948) fasc. 12). sulla storia del seminario di Catania vedi anche: g. zIto – C. sCalIa, Fonti per la storia della diocesi di Catania: l’archivio Storico del Seminario, in synaxis 1 (1983) 294-313 e s. CrIstalDI, Contributo alla storia delle istituzioni ecclesiastiche: il Seminario di Catania nel 1700, tesi di laurea, relatore il prof. g. giarrizzo, università degli studi di Catania, Corso di laurea in filosofia, anno accademico 1976-77. 2 Questa incisione è contenuta in una raccolta di vedute di città curata dal tedesco f. hogenbergh in collaborazione con g. braun dal titolo: Civitates orbis terrarum, e pubblicata a Coloniae agrippinae nel 1575. Essa è stata copiata da pierre mortier e stampata senza data ad amsterdam (cfr. g. Dato – g. pagNaNo, L’architettura dei gesuiti a Catania, milano 1992, nota 6, 23). * 1
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confermando che le lezioni si tennero nei locali della canonica3, attigui alla sede vescovile, nel vecchio edificio dell’abbazia benedettina ubicata fra la cattedrale e le mura della città4. Dalla relazione del regio visitatore pietro manriquez del 1580, si rileva che gli ambienti della canonica erano disagevoli ed angusti5. fra bonaventura secusio nel 1610 «risolveva di fabricar la casa del seminario nella chiesa di san martino per esser vicina alla cattedrale e nel piano di essa»6 e, a tale scopo, permutò la chiesa parrocchiale di santa Caterina vergine e martire con la chiesa di san martino della compagnia dei bianchi, indennizzandola con 150 onze per i miglioramenti e le opere fatte nella chiesa7. Nel 1614 i chierici si trasferirono nel nuovo edificio8 e sulla facciata apposero una lapide di marmo dove stava scritto: «seminarium Clericorum erectum ab archipiscopo fratre bonaventura secusio patriarcha Costantinopolitano Episcopo Catanensi anno mDCXIv»9. Era un edificio con scalinata di 25 gradini, con un severo grande porticato che dava sulla piazza, e con finestre chiuse da grate di ferro al piano terra, mentre quelle del piano superiore, prospicienti sulla piazza, 3 Nel 1586 il seminario ospitava una ventina di chierici «modestamenti in bono esemplo […] in loro stanzi, intro la canonica di la Catridali Ecclesia […] sotto lo governo e disciplina» del vicario generale e dei deputati del seminario (a.s.s.a. Ct, sezione delle origini, cit., 47 e 51). 4 g.b. DE grossIs, Catana Sacra etc., 265. 5 Nel 1605 il visitatore giordi, confermando il giudizio del manriquez sulla deficienza dei locali, comprò per onze 800 da lucrezia promontorio un tenimento di case per trasferirvi i seminaristi, però il contratto, stipulato in sede vacante, non fù ratificato dal nuovo vescovo giovanni ruiz (atto del notaio vincenzo arcidiacono del 29 luglio 1605 – cfr. g. polICastro, cit., 64). 6 atto del notaio lorenzo sciacca del 17 dicembre 1610 (cfr. in g. polICastro, cit., 65). 7 un atto del 19 gennaio 1613 ci informa che tutte le spese per la fabbrica ammontarono ad onze 224:21 e che l’anno successivo l’edificio fu completato da maestro silvestro bertuccio con una scala di pietra lavica (l.c.). 8 Il nuovo seminario, che fu oggetto di continui miglioramenti fino al 1688, sorgeva di fronte alla loggia senatoria, in quella piazza maggiore o di s. agata che secondo la ricostruzione del Casagrandi «concentrava in sé tutte quante le rappresentanze della vita civile, religiosa, artigiana e commerciale della città» (v. CasagraNDI, La piazza maggiore di Catania medievale, in a.s.s.o., serie I, [1905] 355). 9 g. b. DE grossIs, Catana Sacra etc., 278.
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erano coperte di cassine foderate di tela. le finestre interne, come quelle del rettorato, erano munite di grata10. È possibile vedere la forma dell’edificio descritto finora in un disegno che ritrae la città di Catania prima della colata lavica del 1669 rispettivamente ai nn. 2 e 3 della legenda sono individuati il palazzo del senato e il seminario11 (fig. 1).
fig. 1 — veduta prospettica della città di Catania prima del 1669. In questo disegno sono rappresentati i più importanti edifici della città, fra i quali il seminario indicato con il n. 3, vicino alla chiesa di s. martino.
Nel piano terra erano collocati la dispensa, i magazzini e i ripostigli, mentre nel piano superiore vi erano due sale prospicienti entrambe un astrico, nonché la camera del rettore e quelle dei suoi coadiutori, la sala dello studio, il dormitorio e la cappella. 10 a.s.s.a. Ct, sezione amministrativa, mandata, novembre 1669, dicembre 1667, ottobre 1672. 11 Nella pianta di «Catania città chiarissima nel suo essere prima dell’incendio del monte Etna accaduto nell’anno 1669» (pubblicata in l. Dufour, 1693 Catania rinascita di una città, Catania 1995, 196-197) è individuato con il n° 3 il «seminario» e con il n° 2 il «palazzo del senato», collocato a sud.
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Nel 1687 il seminario venne dotato di un altro dormitorio a seguito della decisione del Capitolo della Cattedrale, che rinunziò ai proventi dovuti al medesimo da parte dei deputati del seminario. 2. la rICostruzIoNE Dopo Il tErrEmoto DEl 1693 Il privitera descrisse con queste parole il crollo del seminario a seguito dell’evento sismico del 1693 che distrusse Catania: «Nel comune eccidio si rovinò il celebre seminario seppellendovi sotto le pietre molti alunni convittori. Erano tutti 28, ne morirono 21, ne restarono 7»12. Don giuseppe lanza duca di Camastra, designato dal vicerè francesco paceco duca di uzeda, venne destinato con pieni poteri alla ricostruzione della città di Catania ove giunse il 14 febbraio 1694.
fig. 2 — Esplication du plan de Catania (p. Callejo y angulo, 1719). 12 francesco privitera racconta che nel 1687 il canonico oliva fece dono al seminario della sua ricca biblioteca ereditata dallo zio, il canonico giovan battista De grossis «con il valente de’ libri ed ornamenti di legno circa 200 scudi». (f. prIvItEra, Dolorosa tragedia …, Catania 1695, Iv tavola, 65). Nell’archivio del seminario si trova l’atto stipulato sotto il governo del vescovo antonio Carafa il 9 ottobre 1688.
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Il piano del duca di Camastra per Catania fu rappresentato graficamente in un disegno pubblicato13 a vienna nel 1719 (fig. 2). In questo disegno lo spagnolo pierre de Callejo y angulo mostrò le linee guida del piano di Camastra, modificate nel corso della realizzazione della città. Il progetto del Camastra prevedeva, «per magnificenza della città», l’apertura attraverso le macerie di un ampia strada (la nuova strada uzeda, oggi via Etnea), larga otto canne, che univa la porta di aci (oggi piazza stesicoro) alla nuova porta della marina (oggi porta uzeda). Infatti, nel citato disegno si vede la piazza maggiore (piazza Duomo) ricavata nell’area a nord della Cattedrale, davanti al prospetto laterale, e la via san filippo (via garibaldi) ad asse del prospetto principale e allineata con l’isolato di proprietà del vescovo — successivamente ceduto al seminario — il quale era separato dall’area di pertinenza della cattedrale dalla strada uzeda (via Etnea). l’unica parte della cinta muraria occupata da fabbricati era quella del palazzo vescovile, addossato alla porta vega preesistente al terremoto. mentre il Camastra, d’intesa con le autorità civili, pensava alla ricostruzione della città «allargando strade e dilatando il piano di sant’agata»14, il seminario «si commodò sopra la cortina della porta delli Canali»15, la pianta è riportata in p. DE CallEJo y aNgulo, Description de l’isle de Sicile, et de ses cotes maritimes, avec les plans de toutes ses fortesses, nouvellement tirés, come elles se trouvent présentement. suivant l’edition qu’en fait l’imprimeur de sa m. I. & C. à vienne. par pierre de Callejo y angulo. ont a ajouté un memoire de l’état politique de la sicile. présenté au roi victor amedée, par le baron agatin apary de la ville de Catanea. D’après un manuscrit authentique, J. wetstein – g. smith, amsterdam 1734. prima edizione vienna 1719 (ristampa anastatica a cura di l. Dufour, Catania 2005). 14 Dopo breve tempo «si vide innalzata una città di tugurii, un’abitazione di legnami, prestando a proposito i materiali non solo la distrutta città, dei tetti e piani delle case cadute, ma anche molte barcate ne fece venire detto duca con provvida disposizione da Calabria, e molti migliaia di tegole da diverse parti. Et ecco che si viddero abbondanti piazze, provviste le botteghe, aperte le osterie e fatta la rassegna del popolo». (CrIstophorus amICus CataNENsIs, Cronologia e genealogia universale del mondo dalla sua origine fino al tempo presente, ms. I, 40, 209, della biblioteca ursino recupero di Catania, vol. 12: relazione veridica dell’orribile memorando terremoto, sortito nella Clarissima e Fedelissima città di Catania nell’anno 1693). Nello stesso testo si legge che il bastione di s. agata sopra la porta dei canali, restò incolume «fuorché d’una nobilissima loggia che sopra di esso era eretta per delittiarsi gli illustrissimi vescovo e senato ogni qualvolta su la spiaggia del mare si festeggiava il corso del palio». 15 Il sito con i ruderi del seminario vennero venduti a Don giovanni paternò valle; ed 13
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essendo stato destinato il sito del rovinato edificio alla costruzione della nuova casa senatoria. Quindi la cortina cinquecentesca, rimasta indenne agli eventi calamitosi che colpirono Catania nel corso del seicento, costituì le fondamenta del seminario, per lo meno nei corpi di fabbrica realizzati a mezzogiorno. Il rilievo di questa parte della città (fig. 3) effettuato nel 1637 da francesco Negro16, oltre alla cinta muraria, mostra il perimetro delle abitazioni vicine ad essa, in particolare indica con il n. 15 la porta dei Canali oltre la quale si trova l’anteporta, cioè l’arco di san Cristoforo sopra il quale si insediarono i seminaristi dopo il 1693.
fig. 3 — particolare della pianta di f. Negro, 1637. in parte riservati dal senato per il progettato nuovo palazzo senatorio (a.s.s.a. Ct, La fondazione, cit., vol. I, 21). 16 bIblIotECa NazIoNalE DI maDrID, manoscritto 1, olim 92 bis, p. 68-69 (N. arICò, L’atlante di città e fortezza di Francesco negro, messina 1992. Cfr. g. pagNaNo, il disegno delle difese, Catania 1992, 32, scheda 5).
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Nell’emergenza del dopo terremoto, il seminario fu quindi ricostruito con strutture precarie di legno sopra quella porzione di cortina che dalla porta dei Canali si affacciava sulla marina. Il vescovo andrea riggio, vista l’impossibilità di potere riunire i due monconi del vescovado diviso dalla porta della marina, aderendo alle richieste della deputazione del seminario che reclamava un nuovo edificio perché «non avevano sito li figlioli»17, decise di concedere per la costruzione del nuovo seminario quella porzione di palazzo vescovile che risultava limitato da est dalla nuova strada uzeda, da ovest dalla fonte dei Canali, da nord dal piano della cattedrale e da sud dalla cortina cinquecentesca, ma staccato da questa per volere del Camastra, richiedendo di corrispondere onze 4 annuali in favore del capitolo della cattedrale da devolvere annualmente ad uffici funebri a suffragio dei re di sicilia18. I lavori in questa nuova area iniziarono subito, come risulta dall’acquisto di materiale di costruzione19 a partire dal 1695, cosicché il 9 ottobre 1696, a firma del vicario don giuseppe Cilestre, il vescovo poté bandire un concorso per sette posti di seminaristi20. 17 Il seminario venne ricostruito nel sito dell’antico palazzo vescovile così come risulta da numerose testimonianze storiche e documentarie, fra le quali quella del notaio giuseppe siracusa (di 12 anni all’epoca del terremoto) che testimonia del sito dell’antico priorato (uno degli edifici sopravvissuti al terremoto del 1693) che confina «… per tramontana colla medesima cattedrale chiesa, per mezzogiorno colla cortina di questa città, per ponente col palaggio vescovile, quale non era dove ora stà al presente, ma dove adesso è il seminario dei Chierici, ed altri confini; quale stanze sostenuti d’alcune colonne venivano detti canonica, cantoria e priorato. Ed in specialità certifico che l’anno del terremoto 1693 il priore ramondetta abitava e salvossi, nella stanza suddetta del priorato, che non si demolì» (arChIvIo DI stato DI CataNIa (= a.s. Ct), 2° vers., b. 1812, cc. 183, 187, 191, 195 e segg., 2 giugno 1772, notaio gaetano arcidiacono). 18 CrIstophorus amICus CataNENsIs, Cronologia, cit. Inoltre andrea riggio assegnò al seminario i beni dei monasteri distrutti dal terremoto (cfr. g. zIto – C. sCalIa, Fonti per la storia della diocesi di Catania: l’archivio Storico del Seminario, cit., 304). 19 Nel 1695 iniziò l’acquisto di agliara per la costruzione del nuovo seminario (a.s. Ct, 1° vers., b. 1067, 25 settembre 1695, notaio mauro greco e a.s. Ct, tribunale Civile di Catania, perizie anno 1837, b. 20, citato in s. barbEra [cur.], recuperare Catania, roma 1996, 308). 20 «con l’aiuto di Dio nostro signore ripigliato il seminario dei Chierici distrutto dalla passata rovina del terremoto, desiderando con tutto ardore che in quello si allevino figlioli di buona indole e di ingegno tale che permettano fare buona riuscita» (il Monserrato, anno IX, 29 ottobre 1913, n° 19).
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Nel 1697 il seminario volle proseguire la costruzione sulle mura della città trovando l’opposizione del secreto di Catania ma, per ordine del tribunale del real patrimonio datato 30 aprile, gli venne ordinato di non opporvisi21. un vero programma edilizio si ebbe nel 1706. Infatti: «Nel giorno glorioso di s. orsola vergine e martire a dì 21 ottobre 1706 ad hore 20 e 50 minuti si è buttata la prima pietra al cantone che fa la strada uzeda ad honore e gloria di Dio, s. agata vergine e martire Catanese ed il glorioso s. Carlo borromeo protettore»22.
l’anno successivo, i mastri giovanni barbera e francesco Nicosia si obbligarono ad eseguire vari intagli per la fabbrica del seminario; in particolare di: «farci due cimasi di due pilastri, e due punte alla cantoniera per li ritirati, una finestra un arco con suoi zoccoletti di negro e soglio di negro, tre assisi con suoi basi per ogni pilastro, e questo secondo il disegno in pudere di detti rev.mi Deputati»23.
Il vescovo andrea riggio scrisse nella sua relazione ad limina inviata nel 1712 al santo padre: «poiché il terremoto del 1693, fra gli altri danni, provocò anche la totale distruzione del seminario, fino a poco tempo fa ho alloggiato i chierici nelle baracche. ora, invece, ho già provveduto a far costruire la grandiosa struttura del seminario che, con l’aiuto di Dio, conto di portare a termine fra pochi anni»24. 21 arChIvIo storICo DIoCEsaNo DI CataNIa (= a.s.D. Ct), tutt’atti anno indizione 1696/97, b. 206 (citato in s. barbEra [cur.], recuperare Catania, cit.). 22 CrIstophorus amICus CataNENsIs, cit. (vedi anche a.s.s.a. Ct, La fondazione, cit., f. XXII v.). 23 extaleum Pro domo Seminarij Cum mastru Joannes Barbera (a.s. Ct, 1° vers., b. 2272, c. 272 v., 22 gennaio 1707, notaio Nicola Coltraro, citato in s. barbEra [cur.], recuperare Catania, cit.). 24 relazione scritta il 12 settembre 1712 dal vescovo andrea riggio e presentata a roma dal procuratore, sacerdote giuseppe aiello, nell’ottobre 1712 – tradotta dal latino in
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lo stesso vescovo concedette nel 1713 al seminario il terreno a lato della facciata della cattedrale, ad oriente del primo tratto della strada uzeda. prima, però, fece demolire le fabbriche già costruite dal seminario che prospettavano a nord, sull’attuale piazza Duomo, allo scopo di consentire la completa visuale del nuovo prospetto della cattedrale. Il testo dell’atto di cessione è il seguente: «molto Ill.e rev. sig.re ricevo una sua nella quale sento la giustificata domanda fa’ a favore di codesta mia Casa del seminario, in risposta alla quale notando prima d’ogni altro il zelo, e attenzione di v. I. per li vantaggi, e interessi della medesima, confidando da una parte che resterebbe veramente interessata come lei mi cenna per quel terreno e fabbriche antiche si disposero per havere io ordinato si ritirasse il seminario da tramontana a’ finché restasse libero e ampliato il piano per maggior magnificenza della mia chiesa Cattedrale e dall’altra riflettendo che patirebbe il seminario intolerabil servitù se altra persona fabbricasse nel terreno di rimpetto al dormitorio di levante nel compreso del vescovado, percioché sarebbe affatto inabitabile da giovani e volendo detta mia Casa contigua con la suddetta mia Cattedrale e che habbia communicazione col mio palazzo vescovile, e per altri miei fini giustificati. Intanto si per compensa di giustizia per il suddetto terreno e fabriche deterse ripeter altre convenienze e riguardi dovuti alla suddetta mia casa per la presente concedo tutto l’aere cominciando dalla cortina sino alla cantoniera della porta piccola della suddetta mia Cattedrale, e di larghezza canne dodici in circa, acciò possa il seminario frabricare un dormitorio o altro stimeranno li sig.ri deputati con patto che si facci un portone a’ mezzogiorno, a’ finché possa quando vorrà il vescovo entrare in seminario per detto portone riferendomi però di fabbricare a mie spese il disotto non sentendo concedere altro che l’aere suddetto come sopra e perché voglio che per l’avvenire et in perpetuu il suddetto seminario si possa liberatamene valere godere e servirsi di tutto l’aere come sopra»25.
per la stima delle case e dell’area venne incaricato giuseppe longobardo, il capomastro della città, nel frattempo impegnato nella ricoa. loNghItaNo, Le relazioni “ad limina” della diocesi di Catania (1702-1717), in synaxis 7 (1989) 489. 25 Concessio aerj Pro Ven.li Domo Seminarj Cum Mensam episcopalem (a.s. Ct, 1° vers., b. 2293, da c. 441 r. a c. 450 r., 15 febbraio 1725, notaio giuseppe Capace, citato in s. barbEra [cur.], recuperare Catania, cit.).
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struzione della cattedrale26 e del palazzo senatorio27. Dalla contabilità del 1717 si intuisce che la fabbrica del seminario si limitava al solo piano terra28. lo stesso anno il vescovo riggio, mentre era in esilio a roma, descrisse l’edificio con queste parole: «Il seminario, già sufficientemente fornito dalla sua erezione, era stato da me arricchito di rendite; quando io ero in diocesi aveva cinquanta alunni, istruiva molti convittori e si ereggeva per la stupenda mole dei suoi edifici; ora nessuno provvede né alle fabbriche né ai giovani»29.
Con la nomina del nuovo rettore, il canonico lauria, e del ministro e procuratore, don Carlo Colli, nel mese di luglio 1720 vennero spese più di 100 onze per manodopera nella fabbrica del seminario, testimoniando una ripresa dell’attività edificatoria30 e, forse, la redazione di un nuovo progetto31. I lavori per gli intagli furono appaltati da mastro giovanni Nicoloso Cfr. s. CalogEro, La ricostruzione della Cattedrale di Catania dopo il terremoto del 1693, in Synaxis 12 (2004) 1, 113-148. 27 m. gauDIoso, origini e vicende del Palazzo Senatorio di Catania, in a.s.s.o. lXXI (1975). vedi anche s. CalogEro, il Palazzo degli elefanti. Documenti inediti dopo il terremoto del 1693, in tecnica e ricostruzione a. 59 (2004) 17-32. 28 a.s.s.a. Ct, sezione amministrativa, libro di introito ed esito dell’anno indizione 1719/20 (citato in s. barbEra [cur.], recuperare Catania, cit.). Dal 1714 al 1718 nei libri contabili non vennero annotate per i fabbricati che modeste spese di manutenzione. parte dei fabbricati era ancora provvisoriamente costituita da capanne: sicuramente in legno era la camera del rettore. si tratta di lavori di falegnameria del porticato nel piano. (a.s.s.a. Ct., sezione amministrativa, mandata, 1717, citato in s. barbEra [cur.], recuperare Catania, cit.). 29 relazione scritta a roma il 1 agosto 1717 dal vescovo andrea riggio durante il suo esilio e presentata personalmente (tradotta dal latino in a. loNghItaNo, Le relazioni ad limina della diocesi di Catania [1702 - 1717], cit.). Nel 1719 alloggiavano in seminario venticinque seminaristi. tra il personale vi era un cuoco, due garzoni di cucina, una lavannara, un barbiere, un avvocato, il massaro della vigna e saltuariamente un soldato. (a.s.s.a. Ct, sezione amministrativa, registri di introito ed esito degli anni 1714/1718, citato in s. barbEra [cur.], recuperare Catania, cit.). 30 a.s.s.a. Ct, sezione amministrativa, libro di introito ed esito dell’anno indizione 1719, citato in s. barbEra (cur.), recuperare Catania, cit. 31 Non è stato trovato alcun documento che confermi l’attribuzione del primo progetto del seminario ad alonzo Di benedetto. ma sicuramente non può essere stato l’autore del nuovo progetto in quanto nel 1720 era già morto. 26
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e da suo figlio Domenico, mentre mastro francesco finocchiaro si occupò delle opere murarie. si realizzarono le porte del cammarone grande e del refettorio nuovo32. Nel mese di agosto del 1720 furono spese altre onze 85 per la costruzione del seminario, fra le quali si riscontrano le paghe a sei intagliatori per avere realizzato i pilastri e le cornici delle finestre33. I mastri giuseppe Costanzo, Carmelo bonaventura e Ignazio boscarino si obbligarono a realizzare otto capitelli di pilastri e di una cantonera nonché i «frontespitii delle finestre come quelli già fatti e secondo il disegno ad essi consegnato dal reverendo Colli, ministro del seminario»34. fra gennaio e marzo del 1721 venne realizzata35 una «palaustrata fuori della marina», con balaustrini circolari probabilmente in sostituzione di un parapetto in muratura36; pagatore del lavoro per conto del seminario risulta maestro paolo battaglia37. Inoltre, venne realizzata la copertura del cammarone nuovo38 nonché il pavimento dello stesso39. Quindi si procedette alla ristrutturazione di fabbriche esistenti40. ibid., da c. 15 a 16. a nome di tutti gli operai e fornitori firmò per quietanza mastro paolo battaglia, perché gli altri operai non sapevano leggere e scrivere (ibid., da c. 222 a 225). 34 actus extalei Pro Ven. domo Clericorum Seminario Cum mastru Joseph Costanzo et q.tes (a.s. Ct, 1° vers., b. 2286, c. 1097 r. e v., 5 agosto 1720, notaio giuseppe Capace, citato in s. barbEra [cur.], recuperare Catania, cit.). 35 la costruzione del seminario proseguì nel 1721: stagliante della fabbrica fu ancora mastro francesco finocchiaro. (a.s.s.a. Ct, sezione amministrativa, libro di introito ed esito dell’anno indizione 1720/21, c. 313, 315, 317, citato in s. barbEra [cur.], recuperare Catania, cit.). 36 ibid., c. 293. 37 paolo battaglia, padre di francesco e Domenico, venne a Catania iniseme al suocero antonio biundo contribuendo alla ricostruzione della città. le prime notizie su paolo battaglia risalgono al 1695 quando “magistrum pauly battaglia quondam francisci Civitatis reginij hac Catanae modo repertus cognitu” realizzò per conto di giuseppe Caruso, in data antecedente al 1695, “tre finestre di intaglio di pietra bianca e una porta di pietra bianca e due altre porte di pietra nigra” (a.s. Ct, 1° vers. not., b. 1067, da c. 471 r. a c. 480 r., 30 giugno 1695, notaio mauro greco). 38 a.s.s.a. Ct, sezione amministrativa, libro di introito ed esito dell’anno indizione 1720/21, c. 295. 39 anche in questo caso compare sempre come “stagliante” e mandante dei pagamenti mastro francesco finocchiaro (ibid., c. 299). 40 «sfabricare la cappella» e «sfabricare le finestre» sopra le botteghe. 32 33
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vi furono anche forniture di pomice e gesso per i dammusi41 e proseguirono altri lavori, fra i quali vanno segnalati la realizzazione «del cornicione e ordine bastardo», delle «fasce della gallaria alla marina» nonché le coperture. Il porticato (portone d’ingresso sull’odierna piazza Duomo) era coperto da una pennata (copertura provvisoria)42. Nel mese di giugno mastro paolo galofaro si obbligò a realizzare: «due fenestroni per il dormitorio grande nuovo della parte di tramontana nel piano di s. agata con le sue crociere d’intaglio, uguali a quelle del barone di bicocca o’ di don giovanni paternò, ed un altro fenestrone della stessa maniera per la facciata della marina; di più tutte le fenestre di detto dormitorio che sono in numero di dieci; […] di più tre porte una della camera del rettore a’ ponente, altra alla porta del dormitorio e la terza alla porta della scala; […] di più si dovrà coprire di tavole di castagna il tondo sopra la porta della scala»43.
venne costruito il «dammuso del cammarone grande del seminario per la parte dell’oriente»44 e nel mese di ottobre i mastri giovanni e antonio Nicoloso si obbligarono a fare: «una scala di pietra nera di numero 34 scaloni […] lunghi palmi nove per ogn’uno, cioè otto di faccia e d’un palmo per entrare nel muro e larghi un palmo e tre quarti compreso il cordone», estaglio che fu eseguito insieme a «mastro pasquali serafino, mastro franciscus viola, mastro petrus paternò et mastro antoninus palazzotto»45. ibid., c. 301, 303, 305, 307, 309, 311. ministro e procuratore del seminario in questo periodo era il reverendo Carlo Colli, e i mastri francesco finocchiaro e paolo battaglia continuarono a firmare sempre a nome degli altri operai che non sapevano leggere e scrivere (ibid., c. 11, 173, 279 e segg., citato in s. barbEra [cur.], recuperare Catania, cit.). 43 extaleum pro Ven.li domo Seminari cum mastrum Paulo Galofaro (a.s. Ct, 1° vers., b. 2287, c. 641 r. e v., 4 giugno 1721, notaio giuseppe Capace, citato in s. barbEra [cur.], recuperare Catania, cit.). 44 obligatio pro Ven.li domo Seminari cum mastru hieronimu Spampinato (a.s. Ct, 1° vers., b. 2287, c. 674 r. e v. – 17 giugno 1721 – notaio giuseppe Capace – citato in s. barbEra, cit.). 45 extaleum Pro Ven. domo Seminari Cum Mastru Joe nicoloso (a.s. Ct, 1° vers., b. 2288, c. 299 r. e v., 18 ottobre 1721, notaio giuseppe Capace, citato in s. barbEra [cur.], recuperare Catania, cit.). 41 42
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a partire dal 1722 si effettuarono i lavori di finitura e nel mese di febbraio paolo tancredi di messina si obbligò a mettere i vetri alle aperture46. lo stesso anno si realizzarono gli intagli bianchi e neri per la scala, per il portone della scala, per due archi dell’androne d’ingresso e per la finestra, la porta e la soglia della casa del portinaio47 collocata dirimpetto alla scala, e si eseguirono finiture in legno per la camera del rettore48. Dai documenti si evince che esisteva un locale per la biblioteca49. Inoltre le mura della città vennero bucate con nuove finestre50. l’anno successivo si realizzò «il porticato d’intaglio a detto seminario» e il «contrarco di detto porticato» (fig. 4); vennero inoltre spesi in più tarì 8 «per abbassatura dell’intagli, gettando più alti a’ rispetto che il muratore lo situò più largo del disegno»51 ed eseguito un nuovo portone in legno52. si pagarono gli intagliatori «per fare le due ciumase a canto del
fig. 4 — Ipotesi di restituzione storica del prospetto di tramontana (palazzo dei Chierici). 46 actus pro Ven. Domo Seminari Cum Paulo tancredi (a.s. Ct, 1° vers., b. 2288, c. 633 r. e v., 4 febbraio 1722, notaio giuseppe Capace, citato in s. barbEra [cur.], recuperare Catania, cit.). 47 a.s.s.a. Ct, sezione amministrativa, libro di introito ed esito dell’anno indizione 1721/22, c. 221, 223, 227, 231, citato in s. barbEra (cur.), recuperare Catania, cit. 48 ibid., cc. 211, 212, 215 e 219. 49 a.s.s.a. Ct, sezione amministrativa, libro di introito ed esito dell’anno indizione 1722/23, c. 160, citato in s. barbEra (cur.), recuperare Catania, cit. 50 ibid., c. 163. 51 ibid., c. 166. 52 ibid., c. 174.
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porticato» e venne completato l’ingresso realizzando la pavimentazione col ciacato in bicromia dell’androne53. le botteghe furono dotate di solai lignei54 da servire da intrasoli (ammezzato sopra la bottega), e si completò il dammuso sopra il «tocco del porticato»55. Quindi l’edificio a questa data si può pensare costituito da tre livelli nei corpi di tramontana e di levante in cui, nel piano superiore, erano collocati i dormitori dei seminaristi, nel pianto terra le botteghe e in quello intermedio gli “intrasoli” (stanze sopra le botteghe). alla fine del 1723 si iniziò a lavorare all’ala a lato della cattedrale nella quale vennero eseguiti tre pilastri con le impugne56 (paraste bugnate a punta di diamante), e nel mese di aprile del 1724 mastro antonino Cichelli si obbligò a realizzare le forme per le volte di questa parte del seminario da costruire sopra i mulini esistenti, il magazzino di s. agata e l’ingresso al carcere vescovile. tale lavoro durò almeno fino al 172657 e vennero eseguite nuove aperture nelle mura cinquecentesche58. I lavori eseguiti durante il 1724 riguardarono: «finestre dell’ordine di sopra col frontespizio, seu cartocci di sopra […] fenestrone alla marina, senza soglio col frontespitio, come il simile che è fatto […] I pilastri per insino che deve assettarsi il primo ordine dell’assisi [...] finestre consimili a quelle che donano nel cortile del seminario […] fenestrone consimile a’ quelli che sono nel piano di s. agata con sue cagnola finestrelle di sotto con tutte le balate»59,
ibid., cc. 170 e 171. ibid., cc. 180, 182, 184 e 186. 55 ibid., cc. 176, 178 e 274. 56 ibid., c. 267. 57 a.s.s.a. Ct, sezione amministrativa, libro di introito ed esito dell’anno indizione 1723/24, c. 273 e segg., citato in s. barbEra (cur.), recuperare Catania, cit. 58 a.s.s.a. Ct, sezione amministrativa, libro di introito ed esito dell’anno indizione 1724/25, c. 141 e 142, citato in s. barbEra (cur.), recuperare Catania, cit. 59 actus extalei Pro Ven. domo Cl. Seminari Cum M.ru Joanne nicolosi (a.s. Ct, 1° vers., b. 2293, c. 51 v. e 52 r., 7 settembre 1724, notaio giuseppe Capace). 53 54
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ma anche opere murarie per le quali fu necessaria la fornitura di pietra lavica60 e agliara61. Nel 1725 il seminario ospitava 14 convittori, 12 alunni franchi, 56 alunni paganti, 5 superiori e 6 inservienti62. lo stesso anno venne ratificato l’atto di cessione del terreno a lato della facciata del duomo, già concesso nel 1713: «sotto però l’infrascritti patti e clausule e condizioni: primo che la suddetta ven.le Casa del seminario e per essa li suddetti rev.mi deputati non possano ne vogliano in detto aere seu stanze edificande in detto aere come sopra concesso per la parte di levante che dona per dentro li casaleni e terreno di detta mensa vescovile fare aperture e finestre di prospetto, ma solamente finestre di puro lume, per non apportar servitù a detto terreno per patto. parimente che detti rev.mi deputati siano tenuti ed obligati si come si obligarono ed obligano per seguire di fare a proprie spese di detta Casa del seminario un portone per sopra di detta cortina, seu muro della città, e per la parte di levante, ad effetto che l’ill.mi vescovi in perpetuum potessero con libertà introdursi ed entrare in detta Casa del seminario dal palaggio vescovile in ogni tempo e per qualsivoglia causa o di visita od altro che occorrerà, e piacerà loro per patto»63.
Nel mese di novembre parte delle strutture del seminario (precisamente l’ala prospettante su piazza dei Canali o della pescheria) era costituita ancora da baracche, infatti vennero pagati dei «mastri d’ascia per dar riparo al refettorio ed alla camera del ministro che minacciava rovina per esser capanna»64. I lavori per la costruzione dell’ala accanto alla facciata della Cattedrale proseguirono per tutto il 1726, e nel mese di ottobre, oltre ad 60 actus obligationi Pro Ven. domo Cl. Seminari Cum Joanne Filippino (a.s. Ct, 1° vers., b. 2293, c. 59 r., 10 settembre 1724, notaio giuseppe Capace). 61 sabbia vulcanica. 62 ibid., c. 73. 63 Concessio aerj Pro Ven.li Domo Seminarj Cum Mensam episcopalem (a.s. Ct, 1° vers., b. 2293, da c. 441 r. a c. 450 r., 15 febbraio 1725, notaio giuseppe Capace, citato in s. barbEra [cur.], recuperare Catania, cit.). 64 a.s.s.a. Ct, sezione amministrativa, libro di introito ed esito dell’anno indizione 1725/26, c. 94, citato in s. barbEra (cur.), recuperare Catania, cit.
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eseguire l’intaglio per la porta della nuova cappella, si iniziò l’arco sopra la porta alla marina (porta uzeda) e vennero erogati 12 tarì «per regalo fatto al Capomastro della fabrica per aver fatto buone informe appresso l’ill.mo senato per farci fare lo dammuso sopra la porta della marina»65. Questa nota indica l’intervento del capomastro nei confronti del senato cittadino al fine di fare costruire l’arco su porta uzeda, per la cui costruzione vennero eseguite nuove fondazioni66. 3. Il ComplEtamENto DEl sEmINarIo (palazzo DEI ChIErICI) I lavori proseguirono per tutto il 1728 e furono ripresi con l’ingresso in diocesi del nuovo vescovo galletti67. le prime notizie di lavori eseguiti sotto il vescovado di monsignor galletti risalgono al 1731, quando venne eseguita «l’ossatura di legname per il dammuso da farsi nel camerone della libraria di detta Casa del seminario per la parte di tramontana»68. Quindi la biblioteca era posta al primo piano del corpo di fabbrica che si affacciava su piazza Duomo. Nelle prime relazioni trasmesse al papa il nuovo vescovo non si soffermò a descrivere lo stato del seminario. per cui nel 1734 scrisse una relazione integrativa con la quale, oltre a raccontare la storia del seminario, espose: «Infine mi sono recato al seminario dei chierici, dove ho ordinato di restituire all’antico vigore le regole sulla riforma dei costumi e la formazione dottrinale che venivano alquanto trascurate. allo stesso tempo ho esortato 65 a.s.s.a. Ct, sezione amministrativa, libro di introito ed esito dell’anno indizione 1725/26, c. 164, citato in s. barbEra (cur.), recuperare Catania, cit. 66 ibid., c. 70. 67 Giuliana dell’effetti del seminario della città di Catania con introito ed esito dell’anno Vi indizione MDCCxxVii e MDCCxxViii - in tempo del governo di rettore del rev.mo Sig. r Can.co D. Pietro Lauria e del Ministero di D. Carlo Colli (a.s.s.a. Ct, sezione amministrativa). 68 extaleum Pro Ven.li Domo Seminarij Cum mastru antoninu Cichelli/ mastro antonino Cichelli si obbliga con il rev. sac. D. paolo ruberti, ministro del seminario dei chierici (a.s. Ct, 1° vers., b. 2299, c. 478, 12 febbraio 1731, notaio giuseppe Capace, citato in s. barbEra [cur.], recuperare Catania, cit.).
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coloro che avevano la responsabilità dell’edificio, di lavorare senza interruzione per portarlo a compimento»69.
Dalla suddetta relazione si evince, fra l’altro, che egli ispezionò tutti i locali: «la cappella, poi i dormitori, il refettorio, le aule, la cucina, i laboratori», compreso il carcere «previsto per punire le mancanze più gravi» e la biblioteca. uno dei deputati del seminario nominati dal vescovo70 intorno al 1737 fu il canonico della cattedrale don bernardo d’amico e massa, fra i maggiori oppositori dell’architetto giovan battista vaccarini durante la costruzione del prospetto della cattedrale71. francesco spampinato si impegnò a fornire a don pietro murabito, nuovo ministro e procuratore del seminario dei chierici, «tutte quelle pomice che detto di murabito averà di bisogno per le volte, seu dammusi di detto seminario, da consignarle cioè migliara dieci grandi e migliara due piccole per tutto dicembre»72, e negli anni successivi si acquistò altro materiale «pro edificationibus in dicta domo seminarii facti, pro concis, et ripa-
69 Cfr. a. loNghItaNo, Le relazioni ad limina della diocesi di Catania (1730-1751), in Synaxis 9 (1991) 193. 70 I deputati del seminario furono «rev. Canonico d. ferdinando sapuppo, rev. sac. u. I. d.re d. Joanne rizzari priore Cathedralis Eclesiae ac abbatee sancta mariae de Cava, rev. Canonico don petrus Joseph lauria, et rev.mus Can.cu et abbate u. J. d.re D. bernardum de amico». Il vescovo, nella relazione del 31 luglio 1737, scrisse che recatosi durante la visita negli edifici della diocesi «nel seminario dei chierici, per il cui edificio, ormai completo nella sua struttura, nominai i deputati». relazione inviata al santo padre il 31 luglio 1737 tradotta dal latino in a. loNghItaNo, Le relazioni “ad limina” della diocesi di Catania (1730-1751), cit., 204-212. 71 Durante la regia visita del De Ciocchis del 1743, don bernardo D’amico fu accusato dal vaccarini di non avere amministrato correttamente la mensa episcopale costringendolo a rassegnare le dimissioni (cfr. m.r. NobIlE, i volti della “Sposa”, Le facciate delle chiese madri nella Sicilia del Settecento, palermo 2000, 42). 72 obligatio Pro Ven.le Domo Seminary Cum Francesco Spampinato (a.s. Ct, 1° vers., b. 2307, c. 104 r. e v., 16 ottobre 1738, notaio giuseppe Capace).
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rationibus»73. Quattrocento salme di agliara, acquistate fra il 173974 e il 174075, confermano tale ripresa dei lavori. l’abate benedettino vito amico scrisse che nel 1741 il seminario aveva aule grandissime, prospettava a nord sulla piazza maggiore ed era costruito su due piani76. Il 15 marzo del 1746 vennero fornite 200 salme di calce77 e, nel mese di agosto, il gesso78 per realizzare l’intonaco interno. a partire dal 1748 si acquistarono «n. quatricentos lapides scabrosos ut detta di mazza»79, che servì al completamento dei prospetti del cortile interno, i quali furono rivestiti con quietatio Pro rev. Sac. D. Pietro Murabito Cum Ven.le Domu Seminari/ I deputati del seminario dei Chierici: «rev. sac. e Can. D. ferdinandus sapuppo, rev. sac. v. J. D.re D. Joes rizzari prior prima dignità Cattedrale abbate di santa maria de Cava Commissario ordinario del santo uffizio della ss.ma Inquisizione […] D. pietro Joseph lauria e rev.mus sac. u. J. D.re et abbate D. bernardo de amico et Canonico della Cattedrale» ricevono il resoconto dal rev. sac. D. pietro murabito secondario della Cattedrale, ministro e procuratore del seminario per le spese sostenute negli anni passati fra le quali vi sono quelle «pro edificationibus in detta domo seminari facti, pro concis, et riparationibus» (a.s. Ct, 1° vers., b. 2310, da c. 181 r. a c. 185 v., 25 novembre 1741, notaio giuseppe Capace). 74 Venditio agliara Pro Ven.le Domo Seminary Cum antonio Conte/ antonio Conte si impegna a fornire a Don pietro murabito, ministro e procuratore del seminario dei Chierici, «salmas ducentos ut detta di agliara vecchia mercantabile et recettibile portata e consignanda in casa di detto seminario per tutti li 8 dicembre 1739 per patto» (a.s. Ct, 1° vers., b. 2307, c. 786 r., 13 luglio 1739, notaio giuseppe Capace). 75 obligatio arena Pro Ven.le Domo Seminary Cum Francesco zizzo/ francesco zizzo si impegna a fornire a Don pietro murabito, ministro e procuratore del seminario dei Chierici, «salmas ducentos ut detta di agliara» (a.s. Ct, 1° vers., b. 2308, c. 773 r., 6 agosto 1740, notaio giuseppe Capace). 76 «habet hodie amplissimas aulas, atque aquilonarem areae maioris occupat regionem, duplicique concameratione exurgit» (v. amICo statEla, Catana illustrata etc., lib. IX, cap. vII). 77 Venditio Calcis Pro Ven. Domo Seminari Cum mastru albertu Filippino/ mastro alberto filippino si impegna a fornire a Don antonio Cundrò, ministro e procuratore del seminario dei Chierici, «salmas ducentas Calcis» (a.s. Ct, 1° vers., b. 2314, c. 383 r., 15 marzo 1746, notaio giuseppe Capace). 78 Venditio ut detto di Gesso Pro Ven. Domo Seminari Cum Jacobu Lo Presti/ mastro giacomo lo presti si impegna a fornire a Don antonio Cundrò, ministro e procuratore del seminario dei Chierici, «tot illa quantitate ut detta di gesso» (a.s. Ct, 1° vers., b. 2314, c. 675 r., 30 agosto 1746, notaio giuseppe Capace). 79 Venditio Lapides Pro Ven. Domo Seminari Cum Joe Ciccarello et q.tes (a.s. Ct, 1° vers., b. 2316, c. 355 r. e v., 20 aprile 1748, notaio giuseppe Capace). 73
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la pietra bianca di siracusa acquistata da andrea Cannarella80 a partire dal 1749. mastro stagliante fu francesco platania che si impegnò con don antonio Cundrò, nuovo ministro e procuratore del seminario, a lavorare: «tutto lo intaglio così liscio, come lavorato scurniciato dello baglio seu cortile et galleria del quarto di ponente di essa Casa del seminario; uguale a quello di levante co’ tutti gli archi e dammusi, basamenti della balaustrata pilastri ed ogni altro che vi sarà necessario […] l’opera però dovrà essere benvista a detto di palazzotto per patto ed in ogni caso che non piacerà al suddetto di palazzotto, sia in obligo detto di platania di rifarle a sue spese»81.
In questo atto si legge il nome dell’architetto giuseppe palazzotto82. I lavori si evincono anche da un atto notarile con il quale i mastri staglianti Nicola bombara e giambattista finocchiaro si obbligarono ad eseguire, entro il 1751: «tutto lo inalbato di serratura d’intaglio nella galleria nel cortile di detto seminario tanto nel di sotto, quanto nel di sovra di detta galleria, come pure le porte d’intaglio, due delle quali per la parte di levante, e l’altre per ponente, e mezzogiorno, levare tutta la pietra del cortile ed empire il colonnato; invisalare di ottangoli di creta vergine con sue stellette d’intaglio bianco tutta la galleria, e circonferenza di essa, dovendo farvi quattro sedili seu assettiti d’intaglio bianco, come altresì tutti li parapetti della galleria di nero di cinnirazzo e cacazza di ferro. Devono pure detti staglianti ciacare tutto il cortile di detto seminario di cuti piccioli, uguali a quelli del monasterio di s. Nicolò, da principiare dalla portaria sino al muro della cocina, dovendo essere ogni scacco di ciacata palmi quattro di quatro con suoi catini 80 Venditio petra alba Pro Ven. Domo Seminarij Cum andrea Cannarella (a.s. Ct, 1° vers., b. 2317, c. 324 r., 1 gennaio 1749, notaio giuseppe Capace). 81 extaleum Pro Ven Domus Seminaij Cum mastru Francescu Platania (a.s. Ct, 1° vers., b. 2317, c. 438 r. e v., 28 febbraio 1749, notaio giuseppe Capace). Nel contratto si legge: «E questo fuori del lavoro delli balaustri, da misurarsi da giuseppe palazzotto quale da ora innanzi detti contraenti eliggono per esperto, e misuratore, assettata che sarà l’opera, per patto». 82 salvatore giuseppe Domenico, figlio dei messinesi francesco palazzotto e andreana grillo, nacque a Catania il 2 gennaio 1702 (a.s.D. Ct, fondo registri Canonici, s. maria dell’aiuto, battesimi, 1679-1714, f. 15, n. 2, vedi s. CalogEro, Fra Liberato al secolo Girolamo Palazzotto architetto e “servo di Dio”, in Synaxis 12 [2004] 3, 133-161).
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Salvo Calogero di pietra e diversi scudi, due delli quali devono essere grandi cioè uno all’entrata in piede della scala, e l’altro nel mezzo del cortile. Nel portone d’entrata devono farvi due assettiti di pietra bianca con suo inalbato di sopra e muro del tocco»83.
Quindi giuseppe palazzotto seguì i lavori della galleria e dell’atrio (figg. 5 e 6) richiamando elementi architettonici presenti nel prospetto principale della chiesa di san giuliano, ultimato dallo stesso architetto in quel periodo84.
fig. 5 e 6 — particolari dell’atrio della galleria interna.
Questa parte dell’edificio venne ultimata nel mese di agosto dello stesso anno, durante il quale fu realizzato pure il tetto85. extaleum Pro Ven. Domo Seminary Cum Mastru nicolaus Bombara et q.tes (a.s. 1° vers., b. 2319 c. 938 r., 18 luglio 1751, notaio giuseppe Capace). 84 sull’attribuzione del progetto della chiesa di san giuliano all’architetto giuseppe palazzotto vedi s. CalogEro, L’architetto Giuseppe Palazzotto e la chiesa di San Giuliano a Catania, in Synaxis 15 (2007) 1, 143-174. 85 Venditio Laterum Pro Ven. Domo Seminari Cum Mastru Joe Patania (a.s. Ct, 1° vers., b. 2319 c. 992 r., 10 agosto 1751, notaio giuseppe Capace). 83
Ct,
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oggi il chiostro è stato stravolto nel suo assetto originario in diverse parti. la balaustrata del primo piano, posta originariamente ad asse dei pilastri, di cui rimane traccia degli inserti in pietra bianca per coprirne l’attacco, è stata sostituita con un’altra probabilmente di disegno diverso posta sul filo esterno degli stessi pilastri. Il pavimento in ciacato che ricopriva «tutto il cortile di detto seminario di cuti piccioli, uguali a quelli del monasterio di s. Nicolò, da principiare dalla portaria sino al muro della cocina», il cui disegno a scacchiera era costituito da «suoi catini di pietra e diversi scudi, due delli quali […] grandi cioè uno all’entrata in piede della scala, e l’altro nel mezzo del cortile», è stato sostituito con balate di pietra lavica. Inoltre, il prospetto della galleria che chiudeva l’atrio posto a nord era costituito da un grande arco centrale e due laterali più piccoli, di cui uno — quello di levante — attualmente è murato (figg. 7 e 8).
fig. 7 e 8 — prospetti nord e sud del chiostro.
Da questo documento si evince, fra l’altro, che nel 1751 la cucina era posta a piano terra, mentre nel 1851 risulterà collocata a primo piano, a nord del nuovo refettorio.
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a parte una ulteriore fornitura di tegole86, utilizzata contemporaneamente nel seminario e in alcune case donate da don Carlo Colli, i lavori proseguirono nel 1759 con la fornitura di agliara87 e pietra bianca88, necessarie al completamento di porta uzeda (figg. 9 e 10).
fig. 9 e 10 — particolari del prospetto nord di porta uzeda.
I lavori furono aggiudicati nel 1760 a mastro francesco platania che si obbligò con il rettore di:
86 Venditio teularum Pro Ven.li Domo Seminari Cum Mastru Domenico Guglielmino (a.s. Ct, 1° vers., b. 4054, c. 573 r., 23 maggio 1756, notaio santo strano). 87 Venditio arena Pro Ven.li Domo Sem.ri Cum Franciscu Galifi/ francesco galifi si impegna a fornire al rev. sac. D. matteo scammacca, rettore del seminario dei Chierici, «salmas ducentas glaria, ut detta agliara fuori ripillo, consengnanda in detta Domus ad raggione di salme 5 die quantitate» (a.s. Ct, 1° vers., b. 4057, c. 481 r., 11 febbraio 1759, notaio santo strano). 88 Venditio Lapidum alborum Pro Ven.li Domo Seminari Cum Domenico Bassetta (a.s. Ct, 1° vers., b. 4057, c. 742 r. e v., 16 maggio 1759, notaio santo strano).
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«fare a detto seminario il cornicione nella nova fabrica della facciata novamente fatta sopra la porta, e per la parte di tramontana con tutte le rocche delli pilastri a libro, e sue chiamate di un lato all’altro per seguitarsi poi il cornicione nella fabbrica facienda, dovendo essere detto Cornicione, che dovrà fare coll’architravata secondo li moderi disposti ed ordinati per tal effetto, che restano in potere del rettore suddetto, dovendo fare il friscio alto palmi tre di scorze di pietra bianca a grossezza di un terzo, e che la fabrica , cioè la cassa della fabrica deve esser benfatta di pezzi di pietra bianca, come dicesi per punta, e di palmi cinque per ogni pezzo, e l’altri pezzi secondo li moderi disposti che sono in potere di detto rettore fatto magistrevolmente secondo ricerca l’arte, benvisto detto staglio a detto rettore ed ad esperti eligendi da detto rettore»89.
Questi interventi riguardarono prevalentemente «la fabrica nel braccio di levante di detto seminario al di sopra la porta chiamata della marina per commodo, ed utilità di esso seminario», come è testimoniato, fra l’altro, dalla richiesta di autorizzazione a prelevare dalla cassa delle tre chiavi le somme necessarie al proseguimento dei lavori90. Contemporaneamente venne data in locazione la bottega posta nella cortina cinquecentesca «existente in nova edificatione ipsius Domus seminari facta cum dammusio, contigua portico magno, su dicto porta della marina»91, a indicare che il piano terra e il primo piano di questa parte dell’edificio erano stati completati. Nel particolare della veduta di Catania pubblicata dal leanti nel 1761 e disegnata da francesco orlando92 si vede che, dalla porta della marina fino alla porta dei Canali, la cinta muraria è occupata dall’edificio del «seminario vescovile» individuato con il n. 24, mentre a destra della porta della marina, con il n. 25 c’è il «palazzo vescovile» (fig. 11).
89 extaleu Pro Ven.li Domo Seminari Cum Mastru Francesco Platania (a.s. Ct, 1° vers., b. 4058, c. 459 r. e v., 13 aprile 1760, notaio santo strano). 90 actus obligationi Pro Ven.li Domo Seminarij Cum rev.mus D. Matheus Scammacca (a.s. Ct, 1° vers., b. 4058, da c. 635 r. a 636 v., 16 giugno 1760, notaio santo strano). 91 Locatio apoteca Pro Ven.li Domo Seminari Cum Mastrum Domenico Battaglia (a.s. Ct, 1° vers., b. 4058, c. 597 r. e v., 28 maggio 1760, notaio santo strano). 92 a. lEaNtI, Lo stato presente della Sicilia, tomo I, palermo 1761.
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fig. 11 — particolare della veduta di Catania (f. orlando, 1761).
Quindi l’area della parte di edificio distrutta dai bombardamenti nel 1943 non apparteneva ancora al seminario. Inoltre, sopra l’arco di san Cristoforo, nel quale non era stata ancora effettuata l’apertura nella cortina che collegò la pescheria con la marina, si vede un unico volume più basso dell’attuale refettorio e della sopra elevazione realizzata nella porta della marina in questo periodo, mentre attualmente il cornicione dei due corpi di fabbrica risulta allineato. Il diverso disegno delle tre aperture poste sopra la porta della marina rispetto a quelle dell’adiacente corpo addossato al refettorio, non ancora realizzato nel 1760, testimoniano il differente periodo costruttivo. Quindi i lavori ultimati nel 1760 riguardarono il completamento di porta della marina e dell’ala che la affiancava a est, in cui furono inserite delle finestre delimitate da cornici in pietra bianca prive di decori inserite fra paraste che prolungavano quelle sottostanti a partire dal collarino preesistente trasformandole da bugnate a lisce. Questo motivo doveva ripetersi in tutto l’edificio, ma rimase incompleto, forse, per motivi economici. In una memoria sull’operato del vescovo ventimiglia si legge che il «medesimo, con proprio denaro, dette impulso ai lavori sì che questi risultarono quasi il doppio di quelli fino allora eseguiti»93. 93 Memoria intorno alle più cospicue azioni di Monsignor Ventimiglia. palermo, per stampe del Colli.
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Nella sua relazione al santo padre del 12 maggio 1762 scrisse: «ho disposto camerate separate per i chierici delle diverse età, tutte sottoposte alla vigilanza dei sorveglianti e degli incaricati. la cappella del seminario è frequentata ogni giorno per le pratiche di pietà quotidiane»94.
Nel 1767 furono acquistate le tegole «necessarium copriens causa dammusia scholarum, et brachi nova edificationi ipsius seminario»95 e due anni dopo «cannas quinquaginta lignamini castenarum»96, necessaria alla realizzazione degli infissi esterni, e una notevole quantità di pietra bianca per gli intagli97. Infine, con atto notarile98 del 24 aprile 1777 fu acquistata la pavimentazione necessaria al completamento di quest’ala del seminario. I lavori, iniziati nel 1767 e conclusi nel 1777, riguardarono probabilmente l’ala del refettorio grande e la ristrutturazione del corpo annesso posto a sud. perno del progetto fu il refettorio grande, costituito da un corpo rettangolare coperto da una volta a padiglione lunettata che prende luce, oltre che dalle finestre laterali, da un insieme di finestre disposte simmetricamente nel prospetto di ponente. Di questi interventi, eseguiti dal 1767 al 1777, i documenti non riportano il nome del progettista e del direttore dei lavori99. Nel frattempo, nell’ottobre del 1769, si stipulò una convenzione tra il rettore del seminario e i tipografi Nicolò sarzillo e giovanni amato, napoletani, con la quale si obbligarono in solido «di travagliare nelli giorni di lavoro nella sola stampa di casa del seminario dei Chierici»100. Quindi 94 a. loNghItaNo, relazioni ad limina della diocesi di Catania (1762), in Synaxis 10 (1992) 373. 95 Venditio teularum Pro Ven.li Domo Sem.ri Cum mastro Cajetanu Leonardi (a.s. Ct, 1° vers., b. 4066, c. 63 r. e v., 20 settembre 1767, notaio santo strano). 96 Venditio tabularum Pro Ven.li Domo Sem.ri Cum mastro rosario russ (a.s. Ct, 1° vers., b. 4067, c. 396 r. e v., 28 aprile 1769, notaio santo strano). 97 Venditio Lapidum Pro Ven.li Domo Sem.ri Cum mastro Joseph Cannata (a.s. Ct, 1° vers., b. 4070, c. 330 r., 26 febbraio 1772, notaio santo strano). 98 Venditio Laterum Pro Ven.li Domo Sem.ri Cum Patronum Mastru Julia Gallito (a.s. Ct, 1° vers., b. 4075, c. 644 r., 24 aprile 1777, notaio santo strano). 99 si tramanda che il progettista fu l’architetto francesco battaglia ma tale affermazione non ha trovato riscontro nella documentazione esaminata. 100 Conventio inter venerabilem Domum Seminaii et nicolam Sarzillo, et consortem
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all’interno del seminario si realizzarono ambienti, probabilmente posti a piano terra, destinati alla suddetta tipografia. Nella relazione del 15 aprile 1779 il nuovo vescovo, Corrado maria Deodato, aveva scritto al papa: «oggi, anche se gli edifici non sono stati portati a compimento, è il primo fra i seminari di tutto il regno»101, testimoniando lo stato dei lavori in quel periodo. Inoltre, nel 1780, sul corpo di tramontana di porta uzeda si realizzò un fregio di coronamento con al centro una nicchia, in cui fu posto un mezzo busto di sant’agata sotto il quale fu incisa l’iscrizione: «D. o. m. sapientiae et bonis artibus. 1780». 4. la CostruzIoNE DElla «fabrICa Nova» osservando due stampe di a. zacco del 1780 che ritraggono rispettivamente piazza Duomo (fig. 12) e piazza università (fig. 13) si vedono gli ultimi piani del seminario già realizzati, per lo meno nei prospetti esterni, con il cornicione sommitale allineato con quello del prospetto nord di porta uzeda, in cui è già presente il fregio di coronamento.
fig. 12 — veduta di piazza Duomo (a. zacco, 1780). (a.s. Ct, 1° vers., b. 4068, da c. 63 r. a c. 74 v., ottobre 1769, notaio santo strano; trascritto in g. balDaCCI, La stamperia del Seminario di Catania, in a.s.s.o. 87 [1991] 215-223). 101 relazione del vescovo Corrado Maria Deodato il 15 aprile 1779 (traduzione a. loNghItaNo, relazioni ad limina della diocesi di Catania [1779 – 1807], Synaxis 12 [1994] 2, 392).
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fig. 13 — particolare della veduta di piazza università (a. zacco, 1780).
fig. 14 — piazza della cattedrale (l.J. Desprez, 1778).
l’idea che l’ultimo piano del seminario sia stato realizzato nell’ottocento poggia su una veduta di Jean Claude richard de saint-Non102, pubblicata nel 1785. 102 Cfr. J.-C. rICharD DE saNt-NoN, Voyage pittoresque ou description des royaumes de naples et de Sicile, vol. Iv, paris 1785, tav 26.
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la suddetta veduta, realizzata sulla scorta di un disegno del 1778 di luis-Jean Desprez103, ritrae la piazza in cui si vede il corpo del seminario addossato alla cattedrale (dove oggi è ubicato il museo diocesano) completo dell’ultimo piano, mentre il corpo principale (oggi palazzo dei Chierici) è in fase di costruzione (fig. 14). lo stesso Desprez disegnò la «veduta della marina di Catania»104, pubblicata anche questa dal saint-Non nel 1785 (fig. 15).
fig. 15 — particolare della “veduta della marina” di Catania (l.J. Desprez, 1778).
In quest’ultimo disegno, oltre alla primitiva cupola della cattedrale, si vede un corpo di fabbrica incompleto (corrispondente a quello che prospetta sull’attuale via Dusmet) affiancato alla porta della marina (oggi porta uzeda). architetto del seminario in questo periodo fu Carmelo maria battaglia e santangelo che iniziò, fra l’altro, «la fabrica di un braccio di esso
103 Il disegno si trova nel museo Nazionale di stoccolma. lo schizzo del Desprez fu rielaborato da J. Duplessis incidendolo su tavola per allegarlo alla pubblicazione del santNon (cfr. g. pagNaNo, una veduta di Catania di Jean-Pierre Péquignot, in ikhnos [2006] 117). 104 anche questo schizzo si trova nel museo Nazionale di stoccolma e la tavola incisa dal Duplessis per la pubblicazione è in J.-C. rICharD DE saNt-NoN, cit., tav. 25 (l.c.).
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seminario pelle parti di oriente e mezzogiorno che guarda il piano della marina» che, da quanto abbiamo visto, fu iniziato prima del 1778. Infatti, il 22 dicembre 1785 i deputati del seminario scrissero al vescovo la seguente lettera: «Eccellentissimo signore. I deputati e rettori della Casa del seminario dei Chierici della città di Catania con ogni ossequio espongono a v. E. come trovandosi incompleta la fabrica di un braccio di esso seminario pelle parti di oriente e mezzogiorno che guarda il piano della marina, dopo matura riflessione et avutesi più congressi anche col prelato di essa città si è creduto convenevole cosa il perfezionarlo tanto per la necessità che tiene suddetto seminario di rende gli alunni che in esso educano, e le officine di conseguenza quanto ancora per l’ornato del piano suddetto della marina. ma non avendo pronta per le mani l’intera somma all’effetto, si risolvettero pigliare pro modo e soggiogazione la somma di onze 205: e formarne l’annuale censo di onze 8:6: alla raggione del 4: per 100; e difatti pratticate le diligenze rinvennero il convento dei pp. Carmelitani della stretta osservanza o sia nuova riforma, sotto titolo della ss.ma Nunziata di detta Città, il quale avendo in cassa di tre chiavi diversi capitali prevenuteli d’avere perpetue reluizioni formante la suddetta somma di onze 205, il priore di esso convento si offerì pronto ad esborsare suddetti capitali, contento chiamandosi col consenso dei padri della communità formarsene da essa Casa del seminario a favore del suo convento la soggiogazione alla ragione del 4 per 100; e costituirsene così il censo annuale di onze 8: 6: coll’ipoteca espressa dei beni liberi che sono appunto l’istessi miglioramenti, e fabriche alzandi e faciendi col danaro surriferito, le botteghe al n. di quattro esistente sotto la Casa di esso seminario o sia il loero delle medesime»105.
Da questa lettera si evince che «la fabrica di un braccio di esso seminario pelle parti di oriente e mezzogiorno che guarda il piano della marina» era stata iniziata e che, «trovandosi incompleta», i deputati avevano «creduto convenevole cosa il perfezionarlo tanto per la necessità che tiene suddetto seminario […] quanto ancora per l’ornato del piano suddetto della marina»106. Memoriale delli Deputati e rettore della Vanerabile Casa del Seminario dei Chierici della Città di Catania die 22 dicembri 1785 (a.s. Ct, 1° vers., b. 4084, da c. 331 r. a c. 334 v., 13 gennaio 1786, notaio santo strano). 106 L.c. 105
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Nella veduta di Catania disegnata da a. vacca nel 1780 è rappresentato il corpo del seminario posto a levante della porta della marina con la stessa altezza di quello posto a ponente, modificando la rappresentazione fatta da orlando nel 1761 e testimoniando i lavori eseguiti in questo periodo. Il 7 gennaio 1786 i deputati ratificarono il prestito ricevuto dai padri carmelitani107 e il 13 dello stesso mese venne stipulato il contratto di estaglio con mastro salvatore giordano108. Nella relazione dell’architetto don Carmelo maria battaglia e santangelo, allegata all’atto di estaglio, vennero elencati lavori relativi ai «melioramenti di fabriche, ed altro che abisognano, per rendere li magazeni, sotto detto seminario per la parte di mezzodì, e suoi ripartimenti da farsi nel piano di sopra sudetti magazeni per casa d’affitto» che comportarono la spesa di «onze 678:27:17:3»109. Il rettore del seminario di quel periodo fu don giuseppe de sanctis e procuratore il sacerdote don antonio pastura. Con il citato atto di estaglio, mastro salvatore giordano, ebbe l’incarico, fra l’altro, di sub appaltare i lavori ad altre maestranze110. 107 actus Subjugatorius Pro Ven.li Con.tu S,ta Maria de Monte Carmelo Cum Ven.li Domo Sem.ri/ «Quum rev.mi Deputati et rector ven.li Domus seminarii Clericorum Catanae evidenter agnoverint fore et esse valide necessarias uncias ducentas circiter pec. J. p. ad effectum proseguendi, et perficiendi fabricas ipsius seminari non ad huc adimpletas ex parte orientes meridei pro commoda habitatione alunnorum et Consurtorum, qui in ipso seminario non paucas sustinet angustias, et precipue pro conficiendi apti scolis pro eis instruendi, et edocendi de illi scientis, et reguli grammaticalibus, que in ipso seminarij docentur, et perleguntur per preceptores et lectores ipsarum; Ideo predectas pecunias titulo subjugatorius» (a.s. Ct, 1° vers., b. 4084, da c. 309 r. a 315 r., 7 gennaio 1786, notaio santo strano). 108 Liberatio extalei Pro Ven.li Domo Seminarii Clericoru Cum Mastru Salvatore Giordano (a.s. Ct, 1° vers., b. 4084, da c. 339 r. a c. 348 v., 13 gennaio 1786, notaio santo strano). 109 L.c. 110 Venditio tegularum et alijs Pro Mastro Salvatore Giordano Cum Mastru Jacobu Leonardi (a.s. Ct, 1° vers., b. 4084, c. 35 r., 15 gennaio 1786, notaio santo strano). apoca onze 6 Pro Ven.li Domo Sem.ri Cum Mastru Petru Meli (a.s. Ct, 1° vers., b. 4084, c. 375 r., 15 gennaio 1786, notaio santo strano). apoca onze 7-18- Pro Ven.li Domo Sem.rij Cum Mastrum Joseph Filocamo (a.s. Ct, 1° vers., b. 4084, c. 376 r., 15 gennaio 1786, notaio santo strano). apoca onze 8 Pro Ven.li Domo Sem.ri Cum Mastrum Cosma Mignemi (a.s. Ct, 1° vers., b. 4084, c. 377 r., 15 gennaio 1786, notaio santo strano). Venditio Lapidum Pro Mastro
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Il 5 giugno dell’anno successivo furono affittati, al notaio sebastiano Chiarenza, «duo domicilia noviter edificata in brachio eius dicta Domus seminarii ex parte orientis et meridei»111, cioè due nuovi appartamenti edificati nel braccio a est e sud del seminario che si affacciavano sulla marina. gli ultimi lavori eseguiti nel settecento riguardarono «un forno con sue stanze in una parte in detto seminario»112, durante il rettorato del rev.mo sacerdote u. I. D.re don michelangelo marletta, decano della cattedrale.
Salvatore Giordano Cum Mastru Laurentiu russo (a.s. Ct, 1° vers., b. 4084, c. 378 r., 15 gennaio 1786, notaio santo strano). apoca onze 10 Pro Ven.li Domo Sem.ri Cum Mastru antoniu Daniele (a.s. Ct, 1° vers., b. 4084, c. 379 r., 15 gennaio 1786, notaio santo strano). apoca onze 2 Pro Ven.li Domo Sem.rij Cum Mastrum Salvatore Giordano (a.s. Ct, 1° vers., b. 4084, c. 380 r., 15 gennaio 1786, notaio santo strano). extaleum Pro Mastro Salvatore Giordano Cum Mastru Sanctu Costantino (a.s. Ct, 1° vers., b. 4084, c. 657 r. e v., 5 giugno 1786, notaio santo strano). 111 Locatio Domiciliorum Pro Ven.li Domo Sem.ri Cum notaio D. Sebastianum Chiarenza (a.s. Ct, 1° vers., b. 4085, c. 781 r., 5 giugno 1787, notaio santo strano). 112 extaleum Pro Ven.li Domo Sem.rij Cum mastru andrea Di Stefano e q.tes (a.s. Ct, 1° vers., b. 4090, c. 611 r. e v., 25 luglio 1792, notaio santo strano).
Note Synaxis 3 (2008) 129-132 Il XvI CoNvEgNo ECumENICo INtErNazIoNalE DI spIrItualItÀ ortoDossa (ComuNItÀ moNastICa DI bosE, 18-21 sEttEmbrE 2008)
marIo torCIvIa*
«Il padre spirituale, avendo la responsabilità davanti a Dio, lotta e si sacrifica per il cammino spirituale e la saldezza dei propri figli spirituali. Egli è per eccellenza la guida spirituale che, attraverso l’illuminazione dello spirito santo, riceve da Dio la grazia di discernere e di distinguere i carismi di ciascun fedele. anzi, secondo la tradizione apostolica e patristica, il padre spirituale ha la conoscenza per guidare i suoi figli spirituali all’esperienza concreta della divinizzazione (théosis) e della relazione immediata con Dio padre» († Ieronimos, arcivescovo di atene e di tutta la grecia). su questo necessario ministero ecclesiale si è celebrato, nei giorni 1821 settembre 2008, nella Comunità monastica di bose (piemonte), il XvI Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa, dedicato al metropolita Emilianos di silyvria, addormentatosi nel signore alcuni mesi or sono, il 22 febbraio 2008. Il Convegno, organizzato dal patriarcato di Costantinopoli, dal patriarcato di mosca e dalla stessa Comunità monastica fondata nel 1968 da fr. Enzo bianchi — e con il contributo della regione piemonte e dell’università di torino — ha visto la partecipazione di più di duecento uomini e donne appartenenti a tutte le confessioni cristiane, provenienti da diversi paesi, non soltanto europei.
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Docente di teologia spirituale presso lo studio teologico s. paolo di Catania.
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Mario torcivia
Il tema scelto dal comitato scientifico del Convegno — “la paternità spirituale nella tradizione ortodossa” — ha dato la possibilità di conoscere quanto diverse figure dell’oriente cristiano, antico e contemporaneo, hanno scritto e vissuto su uno dei temi fondamentali per la vita spirituale dei credenti in Cristo. Dopo una relazione di carattere biblico (Enzo bianchi, bose) ed una biografica sul metropolita Emilianos timiadis († athenagoras di sinope, bruxelles) — «uomo retro et ante oculatus […] che portava il suo sguardo sulla tradizione dei padri della chiesa e allo stesso tempo scrutava il divenire della chiesa e del mondo di oggi» (van parys), che, negli ultimi anni della sua vita, aveva scelto di vivere, come fratello, a bose — numerose sono state le relazioni e le comunicazioni ascoltate. I relatori — uomini e donne di Chiesa e docenti universitari — hanno presentato diversi esempi di paternità spirituale, rintracciati sia attraverso la disamina di testi ed epistolari che attraverso la viva testimonianza di quanti hanno avuto la gioia di conoscere ed essere guidati nella vita secondo lo spirito da persone che hanno esercitato questo prezioso, ma anche molto raro, ministero ecclesiale. E questo anche in condizioni storiche di persecuzione violenta, quale quella messa in atto dai regimi comunisti dell’Est europeo, nel secolo scorso. tre i periodi storici e le aree geografiche oggetto di attenzione. Innanzitutto i primi secoli del cristianesimo, con le relazioni su basilio (gheorgios martzelos, tessalonica), giovanni Crisostomo (Nicolas abou mrad, balamand), alcuni padri del deserto (stavros yangazoglou, atene), la tradizione studita (olivier Delouis, parigi), giovanni Climaco (ig. Damaskinos gavalas, santorini) e, unica presenza dell’occidente latino, benedetto di Norcia (michel van parys, Chevetogne). tra i padri spirituali del secondo millennio sono stati presentati Nil sorskij (gelian m. prochorov, san pietroburgo), makarij di optina, Ignatij brjančaninov e teofane il recluso (Natalija Ju. suchova, mosca) e Nicodema l’aghiorita (p. gheorgios Chrysostomou, veria). sono state tratteggiate, infine, alcune figure contemporanee di padri e madri spirituali appartenenti al monachesimo russo (ig. gavriila gluchova, grodno), alla chiesa serba (p. David perović, belgrado), alla chiesa ucraina (antoine arjakovski, l’viv), alla chiesa georgiana (Nina kauchtschischwili, bergamo) e alla chiesa rumena († serafim di germania).
il xVi Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa
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Di questi ultimi interventi mi piace riportare alcune riflessioni. preziosa si è rivelata la testimonianza dell’ig. gluchova sulle tante donne, molte delle quali provenienti da famiglie contadine, le quali, vere e proprie contemporanee figure di “folli in Cristo”, hanno tenuto viva la devozione del popolo russo nei terribili anni del regime comunista, con il loro diuturno esempio di amore, compassione e pazienza nel sopportare le numerose persecuzioni e l’isolamento sociale, cui erano sottoposte. sono state queste donne, considerato il forte controllo che il regime sovietico esercitava sui ministri ordinati, a rispondere alle tante domande della gente comune sulla vita, indirizzando le persone che a loro si rivolgevano sulla via della salvezza. animata da parrhesia, si è rivelata, poi, la presa di posizione di † serafim di germania. Il metropolita rumeno, nella finale della sua relazione, non ha esitato ad affermare come l’antiecumenismo di alcuni padri spirituali «est une forme de fanatisme religieux. […] or le fanatisme religieux est une négation de la religion elle-même». per questo il metropolita ha manifestato tutto il suo disappunto ad immaginare un’ortodossia fanatica e militante. al contrario, l’ortodossia deve semplicemente testimoniare i tesori della propria ricchezza mistica. guai, pertanto, quando le Chiese si attaccano in modo talmente passionale alla propria tradizione, da dimenticare che Cristo trascende ogni concettualizzazione e formulazione: «C’est pourquoi nous avoin besoin d’une œcuménisme spirituel, le seul vraiment qui peut rapprocher les chrétiens». l’autentico padre spirituale, ha concluso il metropolita rumeno, soffre per i peccati del mondo, e tra questi c’è la disunione tra le chiese cristiane, e prega perché si arrivi presto all’unità dei credenti in Cristo. Nelle Conclusioni del Convegno, p. van parys, pur consapevole del breve spazio di tempo avuto per scandagliare un tema amplissimo1, ha sintetizzato i numerosi interventi ed alcune piste di riflessione scaturite dal dibattito in aula. Il benedettino di Chevetogne ha evidenziato l’obbedienza alla parola che deve contraddistinguere padre e figlio spirituale. parola da cui attingere 1 per questa ragione, il monaco ha rimandato i presenti agli atti dei precedenti Convegni, molti dei quali hanno messo a fuoco vita, opere e tematiche teologiche e spirituali di alcuni dei personaggi su elencati.
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Mario torcivia
continuamente le risposte alle domande spirituali emergenti, specie in periodi tristi riguardo alla storia di un popolo, e parola sempre da studiare e commentare come, lodevolmente, testimoniano diversi padri secondo lo spirito. ha fatto notare che la paternità spirituale, pur essendo unitaria per la tradizione, presenta diversi volti, a seconda che ci si trovi nel deserto o si conduca vita comunitaria nei cenobi benedettini o studiti. Il Direttore di irénikon ha ribadito, inoltre, come da diversi interventi fosse emersa sempre più l’importanza del discernimento dei pensieri, vero e proprio cuore del carisma della paternità spirituale. Il discepolo, infatti, ha il dovere di coscienza di manifestare (exagoreusis) tali pensieri, sia buoni che cattivi, al proprio padre nella vita secondo lo spirito. Egli, poi, è chiamato, a sua volta, a darsi totalmente al discepolo perché questi abbia la vita. Interessante è stato anche il dibattito relativo ai ministri ordinati. Ci si è domandato se essi, in forza dei sacramenti celebrati, non possano non avere anche il carisma della paternità spirituale, al punto di affermare una identificazione tra direzione spirituale e sacramento della confessione, fatto avvenuto in determinate epoche storiche in occidente come anche in oriente. Comunque sia risolvibile la questione — se mai avrà una soluzione netta — gli interventi hanno ribadito la qualità ecclesiale del carisma della paternità spirituale contro ogni atomizzazione e individualismo. p. van parys non ha sottaciuto, inoltre, gli attuali pericoli che l’esercizio della paternità spirituale conosce a causa degli starcy inesperti, del culto della personalità e del settarismo, oggi molto presenti, ed ha evidenziato, infine, il fecondo scambio che può instaurarsi tra paternità naturale e paternità spirituale, sottolineando la perenne dimensione kenotica di ogni paternità. Nel saluto finale, il priore di bose, dopo aver ringraziato tutti gli intervenuti e quanti si sono adoperati per la buona riuscita del Convegno, ha dato appuntamento al 9-12 settembre 2009 per la celebrazione del XvII Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa che avrà per tema “la lotta spirituale”.
Synaxis 3 (2008) 133-142 pIEtro prINI. Il sIgNIfICato DEl suo luNgo pErCorso DI pENsIEro NEl CoNtEsto DElla fIlosofIa DEl XX sEColo salvatorE latora*
1. QualChE rICorDo pErsoNalE Chi intorno agli anni sessanta ha avuto modo di studiare sui due utilissimi volumi: Studio e insegnamento della filosofia, a cura dell’uCIIm, specialmente se faceva parte di questa unione Cattolica, ha potuto apprezzare il lungo saggio di pietro prini: il problema della conoscenza (I, 55-94) e nel secondo volume, lo studio monografico su L’esistenzialismo (II, 39-76). ricordo che in casa del mio maestro, prof. vincenzo la via, per le riunioni di “teoresi”, a motivo delle recensioni bibliografiche, il nome di pietro prini appariva spesso, per l’invio delle sue pubblicazioni (la via è stato uno della Commissione che ha sancito la libera docenza al prof. pietro prini). In seguito, incontrai spesso prini nei vari Convegni filosofici: durante il memorabile XXIv Congresso Nazionale di filosofia, sul Bilancio dell’empirismo contemporaneo, svoltosi a l’aquila nel 1973, in cui egli tenne la relazione introduttiva: neoempirismo e metafisica, e la Conclusione; le altre relazioni introduttive furono tenute da: Norberto bobbio, Evandro agazzi, andrea vasa, Ettore Casari, alberto Caracciolo, Elena picchi piazza e Eugenio garin1. E ancora nei numerosi Convegni rosminiani di Stresa, di cui era assiduo partecipante e relatore; membro del “Consiglio scientifico” per la “rivista rosminiana”. *
Docente emerito di storia della filosofia presso lo studio teologico s. paolo di
Catania. 1
Cfr. i tre voll. degli atti, a cura della sfI.
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ma soprattutto ebbi la sua disponibilità, quando nel 1998 organizzammo un Convegno su vincenzo la via ed egli venne a Catania e tenne nella sede dell’università, una documentata e importante relazione: il pensiero di Vincenzo La Via e la filosofia del novecento2. Nello stesso anno, presso l’Istituto teologico s. tommaso di messina si tenne un Convegno su il magistero filosofico di Filippo Bartolone (uno dei più apprezzati discepoli del la via), a cura di marianna genzabella furnari. prini tenne la seguente relazione: Filippo Bartolone e il significato ontologico della libertà3. vi ritornò nel 2000 per un seminario sulla Meditatio mortis all’inizio del terzo millennio a cura di marianna gensabella furnari. la relazione di prini porta il titolo: L’al di là non è nello spazio e nel tempo, ma nello Spirito di Dio4. 2. pEr uN profIlo bIobIblIografICo pietro prini, è nato a belgirate (vb), sul lago maggiore il 15 maggio 1915; ed ivi è deceduto, all’età di 93 anni, nella notte di sabato, 27 dicembre 2008. si era laureato a pavia nel 1941 con una tesi sul il problema delle categorie nella teodicea di antonio rosmini. Dal 1938, a pavia insegnava 2 pubblicata in Laós 7 (2000) 1-2, 25-30, a cura di salvatore latora. In quella relazione prini individua nel “Conoscere fondante” l’idea-chiave dell’autentico filosofare… la via opererà la conversione dell’idealismo nel realismo assoluto, che nello stesso tempo lo aprirà ad accogliere alcuni suggerimenti più significativi del pensiero contemporaneo, come quello della intenzionalità del conoscere dalla suola fenomenologica e quello del “conoscere donante” che egli trarrà specialmente da una delle grandi opere dell’ultimo blondel, L’essere e gli esseri, del 1935… In questo conoscere donante l’Io attinge non soltanto, attraverso la scienza, la disponibilità del mondo ad essere presente alla coscienza come esso è veramente, ma anche, attraverso l’esercizio della vita morale l’apertura a quella reciprocità creativa che sono gli incontri con la profondità inesauribile dell’Interiorità degli altri. Esso manifesta infine,attraverso l’esperienza religiosa, la pura, assoluta gratuità della trascendenza di Dio come libertà infinita… Nel nichilismo che è l’aria che respiriamo in questo tramonto di secolo la via resta una delle poche figure di pensatori degne di rappresentare la speranza irrinunciabile di un elogio della filosofia» (ibid., 29-30). 3 Cfr. itinerarium 6 (1998) 11. 21-29. 4 Cfr. itinerarium 9 (2001) 19, 17-20.
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michele federico sciacca con cui prini si laurea e diventa suo assistente, ma anche segretario di redazione della rivista sciacchiana: il Giornale di Metafisica. sono gli anni fomativi per prini in cui egli appronta le strutture del suo pensiero: qui dalle esercitazioni nascono i primi studi sull’esistenzialismo e su Plotino e la genesi dell’umanesimo interiore. l’altra tappa decisiva del suo pensiero avviene in francia, quando, a contatto con gabriel marcel diviene studioso del suo pensiero con tale profondità, riconosciuta dallo stesso marcel, che scrive in occasione del volume: Gabriel Marcel e la metodologia dell’inverificabile riconoscendo lo studio come «uno dei più penetranti tra quelli che sono stati dedicati al mio pensiero, uno di quelli a cui i futuri commentatori dovranno in ogni caso riferirsi. l’espressione stessa di “metodologia dell’inverificabile” mi sembra particolarmente felice»5. per ripercorrere le linee del pensiero di prini potremmo seguire le risposte che egli stesso ha rilasciato in seguito alle domande di valerio verra. «ho orientato presto la mia ricerca, egli dice, nella ricostruzione esegetica e critica di quel modello teorico del mondo, che risulta dai punti essenziali di convergenza della tradizione neoplatonica nel pensiero occidentale, ma in accezione più vasta da quella comune, così da comprendere un arco storico che va da plotino a Campanella e dagli spiritualisti cristiani dell’ottocento alle filosofie dell’esistenza di Jaspers e di marcel»6. I lavori in cui sviluppa tale orientamento sono: Plotino e la genesi dell’umanesimo interiore (1968); rosmini Postumo (1961); Gabriel Marcel e la metodologia dell’inverificabile (1950, 1968). prini vede in questi autori e correnti i punti di riferimento essenziali per una ricerca aperta che coniughi antico e moderno: il principio teologico del mondo con la comprensione interiore (plotino). le triplici forme dell’essere: vitalità, conoscenza e moralità, secondo la vigorosa indagine del rosmini, «i cui risultati possono essere ritrascritti negli arricchimenti analitici delle odierne filosofie dell’esistenza come l’impegno, l’amore e la speranza (in Jaspers e marcel)». In questo orizzonte metafisico egli ha orientato le sue ricerche teoretiche pubblicando i volumi: Verso una nuova 5
Dalla lettera-prefazione al volume di prini, p.7.
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v. vErra (cur.), La filosofia dal ’45 ad oggi, torino 1977, 502-505.
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ontologia (1957); Discorso e situazione (1961,1975); umanesimo programmatico (1965,1970). una volta riconosciuto il carattere partecipativo della ragione, egli ha sviluppato in maniera autonoma, le diverse forme logiche del discorso razionale “situato” individuandole nelle forme della verifica propria del discorso oggettivo della scienza; come testimonianza, nel discorso privato; e secondo la forma della determinazione, proprio del discorso collettivo o ideologico. «È stata una ricerca non inutile, egli precisa, se è valsa a dimostrare, da un lato la necessità di estendere il concetto della ragione anche a quei campi del discorso che, non parendo controllabili con i procedimenti del pensiero scientifico, sono solitamente abbandonati all’arbitrio delle passioni o al conflitto degli interessi di parte; e, dall’altro lato, la concreta indicazione del ruolo di fondamento che compete all’ontologia, al discorso sull’essere, nei confronti di ogni altro tipo di discorso razionale»7. poiché, come scrisse aristotele, l’essere si dice in molti modi, c’è da chiedersi come vada intesa questa nuova ontologia di prini. Ecco i suoi chiarimenti: «l’essere, come io l’intendo, non è l’atto di esistere, sia esso originario o derivato, ma il progetto di dare un senso o valore all’esistenza, e dunque un atto di scelta, che è intrinsecamente orientato verso il futuro, è un essere-per-il futuro… l’altro aspetto di questa nuova ontologia che vado costruendo riguarda l’aspetto religioso o sacrale del rapporto fra Cristianesimo e filosofia. Il tema dell’esistenza, nelle sue ultime radici, è di natura essenzialmente religiosa, comunque il sacro si sveli nella sua presenza o nella sua assenza, nella fede del credente o nella disponibilità dell’ateo di buon conto. ma cos’è il sacro, demistificato da ogni elemento fiabesco, se non l’annuncio di un progetto divino del mondo, il messaggio dell’avvento del “regno”, a cui son chiamati a collaborare tutti gli uomini di buona volontà? Così la religiosità della filosofia dell’essere è il fondamento del suo porsi al servizio della nostra azione nel mondo e della nostra speranza»8. prini, in una scelta e orientamento personale, indirizza la sua ricerca verso la costruzione di una filosofia del concreto vivente, perciò si dedica
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v. vErra (cur.), La filosofia dal ’45 ad oggi, cit., 504. ibid., 504,505.
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agli studi sull’esistenzialismo di cui è il maggiore conoscitore: Storia dell’esistenzialismo. Da Kierkegaard a oggi, roma 1989. Quest’opera fondamentale, frutto di un lungo itinerario di ricerca si apprezza, non solo per la completezza della rassegna degli autori e delle correnti, ma soprattutto per l’impostazione critica e prospettica. Egli, sulla scorta dei suoi autori, Jaspers e marcel, considera l’esistenzialismo non come una semplice filosofia della crisi, con quel perverso esito nichilistico, ma vede in esso anche un suo attuale sviluppo in quella ontologia esistenziale. «uscita dagli equivoci della moda degli anni Quaranta, egli scrive, la filosofia dell’esistenza ha tutt’altro che esaurito la propria ragion d’essere. la sua lezione può fornire una chiarificazione decisiva della forma speculativa che oggi il nichilismo, volente o nolente, esprime o dissimula. Da questa chiarificazione dipende la questione più importante della filosofia del nostro tempo: se il nichilismo sia una conclusione o non piuttosto un metodo duramente lucido di ritrovare un senso autentico dell’essere. In questa seconda alternativa emergono dalla radicalità delle sue negazioni gli equivoci che nascono dal non riconoscere l’enigma dell’ambiguità dell’essere come necessità, come finalità e come libertà»9. Questo compito di chiarificazione e di approfondimento è assunto da prini stesso, come si legge nell’ultimo capitolo del volume, il XvIII Pensare nell’ambiguità dell’essere. l’argomento viene ripreso sotto forma dialogica nel volume: L’ambiguità dell’essere, genova 1989, e ancora nel 1991 con il corpo che siamo- introduzione all’antropologia etica (torino). sollecitato dalle trasformazioni dell’immagine dell’uomo sulla base di tutti i complessi problemi di bioetica con gli interrogativi di fondo che ne conseguono, la ricerca diventa indagine sul problema educativo ne il paradosso di icaro – La dialettica del bisogno e del desiderio (roma 1976): in cui viene analizzata la diversità fra la cultura scientifico-tecnologica che caratterizza il mondo moderno del lavoro; e un’altra cultura iconico-orale, che attraverso i mass-media viene costituendo una uniforme società di spettatori: questo fenomeno l’a. rappresenta con il paradosso di icaro. si impone pertanto un rinnovato impegno educativo, perché la cultura iconico-orale spinge precocemente le nuove generazioni a volare verso il sole, ma con ali di cera, con proposte
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p. prINI, Storia dell’esistenzialismo. Da Kierkegaard a oggi, roma 1989, 10.
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velleitarie del “tutto e subito”, senza quell’impegno duro e costante, per molti anni di sacrifici, che la preparazione scientifica e tecnologica richiede. secondo l’autore, il compito attuale della filosofia è quello di impegnarsi con particolare urgenza su due settori: «promuovere il senso critico della coscienza religiosa e prospettare modelli ideali alle incerte e spesso contraddittorie programmazioni dei politici»10. per quanto riguarda il primo aspetto, primi ha pubblicato il volume: «La filosofia cattolica italiana nel novecento» (bari 1996), in cui cerca di cogliere i fili conduttori e il senso complessivo del pensiero italiano, pur tra due specie di censure, quella ecclesiale delle due encicliche papali, aeterni patris, del 1879 e l’altra la Pascendi dominici gregis del 1907, alla luce delle quali bisognava riconoscere o negarne l’ortodossia; e l’altra dal mondo laicista che negava la legittimità di un pensare filosofico incompatibile con la fede, quando heidegger riteneva che nell’espressione “filosofia cristiana” l’aggettivo negasse il sostantivo trattandosi di un ossimoro, come dire “ferro di legno”! Eppure in questa fedele rassegna che va da papini a buonaiuti, da varisco a bontadini, da Del Noce a Capograssi, risulta quasi imprevedibile che «proprio in Italia la filosofia cattolica, piuttosto che trattenersi nei falsi concetti “dell’antimoderno” o del “postmoderno”, ha rilevato una direzione diversa della modernità — quella teologica da Cartesio a rosmini, accanto e contro quella atea da Cartesio a Nietzsche —, aprendo la via alla fondazione di una metafisica civile, finalmente libera dalle mistificazioni degli assoluti terrestri»11. sul rapporto Chiesa istituzionale e fedeli, prini pubblica un volume: Lo scisma sommerso – il messaggio cristiano. La società moderna e la Chiesa cattolica (milano 1999), che suscitò tanto scalpore, ma che addita, in fondo, riprendendola una delle cinque piaghe indicata dal rosmini già nel 1848, e che depreca la distanza che intercorre tra gli insegnamenti della Chiesa gerarchica e la pluralità dei fedeli immersi nella quotidianità con problemi esistenziali nuovi: norme e prassi sono sempre più distanti, ma quel che emerge è che nella generalità dei credenti non se ne fa più un
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v. vErra (cur.), La filosofia dal ’45 ad oggi, cit., 505. Dalla introduzione, p.vII.
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problema: prini da filosofo cattolico ha avuto il coraggio di averlo fatto rilevare con argomentazioni convincenti. I temi in questione riguardano satana, l’inferno, il purgatorio, la colpa, il peccato e i molteplici temi attuali di bioetica. l’altro aspetto, quello educativo e socio-politico viene affrontato nei seguenti volumi: Discorso e situazione (1975); Cristianesimo e ideologia (1974); il cristiano e il potere. essere per il futuro! (1993). su questo aspetto e sul rapporto Cristianesimo e politica ci sono nelle opere di prini delle pagine interessanti. È chiaro che non si può trovare nell’essenza del cristianesimo il fondamento di una ideologia o di una metodologia politica: sono infatti oggetto di contestazione i tentativi da parte di maritain o di brunner di individuare un nesso necessario tra i principi cristiani e la democrazia nelle sue forme storiche. però, «se è vero che il cristianesimo non ha da offrire né un’ideologia né un metodo della prassi politica, esso è tuttavia il più radicale rovesciamento dell’esprit bourgeois, la più energica riaffermazione del primato dell’essere sul fare, cioè, in un senso profondo, una vera e propria rivoluzione dei moventi essenziali della civiltà moderna… la teologia cristiana contemporanea (secondo bultmann di Storia ed escatologia) ha conseguito un risultato decisivo, quando ha riconosciuto la novità essenziale del messaggio cristiano nel passaggio dalla concezione apocalittica dell’escatologia, secondo l’idea giudaica della grande catastrofe cosmica, alla concezione esistenziale o antropologica di essa, secondo l’idea paolina che “l’evento definitivo, appunto l’evento escatologico, è già avvenuto, ed è il Cristo, l’azione di Dio con cui Dio ha posto fine al vecchio mondo” […] per il cristiano la verità essenziale è quella che trasforma e rinnova radicalmente l’essere dell’uomo, dall’egoismo che gli è connaturale, nella carità che gli è donata dalla grazia»12. E poi il cristiano e il potere e il tradimento dei chierici: sono gli altri temi interessanti ed attuali! Il filosofo cattolico prini si chiede come sia possibile una filosofia cristiana come filosofare nella fede ed è quello che egli ha perseguito con coerenza in tutto il suo percorso di impegno filosofico seguendo il pensiero di g. marcel, che egli ha definito di empirismo mistico, secondo la metodologia dell’inverificabile per una ontologia dell’invocazione. 12
p. prINI, Cristianesimo e ideologia, fossano 1974, 30-31.
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la filosofia cristiana è una ontologia sacrale «Il pensatore credente, che crede davvero, non filosofa fuori dalla fede […] Il concetto di filosofia cristiana avanzato da prini esige innanzitutto l’eliminazione di quel radicato equivoco consistente nel pensare che la fede traballi o non si fondi o non sia addirittura possibile senza l’intermediazione “di una metafisica deduttiva”; un vero pensiero cristiano, elimina, afferma prini, la dissociazione interna tra fede e ragione — questa specie di schizofrenia o di vera e propria malattia mentale — che da più di quattro secoli ha intaccato la cultura cristiana. I grandi pensatori cristiani, a cominciare da san tommaso, hanno filosofato dentro la fede, ma questo non è accaduto, per esempio, nel tomismo moderno da cui prini prende le dovute distanze […] la filosofia cristiana non può porsi se non come, prima di tutto, una ontologia del Sacro […] Non interporrà tra se stessa e i problemi reali della vita lo schermo “inutile o incerto” di una traballante metafisica, ma, più semplicemente, affronterà quei problemi con la serietà e la ricchezza interiore di chi ha avuto in consegna un messaggio di redenzione»13. alcune domande si pongono alla fine di questo percorso filosofico ed esistenziale del prini. Dopo la giusta individuazione del tradimento dei chierici è sufficiente additare soltanto la ripresa del giusto rapporto esistenziale con la fede o non bisogna piuttosto proseguire chiedendosi “come”? Qui bisogna riscoprire il valore della Dottrina sociale della Chiesa e forse cominciare a ripercorrere le indicazioni della Vera vita. Sociologia del soprannaturale di luigi sturzo e degli scritti politici di antonio rosmini. 3. alCuNI rIlIEvI CrItICI In un dibattito su Cultura e anticultura, sciacca, dopo la conclusione, risponde ai vari interventi e anche a quello di prini: «prini stesso dice che non possiamo accettare la sostituzione dell’essere con il fare, ed è quello che io ho sempre sostenuto; dunque siamo d’accordo. Egli poi afferma che ci vuole un “nuovo tipo” di essere. Io non so se esistono tipi di essere vecchi 13
Dal recente e utilissimo volume di antiseri e tagliagambe, Storia della filosofia – Filosofi italiani contemporanei, vol. 14, 470.
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e nuovi, non essendo esperto in tipologia dell’essere; so che vi sono diverse concezioni dell’essere nel senso di varie prospettive o filosofie della sola filosofia, che è quella dell’essere. la mia concezione che non nega il fare è una di queste prospettive […] Nemmeno questa volta prini ha consumato il suo parricidio, e di questo lo ringrazio, anche se lui non è platone e io non sono parmenide […] spero sinceramente di non avere perpetrato io, senza volerlo un “figlicidio”»14. Carmelo amato compie una lettura critica del volume di prini: rosmini postumo, che è la riedizione del suo primo lavoro: introduzione alla metafisica di antonio rosmini: titolo più pertinente, a parere di amato, giacché si tratta effettivamente di una introduzione a tutta l’opera del rosmini. secondo prini, «c’è nel sistema rosminiano un equivoco originario: l’idea dell’essere è presa dal rosmini nelle due accezioni tra loro diversissime della pseudo-idea dell’“essere in generale” e dell’“essere iniziale o virtuale”. Ciò ha pesato su tutto quanto il sistema, anche quando il rosmini, come avverrà specialmente nella teosofia, avrà raggiunto la possibilità di liberarsene totalmente. Il rosmini nell’accoglimento della pseudo-idea dell’essere avrebbe subito l’influsso della tradizione della scolastica decadente, nella quale si sarebbe operata la sostituzione del primato dell’essenza al primato dell’essere, che ha determinato la flessione formalistica dell’actus essendi tomistico, cosicché la sua prima filosofia si sarebbe svolta all’insegna del formalismo ontologico o essenzialismo». Carmelo amato, con una estesa documentazione, ritiene discutibile l’interpretazione di prini, per i seguenti motivi: l’idea dell’essere o l’essere ideale di rosmini non è: a) né l’essere generale astratto, b) né l’essere iniziale-virtuale, c) né l’essere stesso sussistente, che solo la nostra finitudine ci impedirebbe di vedere nella sua totale rifulgenza15. mariano Cristaldi, discepolo di la via, nel volume rosmini antiromantico con Passi scelti dalla “Psicologia e dall’antropologia, prendendo lo spunto dal volume rosmini Postumo di pietro prini, e specialmente dal capitolo La finitezza dell’esistenza, con una indagine originale indaga in rosmini i «legami stretti tra libertà e negativo, “la libertà, dice rosmini, si fonda nell’elemento negativo dell’ente libero, tra libertà e peccato, tra 14 15
m. f. sCIaCCa, Gli arieti contro la verticale, palermo 1999, 120-123. articolo pubblicato su rivista rosminiana 3-4 (1973).
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peccato e “difetto della percezione primitiva”, tra quest’ultimo e la designazione dell’individualità come sentimento detotalizzato o discreto. e,infine, come in hegel, con tutt’altro sbocco,il rapporto stretto tra libertà e morte»16 (pp. 8-10). Cristaldi, sollecitato da prini, studioso dell’esistenzialismo, presenta qui un orizzonte di lettura delle opere del rosmini, insolito e originale. In conclusione, ecco l’eredità dell’opera di pietro prini, ricca di numerosi volumi, frutto di lunga e appassionata ricerca, che si presta a molteplici spunti e approfondimenti, per chi vuole continuare a pensare e ad operare filosoficamente nella fede. E sta in questo, mi pare, la validità di un pensatore cattolico come prini. per il cristiano, egli ha ammonito con vigore, quando fa filosofia non deve mettere tra parentesi la sua fede, ma deve al tempo stesso accogliere tutta la problematicità e tragicità della domanda esistenziale. «È proprio dell’essenza della fede — scrive prini — l’essere situata in un mondo in cui sia possibile il dubbio metafisico». Ed esprime ferma condanna per i «tradimenti dei chierici»: i filosofi laici che per anni hanno censurato ogni forma religiosa considerandola come una fase infantile dell’uomo; e i filosofi cristiani, che hanno preferito vivere di prestiti da altre filosofie. tradimenti di segno uguale anche se opposto: i laici che hanno tradito la fede nel filosofare, e i credenti che hanno tradito il filosofare nella fede!
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m. CrIstalDI, rosmini antiromantico, Catania 1967, 8-10.
Recensioni Synaxis 3 (2008) 143-156 v. bosCh, Llamados a ser santos. historia contemporánea de una doctrina, Ediciones palabra, madrid 2008, pp. 222 (pelícano). Il tema della chiamata universale alla santità, ambito di studio tra i più fecondi ed interessanti della teologia spirituale del XX secolo, ha conosciuto negli anni postconciliari una considerevole attenzione sia nelle fonti magisteriali (papa paolo vI e, soprattutto, papa giovanni paolo II) che nella riflessione teologica apparsa nei manuali di questa giovane disciplina. Il testo che presentiamo illustra la storia di questa riflessione magisteriale e teologico-spirituale. l’autore, vicente bosch, docente di teologia spirituale presso la pontificia università della santa Croce (roma), non è nuovo alla ricerca sulla tematica della vocazione universale alla santità. Ne fanno fede i primi quattro capitoli del volume che riprendono, in forma ampliata, alcuni articoli precedentemente pubblicati. l’opera rappresenta, pertanto, un punto di arrivo della riflessione condotta dall’autore su questa tematica. Il libro, uno studio storico, si compone di due parti, precedute da un primo capitolo sulla nozione essenziale e completa della vocazione e seguite dalla bibliografia. la parte iniziale, la più corposa del saggio, presenta la storia della produzione magisteriale (da pio XI a giovanni paolo II, comprendendo ovviamente il Concilio vaticano II) e manualistica (ben diciannove sono i manuali presentati dall’autore: sette preconciliari e dodici postconciliari) del secolo scorso sulla vocazione universale alla santità. Didatticamente interessante ci sembra la proposizione, alla fine di ciascun capitolo, del bilancio delle idee maggiormente significative espresse nelle precedenti pagine. la simpatia dell’autore è rivolta al papa giovanni paolo II perché, con i suoi reiterati inviti alla chiamata universale alla santità, ha ridato slancio ad una tematica che, dopo l’iniziale accoglimento nella comunità ecclesiale negli anni immediatamente seguenti alla celebrazione conciliare,
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ha conosciuto un periodo di stanca. per questo bosch si augura che i manuali di teologia spirituale che verranno pubblicati negli anni a venire accordino una maggior centralità alla tematica in questione. la seconda parte è un abbozzo di sintesi teologica, redatta in funzione delle contemporanee necessità catechetiche particolarmente avvertite dall’autore, sui contenuti e le implicazioni della suddetta dottrina, alla luce soprattutto dell’insegnamento di san Josemaría Escrivá. bosch è un presbitero appartenente alla prelatura dell’opus Dei e, dunque, gli scritti del santo vengono abbondantemente citati per avvalorare le sue riflessioni. Il saggio che presentiamo ha il merito di sintetizzare l’abbondante produzione magisteriale e manualistica del secolo scorso sul tema della chiamata universale alla santità. In poco più di duecento pagine lo studente, come anche il comune lettore, possono avere il quadro chiaro di quanto la Chiesa ha detto e scritto intorno alla suddetta tematica. per questo lo raccomandiamo, augurandoci che ben presto venga fatta anche la traduzione in lingua italiana. Concludendo, ci permettiamo di fare soltanto alcune notazioni critiche. Nella bibliografia non comprendiamo la suddivisione in cinque punti operata dall’autore. Il secondo punto, infatti, (Índice cronológico de documentos magisteriales), a nostro avviso, avrebbe dovuto far parte del primo (Fuentes) perché altrimenti sembra che il suddetto punto non rientri tra le fonti. Il quinto punto, poi, elenca dei testi che avrebbero potuto trovare collocazione benissimo nei precedenti punti. a nostro avviso, bastava suddividere la bibliografia in due punti — I. fonti; II. studi — evidenziando, all’interno di quest’ultimo, la parte relativa ai manuali di teologia spirituale. riguardo, poi, ai testi di teologia spirituale ci saremmo aspettati l’analisi anche dei seguenti due testi — per restare sempre nell’ambito dei manuali — che parlano della tematica presa in esame dal volume di bosch: E.C. rava, La Grazia di Dio che è con me. appunti di teologia spirituale, lateran university press, Città del vaticano 2001 e C. garCía, teología espiritual contemporanea. Corrientes y perspectivas, Editorial monte Carmelo, burgos 2002 (prima edizione 1971). per quanto concerne la parte dedicata agli studi e agli articoli, la citazione poteva essere sicuramente più ampia perché diversi altri autori hanno scritto — su riviste e su collectanee — sulla tematica in questione.
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Non comprendiamo, infine, come mai, nella parte I, all’inizio del cap. vII (Manuales de teología espiritual posteriores al Vaticano ii), alla p. 143 n. 2, l’autore abbia operato la scelta di presentare soltanto la prima edizione dei suddetti manuali. sarebbe stato interessante verificare se, nelle eventuali edizioni successive, — si pensi, ad esempio, al testo del carmelitano scalzo f. ruiz salvador che ha conosciuto in spagna, in venticinque anni di vita (1974-1998), ben cinque edizioni — è rimasto, o è stato aggiunto, il capitolo sulla vocazione universale alla santità e segnalare così, in caso affermativo, le precisazioni o correzioni apportate rispetto a quanto precedentemente scritto. Mario torcivia
a. mattEo, Presenza infranta. il disagio postmoderno del cristianesimo, Cittadella Editrice, assisi 2008, pp. 280. la domanda di fondo che l’autore di questo pregevolissimo studio si pone è: si può essere cristiani senza metafisica, senza sacrificio e senza Chiesa? È possibile ed è, ancora di più, ragionevole, credere al messaggio di gesù, senza rinunciare tuttavia ad essere uomini e donne del proprio tempo? Domande più che attuali e urgenti, a cui nessuno, tanto meno il pensare teologico, può sottrarsi o rinunciare. Il testo, che è sostanzialmente la riproduzione della tesi di dottorato in teologia fondamentale discussa all’università gregoriana sotto la qualificata direzione del teologo e filosofo Elmann salmann osb, ben articolato e strutturato secondo uno schema intelligente ed equilibrato, si suddivide in cinque capitoli, un prologo, un epilogo e un intermezzo, cuore dell’intera fatica di matteo. apre lo studio una breve ma intensa prefazione di salmann: “le rivoluzioni culturali e la metamorfosi del cristianesimo. la scommessa pascaliana dopo il Novecento”, in cui il teologo benedettino, con pochissime pennellate definisce i contorni di quella crisi che ha percorso la religione a partire dalla modernità e che è giunta sino al presente, in cui la sua visibilità e proponibilità deve fare i conti con la contestazione dei suoi stessi assunti e con la perdita del suo statuto maggioritario (p. 8).
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guardare a questa crisi con coraggio e onestà sarebbe già tanto, ma l’opera di matteo, come evidenzia lo stesso salmann, va oltre l’analisi, seppure acuta e puntuale, della condizione attuale della fede, del cristianesimo e del loro ruolo nel mondo contemporaneo, e si sviluppa in una «proposta per poter pensare e vivere uno stile di fede cristiana» (p. 9) nell’oggi. si tenta così di chiarire il significato del disagio attuale del cristianesimo grazie al riferimento ad alcuni importanti autori francesi, J.-l. marion, r. girard e m. de Certeau i quali, molto diversi tra loro per formazione e indirizzo filosofico, ma anche resi insospettatamente vicini da matteo grazie a opportuni e puntuali rimandi che ne mettono in evidenza non solo gli elementi eterogenei, ma perfino quelli convergenti, hanno saputo far luce sul disagio attuale del cristianesimo. Il primo capitolo (il tempo della frattura. Postmodernità come rivelazione), in un primo passaggio introduce all’interessante quanto controversa discussione riguardante la “mentalità postmoderna” che vede l’affermarsi e il visibilizzarsi di un profondo disagio vissuto dalla religione cristiana che ormai è nel mondo una “presenza infranta”, e che è colta nelle sue coordinate fondamentali (svolta e mentalità antiplatonica, antiideologica, antiaristotelica, antiagostiniana e antiromana). In un secondo passaggio getta uno sguardo ai “credo” postmoderni (cristianesimo impossibile, potenziale, finito, gnostico/agnostico, tragico), per poi concludere parlando dell’im-pertinenza teologica della postmodernità, avviando un’indagine, questa volta, sulle questioni di merito e soprattutto su quelle di metodo. per quanto riguarda queste ultime, è illuminante, ai fini della comprensione dell’intero percorso del libro, quanto l’autore precisa in un passaggio esplicativo: «[…] intendiamo ricercare le coordinate che illustrino il destino del cristianesimo sotto le condizioni della mentalità attuale, facendo leva essenzialmente su tre plessi tematici: la questione metafisica, la questione del sacrificio, e quella della mediazione ecclesiale nell’esperienza credente» (p. 69). Da queste premesse si afferrano benissimo le ragioni dei tre capitoli successivi in cui viene presentata in maniera critica e coinvolgente, senza concedere spazio a inutili divagazioni e a sterili digressioni, il pensiero dei tre autori succitati: J-l. marion (cap. II); r. girard (cap. III); m. de Certeau (cap. Iv). Il capitolo dedicato a marion, dal significativo titolo: Cristiani senza metafisica, tenta di aprire un confronto con un autore che ha voluto
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costruire un pensiero teologico postmetafisico, sorto dal crepuscolo della morte di Dio, e che ha voluto altresì affrontare il nodo della plausibilità teorica del cristianesimo, al fine di pensare il carattere non illusorio della rivelazione. Il capitolo riservato a girard, dal titolo: Cristiani senza sacrificio, tocca invece la questione della proponibilità umanistica del credo cristiano che, come ha dimostrato l’antropologo francese nel suo brillante percorso filosofico, si comprende tuttavia come fortemente attratto nell’ordine del sacrificio e della rinuncia. Il capitolo Iv, destinato a de Certeau, dal titolo: Cristiani senza Chiesa, si sofferma infine sull’opera di un pensatore che ha ordinato la sua riflessione all’individuazione e all’analisi delle ragioni per cui oggi la chiesa si trova a fare i conti con una debolezza del credere che si incarna alla fine nell’incapacità sperimentata dal magistero ecclesiastico a produrre nei credenti dei comportamenti coerenti con quanto ricevono dalle indicazioni della gerarchia. l’intermezzo (estraneità del cristianesimo), costituisce un momento fondamentale dell’intero percorso proposto da matteo. Qui l’autore suggerisce un cammino di approfondimento per cogliere con uno sguardo sinottico il lavoro svolto con e sui tre pensatori francesi, e così mettere in evidenza quegli «spiragli che potrebbero definire il destino dell’esperienza credente dopo la fine della cristianità» (p. 207). vengono così individuati alcuni elementi, per “immaginare” il cristianesimo dopo la cristianità. tali elementi potrebbero essere: la trama della donazione, l’appello alla nonviolenza e la configurazione esodale dell’esperienza credente (p. 213). attraversando lo spazio dischiuso dal pensiero di questi tre grandi autori, il Nostro vuole perciò aprire la strada, o perlomeno tenta di individuarne il possibile percorso, per trovare e offrire buone ragioni per continuare, anche oggi, perfino nel nostro presente così incerto e frantumato, in cui sembrano essere venute definitivamente meno tutte le certezze e l’identità stessa del cristianesimo sembra essersi ormai del tutto e irrimediabilmente infranta, a scommettere sul vangelo, a guardare altrimenti il mondo, svelando così non solo l’estraneità della fede cristiana, ma anche la sua convenienza (p. 219). Continuare a scommettere sul vangelo in un’epoca come l’attuale, postmoderna, in cui si sono riscritte le regole fondamentali con cui gli uomini e le donne pensano e vivono il loro rapporto con se stessi,
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gli altri e Dio e in cui si avverte forte il malessere della fede cristiana. la postmodernità quale stile diffuso di pensiero e orientamento generale dell’esistenza del soggetto contemporaneo (p. 27), non solo ha operato il congedo dall’epoca della cristianità, ma segnala anche promettenti percorsi per immaginare forme nuove di cristianesimo e nuove opportunità, per accertare, dice matteo, «quanto anche oggi la scommessa sulla parola del vangelo sia pertinentemente umana» (p. 29). In questa epoca è offerta nondimeno anche la possibilità e addirittura l’occasione di una nuova lettura e di una nuova visione del cristianesimo ancora in grado di concedere non solo al presente, ma anche al futuro, i tratti originali della sua verità (p. 17). Il disagio attuale, infatti, può e deve trasformarsi per la fede cristiana in una chance per la rivisitazione di alcuni suoi aspetti originari e originali che in parte sono stati offuscati dall’epoca della cristianità (p. 23). È quanto matteo propone nel quinto capitolo: La frattura instauratrice, in cui parla del cristianesimo come di una “scommessa aperta” anche per il nostro tempo (pp. 221-223) in cui deve darsi una “concentrazione agapica” dello stesso, e in cui si deve approfondire la “grammatica ospitale della fede” (pp. 250; 257). Non è possibile dare ragione della ricchezza di questo studio. Certamente la scrittura scorrevole e chiara facilita lo sforzo del lettore nella comprensione anche dei passaggi più impegnativi dell’opera che non è appesantita da inutili e troppo frequenti rimandi in nota, pur mantenendo intatto il valore scientifico dello studio. Il percorso proposto in quest’opera è dunque coerente, lineare e armonico. uno dei pregi fondamentali di questo lavoro è quello di procurare delle salutari crepe nelle mura ben fortificate di quella cittadella in cui si sono rinchiusi molti “cristiani” di oggi, divenuti ormai custodi gelosi delle proprie provviste e sicuri delle proprie, sempre meno copiose, scorte. Francesco Brancato
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p. sapIENza, eclissi dell’educazione. La sfida educativa nel pensiero di rosmini, libreria Editrice vaticana, Città del vaticano 2008, pp. 146. un libro su quella che si dice, ormai con espressione comune, «emergenza educativa», accattivante nella veste tipografica, fin dalla magnifica copertina che riproduce una splendida figura giovanile del rosmini; lineare nella struttura dei vari capitoli e profondo nel contenuto, frutto di esperienza e di lunga meditazione, che solo un autore come don piero sapienza poteva scrivere. Egli, infatti, è uno studioso ormai affermato del pensiero e dell’opera di antonio rosmini, basta vedere libri e saggi che ha scritto sull’argomento e pubblicato nell’arco di un trentennio1; è sacerdote e parroco di una parrocchia di periferia; docente presso lo studio teologico s.paolo di Catania; titolare di filosofia, pedagogia e psicologia negli Istituti magistrali; Direttore dell’ufficio diocesano per i Problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, la salvaguardia del creato. accompagnatore regionale delle aClIsicilia; membro del gruppo Nazionale per la formazione socio-politica della CEI. Dinanzi alla sfida educativa odierna, egli usa il termine significativo «eclissi» e non «tramonto» e, dato che la crisi è generale, chiama a raccolta le istituzioni deputate a questo compito: la famiglia, la scuola, la comunità ecclesiale, con le sue parrocchie, associazioni, movimenti; ma alla luce di un grande pensatore, prima emarginato, ora riscoperto come filosofo epocale, antonio rosmini2, di recente proclamato dal sant’uffizio alla gloria degli altari con la sua beatificazione. si esordisce nel volume dall’analisi della realtà attuale, che presenta 1 pIEro sapIENza, il valore della persona umana nel pensiero filosofico di a. rosminiSerbati, roma 1974. ID., rosmini e la crisi delle ideologie utopistiche. Per una lettura eticopolitica, acireale (Ct) 1990. ID., rosmini, un profeta scomodo, roma 1999. (Esame delle Cinque piaghe della Chiesa). 2 Il culto per rosmini, si può dire, è stato costante fin dopo la sua morte, e nel Novecento con fogazzaro, Capograssi e altri, ma la riscoperta di rosmini è opera di siciliani come michele federico sciacca, a cui si deve la istituzione della “Cattedra rosminiana” di stresa, che continua con “I simposi rosminiani”; con la poetessa angelina lanza, la cui opera letteraria e poetica è stata pubblicata e studiata da peppino pellegrino da milazzo, a cui si deve pure la pubblicazione degli atti dei Convegni rosminiani. ma bisogna ricordare l’influenza del rosmini nel pensiero di luigi sturzo (cfr. m. D’aDDIo, Sturzo e rosmini, in
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drammatici scenari, dove tra i giovani «prevale un pericoloso permissivismo che apre la porta a quel relativismo etico che permea tanta parte della nostra società e plasma un preciso tipo di mentalità e di cultura di stampo individualistico ed edonistico. guai quindi a parlare di “sacrificio”, mentre si ritiene opportuno favorire tutte quelle forme di spontaneismo naturale, che scimmiottano alcune teorie di rousseauniana memoria»3. gravi fenomeni di teppismo e di bullismo o meglio di “cyberbullying” si verificano proprio all’interno di quella che dovrebbe essere l’istituzione educativa per eccellenza, cioè la scuola! Di fronte a questa triste realtà, in questi ultimi anni sono stati lanciati degli appelli da parte di varie istituzioni: nel 2004 la CEI organizzò un Convegno dal titolo emblematico: “le sfide dell’educazione”; nello stesso anno, l’arcivescovo di bologna, Cardinale Caffarra denunciava il medesimo fatto attribuendo la causa alla cultura dominante di oggi che ha reso “Impossibile l’educazione perché prima l’ha resa impensabile”. la stessa accorata denunzia è stata espressa da benedetto XvI, al Convegno Ecclesiale di verona (ottobre 2006), quando nel discorso di apertura riconosceva: «oggi, in realtà, ogni opera di educazione sembra diventare sempre più ardua e precaria. si parla perciò di una grande “emergenza educativa”, della crescente difficoltà che si incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori — base dell’esistenza e di un retto comportamento — difficoltà che coinvolge sia la scuola sia la famiglia e si può dire ogni altro organismo che si prefigga scopi educativi». si ricorda anche il “messaggio alla comunità” dell’arcivescovo di Catania, mons. salvatore gristina, dopo i tragici fatti di violenza avvenuti nei pressi dello stadio, che costò la vita a un ispettore di polizia. universalità e cultura nel pensiero di Luigi Sturzo, 2001, 63-102) si vedano pure le lettere di Sturzo a padre Bozzetti (superiore generale dei rosminiani in Irlanda), da londra, 24 luglio 1935; e Bozzetti a Sturzo, 1 agosto 1935, (in f. rIzzI [cur.], Scritti inediti, vol. 2 1924-1940, roma 1975). vedi pure: s. latora, itinerari della santità nelle opere dei fratelli Sturzo e influssi del pensiero rosminiano, in: etica contemporanea e santità, atti del vI Corso dei simposi rosminiani, stresa-milazzo 2005, 246-254. ID., La filosofia di rosmini nei pensatori di Sicilia, in rivista rosminiana 51 ( 2007) 4, 369-378. g. CampaNINI, antonio rosminiFra politica ed ecclesiologia, bologna 2006. l. sturzo legge, nel dicembre del 1897, di rosmini: il rinnovamento della filosofia, cap. 52-60. Cfr. g. DE rosa, L’utopia politica di Luigi Sturzo, brescia 1975, 155. 3 op., cit., 6.
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ma ci mettono sulla via di uscita da questa intricata questione, gli studenti del liceo “spedalieri” di Catania, che in una lettera ai loro docenti chiedono, che il rapporto scolastico sia ispirato alle questioni di senso e di verità. Essi scrivono: «Non ci fermiamo alla rabbia, (per i fatti accaduti); andiamo al cuore del rapporto educativo: insegnateci il valore della vita!». Nel libro Don piero sapienza, da buon maestro e ottimo docente, ha saputo cogliere, contrariamente ad altri, il senso di quell’appello, quando ha voluto richiamare il pensiero e l’opera del grande rosmini, che è un classico ormai, i cui scritti costituiscono una nuova “summa” da porre come base per un rinnovamento personale, sociale, politico e culturale, non solo per gli uomini del suo tempo, poiché abbraccia la morale, la filosofia, il diritto, la politica, la pedagogia e persino la teologia; una nuova enciclopedia, dunque, da opporre, allora, a quella degli illuministi del settecento; e ora, al relativismo e al soggettivismo dilaganti. Cos’è infatti una vera scuola, se non il luogo in cui ci si educa attraverso l’acquisizione sistematica e critica della cultura con la guida e lo studio dei Classici! attraverso dunque la storia dei classici, ma per usare l’espressione di un autore dirompente: non una storia antiquaria, né monumentale ma critica. per questo, siamo convinti anche noi con Don piero, «che il pensiero del roveretano, al di là dei necessari limiti, legati alla contingenza storica, ancora oggi, possa ispirare una rigorosa riflessione pedagogica, capace di concretizzarsi in una saggia prassi educativa, riportando sullo sfondo la questione della verità e quella antropologica»4. Non bisogna dimenticare che rosmini è stato un autentico sacerdote, vale a dire un uomo consacrato totalmente all’amore di Dio e del prossimo; e questo nel campo educativo significa, che non si può educare senza testimoniare quei valori che si dice di volere trasmettere! antonio rosmini non è solo il più profondo pensatore dello spiritualismo nel risorgimento, come è stato definito, ma è anche il principale educatore di quel periodo e tutta la sua opera e la sua attività di fondatore di Istituti religiosi, come l’istituto della Carità e quello della Congregazione delle Suore della Provvidenza, ormai diffuse in tutto il mondo, sono permeate da una forte finalità educativa. 4
op., cit., 10.
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ma per un approccio integrale all’uomo, il roveretano ritiene necessario il coinvolgimento di tante discipline educative: la filosofia, l’antropologia, la pedagogia, il pensiero etico-politico e giuridico, teologico ed ascetico. per questo il suo sistema è basato sulla centralità della persona umana, la cui dignità deriva dalla idea dell’essere o meglio dall’essere sotto forma ideale (cfr. la “teosofia”) che è l’elemento divino che la costituisce e le conferisce un valore inalienabile (la persona è diritto sussistente), ma anche ne rivela i suoi limiti creaturali e morali, (il non-perfettismo), per questo occorre una educazione morale e religiosa, ma anche una formazione alla vita sociale e politica. E proprio secondo queste tematiche si articolano i sei capitoli del libro: I-rosmini educatore – II- La questione antropologica: quale uomo bisogna educare? – III- L’educazione morale – Iv- L’educazione religiosa – v- L’educazione socio-politica – vI- il profilo dell’educatore. un libro lungamente pensato, dunque, ricco di fonti, (leggendo le note abbiamo potuto elencare più di sessanta titoli di opere), che dimostrano come lunga e meditata è stata la riflessione del suo autore; un’opera che va guardata soprattutto alla luce delle precedenti: rosmini e la crisi delle ideologie utopistiche – Per una lettura etico politica (acireale 1990); antonio rosmini. un profeta scomodo (roma 1999), di cui, ora, quest’ultimo volume è sviluppo e riuscito coronamento. la pedagogia del rosmini ci dà la chiave di volta per affrontare la sfida dell’attuale emergenza educativa. ma come? bisogna riconoscere, secondo il roveretano, che qualsiasi attività educativa deve essere finalizzata alla formazione morale della persona e ciò richiede la prima regola dell’arte pedagogica che è l’unità in vista della ricerca della verità oggettiva contro ogni scetticismo o nichilismo. l’esistenza di una verità oggettiva, se messa in discussione, rischia di abbandonare l’uomo nel relativismo morale, pedagogico e socio- politico, riproponendo la concezione di protagora dell’uomo misura di tutte le cose. Il fondamento di ogni azione umana, e quindi anche di quella educativa, deve essere di natura metafisica e pertanto radicata nell’essere che è innato nell’uomo sotto forma ideale. rosmini la indica come l’idea dell’essere che è il lume dell’intelletto il quale permette ogni nostro giudizio (nuovo Saggio sull’origine delle idee), in seguito, specialmente nella teosofia, egli propone una formula triadica, secondo cui l’Essere si presenta
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sotto forma ideale, sotto forma reale, la cui sintesi è costituita dalla forma morale, che a sua volta si esprime nell’agire umano sotto l’impulso della volontà e il rischio della libertà. E’ questo il neosintesismo rosminiano, un circolo solido! Che vive con circulata melodia, come direbbe Dante (par. XXIII, 109). Da questa ontologia e metafisica deriva una corretta antropologia così necessaria ad ogni azione educativa, perché se non si ha con chiarezza il concetto di uomo, non si può educare! Nella tradizione si dice che l’uomo è composto di anima e di corpo; per rosmini l’uomo è costituzione unitaria di sentimento fondamentale corporeo, noi siamo il nostro corpo, e luce unitaria intellettiva-volitiva da cui deriva la conoscenza della verità e del bene; siamo persone come diritto sussistente. ma realisticamente rosmini vede nell’uomo anche la possibilità del male, in base al peccato originale; e a causa di questi ostacoli l’educazione è sempre opera di impegno problematico. ma alla luce di che cosa? sempre al lume dell’idea dell’essere! l’uomo è altresì un animale politico per natura e quindi deve proporsi di sviluppare in maniera armonica il corpo e lo spirito, ma anche deve impegnarsi per il bene comune e contribuire al miglioramento della società; occorre dunque una educazione socio-politica, per una società personalistica e comunitaria (E. mounier). per rosmini il quadro interpretativo è il seguente. tre sono i tipi di società: a) la società teocratica; b) la società Domestica; c) la società civile; ma mentre le prime due hanno ragione di fine, il terzo tipo di società ha solo ragione di mezzo. sul problema politico sono importanti le nuove ricerche di mario D’addio e quelle di giorgio Campanini. vorremmo terminare queste note con le profonde riflessioni rosminiane sulla valenza pedagogica della Chiesa, secondo l’itinerario di rinnovamento indicato dalle Cinque piaghe: nel pensiero di rosmini, qui sta la centralità della sua pedagogia Cristica, necessaria anche oggi per affrontare quella che si indicava come “emergenza educativa”. vediamo convergere verso questa finalità l’opera di gesualdo Nosengo, fondatore dell’uCIIm, autore de L’arte educativa di Gesù Maestro,(già più volte ricordato nel volume di sapienza), per quanto riguarda l’aspetto educativo. E quella di Xavier tilliette, che in parecchi saggi ha ricordato antonio rosmini come esempio di Cristologia filosofica.
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Consideriamo questo libro di piero sapienza uno strumento prezioso e spunto di ulteriori riflessioni, da presentare nelle scuole e nelle varie associazioni, per rianimare all’impegno educativo professori, alunni e genitori. riteniamo che il suo autore debba aggiungersi alla lista degli altri studiosi siciliani, che hanno lavorato, perché il grande rosmini, oggi beato, ritorni ad essere luce viva di orientamento spirituale e pedagogico anche in questa nostra epoca così travagliata, come del resto auspicava giovanni paolo II, nella enciclica Fides et ratio. Salvatore Latora
f. fIorE – g. lIparI, Le edizioni del xVii secolo della Provincia dei Cappuccini di Messina. Le Biblioteche dei Conventi, sicania, messina 2007, 3 voll., pp. 1453. a quattro anni di distanza dalla pubblicazione del Catalogo delle edizioni del XvII secolo della biblioteca provinciale dei Cappuccini di messina (messina 2003), segue adesso — a completamento dell’opera di catalogazione — quello relativo alle biblioteche conventuali della provincia monastica messinese, curato anche in questo caso da fiorenzo fiore (o.f.m. Cap.) e giuseppe lipari (università di messina), entrambi studiosi di primo piano nel panorama degli studi di bibliografia e filologia dei testi a stampa in Italia. Il catalogo, edito in tre volumi con una veste tipografica alquanto raffinata, raccoglie ben 3171 schede catalografiche relative alle «secentine» conservate nei conventi di bronte (427 edizioni), di Castelbuono (402 edizioni), di Catania (106 edizioni), di gangi (349 edizioni), di gibilmanna (665 edizioni), di Nicosia (53 edizioni), di petralia sottana (1059 edizioni), di troina (88 edizioni) e di san marco d’alunzio (2 edizioni). si tratta di un patrimonio librario vasto e composito, straordinariamente sopravvissuto (a differenza di quello degli altri ordini monastici) allo scempio delle soppressioni delle corporazioni religiose del 1866. le singole edizioni sono descritte secondo i più moderni criteri scientifici. Di ciascun esemplare vengono riportati l’intestazione (secondo le
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indicazioni delle regole italiane di Catalogazione per autore), l’indicazione bibliografica essenziale (costituita dal titolo del libro, dal luogo di edizione, dal nome dello stampatore o dell’editore, dall’anno di pubblicazione) e la trascrizione facsimilare (nella quale viene trascritto integralmente il frontespizio dell’edizione). Nella seconda parte della scheda catalografica vengono invece riferite il numero di pagine, la fascicolazione, l’impronta, le note tipografiche, le eventuali lacune, le dimensioni e la legatura; infine, viene indicata anche la provenienza, le eventuali note di possesso (riportate nella forma grafica e linguistica originale), la documentazione bibliografica (repertori, cataloghi, annali), l’ubicazione e la collocazione di ogni edizione. Da questa minuziosa quanto articolata descrizione è possibile ricavare una miriade di notizie utili all’approfondimento delle innumerevoli problematiche relative al libro antico e alla circolazione libraria in età barocca all’interno di un ordine religioso (quello cappuccino) e in un’area della sicilia (quella del Valdemone) troppo spesso considerata marginale (se non addirittura isolata) rispetto alla produzione e alle tendenze culturali del resto della penisola e del continente. attraverso un’accurata analisi tipologica delle edizioni contenute nel Catalogo è possibile stabilire, per esempio, nessi ben precisi «fra l’ambiente intellettuale siciliano e le correnti di pensiero che animavano i centri più vivaci dell’Italia peninsulare e dell’Europa e di instaurare raffronti significativi tra la realtà testimoniata dalla raccolta libraria e quella che emerge da altri contesti sociali». le note di possesso e gli ex libris apposti in quasi tutti i volumi permettono inoltre di documentare i ‘percorsi’ dei libri e di risalire ai proprietari, ai fruitori o ai donatori dei medesimi; in alcuni casi (per la verità non molti) è possibile ricavare non meno importanti notizie relative al commercio librario. la famiglia cappuccina, nata «con finalità non di studio bensì di apostolato attivo da esercitare attraverso l’esempio e la predicazione» (l. balsamo), in sicilia come nel resto d’Italia assume ben presto un ruolo di primo piano non solo nella divulgazione del sapere teologico, ma anche nella diffusione delle principali correnti culturali (non solo religiose) presenti negli altri ordini monastici e negli ambienti laici isolani. Nel corso dei secoli, infatti, donazioni e lasciti hanno «modificato notevolmente la configurazione culturale delle raccolte, ma ne hanno arricchito l’interesse ai fini di una più ampia e approfondita valutazione delle dinamiche della
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circolazione libraria» (g. lipari). Non meraviglia per questo, accanto ai ‘predicabili’, ai commentari biblici, ai padri della Chiesa e ad altri testi di argomento teologico, la presenza di un numero significativo di edizioni non perfettamente coerenti rispetto al ruolo istituzionale della famiglia francescana. Nella breve eppur puntuale introduzione di Carmela reale (università degli studi della Calabria), vengono messe in evidenza alcune peculiarità di non secondaria importanza, come ad esempio la presenza nelle biblioteche cappuccine di numerosi testi di medicina, di storia, di geografia, di matematica, di astrologia, di architettura, segno eloquente della poliedricità degli interessi culturali dell’ordine. l’opera si chiude con i relativi indici (ben otto), segno della validità scientifica dell’opera, che in questa sede pare opportuno richiamare per l’importanza che rivestono ai fini della consultazione del catalogo: indice generale dei nomi (autori, autori secondari, Dedicatari, intestazioni); indice alfabetico degli editori, stampatori e librai; indice topografico degli editori, stampatori e librai; indice cronologico delle edizioni; indice delle provenienze accertate; indice dei nomi delle annotazioni e delle note di possesso; indice delle biblioteche; indice delle illustrazioni. Sebastiano Venezia
Presentazione Synaxis 3 (2008) 157-158 a.m. tErzo (cur.), oriente cristiano. indici quarantennali i – xL 1961 – 2000, “Quaderni di oriente Cristiano” – studi 14, palermo 2008 Questo volume con gli indici dei primi quaranta anni della rivista oriente cristiano costituisce un utile strumento di consultazione per il lettore interessato alla vita e alla teologia delle Chiese di tradizione orientale. la rivista oriente cristiano nasce nel 1961 come organo trimestrale dell’associazione Cattolica Italiana per l’oriente Cristiano (aCIoC), che si propone di contribuire alla causa dell’unione dei cristiani. l’aCIoC ha sede presso l’Eparchia di piana degli albanesi, une delle due diocesi bizantine presenti in Italia. Emblematicamente nel primo numero è pubblicato il discorso del patriarca di venezia, giuseppe roncalli, tenuto in occasione della vII settimana orientale. Il Concilio vaticano II rappresenta un momento decisivo per lo sviluppo della rivista, che fin dal suo nascere è attenta alla storia, alle strutture, alla teologia delle Chiese d’oriente, anzi – come scrive E. fortino nella presentazione al volume – essa «è stata un atto di amore verso le Chiese d’oriente» (p. 7). gli indici quarantennali sono preceduti da una ottima presentazione di Eleuterio f. fortino, del Pontificio Consiglio per l’unita dei Cristiani. In essa si tracciano le direttrici entro le quali si muovono i contributi della rivista nell’arco dei quaranta anni presi in esame. tutta la materia trattata può essere ricondotta a cinque capitoli: 1. Il Concilio vaticano II; 2. le Chiese d’oriente (Chiese ortodosse e Chiese orientali cattoliche); 3. relazioni tra cattolici e ortodossi; 4. orientamenti per l’azione ecumenica; 5. la Chiesa italo-albanese. gli indici sono divisi in sette rubriche: a) elenco cronologico (con l’indicazione dei temi dei numeri monografici); b) autori (articoli, recensioni, notiziari, necrologie); c) opere recensite nella rubrica “libri e riviste”; d) redazione (vale a dire articoli non firmati a cura della redazione); e) rubriche varie; f) soggetti; g) necrologi.
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la rubrica più consistente, ovviamente, è quella che riguarda i “soggetti” e che consente di avere una idea delle tematiche che gli articoli della rivista hanno privilegiato, coerentemente con la sua finalità. «la rivista nel cono di luce proiettato dal Concilio vaticano II, situa gli eventi che hanno avuto luogo in questi 40 anni, segnalando naturalmente i più rilevanti, ma non tralasciando alcuni, per sé di minore importanza, ma utili a far comprendere lo sviluppo della vita nelle singole Chiese orientali e le relazioni ecumeniche. Dall’insieme dei documenti, dei resoconti, delle cronache, delle recensioni e delle riflessioni storico-teologiche progressivamente emerge già un profilo storico di quasi mezzo-secolo che ha visto l’espandersi del maggiore evento fra cattolici e ortodossi» (p. 13). uno strumento prezioso, che dimostra come anche nell’era della digitalizzazione i vecchi indici cartacei siano necessari e utili. Maurizio aliotta
Synaxis 3 (2008) 159-163 NotIzIarIo DEllo stuDIo tEologICo s. paolo 1. NomINE osservati i prescritti passaggi statutari: il 20 giugno 2008 il gran Cancelliere della facoltà teologica di sicilia, l’arcivescovo paolo romeo, ha nominato preside dello studio teologico s. paolo il prof. gaetano zito; il 5 luglio 2008 il moderatore dello studio, l’arcivescovo salvatore gristina, ha nominato vice-preside il prof. giuseppe buccellato e amministratore mons. alfio russo; il 5 luglio 2008 il preside ha nominato il prof. gaetano zito bibliotecario. Il 7 giugno 2008 il preside, su proposta del Collegio docenti e ottenuto il benestare del moderatore, ha nominato Docenti incaricati i proff. francesco aleo e vittorio rizzone. Il 5 luglio 2008, il gran Cancelliere della facoltà teologica di sicilia, l’arcivescovo paolo romeo, ha nominato Docente stabile dello studio teologico s. paolo il prof. francesco brancato. 2. lICENzIatI IN tEologIa moralE hanno conseguito la licenza in teologia morale, il 27 giugno 2008: busÀ paolo, «La speranza non rimane delusa (rm 5,5)». la speranza in rm 5,1-1 e in rm 8,18-25. (relatore prof. attilio gangemi)
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frEsta marIo, «un piccolo atto di carità vale più di tutto il mondo». alberto marbelli (1918-1946). (relatore prof. mario torcivia) saIa fIorE paolINo, L’uomo “immagine di Dio” nella Gaudium et Spes. una chiave di comprensione antropologica per l’oggi. (relatore prof. vittorio rocca) Il 9 ottobre 2008: aNguIssa mEtogo apollINaIrE, inculturazione, eucaristia e etica nei documenti del magistero episcopale del Camerun. (relatore prof. vittorio rocca) CrapaNzaNo luCa, La relazione come “incontro” nella riflessione di Mons. Mario Sturzo. (relatore prof. pasquale buscemi) 3. baCCEllIErI IN tEologIa hanno conseguito il baccalaureato in teologia, il 27 giugno 2008: CozzI ClauDIo, Le forme di amore implicito di Dio in Simone Weil. per il prossimo, la bellezza del mondo e le pratiche religiose. (relatore prof. giuseppe schillaci) fIChEra pIEtro, L’attenzione pastorale ai malati. alcune indicazioni del magistero post conciliare. (relatore prof. salvatore Consoli) lEoNarDI rICCarDo, il processo di Gesù davanti al Sinedrio e il vangelo di Giovanni. (relatore prof. attilio gangemi)
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maNENtI gIaNluCa, La vita cristiana come vocazione in Cristo: prospettive della catechesi di iniziazione cristiana in italia. (relatore prof. Corrado lorefice) spatola alEssaNDro, «ecco saliamo a Gerusalemme» (Mt 20,18). la catechesi redazionale nella sezione del cammino di gesù verso gerusalemme in mt 16,21-20,34 (cfr. mc 8,31-10,52) (relatore prof. rosario gisana) Il 9 ottobre 2008: basIlE gIovaNNI, La categoria di “mito” con particolare riferimento al pensiero filosofico di hans Blumenberg e alla riflessione teologica di rudolf Bultmann. (relatore prof. luca saraceno) CostosI grazIa, Sara. La matriarca dal volto umano. (relatore prof. Dionisio Candido) fraNzoNE lEtIzIa, “Saggio sul male” di Jean nabert. Dall’umiliazione della regione di un male ingiustificabile, verso un cammino di giustificazione. (relatore prof. giuseppe schillaci) gIaNò robErto, La concezione della libertà e il problema del male in Luigi Pareyson. (relatore prof. antonio Crimaldi) grECo pIEtra, La Persona nel Pensiero di emmanuel Mounier. (relatore prof. giuseppe schillaci) NkuNzImaNa sylvÈrE, La speranza cristiana e la liberazione dell’uomo in alfaro Juan. (relatore prof. maurizio aliotta)
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Il 10 ottobre 2008: barIlarI mIrCo, L’ascesa al cielo e la santa esychia del corpo e dell’anima nella scala di Giovanni Climaco. (relatore prof. giuseppe Di Corrado) bElla salvatorE, La testimonianza del cristiano nella letteratura antica. (relatore prof. rosario gisana) Corso rENato, L’intervento di Dio nel cuore umano in Geremia ed ezechiele (Ger 31,31-34; ez 36,26-28). (relatore prof. attilio gangemi) la rosa salvatorE, tra le fiamme dell’etna un amore che non si consuma. a bedda matri di mompileri. (relatore prof. giuseppe federico) lombarDo aNgEla, «Donna, perché piangi? Chi cerchi? (Gv 20,15). la presenza del Cantico dei cantici nel racconto dell’esperienza pasquale di maria maddalena in gv 20,1-18. (relatore prof. attilio gangemi) mIlazzo aNtoNINo, il dinamismo dell’alterità in Levinas e nell’esperienza cristiana di suor erminia Moschella. (relatore prof. giuseppe schillaci) sCaNDura vINCENza, «Concepirai e partorirai un figlio e chiamerai il suo nome Gesù (Lc 1,31)». Il figlio della vergine nel racconto lucano dell’annunciazione a maria. analisi esegetico-teologica di lc 1,29-33. (relatore prof. attilio gangemi) vaDalÀ vIta, La benevolenza di Gesù verso gli uomini nelle narrazioni evangeliche. La ricerca della pecora perduta, la compassione verso la folla, la cura dei malati, la chiamata dei peccatori. (relatore prof. attilio gangemi)
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4. INaugurazIoNE aNNo aCCaDEmICo Il 17 ottobre 2008 si è tenuta l’inaugurazione del 41° anno accademico dello studio teologico s. paolo. la mattina si è svolto il consueto incontro tra la presidenza, i Docenti, i rettori dei seminari e i vescovi delle Chiese che aderiscono al s. paolo. Il pomeriggio si è tenuto l’atto accademico; alla solenne concelebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo-vescovo di acireale, pio vittorio vigo sono seguiti: il saluto del moderatore dello studio, l’arcivescovo salvatore gristina, la relazione del preside mons. gaetano zito e la prolusione accademica su «Creazione ed evoluzione. la riflessione di J. ratzinger» tenuta dal prof. francesco brancato, Docente stabile di teologia Dogmatica presso il s. paolo. 5. ColloQuIo INtErDIsCIplINarE l’11 dicembre 2008 si è tenuto presso lo studio teologico s. paolo la seconda parte del Colloquio interdisciplinare sul tema «Definitività delle scelte, oggi, nella Chiesa». sono intervenuti: vittorio rocca “scelta definitiva e fedeltà nel matrimonio cristiano”; salvatore Consoli “scelta definitiva e fedeltà nel ministero ordinato”; Egidio palumbo “scelta definitiva e fedeltà nella vita consacrata”; ha moderato il colloquio giuseppe buccellato.
Collane di Synaxis «QuaDErNI DI syNaXIs» aa. vv., a venti anni dal Concilio. prospettive teologiche e giuridiche, Edi oftes, palermo 1984, pp. 230 (esaurito) aa. vv., Culto delle immagini e crisi iconoclastica, Edi oftes, palermo 1986, pp. 184 aa. vv., il sinodo diocesano nella teologia e nella storia, galatea Editrice, acireale 1987, pp. 192 (esaurito) aa. vv., Manipolazioni in biologia e problemi etico-giuridici, galatea Editrice, acireale 1988, pp. 138 aa. vv., La venerazione a Maria nella tradizione cristiana della Sicilia orientale, galatea Editrice, acireale 1989, pp. 196 (esaurito) aa. vv., Chiesa e società urbana in Sicilia (1890-1920), galatea Editrice, acireale 1990, pp. 334 aa. vv., Sermo Sapientiae. scritti in memoria di reginaldo Cambareri o.p., galatea Editrice, acireale 1990, pp. 264 aa. vv., oltre la crisi della ragione. Itinerari della filosofia contemporanea, galatea Editrice, acireale 1991, pp. 170 aa. vv., La terra e l’uomo: l’ambiente e le scelte della ragione, galatea Editrice, acireale 1992, pp. 190
aa. vv., Prospettive etiche nella postmodernità, Edizioni san paolo, Cinisello balsamo (milano) 1994, pp. 136 aa. vv., Chiesa e Vangelo nella cultura siciliana, Edizioni san paolo, Cinisello balsamo (milano) 1997, pp. 160 aa. vv., inizio e futuro del cosmo: linguaggi a confronto, Edizioni san paolo, Cinisello balsamo (milano) 1999, pp. 280 aa. vv., il Cristo siciliano, Edizioni san paolo, Cinisello balsamo (milano) 2000, pp. 427 aa. vv., Cultura della vita e cultura della morte nella Sicilia del ’900, giunti, firenze 2002, pp. 240 aa. vv., Magia, superstizione e cristianesimo, giunti, firenze 2004, pp. 240 aa. vv., La Bibbia libro di tutti?, giunti, firenze 2004, pp. 312 aa. vv., euplo e Lucia. 304-2004. agiografia e tradizioni cultuali in Sicilia, giunti, firenze 2006, pp. 424 aa. vv., io sono l’altro degli altri. L’ebraismo e il destino dell’occidente, giunti, firenze 2006, pp. 312 aa. vv., repraesentatio. Sinodalità ecclesiale e integrazione politica, giunti, firenze 2007, pp. 240 aa. vv., embrioni, cellule e persona: biomedicina, giurisprudenza ed etica a confronto, giunti, firenze 2008, pp. 192
«DoCumENtI E stuDI DI syNaXIs» g. zIto, La cura pastorale a Catania negli anni dell’episcopato Dusmet (1867-1894), galatea Editrice, acireale 1987, pp. 596. a. gaNgEmI, i racconti post-pasquali nel vangelo di S. Giovanni. I. gesù si manifesta a maria maddalena (gv 20,1-18), galatea Editrice, acireale 1989, pp. 288. p. sapIENza, rosmini e la crisi delle ideologie utopistiche. per una lettura etico-politica, galatea Editrice, acireale 1990, pp. 158. a. g aNgEmI , i racconti post-pasquali nel vangelo di S. Giovanni. II. gesù appare ai discepoli (gv 20,1931), galatea Editrice, acireale 1990, pp. 294. a. gaNgEmI, i racconti post-pasquali nel vangelo di S. Giovanni. III. gesù si manifesta presso il lago (gv 21,1-14), galatea Editrice, acireale 1993, pp. 524. g. sChIllaCI, relazione senza relazione. Il ritrarsi e il darsi di Dio come itinerario metafisico nel pensiero di lévinas, galatea Editrice, acireale 1996, pp. 418. a. gaNgEmI, Signore, tu a me lavi i piedi? pietro e il mistero dell’amore di gesù. studio esegetico teologico di gv 13,6-11, galatea Editrice, acireale 1999, pp. 244. a. gaNgEmI, i racconti post-pasquali nel vangelo di S. Giovanni. Iv. pietro il pastore (gv 21,15-19), Edizioni arca, Catania 2003, pp. 1032. g. mammINo, Gregorio Magno e la Chiesa in Sicilia. analisi del registro delle lettere, Edizioni arca, Catania 2004, pp. 240. f. braNCato, La questione della morte nella teologia contemporanea. teologia e teologi, giunti, firenze 2005, pp. 168. f. braNCato, “L’ultima chiamata”. giovanni paolo II e la morte, giunti, firenze 2006, pp. 240.
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