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25o festival internazionale di film sull’arte contemporanea 15 — 22 ottobre 2020 con il contributo di: Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo Direzione Generale per il Cinema con il sostegno di: Seda Ferrarelle Metropolitana di Napoli Castello di Postignano Ordine Architetti Pianificatori Paesaggisti Conservatori di Napoli e Provincia Bruno Generators con il partenariato di: Institut Français Napoli Goethe Institut Neapel Instituto Cervantes Nápoles media partner: Artribune Exibart Ildocumentario.it con il patrocinio di: Senato della Repubblica Regione Campania Comune di Napoli Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa Università degli Studi di Napoli Federico II Accademia di Belle Arti di Napoli
segreteria organizzativa: Lucia Trisorio Valeria Cacciapuoti Helga Sanità Fabrizio Tramontano redazione catalogo: Lucia Trisorio traduzione testi: Angela Federico art direction, identità visiva e comunicazione: Paolo Altieri Altieri associati srl visual design: Paola Trisorio Paola Cagnetta ufficio stampa: Maria Bonmassar Enrica Vigliano social media: José Compagnone Goodea srl Luisa Altieri Altieri associati srl servizi tecnici: Isi Congress traduzione e sincro sottotitoli: Lab 80 film
Trisorio associazione culturale via Riviera di Chiaia 215 80121 Napoli tel 081 414306 info@artecinema.com www.artecinema.com — artecinema 25 15 ottobre 2020 teatro san carlo inaugurazione proiezione dei film: Body of Truth regia di Evelyn Schels Renzo Piano. Il potere dell'archivio regia di Francesca Molteni Letizia Battaglia - Shooting the Mafia regia di Kim Longinotto 16-22 ottobre 2020 online.artecinema.com — immagine di copertina Francesco Vezzoli "Cassandra Crying", 2016 Courtesy of the Artist
25o festival internazionale di film sull’arte contemporanea 15 — 22 ottobre 2020 napoli & online a cura di / curated by
laura trisorio
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25 anni di storia
1994. Su una nave cargo sventrata e ancorata nel porto del Pireo, Jannis Kounellis allestisce una delle sue mostre più belle.
Laura Trisorio
Kounellis, che ho conosciuto da bambina, quando aveva trasformato il salone di Villa Orlandi ad Anacapri, la casa dove la mia famiglia ospitava gli artisti, nel suo studio d’arte. Erano gli anni Settanta e i miei genitori avevano appena aperto una delle prime gallerie d’arte contemporanea a Napoli. Il contatto con gli artisti risale quindi a molto lontano nella mia vita, e l'ha attraversata tutta. Non ricordo di aver scelto di continuare sulle orme paterne, so solo che questo era il mio destino che ho sentito da subito appartenermi. Su quella nave ho sentito parlare per la prima volta dei documentari d’arte e da quel momento tutto è cominciato. Sul mare. Sfogliando le pagine dei cataloghi di queste 25 edizioni di Artecinema, mi sono resa conto dell’immenso lavoro che abbiamo svolto in questi anni e ho capito che due sono stati i sentimenti che mi hanno accompagnato, spingendomi ad andare avanti oltre gli ostacoli: l’incoscienza e la passione. E naturalmente la città, Napoli, mi ha dato il coraggio e lo slancio di affrontare qualsiasi cosa, perché qui tutto è possibile e ogni sforzo viene ripagato dal calore e dall’entusiasmo della gente. Il festival è un lavoro di squadra e non esisterebbe senza il suo pubblico, pertanto sono grata a tutti coloro che in questi lunghi anni vi hanno partecipato, in veste di organizzatori, di collaboratori, di sostenitori o di spettatori, perché insieme abbiamo creato una grande famiglia, unita da un desiderio comune di bellezza. E cosa c’è di più bello di una comunità che ama l’arte, che è aperta al nuovo e che accoglie la diversità condividendo gli stessi valori? Oggi l’incoscienza ha lasciato il posto alla consapevolezza di aver seguito la strada giusta o meglio, di aver seguito la rotta che mi era stata tracciata su quella nave sventrata e ognuno di noi porta dentro dei ricordi, delle emozioni, dei frammenti di questa lunga navigazione continuando a cercare nuovi orizzonti.
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a 25 year history
1994. On a gutted cargo ship anchored in the port of Piraeus, Jannis Kounellis set up one of his most beautiful exhibitions.
Laura Trisorio
I met Kounellis when I was a child. He transformed the salon of Villa Orlandi in Anacapri, the house where my family hosted the artists, into an art studio. It was the Seventies and my parents had just opened one of the first contemporary art galleries in Naples. Being in contact with artists goes back a long way in my childhood, and has continued throughout my life. I don't remember choosing to continue in my father’s footsteps, I only knew that this was my destiny that I immediately felt belonged to me. It was on that ship I heard about art documentaries for the first time and that is the moment everything began. On the sea. Flipping through the pages of the catalogs of these 25 editions of Artecinema, I realize the immense work we have done in these years and I understand that there were two distinct feelings that accompanied me, spurring me to overcome all obstacles: recklessness and passion. And, of course, the city, Naples, has given me the courage and the impetus to face anything, because here everything is possible and every effort is rewarded by the warmth and enthusiasm of the people. The festival is teamwork and could not exist without its audience, so I am grateful to all those who have participated in these long years as organizers, collaborators, supporters or spectators, because together we have created one big family, united by a common desire for beauty. And what could be more beautiful than a community that loves art, that is open to the new and welcomes diversity by sharing the same values? Today, recklessness has given way to the awareness of having taken the right path, or rather, of having taken the route that had been plotted out for me on that gutted ship, and each of us carries within us memories, emotions and fragments of this long voyage, as we continue to search for new horizons.
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a volte le cose sono proprio come sembrano, ecco tutto. sometimes things are just what they seem to be and that's all there is to it. Charles Bukowski (Pulp, 1994)
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purché sia vero
la realtà non è a favore di camera
Alessandra Galletta regista
Il fatto stesso che qualcuno si sia preso l’impegno di mostrarci qualcosa che sarebbe rimasta ‘segreta’ allo sguardo dei non presenti all’evento mi fa sentire privilegiata e grata.
Quando si tratta di documentari non sono mai critica perché mi piacciono tutti.
Mi piace che l’immagine sia rubata, l’audio sporco, la luce sbagliata e che l’operatore non sia riuscito ad avere due secondi per fare il bianco. Mi piace quando la realtà si manifesta senza aspettare le telecamere, ignorandole o addirittura intralciandole. Mi piacciono tutti gli errori inevitabili della presa diretta: le camere che si impallano, l’operatore che inciampa e il soggetto che sfugge all’inquadratura perché si sta occupando di altro. Senza il documentario non avrei mai visto Anna Wintour minuta ed elegantissima comandare con gli occhi decine di professionisti nei corridoi di Vogue America, non avrei mai accompagnato Valentino in una malinconica e romantica passeggiata a via Veneto e nessuno mi aveva invitata all’asta dei beni di Yves Saint Laurent dopo la sua morte ma io l’ho vista pezzo per pezzo ugualmente. Mi piace quando Herzog va da Gorbachov, quando Wenders va da Salgado, quando un figlio costruisce una storia su una madre celebre che collabora assai poco al film, come Franca Sozzani o Benedetta Barzini e mi piace anche quando un figlio cerca di raccontare suo padre architetto come Rem Koolhaas o Louis Kahn. Ogni documentario contiene una tale quantità di vita e sentimenti da lasciarmi sempre colpita a morte. Ci penso per giorni e mi tornano alla mente i documenti rari ai quali ho assistito, le immagini private che diventano improvvisamente di
tutti, e persino i silenzi tra una domanda e l’altra, quel momento in cui l’intervistato pensa cosa diavolo può rispondere senza dire sciocchezze o commuoversi. Sono produzioni che mi sembrano ancora più eroiche perché so, e si vede, che nessuno le ha volute. Nessuno vuole una telecamera quando pensa a come passare la giornata, quando sbaglia a dare un input ai suoi collaboratori, quando cerca un’immagine o semplicemente vive il suo privato. Se il soggetto è concentrato a fare qualcosa, non ama che qualcun altro sia concentrato su di lui, è fastidioso, e in quel momento sembra anche inutile. Invece non è inutile, è fondamentale. Ma questo lo sa solo chi sta girando, e mai chi è ripreso. benvenuti nel backstage Siamo sul lago d’Iseo, nell’estate del 2016 quando l’artista bulgaro Christo realizza una monumentale installazione sulle acque che attrae in sedici giorni un milione e mezzo di persone. Sulla lunga passerella arancione magia ed estasi accompagnano i passi di un pubblico immerso nella poesia e nel sogno. Ma è solo quando The Floating Piers diventa Walking on Water nel documentario diretto da Andrey Paounov che la poesia cede il passo alla dura realtà: un artista di fama internazionale si scontra con la scarsa dimestichezza con l’arte contemporanea dei nostri politici che lo costringono a ore di anticamera, incomprensibili riunioni in italiano dei sindaci del Sebino e centinaia di problemi grandi e piccoli affidati a una figura ‘comunale’ del tutto inadeguata all’incarico. Christo si dimentica delle telecamere, oppure proprio 9
perché ne è ben cosciente, si sfoga contro il sistema politico italiano definendoci “incapaci, schiavi della burocrazia” insinuando anche il sospetto, quasi un’accusa, che il territorio abbia voluto speculare sugli spropositati accessi al ponte galleggiante. Il documentario mostra anche l’insofferenza dell’artista a partecipare ai ricchi banchetti privati offerti dagli sponsor, l’emergenza maltempo che mette a rischio l’incolumità dei visitatori e la resistenza fisica dell’artista stesso, i momenti di autentica disperazione quando una bimba sembra smarrita tra la folla e il tragicomico incontro-scontro con un noto collezionista il quale, giunto sul posto con uno stuolo di assistenti e segretari personali, viene trattato con modi sbrigativi dall’artista che ha ben altro da fare che discutere con lui di prezzi e misure dei suoi immaginifici disegni messi in vendita proprio per sostenere i costi del progetto. Quello di Christo è solo uno dei tanti fortunati esempi di produzioni internazionali grandi e piccole che accendendo semplicemente una telecamera sul ‘dietro le quinte’ di un progetto d’arte, ce ne svelano non soltanto i retroscena più divertenti o inquietanti ma ci forniscono un indispensabile strumento alla comprensione dell’opera che è fatta certamente di talento ma anche di vita, di incidenti, di fatica, di diplomazia, di incomprensioni, di attese, di sudore. È grazie al documentario che possiamo guardare la laguna dalla finestra dello studio di Emilio Vedova mentre il maestro veneziano sussurra “…questo è il posto più bello del mondo”; se possiamo commuoverci quando durante una performance lo sguardo di Marina Abramović incontra quello inaspettato dell’amore della sua vita Ulay dopo lunghi anni di silenzio; se possiamo guardare i puntini colorati mentre si formano sulla 10
superficie attraverso la soggettiva di Yayoi Kusama proprio nell’atto del dipingerli. Ma se già documentare la realtà è difficile, documentare la realtà dell’arte è quasi impossibile. Perché l’artista si è già espresso con la sua opera, e dunque chi siamo noi per esprimere e tradurre in un altro linguaggio il suo già perfetto essere al mondo? grazie del furto È una bella esperienza realizzare un documentario d’arte per molte ragioni. Innanzitutto, puoi fare tutti i piani di produzione che vuoi, ma quando hai a che fare con un vero artista, stai sicuro che te li manderà tutti all’aria. È bello perché con la scusa del documentario sei titolato a stargli costantemente in mezzo ai piedi e così ti ritrovi a essere il primo spettatore - e, fino alla fine del montaggio, anche l’unico - di momenti di rara bellezza come: l’artista che si guarda il suo quadro per quattro ore e trentacinque secondi senza un fiato; l’artista che non ha voglia di andare in studio e si concede una lunga passeggiata nella natura; l’artista che sta per ricevere una visita necessaria e impegnativa e quindi cammina nervosamente su e giù tra le opere cercando il mood giusto per l’incontro. Ma la cosa più bella di tutte, è la sconosciuta che ti avvicina dopo la proiezione del documentario - o la visione televisiva - e ti dice “grazie, adesso ho capito”. Bisogna stare molto attenti al significato profondo di questa frase. Non significa affatto che ha capito qualcosa che gli hai spiegato tu, che sei solo un documentarista, e quindi non puoi insegnare proprio nulla ma, attraverso le tue immagini, che hai “rubato” sulla fiducia al tuo soggetto, ne hai reso testimone anche
colui che credeva di non capirlo e invece ora “lo sa”. È un grazie all’artista, non a te. Tu puoi soltanto imparare documentario dopo documentario a evitare qualche errore, a perfezionare i tuoi propositi, a non disperderti nei mille rivoli delle immagini, a non cedere alla tentazione di metterti tra l’artista e la sua opera dove - lo so che è dura - tu non sei invitato. l'arte non è un’immagine Con la mia casa di produzione LaGalla23 siamo costantemente alla ricerca di autori, registi, operatori, direttori della fotografia, fonici, montatori compositori, che conoscano o perlomeno siano appassionati di arte contemporanea. La difficoltà nel reclutarli sta proprio in questa sottile ma fondamentale ‘differenza’. È vero, se un professionista è bravo, se ben diretto, può realizzare e ‘lavorare’ egregiamente qualsiasi immagine, sia essa pubblicitaria, di moda, per il cinema o per il web, ma l’arte non è un’immagine. Qualche volta somiglia così tanto a un’immagine che sembra di poterla contenere tutta in un frame, ma non è così. Se ci provi, non ci sta. Mi permetto qualche suggerimento a chi vuole avventurarsi in questa strana nicchia del mercato delle produzioni culturali perché io per prima voglio contribuire alla nascita di sempre più case di produzione specializzate in arte contemporanea come la mia, anzi meglio della mia, perché questo è un settore che ha bisogno di tanto coraggio tanto lavoro e tanta sperimentazione sul campo per diventare un linguaggio sofisticato ma diffuso comprensibile e, naturalmente, vero. Che cosa ho capito dalla mia esperienza: Un documentario dura mediamente un’ora e nell’era del TikTok per essere interessanti per un’ora intera su un
unico argomento accertati che nel tuo soggetto ci sia abbastanza da raccontare. Per raccogliere sessanta minuti di immagini sensate, ci vogliono circa quattro anni di lavoro, uno soltanto per condividere con l’artista il tuo progetto e ottenere la necessaria credibilità. Se hai fretta, non cominciare nemmeno. Prima che di immagini, un documentario è fatto di parole, quindi di scrittura. Nessuna immagine può esistere se non è prima stata scritta. Ci sei sempre ma di fatto non esisti. Puoi assistere alla realtà perché la vuoi registrare ma non puoi interagire con essa, né alterarla in alcun modo. Per raccontare qualsiasi cosa devi prima averla capita. Se non sai che cosa hai davanti, ancor meno lo sapranno i tuoi spettatori. L’artista non è la sua opera, quindi evita associazioni analogie o similitudini tra l’immagine dell’artista e l’immagine del suo lavoro. Non preoccuparti troppo della coerenza della narrazione, ogni grande artista ha già provveduto a eliminare il superfluo dalla sua vita come dalla sua arte. Astieniti dall’esprimere un tuo punto di vista, se la realtà non ti basta anziché un documentario fai un film. Se girare ti è sembrato difficile è perché ancora non sei entrato in montaggio. Taci e ascolta. Se sei un buon ascoltatore è l’arte stessa che ti dirà come vuole essere raccontata. Milano, 23 settembre 2020 11
as long as it’s true Alessandra Galletta director
reality is not in favor of camera When it comes to documentaries, I’m never critical because I like them all. The mere fact that someone has taken the trouble to show us something would have remained “hidden from view” for those not present at an event, makes me feel privileged and grateful. I like the idea of the image being stolen, the audio distorted, the lighting wrong and that the operator didn’t manage to find two moments to set the white balance. I like it when reality takes place without waiting for, ignoring or even obstructing the camera. I like all of those mistakes which inevitably happen when filming live: technical problems with the camera, operators tripping over something and the subject who somehow is no longer in the frame because he’s wandered off to do something else. Without documentaries, we would have never seen a minute, ever-so-elegant Anna Wintour command tens of professionals in the corridors of Vogue America with one simple look, I would have never accompanied Valentino on a wistful, romantic walk along via Venato and even though no one
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had invited me to the auction of Yves Saint Laurent assets after his death, I watched it, as it was sold piece-by-piece, just the same. I like it when Herzog encounters Gorbachev, when Wenders visits Salgado, when offspring narrate stories about celebrated mothers who aren’t really interested in collaborating with the film, like Franca Sozzani or Benedetta Barzini and when they attempt to tell the story of their fathers, architects like Rem Koolhaas or Louis Kahn. Every documentary contains so much life and so many emotions that I am always deeply struck. I think about it for days, and rare documents I have seen come to mind, private images that suddenly become public domain, and even the silence between one question and another, that moment in which the person being interviewed is thinking about how in heaven’s name to answer without saying something silly or being overcome with emotion. To me, these are productions seem even more heroic because I know, it’s clear for all to see, that no one wanted them to be made. No one wants a movie camera when they are thinking about organizing their day, or making a mistake
when explaining something to collaborators, or when looking for an image or, merely, living their private lives. If the subject is concentrated on doing something, he or she is certainly not very pleased that someone else is concentrated on him or her, it’s irritating and, in that moment, even seems useless. However, it is not useless, to the contrary, it’s fundamental. But this is something that only those who film know, and never those who are being filmed. welcome backstage We are on the Lake of Iseo, in the summer of 2016 when Bulgarian artist Christo realizes a monumental installation which attracted 1.5 million visitors in only sixteen days. Along the long walkway, magic and extasy accompany the steps of visitors who are immersed in poetry and dreams. But it is only when The Floating Piers becomes Walking on Water in the documentary directed by Andrey Paounov that poetry gives way to harsh reality: an internationally renowned artist clashes with the exceedingly limited familiarity with contemporary art of our politicians who frequently
leave him to cool his heels, incomprehensible meetings of the Sebino Lake mayors and hundreds of small and large problems entrusted to the care of a municipal “representative” completely out of his depth in this position. Christo has forgotten about the presence of the movie camera, or perhaps being all too aware of its presence, launches on a tirade against the Italian political system defining us as “incapable, slaves of bureaucracy”, and even brings up his suspicion, verging on an accusation, that local authorities are attempting to speculate on allowing excessive access to the floating bridge. The documentary also reveals the artist’s unwillingness to participate in the lavish banquets offered by sponsors, a bout of bad weather which placed the safety of visitors at risk, the artist’s physical fortitude, the moments of authentic desperation when a little girl apparently disappears in the crowd and the tragi-comic encounter/clash with a well-known collector who, having arriving on site with a horde of assistants and personal secretaries, is treated rather brusquely by the artist who has much better things to do than
bicker with him over the prices and measurements of his highly imaginative drawings which were sold precisely to sustain to costs of the Iseo project. This film about Christo is only one of many happy examples of large and small international productions, that by merely turning on a movie camera, reveal the “behind the scenes” of an art project, amusing or disturbing facts unknown to the general public as well as providing us with an indispensable instrument for understanding the work which certainly requires not only talent but also life, incidents, works, diplomacy, misunderstandings, long waits and a great deal of sweat. It is thanks to documentaries that we can gaze on the Laguna from the window of Emilio Vedova’ studio as the Venetian maestro murmers “… this is the most beautiful place in the world”; that we can be moved during a performance when Marina Abramović’s gaze unexpectedly encounters that of Ulay, the love of her life, after many long years of silence; that we can look at coloured dots as they form on a surface through the subjective shot of Yayoi Kusama precisely during the act of
painting them. However, if merely documenting reality is difficult, documenting the reality of art is almost impossible. This is because the artist has already expressed himself through his work, so who are we to express and translate into another language his already perfect being in the world. thanks for the theft Realizing a documentary about art is a wonderful experience for many reasons. First of all, you can draw up all the production plans you want, but when you are dealing with a real artist, rest assured that he or she will throw a monkey wrench in the works. It’s fantastic because the excuse of filming a documentary entitles you to be constantly in the way and so you find yourself being the first (and, at least until the editing is completed, even the only spectator!) to moments of untold wonder such as: the artist looking at his painting for a total of four hours and thirty five seconds without taking a breath; the artist doesn’t feel like going to his studio so he grants himself a long walk in nature; the artist is about to receive 13
a visit from someone exacting that he needs and so he nervously walks back and forth in the midst of his works attempting to capture the right mood for the encounter. But the best thing of all, is when a person you’ve never met before approaches you after the projection or televised showing of the documentary and says “thank you, now I understand”. Be very wary of the hidden meaning behind this phrase. It does not mean that this person has understood anything that you explained, because you are only a documentary film maker and so you can’t teach anything but, through the images that you have “stolen” from your trusting subject, this person, who thought they hadn’t understood the artist, now “understands”. It is a thanks to the artist and not to you. Documentary after documentary, the only thing you can learn is to avoid some mistakes, to precisely pinpoint your objective, not to get lost in the thousands of images, and not to give in to the temptation of placing yourself between the artist and his work where - I know this is very difficult you simply are not invited. 14
art is not an image My film production company, LaGalla23, is continuously looking for authors, photography directors, sound engineers, editors, composers… who know or, who are at least passionate, about contemporary art. The difficulty in recruiting lies precisely in this subtle, but fundamental “difference”. While it is true that if these professional figures are good, if they are well directed, then any image - be it publicity, fashion, for cinema or the web - can be realized and “processed” well; art, however, is not an image. Sometimes, it seems so much like an image that one imagines it can all be contained in a frame, but it is not that way. If you try, it will not work. I would like to offer a few suggestions to anyone wishing to venture into this strange market niche of cultural productions because I, for one, would like to contribute to the rise of ever more film production companies specialized in contemporary art like mine, or if anything, better than mine because this field requires an abundance of courage, endless work and a great deal of on-site
experimentation in order to obtain a sophisticated, but generally comprehensible and, naturally true language. What I have understood from my experience: On the average, a documentary lasts an hour, and in the age of TikTok in order to be interesting about a single subject for an entire hour, make sure the story of your subject is interesting enough to be told. Gathering sixty minutes of images that make any sense at all requires about four years of work, one just for sharing your project with the artist and establishing the necessary credibility. If you are in a rush, don’t even bother to start. More than images, a documentary is composed of words and, therefore, writing, No image can exist if it hasn’t been written and prepared beforehand. You are always there, but in truth, you don’t exist. You can witness reality because you want to record it, but you cannot interact with it, nor can you alter it in any way. You have to understand something before you can talk about it. If you
don’t know what it is you’re talking about, your spectators will know even less. An artist is not his work therefore avoid making associations or drawing analogies between the artist and the image of his work. Do not be excessively concerned with the coherence of the narration, every great artist has already eliminated the superfluous from his life and from his art. Abstain from expressing your point of view, if reality isn’t enough for you, make a film, not a documentary. If you thought filming was difficult it’s only because you haven’t started editing yet. Be quiet and listen. If you are a good listener, the art will tell you how it wants to be described. Milan, 23 September, 2020
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nel mio film mostro quanto l’arte sia profondamente ancorata alla nostra realtà e alle nostre biografie. in my film I show how deeply art is anchored in our reality and biographies.
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Evelyn Schels regista
Da studente ho visto una mostra dei Macchiaioli a Parigi, che mi ha interessato. Quando ho visto un film su questo movimento artistico al Grand Palais, mi si è aperta una nuova via d’accesso alle opere. Ho capito di più di quest’arte e ne sono stata entusiasta. Da quel momento in poi mi è stato chiaro che volevo fare film sull’arte in cui poter aprire nuove strade allo spettatore. L’arte mi interessa e mi affascina come specchio della realtà sociale e politica. Voglio sapere: come gli artisti affrontano le complesse questioni socio-politiche che ci riguardano? Qual è il loro approccio e quali sono i loro mezzi di espressione? Quali cambiamenti percepiscono o anticipano? Come si libera l’arte da vincoli e norme? Nei miei film cinematografici come Body of Truth o Georg Baselitz voglio risvegliare nello spettatore l’empatia per gli artisti, creando un dialogo tra biografia, lavoro e storia contemporanea. L’esperienza personale degli artisti è al centro di questo dialogo. Come documentarista li accompagno per un periodo di tempo lungo e approfondisco la loro vita e il loro lavoro. In Body of Truth presento quattro artiste che usano la cosa più personale e intima: il loro corpo con tutta la sua vulnerabilità. Per me sono eroine che gestiscono il loro corpo in modo radicale e creano qualcosa di nuovo con un’energia provocatoria. Le loro ferite, che mostrano apertamente, si trasformano in una grande forza, in opere d’arte che ci parlano.
lavoro dell’artista. Sono molto commossa dalla video installazione di Sigalit Landau Barbed Hula, in cui fa oscillare un hulahoop di filo spinato intorno al suo corpo nudo. Un gioco da bambini si trasforma in un simbolo di violenza. Shirin Neshat vive dolorosamente il suo esilio, che elabora nella sua arte. Katharina Sieverding, che è stata nei campi profughi dopo la seconda guerra mondiale, sa cosa vivono oggi gli immigrati. Nel mio film mostro quanto l’arte sia profondamente ancorata alla nostra realtà e alle nostre biografie, quanto emotivamente gli artisti sollevino domande in questo dialogo e soddisfino il nostro desiderio di risposte. Con la loro arte interpretano il mondo che molti di noi stanno vivendo: caratterizzato da una profonda insicurezza dovuta alla crescente minaccia del terrore, dell’impotenza politica e della pandemia. Le artiste incontrano il nostro desiderio di risposte a questi problemi con il linguaggio emotivo dei loro corpi in scena. Con la loro arte sviluppano resistenza e resilienza, di cui tutti - soprattutto ora - abbiamo urgente bisogno.
Le loro storie personali fanno appello alla nostra empatia: l’amato nonno di Marina Abramović, patriarca della Chiesa ortodossa serba, è morto agonizzante. Poiché si rifiutava di obbedire agli ordini del re, gli misero dei frammenti di diamante nel cibo. Un’esperienza di violenza che attraversa il 17
Evelyn Schels director
As a student I saw an exhibition of the Macchiaioli in Paris, which interested me. When I saw a film about this artistic movement at the Grand Palais, a new avenue opened up for me. I understood more about this art and was enthusiastic about it. From that moment on, it was clear to me that I wanted to make films about art in which I could open up new avenues for the viewer. Art interests and fascinates me as a mirror of social and political reality. I want to know: How do artists deal with complex socio-political questions that also concern us? What is their approach and what is their means of expression? What changes do they sense, anticipate? How does art free itself from constraints and norms? In my cinema films like Body of Truth or Georg Baselitz I want to awaken empathy for artists in the viewer by creating a dialogue between biography, work and contemporary history. The personal experience of the artists is at the center of attention. As a documentary filmmaker I accompany them over a longer period of time and gain deep insights into their lives and work. In Body of Truth I introduce four
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artists who use the most personal and intimate thing: their body with all its vulnerability. For me, they are heroines who deal with their bodies in a radical way and create something new with provocative energy. Their wounds, which they openly show, transform them into great strength, into works of art that speak to us. Their personal stories appeal to our sympathy: Marina Abramović’s beloved grandfather, patriarch of the Serbian Orthodox Church, died an agonizing death. Since he refused the king’s order, they mixed diamond shards into his food. An experience of violence that runs through the artist’s work. I am very moved by Sigalit Landau’s video installation Barbed Hula, in which she swings a hulahoop of barbed wire around her naked body. The child’s play turns into a symbol of violence. Shirin Neshat painfully experiences her exile, which she processes in her art. Katharina Sieverding, who was in refugee camps after World War II, knows what immigrants experience today. In my film I show how deeply art is anchored in our reality and in our own biographies, how emotionally the artists raise questions in this
dialogue and meet our longing for answers. With their art they interpret a world that many of us are currently experiencing: characterized by deep insecurity due to the growing threat of terror, political impotence and pandemic. The artists meet our longing for answers to these problems with the emotional language of their staged bodies. With their art they develop resistance, resilience, which we all - especially now - urgently need.
indice / film index
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arte e dintorni / art and environs
archittettura / architecture
Agalma / pag. 24
Just Meet - Tadao Ando / 44
Art21 - Beijing / 25
Miguel Quismondo: Magazzino / 45
Art21 - Borderlands / 26
Renzo Piano. Il potere dell’archivio / 46
Art21 - Krzysztof Wodiczko:
Skyline. Architetti per Milano - Rem Koolhaas / 47
Monument for the Living / 27 Art21 - London / 28 Art21 - Nathalie Djurberg & Hans Berg Share Their Feelings / 29 Body of Truth / 30 Boom for Real: The Late Teenage Years of Jean-Michel Basquiat / 31 Burning Man: Art on Fire / 32 Design is One: Lella & Massimo Vignelli / 33 Emilio Vedova. Dalla parte del naufragio / 34 Ettore Spalletti. / 35 Installing Magazzino / 36 Into the Light with Cité Mémoire / 37 Marcel Duchamp: Art of the Possible / 38 Marinella Senatore. The School of Narrative Dance, Napoli / 39 Ossessione Vezzoli / 40 Sulle tracce di Maria Lai / 41
fotografia / photography Dora Maar, entre ombre et lumière / 50 Elliott Erwitt, Silence Sounds Good / 51 Letizia Battaglia - Shooting the Mafia / 52
arte e dintorni
Agalma Italia, 2020, 54’, italiano regia / direction doriana monaco fotografia / photography doriana monaco montaggio / film editing enrica gatto musica / music adriano tenore
Il film osserva ciò che accade ogni giorno negli ambienti del Museo Archeologico di Napoli soffermandosi sulla quotidianità dei lavoratori alle prese con interventi delicatissimi sui reperti che necessitano di cura e manutenzione costante. Tutto ciò accade mentre giungono visitatori da ogni parte del mondo, popolando le numerose sale espositive sotto l’occhio apparentemente impassibile delle opere protagoniste e spettatrici a loro volta del grande lavorìo umano. Il museo appare come un grande organismo produttivo che rivela la sua natura di cantiere materiale e intellettuale. Agalma (dal greco statua, immagine) coglie la bellezza del museo non solo nell’evidenza della sua eccezionale esposizione dell’arte classica, ma anche nelle relazioni intime che si realizzano al suo interno.
The film observes the daily routine at the Museo Archeologico di Napoli focusing on the everyday activities of workers who delicately handle artefacts which require attention and continuous maintenance. All of this takes place as visitors from all over the world arrive, crowding the numerous exhibit rooms under the apparently unperturbed gaze of the works, protagonists who are, in turn, spectators of the bustling human undertaking. The museum seems like a great productive organism whose true nature as a work site filled with material is revealed. Agalma (from the Greek statue, image) captures the beauty of the museum not only in its extraordinary exhibition of classical art but also in the intimate relationships that come into being within its walls.
Doriana Monaco è nata a Benevento nel 1989. Ha studiato Archeologia e Storia delle arti presso l’Università Federico II di Napoli. Nel 2014 partecipa come assistente alla regia al film Perez di Edoardo De Angelis e nel 2015 dirige il suo primo cortometraggio Anatomia di un pensiero triste. Sempre nel
2015 realizza un cortometraggio all’interno della rassegna Kino Kabaret Napoli, Laziest Girl in Town. Nel 2016 partecipa al percorso formativo Filmap-Atelier del cinema del reale di Arci Movie dove realizza il breve documentario Cronopios.
suono / sound filippo puglia, rosalia cecere voci / voices fabrizio gifuni, sonia bergamasco prodotto da / produced by antonella di nocera, lorenzo cioffi produzione / production parallelo 41 produzioni, ladoc, museo archeologico nazionale di napoli
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Art21 - Beijing Stati Uniti, 2020, 30’, inglese regia / direction bryan chang, vicky du fotografia / photography bryan chang montaggio / film editing bryan chang
Pechino, una città con oltre due millenni di storia, è diventata recentemente oggetto di cambiamenti politici, di una rapida urbanizzazione e di un boom economico che l’hanno resa terreno fertile per l’arte e per gli artisti. Vediamo Xu Bing costruire Background Story, una delle sue installazioni in cui colloca piccoli rami, giornali e frammenti di plastica che, visti attraverso un vetro smerigliato, appaiono come il dipinto di un paesaggio della dinastia Song. Nelle loro sculture e installazioni Song Dong e Yin Xiuzhen utilizzano materiali facilmente reperibili come abiti, tegole, infissi e oggetti domestici. Nel film seguiamo i due artisti mentre installano l’opera The Way of the Chopsticks.
Beijing, a city with a history of more than two thousand years, has recently become the center of shifting politics, rapid urbanization, and an economic boom, making it fertile ground for art and artists. Shown at work in his Beijing studio, Xu Bing constructs one of his Background Story installations, in which he places twigs, newspaper, and scraps of plastic behind frosted glass to create the illusion of a Song Dynasty landscape painting. We follow Song Dong and Yin Xiuzhen as they install their project The Way of the Chopsticks. In their sculptures and installations, both artists work with readily accessible materials, like clothing, roofing tiles, window frames, and household objects.
Bryan Chang è regista, direttore della fotografia e montatore. I suoi documentari sono stati presentati da The New York Times, National Geographic, TIME Magazine, The Atlantic, MoMA, e selezionati dal Sundance Film Festival. Ha diretto il lungometraggio Brasslands e montato Narco Cultura, Dark Money e Island Soldier.
Vicky Du è una regista americana di origine taiwanese e vive a New York. Il suo film Gaysians è stato presentato in oltre 35 festival in tutto il mondo. Ha diretto, prodotto e montato in digitale brevi documentari per il National Geographic, The New York Times, The History Channel e The New Yorker. Attualmente sta realizzando il suo primo lungometraggio.
musica / music joel pickard suono / sound rayell abad, long lv, shi qian, zhou yang produzione / production art21
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Art21 - Borderlands Stati Uniti, 2020, 56’, inglese regia / direction rafael salazar, ava wiland fotografia / photography rafael salazar montaggio / film editing rafael salazar, russell yaffe musica / music joel pickard suono / sound ava wiland produzione / production art21
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La terra di confine tra Stati Uniti e Messico, divisa da un alto muro, è un luogo di conflitti politici e di lotte sociali ma anche di un intenso fermento creativo. Nella performance Metabolizing the Border Tanya Aguiñiga cammina lungo quella linea indossando una tuta con parti in vetro destinate a rompersi per rappresentare, attraverso le ferite sul suo corpo, la violenza del muro. Con il progetto Border Tuner, un enorme sistema di interfono al confine tra El Paso e Juárez, Rafael LozanoHemmer consente a persone di entrambe le parti di parlare e ascoltarsi a vicenda. Richard Misrach fotografa il contrasto tra la mostruosità del muro e gli splendidi paesaggi e con il compositore Guillermo Galindo crea installazioni e performance musicali utilizzando gli oggetti scovati in angoli remoti del deserto. Con interventi sitespecific il collettivo interdisciplinare Postcommodity esamina criticamente le istituzioni e i sistemi politici in relazione alla storia e le prospettive delle popolazioni indigene.
The borderland between the United States and Mexico has long been a site of political conflict and social struggle but also of intense creative ferment. In the performance Metabolizing the Border Tanya Aguiñiga walks along the border wall in a glass suit that is designed to break, in order to express the effects of the wall as wounds on her body. With his project Border Tuner, an enormous intercom system at the border between El Paso and Juárez, Rafael Lozano-Hemmer allows participants from both sides to speak and listen to each other. Richard Misrach photographs the visual contradiction of the ominous wall against beautiful landscapes. With the composer Guillermo Galindo, he creates installations and musical performances that utilize items found in the desert. Through site-specific installations and interventions, the interdisciplinary collective Postcommodity examines critically our institutions and systems through the history and perspectives of Indigenous people.
Ava Wiland e Rafael Salazar co-fondatori della RAVA Films, sono specializzati nella produzione e realizzazione di cortometraggi sull’arte e sugli artisti contemporanei. Collaborano con varie
case di produzione, televisioni e musei tra cui Art21; Arte TV, Francia/Germania; Dipartimento di Stato degli Stati Uniti; TATE; Bronx Museum, Whitney Museum of American Art. Vivono a Brooklyn.
Art21 - Krzysztof Wodiczko: Monument for the Living Stati Uniti, 2020, 4’, inglese regia / direction ian forster fotografia / photography jarred alterman, john marton montaggio / film editing misha spivack musica / music blue dot sessions
L’artista Krzysztof Wodiczko dà voce ai rifugiati in Monument for the Living, un lavoro site-specific commissionatogli nel 2020 per il Madison Square Park di New York. L’artista ha collaborato con dodici rifugiati reinsediati negli Stati Uniti, provenienti dall’Africa, dall’America centrale, dall’Asia meridionale e dal Medio Oriente, li ha filmati mentre raccontavano le loro storie proiettando poi le loro immagini sulla statua del 1881 dell’ammiraglio David Glasgow Farragut, considerato un eroe della Guerra Civile. I paesi d’origine dei partecipanti hanno subito le stesse devastazioni della Guerra Civile americana che ha spinto milioni di persone a lasciare le loro case. La proiezione incoraggia gli spettatori a riflettere su come la storia possa essere ricordata attraverso i monumenti storici, e la statua di Farragut, quasi dimenticata dopo centocinquant’anni, restituisce nuova voce alla memoria.
Video artist Krzysztof Wodiczko gives voice to refugees with the Monument for the Living, his 2020 site-specific commission for Madison Square Park in New York City. The artist collaborated with twelve refuges from Africa, Central America, South Asia and the Middle East who were resettled in the United States. He filmed them as they told their stories and then projected their images on an 1881 statue of Admiral David Glasgow Farragut, considered a hero of the American Civil War. The native countries of the participants have undergone the same devastation as the American Civil War which forced millions of persons to leave their homes. The projection of this film encourages spectators to reflect on how history can be remembered through historical monuments and the statue of Farragut, almost forgotten after 125 years, gives memory a new voice.
Ian Forster è un produttore e regista di New York specializzato in documentari sull’arte e sugli artisti. Dal 2009 lavora ad Art21 dove inizialmente ha collaborato al film vincitore del Peabody Award
William Kentridge: Anything Is Possible e in seguito a cinque stagioni di Art in the Twenty-First Century. Recentemente ha diretto e prodotto gli episodi di London e Johannesburg.
produzione / production art21
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Art21 - London Stati Uniti, 2020, 56’, inglese regia / direction ian forster fotografia / photography andrew kemp montaggio / film editing morgan riles
Gli artisti presentati in questo film affrontano le ripercussioni del colonialismo e della xenofobia in un momento di grandi sconvolgimenti politici ispirandosi all’opera dei maestri britannici che li hanno preceduti. Anish Kapoor trasforma poeticamente l’acciaio, la pietra e la cera traducendoli in forme trascendenti. Phyllida Barlow utilizza cemento, tessuto, gesso, compensato e metallo per creare sculture e installazioni colossali che sfidano gli spazi. Il rivoluzionario cineasta John Akomfrah crea enormi installazioni video unendo filmati e audio originali e d’archivio. Christian Marclay lavora con l’interazione di suoni e immagini attraverso una varietà di linguaggi che vanno dalla performance all’incisione, dal video al collage.
The artists featured in this film draw inspiration from decades of British art while contending with the repercussions of colonialism and xenophobia, brought to light at a time of massive political upheaval in the country. Anish Kapoor poetically transforms stainless steel, stone, and wax into transcendent forms. Phyllida Barlow has experimented with materials like cement, fabric, plaster, plywood, and metal to create colossal sculptures and installations that challenge spaces. The groundbreaking filmmaker John Akomfrah creates enormous video installations that blend archival and original footage and audio. Christian Marclay works with the interplay of sound and images through a variety of media ranging from performance to printmaking, video, and collage.
Ian Forster è un produttore e regista di New York specializzato in documentari sull’arte e sugli artisti. Dal 2009 lavora ad Art21 dove inizialmente ha collaborato al film vincitore del Peabody Award
William Kentridge: Anything Is Possible e in seguito a cinque stagioni di Art in the Twenty-First Century. Recentemente ha diretto e prodotto gli episodi di London e Johannesburg.
musica / music joel pickard suono / sound simon forrester, tim hodge, sean millar produzione / production art21
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Art21 - Nathalie Djurberg & Hans Berg Share Their Feelings Stati Uniti, Germania, 2020, 6’, inglese regia / direction danielle brock, ian forster fotografia / photography giuseppe malpasso, rafael salazar
Il lavoro degli artisti svedesi Nathalie Djurberg e Hans Berg esplora il subconscio dei desideri umani attraverso la patina di una fiaba infantile. Nathalie realizza figure di argilla colorata che fotografa meticolosamente per realizzare i suoi film in stop-motion. L’artista drammatizza il carattere perverso dei personaggi costituiti da persone, animali e oggetti. Affondando le proprie radici nella musica elettronica, Hans realizza le composizioni e le sonorità atmosferiche che danno vita alle animazioni. Insieme, costruiscono elaborati ambienti immersivi che sposano immagini in movimento con spartiti musicali ipnotici. A volte da incubo e grotteschi, i loro film sono impregnati di oscuro senso dell’umorismo e di profondità emotiva.
The work of Swedish artists Nathalie Djurberg and Hans Berg explores the subconscious of human desires through the patina of a child’s fairy tale. Nathalie creates colored clay figures which she meticulously photographs to realize her films in stop-motion. The artist dramatizes the perverse character of her figures consisting of persons, animals and objects. Hans, whose roots lie in electronic music, realizes the compositions and the atmospheric sound effects which give life to the animations. Together they construct elaborate immersive settings which unite images in movement with hypnotic musical scores. Occasionally nightmarish and grotesque, their films are imbued in an obscure sense of humor and emotional intensity.
Danielle Brock è assistente curatrice presso Art21 dove collabora all’organizzazione delle diverse serie di documentari. Produce programmi e contenuti editoriali sull’arte e gli artisti contemporanei.
sull’arte e sugli artisti. Dal 2009 lavora ad Art21 dove inizialmente ha collaborato al film vincitore del Peabody Award William Kentridge: Anything Is Possible e in seguito a cinque stagioni di Art in the Twenty-First Century. Recentemente ha diretto e prodotto gli episodi di London e Johannesburg.
montaggio / film editing thomas niles musica / music joel pickard produzione / production art21
Ian Forster è un produttore e regista di New York specializzato in documentari
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Body of Truth Germania, Svizzera, 2019, 96’, inglese regia / direction evelyn schels fotografia / photography börres weiffenbach montaggio / film editing ulrike tortora
Il film presenta quattro artiste che lavorano con il proprio corpo secondo modalità molto diverse tra loro. Originaria di Belgrado, la performer Marina Abramović affronta temi come la violenza, il dolore e il lutto vissuti durante la guerra dei Balcani. La videoartista e fotografa iraniana in esilio Shirin Neshat combatte le contraddizioni della società islamica considerando il corpo femminile come il campo di battaglia delle ideologie politiche. Il lavoro della fotografa tedesca Katharina Sieverding indaga gli effetti dei regimi dittatoriali sull’individuo, dall’era nazista fino ai nostri giorni. La videoartista e scultrice Sigalit Landau rivive il dolore della guerra in Medio Oriente ferendosi con il filo spinato.
The film presents four women artists who work with their bodies in very diverse ways to make art. Originally from Belgrade, performance artist Marina Abramović repeatedly deals with the violence, pain, and grief indirectly experienced during the Balkan wars. Exiled Iranian photo and video artist Shirin Neshat grapples with Islamic society’s contradictions and regards the female body as a battleground of political ideologies. German photographer Katharina Sieverding’s work addresses fascist structures from the Nazi era until our present time. Israeli video artist and sculptor Sigalit Landau focuses on the context of daily war in the Middle East injuring her body with barbed wire.
Evelyn Schels vive e lavora tra Monaco e Parigi. È autrice e regista e ha insegnato all’Università di Cinema e Televisione di Monaco. Tra i suoi documentari ricordiamo: Georg Baselitz; Salt in the Mokka, una famiglia di immigrati turchi in Germania; And Love Comes Later, una famiglia algerina immigrata in Francia; But the
Longing Remains, tre generazioni di donne in una famiglia ungherese; Time of Hope, tre generazioni di donne in una famiglia portoghese. Inoltre i ritratti Back from Terror; My Hardest Fight - Rola el Halabi; Pola Kinski - The Touched One; Per Kirkeby; Amedeo Modigliani; Henri Matisse.
musica / music christoph rinnert produzione / production indi film gmbh, arek gielnik, sonia otto, doklab gmbh
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Boom for Real: The Late Teenage Years of Jean-Michel Basquiat Stati Uniti, 2017, 80’, inglese
Il documentario racconta l’adolescenza di Jean-Michel Basquiat trascorsa a New York negli anni 1978-1981: uno sguardo sui movimenti che lo hanno ispirato in un contesto violento e in crisi economica, sulla sua amicizia con Al Diaz con il quale inizia a realizzare graffiti per le strade di New York firmandosi SAMO, acronimo di “Same Old Shit” (“solita vecchia merda”), propagandando con bomboletta spray e pennarello indelebile idee ermetiche, rivoluzionarie e a volte insensate. Tutto ciò che accadeva in città lo stimolava: la politica, l’hip-hop, il punk rock, i problemi razziali, il mondo dell’arte.
The documentary tells the story of Jean-Michel Basquiat’s adolescence, spanning the years 1978-1981, which he spent in New York City: a view of the movements that inspired him in a violent context and in the midst of an economic crisis, his friendship with Al Diaz with whom he began drawing graffiti on the streets of New York which was signed SAMO, acronym for “Same Old Shit”, using spray paint and indelible ink to propagate obscure, revolutionary and, occasionally, senseless ideas. Everything that was taking place in the city stimulated him: politics, hip-hop, punk rock, racial problems and the world or art.
Sara Driver è una regista americana indipendente. Ha adattato il film tratto dal racconto breve di Paul Bowles You Are Not I. Il suo primo film, Sleepwalk, ha partecipato a festival prestigiosi e vinto vari premi. Ha realizzato inoltre: When
pigs fly, con Marianne Faithfull e Alfred Molina; Permanent Vacation; Stranger Than Paradise e firmato la produzione di due video musicali di Tom Waits e Jim Jarmusch.
regia / direction sara driver fotografia / photography adam benn montaggio / film editing adam kurnitz musica / music anthony roman produzione / production hells kitten productions, faliro house, le pacte, leopardo filmes, bunny lake films distribuzione / distribution feltrinelli real cinema, wanted cinema
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Burning Man: Art on Fire Regno Unito, 2020, 60’, inglese regia / direction gerald fox fotografia / photography jonathan clark montaggio / film editing robin whalley, una burnand, caroline clark, drew hill, william winfield, john street musica / music häana suono / sound lucas cyril plouviez produzione / production sophia swire
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Burning Man è una manifestazione di otto giorni che si svolge ogni anno dal 1991 a Black Rock City, una città immaginaria che vive solo per la durata dell’evento sulla distesa salata del deserto del Nevada. Il nome Burning Man deriva dal rituale del sabato notte che consiste nell’incendiare un grande fantoccio di legno. Il fondatore Larry Harvey, morto solo qualche mese prima delle riprese, lo ha immaginato come un luogo dedicato alla comunità, all’arte, all’espressione personale e all’autosufficienza. Nel film seguiamo il viaggio degli artisti Arthur Mamou-mani, Andrew Johnstone, Dana Albany, Peter Hazel, Shane Evans, Kate Raudenbush che affrontano tempeste di sabbia e tempistiche temerarie per portare le loro enormi installazioni nel deserto. Li seguiamo per settimane mentre immaginano, costruiscono e alla fine bruciano le loro opere.
Burning Man is an eight-day event which has taken place every year since 1991 in Black Rock City, an imaginary city which only comes to life for the duration of the event on the salty expanse of the Nevada Desert. Its name originates from a Saturday night ritual of burning a large wooden sculpture of a man. Larry Harvey, the founder who died only months before filming began, envisaged it as an event dedicated to the community, to art, to selfexpression and to self-reliance. In the film, we follow artists Arthur Mamou-mani, Andrew Johnstone, Dana Albany, Peter Hazel, Shane Evans and Kate Raudenbush as they combat sand storms and meet seemingly impossible deadlines in order to bring their enormous installations to the desert location. We watch them for weeks as they imagine, construct and, ultimately, burn their works.
Gerald Fox è un regista e artista visivo inglese. Nel corso della sua carriera ha realizzato film su alcuni dei più noti artisti contemporanei come Gilbert & George, Claes Oldenburg, Christian Boltanski, Marc Quinn, Gerhard Richter, Bill Viola, oltre a vari film sulla danza, il cinema e
la musica. Ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti fra cui un BAFTA; il Royal Television Society Best Arts Film; il Grierson Best Arts Documentary; Grand Prize al FIFA di Montreal; il Prix Italia e l’Orso d’oro di Chicago.
Italiani di nascita, Lella e Massimo Vignelli sono considerati tra i più influenti designer al mondo. Nel corso della loro lunga carriera, il loro motto è stato: “Se non riesci a trovarlo, progettalo”. La loro opera spazia dal design alla grafica all’architettura. Tra i loro progetti più noti il logo della Ford e dell’American Airlines, la Poltrona Frau, la mappa della metropolitana di New York. Il film ci introduce nel loro lavoro e nella loro vita privata.
Italian-born Lella and Massimo Vignelli are considered to be among the world’s most influential designers. During the course of their long careers, their motto has been: “If you can’t find it, design it”. Their work runs the gamut from design and graphics to architecture: among their most well-known projects are the logos for Ford and American Airlines, Poltrona Frau and the New York City Subway map. The film introduces us to their work and their private lives.
Kathy Brew e Roberto Guerra hanno realizzato insieme documentari sull’arte e a sfondo sociale dal 1997 al 2013 portando ognuno la propria vasta esperienza personale nel campo della produzione cinematografica. Hanno ricevuto due Emmy
per Outstanding Fine Arts Programming. Dopo la prematura scomparsa di Guerra nel 2014, Kathy Brew continua nel suo lavoro. Il suo primo video del 1990, Mixed Messages, è stato recentemente proiettato al 2020 International Film Festival di Rotterdam.
Design is One: Lella & Massimo Vignelli Stati Uniti, 2012, 80’, inglese regia / direction kathy brew, roberto guerra fotografia / photography roberto guerra, courtney harmel montaggio / film editing kathy brew, roberto guerra musica / music pauchi sasaki suono / sound paul geluso produzione / production roberto guerra, kathy brew
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Emilio Vedova. Dalla parte del naufragio Italia, 2019, 68’, italiano regia / direction tomaso pessina
Realizzato in occasione del centenario della nascita di Emilio Vedova (Venezia 1919-2006), il documentario ripercorre la straordinaria vicenda umana e artistica del grande pittore attraverso le pagine dei suoi diari, rari materiali di archivio e preziosi contributi di artisti, curatori, collaboratori e amici. Il racconto è scandito dai passaggi fondamentali della storia politica, sociale e dell’arte del ventesimo secolo e sullo sfondo di una Venezia quasi eterea, restituisce, grazie all’appassionata interpretazione di Toni Servillo e al dialogo quasi personale e diretto con Vedova, la profonda personalità e il tratto potente di uno degli artisti più significativi del Novecento.
Realized on the occasion of the centennial of the birth of Emilio Vedova (Venice 1919-2006), this documentary retraces the extraordinary human and artistic events in the life of the great painter through the pages of his diaries, rare archive materials and the invaluable contribution of artists, curators, collaborators and friends. The account is marked by the fundamental passages of twentieth-century political, social and art and is set against the background of an almost ethereal Venice. Thanks to Toni Servillo’s impassioned interpretation and an almost personal, direct dialogue with Vedova, the film restores the profound and powerful personality of one of the twentieth century’s most significant artists.
Tomaso Pessina è regista e sceneggiatore. Vive e lavora a Milano. La sua formazione si svolge tra i corsi di Cinema alla New York University e soprattutto tra i set cinematografici a fianco del suo maestro Pupi Avati ma anche di Giulio Manfredonia,
Antonio Albanese e altri. Tornato a Milano fonda Twin Studio insieme a Elena Pedrazzini producendo progetti per il mondo della moda e dell’arte. Gira numerosi video e documentari tra Italia, Europa, America e Cina.
fotografia / photography michele vairo, lucio pontoni montaggio / film editing olga stopazzolo musica / music sample suono / sound matia strang produzione / production fondazione emilio e annabianca vedova distribuzione / distribution wanted cinema
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Ettore Spalletti. Italia, 2019, 90’, italiano regia / direction alessandra galletta fotografia / photography andrea giannone, domenico catano, alejandro lightowler stahlberg, pietro daviddi, matilde sambo, alessandro petrini
Il documentario racconta la realtà quotidiana di Ettore Spalletti, metodica, contemplativa, quasi immobile nei luoghi dove ha vissuto e che lo hanno ispirato come Pescara, la sua casa a Spoltore, lo studio a Cappelle sul Tavo, le montagne, il mare e il cielo d’Abruzzo; svela anche la sua immagine pubblica attraverso le numerose mostre presentate in grandi gallerie e musei internazionali. Incontriamo Spalletti a Roma, Napoli, Bologna, Parigi, Londra, Madrid, Strasburgo, partendo e tornando là dove tutto è incominciato. Intervengono lo storico dell’arte Germano Celant, il padre gesuita Andrea Dall’Asta, il direttore della Marian Goodman Gallery, Andrew Leslie Heyward, e le galleriste Lia Rumma e Benedetta Spalletti.
The documentary reveals the daily life of Ettore Spalletti, methodical, contemplative, almost motionless in the places where he lived and which inspired him such as Pescara, his house in Spoltore, his studio in Cappelle sul Tavo, the mountains, the sea and the sky of Abruzzo; it also spotlights his public image through the numerous exhibitions presented in leading international galleries and museums. We encounter Spalletti in Rome, Naples, Bologna, Paris, London, Madrid and Strasbourg, departing from and returning to the place where it all began. The German art historian Germano Celant, the Jesuit father Andrea Dall’Asta, the director of the Marian Goodman Gallery, Andrew Leslie Heyward, and gallery owners Lia Rumma and Benedetta Spalletti all take part.
Alessandra Galletta. Dopo anni di attività come critica d’arte e curatrice, nel 1994 inizia la sua carriera nell’audiovisivo curando ideazione e realizzazione di servizi e programmi culturali per diverse reti televisive nazionali pubbliche e private. Collabora con Artribune.com e Flashartonline.it. Dal 2012 realizza documentari monografici su importanti artisti contemporanei come Tomás
Saraceno, I Fratelli Campana, Adrian Paci, H.H. Lim, Qiu Zhijie. Ha ideato, diretto e prodotto il format televisivo Skyline – Architetti per Milano, sei monografie di 26’ dedicate agli architetti internazionali che hanno trasformato lo skyline di Milano in occasione di Expo 2015. Ha scritto e diretto il docufilm Ossessione Vezzoli, dedicato all’artista italiano di fama internazionale Francesco Vezzoli (2016).
montaggio / film editing andrea giannone, maria teresa soldani musica / music ludovico einaudi, stefano tore suono / sound stefano diso produzione / production lagalla23 productions
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Installing Magazzino Stati Uniti, 2020, 10’, inglese
Entriamo dietro le quinte dell’esposizione Margherita Stein: Rebel with a Cause, la mostra inaugurale di Magazzino Italian Art, un museo e centro di ricerca dedicato all’arte italiana dal dopoguerra ad oggi aperto nel 2017 nella valle del fiume Hudson. Mentre l’installazione dei capolavori di artisti come Mario e Marisa Merz, Boetti, Anselmo, Paolini, Zorio, Penone, Fabro e Calzolari prende gradualmente forma, ascoltiamo il racconto del processo di realizzazione della mostra dalla voce di Gabriella Perez, Collection Manager del museo.
We go behind-the-scenes of the Margherita Stein: Rebel with a Cause exhibition, the first show inaugurated by Magazzino Italian Art, a museum and research center dedicated to Italian art from the post-war period to the present day, opened in 2017 in the Hudson River Valley. As the installation of masterpieces of artists such as Mario and Marisa Merz, Boetti, Anselmo, Paolini, Zorio, Penone, Fabro and Calzolari gradually take form, the voice of Gabriella Perez, the Museum’s Collection Manager explains the process involved in setting up the exhibit.
Domenico Palma. Cineasta e docente di Storia delle arti visive e Storia del cinema, realizza documentari e film sull’arte contemporanea. Il focus delle sue produzioni sono il racconto e la documentazione delle fasi della realizzazione delle opere, in particolare site-specific, di performance e installazioni.
Collabora con numerosi musei, fondazioni e gallerie. Ha realizzato film sulle mostre e sul lavoro di artisti quali Carl Andre, Francesco Arena, Alberto Giacometti, Josef Albers, Michelangelo Pistoletto, VALIE EXPORT, Francesco Vezzoli, Pawel Althamer, John Armleder, Anna Maria Maiolino.
regia / direction domenico palma fotografia / photography domenico palma, santiago torresagasti, william zullo, mattia palombi montaggio / film editing domenico palma musica / music alan spiljak, chad crouch, lubomyr melnyk produzione / production magazzino italian art foundation
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Into the Light with Cité Mémoire è un progetto di arte pubblica che ci fa magicamente volare su Montréal rivelando la storia della città attraverso proiezioni di grandi dimensioni sui muri degli edifici, obbligando i passanti a rallentare e a guardare in alto, mentre i personaggi del passato si animano, toccandoci profondamente con le loro storie umane.
Into the Light with Cité Mémoire is a public art project which, allowing us to magically soar over Montréal, reveals the city’s history through gigantic projections on the buildings of the old city impelling passersby to slow down and look up as personalities from the past come back to life and touch us deeply with their human stories.
Janice Zolf è regista e scrittrice. I suoi documentari sull’arte, la musica e il design hanno vinto numerosi premi e riconoscimenti internazionali e sono stati presentati in festival in Italia, Belgio e Gran Bretagna e trasmessi da varie emittenti televisive. Tra i suoi film Michael
Bublé: Audacious; Revealing Marie Saint Pierre, un film sulla nota stilista canadese e sull’influenza che l’artista Jean-Paul Riopelle ha avuto sulle sue creazioni; Mu, una grande iniziativa di arte muraria a Monreal.
Into the Light with Cité Mémoire Canada, 2020, 44’, inglese regia / direction janice zolf fotografia / photography jean-françois lemire montaggio / film editing annie leclair musica / music luc st.pierre suono / sound daniel toussaint produzione / production films du rapide-blanc, janice zolf productions
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Il film indaga la vita e la filosofia di Marcel Duchamp, uno dei più influenti artisti del primo Novecento, e ne analizza il pensiero sia in relazione agli eventi storici che all’esplosione modernista dell’inizio del XX secolo. Art of the Possible non è una semplice ricostruzione biografica ma mostra come le idee rivoluzionarie di Duchamp abbiano modificato la coscienza pubblica e la nostra stessa concezione dell’estetica, dell’arte e della cultura.
The documentary explores the life and philosophy of Marcel Duchamp, one of the most influential early 20th century artists, and breaks down his ideas in relation to both the historical events and the early 20th century modernist explosion. Art of the Possible isn’t simply a biographical reconstruction; rather, the film shows how Duchamp’s revolutionary ideas changed the public consciousness and our understanding of aesthetics, art, and culture.
Matthew Taylor è regista, artista e fotografo. Ha girato film in 25 paesi in tutto il mondo tra cui Argentina, Guatemala, Polonia, Italia, Francia, Germania e Albania. Ha condotto interviste a personaggi come Jeff Koons, Michel Gondry, Lech Walesa, Walter Isaacson, Vaclav Havel, Marina
Abramović e molti altri. Ama curare ogni aspetto della produzione cinematografica, dalla regia, alla direzione della fotografia, al montaggio. Ha partecipato a trasmissioni televisive, prodotto spot pubblicitari e lavorato sulle strategie di branding e messaggistica. Vive e lavora a New York.
Marcel Duchamp: Art of the Possible Stati Uniti, 2019, 90’, inglese regia / direction matthew taylor fotografia / photography matthew taylor montaggio / film editing matthew taylor musica / music jay smith suono / sound ott house audio produzione / production electrolift creative
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Marinella Senatore. The School of Narrative Dance, Napoli Italia, 2020, 12’, italiano regia / direction domenico palma fotografia / photography michele cherchi palmieri
Il video fa luce su alcuni temi chiave del progetto The School of Narrative Dance attraverso la voce della sua ideatrice Marinella Senatore. L’artista racconta di come la scuola nomade fondata nel 2013, si concentri sul concetto di “assemblea” e di creazione collettiva promuovendo un sistema didattico basato sull’emancipazione, l’inclusione e l’autoformazione. Una scuola che continua a viaggiare e che ha attraversato finora oltre 15 paesi del mondo e coinvolto circa 5 milioni di persone tra attivisti, lavoratori, danzatori, coreografi, attori, poeti, sia dilettanti che professionisti, in un’atmosfera di condivisione del sapere. Mentre l’artista parla scorrono le immagini della performance itinerante realizzata a Napoli nel settembre 2019.
Through the voice of its founder Marinella Senatore, the video focuses on a few key themes of The School of Narrative Dance project. The artist describes how the nomadic school, founded in 2013, centres on the concept of “assembly” and collective creation which promotes an educational system based on emancipation, inclusion and self-cultivation. A school which continues to travel and has, until now, worked in more than 15 countries in the world and involved some 5 million persons including activists, both amateur and professional workers, dancers, choreographers, actors and poets in an atmosphere of shared knowledge. As the artist speaks, scrolling across the screen are images from the itinerant performance held in Naples in September of 2019.
Domenico Palma. Cineasta e docente di Storia delle arti visive e Storia del cinema, realizza documentari e film sull’arte contemporanea. Focus delle sue produzioni sono il racconto e la documentazione delle fasi della realizzazione di opere, in particolare site-specific, di performance e installazioni. Collabora con numerosi
musei, fondazioni e gallerie. Ha realizzato film sulle mostre e sul lavoro di artisti quali Carl Andre, Francesco Arena, Alberto Giacometti, Josef Albers, Michelangelo Pistoletto, VALIE EXPORT, Francesco Vezzoli, Pawel Althamer, John Armleder, Anna Maria Maiolino.
montaggio / film editing domenico palma colonna sonora / soundtrack emiliano branda, marinella senatore, sveva d’antonio produzione / production collezione agovino
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Ossessione Vezzoli Italia, 2016, 80’, italiano, inglese regia / direction alessandra galletta fotografia / photography andrea giannone montaggio / film editing vincenzo casuccio, andrea giannone musica / music gianluca andreucci, stefano diso, riccardo cocozza suono / sound start srl produzione / production vulcano unità di produzione contemporanea
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Il documentario racconta in presa diretta due anni della carriera di Francesco Vezzoli, dal 2013 al 2015, tra mostre personali in prestigiosi musei e manifestazioni di arte contemporanea: dal Museo MAXXI di Roma al MOCA di Los Angeles, dalla Biennale di Architettura di Venezia al Pitti di Firenze, dal Doha Qatar Museum of Modern Art al MoMA PS1 di New York, fino all’Aurora Museum di Shanghai. Il racconto dei lavori e dei progetti più importanti della sua carriera viene arricchito dal commento di esponenti della cultura internazionale come il filosofo francese Bernard-Henri Lévy, il direttore di W Magazine Stefano Tonchi, il direttore del MOCA Philippe Vergne, il direttore del MoMA PS1 Klaus Biesenbach, l’artista Cindy Sherman.
The documentary was filmed live and traces two years of Francesco Vezzoli’s career, from 2013 to 2015, and his solo exhibitions in prestigious museums and contemporary art events: from the MAXXI Museum in Roma, the MOCA in Los Angeles, the Venice Architecture Biennale, the Pitti in Florence, the Doha Qatar Museum of Modern Art, the MoMA PS1 in New York to the Aurora Museum in Shanghai. The account of the most important works and projects of his career are embellished by the comments of international cultural exponents including the French philosopher Bernard-Henri Lévy; the director of W Magazine Stefano Tonchi; the director of MOCA Philippe Vergne; the director of MoMA PS1 Klaus Biesenbach and artist Cindy Sherman.
Alessandra Galletta. Dopo anni di attività come critica d’arte e curatrice, nel 1994 inizia la sua carriera nell’audiovisivo curando ideazione e realizzazione di servizi e programmi culturali per diverse reti televisive nazionali pubbliche e private. Collabora con Artribune.com e Flashartonline.it. Dal 2012 realizza documentari monografici su importanti
artisti contemporanei come Ettore Spalletti, Tomás Saraceno, I Fratelli Campana, Adrian Paci, H.H. Lim, Qiu Zhijie. Ha ideato, diretto e prodotto il format televisivo Skyline – Architetti per Milano, sei monografie di 26’ dedicate agli architetti internazionali che hanno trasformato lo skyline di Milano in occasione di Expo 2015.
Sulle tracce di Maria Lai Italia, 2020, 56’, italiano regia / direction maddalena bregani fotografia / photography gaetano crivaro, nicola contini, davide rusconi, stefano santamato, stefano totaro montaggio / film editing pietro daviddi musica / music paolo angeli, paolo fresu, eugenio mazzetto, marisa sannia, stefano tore suono / sound edoardo sirocchi, luca discenza, matteo incollu, davide rusconi, stefano santamato produzione / production lagalla23 productions
Il film è un racconto circolare che inizia e termina a Ulassai, il villaggio nel cuore selvaggio della Sardegna dove Maria Lai (1919-2013) è nata e dove è tornata a vivere negli ultimi anni della sua vita. È la ricostruzione della sua straordinaria figura di donna e artista attraverso le voci della nipote, di amici, collaboratori, artisti, storici dell’arte. È la scoperta di una produzione artistica ricchissima e unica: dal naturalismo degli esordi, alla svolta degli anni Sessanta con i Telai, le Tele cucite, le Geografie, fino a Legarsi alla montagna, l’azione collettiva realizzata con i cittadini di Ulassai nel 1981. È un viaggio in Ogliastra, dove Maria Lai continua a vivere nella memoria degli abitanti di Ulassai, nel Museo Stazione dell’Arte, nelle opere di arte pubblica disseminate nel paese.
The film is a circular account which begins and ends at Ulassai, the village in the wildest heartland of Sardinia where Maria Lai (19192013) was born and where she returned to live the last years of her life. In the film, the voices of her niece, friends, collaborators, artists and art historians reconstruct this extraordinary figure of a woman and an artist as we discover her copious, unique artistic production. From the naturalism at the start of her career, to her turnabout during the Sixties with Telai, Tele cucite, Geografie up until Legarsi alla montagna, a community action realized with the citizens of Ulassai in 1981. It is a journey to Ogliastra, where the memory of Maria Lai is still very strong for the inhabitants of Ulassai, in the Museo Stazione dell’Arte and in the works of public art found in various sites throughout the city.
Maddalena Bregani nata Milano 1957, da oltre trent’anni si occupa di ricerca, produzione culturale e comunicazione. È stata redattrice e autrice di programmi culturali per RaiTre, Canale 5 e Italia Uno. È co-fondatrice di Multiplicity, agenzia di ricerca sullo spazio urbano. Nel 2012 ha curato, con Camilla Invernizzi, InsideOut/ L’Italia sono anch’io, un progetto di arte
pubblica dello street-artist JR, e nel 2013 InsideOut/Scuole realizzato in dieci scuole superiori della Lombardia. Ha collaborato con LaGalla23 a diversi progetti tra cui i documentari Skyline-Architetti per Milano, 2015; Televezzoli - Francesco Vezzoli alla Fondazione Prada, 2017; Ettore Spalletti. Così com’è, 2019. 41
architettura
Just meet Tadao Ando Messico, 2017, 53’, giapponese, inglese
Tadao Ando, uno degli architetti più autorevoli e riconosciuti a livello internazionale, ci guida in un viaggio intimo, dal suo studio in Giappone alla costruzione di Casa Wabi nella periferia di Puerto Escondido in Messico. Ando realizza in questo progetto un equilibrio armonioso tra tradizionalismo locale e architettura modernista, enfatizzando le favorevoli condizioni dell’ambiente naturale; utilizza il cemento, suo materiale d’elezione, ispirandosi a una delle costruzioni più iconiche e rustiche della regione, la palapa, un padiglione in stile messicano con lati aperti e un tetto di foglie di palma essiccate.
Tadao Ando, one of the world’s most influential, recognized architects, guides us on an intimate journey from his studio in Japan to the construction of Casa Wabi on the outskirts of Puerto Escondido in Mexico. In this project, Ando has attained a harmonious balance between local traditionalism and modern architecture, emphasizing the favorable conditions of the natural environment: he uses cement, his elected material, inspired by one of the region’s most iconic and rustic constructions: la palapa, an open-sided, Mexicanstyle pavilion with a thatched roof made of dried palm leaves.
Fernanda Romandía è nata a Città del Messico nel 1973 e ha studiato fotografia e cinematografia. Ha collaborato a diversi corti e lungometraggi come direttrice della fotografia e ha diretto due cortometraggi selezionati in vari festival internazionali e
alla XII Biennale di Fotografia di Città del Messico. Attualmente lavora ad alcuni progetti come fotografa e direttrice della fotografia e alla realizzazione di due documentari.
regia / direction fernanda romandía fotografia / photography fernanda romandía, lorenzo hagerman, joaquín del paso, pedro gonzáles rubio, emilio azcárraga, alejandro blásquez, sebastián hoffman montaggio / film editing pedro g. garcía, fernanda romandía musica / music cheba blendi, alejandro magaña suono / sound martin delgado, rodrigo j. de vega, maría luz orozco, miguel bonilla produzione / production mantarraya producciones
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L’architetto spagnolo Miguel Quismondo spiega come ha trasformato un vecchio magazzino agricolo degli anni Sessanta a Cold Spring, NY, nel museo Magazzino Italian Art che fa da cornice alla collezione Olnick-Spanu, una delle più importanti collezioni di arte italiana del secondo dopoguerra negli Stati Uniti.
Spanish architect Miguel Quismondo explains how he transformed an old, agricultural warehouse from the Sixties in Cold Spring, NY, into Magazzino Italian Art museum housing the OlnickSpanu collection, one of the most important Post-WW II Italian Art collections in the United States.
Domenico Palma. Cineasta e docente di Storia delle arti visive e Storia del cinema, realizza documentari e film sull’arte contemporanea. Focus delle sue produzioni sono il racconto e la documentazione delle fasi della realizzazione delle opere, in particolare site-specific, di performance e installazioni. Collabora con numerosi
musei, fondazioni e gallerie. Ha realizzato film sulle mostre e sul lavoro di artisti quali Carl Andre, Francesco Arena, Alberto Giacometti, Josef Albers, Michelangelo Pistoletto, VALIE EXPORT, Francesco Vezzoli, Pawel Althamer, John Armleder, Anna Maria Maiolino.
Miguel Quismondo: Magazzino Stati Uniti, 2020, 8’, inglese regia / direction domenico palma riprese / shooting domenico palma, santiago torresagasti, william zullo, mattia palombi, hunter herrick fotografia / photography marco anelli, javier callejas, montse zamorano montaggio / film editing domenico palma musica / music jonathan haidle, chad crouch produzione / production magazzino italian art foundation
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Renzo Piano. Il potere dell’archivio Italia, 2018, 35’, italiano, inglese regia / direction francesca molteni sceneggiatura / screenplay fulvio irace fotografia / photography alvise tedesco, gabriele sossella, mario flandoli, stefano slocovich, andrea fumagalli, rocco contini
Un’immersione nell’archivio della Fondazione Renzo Piano fra schizzi, modelli, disegni, ospitati a Genova nei 3000 mq di una fabbrica riconvertita, che riflettono l’identità e il pensiero dell’architetto e il suo metodo progettuale. Luogo di sperimentazione, l’archivio è la metafora di un porto di mare, dove i materiali vanno e vengono portando con sé qualcosa di nuovo. Insieme alle testimonianze dei curatori dell’Archivio, ascoltiamo le voci dello stesso Renzo Piano, di Milly Rossato Piano e Lia Piano, architetti associati, e ripercorriamo con loro la genesi di alcuni progetti come il Palazzo di Giustizia e il Centre George Pompidou a Parigi, il Manhattanville Campus della Columbia University, la Morgan Library e il palazzo del New York Times a New York.
A plunge into the Fondazione Renzo Piano archives in the midst of sketches, models and renderings all housed in 3000m2 of a reconverted factory in Genoa, which reflect the architect’s identity, thoughts and his manner of planning. A place of experimentation, the archives are the metaphor of a sea port, where materials come and go, and contribute something new. In addition to the accounts of the Archive curator, we also hear the voices of associate architects Renzo Piano, Milly Rossato Piano and Lia Piano retrace the genesis of some projects such as the Palais de Justice and the Centre George Pompidou in Paris, the Manhattanville Campus at Columbia University, the Morgan Library and the New York Times Building in New York.
Francesca Molteni. Lavora con la RAI e produce documentari, format televisivi e video istituzionali. Nel 2009 fonda la casa di produzione Muse Factory of Projects. Autrice e regista delle due serie televisive sul design Ultrafragola, segue l’ideazione e la produzione della piattaforma online www. ultrafragola.com, la prima web tv dedicata
al design. Cura la regia di Giocare l’Arte, un format per RaiSat Ragazzi. Tra i suoi film: Buon Compleanno Dino Risi; Art Basel Miami; L’Urlo; 50 Years of Beat and Peggy Guggenheim; Volevo essere Walt Disney. Collabora con La Repubblica, Elle Decor, Vogue e GQ Italia. Ha vinto numerosi premi.
montaggio / film editing veronica scotti musica / music fabrizio campanelli produzione / production muse factory of projects con unifor
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Skyline. Architetti per Milano - Rem Koolhaas Italia, 2015, 26’, italiano, inglese regia / direction alessandra galletta montaggio / film editing luca previtali, andrea giannone riprese / shooting andrea giannone, anton giulio onofri, alessandro melchionda, stefano sala, filippo lorenz produzione / production lagalla23 distribuzione/ distribution ga&ga
Seguiamo Rem Koolhaas nel corso di un’intera giornata milanese, dall’incontro con gli studenti al Politecnico, alla visita alla Fondazione Prada dove ha realizzato la sua iconica torre in cemento bianco alta 60 metri. La struttura è integrata perfettamente nel complesso di edifici che occupano gli spazi di un’ex distilleria risalente all’inizio del Novecento e si confronta con la “Haunted House” interamente rivestita di oro battuto. Il racconto di Koolhaas è commentato da Stefano Boeri e arricchito da filmati originali, disegni e fotografie. Questo documentario fa parte della serie di monografie Skyline. Architetti per Milano, dedicata agli architetti internazionali che nel 2013 con le loro opere hanno cambiato lo skyline della città: David Chipperfield, Peter Eisenman, Rem Koolhaas, Daniel Libeskind, César Pelli, Renzo Piano.
We follow Rem Koolhaas during the course of a day in Milan, from an encounter with students at the Milan Polytechnic, to a visit at the Prada Foundation where he built his iconic 60-meter-high white concrete tower. The structure is perfectly integrated in the complex of buildings which occupy the area of an ex-distillery dating back to the early twentieth century and is in contrast with the “Haunted House” completely clad in gold leaf. Koolhaas’ account is commented by Stefano Boeri and embellished with original film clips, drawings and photographs. This documentary is part of the 2013 Skyline. Architetti per Milano series of monographs dedicated to international architects who, with their works, have changed the city’s skyline: David Chipperfield, Peter Eisenman, Rem Koolhaas, Daniel Libeskind, César Pelli and Renzo Piano.
Alessandra Galletta. Dopo anni di attività come critica d’arte e curatrice, nel 1994 inizia la sua carriera nell’audiovisivo curando ideazione e realizzazione di servizi e programmi culturali per diverse reti televisive nazionali pubbliche e private. Collabora con Artribune.com e Flashartonline.it. Dal 2012 realizza documentari monografici su importanti artisti contemporanei come Tomás
Saraceno, I Fratelli Campana, Adrian Paci, H.H. Lim, Qiu Zhijie. Ha ideato, diretto e prodotto il format televisivo Skyline – Architetti per Milano, sei monografie di 26’ dedicate agli architetti internazionali che hanno trasformato lo skyline di Milano in occasione di Expo 2015. Ha scritto e diretto il docufilm Ossessione Vezzoli, dedicato all’artista italiano di fama internazionale Francesco Vezzoli (2016). 47
fotografia
Dora Maar, entre ombre et lumière Francia, 2019, 52’, francese regia / direction marie-ève de grave
Il film ci accompagna alla scoperta della fotografa e pittrice Dora Maar (Parigi 1907-1997), esplorando l’identità e l’opera di una donna straordinaria, spesso ingiustamente ricordata solo per essere stata amante, modella e musa ispiratrice di Pablo Picasso. Il suo lavoro si impone nella sua originalità, perfettamente integrato nelle avanguardie del suo tempo, in dialogo con la poetica di Man Ray, André Breton, Georges Bataille. Il film ci mostra l’affascinante ritratto di una donna completa e poliedrica che è riuscita ad affermare la sua personale visione artistica, tra Surrealismo e sensibilità sociale, sempre con grande forza plastica.
The film accompanies us in the discovery of Dora Maar’s (Paris 1907-1997) photography and painting, exploring the identity and works of an extraordinary woman who is frequently only remembered for having been Picasso’s lover, model and muse. When she finally freed herself from this association, her work was essential and singular, perfectly integrated in the avantgarde of her time, in juxtaposition with the poetics of Man Ray, André Breton and Georges Bataille, thus revealing a fascinating portrait of a complete, versatile woman who managed to affirm her own personal artistic vision, poised between surrealism and social awareness.
Marie-Ève de Grave è nata in Belgio nel 1965. Vive e lavora a Ivry sur Seine dal 1993. Ha studiato Architettura d’interni e Scenografia e si è laureta nel 1992 alla Scuola di cinema di Bruxelles (INSAS). Nella sua filmografia si ricordano il cortometraggio Grand Tour, 2013 e il
lungometraggio Belle de Nuit- Grisélidis Réal, autoportraits, 2016, che ha ricevuto il Prix France Télévisions al Festival international du film de Femmes de Créteil, il Grand Prix FIFA 2017 e il premio Étoile de la Scam 2017.
fotografia / photography emmanuelle collinot, thomas bataille montaggio / film editing simon arazi musica / music pierre aviat, david leroy, editions cinétévé suono / sound damien perrollaz produzione / production cinétévé, centre pompidou, bip tv
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Elliott Erwitt ha trascorso la sua vita a fotografare presidenti, papi e star del cinema, oltre a persone comuni con i loro animali domestici. Il suo lavoro è famoso nel mondo, mentre la sua vita privata è in gran parte sconosciuta. Elliott Erwitt, Silence Sounds Good è il ritratto intimo di un artista al lavoro visto attraverso gli occhi della sua amica fotografa Adriana Lopez Sanfeliu. L’opera di Elliott è la testimonianza del potere dell’immagine.
Elliott Erwitt has spent his entire adult life taking photographs of presidents, popes and movie stars as well as everyday people and their pets. His work is iconic in world culture while his private life is largely unknown. Elliott Erwitt, Silence Sounds Good is a quiet, intimate portrait of an artist at work as viewed through the eyes of his friend, photographer Adriana Lopez Sanfeliu. Elliott’s work is a testament to the power of the image.
Adriana Lopez Sanfeliu è nata e cresciuta a Barcellona. È sceneggiatrice, fotogiornalista, fotografa documentarista e regista. Dopo una laurea in Storia dell’Arte e in Graphic Design si è trasferita a New York per studiare presso l’International Center of Photography, lavorando poi per oltre un decennio come fotoreporter per la stampa internazionale. Nel 2006, la
National Press Photographers Association le ha assegnato il Nikon Sabbatical Grant per Life on the Block, un saggio fotografico che documenta le difficoltà e le sfide affrontate dalle giovani donne portoricane che vivono a Spanish Harlem Manhattan. Elliott Erwitt, Silence Sounds Good è il suo primo documentario.
Elliott Erwitt, Silence Sounds Good Francia, Spagna, 2019, 62’, inglese regia / direction adriana lopez sanfeliu sceneggiatura / screenplay adriana lopez sanfeliu, mark monroe fotografia / photography adriana lopez sanfeliu, kirsten johnson, david quesemand montaggio / film editing scott stevenson, ace musica / music eric neveux suono / sound adriana lopez sanfeliu, judy karp produzione / production camera lucida poductions, adriana lopez sanfeliu
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Letizia Battaglia Shooting the Mafia Irlanda, Stati Uniti, 2019, 94’, italiano
Un ritratto intimo di Letizia Battaglia, fotografa palermitana e fotoreporter per il quotidiano L’Ora. Dalla fotografia di strada per documentare i morti di mafia all’impegno in politica, Letizia Battaglia è stata una figura fondamentale a Palermo e in Italia tra gli anni Settanta e gli anni Novanta. Intrecciando interviste e testimonianze d’archivio, il film racconta un’artista passionale e coraggiosa, mostrando non solo un’esistenza straordinaria e anticonformista, ma anche uno spaccato di storia italiana e il sogno di una Sicilia libera dalle catene della mafia.
An intimate portrait of Letizia Battaglia, a photographer from Palermo and a photojournalist for the L'Ora daily newspaper.From street photography and documenting mafia victims to political commitment, Letizia Battaglia was a fundamental figure in Palermo and in Italy between the Seventies and the Nineties. By alternating interviews and archival extracts, the film narrates the story of a passionate, courageous artist, revealing her extraordinary, anti-conformist life, but also a part of Italian history and the dream of a Sicily freed from shackles of the mafia.
Kim Longinotto nasce a Londra nel 1952. Dopo gli studi di letteratura inglese ed europea studia regia e fotografia alla National Film and Television School gettando le basi del suo futuro stile cinematografico, prevalentemente di stampo documentaristico. È conosciuta per
aver firmato opere che mettono in luce le violenze sui più deboli e gli abusi di cui sono vittime le donne, come Gaea Girls, 2000; The Day I Will Never Forget, 2002; Sisters in Law, 2005; Pink Saris, 2010; Salma, 2013; Love is all, 2014; Dreamcatcher, 2015. Ha vinto vari premi.
regia / direction kim longinotto montaggio / film editing ollie huddleston musica / music ray harman produzione / production lunar pictures distribuzione / distribution i wonder pictures
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25o festival internazionale di film sull’arte contemporanea 15 — 22 ottobre 2020
partner istituzionali
25th international contemporary art film festival 15 — 22 october 2020 artecinema.com
media partner
con il contributo di
sponsor
main sponsor
Finito di stampare nell’ottobre 2020 presso Officine Grafiche Francesco Giannini & figli S.p.A., Napoli