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Avventura TORINESE P I E R
L U I G I
B A S S I G N A N A
E N T I E I M P R E S E P E R TO R I N O R E STAU R O, VALO R I Z Z A Z I O N E, FRUIZIONE
un’
Avventura TORINESE P I E R
L U I G I
B A S S I G N A N A
E N T I E I M P R E S E P E R TO R I N O R E STA U R O , VA LO R I Z Z A Z I O N E , FRUIZIONE
un’
Avventura TORINESE P I E R
L U I G I
B A S S I G N A N A
E N T I E I M P R E S E P E R TO R I N O R E STAU R O, VALO R I Z Z A Z I O N E, FRUIZIONE
introduzione
La Consulta riunisce 30 aziende ed enti impegnati nella valorizzazione del patrimonio artistico del territorio torinese ed ha celebrato i vent’anni della fondazione nel 2007. Sono stati investiti più di venti milioni di euro, realizzati trentadue interventi di restauro e fruizione in collaborazione con le Istituzioni e gli Enti di tutela. Le scelte sono effettuate in base ai criteri di rilevanza e urgenza dell’intervento, rapidità e certezze autorizzative di realizzazione, cadenza annuale o biennale e ritorno d’immagine. Questo percorso ha consentito alla Consulta un riconoscimento a livello locale e nazionale, con una ricaduta positiva sull’immagine delle aziende ed enti che ne fanno parte. Si è creata una circolarità virtuosa tra Istituzioni, Soprintendenze, Responsabili di Musei, Enti e Fondazioni che ha permesso di far conoscere la nostra Città oltre la tradizionale leadership industriale. Il mecenatismo si trasforma, si inaugurano nuove forme di collaborazione tra pubblico e privato, tra Imprese e Beni Culturali. In parallelo agli interventi di restauro, l’attenzione è rivolta a migliorare la valorizzazione e la fruizione dei beni culturali, anche utilizzando le professionalità presenti nella gestione delle imprese, con l’intento di ampliare i pubblici interessati e utilizzare meglio le risorse disponibili. La Consulta è un “valore” per il territorio torinese. I Soci hanno dedicato tempo e impegno e sentono la responsabilità di mantenere e sviluppare questo unicum che Torino ha rispetto ad altre città italiane.
Il Presidente
Lodovico Passerin d’Entrèves
un’ SI RINGRAZIANO: Accademia Albertina di Belle Arti Archivio di Stato
Avventura TORINESE P I E R
L U I G I
E N T I E I M P R E S E P E R TO R I N O R E STAU R O, VA LO R I Z Z A Z I O N E , FRUIZIONE
B A S S I G N A N A
Archivio Storico della Città di Torino Biblioteca Reale Città di Torino Confraternita Santissimo Sudario
indice
Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte
1.
INCOMINCIA L’AVVENTURA
Fondazione Camillo Cavour
2.
Facciate
24
3.
NUOVE ESPERIENZE
44
4.
ritorno alle origini
70
5.
un sogno a lungo coltivato
80
Provincia di Torino
6.
il fascino discreto della cultura
92
Regione Piemonte
7.
monumenti
104
8.
un teatro d’acque
122
9.
per fare bella torino
136
10.
NUOVI PERCORSI
156
11.
EFFETTI COLLATERALI
174
12.
NEL SEGNO DELLA TRADIZIONE
199
13.
CONTINUITA’ NELLA DIVERSITA’
207
-
1987 -2010 gli interventi della consulta
210
-
i soci della consulta
239
2
Fondazione Ordine Mauriziano Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea Museo Nazionale del Cinema Museo Nazionale del Risorgimento Italiano Palazzo Madama - Museo Civico d’Arte Antica
Società Promotrice delle Belle Arti Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte Teatro Regio di Torino Università degli Studi di Torino
FOTOGRAFIE: Ove non altrimenti specificato, le fotografie sono di Bruna Biamino
I.
INCOMINCIA L’AVVENTURA
Questa è dunque la storia di un’istituzione fondata ufficialmente nel 1987 e dei risultati da essa conseguiti in venti anni di attività. Una storia che, attraverso gli uomini, le iniziative, le realizzazioni, ha fatto della Consulta un unicum nel panorama dei soggetti che in Italia si occupano, a vario titolo, di arte, della sua salvaguardia e della sua promozione.
In un assolato mattino d’inizio estate un gruppetto di torinesi si era
Al momento della sua costituzione, la Consulta veniva a colmare, a Torino, un vuoto
dato appuntamento in piazza CLN. Proteggendosi dal sole nell’ombra dei
che in tutto il Paese diventava di giorno in giorno più evidente, e per molti versi imbarazzante,
portici, i cittadini colà radunati guardavano con attenzione le due sculture
non soltanto per ciò che riguardava la tutela e la salvaguardia dei monumenti, ma ancor
addossate alla parte posteriore delle chiese che fanno da quinta alla piazzetta
più sotto il profilo dello stimolo e del coordinamento, alla cui concretizzazione il Ministero
proiettando l’attenzione dei passanti sulla statua di Emanuele Filiberto
per i Beni Culturali, benché creato nel 1974, non aveva ancora dato, verso la metà degli anni
collocata al centro dell’adiacente piazza San Carlo. Era il 24 giugno 2005,
Ottanta, un contributo significativo.
giorno di san Giovanni, patrono della Città, e quelle persone attendevano
In effetti, lungo tutto il decennio 1970 gli interventi rivolti alla tutela e conservazione del
l’arrivo del sindaco che avrebbe dato inizio a una cerimonia che, nella
patrimonio artistico nazionale erano stati pochi, frutto più di scelte occasionali ed estemporanee,
memoria di molti, presentava addirittura aspetti prodigiosi.
che non di una politica coerente e razionale. Poteva capitare che una singola impresa,
Il sindaco, infatti, munito di uno degli oggetti più emblematici
per celebrare una qualche ricorrenza aziendale, decidesse di intervenire a proprie spese per
della nostra era tecnologica – il telecomando – avrebbe dovuto ridare
il recupero di questo o quel monumento, per il restauro di questo o quel ciclo di affreschi. Come
vita alle fontane sottostanti le due allegorie del Po e della Dora,
pure poteva avvenire che fossero assegnati fondi per il restauro d’urgenza di qualche edificio
riattivando il nastro d’acqua che da tempo quasi immemorabile
pubblico, salvo, poi, lasciare il cantiere interrotto quando le risorse a disposizione si esaurivano.
si era prosciugato, quasi si fosse interrato nelle viscere della terra, negando ai torinesi, nei giorni estivi, quella sensazione di refrigerio che ora erano costretti a ricercare sotto i portici, accontentandosi delle lame d’ombra proiettate dalle colonne.
E, puntualmente, all’arrivo del sindaco l’evento si verificò. Dopo il discorso di rito, il telecomando non deluse le attese. Superato l’attimo di incertezza durante il quale ci si chiede se l’aggeggio che stiamo manovrando funzionerà effettivamente, l’acqua prese a sgorgare, limpida e apparentemente fresca, dalle fessure che tagliano a metà la base dei due monumenti. Dopo anni di incuria, con lo smog impegnato ad annerire le statue e le vasche trasformate in ricettacolo di cartacce, cicche e immondizie varie, il monumento era finalmente restituito alla Città e alla fruizione dei cittadini. Ma dietro a questo risultato non vi era nulla di prodigioso. Il prodigio, se tale può essere considerato, consisteva invece nell’attività di un’istituzione cittadina che da tempo si preoccupava di recuperare, ripristinandone l’antico splendore, pezzi significativi dell’identità culturale torinese: la «Consulta per la valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino», meglio conosciuta come la «Consulta» tout court. 2 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
1. incomincia l’avventura 3
1 VILLA DELLA REGINA, VISTA DALLA GROTTA DEL RE SELVAGGIO, DOPO I RESTAURI
Altre erano, in quel periodo, le priorità che il settore pubblico era chiamato
sino a quando, in conseguenza dei ripetuti
ad affrontare. Non è superfluo, infatti, ricordare che gli anni successivi al 1969, e sino al 1980,
bombardamenti, si era ritenuto più
si caratterizzarono, oltre che per le conseguenze dell’«autunno caldo» e della conflittualità
prudente smontarlo e trasferirlo altrove,
permanente, anche per altri eventi traumatici: dai tentativi di destabilizzazione provocati
salvo poi ricollocarlo sul suo piedistallo nel
da frange terroristiche, alle ricorrenti crisi petrolifere; eventi tutti, a fronte dei quali la società
1946. Nel frattempo, però, le istruzioni
italiana, nel suo complesso, si trovò sostanzialmente impreparata. A partire dal 1973 i prezzi
di fissaggio dei tre zoccoli del cavallo
dell’energia e delle materie prime raggiunsero livelli inusitati e imprevedibili, collocando
al basamento, redatte all’atto della risi -
stabilmente l’inflazione al di sopra del dieci per cento, con il risultato finale di una dinamica
stemazione, erano andate smarrite, e si
del costo del lavoro eccessivamente accelerata.
pensava che fosse sufficiente imbragare
Capitava dunque che anche quando, per avventura, venivano reperite risorse
convenientemente la statua e farla solle -
da destinare a interventi di restauro, esse si rivelassero ben presto insufficienti ad assicurare
vare da una gru appositamente convocata.
il completamento dell’opera. E comunque, l’incertezza sull’andamento dei costi era tale
Il cavallo, però, non era della stessa
da scoraggiare anche i più volenterosi dallo sviluppare programmi organici d’intervento.
opinione; essendo riuscito a resistere
Ma in realtà le risorse non c’erano, perché la finanza pubblica versava in pieno
impavido alle bombe sganciate in grande
dissesto, reso manifesto dal crescente deficit del bilancio dello Stato. I fabbisogni del settore
quantità sulla piazza dai Lancaster della RAF, non aveva nessuna voglia di farsi scalzare dal suo
pubblico allargato stavano assorbendo più del dieci per cento del reddito nazionale,
piedistallo in una maniera così prosaica, per non dire ingloriosa. Non per nulla il cavaliere
provocando la paralisi di qualsiasi politica, minimamente decorosa, di investimenti pubblici.
che lo montava era noto anche come «Testa di Ferro».
Se non c’erano quattrini per l’ordinaria manutenzione della viabilità, era quasi impensabile che se ne trovassero per il restauro di monumenti.
Epica fu la resistenza del cavallo, che per ben due giorni si oppose agli assalti sempre più pressanti del mezzo meccanico; poiché la situazione stava diventando imbarazzante, forse
Restavano soltanto le iniziative estemporanee, come quella che, per rimanere
troppo, non restava che adottare a mali estremi, estremi rimedi. E così, all’alba del terzo
a Torino, alla fine del decennio, ebbe per oggetto il monumento di piazza San Carlo, dedicato
giorno, il cannello della fiamma ossidrica permise di liberare i perni fissati nel cemento e final-
a Emanuele Filiberto. L’evento, a livello torinese, ebbe risonanza, ma più per le circostanze
mente il destriero, vinto ma non domo, poté compiere il suo viaggio trionfale attraverso
che lo accompagnarono che non per l’importanza intrinseca dell’operazione.
la città, sino al laboratorio che avrebbe provveduto alla ripulitura.
Per effetto di agenti atmosferici e batterici, il monumento versava effettivamente
Quell’episodio doveva rimanere, almeno per Torino, l’ultimo esempio di un’inter -
in condizioni di notevole degrado, ed era urgente provvedere. Normalmente, in casi del genere
vento isolato nel campo della tutela delle opere d’arte, perché con gli anni Ottanta
– come confermano anche i più recenti interventi, uno dei quali in corso su quello stesso
il panorama migliorò sensibilmente. Intanto, mutarono le condizioni economiche generali.
monumento – si costruisce attorno all’opera da restaurare un apposito riparo, al cui interno gli specialisti incaricati della bisogna procedono alle operazioni ritenute necessarie. In quella
Nel 1980 l’inflazione aveva toccato la punta più alta, attestandosi al 21,7 per cento e rendendo evidente che l’opera di risanamento non poteva più essere rinviata.
circostanza, invece, l’amministrazione cittadina ritenne più proficuo spettacolarizzare l’evento,
Ad attuarla fu la Banca d’Italia. Se durante il decennio precedente la sua azione era
rimuovendo la statua dal basamento. Si riteneva che l’immagine del cavallo, sollevato dal suo
stata condizionata dal timore che una politica di rigore monetario avrebbe avuto come
piedistallo e penzolante sulla testa dei torinesi che passavano da quelle parti avrebbe
conseguenza un aumento della disoccupazione, con la sconfitta del terrorismo maturavano
certamente fatto il giro, se non del mondo, almeno dei borghi cittadini, a maggior gloria
anche le condizioni per un’azione più rigorosa. Venivano così alzati sensibilmente i tassi
di chi l’aveva voluta.
di interesse e si inaugurava una doverosa politica del cambio, che avrebbe condotto
Ma i proponenti avevano fatto male i loro calcoli. Bisogna ricordare che il gruppo bronzeo era rimasto al suo posto anche durante la prima fase della seconda guerra mondiale, 4 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
all’apprezzamento della lira in conformità con il suo ingresso nel Sistema Monetario Europeo. 1. incomincia l’avventura 5
ALFONSO BALZICO MONUMENTO A FERDINANDO DI SAVOIA, 1877
Nell’immediato, la stretta creditizia che ne derivò avrebbe aumentato le difficoltà
Dieci milioni qui, dieci milioni là, le domande arrivano a centinaia, rivoli di denaro
del sistema, ma nella prospettiva di qualche anno lo avrebbe irrobustito. Se è vero che gli anni
che a fine anno rappresentano, per le aziende, miliardi, ma anche uno degli aspetti credibili
1980-1983 sono ricordati come il «quadriennio nero», è anche vero che già nel 1984
della vita culturale torinese.
l’inflazione, per la prima volta dopo molti anni, scese sotto il dieci per cento, e la discesa
Forse le cose non stavano proprio come scriveva La Repubblica del 13 settembre
sarebbe proseguita anche negli anni successivi, dando così inizio a quello che sarà ricordato
1991, ma indubbiamente, nel volgere di pochi anni, il clima era completamente mutato, anche
come il più lungo periodo ininterrotto di espansione dell’economia italiana.
perché nel frattempo stavano mutando i soggetti e i contenuti del complesso rapporto che
Mutando in meglio le prospettive economiche, mutava anche l’atteggiamento
intercorre tra l’opera d’arte, o più in generale il bene culturale, e la sua tutela, la sua
generale verso la tutela dei beni culturali. Con il ritorno a bilanci più floridi, aumentò
valorizzazione, la sua promozione. Alla figura del mecenate tradizionale, persona fisica,
la propensione delle imprese a investire in immagine, al miglioramento della quale si riteneva
singolo protettore illuminato delle arti e degli artisti, si stava sostituendo con frequenza
– e con ragione – che la sponsorizzazione di iniziative culturali di vasto respiro giovasse
crescente il mecenate collettivo rappresentato dall’impresa o, comunque, dal soggetto
in misura notevole. A favorire l’inversione di tendenza contribuì non poco l’approvazione
con finalità economiche, che non si identificavano più in questo o quell’individuo, ma
della legge 512 del 1982. Con quel provvedimento, infatti, veniva fissata tutta una serie
nel marchio, o «logo», sociale.
di incentivi rivolti a incoraggiare la proprietà privata a effettuare interventi di conservazione
Certo, anche l’impresa, talvolta, era indotta a comportarsi come il mecenate
e manutenzione degli edifici storico-artistici vincolati. Sino a quel momento i beni in
tradizionale, ad esempio facendosi progettare gli immobili sociali da architetti di grido, e poi,
questione erano considerati dal fisco come generatori di reddito, destinato naturalmente
una volta ultimati, abbellendoli con statue di artisti famosi e arredando le sale con dipinti
a incrementarsi e quindi a procurare risorse all’erario, anche quando essi non potevano avere,
di pittori celebrati. Ma si trattava di una coperta che diventava sempre più stretta, e che,
per le loro caratteristiche, alcuna destinazione a finalità economiche. La nuova legge, invece,
soprattutto, non assicurava visibilità.
stabiliva il principio che il proprietario del bene vincolato aveva la possibilità di dedurre dal proprio imponibile gli oneri sostenuti per i restauri e la manutenzione degli edifici di sua proprietà, sanando così l’anomalia consistente nell’assoggettare a imposizione spese per lo più improduttive di reddito. Ma ancor più importante ai fini della promozione di iniziative di restauro a opera dei privati era quella parte della legge che considerava deducibili dall’ammontare dei redditi «le erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, di enti o istituzioni pubbliche, di fondazioni, di associazioni legalmente riconosciute che senza scopo di lucro svolgono o promuovono attività di studio, di ricerca e di documentazione di rilevante valore culturale e artistico, effettuate per l’acquisto, la manutenzione, la protezione o il restauro delle cose indicate nell’articolo 1 della legge 1° giugno 1939, n. 1089 [omissis] comprese le erogazioni effettuate per l’organizzazione di mostre e di esposizioni che siano di rilevante interesse scientifico-culturale delle cose anzidette, e per gli studi e le ricerche eventualmente a tal fine necessari». Anche se la deduzione dal reddito era soltanto parziale e le condizioni necessarie per ottenerla non sempre facilmente realizzabili, si trattò di una vera e propria rivoluzione, che vide moltiplicarsi in maniera impressionante, da parte delle imprese industriali e ancor più del sistema bancario, i casi di sponsorizzazione di interventi di restauro e recupero, nonché di iniziative le più svariate, purché potessero fregiarsi dell’appellativo di «culturali». 6 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
1. incomincia l’avventura 7
DOMENICO FERRI E GIUSEPPE BOLLATI PALAZZO CARIGNANO, FACCIATA, 1864-1871
Questa poteva essere garantita soltanto da interventi rivolti al pubblico,
tra questa e il contesto esterno. Perché ciò avvenga le imprese debbono tralasciare iniziative
possibilmente condivisi dalla collettività entro la quale venivano posti in essere, e perciò
estemporanee e disparate e diventare protagoniste stabili dell’attività artistica, culturale,
stesso riconoscibili. E proprio l’attitudine dell’impresa a comportarsi di volta in volta sia come
ecologica, umanitaria attraverso la realizzazione di un progetto di lungo periodo, fondato
mecenate tradizionale sia come mecenate collettivo dimostrava quanto fosse artificiosa
su una continuità di valori condivisi. Devono, insomma, ascoltare di più
la distinzione, che pure da qualche parte era stata adombrata, fra il mecenate, persona
la società e rispondere alle esigenze che essa manifesta, non solo in
disinteressata, mossa unicamente dal sacro fuoco dell’arte, e lo sponsor, soggetto mosso
termini economici, ma anche mettendo a disposizione la propria
da finalità meno nobili, come potevano essere il ritorno d’immagine, o addirittura il ricavo
struttura e le proprie risorse manageriali e organizzative».
economico.
Non era dunque improprio che i media parlassero di un
L’impresa era dunque il nuovo mecenate. Se questa affermazione era vera, allora,
"nuovo Rinascimento", individuando negli imprenditori i nuovi
come osservava il Lessico dei beni culturali, «occorre che il mecenatismo testimoni
mecenati destinati a rinverdire le gesta dei loro predecessori: «Nel
la responsabilità etica e sociale dell’impresa e contribuisca a sviluppare una relazione positiva
Rinascimento erano principi e signori amanti delle belle arti, adesso PELAGIO PALAGI PALAZZO REALE, CANCELLATA, 1834
8 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
1. incomincia l’avventura 9
FILIPPO JUVARRA ARCHIVIO DI STATO, FACCIATA, 1731
sono banche e società assicurative. Una volta finanziavano costruzioni, edifici, affreschi e ritratti, chiese e basiliche, ora parte delle loro ricchezze le impiegano per mantenere restauri, consolidamenti, salvataggi, scoperte». Ma a ben guardare, la situazione, rispetto al primo Rinascimento, non era poi molto cambiata: in fondo, anche i Medici avevano iniziato come operatori economici… A destare l’interesse, e l’ammirazione, della stampa era la natura privatistica degli interventi, la capacità delle imprese di macinare profitti su profitti, dopo gli anni opachi e per molti versi preoccupanti del decennio 1970-1980. E, accanto a questi risultati, destavano ammirazione anche la volontà delle imprese di investire una parte dei profitti in cultura e la loro capacità di gestire proficuamente risorse anche su terreni certamente poco familiari, quali quelli del recupero e del restauro dell’opera d’arte. In sostanza, sosteneva l’articolista, «le strutture private quando affrontano problematiche legate ai beni culturali hanno sempre la loro costante e giusta conduzione imprenditoriale e dimostrano, soprattutto, di essere in grado di affrontare problemi di carattere socio-culturale, in chiave economica, meglio dello Stato». Donde la provocazione: «E se privatizzassimo l’assessorato ai Lavori Pubblici?».
Qualcosa del genere stava avvenendo anche a Bologna, dove 76 industriali si erano
In questa scoperta della capacità del privato sul pubblico vi era forse un eccesso
associati, sotto l’egida dell’Unione Industriale, in un’alleanza degli imprenditori per la cultura,
di enfasi, ma indubbiamente le realizzazioni che si potevano concretamente verificare erano
impegnandosi a fornire le risorse necessarie per salvare dal degrado la statua del
molte, e tutte importanti. Gli anni attorno al 1990 rappresentarono per molti versi
Giambologna in piazza Maggiore. Quella poteva essere una prima risposta, ma era soltanto
un momento magico per la sponsorizzazione di grandi interventi, che coinvolsero molti
parziale, in quanto prendeva in considerazione un singolo intervento senza darsi prospettive
degli edifici-simbolo della realtà torinese. In un arco di tempo brevissimo si ebbero interventi
di continuità, e inoltre l’adesione di un numero così elevato di imprese era dovuta al carattere-
di grande portata sulla Basilica di Superga, il Museo Egizio, la chiesa dei Santi Martiri
simbolo dell’opera che si intendeva restaurare. Tutti i bolognesi, infatti, si identificavano
(tutti sponsorizzati dalla neonata Compagnia di San Paolo); altri interventi riguardarono
nel popolarissimo «Gigante», come confidenzialmente veniva chiamata la statua del Nettuno.
invece la Palazzina di Caccia di Stupinigi, il Castello di Rivoli, il primo piano di Palazzo Reale
Se anziché intervenire su un monumento emblematico si fosse dovuta operare una scelta
(sponsorizzati da Fiat e Fondazione CRT). Contemporaneamente, sempre a cura degli stessi
fra diverse opzioni, fatalmente le opinioni, e gli interessi, avrebbero preso a divaricarsi
soggetti venivano allestite grandi mostre come «Da Leonardo a Rembrandt» o quella delle
e sicuramente l’adesione al progetto non sarebbe stata così elevata.
«Porcellane e Argenti del Palazzo Reale di Torino» o ancora quella sulla pittura russa al Lingotto.
A Torino si cercò di evitare questi inconvenienti dando vita a un organismo che fin dall’inizio presentò caratteristiche originali. L’idea prese corpo nel corso del 1986 attraverso
Tutti impegni, come si può notare, di notevole rilievo, che comportavano
una serie di incontri informali fra alcune persone che, a titolo privato e per ragioni
investimenti di molte decine di miliardi, e quindi alla portata di grandi realtà economiche,
di lavoro, erano coinvolte nella vita sociale di Torino. Preoccupate, da un lato, per le evidenti
e dai quali restava pertanto esclusa tutta una serie di soggetti che, se pure estremamente
necessità culturali della città e, dall’altro, per il fatto che la mancanza di risorse pubbliche
significativi nel panorama industriale ed economico cittadino, non erano adusi a stanziare
generava una proliferazione di richieste, cercarono di rispondere con una distribuzione
singolarmente le ingenti risorse necessarie a realizzare sponsorizzazioni individuali.
razionale dei finanziamenti.
La risposta era nelle cose. La forma associativa poteva dare voce a questi soggetti e consentire loro, con investimenti individuali adeguati, di realizzare interventi di rilievo. 10 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
Per evitare, o quanto meno cercare di ridurre, questi inconvenienti, si suggeriva che fra i soggetti interessati venissero organizzate delle riunioni che consentissero di operare 1. incomincia l’avventura 11
UMBERTO MASTROIANNI TEATRO REGIO, ODISSEA MUSICALE, 1994
scelte collettive in grado di evitare duplicazioni d’interventi e, soprattutto, di individuare
Ad accentuare il carattere informale dell’iniziativa, si escludeva che potesse esservi
un ordine di priorità, così da concentrare di volta in volta le risorse disponibili su pochi
una sede fissa: le riunioni sarebbero state ospitate, di volta in volta, presso una delle imprese
obiettivi, ma di vasto respiro.
partecipanti e sarebbero state presiedute dal rappresentante dell’ente ospitante.
È opportuno ricordare quali furono le aziende iniziatrici: Utet, SKF, Gruppo GFT, Fiat,
Al più, si sarebbero affidati eventuali compiti di segreteria all’Unione Industriale.
Cassa di Risparmio di Torino, Sai-Società Assicuratrice Industriale, SEI, Toro Assicurazioni,
Un’organizzazione, dunque, estremamente flessibile e leggera, che non voleva neppure
Ilte, Recchi Costruzioni, Martini & Rossi, con l’Unione Industriale di Torino a fare da trait-d’union.
gravarsi di oneri amministrativi, prevedendo fin dall’inizio che eventuali finanziamenti per
La presenza di grandi realtà come Fiat e Cassa di Risparmio di Torino, che già operavano
iniziative da sponsorizzare in comune sarebbero stati versati «singolarmente a un ente
a tutto campo per conto loro, non deve stupire. Da un lato era loro utile interagire con altri
esterno, da designarsi di comune accordo, validamente strutturato per effettuare le necessarie
soggetti, perché gli interventi realizzati in forma associata potevano assicurare meglio che
erogazioni e per compiere tutti quegli altri atti, anche nei confronti di terzi, necessari o utili
non nel caso della scelta operata singolarmente le condizioni di riconoscibilità e condivisibilità
per realizzare concretamente l’iniziativa». La configurazione dell’organismo che scaturiva dalla
che sono alla base del gradimento sociale dell’impresa. Dall’altro lato, la presenza delle grandi
lettera d’intenti non solo corrispondeva ai requisiti della legge 512/1982 (dal momento che
imprese consentiva a tutti gli aderenti di accedere a forme di competenza e di esperienza
si trattava di erogazioni liberali in favore di un ente – da individuare – legalmente riconosciuto
su terreni ancora poco familiari. Coerentemente con il carattere subalpino dell’iniziativa,
e senza scopo di lucro, che fosse in grado di attivare tutte le iniziative necessarie per realizzare
in un primo momento si decise di non isti-
il progetto), ma corrispondeva anche alle
tuzionalizzare gli incontri né, tanto meno, di dare
aspettative, e diciamo pure alla cautela, delle
forma giuridica (associazione, fondazione) al
imprese partecipanti. Tanto che, a conclusione
nuovo organismo che si veniva creando.
del documento, si avvertiva ancora la necessità
I partecipanti dovevano ritenersi vincolati ad
di precisare che «non si intende[va] costituire
adottare regole comuni di comportamento sulla
alcuna associazione, comitato od altra entità
base di una semplice «dichiarazione di intenti»
autonoma giuridicamente rilevante, ma si voleva
che ciascuno di essi era chiamato a sottoscrivere.
soltanto stabilire alcune regole di compor -
Muovendo «dal comune intento di
tamento per realizzare un’efficace azione
migliorare, anche mediante un’azione libera -
concertata a beneficio dei beni culturali della
mente concertata, la situazione del patrimo -
città di Torino». In sostanza, erano i principi di
nio culturale torinese, importante ma in grave
correttezza e buona fede a regolare i rapporti
degrado e scarsamente valorizzato», i sotto -
fra i sottoscrittori. In questa fase, la deno -
scrittori manifestavano l’intenzione «di scam -
minazione di «Consulta» incominciava a circo -
biarsi i dati in proprio possesso sulla situazione
lare ed era riportata in testa ai documenti che
anzidetta, di informarsi reciproca mente sulle
venivano prodotti in occasione delle diverse
attività e progetti propri e altrui riguardanti i beni
riunioni, ma non era ancora ufficializzata,
culturali cittadini, di consultarsi per individuare,
né l’organismo disponeva di un logo proprio.
scegliere e organizzare iniziative non effimere
Ora, l’esperienza insegna che orga -
a beneficio di tali beni, da sponsorizzarsi con
nismi siffatti, privi di una struttura permanente,
il concorso di tutti gli aderenti» ed even tual -
costituiti su base volontaristica, mancanti di
mente anche di terzi.
una sede stabile, anche quando sono composti
12 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
1. incomincia l’avventura 13
era stato conferito in base alla legge sull’avocazione dei beni ecclesiastici, o i padri filippini, ai quali esso era stato successivamente riaffidato, pur mantenendone lo Stato la proprietà. In realtà, non c’era che l’imbarazzo della scelta. A convincere i promotori della Consulta della necessità e urgenza di intervenire, si inserì anche una severa, e impietosa,
PALAZZO CARIGNANO AULA DEL PARLAMENTO SUBALPINO, 1848
critica proveniente dall’estero. In un lungo articolo comparso sull’edizione europea dell’Herald Tribune, e rilanciato da La Stampa, venivano raccontate le impressioni prodotte dalla visita a tre importanti strutture museali di Torino: il Museo d’arte antica di Palazzo Madama, la Galleria Sabauda e il Museo Egizio. Nel primo caso si faceva riferimento a opere di primissimo piano, capolavori assoluti, annegati fra opere mediocri e quasi nascosti. Come nel caso del Ritratto di Ignoto di Antonello da Messina, che secondo l’autore dell’articolo avrebbe meritato «uno spazio tutto suo al Metropolitan Museum di New York», mentre giaceva mimetizzato fra opere di secondo piano. E analoga sorte toccava alla Vergine e il Bambino, di Ambrogio Benson, quasi nascosta. La situazione, poi, non era migliore per il Museo Egizio, che pur essendo molto conosciuto nel mondo, lasciava molto a desiderare. Pur esponendo statue come quelle dei faraoni Thutmosi III e Ramsete II, invidiate dal Louvre e dal British Museum, e collezionando da persone fortemente calate nella realtà economica e produttiva – come sono, appunto, i responsabili di impresa – raramente riescono a superare lo stadio dell’infanzia; di solito vanno ad arenarsi sulle secche dell’impegno quotidiano, che non lascia tempo e spazio per divagazioni certamente piacevoli, ma altrettanto sicuramente non prioritarie. Molto spesso, una volta conclusa l’iniziativa che aveva determinato l’aggregazione dei soggetti, e prima che le circostanze suggeriscano di dar loro veste più istituzionale, questi organismi si sciolgono, se non formalmente, almeno di fatto: le riunioni si diradano, le discussioni si fanno più svogliate, i tempi di decisione si dilatano. E poi più nulla. Che una simile sorte non sia toccata alla Consulta, ma che anzi essa abbia potuto raggiungere la maturità, superando la fase dell’aggregazione informale per darsi veste e sostanza di associazione, è un evento raro, da studiarsi, nel caso specifico, con la massima attenzione. È probabile che all’origine del successo della Consulta vi sia stata la rapidità di decisione nella scelta del primo intervento. In questo caso, la scelta non si prospettava per nulla facile, poiché tali e tante erano le situazioni di degrado di importanti edifici storici cittadini, che diventava arduo individuare un ordine di priorità. La chiesa di San Filippo era un esempio illuminante: come riferiva La Repubblica, l’edificio presentava «tetti parzialmente sfondati, pareti intrise di umidità; stucchi e marmi del pronao corrosi dallo smog». A complicare le cose, l’incertezza sulla titolarità del soggetto in capo al quale sarebbe toccato provvedere anche soltanto all’ordinaria manutenzione: se il demanio, cui l’edificio 14 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
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capolavori di scrittura su papiri di cui era difficile trovare traccia, aveva preferito mettere in risalto altri reperti più tradizionali. Per non parlare, poi, della Galleria Sabauda, dove «una coppia di angeli in volo del Beato Angelico, un’Incoronazione della Vergine di Bernardo Daddi e un San Francesco che riceve le stimmate di Van Eyck sono soltanto citati saltuariamente nelle guide del Museo e non sono nemmeno raffigurati con una foto». Anche la conclusione della Stampa era altrettanto severa, per non dire polemica. Quelli posti dall’Herald Tribune erano «interrogativi imbarazzanti, a cui ieri le autorità cittadine non hanno potuto rispondere:
DISEGNO DEL SALONE DI S.A.S. IL PRINCIPE DI CARIGNANO, NEL MODO CHE FU ORNATO PER LA MAGNIFICA FESTA DA BALLO DEL MEDESIMO DATASI IN OCCASIONE DEGLI SPONSALI DELLE LL.AA.RR. IL DUCA E LA DUCHESSA DI SAVOIA 1750, BIBLIOTECA REALE
il sabato è festa». In realtà, i responsabili avrebbero risposto qualche PALAZZO CARIGNANO LA FOLLA DAVANTI AL PALAZZO IL GIORNO DELL’INAUGURAZIONE DEL PARLAMENTO
giorno più tardi, rispolverando le consuete giustificazioni legate alla mancanza di risorse, al fatto di aver utilizzato a scopi museali edifici progettati per altri usi; più in generale, respingendo con aristocratico sussiego la concezione del museo come «vetrina da grande magazzino» che, secondo loro, le critiche dell’Herald Tribune lasciavano sottintendere. Ma il sasso nello stagno era stato lanciato al momento giusto. Già fin dal 13 ottobre 1986 gli aderenti alla Consulta, nel corso di un’apposita riunione, avevano preso in esame diverse opzioni, che andavano dalla sistemazione dell’Aula del Parlamento Subalpino, in Palazzo Carignano, al restauro delle facciate delle chiese di San Carlo e Santa Cristina, al riordino dell’Armeria Reale, cui si aggiungeva la proposta di organizzare una mostra dei disegni leonardeschi conservati nella Biblioteca Reale. Erano tutte situazioni delle quali la Consulta avrebbe avuto modo di occuparsi in seguito, come pure si sarebbe occupata della chiesa di San Filippo, ma nell’immediato si ritenne più opportuno saggiare la propria capacità operativa con interventi che richiedessero un impegno gravoso, in termini sia di risorse sia di difficoltà tecnica. Fra le diverse opzioni allo studio venne perciò approvata la proposta di finanziare il rifacimento dell’impianto antincendio e la ripulitura del soffitto dell’Aula del Parlamento Subalpino in Palazzo Carignano, che proprio per le sue carenze in materia di sicurezza era chiusa ormai da anni, e quindi sottratta alla fruibilità di quanti visitavano il Museo Nazionale del Risorgimento. Anche se si trattava di un intervento con una previsione di spesa che non superava i cinquanta milioni di lire, esso aveva comunque il pregio di consentire una verifica accurata della capacità di dialogo fra la Consulta e l’ente al quale sarebbe andata – in ottemperanza alle disposizioni della legge 512/82 – l’erogazione liberale da essa predisposta perché provvedesse alla «manutenzione, protezione o restauro» dell’Aula in questione, entro i limiti fissati. Per ottemperare a questa disposizione, era stato stipulato un accordo con la Società
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1. incomincia l’avventura 17
Piemontese di Archeologia e Belle Arti in base al quale essa, con le risorse messe
in uno Stato moderno, in grado di sostenere con successo il peso della seconda guerra
a disposizione dalla Consulta, avrebbe dovuto realizzare, previo riconoscimento di una quota
d’Indipendenza. Ma soprattutto furono i dibattiti – anche quelli minori – che si svolsero in
di servizio, l’intervento che era stato deciso.
quell’Aula a fare del Regno di Sardegna l’unico esempio di democrazia parlamentare esistente
Era però di tutta evidenza che la modestia dell’impegno che stava assumendo non
in quel momento in Italia. Mentre tutti gli altri sovrani d’Italia, e quasi tutti quelli d’Europa,
avrebbe consentito alla Consulta di presentarsi all’opinione pubblica in modo adeguato
si erano prontamente rimangiati le concessioni che i moti di piazza del 1848 avevano
all’importanza delle aziende che ne facevano parte e, soprattutto, al ruolo che essa intendeva
strappato loro, il re di Sardegna aveva mantenuto fede all’impegno assunto con lo Statuto.
assumere nel panorama culturale torinese. Il fatto che dodici fra i nomi più importanti
L’Aula del Parlamento Subalpino, ripetutamente modificata per ottemperare a nuove
dell’industria e della finanza cittadine si impegnassero a sostenere un intervento del valore
esigenze, avrebbe ospitato anche le prime sedute del Parlamento Italiano, per cessare
complessivo di circa cinquanta milioni di lire, rischiava addirittura di essere controproducente.
definitivamente di essere utilizzata il 18 ottobre 1860, quando i deputati del neonato Regno
Bisognava perciò pensare a un intervento di maggiori dimensioni che, al momento della
d’Italia si trasferirono nella sala provvisoriamente costruita nel cortile del palazzo stesso.
presentazione ufficiale, assicurasse alla Consulta la necessaria visibilità.
Da quel momento, per l’Aula iniziò una nuova vita. Essa venne ripetutamente
Vennero prese in esame diverse opzioni. Fra le altre, si pensò di procedere
utilizzata per ospitare congressi di particolare importanza, e fu il fulcro delle mostre storiche
al restauro delle facciate delle chiese di San Carlo e Santa Cristina. L’idea però venne
che periodicamente vennero organizzate a Torino, finché, trasferito a Palazzo Carignano
accantonata, sia perché il progetto di restauro risultava troppo oneroso (un miliardo
il Museo Nazionale del Risorgimento, entrò naturalmente a far parte del percorso museale,
e quattrocento milioni per le sole facciate, escludendo le statue), ma soprattutto perché
del quale costituiva la componente più significativa.
avrebbe richiesto troppo tempo, mentre vi era la necessità di individuare «progetti di più facile
In tutta questa lunga vicenda l’Aula era già stata oggetto di ripetuti interventi:
e pronta realizzazione e di immediata efficacia nei confronti del pubblico». La soluzione più
specialmente nel 1948, in occasione del centenario dello Statuto, e nel 1961, per le
ragionevole non poteva che essere quella di ampliare l’intervento su Palazzo Carignano.
celebrazioni del centenario dell’Unità nazionale. Interventi, va detto subito, non sempre
E così, ad appena una settimana dalla precedente decisione, si stabilì di «aggiungere
meditati, condotti più col criterio della manutenzione, che comporta la sostituzione delle parti
ai due interventi su Palazzo Carignano […] il restauro dell’Aula del Parlamento Subalpino,
usurate, che non con quello del restauro, che punta invece al recupero dell’esistente.
portando la spesa totale a 220 milioni»: un onere significativo e al tempo stesso compatibile
Si doveva perciò operare un intervento di carattere esclusivamente conservativo, attenendosi
con l’impegno economico che gli aderenti alla Consulta intendevano assumere.
all’immagine che l’Aula presentava al momento della sua ultima seduta e non a quello della
Questa decisione aveva un forte significato simbolico. Il Palazzo Carignano, già
sua nascita. Innanzitutto si doveva seguire un criterio assolutamente omogeneo nel trattare
dimora avita di Carlo Alberto, era stato da questi ceduto al demanio all’atto della sua
le numerose parti decorative dorate che, da seggi, lampadari, cornici, capitelli, festoni,
proclamazione a re di Sardegna e aveva subito alcuni rimaneggiamenti per renderlo adatto
mensole, connotavano l’insieme e che in passato erano state svilite da riprese con bronzine,
a nuovi usi, come l’insediamento della Direzione Generale delle Regie Poste. Promulgato
e attualmente risultavano pericolanti per effetto di estesi sollevamenti.
lo Statuto il 4 marzo 1848, si erano trovati in Palazzo Madama gli spazi idonei per l’Aula del
Quindi bisognava operare per il consolidamento e la pulitura delle parti originarie,
Senato, e si era scelto il Salone da ballo di Palazzo Carignano per ospitare l’Aula della Camera
procedendo a un’integrazione contenuta, per non cadere nel tranello di una sfavillante,
dei Deputati. I lavori, condotti con straordinaria celerità, consentirono di tenere la prima
e stucchevole, ridoratura. Analogamente ci si doveva comportare per il consolidamento
riunione già l’8 maggio. Da quel momento quell’Aula rappresentò il cuore, l’epicentro delle
dell’apparato ligneo e dei lampadari a muro, nonché per la pulitura e il consolidamento delle
aspirazioni nazionali dei patrioti italiani. È lì che si sarebbero prese le grandi decisioni, quelle
parti tessili. Poiché non era più previsto che l’Aula venisse utilizzata per riunioni, ma avesse
che, attraverso sconfitte e vittorie, delusioni e speranze, avrebbero portato – sempre nello
una destinazione esclusivamente museale, fu possibile escludere interventi di sostituzione
stesso luogo – alla proclamazione del Regno d’Italia. È lì che Cavour avrebbe condotto quelle
o di rifacimento che avrebbero in qualche misura snaturato l’insieme.
battaglie parlamentari che consentirono di trasformare, nel «decennio di preparazione»,
L’intenzione di procedere al restauro dell’Aula del Parlamento Subalpino venne
il Piemonte da una condizione statica, di piccola realtà marginale in ritardo sul progresso,
presentata alla cittadinanza e alla stampa il 19 ottobre 1987, in concomitanza con
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1. incomincia l’avventura 19
PALAZZO CARIGNANO AULA DEL PARLAMENTO SUBALPINO, 1848
la presentazione ufficiale della Consulta. Era la prima volta, come ebbe modo di sottolineare
in mezzo mondo. Oggi vuole darsi una nuova immagine e contare davvero anche nel mondo
nella conferenza stampa il coordinatore del gruppo e direttore generale della Martini & Rossi,
della cultura».
Aimone di Seyssel d’Aix, «che dodici aziende ed enti decidono di mettersi insieme
In quel 19 ottobre – che può essere assunto come data ufficiale di nascita della
per concentrare le proprie disponibilità economiche e utilizzare le proprie capacità tecniche
Consulta – il battesimo era dunque riuscito e il primo intervento avviato con unanime
e professionali per la salvaguardia e la valorizzazione delle ricchezze storiche, artistiche
consenso. Diventava quindi necessario che il sodalizio superasse la fase sperimentale
e culturali della città».
per darsi un assetto più stabile e, soprattutto, più strutturato. Non era immaginabile, infatti,
La costituzione della Consulta venne accolta con grande plauso dai rappresentanti
che la gestione di interventi complessi e costosi – prevedibilmente più complessi e più costosi
dell’amministrazione cittadina, intervenuti alla presentazione, ma furono soprattutto i giornali
di quello riguardante l’Aula di Palazzo Carignano – potesse rimanere affidata al buon volere
a cogliere appieno il senso e la portata dell’iniziativa. Come osservava qualche giorno dopo
e alla disponibilità di tempo di persone che, per l’importanza dei ruoli rivestiti, erano già
in un suo editoriale Italia Oggi, «Torino ha dunque voglia di vincere. Da tempo non
naturalmente oberate di impegni; né era più sostenibile che per gli interventi futuri dovesse
si accontenta più di essere la città dell’auto o di ospitare la massima concentrazione di robot
continuare a valere il principio dell’unanimità. In altre parole, occorreva che la Consulta
e di laser, di controllare più del 30 per cento della Borsa o di possedere imprese e società
si desse uno statuto attraverso il quale si definissero gli organi direttivi, i criteri di formazione delle decisioni, la titolarità della rappresentanza verso terzi. Inoltre, pur mantenendo la Consulta tutta l’agilità e la flessibilità che l’avevano caratterizzata sin dall’inizio era indispensabile che si dotasse di un minimo di struttura, in grado di assicurare continuità all’azione burocratico-amministrativa, specialmente nei confronti delle pubbliche autorità e delle istituzioni di tutela, come era richiesto dalla natura stessa degli interventi che si intendeva realizzare. In altre parole, era indispensabile che, da sodalizio informale come era stata sino a quel momento, la Consulta si trasformasse in un’associazione vera e propria, dotandosi di uno statuto in grado di regolare i rapporti fra gli aderenti, «che rafforzi i legami tra gli enti partecipanti e dia alla Consulta una organizzazione più stabile ed efficiente»; questa esigenza era già stata espressa in una riunione del 17 giugno 1987, e quindi ben prima della presentazione ufficiale. La Consulta aveva finalmente una sede riconosciuta, stabilita presso l’Unione Industriale; si dava degli organi direttivi – presidente, consiglio –; prevedeva incarichi operativi – segretario, tesoriere –; fissava i poteri e l’ambito di validità delle deliberazioni dell’assemblea. Di particolare rilievo era la disposizione secondo la quale competeva all’assemblea «l’approvazione dei progetti culturali da finanziarsi», approvazione che richiedeva, per diventare operativa, la «maggioranza assoluta dei soci». Non era una novità di poco conto. Infatti, fin dall’inizio, le decisioni venivano assunte all’unanimità. Anche nel prosieguo dell’attività era auspicabile che le scelte venissero approvate dalla totalità degli aderenti, e nei fatti il principio dell’unanimità continuò a trovare applicazione, ma, in prospettiva, non si poteva razionalmente escludere che sorgessero divergenze di opinione, sempre possibili anche per effetto dell’allargamento del numero dei soci, provocando approfondite mediazioni.
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In questo modo, invece, la Consulta si presentava come un organismo originale, se
l’attenzione si concentrasse anche sull’organismo che aveva consentito quel risultato.
non addirittura unico, nel panorama delle iniziative culturali italiane. Con lo statuto, nasceva
E anche se, oggettivamente, quel restauro andava considerato come un intervento
una struttura democratica, costituita su basi paritarie, nella quale tutti gli aderenti, quale che
medio, soprattutto rispetto a molti di quelli che sarebbero venuti in seguito e che avrebbero
fosse la loro forza economica, contribuivano in misura uniforme per «migliorare, nell’ambito
comportato ben altri impegni di risorse finanziarie e tecniche, ciò non toglie che, come
della Regione Piemonte, la situazione del patrimonio culturale piemontese, organizzando
sottolineava La Stampa «la riapertura dell’aula deve essere considerata come un avvenimento
iniziative a beneficio di tali beni»; iniziative che, comunque, per venire assunte avrebbero
eccezionale nel panorama sinistrato dei monumenti storici torinesi. Dimostra in modo
dovuto presentare, a livello di pubblica opinione, i requisiti della massima condivisione
inequivocabile come l’intervento dei privati […] consente di compiere rapidamente imprese
e riconoscibilità.
altrimenti impossibili per l’amministrazione pubblica».
Nel consolidare l’avvio dell’attività della Consulta, la scelta di intervenire sull’Aula del Parlamento Subalpino si rivelò particolarmente felice, in quanto assicurò all’intervento ampia
La prova del fuoco era stata superata; ora la navicella della Consulta poteva avventurarsi in mare aperto.
PALAZZO CARIGNANO AULA DEL PARLAMENTO SUBALPINO, 1848
risonanza. L’inaugurazione dei restauri, avvenuta l’8 maggio 1988, a centoquarant’anni esatti dalla prima seduta, trovò notevole eco sui quotidiani e sulle riviste dell’epoca, e fornì ampi spunti per una rilettura in chiave patriottica delle vicende risorgimentali e del ruolo che la città di Torino ebbe a svolgere in quelle circostanze. Poiché l’Aula era rimasta chiusa per parecchio tempo, non erano molti coloro che ricordavano com’era. E allora non stupisce che molti si meravigliassero delle sue ridotte dimensioni. «A vederla ora, la piccola aula quasi intenerisce: non solo perché la sua data di nascita ci riporta indietro a un momento tumultuoso e drammatico della nostra storia […] ma anche perché, minuscola com’è, con quel suo aspetto composto di teatrino di corte, le manca del tutto la plumbea imponenza dei luoghi della storia». Ma di storia, in quell’Aula, se pure aveva funzionato per un tempo certamente non lungo, ne era passata molta. Era lì che per la prima volta un Parlamento liberamente eletto discusse e assecondò «l’ambizioso disegno strategico che doveva porre il Piemonte alla guida del moto unitario». Certo, quei deputati erano espressione di un corpo elettorale ristretto, rappresentativo soltanto di una parte esigua della popolazione – quella che poteva contare su un censo annuo di quaranta lire in Piemonte e di venti in Liguria e Savoia – ma rappresentavano una «classe dirigente di alto livello morale», sulla quale rifulgeva la «figura di Cavour che riuscì a sferrare il colpo decisivo per creare in un regno costituzionale un governo parlamentare». Come ebbe modo di sottolineare Giovanni Spadolini, in quel momento presidente del Senato, nell’inaugurare l’Aula restaurata, «le spinte ideali e i movimenti politici che hanno indotto le diverse forze della Costituente repubblicana si sono ispirate a quei valori risorgimentali, tuttora presenti con la difesa dell’unità nazionale, l’amore per la libertà e il rifiuto di ogni suggestione totalitaria»; valori che la «piccola» aula bene simboleggiava. Era inevitabile che, riaccendendo i fari su un luogo-simbolo dell’unificazione nazionale, 22 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
1. incomincia l’avventura 23
2.
FACCIATE
La prima uscita pubblica della Consulta sortì l'effetto del classico sasso nello stagno, le cui onde si propagano per cerchi concentrici sempre più larghi. I giornali, ma anche le pubbliche autorità e più in generale l'opinione pubblica, si accorgevano che era sorto un organismo che, operando con serietà e costanza, riusciva a dare qualche risposta concreta per contrastare il degrado del patrimonio storico e artistico della Città. E vi riusciva - fatto ancor più sorprendente - rispettando i tempi di realizzazione previsti. In un Paese nel quale qualsiasi intervento richiedeva per essere completato ripetute proroghe dei termini, il rispetto delle previsioni era qualcosa di inusitato, comunque un fatto di cui si era persa la memoria. Non stupisce, quindi, che sull'onda di quel primo successo altri enti e istituzioni abbiano cercato di esportarlo. Partendo dalla constatazione che «il matrimonio tra impresa e cultura nel nostro Paese è ormai un dato consolidato nella sua molteplicità di espressioni», la Confindustria, in occasione della prima «Settimana della Comunicazione d'Impresa» iniziata il 2 maggio 1988, per consolidare e razionalizzare l'intervento delle aziende in campo culturale propose la costituzione di «una consulta permanente di imprese pubbliche e private». Nelle intenzioni della Confindustria doveva trattarsi di «uno strumento operativo con funzioni interne di coordinamento e servizio e di approccio esterno con il sistema pubblico, destinato soprattutto alle piccole e medie imprese».
La proposta presentava alcuni aspetti interessanti, soprattutto per quel che riguardava il coinvolgimento delle imprese pubbliche. In effetti, le aziende che allora facevano capo al sistema delle Partecipazioni Statali, forse anche perché a differenza dei privati dovevano rispondere a un azionariato più attento alle ragioni della politica che a quelle dell'economia, avevano meno difficoltà ad accogliere le richieste di sponsorizzazione di interventi di recupero o di restauro provenienti dalle pubbliche amministrazioni. FILIPPO JUVARRA ARCHIVIO DI STATO, FACCIATA, 1731
Come veniva ricordato al Convegno «Memorabilia. Il futuro della memoria», che si era svolto a Roma nei primi giorni del dicembre 1988, l'Italstat aveva realizzato sino a quel
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2. facciate 25
FILIPPO JUVARRA ARCHIVIO DI STATO, FACCIATA, 1731
momento circa cento interventi, «come nessuna impresa non solo in Europa, ma nel mondo».
nismo di governo delle sponsorizzazioni finisse per rimanere lettera morta. Del resto,
Un'attività che non si limitava alla pura e semplice sponsorizzazione, ma prevedeva
a un risultato ugualmente negativo doveva pervenire una proposta maturata nel corso del 1988
anche una presenza attiva come esecutori, promotori e organizzatori degli interventi». Unire il know how, la capacità tecnica e l'esperienza delle aziende pubbliche e private, poteva dunque essere una buona cosa.
in ambito esclusivamente piemontese, che coinvolgeva direttamente la Consulta torinese. La proposta, partita dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Torino, mirava all'istituzione di un comitato per la realizzazione di un programma di iniziative culturali da
Dove, invece, la proposta mostrava il fianco a critiche era nelle funzioni di «coor-
svilupparsi nel corso del 1990. In quell'anno si sarebbero svolti i Campionati mondiali di calcio
dinamento» che essa intendeva svolgere. Come venne detto molto chiaramente, la consulta
e anche Torino sarebbe stata interessata all'evento; di qui l'intento di pervenire
che si intendeva costituire non poteva «essere uno strumento per consentire allo Stato
«all'elaborazione e alla pubblicazione di un programma completo delle iniziative da realizzarsi
di ordinare ai privati gli interventi da compiere».
[…] in coincidenza con il prevedibile maggiore afflusso turistico indotto dalle manifestazioni
La precisazione era quanto mai opportuna. Nel fervore di dibattiti che caratterizzò gli
sportive di quell'anno».
ultimi anni Ottanta capitava di ascoltare le proposte più disparate. Da quelle più ragionevoli,
La proposta diede luogo a numerose discussioni che portarono all'idea di costituire
che riconoscevano ai nuovi mecenati il diritto a gestire in prima persona i fondi che
un'associazione, denominata Sviluppo Iniziative Culturali Torinesi (SICT), che avrebbe dovuto
erogavano, per ottenerne in cambio un ritorno d'immagine da concordarsi semmai, questo
darsi numerose finalità: dal promuovere l'immagine di Torino e del Piemonte, all'analizzarne
sì, con le Soprintendenze; a quelle più radicali, secondo le quali il privato doveva solo mettere
la situazione culturale; dal coordinare le iniziative progettate da singoli soggetti, al fornire
i soldi, riservandosi alle strutture pubbliche la fase di progettazione e gestione del recupero.
indirizzi generali nella pianificazione e organizzazione di programmi culturali.
Di fatto, poi, il coordinamento si
L'intento era forse eccessivamente
sarebbe dovuto applicare a situazioni forte-
ambizioso, ma il progetto avrebbe comunque
mente diversificate, come dimostrava fra l'altro
meritato di andare in porto, e la Consulta fu in
lo studio intitolato: «Il matrimonio fra industria
prima linea fra coloro che ne studiarono
e cultura», presentato in quella stessa circo-
con attenzione le possibilità di realizzazione.
stanza dalla Confindustria come il «primo
Se in definitiva non se ne fece nulla, fu
catalogo delle sponsorizzazioni culturali
perché ancora una volta si peccò di un eccesso
italiane». Come osservava il Corriere della Sera,
di razionalizzazione. L'idea di coordinare le
in quel catalogo si trovava un po' di tutto:
iniziative dei singoli soggetti, rischiava di cozzare
«Il contributo alla settimana musicale accom-
contro le esigenze di visibilità di ciascuno di essi.
pagnandosi al restauro di un crocefisso, il dono
Anche se non era detto chiaramente
di un calcolatore a un museo al contributo alla
da nessuna parte, era noto che la filosofia
rassegna espositiva, il documentario affian -
pre valente in sede ministeriale e presso le Soprin-
candosi al premio di «fedeltà alle origini»,
ten den ze prevedeva che fossero gli orga ni
il restauro e il riuso di un'antica dimora alla
di tutela a identificare gli interventi di restauro,
pubblicazione di un catalogo, i «pro totipi»
a stabilirne le priorità e a gestirli, riservando allo
di mobili al laboratorio fotografico».
sponsor unicamente la funzione di ufficiale
Nella confusione imperante, era quasi
pagatore. Il che era l'esatto contrario di quanto
inevitabile che non si andasse oltre la fase della
intendeva praticare la Consulta, la quale, per
discussione e che l'idea di dar vita a un orga -
giunta, grazie anche a una rete di buoni
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2. facciate 27
rapporti personali, era riuscita a creare con le locali Soprintendenze un clima di reciproca collaborazione, riuscendo a contemperare le prerogative dell'organo di tutela con le esigenze degli sponsor. Esigenze che, nel caso di un soggetto collettivo come la Consulta, assumevano caratteristiche particolari. Quieta non movere. Meglio dunque proseguire lungo il tragitto indicato dalla prima esperienza concreta, la cui felice conclusione lasciava ben sperare per il futuro. Tanto più che le situazioni alle quali potevano applicarsi i criteri di «necessità e urgenza» richiesti dalle Soprintendenze per autorizzare l'intervento si sprecavano. Non c'era che da scegliere, e non era dunque difficile individuare il bene culturale in grado di soddisfare, di volta in volta, le esigenze di visibilità dei soci della Consulta. Di fatto, fin da quando era stata avviata la discussione che avrebbe portato alla scelta di intervenire sull'Aula del Parlamento Subalpino, erano state prese in considerazione varie opzioni. Fra tutte, a primeggiare era quella riguardante la sistemazione e l'attrezzatura di qualche locale della Biblioteca Reale, in grado di ospitare un'esposizione, che si sarebbe desiderata permanente, dei disegni di Leonardo di proprietà della Biblioteca medesima. Si riteneva infatti che una simile iniziativa rispondesse all'esigenza di rilanciare l'immagine di Torino e, al tempo stesso, fosse in grado di soddisfare le esigenze di visibilità dei soci della Consulta. Tentativi in quella direzione erano stati compiuti ripetutamente, ma avevano sempre cozzato con il fatto che, date le condizioni esistenti, l'esposizione avrebbe comportato gravi rischi per le opere, non offrendo gli spazi disponibili sufficienti garanzie. A nulla erano valse le reiterate richieste dell'amministrazione. Come osservava sconsolato nel settembre 1987 l'assessore alla cultura del Comune di Torino: «Sono partito
L'intervento che si intendeva realizzare riguardava indubbiamente un edificio
chiedendo una mostra che durasse sei mesi per arrivare ad accontentarmi di un mese.
di grande prestigio. L'Archivio non era nato, infatti, come un qualsiasi edificio da destinare
Sarebbe stato importante per Torino poter offrire, ad esempio in occasione di Settembre
a uffici governativi non importa di che genere, ma fin dalla progettazione era stato destinato,
Musica che richiama visitatori d'ogni parte d'Italia e del mondo, un appuntamento di questo
con lungimiranza, alla funzione specifica di garantire al sovrano la conservazione e l'efficace
prestigio». Ma i tempi non erano maturi, neppure per la Consulta che, dopo aver condotto
uso dei titoli giuridici e della documentazione necessaria per una politica interna ed estera
un'istruttoria approfondita, dovette riconoscere di non essere in grado di quantificare i costi
di largo respiro. È nelle carte conservate nell'Archivio e nella facilità della loro reperibilità
dell'operazione e, ancor più, le modalità operative con le quali avrebbe dovuto svolgersi.
grazie a una sistemazione razionale, che veniva documentata ed esibita la legittimità del sovrano,
Venivano perciò prese in considerazione altre possibilità, in particolare il restauro delle
che venivano avallate le sue pretese di dominio sui territori al di qua e al di là delle Alpi.
facciate delle chiese di San Carlo e di Santa Cristina. Situati nella piazza che rappresenta
E non è un caso che l'Archivio sia stato costruito a fianco del Palazzo Reale, al quale
il fulcro della vita cittadina, i due edifici assicuravano certamente quella visibilità che i soci
era, ed è ancora, direttamente collegato attraverso l'edificio, che pure si stava costruendo
della Consulta desideravano, ma anche qui i costi dell'intervento risultavano troppo elevati,
negli stessi anni, delle Segreterie di Stato.
soprattutto se confrontati con quello sostenuto per l'Aula di Palazzo Carignano.
In fondo, occuparsi dell'Archivio di Stato, aveva la stessa valenza simbolica
Con tipica prudenza subalpina si optò perciò per una terza soluzione, più tranquilla
dell'intervento realizzato sull'Aula del Parlamento Subalpino. In quest'ultimo caso si era
sotto il profilo dei costi e più tranquillizzante dal punto di vista tecnico: il restauro della
intervenuti sul luogo che conservava le memorie più sacre dell'epopea risorgimentale;
facciata juvarriana dell'Archivio di Stato.
nell'altro si interveniva sull'edificio che conservava le memorie del lungo cammino compiuto
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PALAZZO DELL’ACCADEMIA MILITARE E DELL’ARCHIVIO DI STATO PRIMA DEL 1943
2. facciate 29
dal Piemonte e dalla dinastia dei Savoia per affermarsi come potenza europea, trasformando
poteva assicurare quelle condizioni di visibilità che i soci della Consulta legittimamente
il semplice ducato in un Regno.
si attendevano dallo sforzo compiuto.
L'edificio, di estrema semplicità strutturale e di straordinaria modernità sotto il profilo
L'importanza dell'intervento rischiava perciò di essere conosciuta e apprezzata
archivistico, costituito secondo il progetto di Juvarra da un unico corpo di fabbrica a tre piani
soltanto dagli addetti ai lavori e da pochi altri. Il rischio era noto fin dal momento in cui si era
fuori terra, con cinque grandi saloni per ogni piano e alcuni locali minori, oltre alle scale, alle
deciso di intervenire, e già allora era stato individuato il modo per ovviarvi. Posto che l'edifico
due estremità, da oltre cinque anni celava alla vista la facciata, gravemente deteriorata.
si collocava al di fuori delle correnti di traffico, bisognava fare in modo di attirare l'attenzione
Era dunque urgente intervenire, ma l'intervento poneva, proprio per quanto
del pubblico con qualche iniziativa che portasse anche quanti non avevano l'abitudine
riguardava la facciata, delicate questioni, come il completamento delle parti mancanti rispetto
di frequentare la sala di studio dell'Archivio a recarsi in piazza Mollino, per vedere i tesori
al disegno originario e il raccordo agli edifici laterali, costituiti, da un lato, da una parete cieca
in essa custoditi e contemporaneamente la qualità del restauro realizzato.
retrostante l'attuale palazzo del tribunale militare, dall'altro, il tratto trasversale retrostante
Fu così, dunque, che
la facciata verso piazza Castello, realizzata a chiusura del tratto tra il Teatro Regio ricostruito
nell'inaugurare il restauro venne
e l'area distrutta.
presentata anche la mostra
I bombardamenti della seconda guerra mondiale, che avevano danneggiato in modo
«Il tesoro del Principe», nella
irreparabile l'edificio costruito fra il 1675 e il 1677 da Amedeo di Castellamonte come Scuola
quale veniva mostrato un
dei Paggi, posto a lato dell'Archivio, e gli interventi di Carlo Mollino per la ricostruzione del
numero ristretto, ma altamente
Teatro Regio avevano alterato completamente la situazione urbanistica entro la quale
significativo, dei «tesori» conser -
l'Archivio era collocato. E questa situazione rendeva particolarmente complessa anche solo la
vati nell'Archivio. Davanti agli
scelta a livello di restauro della coloritura della facciata. L'opzione più immediata poteva
occhi dei visitatori si dipanavano
essere quella di recuperare la coloritura ottocentesca, meno aggressiva; si preferì invece
tredici secoli di storia, che pren-
seguire la strada più complessa consistente nel recuperare l'aulicità del discorso juvarriano.
devano le mosse dal documento
Si pervenne così a una rigorosa ricostruzione dell'immagine originaria, come conseguenza
del 726 con il quale Abbone,
di quest’ultima scelta, di completare le parti dell'edificio ancora mancanti.
governatore di Moriana e di
La restituzione dell'Archivio di Stato al suo antico splendore e il completamento del
Susa, per conto di Teodorico IV
progetto juvarriano rappresentavano indubbiamente un altro successo della Consulta.
re dei Franchi, fondava il mona-
Successo tanto più significativo se si considera la brevità del tempo - poco più di quattro mesi -
stero della Novalesa «per la
impegnato per ultimare il restauro. Un aspetto, questo, che la stampa, non solo cittadina,
salute dell'anima sua e per la
colse immediatamente. Nel restauro della facciata dell'Archivio di Stato «si fondono insieme
stabilità del regno franco» e ne nominava abate Godone, per giungere sino alle lettere patenti
il rispetto e il culto di un passato storico da valorizzare e lo spirito di iniziativa di una
con le quali Carlo Alberto attribuiva ai valdesi tutti i diritti civili e politici.
istituzione nuovissima, la “Consulta”, che è nata con lo scopo dell'intervento “immediato”
Lungo il percorso, poi, il visitatore poteva imbattersi in altri documenti altrettanto
verso opere nei confronti delle quali, spesso, le pubbliche istituzioni non possono agire con
significativi: dal Trattato di Utrecht del 1713 all'originale in lingua francese dello Statuto
tempestività per mancanza di fondi».
carloalbertino. E per la prima volta si potevano ammirare autentici tesori, come la Cronaca del
La Consulta, si disse, «gioca sui tempi dell'imprenditoria privata in un settore in cui, purtroppo, giorni, mesi e anni hanno ancora quantificazioni temporali confuse».
monastero della Novalesa, l'unico componimento letterario conosciuto scritto su rotolo pergamenaceo anziché su codici; o come il testo originale, firmato dal re, del Codice Civile
Tutto bene, dunque, ma con un piccolo neo: la collocazione dell'edificio. Situato
per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna. Un centinaio di documenti, tutti altamente significativi,
com'è all'interno di uno spazio chiuso - l'attuale piazza Mollino - l'Archivio di Stato non
attraverso i quali veniva comprovato il «ruolo svolto dalle scritture d'archivio quali strumento
30 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
ARCHIVIO DI STATO UNA SALA DEGLI ARCHIVI DI CORTE (Fotografia di Paolo Robino)
2. facciate 31
di governo e supporto giuridico all'attività dello stato». Un tema certamente non facile, che
Consulta inizialmente consistente nella semplice individuazione di un bene sul quale
però il pubblico, accorso numeroso a visitare la mostra e con essa anche il museo storico
convogliare le risorse in vista del suo recupero o restauro, e nella conseguente gestione
dell'Archivio normalmente precluso ai visitatori, dimostrò di apprezzare e, soprattutto,
dell'intervento, si trasformava sensibilmente, facendo del sodalizio un organismo di
comprendere. La vicenda dell'Archivio di Stato aveva inserito un elemento nuovo nel modus
promozione culturale complesso. L'organizzazione di mostre su argomenti specifici
operandi della Consulta; l'idea di allestire una mostra che fungesse da cassa di risonanza,
e necessariamente diversificati di volta in volta richiedeva infatti l'acquisizione di metodologie
amplificando i risultati promozionali e d'immagine del restauro, sarebbe stata utilizzata anche
diverse, e molto più variegate, di quelle utilizzate negli interventi sugli edifici.
in altre circostanze, nei confronti di altri interventi. In questo modo, l'oggetto dell'attività della
ARCHIVIO DI STATO BIBLIOTECA ANTICA DEGLI ARCHIVI DI CORTE (Fotografia di Paolo Robino)
La stessa comunicazione diventava più complicata. Nell'immediato, però, quello dell'Archivio di Stato era destinato a rimanere un caso isolato, in quanto gli interventi successivi decisi dalla Consulta, per loro natura, non offrivano spunti per l'organizzazione di mostre. Visto il positivo risultato sulla facciata dell'Archivio, la Consulta aveva deciso, infatti, di operare su quelle della chiesa di San Carlo e, successivamente, di Santa Cristina. In effetti le due chiese necessitavano di interventi urgenti, a causa di un degrado che era già stato messo in evidenza fin dal 1986, quando, a seguito di un sopralluogo effettuato il 10 ottobre di quello stesso anno, la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici aveva prodotto una lunga lista di interventi necessari per porre rimedio alla grave situazione dei due edifici. Interventi che andavano dal risanamento dei tetti alla pulitura e al consolidamento della pietra, dalla sostituzione delle pietre più degradate alla soluzione dell'annoso problema dei colombi, che le due chiese condividevano con altri importanti edifici cittadini. La lettera concludeva ricordando che «data la delicatezza e la particolare natura e complessità dell'intervento si dovrà richiedere la consulenza dell'Istituto Centrale del Restauro a Roma, soprattutto per quanto riguarda i particolari problemi connessi al restauro delle statue di Santa Cristina». Quella prima sollecitazione della Soprintendenza non era andata in porto, forse perché prevedeva un intervento complessivo e contemporaneo sulle due chiese. L'idea, invece, di dividere l'intervento in due momenti successivi, ripartendone i costi su più esercizi, rendeva l'operazione fattibile. Logicamente la Consulta iniziò dal restauro della facciata e del campanile di San Carlo, che poneva problemi più semplici, anche in considerazione del fatto che l'edificio era stato completato soltanto nel 1834. In pratica, l'intervento sulla facciata di San Carlo veniva visto come propedeutico rispetto a Santa Cristina, la cui facciata, oltre a essere più importante dal punto di vista artistico, era stata realizzata fra il 1715 e il 1718, e presentava quindi problemi di conservazione più delicati e complessi. Inoltre, a fronte delle numerose statue che fin da prima del 1740 ornavano il frontone di Santa Cristina, sulla facciata di San Carlo si doveva solamente intervenire sul bassorilievo raffigurante l'episodio storico di Emanuele Filiberto che riceve la comunione
32 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
2. facciate 33
CHIESA DI SAN CARLO FACCIATA DURANTE IL RESTAURO, CON IL TELONE ILLUSTRATIVO DELL’INTERVENTO
da San Carlo Borromeo, giunto a Torino per venerare la Sindone, e sulle due statue dedicate a San Francesco di Sales e al Beato Bonifacio di Savoia, opera di Stefano Butti. Nel corso degli anni, il complesso monumentale era stato oggetto di numerose modifiche, come l'ampliamento realizzato da Carlo Ceppi fra il 1863 e il 1866, e di interventi conseguenti alle scelte urbanistiche di Torino, come quello reso indispensabile dall'abbattimento della vecchia via Roma. Nel 1974, poi, la facciata era già stata oggetto di una prima ripulitura sponsorizzata dall'Italgas. Era però bastato un tempo relativamente breve perché l'azione dello smog si facesse sentire nuovamente in modo pesante, al punto non solo di annerire completamente la facciata, ma di rendere praticamente illeggibile lo stesso bassorilievo. I piccioni, poi, avevano fatto il resto. Per tali ragioni, l'intervento richiedeva l'adozione di tecniche diverse da quelle impiegate appena sedici anni prima, sia per le parti architettoniche, sia, ancor più, per quelle scultoree. Per le statue, i capitelli e il bassorilievo si dovette procedere a un'opera di preconsolidamento, condotta con resine appropriate, cui fece seguito un primo tentativo a base di leggerissime miscele di polvere non abrasiva e acqua. I modesti risultati conseguiti in questo modo consigliavano perciò di proseguire con un lavaggio approfondito, completato da un velo di speciali resine antismog. In tal modo, le tonalità dominanti del rosa e del grigio, proprie della pietra di Gassino e del granito di Baveno utilizzati dal Caronesi nella costruzione della facciata tornavano a risplendere e la piazza incominciava a ritrovare i colori che le erano propri quando era stata pensata e costruita, tanto da far scrivere che «quello dei marmi bianchi e grigi e del granito rosa sul fronte della Chiesa, riportati agli splendori ottocenteschi» era «uno spettacolo che nessun torinese d'oggi può vantarsi d'aver visto». Spettacolo reso tanto più emozionante dal contrasto con la «gemella» chiesa di Santa Cristina «con la facciata ancora sporca di smog e guano di colombi»: quasi un invito a procedere. Che il risultato complessivo fosse in qualche misura abbagliante, lo confermavano «la coloritura silicata adottata per il campanile o il rame delle gronde, oggi caratterizzate da antiestetici riflessi d'acciaio che certo il passare del tempo smusserà». Ma siccome l'intervento era stato realizzato a Torino, Città che, com'è noto, incorpora nel proprio DNA una visione minimalista dell'esistenza e ha una spiccata vocazione per il ruolo del bastian contrario, era quasi inevitabile che non tutti fossero convinti del risultato. Certamente non ne era convinto quel signore che, incurante della collocazione delle due chiese, si rivolgeva a Specchio dei Tempi, indispensabile ricettacolo delle proteste dei cittadini, osservando: «A sinistra la chiesa di San Carlo [situata in realtà a destra, N.d.A.] pur necessitando di restauri è arricchita dalla patina del tempo, mentre a destra [cioè a sinistra]
34 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
2. facciate 35
FILIPPO JUVARRA STUDI PER LA FACCIATA DI SANTA CRISTINA, WASHINGTON, NATIONAL GALLERY OF ART
la chiesa di Santa Cristina è lustrata e splendente come una torta di compleanno; su di essa
di riassunto delle vicende che ne
troneggia una candela: il campanile di un giallo canarino da fare inorridire!». E concludeva.
avevano accompagnato la costruzione.
«Non è possibile fare restaurare le opere d'arte da gente con un po' più di buon gusto?».
In una metà, il grande telone
L'interrogativo del lettore avrebbe ottenuto risposta, a stretto giro di posta, dal
riproduceva il primo disegno eseguito
responsabile dei lavori, il quale, dopo aver osservato che il restauro di un immobile storico
nel 1715 da Filippo Juvarra per la
non è tanto questione di buono o cattivo gusto, bensì applicazione di una scienza quasi
facciata e nell'altra metà il progetto
esatta, sottolineava come la tanto declamata «patina del tempo» sovente non sia altro che
predisposto 119 anni dopo, e succes-
«impasto di particolati da ossido di carbonio degli scarichi delle auto, oppure di anidridi
sivamente realizzato, da Caronesi.
solforose dei camini o di guano dei colombi», in ogni caso da rimuovere, per recuperare
L'idea col tempo sarebbe diventata
il colore originario, ivi compreso il «giallo canarino» del campanile.
per la Consulta quasi un marchio di
A meno che non lo si volesse colorare «in guisa da accontentare il lettore e il suo personale e particolare “buon gusto”». Rimaneva - croce di ogni centro urbano - il problema dei piccioni. Per contrastarli
fabbrica e, al tempo stesso, avrebbe fatto scuola; infatti, nella quasi totalità dei successivi interventi, non importa
furono avanzate varie proposte. Come ebbe a scrivere un giornale dell'epoca, «tra bande
da quale ente promossi, sarebbero comparsi teli a documen tare come sarebbe stato
chiodate e avveniristici sistemi a ultrasuoni è stata avanzata anche l'ipotesi di piazzare, qua
il risultato dei lavori quando questi si fossero conclusi.
e là sulle balaustre, serpentelli di gomma colorata, di quelli che si trovano comunemente
Tolti dalla facciata di San Carlo, i ponteggi sarebbero ricomparsi ben presto su quella
in tabaccheria per scherzi di dubbio gusto. Pare funzioni: i volatili, che non possiedono olfatto
di Santa Cristina. La scelta era in qualche misura inevitabile: avendo provveduto al restauro di
e, a scanso d'equivoci, prima di “atterrare” danno un'occhiata, fuggono terrorizzati».
una delle due chiese «gemelle», la Consulta non poteva certo disinteressarsi della sorte
Evidentemente i responsabili del restauro non nutrivano altrettanta fiducia nella
dell'altra che ora, per contrasto, appariva ancora più sporca e degradata, al punto che neppure
capacità dissuasiva dei serpenti di plastica, perché, dopo attenta valutazione, optarono per
l'abbondante nevicata caduta sulla città qualche giorno prima dell'inizio dei lavori, avviati
«un impianto a base di spuntoni anti-piccione, scelto in alternativa al più costoso e complicato
il 4 febbraio 1991, era riuscita a mitigare il grigiore che avvolgeva l'edificio.
impianto a impulsi elettromagnetici […]» e «applicato con colle a base di resina siliconata
La decisione di intervenire era già stata adottata sin dal luglio precedente ed era stata
che comunque agevoleranno l'eventuale asporto futuro degli spuntoni in questione,
accolta con viva soddisfazione dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Ambientali,
escludendo il benché minimo danno».
la quale, nell'esprimere il proprio compiacimento per l'intervento in questione, ricordava che
Ma per la Consulta il restauro di San Carlo ebbe anche un altro importante
«lo stato di conservazione delle sculture e di tutto l'apparato lapideo della facciata è da tempo
significato: fu in quella occasione, infatti, che per la prima volta venne adottato il sistema
in condizioni allarmanti» e conseguentemente «non può che essere benvenuta, pertanto,
di fasciare i ponteggi con un trompe-l'oeil che richiamasse direttamente l'oggetto
la proposta di codesta Consulta che dimostra ancora una volta la qualità e sensibilità culturale
dell'intervento. L'idea che aveva spinto i responsabili della Consulta a adottare quella
dei propri componenti».
soluzione - una novità per Torino - nasceva dal fatto che, trattandosi del luogo universalmente
Che si trattasse di un intervento delicato e complesso, era testimoniato dalle vicende
considerato come il «salotto» della Città, anche il cantiere che su di esso insisteva doveva
stesse dell'edificio. La chiesa di Santa Cristina era stata pensata, infatti, assieme alla
avere caratteristiche di «eleganza». Quindi, non antiestetici teloni stesi sul ponteggio
contemporanea chiesa di San Carlo, come quinta di chiusura della Piazza Reale (oggi San
a trattenere polvere e residui, ma un velario ben congegnato che, oltre a raggiungere lo stesso
Carlo) che Carlo di Castellamonte stava realizzando nel quadro del primo ampliamento di
scopo, servisse in qualche modo a esaltare quanto si stava facendo all'interno.
Torino, voluto dal duca Carlo Emanuele I. La chiesa, inaugurata nel 1639, benché ancora
Nel caso specifico, il telo non presentava una riproduzione fedele a grandezza naturale di come sarebbe apparsa la chiesa dopo il restauro, ma proponeva una specie 36 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
soggetta a opere di completamento da parte di Amedeo di Castellamonte, era stata affidata dalla duchessa Cristina di Francia alle Carmelitane Scalze, giunte dalla Lorena. 2. facciate 37
FILIPPO JUVARRA CHIESA DI SANTA CRISTINA, FACCIATA, 1715-1718 (Fotografia di Paolo Robino)
Nel 1715, poi, la reggente Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours aveva
chiesa». Par di capire che quella pulizia sia stata condotta più con la tecnica propria dei vigili
incaricato Filippo Juvarra di progettare una nuova facciata: compito che l'architetto messinese
del fuoco - che prevede getti d'acqua ad alta pressione - anziché con quella del restauro
svolse, dopo aver preso in considerazione alcune varianti, ispirandosi a modelli romani del
conservativo, a base di acqua nebulizzata!
Borromini (San Carlo alle Quattro Fontane) e del Fontana (San Marcello al Corso).
Inutile sottolineare che la complessità e l'ampiezza degli interventi necessari
La fronte della facciata, su preciso ordine di Juvarra, fu ornata con statue: alla
per riportare l'edificio agli antichi splendori comportavano una spesa nettamente superiore
maestria dello scultore luganese Carlo Antonio Tantardini vennero affidate le raffigurazioni dei
a quella - già non lieve - richiesta da San Carlo: il che poneva alla Consulta delicati problemi
santi Francesco di Sales, Agostino e Maurizio, nonché delle due Allegorie delle Virtù teologali
di bilancio. Il sodalizio era nel frattempo cresciuto, giungendo a raggruppare, dai dodici
e cardinali, mentre al parigino Pierre Legros si debbono le due statue di Santa Teresa e Santa
iniziali, diciotto soci, ma anche così l'impegno economico richiesto a ciascuno di essi, rischiava
Cristina, mai collocate sulla
di essere eccessivo. La soluzione
facciata, dove invece compaiono
venne trovata nello spalmare su
due copie realizzate da Giuseppe
un esercizio e mezzo l'onere
Nicola Casana. Nel periodo
complessivo, destinando la
napoleonico la chiesa era stata
quota residua del secondo
trasformata in Borsa per la
esercizio a un intervento, per
contrattazione delle merci, e dal
così dire «leggero».
complesso monumentale erano
Risolto questo non tra -
stati sottratti, assieme agli arredi
scurabile dettaglio, i lavori pote-
sacri, anche i due gruppi statuari
vano iniziare.
del Legros, ora ospitati in Duomo.
A riprova della com -
Con la Restaurazione,
plessità degli interventi richiesti,
venne incaricato l'architetto
vale la pena di riportare qualche
Ferdinando Bonsignore di prov-
stralcio della relazione predi -
vedere agli interventi del caso,
sposta dalla società incaricata
e nel 1871 la chiesa e l'adiacente
dei lavori di restauro. «Dopo
convento, affidati sin dal 1844
una prima pulitura è emersa la
alla Pia Unione del Sacro Cuore
presenza di diffuse stuccature
di Maria, passavano in proprietà
di non grandi dimensioni in
al Comune. Nel 1935, poi, il
ce men to, dovute a diversi re -
rifacimento della via Roma, avrebbe comportato, come anche per San Carlo, la parziale demolizione del convento e della sacrestia.
stauri risalenti forse alla prima metà dell'Ottocento, fino all'ultimo eseguito negli anni '60. La deturpazione estetica di tali inserti è però assai grave nel contesto architettonico
Una vicenda, dunque, lunga e complessa, che nel corso del tempo aveva richiesto
unitario in pietra bianca, per cui è in corso un'opera di riplasmazione, lisciatura e rifinitura
già numerosi interventi, non sempre condotti con la necessaria perizia. In particolare, il
delle stuccature da mantenere in situ, […] per conferire maggiore tenuta alle parti pericolanti
lavaggio dei marmi, effettuato l'ultima volta nel 1975, aveva procurato più danni che vantaggi.
si è proceduto a una revisione dei giunti della pietra, per impedire infiltrazioni, e alla pulitura
Come ricordava il parroco «si trattò di un intervento non solo ininfluente ma
con acqua nebulizzata su tutta la superficie, che ha permesso di sciogliere le croste nere
addirittura rischioso, in quanto l'acqua produsse delle pericolose colature nell'interno della 38 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
FERDINANDO CARONESI CHIESA DI SAN CARLO, FACCIATA, 1834
indurite e riportare gran parte del materiale lapideo all'originale». 2. facciate 39
FILIPPO JUVARRA CHIESA DI SANTA CRISTINA, FACCIATA, 1715-1718
Interventi altrettanto delicati, ma decisi, venivano poi adottati per i gruppi statuari.
conservazione del restauro. Pur nella consapevolezza che nulla è eterno, e che dunque anche
Particolarmente impegnativo risultava il restauro dell'Allegoria delle Virtù cardinali, dove
l'intervento della Consulta col tempo sarebbe andato incontro a un progressivo decadimento,
si era dovuto ripulire della macchia nera che lo deturpava il volto della giovane figura
vi era - come vi è tuttora - il pericolo che l'azione dello smog, delle piogge acide e degli stessi
femminile che regge un neonato. Anche il problema dei piccioni trovava adeguata soluzione
colombi, temporaneamente sconfitti ma non domi, vanificasse rapidamente gli sforzi profusi
grazie all'innesto di punte acuminate e alle piccole scosse elettromagnetiche prodotte dalle
e le risorse impiegate.
piastre inserite sui terrazzi e sui cornicioni.
Già la relazione dei lavori di restauro concludeva con un monito ben preciso:
«Con la conclusione del recupero della facciata di Santa Cristina, piazza San Carlo
«La durata dell'intervento attuale non potrà […] essere garantita per decenni se non
è veramente una delle più belle d'Italia»: così La Stampa nel fare la cronaca dell'inaugurazione.
si provvederà a pur minime operazioni di manutenzione, quali il lavaggio dei depositi
A fronte della legittima soddisfazione per avere completato con successo
di guano sugli aggetti dell'architettura, la spolveratura e l'applicazione della resina protettiva
un intervento tanto importante e, per quel che più conta, nel rispetto dei tempi previsti,
almeno ogni dieci anni». Si ponevano così le basi per un dibattito - sulla manutenzione dei
si poneva però anche prepotentemente all'attenzione un nuovo problema: quello della
restauri - che sarebbe proseguito negli anni successivi e che avrebbe investito direttamente
40 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
FERDINANDO CARONESI CHIESA DI SAN CARLO, FACCIATA, 1834
2. facciate 41
FILIPPO JUVARRA CHIESA DI SANTA CRISTINA, FACCIATA, PARTICOLARE DELLO SCUDO, DEL FINESTRONE E DELLE ALLEGORIE DELLE VIRTÙ CARDINALI E TEOLOGALI, 1715-1718 (Fotografia di Paolo Robino)
l'attività della Consulta, come uno dei protagonisti principali. Ma per il momento la questione era ancora di là da venire. Gli uomini della Consulta potevano guardare con fiducia al futuro, forti anche del consenso riscosso presso l'opinione pubblica, tanto da far scrivere al Sole 24 ORE che «lo stile sabaudo torna a far scuola». Sabaudi, forse; innamorati della propria Città, sicuramente.
42 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
2. facciate 43
3.
NUOVE ESPERIENZE
Se ha avuto la pazienza di giungere sino a questo punto, il lettore ricorderà che per l'intervento sulla facciata della chiesa di Santa Cristina erano state impegnate risorse corrispondenti a un esercizio finanziario e mezzo, riservandosi la Consulta di utilizzare altrimenti la parte residua. In pratica, il cantiere di piazza San Carlo aveva assorbito tutti gli stanziamenti deliberati per il 1991 e una quota di quelli previsti per il 1992. Concluso felicemente il restauro, si trattava ora di individuare quale iniziativa assumere e, ovviamente, doveva trattarsi di un intervento per così dire «di peso», che riuscisse a reggere il confronto con quelli realizzati sino a quel momento. Per la verità, le proposte non mancavano. Grazie all'autorevolezza che già aveva saputo conquistarsi, la Consulta veniva sempre più vista, da molte parti, come un interlocutore che andava comunque interpellato, indipendentemente dall'esito della richiesta. In questo senso, all'attenzione del consiglio direttivo erano giunte proposte riguardanti il restauro della facciata di Palazzo Madama; la sistemazione di piazza Mollino con la realizzazione di un trompe-l'oeil sul muro dell'ex Accademia Militare; interventi vari a completamento di quanto già effettuato sulla facciata dell'Archivio di Stato. A un primo orientamento, assunto nel corso dell'assemblea del 24 settembre 1991, favorevole all'intervento su Palazzo Madama, facevano seguito numerose perplessità derivanti soprattutto dal fatto che l'opera della Consulta sarebbe andata a inserirsi in un restauro già avviato, che sino a quel momento aveva dato risultati discutibili, rendendo difficoltoso un eventuale proseguimento da realizzarsi con più adeguate metodologie. Oltre a ciò, emergevano anche problemi di intesa fra le Soprintendenze competenti per quanto atteneva alla direzione dei lavori.
Accantonato dunque il progetto di Palazzo Madama, venivano prese in considerazione altre richieste, nel frattempo pervenute, che andavano ad aggiungersi alle CHIESA DI SAN FILIPPO NERI FACCIATA E PRONAO
precedenti. Di fatto, nei sei mesi intercorrenti fra l'assemblea del 24 settembre 1991 e la successiva del 4 marzo 1992, il numero delle segnalazioni era aumentato considerevolmente
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3. nuove esperienze 45
CHIESA DI SAN FILIPPO NERI PARTICOLARE DEL PRONAO (Fotografia di Mariano Dallago)
in quanto alle precedenti si erano aggiunte quelle riguardanti la chiesa di San Filippo, le Porte Palatine, il Teatro Regio, l'Accademia di Medicina, la Cappella del Rosario in San Domenico, le chiese di San Francesco da Paola, San Rocco, la Santissima Annunziata. Al di fuori, poi, dei classici interventi di restauro, veniva richiesto l'acquisto di una tavola di Gaudenzio Ferrari e si proponeva la sistemazione dell'ex zoo di Parco Michelotti. Fra tutte le proposte, la Consulta ritenne di prendere in considerazione, per un esame più approfondito, quelle riguardanti San Filippo, le Porte Palatine e il Teatro Regio. A far pendere definitivamente l'ago della bilancia per l'intervento su San Filippo furono molti fattori, come, ad esempio, la mancata quantificazione dell'onere per il Teatro Regio, mentre l'intervento sulle Porte Palatine avrebbe dovuto collocarsi all'interno di un più ampio progetto di riqualificazione di tutta l'area, al quale non poteva rimanere ovviamente estraneo il Comune di Torino. Ma probabilmente la ragione decisiva che fece convergere su San Filippo la scelta finale fu la campagna di stampa promossa dalla Repubblica che identificava in quel monumento, il «patrono del degrado cittadino». Poiché San Filippo avrebbe assorbito i residui del 1992 e tutto il bilancio 1993, restava ancora da identificare un intervento, per così dire, «leggero», da realizzarsi in tempi brevi e a costi ridotti, che servisse a qualificare l'azione della Consulta nel 1992. Per questo aspetto, cogliendo l'opportunità offerta dalle iniziative che il Comune di Torino stava assumendo per il rilancio della Fondazione Cavour (restauro del Castello di Santena; schedatura di tutto il patrimonio di arredi, documenti e libri; inserimento del Castello nel circuito delle residenze storiche piemontesi) la Consulta decise di aderire alla richiesta di provvedere al restauro delle dodici Nature morte e animali, una delle quali sarebbe da attribuirsi all'opera di Angelo Maria Crivelli, detto il Crivellone, mentre le altre undici sono dovute alla mano di suo figlio Giovanni, il «Crivellino». Le dodici tele erano pervenute al Castello di Santena negli anni Ottanta dell'Ottocento nel quadro di una serie di trasferimenti di opere d'arte e arredi effettuata dalla nipote di Cavour, Giuseppina Alfieri di Sostegno, che aveva riacquistato l'edificio dal conte Roussy di Sales appena qualche anno prima, e collocate nella Sala da Pranzo. I dipinti in questione si presentavano in cattivo stato di conservazione; il problema fondamentale era costituito dall'indebolimento del supporto dovuto all'allentamento della tela, tesa su vecchi telai, non originali, di pessima qualità. A questo inconveniente si aggiungeva poi la stesura sulle tele di spessi strati di vernici alterate, che appiattivano i dipinti limitando di molto la leggibilità dei particolari, essenziale nel caso di una pittura d'effetto come quella rappresentata dalle Nature morte. Si dovette perciò procedere a un intervento rigorosamente conservativo, consistente nel rimuovere le vernici e le ridipinture alterate, foderare le singole tele e disporle su nuovi telai, stuccare con gesso e colla,
46 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
3. nuove esperienze 47
e successivamente reintegrare ad acquerello tutte le lacune esistenti. Il restauro, iniziato a fine marzo 1992, nella prima decade di luglio era già concluso. Si trattava certamente di un intervento neppure lontanamente paragonabile a quelli effettuati in precedenza, ma si sbaglierebbe a giudicarlo un'operazione in qualche misura «minore». In effetti esso rappresentò un'occasione preziosa per fare esperienza in un settore del restauro - quello dei dipinti - sino a quel momento non praticato dalla Consulta. E di fatto, come si vedrà, da quella prima volta sarebbero derivati interventi ben altrimenti impegnativi. Mentre procedeva il restauro delle tele dei Crivelli, si avviò anche il cantiere per l'intervento sulla chiesa di San Filippo. Apparentemente, per la Consulta si trattava di un ritorno all'antico, una nuova applicazione delle metodologie utilizzate in precedenza per il restauro delle facciate. In realtà la situazione era più complessa e poneva problemi nuovi, consentendo alla Consulta di aggiungere una nuova esperienza a quelle già maturate. In effetti, le cause del grave degrado che affliggeva la chiesa - che con i suoi 2600 metri quadri di superficie è la più vasta di Torino - erano da ricercarsi, oltre che negli agenti atmosferici che colpiscono tutti i monumenti, nelle cattive condizioni della copertura, la cui pessima tenuta aveva avuto conseguenze devastanti, in quanto, penetrando dai tetti sconnessi, la pioggia si impastava con secoli di calcinacci accumulati nei sottotetti. Si formava così uno strato di umidità che danneggiava gravemente le volte sottostanti e persino l'organo. Del resto, l'edificio aveva avuto una vicenda lunga e tormentata. I lavori erano stati iniziati nel 1675 dall'architetto luganese Antonio Bettino, su incarico dei padri filippini, per i quali aveva già costruito la chiesa di San Filippo in Chieri. Bettino era stato assistente di Guarini, con il quale aveva collaborato anche per la cappella della Sindone, e proprio al Guarini si debbono due progetti per San Filippo, uno dei quali venne posto in opera, tanto che nel 1703 la fabbrica risultava già coperta ed era già avanzata la costruzione della cupola. Poi la guerra e l'Assedio di Torino - ma soprattutto dubbi sulla solidità delle strutture, dubbi confermati nel 1714 dal crollo delle pareti e della cupola - provocarono la fermata del cantiere.
da annoverarsi fra le cause del degrado; dopo di che non era successo più nulla sino al 1987-
Come per molti altri edifici torinesi, anche in questo caso toccò a Filippo Juvarra mettere
88, quando un modesto stanziamento, peraltro assorbito quasi per metà dal costo dei ponteggi,
mano al progetto di ricostruzione che, avviata nel 1722, dopo varie vicissitudini fatte
aveva consentito di rifare il tetto sovrastante il presbiterio. L'intervento che la Consulta si
di interruzioni e di riprese, e per l'inattività imposta dall'occupazione napoleonica, ebbe
accingeva a compiere consisteva perciò anche nella rimozione delle conseguenze più deleterie
termine solo nel 1854, sotto la direzione di Giuseppe Talucchi, con l'apposizione della
di quell'infelice precedente restauro ottocentesco. La situazione era dunque tale da rendere in
cancellata fra le colonne della facciata. In realtà, la conclusione definitiva si sarebbe avuta
certo qual modo obbligatoria la via da seguire. In pratica, era indispensabile operare in due fasi,
soltanto nel 1891, a opera di Ernesto Camusso, con la costruzione del timpano e delle
la più importante e urgente delle quali consisteva nella manutenzione straordinaria completa
balaustrate laterali di coronamento.
delle coperture, delle navate e dei tetti bassi dell'area presbiteriale.
La chiesa, poi, proprio per le vicissitudini legate alla sua costruzione, era già stata
La prima fase doveva perciò necessariamente riguardare lo smontaggio del manto di
oggetto di un pesante restauro, poco meditato, a cavallo fra Ottocento e Novecento, anch'esso
tegole, il rifacimento della piccola e media orditura (ormai irrecuperabili), la revisione delle
48 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
CHIESA DI SAN FILIPPO NERI FACCIATA E PRONAO
3. nuove esperienze 49
grandi capriate (generalmente in buone condizioni) e la pulizia completa del sottotetto, dal
la conseguenza di un precedente restauro, che aveva alterato la lettura stessa del prospetto
quale doveva essere scaricata la bellezza di 500 metri cubi di macerie colà abbandonate nel
della chiesa.
tempo. Le tegole, poi, venivano esaminate a una a una; parecchie di esse, di epoca ancora
Si dovette quindi procedere ad asportare tutti gli elementi incongrui aggiunti e a
juvarriana, recavano ben visibili le impronte digitali degli artigiani che le avevano plasmate.
pulire con spazzole morbide l'intera superficie interna del pronao, eliminando innanzitutto
Quelle ancora utilizzabili sarebbero state selezionate, accantonate e successivamente utilizzate
l'orribile, perché antiestetico, «effetto schiuma» causato dal rigonfiamento del gesso.
per formare il manto superiore del nuovo tetto, dove venivano ancorate, dopo il rifacimento
Immediatamente dopo si passò al preconsolidamento degli stucchi e alla pulizia a bisturi
dell'orditura secondaria, su tegole nuove, fermate con ganci di rame. In tal modo, l'intervento
dei depositi, operando al contempo minime integrazioni delle immagini, onde consentirne
risultava praticamente invisibile, pur consentendo di raggiungere l'obbiettivo voluto: non
una migliore leggibilità.
lasciar più filtrare acqua all'interno dell'edificio.
SANTENA CASTELLO CAVOUR SALA DA PRANZO CON I DIPINTI OPERA DEI CRIVELLI
Per quanto riguarda invece la parte esterna del pronao, che soffriva dei tipici fattori
L'imponenza dell'intervento era testimoniata dalle cifre. Complessivamente venivano
di deterioramento dei materiali lapidei in ambiente urbano - gas di scarico delle auto, depositi
risanati circa 3000 metri quadri di tetto e risultavano impiegati 31.360 ganci per fermare
di guano, erosione provocata dal ruscellamento delle acque piovane - si rese necessario
le tegole. Accanto a tutto questo, e a completamento dell'intervento sulle coperture, oltre agli
procedere innanzitutto al lavaggio dei vasi posti sulla sommità degli attici laterali e dei
indispensabili fermaneve si provvedeva alla revisione dei serramenti delle aperture, tanto
pilastrini della balconata, e successivamente al lavaggio della facciata con acqua nebulizzata.
nella parte vetraria che in quella lignea, e alla ritinteggiatura di quest'ultima; infine, l'edificio
Quest'ultima operazione consentì alla pietra, in particolare a quella delle colonne,
veniva protetto con la posa di reti antipiccione in maglia di rame. Procedendo con la consueta
di recuperare l'originario colore bianco paglierino. L'intervento venne poi completato con
efficienza, i lavori, iniziati nella primavera del 1992, risultavano ultimati nell'ottobre dello
la rimozione degli strati di vernice che ricoprivano la cancellata, sulla quale si applicò
stesso anno, nel pieno rispetto dei tempi previsti. Si è trattato, dunque, di un intervento estremamente impegnativo che è servito a qualificare ulteriormente non solo l'attività della Consulta, ma anche il suo modus operandi, la filosofia alla quale si ispira nella scelta degli interventi. Rifare il tetto di un edificio, a differenza del restauro di una facciata, è operazione anonima, in certo senso invisibile, che quindi come tale non da lustro né, tanto meno, assicura prestigio allo sponsor. Va perciò dato atto alla Consulta, che ha accettato di operare per un'intera stagione in condizioni di quasi anonimato, di una grande sensibilità e intelligenza. Pochi, o forse nessuno, sponsor avrebbero accettato di investire una somma cospicua come quella richiesta dall'intervento sui tetti - circa un miliardo di lire - non accompagnata da condizioni, pur legittime, di visibilità. Più probabilmente, altri sponsor avrebbero optato per intervenire unicamente sulla facciata, demandando magari all'ente pubblico, o comunque a un soggetto diverso, l'onere di provvedere al tetto. Messo finalmente in sicurezza l'edificio, si trattava ora di provvedere al restauro della facciata e del pronao, che richiedevano interventi complessi su materiali molto diversi: pietra, stucchi, ferri, legni, intonaci. Le infiltrazioni di acque meteoriche, i depositi di particellato e di guano dei colombi avevano prodotto un pesante degrado degli elementi decorativi, in particolare degli stucchi, grave al punto da lasciare scoperta, in alcuni casi, l'armatura metallica che sosteneva candelabri e puttini. In altri casi, invece, le pessime condizioni erano 50 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
3. nuove esperienze 51
un trattamento a «canna di fucile»; in questo contesto anche le lance in legno furono
conclusione di quest'ultimo, il luogo diventava ricovero e giaciglio di non troppo desiderati
completamente revisionate, e quelle mancanti, sostituite.
ospiti notturni. Una situazione insostenibile che aveva spinto la Sovrintendenza del Teatro
Il complesso degli interventi della Consulta sulla chiesa di San Filippo, ufficialmente
a proporre la chiusura dell'atrio in questione, mediante il posizionamento di una cancellata
presentato ai torinesi e alla stampa il 19 novembre 1993, venne accolto con favore da tutta
scorrevole, da aprirsi soltanto in occasione degli spettacoli e da lasciare chiusa per tutto
l'opinione pubblica, della quale riscosse il plauso e l'ammirazione. Nel dare la notizia, così
il tempo rimanente.
La Stampa riassumeva, quasi stupita, l'entità e l'importanza dei lavori effettuati: «Sono state risanate 12 capriate lignee e 20.000 tegole storiche, su una superficie di 2000 metri quadri,
più complicato era invece scegliere quale tipologia di chiusura si sarebbe dovuto adottare.
restaurati con 30.000 coppi nuovi. Nel sottotetto sono stati rimossi 1220 metri cubi di macerie
La cancellata, infatti, avrebbe dovuto inserirsi in un «monumentale complesso
antiche. Riparate le finestre della navata, [i restauratori] hanno ripulito la facciata con
edilizio (ubicato in un contesto di eccezionale pregio storico-artistico, già oggetto di tutela
nebulizzatori d'acqua, microsabbiature e bisturi, rimuovendo smog e guano da pietre
sugli edifici limitrofi) consistente nelle vestigia residue dell'incendio (anno 1936) del Regio
e stucchi. Il tutto in due anni».
teatro alfieriano (1738-1740) identificabili nelle facciate prospettanti la piazza Castello e nelle
E La Repubblica con -
accluse e conglobate pertinenze costituite dalla moderna realizzazione molliniana del
cludeva: «non resta che apprez-
ricostruito Teatro Regio, anch'essa dotata di chiaro interesse architettonico negli elementi
zare il prodigioso salvataggio
compositivi - scale, scale mobili, foyer, collegamenti in genere - appositamente collocati
della facciata, del pronao e
e progettati quali cornici atte a valorizzare prospettiva, luce e condizioni di ambiente connesse
della copertura di una chiesa
alle storiche strutture settecentesche oltre la piazzetta Carlo Mollino».
che vide misurarsi l'estro
L'iniziale incertezza sulle scelte da compiere e la conseguente impossibilità
creativo dei due più grandi
di definire l'ammontare delle risorse necessarie, avevano fatto sì che una prima segnalazione
architetti sabaudi, Guarino
della Sovrintendenza del Teatro alla Consulta non fosse stata presa in considerazione.
Guarini e Filippo Juvarra.
SANTENA CASTELLO CAVOUR ANIMALI IN POSA DI GIOVANNI CRIVELLI
Se di per sé era stato semplice individuare una soluzione corretta al problema, molto
Ma ora, all'inizio del 1994, la situazione era sensibilmente mutata, in quanto già
Con due anni di lavoro
da qualche tempo era stato individuato l'artista incaricato di realizzare l'opera. Si trattava
e un finanziamento di un
di Umberto Mastroianni, il quale, interpellato, dichiarava di accettare con entusiasmo,
miliardo e mezzo stanziati dalla
rinunciando a qualunque forma di compenso perché, diceva, «ho 90 anni [in realtà, 84],
Consulta […] si è finalmente
il tempo contato e tante cose da esprimere. Alla mia età non avrei accettato un compito come
arginato il dilagare del degrado.
questo se fosse stato solo un concorso. È invece per me un'occasione preziosa, per lasciare
Infiltrazioni, guano di piccioni, vandalismi e interventi sommari del passato avevano reso
qualcosa di mio a Torino, una città che rappresenta tradizioni e valori di correttezza
ormai praticamente illeggibili decorazioni e stucchi splendidamente congegnati e portati
e concretezza, sempre più evanescenti in quest'Italia che va a rotoli».
a termine in un arco di tempo che va dal 1675 al 1891». Certo, rimanevano ancora
Che dovesse trattarsi di Mastroianni e non di altro scultore era, per così dire,
da restaurare la grande aula interna, le cappelle laterali e il presbiterio. Ma il peggio era stato
nell'ordine naturale delle cose. L'artista di Fontana Liri non solo aveva perfezionato a Torino,
scongiurato. Ora la Consulta poteva concentrarsi su altre emergenze; che, per la verità, erano
dove era giunto con la famiglia nel 1926, il suo percorso culturale e portato a maturazione
piuttosto numerose.
quello professionale, ma in questa città era riuscito anche a rinnovare lo spirito della scultura
Fra le tante, una riguardava il Teatro Regio. Da anni l'atrio d'ingresso al Teatro
celebrativa, dei valori spirituali dell'uomo. Con il Monumento alla Resistenza Italiana
era diventato oggetto di atti vandalici e scritte imbrattanti, mentre la sua superficie, vasta
di Cuneo, e con quelli alla Pace di Cassino e alla Resistenza di Tolentino, Mastroianni aveva
e perfettamente liscia, rappresentava il terreno ideale di prova per gare di pattini a rotelle,
già offerto prove eloquenti della sua capacità di inserire, con effetti di forte emotività, gruppi
skate-board e roller-blade. Come se non bastasse, quando non c'era spettacolo, o alla
scultorei nel contesto urbano e paesaggistico. Capacità che aveva raggiunto forse il punto più
52 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
3. nuove esperienze 53
alto con il Monumento ai Caduti per la Libertà del Cimitero Monumentale di Torino,
del 13 luglio 1993, la quale aveva deliberato di «individuare, per il 1994, un intervento annuale
realizzato in collaborazione proprio con Carlo Mollino, al quale era legato da affinità
di entità possibilmente ridotta rispetto al passato, ma qualitativamente coerente agli obbiettivi
di temperamento, di formazione e di espressione artistica. Ora, con la Cancellata, per un
perseguiti fino ad oggi dalla Consulta». La Cancellata rispondeva perfettamente a entrambi
singolare destino il sodalizio artistico fra il «pirata» Mastroianni e il «diabolico saraceno»
i requisiti.
Mollino, come i due erano stati ribattezzati dagli amici all'epoca della loro frequentazione, si riproponeva.
Con questo intervento la Consulta apriva un nuovo fronte: quello dell'arte contemporanea, fornendo un contributo che andava al di là del fatto puramente formale della
Chiarita, con la rinuncia, la questione del compenso all'artista, i costi dell'intera
sponsorizzazione. Accettando di finanziare le sculture di Mastroianni, la Consulta dimostrava
operazione potevano essere quantificati in 750 milioni di lire, di cui 400 necessari per
di essere un organismo che sapeva colloquiare con l'insieme delle istituzioni cittadine e farsi
la fusione dei gruppi scultorei, 150 per la realizzazione del modello in legno e 200 per
carico di problemi che esulavano dal puro e semplice recupero di edifici storici, per investire
la costruzione e messa in opera del cancello vero e proprio, completo dei meccanismi
direttamente i problemi del vandalismo e della salvaguardia da un uso improprio delle parti
di scorrimento automatico. La richiesta di finanziare i 400 milioni necessari per la fusione
«auliche» della città di Torino, accettando, e anzi incoraggiando, l'inserimento nel tessuto
(mentre gli altri oneri sarebbero stati sostenuti dal Comune), venne accolta favorevolmente
tradizionale di elementi di forte contemporaneità. In un certo senso, con questo intervento
dalla Consulta, la quale, dopo il grande sforzo compiuto per San Filippo, avvertiva la necessità,
la Consulta interveniva nel dialogo sulle scelte urbanistiche della Città, assecondandone
per così dire, di «tirare il fiato», con un'operazione di costo contenuto, in attesa di individuare
una delle esigenze primarie: quella di salvare dal degrado non questo o quel palazzo,
altri interventi più impegnativi. In questo senso si era già espressa anche l'assemblea
non questo o quel monumento, ma la vita sociale della collettività nel suo insieme.
54 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
UMBERTO MASTROIANNI TEATRO REGIO, ODISSEA MUSICALE, 1994
3. nuove esperienze 55
UMBERTO MASTROIANNI TEATRO REGIO, ODISSEA MUSICALE, PARTICOLARE, 1994
Il racconto scolpito nel bronzo, che Mastroianni, in omaggio al luogo e alla sua destinazione a teatro lirico, aveva voluto intitolare Odissea Musicale si inserisce infatti in un tessuto architettonico complesso, rispetto al quale intende proporsi come sipario, scenografia e allo stesso tempo come recinzione: funzione non residuale, ma ragione di fondo per la quale l'opera è stata realizzata. In ogni caso, l'artista doveva tenere conto del fatto che in determinati momenti il complesso scultoreo si sdoppiava in due metà; le quali, ricongiungendosi, avrebbero dovuto definire un ciclo completo, una descrizione narrativa che tenesse conto del carattere «teatrale» del luogo. Mastroianni riuscì a soddisfare questa esigenza incastonando sui due grandi pannelli scorrevoli, lunghi 12 metri, alti 3,60 e composti da un telaio geometrico a maglia quadrata, tre grandi gruppi di sculture modernamente ispirate alla rappresentazione teatrale - inquadrate in una cornice continua di bassorilievi - che rappresentano, rispettivamente, la Danza, la Tragedia e la Commedia. Attorno ai gruppi scultorei, le lesene verticali e il coronamento costituiscono un bassorilievo continuo di «maschere» e di «figure drammatiche». In questo modo, è stato scritto, «come una facciata, la cancellata risulta stratificata, scavata, scaglionata per piani multipli; è un'indagine al limite del virtuosismo sulla tridimensionalità». L'opera venne presentata ufficialmente al pubblico il 22 dicembre del 1994, accompagnata da un volume che illustrava la personalità di Mastroianni, il suo percorso artistico, e descriveva nel dettaglio il contenuto delle sculture e dei bassorilievi di cui era composta. Per celebrare degnamente l'evento, era prevista per la sera dello stesso giorno un'esecuzione dell'Orchestra del Teatro Regio, che però non ebbe luogo perché gli orchestrali, con perfetto spirito autolesionista, preferirono scioperare, proprio quel giorno,
anche se siamo in trattative con il Comune per uno spazio in piazza d'Armi». Gli skaters invece
a sostegno di certe loro rivendicazioni. Il concerto si tenne ugualmente, benché ridotto alla
non sono così accomodanti. Raccontano Paolo Melzi e Giampaolo Zampa: «Se spendono oltre
sola partecipazione di un soprano e di un tenore accompagnati da un pianoforte,
un miliardo solamente per mandarci via, potevano ottenere lo stesso risultato con molto
ma indubbiamente quella che poteva essere una vera festa per Torino, che si trovava arricchita
meno. Se avessimo solo un decimo della cifra saremmo in grado di attrezzare uno skate-park
di un'opera d'arte di grande prestigio, riuscì soltanto a metà.
come a Marsiglia».
Né quella degli orchestrali fu l'unica protesta legata alla Cancellata. A protestare
Come che sia, c'è da pensare che le aspirazioni degli uni e degli altri non siano state
furono anche gli acrobatici giovanotti che da molti anni ormai avevano eletto l'Atrio delle
soddisfatte, oppure che l'area di piazza Castello abbia continuato a esercitare un'irresistibile
Carrozze a palestra delle loro evoluzioni con lo skate-board e delle loro improvvisazioni rap.
attrattiva, visto che attualmente le due tribù hanno spostato le loro acrobatiche evoluzioni
Come diligentemente informava la Repubblica, costoro protestavano «con atteggiamenti
soltanto di pochi metri, passando dall'Atrio delle Carrozze al basamento del prospiciente
diversi a seconda dell'appartenenza alla tribù dei rappers o a quella degli skaters, due mondi
monumento al Duca d'Aosta! Ma per lo meno, Odissea Musicale è rimasta salda al suo posto.
vicini ma ben distinti l'uno dall'altro. Simile il modo di vestirsi e identico il luogo di ritrovo,
La somma delle esperienze maturate negli ultimi interventi - da quello sulle tele del
ma con esigenze differenti». L'associazione Real World, nata con lo scopo di difendere
Castello di Santena alla realizzazione di Odissea Musicale - avrebbe poi reso possibile
la cultura hip hop reagisce in maniera morbida. «Possiamo capire che non sia giusto rovinare
l'intervento successivo, di gran lunga il più impegnativo fra quelli realizzati sino a quel
un monumento, - dice [bontà sua] Silvestro Ferrero, - ma continueremo a trovarci al Regio,
momento: il riallestimento della Pinacoteca dell'Accademia Albertina.
56 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
3. nuove esperienze 57
Il consiglio direttivo della Consulta aveva preso in considerazione la possibilità di occuparsi della prestigiosa e antica istituzione artistica torinese fin dalla riunione del 24 marzo 1993, quando, ormai in dirittura d'arrivo il restauro di San Filippo, era giunto il momento di individuare un altro intervento di grande rilievo, dopo quello «minore» (ma neppure tanto) della Cancellata di Mastroianni. Per la verità, l'intenzione iniziale era quella di procedere alla ristrutturazione della facciata principale dell'edificio che dal 1837, per volere di Carlo Alberto, ospita l'Accademia. In sé, il restauro della facciata non avrebbe costituito un grande impegno, soprattutto dal punto di vista finanziario, dal momento che su un costo totale stimato in 800 milioni era previsto un contributo di 500 milioni del Provveditorato alle Opere Pubbliche. Ma di riunione in riunione il progetto prese a lievitare, orientandosi verso altre necessità dell'Accademia. In particolare, poco più di un mese dopo la riunione nella quale si era deciso di operare in quella direzione, il 4 maggio 1993, veniva presa in considerazione l'ipotesi di provvedere al riassetto della Pinacoteca dell'Accademia, sia risistemando le sale esistenti sia ampliandone il numero, così da poterne consentire l'apertura, almeno parziale, al pubblico. In effetti, la storia della Pinacoteca Albertina se da un lato rappresenta una tipica manifestazione dell'understatement subalpino, di solito riluttante e forse anche un po' infastidito a mettersi in mostra, dall'altro è un altrettanto tipico caso di tesoro nascosto: uno
ACCADEMIA ALBERTINA PINACOTECA, SALA 8 DEDICATA AI MAESTRI E AGLI ALLIEVI DELL’ACCADEMIA
di quei tesori che la Città e i cittadini non sanno di possedere. Il nucleo iniziale della
conosciuto come «Monsù Nicasio»; senza dimenticare, infine, l'arazzo di manifattura
Pinacoteca risale infatti al 1832, quando il marchese monsignor Vincenzo Maria Mossi
fiamminga, e le terracotte dei fratelli Collino, accanto ai pregiati acquerelli del Bagetti
di Morano legò all'Accademia la sua quadreria, ricca di oltre duecento dipinti, che doveva
e Storelli, e alle testimonianze di importanti maestri e di loro allievi nell'Accademia di fine
servire come strumento didattico per «favorire l'istruzione dei giovani inclinati alla bell'arte
Settecento.
del disegno e della pittura». Un insieme di capolavori ai quali si era ben presto aggiunta
Grazie a queste donazioni e ad altre successive, quantitativamente inferiori ma non
la donazione, da parte dello stesso Carlo Alberto, di sessanta cartoni e disegni
meno importanti, Torino ebbe «il privilegio unico, con Firenze, di possedere due ben distinte
cinquecenteschi già conservati nei Regi Archivi e connessi prevalentemente all'attività
e rilevanti collezioni d'arte: dell'Accademia e dello Stato [e cioè la Galleria Sabauda]».
di Gaudenzio Ferrari e della sua scuola, «nucleo - quest'ultimo - unico al mondo come
Se non che, tutto questo giaceva, non abbandonato ma certamente affastellato,
esempio delle procedure creative della bottega
in cinque sale-deposito. Con la conseguenza che le opere, peraltro sempre correttamente
cinquecentesca». In realtà, però, quasi tutti
conservate e restaurate in caso di necessità, non erano fruibili dagli allievi dell'Accademia
i dipinti e le altre opere della Pinacoteca erano,
e praticamente precluse al pubblico. Soltanto agli addetti ai lavori, su specifica richiesta,
e sono, da ritenersi dei capolavori. Basterà
era consentito accedere alle sale in questione. Per la verità, la Pinacoteca non aveva mai avuto
ricordare le splendide tavole di Filippo Lippi,
vita facile. Anche se non erano mancati tentativi importanti di riordino, come quello affidato
Defendente
Martino
nel 1932 a Lionello Venturi, ma non portato a termine, essa era stata spesso costretta
Spanzotti; oppure la toccante Sacra Famiglia
a traslocare da un piano all'altro dell'edificio; ma a dare il colpo di grazia erano stati,
di Bartolomeo Cavarozzi; e ancora, i maestri
ovviamente, i bombardamenti che avevano colpito Torino nella seconda guerra mondiale.
Ferrari,
Giovanni
fiamminghi fra i quali spiccano le due Nature morte di Nicasius Bernaerts, meglio 58 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
ACCADEMIA ALBERTINA PINACOTECA, SALA 5 DEDICATA AL TEMA DEL PAESAGGIO
Successivamente, la cronica carenza di spazio e la necessità di adeguare e mettere a norma gli impianti di sicurezza, per la quale le risorse latitavano, avevano fatto il resto. 3. nuove esperienze 59
di un secondo scalone, mentre il secondo lotto riguarda la sistemazione delle rimanenti sei sale». In realtà, la previsione sarebbe stata sopravanzata dagli eventi. Alle otto sale inizialmente preventivate se ne sarebbero aggiunte altre quattro, recuperate grazie al trasferimento della Biblioteca storica, e al ripristino puro e semplice dei locali avrebbe fatto
ACCADEMIA ALBERTINA PINACOTECA, SALA 10 CON I CARTONI GAUDENZIANI
seguito il progetto e la realizzazione dell'allestimento museale. Così, nuovi costi sarebbero andati ad aggiungersi a quelli già previsti e a quegli altri che, se pure inizialmente non prevedibili, finiscono inevitabilmente per gravare su iniziative dal carattere fortemente aleatorio come sono i restauri di edifici storici. L'importanza dell'intervento che la Consulta stava realizzando, viste le ricadute che avrebbe potuto avere sull'insieme del sistema culturale torinese, richiedeva anche un adeguato progetto di comunicazione. Così, lungo tutto l'iter dei lavori vennero tenute conferenze stampa di aggiornamento; particolarmente importante quella del 20 febbraio 1996, che vide l'autorevole partecipazione di Federico Zeri. In quella occasione il noto critico d'arte, oltre a sottolineare l'importanza artistica della quadreria dell'Accademia per l'eccelsa qualità di molte delle opere presenti, mise in luce l'opportunità che veniva offerta alla Città di Torino di dotarsi di un nuovo museo particolarmente prestigioso. «È uno Zeri entusiasta e caustico - commentava La Stampa il giorno dopo - quello che ieri si è aggirato fra le opere dell'Accademia. “Eccezionalmente belle. Ma dove le mettete? E come? Avete il locale?” […] E Zeri proclama: “Sì, questa raccolta è di livello europeo. Vale il viaggio”». Un altro appuntamento importante, anche se successivo alla riapertura della Pinacoteca riguardò Nel 1994, però, venivano recuperati all'attività dell'Accademia i locali sino ad allora
la presentazione dell'intera iniziativa, la sera del 18 marzo 1997, in uno degli «Incontri
occupati dal liceo artistico, e si creavano così gli ambienti per un'adeguata sistemazione dei
del Martedì Sera» all'Unione Industriale, perché quell'incontro offrì anche l'occasione per
tesori della Pinacoteca, che adesso poteva disporre di una maggiore quantità di spazio. In più,
parlare della Consulta, di quanto aveva già realizzato e dei programmi che intendeva svolgere
durante i lavori di rinforzo delle murature e di rifacimento degli intonaci venivano individuati
nel futuro.
nei muri, tra sala e sala, ampi archi strutturali che si poterono liberare dai tamponamenti
Rispettando anche questa volta i tempi stabiliti, l'intervento venne inaugurato
e utilizzare come passate lungo il percorso. Il che permise di accentuare il carattere di
ufficialmente il 21 novembre 1996. Nelle dodici sale del complesso trovavano ospitalità oltre
«galleria» della sequenza degli spazi, come del resto richiesto dalla destinazione museale dei
duecento opere delle circa trecento appartenenti alla Pinacoteca, fermo restando che le
medesimi. È però evidente che un impegno come quello che la Consulta intendeva assumere
rimanenti non sarebbero state rinchiuse nell'oscurità di un deposito, ma sarebbero state
avrebbe richiesto uno sforzo finanziario di gran lunga superiore a quelli compiuti sino
anch'esse esposte, a rotazione. L'apparente semplicità della collocazione sulle pareti delle
ad allora, anche quando erano stati ripartiti a due esercizi successivi. E anche in questo caso,
diverse sale delle opere più importanti e rappresentative rischiava di mettere in ombra
dunque, si ritenne di suddividere l'intervento - il cui costo complessivo era stimato in oltre
l'impegno profuso dalla Consulta, sotto l'alta sorveglianza della Soprintendenza per i Beni
due miliardi - in due moduli distinti da realizzarsi rispettivamente nel 1995 e nel 1996.
Artistici e Storici del Piemonte, nel confrontarsi sul piano della museografia con i temi
Come venne riferito nella riunione di direttivo del 10 novembre 1993, «si è verificata
e i problemi, certamente non facili, posti da una collezione come quella dell'Albertina.
la possibilità di realizzare due lotti di lavori funzionali, il primo relativo all'adeguamento di due
Si trattava, infatti, di documentare e rendere percepibile il sottile fil rouge, il delicato
sale espositive, all'impiantistica di tutte le otto sale, alla creazione di un deposito, all'accesso
equilibrio che doveva necessariamente intercorrere tra la storia dell'istituzione, la rara
60 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
3. nuove esperienze 61
ACCADEMIA ALBERTINA PINACOTECA, SALA 3 CON I PITTORI CARAVAGGESCHI
connotazione delle collezioni che vi erano confluite e la straordinaria qualità delle singole
dal periodo napoleonico alla Restaurazione sabauda. Qui si impongono le sculture dei fratelli
opere. Senza con ciò lasciare in ombra lo scopo originario di un museo nato, cresciuto
Collino e di Spalla, accanto a una virtuosistica cornice del Bonzanigo, nonché importanti
e finalizzato per l'istruzione degli allievi dell'Accademia di Belle Arti. Al contempo, il minuzioso
acquisizioni, che vanno dalla Pala di Montemale del Moncalvo, alle tavole del Giampietrino
lavoro scientifico per l’allestimento condotto da Giovanna Galante Garrone e Angela Griseri,
provenienti da Staffarda, o alla copia antica della Madonna del Velo di Raffaello. Nella nona
oltre a fornire un quadro preciso della consistenza artistica della Pinacoteca, permetteva di
sala, invece, a carattere ancora provvisorio, viene proposto l'insieme di alcune preziose
formulare per alcune opere nuove attribuzioni, mentre in altri casi venivano effettuate
donazioni di Carlo Alberto, quali l'arazzo fiammingo Ester ed Assuero, due disegni del
autentiche scoperte, come il dipinto di Francesco Cairo che giaceva ignorato nei depositi.
francese Lagneau, appositamente selezionati per l'Accademia Albertina da Roberto d'Azeglio,
Tenendo conto di quest'insieme di necessità e di circostanze, il percorso museale scelto si snoda attraverso le dodici sale con un itinerario che prevede, nelle prime sei,
accanto ad alcuni esempi di disegni e acquerelli di artisti particolarmente apprezzati dal re, come Bagetti, Arienti e Storelli.
l'esposizione delle opere provenienti dalla collezione Mossi di Morano. Così, nella prima sala
Di particolare impegno, anche sotto il profilo tecnico, la decima sala, nella quale sono
trovano collocazione i «primitivi», rappresentati dalle splendide tavole di Filippo Lippi,
esposti i cinquantanove cartoni gaudenziani, che si è cercato di rendere integralmente
Giovanni Martino Spanzotti, Defendente Ferrari, Francesco Francia, Martin Van Heemskerck.
consultabili e confrontabili in contemporanea: mentre alcuni sono esposti a rotazione - si
La seconda sala è dedicata ai dipinti genovesi del primo Seicento, con altre opere
tratta, per lo più di capolavori di Gaudenzio Ferrari, Gerolamo Giovenone e Bernardino
appartenenti al manierismo piemontese e lombardo. La terza sala è riservata ai pittori
Lanino - altri sono appesi in penombra su pannelli scorrevoli su rotaie. Particolare importanza
caravaggeschi, dell'importanza di Bartolomeo Cavarozzi e di Mattia Preti. La quarta sala,
è stata riservata, in questa come nella precedente sala, all'illuminazione, onde non
invece, propone dipinti olandesi e fiamminghi, mentre nella quinta si è voluto privilegiare
danneggiare con una luce eccessiva la qualità delle opere esposte. Mentre l'illuminazione
il tema del paesaggio, con dipinti che documentano alcuni dei filoni presenti nella raccolta.
degli ambienti nel loro insieme è stata ottenuta con corpi a fluorescenza incassati nel
Nella sesta sala, infine, si è dato spazio ad artisti romani come Trevisani e Casali, ancora
controsoffitto, così da ottenere una condizione di luce «calda» e uniforme sulle pareti, nelle
Seyter, per l'aggiornamento culturale della corte sabauda.
due sale in questione si è fatto ricorso alle fibre ottiche, in modo da realizzare una luce
Dopo la presentazione del nucleo proveniente dalla donazione Mossi di Morano, la Pinacoteca propone, nella settima e ottava sala, le testimonianze di importanti maestri e di loro allievi nell'Accademia di fine Settecento e inizi Ottocento, documentando il passaggio
attenuata, ma al tempo stesso sufficiente per assicurare la leggibilità dei cartoni, dell'arazzo e degli acquerelli, senza contribuire per troppa luminosità al loro possibile deterioramento. Per le ultime due sale, infine, è stata prevista una destinazione più flessibile: destinata a mostre temporanee, la undicesima; dedicata ad alcune opere poco note del secondo Ottocento e del primo Novecento, da Ludovico Raymond e Bonatto Minella, a Giacomo Grosso e a Cesare Ferro, la dodicesima. L'importanza dell'intervento della Consulta è stata determinante, poi, per attivare anche le pubbliche istituzioni, impegnandole a operare per la fruibilità del materiale della Pinacoteca. In questo senso, mediante apposita convenzione, l'Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte si è fatto carico della gestione ordinaria: «Un nuovo museo torinese - come ebbe a scrivere La Stampa - che merita una visita e una grande attenzione. Bisogna guardare tutto, scoprire i particolari, le tonalità di colore, le composizioni». Ma è stato soprattutto l'esempio fornito dalla Consulta a destare l'interesse e l'ammirazione degli organi di informazione. Se il Giornale, a fronte della constatazione che «purtroppo in Italia ci sono ancora altre migliaia, decine di migliaia forse, di capolavori che ammuffiscono “imprigionati” in umidi e bui scantinati» si augurava che «l'Accademia Albertina rappresenti un esempio, per
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3. nuove esperienze 63
molti, per tutti», il Corriere della Sera andava ancora oltre. «L'esperienza di questa Consulta -
religiosi (Santuario della Consolata, Santa Teresa, San Lorenzo, Santa Trinità, Chiesa del
scriveva il quotidiano milanese - è davvero molto interessante. Un esempio da seguire.
Carmine, San Domenico, nuovamente San Filippo, San Francesco d'Assisi, San Francesco da
Dobbiamo rendercene conto: è talmente grande il patrimonio dei beni culturali italiani,
Paola, Santa Pelagia, Cappella dei Mercanti). Alcune di tali proposte, nel tempo, avrebbero
che da sole le istituzioni pubbliche non potranno mai riuscire a restaurarlo quando occorre,
trovato accoglimento, magari per interventi di natura diversa da quelli prospettati; altre
a mantenerlo, a tenerlo a disposizione del pubblico. Il capitale privato deve intervenire.
avrebbero trovato accoglienza da parte di istituzioni diverse dalla Consulta; per altre ancora
Ne ha l'obbligo morale, potremmo dire. Ed è un obbligo che molti rispettano,
invece non sarebbe stato possibile prevederne l'accettazione. Tutte quante, messe
evidentemente. Molti, anche se non abbastanza. Viene in mente la Pinacoteca di Brera,
a confronto, fornivano una mappa precisa e documentata del degrado in cui versava una
a Milano, costretta in uno spazio limitatissimo. Capolavori restano al buio, sepolti nei
parte non piccola del patrimonio artistico e culturale torinese, individuavano una scala
magazzini. Musei interi, invisibili, nascosti sotto il museo visibile. Tesori nascosti, appunto.
di priorità, mettevano la Consulta, forte delle esperienze maturate con gli ultimi interventi,
Così, tutti noi siamo un po' più poveri. Perché anche a Milano non si mettono insieme le forze
nella condizione di operare a tutto campo.
disposte a finanziare il restauro e la riqualificazione di opere d'arte, di architetture?». Le domande che si poneva il cronista del Corriere erano legittime, e in parte potevano valere anche per Torino, poiché l'intervento della Consulta era valso, sì, a smuovere le acque, ma molte zone d'ombra rimanevano ancora. In una sorta d'inventario del patrimonio artistico torinese «negato» alla fruibilità dei cittadini, la Repubblica del 9 giugno 1995, nelle pagine regionali, sottolineava l'eccezionale valore di molti di questi «tesori». «La porta è rigorosamente chiusa a chiave. È una camera buia, senza finestre, un po' polverosa. Contiene enormi tubi, avvolti nella velina e in metri e metri di tela. Ai lati la tela è stata arrotolata e annodata. Sembra una collezione di gigantesche caramelle: sono arazzi. Centotrenta: il loro valore è inestimabile. Arazzi di casa Savoia, tra cui una preziosissima serie seicentesca tratta dai cartoni di Rubens: quattrocento anni di storia nascosti nel magazzino di Palazzo Reale». A quanto risulta, a più di un decennio di distanza gli arazzi sono ancora lì. Con l'allestimento della Pinacoteca Albertina, nello spazio di un quinquennio - fra il 1992 e il 1996 - la Consulta aveva maturato una serie di esperienze nuove, che spaziavano dal restauro di dipinti a interventi sull'arte contemporanea, dal risanamento di strutture edilizie alla progettazione e realizzazione di percorsi museali, risolvendo in parallelo complessi e delicati problemi di illuminotecnica e di controllo dell'umidità. Allo stesso tempo essa era riuscita ad acquisire un'autorevolezza indiscussa, diventando punto di riferimento obbligato per tutti gli attori dell'ambiente artistico e culturale torinese, rispetto ai quali esercitava un notevole potere di attrazione. Ne fanno fede le proposte di intervento che continuavano ad affluire e diventavano, senza eccezione alcuna, oggetto di istruttoria. Così, ad esempio, il riepilogo delle ipotesi di nuovi interventi presentato al consiglio direttivo dell'11 marzo 1996, contemplava ben diciotto proposte, riguardanti sia edifici storici o istituzioni culturali (Biblioteca Reale, Museo Nazionale del Risorgimento, Museo Sindonologico, Villa della Regina, Palazzo Madama, Palazzo Carignano, Accademia delle Scienze), sia, soprattutto, edifici 64 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
3. nuove esperienze 65
teatro regio - odissea musicale
4.
RITORNO ALLE ORIGINI
L'idea di celebrare il decennale di attività della Consulta con un intervento dal sapore fortemente simbolico prese corpo nella riunione del consiglio direttivo dell'11 marzo 1996. In quella circostanza, esaminate le circa venti proposte pervenute, il consiglio decise all'unanimità di approfondire tra gli interventi presentati «i seguenti: Biblioteca Reale, realizzazione di un salone espositivo; Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, restauro dell'Aula del Parlamento Italiano; Museo Sindonologico, realizzazione di un nuovo museo; Santuario della Consolata, restauro coperture e volte affrescate». Tutte le altre proposte, invece, venivano accantonate, o perché giudicate di scarso interesse o perché gravate da una serie di intoppi burocratico-amministrativi che ne rendevano problematica la realizzazione. Confermata dall'assemblea del 12 marzo 1996, la scelta si orientò definitivamente sull'Aula del Parlamento Italiano nella successiva assemblea del 7 novembre.
Né poteva essere diversamente. Ai soci della Consulta non sfuggiva il carattere anche simbolico che tale scelta rappresentava. A dieci anni dal primo intervento, che aveva riguardato l'Aula del Parlamento Subalpino, la Consulta ritornava sugli stessi luoghi per completare, in un certo senso, l'opera. Dall'Aula dove erano echeggiati gli interventi di Cavour e le prime prove parlamentari di Quintino Sella, si passava a quella che avrebbe potuto essere la palestra politica delle generazioni successive a quelle che «avevano fatto l'Italia». Le generazioni cui sarebbe toccato il compito di «fare gli italiani». E se la storia aveva deciso altrimenti, se quell'Aula «avrebbe potuto essere, ma non fu» perché era stata portata a termine quando ormai il baricentro politico-parlamentare dell'Italia si era spostato altrove, ciò non toglie che essa potesse ancora rivestire un significato profondo. Era già accaduto al momento delle celebrazioni di Italia '61, quando aveva ospitato una grande coreografia di bandiere risorgimentali; ed era prevedibile che sarebbe accaduto nuovamente. Nel 1998 cadeva infatti un altro appuntamento importante della storia PALAZZO CARIGNANO AULA DEL PARLAMENTO ITALIANO, 1870
risorgimentale italiana: il centocinquantesimo anniversario della promulgazione dello Statuto Albertino: quello Statuto che sarebbe rimasto legge fondamentale dello Stato italiano sino alla proclamazione della Repubblica e all'entrata in vigore della nuova Costituzione.
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4. ritorno alle origini 71
Esposizioni cui anche Torino avrebbe dato un contributo non indifferente. E questo, dell'inserimento di Torino nel dibattito culturale europeo, era forse l'aspetto più rilevante, dal momento che, sotto un profilo puramente storico, l'Aula in questione non aveva mai ospitato
PALAZZO CARIGNANO AULA DEL PARLAMENTO ITALIANO, 1870
il Parlamento Italiano, proponendosi piuttosto come un monumento alle attese deluse dei torinesi. Ben altra era invece l'importanza storica dell'Aula del Parlamento Subalpino restaurata dieci anni prima. Inaugurata nel 1848, essa rivestì un'importante funzione politica nel Regno sardo, prima, e in Europa e Italia, poi. Sino al 1859, infatti, sui suoi banchi sedettero i deputati del Regno di Sardegna, e successivamente anche i primi deputati che, in seguito alla politica delle annessioni, rappresentavano gli ex Stati asburgici della Lombardia, dei ducati emiliani, della Toscana e parte degli Stati della Chiesa. Per effetto di tali ampliamenti, il numero di deputati dagli iniziali 204 giunse a 353. L'Aula che aveva ospitato i dibattiti sulle leggi Siccardi, sulla cessione di Nizza e della Savoia alla Francia, dove l'oratoria di Cavour aveva convinto i deputati ad approvare il traforo del Fréjus, la più importante e difficile opera di ingegneria ferroviaria intrapresa sino a quel momento, diventava insufficiente ad accogliere anche i deputati provenienti dalle regioni meridionali. Per ospitare un Parlamento composto ormai di 454 persone occorreva una nuova struttura, che Amedeo Peyron, su incarico di Cavour, riuscì a realizzare in soli 113 giorni. E proprio in quell'Aula provvisoria, costruita in legno e tela venne dichiarata Roma capitale, che Vittorio Emanuele II assunse per sé e per i propri eredi il titolo di re d'Italia; ma fu anche in quell'Aula che venne firmata quella convenzione con la Francia, la sciagurata «convenzione di settembre», che avrebbe tolto a Torino il rango di capitale dello Stato. Per effetto di quest'insieme di avvenimenti, l'Aula che adesso la Consulta si apprestava a restaurare non ebbe mai l'opportunità di ospitare il Parlamento Italiano. Cavour, che nel 1860 aveva promosso la costruzione della nuova struttura, moriva Non era difficile prevedere che anche l'Aula del Parlamento Italiano sarebbe stata la sede ideale per alcune delle manifestazioni previste a celebrazione dell'evento. A suggerire l'intervento sull'Aula, vi erano dunque più motivi. Un promemoria interno della Consulta così li sintetizzava: «Nel 1997 cade il decennale della costituzione della Consulta, e nel novembre di quest'anno si celebreranno anche i 200 anni del Tricolore.
pochi mesi dopo e il trasferimento della capitale a Firenze avveniva prima che i lavori fossero ultimati. La costruzione si sarebbe conclusa nel 1870 e l'inaugurazione ufficiale sarebbe avvenuta l'anno successivo con un altro avvenimento, anch'esso dal sapore simbolico. In quell'Aula, il 18 settembre 1871, veniva celebrata, con un banchetto di circa mille invitati sistemati in cinque lunghe tavolate, l'apertura della galleria del Fréjus, l'ultimo atto,
Nel 1998 cadranno invece i 150 anni dello Statuto Albertino, i 50 del Parlamento
se si vuole, dell'epopea risorgimentale torinese, o quanto meno l'ultima volta nella quale
della Repubblica Italiana e, nel maggio, i 10 anni del completamento del primo intervento
Torino, ospitando la quasi totalità del Parlamento Italiano (ma non il re, che preferì continuare
Consulta, ovvero il restauro dell'Aula del Parlamento Subalpino, sempre a Palazzo Carignano».
la battuta di caccia a Valdieri), si sentì per un momento ancora capitale.
Luogo simbolico, ma non soltanto; allo stesso tempo, uno dei poli del centro storico cittadino,
Impossibilitata a svolgere il compito per il quale era stata costruita, l'Aula ebbe varie
un insieme architettonico che metteva visibilmente in luce l'interesse e l'attenzione dedicata
destinazioni successive: da sede del Club Alpino Italiano a deposito di libri per la Biblioteca
da Torino alle realizzazioni dell'eclettismo europeo nell'età delle Esposizioni Universali.
Civica, sino ad ospitare, dopo il 1876, alcuni mammiferi del Museo delle Scienze nel frattempo
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4. ritorno alle origini 73
PALAZZO CARIGNANO AULA DEL PARLAMENTO ITALIANO, VOLTA AFFRESCATA DA FRANCESCO GONIN, 1870 (Fotografia di Mariano Dallago)
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4. ritorno alle origini 75
PALAZZO CARIGNANO PARTICOLARE DELL’AULA DEL PARLAMENTO ITALIANO, PRIMA DEL RESTAURO (Fotografia di Mariano Dallago)
trasferito in Palazzo Carignano, ivi compreso il grande elefante indiano vissuto per molti anni nel parco di Stupinigi, dono del bey di Algeri al re Carlo Felice. I molteplici usi ai quali venne dedicata fecero sì che non le fosse riservata l'attenzione che, per i suoi contenuti artistici, essa avrebbe meritato. Infatti, l'Aula, di metri 35 per 20, costruita unitamente alla facciata di Palazzo Carignano verso piazza Carlo Alberto su progetto degli architetti Domenico Ferri e Giuseppe Bollati, era stata affrescata da Francesco Gonin, che aveva cercato di riprodurre, con la tecnica delle prospettive a fresco, il dialogo architettonico e di colore già impostato alla base fino all'altezza della balconata lignea che corre tutt'intorno al salone. Per ottenere questo risultato, Gonin utilizzò per le membrature a chiaroscuro della volta i colori tipici dei materiali in pietra impiegati nell'Ottocento: il grigio verde della pietra di Malanaggio, i bianchi dei marmi di Chianocco e le arenarie, più tenere e più lavorabili. In particolare, l'uso del colore bianco per molti elementi della sala, rimandava all'immagine romantica che se ne aveva nel secolo XIX, con chiari riferimenti all'arte classica greca resi evidenti dai grandi telamoni destinati a sorreggere la balconata. Si trattava, dunque, di un insieme dalle tinte tenui e omogenee sul quale, mancando una destinazione precisa della sala, l'incuria aveva provocato dissesti della volta, distacchi di intonaco, infiltrazioni d'acqua, e causato danni di notevole entità. A questi si era poi aggiunto il colpo di grazia dei lavori eseguiti al momento delle celebrazioni di Italia '61, quando l'Aula era stata inserita nel percorso della Mostra Storica del Risorgimento, come Sala XXXI, dedicata all'Unità d'Italia. Secondo quanto riportato dal Notiziario di Italia '61, «oltre a preziosi cimeli racchiusi in nove vetrine, questa sala presenta una fantasiosa e suggestiva sintesi dell'Unità; nella penombra potenti riflettori illuminano alcune bandiere che garriscono, accompagnate dal suono di musiche e marce risorgimentali». Peccato che, per rendere la sintesi dell'Unità ancor più «fantasiosa e suggestiva» (anche se poi, per la verità, a molti visitatori, fra i quali lo scrivente, non era parsa quel gran che), gli allestitori non avevano trovato di meglio che ricoprire con vernice acrilica nera tutte le pareti, così da creare un gioco di contrasti con il bianco dei telamoni. Questo allestimento così funereo, dal sapore vagamente sansepolcrista, aveva poi fatto da cornice, dopo le celebrazioni, all'esposizione permanente della collezione di bandiere del movimento operaio che il Museo Nazionale del Risorgimento aveva ricevuto in dono. Non meraviglia, dunque, che la Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Piemonte sottolineasse che «l'iniziativa della Consulta […] rende finalmente possibile procedere al restauro dell'Aula del Parlamento Italiano, restauro in passato largamente e reiteratamente auspicato non solamente per pervenire alla necessaria restituzione dell'immagine complessiva dell'Aula, ma anche per risarcire una serie di danni verificatisi in passato a seguito di infiltrazioni d'acqua, le cui cause sono state peraltro rimosse». Già, perché nel momento in cui la Consulta
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4. ritorno alle origini 77
poneva mano al suo primo intervento restaurando l'Aula del Parlamento Subalpino, si stava
lo storico inglese aveva risposto affermativamente, sostenendo che si era trattato di una forma
concludendo l'intervento di consolidamento della volta di quella del Parlamento Italiano.
di risarcimento per l'ex granducato di Toscana, che dal trasferimento avrebbe tratto grandi
Dieci anni dopo era indiscutibilmente il momento di porre mano al resto, riportando l'Aula
vantaggi. Non l'avesse mai detto! Al lettore fiorentino indignato, che si chiedeva «ma quali
alla sua immagine iniziale. Preliminarmente, però, occorreva rimuovere dalla sala
vantaggi!?», sostenendo che dal trasferimento della capitale Firenze aveva avuto solo danni,
l'esposizione di bandiere e trovar loro una sistemazione, anche temporanea, in grado di
faceva eco Indro Montanelli. Per il giornalista e storico, «i toscani non lo volevano
salvaguardare il delicato patrimonio tessile di cui erano composte. Per quanto riguarda
[il trasferimento], erano furibondi. Capivano che gli avrebbe portato uno sconquasso, del tutto
l'intervento sulla volta, se il grande medaglione centrale del Gonin, raffigurante Le deità che
inutile, perché la capitale lì sarebbe durata poco». Quali le prove dello sconquasso?
presiedono alle scienze e alla letteratura che inviano i loro Genii a premiare il merito sulla
«Gli sventramenti nel cuore della città, dove sparirono tante strade antiche per fare spazio
terra, non presentava soverchi problemi, diverso era il caso dei quattro gruppi angolari,
a piazza Vittorio Emanuele II, con imposizione - orrore - dei torinesi portici, ripugnanti al gusto
sempre del Gonin, consistenti in Allegorie della Medicina, della Letteratura, della Matematica
fiorentino», e poi «lo scempio dell'ultimo piano di Palazzo Vecchio, dove gli affreschi
e della Giurisprudenza. Qui, infatti, lo spezzarsi delle architetture dipinte a inquadrare le
rinascimentali erano stati imbiancati per accogliere gli uffici dei travet in arrivo».
PALAZZO CARIGNANO AULA DEL PARLAMENTO ITALIANO DOPO IL RESTAURO, PARTICOLARE DELLA DECORAZIONE
figure e l'assenza di parte dei panneggi frantumavano la lettura d'insieme della composizione; si doveva perciò procedere alla ricostruzione delle parti mancanti, con integrazioni che da lontano risultassero invisibili, mentre da vicino consentissero di individuare le parti integrate. Analogamente, per quanto riguardava le pareti si dovette procedere alla rimozione della pittura acrilica nera, asportandola sia mediante ricorso al vapore, sia con l'ausilio di solventi organici, sia ricorrendo all'uso del bisturi. Operate le opportune integrazioni riemergeva il gioco raffinatissimo delle partiture nel rapporto tra le tinte degli sfondati, la definizione delle incorniciature, i delicati finti marmi delle lesene, la robusta concezione plastica dei telamoni, e ancora il finto marmo della laccatura della balconata. Insomma, l'Aula ritornava come era stata concepita al tempo di Cavour, per lo scopo che avrebbe dovuto assolvere: ospitare i dibattiti del Parlamento Italiano. Il restauro, al quale i giornali diedero ampio risalto, venne inaugurato ufficialmente il 28 ottobre 1997 alla presenza dell'allora vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Walter Veltroni. Il consenso per la rinascita del «parlamento mancato», come ebbe a definirlo il Corriere della Sera, fu unanime. «Oggi quel Palazzo - meglio: quell'immensa aula dai richiami barocchi, dagli accenni corinzi e ionici, dalle volte affrescate di Francesco Gonin - ritrova il suo particolare splendore e il ruolo che di diritto gli spetta nella memoria». E ancora, come ebbe a dire l'allora assessore alla cultura della Regione Piemonte: «Un fondamentale monumento di arte e storia rivive e ci rammenta, in un momento così delicato del nostro paese, quanto mai sia stato difficile ma affascinante il percorso storico che portò dall'unificazione formale di una nazione alla creazione di una coscienza civile e morale degli italiani che si deve ancora in parte costruire». Quell'inaugurazione fu però anche occasione per una curiosa polemica a distanza fra Denis Mack Smith e Indro Montanelli. Alla domanda della Stampa se fosse stato proprio indispensabile trasferire la capitale a Firenze, lasciando inutilizzata l'Aula di Palazzo Carignano, 78 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
4. ritorno alle origini 79
5.
UN SOGNO A LUNGO COLTIVATO
L'idea di creare le condizioni per un'esposizione, se non permanente almeno prolungata e ripetuta, del corpus di disegni leonardeschi presente nella Biblioteca Reale di Torino ha caratterizzato l'attività della Consulta sin dai primi contatti informali per dare vita all'istituzione. In effetti, i disegni in questione - primo fra tutti la celebre sanguigna che secondo molti rappresenterebbe l'Autoritratto di Leonardo - costituiscono uno dei più cospicui patrimoni culturali che Torino può vantare, e al tempo stesso appartengono alla categoria di quei «tesori nascosti» che la Città sa di possedere, ma è restia a mostrare. Inoltre non poteva, e non può tuttora, sfuggire il forte richiamo, anche turistico - di un turismo di qualità - che l'esposizione di tali opere avrebbe potuto rappresentare. Senza voler fare paragoni irriverenti, non era difficile ipotizzare che i potenziali turisti, in fila per ammirare l'Autoritratto, appartenessero alla stessa categoria di persone che al Louvre si mettono in fila per contemplare la Gioconda. Ipotesi, del resto, confermata dal successo della mostra di disegni della Biblioteca Reale, l'ultima volta nella quale l'Autoritratto venne esposto al pubblico, realizzata a Palazzo Reale nel 1975. Era quindi naturale che già in occasione dei primi incontri informali, come quello del 13 ottobre 1986, i partecipanti prendessero in considerazione l'ipotesi di una nuova mostra, e si attivassero per verificare la possibilità di realizzarla. Valutate, nella riunione del 19 marzo 1987, le difficoltà che si frapponevano a una sua realizzazione, si diede incarico ad Angela Griseri di predisporre uno studio di fattibilità, a seguito del quale, nelle due successive riunioni del 17 giugno e 22 luglio 1987 si incaricarono gli architetti Roberto Gabetti e Aimaro Isola di predisporre un progetto di massima. In realtà, i tempi erano maturi.
Come denunciava La Stampa in un articolo del 22 settembre di quello stesso anno: BIBLIOTECA REALE LA SALA DI LETTURA REALIZZATA DA PELAGIO PALAGI
«Chiuso dentro un cassetto della Biblioteca Reale c'è uno dei più straordinari tesori d'arte del mondo: il “Libro del Volo degli uccelli” di Leonardo da Vinci, il celebre Autoritratto a sanguigna, lo studio per il volto dell’Angelo della Vergine delle rocce, disegni di anatomia 80 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
5. Un sogno a lungo coltivato 81
umana ed equina. L'ultima volta in cui queste opere sono state tolte dal cassetto per essere esposte risale a una dozzina di anni fa». Certo, nessuno si nascondeva la delicatezza e la fragilità delle opere in questione. «Una luce sbagliata, una temperatura troppo elevata o troppo bassa, un'umidità eccessiva possono sbiadirle o cancellarle». Ma, ci si chiedeva, erano queste ragioni sufficienti per non esporle, come invece avveniva in altri importanti musei del mondo, come la Tate Gallery
LEONARDO DA VINCI CODICE SUL VOLO DEGLI UCCELLI, MANOSCRITTO CARTACEO, 1505-1506, TORINO, BIBLIOTECA REALE
o l'Albertina di Vienna? O non era piuttosto un caso di mancanza di volontà? Interrogativi ai quali la Consulta cercava di dare risposta, forte del responso dell'architetto Roberto Gabetti, per il quale si trattava «di allestire uno spazio apposito in cui tali opere siano esposte, con le massime garanzie di conservazione». Ciò che la relazione di Gabetti non diceva espressamente, ma che si poteva leggere fra le righe, era che i problemi maggiori non erano di natura tecnica, e probabilmente neppure finanziaria, ma essenzialmente burocraticoamministrativa. Qui non si trattava, infatti, di allestire uno spazio temporaneo per una mostra occasionale, per quanto importante, ma - sottolineava la Consulta - «l'allestimento di spazi adatti doveva essere considerato come opportunità da dare in dotazione perenne alla Biblioteca Reale, per l'esposizione nel tempo e su programmi da definire, di altri gruppi di opere presenti nella biblioteca stessa e non conosciute dal grosso pubblico». In sostanza, come veniva esplicitamente affermato, «verrà indicata fra le condizioni necessarie per effettuare il progetto la garanzia di un regolare, anche se periodico, accesso del pubblico alla mostra di disegni». La preoccupazione della Consulta, di avere garanzie per un regolare utilizzo a fini espositivi dello spazio che si intendeva allestire, sollevata nel corso della riunione del 10 dicembre 1987, era motivata non soltanto dall'importanza dei disegni leonardeschi, ma, più in generale, dall'eccezionalità delle opere raccolte nella Biblioteca Reale nel corso della sua lunga storia. Essa, infatti, era nata come «Libreria e Museo di cose rare e curiose», frutto di un collezionismo ducale caratterizzato dalla presenza di manoscritti, quello eseguito su commissione di Amedeo VIII e altri come gli Album naturalistici appartenenti a Carlo Emanuele I, considerati prestigiosi esemplari di un collezionismo di alto livello per l'estrema qualità artistica e scientifica. Si ricordano, al riguardo, l'Album degli uccelli, formato da sedici tavole raffiguranti uccelli composti da piume applicate su un fondo di raso di seta di colore affine alla tonalità dell'esemplare; l'Album dei pesci e dei cetacei, che nelle sue settantaquattro tavole seicentesche, cui si aggiungono quelle unite a posteriori, presenta animali marini, rettili, mammiferi, molluschi dipinti a tempera su cartoncino ritagliato e incollato sui fogli; e infine l'Album dedicato ai fiori. Questo primo nucleo, già di per sé cospicuo, venne progressivamente incrementato con la donazione di fondi sia provenienti 82 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
5. Un sogno a lungo coltivato 83
LEONARDO DA VINCI RITRATTO DI FANCIULLA RIFERITO AL VOLTO DELL’ANGELO DELLA VERGINE DELLE ROCCE, TORINO, BIBLIOTECA REALE
dalle antiche collezioni ducali, sia con una copia, rarissima perché a colori, del Theatrum Sabaudiae, racchiusa in una splendida legatura. La svolta si ebbe nei primi anni di regno di Carlo Alberto, che si interessò attivamente
GIRASOLE DISEGNO A TEMPERA, INIZI DEL XVII SECOLO, TORINO, BIBLIOTECA REALE
della Biblioteca non solo impreziosendola con importanti donazioni di manoscritti e libri rari, ma ancor più dotandola di una nuova sede, individuata nel piano terreno dell'ala di levante sotto la Galleria del Beaumont, in luogo dei locali a settentrione del primo piano di Palazzo Reale, dove sino ad allora era collocata. Incaricato del progetto fu l'architetto regio Pelagio Palagi, il quale realizzò un tipo di struttura ancora oggi unica nel suo mirabile effetto. Il Salone del Palagi, con la volta affrescata secondo il gusto neoclassico, ospitò il nucleo bibliografico iniziale, cui nel frattempo si sono aggiunti preziosi manoscritti miniati, libri d'ore, pregevoli legature e opere rare selezionate dallo stesso sovrano e dagli eruditi a lui vicini, quali Luigi Cibrario, Cesare Saluzzo e, soprattutto, Domenico Promis, che aveva ceduto al re la sua collezione di medaglie e monete. La consacrazione definitiva della Biblioteca Reale come centro primario di cultura si ebbe nel 1840, con l'acquisto da parte di Carlo Alberto, per l'ingente somma di 50.000 lire, dei circa duemila disegni che l'antiquario Giuseppe Volpato aveva messo insieme in una lunga frequentazione delle più importanti aste europee. Ivi compresi il Volto di fanciulla, e, soprattutto, l'Autoritratto. Per comprendere l'importanza di quest'opera, e l'impatto che avrebbe esercitato sulla cultura mondiale, vale la pena di riportare un ampio stralcio dell'articolo comparso su La Stampa del 19 novembre 1998 a firma di Carlo Pedretti, allora direttore dell'Armand Hammer Center for Leonardo Studies all'Università della California, e autore dell'edizione critica del Corpus dei disegni di Leonardo nella Biblioteca Reale di Torino. Scrive Pedretti: «A fine febbraio di ogni anno, dal 1967, i maggiori quotidiani d'America recano, a piena pagina, la riproduzione dell'Autoritratto di Leonardo a Torino. È questa una costosa inserzione pubblicitaria con la quale la Rockwell Corporation, la grande compagnia californiana che lavora per la Nasa, annuncia i vincitori del “Premio Leonardo”, il massimo riconoscimento riservato a sedici scienziati, ingegneri e astronauti dei programmi spaziali. È così che milioni di americani sono ormai abituati all'appuntamento annuale col simbolo più eloquente del genio universale per eccellenza. Ma questo non è tutto. L'immagine della celebre sanguigna torinese si è imposta negli Stati Uniti come ingrediente d'obbligo nella grande comunicazione. Non sorprende quindi 84 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
5. Un sogno a lungo coltivato 85
ALBUM DEGLI UCCELLI MANOSCRITTO CARTACEO, SEC. XVI, TORINO, BIBLIOTECA REALE
che la copertina del poderoso volume delle “pagine gialle” della maggiore compagnia telefonica
collocazione nei confronti dei disegni illuminati, dall'altro lato una attenta progettazione
d'America, la “Gte” rechi lo stesso autoritratto con un piccolo intervento: la mano sinistra
dell'ambiente luminoso onde consentire il progressivo adattamento dell'occhio all'oscurità».
del genio porta il telefono all'orecchio, e sopra si legge: “Il libro per l'uomo che fa ogni cosa”.
Altrettanto severe le prescrizioni per quanto riguardava la climatizzazione, per
Ma l'ultima, impensabile manipolazione del celeberrimo simbolo è quella di una
la quale erano richiesti «valori di umidità relativa estremamente stabili (50% con massima
pagina pubblicitaria, apparsa l'11 settembre scorso nientemeno che nel prestigioso The Wall
variazione giornaliera del 2%)», il che implicava «necessariamente la loro esposizione entro
Street Journal, il termometro della finanza mondiale. L'Autoritratto di Leonardo vi
vetrine climatizzate con dispositivi attivi, quali apparecchi per il trattamento dell'aria esterni
è rappresentato mentre sta entrando in un imbuto che
alla vetrina, oppure passivi, quali materiali tampone (silicagel) interni alla vetrina».
va ad alimentare una complessa fotocopiatrice. Questo
Occorreva dunque prevedere la costruzione di un locale ex novo, dotato di tutti gli
per dimostrare che c'è voluta una intelligenza superiore
apparati tecnologici idonei a preservare i preziosi materiali. Quest'insieme di fattori concorre
per inventare una macchina che digitalizza, riproduce
a spiegare la cautela della Consulta, che, pur continuando a coltivare il progetto,
e trasmette tutto allo stesso tempo». Date le premesse,
periodicamente riproposto nelle successive riunioni del consiglio direttivo, prima di dargli
la conclusione di Pedretti è quasi inevitabile: «Con un mito
attuazione intendeva disporre di tutti gli elementi di giudizio utili, anche in considerazione
come questo alle spalle, è facile immaginare cosa
degli interventi che da parte di altri enti, in particolare del Ministero per i Beni Culturali
significherebbe una mostra anche del solo Autoritratto
si stavano nel frattempo realizzando. Grazie ai finanziamenti ministeriali, infatti, a partire
di Leonardo alla National Gallery a Washington o al
dal 1996 veniva realizzata la nuova scala di collegamento con il montacarichi tra la sala
Metropolitan Museum a New York, per non dire del Getty
di lettura e gli uffici del piano terreno con il piano interrato. In questa parte dell'edificio, grazie
GIOVANNI TOMMASO BORGONIO TAVOLA MINIATA DA HERCOLE ET AMORE, TORINO, BIBLIOTECA REALE
Museum a Los Angeles. Altro che le nostre code interminabili per la Dama dell'ermellino [in quel momento in esposizione a Milano]». L'importanza dell'Autoritratto, cui nel tempo si era aggiunta, nel 1893, la donazione a Umberto I da parte del collezionista russo Teodoro Sabachnicov del Codice sul volo degli uccelli, al completamento del quale provvedeva nel 1920 il ginevrino Henri Fatio che donava le tre carte dello stesso Codice che erano state asportate, richiedeva l'allestimento di un apposito spazio. Uno spazio che pareva di difficile individuazione, dal momento che tutte le istituzioni ospitate nella manica fra Palazzo Reale e la Prefettura lamentavano la scarsa disponibilità di locali, già soltanto per svolgere l'attività ordinaria, ma che, in ogni caso, non poteva essere ricavato nei locali esistenti, in quanto non offrivano sufficienti garanzie in termini di sicurezza degli impianti e di conservazione. Infatti, per quanto riguardava in particolare la climatizzazione, una perizia, commissionata già nel 1988, aveva fatto presente che «i disegni in questione, realizzati con tecniche che impiegano la sanguigna, la matita, il carboncino, la penna e la punta d'argento su carta preparata, richiedono un ambiente espositivo accuratamente controllato dal punto di vista sia dell'illuminazione che della climatizzazione». Per quanto concerneva l'illuminazione, il livello ottimale doveva essere inferiore a 50 lux, e inoltre non dovevano essere presenti radiazioni ultraviolette e andavano limitate le infrarosse. Dal che discendeva la necessità, da un lato, di «un'accurata scelta delle sorgenti luminose, e della loro 86 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
5. Un sogno a lungo coltivato 87
SALA DI LETTURA SALA LEONARDO 1998
a uno scambio di locali con l'Armeria Reale venivano realizzati i depositi e l'intercapedine di risanamento, e si individuava lo spazio da destinare alla sala di esposizione. A questo punto la Consulta riteneva di poter procedere e nella riunione di consiglio del 7 maggio 1997 veniva deciso l'intervento relativo alla realizzazione della «Sala Leonardo», come iniziativa
LEONARDO DA VINCI AUTORITRATTO, SANGUIGNA, TORINO, BIBLIOTECA REALE
da assumere per il successivo anno 1998. L'intervento della Consulta consisteva nella realizzazione, a livello di seminterrato, di un locale concepito come una wunderkammer nella quale i capolavori sarebbero stati custoditi ed esibiti, ma anche soltanto consultati, nelle condizioni ottimali. Il locale, con i lati di sei per dodici metri, garantisce coefficienti costanti di temperatura e di umidità relativa, ed è dotato, in caso di incendio, di un impianto di spegnimento automatico a gas. La sicurezza all'intrusione è garantita dalla blindatura della porta e delle pareti con rilevatori di controllo a distanza. Il vano espositivo è attrezzato con un tavolo centrale e con diciannove vetrine-contenitori allineate lungo le pareti e divise in tre settori: due per conservare disegni e manoscritti e uno per l'esposizione dei pezzi più rari e preziosi. La struttura dei contenitori è in ottone brunito e legno di noce e ogni vetrina è protetta da cristalli antisfondamento, mentre l'illuminazione è assicurata da fibre ottiche a intensità regolabile. La nuova sala venne ufficialmente inaugurata, a dieci anni dal primo intervento della Consulta, il 19 novembre 1998 con la prima delle mostre che, nel tempo, vi si sarebbero succedute: «Leonardo e le Meraviglie della Biblioteca Reale di Torino». La risonanza di quell'evento fu notevolissima, amplificata anche dalle pagine pubblicitarie che la Consulta acquistò, oltre che sui più importanti quotidiani italiani, anche sui principali giornali di lingua francese, inglese, spagnola e tedesca. A riprova del fascino che quell'austero ritratto esercita sull'immaginario collettivo, si possono riportare le impressioni del cronista di Repubblica: «Questa non è una faccia, questo è uno sguardo che scappa. Fila via di lato, alla sinistra del volto, dove gli occhi cercano 88 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
5. Un sogno a lungo coltivato 89
cose negate agli umani. Magari stanno solo osservando i muscoli di un cavallo, la testa
ghiotta, per rischiare di inquinarla con notizie che avrebbero dovuto essere, necessariamente,
di un vecchio. Forse, stanno sognando un angelo[…]. L'Autoritratto […] non ha contorni, solo
elogiative! In ogni caso, si può dire che lo scopo venne raggiunto. Venne raggiunto talmente
aria disegnata, occhi, naso, bocca, capelli, barba, sfondo. Tutto scappa via, volando via. Il sogno
bene che la mostra, inaugurata il 30 ottobre, si trovò immediatamente al centro di insistenze
del volo, il sogno di Leonardo. Così leggero. Oppure quello non era un giorno di genio, magari
da parte delle autorità cittadine, che chiedevano di prorogarne la durata oltre la data
il sommo aveva mal di denti, era solo serio, triste, malinconico, può darsi che Leonardo quel
di chiusura prevista per il 12 dicembre.
giorno stesse invecchiando male. Può darsi che guardasse di lato senza trovare nulla».
Il sogno si era finalmente realizzato.
Enfasi retorica a parte, era quasi inevitabile che anche nel caso dell'Autoritratto si manifestassero quei dubbi che periodicamente compaiono quando si espone un capolavoro, occasione fra le più ghiotte perché i critici possano far parlare di sé. Di solito, i dubbi finiscono per dare luogo a una delle seguenti affermazioni, secondo una graduazione la cui logica sfugge ai comuni mortali: a) l'opera in questione è un falso; b) l'opera non è un falso, ma non è di mano del Maestro; c) l'opera è del Maestro, ma riguarda un soggetto diverso da quello sin qui ritenuto. Nel caso specifico, fu l'ipotesi c) a tenere banco, rilanciata soprattutto in occasione della seconda mostra legata all'Autoritratto, che si tenne l'anno successivo e che era dedicata a «Leonardo e le Magnificenze del Sei e Settecento della Biblioteca Reale di Torino». In tale occasione, quello stesso Pedretti che appena un anno prima aveva esaltato l'importanza dell'Autoritratto, come simbolo del sapere e della scienza, intervistato da Repubblica, affermava: «Nutro forti dubbi che il celebre Autoritratto a sanguigna di Leonardo conservato nella Biblioteca Reale di Torino rappresenti il volto del grande artista di Vinci. Devo essere obiettivo, non posso assoggettarmi al fascino di un mito nato all'inizio dell'800, che ha suggestionato gli studiosi. Ora, la scoperta che le parole scritte in calce al disegno devono essere lette in modo diverso, aggiunge forza alle mie perplessità». A quasi cinque secoli di distanza, la certezza assoluta che si tratti dell'Autoritratto nessuno può averla, ma un certo peso dovrebbe avere - se non altro per banale buon senso - l'osservazione di Gombrich, secondo il quale «chi nel Cinquecento vi riconobbe Leonardo stesso avrà pur avuto buone ragioni per farlo». Naturalmente, una notizia in qualche modo scandalistica è autentica manna per i quotidiani, soprattutto per quelli delle altre città, compuntamente, e malignamente, intenti a esaltarla. Questo caso non fece eccezione. «Quello dell'Autoritratto non è il volto di Leonardo» titolava perentoriamente Il Gazzettino di Venezia; «Leonardo, ma non è autoritratto», incalzava La Nazione di Firenze; «Dubbi sull'Autoritratto di Leonardo a Torino», aggiungeva, con una certa prudenza, L'Eco di Bergamo. Sul contenuto della mostra, nella quale tra le altre «meraviglie» erano esposte le tavole del Borgonio dedicate ai balletti di corte e i famosi Album naturalistici di Carlo Emanuele I, nemmeno una parola. La notizia era troppo 90 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
5. Un sogno a lungo coltivato 91
6.
IL FASCINO DISCRETO DELLA CULTURA
Fedele alla tradizione di incominciare a programmare l'intervento successivo mentre si stava ancora concludendo il precedente, la Consulta prese in considerazione la possibilità di intervenire sul Palazzo dell'Università degli Studi già nella riunione di consiglio del 15 dicembre 1998. Nessuno si nascondeva la difficoltà e la rilevanza economica dell'intervento, che anche con una Consulta giunta ormai a contare una trentina di soci non avrebbe mai potuto essere programmato su un solo esercizio. Veniva infatti osservato che i costi stimati dell'operazione sarebbero stati molto alti, attorno ai tre miliardi di lire, e quindi, prima di decidere, si riteneva opportuno chiedere nuovi preventivi ad altre imprese specializzate e ad altri restauratori. In realtà, il restauro si presentava particolarmente complesso sia per la natura eterogenea dei materiali che dovevano essere trattati, sia per le vicende che avevano accompagnato la storia dell'edificio, sin dalla sua costruzione. Il Palazzo, affacciato «sulla contrada di Po e su via Accademia» (oggi via Verdi), rientrava nei programmi di consolidamento del potere assoluto perseguiti da Vittorio Amedeo II quando Torino, a seguito della pace di Utrecht, era diventata la capitale di un Regno. Secondo gli intendimenti del sovrano anche l'Università di Torino, vecchia ormai MICHELANGELO GAROVE PALAZZO DELL’UNIVERSITÀ, CORTILE E LOGGIATO, 1712-1713
di trecento anni (essendo stata fondata nel 1404), era chiamata a svolgere un nuovo ruolo politico di controllo assoluto sulla formazione superiore. Solo ad essa, infatti, era consentito negli Stati sabaudi rilasciare abilitazioni alle professioni, che dovevano essere confermate da una patente regia.
In questa prospettiva era perciò pre visto che, secondo i canoni dell'assolutismo, anche il nuovo edificio venisse realizzato nella cosiddetta «zona di comando», lungo un percorso che portava alla piazza Castello, cuore urbanistico e politico della Città, attorno alla quale sorgevano il Palazzo Reale e il Palazzo dei Regi Archivi, ma anche l'Acca92 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
6. Il fascino discreto della cultura 93
IGNAZIO E FILIPPO COLLINO LA FAMA CHE INCATENA IL TEMPO
demia Militare (l'altro istituto di istruzione superiore del Regno sabaudo), la Cavallerizza
ai lati dell'ingresso di via Po, si trovano oggi nell'Aula Magna. Sarà invece l'architetto Giuseppe
e la Zecca. Nell'incarico affidato all'architetto luganese Michelangelo Garove venne perciò
Talucchi a realizzare il grandioso portale d'ingresso dalla via Verdi. L'intervento che la
espressa l'esigenza che il nuovo palazzo fosse, in qualche modo, un moderno manifesto
Consulta era chiamata a compiere riguardava dunque un edificio che aveva visto all'opera,
del nuovo potere assunto dal sovrano. Esigenza che il Garove cercò di assolvere prevedendo,
nell'arco di oltre un secolo, alcuni dei principali architetti attivi a Torino, fra quelli
al piano terreno, la presenza di botteghe e negozi per la realizzazione e la vendita di manufatti
che maggiormente avevano contribuito a delineare il volto urbanistico e architettonico della
artigianali: cornici, carte da parati, stoffe, stampe, libri. La via Po, che per la sua magnificenza
Città, e sul quale si sarebbero poi abbattute le gravi sciagure del Novecento: il violentissimo
stava diventando uno dei luoghi deputati del grand tour e sotto i cui portici sarebbe transitata
incendio che nel 1904 devasta la Biblioteca Nazionale Universitaria, alloggiata nei locali
una parte cospicua della cultura europea fra Sette e Ottocento, avrebbe fatto da cassa
dell'ex Cappella, e soprattutto, durante la seconda guerra mondiale, il bombardamento
di risonanza.
dell'8 dicembre 1942. In quella circostanza, l'incursione di 133 aerei fra Lancaster, Wellington,
Alla morte del Garove, toccherà a Giovanni Antonio Ricca progettare la costruzione
Halifax e Stirling della RAF provoca, oltre a 212 morti e 111 feriti, anche la distruzione
del grandioso cortile con loggiato, concluso, per le parti decorative in stucco di porte
dello scalone che porta all'Aula Magna e dell'adiacente teatro per le pubbliche dimostra-
e finestre, da Filippo Juvarra, il quale, tra l'altro, proprio in quel Palazzo occuperà alcuni locali,
zioni e conferenze, raggiunti da una bomba
destinati a ospitare i grandi modelli lignei delle fabbriche che l'architetto messinese stava
incendiaria, comportando al tempo stesso
realizzando, mentre altre stanze saranno destinate al suo assistente e agli artigiani luganesi
la caduta di numerosi stucchi. Ai danni
che lavoravano alla costruzione del complesso.
MICHELANGELO GAROVE PALAZZO DELL’UNIVERSITÀ, LOGGIATO, 1712-1713
provocati dal bombardamento si sommano
Ma Juvarra non si limita al completamento
poi quelli causati dal restauro e derivanti
del cortile e del loggiato. All'interno egli realizzerà,
dall'uso di materiali impropri, che determi-
infatti, il Teatro Anatomico, la Biblioteca e la
nano, fra l'altro, anche il cambiamento dei
Cappella. Toccherà poi a Bernardo
colori originali. In questo contesto, partico -
Antonio Vittone, succeduto a Juvarra
larmente grave sarebbe risultato il processo di
dopo l'allontanamento di questi
sbiancamento, inarrestabile, cui sono sotto-
da Torino, mettere mano all'edificio,
poste le colonne in marmo di Gassino del
provvedendo a spostare i musei
portico al piano terra e del loggiato, causato
a piano terra dall'originaria collocazione
dai reagenti chimici usati per la pulitura delle
al primo piano, mentre nel cortile fin dal 1718-
stesse. E come se non bastasse, un ulteriore motivo di degrado derivava da fattori ambientali
1720 erano già stati collocati a opera di Scipione
provocati da un uso improprio del cortile, ridotto ad area di parcheggio per le automobili
Maffei, erudito veronese, studioso dell'antichità,
dei dipendenti. In un quadro così complesso, era più che naturale che la Consulta non solo
importanti reperti archeologici. Nel secolo
volesse vederci chiaro, ma ponesse anche, come condizione necessaria per intraprendere
successivo, poi, il loggiato è arricchito da statue,
l'intervento, la clausola che l'Università si impegnasse a «liberare il cortile del Palazzo
da busti e dal gruppo marmoreo dedicato alla
dal parcheggio delle automobili».
Fama che incatena il Tempo, opera dei fratelli
Nella riunione del consiglio direttivo del 15 dicembre 1998, si stabiliva esplicitamente
Ignazio e Filippo Collino ai quali si devono
che «è necessario preparare un protocollo d'intenti per stabilire un adeguato utilizzo
pure le due statue di Vittorio Amedeo II
del cortile e del loggiato, che dovrebbe ospitare manifestazioni o eventi, mirati a rilanciare
e Carlo Emanuele III che, inizialmente
questa prestigiosa istituzione». I problemi da affrontare erano certamente numerosi
collocate nelle due nicchie
e riguardavano principalmente il restauro dei rilievi in stucco delle pareti, per riportare 6. Il fascino discreto della cultura 95
MICHELANGELO GAROVE PALAZZO DELL’UNIVERSITÀ, PARTICOLARE LOGGIATO, 1712-1713
alla luce la finitura originale, e quello dei materiali lapidei, che andavano ripuliti dai depositi
eseguiti a metà del percorso, l'inaugurazione ufficiale del restauro sarebbe avvenuta
di polvere e nerofumo, consolidati nelle parti sollevate e protetti con resine idrorepellenti.
il 20 settembre 2000. E le potenzialità del cortile, finalmente liberato dalle automobili, e del
Al di là degli aspetti tecnici, vi era poi l'elevato numero di pezzi da trattare: 38 busti
loggiato del Palazzo come sede di manifestazioni, mostre e concerti, si sarebbero potute
con lapidi; 6 statue a grandezza naturale; 9 lapidi; il gruppo scultoreo centrale dei fratelli
verificare già all'indomani, con un pomeriggio di festeggiamenti a ingresso libero, destinato
Collino; 62 colonne con capitelli; 112 metri lineari di balaustrata nel cortile. Interventi, tutti,
a durare fino a sera.
da realizzarsi in profondità, in quanto le condizioni generali delle finiture, delle pareti e delle
MICHELANGELO GAROVE PALAZZO DELL’UNIVERSITÀ, PARTICOLARE DEL CORTILE 1712-1713 (Fotografia di Ernani Orcorte)
volte, mettevano in evidenza un degrado particolarmente pesante, come risulta dalla relazione tecnica conseguente ai sondaggi effettuati nel dicembre 1998. «Le condizioni generali delle finiture del cortile d'onore sembrano discretamente compromesse, soprattutto a causa d'infiltrazioni d'acqua nelle volte, di eccessiva umidità, di uso improprio dell'ambiente e di inadeguati interventi di restauro e manutenzione. Le pareti e le volte (al piano terra come al piano nobile) risultano estesamente esfoliate; in più aree la pellicola pittorica si è crepata ed è caduta o ha formato zone con perdita di aderenza e rigonfiamenti. Numerosi elementi della decorazione in stucco (frontoni, capitelli, basi delle paraste) risultano rotti e seriamente danneggiati da una massiccia presenza di sali solubili. I sali hanno causato il sollevamento e la caduta degli strati pittorici che ricoprivano gli stucchi; infine l'estesa fioritura dei sali cristallizzati ha intaccato anche la “pelle” degli stucchi originali. Il degrado appare, inoltre, accelerato anche da impropri interventi di restauro, condotti nel passato, che hanno comportato vaste stuccature a base di gesso un po' ovunque. Infine la scelta di ridipinture a base di colori acrilici non ha permesso la corretta traspirazione delle murature, generando estesi fenomeni di craquelure e distacco». Si trattava dunque di un intervento particolarmente complesso, reso ancora più complicato dal fatto che, dall'indagine condotta sulle superfici dei muri, è stato possibile riconoscere addirittura sei diversi strati di pittura, prima di giungere al colore originario degli stucchi juvarriani. Preliminarmente occorreva dunque precisare «natura e quantità delle modifiche distributive e decorative dell'importante Palazzo. L'operazione era quanto mai delicata per la successione di modifiche di aperture e di accessi, e di estesi completamenti, percepibili anche a vista sia al piano terra sia al piano nobile nel loggiato, spazi suggestivi scanditi da uno spaesato museo in pietra in cui il grande gruppo dei fratelli Collino si perdeva, annerito, contro pareti più volte riprese e mortificate, dove anche gli infissi recenti denunciavano il rinnovo, non sempre congruo, di percorsi e di usi». A fronte di una simile situazione non stupiscono quindi né l'entità delle risorse impegnate (consuntivate in due miliardi e quattrocento milioni di lire) né, tanto meno, i due anni di tempo resisi necessari per condurre a termine l'intervento. Preceduta da una conferenza stampa del 23 novembre 1999, che illustrava i lavori 98 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
6. Il fascino discreto della cultura 99
palazzo dell’universitĂ
7.
MONUMENTI
Per quanto collocati in punti diversi della Città e appartenenti a due ben distinte tipologie - la stele commemorativa, il primo; la statua equestre, il secondo - i due monumenti a Vittorio Emanuele II e a Ferdinando di Savoia presentano fra loro più similitudini di quanto a prima vista non possa apparire. Intanto, i due personaggi raffigurati sono fratelli, figli di Carlo Alberto, destinati l'uno a diventare re d'Italia, e capostipite della casata di Genova, l'altro. Un legame di sangue che proseguirà anche nella generazione successiva, quando la figlia di Ferdinando, Margherita, andrà sposa a Umberto, figlio di Vittorio Emanuele, diventando così regina d'Italia quando il marito succederà al padre.
Un altro elemento in comune fra i due personaggi è il coraggio individuale, del quale entrambi ebbero occasione di dare ripetute prove sui campi di battaglia della prima guerra d'Indipendenza. Da Goito e Peschiera sino alla fatal Novara. Infatti, Carlo Alberto nel dichiarare guerra all'Austria aveva voluto che entrambi i figli vi prendessero parte e, con lui, fossero presenti sul campo di battaglia. E così, mentre Vittorio Emanuele II era stato posto a capo di una divisione di riserva delle Guardie, a Ferdinando era stato assegnato il comando dell'artiglieria. E se il futuro re d'Italia ebbe modo di mettersi in luce a Goito, dove venne ferito mentre alla testa delle sue Guardie respingeva il nemico, Ferdinando, cui si deve la caduta di Peschiera, ebbe anche lui l'opportunità di scrivere una delle poche pagine luminose nella tragica conclusione della guerra con la battaglia della Bicocca. Una terza somiglianza, infine, è da ricercarsi nei tempi eccessivamente dilatati di realizzazione dei due monumenti. Commissionato nel 1863, il monumento a Ferdinando di Savoia sarebbe stato inaugurato solamente nel 1877; mentre, deliberato nei primi giorni del 1878, il monumento a Vittorio Emanuele sarebbe stato esposto all'ammirazione dei torinesi addirittura oltre vent'anni più tardi, nel 1899. A fronte di queste constatazioni, che la Consulta dovesse prima o poi occuparsi di entrambi i personaggi, come a suo tempo era già avvenuto per le chiese di San Carlo e Santa Cristina, era praticamente scritto nelle cose. Ed era altrettanto inevitabile che il primo intervento PIETRO COSTA MONUMENTO A VITTORIO EMANUELE II, 1879-1899
riguardasse il monumento a Vittorio Emanuele II, per quanto cronologicamente più recente. Da quando ne venne decisa la collocazione al centro dell'incrocio fra il corso che proprio in occasione della morte del sovrano assumeva la denominazione di Vittorio Emanuele II
104 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
7. monumenti 105
DESCRIZIONE CARICATURALE DEI BOZZETTI DEL CONCORSO BANDITO PER IL MONUMENTO A VITTORIO EMANUELE II, DA “IL FISCHIETTO”
106 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
7. monumenti 107
MONUMENTO A VITTORIO EMANUELE II IMPALCATURA ERETTA DAL 1879 AL 1899 INAUGURAZIONE 9 SETTEMBRE 1899
(mentre sino ad allora era dedicato a San Avventore) e il corso Galileo Ferraris (che però allora
scelta del monumento da erigere avvenisse per pubblico concorso e affidava al Municipio
si chiamava ancora Siccardi), per i torinesi si è trattato del «monumento» per antonomasia,
di Torino l'incarico di fissarne le condizioni e di seguire, successivamente, la realizzazione
e come tale non bisognoso di ulteriore specificazione. Un simbolo della Città, un segno di
dell'opera.
identificazione per i torinesi, al pari della Mole Antonelliana (anch'essa sbrigativamente definita
Detto, fatto. Il Municipio non perse tempo, tanto che già il 24 luglio dello stesso 1878
«la mole»), significativamente costruita negli stessi anni in cui si verificava la difficile gestazione
veniva pubblicato il bando di concorso, che fissava come termine ultimo per la presentazione
del monumento. Se tutti gli altri interventi realizzati sino a quel momento erano stati
dei progetti il successivo 28 febbraio 1879. Al concorso parteciparono tutti i nomi più
certamente importanti, questo certificava in maniera indiscussa la
importanti della scultura italiana; complessivamente furono presentati 46 bozzetti e 8 disegni.
«torinesità» della Consulta, nel solco della tradizione che aveva
Dopo una prima scrematura, che ridusse a 22 i progetti presi in considerazione,
già al proprio attivo il restauro dell'Aula del Parlamento Subalpino
alla fine l'attenzione dei sedici componenti della commissione esaminatrice si concentrò su tre
e di quella cosiddetta del Parlamento Italiano. Il monumento con
opere: quella degli architetti Rivalta e Castellazzi, che proponevano un monumento equestre;
il quale ora la Consulta intendeva misurarsi aveva avuto una
quella di Augusto Passaglia, consistente in un arco trionfale; e infine quella di Pietro Costa,
vicenda lunga e tormentata, per molti aspetti addirittura surreale.
che sarebbe risultata vincitrice con 14 voti contro 2. E che veniva così descritta: «Monumento
Perché, se non era occorso molto tempo per deciderne l'erezione
a base quadrata con gli angoli mozzi sporgenti; quattro aquile reggono stemmi sabaudi,
e sceglierne la localizzazione, in compenso ne occorse moltissimo
quattro colonne doriche formano il piedistallo. Alla base di esso vi stanno quattro figure
perché l'insieme delle sculture e delle strutture in pietra destinate
sedenti, l'Unità, la Libertà, la Fratellanza e il Lavoro, primi fattori del Risorgimento Italiano.
108 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
ad accoglierle trovasse idonea sistemazione. L'idea di «erigere
Sull'alto emerge la figura del re, in piedi, a capo scoperto, sopra un tappeto recante
un monumento che per la sua grandiosità non fosse inferiore
le armi di Roma e la data 1870 in atto di pronunziare il motto “Siamo a Roma e ci resteremo”».
a quello che nelle stesse ore si stava deliberando a Roma» per
A far pendere l'ago della bilancia in favore del Costa fu probabilmente la freschezza
onorare la memoria del sovrano defunto, venne assunta dal
della sua ispirazione, a fronte di tanti altri bozzetti di artisti certamente più conosciuti, ma molto
Consiglio comunale di Torino appena appresa la notizia della
più accademici e grondanti retorica. Si può dire che Costa, artista antiaccademico
morte di Vittorio Emanuele II.
per eccellenza, pur non avendo ancora compiuto i trent'anni (essendo nato a Celle Ligure
Tale intenzione, tuttavia, venne immediatamente
il 29 giugno 1849) stava vivendo il suo momento magico. Partendo dalla realizzazione di alcuni
superata dal tempestivo intervento del successore, Umberto I,
monumenti funerari per il genovese cimitero di Staglieno, nello spazio di soli due anni gli
interessato a ristabilire con Torino e con i torinesi un clima più
era riuscito di vincere il concorso per il fregio del coronamento della facciata del Palazzo
disteso di quello che si era verificato a seguito del trasferimento
del Ministero delle Finanze; quello per la statua a Vittorio Emanuele II da collocarsi nella sala
della capitale a Firenze, e al cui miglioramento non aveva
del Consiglio provinciale di Roma (Palazzo Valentini) e per il monumento di Mazzini a Genova.
certamente giovato la decisione di seppellire il re defunto a Roma
E infine il ben più impegnativo monumento a Vittorio Emanuele II per Torino.
anziché a Superga, come era nei voti, e nelle illusioni, dei torinesi.
Ma questo fu anche il suo canto del cigno, l'opera che lo impegnò, e si può anzi dire
Fu dunque sostanzialmente per indorare la pillola che
che lo divorò, per il resto dei suoi giorni. Infatti, se erano bastati diciotto mesi dalla scomparsa
Umberto I, nella stessa lettera in cui annunciava di aver donato
del sovrano per giungere alla scelta del bozzetto e alla proclamazione del vincitore, prima
alla Città di Torino l'elmo, la spada e le medaglie del padre,
di arrivare alla conclusione dell'opera sarebbero occorsi ben più dei sei anni previsti
manifestava l'intenzione di far erigere «un monumento che eterni
dalla convenzione che regolava i rapporti fra il Costa e il Comune di Torino.
la memoria del Primo Re d'Italia», stanziando a tal fine la cospicua
Sarebbero occorsi vent'anni. E non sarebbero neppure stati sufficienti se, a un certo
somma di un milione di lire. Con un successivo telegramma
momento, l'autore non fosse stato esautorato, assumendo in proprio il Comune di Torino
al sindaco, Umberto precisava poi che era suo desiderio che la
la conclusione dei lavori. Probabilmente, alla morte del Costa, avvenuta nel 1901, l'opera 7. monumenti 109
PIETRO COSTA MONUMENTO A VITTORIO EMANUELE II, PARTICOLARE DELLE ALLEGORIE E DELLE AQUILE CON GLI STEMMI SABAUDI, 1879-1899
non sarebbe stata ancora ultimata. Dal momento della proclamazione del vincitore iniziò infatti una vicenda surreale, nella quale confluirono varie componenti, che andavano dagli altri impegni del Costa (la statua di Mazzini), alla sua scarsa propensione a impiantare lo studio
PIETRO COSTA MONUMENTO A VITTORIO EMANUELE II, 1879-1899
a Torino, a questioni tecniche, come la scelta dei materiali lapidei per il basamento e le colonne, a questioni pratiche, come la scelta di fondere a Roma la statua del re. Un ruolo non secondario lo giocarono poi questioni caratteriali, come il cattivo rapporto fra lo scultore e il fonditore, la sospensione della fusione e la decisione del Costa di fondere in proprio, nonostante la sua mancanza di esperienza in un settore così delicato. Ma anche la malasorte vi mise lo zampino. Quando finalmente Costa si decise ad aprire lo studio a Torino, il 13 gennaio 1883, una nevicata più abbondante del solito fece crollare il tetto di uno dei lucernari dello studio sulla statua del re, rovinandola completamente e imponendone il rifacimento. Superato il giro di boa del 1885, anno in cui, secondo la convenzione, il monumento avrebbe dovuto esser inaugurato, la vicenda assume contorni kafkiani, con il Costa che brilla per inerzia, dando segni di dinamismo soltanto nei momenti in cui deve chiedere ulteriori proroghe al contratto, e il Comune di Torino, che brilla per eccesso di pazienza, sempre disposto a concederle: anche quando l'imperizia dell'autore come fonditore comporta il distacco di un braccio della statua della Libertà. Infatti non fu quest'episodio a far uscire il Comune da un atteggiamento troppo remissivo, ma l'esasperazione dell'opinione pubblica e l'atteggiamento dei giornali, che ormai criticavano apertamente l'operato dell'amministrazione. Finalmente, il Comune si risolse a procedere per le vie legali, ottenendo dal Tribunale di Torino la condanna del Costa e riuscendo a entrare in possesso del monumento il 5 gennaio 1898 (quindi, vent'anni dopo la morte del sovrano, avvenuta il 9 gennaio 1878). Completati gli ultimi interventi, finalmente il 9 settembre 1899 il monumento veniva inaugurato alla presenza dei sovrani, in un tripudio di manifestazioni e festeggiamenti che per tre giorni fecero rivivere a Torino l'atmosfera e gli entusiasmi del Risorgimento. Negli oltre cento anni trascorsi da quel momento, il «monumento» è stato ripetutamente sottoposto a restauri parziali e soprattutto a verifiche intese a valutarne la stabilità: questo special mente dopo la seconda guerra mondiale. In effetti, già al momento della collocazione la statua di Vittorio Emanuele II aveva presentato non pochi problemi
110 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
7. monumenti 111
di stabilità ai quali si era cercato di ovviare in vario modo: prima riempiendo di piombo
di diametro - in blocchi monolitici. Qualcuno aveva addirittura avanzato l'ipotesi di ricorrere
i pantaloni del sovrano e successivamente inserendo due tiranti nelle gambe. L'intervento
alla cava egiziana di Assuan della regina Hatsepsut. Ovviamente, dopo alcune perizie sui costi
operato dalla Consulta è stato il primo a riguardare la totalità del monumento, le parti lapidee
e sopralluoghi alle cave, si rinunciò all'opzione egiziana e si trovò ragionevole dividere ogni
non meno di quelle metalliche, e più precisamente una parte architettonica dove sono
colonna in tre rocchi! Trattandosi, in ogni caso, di materiale di buona qualità, poco assorbente,
impiegati due tipi diversi di granito, e una parte statuaria caratterizzata da nove gruppi scultorei
fu sufficiente un lavaggio intensivo per riportare le pietre al loro colore originario, salvo poi
e altri elementi decorativi fusi in bronzo. Per quel che riguarda la parte bronzea,
proteggerle con un materiale idrorepellente in grado di permettere l'evaporazione dell'umidità
la preoccupazione maggiore è stata per la conservazione della patina, la cui asportazione, oltre
dall'interno, impedendone l'assorbimento in caso di pioggia battente.
a togliere uno degli elementi essenziali che connotano l'aspetto del bronzo, avrebbe esposto
Un'ultima considerazione. La particolare collocazione del monumento e le perfette
la superficie metallica, resa «nuda», ad attacchi corrosivi diretti da parte degli agenti atmosferici
proporzioni fra le sue varie parti, normalmente non consentono di coglierne appieno
e di altri inquinanti naturali, come il guano di piccione.
le dimensioni, che in realtà sono imponenti: 2000 metri quadrati di superficie per un'altezza
Salvare la patina significava dunque assicurare una protezione che, se non eliminava
di 38 metri. La sola statua di Vittorio Emanuele è alta oltre sei metri.
totalmente, quanto meno rallentava di molto i processi di degrado. In questo caso, escluso
L'impalcatura costruita per l'occasione ha suggerito l'opportunità di consentire, non
il ricorso ad agenti chimici, la pulitura dei gruppi bronzei è stata effettuata utilizzando
soltanto agli addetti ai lavori ma anche alla cittadinanza torinese, di verificare con i propri occhi
un innovativo sistema di sabbiatura, mutuato da applicazioni industriali di alta precisione,
la grandiosità del manufatto e, al tempo stesso, di osservare Torino dall'alto, con una
consistente nell'impiego di un abrasivo tenero, ricavato dalla macinazione dei gusci di noce.
prospettiva decisamente inconsueta e certamente, almeno per molti anni, altrettanto
Questi, più ricchi di lignina dello stesso legno e privi di olio, possono essere macinati a varie
irripetibile. Sono state perciò organizzate, in giorni prefissati, visite guidate che hanno segnato
granulometrie e presentano il vantaggio di consentire l'asportazione dello strato inconsistente
un notevole successo, inaugurando per questa via un altro canale di dialogo fra la Consulta
della patina (in pratica, lo sporco superficiale), conservandone però la parte più compatta,
e la Città. Un dialogo amplificato anche dalla produzione di un numero monografico dedicato
in quanto il metallo non viene mai scoperto.
alla storia del monumento e all'intervento della Consulta, diffuso tramite La Stampa, in circa
Un altro vantaggio di questo sistema consiste nel contenimento dei tempi, e quindi dei costi, rispetto ai più tradizionali sistemi manuali, senza compromettere l'efficacia
200.000 copie allegate a Torinosette. La presenza del Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, il 20 novembre 2001 ha conferito particolare solennità all'inaugurazione del restauro.
dell'intervento. Nel caso specifico, sono stati impiegati gusci di noce macinati del calibro
Con queste premesse, era praticamente inevitabile che l'intervento successivo
di 0,2-0,5 millimetri. Ultimata la pulitura, i gruppi sono stati sottoposti a lavaggio con acqua
riguardasse il Monumento a Ferdinando, duca di Genova; anche se le superfici da trattare
distillata, successivamente trattati con prodotti inibitori della corrosione e infine protetti con
erano sensibilmente inferiori a quelle del monumento a Vittorio Emanuele II, i problemi erano
resine acriliche e cera sintetica. Nel corso di queste operazioni si è anche proceduto ad alcuni
gli stessi e analoghe dovevano risultare le soluzioni da adottare. Nel caso specifico, l'intervento
ripristini sul fodero della spada, sulle frange del tappeto su cui posa la figura di Vittorio
della Consulta serviva poi anche a riportare all'attenzione dell'opinione pubblica la figura di un
Emanuele II, e sulla sua gamba sinistra, già interessata da restauri nel passato.
personaggio che, per svariate ragioni, aveva perso immagine nella sensibilità collettiva
Per quanto concerne, invece, la parte architettonica, i problemi sono stati meno
dei torinesi. Certamente, a questo scadimento d'immagine aveva contribuito anche, e non
complessi, dal momento che la conservazione del granito in atmosfera urbana è normalmente
poco, l'infelice collocazione del monumento, assediato dal traffico e fiancheggiato da capolinea
buona. Nel caso specifico si doveva operare su una base in granito grigio della Balma, con sei
di autobus: e questo, prima ancora che comparissero all'orizzonte le strutture di Atrium, e che,
gradini perimetrali, interrotti in corrispondenza degli angoli da quattro blocchi sul cui fronte
nei mesi invernali, cavallo e cavaliere venissero stretti nella morsa dell'anello dedicato
sono scolpite le date 1848 - 1859 - 1866 - 1870. La base serve da supporto alle quattro grandi
al pattinaggio sul ghiaccio. Eppure il personaggio meritava ben altra considerazione.
colonne doriche, realizzate in granito rosa di Baveno lavorato «a bocciarda», cioè con una
Ferdinando Maria Alberto di Savoia Carignano, duca di Genova, era nato
martellatura mediante strumento a testa dotata di fitte punte acuminate. Da notare che nelle
il 15 novembre 1822 a Firenze, dove il padre, Carlo Alberto, era stato per così dire «esiliato»
discussioni iniziali si pensava di realizzare le quattro colonne - alte dodici metri per due
dal re Carlo Felice che lo sospettava di simpatie rivoluzionarie. Coraggio personale e amore
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7. monumenti 113
per lo studio furono le sue doti principali; in particolare coltivò con grande intelligenza gli studi
di riorganizzarsi, ricevere rinforzi e riprendere l'iniziativa. Nonostante il valore dei principi,
matematici e mise assieme una cospicua biblioteca, ricca di rari documenti tecnico-scientifici
la guerra era definitivamente perduta.
e di preziosi manoscritti medievali, oggi in parte conservati in quella Biblioteca Reale già oggetto di intervento da parte della Consulta.
Ma a Ferdinando erano richieste ancora altre prove di coraggio. Come spesso accade, la sconfitta recava con sé sbandamento, diserzioni, disordini, specialmente in Novara, dove
Ma l'ammirazione che riuscì a suscitare nei torinesi suoi contemporanei non era
- è sempre Bersezio a ricordarlo - «fremeva e ferveva una scellerata orgia di rapine
dovuta alla cultura, quanto alle ripetute prove
e di violenze. Gli sbandati, i fuggiti col pretesto di cercar cibo e bevanda saccheggiavano
di coraggio che ebbe a dare nella sua breve
abitazioni e botteghe; grida d'imprecazione, di minaccia, di lamento e di preghiera: colpi
vita. A iniziare dalla parte che gli toccò di
di fuoco e di armi che scassinavano usci, finestre e forzieri, uno spettacolo indegno,
interpretare nella prima guerra d'Indipen -
di vergogna e di dolore». A riportare l'ordine fu proprio Ferdinando, il quale, postosi a capo
denza, soprattutto nelle tragiche fasi conclu-
di una squadra di cavalleria «spazzò per le strade a colpi di sciabola quella ciurmaglia pazza
sive, dopo che il 2 marzo 1849 era stato
e briaca». Ferdinando avrebbe avuto ancora occasione di dimostrare di che pasta era fatto
denunciato l'armistizio. In quell'ultimo scorcio
il 26 aprile 1852, in occasione dello scoppio della polveriera di Borgo Dora, quando lo si vide
di guerra, 100.000 austriaci, ben inquadrati ed
lavorare alacremente a fianco dei soldati per spegnere l'incendio, incurante della possibilità
equipaggiati agli ordini del generale Radetzky
che si verificassero nuovi e ben più gravi scoppi. Il suo coraggio fu talmente apprezzato
riuscirono a sconfiggere 120.000 piemontesi,
che, per quell'operazione, avrebbe ricevuto la medaglia d'oro.
in gran parte nuove reclute e volontari
È possibile che all'origine del coraggio del duca vi fosse il presagio di una fine
indisciplinati, agli ordini di un generale po -
imminente: egli sarebbe morto, infatti, il 10 febbraio 1855, stroncato da una forma gravissima
lacco - il Chrzanowski - che anche per il solo
di mal sottile, malattia romantica per eccellenza, come romantico, in fondo, era stato il suo
aspetto fisico non avrebbe potuto conquistarsi
personaggio. Venendo a cadere a breve distanza di tempo da quella della madre, la vedova
il rispetto della truppa. Vittorio Bersezio che,
di Carlo Alberto, e della regina Maria Adelaide, moglie di Vittorio Emanuele II, deceduta appena
giovane studente, aveva preso parte come
qualche giorno prima, la morte di Ferdinando trovò scarsa eco sui giornali e passò quasi
volontario alla guerra, nelle memorie ne
inosservata fra i torinesi. Intanto, altri eventi incombevano, la spedizione di Crimea era
fornisce un ritratto impietoso, ricordando
alle porte, aprendo l'esaltante stagione che doveva concludersi con la seconda guerra
che i soldati gli trovavano «una faccia da
d'Indipendenza e la proclamazione del Regno d'Italia.
sacrestano».
E così fu soltanto nel 1863 che Vittorio Emanuele decise di dedicare un monumento
Com'è noto, l'epilogo amarissimo
alla memoria del fratello; il quale, peraltro, era già stato ricordato con una statua in marmo
giunse qualche giorno dopo la ripresa delle
dello scultore Giuseppe Dini, dedicatagli da un curioso e munifico personaggio piemontese,
ostilità, il 23 marzo, quando 50.000 piemon-
Giovanni Mestrallet, collocata già nel 1858 sulla facciata del Palazzo comunale di Torino
tesi concentrati a Novara furono attaccati
assieme a quella del principe Eugenio. Incaricato di realizzare il monumento fu lo scultore
da truppe austriache inferiori di numero al comando del generale D'Aspre, nei pressi della
Alfonso Balzico, sia perché apprezzato per la sua abilità nel modellare animali, in particolare
cascina Bicocca, che fu presa e perduta per ben quattro volte. Nell'ardore della battaglia,
cavalli, sia, soprattutto, perché Vittorio Emanuele II era rimasto favorevolmente impressionato
Ferdinando ebbe due cavalli uccisi da fucilate nemiche e un terzo ferito a morte. I piemontesi,
da un bozzetto - oggi al Museo Nazionale del Risorgimento di Torino - nel quale uno scugnizzo
in netta superiorità numerica, avrebbero potuto volgere a proprio favore le sorti della battaglia
napoletano fraternizzava con un bersagliere piemontese, a simboleggiare l'Unità Nazionale.
se i due principi, che si accingevano a sferrare l'attacco finale, non fossero stati bloccati,
Il monumento si compone di un gruppo statuario e di due bassorilievi. Per il gruppo
per eccesso di prudenza, dallo stesso Chrzanowski, consentendo in tal modo agli austriaci
statuario Balzico si ispirò a un episodio della battaglia della Bicocca, raffigurando il duca
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ALFONSO BALZICO MONUMENTO A FERDINANDO DI SAVOIA, 1877
7. monumenti 115
ALFONSO BALZICO MONUMENTO A FERDINANDO DI SAVOIA, 1877
nel momento in cui si sente mancare sotto il cavallo che, ferito al petto, si ripiega cadendo
troppo grosse»; mentre altri, colpiti dal realismo con cui l'animale era stato raffigurato,
di fianco sulla gamba anteriore sinistra. Il duca è colto nell'atto di tirare fortemente le briglie,
suggerivano di coprirgli il posteriore con mutandoni così da non turbare con spettacoli
onde tenere alta la testa del cavallo e potersi liberare degli arcioni, mentre con la spada
impudichi la vista delle signore che passavano da quelle parti. L'Illustrazione Italiana riassunse
sguainata incita le truppe all'assalto. I bassorilievi invece richiamano i due episodi della prima
l'opinione generale sottolineando come si trattasse di un «lavoro d'arte splendidissimo».
guerra d'Indipendenza che lo videro protagonista: l'Assedio di Peschiera e, appunto,
Diverso il discorso, invece, per la statua del duca, alla quale si rimproverava un'eccessiva
la Battaglia della Bicocca. Come sarebbe avvenuto per il monumento a Vittorio Emanuele II,
staticità, una calma quasi innaturale, in forte contrasto con la figura fortemente drammatica
anche quello a Ferdinando andò incontro a ritardi biblici e poté essere inaugurato solamente
del cavallo morente. Era come se il duca, lungi dal balzare dall'arcione nella concitazione
il 10 giugno 1877, tra le proteste dei torinesi che non poterono prendere parte diretta
della battaglia, scendesse tranquillamente da cavallo al termine di una parata. Nonostante
alla cerimonia. La disposizione a cerchio attorno al monumento dei palchi riservati alla famiglia
questa pecca, il gruppo scultoreo segnò sicuramente una svolta moderna, in chiave verista,
reale e alle autorità impedì infatti alla moltitudine accorsa (era una domenica) la vista diretta
rispetto alla tradizione della scultura celebrativa italiana del XIX secolo, e la complessità
del gruppo statuario nel momento in cui veniva scoperto.
dell’insieme richiese sicuramente grande perizia tecnica al momento della fusione, realizzata
Mentre il giudizio sui bassorilievi fu unanimemente positivo, la scelta dell'artista
dalla fonderia Papi di Firenze. I problemi che la Consulta si è trovata ad affrontare erano
di raffigurare un episodio fortemente drammatico come la morte di un cavallo, e soprattutto
sostanzialmente analoghi a quelli riscontrati nel precedente intervento sul monumento
il modo in cui la realizzò, diede luogo a valutazioni contrastanti. I commenti furono
a Vittorio Emanuele II, causati da agenti inquinanti e atmosferici.
generalmente favorevoli per quanto riguardava il cavallo, anche se non mancarono gli ironici
Al momento dell’intervento si era riscontrata su tutta la superficie una diffusa
commenti de Il Fischietto, dalle cui colonne due sedicenti, e saccenti, esperti di ippica
formazione di croste nere e polveri compattate. Inoltre, nella parte alta del monumento erano
sentenziarono che «il cavallo è troppo stretto di spalle, e per un cavallo di sangue ha le gambe
depositati residui di guano, mentre nelle parti in bronzo la patina, formatasi per processo naturale di ossidazione, risultava aggredita da cloruri e solfati che avevano provocato una colorazione variegata tendente al grigio. Per contro il basamento presentava anche alcune sconnessioni in corrispondenza dei tre gradini posti alla base. La metodologia impiegata è stata analoga a quella utilizzata per i gruppi bronzei del monumento a Vittorio Emanuele II, anche se in questo caso, anzichè alla sabbiatura con granuli ricavati dal guscio delle noci, si è preferito procedere ad un’azione di pulitura selettiva, effettuata per mezzo di bisturi, martelletti e microspazzole. Quanto al basamento, è stato consolidato, e successivamente sottoposto a pulitura mediante microsabbiatrice caricata con polvere di ossido di alluminio. In conclusione, il restauro, attuato con criteri che hanno privilegiato la rigorosa conservazione delle patine e secondo metodiche sperimentate dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, ha consentito di bloccare e, per quanto possibile, rimuovere le cause di degrado del monumento, restituendogli al contempo una parte della visibilità oggi mortificata dall’incombente presenza delle due strutture, sperabilmente provvisorie, realizzate per le Olimpiadi invernali del 2006. Che se poi, in attesa di restituire alla piazza la sua fisionomia originaria, ci si vorrà astenere dall’assediare il monumento con un’incongrua pista per il pattinaggio su ghiaccio, sarà possibile apprezzare in tutta la sua bellezza un’opera fra le più significative del patrimonio artistico torinese, che l’intervento della Consulta ha restituito all’ammirazione dei cittadini.
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7. monumenti 117
villa della regina
8.
UN TEATRO D’ACQUE
Dopo quindici anni di attività, la Consulta si presentava ormai come una macchina ben rodata, nella quale tutti gli ingranaggi, perfettamente oliati, rispondevano alle indicazioni del manovratore di turno, pronti ad assolvere i compiti che li attendevano. Di fatto, mentre si stavano completando i restauri del Monumento a Ferdinando di Savoia, già era stato avviato l'iter che avrebbe portato alla realizzazione dell'intervento successivo. In questo caso, muoversi per tempo, con le idee ben chiare, era estremamente necessario, visto che si sarebbe trattato dell'intervento di gran lunga più importante fra quelli realizzati dalla Consulta sino a quel momento. Un intervento che, anche alla luce di quelli successivi, è risultato eccezionale non tanto, o soltanto, per le risorse impiegate che pure sono state ingenti, ma per la complessità delle opere richieste, che non rimanevano fine a se stesse (come era avvenuto in precedenza con il restauro delle facciate e dei monumenti), ma che dovevano inserirsi in un contesto armonico di interventi coordinati, sollecitando la partecipazione di un numero rilevante di competenze diverse.
L'idea di intervenire per il restauro, il recupero e la riapertura al pubblico della Villa della Regina risale al 1994, a quando cioè l'imponente complesso affacciato sui primi contrafforti della collina torinese venne dato in consegna alla Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Piemonte. Dopo un ventennio di incuria, l'insieme di edifici, giardini, prati, si presentava in stato di deplorevole abbandono. Il rischio concreto che un luogo di straordinaria rilevanza storico-artistica, ma anche ambientale e paesaggistica, andasse definitivamente perso era già stato denunciato dalla Gazzetta Antiquaria fin dal 1990: «Affreschi, tempere e boiseries, tra i più raffinati esempi delle arti e dei mestieri settecenteschi, sono intaccati da un degrado VILLA DELLA REGINA ASSE DEL BELVEDERE
così incalzante che rischia di confinare la residenza a pura memoria storica». Altrettanto grave della situazione degli apparati decorativi degli interni era anche quella del parco, «causa principale di umidità e corrosione». Il restauro dell'edificio doveva
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8. Un Teatro d’Acque 123
VILLA DELLA REGINA ASSE DEL BELVEDERE
dunque accompagnarsi a massicci interventi sulle fontane, sull'apparato idrico, sull'insieme arboreo, che comportavano l'abbattimento delle alberature infestanti, il recupero del disegno originale del parco e il ripristino dei giochi d'acqua e delle fontane. Un intervento complessivo di questa portata risultava poi aggravato da una complicata situazione giuridica, che non permetteva di definire chiaramente a chi competesse la titolarità degli interventi. In pratica la Villa, pur essendo di proprietà del Demanio, era in consegna provvisoria alla Provincia di Torino, cui spettava di concordare con le Soprintendenze un progetto complessivo di recupero. In effetti, la vicenda di quella che sarà poi detta Villa della Regina è lunga, complessa e tormentata. La costruzione risale agli anni attorno al 1620 ed è voluta dal principe cardinale Maurizio di Savoia (1593-1657), figlio del duca Carlo Emanuele I e di Caterina d'Austria. Il cardinale, persona colta e raffinata, realizzò un complesso costituito dalla Villa propriamente detta, con giardini all'italiana e Teatro d'acque, contornato da zone boschive e agricole. L'idea di costruire una residenza circondata da giardini disposti ad anfiteatro si ispirava alle ville romane che il cardinale aveva avuto modo di vedere durante il suo
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VILLA DELLA REGINA ASSE DEL BELVEDERE
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8. Un Teatro d’Acque 127
VEDUTA DELLA VILLA DELLA REGINA E DELLA CITTÀ DALL’ ASSE DEL BELVEDERE
soggiorno presso la corte papale. Alla morte del principe, la moglie, principessa Ludovica
al collasso finale. In una situazione di questo genere, si comprende bene come il restauro
di Savoia (che Maurizio aveva sposato appena quindicenne, dopo aver rinunciato alla dignità
e il recupero non si sarebbero potuti realizzare in modo unitario e in un'unica soluzione, ma
cardinalizia), procedette all'ampliamento sia della Villa sia dei giardini, mentre importanti
si dovessero suddividere - secondo quanto previsto dai progetti esecutivi predisposti dalla
aggiornamenti degli apparati decorativi furono realizzati successivamente da Anna Maria
Soprintendenza fra il 1997 e il 2000 - in lotti funzionali con tempi di intervento
d'Orléans, moglie di Vittorio Amedeo II, alla quale Ludovica aveva lasciato in eredità
strettamente correlati, ponendosi come obiettivo l'ultimazione dei lavori entro il 2006.
il complesso.
Per quella scadenza era previsto che la Villa ospitasse un museo della residenza
Ma, anche in questo caso, gli interventi più importanti furono realizzati dopo il 1728
(con visita degli appartamenti regi al piano nobile e percorsi storici nel giardino e nel parco),
per la nuova regina Polissena d'Assia Rheinfelds, seconda moglie di Carlo Emanuele III,
un centro di documentazione e catalogo, un laboratorio storico-didattico legato al giardino.
da Filippo Juvarra, affiancato da Giovanni Pietro Baroni di Tavigliano; e ancora fra il 1760
I diversi lotti di intervento vennero suddivisi fra gli enti e le organizzazioni che
e il 1780 per la nuova proprietaria, Maria Antonia Ferdinanda Borbone di Spagna, moglie
avevano manifestato l'intenzione di partecipare a questo importante recupero: Compagnia
di Vittorio Amedeo III, allora duca di Savoia. In questo periodo vennero edificati il corpo
di San Paolo, Fondazione CRT, Regione Piemonte e, ovviamente, la Consulta, che assunse
di guardia, le scuderie e il grande Palazzo Chiablese, pesantemente danneggiati
su di sé l'onere di restaurare l'Asse del Belvedere con il suo straordinario Teatro d'Acque.
dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e successivamente demoliti perché non più recuperabili. Il complesso mantenne la sua straordinaria unitarietà anche dopo il 1865, quando
Per la Consulta si è trattato di una sfida affascinante, certamente più impegnativa di tutte quelle affrontate sino a quel momento, che ha visto coinvolta una folta schiera di storici dell'arte, architetti, archeologi, restauratori, ingegneri, impiantisti e chimici.
venne ceduto all'Istituto per le Figlie dei Militari, che ne curò la conservazione sino al 1975,
L'Asse del Belvedere, che sorge alle spalle dell'edificio principale, si sviluppa su
quando l'ente venne sciolto. La mancata manutenzione, il progressivo abbandono degli
un dislivello di circa trenta metri, cui si accede dalla corte d'onore settecentesca a pianta
stabili, parziali smembramenti e modifiche d'uso nel frattempo intervenute, riparazioni dei
semicircolare, chiusa da un muro con balaustra e nicchie decorate con rivestimenti rustici
danni di guerra con interventi impropri sia sulle strutture edilizie sia su quelle botaniche
in pietra calcarea. Al centro del perimetro del muro si apre una scalinata che conduce
avevano progressivamente degradato il meraviglioso insieme, portandolo molto vicino
alla Grotta del Re Selvaggio, situata al centro del Giardino dei Fiori.
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VILLA DELLA REGINA ASSE DEL BELVEDERE
8. Un Teatro d’Acque 129
VILLA DELLA REGINA SALONE CENTRALE
E salendo ancora si incontra il giardino ad anfiteatro, sovrastato a sua volta da tre terrazzi, sull'ultimo dei quali si erge il Padiglione del Belvedere. Da questa costruzione, l'acqua che sgorga da una semplice sorgente di falda ancora in funzione si insinua nella Fontana del Mascherone, «colma una conchiglia, poi scompare, quindi riaffiora dall'anfora di una Naiade e scende con dieci cascatelle fino a penetrare fra i mosaici della Grotta del Re Selvaggio. Di qui sfocia in una peschiera, con zampillo. Poi si nasconde di nuovo fino all'esedra, dove s'acquieta in una fontana», salvo poi scivolare sotto la Villa e terminare la corsa nella Peschiera della Sirena prospiciente lo scalone d'ingresso. Per recuperare una simile meraviglia dallo stato di abbandono in cui si trovava e far nuovamente zampillare l'acqua, era indispensabile comprendere in via preliminare il funzionamento del sistema impiantistico originario, nonché la consistenza e la tipologia delle modificazioni introdotte nel passato per usufruire delle risorse idriche derivate dalla presenza di sorgenti, a partire dalle nuove esigenze determinate dall'insediamento dell'Istituto per le Figlie dei Militari. I rilievi effettuati hanno consentito di verificare le condizioni degli impianti antichi (quasi tutti in muratura e in gran parte recuperati) e valutare esattamente la natura degli impianti tecnologici da introdurre per restituire funzionalità all'insieme. Altrettanta attenzione è stata dedicata al restauro e al recupero delle parti edilizie e delle statue. Il grande Padiglione del Belvedere, che costituisce l'elemento culminante della costruzione prospettica dei giardini e dell'intera proprietà e il cui stato di conservazione era pessimo (mancanza di intonaci, ripristini con uso di malte e cemento, infiltrazioni, attacchi biologici, incuria), è stato oggetto di particolari attenzioni. Il cauto lavoro di indagine e di rilievo ha permesso di individuare ampie zone di intonaci antichi che, una volta rimossa la vegetazione infestante, sono stati scoperti, puliti, consolidati e integrati. Allo stesso modo, i rivestimenti in pietra calcarea sono stati restaurati rispettando l'aggrappaggio delle singole parti alla muratura, costituito in gran parte da chiodi. In modo analogo, nella sottostante fontana, si è provveduto a liberare dalle concrezioni lo straordinario Mascherone centrale, scolpito e affiancato dalle due grandi cariatidi, emerso durante i lavori, riportando al contempo alla luce la grande conchiglia con putto, che le modifiche e gli interventi eseguiti all'inizio del Novecento avevano occultato. La Fontana della Naiade e Pan e la Cascatella, sono state oggetto di un'attenta opera di consolidamento e di impermeabilizzazione. Un intervento particolarmente complesso ha riguardato, poi, la Peschiera e la Grotta del Re Selvaggio. La vasca antistante la Grotta è stata riattivata e restaurata nell'invaso e nello zampillo, al fine di poter essere utilizzata oltre che come elemento ornamentale, anche come bacino di riserva per assicurare un'adeguata portata al sottostante sistema delle fontane.
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VEDUTA DELLA VILLA DELLA REGINA E DELLA CITTÀ DALL’ASSE DEL BELVEDERE
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Invece la Grotta, tripartita, che ospita la statua del Re Selvaggio e altre due sculture antiche, straordinario esempio di decorazione seicentesca con conchiglie, pietre di differenti colori e metalli, ha richiesto un'attenta mappatura di tutti gli intonaci e l'uso dei materiali,
VILLA DELLA REGINA ASSE DEL BELVEDERE, PARTICOLARE
distinguendo quelli originali da quelli di ripristino, con il recupero di porzioni della decorazione originale, occultate durante i lavori condotti negli anni Cinquanta per rimediare ai danni di guerra. Infine, per la Vasca con Zampillo, situata al centro del cortile d'onore, si è provveduto essenzialmente a liberare dagli interventi precedenti il bordo perimetrale in pietra bianca, scolpito con motivi a mascherone, facendogli recuperare la maggior parte delle sue qualità formali e cromatiche, e a ripristinare lo zampillo centrale, non più attivo da tempo. L'intervento sulle parti edilizie si è poi concluso con il restauro e il completamento corretto dei percorsi con cordoli, scalini e pavimentazione, nonché con il recupero delle diverse opere in ferro, ringhiere, parapetti e cancelli, esistenti sul posto. Altrettanta attenzione è stata posta per quanto riguarda gli apparati botanici. Nel caso della Villa della Regina, infatti, la vegetazione svolge una significativa funzione di arredo e di sottolineatura degli aspetti più propriamente architettonici. I pochi elementi vegetali storicamente definibili e documentabili sono costituiti prevalentemente da siepi di bosso e topiarie che fanno risaltare l'insieme delle costruzioni. Nel Giardino dei Fiori, al piede dei muri di contenimento, sono stati collocati esemplari di peri a spalliera e altra siepe di bosso destinata a delimitare i percorsi pedonali già esistenti. Il delicato e lungo lavoro di restauro dell'Asse del Belvedere veniva inaugurato e presentato alla cittadinanza il 5 novembre 2003, suscitando immediatamente l'entusiasmo e l'interesse degli organi di stampa, che non mancavano di manifestare la loro ammirazione per il modo in cui una parte così importante e qualificante del complesso monumentale era stata recuperata. Se la Repubblica annunciava che: «Dopo anni di abbandono rinasce Villa della Regina […]. Vasche e peschiere, viali e scalinate, preziosi mosaici e antichi affreschi, l'intero sistema di edifici e giardini [sta ritornando] come ai tempi di Madama reale», La Stampa non era da meno, informando i lettori che «la Villa è di nuovo Regina». Dal canto suo, Il Giornale del Piemonte riassumeva il sentimento comune: «Villa della Regina: prove di splendore». L'intervento della Consulta, che rappresentava la prima realizzazione concreta del complesso programma di recupero, serviva a riaccendere i riflettori su un pezzo importante del patrimonio edilizio storico torinese, ricordando ai cittadini di quali «tesori» la Città fosse depositaria, e aprendo la via alla conclusione dei successivi interventi. Il successo dell'intera operazione veniva poi certificato dalla grande affluenza di pubblico che dalla riapertura ha potuto ammirare, dall'alto dell'Asse del Belvedere, lo straordinario panorama di Torino che si offre alla vista. 134 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
8. Un Teatro d’Acque 135
9.
PER FARE BELLA TORINO
Nel febbraio 2006 Torino avrebbe inaugurato la XX edizione dei Giochi Olimpici Invernali e per due settimane si sarebbe trovata al centro dell'attenzione internazionale, mentre per un periodo ben più lungo avrebbe ospitato migliaia di addetti ai lavori, turisti, appassionati degli sport invernali. Ovvio dunque che la Città si preparasse all'evento cercando di presentare sia agli ospiti, sia a quanti l'avrebbero vista dagli schermi televisivi il suo volto migliore; in altre parole, che non solo cercasse di «farsi bella», ma accompagnasse l'evento sportivo con una serie di iniziative collaterali, in qualche misura preparatorie, tali da condurre progressivamente i cittadini e gli ospiti all'appuntamento olimpico.
Era quindi altrettanto ovvio che anche la Consulta non rimanesse estranea al processo di abbellimento, intervenendo con l'esperienza e l'efficienza che avevano sempre caratterizzato le sue iniziative. Già fin dal novembre del 2002 - e dunque ben prima della conclusione dell'impegnativo restauro dell'Asse del Belvedere - il presidente pro tempore aveva annunciato che i «mecenati della Consulta» si sarebbero prodigati «in una serie di interventi per restituire pieno decoro a tutto il centro storico». Il problema urgente non era infatti quello di recuperare dal degrado importanti monumenti o chiese o statue. Per questo aspetto, anche se restava ancora qualcosa da fare, molto era già stato fatto, oltre che dalla Consulta, anche da parte degli altri enti e istituzioni interessati alla salvaguardia del patrimonio storico-artistico torinese. Apparentemente il problema sembrava più semplice, risolvibile con una serie di piccole-medie azioni, più di pulizia che di restauro vero e proprio, sui percorsi che in misura maggiore sarebbero stati toccati dal flusso turistico e che sostanzialmente coincidevano con il centro storico, dove erano ospitati i palazzi della zona di comando e quelli dei principali musei. La realtà, invece, si sarebbe incaricata di smentire questa sensazione, sia perché alcuni interventi sarebbero stati impegnativi al pari di molti di quelli che la Consulta aveva realizzato sino a quel momento, ma anche perché dovevano essere programmati con scadenze legate al tipo di evento che dovevano soddisfare. DOMENICO FERRI E GIUSEPPE BOLLATI PALAZZO CARIGNANO, FACCIATA, 1864-1871
Concluso nel novembre 2003 il recupero dell’Asse del Belvedere di Villa della Regina, nei due anni successivi la Consulta avrebbe messo in opera quasi contemporaneamente ben quattro cantieri, modulando l'andamento dei lavori sulla base delle necessità effettive.
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9. Per fare bella Torino 137
PALAZZINA DELLA PROMOTRICE FACCIATA PRINCIPALE PALAZZINA DELLA PROMOTRICE INGRESSO PALAZZINA DELLA PROMOTRICE BASSORILIEVO REALIZZATO DA EDOARDO RUBINO, PARTICOLARI (Fotografie di Ernani Orcorte)
Per questa ragione, il primo cantiere a essere avviato fu quello concernente
I progetti presentati furono numerosi, ma tutti inconciliabili
il restauro delle Facciate della Palazzina della Promotrice delle Belle Arti, nel parco del
fra loro: occorreva qualcuno che avesse la capacità e l'autorevolezza
Valentino. Si era ovviamente al di fuori della zona aulica di Torino, ma l'urgenza
necessarie per stabilire i tracciati e le norme edilizie di un piano unico
dell'intervento era determinata dal fatto che la Palazzina rinnovata avrebbe dovuto ospitare,
e definitivo. Il personaggio in questione venne identificato in Marcello
già nell’ottobre 2004 la mostra «Gli impressionisti e la neve», propedeutica all'evento
Piacentini, accademico d'Italia e architetto ufficiale del regime fascista,
olimpico. Il Comune di Torino, proprietario dell'immobile, aveva provveduto alla ristrut-
autore di numerose fra le più importanti realizzazioni del periodo.
turazione interna; la Consulta avrebbe completato l'opera con il restauro esterno.
Il nodo urbanistico di più difficile soluzione riguardava gli
Nel corso degli anni la Palazzina - la cui costruzione era stata avviata nel 1915
isolati che contengono le due chiese. Il problema poté essere
e conclusa nel 1919 in occasione dell'Esposizione Nazionale di Pittura, Scultura e Decorazione,
affrontato e risolto solamente nel 1935, quando l'Istituto Nazionale
dopo essere stata utilizzata durante la prima guerra mondiale come convalescenziario - era
della Previdenza Sociale si offrì di risanare interamente l'isolato
stata oggetto di una serie di trasformazioni e modificazioni che ne avevano sensibilmente
San Carlo e, contemporaneamente, le imprese Comoglio e le
alterato l'impianto originale, ulteriormente compromesso dai bombardamenti della seconda
Assicurazioni Generali si impegnarono a fare altrettanto per l'isolato
guerra mondiale che avevano danneggiato in modo irreparabile la decorazione interna.
di Santa Cristina. La simultaneità degli interventi permise a Piacentini
Inoltre, una tinteggiatura non meditata e l'azione infestante della vegetazione rendevano
di sviluppare un'idea definitiva unitaria, dando vita alla soluzione
illeggibile la facciata, annullando l'effetto superficiale della pietra artificiale, un impasto
attuale con la creazione sul retro delle chiese e in asse con via Roma
di cemento che cercava di simulare la pietra naturale, molto utilizzato in quel periodo anche
di una nuova piazza rettangolare, oggi conosciuta come piazza CLN.
in numerose altre costruzioni, sia di civile abitazione sia destinate ad uso pubblico,
In questo contesto venne adottato, per la parte retrostante
il cui esempio più cospicuo è forse il Borgo Medievale realizzato per l'Esposizione di Torino
le due chiese, il progetto predisposto dall'ingegner Giuseppe Momo,
del 1884.
che prevedeva la «formazione di due facciate monumentali in pietra
Un provvedimento minore, dunque, ma accompagnato dalla quasi contemporanea
da taglio verso la nuova piazzetta, […] che comprenderanno due
apertura del cantiere per il restauro e il risanamento conservativo delle Fontane raffiguranti
fontane con sculture allegoriche». Le statue destinate a ornare
il Po e la Dora di piazza CLN. L'intervento era urgente. Intanto, le due Fontane si trovano
le fontane avrebbero dovuto rappresentare il Po e la Dora.
ai lati di via Roma, sul percorso che avrebbe portato la maggior parte dei visitatori verso piazza
Anche in questo caso il Comune bandì un concorso pubblico
Castello, da considerarsi il fulcro delle manifestazioni per il fatto che su di essa sarebbe sorta
aperto a tutti gli iscritti al Sindacato Interprovinciale fascista delle Belle
la Medals Plaza, imponente struttura effimera dedicata alla premiazione dei vincitori, e dove
Arti di Torino, lasciando al libero giudizio dei concorrenti sia
si sarebbero concentrati il maggior numero di festeggiamenti. In secondo luogo, anni e anni
l'atteggiamento sia le proporzioni delle statue, mentre sarebbe
di scarichi automobilistici e di emissioni in atmosfera avevano ricoperto di una patina grigia
toccato alla Municipalità scegliere il marmo per la loro realizzazione.
uniforme il bianco del marmo delle statue, rendendo il tutto ancora più triste per la mancata
Fra i bozzetti presentati dai cinquantasei partecipanti al concorso, fu
fuoriuscita d'acqua dalle sottostanti Fontane.
selezionato come vincitore quello dello scultore torinese Umberto
La realizzazione delle due Fontane si inserisce nel piano di rinnovamento di
Baglioni. A giudizio della commissione esaminatrice - composta, oltre
via Roma, attuato a partire dal 1931 con l’avvio del primo lotto di lavori nel tratto compreso
che dal podestà di Torino Paolo Thaon di Revel, dagli architetti Momo
fra piazza Castello e piazza San Carlo. Quando si trattò di affrontare il secondo lotto, quello
e Piacentini, dal senatore Edoardo Rubino e dallo scultore Edoardo
fra piazza San Carlo e piazza Carlo Felice, venne bandito un concorso di idee, nel quale
De Albertis - si trattava di «due sculture riposate, serene, statiche,
fu lasciata ampia libertà ai partecipanti, ponendo come uniche condizioni che fossero
sobrie, di buona seppur poco accademica modellatura, due sculture
mantenuti i portici e che si conservassero le due chiese di San Carlo e di Santa Cristina.
sulla linea della nostra tradizione rinascimentale e più parti -
138 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
UMBERTO BAGLIONI STATUA DEL PO, 1938
colarmente cinquecentesca». A questo punto divenne
guano dei piccioni. E che il restauro, soprattutto nella parte
possibile dare inizio ai lavori, incominciando ovviamente dalle
idraulica, si presentasse particolarmente complicato,
Fontane, per le quali era previsto che ciascuna di esse
è comprovato dal fatto che, a pochi giorni dall'inaugurazione,
avrebbe dovuto far fuoriuscire, dalla fessura posta sul fronte
si dovette nuovamente sospendere l'erogazione dell'acqua,
del piedistallo, un getto rettangolare di 2,80 metri e dello
a causa di nuove, se pur minime, infiltrazioni. Inconveniente
spessore di 3 centimetri circa, con una portata di 150 litri
al quale si poté porre rimedio con una soluzione che si spera
al secondo. Poiché una tale portata non poteva derivare
di lunga durata, in tempo utile per la stagione olimpica.
direttamente dall'acquedotto, ogni Fontana doveva essere
Da allora, dicembre 2005, l'acqua non ha mai cessato di fluire.
dotata di una pompa di circolazione dell'acqua azionata da motore elettrico.
Le stesse esigenze che erano state alla base dell'intervento sulle due Fontane
Avviati i lavori nel corso del 1937, le vasche destinate a ricevere l'acqua vennero
di piazza CLN, si riproponevano, ancora più pressanti, per la Cancellata monumentale che
rivestite con materiale ceramico, mentre per gli impianti di servizio si dovettero rivestire
separa la Piazzetta Reale da piazza Castello. Qui si era nel cuore dell'evento olimpico; dalle
i serbatoi con lastre di piombo, sistemare griglie, scarichi e bocche di immissione.
strutture costruite per l'occasione le televisioni di tutto il mondo, trasmettendo le cerimonie
Giunse quindi il momento di collocare le due statue, da realizzarsi ciascuna in
di premiazione degli atleti, avrebbero diffuso le immagini della parte aulica di Torino, il cui
un solo blocco di marmo di Serravezza. E infine, nel corso del 1938, il lavoro fu completato.
Palazzo Reale sarebbe diventato familiare ai telespettatori dei cinque continenti. In questo
Ma da quel momento incominciarono i guai. La mancata impermeabilizzazione delle
contesto, la Cancellata rischiava di fornire un'immagine negativa
vasche, rivestite unicamente di materiale ceramico, provocò gravi infiltrazioni nella sottostante
della Città, nonostante tutti gli sforzi da essa compiuti
galleria metropolitana, ora adibita a parcheggio. L'acqua venne perciò erogata soltanto
per presentarsi con il suo aspetto migliore.
a spizzichi e bocconi, con interruzioni sempre più frequenti, sino al 1987,
Le analisi tempestivamente condotte avevano
quando dopo un'ultima erogazione legata alle celebrazioni per
infatti messo in evidenza la presenza di par ti rotte
il cinquantenario della nuova via Roma, fu definitivamente sospesa
e staccate, dovute ad assestamenti e cedimenti, fenomeni di
e nelle vasche - fortunatamente solo per breve tempo - trovarono
ossidazione e corrosione, con una vernice di copertura logora
collocazione delle composizioni floreali.
e permeabile alle infiltrazioni d'acqua. Le statue dei Dioscuri
Da quel momento si assiste a un progressivo abbandono delle due Fontane, con le vasche trasformate in ricettacolo di rifiuti e le statue aggredite oltre che dai depositi carboniosi, dall'immancabile
presentavano invece uno strato sottile di prodotti di corrosione di colore verde chiaro, costituiti da carbonati e solfati di rame, localizzati nelle zone più dilavate
UMBERTO BAGLIONI STATUA DELLA DORA, 1938
PELAGIO PALAGI CANCELLATA DI PALAZZO REALE, 1834
dalla pioggia, unitamente alle tipiche croste bruno-nerastre, costituite da calcare, pulviscolo
sui quali sono incardinate quattro campate diseguali, sostenute da colonne istoriate
atmosferico e prodotti d'inquinamento. Infine, anche i basamenti delle due statue, rivestiti da
sormontate da candelabri e da colonne intermedie a sezione minore.
lastre di marmo, presentavano una superficie porosa, dovuta alle alterazioni provocate
Posta in opera fra il 1835 e il 1840 (ma le statue dei Dioscuri solo nel 1847), in realtà
dall'acqua e dallo smog, mentre le colature di acqua piovana che scendevano dalle statue
la Cancellata non poté dirsi completata che molti anni più tardi, a Unificazione nazionale
in bronzo, avevano provocato evidenti macchie di colore verde.
già avvenuta, mentre ben presto si venivano manifestando esigenze di manutenzione
Si trattava di inconvenienti non nuovi, periodicamente riscontrati nell'imponente
straordinaria e di interventi di restauro. Già nel 1861, infatti, diventava evidente la necessità
struttura progettata da Pelagio Palagi nel 1834 su incarico di Carlo Alberto, onde dare una
di pulire le superfici dalla polvere e dalla ruggine, di stuccare le sconnessioni, di spalmare olio
sistemazione definitiva alla piazza, dopo che l'incendio del 1811 aveva devastato in maniera
di lino cotto sui ferri e infine di procedere alla verniciatura.
irrecuperabile l'antico «Pavaglione», più volte utilizzato per l'Ostensione della Sindone.
PELAGIO PALAGI CANCELLATA DI PALAZZO REALE, PARTICOLARE CON LA TESTA DELLA MEDUSA
Nel 1895, poi, veniva condotto un complesso intervento di manutenzione
Per soddisfare la richiesta del sovrano, Palagi progetta, appunto, la Cancellata in getto
straordinaria, che non poteva ritenersi conclusivo a causa di difetti intrinsechi della fusione
di ghisa, addossata alle maniche laterali del complesso palatino e aperta al centro da un
che permettevano infiltrazioni di acqua piovana all'interno della struttura, con conse -
grande varco idealmente protetto dalle statue equestri dei Dioscuri. Nonostante l'impressione
guente formazione di ruggine nell'anima stessa dell'opera.
di leggerezza che la Cancellata lascia nell'osservatore a causa dell'effetto di trasparenza
Particolarmente grave la situazione dei candelabri,
ottenuto dal sapiente uso del materiale e dalla ricchezza della decorazione, in realtà si tratta
che a causa dell'ingresso d'acqua dai fori necessari al
di una possente struttura architettonica, articolata su ciascun lato con tre pilastri in marmo
passaggio dei tubi per l'alimentazione a gas dell'illuminazione, furono i primi a disgregarsi, perché corrosi dalle ossidazioni, seguiti ben presto da molte altre componenti. Vista la situazione, nel 1932 venne assunta la drastica decisione di rifondere completamente la Cancellata, conser vando al tempo stesso la finezza originaria dei dettagli progettati da Palagi. Costruita con getti di maggiore entità di quelli originari e sostituita con l'energia elettrica l'illuminazione dei candelabri sino ad allora alimentati a gas, la nuova Cancellata venne dipinta in verde, colore mantenuto sino al termine della seconda guerra mondiale, quando venne rivestita con vernice ferro micacea che ne contraddistinse l'immagine sino all'intervento della Consulta. Date le vicende, e le traversie, della Cancellata non era consigliabile un intervento di puro abbellimento, che si limitasse a una ripulitura, se pure a fondo, dell'insieme; era invece auspicabile un intervento approfondito, preceduto da indagini fisico-chimiche e mineralogiche che consentissero di individuare le tecniche e i materiali più idonei sia per sconfiggere il degrado riscontrato, sia, soprattutto, per impedire che esso avesse a ripetersi in futuro. Si è così costituito un gruppo di lavoro interdisciplinare che ha visto la collaborazione dell'Università di Torino, del Politecnico di Torino, dell'Arcadia Ricerche, coordinati dall'Università Ca' Foscari di Venezia, grazie al quale è stato possibile ricostruire tutta la travagliata vicenda, specialmente per quanto riguarda la rifusione del 1932, realizzata
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9. Per fare bella Torino 143
ABBONDIO SANGIORGIO DIOSCURI, BRONZO, 1847
nelle Officine Manfredi e Bongioanni di Fossano. Già i primi saggi di indagine sul vivo della Cancellata avevano messo in evidenza che, al di sotto dei numerosi strati di colore che nel tempo le erano stati applicati, la Medusa più vicina alla Galleria del Beaumont recava le tracce inconfondibili dell'oro, che non avrebbero dovuto esserci se effettivamente tutta la Cancellata fosse stata rifatta. Dai documenti depositati presso l'Archivio Storico della Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio del Piemonte, si veniva a sapere che alcune parti evidentemente ben conservate della Cancellata erano state mantenute e rimontate, proprio quelle a ridosso della Galleria del Beaumont. È stato dunque dall'analisi di questa parte della Cancellata che si è potuto risalire alla coloritura originaria, che secondo le istruzioni di Palagi avrebbe dovuto essere verde bronzo, mentre gli inserti in oro daterebbero alla fine dell'Ottocento o ai primi anni del Novecento. Come conclusione si è avuta una coloritura che ha adottato la tonalità verde del bronzo dei cavalli dei Dioscuri, come risultava dopo il restauro del metallo, sulla quale sono stati effettuati inserti dorati limitatamente alle punte delle lance e alle teste delle Meduse. Se la Cancellata vera e propria aveva richiesto la maggiore attenzione, anche le statue dei Dioscuri e le parti architettoniche richiedevano di essere trattate con il dovuto impegno, attraverso operazioni sia di pulitura dei bronzi, sia di consolidamento dei pilastri in pietra, nonché attraverso il rifacimento completo dell'impianto elettrico. Il restauro della Cancellata venne inaugurato solennemente il 18 novembre 2005 in quella che, dato l'oggetto del restauro, poteva essere considerata la sede più appropriata: il Salone degli Svizzeri di Palazzo Reale. Al termine della cerimonia, uscendo sulla Piazzetta, i partecipanti ebbero l'opportunità di assistere a uno spettacolo di suoni e luci, destinato a esaltare le caratteristiche salienti del restauro. Non si erano ancora spenti i riflettori sulla Cancellata che era nuovamente ora di procedere a un'altra inaugurazione: quella del restauro della parte centrale della Facciata ottocentesca di Palazzo Carignano. Era la terza volta che la Consulta interveniva su quel Palazzo, dove si erano compiuti i destini d'Italia e dove erano conservate le memorie più sacre dell'epopea nazionale. Nelle due occasioni precedenti - Aule del Parlamento Subalpino e Italiano - l'intervento aveva riguardato parti interne dell'edificio; ora
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CANCELLATA DI PALAZZO REALE DURANTE LA CERIMONIA DI PREMIAZIONE DEI GIOCHI OLIMPICI DI TORINO 2006
si trattava di mettere mano al suo aspetto esteriore. L'operazione era in certo qual modo
ospitare in modo adeguato la Camera dei Deputati del nuovo Regno, al momento collocata
obbligata perché l'edificio, proprio per le sue caratteristiche, anche se non era collocato
in una struttura provvisoria nel cortile dello stesso edificio. Al concorso indetto per l'occasione
sull'asse principale degli eventi olimpici rientrava fra quelli che avevano un ruolo importante
vinse il progetto dell'architetto regio Domenico Ferri, cui si associò, come direttore di cantiere,
da svolgere nei confronti di turisti e spettatori. Trovandosi sull'angolo opposto del Collegio
Giuseppe Bollati. I lavori, iniziati alla fine del 1863, dovevano ben presto subire una brusca
delle Provincie, sede del Museo Egizio, i cui principali tesori campeggiavano riprodotti in molti
interruzione poiché la Convenzione di Settembre, spostando la capitale a Firenze, privava
punti di Torino, sarebbe certamente stato notato da migliaia di persone, che coglievano
la nuova struttura dello scopo per cui era stata pensata e creata.
l'occasione delle Olimpiadi per compiere una visita più approfondita ai monumenti e alle
Dopo un anno di blocco quasi totale del cantiere, i lavori ripresero dapprima
collezioni torinesi. Per tale ragione, la Compagnia di San Paolo si era assunta l'onere
lentamente e poi a pieno ritmo a partire dal 1866. La costruzione doveva comunque essere
di provvedere al restauro della Facciata principale del Palazzo, quella guariniana.
ultimata, e negli anni fra il 1867 e il 1869 vennero realizzate le sei statue monumentali
Per la stessa ragione, era opportuno che qualcuno provvedesse anche alla Facciata ottocentesca, la quale, nei confronti dell'evento olimpico, aveva una funzione specifica.
che ornano la Facciata. Nel 1871, tutta l'ala ottocentesca era conclusa e l'edificio iniziava una vita autonoma, ospitando attività ed enti non sempre compatibili con la funzione originaria,
La piazza Carlo Alberto stava infatti diventando la sede di «Casa Svizzera», ed era
alle cui esigenze la costruzione si era ispirata. La Facciata, che pure era stata risparmiata dai
ragionevole supporre che sarebbero stati in molti a visitarla. In più, la stessa piazza era inserita
massicci bombardamenti che nel 1943 avevano colpito altre parti significative del complesso,
nel circuito delle «Luci d'artista», che costituivano un altro motivo di attrazione. Anche
aveva subito nel tempo il degrado provocato dall'inquinamento e dall'esposizione agli agenti
la Facciata rientrava, ovviamente, nel progetto di ampliamento di Palazzo Carignano,
atmosferici, particolarmente evidente nelle parti alte.
deliberato all'indomani della proclamazione del Regno d'Italia, e ritenuto necessario per
Già in occasione di un primo intervento effettuato nel corso degli anni Ottanta del Novecento, si erano dovuti fasciare con appositi ferri i grandi vasi del coronamento, ma il degrado era proseguito, tanto che nel 1998 il crollo del braccio della statua dell'Industria aveva obbligato a transennare la Facciata. E le transenne erano destinate a rimanere a lungo a causa delle continue cadute di materiali, provocate dagli incollaggi realizzati in passato con resine, ormai polimerizzate, che stavano progressivamente cedendo. Di fatto, da allora e sino al momento dell'intervento della Consulta, le transenne non erano più state rimosse, manifestando ormai anch'esse evidenti sintomi di degrado. L'intervento della Consulta è consistito, perciò, in una attenta pulitura generale dell'insieme, accompagnata da un esteso lavoro di consolidamento e protezione dei materiali lapidei danneggiati, che ha contemplato anche il restauro delle statue, il rifacimento della faldaleria, la posa di un nuovo impianto di allontanamento dei volatili. Al tempo stesso il restauro completo dei serramenti ha ripristinato l'originario colore del legno e la Facciata così riequilibrata ha recuperato il rapporto cromatico tra le parti in cotto e quelle in pietra, finalmente liberate dal velo che le offuscava. Il cantiere, della durata di circa dieci mesi, venne smontato nel dicembre 2005, mentre l'inaugurazione ufficiale si tenne, in concomitanza con l'inaugurazione del restauro della facciata guariniana, il 18 gennaio 2006, a meno di un mese dall'inaugurazione delle Olimpiadi. Ancora una volta tutti gli impegni assunti dalla Consulta per «fare bella Torino» erano stati mantenuti.
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PALAZZO CARIGNANO VEDUTA NOTTURNA DELLA FACCIATA OTTOCENTESCA ILLUMINATA DALLE “LUCI D’ARTISTA”
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Palazzo reale - cancellata
10.
NUOVI PERCORSI
L’evento olimpico ha indubbiamente segnato un momento di svolta negli orientamenti della Consulta, proprio per quel che riguarda la valorizzazione del patrimonio artistico torinese. La necessità di presentare ad atleti e visitatori il volto migliore possibile di Torino, con i tempi imposti dalla scadenza dell’evento, aveva di fatto contribuito ad accelerare una serie di interventi che, senza le Olimpiadi, avrebbero avuto una gestazione più lunga. Nel frattempo, però, alcuni degli interventi realizzati in passato incominciavano a mostrare i segni del tempo.
La necessità di una manutenzione programmata, tale da non vanificare l’impegno di risorse tecniche ed economiche impiegate nel restauro, era diventata di tutta evidenza, tanto che già in occasione dell’intervento sul Monumento a Vittorio Emanuele II, nel fascicolo che ne raccontava le vicende, si sottolineava che «al fine di non inficiare i risultati ottenuti... occorre una maggiore attenzione alla manutenzione ordinaria delle opere. Un tempo questa importante operazione era svolta assiduamente e con puntigliosa regolarità.» Non che la Consulta desiderasse accollarsi volentieri una simile incombenza. Se il suo scopo primario - la ragione stessa della sua esistenza - era quello di salvare i monumenti dal degrado, è evidente che la manutenzione, specie se ordinaria, avrebbe dovuto essere assicurata dai soggetti, proprietari del bene restaurato. Ma è altrettanto evidente che se questi, per le ragioni più svariate, non erano in grado di adempiere a tale incombenza, ad incaricarsene non potevano essere che quegli stessi soggetti che avevano effettuato l’intervento di restauro. È in forza di questo ragionamento che la Consulta ritornava, sedici anni dopo, in piazza San Carlo, ad interessarsi nuovamente della chiesa omonima, la cui facciata necessitava ormai di un sostanzioso lavoro di ripulitura, con un impegno di risorse finanziarie che, se anche non confrontabile con quello del primo intervento, risultava comunque di tutto rispetto. Ma questo, per la Consulta, rappresentava una novità assoluta, un modo nuovo VENARIA REALE SIMONE MARTINEZ, LE QUATTRO STAGIONI, 1752 (Fotografia di Ernani Orcorte)
e diverso di interpretare la propria missione. Qualche volta, nel passato, era capitato che si dovessero effettuare piccoli interventi su restauri recenti, per rimediare a qualche inconveniente emerso in un secondo momento. Così era avvenuto per il Monumento a Vittorio Emanuele II, per eliminare tracce di umidità inopinatamente ricomparse
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10. nuovi percorsi 157
sul basamento; e nel caso delle Fontane di piazza
operazioni di pulitura, senza ripristinare gli effetti di lucidatura. Il tutto adottando
CLN si era dovuto rimediare ad una loro non
la metodologia meno invasiva possibile, in modo da rimuovere le corrosioni senza eliminare
perfetta impermeabilizzazione. Questa era, invece,
le patine di fonderia. Quanto alla pulitura, questa è stata differenziata in base alla superficie
la prima volta in cui l’intervento non era soltanto
trattata, mediante sabbiatura con microsfere di vetro. Grazie a questo intervento, l’opera
una “coda” del restauro, ma la
ha ritrovato tutta la maestosità iniziale, che però potrà essere preservata soltanto se per
manutenzione
dell’edificio veniva assunta come iniziativa propria per il 2006.
CHIESA DI SAN CARLO TELONE INSTALLATO DURANTE IL CANTIERE, 2006
GIARDINI REALI LE QUATTRO STAGIONI, SIMONE MARTINEZ, 1752
il futuro verrà adottata una attenta programmazione della manutenzione ordinaria. Negli ultimi anni, anche per effetto di interventi come quello sulla cancellata,
Un altro intervento del genere, ma più
Consulta si è arricchita di un bagaglio di esperienze che le hanno consentito di individuare
complesso, veniva poi programmato nel 2009,
nuove opportunità, che andavano ad aggiungersi a quelle tradizionali. I cantieri che ancora
e riguardava “Odissea Musicale”, il complesso
restavano aperti risultavano, infatti, di dimensioni tali, e richiedevano una tale pluralità
scultoreo ideato da Umberto Mastroianni quale
di interventi, che ben difficilmente avrebbero potuto esser gestiti da un unico soggetto; tanto
Cancellata del Teatro Regio e realizzato nel 1994
meno da un soggetto privato come Consulta. Caso emblematico è quello della Reggia
dalla Consulta.
di Venaria Reale: un complesso edilizio, in totale stato di abbandono, le cui dimensioni
Nei 15 anni trascorsi dall’inaugurazione,
non si discostano da quelle di Versailles e il cui recupero non avrebbe potuto avvenire senza
l’opera presentava un grave stato di degrado.
un massiccio intervento di fondi pubblici. In un caso del genere Consulta poteva offrirsi
Da un lato, la cancellata, nonostante che fosse
di collaborare, non certo di gestire l’intervento in via esclusiva.
collocata sotto il porticato e quindi preservata dalla corrosione dovuta all’azione dilavante
Una situazione analoga si era già verificata nel caso di Villa
della pioggia e degli agenti atmosferici, non aveva potuto evitare gli effetti corrosivi provocati
della Regina, quando Consulta aveva assunto a proprio carico
dalle deiezioni dei cani sulle parti basse e da quelle dei piccioni in alto. Dall’altro lato, una
il recupero dell’Asse del Belvedere, con le fontane e i giochi d’acqua
insufficiente manutenzione ordinaria aveva favorito il formarsi di accumuli di polveri,
che ne accompagnavano lo sviluppo. Nel caso di Venaria Reale
soprattutto a causa dell’intenso traffico automobilistico e tranviario che le scorre dinnanzi.
l’intervento riguardò il restauro, il trasferimento e la ricollocazione
Per effetto di questi fenomeni, l’originale impianto cromatico, costituito dall’alternanza fra parti lucide, rugose, patinate e sabbiate, risultava profondamente alterato non soltanto nell’aspetto superficiale, ma nel colore stesso che - a seconda della posizione del singolo elemento nella composizione - andava dal bruno-rossiccio al bruno-verde. In realtà in questo caso più che un intervento di manutenzione, si rendeva necessaria una vera e propria operazione di restauro. Operazione per la verità particolarmente complessa, dal momento che si trattava di intervenire su un’opera contemporanea che - per la qualità dei materiali impiegati e per le tecniche di esecuzione adottate - presentava problemi molto diversi da quelli che abitualmente si riscontrano nel restauro di monumenti storici. Si è trattato, dunque, di un restauro sperimentale, le cui scelte metodologiche sono scaturite da lunghe discussioni. In mancanza di una adeguata documentazione di base, vi era il pericolo che fossero adottate soluzioni arbitrarie tali da configurare, a restauro ultimato, un vero e proprio falso storico. Per questa ragione si è ritenuto di fermare l’intervento alle sole 158 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
10. nuovi percorsi 159
PALAZZO CHIABLESE SALA ARAZZI, LE STORIE DI ARTEMISIA, 1619-1621 (Fotografia di Ernani Orcorte)
delle statue di Simone Martinez raffiguranti Le Quattro Stagioni, sino a quel momento
nucleo di un Museo imperiale di scultura.
collocate nei Giardini del Palazzo Reale di Torino, attorno alla fontana con Nereidi e Tritoni,
E se il Museo, per le vicende della
dello stesso autore.
storia impegnata a far tramontare l’astro
Le vicende che riguardano queste statue sono, infatti, complesse e anche un poco
napoleonico, non vide mai la luce, in compenso
controverse. Realizzate fra il 1739 e il 1752 dal Martinez, nipote di Filippo Juvarra, pare che
le statue mantennero la loro collocazione sino
inizialmente fossero destinate ad arricchire la Galleria del Beaumont di Palazzo Reale, dove
a quando, nel quadro del grandioso restauro
peraltro non furono mai collocate perché, all’ultimo momento, vennero destinate alla Reggia
di Venaria, non si ritenne di restituirle alla loro
di Venaria, allora in costruzione. Qui vennero collocate - in nicchie appositamente predisposte
sede originaria. Realizzate in marmo bianco
- nella sala circolare che funge da cerniera fra la chiesa di Sant’Uberto e la manica
di Frabosa, e fortunatamente non troppo
di collegamento con la Galleria di Diana. Attorno al 1810 le statue vennero trasferite da Venaria
danneggiate dall’incuria del tempo e dalle
a Torino e sistemate nei Giardini di Palazzo Reale, dove avrebbero dovuto costituire il primo
vicende atmosferiche, le quattro statue, opportunamente restaurate, oltre a ritornare nel luogo per il quale erano state pensate, preservano il loro splendore da ulteriori ingiurie. Alla stessa tipologia di intervento appartiene anche il restauro della serie di Arazzi raffiguranti Le storie di Artemisia. Si tratta di una serie di arazzi che Vittorio Amedeo I aveva fatto acquistare a Parigi tra il 1619 e il 1621 per ornare le sale del Palazzo Ducale di Torino, dove rimasero almeno fino al 1753, quando nove di essi vennero trasferiti, per volere di Carlo Emanuele III in Palazzo Chiablese, che Benedetto Alfieri stava ristrutturando per essere adibito a dimora dell’ultimogenito del duca, Benedetto Maurizio figlio della terza moglie Elisabetta di Lorena. Qui gli arazzi rimasero a lungo, traslocando alcune volte da una sala all’altra sino a trovare dimora stabile nel “Gabinetto d’udienza a Levante” (l’attuale Sala Arazzi). Solo dopo il secondo conflitto mondiale, e presumibilmente per consentire il recupero dei locali danneggiati dai bombardamenti i nove arazzi vennero trasferiti nei depositi di Palazzo Reale. Il soggetto degli arazzi è tratto da un poema intitolato Histoire de la Reyne Arthemise, composto nel 1561-62 da Nicolas Houel, mecenate e farmacista parigino in onore di Caterina de’ Medici, al momento reggente la corona di Francia per la morte del marito Enrico II. Il poema si ispira alle gesta di due antiche regine della Caria (costa Egea della Turchia): la prima, alleata di Serse nella campagna contro i greci combatté nella battaglia di Salamina
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PALAZZO CHIABLESE SALA ARAZZI, LE STORIE DI ARTEMISIA, 1619-1621, PARTICOLARI (Fotografie di Ernani Orcorte)
10. nuovi percorsi 161
(480 a. C.); la seconda, invece, vissuta un secolo più tardi, è ricordata per aver fatto costruire in onore del marito il re Mausolo, il Mausoleo di Alicarnasso, una delle sette meraviglie dell’antichità. Proprio perché concepito come una sorta di captatio benevolentiae di Caterina de’ Medici, accostata alle due Artemisie dell’antichità, il tema divenne presto popolare e quella di Artemisia divenne una delle serie di arazzi più replicate nel primo quarto del secolo XVII. Realizzati in lana e seta con filati metallici d’oro e d’argento, al momento del restauro i nove arazzi presentavano una significativa alterazione dei materiali costitutivi, provocata dal tempo, dall’uso e dalle precedenti condizioni di esposizione, non idonee alla conservazione delle fibre. Sostanzialmente, dovevano essere affrontate due aree di intervento: da un lato si trattava di reinserire nell’ordito e nella trama i materiali mancanti, dall’altro si doveva rimediare alla presenza dannosa di alcuni precedenti interventi di rammendo. Ma prima di poter ricollocare gli arazzi nella loro sede storica era necessario effettuare un altro intervento, ossia restaurare la sala destinata ad accoglierli, ad iniziare dalla volta, dove era indispensabile ripulire le dorature degli stucchi dal particellato atmosferico e da precedenti verniciature. Per proseguire poi sulle pareti, dove è stato riproposto
anni a Siviglia, e la sua estrema rarità risiede nel fatto che normalmente simili carte, quando
un rifacimento della tappezzeria settecentesca. Per finire con gli interventi sulle sovrapporte,
superate da nuove scoperte geografiche, venivano distrutte, anche per evitare il rischio
dove sono raffigurate Le Quattro Parti del Mondo dipinte da Francesco De Mura
che cadessero nelle mani di concorrenti, interessati a contrastare la supremazia spagnola.
sui lampadari, sul pavimento e sui quattro grandi candelabri figurati. A tutela del lavoro
Il Planisfero della Biblioteca Reale - appartenuto a Giovanni Vespucci, nipote
effettuato, è stato poi installato un sistema di temperatura e umidificazione controllato,
del grande navigatore - sarebbe arrivato a Torino come dono di Carlo V in occasione
accompagnato dall’installazione di pellicole protettive di ultima generazione.
delle nozze di sua cognata Beatrice del Portogallo con Carlo III di Savoia e tosto trasferito
Un altro intervento dello stesso segno ha riguardato il cosiddetto Planisfero di Torino,
alla Libreria ducale, primo nucleo della futura Biblioteca.
un’altra delle tante meraviglie - non tutte conosciute come dovrebbero - della Biblioteca
Il tempo trascorso e le vicissitudini che hanno caratterizzato i beni librari
Reale. Si tratta di una grande carta geografica, realizzata in pergamena, con un’estensione
della dinastia sabauda - tra incendi, donazioni e spoliazioni napoleoniche - richiedevano che
di due metri e sessanta di lunghezza per un’altezza di centodieci centimetri e rappresenta
il Planisfero fosse sottoposto ad un accurato intervento di restauro; al tempo stesso, però,
la più antica testimonianza conosciuta del lavoro che si svolgeva alla Casa de Contratacion
postulavano anche che l’importante documento, una volta restaurato, non venisse
di Siviglia. Era questa una istituzione nata nel 1503 sull’onda delle scoperte di Cristoforo
nuovamente celato alla vista dei visitatori, come era avvenuto sino a quel momento,
Colombo e delle successive esplorazioni del Nuovo Mondo.
ma potesse essere esposto in via permanente.
Alla Casa spettava infatti la regolamentazione dei viaggi di esplorazione, dei
La Consulta era già intervenuta sulla Biblioteca Reale nel 1998, quando aveva
commerci e della colonizzazione delle Americhe. In questo contesto, il dipartimento
provveduto a realizzare la Sala Leonardo, dotandola di tutte le più avanzate realizzazioni
geografico-nautico - inizialmente diretto niente meno che da Amerigo Vespucci - aveva
in campo museale per quanto riguarda l’esposizione di documenti scritti, particolarmente
il compito di addestrare i marinai e curare la cartografia marittima attraverso la realizzazione
influenzabili dalle condizioni di luminosità e di umidità. Era perciò naturale che anche questa
del Padron Real, ossia la carta nautica ufficiale della Spagna: una grande mappa su cui era
volta si attivasse non solo provvedendo al restauro della preziosa carta, ma realizzando anche
indicato ogni luogo del mondo conosciuto, costantemente aggiornata sulla base delle sempre
una teca apposita che, garantendo ottimali condizioni di conservazione, ne consentisse
nuove scoperte che si andavano facendo, e dalla quale si ricavavano poi tutte le carte usate
l’esposizione permanente. Con l’occasione, Consulta provvedeva anche a restaurare altri
dai navigatori. Il Planisfero di Torino è appunto uno dei Padronés Reales realizzati in quegli
quattro portolani, risalenti al XVI e XVII secolo, appartenenti anch’essi alla Biblioteca.
162 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
BIBLIOTECA REALE GIOVANNI VESPUCCI, PLANISFERO, 1523 (Fotografia Fenucci - Y Press)
10. nuovi percorsi 163
Queste ultime iniziative dimostravano che era giunto il momento di arricchire e ampliare l’azione
di cadute, aveva però anche snaturato completamente il paesaggio attorno alla Palazzina.
della Consulta. Gli interventi sin qui descritti, anche
Non solo: come si evince dai quadri del Cignaroli e dello Sclopis, gli alberi
se indirizzati verso obbiettivi di volta in volta diversi
in questione erano presenti anche lungo le principali rotte di caccia che dalla Palazzina
- le statue di marmo, gli arazzi di lana e seta, le carte
si diramavano; ma anche questi, venuto meno l’esercizio venatorio e aumentata la superficie
nautiche di pergamena - potevano ancora considerarsi
adibita a coltivazione a scapito di quella riservata alla caccia, erano progressivamente stati
in qualche misura tradizionali, trovando in essi
abbattuti e non rimpiazzati. Cercare di recuperare il paesaggio illustrato da Cignaroli, nei limiti
applicazione di consolidate tecniche di restauro.
consentiti dalle trasformazioni subite dal territorio nel corso del tempo è stato dunque
Con l’intervento sulla Palazzina di Caccia di Stupinigi si va oltre, passando dal restauro STUPINIGI PALAZZINA DI CACCIA, REIMPIANTO ALBERATE STORICHE (Fotografia di Franco Borrelli)
Di qui un drastico programma di abbattimento che, se aveva evitato il pericolo
degli objets d’art al restauro - o, se si preferisce, alla ricomposizione del paesaggio.
l’obbiettivo che la Consulta si è posto prevedendo il reimpianto di circa 1.700 pioppi. Le piante in questione, alte fra 3 e 4 metri, con un diametro di 10-12 centimetri sono state perciò impiantate ai lati della strada circolare, a ricomporre il paesaggio tradizionale
Com’è noto, la caccia specialmente nella forma aulica di vénerie, che consisteva
e lungo le due principali rotte di caccia che si staccano dal raccordo anulare: la Rotta Niccolò
nell’inseguimento e nell’abbattimento del cervo, aveva occupato un posto importante presso
e la Rotta Chisola. Per la buona riuscita dell’operazione sono stati necessari 450 quintali
le corti europee lungo tutto il XVIII secolo. La corte sabauda non faceva eccezione, tanto
di stallatico, oltre sette quintali di concime a lenta cessione ed è stato necessario posizionare
che nella prima metà del secolo, accanto alla Reggia della Venaria Reale, Palazzo di Piacere
3.600 tutori e 1.800 retine anti-odori. Così, nello spazio di pochi anni la bellezza di un luogo
e di Caccia, per esercitare questa attività era stata aggiunta la Palazzina di Stupinigi,
aulico e celebrato come la Palazzina di Caccia di Stupinigi, grazie al recupero dell’ambiente,
che fra i primi di settembre e il 3 novembre (giorno di Sant’Uberto) diventava il fulcro
si proporrà al passante e al visitatore con ancora maggiore splendore.
di numerosi raduni della corte, impegnata a praticare nei terreni circostanti la Chasse à courre, ossia, in una parola, a ”correre il cervo”. Di questa attività, dei numerosissimi personaggi che, a vario titolo ne facevano parte, e del fasto che la circondava esistono numerose testimonianze pittoriche disseminate nelle diverse residenze reali; le più
PALAZZO REALE LE CUCINE (Fotografia di Ernani Orcorte)
Ma questo, del reimpianto delle alberate, non è l’unico intervento operato dalla Consulta su terreni non ancora esplorati. Anche il successivo appartiene allo stesso genere. Si tratta del riallestimento delle Cucine di Palazzo Reale: qui non vi sono quadri da restaurare, facciate da ripulire, monumenti da riportare all’originario splendore.
significative, quelle che meglio fanno comprendere le varie fasi entro le quali si articolava l’avvenimento, e l’importanza che esso aveva per la vita di corte, sono indubbiamente quelle dipinte da Vittorio Amedeo Cignaroli e conservate nella Sala degli Scudieri proprio a Stupinigi. Si tratta di un ciclo pittorico formato da quattro grandi tele, numerosi quadri minori e alcune sovrapporte, che fissano come veri e propri fotogrammi di un film, i momenti salienti della caccia reale e molti degli episodi che normalmente si verificano in tale circostanza. Ora, non è questa la sede per ripercorrere lo svolgimento della caccia così come realisticamente rappresentato dal Cignaroli, quanto piuttosto di rilevare come nella maggior parte dei dipinti le scene descritte siano inquadrate entro una cornice di alberi di alto fusto, facilmente riconoscibili come pioppi cipressini. Del resto, sino a non molto tempo fa, alberi di questa specie fiancheggiavano - e ancora qualcuno sopravvive - il tratto terminale del vialone d’accesso alla Palazzina e contornavano l’anello stradale che racchiude il complesso. Il tempo e la vetustà avevano reso quasi tutti gli alberi malaticci e fonte di pericolo, qualora qualche agente atmosferico ne avesse provocato la caduta sulla strada. 164 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
10. nuovi percorsi 165
PALAZZO REALE LE CUCINE, PARTICOLAR (Fotografia di Ernani Orcorte)
Vi sono invece cucine, dispense, cantine, legnaie, ghiacciaie - tutti luoghi certamente
da 224 giorni di grasso e 141 di magro, in realtà ripartito in quattro distinte cucine: quella
non aulici - accanto a fornelli, vasellame, bottiglie, pentolame, da riportare
privata del re, la cucina reale, quella del principe di Carignano e quella del conte di Robilant.
alle condizioni originarie, ricostruendo, o comunque mantenendo in efficienza gli impianti
Inevitabilmente, per soddisfare esigenze di tali dimensioni occorrevano ghiacciaie
originari, così come si presentavano durante il loro impiego. Operazione questa non sempre
e dispense di dimensioni non comuni; e per quanto riguarda le cantine basterà ricordare
facile perché contrastante con le norme di sicurezza via via entrate in vigore, e certamente
che la dotazione normale di vini consisteva mediamente di 900 bottiglie di champagne,
lontane anni-luce dai sistemi in vigore quando di norme non ve ne era nessuna.
700 di bordeaux, 500 di jerez, oltre ad una quantità imprecisata ma certamente notevole,
Si è trattato di una operazione certamente stimolante, in certo senso una sfida
di vini italiani e francesi. Il complesso aveva funzionato egregiamente sino a quando
intellettuale prima ancora che una dimostrazione di capacità operativa. In questo caso, infatti,
la famiglia reale aveva occupato stabilmente il Palazzo, ed aveva avuto ancora un sussulto
ci si muove in un’area sconosciuta dove non esistono regole o protocolli facilmente
di attività in occasione della permanenza torinese del principe ereditario Umberto
applicabili. Ogni caso - e cioè ogni cucina - risente delle abitudini alimentari e delle condizioni
con la consorte Maria José, dopo di che era stato abbandonato, entrando progressivamente
di protocollo di ognuna delle corti che è chiamata a soddisfare: di qui una accurata ricerca
in condizione di degrado, come sempre avviene quando un locale si trasforma da centro
166 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
filologica che parte dalle caratteristiche del
di attività in deposito di materiali dismessi.
personale impiegato e giunge sino all’addobbo
Negli ultimi sessant’anni vi era stato
della tavola da pranzo, passando attraverso
portato di tutto. “Dove erano risuonate
i menù e il loro modo di definire i cibi.
le grida dei garzoni, gli ordini sibilati
Nel corso del tempo le cucine
del maggiordomo sul sottofondo degli
avevano subito vari spostamenti correlati
sfrigolii delle carni arrostite, i passi
ai lavori di ampliamento e di trasformazione
frettolosi dei valletti, i richiami dei cuochi
del Palazzo. Attualmente si trovano nei
attraverso i fumi dei grandi forni, non
sotterranei dell’ala di levante verso i giardini:
restavano che silenzio, mobili malamente
un complesso di oltre venti locali popolati
accatastati, vecchie plance, cassettiere aperte
da cucine per cuocere carni, pesci e dolci, forni
e sventrate, forni in ghisa corrosi dalla
e ceppi, spiedi e mortai, pozzi e ghiacciaie,
ruggine, canaline elettriche vecchie e recenti,
dispense e una grande cantina. E se venti
allestimenti di mostre dimenticate, persino
stanze possono sembrare troppe, occorrerà
una betoniera, macerie, cassoni, polvere,
ricordare che in esse lavoravano 14 cuochi,
polvere, polvere”.
3 garzoni, 4 uscieri di cucina cui andavano
Una descrizione che ricorda molto
aggiunti i maggiordomi, 5 fruttieri, 3 pasticcieri,
da vicino un girone dantesco, e a fronte
25 gentiluomini di bocca, 4 scudieri, 5 guardia
della quale non restava che mettersi
vaselle, 2 maestri di sala; e per finire, alcuni
le
credenzieri e sommellieri di bocca.
immediatamente dopo, come in effetti
mani
nei
capelli;
salvo
PALAZZO REALE LE CUCINE, PARTICOLARE DELLA CANTINA (Fotografia di Ernani Orcorte) PALAZZO REALE LE CUCINE, PARTICOLARE (Fotografia di Ernani Orcorte)
poi,
Un piccolo esercito di persone,
è avvenuto, rimboccarsi le maniche
ciascuna con una funzione ben precisa,
e cominciare ad operare. Il recupero
deputato a soddisfare le esigenze alimentari
dei locali delle cucine faceva, infatti, parte
della famiglia reale lungo un anno formato
del grande progetto di restauro del Palazzo 10. nuovi percorsi 167
PALAZZO REALE LE CUCINE (Fotografia di Ernani Orcorte)
Reale, avviato immediatamente dopo l’incendio della Cappella della Sindone, del quale rappresentava in certo senso la fase conclusiva. Di particolare importanza, viste le condizioni di partenza, la fase preliminare dei lavori, consistente nella documentazione dello stato di fatto e nel successivo sgombero dei materiali accatastati, seguito da una attenta catalogazione dell’esistente. Solo dopo aver completato queste prime incombenze, sì è potuto passare alla fase successiva, consistente nel riadeguamento impiantistico, nel restauro architettonico e degli oggetti: fra questi, oltre duemila pezzi in rame, dalle grandi pesciere ai piccoli stampi per dolci e biscotti! Il successo dell’iniziativa è stato reso possibile anche grazie ad una rigorosa divisione dei compiti: gli interventi di natura architettonica a carico del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il restauro degli arredi fissi e dei materiali metallici, nonché la predisposizione degli allestimenti, a cura della Consulta. Nonostante la complessità della situazione che ci si è trovata di fronte, gli interventi sono riusciti a rispettare il più possibile l’impostazione originaria delle cucine, senza trascurare le trasformazioni intervenute nel corso del tempo. Così, per quanto riguarda gli impianti, le strutture preesistenti sono state ripristinate rendendo visibili le sovrapposizioni storiche, grazie anche al fatto che molte componenti, per quanto vetuste, sono giunte sino ai giorni nostri senza essere demolite: rubinetti, vasche in rame, ascensori, montavivande, radiatori, valvole in bronzo, tubazioni... E, al contrario, occultando quelle installazioni che, dettate dalle moderne norme di sicurezza, non erano previste quando le cucine erano in funzione: dall’impiantistica elettrica a quelle antifurto e antincendio, passando attraverso le telecamere della videosorveglianza. Un occultamento certamente facilitato dalle caratteristiche degli ambienti, dove abbondano passaggi naturali, canne fumarie, camini, passaggi inutilizzati. Particolarmente delicati gli interventi sull’utensileria di cucina, costituita per lo più da recipienti di rame, con l’interno frequentemente rivestito da uno strato più o meno spesso di stagno. Su tali superfici, residui di cibo o altre sostanze estranee, hanno provocato trasformazioni del metallo, sottoponendolo a processi di invecchiamento caratterizzati da formazione di ossidi e, in qualche caso, di sali che hanno dato vita ad efflorescenze. In realtà non vi erano situazioni di particolare degrado, ma più che altro uno stato di vetustà derivata dal mancato uso degli oggetti; per tale ragione gli interventi sono consistiti principalmente in operazioni di lavaggio mirate alla rimozione dei depositi, precedute da test di prova. Per quanto riguarda, invece, gli altri materiali metallici, costituiti principalmente da ghisa e ferro - stufe, scaldavivande, lavandini, cisterne, montacarichi - il restauro è consistito essenzialmente nella rimozione
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10. nuovi percorsi 169
STUPINIGI SERIE DEI MEDAGLIONI DELLA GENEALOGIA SABAUDA, BEROLDO E UMBERTO II, XVIII SECOLO (Fotografie Laboratorio Nicola Restauri)
degli strati di ossido che li ricoprivano, operazione che ha permesso di riportare in luce i marchi delle ditte che avevano costruito tali oggetti. Per altri aspetti poi da un lato si è proceduto alla sostituzione dei mattoni refrattari disgregati di cui era costituita l’anima interna dei forni, mentre le maniglie di ottone e rame sono state per lo più pulite mediante impacchi di acido citrico. In conclusione, come è stato sottolineato, “si è cercato di rendere quel senso di vissuto
meravigliando il visitatore con
le dimensioni dei forni, delle mensole, delle dispense, degli utensili”. E se fino a qualche tempo fa le cucine di un complesso monumentale rientravano fra quelle sale che il pubblico non avrebbe dovuto visitare, perché considerate la parte “sporca” del complesso, locali di nessun pregio, l’intervento realizzato con il concorso della Consulta ha permesso di verificare come anch’esse contribuiscano a comprendere la quotidianità di una organizzazione complessa come quella che regola la vita e le attività di un Palazzo Reale. Al momento dell’inaugurazione il percorso di visita, appositamente studiato, si concludeva nell’Appartamento di Madama Felicita, con uno sguardo sull’addobbo dei locali che costituiscono lo sbocco finale di quanto prodotto nelle cucine: la Sala da pranzo, ove si poteva ammirare la tavola apparecchiata con un servizio di porcellana della Manifattura Reale di Berlino su tovaglia di Fiandra, commemorativa della Guerra di Crimea; il salottino della cioccolata, dove facevano bella mostra alcune tazze di porcellana con vedute architettoniche molto particolari e un servizio d’argento; infine, la stanza della prima colazione dove erano esposti alcuni vassoi d’argento preparati con tazze da tè e da caffè con lo stemma sabaudo, teiera e caffettiera d’argento e piattini per biscotti e paste. Un allestimento raffinato che, se pure destinato a durare un tempo molto breve nulla aggiunge alla suggestione delle cucine vere e proprie, non semplicemente locali di servizio, ma depositarie di una tradizione e di un costume che, senza la loro testimonianza STUPINIGI SERIE DEI MEDAGLIONI DELLA GENEALOGIA SABAUDA, UMBERTO III, XVIII SECOLO (Fotografia Laboratorio Nicola Restauri)
diretta, sarebbe difficile immaginare. Dalla concretezza delle necessità alimentari alla spensieratezza delle celebrazioni dinastiche. Concluso il restauro delle cucine, l’intervento successivo della Consulta riguarda quello che uno scrittore di mistery potrebbe agevolmente intitolare “Lo strano caso dei dodici Medaglioni”. L’oggetto dell’intervento è costituito, infatti, da dodici Medaglioni in legno
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10. nuovi percorsi 171
di grandi dimensioni, scolpiti e dipinti ad imitazione del bronzo sui cui supporti lignei sono
Al tempo stesso, la Consulta
state applicate le figure in altorilievo dei primi conti di Savoia: da Beroldo, figlio di Ugone
ha potuto approfondire l’esperienza
di Sassonia, vissuto fra il 980 ed il 1027, a Pietro, figlio di Tommaso I (1203-1268).
nel campo del restauro di materiali
La fonte cui lo scultore si è ispirato per modellare i ritratti è nota e consiste nelle incisioni
lignei.
realizzate da George Tasnière per l’opera Augustae Regiaeque Sabaudiae Domus Arbor Gentilitia compilata dall’abate Ferrero di Lavriano e pubblicata nel 1703. Ma questa è l’unica certezza. Allo stato attuale delle ricerche, infatti, non si conosce
Se è vero, infatti, che anche in passato in occasione di precedenti restauri, si erano dovute prendere in considerazione
altro. Non si sa, ad esempio, per quale circostanza siano stati commissionati e realizzati,
anche parti in legno, questa era la prima volta in
né chi ne sia stato l’autore. È molto probabile che servissero per decorare qualche apparato
cui il restauro era tutto concentrato su questo
effimero realizzato in occasione di qualche celebrazione dinastica - verosimilmente,
materiale, ponendo problemi, e sollecitando
un matrimonio - ma non è dato sapere di quale si trattasse né presso quale residenza sabauda
soluzioni, in precedenza mai affrontati.
la cerimonia si sia svolta. I Medaglioni sono stati rinvenuti nella Palazzina di Caccia di Stupinigi, di proprietà della Fondazione Ordine Mauriziano, ma nulla autorizza a pensare che siano stati realizzati per quelle sede. Così pure, la presenza di fori simmetrici su ciascun medaglione farebbe supporre una loro collocazione, successiva all’evento per il quale erano stati realizzati, in qualche dimora sabauda: ma non si sa in quale, anche se si può sicuramente escludere che si tratti di Stupinigi. Insomma, tutta una serie di interrogativi, alimentati dalla mancanza di documentazione - inusuale per un’amministrazione come quella sabauda, attenta a registrare anche la più piccola voce di spesa - che vanno ad aumentare il fascino e l’interesse per gli oggetti in questione, sollecitandone un pronto e totale restauro. I medaglioni venuti dal nulla si presentavano in diverse condizioni di degrado. A fronte di alcuni sostanzialmente in buone condizioni, ve ne erano altri sui quali le ingiurie del tempo e del clima avevano procurato gravi danni: porzioni di medaglione andate perdute; elementi decorativi di contorno ai ritratti distaccati; supporti solcati da profonde fenditure; il tutto inevitabilmente ricoperto da strati di sporco. Il restauro, iniziato nella primavera del 2009, ha dovuto quindi operare a tutto campo, ad iniziare da un fissaggio preliminare per salvaguardare la finitura cromatica originale. Si è poi dovuto provvedere allo smontaggio parziale e provvisorio di tutti gli elementi decorativi distaccati e ad inserire innesti a cuneo in corrispondenza delle fenditure. Al tempo stesso si è dovuto procedere alla ricostruzione volumetrica delle porzioni di medaglione andate perdute e alla pulitura completa di tutte le superfici. Il riassemblaggio dei medaglioni risanati e restaurati viene poi seguito dalla stesura di un protettivo. Si è in tal modo recuperato un complesso decorativo di grande suggestione, destinato ad arricchire il percorso di visita della Palazzina di Stupinigi. 172 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
10. nuovi percorsi 173
11.
EFFETTI COLLATERALI
Un’esperienza così varia, giocata sulla quasi totalità degli aspetti dall’architettura alla scultura, dalla pittura al paesaggio, dall’arte raffinata degli arazzi alla cultura materiale delle cucine, dal marmo, al bronzo all’ottone - che concorrono a formare il patrimonio artistico di una città, non poteva non produrre anche effetti, per così dire, collaterali. In altre parole, non poteva non produrre iniziative che, se pure non si collocano direttamente sul terreno del restauro o del recupero, presentano anch’esse una elevata valenza artistica, proprio sul terreno della valorizzazione. È il caso delle mostre.
In questo campo la Consulta aveva già dimostrato la propria capacità al momento della realizzazione della Sala Leonardo della Biblioteca Reale: sala appositamente dedicata alla conservazione e all’esposizione dei materiali più preziosi in possesso della biblioteca. Si è trattato, in quel caso, di mostre collegate ad un evento specifico e alla normale destinazione d’uso della sala. In tempi più recenti, invece, con la contrazione delle risorse pubbliche destinate alla valorizzazione, l’organizzazione di mostre è diventata, in pratica, una seconda missione della Consulta che, anche in questo caso, ha spaziato in più campi, esplorando più terreni: dalla pittura alla cartografia alla ceramica. Si tratta di mostre che recano indiscutibilmente l’impronta della Consulta: eventi organizzati non per una generica valorizzazione di questo o quell’aspetto dell’arte esistente sul territorio, ma rigorosamente finalizzati, da un lato, a focalizzare l’attenzione dei visitatori sul luogo destinato ad ospitarle e, dall’altro ad offrire l’opportunità per una valutazione più approfondita delle opere esposte, tale da far compiere qualche passo avanti alla critica d’arte. Così è avvenuto per la mostra “Bartolomeo Cavarozzi. Sacre Famiglie a confronto”, organizzata presso l’Accademia Albertina nel periodo a cavallo fra il 2005 e il 2006. L’intento era quello di far conoscere ed apprezzare i tesori della Pinacoteca, già oggetto di intervento della Consulta dieci anni prima, e non adeguatamente apprezzata dal pubblico, non soltanto PINACOTECA ACCADEMIA ALBERTINA BARTOLOMEO CAVAROZZI, SACRA FAMIGLIA, INIZIO XVII SECOLO
torinese, abituato a destinare le sue attenzioni soltanto alla Galleria Sabauda. Fra le opere più pregiate conservate nella Pinacoteca, collocata al posto d’onore, vi è la celeberrima Sacra Famiglia di Bartolomeo Cavarozzi, giunta all’Albertina nel 1828, proveniente dalla collezione genovese di Costantino Balbi. Un’altra Sacra Famiglia di Cavarozzi era poi arrivata a Torino attorno al 1990, acquistata dal Fondo Pensioni dell’Istituto Sanpaolo.
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11. effetti collaterali 175
di Giovanni Vespucci e di altri quattro portolani di proprietà della Biblioteca Reale. Anche in questo caso l’occasione di far conoscere ad un vasto pubblico le opere restaurate è coincisa con l’opportunità di rilanciare le potenzialità espositive della Sala Leonardo attraverso l’esposizione dei materiali di natura geografica più significativi di proprietà della biblioteca stessa. La Biblioteca Reale, voluta da Carlo Alberto nel 1831, e inizialmente alimentata da opere di proprietà del sovrano, molte delle quali acquistate sul mercato antiquario europeo, per la varietà del contenuto, si configura come una sorta di “camera delle meraviglie”, le cui collezioni rivelano un interesse variegato e dalle origini antiche nella presenza di libri d’ore, romanzi cortesi e cavallereschi, trattati militari, codici secenteschi illustranti balletti di corte, ricche genealogie e codici di araldica, manoscritti orientali, relazioni di viaggio e rari statuti, BIBLIOTECA REALE JACOPO RUSSO, CARTA NAUTICA DEL MEDITERRANEO, 1565 (Fotografia Fenucci - Y Press) BIBLIOTECA REALE NUNO GARÇIA DE TORENO, CARTA NAUTICA DELLE INDIE E DELLE MOLUCCHE, 1522 (Fotografia Fenucci - Y Press)
Ecco allora che, disponendo in partenza di due opere sullo stesso tema del medesimo
preziose legature, lettere e documenti di principi sabaudi, pergamene, incunaboli spesso unici,
autore, che più volte lo aveva replicato, diventava spontaneo immaginare una mostra che
incisioni e disegni, fondi fotografici di eccezionale interesse storico e, naturalmente, carte
accostasse le due tele presenti a Torino, mettendole a confronto con altre due ospitate altrove:
geografiche e portolani”. Di questi ultimi documenti - spesso disegnati con inchiostri di vari colori
una proveniente da Genova e depositata presso la Galleria Nazionale della Liguria in Palazzo
su pergamene e sovente arrotolati su bastoni per poter essere meglio conservati e consultati -
Spinola; l’altra proveniente, invece, da una collezione privata e presentata per la prima volta
la Biblioteca Reale contiene una notevole raccolta, mentre altri materiali, altrettanto importanti,
in pubblico. Bartolomeo Cavarozzi, nato a Viterbo nel 1587 e spentosi a Roma nel 1625 si ispirò
sopravvissuti all’incendio del 1904, sono conservati presso la Biblioteca Nazionale Universitaria.
all’arte del Caravaggio, dal quale mutuò lo spiccato senso naturalistico e il gusto per la serialità,
È stato perciò naturale raccogliere attorno al Planisfero di Torino una selezione delle opere
che spiega il cospicuo numero di Sacre Famiglie a lui attribuite. La giustapposizione di quattro
più significative. I visitatori hanno così potuto ammirare, tra le altre preziosità, il Theatrum orbis
di esse, ha permesso di rilevare l’impatto unitario e il rigoroso impianto luministico che
terrarum, eseguito da Juan Baptista Lavagna e Luis Teixeira fra il 1597 e il 1611 per la duchessa
caratterizza le prime tre (le due di Torino e quella di Genova): “trasposizione quasi metafisica -
Caterina d’Austria, moglie di Carlo Emanuele I: documento di elegantissima fattura composto
come è scritto nel catalogo - della probabile stanza in cui si trovava il pittore con i suoi modelli,
di 32 fogli di pergamena, separati l’uno dall’altro da fogli di seta colore cremisi, che riassumono
attraverso raffinate capacità luministiche nel suggerire ora una roccia, per metà inghiottita
lo stato delle conoscenze astronomiche, geografiche, nautiche, climatiche e cartografiche dell’epoca.
dall’ombra e per metà svelata da un riflesso di luce, ora un terreno con arbusti, sassi, pianticelle,
Così, mentre viene riportata la recente scoperta della Nuova Zelanda, si dichiara senza
proiettati da un pennello indagatore in una dimensione atemporale”. Mentre, per quanto
difficoltà di non conoscere ancora i confini settentrionali del continente americano. In compenso
riguarda la quarta tela “si assiste a una notevole evoluzione compositiva e linguistica”, tale
il Theatrum è il primo documento geografico a riportare l’indicazione della presenza della Grande
da suggerire suggestivi raffronti con altre opere, non soltanto dello stesso autore.
Muraglia cinese. Nonostante le mancanze dichiarate e le inevitabili imprecisioni, il Theatrum offre
Una mostra piccola, dunque, altamente specialistica, ma di indubbio valore culturale,
un’immagine del nostro pianeta già notevolmente più precisa rispetto a documenti precedenti.
sia sotto il profilo della riscoperta dell’autore, sia sotto il profilo del metodo comparativo utilizzato.
Fra quelli in mostra, il documento più antico è senza dubbio il Commentarius in Apocalypsim
Un caso analogo ha riguardato la mostra successiva, originata dal restauro del Planisfero
et alia, del monaco Beato di Liébana, composto fra XI e XII secolo, nel quale compare
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11. effetti collaterali 177
una rappresentazione della terra nota come il Mappamondo di Torino. Frutto ancora della cosmologia tolemaica, il Commentarius la terra come un disco piatto, diviso in tre continenti: tanti quanti erano i figli di Noè a cui, secondo la genesi, erano stati assegnati Al di fuori, oltre i confini delineati, si sarebbe situata la terra degli Antipodi, il quarto mitico continente, sconosciuto e inaccessibile. Benché privo di intenti pratici, il Mappamondo è interessante non soltanto per la sua antichità, ma anche perché accanto a notazioni di regioni geografiche - Francia, Germania, Gallia Belgia, Dardania... - esso presenta anche nomi di popoli - Suebi, Sarmati... - e di città: Ravenna, Roma, Tolosa, Costantinopoli, Salerna, Cesaraugusta, Narbona e Aquileia. In complesso, il Mappamondo esprime il “clima culturale dell’epoca, un cui tutto lo scibile umano veniva riproposto attraverso il filtro della Chiesa”: lettura, questa, avvalorata
dalla
rappresentazione di Adamo ed Eva e da alcuni riferimenti geografici particolari, come il monte Sinai. Visione tolemaica, si diceva. E anche l’opera originale, la Geographia di Claudio Tolomeo è presente in mostra, in una bella edizione del 1541, di notevole interesse perché, accanto alle ventisette carte originali - andate perdute e ricostruite sulla base delle descrizioni dall’erudito bizantino Massimo Planude nel XIV secolo - ne compaiono altre ventitrè che, da un lato, completano e correggono le prime; e dall’altro forniscono, sempre in chiave geocentrica, informazioni relative alle nuove scoperte, come quella, popolata di cannibali, che mostra le coste americane. Non è questa la sede per illustrare singolarmente i materiali esposti. Ma uno ancora merita di essere richiamato, per l’importanza che ebbe agli albori dell’arte della stampa, e il folgorante successo che conobbe presso i “lettori” dell’epoca: il Liber chronicarum, noto anche come Cronaca di Norimberga di Hartmann Schedel, pubblicato nel 1493. Opera enciclopedica, che si propone di raccontare la storia del mondo divisa in sei età, deve molto della sua fama alle numerosissime illustrazioni: oltre milleottocento xilografie che accompagnano il testo offrendo al lettore immagini di divinità greche e martiri cristiani, eclissi e comete, papi e imperatori, creature fantastiche, città, filosofi, eretici, genealogie bibliche. Il planisfero presente nella descrizione della seconda età del mondo, di classica impostazione tolemaica, più che per la rappresentazione cartografica, è interessante per le immagini che le fanno da corredo: immagini fantastiche di popoli mostruosi, indiani con sei mani, altri con sei dita nelle mani e nei piedi, altri ancora metà uomini e metà cavalli, donne pelose simili a gorilla, altre barbute ma completamente calve, per finire con i Nisicaste, abitanti l’Etiopia occidentale, che dispongono di quattro occhi.
BIBLIOTECA REALE BATTISTA AGNESE, ATLANTE, 1534-1564 (Fotografia Fenucci - Y Press)
Bastano queste poche descrizioni per comprendere quale sia stato l’interesse suscitato da “Terrae Cognitae, La cartografia nelle collezioni sabaude”, come significativamente si intitolava la mostra. Se poi si aggiunge che il visitatore poteva ammirare altri capolavori, quali l’Atlante del genovese Battista Agnese, le carte nautiche di Vesconte Maggiolo e la stupenda tavola miniata 178 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
BIBLIOTECA REALE ATLANTE, XVI SECOLO (Fotografia Fenucci - Y Press)
11. effetti collaterali 179
da Jacopo Russo di Messina - in tutto ventuno capolavori - si comprende facilmente come anche
episodi dell’epopea virgiliana (le sovrapporte: Venere appare ad Enea, Enea e Didone colti dalla
questa iniziativa, nata per celebrare il restauro di una importante carta nautica, sia stata
tempesta, Venere consegna le armi ad Enea, Enea sacrifica ad Apollo, Apparizione di Mercurio,
un importante momento culturale per Torino. La tappa successiva di questo percorso
Partenza di Enea da Cartagine; e le sovrafinestre: Ascanio ferisce il cervo, Enea raccoglie il ramo
ha riguardato, invece, Villa della Regina, sulla quale la Consulta era già intervenuta in passato
d’oro). Di eccezionale valore pittorico, l’intero ciclo era stato trasferito da Villa della Regina
restaurandone il Belvedere e le fontane. Qui i problemi erano sensibilmente diversi.
al Quirinale nel 1893 in occasione dei festeggiamenti per celebrare il venticinquesimo
Non si trattava, infatti, di valorizzare, o restaurare un edificio o un opera d’arte, ma di contribuire
anniversario di nozze dei sovrani d’Italia e destinate a decorare l’appartamento che avrebbe
a ricercare, e possibilmente a recuperare l’identità storica dell’edificio, dopo i restauri, durati molti
ospitato il sovrano di Germania Guglielmo II.
anni, che ne avevano impedito il definitivo degrado.
VILLA DELLA REGINA CORRADO GIAQUINTO, SOVRAPPORTE CON LE STORIE DI ENEA, 1735 CA. (Fotografia Paolo Robino)
Il napoletano Giaquinto era giunto a Torino da Roma, dove stava operando già
Com’è noto, Villa della Regina aveva avuto molte traversie, cambiando anche
da tempo, nel 1733, chiamato da Juvarra per decorare gli ambienti di Villa della Regina in fase
profondamente destinazione d’uso; in particolare, fra il 1868 ed il 1975 era stata utilizzata come
di veloce ristrutturazione. La scelta del soggetto, tratto da Virgilio, era perfettamente consono
collegio femminile per le figlie dei militari; il che aveva comportato la trasformazione di molti
ai gusti dell’epoca e confermava l’adesione del Giaquinto ai canoni dell’Arcadia.
ambienti, e fra essi alcuni dei più importanti - il Salone, le Camere da letto e i “Gabinetti
Nella prima metà del Settecento, Virgilio stava conoscendo una nuova fortuna sia per
alla China” - come aule e sale da ricevimento. Ambienti, peraltro, in qualche caso già depauperati
la traduzione in “ottava rima toscana” dell’Eneide, ad opera di Bartolomeo Beverini, sia,
con il trasferimento di rilevanti elementi d’arredo - come la “Libreria verso mezzanotte e Ponente” del Piffetti e i papiers peints che rivestivano le pareti del “Gabinetto verso Levante alla China” a Roma nel Palazzo del Quirinale. Altri danni, poi, erano stati provocati dagli spezzoni incendiari lanciati dall’aviazione alleata durante i bombardamenti del 1942 e 1943. Per non parlare dei danni provocati dai furti che si erano susseguiti nei circa quindici anni intercorrenti tra l’abbandono dell’edificio da parte dei militari e l’inizio dei lavori di restauro. Si era perciò venuta configurando una situazione per la quale Villa della Regina mentre aveva sostanzialmente recuperato - con il restauro delle parti auliche, dei giardini all’italiana e del teatro d’acque - la sua identità, molto più difficile, se non impossibile, risultava restituire ai singoli ambienti l’aspetto che presentavano quando erano occupati dagli arredi tradizionali. Anche se una parte degli oggetti originali aveva potuto essere recuperata dai depositi in cui erano conservati, o da collocazioni improprie, se non addirittura ritrovati dai Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Artistico, risultava comunque improponibile una ricostruzione completa, non foss’altro che per l’impossibilità di riportare in loco gli arredi trasferiti al Quirinale. Di qui l’idea di procedere, dove non era più possibile disporre dell’originale, a “evocazioni” e, nei casi più favorevoli, a “ritorni temporanei” degli oggetti mancanti. Alcuni di questi ultimi, infatti, per le loro caratteristiche, bene potevano, e possono, essere rimossi dal luogo in cui si trovano collocati, per essere “prestati” temporaneamente all’edificio che li aveva visti nascere. Questo è stato il caso della Mostra “Juvarra a Villa della Regina. Le Storie di Enea di Corrado Giaquinto”, organizzata fra il novembre 2008 e il gennaio 2009. Le storie in questione erano raccontate in sei sovrapporte e due sovrafinestre che originariamente decoravano l’Anticamera e la Camera da letto del Re, e riproducevano alcuni 180 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
11. effetti collaterali 181
GALLERIA SABAUDA PAOLO VENEZIANO, LA MADONNA ADDOLORATA GALLERIA SABAUDA PAOLO VENEZIANO, SAN GIOVANNI BATTISTA
soprattutto, per il successo riscosso dalla Didone abbandonata di Pietro
Si è trattato di un intervento fortemente innovativo che testimonia
Metastasio, una delle opere più rappresentative della cultura arcadica.
dell’attitudine della Consulta di affrontare il difficile compito della
L’opera era ben conosciuta, ed apprezzata, anche a Torino, dove era stata
valorizzazione percorrendo strade nuove; e che, si può esserne certi, troverà
oggetto, nel 1727, di ben quattro rappresentazioni al Teatro Regio, e dove
sicuramente altre applicazioni. I risultati conseguiti con le mostre dedicate a
sarebbe stata riproposta ancora nel 1736. Grazie alla collaborazione con il
Cavarozzi e a Giaquinto hanno poi incoraggiato la Consulta a proseguire
Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica è stato dunque
sulla stessa strada anche nella mostra successiva, abbinando a opere
possibile procedere alla ridefinizione e proposizione di ricostruzioni, anche
presenti nelle raccolte torinesi altre provenienti da musei stranieri. Il punto
virtuali degli ambienti della Villa. Ragioni di natura conservativa, ma anche
di partenza è stato il restauro, curato dalla Consulta, di dieci tele della
motivi contingenti, non hanno consentito di reinserire i dipinti del
Galleria Sabauda, in previsione del trasferimento in altra sede della
Giaquinto nei loro spazi originari, ossia nelle cornici delle sovrapporte della
pinacoteca. I quadri presi in considerazione erano fra i più importanti del
Camera da letto del Re. E questo anche perché, nell’adattamento agli spazi
museo ed è apparso logico presentare al pubblico il risultato del restauro. È
del Quirinale, due tele erano state ridotte di dimensioni in alto e in basso.
nata così la mostra “Meraviglie della Galleria Sabauda”, aperta dal 23 febbraio
Si è scelta dunque la strada di presentare i sei quadri, montati su supporti
al 23 maggio 2010.
mobili, nel Salone dove, tra l’altro si poteva anche operare un suggestivo
Il termine “meraviglie” non stupisca: i quadri restaurati sono infatti
confronto con le storie mitologiche affrescate sulle pareti dallo stesso
altrettanti capolavori di primissimo piano di una galleria che, certamente,
pittore. Per dare, invece, un’idea di come era la Camera da letto in origine,
in fatto di capolavori, non difetta. Otto di essi provengono dalle collezioni
si è provveduto ad inserire nelle cornici delle sovrapporte delle perfette
di pittura fiamminga e olandese, che sono le più ricche fra quelle ospitate
riproduzioni degli originali. Analogamente, per la Libreria del Piffetti e per
nella Galleria, e il cui nucleo principale è costituito dalle opere provenienti
la boiserie del Gabinetto alla China,
dalla quadreria del principe Eugenio di Savoia-Soissons, nel Palazzo del
anziché pensare ad una fedele
ricostruzione degli ambienti originari, si è ritenuto preferibile procedere ad una loro
Belvedere di Vienna. Le altre due tavole, invece, erano state donate nel 1930 da Riccardo
“rievocazione”. Nel caso del Gabinetto, questa è stata realizzata mediante la riproduzione su
Gualino con le loro cornici di collezione e appartenevano alla ricchissima raccolta di
teli a larga trama dei motivi che ornano i pannelli oggi al Quirinale, a seguito di un puntuale
oggetti d’arte che abbellivano la sua dimora di via Bernardino Galliari. Nel 1933 le due tavole
rilievo fotografico. È stata una scelta innovativa che ha consentito al visitatore di rendersi
vennero trasferite a Londra per abbellire la sede dell’Ambasciata d’Italia, e solo fra il 1948 e il
conto contemporaneamente di come si presentava il locale all’origine e di come si presenta
1950 sono state recuperate alla pinacoteca torinese. Le due tavole, che raffigurano
oggi. Per la Libreria, invece, dove il problema era quello di recuperare la tridimensionalità
rispettivamente la Vergine addolorata e San Giovanni, tradizionalmente attribuite a Lorenzo
dell’oggetto, partendo dai rilievi fotografici e dimensionali, utilizzando un software dedicato,
Veneziano, mentre la critica più recente le ritiene opera del suo maestro Paolo Veneziano
si è ottenuta la ricostruzione tridimensionale dell’oggetto, derivandone un’immagine in
furono composte probabilmente fra il 1340 e il 1345, e in ogni caso prima del 1362, anno
movimento che restituisce la libreria nella sua forma originaria e nella sala per cui era stata
della morte di Paolo. Esse dovevano costituire i due tabelloni “a vento” laterali di una grande
concepita. Il risultato è stato particolarmente suggestivo.
croce dipinta per una sede importante che non è stato possibile identificare, anche se un
All’arrivo del visitatore la sala appariva spoglia, solo parzialmente illuminata
esempio di come poteva essere l’insieme lo si può ancora vedere nella chiesa dei domenicani
nella parte di pavimento ancora originale e negli affreschi che ornano il soffitto. Un sensore
di Dubrovnik (Ragusa), opera anch’esso di Paolo Veneziano. Il restauro ha restituito ai due
di presenza segnalava l’arrivo del visitatore e, attraverso un sistema di controllo, determinava
“fondi oro” lo “straordinario fulgore cromatico, permettendo finalmente di cogliere nella loro
l’abbassamento delle luci, mentre in retroproiezione appariva la ricostruzione virtuale
pienezza le alte qualità pittoriche nella stesura raffinata degli incarnati e nella grande forza
della Libreria. Anche in questo caso, il pubblico vedeva inizialmente l’ambiente odierno, cui
espressiva dei dolenti”.
si veniva a sovrapporre in trasparenza l’immagine di come era in origine.
182 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
Dalle collezioni dei fiamminghi sono stati scelti, invece, quattro nature morte e due 11. effetti collaterali 183
quadri di genere. Le prime sono dovute: a Jan Davidsz (1606-1683/84) e Cornelis (1631-1695) De Heem, Frutti, fiori, funghi, insetti, lumache e rettili; a Abraham Mignon (1640-1679), Tronco d’albero con fiori, insetti, lumache, un cardellino in un nido e rane in uno stagno; ancora a Cornelis De Heem, Vaso con fiori e insetti; e ancora a Abraham Mignon, Vaso con fiori, insetti e due pannocchie di granoturco. I due quadri di genere sono invece opera di Antoine Sallaert (1590-1658), Processione delle fanciulle dal Sablon a Bruxelles; e di Anton Van Dyck (1599-1641) e bottega, Amarilli e Mirtillo. Ma fra le opere restaurate a cura della Consulta, quelle che hanno maggiormente caratterizzato la mostra, facendone un evento di rilevanza nazionale, sono state le ultime due: la tavola di Bernard van Orley (1488-1541) Carlo Magno depone nella Cattedrale di Aquisgrana il piatto e il calice della cena di Cristo; e i due pannelli laterali del Trittico dell’Annunciazione realizzato nell’atelier di Rogier van der Weyden, risalente al periodo 1435-1440. Le due opere avevano un passato in parte misterioso e in parte turbolento. In particolare, il Trittico dell’Annunciazione faceva parte delle collezioni sabaude fin dal 1635, GALLERIA SABAUDA ROGER VAN DER WEYDEN, TRITTICO DELL’ANNUNCIAZIONE, DONATORE E LA VISITAZIONE L’ANNUNCIAZIONE, MUSEO DEL LOUVRE
ma la tavola centrale era stata portata a Parigi nel 1799, durante l’occupazione napoleonica, dove era destinata a rimanere in via permanente, inserita nelle collezioni del Louvre. A lungo incerta, invece, l’origine della tavola di Bernard van Orley. Proveniente dalla collezione genovese dei Durazzo, ancora a fine Ottocento si era ritenuto che facesse parte di un polittico commissionato al pittore dalla confraternita di Santa Croce di Furnes,
184 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
GALLERIA SABAUDA BERNARD VAN ORLEY, CARLO MAGNO DEPONE NELLA CATTEDRALE DI AQUISGRANA IL PIATTO D’ARGENTO E IL CALICE DELLA CENA DI CRISTO, BRUXELLES, MUSÉES ROYAUX DES BEAUX-ART DE BELGIQUE BERNARD VAN ORLEY, SANT’ELENA DI FRONTE A PAPA SILVESTRO
11. effetti collaterali 185
nelle Fiandre. Solo nel 1930, infatti, si era potuto stabilire un collegamento fra questa tavola ed una conservata a Bruxelles, Sant’Elena e Costantino davanti a papa Silvestro a Roma. Come era già avvenuto nel caso della mostra su Cavarozzi, diventava naturale pensare di poter ricostituire, sia pure solo temporaneamente, l’unità delle due opere ottenendo dai musei che le custodivano le parti mancanti.
PALAZZO MADAMA MOSTRA CERAMICA LENCI, MARZO-AGOSTO 2010
Il parere favorevole del Museo del Louvre e dei Musées Royaux des Beaux Arts di Bruxelles ha consentito al pubblico di ammirare ricomposto il Trittico di Van der Weyden e le due ante conosciute del Polittico di Van Orley. Si è trattato di un evento straordinario e, probabilmente irripetibile. 186 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
PALAZZO MADAMA ELENA KOENIG SCAVINI, COLPO DI VENTO, 1934, COLLEZIONE PRIVATA
11. effetti collaterali 187
PALAZZO MADAMA MARIO STURANI, MAIALETTO, 1928, COLLEZIONE PRIVATA PALAZZO MADAMA MARIO STURANI, VASO PAESAGGIO, 1936, COLLEZIONE PRIVATA
Ma le sorprese non erano terminate. Sul retro della tavola di Bruxelles, Bernard van
e gli animaletti di panno usciti dall’atelier di via Cassini, ma anche perché le vicende di questa
Orley aveva dipinto una Andata al Calvario, mentre sul retro di quella di Torino non era visibile
industria - che tale è stata - sono intimamente legate con la vita torinese nel periodo fra le
nessun tipo di intervento. In fase di restauro, la ripulitura della parte posteriore della tavola
due guerre.
ha fatto emergere una composizione complementare a quella visibile nella tavola di Bruxelles.
La fabbrica di bambole Lenci nasce infatti nel 1919 ad opera dei coniugi Enrico
In particolare, mentre su quest’ultima è raffigurata la scena di Cristo che porta la croce
Scavini ed Elena König, alla quale si devono i primi modelli, realizzati in pezza e stracci.
condotto al Calvario da tre sgherri, sulla tavola di Torino si vedono un Sgherro reggifune,
Il momento è favorevole, la guerra ha lasciato come strascico una forte inflazione che falcidia
Madonna dolente, San Giovanni e il donatore.
i salari, ed anche i giocattoli per bambini risentono di questa situazione. Le bambole
Un’autentica scoperta destinata ad aprire nuovi orizzonti sull’originaria destinazione
tradizionali, con il volto e gli arti in ceramica e gli abiti con crinoline, oltre ad essere molto
del complesso figurativo, che ancora una volta testimonia della capacità di Consulta
costose sono anche fragili. Le bambole Lenci, che verranno presto realizzate con
non soltanto di valorizzare il patrimonio artistico torinese, ma anche di stimolare la ricerca
un particolare tipo di panno, oltre a costare meno sono anche più facilmente maneggiabili,
e la critica d’arte. Se fino ad ora le mostre promosse dalla Consulta avevano per oggetto
e quindi più adatte ai bambini. Il successo è immediato, favorito anche dalla partecipazione alle grandi rassegne del
importanti documenti artistici e culturali di un passato più o meno remoto, presenti in musei ed istituzioni cittadine, era
188 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
giunto il
tempo,
come
la
Prima
momento di occuparsi anche di arte in
Internazionale
qualche misura “contemporanea”, come già
tenutasi a Monza nel 1923, o la Exposition
era accaduto nel caso della Cancellata di
Internationale des Arts Décoratifs et
Umberto Mastroianni. L’occasione per
Industriels Modernes, nel 1925 a Parigi,
intervenire venne offerta dalla presenza a
prodighe entrambe di premi per la fabbrica
Torino di collezionisti importanti, u n o t r a
torinese: che, incoraggiata dai risultati,
l o r o s o c i o d i C o n s u l t a , e dall’acquisto
amplia la produzione dedicandosi, oltre
dell’Archivio Lenci da parte del Comune di
che alle bambole, anche ad altri giocattoli
Torino. Vista la disponibilità dei collezionisti
per bambini e agli accessori femminili.
a consentire l’esposizione dei loro pezzi
L’occupazione, nel 1925, raggiunge le 600
migliori, era quasi naturale che Consulta
unità. Con il successo, arrivano però anche
pensasse ad organizzare una mostra.
i problemi. La concorrenza non tarda a
L’evento, realizzato in collaborazione con
farsi sentire, immettendo sul mercato
Palazzo Madama, che per l’occasione
imitazioni, spesso grossolane, dei prodotti
metteva a disposizione il Salone del Senato,
Lenci. Ma il mercato, che si rivolge ad un
si è svolto fra l’aprile e l’agosto 2010,
pubblico infantile poco attento alla qualità,
riscuotendo un grande successo di
assorbe anche questi prodotti, provocando
pubblico. Indubbiamente il nome di Lenci a
un danno economico quantificabile in una
Torino
sensibile caduta dei ricavi.
continua
ad
essere
molto
delle
Arti
Esposizione Decorative,
popolare, non foss’altro per il fatto che
Ed è per colmare il “buco” che si
alcune generazioni di bambini - femmine e
sta verificando nei conti aziendali, che la
maschi - hanno giocato con le bambole
Lenci decide di produrre ceramiche d’arte, 11. effetti collaterali 189
PALAZZO REALE MOSTRA “IL TESORO DELLA SINDONE”, MAGGIO-APRILE 2010
chiamando a raccolta i migliori artisti operanti in quel momento a Torino: da Gigi Chessa a Giovanni Grande, da Felice Tosalli a Teonesto Deabate, da Sandro Vacchetti a Mario Sturani. Nonostante il buon successo che anche le ceramiche riscuotono, l’azienda non riesce a risalire la china; la Grande Crisi del 1929, soprattutto le conseguenze che ne deriveranno ai mercati europei, faranno il resto, dando il colpo di grazia. Nel 1933 la coppia Scavini-König è obbligata a far entrare altri soci, e nel 1937 dovrà cedere definitivamente la mano. Ristrutturata e trasformata, l’azienda rimarrà in vita sino al 2002, quando sarà dichiarata fallita, dopo essere passata di mano nel 1997. La mostra curata da Consulta - 134 ceramiche e 30 bozzetti - copre dunque un periodo, tutto sommato breve, della storia della Lenci, che però è il periodo certamente più creativo, ed ha il grande merito di accendere i riflettori su un capitolo di storia torinese normalmente poco praticato: quello riguardante la Torino di Riccardo Gualino e l’esperienza artistica del secondo futurismo. Molti degli artisti impegnati nella realizzazione delle ceramiche provengono infatti dalla cerchia dell’industriale - mecenate e sono le figure di punta delle iniziative artistiche che si realizzano in quegli anni a Torino, dove già nel 1922 era stata allestita l’Esposizione Futurista Internazionale, sfociata l’anno successivo nella costituzione del Movimento Futurista Torinese. Se questa benefica incursione nella cultura artistica torinese della prima metà del Novecento trovava il suo punto di forza nella popolarità dei protagonisti, a cominciare dalla signora Lenci, l’iniziativa successiva della Consulta nasceva dal constatato attaccamento dei torinesi ad uno dei simboli più venerati della loro Città: la Santa Sindone, ossia il lenzuolo sul quale sono riprodotte le fattezze di Colui che molti - moltissimi - ritengono essere il Cristo. Occasione dell’intervento è stata l’Ostensione, evento eccezionale che si ripete soltanto a distanza di decenni richiamando ogni volta milioni di pellegrini. Nel corso dei secoli, dacché il Sacro Lenzuolo è stato trasferito a Torino da Chambery, accanto alle ostensioni si sono avute molte acquisizioni di oggetti sacri e di uso liturgico che, nel tempo, sono andati a formare il “Tesoro” della Sindone. Conservato nella Sacrestia della Cappella guariniana, il tesoro consiste in un ricco e variegato patrimonio di oltre 700 pezzi: arredi, oggetti e paramenti liturgici, fra i quali spicca, per importanza la Rosa d’Oro, preziosissimo vaso con fiori stilizzati realizzato in oro battuto, argento dorato, cesellato e sbalzato, legno intagliato e smalto, realizzato alla metà dell’Ottocento e donato dal papa Pio IX alla regina Maria Adelaide Asburgo Lorena in occasione della nascita della principessina Maria Pia. Benché depauperato nel corso dei secoli da spoliazioni e trasformazioni (molti degli oggetti in argento sono stati rifusi per produrne altri), il Tesoro della Sindone continua a rappresentare una straordinaria collezione che permette di delineare un profilo delle scelte artistiche effettuate dalla committenza sabauda fra il XVII e il XX secolo. Questo grande
190 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
11. effetti collaterali 191
patrimonio sinora non era mai stato esposto al pubblico, ed è quindi merito della
che se da un lato deve testimoniare il passato, dall’altro
Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici aver provveduto a colmare la lacuna
non può sottrarsi alle suggestioni offerte dalla tecnologia
esponendo il Tesoro della Sindone nei luoghi della Sindone: la Sacrestia, la Galleria,
più avanzata, chiamata di continuo a superare se stessa,
la Cappella Regia e le Tribune Reali. A quest’evento, di per sé eccezionale, mancava però
grazie a sempre nuove innovazioni. Così, l’allestimento di
un tassello che lo avrebbe reso ancora più straordinario: l’esposizione delle oltre 30 incisioni,
grande impatto scenografico è gestito da una struttura
quadri e disegni che raffigurano le principali ostensioni svoltesi a Torino fra il 1578 e il 1931:
tecnologica complessa e delicata; ma, soprattutto, una
incisioni che facevano parte della collezione di Umberto II e che attualmente sono in
struttura
dotazione alla Fondazione Umberto II e Maria José di Savoia, presieduta dalla figlia Maria
adeguamenti.
di
trasformazioni,
modifiche,
Gabriella. A presentare adeguatamente questa sezione della mostra ha dunque provveduto
L’intervento della Consulta, sollecitato dal Museo
la Consulta, in collaborazione con Martini & Rossi. Si è trattato di un evento, a modo suo,
nella previsione delle celebrazioni per il 150° anniversario
straordinario, perché i preziosi materiali raccolti da Umberto II erano stai esposti una volta
dell’Unità Nazionale, ha preso in considerazione entrambi
soltanto in occasione dell’Ostensione del 1931. Successivamente, vicende belliche e dinastiche
gli aspetti. Un capitolo particolarmente impegnativo ha
avevano danneggiato in misura sensibile la raccolta, nuovamente ricostituita, per quanto
riguardato la grande Aula del Tempio, dove sono collocati
possibile, durante gli anni dell’esilio. Questa è dunque la prima volta in cui l’importante
due grandi schermi sui quali vengono proiettati filmati di montaggio, realizzati con materiali di
documentazione viene esposta al pubblico, proponendo più di un motivo di curiosità.
proprietà del Museo, che si alternano con videoproiezioni sulla volta interna della cupola. Le
Un nucleo considerevole di stampe della collezione rappresenta, infatti, alcune tra le
esigenze legate a questo duplice alternarsi di proiezioni poneva non facili problemi
principali Ostensioni avvenute a Torino nel corso dei secoli. Spiccano, fra le altre, l’incisione
di illuminazione, ai quali sin dall’inizio si è ovviato attraverso un sistema di tende comandate
di F. Ber, Il verissimo ritratto del Santissimo Sudario di Nostro Signore Giuesu Christo -
elettricamente secondo un programma di gestione che sincronizza i movimenti con i cicli
Ostensione della Santa Sindone nel 1663; e quella di Giovanni Fayneau, Ostensione della
di proiezione. Le tende, collocate davanti a tutti i finestroni che danno luce alla grande sala,
Santa Sindone nel 1684. In generale, nelle incisioni esposte, accanto a una dettagliata
servono infatti a garantire un’illuminazione diffusa durante le proiezioni, non disturbate
illustrazione del Sacro Lenzuolo, vengono mostrate le strutture effimere realizzate per
dalla luce proveniente dall’esterno; mentre, quando vengono sollevate, lasciando penetrare
l’occasione e si vedono scorci di Torino (Piazza del Castello) che forniscono una suggestiva
la luce esterna e consentono di apprezzare le caratteristiche strutturali dell’edificio.
immagine della città colta nei momenti in cui, più che in ogni altro, veniva proposta
Dopo nove anni di onorato servizio, il sistema installato all’atto dell’inaugurazione
al pubblico la magnificenza della dinastia detentrice della più importante reliquia
nonostante la costante manutenzione, manifestava tutta la sua vetustà, al punto da non essere
della cristianità. Che è, poi, un altro modo di “leggere” la storia di Torino.
più riparabile. Di qui l’intervento della Consulta, che ha provveduto al rifacimento completo
Nel 2009 si è aggiunta anche un’altra opportunità per consentire ai visitatori una migliore fruibilità del patrimonio artistico disponibile attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie,
MUSEO NAZIONALE DEL CINEMA COLLEZIONE DEI MANIFESTI STORICI (Fotografia di Francesca Brizi)
suscettibile
dell’impianto, garantendone la fruibilità per un congruo numero di anni. Ma se in questo caso si è trattato quasi soltanto di un intervento di manutenzione,
così da rendere accessibili materiali in precedenza non visibili. Il primo intervento di questo
di diverso genere
genere ha riguardato il Museo Nazionale del Cinema, che fin dalla sua inaugurazione nel 2000
i cosiddetti “effetti speciali”, la cui illustrazione, nella sezione che li ospita, costituisce una
si è affermato come il museo cittadino più visitato e amato dai frequentatori, stabilmente
delle principali attrattive del Museo, molto frequentata dal pubblico, soprattutto per
collocato oltre le 500.000 unità annue. A questo risultato hanno certamente concorso la
la possibilità che gli è offerta di intervenire in modo interattivo. La sezione comprende
caratteristica straordinaria - per non dire unica - dell’edificio che lo ospita, e l’allestimento
la ricostruzione di un effetto meccanico pionieristico inventato da Meliès, la riproduzione
progettato da François Confino che ha saputo conciliare, con felice sintesi, la valorizzazione
di un matt painting (procedimento in uso nel cinema americano negli anni ’60 e 70’) e, infine,
delle collezioni museali con la considerazione per la rilevanza architettonica del monumento.
la dimostrazione pratica delle possibilità offerte dalla tecnologia digitale di inserire una ripresa
Come il cinema che ne costituisce l’oggetto, anche il Museo è un’opera in progress,
dal vivo (il visitatore ripreso da una telecamera) all’interno di una sequenza filmata
192 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
sono gli altri due realizzati nella stessa circostanza. Il primo riguarda
11. effetti collaterali 193
preesistente. In quest’ultimo caso il visitatore “partecipa” direttamente all’azione proiettata
scopi per i quali sono state conferite. Il
sullo schermo, secondo un modello di apprendimento dinamico che abbina la dimensione
problema
didattica a quella ludica. Il sistema in vigore, realizzato alla fine del 2005, oltre a dimostrarsi
necessità di evitare sprechi o di
inadeguato sia perché di difficile comprensione, sia perché sovente fermo a causa di guasti,
controllare la congruità delle spese: le
forniva immagini a bassa definizione, e quindi scarsamente leggibili. Il rifacimento patrocinato
capacità
da Consulta, oltre a garantire un perfetto funzionamento dell’installazione propone anche un
imprenditoriali dei Soci sono tali da
immagine ad alta definizione, in grado di emulare il livello di compiutezza proprio degli effetti
mettere al riparo da questi pericoli,
speciali che si vedono al cinema. Questo risultato è dovuto all’impiego di una videocamera
impedendo che si commettano errori o
HD e alla sostituzione dello schermo di tela con due monitor LCD in Full HD. Ma il pezzo forte
sviste significativi. Il pericolo vero - ma
dell’intervento è ancora un altro, e riguarda la fruizione dell’imponente collezione di manifesti
più che un pericolo, una situazione di
in possesso del Museo, per sua natura difficilmente consultabile con mezzi ordinari.
fatto - riguarda i costi derivanti dagli
riguarda
tecniche,
tanto
finanziarie
la
ed
Per ovviare a questa difficoltà è stata progettata una sorta di “libreria” interattiva
adempimenti burocratici, amministrativi
nella quale vengono raccolti, digitalizzati, gruppi di immagini suddivisi per argomento.
e fiscali imposti dalla legislazione
Il modulo espositivo adottato racchiude al proprio interno un sistema di proiezione,
italiana. Per molto tempo sono state
un sistema di elaborazione dati e un sistema tracking. Grazie ad uno schermo ad alta
queste incombenze a rendere poco
luminosità e definizione il visitatore può accedere all’archivio, mentre il sistema tracking
attraente per le imprese la partecipazione
è in grado di percepire il movimento della mano che indica una particolare immagine.
a programmi di valorizzazione delle
In questo modo il visitatore può scegliere di “sfogliare” una determinata serie di manifesti, selezionata fra le tante offerte dal menu principale.
CENTRO CONGRESSI UNIONE INDUSTRIALE DI TORINO WORKSHOP 2007, 2008 (Fotografie Franco Borrelli)
non
risorse artistiche e culturali del territorio. Capire in che modo luoghi d’arte,
In questo modo l’immagine esce dalla sua sede e si dispiega di fronte all’osservatore
musei e centri espositivi possano
con un effetto di grande spettacolarità. Il visitatore può poi continuare a consultare la serie,
rendersi più attraenti per le imprese e i
eseguendo il semplice gesto di sfogliare nell’aria, senza essere costretto ad azionare alcun
finanziatori privati; ragionare sulle
dispositivo. Si tratta dunque di un intervento di avanguardia, che oltre a facilitare l’accesso
opportunità per le imprese italiane di presenza internazionale offerte dall’arte; riflettere su
ai manifesti, raggiunge anche l’obbiettivo di stupire e divertire.
come comunicare con il consumatore d’arte, parte di un pubblico fatto di persone diverse,
Sulla stessa linea dell’intervento al Museo Nazionale del Cinema, se ne collocano
con culture diverse e con diversi approcci; e, infine, approfondire il delicato problema degli
altri, anche se più tradizionali e sono costituiti dalle audioguide che Consulta ha realizzato per
incentivi fiscali e del ritorno per le imprese: sono questi i temi che Consulta ha affrontato nel
facilitare la visita delle collezioni di Palazzo Madama e del Museo di Arte Orientale, mentre
corso di tre distinte giornate di studio, in occasione delle Settimane della Cultura d’Impresa di
è in fase di realizzazione quella riguardante il Museo del Risorgimento, il cui nuovo
Confindustria. La prima “Il finanziamento privato dei Beni Culturali: ruolo delle imprese
allestimento viene completato, come è noto, per le celebrazioni del centocinquantesimo
prospettive e percorsi innovativi” si è tenuto nell’ottobre 2007, in concomitanza con le
dell’Unità d’Italia. Tali interventi non presentano caratteristiche di particolare rilievo; qui
celebrazioni per il ventennale dalla fondazione di Consulta. Al fitto programma di lavori hanno
vengono ricordati unicamente per sottolineare la grande varietà di interessi che muove la
preso parte, oltre al presidente di Confindustria, una nutrita schiera di specialisti - soprintendenti,
Consulta, sempre più orientata ad operare a tutto campo e ad esplorare nuovi territori.
direttori di musei, tecnici del restauro, funzionari ministeriali.
E uno degli obiettivi primari perseguito dalla Consulta è certamente quello
Il tema degli incentivi di natura fiscale ha poi costituito oggetto della seconda
dell’ottimizzazione delle risorse disponibili: sostanzialmente si tratta di far sì che le risorse
giornata, che si è tenuta nel novembre 2008: “Fiscalità - Beni Culturali - Imprese”. In quella
messe a disposizione dai Soci vengano effettivamente impiegate per il raggiungimento degli
occasione obbiettivo primario è stato quello di fornire alle imprese una descrizione chiara ed
194 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
11. effetti collaterali 195
esaustiva
degli strumenti e della normativa che tendono ad incentivare, attraverso un
e la creatività per cogliere le occasioni che i beni culturali offrono per parlare in modo diverso,
trattamento fiscale più favorevole, gli investimenti sul patrimonio artistico. Operazione
originale, esclusivo con i propri clienti. L’insieme delle tre giornate di studio, raccolto
indispensabile, dal momento che le opportunità esistenti molto spesso non vengono
in volume può essere considerato come l’inventario più attuale dei problemi, delle
adeguatamente utilizzate: o perché scarsamente conosciute, o perché di difficile
opportunità, dei risultati, ma anche delle necessità, che ruotano attorno al complesso
interpretazione e applicazione. Al tempo stesso, attraverso un attento esame dei regimi
problema del rapporto fra imprese e cultura, fra sponsor e mondo dell’arte. Una iniziativa che
esistenti negli altri paesi europei che dispongono di un importante patrimonio artistico,
poteva scaturire soltanto da una realtà come Consulta, forte della sua più che ventennale
si è voluto stimolare la riflessione sulle innovazioni e miglioramenti che si potrebbero
esperienza. Ma l’esperienza della Consulta ha trovato modo di essere utilizzata anche in altre
apportare alle attuali disposizioni legislative e regolamentari.
direzioni; non soltanto in fase applicativa, con interventi diretti, ma anche in fase progettuale,
Nella riflessione di Consulta, il problema centrale rimane sempre lo stesso:
proponendo soluzioni rivolte a risolvere problemi vecchi e nuovi, in qualche modo collegati
comprendere come e con quali mezzi la sponsorizzazione culturale può avere ricadute
alla fruizione del patrimonio artistico e architettonico della Città; o, più semplicemente,
positive sulle imprese che la praticano.
proponendo quelle soluzioni che - proprio sulla base dell’esperienza maturata in tutti questi
A questo interrogativo ha risposto la terza giornata di studio del novembre 2009,
anni - sono ritenute le più idonee ad essere apprezzate dal pubblico dei potenziali fruitori.
“La sponsorizzazione dei Beni Culturali, nuovo media per le imprese? Opportunità
Così, è stato avviato uno studio per un progetto didattico riguardante la fruizione della
ed esperienze”. Se è vero che il museo, o comunque il luogo dell’arte, persegue una missione
Pinacoteca dell’Accademia Albertina, mentre un altro studio si è interessato della futura
che riflette - e non potrebbe non riflettere - un radicamento nel territorio, molte imprese
sistemazione del cosiddetto “Polo Reale”.
finiscono per essere i naturali interlocutori. E se è vero che la tecnologia sta rivoluzionando il mondo dell’arte, sono anche
TORINO PIAZZA VALDO FUSI PROGETTO DI RIQUALIFICAZIONE
Importante e attuale, in questo capitolo dell’attività della Consulta è stato il progetto relativo alla risistemazione e riqualificazione di piazza Valdo Fusi.
mutate le aspettative del pubblico circa il ruolo della pubblicità, che deve essere in grado
Si tratta di un argomento quanto mai spinoso e controverso. La piazza, sorta sulle
di promuovere stili di vita e di consumo più responsabili. La conclusione cui perviene
macerie dell’edificio costruito per ospitare il Regio Museo Industriale e la Scuola di
la giornata di studio è quasi obbligata. Nuova vitalità dei musei, progetti culturali forti,
Applicazione per Ingegneri, enti poi confluiti nel Politecnico, per oltre un cinquantennio era
opportunità e interazioni con aziende innovative, rivoluzione tecnologica nel mondo dell’arte,
stata adibita a semplice parcheggio, punteggiato da alberi di modeste dimensioni. Una
contenuti valoriali nel mondo della pubblicità: tutto questo richiede un cambiamento
soluzione che non poteva durare in eterno, anche per il fatto che l’area in questione era
profondo anche alle imprese, ai centri media e alle agenzie di pubblicità e il coraggio
circondata da palazzi di alto valore architettonico, di ieri e di oggi, come l’antico Ospedale di
196 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
11. effetti collaterali 197
San Giovanni e la più recente sede della Camera di Commercio di Carlo Mollino.
12.
NEL SEGNO DELLA TRADIZIONE
L’occasione per pensare ad una sistemazione definitiva, tale da valorizzare tutto il complesso architettonico dell’area si presentò
Le attività descritte nel capitolo precedente dimostrano che la Consulta
in concomitanza con la realizzazione, nel sotto-
ha affiancato agli interventi che avevano rappresentato la ragione stessa per
suolo, di un parcheggio automobilistico, ma
la quale essa si era costituita - i restauri, il risanamento di edifici, la pulitura
il progetto, ultimato nel 2004, che creava
di monumenti - un’importante attività di valorizzazione.
barriere e strutture fisse sui lati delle vie Cavour e Giolitti, si rivelò ben al di sotto anche delle più modeste aspettative. Le critiche furono immediate e parve ai più come un pugno nell’occhio, una ferita aperta nel cuore aulico della città. Innumerevoli furono le proteste dei cittadini sulla stampa locale, tanto che lo stesso Sindaco si rifiutò di partecipare all’inaugurazione. Quasi subito prese corpo l’idea che quella sistemazione andasse, se non rifatta
La possibilità di operare in campi diversi fra loro, mettendo a frutto l’esperienza maturata, è tanto maggiore se questa esperienza si arricchisce continuamente grazie a nuovi interventi. Saggiamente quindi la Consulta, mentre da un lato si avventurava su terreni nuovi, dall’altro manteneva dritta la barra continuando ad operare nei settori tradizionali. Per verificare l’attendibilità di questa affermazione è sufficiente verificare l’attività della Consulta negli ultimi tre anni. Così, nel 2008, accanto alla realizzazione del nuovo
TEATRO CARIGNANO IL TRIONFO DI BACCO, PLAFONE, 1845 (Fotografia Laboratorio Nicola Restauri)
completamente, almeno modificata, in modo da renderla meno offensiva per la vista dei cittadini e meno penalizzante per l’importanza dell’area. Per iniziativa di alcuni cittadini, si costituì un Comitato con lo scopo di bandire, solo con sponsor privati e grazie ai fondi raccolti con pubblica sottoscrizione, un concorso di progettazione di alto livello per elaborare proposte alternative per una nuova sistemazione del Piazza Valdo Fusi e delle aree versi adiacenti, l’Aiuola Balbo e Piazza Carlina. Al concorso, bandito a livello internazionale, partecipano numerosi studi di architettura, ed alla fine risulta vincitore il progetto presentato dalla berlinese Gabriele Kiefer. I buoni propositi del Comitato si infrangono però contro gli scogli della mancanza di risorse. Il Sindaco esclude la possibilità di poter disporre di fondi pubblici ed anzi esorta il Comitato a proseguire nella ricerca di sponsor privati anche per questa seconda fase, senza peraltro impegnarsi a confermare l’effettiva volontà del Comune di Torino di risistemare il piazzale. È a questo punto che, per iniziativa dello stesso Comitato, sciolto alla fine del 2008, entra in scena la Consulta, che dimostra interesse dichiarandosi disponibile a proseguirne l’attività, incaricando i vincitori del concorso di ripensare il progetto sia sotto il profilo della fattibilità, sia - cosa ancor più importante - alla luce delle nuove esigenze nel frattempo insorte. MUSEO NAZIONALE DEL CINEMA STARK INTERACTIVE WALL, GALLERIA DEI MANIFESTI (Fotografia di Francesca Brizi)
Capita che il Museo Regionale di Scienze Naturali manifesti la necessità di poter disporre, oltre all’ingresso principale di via Giolitti, di un ingresso anche sul lato della via Accademia Albertina. Lo studio, aggiornato secondo le indicazioni della Consulta, nonostante le difficoltà derivanti dalla delicatezza del momento economico, è testimonianza della buona volontà dimostrata da enti e privati cittadini e si auspica che possa entrare in fase realizzativa.
198 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
12. nel segno della tradizione 199
BIBLIOTECA REALE FRANCESCO GONIN, IL TRIONFO DI BACCO, BOZZETTO E PARTICOLARE DEL PLAFONE DIPINTO. 1845
percorso delle Cucine storiche di Palazzo Reale, e alla mostra con i dipinti del Giaquinto
Risparmiato il teatro dai bombardamenti della
a Villa della Regina, ha provveduto al restauro del plafone dipinto da Francesco Gonin
seconda guerra mondiale, il plafone fu ancora oggetto
sul soffitto del Teatro Carignano. Si è trattato di un intervento particolarmente impegnativo
di altri due interventi, per la verità poco invasivi, del 1958
soprattutto per le caratteristiche non solo del dipinto, ma anche dell’edificio.
e del 1983.
Il teatro del Principe di Carignano era stato fondato nel 1709 ed era entrato in funzione nel 1711. Nei tre secoli successivi, ovviamente, molte erano state le vicende e le vicissitudini che il locale si era trovato ad affrontare. Ad iniziare da un incendio che, nel 1786 distruggeva completamente la struttura. In occasione della ricostruzione, la decorazione del plafone della platea venne affidata a Bernardino Galliari,
Tutta una serie di interventi, quindi, che hanno influito non poco sulla “leggibilità” del plafone, compromettendo - e spesso anche nascondendo la versione originaria del Gonin. Era perciò naturale che, in occasione del restauro e della ristrutturazione del Teatro, anche il plafone fosse oggetto di una attenta ricostruzione della stesura originaria.
che vi dipinse il Giudizio di Paride. Dopo di che, nel 1818
Ed in effetti, l’osservazione ravvicinata dei dipinti
il futuro re Carlo Alberto promuoveva alcuni restauri, ultimati
e i saggi stratigrafici, hanno messo in luce la successione
nel 1824, in occasione dei quali il pittore Luigi Vacca sostituì
di interventi verificatisi nel corso del tempo.
la precedente decorazione del plafone con la raffigurazione di Apollo circondato dalle Muse. Nel 1845, infine, in concomitanza con il rifacimento
Sono state infatti ritrovate le tre stesure pittoriche storicamente documentate e cioè: la coloritura esistente al momento della ricostruzione del teatro, dopo
del vestibolo e la trasformazione della decorazione dei palchi, della loggia centrale, dell’arco di proscenio e del velario, Francesco Gonin veniva incaricato di rifare la decorazione del plafone, dipingendovi il Trionfo di Bacco: soggetto rimasto sino ai giorni nostri. Dopo quella data, nel teatro era tutto un succedersi di interventi, motivati dalle più disparate necessità, che andavano dall’installazione, nel 1876, dell’illuminazione a gas, al rifacimento dell’intero apparato strutturale con l’impiego di calcestruzzo armato sul quale veniva ricollocata tutta la parte in legname. In occasione di quest’ultimo intervento, del 1936, reso necessario dal fatto che, con l’incendio del Teatro Regio, il Carignano diventava l’edificio più rappresentativo per gli spettacoli torinesi, e pertanto doveva essere completamente rinnovato: anche il plafone fu oggetto di interventi ad opera del pittore Carlo Gaudina. 200 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
CHIESA DEL SANTO SUDARIO, FACCIATA E PARTICOLARE DEL TIMPANO, 1734
12. nel segno della tradizione 201
MUSEO SINDONOLOGICO GIOVANNI BATTISTA DELLA ROVERE, SEPOLTURA DI CRISTO, 1625 CA.
l’incendio del 1786; l’intervento del 1824-1826; infine, la terza stesura con le figure mitologiche distribuite nei quattordici campi che suddividono il soffitto, dovuta a Francesco Gonin. Su quest’ultima, poi erano evidenti i segni dei successivi interventi, sino all’ultimo del 1983. Di fatto, la stesura del Gonin si trovava in una situazione conservativa non buona, molto frammentaria e spesso tenacemente attaccata agli strati di pittura applicati successivamente. L’intervento di recupero è risultato perciò particolarmente delicato e complesso. Preliminarmente si sono dovuti, ovviamente, rimuovere i depositi superficiali derivanti dall’azione del tempo; dopo di che si è potuto ristabilire l’adesione del dipinto al supporto murario e all’intonaco. Si è proceduto quindi alla rimozione delle ridipinture e dei fissativi, nonché delle stuccature eseguite nei precedenti interventi, come pure all’asportazione di elementi metallici (chiodi, perni, ecc.). Si è quindi passati alla fase della stuccatura delle lacune, propedeutica all’intervento finale di reintegrazione pittorica e velatura. L’intervento successivo rientra fra quelli che, sin dall’inizio, hanno maggiormente caratterizzato l’attività della Consulta: il restauro della facciata della Chiesa del Santo Sudario, che, dal 1998, ospita nella cripta il Museo della Sindone. L’avvicinarsi dell’Ostensione del Sacro Lenzuolo, avvenuta fra aprile e maggio 2010, suggeriva infatti di intervenire per valorizzare e migliorare la fruibilità di questa importante raccolta di documenti e testimonianze che offre una panoramica completa sulle ricerche sindonologiche dal 1500 ad oggi. Si è trattato, sostanzialmente, di un intervento di natura conservativa, al fine di rendere omogenea la lettura delle facciate della Chiesa e dell’edificio confinante. La chiesa del Santo Sudario era nata infatti come cappella interna all’Ospedale dei Pazzerelli, per concessione di Vittorio Amedeo II. La realizzazione dell’edificio data dal 1734, su progetto dell’ingegnere Mazzone; la decorazione era affidata al quadraturista veneziano Pietro Alzeri, mentre la pala dell’altare è opera di Michele Antonio Milocco. Nel 1764 il re concedeva il permesso di aprire la chiesa al pubblico, e in quell’occasione veniva costruito il campanile e sostituito l’altare maggiore. Superato il periodo napoleonico, la chiesa veniva restaurata e riaperta al pubblico nel 1821, mentre altri restauri la avrebbero interessata nel 1895. L’intervento di restauro conservativo realizzato dalla Consulta, ha riguardato le facciate della Chiesa e del Museo. Preliminarmente sono state effettuate analisi stratigrafiche molto accurate sia sugli intonaci che sugli apparati decorativi. Tali analisi hanno messo in luce diverse stratificazioni di colore, dovute ad interventi successivi, mentre la stesura originale, che pure emergeva in zone molto estese, si presentava in condizioni degradate e particolarmente frammentarie. Per rendere omogenea la lettura delle facciate, la Soprintendenza competente
202 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
12. nel segno della tradizione 203
SANTENA CAPPELLA CAVOUR FACCIATA, XIX SECOLO
e l’Ufficio del Colore della Città di Torino hanno deciso che si procedesse con la stesura
al di sotto della Cappella del Castello di Santena, una piccola
di intonaci a calce basati su una bicromia rosa-beige, che bene legava con il colore azzurro
cripta mortuaria, che venne successivamente ampliata, dopo
del palazzo storico con cui la chiesa confina. A coronamento dell’intervento, una piccola
la morte di Camillo.
sorpresa. Durante la fase di pulitura della facciata principale, al di sopra del timpano è emerso
Questi, infatti, aveva voluto per testamento essere
un bassorilievo in stucco - del quale, per essere stato ricoperto da strati di intonaco, si era persa
sepolto a Santena, accanto al nipote Augusto e agli altri
la memoria - raffigurante la Santa Sindone, in perfetto stato di conservazione.
famigliari: oltre ai Benso di Cavour, i Clermont - Tonnerre,
Non poteva esserci viatico migliore per l’imminente Ostensione.
i Sellon, i Sales.
L’intervento si concludeva, poi, con la consegna alla Confraternita del Santo Sudario
Per rispettare la volontà di Camillo, il fratello
di una miniatura ad olio su seta, firmata Giovanni Battista della Rovere e databile al 1625
Augusto dovette rifiutare la sepoltura “di stato” che Vittorio
raffigurante la Sepoltura di Cristo e tre angeli sorreggono la Santa Sindone.
Emanuele II voleva fosse celebrata nella Basilica di Superga.
La miniatura in questione, acquistata dalla Consulta per arricchire le collezioni
Nel 1911, in occasione del cinquantenario della morte
del Museo, apparteneva alla serie dei “ritratti del Santo Sudario miniati” fatti realizzare
dello statista e della proclamazione del Regno d’Italia,
dal Duca Carlo Emanuele I. La corte sabauda era infatti molto attenta alla diffusione capillare
la tomba venne dichiarata “monumento nazionale”.
del grande tema della morte e resurrezione di Cristo che trovava nella Sindone l’espressione più efficace. Di qui la realizzazione di numerose rappresentazioni, realizzate con precisione e raffinatezza nello stile tardo cinquecentesco. Grazie alla Consulta, il Museo della Sindone veniva così ad arricchirsi di un documento storico di notevole importanza. L’intervento successivo - l’ultimo, in ordine di tempo - s’inserisce anch’esso nel filone tradizionale dei restauri di edifici e riguarda la Cappella funeraria dei Benso di Cavour, le cui vicende sono intimamente legate con la storia italiana del XIX secolo. La tomba in questione venne infatti edificata dopo la restaurazione. Originariamente, infatti, il sepolcro della famiglia Benso era a Chieri, nella Chiesa di San Francesco. Quando questa, sotto il governo francese, venne distrutta, si provvide a costruire, 204 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
SANTENA CAPPELLA CAVOUR PARTICOLARI DELL’INTERNO, XIX SECOLO
12. nel segno della tradizione 205
Avvicinandosi il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, era naturale che anche la tomba di colui che è conosciuto come il “tessitore” ed è considerato fra i principali -
13.
CONTINUITÀ NELLA DIVERSITÀ
se non il principale in assoluto - artefici del Risorgimento, fosse oggetto di particolari attenzioni, tanto più necessarie in quanto l’ultimo intervento di consolidamento del complesso funerario risaliva al 1932.
Restauri, progetti, interventi di valorizzazione, mostre, monumenti, arazzi,
Il tempo trascorso, e soprattutto gli agenti atmosferici, avevano procurato numerosi
materiali in laterizio, in pietra, in ferro, in legno, in pergamena, recupero dell’identità
danni, sintetizzabili sostanzialmente nella presenza di umidità diffusa, estesa su quasi tutte le
storica e del paesaggio, monumenti del passato ed opere contemporanee. In quasi
superfici esterne ed interne, provocata sia da fenomeni di risalita capillare, sia da infiltrazioni
un quarto di secolo di attività la Consulta ha dimostrato una invidiabile capacità
provenienti dalla cappella sovrastante, esposta all’aggressione delle acque meteoriche per
di adattamento, grazie alla quale ha potuto esplorare sempre nuovi territori, senza venire
l’inefficiente sistema di smaltimento del tetto.
meno alla vocazione originaria, alla “mission” quale è indicata nella denominazione
Le conseguenze di questa situazione sulla struttura erano drammaticamente evidenti:
ufficiale del sodalizio: la “valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino”.
fessurazioni, macchie, erosioni, rigonfiamenti, esfoliazioni, distacchi di porzioni di pietra e dell’intonaco, deformazioni.
Già, Torino. L’ambito territoriale entro il quale è circoscritta l’attività della Consulta
Da mettere in conto, inoltre, colature al di sotto e di fianco ad alcune lapidi, attacchi
è una delle ragioni del suo successo: gli enti e le imprese che ne fanno parte sono infatti ben radicati
biologici, depositi superficiali. Fenomeni analoghi, cui andava aggiunto anche un pesante
nel territorio cittadino, lo conoscono sin nelle più minute pieghe, sono perfettamente in grado
degrado dei serramenti lignei, erano riscontrabili anche all’esterno della Cappella.
di valutarne punti di forza e di debolezza, e va indubbiamente iscritto a loro merito il fatto di aver
In conclusione, uno stato di abbandono e di incuria non più tollerabile
puntato sulla promozione dei beni artistici della Città, anziché su altre espressioni della vita sociale
nel momento in cui tutto il Paese si accingeva a celebrare il centocinquantesimo anniversario
e cittadina. Anche lo sport e lo spettacolo sono attività meritevoli di attenzione, alle quali
dell’Unità d’Italia e che - ove fosse rimasto - avrebbe di fatto impedito l’accesso ad uno
non sarebbe improprio dedicare maggiori risorse. La Consulta si è dedicata, invece, all’arte,
dei luoghi-simbolo del processo unitario.
scegliendo all’interno di questo grande contenitore, soprattutto quegli aspetti che il pubblico
La Consulta, che aveva iniziato l’attività nel 1987 occupandosi di un altro luogo
maggiormente percepisce come “torinesi”: le Chiese di San Carlo e Santa Cristina, Palazzo
dell’unificazione nazionale - l’Aula del Parlamento Subalpino - e che anche in seguito era ripetutamente intervenuta nella stessa direzione con il restauro, sempre in Palazzo Carignano, dell’Aula del Parlamento Italiano e della Facciata Ottocentesca, non poteva ovviamente mantenersi estranea ad un intervento di così grande significato come quello sulla tomba di Cavour. L’intervento, particolarmente delicato, ha inteso non soltanto rimuovere tutti gli inconvenienti provocati dall’umidità, ma, per evitare o almeno limitare la possibilità che tali inconvenienti abbiano a presentarsi ancora in futuro, ha realizzato anche un intervento di bonifica del terreno dell’area circostante la tomba mediante la formazione alla base dell’edificio di condotte di aerazione che consentano l’evaporazione dell’acqua di risalita capillare. Al tempo stesso, la sistemazione di gronde e tubazioni più efficienti dovrebbe evitare ogni tipo di infiltrazione dall’alto. Il 6 giugno, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, inaugurando le celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario, rendeva omaggio all’illustre statista nella tomba restaurata. 206 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
PALAZZO CIVICO SALA ROSSA CERIMONIA DI CONSEGNA DELLA TARGA RICORDO DA PARTE DEL SINDACO DI TORINO AI SOCI DELLA CONSULTA, MAGGIO 2007
13. continuità nella diversità 207
torinese, basterà ricordare il recupero alla piena fruizione, dopo lunghi periodi di incuria, se non di vero e proprio abbandono, di monumenti quali la Villa della Regina e la Reggia di Venaria. Oggi, la lente del pendolo pare essere ritornata ai primi anni ottanta, perché, se anche l’attenzione sui problemi dei beni artistici rimane desta, sono nuovamente carenti le risorse. La crisi che ha investito le economie occidentali, costringendo i governi ad adottare rigide politiche di austerità non consente di effettuare previsioni favorevoli. Ma c’è anche qualcosa di più, perché la similitudine fra ieri e oggi va anche oltre il dato puramente economico della carenza di risorse.
PALAZZO DELL’UNIVERSITÀ CONCERTO INAUGURALE, 2000 INUGURAZIONE DEL MONUMENTO A VITTORIO EMANUELE II, 2001
Carignano, per fare qualche esempio, ma anche le Ceramiche Lenci sono percepite come un bene
Se allora a lanciare il sasso nello stagno era stato l’Herald Tribune denunciando il disinteresse
caratteristico della Città. Lo testimoniano gli oltre centomila visitatori della mostra ad esse dedicata.
della pubblica autorità verso i tesori conservati nei musei torinesi (si faceva il caso del Ritratto
Insomma, la Consulta come risorsa per la Città, un valore da preservare per Torino. Caratteristiche,
d’Ignoto di Antonello da Messina), adesso - luglio 2010 - è la volta del New York Times a denunciare
queste, ben comprese dall’Amministrazione cittadina, che in occasione del ventennale
la trascuratezza dell’amministrazione capitolina per i monumenti antichi di Roma, a fronte invece
di costituzione del sodalizio, ha voluto conferire per mano del Sindaco, una targa ricordo ad ogni
di un notevole attivismo nei riguardi dell’arte moderna. Si tratta di critiche forse eccessive e, per molti
singolo Socio. Non bisogna però dimenticare che gli enti e le imprese che hanno dato vita alla
versi ingenerose, che però portano a ritenere che le risorse per la salvaguardia e la valorizzazione
Consulta sono in primo luogo soggetti economici, abituati a valutare ogni loro intervento in termini
dei beni artistici e culturali continueranno, almeno nell’arco di tempo prevedibile, a mantenersi
di costi e benefici, anche quando il vantaggio che ci si ripromette è per sua natura immateriale,
desolantemente scarse. In questa situazione ritorna d’attualità l’interrogativo che già ci si poneva
difficilmente quantificabile con parametri economici. Nel caso in esame, a spingere i Soci Consulta
negli anni ottanta. A riproporlo è Angelo Panebianco, il quale in un articolo comparso sul “Corriere
a programmare sempre nuovi interventi vi è non soltanto un senso di responsabilità sociale verso
della Sera” del 5 luglio 2010 si chiede se, a fronte dei “tagli” che le amministrazioni, ad ogni livello,
il territorio, ma anche la convinzione che la valorizzazione del patrimonio artistico rappresenti,
sono necessitate a compiere, “le borghesie cittadine, imprenditori in testa, non dovrebbero [...]
per quanti vi dedicano risorse, un buon affare. In tempi di globalizzazione, l’arte conferisce valore
mobilitarsi per subentrate, in tutto o in parte, a Stato, regioni, comuni? Ci fu un tempo in cui
aggiunto alle capacità tecniche e progettuali delle imprese operanti sui mercati esteri.
il mecenatismo privato fece ricca la vita culturale delle città italiane”.
Le aziende in questione dispongono certamente di un know how di tutto rispetto;
È una domanda alla quale la Consulta, come del resto altre istituzioni - banche, industrie,
ma al tempo stesso provengono da un territorio che conserva l’Autoritratto di Leonardo alla
assicurazioni - ciascuna nell’ambito delle proprie disponibilità ha continuato, e continuerà, a dare
Biblioteca Reale: un unicum, conosciuto in tutto il mondo perché spesso utilizzato a fini pubblicitari,
risposta, come del resto riconosce lo stesso Panebianco: “Il mecenatismo privato, naturalmente,
alla cui fruizione esse hanno partecipato direttamente. O, per altro verso, hanno sede in una Città
qua e là, esiste ancora. Ci sono aziende, alcune di rilievo nazionale, che lo praticano con generosità.
che conserva la Sindone, uno degli oggetti più venerati e studiati al mondo, indipendentemente
E ci sono, nelle città, privati che danno contributi per le attività culturali”.
dalle convinzioni religiose delle persone. Ed anche in questo caso Consulta ha contribuito
Fra questi, la Consulta spicca per l’unicità della sua esperienza, che la porterà ad essere
a valorizzarne la conoscenza. L’arte come biglietto da visita delle imprese. Indubbiamente all’inizio
ancora protagonista della politica di valorizzazione del patrimonio torinese. Tanto che le prossime
l’attività di Consulta è stata favorita dal degrado in cui versava il patrimonio artistico torinese,
tappe del percorso che ha preso le mosse più di venticinque anni or sono con il restauro dell’Aula
conseguente se non al disinteresse per questo bene, alla necessità di far fronte ad altre priorità.
del Parlamento Subalpino, sono già state individuate. Consulta ha appena concluso il restauro del
In questo caso, la sostituzione da parte di privati, di incombenze che sarebbero spettate
Gabinetto Cinese del secondo piano di Palazzo Reale e in prospettiva sta avviando il restauro
alla mano pubblica, è stata favorita dall’introduzione di un trattamento fiscale più favorevole,
della Peota, la sontuosa barca da cerimonia commissionata da Carlo Emanuele III all’Arsenale
anche se non (ancora) completamente soddisfacente.
di Venezia e giunta a Torino al termine di un viaggio difficoltoso attraverso mille peripezie. Queste
Poi la situazione si è gradualmente modificata, gli enti pubblici competenti hanno
iniziative dimostrano la volontà di Consulta di continuare ad essere presente su grandi temi nei luoghi
progressivamente dimostrato un maggiore attivismo, convogliando su questo settore una maggiore
simbolo della cultura artistica torinese come la Galleria Sabauda, la Palazzina di Caccia di Stupinigi,
disponibilità di risorse. Sono stati effettuati interventi importanti: e, per quanto riguarda l’area
la Pinacoteca dell’Accademia Albertina e la Galleria d’Arte Moderna. Insomma, l’avventura continua...
208 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
13. continuità nella diversità 209
1987-2010 Gli interventi della Consulta a cura di Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
Gli aspetti più significativi delle politiche generali adottate dalla Consulta nella scelta degli interventi sono stati precedentemente delineati, perciò questo contributo vuole fornire solo alcune informazioni aggiuntive sui processi che hanno portato alle decisioni e sui contributi di tutti gli enti e professionalità coinvolti nell’organizzare le varie realizzazioni. La scelta del primo intervento di recupero del patrimonio storico-artistico con cui la Consulta si è presentata alla Città è stata guidata soprattutto da un aspetto di carattere simbolico, considerando che l’Aula del Parlamento Subalpino rappresenta l’espressione concreta dell’attività del governo sabaudo che portò Torino a guidare la realizzazione dell’Unità nazionale. Questo spazio architettonico, fulcro della composizione guariniana in Palazzo Carignano, contraddistinto oltre che da valori simbolici da evidenti qualità artistiche, necessitava di opere che consentissero nuovamente al pubblico l’accesso in sicurezza e la fruizione di una così rilevante testimonianza di storia e di arte, pericolosamente compromessa da un degrado crescente. La realizzazione di questo primo progetto ha consentito di costituire un modello organizzativo che sarebbe poi stato esteso, con i dovuti adeguamenti suggeriti dalle esperienze, a tutti gli interessi successivi. La Consulta ha deciso di mettere a disposizione della Città, oltre alle necessarie risorse economiche, anche le proprie competenze manageriali, contribuendo ad accelerare un costruttivo rapporto tra la proprietà del bene, le istituzioni pubbliche (Stato, Regione, Provincia, Comune) le Soprintendenze preposte alla tutela, gli storici dell’arte, i progettisti ingegneri e architetti, le maestranze impegnate nelle varie tipologie di restauro e in generale tutte le professionalità coinvolte nei progetti di recupero del patrimonio culturale. Il tutto in un quadro di certezza e rapidità di esecuzione, di controllo di tempi, di costi e di qualità che ha contraddistinto anche gli interventi successivi. Il lavoro svolto nell’Aula è stato poi raccolto in un agile volume a stampa, quale contributo alla divulgazione delle esperienze scientifiche acquisite durante i lavori, così come è avvenuto a conclusione delle principali altre realizzazioni della Consulta. Il modello prevedeva infine, e prevede tuttora, un’occasione inaugurale di presentazione al pubblico, agli esperti e alla stampa, con il sostegno di documentazione fotografica e video, allietata a volte da un concerto e un rinfresco per gli invitati. Gli interventi dei primi anni tra il 1989 e il 1993 sono stati contraddistinti soprattutto dall’esigenza di riportare allo stato originario le facciate di alcuni tra i più rilevanti monumenti cittadini che per molte e diverse ragioni avevano perso la leggibilità dei partiti architettonici ed erano a rischio di conservazione per il degrado causato dal tempo e dagli agenti atmosferici. La facciata dell’Archivio di Stato e le chiese di San Carlo, di Santa Cristina e di San Filippo sono pertanto diventati laboratori di restauro per le componenti strutturali e decorative esterne degli edifici, in questo senso il citato approccio interdisciplinare ha consentito la definizione dei più adeguati modelli di restauro e l’impiego di tecnologie innovative di consolidamento e conservazione. Più recentemente anche la facciata orientale di Palazzo Reale, quella della Promotrice delle Belle Arti al Valentino e quella ottocentesca di Palazzo Carignano, in collaborazione con le Soprintendenze competenti, hanno beneficiato di interventi di restauro conservativo a opera della Consulta. Queste realizzazioni possono essere inquadrate nel filone “restauri del patrimonio architettonico”, dove la valenza principale è stata, al di là dell’ovvia necessità di conservazione dei singoli monumenti, soprattutto relativa al miglioramento dell’immagine complessiva della città nei suoi nodi urbanistici più significativi. Negli interventi successivi, a partire dalla metà
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1987-2010 gli interventi della consulta 211
L’AULA DEL PARLAMENTO SUBALPINO IN PALAZZO CARIGNANO CRONOLOGIA:
degli anni Novanta, si sono venuti precisando nuovi filoni tematici. L’attenzione si è infatti spostata dalla pura conservazione all’arricchimento del patrimonio artistico e storico, da un lato, nonché alla valorizzazione di “luoghi” cittadini emblematici, da un altro lato. Si è inteso in tal modo privilegiare progetti strettamente collegati alle caratteristiche di eccellenza di Torino, utilizzando la credibilità acquisita dalla Consulta con i primi lavori per contribuire più incisivamente al potenziamento dell’offerta di attrattive culturali e turistiche per la Città. Nel filone “arricchimento del patrimonio artistico e storico” si collocano la nuova Cancellata del Teatro Regio, la ristrutturazione e la riapertura della Pinacoteca dell’Accademia Albertina, la valorizzazione della Biblioteca Reale con la realizzazione della nuova Sala Leonardo finalizzata all’esposizione delle preziose raccolte. Questa tendenza era già stata anticipata con la decisione di restaurare alcuni dipinti che ornano la sala da pranzo del Castello Cavour di Santena. In queste occasioni il modello di intervento di cui si è fatto cenno all’inizio si è allargato anche alle problematiche di tipo gestionale, in accordo con la Regione Piemonte, per assicurare la fruizione di importanti collezioni d’arte, scarsamente o per nulla accessibili al pubblico torinese e ai turisti in visita alla Città. La Cancellata del Teatro Regio ha costituito sì una valida protezione di uno spazio cittadino molto gradevole purtroppo soggetto a un uso improprio, ma ha soprattutto arricchito la Città con una grande e complessa opera dell’ingegno di un illustre artista, Umberto Mastroianni. Per quanto attiene all’intervento sulla Cancellata palagiana che delimita la piazzetta antistante il Palazzo Reale si è trattato sia di un restauro conservativo per quanto riguarda la stabilità di un manufatto di ghisa particolarmente degradato, sia della restituzione all’originario splendore di un manufatto contraddistinto da rilevante valore artistico. Al tema della “valorizzazione di luoghi emblematici” si possono ricondurre il recupero architettonico dell’Aula del Parlamento Italiano che è diventato luogo d’eccellenza per importanti manifestazioni cittadine, la messa in sicurezza e la visibilità ricorrente delle collezioni della Biblioteca Reale, il recupero del cortile, del loggiato e degli scaloni del prestigioso Palazzo dell’Università aperto allo svolgimento di significativi eventi culturali dell’ente, il restauro delle statue del Po e della Dora in piazza CLN dove, con la collaborazione del Comune di Torino, si è potuto restituire alla Città anche la frescura e il suono delle cascate d’acqua da tempo dimenticate. Non si è quindi trattato in questi casi soltanto di provvedere a restauri sugli edifici e sulle opere d’arte, ma da un lato di valorizzare intere collezioni e dall’altro lato di mettere in grande risalto quegli spazi in cui la Città e le istituzioni possono organizzare significativi eventi di portata internazionale. Qualunque sia la finalità che ha ispirato la scelta degli interventi di valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino, certamente la Consulta ha cercato di rimanere coerente e fedele a un modello di azione che si è sempre ispirato ai criteri di utilità cittadina, rilevanza architettonica e artistica, rapidità esecutiva, efficienza gestionale e certezza del risultato, ritorno di immagine per le aziende, sinergie tra realtà pubblica e privata, proficuo rapporto con le istituzioni e gli organi di tutela, impulso alla ricerca e divulgazione scientifica, sviluppo di capacità imprenditoriali e di competenze artigiane, coinvolgimento di professionalità intellettuali e consulenze tecniche.
1679: inizio della costruzione di Palazzo Carignano, progettato da Guarino Guarini. 1681-1682: sono documentati i lavori per la copertura del corpo centrale. 1775: in occasione delle nozze di Carlo Emanuele IV con Maria Clotilde di Francia, la sala ellittica viene destinata a salone da ballo, su progetto di Filippo Giovanni Battista Nicolis di Robilant, con la collaborazione dei Galliari per gli affreschi della volta. 1799: il Palazzo diventa sede della Prefettura e del Dipartimento del Po; nel 1831 Carlo Alberto, diventato re di Sardegna, lo cede al Demanio che lo destina a Direzione Generale delle Poste. 1848-1860: la sala guariniana è trasformata in Aula del Parlamento Subalpino. Il progetto è affidato a Carlo Sada e ad Ernst Melano; le opere pittoriche sono affidate a Francesco Gonin, Angelo Capisani, Angelo Moja e Giovanni Rusca, le opere in muratura a Bartolomeo Pezzi, Luigi Piola e Pietro Ferraris, le decorazioni in stucco a Diego Marielloni, le tappezzerie a Giuseppe Trivella, mentre l’apparato dei seggi viene affidato all’ebanista del re, Gabriele Capello detto il Moncalvo. 1935-1937: revisione strutturale e primo parziale restauro in occasione della Mostra del Barocco del 1937. 1948: lavori in occasione del centenario dello Statuto. 1961: interventi di manutenzione in occasione delle celebrazioni per il centenario dell’Unità d’Italia.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1987-1988: Completo restauro conservativo realizzato dalla Consulta, diretto da Clara Palmas, Soprintendente per i Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte e da Carla Enrica Spantigati, Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte. Coordinamento dei restauri e del progetto di illuminazione: Bartolomeo Aimar Ponteggi: C.V.B., Torino con i calcoli eseguiti da Mimmo Chissotti e Guido Morgante Impianto elettrico: Angelo Franzosi, responsabile Sergio Cortellini Restauratori: Guido Nicola, Anna Rosa e Nicola Pisano (apparato decorativo); Dino Aghetta e Renato Bulgarelli (apparato ligneo); Laura Chiotasso (tessuti); Domenico Collura (lampadari a muro, orologio e datario) Gestione amministrativa: Francesco Malaguzzi, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno In occasione del restauro, è stato pubblicato il volume: Il Parlamento Subalpino in Palazzo Carignano. Strutture e restauro, Torino 1988.
LA CONSULTA: SOCI: Cassa di Risparmio di Torino, Fiat, Gruppo Gft, Ilte, Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Skf Industrie, Sai - Società Assicuratrice Industriale, Sei - Società Editrice Internazionale, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet. COMITATO DIRETTIVO: presidente Aimone di Seyssel d’Aix (Martini & Rossi), Roberto Balma (Gruppo Gft), Sergio Finesso (Sai), Luciano Lenotti (Skf), Giovanni Merlini (Utet), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Mario Verdun di Cantogno (Fiat), tesoriere Giovanni Ciarlo (Cassa di Risparmio di Torino) e segretario Renato Ricci (Unione Industriale di Torino).
Un particolare ringraziamento a: imprese, restauratori, professionisti e tecnici per gli interventi realizzati.
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1987-2010 gli interventi della consulta 213
LA FACCIATA JUVARRIANA DELL’ARCHIVIO DI STATO
LA FACCIATA E IL CAMPANILE DELLA CHIESA DI SAN CARLO
CRONOLOGIA:
CRONOLOGIA:
1730-1731: realizzazione del nuovo edificio per l’Archivio di Corte, progettato da Filippo Juvarra, inserito nel grandioso piano urbanistico
1619:
1734:
inizio della costruzione della chiesa, con annesso il convento degli Agostiniani, su progetto di Maurizio Valperga.
di Carlo e Amedeo di Castellamonte. Le strutture edilizie sono affidate a Pietro Filippo Somasso e Giuseppe Viseti; la fornitura
Nel corso del XVII secolo, proseguono i lavori per le cappelle, dedicate a committenti illustri come i Turinetti, i Bruco e i Broglia.
dei cantonali e delle lose è richiesta a Giovanni Battista Darbesio di Avigliana. La complessa struttura lignea del tetto è costruita
Per la direzione dei lavori e per l’altare maggiore era stato richiesto Amedeo di Castellamonte, e con lui erano attivi Bernardino
da Domenico Cantone, Bartolomeo Mossino e Domenico Pezzi; porte, finestre, chiassili, poggioli e ringhiere di ferro sono
Quadri e Tommaso Carlone per l’apparato grandioso degli stucchi.
realizzati da Giacomo Panavallo, Bartolomeo Badarello e Giovanni Battista Faciolo.
Tra i dipinti più significativi: San Carlo che visita a Vercelli il duca Carlo Emanuele e San Carlo accolto dai duchi
trasferimento dei Regi Archivi nella nuova sede juvarriana.
di Savoia, opera di Giovanni Paolo Recchi; San Giuseppe che colpisce con un dardo sant’Agostino, di Charles Claude Dauphin
1981-1993: totale ristrutturazione dell’edificio.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1988-1989:
e, per l’altare maggiore, San Carlo che visita la Sindone, di Giacomo e Giovanni Andrea Casella. 1834:
decisivo per la facciata, rimasta incompiuta, l’intervento di Ferdinando Caronesi di raffinato gusto neoclassico evidente anche nel bassorilievo e nelle statue realizzate da Stefano Butti.
La facciata juvarriana viene restaurata dalla Consulta sotto l’alta sorveglianza di Clara Palmas, Soprintendente Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte, con la direzione lavori di Roberto Pagliero e Stefano Trucco.
1837:
la chiesa passa all’Ordine dei Servi di Maria.
Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali
1862:
primi interventi di restauro.
Fotografie: Paolo Robino; Foto Chomon
1863:
lavori di ingrandimento per l’interno su progetto di Carlo Ceppi; a questi stessi anni sono databili gli affreschi di Rodolfo Morgari.
Progettazione grafica: Studio Bocchio e Palmieri Allestimento mostra: Mostre & Fiere
1935-1937: seguono altri interventi di restauro in parallelo alla realizzazione della nuova via Roma, realizzata da Giuseppe Momo e Marcello Piacentini.
Gestione amministrativa: Francesco Malaguzzi, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
1974:
pulitura della facciata.
In occasione del restauro è stata organizzata l’esposizione “Il Tesoro del Principe. Titoli, carte e memorie per il governo
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1989-1990:
dello Stato”, allestita da Roberto Pagliero e Stefano Trucco; relativo catalogo curato da Marco Carassi, Angela Griseri, Isabella Massabò Ricci,
Restauro della facciata principale e del campanile, diretto da Franco Ormezzano, Soprintendenza Beni Ambientali e Architettonici,
Elisa Mongiano
e per la direzione storico-artistica di Michela di Macco, Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte. Impresa: Gastone Guerrini Costruzioni Generali Rilievi: Giovanni Pierro
LA CONSULTA:
Opere di restauro: Laboratorio Rava
SOCI: Cartiere Burgo, Cassa di Risparmio di Torino, Fiat, Fornara, Gruppo Gft, Ilte, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Lavazza,
Opere in ghisa, realizzazione telo con illuminazione: Gruppo Bodino
Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie,
Progettazione grafica: Studio Bocchio e Palmieri
Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.
Fotografie: Bruna Biamino
COMITATO DIRETTIVO: presidente Aimone di Seyssel d’Aix (Martini & Rossi), Roberto Balma (Gruppo Gft), Sergio Finesso (Sai),
Gestione amministrativa: Francesco Malaguzzi, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti
Luciano Lenotti (Skf), Giovanni Merlini (Utet), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Mario Verdun di Cantogno (Fiat),
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
tesoriere Giovanni Ciarlo (Cassa di Risparmio di Torino), segretario Renato Ricci (Unione Industriale di Torino), consulente storico-artistica
In occasione del restauro è stata pubblicata la brochure Sui tetti e oltre per Torino
Angela Griseri.
Nel 2006 la Consulta ha realizzato la manutenzione straordinaria della facciata.
LA CONSULTA: SOCI: Cartiere Burgo, Cassa di Risparmio di Torino, Fiat, Fornara, Gruppo Gft, Ilte, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Lavazza, Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet. COMITATO DIRETTIVO: presidente Giovanni Merlini (Utet), Roberto Balma (Gruppo Gft), Aimone di Seyssel d’Aix (Martini & Rossi), Sergio Finesso (Sai), Luciano Lenotti (Skf), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Mario Verdun di Cantogno (Fiat), tesoriere Giovanni Ciarlo (Cassa di Risparmio di Torino), segretario Renato Ricci (Unione Industriale di Torino), consulente storico-artistica Angela Griseri.
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1987-2010 gli interventi della consulta 215
LA FACCIATA DELLA CHIESA DI SANTA CRISTINA
LE DODICI TELE DEL CASTELLO CAVOUR DI SANTENA
CRONOLOGIA:
CRONOLOGIA:
1639:
inaugurazione della chiesa, voluta dalla duchessa Cristina di Francia, affidata alle Carmelitane Scalze. Progetto di Carlo
1712-1720:
viene edificato il Palazzo Cavour, opera di Francesco Gallo.
di Castellamonte.
1773:
è documentato l’intervento di Ignazio Amedeo Galletti.
Carlo di Castellamonte informa la duchessa della costruzione della “muraglia verso la piazza, che formerà parte
1774, 1776-1777: Giovanni Battista San Bartolomeo è documentato quale autore delle decorazioni a stucco del Salone.
della facciata”.
1878-1879:
altri lavori affidati allo studio di architettura e ingegneria di Amedeo Peyron e Melchior Pulciano.
Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours affida a Filippo Juvarra l’incarico per la nuova facciata, arricchita con le statue realizzate
1884:
Giuseppina Benso di Cavour continua il generale rinnovamento decorativo dell’edificio; tra i lavori, significativo
1653: 1715-1718:
da Carlo Antonio Tantardini per i Santi Francesco di Sales, Agostino e Maurizio e le due Allegorie delle virtù cardinali e teologali.
il progetto di Francesco Cavalla per l’arredamento della Sala da pranzo dove vengono adattate entro specchiature le dodici
Le statue della Santa Teresa e Santa Cristina sono richieste al parigino Pierre Legros: queste due statue non saranno
tele raffiguranti Animali in posa, realizzate da Angelo Maria Crivelli, detto il Crivellone, agli inizi del secolo XVIII
mai collocate in facciata, ma trasferite nel Duomo di Torino; al loro posto saranno sistemate altre, realizzate nel 1737 da Giuseppe Nicola Casana in marmo bianco di Frabosa. 1819:
Vittorio Emanuele I incarica Ferdinando Bonsignore di procedere ad alcuni lavori all’interno.
1840:
la chiesa passa all’Ordine dei Servi di Maria, sostituiti nel 1844 dalla Pia Unione del Sacro Cuore di Maria, ente morale fondato da Carlo Alberto.
1935-1937: parti della chiesa e del convento vengono demolite durante il rifacimento di via Roma.
e da Giovanni Crivelli, detto il Crivellino, verso il 1730 circa. 1955:
la marchesa Margherita Visconti Venosta istituisce la Fondazione Camillo Cavour, a seguito della donazione da parte del marchese Giovanni Visconti Venosta di tutto il complesso di Santena alla Città di Torino.
1985-1986:
è avviata la ristrutturazione complessiva del Castello, comprendente anche il parco monumentale, progettata e diretta da Ippolito Calvi di Bergolo.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1992:
1960-1970: alcuni interventi di ripristino realizzati con integrazioni a cemento.
Restauro e ricollocazione originaria delle dodici tele raffiguranti Animali in posa, con la direzione storico-artistica di Michela di Macco,
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1990-1991:
Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte. Restauro eseguito dal Consorzio Arkè, Roma.
Restauro conservativo della facciata, sotto la direzione dei lavori di Franco Ormezzano, Soprintendenza Beni Ambientali e Architettonici
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri.
del Piemonte e di Emanuela Recchi, e la direzione storico-artistica di Michela di Macco, Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte. Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali; direzione cantiere: Luigi Rocchia Rilievi: Giovanni Pierro
LA CONSULTA:
Opere di restauro: Laboratorio Rava
SOCI: Banca Brignone, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, Compagnia di San Paolo,
Opere in legno: Aldo Zengiaro
Fiat, Fondazione Crt, Fornara, Gruppo Garosci, Gruppo Gft, Ilte, Lavazza, Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società
Rinforzi strutturali in titanio: Ginatta Torino Titanium
Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.
Progettazione grafica: Gabriella Bocchio e Giulio Palmieri
COMITATO DIRETTIVO: presidente Giovanni Merlini (Utet), Angelo Ascheri (Ilte), Aimone di Seyssel d’Aix (Martini & Rossi), Giuseppe
Fotografie: Paolo Robino
Lignana (Cartiere Burgo), Giannicola Pivano (Sei), Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt),
Gestione amministrativa: Francesco Malaguzzi, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti
segretario Renato Ricci (Unione Industriale), consulente storico-artistica Angela Griseri.
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni).
In occasione del restauro è stata pubblicata la brochure La Chiesa di Santa Cristina. Relazione sull’intervento di restauro
COMMISSIONE TECNICA: Mario Verdun di Cantogno (Fiat).
LA CONSULTA: SOCI: Banca Brignone, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, Cassa di Risparmio di Torino, Fiat, Fornara, Gruppo Garosci, Gruppo Gft, Ilte, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Lavazza, Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet. COMITATO DIRETTIVO: presidente Giovanni Merlini (Utet), Angelo Ascheri (Ilte), Aimone di Seyssel d’Aix (Martini & Rossi), Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo), Giannicola Pivano (Sei), Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali), tesoriere Giovanni Ciarlo (Cassa di Risparmio di Torino), segretario Renato Ricci (Unione Industriale di Torino), consulente storico-artistica Angela Griseri. COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni). COMMISSIONE TECNICA: Mario Verdun di Cantogno (Fiat).
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1987-2010 gli interventi della consulta 217
CHIESA DI SAN FILIPPO NERI
ODISSEA MUSICALE: LA CANCELLATA DEL TEATRO REGIO
CRONOLOGIA:
CRONOLOGIA:
1675:
il duca Carlo Emanuele II lascia alla Congregazione dell’Ordine dei Filippini l’appezzamento di terreno per la costruzione
1738:
Carlo Emanuele III affida la costruzione del Teatro Regio a Benedetto Alfieri, conclusa nel 1740.
della grandiosa sede. Il progetto di Guarino Guarini è affidato ad Antonio Bettino, suo assistente.
1936:
un incendio distrugge completamente l’edificio; l’anno successivo viene indetto un concorso nazionale, vinto da Aldo Morbelli
1686-1703: si costruiscono la navata centrale, il presbiterio con l’altare maggiore e le sacrestie.
e Robaldo Morozzo della Rocca; la ricostruzione del Teatro viene rimandata a causa delle vicende belliche.
1703:
la fabbrica risulta coperta e prosegue la costruzione della cupola.
1706:
interruzione dei lavori dovuta all’Assedio di Torino da parte dei francesi.
1714:
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1993-1994:
crollo della cupola e delle pareti, a esclusione del presbiterio e delle prime due cappelle.
Per salvaguardare l’“Atrio delle carrozze”, dedicato a Francesco Tamagno, si realizza la fusione in bronzo della nuova Cancellata, Odissea
1715:
i Padri Filippini incaricano Filippo Juvarra della ricostruzione dell’edificio; i lavori riprendono nel 1732 per la facciata e il pronao,
Musicale, opera di Umberto Mastroianni, con la direzione dei lavori di Silvano Cova, Teatro Regio di Torino e di Lino Malara, Soprintendente
con l’impiego della pietra di Brusasco e di quella di Gassino.
Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte
1735:
sono messi in opera i medaglioni lapidei, sopra le porte laterali, realizzati da Giovanni Baratta.
Città di Torino: Antes Bortolotti, dirigente fabbricati per la cultura; Franco Pennella, ingegnere capo
1737:
Giovanni Battista Sacchetti sostituisce Juvarra nella direzione del cantiere; a lui subentra Ignazio Baroni di Tavigliano.
Realizzazione delle cere: Laboratorio Anselmi, Roma
1770:
la volta e la copertura a capriate lignee vengono completate sotto la direzione di Michele Barberis.
Fusioni in bronzo: Fonderia Fratelli Barberis, Torino
1823:
Giuseppe Maria Talucchi assume la direzione dei lavori per la chiesa, ancora incompiuta; nel 1854 si appone la cancellata
Coordinamento delle fusioni: Massimo Locci, Roma
fra le colonne della facciata.
Fotografie: Daniele Regis
Ernesto Camusso costruisce il timpano e le balaustrate laterali di coronamento.
Progettazione grafica: Gabriella Bocchio e Giulio Palmieri
1891:
1966:
affidamento di un nuovo progetto a Carlo Mollino; il teatro veniva inaugurato nel 1973.
1960-1965: le decorazioni in stucco del pronao sono rivestite da altro gesso.
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1992-1993:
In occasione del restauro è stato pubblicato il volume Mastroianni. Odissea musicale. La Cancellata scultorea di Umberto Mastroianni
Si decide di procedere a un intervento biennale; il primo lotto di lavori è incentrato sul restauro delle coperture e il secondo lotto
per il Teatro Regio di Torino, Torino 1994.
sul restauro della facciata e del pronao, compresi tutti gli apparati decorativi esterni. Alta sorveglianza: Daniela Biancolini, Soprintendenza Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte e Michela di Macco, Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte
LA CONSULTA:
Direzione lavori: Roberto Pagliero e Stefano Trucco
SOCI: Arthur Andersen, Axa Assicurazioni, Banca Brignone, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino,
Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali; direzione cantiere: Luigi Rocchia
Compagnia di San Paolo, Fiat, Fondazione Crt, Gruppo Garosci, Ilte, Lavazza, Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società
Rilievi: Giovanni Pierro
Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.
Analisi mineralogiche e petrologiche: Giacomo Chiari, Università di Torino
COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Angelo Ascheri (Ilte), Gianni Merlini (Utet),
Opere di restauro: Valentina Barbareschi e Gianguido Dragoni
Giannicola Pivano (Sei), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt),
Restauro portali: Aldo Zengiaro
segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri.
Progettazione grafica: Gabriella Bocchio e Giulio Palmieri
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf Industrie)
Fotografie: Mariano Dallago
COMMISSIONE FINANZIARIA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo)
Gestione amministrativa: Francesco Malaguzzi, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti
COMMISSIONE TECNICA: Mario Verdun di Cantogno (Fiat)
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri In occasione del restauro è stata ristampata e aggiornata la brochure Sui tetti e oltre per Torino.
LA CONSULTA: SOCI: Banca Brignone, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, Fiat, Fondazione Crt, Fornara, Gruppo Garosci, Gruppo Gft, Ilte, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Lavazza, Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet. COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Ascheri (Ilte), Giovanni Merlini (Utet), Giannicola Pivano (Sei), Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali), Giovanni Roggero Fossati (Compagnia di San Paolo), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario Renato Ricci (Unione Industriale), consulente storico-artistica Angela Griseri. COMMISSIONE TECNICA: Mario Verdun di Cantogno (Fiat).
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1987-2010 gli interventi della consulta 219
LA PINACOTECA DELL’ACCADEMIA ALBERTINA
L’AULA DEL PARLAMENTO ITALIANO IN PALAZZO CARIGNANO
CRONOLOGIA:
CRONOLOGIA:
1824-1829: l’arcivescovo casalese Vincenzo Maria Mossi di Morano dona la collezione di oltre duecento dipinti all’Accademia Albertina
1860-1865: Camillo Cavour affida ad Amedeo Peyron la realizzazione, nel cortile, di un’Aula provvisoria, mentre procedono i lavori
per favorire “l’istruzione dei giovani inclinati alla bell’arte del disegno e della pittura”. 1832: 1933:
per quella definitiva, che avrebbe dovuto ospitare le sedute del Parlamento Italiano.
Carlo Alberto dona la rarissima collezione dei sessanta cartoni e disegni cinquecenteschi, realizzati da Gaudenzio Ferrari
1864-1872: la Città di Torino incarica Domenico Ferri e Giuseppe Bollati di realizzare la parte ottocentesca di Palazzo Carignano.
e dalla sua scuola; seguono altri lasciti e donazioni.
1870:
Noemi Gabrielli, Soprintendente alle Gallerie del Piemonte, pubblica il fondamentale Inventario delle collezioni di pittura e di scultura, purtroppo stipate in cinque sale e nei depositi e inizia il restauro programmatico delle opere, con specifici
inviano i loro Genii a premiare il Merito sulla Terra; nei gruppi angolari la Medicina, la Letteratura, la Matematica e la Giurisprudenza. 1871:
interventi continuati fino a oggi. 1993-1994: Carlo Giuliano, direttore dell’Accademia, recupera gli spazi prima occupati dal liceo artistico, dando seguito allo spostamento della Biblioteca storica e degli uffici.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1995-1996:
l’Aula viene inaugurata ufficialmente con un banchetto per circa mille invitati, per festeggiare la conclusione dei lavori al traforo del Frejus.
1876:
trasferimento delle collezioni del Museo di Zoologia.
1937-1938: si destina il Palazzo a sede del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano. 1961:
in occasione delle celebrazioni per il centenario dell’Unità d’Italia, le pareti dell’Aula vengono ricoperte da una vernice acrilica grigia.
Totale ristrutturazione e adeguamento museale della Pinacoteca: dalle iniziali cinque sale espositive si passa così a dodici sale, che permettono di presentare le opere più significative, dai cosiddetti “primitivi” ai caravaggeschi, fino alle testimonianze dei più importanti
Francesco Gonin affresca la volta con il medaglione centrale dedicato a Le Deità che presiedono alle scienze e alla letteratura
1983:
si esegue un pronto intervento, finalizzato al fissaggio degli intonaci e delle volte.
maestri e allievi dell’Accademia dell’Ottocento e del Novecento. Particolare attenzione è stata dedicata alla sala dei cartoni gaudenziani:
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1996-1997:
si è cercato di renderli integralmente consultabili grazie alla creazione, su una delle pareti, di supporti metallici scorrevoli. Il nuovo allestimento
Il restauro conservativo riporta l’Aula al suo aspetto originario, e recupera le delicate cromie ottocentesche, con la direzione dei lavori
è stato particolarmente meditato e seguito da Giovanna Galante Garrone, Soprintendenza Beni Artistici e Storici, con la direzione dei lavori
di Carla Enrica Spantigati, Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte e di Valerio Corino, Soprintendenza Beni Ambientali
di Roberto Pagliero e Stefano Trucco; la Regione Piemonte si è fatta carico delle spese di gestione per l’apertura al pubblico della Pinacoteca
e Architettonici del Piemonte.
e continua, ancora oggi, a sostenere questa realtà museale
Progetto delle opere provvisionali: Lorenzo Buonomo
Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali
Rilievi: Andrea Megna
Consulenza per il progetto illuminotecnico: Sergio Berno, Jeannot Cerutti
Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali
Impianto illuminazione: Pietranera Impianti Elettrici
Opere di restauro: Laboratorio Rava
Opere in metallo: Salgipa di Salvati & C.
Restauro bandiere: Cinzia Oliva
Opere in legno: Boglione
Progetto illuminotecnico: Sergio Berno
Grafica e comunicazione: Gabriella Bocchio e Giulio Palmieri
Impianti: Pietranera Impianti elettrici
Gestione amministrativa della Pinacoteca: Associazione Piemontese Arte
Progettazione grafica comunicazione: Gabriella Bocchio e Giulio Palmieri
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
Progettazione grafica della mostra: Studio Mark di Paolo Bertolino
Nel 2005, la Consulta e la Compagnia di San Paolo hanno sponsorizzato la mostra “Bartolomeo Cavarozzi. Sacre Famiglie
Allestimento mostra: Gruppo Bodino; Fotografie: Mariano Dallago
a confronto”, curata da Daniele Sanguineti, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico del Piemonte.
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri In occasione del restauro e dei dieci anni di attività, è stata realizzata una mostra fotografica sugli interventi realizzati dalla Consulta.
LA CONSULTA: SOCI: Arthur Andersen, Axa Assicurazioni, Banca Brignone, Bicc Ceat Cavi, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato
LA CONSULTA:
e Agricoltura di Torino, Compagnia di San Paolo, Elah Dufour, Fiat, Fondazione Crt, Gruppo Garosci, Gruppo Gorla, Ilte, Italgas, Lavazza,
SOCI: Arthur Andersen, Axa Assicurazioni, Banca Brignone, Bicc Ceat Cavi, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato
Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie,
e Agricoltura di Torino, Compagnia di San Paolo, Elah Dufour, Fiat, Fondazione Crt, Gruppo Garosci, Gruppo Gorla, Ilte, Italgas, Lavazza,
Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino.
Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro
COMITATO DIRETTIVO: presidente Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo), Marco Brignone (Banca Brignone), Bruno Cerrato (Camera
Assicurazioni, Unione Industriale di Torino.
di Commercio), Luigi Garosci (Gruppo Garosci), Elio Giordano (Compagnia di San Paolo), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni),
COMITATO DIRETTIVO: presidente Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo), Bruno Cerrato (Camera di Commercio), Luigi Garosci (Gruppo
Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri.
Garosci), Giorgio Introvigne (Axa Assicurazioni), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Giacomo Vitali (Italgas), Mario Zibetti
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf Industrie).
(Arthur Andersen), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri.
COMMISSIONE FINANZIARIA: Angelo Ascheri (Ilte).
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf Industrie).
COMMISSIONE TECNICA: Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali), Mario Verdun di Cantogno (Fiat).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Angelo Ascheri (Ilte). COMMISSIONE TECNICA: Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali) e Mario Verdun di Cantogno (Fiat).
220 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
1987-2010 gli interventi della consulta 221
LA SALA LEONARDO DELLA BIBLIOTECA REALE
IL PALAZZO DELL’UNIVERSITÀ: CORTILE, LOGGIATO E SCALONI
CRONOLOGIA:
CRONOLOGIA:
Agli inizi del Quattrocento viene costruita una Galleria di collegamento tra il Palazzo del Vescovo (Palazzo Reale) e Palazzo Madama,
1712-1713:
poi demolita agli inizi dell’Ottocento. Tra il 1605 e il 1607 Carlo Emanuele I la fa splendidamente decorare da un’équipe di artisti guidata
dell’Università (istituzione fondata nel 1404); il progetto viene continuato da Giovanni Antonio Ricca
da Federico Zuccari e la destina a ospitare le sue collezioni artistiche inserite in parte nella “Libreria e Museo di cose rare e curiose”. 1837-1842: Carlo Alberto affida a Pelagio Palagi la realizzazione della nuova sede della Biblioteca Reale, individuata al piano terreno dell’ala
per l’impostazione del grandioso cortile con loggiato. 1715-1720:
di levante di Palazzo Reale sotto la Galleria del Beaumont; la volta del Salone viene decorata dai pittori Angelo Moja e Marco Antonio Trefogli. 1840:
Carlo Alberto acquista da Giuseppe Volpato la consistente collezione di disegni, comprendente anche quelli di Leonardo da Vinci.
1893:
il collezionista russo Teodoro Sabachnicov dona a Umberto I il Codice sul volo degli uccelli di Leonardo da Vinci.
Filippo Juvarra realizza le parti decorative in stucco di porte e finestre, e il portale in marmo di Chianocco su via Po.
1718-1720:
l’erudito Scipione Maffei chiede di collocare nel cortile importanti reperti, accanto a un Gabinetto di curiosità che ospita oggetti relativi alla fisica, alla matematica e alla botanica.
Fine secolo XVIII-inizi secolo XIX: il loggiato è arricchito da statue, busti e dal gruppo in marmo “La Fama che incatena il Tempo”, opera dei fratelli Ignazio e Filippo Collino, destinato in realtà al mausoleo sabaudo di Saint-Jean de Maurienne.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1997-1998: Realizzazione della nuova “Sala Leonardo”, progettata come un caveau al piano seminterrato, attrezzato con le più moderne tecnologie:
Per volontà di Vittorio Amedeo II, Michelangelo Garove progetta la nuova sede del Palazzo
1834:
Giuseppe Maria Talucchi realizza il portale principale su via Verdi.
climatizzato, dotato di un sistema di spegnimento automatico in caso di incendio, di una porta blindata e di rilevatori con controllo
INTERVENTO DELLA CONSULTA 1999-2000:
a distanza. La sala è attrezzata con diciannove vetrine-contenitori, in ottone brunito e legno di noce, suddivisi in tre settori: due per la
Restauro conservativo del cortile, dei due scaloni e del loggiato. L’intervento comprende il restauro di: sei statue, trentotto busti, il gruppo
conservazione di disegni e manoscritti e uno mediano per l’esposizione. L’illuminazione è realizzata con fibre ottiche a intensità regolabile.
scultoreo dei fratelli Collino, le iscrizioni, l’orologio antico, sotto l’alta sorveglianza di Paola Salerno, Soprintendenza Beni Ambientali
Progetto e direzione lavori: Roberto Pagliero, Stefano Trucco e Roberto Vincenzi
e Architettonici del Piemonte e di Cristina Mossetti, Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte.
Progetto illuminotecnico: Sergio Berno
Ricerche storiche: Rita Binaghi, Università di Torino
Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali
Rilievi e responsabile del procedimento: Daniele Cappello, Ufficio tecnico dell’Università di Torino
Impianti: Pietranera Impianti Elettrici
Analisi: Oscar Chiantore, Dipartimento di Chimica, Giacomo Chiari, Dipartimento Scienze Mineralogiche e Petrologiche, Università di Torino;
Arredi della sala: Salgipa di Salvati & C.; Garau Arredamenti & Design; Montanaro; Rech & C.; Nova Impianti di Abrami Mario; Interlegno;
Antonietta Gallone, Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano; Lorenzo Apollonia, Soprintendenza di Aosta
Sipariette di Corronca; Aldo Zengiaro; Mario Sezzano
Impresa: Borini Costruzioni; direzione cantiere: Alberto Chiesa
Fotografie: Mariano Dallago
Decoratori: Sa.Ma.Ra.
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
Restauro: Laboratorio Giorgio Gioia con Chiara Giani; per le opere in bronzo: Tiziana Igliozzi e Valeria Borgialli; per il gruppo dei Collino
In occasione della realizzazione della Sala Leonardo è stata organizzata, con il contributo della Regione Piemonte, la mostra “Leonardo
(con la tecnica a laser): Anna Brunetto
e le Meraviglie della Biblioteca Reale di Torino”, con catalogo a cura di Giovanna Giacobello Bernard.
Responsabile per la sicurezza e progetto illuminotecnico: Sergio Berno Fotografie: Blue Skies Studio di Ernani Orcorte Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
LA CONSULTA:
Pubblicazione del volume Tra restauro e recupero. La Consulta dal 1987 ad oggi, a cura di Pier Luigi Bassignana e Angela Griseri.
SOCI: Arthur Andersen, Axa Assicurazioni, Banca Brignone, Bicc Ceat Cavi, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, Compagnia di San Paolo, Elah Dufour, Ersel, Fiat, Fondazione Crt, Gruppo Garosci, Gruppo Gorla, Ilte, Italgas, L’Oreal, La Piemontese Assicurazioni, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi, Reale Mutua Assicurazioni, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Toro Assicurazioni, Unicem, Unione Industriale di Torino e Utet.
SOCI: Arthur Andersen, Axa Assicurazioni, Banca Brignone, Bicc Ceat Cavi, Buzzi Unicem, Cartiere Burgo, Camera di Commercio
COMITATO DIRETTIVO: presidente Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo), Bruno Cerrato (Camera di Commercio di Torino), Luigi Garosci
Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, Compagnia di San Paolo, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Garosci, Gruppo Gorla, Ilte, Italgas,
(Gruppo Garosci), Giorgio Introvigne (Axa Assicurazioni), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Giacomo Vitali (Italgas),
La Piemontese Assicurazioni, Lavazza, L’Oreal, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi, Pininfarina, Reale Mutua Assicurazioni, Sagat Turin
Mario Zibetti (Arthur Andersen), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri.
Airport, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Skf, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino e Utet.
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf), Tullio Toledo (Lavazza).
COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Giuseppe Dondona (Gruppo Gorla), Massimo Geroli (Bicc Ceat Cavi), Giuseppe Lignana
COMMISSIONE FINANZIARIA: Dario Disegni (Compagnia di San Paolo).
(Cartiere Burgo), Enrico Marenco di Moriondo (Reale Mutua Assicurazioni), Alessandro Rosboch (La Piemontese Assicurazioni), Giacomo
COMMISSIONE TECNICA: Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali), Mario Verdun di Cantogno (Fiat).
Vitali (Italgas), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri.
LA CONSULTA:
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Tullio Toledo (Lavazza). COMMISSIONE FINANZIARIA: Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Marco Navone (Ilte). COMMISSIONE TECNICA: Mario Verdun di Cantogno (Fiat).
222 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
1987-2010 gli interventi della consulta 223
IL MONUMENTO A VITTORIO EMANUELE II
IL MONUMENTO A FERDINANDO DI SAVOIA
CRONOLOGIA:
CRONOLOGIA:
1878: Umberto I dona al Municipio di Torino l’ingente somma di un milione di lire finalizzata a realizzare il monumento in memoria del padre
1863:
Vittorio Emanuele II. Il Consiglio comunale indice un concorso, a cui vengono inviati 46 bozzetti e 8 disegni.
Vittorio Emanuele II decide di dedicare un monumento al fratello Ferdinando Alberto Maria di Savoia Carignano, purtroppo morto di mal sottile a soli trentatrè anni; il principe si era distinto valorosamente nella Battaglia della Bicocca (1849), l’episodio
1879: la commissione, composta da Carlo Ceppi, Andrea Gastaldi e Francesco Gonin, assegna l’incarico a Pietro Costa, il cui bozzetto spicca
conclusivo della prima guerra d’Indipendenza. Alfonso Balzico è lo scultore scelto dal re, particolarmente apprezzato
per “novità di impostazione”; il termine dei lavori viene fissato al 1885. Tantissimi i problemi da affrontare: dalle questioni tecniche
per il disegno e la modellazione rivolta al tema dei cavalli, dal 1866 nominato “scultore della casa reale”. Il monumento
per la scelta dei materiali del basamento e delle colonne, a questioni pratiche come la scelta del Costa di far realizzare la fusione
rappresenta il principe nel momento in cui sente mancare il cavallo che, colpito, cade a terra; nei due bassorilievi l’Assedio
della statua del re a Roma. 1882: posa della prima pietra del monumento. 1885: i quattro gruppi allegorici – la Libertà, la Fratellanza, il Lavoro, l’Unità – con le aquile sono ancora da realizzare e rimane da completare la parte muraria e lapidea.
di Peschiera e la Battaglia della Bicocca vicino a Novara. 1867:
consegna del modello in gesso alla Fonderia Papi di Firenze per la fusione, realizzata nell’arco di tre anni. Per motivi diversi, il monumento viene concluso e inaugurato solo nel 1877.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2001-2002:
1897: la Città di Torino condanna il Costa a consegnare il monumento, se pure incompleto, e ne entra in possesso l’anno successivo.
Il restauro ha rimosso la diffusa formazione di croste nere e polveri compattate. Nelle parti in bronzo, notevoli erano le ossidazioni alla patina,
1899: solenne inaugurazione alla presenza dei sovrani.
colpita da cloruri e solfati che avevano causato una colorazione variegata tendente al grigio. Dopo accurato controllo statico, si è passati
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2000-2001:
alla pulitura del monumento effettuata con bisturi, martelletti e microspazzole, alla rimozione dei depositi polverosi, all’esecuzione di piccole
Per le parti in bronzo si procede a intervenire con un sistema di sabbiatura effettuato con un abrasivo tenero, ricavato dalla macinazione dei gusci
saldature e sigillature. L’intervento ha rivelato una qualità tecnica e compositiva straordinaria del monumento, restituendo quella “visibilità”
di noce; questo metodo permette di non togliere la patina originaria, quindi di non scoprire il metallo e non esporlo ad attacchi corrosivi diretti.
che il tempo e la scarsa manutenzione gli avevano tolto.
Le operazioni di restauro durano otto mesi: 2000 metri quadri di superficie da trattare distribuiti su 38 metri di altezza, 3000 chili di graniglia vegetale
Alta sorveglianza artistica e tecnica: Leonardo Mastrippolito, Ufficio tecnico della Città di Torino; Paola Salerno, Soprintendenza Beni
per la pulitura, 300 litri di miscele di inibitori di corrosione, 150 chili di cera microcristallina e 600 litri di resina acrilica per la protezione superficiale.
Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte e Bruno Ciliento, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico
Alta sorveglianza artistica e tecnica: Leonardo Mastrippolito, Ufficio tecnico della Città di Torino; Daniela Biancolini, Soprintendenza Beni
del Piemonte
Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte e Paolo Venturoli, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico
Opere provvisionali: Impresa Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali, direzione cantiere: Luigi Rocchia
del Piemonte
Consulenza per il restauro: Paolo Nencetti, Opificio delle Pietre Dure di Firenze; Opere di restauro: Arte Restauro Conservazione
Progettista, direzione lavori e responsabile sicurezza: Giancarlo Mezzo
di Cristina Maria Arlotto
Consulenza strutturale: Paolo Napoli; responsabile dei lavori: Gianfranco F. Lo Cigno
Indagini e analisi: Rankover, Cultura e Tecnologia del restauro, Verona
Opere provvisionali: Impresa Borini Costruzioni; direttore di cantiere: Alberto Chiesa
Progetto per la comunicazione di cantiere: Massimo Venegoni, Studio Dedalo; realizzazione cartelloni: Sipea
Progetto per la comunicazione di cantiere: Mix p.r. Comunicazione; realizzazione: Sipea
Fotografie: Marco e Paolo Gonella, Blue Skies Studio di Ernani Orcorte
Consulenza specifica per il restauro: Sergio Angelucci, Roma; Opere di restauro: Laboratorio Rava
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
Indagini e analisi: Guido Biscontin, Venezia con la collaborazione di Arcadia Ricerche, Marghera
In occasione del restauro è stata pubblicata la brochure Restauro del Monumento. Ferdinando di Savoia Duca di Genova,
Fotografie: Mariano Dallago, Maurizio Roatta, Davide Schirripa; Revisione illuminazione: Aem
a cura di Pier Luigi Bassignana e Angela Griseri
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri In occasione del restauro, è stata realizzata la pubblicazione Vittorio Emanuele II. Un Monumento restituito alla Città, a cura di Pier Luigi Bassignana e Angela Griseri.
LA CONSULTA: SOCI: Arthur Andersen, Banca Brignone, Buzzi Unicem, Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Garosci, Gruppo Gorla, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Ilte, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, L’Oreal, Marco Antonetto Farmaceutici,
LA CONSULTA:
Martini & Rossi, Pininfarina, Pirelli, Reale Mutua Assicurazioni, Sagat Turin Airport, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Seat Pagine Gialle,
SOCI: Arthur Andersen, Banca Brignone, Buzzi Unicem, Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Garosci,
Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.
Gruppo Gorla, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Ilte, Italgas, La Piemontese Assicurazioni, Lavazza, L’Oreal, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini
COMITATO DIRETTIVO: presidente Renzo Giubergia (Ersel), Massimo Antonetto (Marco Antonetto Farmaceutici), Maria Luisa Buzzi (Buzzi
& Rossi, Pininfarina, Pirelli, Reale Mutua Assicurazioni, Sagat Turin Airport, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Seat Pagine Gialle, Skf, Telecom
Unicem), Filippo Ferrua (Ferrero), Luigi Garosci, Enrico Marenco di Moriondo (Reale Mutua Assicurazioni), Sulo Resuli (L’Oreal), tesoriere
Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino e Utet.
Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.
COMITATO DIRETTIVO: presidenti: Luigi Garosci e Renzo Giubergia (Ersel), Massimo Antonetto (Marco Antonetto Farmaceutici), Maria Luisa Buzzi
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Tullio Toledo e Alessandra Bianco (Lavazza).
(Buzzi Unicem), Filippo Ferrua (Ferrero), Enrico Marenco di Moriondo (Reale Mutua Assicurazioni), Sulo Resuli (L’Oreal), tesoriere Giovanni Ciarlo
COMMISSIONE FINANZIARIA: Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Marco Navone (Ilte).
(Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Tullio Toledo e Alessandra Bianco (Lavazza). COMMISSIONE FINANZIARIA: Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Marco Navone (Ilte). COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).
224 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
1987-2010 gli interventi della consulta 225
L’ASSE DEL BELVEDERE DI VILLA DELLA REGINA
PALAZZINA DELLA PROMOTRICE LE FACCIATE
CRONOLOGIA:
CRONOLOGIA:
1615, 1618-1619: sono documentati lavori alla Villa, tradizionalmente attribuita ad Ascanio Vitozzi. La costruzione è voluta dal principe
1842:
cardinale Maurizio di Savoia sul modello delle ville romane. 1657:
la moglie, principessa Ludovica, amplia fabbricati e giardini; altri importanti aggiornamenti decorativi sono avviati nel 1692 da Anna d’Orléans, moglie di Vittorio Amedeo II.
1728:
1994-2005:
è fondata la Società Promotrice delle Belle Arti, finalizzata a favorire il mercato d’arte attraverso l’acquisto e l’esposizione di opere d’arte, presentate in rassegne annuali. Il suo ruolo diventa quello di struttura espositiva ufficiale della capitale subalpina, in stretto rapporto con l’Accademia Albertina.
1860 circa: la Società è ospitata nel Palazzo progettato da Alessandro Mazzucchetti, Carlo Ceppi e Cimbro Gelati in via della Zecca 25;
Filippo Juvarra riceve l’incarico di ridefinire complessivamente gli spazi e i rapporti con il giardino per la nuova regina
le esposizioni sono invece allestite in locali provvisori situati all’interno del parco del Valentino, messi a disposizione dal Comune.
Polissena d’Assia; Juvarra viene affiancato da Giovanni Pietro Baroni di Tavigliano, quest’ultimo ancora attivo tra il 1760
1914-1923: la Società, direttore Davide Calandra, decide di stanziare 200.000 lire per costruire la nuova sede in viale Balsamo Crivelli.
e il 1780 per Maria Antonia Ferdinanda di Borbone: si realizzano le scuderie, il Palazzo del Chiablese, danneggiati e demoliti
Progettista è l’ingegnere Bonicelli che prevede otto sale e un grande salone centrale, illuminati da ampi lucernari; Edoardo
dopo la seconda guerra mondiale.
Rubino viene incaricato dei lavori per le parti esterne in pietra artificiale, arricchite da un bassorilievo raffigurante le Arti Liberali,
tutto il complesso passa in consegna alla Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte che redige, avvia e realizza il Progetto generale di restauro e riapertura al pubblico.
mentre la decorazione di tutti gli interni è affidata a Giulio Casanova. 1923-1925: lavori di ampliamento realizzati da Giovanni Chevalley.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2002-2003:
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2004:
Il recupero dell’Asse del Belvedere è un tassello significativo che si inserisce nel restauro ambientale e paesaggistico, finalizzato
Il restauro si è incentrato sull’architettura esterna, dedicando particolare attenzione alle decorazioni e ai fregi, opera dello scultore
a valorizzare l’immagine scenografica di tutto il complesso, in prospettiva finale dell’asse storico urbano che congiunge via Po con via Villa
Edoardo Rubino; preliminarmente sono state eseguite approfondite analisi e indagini stratigrafiche in accordo con le Soprintendenze
della Regina. Continui approfondimenti, indagini e ricerche, anche in corso d’opera, hanno permesso di comprendere le ragioni del dissesto
competenti e con l’Ufficio Colore della Città, per consolidare e integrare gli intonaci e gli apparati decorativi delle facciate.
e del degrado e quindi di recuperare correttamente il sistema idraulico, gli impianti decorativi e architettonici nelle loro diverse fasi storiche
Questo intervento ha costituito il tassello finale, ma significativo, all’interno della completa ristrutturazione della Palazzina, finalizzata
e tecniche. Particolarmente complessi i lavori alla Peschiera e alla Grotta del Re Selvaggio, straordinario esempio di decorazione sei-settecentesca
a restituire una maggiore funzionalità a questa storica e prestigiosa sede espositiva.
con conchiglie e materiali lapidei di differenti colorazioni, ampiamente integrati. Molto nutrito il gruppo di lavoro dei professionisti e degli studiosi,
Alta sorveglianza: Daniela Biancolini, Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte e Cristina Mossetti,
diretto con grande capacità da Cristina Mossetti, Direttrice di Villa della Regina per la Soprintendenza Beni Artistici, Storici ed Etnoantropologici
Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte
del Piemonte, in collaborazione con Maria Carla Visconti per la Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte.
Progettazione, direzione lavori, sicurezza: Cosimo Turvani, Studio Icis
Progettazione, direzione scientifica e operativa: Federico Fontana con Alessandra Perugini; Cristina Mossetti con Anna Maria Bava
Responsabile dei lavori: Adriano Borello
e Roberta Bianchi, Maria Carla Visconti
Opere di restauro: Spada & Spada
Responsabile del procedimento: Carla Enrica Spantigati, Soprintendente Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte
Restauro degli apparati decorativi: Barbara Rinetti
Rilievi: Federico Fontana, Stephane Garnero, Giorgio Rolando Perino; Rilievi stereofotogrammetrici: Foart
Progetto grafica di cantiere: Supermaxistudio
Direzione dei lavori: Federico Fontana; Direzione e diagnosi delle opere strutturali: Paolo Sorrenti, Cesare Berti
Fotografie: Blue Skies di Ernani Orcorte
Coordinatore per la sicurezza: Roberto Mortarino
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
Opere provvisionali, edili e strutturali: Impresa Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali; Impianti idraulici: Piero Bianchi
Si ristampa il volume istituzionale Per Torino. Gli interventi della Consulta dal 1987 ad oggi, a cura di Pier Luigi Bassignana e Angela Griseri.
Opere di restauro: Koinè; Novaria Restauri (per la Grotta del Re Selvaggio); Opere da giardiniere: F.lli Airaudi
Creazione di un sito web: www.consultaditorino.it realizzato da Shorr-Kan.
Fotografie: Giacomo Gallarate, Giacomo Lovera Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
LA CONSULTA: SOCI: Banca Popolare di Bergamo-Gruppo Bpu Banca, Buzzi Unicem, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino,
LA CONSULTA:
Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, Gruppo
SOCI: Banca Popolare di Bergamo/Banca Brignone, Buzzi Unicem, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, Cartiere Burgo,
Canale & C., Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi,
Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, Gruppo Canale & C., Ifi-Istituto Finanziario
Pininfarina, Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.
Industriale, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, L’Oreal Saipo, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi, Pininfarina, Pirelli, Presider, Reale Mutua
COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Alberto
Assicurazioni, Seat Pagine Gialle, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.
Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica
COMITATO DIRETTIVO: presidente Renzo Giubergia (Ersel), Massimo Antonetto (Marco Antonetto Farmaceutici), Maria Luisa Buzzi (Buzzi
Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.
Unicem), Filippo Ferrua (Ferrero), Luigi Garosci, Enrico Marenco di Moriondo (Reale Mutua Assicurazioni), Sulo Resuli (L’Oreal Saipo), tesoriere
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Sulo Resuli (L’Oreal Saipo),
Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.
Marco Sobrero (Ersel), Fabrizio Vignati (Fondiaria-Sai).
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Marco Sobrero (Ersel), Tullio Toledo e Alessandra Bianco (Lavazza),
COMMISSIONE FINANZIARIA: Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat).
Fabrizio Vignati (Fondiaria-Sai).
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).
COMMISSIONE FINANZIARIA: Dario Disegni (Compagnia di San Paolo). COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).
226 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
1987-2010 gli interventi della consulta 227
LE FONTANE DEL PO E DELLA DORA IN PIAZZA cln
LA CANCELLATA DI PALAZZO REALE
CRONOLOGIA:
CRONOLOGIA:
1936:
il Comune approva il progetto di Giuseppe Momo e Marcello Piacentini relativo alla sistemazione del secondo tratto
1834: Carlo Alberto incarica Pelagio Palagi di realizzare il progetto per la nuova Cancellata.
di via Roma, prevedendo “la formazione di due facciate monumentali in pietra da taglio verso la nuova piazzetta: le due facciate
1835: Giovanni Colla e Chiaffredo Odetti ricevono in pagamento 145.500 lire per la “formazione e collocamento di una grande cancellata
comprenderanno due fontane con sculture allegoriche”. Le statue, realizzate in marmo di Serravezza, raffigurano i due fiumi, il Po e la Dora, il Comune assegna il lavoro allo scultore Umberto Baglioni. Seguono le opere relative all’esecuzione dell’impianto delle 1987:
in ferro fuso lavorato avanti il reale Palazzo Grande” e per “dare colore ad olio a due mani ad ambe le parti”. 1842: Giovanni Battista Viscardi e Luigi Manfredini realizzano la fusione in bronzo di Castore e Polluce a cavallo, opera di Abbondio
elettropompe necessarie a garantire l’acqua alle fontane; a conclusione le vasche saranno rivestite con materiale ceramico.
Sangiorgio; le forme in gesso erano state eseguite da Diego Marielloni; solo nel 1847 le statue vengono collocate sui pilastri
in occasione del cinquantenario di via Roma, l’architetto Rosenthal allestisce una mostra nella piazza e, per pochi giorni, le fontane
in marmo della Valle San Martino, opera di Farinelli e Gaggini.
vengono riattivate.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2005: L’intervento, per le parti lapidee, è consistito nel preconsolidamento delle zone disgregate, per passare alla pulitura dei depositi carboniosi e all’asportazione dei depositi acidi tramite l’uso di acqua nebulizzata e impacchi di polpa di carta. A seguire, stuccatura di tutte le fessure, crepe e lacune con una malta a calce idraulica e con polvere di marmo; a conclusione, applicazione di un protettivo superficiale. Il secondo
Il Palagi completa la cancellata con otto candelabri in ferro fuso, alimentati a gas, tecnologia allora molto innovativa. 1895: l’architetto di corte Emilio Stramucci richiede una manutenzione; lo stato di conservazione della cancellata risulta precario in quanto la fusione originaria è stata suddivisa in troppe parti, determinando molteplici infiltrazioni d’acqua. 1932: la Real Casa decide di sostituire la cancellata con un’altra nuova in ghisa; la rifusione viene affidata alla ditta Manfredi & Bongioanni di Fossano.
lotto di lavori ha riguardato la complessa opera di impermeabilizzazione delle vasche, in collaborazione con la Smat - Società Metropolitana
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2004-2005:
Acque Torino che ha provveduto al rifacimento dell’impianto idrico, con un contributo del Lions Club International Distretto 108.
Dopo un approfondito rilievo, con relativa mappatura del degrado, sono state eseguite numerose indagini preliminari. La doratura,
Alta Sorveglianza: Paola Salerno, Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte e Bruno Ciliento, Soprintendenza
rintracciata nelle punte e nelle teste di Medusa, non era stata realizzata a foglia d’oro ma a porporina dorata; le uniche tracce di foglia d’oro
per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte; Leonardo Mastrippolito, Città di Torino, Settore Edifici per la Cultura
si riscontrano, all’interno della Piazzetta Reale, sulla prima Medusa, quella verso la Biblioteca Reale. La Cancellata presentava parti rotte
Progettazione, direzione lavori e sicurezza: Marco Abbio, Giuseppe Depascale
e staccate: le cause principali erano imputabili sia ad assestamenti e a cedimenti sia a fenomeni di corrosione e di ossidazione; la vernice
Opere di restauro: Doneux e Soci Restauro Opere d’Arte; direttore tecnico: Kristine Doneux; direttore di cantiere: Federico Doneux
color ferro micacea, risalente a una manutenzione degli anni Ottanta del Novecento, era ormai consumata e molto permeabile alle
Opere provvisionali ed edili: Sivim, Alessandria
infiltrazioni di acqua; dopo la pulitura e il consolidamento, è stato steso un color verde bronzato, in sintonia con quello delle statue equestri.
Opere di impermeabilizzazione: Emilio Borgatta
Progettazione e direzione lavori: Daniela Biancolini, Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte
Impianti idrici: Piergiorgio Bertero, Smat - Società Metropolitana Acque Torino.
Alta sorveglianza: Carla Enrica Spantigati e Paola Astrua, Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte
Impianto illuminazione: Felice Serra e Alessandra Paruzzo, Azienda Energetica Metropolitana Torino
Rilievi: Studio Vinardi: Monica Fantone e Barbara Vinardi; Sicurezza: Gianfranco Vinardi
Fotografie: Giacomo Lovera, Blue Skies di Ernani Orcorte
Indagini diagnostiche: Emma Angelini e Sabrina Grassini, Politecnico di Torino; Marcello Baricco e Paola Rizzi, Università di Torino;
Progettazione grafica: Supermaxistudio; realizzazione: Format
Guido Biscontin, Università Cà Foscari di Venezia; Guido Driussi, Arcadia Ricerche, Marghera (Ve)
Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
Consulenza per restauro Dioscuri: Giuseppe Longega, Università di Venezia Opere provvisionali: Co.velt; Opere di restauro: Novaria Restauri; direttore di cantiere: Sonia Segimiro; direttore tecnico: Giovanna Mastrotisi; responsabile di cantiere: Alessandro Segimiro; Opere da fabbro: Bessone Livio & C.
LA CONSULTA:
Adeguamento dell’impianto di illuminazione: Aem - Azienda Energetica Metropolitana Torino; Fotografie: Giacomo Gallarate
SOCI: Banca Popolare di Bergamo-Gruppo Bpu Banca, Buzzi Unicem, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino,
Progettazione grafica: Supermaxistudio; Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, Gruppo Canale & C., Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi, Pininfarina, Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet
LA CONSULTA:
COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Alberto
SOCI: Banca Popolare di Bergamo - Gruppo Bpu Banca, Buzzi Unicem, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura
Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica
di Torino, Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, Gruppo
Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.
Canale & C., Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi,
COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Marco Sobrero (Ersel), Fabrizio Vignati
Pininfarina, Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.
(Fondiaria-Sai).
COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Alberto
COMMISSIONE FINANZIARIA: Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat).
Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente
COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).
storico-artistica Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno. COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Sulo Resuli (L’Oreal Saipo), Marco Sobrero (Ersel), Fabrizio Vignati (Fondiaria-Sai). COMMISSIONE FINANZIARIA: Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat); COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).
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1987-2010 gli interventi della consulta 229
LA FACCIATA OTTOCENTESCA DI PALAZZO CARIGNANO
LE STATUE DELLE QUATTRO STAGIONI
CRONOLOGIA:
CRONOLOGIA:
1860-1865: Camillo Cavour affida ad Amedeo Peyron la realizzazione, nel cortile, di un’Aula provvisoria, mentre procedono i lavori
1741-1752: Simone Martinez, nipote di Filippo Juvarra, realizza le statue delle Quattro Stagioni, in marmo di Frabosa, inizialmente concepite per la Galleria del Beaumont di Palazzo Reale, in realtà collocate nella Reggia di Venaria nella Galleria di collegamento tra l’Appartamento del duca di Savoia e la Cappella, il cosiddetto Rondò progettato dall’architetto Benedetto Alfieri. 1810: le statue vengono trasportate nei Giardini di Palazzo Reale, restaurate dallo scultore Giacomo Spalla: questo intervento rientra nel progetto dell’architetto Giuseppe Battista Piacenza di realizzare un museo imperiale di scultura. Sono state riportate nuovamente a Venaria nel 2007, riproponendo la loro collocazione nelle nicchie del Rondò alfieriano.
per quella definitiva, che avrebbe dovuto ospitare le sedute del Parlamento Italiano. 1864-1872: la Città di Torino incarica Domenico Ferri e Giuseppe Bollati di realizzare la parte ottocentesca di Palazzo Carignano. 1876:
trasferimento delle collezioni del Museo di Zoologia.
1937-1938: si destina il Palazzo a sede del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2004-2005: La facciata presentava un fortissimo degrado provocato dall’inquinamento e dall’esposizione agli agenti atmosferici: i grandi vasi a coronamento erano già stati cerchiati con appositi ferri. Nel 1998 si verificavano altri distacchi, tra questi la caduta del braccio e della lancia della statua rappresentante l’Industria, in marmo di Carrara; anche le balaustrate in granito bianco e rosa denotavano grossi problemi di conservazione e vistosi distacchi. La Consulta ha finanziato il restauro della parte centrale della facciata, aggiungendo così un tassello molto significativo, a completamento del restauro delle facciate e degli scaloni guariniani, finanziati dalla Compagnia di San Paolo e dalla Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte. Direzione scientifica: Alessandra Guerrini, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico del Piemonte con la collaborazione e l’alta sorveglianza di Francesco Pernice e Valerio Corino, Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte Progetto: Alessandra Guerrini con Salvatore Simonetti e Barbara Rinetti Rilievi: Noemi Gallo
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2007: Le statue erano molto danneggiate dall’incuria del tempo e dalle condizioni atmosferiche. Direzione lavori storico-artistici: Carla Enrica Spantigati, Soprintendente Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte; Mirella Macera, Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte Responsabile dei Lavori e Coordinamento sicurezza: Studio Vinardi Opere provvisionali: Co.velt Opere di restauro: Cooperativa per il Restauro, Milano Indagini chimiche: Alessandro Princivalle Rilievo a laser scanner: Cat-Consorzio Arte Tecnologia Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
Diagnostica: ICVBC-CNR, Firenze – Fabio Fratini, Susanna Bracci con Maurizio Gomez Serito, Alessandro Princivalle Ricerche storiche: Andrea Longhi, Vittorio Natale Direttore lavori: Salvatore Simonetti con la collaborazione di Barbara Rinetti, Roberto Mortarino, Eleonora Graziani e Valentina Troina Responsabile del procedimento: Carla Enrica Spantigati, Soprintendente Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte Opere provvisionali ed edili: Zumaglini & Gallina; direttore di cantiere: Fabrizio Steffani, capocantiere: Massasso
LE STORIE DI ARTEMISIA GLI ARAZZI DI PALAZZO CHIABLESE
Opere di restauro: Cooperativa per il restauro, Milano; direttore operativo: Simona Offredi; capocantiere: Annalisa Ghizzardi Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
LA CONSULTA: SOCI: Banca Popolare di Bergamo-Gruppo Bpu Banca, Buzzi Unicem, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino,
CRONOLOGIA: 1619-1621: Vittorio Amedeo I fa acquistare gli arazzi a Parigi per ornare le sale del Palazzo Ducale di Torino, dove rimangono fino al 1753 quando nove di essi sono trasferiti a Palazzo Chiablese. Il soggetto degli arazzi è tratto dal poema Histoire de la Reyne Arthemise composto nel 1561-1562 da Nicolas Houel, mecenate e farmacista parigino, in onore di Caterina de’Medici. Si ispira alle gesta di due antiche regine della Caria. Gli arazzi sono realizzati in lana e seta, con filati metallici d’oro e d’argento.
Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, Gruppo
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2008:
Canale & C., Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi,
Gli arazzi presentavano una significativa alterazione dei materiali costitutivi, provocata dal tempo, dall’uso e dalle precedenti condizioni di esposizione, non adatte alla conservazione delle fibre. Il restauro è stato diviso in due aree di intervento: da una parte si trattava di reinserire nell’ordito e nella trama i materiali mancanti, dall’altra si doveva rimediare alla presenza dannosa di alcuni precedenti interventi di rammendo. Direzione lavori storico-artistici: Roberto Medico, Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio del Piemonte Restauro Arazzi: Tissage di Donatella Mascalchi, Firenze Fotografie: Archivio Soprintendenza Beni Architettonici Piemonte; Ernani Orcorte Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
Pininfarina, Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet. COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno. COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Sulo Resuli (L’Oreal Saipo), Marco Sobrero (Ersel), Fabrizio Vignati (Fondiaria-Sai). COMMISSIONE FINANZIARIA: Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat). COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).
LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Banca Popolare di Bergamo-Gruppo Bpu Banca, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Intesa SanPaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi, Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni. COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Renzo Giubergia (Ersel), Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem) Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno. COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Alessandra Bianco (Lavazza), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Marco Sobrero (Ersel), Fabrizio Vignati (Fondiaria-SAI). COMMISSIONE FINANZIARIA: Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat). COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group).
230 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
1987-2010 gli interventi della consulta
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BIBLIOTECA REALE – MOSTRA “TERRAE COGNITAE. LA CARTOGRAFIA NELLE COLLEZIONI SABAUDE”
PALAZZINA DI CACCIA DI STUPINIGI REIMPIANTO ALBERATE
La Biblioteca Reale, voluta da Carlo Alberto nel 1831, conserva nelle sue collezioni anche preziose carte geografiche e portolani, disegnati
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2007-2008:
con inchiostri di vari colori su pergamene; tra questi il Planisfero di Torino di Giovanni Vespucci, 1523, il Theatrum orbis terrarum di Juan
Il progetto ha previsto il reimpianto di circa 1.700 pioppi cipressini (P. nigra pyramidalis) ai lati della strada circolare e lungo le due principali rotte di caccia che si staccano dal raccordo anulare, ovvero la Rotta Niccolò e la Rotta Chisola. L’attuazione di tale progetto è stata sviluppata su un periodo di 3 anni circa, utilizzando i mezzi tecnici ed il personale agrario dipendente del Settore Tecnico Agrario della Fondazione Ordine Mauriziano, che ha effettuato le seguenti operazioni colturali: misurazione e picchettatura, formazione di buche con trivella, concimazione di base con stallatico (450 quintali) e concime a lenta cessione (7,5 quintali), irrigazione dell’impianto.
Baptista Lavagna e Luis Texteira, 1597-1611, il Commentarium in Apocalypsim et alia del monaco Beato di Liébana, XI-XII secolo, la Cronaca di Norimberga di Hartmann Schedel, 1493.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2007: Le pergamene si presentavano in condizioni assai critiche a causa di pregressi e maldestri interventi di allestimento, sia sui supporti membranacei che sulle relative pellicole pittoriche. La Consulta ha finanziato il restauro di cinque portolani e, per il Planisfero di Torino, ha realizzato un apposito tavolo che permette la conservazione e l’esposizione permanente della carta nautica nella Sala Leonardo, voluta dalla stessa Consulta nel 1998. Per gli altri portolani sono stati realizzati dei contenitori-custodia a struttura rigida ma nello stesso tempo mobile per facilitare la movimentazione permanente delle opere, montate su un supporto di policarbonato e carta giapponese. Progetto mostra: Maria Letizia Sebastiani, Clara Vitulo, con la collaborazione di Maria Gattullo, Franca Porticelli, Eliana Angela Pollone
LA VOLTA DEL TEATRO CARIGNANO
Progettazione tavolo di conservazione e allestimento mostra: Roberto Pagliero, Stefano Trucco Realizzazione tavolo di conservazione: Salgipa
CRONOLOGIA:
Opere di restauro: Studio Crisostomi
1709: voluto dal principe di Carignano, il Teatro entra in funzione nel 1711; nel 1786 un incendio distrugge completamente la struttura. In occasione della ricostruzione, la decorazione del plafone della volta viene affidata al pittore Bernardino Galliari, che dipinge il Giudizio di Paride. 1818: il futuro re Carlo Alberto promuove alcuni restauri; in quest’occasione il pittore Luigi Vacca sostituisce la decorazione del plafone con Apollo circondato dalle Muse. 1845: altro rifacimento da parte di Francesco Gonin che dipinge il Trionfo di Bacco. Nel 1876 viene installato l’impianto di illuminazione a gas; nel 1936 l’intero apparato strutturale del teatro è rifatto con l’impiego del calcestruzzo armato sul quale vengono ricollocate le parti in legno, mentre al pittore Carlo Gaudina è affidato un intervento di manutenzione del plafone.
Ricerche storiche: Andrea Longhi, Vittorio Natale Direttore lavori: Salvatore Simonetti con la collaborazione di Barbara Rinetti, Roberto Mortarino, Eleonora Graziani e Valentina Troina Allestimento e restauri in mostra: Véronique Cachia, Santo Maccarone, con la collaborazione di Angela Audino e Vincenzo Terracino Opere provvisionali ed edili: Zumaglini & Gallina; direttore di cantiere: Fabrizio Steffani, capocantiere: Massasso Progettazione grafica e fotografie: Fabrizio Fenucci, Y Press Comunicazione multimediale: Gaetano Di Marino
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2008: LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Banca Popolare di Bergamo- Gruppo BPU Banca, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria- Sai, Garosci, G. Canale & C., IFI- Istituto Finanziario Industriale, Intesa SanPaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi, Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni. COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Fabrizio Vignati (Fondiaria-Sai), Renzo Giubergia (Ersel), Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat) tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storicoartistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno. COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro),
I diversi interventi pittorici documentati sul plafone avevano influito molto sulla “leggibilità” dell’opera, compromettendo la versione originaria dipinta dal Gonin. In occasione del restauro, le indagini e i saggi stratigrafici hanno messo in luce la presenza di tre stesure pittoriche: la coloritura esistente al momento della ricostruzione del teatro dopo l’incendio del 1786, quella del 1824-1826 e la terza stesura con le figure mitologiche dovuta a Francesco Gonin, che si trovava in condizioni molto frammentarie, tenacemente attaccate agli strati di pittura applicati successivamente. Direzione scientifica: Cristina Mossetti, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte Direzione dei lavori: Studio Marconi, Roma Opere provvisionali: Zoppoli & Pulcher Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
Marco Sobrero (Ersel). COMMISSIONE FINANZIARIA: Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt). COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group).
LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Intesa Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi, Pirelli, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni. COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Fabrizio Vignati (Fondiaria-Sai), Renzo Giubergia (Ersel), Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat) tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storicoartistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno. COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Marco Sobrero (Ersel). COMMISSIONE FINANZIARIA: Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt). COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group).
232 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
1987-2010 gli interventi della consulta 233
LE CUCINE DEL PALAZZO REALE
VILLA DELLA REGINA MOSTRA E RICOSTRUZIONI VIRTUALI
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2009
“Evocazioni e nuovi allestimenti nell’Appartamento del Re” ha voluto ricostruire, attraverso arredi storicamente documentati, l’atmosfera e l’aspetto delle sale dell’Appartamento del Re nella prima metà del Settecento. Nel Salone centrale sono state esposte le sei sovrapporte dipinte nel 1735 circa dal napoletano Corrado Giaquinto raffiguranti le Storie di Enea, commissionate per la Camera da letto di Carlo Emanuele III, ritornate temporaneamente dopo centocinquant’anni dal Quirinale a Villa della Regina. La mostra è stata arricchita da preziosi arredi di Pietro Piffetti, da un grande biliardo e da porcellane di manifattura occidentale ed orientale. Scenografica la ricostruzione virtuale della Libreria di Piffetti e dei papiers-peints del Gabinetto verso Levante alla China: questi arredi sono conservati al Palazzo del Quirinale. Organizzazione mostra: Cristina Mossetti, Direttore di Villa della Regina, con Paola Traversi Progetto allestimento: Cristina Mossetti; Maria Carla Visconti Cherasco, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del Piemonte; Paola Traversi; Simona Albanese Collaborazioni: Laura D’Agostino, Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro, Silvana Pettenati, Lucia Caterina, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, Luisa Morozzi, Ufficio per la Conservazione del Patrimonio Artistico del Quirinale Apparati didattici: Paola Manchinu Restauri e interventi conservativi: Laboratorio Rinetti Barbara Conservazione e Restauro Opere d’Arte; Ester Giovacchini; Galleano Giuseppe e figli; Aurifolia Tappezzerie e tende: Calderan di Gianfranco Stella Allestimento-progetto: Studio Dedalo; realizzazione: Bordi Allestimenti; audiovisivi: Video Telecom Project; ricostruzione virtuale: Hub-Edenlab Trasporti e assistenza tecnica: Borghi International Fotografie: Vincenzo Piccione e Ornella Savarino, Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte; Paolo Robino; Maurizio Necci-Azimut; Giacomo Lovera Sponsor tecnico per le coperture assicurative: Fondiaria-Sai Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
Gli ambienti delle Cucine storiche sono stati completamente ristrutturati e allestiti: si tratta di venti sale composte da cucine per cuocere carni, pesci, dolci, forni, ceppi, spiedi, ghiacciaie, dispense e una grande cantina. Sono stati ricostruiti modelli (i cosiddetti mock up) in scala reale: dal cinghiale al quarto di bue, alla cacciagione; sono stati restaurati più di duemila rami, dalle grandi pesciere ai piccoli stampi per dolci e biscotti. Direzione lavori di restauro e allestimento: Daniela Biancolini in collaborazione con Enrico Barbero, Soprintendenza per i Beni Archiettonici e Paesaggistici del Piemonte Coordinamento restauro: Giuseppe Longega e Guido Biscontin, Venezia Restauro rami: Arcadia Ricerche, Marghera Restauro arredi fissi: Silvia Ciacera Macauda e Daniele Capella; Luigi Tanzillo Realizzazione delle opere: Consorzio C.C.C.: Consorzio C.C.C.: EdilAtellana, C.I.T.E., Cellini Realizzazione allestimento e installazioni: Little Bull, Armando Testa; Studio Guidone Associati Mock-up: Vittorio Comi, Paderno d’Adda; Michele Guaschino Progetto grafico e allestimento tavole: Consolata Pralormo Design Referenze fotografiche: Archivio Fotografico della Soprintendenza per i Beni Archiettonici e Paesaggistici del Piemone; Riccardo Gonella, Torino; Ernani Orcorte, Torino Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Intesa Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi, Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni
LA CONSULTA:
COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Fabrizio Vignati
SOCI: Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Intesa Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi, Pirelli, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni. COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Fabrizio Vignati (Fondiaria-Sai), Renzo Giubergia (Ersel), Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat) tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storicoartistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno. COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Marco Sobrero (Ersel). COMMISSIONE FINANZIARIA: Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt). COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group).
(Fondiaria-Sai), Renzo Giubergia (Ersel), Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat) tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storicoartistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno. COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Marco Sobrero (Ersel). COMMISSIONE FINANZIARIA: Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt). COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group)
234 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
1987-2010 gli interventi della consulta 235
CHIESA DEL SANTO SUDARIO E MUSEO SINDONOLOGICO - FACCIATE
MUSEO NAZIONALE DEL CINEMA
CRONOLOGIA:
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2010:
Per la costruzione di una cappella interna all’Ospedale dei Pazzerelli, Vittorio Amedeo II concedeva nel 1728 alla Confraternita del Santo
La Galleria dei Manifesti si è arricchita di un modulo espositivo interattivo, che racchiude al proprio interno un sistema di proiezione, di elaborazione dati e di tracking. Uno schermo ad alta luminosità e definizione permette al visitatore, con un semplice movimento della mano, di accedere all’archivio di immagini, ottenute con la digitalizzazione di soggetti provenienti dalla collezione dei manifesti storici del museo. Il rifacimento della cappella dedicata agli effetti speciali, denominata Chroma Key, propone una soluzione innovativa dal punto di vista della qualità e dell’efficacia comunicativa per il pubblico: l’installazione è incentrata su alcune sequenze animate in computer grafica, di forte impatto visivo. Progetto scientifico: Alberto Barbera, direttore con il coordinamento di Angela Savoldi, con la collaborazione di Nicoletta Pacini, Sabrina Mezzano, Leonardo Ferrante e Andrea Merlo Stark Interactive Wall-Galleria dei Manifesti: Paolo Buroni, Stark architectural image projectors; Paola Gallarini, restauratrice; Roberto Goffi, digitalizzazione manifesti Effetti Speciali-La Macchina del Cinema: Futura Nt, progettazione sistema interattivo “Chroma Key”; Giordano Allestimenti; A.B.C. Elettrik; Acuson Sistema di oscuramento Aula del Tempio: Mottura, Roberto Lupo, Jvan Negro Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
Sudario un sito, verso Porta Susina nell’Isolato di San Isidoro. Solo nel 1734 veniva scelto il progetto dell’ingegnere Mazzone, mentre la decorazione era affidata al quadraturista veneziano Pietro Alzeri, attivo con la collaborazione di Michele Antonio Milocco per le figure e la pala d’altare. La facciata è attribuita all’architetto Giovanni Battista Borra. Dopo il periodo napoleonico, la chiesa veniva riaperta e restaurata nel 1821; altri restauri nel 1895 sotto la direzione di Enrico Reffo e Angelo Reycend.
INTERVENTO DELLA CONSULTA 2009: L’intervento di restauro conservativo si è indirizzato alle Facciate della Chiesa e del Museo della Sindone. Sono state effettuate analisi stratigrafiche sugli intonaci e sugli apparati decorativi per verificare le cromie originarie: si presentavano diverse stratificazioni di colore, dovute ad interventi successivi; la stesura originale, emergeva, in zone molto estese, in condizioni degradate e molto frammentarie. Al fine di rendere omogenea la lettura delle facciate, la Soprintendenza competente e l’Ufficio del Colore della Città hanno deciso di procedere con la stesura di intonaci a calce incentrati su una bicromia rosa-beige, tenendo presenti le cromie azzurre del Palazzo storico con cui la chiesa confina. Durante la fase di pulitura della facciata principale della Chiesa, al di sopra del timpano è emerso un bassorilievo eseguito in stucco raffigurante la Santa Sindone. La Consulta ha donato al Museo Sindonologico il dipinto di Giovanni Battista della Rovere, Sepoltura di Cristo, 1625 circa. Alta sorveglianza: Paola Salerno, Soprintendenza Beni Architettonici e Paesaggistici per il Piemonte Direttore dei lavori: Mario Cicala Coordinatore sicurezza: Giuseppe Perfetto Opere provvisionali: Co.velt Opere edili: Co.ge.fa; direttore di cantiere: Luigi Rocchia Opere di restauro: Ottaviano Conservazione e Restauro Opere d’Arte Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Intesa Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi, Pirelli, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Fabrizio Vignati (Fondiaria-Sai), Renzo Giubergia (Ersel), Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat) tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storicoartistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Marco Sobrero (Ersel). COMMISSIONE FINANZIARIA: Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt). COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group).
MOSTRA “MERAVIGLIE DELLA GALLERIA SABAUDA” La Consulta ha realizzato nel biennio 2008-2009 il restauro di alcuni dipinti fiamminghi provenienti dalle collezioni ducali, da quelle del Principe Eugenio e dalla collezione di Riccardo Gualino. In particolare l’intervento sulla tavola di Bernard van Orley ha permesso di scoprire sul retro del dipinto una composizione a monocromo raffigurante un particolare del Trasporto della Croce. Il Museo del Louvre e i Musées Royaux des Beaux Arts di Bruxelles hanno eccezionalmente concesso il prestito di due tavole che hanno permesso di ammirare ricomposto il Trittico dell’Annunciazione di Rogier van der Weyden e le due ante del Polittico commissionate al pittore di corte Bernard van Orley. Progetto e cura: Carla Enrica Spantigati, Paola Astrua, Anna Maria Bava, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte: Progetto di allestimento e grafico: Dedalo Architettura e Immagine Realizzazione allestimento: Interfiere, Moncalieri Grafica comunicazione: M.C. Grafica di Marco Clava Trasporto e allestimento opere: Arteria, Torino; Borghi International Settore Opere d’Arte, San Mauro Torinese; Gerlach Art Packers & Shippers BVBA, Bruxelles; L. P. Art, Parigi Assicurazione delle opere: Léon Eeckman, Bruxelles Restauro dipinti: Nicola Restauri, Aramengo (Asti); Cesare Pagliero, Savigliano (Cuneo); Barbara Rinetti Restauro opere d’arte, Torino Fotografie: Giacomo Lovera; Nicola Restauri; Cesare Pagliero Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
LA CONSULTA: SOCI: Alleanza Toro Assicurazioni, Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Exor, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Intesa Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi, M. Marsiaj & C, Pirelli, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni. COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Adriana Acutis (Vittoria Assicurazioni), Eugenio Bona (Armando Testa), Maurizio Cibrario (Martini & Rossi), Filippo Ferrua (Ferrero), Giorgio Marsiaj (M: Marsiaj & C.), tesoriere Giovanni Ciarlo, segretaria e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno. COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Donatella Mezzalama (Alleanza Toro Assicurazioni), Marco Sobrero (Ersel). COMMISSIONE FINANZIARIA: Mario Busso (Deloitte & Touche), Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt), Giuseppe Donato (Skf), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo). COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group); Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat).
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PALAZZO MADAMA - MOSTRA LENCI SCULTURE IN CERAMICA 1927-1937
i soci della consulta
Negli anni tra il 1927 e il 1937 Lenci divenne famosa per una produzione ceramica di sculture d’arredo caratterizzate da soluzioni stilistiche e tematiche assai originali. Le invenzioni della Lenci rispecchiano la ricchezza della scena artistica torinese tra le due guerre: Mario Sturani, Giovanni e Ines Grande, Elena Koenig Scavini, Felice Tosalli, Gigi Chessa, Sandro Vacchetti, Abele Jacopi, Nillo Beltrami, Claudia Formica sono gli artisti che hanno dato lustro alla manifattura. La mostra ha presentato un vasto repertorio di ceramiche, disegni e gessi preparatori, provenienti da collezioni private, esposte per la prima volta al pubblico. La facciata presentava un fortissimo degrado provocato dall’inquinamento e dall’esposizione agli agenti atmosferici: i grandi vasi a coronamento erano già stati cerchiati con appositi ferri. Nel 1998 si verificavano altri distacchi, tra questi la caduta del braccio e della lancia della statua rappresentante l’Industria, in marmo di Carrara; anche le balaustrate in granito bianco e rosa denotavano grossi problemi di conservazione e vistosi distacchi. La Consulta ha finanziato il restauro della parte centrale della facciata, aggiungendo così un tassello molto significativo, a completamento del restauro delle facciate e degli scaloni guariniani, finanziati dalla Compagnia di San Paolo e dalla Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte. Curatori: Valerio Terraroli; Enrica Pagella, Direttore Palazzo Madama Museo Civico d’Arte Antica Progetto dell’allestimento: Diego Giachello con Marco Gini e Elena Ciani Progetto grafico ed immagine coordinata: Elio Vigna Design Video in mostra: Pier Luigi Bassignana; Elena Romagnolo, Progetto Storia e Cultura delle Industrie del Nord/Ovest Progetto impianti elettrici: Alfonso Famà Coordinamento sicurezza in cantiere: Gianfranco Vinardi Allestimento: Im.form - Impianto elettrico: Iem di Melissari Grafica in mostra: Ideazione - Trasporti: Arterìa Sponsor tecnico per le coperture assicurative: Vittoria Assicurazioni Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri
SANTENA CAPPELLA CAVOUR La Cappella, costruita nel 1715 per volontà del conte Carlo Ottavio Benso, si trova all’interno del complesso del Castello; la cripta, edificata nel 1861 su progetto dell’architetto Barnaba Panizza, conserva le spoglie dei Benso di Cavour, dei Clermont-Tonnerre, dei Sellon e dei Sales. Camillo Cavour volle espressamente essere sepolto qui, accanto alle al nipote Augusto; dal 1911 è stata dichiarata Monumento nazionale. Il restauro della Cappella è stato inaugurato il 6 giugno 2010 alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
LA CONSULTA: SOCI: Alleanza Toro Assicurazioni, Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, C.L.N., Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Exor, Fenera Holding, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Garosci, G.Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Intesa Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi, M. Marsiaj & C., Pirelli, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni. COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Adriana Acutis (Vittoria Assicurazioni), Eugenio Bona (Armando Testa), Maurizio Cibrario (Martini & Rossi), Filippo Ferrua (Ferrero), Giorgio Marsiaj (M: Marsiaj & C.), tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno. COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Donatella Mezzalama (Alleanza Toro Assicurazioni), Marco Sobrero (Ersel). COMMISSIONE FINANZIARIA: Mario Busso (Deloitte & Touche), Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt), Giuseppe Donato (Skf), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo). COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group); Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat).
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ALLEANZA TORO assicurazioni
burgo group
Alleanza Toro Assicurazioni è la nuova Società del Gruppo Generali nata dalla fusione di due leader di mercato, Alleanza Assicurazioni e Toro Assicurazioni. Il nuovo polo assicurativo rappresenta, con i brand Alleanza, Toro, Lloyd Italico e le Società Augusta e Das, la miglior risposta alle esigenze assicurative e previdenziali delle famiglie, dei professionisti e delle imprese. L’integrazione di due marchi storici permette di ampliare l’offerta commerciale creando nuove sinergie e maggiore competitività: offerta a 360° - Un’offerta completa di prodotti, grazie ai know-how di Alleanza e Toro, a disposizione delle reti di vendita. Soluzioni dedicate alla protezione della persona e della famiglia; prodotti vita e previdenziali finalizzati al risparmio, alla protezione e all’investimento; vicinanza alla clientela: - Alleanza Toro fa leva su più reti distributive differenziate (oltre 18.000 Agenti/Collaboratori), diffuse in modo capillare su tutto il territorio nazionale con circa 2.000 Agenzie/Punti Vendita. Alleanza Toro si conferma, in un mercato in grande evoluzione, una Società fondata su valori ispirati alla tradizione e al prestigio e nel contempo attenta alle innovazioni. Arte, cultura, sport e charity sono le principali aree di intervento di Alleanza Toro. Su questi presupposti si è concretizzata la collaborazione con la Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino fin dalla sua nascita. L’impegno nella diffusione della conoscenza, della produzione artistico-culturale e della sua valorizzazione, testimoniano concretamente l’attenzione e la scelta degli interventi della Società.
Burgo Group è uno dei maggiori produttori in Europa di carte per uso grafico. Offre una gamma
ARMANDO TESTA Il Gruppo Armando Testa è il più grande gruppo indipendente italiano di comunicazione oltre che la prima agenzia di advertising del Paese (fonte AssoComunicazione). Nelle tre sedi italiane di Torino, Milano e Roma, il Palazzo della Comunicazione riunisce, tutte le società del Gruppo: una struttura all’avanguardia concepita per fornire ai clienti un servizio di comunicazione a 360°. Fondato nel 1946 da Armando Testa, il più famoso creativo italiano in ambito internazionale, oggi il Gruppo, sotto la guida del suo presidente Marco Testa, gestisce più di 100 clienti con uno staff di oltre 300 persone. Peculiarità dell’Armando Testa sono i rapporti di lunghissima durata con molti clienti, come Lavazza, da 50 anni o Lines, da oltre 40. Il Gruppo comprende cinque società in un unico teamwork: Armando Testa s.p.a., agenzia di advertising; Media Italia, Centro media/new media/telepromozioni; In Testa, agenzia di corporate identity/packaging/in store promotion; Bitmama, agenzia creativa di comunicazione digitale e interattiva; Little Bull, casa di produzione audiovisivi, product placement, eventi. Fa parte del Gruppo anche Max Information s.r.l., agenzia di pubblicità con sede a Bologna. Oltre alle sedi italiane, il Gruppo opera, da molti anni, con partner selezionati nei principali mercati mondiali. Tra i principali clienti: Acraf, Barilla-Mulino Bianco, Esselunga, Fater, Heineken, Lancia, Lavazza, Nestlè, Rcs, Sammontana, Martini.
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ampia di carte di grande qualità, pone particolare attenzione all’ambiente, sviluppa nuove soluzioni in partnership con i propri clienti ed è costantemente impegnato nella ricerca e nello sviluppo di nuovi prodotti: tutto questo si sintetizza nella continua volontà di proporsi come partner affidabile ai settori della stampa, dell’editoria e della distribuzione di carta. Grazie alla sua volontà di competere in un mercato complesso, Burgo Group è oggi un vero “sistema” intorno al mondo della carta: produzione, distribuzione, riciclo della carta; gestione di prodotti forestali; studio, progettazione, realizzazione ed engineering di impianti cartari; factoring; produzione e commercializzazione di energia.
Buzzi unicem Nel 2007 Buzzi Unicem ha compiuto 100 anni di vita. Cento anni scanditi da 4 generazioni della famiglia Buzzi che, con grande capacità imprenditoriale, è stata in grado di crescere con continuità, portando la produzione – in anni di mercato normale - a circa 33 milioni di t/anno di cemento e 16 milioni di m3/anno di calcestruzzo. Annoverata fra gli operatori di settore più importanti al mondo, Buzzi Unicem fattura circa 3 mld €/anno, è presente in 12 nazioni con circa 12.000 dipendenti, 40 unità produttive per il cemento e 530 impianti di betonaggio. Cosciente del forte potenziale impatto sui territori in cui esercita le proprie attività, Buzzi Unicem ha da sempre, ed in particolare negli ultimi anni, unito la crescita economica ad una politica ambientale e di sviluppo sociale: il rispetto dell’ambiente e delle persone è per l’azienda uno degli obiettivi da continuare a perseguire in futuro.
camera di commercio Espressione diretta delle categorie produttive e della società civile, la Camera di commercio industria artigianato e agricoltura di Torino è orientata alla valorizzazione e alla tutela degli interessi generali dell’economia provinciale. Alle oltre 235.000 imprese iscritte, l’ente offre servizi anagrafico-amministrativi, attraverso una gestione telematica e di facile accesso, e numerosi servizi promozionali che assistono le aziende fin dalla costituzione, supportandone la nascita e favorendone lo sviluppo. Dalla formazione all’innovazione, dall’internazionalizzazione fino a specifici interventi di sviluppo del territorio, l’attività camerale si articola in varie funzioni per le imprese, gestite da un soggetto capace di comprenderne esigenze e problemi. La Camera di commercio di Torino rappresenta un interlocutore di rilievo del dialogo fra le componenti economiche del territorio, operando a favore della trasparenza del mercato, con servizi di prevenzione e composizione delle controversie, oltre a quelli di vigilanza e tutela della fede pubblica. In coordinamento con gli enti locali e le principali istituzioni pubbliche e private, la Camera di commercio partecipa ai più importanti progetti di sviluppo dell’economia, della cultura e della formazione, mettendo a disposizione risorse finanziarie, progettuali e organizzative, per contribuire ad uno sviluppo armonico dell’economia locale.
i soci della consulta 241
C.L.N.
ersel
La Società C.L.N., fondata nel 1948 dal Cavaliere Mario Magnetto, nasce come Centro di Servizi
Ersel rappresenta da 75 anni una realtà unica nel panorama del risparmio gestito, per l'assoluta
Siderurgici a Caselette ed è cresciuta in modo da costituire oggi uno dei gruppi principali
indipendenza e per la qualità del servizio offerto.
europei con tre settori: SSC - distribuzione di laminati piani; Divisione Automotive - progettazione, stampaggio ed assemblaggio di componenti metallici e sottogruppi; Divisione Ruote - progettazione e produzione di ruote in acciaio ed alluminio per autovetture, veicoli commerciali leggeri e pesanti e per motocicli. Il Gruppo è presente in quattro continenti con 30 siti produttivi ed impiega circa 8.000 dipendenti. Joint Ventures e collaborazioni con altre società del settore hanno ulteriormente rafforzato la posizione del Gruppo nel mondo.
Nata a Torino negli anni ’30 come Studio Giubergia, prima società di fondi comuni autorizzata
Compagnia di san paolo
in Italia e tra le prime nel settore degli hedge fund, Ersel è specialista nella gestione di patrimoni, attività da sempre affiancata da servizi di consulenza su aspetti fiscali e di corporate finance. Un gruppo dinamico con circa 7,5 miliardi di asset gestiti ed uno staff di 200 persone nelle sedi di Torino, Milano e Bologna, capace di offrire ad ogni cliente, privato, istituzionale o azienda, la certezza di un servizio professionale, trasparente e personalizzato.
eXOR EXOR s.p.a. è una delle principali società d’investimento europee ed è controllata dalla famiglia Agnelli. Con un NAV (Net Asset Value) pari a circa 6 miliardi di euro, EXOR è il frutto di una storia imprenditoriale fatta di oltre un secolo di investimenti; quotata alla Borsa Italiana, ha sede
La Compagnia di San Paolo è una delle maggiori fondazioni private in Europa e trae le sue
a Torino. EXOR è il maggior azionista del Gruppo Fiat e realizza investimenti con un orizzonte
origini da una Confraternita costituita nel 1563, trasformata in seguito in Istituto bancario
temporale di lungo termine in diversi settori, prevalentemente in Europa e negli Stati Uniti,
e caritatevole sui generis. Oggi è retta da un nuovo statuto adottato nel marzo 2000.
oltre che nei principali mercati emergenti. EXOR attribuisce grande importanza al legame
La Fondazione partecipa attivamente alle attività della società civile, perseguendo finalità
con la propria comunità e sostiene numerose attività nel campo della ricerca sociale,
di interesse pubblico e utilità sociale, allo scopo di favorire lo sviluppo civile, culturale
dell’educazione, dell’assistenza e della promozione culturale.
ed economico delle comunità in cui opera. La Compagnia di San Paolo è attiva nei seguenti settori: Ricerca e istruzione superiore; Patrimonio artistico; Attività culturali; Sanità e Politiche
fenera holding
sociali. La Compagnia definisce i propri obiettivi attraverso una programmazione annuale
Il Gruppo Fenera è una holding di partecipazioni con attività diversificate in Italia ed all’estero,
e pluriennale e opera sia attraverso erogazioni a soggetti pubblici e no-profit, sia tramite altre
nei settori industriale, immobiliare e bancario-finanziario.
modalità, tra cui i programmi che essa gestisce direttamente e l’azione di “enti strumentali”
Nato alla fine degli anni ’80 per iniziativa delle famiglie Zanon di Valgiurata e Palazzi Trivelli,
specializzati, fondati e sostenuti dalla Compagnia, talvolta in cooperazione con altre istituzioni,
annovera oggi tra i suoi azionisti numerosi investitori italiani ed esteri. Tra i più significativi PKP
in settori di interesse.
Gruppo Finanziario e Banca Passadore & C. ed i gruppi imprenditoriali e familiari Arduini,
La Compagnia è membro del Centro Europeo per le Fondazioni, con sede a Bruxelles, e dell’Acri,
Avandero, Buson, Daffonchio, Gabetti Davicini, Garosci, Lavazza, Manfredi, Maramotti, Marsiaj,
l’Associazione Italiana delle Fondazioni di Origine Bancaria di Roma.
Mazza Midana, Pavesio, Savio, Seragnoli e Stratta. Il Gruppo dispone di competenze consolidate in campo finanziario ed immobiliare e vanta
deloItte & touche
prestigiose partnership sui mercati italiani ed esteri.
Deloitte Touche Tohmatsu è un network di entità legali operanti in tutto il mondo, volte a fornire
ferrero
consulenza e servizi professionali di eccellenza. È focalizzata sul servizio ai clienti, grazie ad una
Fondata nel 1946, la FERRERO già negli anni '50 realizza una progressiva espansione sui mercati
strategia globale applicata localmente in circa 150 paesi e al vasto capitale intellettuale di circa
internazionali, diventando, a partire dagli anni '70, uno dei gruppi dolciari più importanti
135.000 persone in tutto il mondo.
del mondo. Il Gruppo è oggi composto da 38 società e da 18 stabilimenti produttivi, con
Deloitte è presente in Italia dal 1923 e oggi costituisce la più grande realtà nei servizi
un totale di più di 21.000 dipendenti.
professionali alle imprese. I servizi di revisione e organizzazione contabile, consulenza aziendale,
Al vertice del Gruppo si trova la Top Holding Ferrero International, con sede a Lussemburgo.
legale e fiscale e financial advisory sono resi da diverse società specializzate in singole aree
La società italiana ha la sede direzionale a Pino Torinese e stabilimenti ad Alba (Cn), Pozzuolo
professionali e tra loro separate e indipendenti, ma tutte facenti parte del network Deloitte.
Martesana (Mi), Sant'Angelo dei Lombardi (Av), e Balvano (Pz) con un'occupazione complessiva
Le stesse oggi contano circa 2.500 professionisti che assistono i clienti nel raggiungimento
di oltre 5.900 unità.
di livelli d’eccellenza grazie alla fiducia nell'alta qualità del servizio, all’offerta multidisciplinare e alla presenza capillare sul territorio nazionale.
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i soci della consulta 243
fiat
S.p.A.
G. CANALE & C.
Il Gruppo Fiat è una delle maggiori imprese industriali italiane ed è tra i fondatori dell'industria
La Ajani e Canale nasce nel 1915 come società familiare. Diventata con l’uscita del Socio Ajani
automobilistica europea. Fin dalle origini lo sviluppo dell'Azienda è stato contrassegnato da una
Stabilimento Grafico G. Canale & C. s.a.s., si è sviluppata nel tempo per assumere, negli anni '80,
spiccata proiezione internazionale e una forte propensione verso l'innovazione.
la denominazione di G. Canale & C. s.p.a. Nel settore grafico rappresenta un gruppo di dimensioni
Focalizzato sull’automotive, il Gruppo progetta e costruisce vetture, camion, caricatori gommati,
significative in Europa, con un fatturato di 100 milioni di euro. Utilizza le tecnologie più moderne
escavatori, movimentatori telescopici, trattori e mietitrebbie.
nel pre-press, nelle macchine piane di grande formato, nelle rotative offset per il colore e per il nero,
È presente, inoltre, nel settore della Componentistica automotive, nonché nell'ambito
nella legatoria industriale di libri e riviste. Con tre stabilimenti in Italia e uno stabilimento in Romania,
dell'editoria e della comunicazione. Fiat svolge le sue attività industriali e di servizi finanziari
il Gruppo G. CANALE & C. offre soluzioni per tutte le attività del comparto editoriale e della
attraverso società localizzate in 50 paesi e intrattiene rapporti commerciali con clienti in oltre
comunicazione su carta stampata, garantendo il ciclo completo dall'attività creativa e redazionale,
190 Paesi.
fino alla postalizzazione e alla distribuzione, attraverso le fasi di composizione, selezione del colore, impaginazione, stampa e rilegatura. Il Gruppo G. CANALE & C. produce il 40% del suo fatturato
fondazione crt
per il mercato nazionale e il 60% per il mercato internazionale, sotto forma di romanzi, dizionari
La Fondazione Cassa di Risparmio di Torino è un ente no profit interamente dedicato alla
e codici, libri scolastici, libri per bambini, libri d'arte, riviste scientifiche e tecniche, riviste illustrate
crescita e allo sviluppo economico, sociale e culturale del Piemonte e della Valle d’Aosta. Prende
a grande diffusione, stampati commerciali e cataloghi per la grande distribuzione.
vita nel 1991 dalla Cassa di Risparmio di Torino, da cui ha ereditato lo spirito filantropico.
Attraverso una costante ricerca e con l'utilizzo delle più moderne tecnologie, vuole sempre offrire
È persona giuridica privata, senza fine di lucro, dotata di piena autonomia gestionale, orientata
un prodotto di alta qualità, ad un prezzo competitivo.
a scopi d’utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico.La Fondazione CRT non solo eroga contributi, ma realizza progetti in grado di dare risposte mirate alle esigenze territoriali nei
INTESA SAN PAOLO
diversi settori, con particolare attenzione alle logiche della venture philanthropy e con un occhio
Intesa Sanpaolo si colloca tra i primissimi gruppi bancari dell'eurozona, con una capitalizzazione
di riguardo alla possibilità di crescita, formazione e lavoro soprattutto delle giovani generazioni
di mercato di 27,4 miliardi di euro ed è leader in Italia in tutti i settori di attività (retail, corporate
del Piemonte e della Valle d’ Aosta. Sono molteplici i settori su cui indirizza progetti e risorse:
e wealth management). Grazie ad una rete di oltre 5.900 sportelli, capillare e ben distribuita su
dalla conservazione e valorizzazione dei beni artistici e delle attività culturali alla ricerca
tutto il territorio, con quote di mercato superiori al 15% nella maggior parte delle regioni, offre
scientifica; dall’istruzione e formazione alla sanità e assistenza delle categorie sociali deboli; dalla
i propri servizi a circa 11,3 milioni di clienti. Ha una presenza selettiva in Europa centro-orientale
protezione civile e tutela ambientale all’innovazione degli enti locali e al sostegno dello sviluppo
e nel bacino del Mediterraneo, grazie a circa 1.850 sportelli e 8,5 milioni di clienti delle banche
economico, con oltre un miliardo di euro distribuiti complessivamente fino ad oggi, di cui 332
controllate, operanti nel retail e commercial banking, in 13 paesi. Vanta inoltre una rete
milioni di euro destinati alla conservazione e valorizzazione dei beni artistici e culturali.
internazionale specializzata nel supporto alla clientela corporate, che presidia 34 paesi, in particolare il bacino del Mediterraneo e le aree in cui si registra il maggior dinamismo delle
garosci
imprese italiane, come Stati Uniti, Russia, Cina e India.
La storia del Gruppo Garosci è legata all’evoluzione del mercato italiano della distribuzione e del suo principale protagonista: il consumatore; esso è stato fin dal 1929, anno di avvio della
ITALDESIGN GIUGIARO
società, l’obiettivo prioritario del lavoro quotidiano di una famiglia, che era già operativa nell’800
Italdesign Giugiaro è stata fondata nel 1968 da Giorgetto Giugiaro, nominato nel 1999 a Las Vegas
nella filiera dell’olio d’oliva. Da allora Garosci ha partecipato alla storia del commercio italiano:
Car Designer del secolo, e da Aldo Mantovani, il tecnologo che ha consentito all’azienda di
negozi a libero servizio, supermercati, ipermercati, cash and carry e centri commerciali
registrare negli anni oltre 150 brevetti nazionali ed internazionali, con una formula innovativa
(con circa 4.000 dipendenti) sino ad arrivare ai giorni nostri con un ruolo che, lasciato il settore
rimasta immutata: fornire all’industria dell’automobile servizi di creatività, ingegneria e sviluppo,
della distribuzione commerciale, spazia in campi più diversificati consentendo di valorizzare
costruzione prototipi di preserie, testing e validazione del prodotto, assistenza alla messa
le competenze acquisite. Lo scenario di attività della “Family Company”, oggi anche tramite
in produzione ed essere altresì in grado di assumere direttamente la direzione, il coordinamento
nuove alleanze, si è allargato ai settori finanziari, immobiliari ed editoriali.
e la supervisione dell’intero iter progettuale, compresi l’esercizio del controllo qualità e la delibera a produzione presso le installazioni della Casa automobilistica. Italdesign Giugiaro, la cui sede è a Moncalieri in provincia di Torino, nel distretto automobilistico italiano, oggi impiega 800 persone in sedi in Italia e all’estero e conta 800 stazioni CAS, CAD, CAE e CAM, 16 frese a controllo numerico, 12 presse di vario tonnellaggio, 15 sistemi di misurazione e metrologia, 6 unità di taglio laser robotizzate, 1 sistema di fotogrammetria, 1 scanner laser, 1 cluster di calcolo utilizzato per simulazioni e 2 centri di realtà virtuale. La divisione di Industrial Design, attiva sin dal 1974, ha sviluppato progetti relativi a mezzi di trasporto (treni, aerei, imbarcazioni, motociclette,...), di beni di consumo, di packaging, di corporate identity, attività che si è estesa anche all’architettura e alla pianificazione del paesaggio urbano.
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i soci della consulta 245
Italgas
MARTINI & ROSSI
Italgas è leader in Italia nel settore della distribuzione del gas naturale in ambito urbano.
La storia della Martini & Rossi comincia nel 1863, dopo aver raccolto l’eredità della “Distilleria
La Società è controllata da Snam Rete Gas, operatore integrato a presidio delle attività regolate
Nazionale di Spirito di Vino” nata nel 1847. Fin dal primo momento la società si caratterizza
del gas in Italia, che si occupa di trasporto e dispacciamento, stoccaggio, rigassificazione
per l’innata e istintiva vocazione ad espandersi oltre i confini nazionali e per la forte
e distribuzione di gas naturale.
intraprendenza, che ha diffuso i prodotti e il nome Martini in tutto il mondo, rendendolo
Oggi Italgas è concessionaria del servizio in oltre 1.400 Comuni tra grandi, medi e piccoli centri.
simbolo grazie alla fusione con il Gruppo Bacardi nel 1993 e formando un’unica grande entità
Distribuisce circa 7,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno attraverso un capillare sistema
produttiva, commerciale e distributiva, fondata su solide tradizioni e insieme protesa verso
di tubazioni lungo 50.000 chilometri.
il futuro: il Gruppo Bacardi-Martini, al 3° posto nel mondo fra produttori di alcolici.
La sua storia è iniziata a Torino oltre 170 anni fa. Da allora Italgas ha orientato la sua azione contribuendo allo sviluppo economico e al benessere delle comunità nelle quali opera.
MARsiaJ & C.
Il forte radicamento sul territorio si è sempre concretizzato nell’impegno a fornire servizi
M. Marsiaj & C. s.r.l., fondata nel 1947 da Michele Marsiaj, in pochi anni diventa il punto
efficienti e di elevata qualità nonché, in una prospettiva di sviluppo sostenibile, nella
di riferimento per importanti gruppi italiani e stranieri nel mondo dell’automotive in Italia.
valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale. Rientra in quest’ottica l’adesione della
Con l’ingresso dei figli Piero e Giorgio, rispettivamente Presidente e Amministratore Delegato,
Società alla Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, con lo scopo
la società diversifica i suoi interessi e diventa holding di famiglia. Nasce nel 1972 Sabelt s.p.a.,
di contribuire a migliorare la fruibilità del patrimonio storico, artistico e architettonico della città.
che sarà seguita da altre iniziative industriali con gruppi leader nel mondo quali TRW (USA), Sumitomo (Giappone) ed Electrolux (Svezia). Oggi la M. Marsiaj&C. detiene partecipazioni
lavazza
e collabora nel settore Automotive (Sabelt s.p.a.; Brembo Performance Group e TRW
1895 -2010: Lavazza ha percorso un secolo di storia dedicandosi esclusivamente al caffè
Automotove) immobiliare (Olympic Real Estate, Fenera Real Estate), assicurazioni (Vittoria
e diventando una tra le più rilevanti realtà produttive di caffè al mondo.
Assicurazioni) e della finanza (Fenera Holding s.p.a., Moncanino s.p.a.). Marsiaj è tra i soci
La sua storia è quella di un’azienda torinese di successo, ma anche di una famiglia che
fondatori del Fondo Charme (Gruppo Poltrona Frau).
da quattro generazioni lavora con grande passione per riuscire a coniugare qualità, tradizione e originalità. Dalle confezioni sottovuoto di caffè macinato negli anni Sessanta, un’innovazione
pirelli
di portata rivoluzionaria, alle memorabili campagne televisive, dall’espansione verso i mercati
Pirelli & C. s.p.a., quotata alla Borsa Italiana, è a capo di un gruppo multinazionale con
europei ed emergenti che dagli anni Ottanta la vedono ora con 11 consociate dirette presenti
un'esperienza industriale di oltre 135 anni. Legata fin dalle origini al modo degli pneumatici,
nel mondo, al network del Training Centre con gli oltre 43 laboratori di caffè, Lavazza si è sempre
Pirelli ha declinato la propria vocazione industriale in più attività. Negli pneumatici, core
confermata un’azienda internazionale che, quotidianamente, rinsalda il patto di fiducia
business del gruppo, Pirelli Tyre è oggi il quinto produttore mondiale in termini di fatturato
con i consumatori di tutto il mondo. Oggi Lavazza è leader in Italia nel mercato retail con una
ed è leader nei segmenti di fascia alta del mercato. Da oltre un secolo è presente nelle
quota del 47,6% (in valore, fonte Nielsen) e presente in oltre 90 Paesi, presidiando i business
competizioni sportive motoristiche, dal rally alla superbike e dal campionato 2011 sarà
Casa e Fuori casa (Foodservice, Distribuzione Automatica e Coffee Shop Business). L’Azienda
fornitore unico di pneumatici della Formula 1. Il gruppo dispone di una struttura produttiva
ha chiuso il 2009 con un fatturato di 1,096 miliardi di euro.
di 20 stabilimenti nel mondo e di una rete commerciale presente in oltre 160 Paesi. Affiancano le attività di Pirelli Tyre quelle di Pirelli Eco Technology, operante nell'ambito della mobilità sostenibile e nelle tecnologie per il controllo delle emissioni attraverso la produzione e la
marco antonetto
distribuzione di filtri antiparticolato. La continua ricerca di un modello di sviluppo sostenibile
Società storica nel panorama farmaceutico italiano, l'azienda nasce nel 1913 e porta il nome
è testimoniata anche dalle attività di Pirelli Ambiente, presente nel campo delle energie
del suo fondatore Marco Antonetto. In quasi 100 anni di storia l'azienda è diventata
rinnovabili, nelle soluzioni per l'efficienza energetica degli edifici e nelle bonifiche ambientali.
un riferimento nel panorama dell'industria farmaceutica italiana. Marco Antonetto Farmaceutici
Nelle soluzioni dell'accesso a banda larga, opera Pirelli Broadband Solutions, mentre
opera nel mondo della salute con la divisione Farma (specialità medicinali di automedicazione
nel settore immobiliare il gruppo è presente con Pirelli RE, uno dei principali gestori
OTC) e la divisione Sohn (integratori nutrizionali e fitoterapici), secondo un percorso
nel settore immobiliare in Italia e in Europa. Il gruppo Pirelli ha chiuso l’esercizio 2009 con un
di continuità tra ricerca, sviluppo e produzione finale.
fatturato pari a circa 4,4 miliardi di euro e impiega circa 30 mila dipendenti in tutto il mondo.
La creazione costante di prodotti innovativi, caratterizzati da sicurezza e efficacia terapeutica, è il frutto dell'impegno nella ricerca, attraverso lo sviluppo di tecnologie farmaceutiche originali volte a fornire soluzioni efficaci e sicure nel campo della salute e del benessere.
246 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
i soci della consulta 247
presider
telecom italia
La società PRESIDER fa parte del gruppo Ferrero, fondato dal cavaliere del lavoro Ettore Ferrero.
Il Gruppo Telecom Italia offre oggi infrastrutture e piattaforme tecnologiche su cui voce e dati
Il Gruppo ha avuto, negli anni, come “core business”, la siderurgia intesa come
si trasformano in servizi di telecomunicazioni avanzati e soluzioni ICT e media all’avanguardia,
produzione e commercializzazione di prodotti siderurgici. Oggi le sue attività sono molteplici.
strumenti di sviluppo per il Gruppo stesso e l’intero Paese. Telecom Italia, TIM, Virgilio, La7 e MTV
Ha ampliato di recente i suoi investimenti nel settore energia verde e ambiente dove è presente
Italia, Olivetti sono i suoi principali marchi, icone familiari ai consumatori e garanzia di affidabilità
con la società SIED, proprietaria di 14 centrali idroelettriche in Italia. La PRESIDER, con sede
e competenza. Vicinanza al cliente e innovazione tecnologica le parole chiave del Gruppo, con una
a Borgaro Torinese (Torino) e stabilimenti a Borgaro Torinese ed a Maclodio (Brescia) dagli anni
organizzazione snella e centrata sulla qualità del servizio, offerte semplici, attenzione ai momenti
80, è una delle più importanti realtà industriali del Gruppo, opera nella lavorazione e posa
di contatto con la clientela e costante attività di ricerca nei laboratori di TILab. Oltre alla leadership
di strutture in acciaio per l’edilizia con una produzione di oltre 120.000 tonnellate annue, distribuite
domestica nelle telecomunicazioni fisse e mobili - con 16,1 milioni di collegamenti retail alla rete
in Italia e in Europa. È diventata leader nella fornitura per opere infrastrutturali: autostrade, viadotti,
fissa, 7 milioni di clienti broadband retail, 30,8 milioni di linee mobili - Telecom Italia possiede
metropolitane, linee ad alta velocità e TGV, specializzandosi e acquisendo una riconosciuta
un’importante presenza in America Latina, dove TIM Brasil con 41,1 milioni di linee mobili,
e apprezzata professionalità.
si conferma uno dei maggiori player.
reale mutua assicurazioni
unione industriale di torino
Fondata a Torino nel 1828, la Società Reale Mutua di Assicurazioni è la più grande compagnia
L’Unione Industriale di Torino nasce nel 1906 e da essa, nel 1910, prende vita Confindustria,
italiana in forma di mutua, capofila di un gruppo composto da dieci società presenti in Italia
la Confederazione Generale dell’Industria Italiana.
e in Spagna, nel quale operano circa 2.800 dipendenti, per tutelare quattro milioni di assicurati circa.
L’Associazione torinese raccoglie oggi oltre 2.500 imprese, piccole, medie e grandi, con circa
La particolare forma statutaria di società mutua, che non ha azionisti proprietari, comporta che
200.000 addetti in tutti i settori merceologici manifatturieri e del terziario innovativo.
il patrimonio sociale appartenga ai soci-assicurati, nel cui interesse sono impiegati i risparmi
All’azione istituzionale di tutela, di rappresentanza e di promozione degli interessi industriali,
realizzati dalla società. Grazie a uno sviluppo costante ed equilibrato, Reale Mutua è una realtà forte
l’Associazione affianca una gamma sempre più ampia e aggiornata di servizi volti ad accrescere
e ben radicata sui mercati assicurativi, finanziari e immobiliari, ove opera attraverso numerose
la competitività delle imprese. Inoltre, nel corso degli ultimi anni, ha sviluppato un’intensa
società controllate, collegate e partecipate, non soltanto in Italia. Reale Mutua, che offre una gamma
attività di intervento nella vita sociale e culturale della città, diventandone, a fianco delle imprese,
molto ampia di prodotti sia nei rami danni sia nei rami vita, a oltre 1.400.000 soci/assicurati
protagonista attenta e vitale.
fra privati e imprese, per un totale di oltre 2.500.000 polizze, è presente in Italia con circa 340 agenzie, mentre l’intero gruppo ne conta sul territorio nazionale quasi ottocento.
vittoria assicurazioni
skf
Riconosciuta per affidabilità ed efficienza, Vittoria Assicurazioni opera in tutti i settori assicurativi
Il Gruppo SKF è leader mondiale nella fornitura di prodotti, soluzioni e servizi nei settori dei cuscinetti volventi, delle tenute, della meccatronica, dei servizi e dei sistemi di lubrificazione. L'offerta di servizi comprende anche l’assistenza tecnica, i servizi di manutenzione, il monitoraggio delle condizioni e le attività di formazione. Oggi l’azienda conta oltre 100 siti produttivi e una rete commerciale basata su proprie società di vendita, supportate da circa 15.000 distributori. Per SKF, sostenibilità significa combinare la capacità di sviluppare con successo le proprie attività, con l’impegno a salvaguardare le risorse per le generazioni future.
e fonda la propria attività su una lunga esperienza maturata fin dal 1921; sempre in primo piano nella tutela assicurativa e previdenziale delle realtà sia familiari, sia aziendali, si avvale di una capillare organizzazione commerciale qualificata e costituita da 330 Agenzie e 423 Sub-Agenzie. Grazie alla maturata esperienza nel campo assicurativo nell'arco di quasi un secolo, nonché alla professionalità, l'impegno e la serietà con cui tutela i propri clienti, uniti alla trasparenza dei contratti ed alla massima chiarezza verso i suoi assicurati, Vittoria Assicurazioni riscontra la piena soddisfazione ed i consensi delle molte realtà socio-economiche con cui essa interagisce.
In quanto società globale che opera in ogni parte del mondo, SKF ha scelto di applicare i più elevati standard nel campo della sostenibilità in tutte le sue sedi, indipendentemente dalle leggi e dalle consuetudini di carattere locale. SKF Industrie s.p.a. è la principale Società del Gruppo SKF in Italia ed è specializzata nella produzione e nella vendita di cuscinetti volventi e servizi correlati. In Italia operano 11 siti produttivi e più di 4.000 dipendenti.
248 u n ’ Av v e n t u r a TOR I N E S E
i soci della consulta 249
Š 2010 Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino
TUTTI I DIRITTI RISERVATI Realizzazione editoriale a cura di: Canale Arte Edizioni www.canale.it
Coordinamento editoriale: Marita Bassano Progetto grafico e impaginazione: BlĂš di Anna Avantaggiato - Collegno - TO Stampa: G. Canale & C. SpA - Borgaro Torinese - TO Coordinamento per Consulta: Angela Griseri Stampato su carta R4 Satin - 150 g/m2 per gli interni e 350 g/m2 per la copertina prodotta da Burgo Group Finito di stampare nel mese di novembre 2010
i soci della consulta ALLEANZA TORO ASSICURAZIONI ARMANDO TESTA BURGO GROUP BUZZI UNICEM CAMERA DI COMMERCIO DI TORINO C.L.N. COMPAGNIA DI SAN PAOLO DELOITTE & TOUCHE ERSEL EXOR FENERA HOLDING FERRERO FIAT FONDAZIONE CRT GAROSCI G. CANALE & C. GRUPPO FERRERO-PRESIDER INTESA SANPAOLO ITALDESIGN-GIUGIARO ITALGAS LAVAZZA MARCO ANTONETTO FARMACEUTICI MARTINI & ROSSI M. MARSIAJ & C. PIRELLI REALE MUTUA ASSICURAZIONI SKF TELECOM ITALIA UNIONE INDUSTRIALE DI TORINO VITTORIA ASSICURAZIONI
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