Jan Fabre | My Only Nation is Imagination

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JAN FABRE My Only Nation is Imagination


JAN FABRE My Only Nation is Imagination

a cura di / curated by Melania Rossi

STUDIO TRISORIO 26 giugno - 30 ottobre 2017 2


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Dimmi esattamente ogni cosa (che sento). Melania Rossi “Lasciatemi fare Dimostrerò di poter essere uno di voi Ma senza buon senso Perché il buon senso non è altro che una raccolta di pregiudizi E un cervello del genere io non lo voglio…” 1 Jan Fabre Davanti all’opera d’arte bisogna compiere una scelta. Interpretarla facendo ricorso a tutte le nozioni acquisite, al significato dei simboli nel tempo, alla storia dell’arte e alla letteratura esistente sul tema, oppure tenere a bada tutto ciò che si è appreso, piegarlo all’emozione e lasciarsi trasportare dentro l’opera. Per l’artista, il dilemma è quanto e in quale modo allontanarsi dalla mimesi dell’oggetto e dalla sua tradizione rappresentativa; per il critico e per l’osservatore, si tratta di essere disposti a fare lo stesso “jump in the unknown”2. Jan Fabre lo fa. Ad occhi aperti, senza preoccuparsi delle conseguenze. O piuttosto, cercandole. E allora l’unico modo per entrare nel lavoro di un artista che si lancia libero da ogni presunta morale condivisa, da ogni banalizzante senso comune, per raggiungere una bellezza nella forma e oltre la forma stessa, è saltare con lui. Prima di tutto bisogna concentrarsi sul “sentire”, in un significato non tanto romantico e figurato quanto del tutto scientifico, perché ha a che vedere con le reazioni del cervello durante la visione. È il concetto di empatia, termine nato in un contesto legato alla riflessione estetica, ma affrontato da Jan Fabre, in questo gruppo di lavori, nella sua definizione neurobiologica. Scriveva François Jacob, biologo francese vincitore del Premio Nobel per la medicina nel 1965: “La scienza in biologia non si propone di spiegare

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1. Dal monologo “Il re del plagio”, in Jan Fabre, Teatro, Ubulibri, Milano, 2010. Titolo originale: De Koning van het Plagiaat (1998-2005). 2. Tuffo nell’ignoto.

l’ignoto con ciò che è noto, come in certe dimostrazioni matematiche. Essa mira a giustificare ciò che si osserva con le proprietà di ciò che si immagina, a spiegare il visibile con l’invisibile”. I biologi e i neurobiologi sono privilegiati nel rapportarsi all’arte perché la biologia è una scienza governata in tutto e per tutto dalla vita, dalle sue contraddizioni e avversità; il loro modo di procedere avanza per tentativi, errori, ipotesi ardite dominate dal caso e sconfinanti in un’astrazione spesso indimostrabile. D’altra parte l’artista, deicida come per Vargas Llosa è lo scrittore, può ricreare un mondo, rifarlo come lo ha pensato. Il regno in cui si muove è invisibile fino al momento in cui lo immagina, non esiste senza il tramite del suo linguaggio artistico. Jan Fabre è un artista visionario, che ha creato un intero universo di elementi e simboli ricorrenti. Un universo tangibile e in continua espansione che non poteva non spingersi fino al confronto con il pensiero scientifico. Do we feel with our brain and think with our heart? 3, ipotizza Fabre mentre dialoga con Giacomo Rizzolatti, neuroscienziato autore della scoperta dei neuroni a specchio, fondamentali per spiegare il meccanismo dell’empatia tra gli individui. Questa domanda rimane aperta e diventa il titolo del film in mostra, è un’inversione iperbolica operata dall’artista che però trova in parte d’accordo lo scienziato, accorciando così la distanza tra le loro due visioni. 3. “Sentiamo con il cervello e pensiamo con il cuore?”.

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Do we feel with our brain and think with our heart? (2013)

Le emozioni sono, in effetti, governate dal sistema limbico del cervello. Il faccia a faccia tra l’artista e lo scienziato, che astraendosi diventa discorso tra Arte e Scienza, non può trovare conclusione definitiva, può avanzare per analogie o differenze e accordarsi nello scopo ultimo: conoscere il mondo e cercare di raccontarlo. Il metodo, certamente, è antitetico: una si muove nel regno dell’individualità, l’altra cerca invarianti dimostrando leggi. Scrive Paul Valéry, nei Quaderni: “Arte e scienza sono pressoché indistinguibili nella fase dell’osservazione e della meditazione per separarsi in quella dell’espressione, riavvicinarsi in quella dell’ordinamento e separarsi definitivamente nei risultati”. Fabre chiede a Rizzolatti: “Will we humans be capable, one day, of feeling the neurons?” 4. La risposta del neuroscienziato è ferma: “No, I don’t think so” 5. Ma l’artista lo ha concepito, quindi, per lui, deve poter accadere. L’uno curioso dell’approccio dell’altro, i due procedono per assonanze e dissonanze. Rizzolatti risponde con rapidità, ha dalla sua formule raccolte empiricamente, esempi, risultati, statistiche; Fabre fa rapidi collegamenti, è famelico di spiegazioni e, quando gli viene chiesta una definizione di “artista”, si ferma, ricorre alla maschera della performance e inventa una definizione di sé stesso come di colui che fallisce continuamente. Il professore ascolta le risposte dell’artista, sospendendo le sue certezze come davanti ad un dipinto, perché l’arte non ammette un’ultima parola, perché non esiste un’ultima parola sull’opera. All’artista non possono bastare le sole informazioni scientifiche, vorrebbe di più e si stupisce che uno dei più grandi conoscitori del cervello umano non provi empatia per l’oggetto dei suoi studi, quasi non 4. “Noi umani saremo capaci, un giorno, di sentire i neuroni?” 5. “No, non credo proprio.”

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Golden human brain with angel wings (2011)

riesce a crederci: “Do you not see the brain as a beautiful object? The shape, for example…or the colours or the substance” 6. Rizzolatti scuote la testa, e Fabre incredulo lo incalza: “you don’t have this…empathy for the brain!” 7. Ermes (l’artista) chiede a Prometeo (lo scienziato): “Dimmi esattamente ogni cosa”, cercando però una verità che non può essere rivelata da nessun dio o titano, per essere donata all’uomo. È l’emisfero destro (sintetico, globale ed emotivo), che cerca di farsi spiegare dall’emisfero sinistro (spaziale, locale e razionale). Un paradosso neurologico. Inoltre, il cervello è ancora oggi lo strumento più misterioso del nostro corpo. Mentre degli altri organi sappiamo tutto, del cervello non conosciamo moltissime cose. Come creiamo l’intelligenza? Come si genera la memoria? Le produzioni immateriali della mente influenzano la nostra vita, diventando concrete, producendo effetti tangibili, ma come tutto questo funzioni è ancora un mistero. Il montaggio del film procede come in un sogno, tra immagini velocizzate e cronologie sfalsate, con un’ironia che investe tutto quanto e lascia il tempo allo stupore per ogni nuova definizione. In una scena, i due protagonisti parlano uno di fronte all’altro e hanno conficcati in testa gli elettrodi di tipo invasivo utilizzati sui primati. Nella sequenza immediatamente successiva ecco che entra in gioco l’ironia, la messinscena dell’esperimento sulle scimmie, che vede invece l’utilizzo delle cuffie precablate usate sull’uomo. L’arte opera un’inversione delle modalità scientifiche, le confonde per mostrarne i risultati da un punto di vista libero e disorientante. 6. “Non ti sembra che il cervello sia un oggetto bello? Per esempio la sua forma…il colore o il materiale.” 7. “Dunque non provi empatia per il cervello!”

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J.H. and J.F. spitting their brains out (1991)

A fare da colonna sonora, la “musica” generata dai neuroni che si accendono e trasmettono impulsi nervosi, sorta di scariche elettriche con cui vediamo, pensiamo e costruiamo il mondo. L’amplificazione del non udibile per mettere in scena la bellezza del non visibile. “...Le persone sono migliori degli angeli perché la bontà che possiedono se la sono meritata durante un lungo e difficile percorso con l’organo complesso ma vulnerabile che hanno tra le orecchie. Il vostro cervello è il frutto di milioni e milioni di anni di continui tentativi Del volere qualcosa ma non potere ma continuare a tentare e non rinunciare Il vostro cervello è un mondo a sé…” 8 La famosa frase di Joseph Beuys EVERY HUMAN BEING IS AN ARTIST 9, in Fabre diventa EVERY HUMAN BEING IS A WORK OF ART 10.

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8. Ibid. 9. “Ogni essere umano è un artista”. 10. “Ogni essere umano è un’opera d’arte”.

Cutting the memory (2014)

Anche nelle sculture e nei disegni, il realismo di Jan Fabre ha il carattere della rivelazione. I Thinking models sono realizzati con il silicone usato in campo dentistico e riportano “fedelmente” il groviglio di vene e arterie, le pieghe, le curve e le rientranze che danno la forma alla mente. Vari insetti stazionano sulla superficie cerebrale, con la loro carica simbolica e i loro aspetti variegati, emblemi di resurrezione come in certa scultura funeraria antica. Nei disegni, Fabre usa la carta fotografica e al suo distintivo segno secco e deciso aggiunge frammenti di frasi, alcune descrittive, altre evocative o ironiche. Materiali sensuali, lucidi, su cui viene voglia di passare le dita, su cui sembra di poter lasciare un’impronta. L’artista rappresenta questo organo-non organo così com’è, inserendosi nella tradizione del naturalismo fiammingo, ma lo accosta ad altri elementi che sembrano unire (o separare?) i due emisferi cerebrali e le molteplici connessioni che li percorrono. Ritroviamo alcuni oggetti di scena del film, a creare concetti in bilico tra l’ironia e il mistero, tra la performance e la vita al di fuori di essa: l’idea che un ateo ha del peccato è un bruco nella mela (Brain of an atheist); che del piacere ha una scimmia di laboratorio è una nocciolina (The sweet and satisfied brain of the lab-monkey); l’idea che il suo amico artista Thierry De Cordier ha di Dio può essere una pera The brain of god (according to Thierry). Una forbice è pronta a sezionare il cervello di Brain with Star, evidenziandone così la struttura speculare. Oggetto di superstizioni e credenze religiose, la forbice è tra i ricordi che l’artista ha della madre, Helena Troubleyn, religiosa di una fede precristiana, che usava porre delle forbici sulle soglie in segno di protezione dalle stregonerie. Sul punto di ruotare le lame attorno al perno, 15


Brain Legs (2010)

mentre carica il taglio netto, la forbice sembra piroettare proprio dove giace la sede del pensiero profondo e dell’emozione. The brains of my mother and my father è il ritratto dei genitori dell’artista. La madre borghese di lingua francese e il padre comunista fiammingo; una tipica unione belga fatta di contrasti forti, una complementarietà che ha trasmesso al giovane Fabre l’amore per la parola e il linguaggio, insieme a quello per le immagini e per il movimento umano e animale. Con My brain, my religion l’artista dichiara apertamente la propria fede. Il cervello come parte per il tutto, come metonimia del corpo, assoluto oggetto di culto e di studio per Fabre artista visivo, creatore teatrale e autore. “Le gambe di cervello” rappresentano la memoria dei piedi, i piedi come cervello. Nel teatro di Fabre, la tecnica basata sulla ripetizione e sulla “recitazione fisiologica” sfrutta l’intelligenza del corpo nella sua totalità. I suoi performers iniziano il pensiero del movimento con i piedi, i loro arti sviluppano una memoria e mentre ripetono e ripetono lo stesso passaggio, la mente può andare altrove. Da dove viene e dove risiede il pensiero? Come nasce un’idea? Perché una cosa ci appare bella ed un’altra no? La bellezza è oggettiva o soggettiva? Da cosa dipende l’originalità di un pensiero? Tra le pieghe della mente così rappresentata, le domande rimangono aperte. Il territorio in cui si muove l’artista rimane in gran parte inesplorato, perché nasce dall’immaginazione. È l’immaginazione stessa. Nell’opera che dà il titolo alla mostra, simulando la linea frastagliata dei vasi sanguigni, Fabre scrive: “My only Nation is Imagination”, quasi fosse un’insegna-slogan al neon. Quando il regista Werner Herzog, nel film Cave of Forgotten Dreams 11, chiede 16

Is the brain the most sexy part of the body? (2007)

allo studioso di Preistoria Jean-Michel Geneste quale sia la sostanza dell’essere umano, questa è la risposta che ottiene: “L’essere umano si fonda su un buon adattamento al mondo e agli altri esseri. Ha bisogno di comunicare qualcosa e di imprimerlo nella memoria, usando cose ben precise e solide, come muri, pietre, pezzi di legno, ossa. Inventando la raffigurazione, decine di migliaia di anni fa, fa nascere una forma di comunicazione tra gli umani e un futuro, trasmettendo informazioni in forme superiori al linguaggio”. Dunque l’arte vede la luce per descrivere il mondo e l’artista ricorre a delle “visioni” per assimilare e comunicare la conoscenza. Riflettendo sulla neuroscienza e le sue conquiste empiriche, Jan Fabre cataloga un proprio sistema di pensieri in forme estetiche. Marcuse diceva che dietro la forma estetica si trova l’armonia repressa tra sensualità e ragione, che la qualità estetica del godimento, perfino del divertimento, è inseparabile dall’essenza dell’arte, per quanto tragica e intransigente sia l’opera. Per dirla con Fabre: “il cervello è la parte più sexy del corpo umano”. Anche la ricerca scientifica ha una bellezza formale, che può sedurre fino a generare una soddisfazione fisica. L’eleganza ritmica con cui si procede per ipotesi e verifiche, l’armonia e la chiarezza di un pensiero scientifico possono appagare emotivamente quanto un dipinto rinascimentale. Viceversa, l’esperienza estetica è mobile, ha alla sua base la volontà di ricerca ed esplorazione, e l’arte può aiutare a rappresentare le conquiste della scienza. Nella luminosa sintesi di Nelson Goodman: “l’emozione senza comprensione è cieca e la comprensione senza emozione è vuota”. 11. Documentario sulla grotta di Chauvet e i suoi incredibili dipinti preistorici, girato da Werner Herzog nel 2010.

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Do we feel with our brain and think with our heart? (2013)

La sedia su cui si alternano Fabre e Rizzolatti (arte e scienza) continua a girare su sé stessa. La forza centrifuga disorienta e sbilancia le sensazioni, distorcendo la percezione del contesto e del pensiero; la ripetizione del movimento mantiene però in contatto con l’azione e con l’idea. Il film avanza cercando di arrivare a spiegare il perché emotivo dell’arte, della sua creazione e della sua comprensione. Un lavoro che è quindi anche una sorta di speculazione filosofico-estetica nel senso più puro del termine. Del resto, la parola “aesthetica” ha origine dalla parola greca αἴσθησις, che significa “sensazione”. E finché si parla di arte classica non vi sono dubbi, il cervello riconosce le auree proporzioni; ma come misurare la bellezza del caos, l’intelligenza nell’arte contemporanea? La scienza non può certo trovare una formula unica per questa speciale crittografia e l’opera continua a sfuggirci, rimanendo ineffabile. La scelta giusta è quindi accettare la circolarità tra comprensione e piacere, cercare di tenere unite sensazione, emozione e cognizione. Non a caso, nell’ultima parte del film, l’artista e lo scienziato si muovono all’interno dell’aula universitaria spostandosi nello spazio apparentemente senza una ragione data, con una gestualità istintiva che rimanda a quella delle scimmie, passando dalla cattedra alla platea. Sono entrambi alunno e maestro, riconoscono di imparare l’uno dall’altro, di insegnare l’uno all’altro, e per farlo devono scambiarsi i ruoli, rompere gli schemi, saltare i banchi. Insomma, devono “sentire con il cervello e pensare con il cuore”, per vedere ciò che non è visibile, ascoltare ciò che non è udibile, sentire quel che non è percepibile.

“Alcuni di voi hanno un’aria stupita Che dite, impossibile? Impossibile? Impossibile? Impossibile significa semplicemente che non hai ancora trovato la soluzione Se sapessimo quello che stiamo facendo non la chiameremmo ricerca, no?” 12

Bibliografia Jean Pierre Changeaux, Ragione e piacere, Raffaello Cortina Editore, 1995 Lamberto Maffei, Adriana Fiorentini, Arte e cervello, Zanichelli editore, 2003 Luca Marchetti, Arte ed estetica in Nelson Goodman, Supplementa, Centro Internazionale di Studi di Estetica, 2006 Vargas Llosa, Historia de un deicidio, Barral Editores, 1971 Paul Valéry, Quaderni, Biblioteca Adelphi, 1985 Herbert Marcuse, Eros e civiltà, Einaudi, 1968 12. Ibid.

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Tell Me Exactly Everything (That I Feel). Melania Rossi “Just let me do it I’ll prove That I can be one of you But without common sense Because common sense is not more than A collection of prejudices And that’s not the sort of brain I want…” 1 Jan Fabre When faced with a work of art, we must make a choice. Whether to interpret it using all the acquired notions, the meaning of symbols in time, the history of art and the existent literature on the topic, or to hold back everything we have learnt, bend it to emotion and let ourselves be transported inside the work. For artists, the dilemma is how much and how to distance themselves from the mimesis of the object and its representative tradition; for critics and observers, it is equally a matter of being willing to make a “jump into the unknown”. Jan Fabre does just this. With his eyes open, without worrying about the consequences. Or rather, seeking them. And so the only way to enter the work of an artist who leaps free from all presumed shared morals, from all banal common sense, to achieve beauty in form and beyond form itself, is to jump with him. First of all, we need to concentrate on “feeling”, not so much in a romantic and figurative, as a wholly scientific sense, because it has to do with how the brain reacts as the work is viewed. It is the concept of empathy, a term born in a context linked to aesthetic reflection, but in this set of works dealt with by Jan Fabre in its neurobiological definition. François Jacob, French biologist and winner of the Nobel Prize in Medicine in 1965, wrote: “Science in biology does not set out to explain the unknown 1. From the monologue The King of Plagiarism, contained in: Jan Fabre, The Servant of Beauty, Seven Monologues for the Theatre, Martin E. Segal Theatre Center Publications, New York 2010.

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with what is known, like in certain mathematical demonstrations. It aims to justify what is observed with the properties of what is imagined, to explain the visible with the invisible.” Biologists and neurobiologists have a privileged relationship with art because biology is a science governed entirely by life, by its contradictions and adversities; these scientists proceed by trial and error, bold hypotheses dominated by chance and often bordering on an indemonstrable abstraction. Besides, artists, deicides as writers are for Vargas Llosa, can recreate a world, make it again as they have thought it. The realm in which they move is invisible until the moment they imagine it, it does not exist without the means of their artistic language. Jan Fabre is a visionary artist, who has created a whole universe of elements and recurring symbols. A tangible and continually expanding universe that was destined to come face to face with scientific thought. Do we feel with our brain and think with our heart?, Fabre hypothesizes as he dialogues with Giacomo Rizzolatti, neuroscientist and discoverer of mirror neurons, fundamental in explaining the empathy mechanism between individuals. This question remains open and becomes the title of the film in the exhibition; it is a hyperbolic inversion made by the artist who, however, agrees with the scientist in part, thus shortening the distance between their two visions. The emotions are, in effect, governed by the limbic system of the brain. The face-off between artist and scientist, which, abstracted, becomes the discourse between Art and Science, cannot reach a definitive conclusion. However, it can go ahead by analogies or differences and agree in its ultimate end: to know the world and seek to recount it. Of course, their methods are antithetical: one moves in the realm of individuality, the other seeks invariants by demonstrating laws. As Paul Valéry writes in his Cahiers/ Notebooks: “Art and science are almost indistinguishable in the period of observation and meditation - before separating in their expression - coming together again in their organization - and splitting once and for all in their results.” Fabre asks Rizzolatti: “Will we humans be capable, one day, of feeling the neurons?”. The neuroscientist’s response is firm: “No, I don’t think so”. But the artist has conceived of it, therefore, for him, it must be able to happen. 22

Each curious about the other’s approach, the two proceed by assonance and dissonance. Rizzolatti responds rapidly, on his part he has formulas collected empirically, examples, results, statistics; Fabre makes rapid connections, he is hungry for explanations and when he is asked for a definition of “artist”, he stops, adopts his performance mask and invents a definition of himself as someone who continually fails. The professor listens to the artist’s answers, suspending his certainties, as if he were stood before a painting, because art does not allow a last word, because there is no last word on a work. For the artist, scientific information alone cannot be enough, he wants more and is amazed that one of the greatest connoisseurs of the human brain does not feel empathy for the object of his studies. He can hardly believe it: “Do you not see the brain as a beautiful object? The shape, for example… or the colours or the substance”. Rizzolatti shakes his head, and so Fabre incredulously presses him: “you don’t have this…empathy for the brain!”. Hermes (the artist) asks Prometheus (the scientist) to tell him everything exactly, while, however, seeking a truth that cannot be revealed by any god or titan, to be given to man. It is the right hemisphere (synthetic, global and emotional) trying to be explained by the left hemisphere (spatial, local and rational). A neurological paradox. Furthermore, the brain is still the most mysterious tool in our body, even today. While we know everything about the other organs, we do not know a great deal about the brain. How do we create intelligence? How is memory generated? The intangible productions of the mind influence our lives, by becoming concrete, producing tangible effects, but how all this works is still a mystery. The montage proceeds in a dreamlike manner, alternating sped-up images and staggered chronology, all steeped in irony that leaves time for wonder at every new definition. In one scene, the two characters talk face to face, with invasive electrodes, as used on primates, stuck to their heads. In the sequence that follows the irony comes into play with the staging of an experiment on monkeys that uses the pre-wired caps intended for humans. Art inverts scientific methodology, confusing it and showing its results from a free and disorientating viewpoint. 23


The soundtrack consists of the ‘music’ generated by the neurons that switch on and send nerve impulses, a type of electrical discharge that we use to see, imagine and construct the world. Amplifying the inaudible to showcase the beauty of the invisible. “…People are better than angels because they have earned the goodness they possess with that complex but fragile organ between their ears on a long and hard journey Your brain is the fruit of millions and millions of years of trial and error Of wanting to but not be able but keeping on trying anyway and not giving up Your brain is a world in itself…” 2 In Fabre, the famous sentence by Joseph Beuys EVERY HUMAN BEING IS AN ARTIST becomes EVERY HUMAN BEING IS A WORK OF ART. In his sculptures and drawings too, Jan Fabre’s realism is like a revelation. The Thinking Models are made with the silicon used in dentistry and “faithfully” copy the tangle of veins and arteries, folds, curves and indentations that give the mind its shape. Various insects rest on the brain’s surface, with their symbolic charge and their variegated appearances, emblems of resurrection like in certain ancient funerary sculptures. In his drawings, Fabre uses photographic paper and he adds fragments

of sentences, some descriptive, others evocative or ironic, to his distinctive clean and firm style. Sensual, shiny materials you want to pass your fingers over, where we seem to be able to leave a mark. The artist represents this organ/non-organ as it is, placing himself within the tradition of Flemish naturalism, but he puts it alongside other elements that seem to unite (or separate?) the two hemispheres of the brain and the many connections going through them. We find some props from the film creating concepts poised between irony and mystery, between the performance and the life outside it: the idea that an atheist has of sin is a worm in an apple (Brain of an atheist); that a lab monkey has of pleasure is a nut (The sweet and satisfied brain of the labmonkey); the idea that his artist-friend Thierry De Cordier has of God can be a pear [(The brain of god (according to Thierry)]. Scissors are ready to section the Brain with Star, highlighting its symmetrical structure. Object of superstitions and religious beliefs, scissors are one of the memories that the artist has of his mother, Helena Troubleyn, religious woman of a pre-Christian faith, who used to place scissors on the threshold to protect against witchcraft. The blades about to revolve around the hinge, as they build up for the clear cut, the scissors seem to pirouette in the very place where deep thought and emotion lie. The brains of my mother and my father is the portrait of the artist’s parents. His middle-class French-speaking mother and communist Flemish father; a typical Belgian union made of strong contrasts, a complementarity that gave the young Fabre his love for words and language, together with a love for images and human and animal movement. With My brain, my religion the artist openly declares his faith. The brain as a part for the whole, as the metonymy of the body, the absolute cult and study object for Fabre, visual artist, theatrical creator and author. Brain Legs represents the feet’s memory, feet as the brain. The technique Fabre uses in his theatre, based on repetition and “physiological acting”, exploits the intelligence of the body as a whole. His performers begin to think of the

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movement with the feet, their limbs develop a memory and as they repeat the same steps over and over again, their minds can go elsewhere. Where does thought come from and where does it dwell? How does an idea come about? Why does one thing appear beautiful to us and another not? Is beauty objective or subjective? What does a thought’s originality depend on? Among the folds of a mind represented this way, the questions remain open. To a large extent the territory in which the artist moves remains unexplored, because it is born from imagination. It is imagination itself. In the work that gives the title to the exhibition, simulating the wiggly line of blood vessels, Fabre writes: “My only Nation is Imagination”, almost as if it were a neon sign/slogan. When director Werner Herzog asks prehistory scholar Jean-Michel Geneste what constitutes humanness in the film Cave of Forgotten Dreams 3, this is the answer he gets: “Humanness is a very good adaptation with [sic] the world […] so man’s society needs to adapt […] to other beings […] and to communicate something and to inscribe the memory on very specific and hard things, like walls, like pieces of wood, like bones. […] But with the invention of figuration […] it’s a way of communication between humans and with the future, […] to transmit information that is very [sic] better than language”. So art came about to describe the world and artists use “visions” to assimilate and communicate knowledge. By reflecting on neuroscience and its empirical conquests, Jan Fabre catalogues his own system of thoughts in aesthetic forms. Marcuse said that the repressed harmony between sensuality and reason lies behind the aesthetic form, that the aesthetic quality of enjoyment, even of fun, is inseparable from the essence of art, however tragic and intransigent the work is. To use Fabre’s words: “the brain is the sexiest part of the human body”. Scientific research also has a formal beauty which can seduce to the point of generating physical satisfaction. The rhythmic elegance with which scientists

proceed by hypotheses and verifications, the harmony and clarity of a scientific thought, can be as emotionally satisfying as a Renaissance painting. Vice versa, the aesthetic experience is mobile, at its base is the desire to seek and explore, and art can help to represent the conquests of science. As Nelson Goodman deftly sums it up: “feeling without understanding is blind, and understanding without feeling is empty”. The chair on which Fabre and Rizzolatti (art and science) take turns continues to swivel round on itself. The centrifugal force disorientates and throws the sensations off-balance, distorting the perception of the context and thought; however, the movement’s repetition keeps in touch with the action and the idea. The film goes on seeking to explain the emotional reason for art, for its creation and its understanding. A work that is also therefore a sort of philosophical-aesthetic speculation in the purest sense of the term. Besides, the word “aesthetica” originates from the Greek word αἴσθησις, which means “sensation”. And as long as we speak of classical art there are no doubts, the brain recognizes its golden proportions; but how can the beauty of the chaos, the intelligence be measured in contemporary art? To be sure, science cannot find a single formula for this special codification, and the work continues to escape us, remaining ineffable. The right choice is therefore to accept the circularity between understanding and pleasure, to try to keep sensation, emotion and cognition together. Tellingly, in the last part of the film, the artist and scientist move within the lecture hall, shifting in space apparently without a particular reason, with instinctive gestures reminiscent of monkeys, passing from the desk to the students’ seats. They are both pupil and master, they acknowledge that they learn from each other, teach each other, and to do so they have to swap roles, break the patterns, jump over the desks. In short, they must “feel with the brain and think with the heart”, to see the invisible, hear the inaudible and feel the imperceptible.

3. Documentary on the Chauvet cave and its incredible prehistoric paintings, filmed by Werner Herzog in 2010.

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“I see some of you are looking astonished What did you say? Impossible? Impossible? Impossible? Impossible only means that you haven’t found the solution yet If we knew what we were doing We wouldn’t call it research, or would we?” 4

Bibliography Jean Pierre Changeaux, Ragione e piacere, Raffaello Cortina Editore, 1995 Lamberto Maffei, Adriana Fiorentini, Arte e cervello, Zanichelli editore, 2003 Luca Marchetti, Arte ed estetica in Nelson Goodman, Supplementa, Centro Internazionale di Studi di Estetica, 2006 Vargas Llosa, Historia de un deicidio, Barral Editores, 1971 Paul Valéry, Quaderni, Biblioteca Adelphi, 1985 Herbert Marcuse, Eros e civiltà, Einaudi, 1968 4. Ibid.

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OPERE / WORKS

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Brain with Star, 2012

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My brain, my religion, 2014

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My brain as a religion, 2008

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The star in my brain, 2007

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The brain of god (according to Thierry), 2014

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Brain of an atheist, 2014

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pp. 44-45 Brain Legs, 2010

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A salad for Munich, 2009

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Jumping brain legs, 2009

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Laughter and bread mirror, 2014

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The sweet and satisfied brain of the lab-monkey, 2014

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pp. 54-55 The brains of my mother and my father, 2006

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Two nuts, 2007

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My mother tastes good, 2008

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Brain of incidence = brain of reflection, 2014

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My only nation is imagination, 2014

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FILM Do we feel with our brain and think with our heart? 2013, 15’

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Museo Madre

THE MAN MEASURING THE CLOUDS (AMERICAN VERSION, 18 YEARS OLDER), 1998-2016

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L’uomo che misura le nuvole (versione americana, 18 anni in più), 1998-2016, viene allestita sulla terrazza del museo MADRE, nell’ambito del progetto Per_formare una collezione. L’opera è ispirata dall’affermazione che l’ornitologo Robert Stroud pronunciò nel momento della liberazione dalla prigione di Alcatraz, quando dichiarò che si sarebbe d’ora in poi dedicato appunto a “misurare le nuvole”. L’utilizzo ricorrente dell’autoritratto ha in questo caso un ulteriore riferimento di matrice biografica in quanto diviene omaggio al fratello minore dell’artista, sognatore deceduto prematuramente. La messa in scena di un’assenza, la natura performativa della memoria, si impone come presenza scultorea e diventa il doppio metaforico di entrambe le personalità rappresentate, la cui unione genera un’energia inter-individuale che diviene movimento vitale, pur nella staticità della forma scultorea. Esprimendo inoltre la sensazione di pianificare l’impossibile (appunto il tentativo di misurare un’entità mutevole e incostante come sono le nuvole), Fabre riflette sullo statuto stesso della ricerca artistica, assimilata alla pretesa dello scienziato di travalicare il limite umano della conoscenza. Come artista-ricercatore, Fabre stesso tenta costantemente di “misurare le nuvole”, di fare qualcosa che non sarebbe possibile, ma che lo diviene accogliendo appunto la tensione verso il sapere, in cui esprimere l’inesprimibile senza tradire ma anzi esaltando, come l’artista stesso dichiara, l’intrinseca bellezza umana e universale.

The man measuring the clouds (American version, 18 years older), 1998-2016, is to be set up on the terrace of the MADRE Museum as part of the Per_formare una collezione project. The work was inspired by the ornithologist Robert Stroud’s statement upon his release from Alcatraz when he declared that from that moment on, he was going to “measure the clouds”. In this case, the re-occurring use self-portraits has a ulterior biographical reference as it is a tribute to the artist’s younger brother, a dreamer who passed away prematurely. The staging of an absence, the performing nature of memory, dominates as a sculptural presence and becomes the metaphorical counterpart of both the represented persons and whose union generates an inter-individual energy which develops into vital movement despite the static nature of the sculptural form. Additionally, in expressing the sensation of planning something impossible (specifically, attempting to measure ever-changing, volatile entities such as clouds), Fabre reflects on the very essence of artistic exploration, reminiscent of the expectations of scientists in going beyond the human limit of awareness and knowledge. As an artist-researcher, Fabre constantly attempts to “measure the clouds”, to do something which, in theory, is not possible, but which becomes so by adopting the quest for knowledge where the inexpressible is expressed not only without betraying but even exalting, as the artist himself declares, intrinsic human and universal beauty.

Anna Cuomo, Andrea Viliani

Anna Cuomo, Andrea Viliani

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The man measuring the clouds (American version, 18 years older), 1998-2016

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The man measuring the clouds (American version, 18 years older), 1998-2016

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Museo di Capodimonte Incontri sensibili a cura di / curated by Sylvain Bellenger, Laura Trisorio

JAN FABRE NATURALIA E MIRABILIA

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A Capodimonte due capolavori di Jan Fabre, Spanish sword (Knight of modesty) e Railway Tracks to Death, opere dall’aspetto prezioso, mutevole e cangiante, ottenute con una tecnica da sapiente mosaicista, realizzate con gusci di scarabeo gioiello, elemento distintivo e ricorrente della ricerca dell'artista, incontrano in uno sguardo abbagliato diverse opere preziose provenienti dalla Wunderkammer o “camera delle meraviglie” Farnese. Una raccolta di curiosità del Cinquecento e Seicento che riunisce Natura, Immaginazione e Arte per creare un universo in miniatura, il cui demiurgo era il collezionista stesso.

At the Capodimonte Museum, Jan Fabre’s two masterpieces, Spanish sword (Knight of modesty) and Railway Tracks to Death, with a dazzled expressions, works which are precious, volatile and iridescent in appearance and made with a technique used by skilled mosaicists, using wing cases of jewel scarabs, a distinctive and reoccurring element in the artist’s exploration, encounter various precious works from the Farnese Wunderkammer “chamber of wonders”. A collection of curiosities from the sixteenth and seventeenth centuries which combines Nature, Imagination and Art to create a miniature universe in which the true demiurge is none other than the collector.

Quest’incontro delle meraviglie, fuori dalla storia, mette in prospettiva la crociata intellettuale dell'artista in difesa dell’immaginazione come forma di conoscenza, di coscienza, dove estetica ed etica, naturalia e artificialia, si fondono nell’immaginario surreale, mostruoso e meraviglioso della natura e degli uomini.

This encounter of wonders, beyond the boundaries of history, places into perspective the artist’s intellectual crusade in defence of imagination as a form of consciousness, of awareness in which aesthetics and ethics, naturalia and artificialia, fuse together in a surreal imagination, the monstrous and wondrous aspects of both nature and man.

Sylvain Bellenger

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pp. 88-89 Spanish sword (Knight of modesty), 2016

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Railway Tracks to Death, 2013

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“Va di moda annunciare che la bellezza non c’entra niente con l’arte. Credo nella bellezza perché possiede una forza indomabile e senza tempo.” “It’s fashionable to proclaim that beauty has nothing to do with art. I believe in beauty because it has an irrepressible and timeless power.” Jan Fabre, Antwerp, 20 December 1978


Biografia

Da più di 40 anni, Jan Fabre (Anversa, 1958) è uno dei personaggi più innovativi e significativi della scena artistica contemporanea. Impegnato nelle arti visive, creatore teatrale e autore, Fabre propone una riflessione chiara e tangibile sulla vita e la morte, sulle trasformazioni fisiche e sociali, sulla cruda e intelligente rappresentazione di animali ed esseri umani. L’artista dà vita a un mondo personale con regole e leggi proprie, con i propri personaggi, simboli e motivi ricorrenti. Ci svela il suo universo per mezzo di testi e appunti notturni pubblicati in più volumi con il titolo di Giornale Notturno. Artista totale, Fabre ha unito arte performativa e teatro, di quest’ultimo è riuscito a modificare il linguaggio stesso, portando sul palcoscenico azioni reali, svolte in un lasso di tempo reale. Jan Fabre si fa conoscere al grande pubblico a livello mondiale grazie all’opera Tivoli (1990), posta nell’omonimo castello, e attraverso una serie di installazioni permanenti allestite in siti di interesse storico, quali ad esempio Heaven of Delight (Il paradiso del piacere), 2002 presso il Palais Royal di Bruxelles, The Gaze Within (The Hour Blue) [Lo sguardo interno (L’ora blu)], 2011-2013, sulla scalinata reale del Musées Royaux des Beaux-Arts di Bruxelles e The man who bears the cross (L’uomo che porta la croce) 2015, una delle opere più recenti, collocata all’interno della Cattedrale di Anversa. L’artista è noto anche per le sue personali, quali Stigmata. Actions and Performances 1976-2013 (MAXXI, Roma 2013). È stato il primo artista vivente ad ottenere un’estesa mostra presso il Louvre di Parigi L’ange de la métamorphose (2008). La nota serie The Hour Blue (1977- 1992) (L’ora blu) è stata esposta presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna (2011). La ricerca sulla “parte del corpo più sexy”, ovvero il cervello, è stata presentata in una serie di personali dell’artista: Anthropology of a planet (Palazzo Benzon, Venezia, 2007), From the Cellar to the Attic, From the Feet to the Brain (Kunsthaus Bregenz, 2008; Arsenale Novissimo, Venezia, 2009) e PIETAS (Nuova Scuola Grande di Santa Maria della Misericordia, Venezia, 2011).

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Le due serie di mosaici realizzate con gusci di scarabei intitolate Tribute to Hieronymus Bosch in Congo (Tributo a Hieronymus Bosch in Congo), 20112013, e Tribute to Belgian Congo (Tributo al Congo Belga), 2010-2013, sono state portate a ’s-Hertogenbosch, nel 2016, in occasione del cinquecentesimo anniversario di Hieronymus Bosch. Nel 2016 la mostra Jan Fabre. Spiritual Guards ha visto più di ottanta opere dell’artista tra Piazza della Signoria, Palazzo Vecchio e Forte di Belvedere a Firenze. Fabre è stato inoltre invitato a creare una grandiosa mostra per l’Hermitage di San Pietroburgo, Knight of Despair / Warrior of Beauty, 2016-2017. Le opere di Jan Fabre in vetro e ossa sono esposte nell’Abbazia di San Gregorio come evento collaterale della 57. Mostra Internazionale d’Arte - la Biennale di Venezia (Glass and Bone Sculptures 1977–2017).

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Biography

For over 40 years, Jan Fabre (Antwerp, 1958) has been one of the most innovative and significant figures on the contemporary art scene. Committed to the visual arts, a creator of theatrical pieces and an author, Fabre’s proposes clear, tangible reflections on life and death, physical and social transformation and cutting, intelligent representations of animals and human beings. The artist has brought his own personal world to life, filled with his own rules and regulations and reoccurring characters, symbols and motifs. He unveils his universe through texts and nocturnal notes published in several volumes entitled Night diary. A complete artist, Fabre has fused performance art and theatre and managed to transform the language of theatre by bringing real actions performed in a real range of time to the stage. Jan Fabre became known to the international public thanks to his work entitled Tivoli (1990), which was situated in the Tivoli Castle and through a series of permanent installations placed in historically relevant places such as Heaven of Delight (2002) at the Royal Palace in Brussels, The Gaze Within (The Hour Blue) (2011- 2013) along the royal staircase of the Royal Belgian Museum of Fine Arts in Brussels and The man who bears the cross (2015), one of his most recent works, which was placed inside the Antwerp Cathedral. The artist is also known for solo exhibitions such as Stigmata. Actions and Performances 1976-2013 (MAXXI, Rome 2013). He was the first living artist to hold a comprehensive exhibit at the Louvre in Paris L’ange de la métamorphose (2008). The renown series The Hour Blue (1977- 1992) was exhibited at the Kunsthistorisches Museum of Vienna (2011). His exploration of the “most sexy part of the body”, that is, the brain, was presented in a series of the artist’s solo exhibits: Anthropology of a planet (Palazzo Benzon, Venice, 2007), From the Cellar to the Attic, From the Feet to the Brain (Kunsthaus Bregenz, 2008; Arsenale Novissimo, Venice, 2009) and PIETAS (Nuova Scuola Grande di Santa Maria della Misericordia, Venice, 2011).

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The two series of mosaics created with wing cases of jewel scarab entitled Tribute to Hieronymus Bosch in Congo (2011-2013) and Tribute to Belgian Congo (2010-2013) were shownat the ’s-Hertogenbosch, in 2016, to mark the 500th anniversary of Hieronymus Bosch. In 2016, the Jan Fabre. Spiritual Guards exhibit of more than eighty works, spanned the area between Piazza della Signoria, Palazzo Vecchio and Forte di Belvedere in Florence. Additionally, Fabre was invited to create a large-scale exhibit for the Hermitage in Saint Petersburg, Knight of Despair / Warrior of Beauty, 2016-2017. As a collateral event of the 57th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, Jan Fabre’s works in glass and bone are presented in the Abbey of San Gregorio (Glass and Bone Sculptures 1977–2017, Venice).

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Brain models

Indice delle opere / Works captions

p. 32 Brain with Star, 2012 Series: Brain models Silicon, pigment, glass, stainless steel 27,2x39,9x28,8 cm

p. 34 My brain, my religion, 2014 Series: Brain models Silicon, pigment, paraffin, rope 35,5x23x32,5 cm

p. 38 The brain of god (according to Thierry), 2014 Series: Brain models Silicon, pigment, wax, wood, metal, insects 50x45x31,6 cm

p. 40 Brain of an atheist, 2014 Series: Brain models Silicon, pigment, wax, wood, metal, insects 50x45x31,5 cm

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pp. 44-45 Brain Legs, 2010 Series: Brain models Silicon, paint 52x16x14 cm (left leg); 49,5x15x14 cm (right leg)

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Brain drawings

p. 48 Laughter and bread mirror, 2014 Series: Brain models Silicon, pigment, wax, wood, metal, insects 50x45x33,7 cm

p. 36 My brain as a religion, 2008 Series: Brain drawings HB pencil and colour pencil on photographic paper 12,7x17,5 cm (frame 34x38,5 cm)

p. 50 The sweet and satisfied brain of the lab-monkey, 2014 Series: Brain models Silicon, pigment, wax, wood, metal, insects 50x45x28cm

p. 37 The star in my brain, 2007 Series: Brain drawings HB pencil and colour pencil on photographic paper 12,7x17,7 cm

pp. 54-55 The brains of my mother and my father, 2006 Series: Brain models Silicon, textile, metal, oak 23x15x21 cm (2xbrains), base 110x110x50 cm motors 29x15,3x14,9 cm

p. 43 A salad for Munich, 2009 Series: Brain drawings HB pencil and colour pencil on photographic paper 12,7x17,7 cm

p. 58 My only nation is imagination, 2014 Series: Brain models Silicon, wood, metal-wire and paint 27x28,5x30,9 cm

p. 47 Jumping brain legs, 2009 Series: Brain drawings HB pencil and colour pencil on photographic paper 12,5x17,5 cm (frame 34x38,5 cm)

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p. 53 Two nuts, 2007 Series: Brain drawings HB pencil, colour pencil and watercolour on photographic paper 12,7x17,7 cm

p. 56 My mother tastes good, 2008 Series: Brain drawings HB pencil and colour pencil on photographic paper 12,7x17,7 cm

p. 57 Brain of incidence = brain of reflection, 2014 Series: Brain drawings HB pencil and colour pencil on photographic paper 24x30,5 cm

Museo Madre

p. 70 The man measuring the clouds (American version, 18 years older), 1998-2016 285x150x80 cm Silicon bronze

Museo di Capodimonte

pp. 88-89 Spanish sword (Knight of modesty), 2016 Jewel scarab wing-cases, steel 20,5x119x10,2 cm

Film

p. 60 Do we feel with our brain and think with our heart?, 2013 Film, 15’ Distributed by Lima Amsterdam

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p. 91 Railway Tracks to Death, 2013 Series: Tribute to Hieronymus Bosch in Congo 2011-2013 Jewel beetle wing-cases on wood 227,5x173x8,1 cm

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Questo catalogo è stato pubblicato in occasione della mostra Jan Fabre, My Only Nation is Imagination STUDIO TRISORIO NAPOLI 26 giugno - 30 ottobre 2017 a cura di / curated by Melania Rossi

© Jan Fabre / Angelos bvba

FOTOGRAFIE DI / PHOTOGRAPHS BY Amedeo Benestante Mario Gastinger Lieven Herreman Attilio Maranzano Pat Verbruggen

Ritratto di Jan Fabre / Portrait of Jan Fabre Malou Swinnen, p. 11 Carlotta Manaigo, p. 92

TRADUZIONE DI / TRANSLATION BY Angela Federico Karen Whittle

PROGETTO GRAFICO / GRAPHIC DESIGN Paola Trisorio

STUDIO TRISORIO Riviera di Chiaia 215, Napoli www.studiotrisorio.com

Finito di stampare nel mese di giugno 2017 presso Officine Grafiche Giannini S.p.A., Napoli


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