LE CACCE DEL RE Il restauro della Sala degli Scudieri a Stupinigi a cura di Angela Griseri
Giovanni Zanetti, Commissario Cristiana Maccagno, Vice-commissario vicario
Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte Mario Turetta, Direttore Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Province di Torino, Asti, Biella, Cuneo e Vercelli Luca Rinaldi, Soprintendente Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte Edith Gabrielli, Soprintendente
I Soci: 2a, Alleanza Toro Assicurazioni, Armando Testa, Buffetti, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, C.L.N., Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Exor, Fenera Holding, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Garosci, Geodata, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Intesa SanPaolo, Italgas, Lavazza, Martini & Rossi, Megadyne, M. Marsiaj & C., Reale Mutua Assicurazioni, Reply, Rockwood Italia, Skf, Telecom Italia, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni, Zoppoli & Pulcher Direzione scientifica dei restauri Anna Maria Bava, Franco Gualano, Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte Responsabile della sicurezza Gianfranco Vinardi Restauri Arte Restauro Conservazione di Arlotto Cristina Maria, Torino Doneux e Soci Restauro d’opere d’arte, Torino Restauro e conservazione opere di pittura di Cesare Pagliero, Savigliano Referenze fotografiche Giacomo Lovera Grafica e stampa L’Artistica Savigliano
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l restauro della Sala degli Scudieri aggiunge un terzo importante tassello ai contributi della Consulta alla rinascita di Stupinigi, dopo il reimpianto dei 1700 pioppi cipressini lungo i contorni esterni e il recupero dei dodici medaglioni lignei che accolgono i visitatori nella Scuderia Juvarriana. Si riapre così il percorso di arrivo al Salone Centrale, nel naturale proseguimento della Galleria, attraverso una delle sale più rappresentative della Palazzina, con un intervento straordinario per importanza e qualità, ma anche per efficienza e concentrazione dei tempi. Pochi mesi di impianto dei cantieri restituiscono all’originario splendore le tredici tele del Cignaroli, commissionate a celebrare le diverse fasi della caccia al cervo, e l’intero loro contenitore, dalle pareti sino alla volta: con la messa in luce, vera “scoperta”, della giovane testa affacciata da un balconcino a rimirare, quasi spiare, le bellezze sottostanti, in un recupero non solo visivo, ma anche filologico e culturale di grande rilievo. Ne danno conto le testimonianze, raccolte in questo volume, dei sapienti studiosi ed esecutori che a questa opera meritevole si sono dedicati, a ulteriore conferma di una funzione non solo espositiva e museale, ma anche di attestato delle esperienze del conservare, dall’accesso e coordinamento delle risorse, alle scelte estetiche e alle tecniche applicative, che fanno di Stupinigi un caso esemplare. Dunque, ancora grazie alla Consulta per quest’altro dono, che consente alla Fondazione proprietaria di celebrare significativamente l’anniversario della riapertura al pubblico della Palazzina e il riacquisto nella loro pienezza (con la definitiva conclusione delle incombenze di soddisfare i debiti pregressi dell’attività ospedaliera dell’Ordine) delle funzioni sue proprie di conservazione e valorizzazione del Patrimonio Storico Culturale Mauriziano. Fondazione dell’Ordine Mauriziano Il Commissario Giovanni Zanetti
Il vice-Commissario vicario Cristiana Maccagno
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uando nel maggio 2010 assumevo l’incarico di Soprintendente, formulavo l’auspicio che la Palazzina di Caccia potesse essere riaperta al pubblico. Ad appena un anno e mezzo di distanza, nel novembre scorso, quell’auspicio è potuto diventare realtà grazie alla sinergia di istituzioni pubbliche e sostenitori privati. I torinesi e i turisti hanno potuto così ammirare nuovamente una parte significativa dell’edificio. In quell’occasione la nostra Soprintendenza ha contribuito riconsegnando l’appartamento di Levante dopo un lungo lavoro di restauro e riallestimento che, secondo quanto verrà illustrato in un volume di prossima pubblicazione, si è conquistato un generale apprezzamento per il rigore e la novità delle scelte metodologiche e tecniche. Alla cerimonia di inaugurazione tra tutti i presenti era diffusa la speranza che la riapertura della Palazzina potesse fungere da volano, veicolando nuovi fondi da destinare al recupero di altre sale, in particolare di quelle dell’originario nucleo juvarriano. Con questa prospettiva la stessa Soprintendenza ha deciso di destinare gli ultimi finanziamenti ministeriali alla cosiddetta Anticappella, promuovendo il restauro dell’affresco della volta realizzato da Gerolamo Mengozzi Colonna e Giovan Battista Crosato e il pronto intervento sulle decorazioni parietali, ora in via di conclusione. Pressoché in contemporanea, la Consulta per la Valorizzazione per i Beni Artistici e Culturali di Torino si è fatta carico di sostenere il restauro della cosiddetta Sala degli Scudieri, ovvero della sala esattamente speculare all’Anticappella. Ancora una volta dunque la Consulta si è messa in mostra come un mecenate dotato di grande tempismo e lungimiranza: grazie al suo generoso contributo è stato possibile intervenire sia sull’affresco della volta, anche questo dovuto alla felice collaborazione di Mengozzi Colonna e Crosato, sia sulle boiseries, sia sulle tele di Vittorio Amedeo Cignaroli, così da salvaguardarne l’integrità materiale e garantirne una più corretta lettura. Una serie incalzante di iniziative, dunque, quelle promosse dalla Consulta a favore della Palazzina, della quale come Soprintendente ritengo si possa difficilmente sovrastimare l’importanza: esse, infatti, valgono non solo per i risultati pratici che raggiungono – la conservazione della singola opera – ma anche e soprattutto per quanto rappresentano in termini ideali, ovvero il contributo delle imprese piemontesi e più in generale dell’intera società civile della nostra regione alla conservazione di un patrimonio comune dal valore inestimabile. Soprintendente per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte Edith Gabrielli
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el mese di novembre del 2011 si riapriva al pubblico la Palazzina di caccia di Stupinigi e in particolare l’Appartamento del Re, rinnovato e restaurato. La Consulta celebra questo primo anniversario inaugurando il restauro di uno degli ambienti più rappresentativi della residenza sabauda, la Sala degli Scudieri. Restituisce così alla pubblica fruizione le tredici tele dipinte da Vittorio Amedeo Cignaroli che raffigurano le diverse fasi della caccia al cervo. I dipinti, commissionati nel 1771 da Carlo Emanuele III e conclusi nel 1777 con gli aggiornamenti voluti da Vittorio Amedeo III, testimoniano l’importanza che l’attività venatoria aveva assunto per la corte nel corso del Settecento, principale ‘loisir’ per i Savoia, in competizione con le altre corti europee. L’intervento di restauro, condotto da validissimi restauratori sotto la supervisione scientifica della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte, ha rivelato un’interessante scoperta: a seguito dello smontaggio della grande tela collocata sopra la porta centrale, è riapparso l’affresco raffigurante un raffinato paggio che si affaccia da un balconcino, in dialogo virtuale con la figura del cacciatore e con la scimmietta dipinti sopra il cornicione, alla base della volta. L’impegno della Consulta per la Palazzina di Caccia inizia nel 2007 con il reimpianto delle Alberate storiche, 1.700 pioppi cipressini lungo le tre principali rotte di caccia, realizzato proprio sulla base degli stessi dipinti del Cignaroli. Continua nel 2009 con il recupero ed il restauro dei dodici medaglioni lignei raffiguranti i primi conti della Genealogia sabauda, dal mitico Beroldo a Pietro, ritrovati nei sotterranei della Palazzina, ora allestiti nella scuderia juvarriana. Consulta è nata nel 1987 per collaborare con il pubblico alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale ed artistico di Torino, all’epoca in forte degrado e bisognoso di interventi. I Soci, dai dodici fondatori, sono oggi trentaquattro, quarantasei interventi, oltre 20 milioni di euro investiti, due milioni di ore di lavoro di tecnici, restauratori e architetti.
Presidente Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino Lodovico Passerin d’Entrèves
Sommario
Il ciclo delle cacce di Vittorio Amedeo Cignaroli . . . . . . pag. 9 Pietro Passerin d’Entrèves
La Sala degli Scudieri . . . . . . . . . . . . . . . » 23 Il restauro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 39 Anna Maria Bava e Franco Gualano
Volta, cornicione, intonaci, voltini, camino . . . . . . . . . » 45 Cristina Arlotto
Boiserie, porte e scuri delle finestre . . . . . . . . . . . » 51 Brunella Rosa Brusin
I dipinti su tela . . . . . . . . . . . . . . . . . » 55 Cesare Pagliero
Sala degli Scudieri: il rilievo dell’Oratorio . . . . . . . . . » 61 Gianfranco Vinardi
Il ciclo delle cacce di Vittorio Amedeo Cignaroli Pietro Passerin d’Entrèves
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an mano procedono i restauri della Palazzina di caccia di Stupinigi, sempre nuove e talvolta affascinanti situazioni si presentano a coloro che studiano, da diversi punti di vista, le architetture, i materiali, i mobili e gli oggetti che di volta in volta sono loro sottoposti. Anche i diversi manufatti che celebrano il rito della caccia reale non rimangono esenti da questa regola e il loro esame sempre più approfondito rivela particolari inediti e assai interessanti e pone interrogativi intriganti sui committenti, sugli artisti e sulle opere. Il recente restauro delle 13 tele che costituiscono il ciclo che Vittorio Amedeo Cignaroli dipinse per Stupinigi, grazie al meritevole e generoso provvedimento della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, non solo ci ha restituito un complesso di opere d’arte di primaria importanza per lo studio della Vénerie royale sabauda, ma ha permesso di risolvere alcuni enigmi che, pur conosciuti, non erano mai stati compiutamente affrontati prima d’ora1. Nella seconda metà del 1770 il re Carlo Emanuele III (1730 - 1773) commissiona al Cignaroli 4 quadri grandi, 4 più piccoli, 4 sovrapporte e 1 altra sovrapporta di grandi dimensioni, ad olio, con soggetti di caccia per arredare la “nuova” Sala degli Scudieri di Stupinigi all’interno di spazi obbligati alle pareti e sopra le porte. Nel novembre dello stesso anno il pittore, già affermato e titolare di una bottega con numerosi lavoranti, si reca presso la Palazzina, per misurare gli spazi in cui i quadri e le sovrapporte andranno collocati 2. Il 16 luglio 1771 il pittore ha terminato il primo dei 4 grandi quadri (L’hallaly in acqua) per cui gli vengono pagate le 900 lire pattuite. La tela non viene tuttavia piazzata in quanto il Re concede a Cignaroli di trattenerla presso la sua bottega come modello per gli altri quadri3. Il 19 ottobre 1771, circa tre mesi dopo il primo, viene terminato anche il secondo grande quadro rappresentante La curea, che viene subito piazzato al posto stabilito nella sala. Anche questo quadro gli viene pagato 900 lire il 5 febbraio 1772. Trascorre ancora qualche mese e Cignaroli termina gli ultimi due grandi quadri La partenza e Il debucher che vengono piazzati il 23 agosto 1772 4. Successivamente l’artista inizia a dipingere i restanti 4 quadri più piccoli e le 5 sovrapporte. Durante la loro realizzazione, tuttavia, il 20 febbraio 1773, muore il re Carlo Emanuele III e gli succede il figlio Vittorio Amedeo III. Il nuovo Re sembra, almeno in parte non soddisfatto di quanto era stato 9
commissionato a Cignaroli tanto che, da un documento più tardo sappiamo che gli aveva fatto modificare: “9 quadri statigli fin dal 1772 da S.M. Carlo Emanuele di gloriosa memoria ordinati con semplici paesaggi di caccia e figure a genio del pittore, e convenuti verbalmente in 2950 e quindi d’ordine di S.M. Regnante dipinti a paesaggi con soggetti obbligati di caccia, tanto per le persone che vi interverranno coi loro rispettivi abiti in uniforme e di livrea, che per le vetture, mute di cani, e simili, stati detti quadri collocati nella camera dello Stato dei Sig.i Cavalieri, attigua al Salone del Real Palazzo di Stupinigi”5. Terminato il lavoro, Vittorio Amedeo Cignaroli consegna, il 18 novembre 1777, a Lodovico Bo, regio misuratore ed estimatore generale della fabbrica di Stupinigi, le 9 tele eseguite secondo il desiderio di Vittorio Amedeo III, che vengono successivamente piazzate nella Sala degli Scudieri 6. Sulla base della documentazione citata, lo studio condotto in questa sede si era prefissato di definire non solo l’esatta datazione e la scansione temporale del ciclo cignaroliano, ma anche di chiarire quali fossero effettivamente le nove tele di cui il Re aveva chiesto la modifica, verificando inoltre l’ipotetica presenza, al di sotto dell’attuale strato pittorico, delle scene dipinte “a genio del pittore”. Tutto infatti lasciava supporre che Cignaroli potesse aver opportunamente riutilizzato i dipinti già eseguiti, modificandoli dove necessario per aderire alle nuove richieste. Una verifica diretta dei documenti relativi a Vittorio Amedeo Cignaroli, conservati presso l’Ordine Mauriziano7, ha innanzitutto permesso di appurare con certezza che le nove tele corrispondono alle quattro di dimensioni medie poste, due tra le finestre verso il cortile e due dirimpetto a queste, alle quattro sovrapporte piccole e alla sovrapporta grande centrale 8. È stato inoltre possibile chiarire che già al momento della prima committenza il re Carlo Emanuele III aveva deciso di risparmiare rispetto al preventivo e pertanto i nove quadri di cui sopra avrebbero dovuto essere dipinti “a genio del pittore” e non con soggetti relativi alla caccia del cervo, maggiormente costosi9. L’occasione del restauro e della conseguente discesa delle tele dai loro siti si presentava dunque ghiotta per una verifica effettuata soprattutto mediante la tecnica radiografica. Le indagini effettuate presso il laboratorio di Cesare Pagliero a Savigliano, dove le tele sono state restaurate, hanno invece messo in evidenza la mancanza assoluta di strati diversi rispetto all’attuale dipinto. Le 4 grandi tele ai lati della Sala degli Scudieri furono dunque realizzate e poste a dimora tra il 1771 e il 1772 e non più modificate10. Le altre nove, invece furono dipinte tra il 1773 e il 1777, anno della loro consegna definitiva a Stupinigi. La possibilità di studiare da vicino l’intera serie di dipinti, ha permesso di confermare, per quanto riguarda i contenuti, quanto già ipotizzato in un precedente articolo dedicato alla serie pittorica di Stupinigi, cui si rimanda11. Le 4 grandi tele rappresentano i fotogrammi in sequenza di una caccia reale al cervo effettuata nella stagione autunnale nei boschi attorno alla Palazzina. Descrivono 4 momenti salienti dell’azione venatoria: nell’ordine La partenza dalla Palazzina, Il débucher, 10
cioè l’uscita dal bosco del cervo, L’hallaly nel torrente Sangone e La curea. Alle 4 tele di poco più piccole e alla grande sovrapporta centrale viene invece affidato il tratteggio di situazioni, comunque importanti, ma secondarie rispetto alle prime: nell’ordine, La partenza dei relais di cavalli e cani12; Le change13; un Relais di cani nel bosco, L’hallaly courant14 e La partenza dei valets de limier con i cani limieri. Due delle quattro sovrapporte rimanenti, ci consegnano avvenimenti legati alla gestione del distretto venatorio col controllo delle violazioni e quindi non legati direttamente alla caccia vera e propria. Le ultime due sovrapporte, infine, illustrano semplici paesaggi campestri con alcuni contadini intenti a pratiche agricole in prossimità di un edificio non riconoscibile, o durante il riposo e la merenda15. Il pittore, nel realizzare il ciclo completo, non ha lasciato nulla al caso o all’immaginazione, ma ha risposto appieno alle richieste del reale committente, per cui è presumibile che le piccole, o grandi differenze soprattutto nella riproduzione delle uniformi, delle livree, o delle bardature dei cavalli, anche quando non documentate, corrispondano effettivamente alla realtà. Oltre ai numerosi personaggi di rango, Re, Principi, Gran Cacciatore, gentiluomini, sono riconoscibili per tipologia e numero i membri dell’Equipaggio di caccia: piqueurs, valets de limier, valets de chien e altri personaggi quali i paggi, i courreurs o laqués, i suonatori del corno da caccia e i trombetti della persona. E ancora i dragoni guardacaccia e i palafrenieri16.
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Cignaroli ha poi posto particolare attenzione anche nella riproduzione dei cavalli e degli attacchi. La struttura fisica dei cavalli utilizzati anticamente per la caccia era decisamente diversa da quella delle odierne cavalcature. Nel Settecento in particolare erano assai apprezzati i cavalli dal muso montonato, visibili in tutti i quadri di caccia, sia francesi che piemontesi. L’equipaggio sabaudo utilizzava cavalli di varia origine e provenienza. Sovente venivano acquistati in Inghilterra, ma talvolta anche nella Lomellina, o in altre parti d’Italia. In ogni caso si trattava di cavalli codimozzi, cioé con la coda tagliata, per avere meno problemi nel folto del bosco e per non insozzare con i frequenti movimenti dell’estremità i surtouts dei veneurs. I quadri ci forniscono anche interessanti riscontri sulle bardature. Il morso, di metallo stagnato, utilizzato per i cavalli da caccia si presentava, visto di fronte, a forma di H con le due aste o guardie laterali conformate ad “S”, a due imboccature su cui si inserivano due paia di redini17. Il primo paio, così come lo stringi-bocca, erano rivestiti nella parte esterna di panno scarlatto (per il Re, i Principi, i gentiluomini e i paggi), o di panno blu (per i membri dell’equipaggio, per i suonatori del corno da caccia e per i trombetti della persona), mentre il secondo paio era in cuoio annerito, come buona parte delle cinghie della testiera. Tutte le parti metalliche (fibbie, ecc.) erano realizzate in ottone così come i morsi dei cavalli da carrozza. Solamente quelle del Re e dei Principi erano in argento. Le selle erano fabbricate normalmente in “vacca di russia”18 rasata e ricoperte di panno scarlatto. Infine, i cavalli erano dotati anche di “usse o ausse da groppa”, cioè di gualdrappe rosse, gallonate19 (fig. 1). Almeno una carrozza era sempre a disposizione durante l’evento venatorio; la sua presenza è ben evidenziata nei quadri grandi di Cignaroli. Si tratta di un coupé, trainato da uno o due cavalli, che seguiva le cacce rimanendo a disposizione del Re in caso non potesse, o volesse cacciare a cavallo20 (fig. 2). Le dame, soprattutto nel Settecento quando non seguivano più a cavallo la caccia, salivano a bordo di particolari veicoli, definiti sedie o sterzi21. Dai quadri di Cignaroli si rileva l’esistenza di ben tre diversi modelli. Infatti, alcune delle sedie raffigurate sono del tutto simili a portantine esagonali, a due posti, fissate con cinghie su di un telaio dotato di due grandi ruote posteriori senza sospensioni. Sulle pareti laterali era dipinto lo stemma di Savoia e i veicoli erano trainati da un cavallo attaccato alle due stanghe tramite un sellino e i porta-stanghe, accompagnato a sinistra da un secondo cavallo (il porteur, o cheval de brancard) attaccato ad un bilancino per mezzo di due tirelle, montato da un postiglione, che guidava con la mano sinistra22. Il secondo tipo, invece, è un veicolo a quattro ruote, due più grandi dietro e due più piccole davanti, trainato da due cavalli con il postiglione a cassetta23 (fig. 2). Il terzo modello è raffigurato nel pannello “il relais”, dove si evidenzia un veicolo a quattro ruote, di differente diametro, molleggiato, trainato da due cavalli attaccati al timone; il cavallo di sinistra è montato da un postiglione. In tutti i casi, i cavalli attaccati sono sempre privi di paraocchi (fig. 3). 12
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La grande sovrapporta posta sulla parete opposta alle finestre descrive La partenza dei valets de limier per andare alla “quête” dei cervi nei boschi circostanti la Palazzina24. I cani limieri sono tenuti al guinzaglio con il “trait” o “lunga” che consente un discreto movimento all’animale nella ricerca delle tracce del cervo. I valets portano il coltello da caccia appeso ad una bandoliera di cuoio rivestita di panno scarlatto e guarnita di un gallone d’argento che cavalca la spalla destra, diversamente da quanto avviene per i piqueurs e i valets de chien che lo portavano appeso a un cinturone, come è facilmente verificabile negli altri quadri della sala. In questo caso la presenza di un’arma di dimensioni importanti, oltre a servire per l’eventuale taglio di rami, o per analoghi impieghi, rappresentava un elemento fondamentale per la sicurezza personale del valet che era in grado di difendersi se attaccato dai lupi, sempre numerosi e spesso rabidi25. Il valet privo del cane ha in mano una fronda d’albero appena strappata dai cespugli circostanti, che, posata a terra, servirà a indicare la via di entrata o uscita del cervo da quella porzione di bosco, in modo che tutti i cacciatori abbiano chiara la situazione al momento della caccia26 (fig. 4). Un’ultima considerazione va riservata alle due sovrapporte sistemate sulle porte di accesso e di uscita dalla sala, rappresentanti rispettivamente l’arresto di un bracconiere e il fermo di una donna sorpresa a rubare legna. Si tratta di quadri interessanti da punto di vista venatorio, in quanto non mi risulta esistano dipinti analoghi presso le altre corti europee. Vi sono descritte due situazioni frequentissime nelle riserve reali di caccia e severamente punite. Al bracconiere è stato sequestrato il fucile con cui probabilmente si accingeva ad uccidere la selvaggina, vista la mancanza della raffigurazione di questa (fig. 5). Per il furto di legna invece è stata fermata una donna con il cavallo carico della refurtiva. Queste tele sono certamente posteriori al 1776 come testimoniano le uniformi dei Dragoni guardacaccia che corrispondono con il modello in voga dalla metà di giugno 1776 e che sono diverse da quelle raffigurate nel quadro della partenza dalla Palazzina27. Molto di quanto è rappresentato nel ciclo cignaroliano trova riscontro nelle descrizioni delle cacce di Stupinigi riportateci da alcuni viaggiatori inglesi di rango che ebbero la possibilità di parteciparvi, Nelle Letters from Italy, ad esempio, una lady inglese, Anna Rigss-Miller, in visita in Italia assieme al marito Sir John, ci restituisce uno spaccato delle Chasses royales di Stupinigi, cui partecipò nell’ottobre 1770, del tutto vivo ed immediato: “At nine o’clock in the morning, the company fets out of Stupenis; the King, the Duke of Savoy, and the Princes of Piedmont on horseback; the Dutchess of Savoy, the Princesses, and the ladies in waiting, all in post-chaises with two wheels: conveyed by post-horses, and they have relays in different parts of the forest, ready for a change; for as they are frequently obliged to press the horses, they employ those of the post, rather than distress the royal cattle. The chaises belong to the court, and are all alike, rather plain than ornamented, but neatly made, and as fit for the purpose of hunting as any carriages can be. We hired a postchaise, and ordered relays in the forest, at the proper stations, so as not to miss any of the
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sport. The setting out of the cavalcade is a fine sight; the chaise of the court precede each other agreeable to established etiquette. The Dutchess of Savoy first, the elder Princesses next, and so on; then come the ambassadors and foreign ministres, ecc. the livery of the hunt is scarlet, richly laced with silver. Whoever is well-born (a gentleman independent of trade, and of some professions), what is called here, and in all these countries, noblesse, is permitted to be at the hunt, and, wearing the livery, may breakfast with the King of Stupenis. This favour extends also to strangers. Gentlemen of any country, properly acknowledged by the ambassador, or envoy from their nation, may be admitted of the hunt, and are entitled to partake of the royal breakfast. There are very fine ridings cut throught the forest, which is plentifully stocked with game. The great number of piqueurs (huntsmen), guards de chasses, ecc. with the gay appearance of the whole cavalcade, upon a fine day, has, I believe, in appearance, the advantage of any other chase. The sound of the French-horns was so often repeated by the echo, and so mingled with the cries of the hounds, that at last I began to be convinced (for you know I am not naturally an huntress) that there was real armony in the opening of hounds, the shouts of men, and the swelling of horns all at a time. […] At length, after the stag has been seen here, and been seen there, he thought proper to bathe in the Po; soon after which he died: but as he made is exit at three of four miles distance for the Princesses and ladies, and as it is absolutely necessary the curée should be performed in their presence, his dead body was brought on a cart drawn by six oxen, for the completion of which the whole court, ecc. waited above an hour. His approach and arrival were announced by a very fine concert of a French-horns; all the chaises drawn up together, formed a kind of amphitheatre. The gentlemen of the court and hunt, who are on horseback, alight, and during the curée converse with, and entertain the ladies; and to give you an instance of the great politeness the court of Turin shews to strangers, the Dutchess of Savoy was please to do me the honour to order the dogs and the stag to be brought near our chaise, and sent a gentleman of the chamber (whom she obligingly chose out from amongst others, on account of his peaking a little English) with a very gracious compliment, and the stag’s foot.28
Un altro suddito inglese, Sir Peter Beckford29, che prese parte alle cacce di Stupinigi a fine Settecento, ci informa sullo stile della vénerie sabauda, aggiungendo una critica di metodo, dovuta ad una diversa filosofia alla base dell’azione venatoria, sulla scarsa sportività della Vénerie piemontese e delle prestazioni ippiche dei cavalieri dell’equipaggio reale30. “It is true, I hunted two winters at Turin; but their hunting, you know, is no more like our’s, than is the hot meal we there stood up to eat, to the English breakfast we fit down to here. – Where I to describe the manner of hunting, their infinity of dogs, their number of huntsmen, their relays of horses, their great saddles, great bitts, and jack boots, it would be no more to our present purpose, then the description of a wild boar chase in Germany, or the hunting of jackalls in Bengal. C’est une chasse magnifique, et voila tout. – However to give you an idea of their huntsmen, I must tell you that one day the stag, which is very unusual, broke cover and left the forest; a circumstance, which gave as much pleasure to me, as displeasure to all the rest – it put every think into confusion. I followed one of the huntsmen thinking he knew the country best, but it was not before we were separated; the first ditch we came to stopped him: I, eager to go on, hallooed out to him, allons, Piqueur, sautez donc – Non, pardi replied he, very coolly, “c’est un double fosse – je ne saute pas des doubles fosses. – There were also an odd accident the same day, which, had it appened to a great man, even to the King itself, you may think interesting; besides, it was the occasion of
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a bon mot worth your hearing. – The King, eager in the pursuit, rode into a bog, and was dismounted – he was not hurt – he was soon on his legs, and we were all standing round him. One of his old generals, who was at some distance, behind, no sooner saw the King of his horse, but he rode up full gallop to know the cause, “Qu’est ce que c’est? qu’est ce que c’est?” cries the good old general and in he tumbles into the same bog. Count Kevenhuller31, with great humor replied, pointing to the place, “Voilà ce que c’est! voilà ce que c’est”32.
Qualche anno più tardi, lo stesso Beckford, pubblica altre lettere in cui, oltre a descrivere ancora una volta la fastosità del corteo venatorio settecentesco, racconta di un altro incidente, questa volta con conseguenze decisamente più gravi: “A Stupigny you must hunt with the King. Though much inferior to the diversion you are used to in England, the coup d’oeil is fine; l’equipage de chasse magnifique; and the hunting interesting on this side the Alps at least, for on leaving Turin you will not seen an other hound. Formerly there was a public breakfast, and those wo were to the hunt and wore the uniform, partook of it. It was a hot meal more resembling a dinner than a beakfast, and the hard riding afterwards seldom failed to give me the head-ach. The etiquette observed here in hunting, of not passing the King, might displease a keen sportsman. Whenever I saw Royalty, I took another road. It was at my return from one of these hunt thar I met with the accident W- told you off. The fair of Montcallier was unluckily on the same day of the hunt, and all Turin was assembled there. The road had two lines of coaches returning homewards, leaving an interval but just sufficient for one carriage to pass. I was in a English post-chaises, with four horses. My postillions, I know not way, fancied I was in a hurry, and broke the rank, - in consequence of which we presently met an unfortunate man on horseback, who not having room to pass, was knocked down, and run over; and the struggles of his horses overturned the chaise. The scene was dreadful! – Figure to yourself a carriage overturned – a harness broken – a horse killed – a man to all appareance dying – two bleeding figures getting out of the window of the chaise, and two postilllions on their knees expecting to be instantly put to death, begging for merci: a Confessor who was holding up the cross to the diyng man, added not a little to the horror of a scene that would make a very interesting picture. Madame de Sevigné related with a infinite humour a story somewhat similar, but as am not a Bishop, instead of cutting off the man’s hears and breaking his bones, I had him taken care of and cured at my expences”33. Infine, l’anonimo “The Hermit in London”, nel descrivere ai lettori le sue cacce all’estero, dipinge la Vénerie sarda34 nel Settecento, appena prima della Rivoluzione francese: “The last scene of my hunting abroad was in Sardinia, just before the Revolution in France. There was very little difference between the stag-hunt and boar hunt here from that which I had attended in France. Royalty on both occasions was surrounded by Nobility, and the turn-out was more like a pageant than a hunt. His Sardinian Majesty’s attendants were
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less numerous than those of His Most Christian Majesty: the former were habited in plain scarlet with silver lace, and had a very light and pretty appearance. The horses of many of the sportsmen were of a native breed, small, compact, and not unlike the Turkish horses, active in a comparative degree, but so thrown on their haunches, and so broken-in to bend their knees, that although they were particularly safe and comely in their paces, they could not have the rapidity of our horses, who dart like the greyhound, and skim along the plain. In the course of the stag-hunt the hounds were repeatedly stopped for the Royal and Aristocratical party. The civility which I experienced amongst the sporting Nobility was very great. One Principe told me that I had a stupendo cavallo (a stupendous horse); and another amused me in bad French with his feats of prowess and agility in the hunting-field. Talking of leaps, I mentioned some that I had seen in Leicestershire and elsewhere; to which he replied, “Oh ! all that is nothing; I once took such an extraordinary high leap that I was quite tired of remaining up in the air.” (J’ai sauté si haut que je m’ennuyais en l’air.) A little after this speech the Principe got a tumble in crossing a little ravine. I could not help remarking to the Signor Principe that he had fallen off in his riding since the time in which his great feats of agility were performed. He took this very good-naturedly, mounted again, and set off at full gallop, his hair-powder flying in a cloud round him, and occasionally almost blinding me: it was indeed in this case, “palmam non sine pulvere.” It was ridiculous in those days to see the headdresses of the sportsmen attendant on Royalty, with the full frizzed and powdered aile de pigeon on each side of their head, and a pigtail behind; or perhaps with two large curts at each ear, and a thick tail beating time between their shoulders, which a sporting friend of mine termed “a double-barrelled wig with a cut-and-thrust tail.”35
Note 1 Cfr. tra gli altri: A. Baudi di Vesme, Schede Vesme. L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, Torino 1963-1982, 4 voll.; A. Cottino, Vittorio Amedeo Cignaroli. Un paesaggista alla corte dei Savoia e la sua opera, Torino 2001, pp.1-67; N. Gabrielli, Il Museo dell’Arredamento. Stupinigi. La Palazzina di caccia, catalogo, Torino 1966; G. Gritella, Stupinigi. Dal progetto di Juvarra alle premesse neoclassiche, Modena 1987; L. Mallè, Stupinigi. Un capolavoro del Settecento europeo tra Barocchetto e Classicismo, Torino 1968; P. Passerin d’Entrèves, Le cacce reali, in Stupinigi luogo d’Europa, a cura di, R. Gabetti e A. Griseri, Torino 1996, pp. 155-164. 2 A.O.M, M. 33, c. 1044, Carteggio Bo, 28 novembre 1770. 3 “S.M. ha ordinato al pittore Cignaroli 4 quadri grandi rappresentanti soggetti di caccia del cervo, e stati patuiti novecento L. cadno de’ quali essendone uno finito, la S.M. ordina, che se li faccia pagare al presente novecento L. che il Sig. Cignaroli ritenga il quadro pp servire di modello p fare gli altri per Stupiniggi. 16 luglio 1771, BRTo, Registro recapiti, 1771, tomo II. Cfr. anche P. Passerin d’Entrèves, op. cit., Torino 1996, p. 156. 4 “Lavoro fatto da me Vittorio Cignaroli d’ord. Di S.M. come segue: dipinto due gran quadri con vedute di Paesi di caccia e molte figure che la R. Caccia rappresentano cioè in uno la sortita dalla Palazzina di Stupiniggi p. andare a lasciar correre: l’altro quando sono al bosco per il Debucher, quali finiti con ogni diligenza veduti ed approvati da S.M. si sono collocati nell’anticamera, dove mangiano li Sri Scudieri in Stupiniggi, dove pure suonvi gli altri due quadri compagni già fatti nell’anno scorso 1771 rappresentanti uno la morte del cervo, l’altro la curée chaude e dal medo […] pagati in L. 900 p. caduno, che in tutti quattro formano la somma di L. 3600 così convenuto con S.M. onde rimane il prezzo de’ due ultimi finiti nel corrente anno 1772 che fa la somma di L. 1800.” BRTo, Registro recapiti 1772, tomo 9, 23 agosto. 5 A.O.M., Conto che rende a S.S.R.M., 16 maggio 1778. Cap. 2 Spese diverse. Cignaroli 3. 6 A.O.M., Stupinigi, Vinovo e Dipendenze, M. 38 (1777-78), c. 1136: “Dichiaro io sottoscritto avere il Sig. Vittorio Cignaroli Pittore dipinto a oglio, e inviato quest’oggi a Stupiniggi n° 9 quadri da caccia, cioè due da colocare tramed.ti le finestre della camera dello Stato de Cavalieri verso il cortile, altri due in
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facciata de sud.ti, e altro grande superior.te allo sfondato ivi in fronte delle dette finestre e altri quatro da servire per souraporta, quali si stanno mettendo a posto nella sud.ta camera del R.le Palazzo di Stupiniggi”. 18 novembre 1777. 7 Ringrazio la dott.ssa Cristina Scalon e il personale dell’Archivio per la squisita collaborazione. 8 Vedi nota 6 9 A.O.M., M. 38, c. 1136: “Sul piede dei primi quadri fatti pagati 900 lire caduno in n° 4: rilevanti la somma di L. 3600: li quattro che rimangono uguali d’altezza, et minori di un quarto di larghezza rilevano L. 2700: le 4 souraporte equivagliono a due de sudetti L. 1350: il quadro grande sopra il buffetto equivale ad uno de grandi già fatti L. 900 [per un totale di lire 4950]. A dipinger detti 9 quadri con [poche] figure a genio del Pittore sensa rapresentar fatti di caccia del Cervo si può dedurre da detta somma livre 2000”. Pertanto sottraendo dalla cifra totale preventivata di L. 4950, lire 2000 si ottengono lire 2950 che corrispondono a quanto è indicato nel documento, gia citato, del 16 maggio 1778. 10 A conferma di questa affermazione, i restauratori non hanno potuto ritrovare la data del 1773 che, secondo Luigi Mallé, op. cit., Torino 1968, p. 196 e Gianfranco Gritella, op. cit., Modena 1987, p. 175 sarebbe stata visibile in calce ad una delle tele che, tra l’altro, sono le sole a recare, ben in evidenza, la firma del pittore. Infine in tutti e quattro i quadri si riconosce senza ombra di dubbio la figura dell’anziano Carlo Emanuele III che, quasi in una sorta di simbolico passaggio del trono, indica al figlio Vittorio Amedeo, montato su un cavallo grigio, le diverse fasi della caccia. Cfr. a questo proposito D. Carutti di Cantogno, Storia del regno di Carlo Emanuele III, Torino 1859, p. 293: “Nel principio del 1772 cominciarono tuttavia a manifestarsi in lui i segni dell’idropisia e di una lenta tisi senile. […] Continuò la state e l’autunno negli esercizi suoi prediletti. Si fece dapprima mettere a cavallo e passeggiò nel giardino del palazzo, poi volle vedere il suo Stupinigi e vi si trasferì colla Corte nella stagione della caccia. Corse ancora il cervo, e, perché mal si reggeva in sella due valletti il sostenevano a destra e a manca”. 11 Cfr. P. Passerin d’Entrèves, op. cit., Torino 1996, pp. 156-160. 12 I cavalli destinati ai piqueurs, che costituivano la chiave di volta dell’equipaggio, erano i più vigorosi in quanto dovevano durare tutta la caccia senza possibilità di cambio. Le cavalcature dei valets de chien montati erano generalmente scelte fra quelle più vecchie e con meno vigore stante l’andatura al passo o al trotto leggero di questi Veneurs. La Corte invece disponeva di cavalli di migliore qualità, ma anche di cambi più o meno numerosi. Pertanto, oltre ai cavalli montati, dovevano esservene a disposizione un certo numero condotti a mano – i cosiddetti relais o rilassi – per sostituire quelli stanchi o azzoppati. Per quanto riguarda i cani, i relais erano costituiti da piccoli gruppi di animali, generalmente molto esperti, che venivano posizionati in punti strategici del bosco dove si pensava sarebbe passata la caccia, in modo da lanciarli sulla traccia del cervo per abbreviarne l’inseguimento. 13 Per change si intende l’errore (défaut) in cui potevano incorrere alcuni cani della muta, seguendo le tracce di un cervo diverso da quello scelto per la caccia, o, peggio ancora di una cerva, come in questa occasione. L’abilità dei piqueurs consisteva nel prevenire o nel bloccare al più presto i cani riportandoli sulla giusta traccia. 14 Termine di vénerie che indica il momento in cui il cervo, ancora lanciato, viene raggiunto dai cani al termine dell’inseguimento. 15 Resta da capire come mai queste tele non siano state modificate secondo il desiderio del Re. 16 Per una puntuale identificazione dei vari gruppi di personaggi e delle loro funzioni, cfr P. Passerin d’Entrèves, op. cit., Torino 1996, cui si rimanda. 17 D. Diderot, J. B. d’Alembert, Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, par une société de gens de lettres, Paris 1751-1772, Planches, vol. 3, ad vocem Eperronier. 18 Secondo il Dizionario piemontese, italiano, latino e francese di Casimiro Zalli (1835), per “vacca di russia” si intende: “cuoio conciato formato con pelli di cavallo, di vitello, di capra o di pecora, morbido, pieghevole, granelloso, tinto in rosso, e di odore particolare”. 19 Dal francese housse. Nei quadri di Stupinigi è possibile distinguere perfettamente il tipo di gallone delle varie “usse da groppa”. Due galloni argentati, separati, uno interno e uno in bordura per il Re, i Principi e forse il Gran Cacciatore o i Cavalieri dell’Ordine; gallone semplice argentato in bordura per i gentiluomini; gallone blu (di livrea) tra due galloni piccoli argentati per i membri dell’equipaggio e per i paggi. Nel quadro relativo al “débucher” è visibile un paggio il cui cavallo porta una “ussa” arricchita dall’interno verso l’esterno da piccoli galloni, argento, blu, argento, rosso, argento, blu, e infine argento in bordura. Allo stato attuale rimane impossibile stabilire se questa particolarità identifichi il Primo Paggio. 20 Dai Registri recapiti e comunque da documenti d’archivio sappiamo che veniva pagato: “Al M.stro Sellaro Giuseppe Robba p. prezzo di n° 7 selloni con loro groppiere doppie e cingie e di n° 7 paia arnesi
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alla francese con tiranti longhi bordati e bocle di ferro grandi diverse dal med.mo fatti e spediti in 9mbre (1748-49) scorso per li cavalli da couppé da caccia”. 21 Dette anche sedie rolanti dal francese chaises roulantes. Per la struttura e la forma cfr. anche le tavole dell’Encyclopédie relative al “sellier”, vol. 8. 22 Secondo Carlo Lessona, direttore della Scuola veterinaria torinese (Dell’esteriore conformazione con alcuni cenni sopra le razze e l’igiene del cavallo, Torino 1829, p. 477): “la vettura leggiera a due ruote, volgarmente chiamata sedia, è ordinariamente trainata da due cavalli molto differenti: l’uno che dicesi il cavallo delle stanghe (cheval de brancard), deve essere fortemente costrutto, di taglia mezzana, non troppo alta, trottar presto, e con facilità; l’altro che è montato dal postiglione (bricolier) deve approssimarsi maggiormente alla taglia dei cavalli da sella, essere ben fornito di corpo, nervoso di gamba, ed in caso di sostenere facilmente un galoppo raccorciato”. 23 Lo si nota nel quadro La partenza dalla Palazzina, nel prato vicino al coupé. 24 La quête è l’azione del cane o del valet, al mattino prima dell’alba, per détourner il cervo, cioè per circoscrivere la parte di bosco dove si presume che l’animale sia nascosto. Il quadro è da considerarsi analogo a L’andare al bosco, dipinto da Jan Miel per la Venaria Reale, anche se i tempi dell’azione sono sfasati. Il quadro di Cignaroli rappresenta verosimilmente la partenza dei valets de limiers, mentre quello del Miel illustra l’azione di un solo valet già all’interno del bosco. 25 “Mi stimo di dovere partecipare a V.S. Ill.ma acciò ove lo stimi, possa rassegnarlo a S.E. il Conte di Genolla per averne i suoi comandi, che ne’ boschi della Mandria si vede una quantità di lupi, e che questa mattina in diverso sito hanno ben maltrattato una donna ed un uomo, i quali sarebbero stati divorati, senza il soccorso di gente sopraggiunta” (A.S.To, Azienda Venaria Reale, 21 luglio 1765). Cfr. anche: F. Rossi, Osservazioni anatomico-patologiche sopra l’idrofobia e sopra la rabbia, in A. Omodei, Annali Universali di Medicina, 1825, vol. 23, p. 20: “Cinque persone furono morsicate da lupo arrabiato nel centro di Stupinigi; l’ultima era un giovane d’anni venti gracile e delicato, mentre il lupo lo mordeva nella spalla destra fu da questo giovane ucciso col piantarli nel cuore un coltello che teneva presso di se”. 26 Queste fronde erano chiamate brisées. La parte strappata del rametto indicava la direzione in cui andava il cervo. 27 In data 16 giugno 1776 venne stipulato il contratto di confezione del nuovo modello in panno blu con i risvolti, la fodera e i paramani rossi e con le “calze”, cioè i pantaloni rossi. È presumibile che le nuove uniformi siano state consegnate qualche tempo dopo e che possano essere state utilizzate dal 1° gennaio 1777. Ringrazio Enrico Ricchiardi per l’informazione. 28 Anna Rigss-Miller, 1777: Letters from Italy, pp. 130-131: “Alle nove del mattino, la compagnia parte da Stupinigi; il Re, il Duca di Savoia e i Principi di Piemonte a cavallo; la Duchessa di Savoia, le Principesse e le dame del seguito tutte in “sedie” a due ruote: trasportate da cavalli da posta, ed hanno dei relais in diverse parti della foresta, pronti per il cambio. Dal momento che sono frequentemente obbligati a spronare i cavalli, utilizzano quelli di posta, piuttosto che sfiancare quelli delle mandrie reali. Le sedie appartengono alla Corte e sono tutte dello stesso tipo, piuttosto disadorne che con ornamenti, ma fatte bene e adatte alla caccia più di ogni altra. Abbiamo noleggiato una sedia di posta e ordinato i cambi nella foresta, alla stazione giusta, così da non perdere nulla di questo sport. L’impostazione del corteo dei cavalieri è un bel vedere; le sedie della Corte precedono ogni altra in conformità all’etiquette stabilita. La duchessa di Savoia per prima, le Principesse più anziane poi, e via di seguito: poi vengono gli ambasciatori ed i ministri esteri, ecc. L’uniforme di caccia è scarlatta, riccamente ricamata d’argento. Chiunque è ben nato (gentiluomini non dipendenti dal commercio e da alcune professioni) cioè, come si usa dire qui, e in tutti questi paesi, la noblesse, è ammesso alla caccia e, indossando l’uniforme, può far colazione col Re di Stupinigi. Questo favore è esteso anche agli stranieri. Gentiluomini di ogni paese, opportunamente conosciuti dall’ambasciatore o inviati dalla loro nazione possono essere ammessi alla caccia e partecipare alla colazione. Vi sono bellissime rotte attraverso la foresta che è piena di selvaggina. Il gran numero di Piqueurs (cacciatori), guards de chasses [sic!], ecc. con la gaia apparizione dell’intera cavalcata, durante una bella giornata, ha, io credo, in apparenza, la preminenza su ogni altra caccia. Il suono delle trombe da caccia fu così spesso ripetuto dall’eco, e così mescolato con le grida dei cani, che alla fine ho cominciato ad essere convinta (e tu sai che non sono naturalmente una cacciatrice) che c’era una reale armonia nel liberare i cani, nelle urla degli uomini, e nel suono delle trombe in ogni momento. […] Alla lunga, dopo che il cervo era stato visto qui, e visto là, pensò giusto di immergersi nel Po; subito dopo questo morì: ma siccome aveva fatto il suo exit a tre o quattro miglia di distanza dalle Principesse e dalle dame, e siccome è assolutamente necessario che la curée sia fatta in loro presenza, il suo corpo morto fu portato su di un carro condotto da sei buoi, per il completamento della quale l’intera corte, ecc. aspettò circa un’ora. Il loro avvicinamento e arrivo fu annunciato da un assai bel concerto di trombe da caccia; tutte le sedie radunate assieme, formando una specie di anfiteatro. I gentiluomini della corte e della caccia, che erano a cavallo, smontano, e durante la
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curée conversano ed intrattengono le dame; e per darvi un’idea della grande gentilezza che la corte dimostra agli stranieri, la Duchessa di Savoia fu lieta di farmi l’onore di ordinare che i cani e il cervo fossero portati vicino alla nostra sedia, e mandò un gentiluomo della camera (che gentilmente scelse fra molti altri, in quanto parlava un po’ d’inglese) per complimentarsi graziosamente con me e farmi l’onore del piede.” 29 Peter Beckford (1740-1811) era nipote del Lord Major della città di Londra. Cacciatore, scrittore e mecenate, fu membro del Parlamento inglese. 30 È peraltro interessante notare che l’attenta valutazione della scarsa sportività è confermata da d’Yauville (Traité de Vénerie, Paris 1788, p. 129), che segnala anche per la Francia un’attitudine assai prudente da parte dei cacciatori a cavallo nei confronti degli ostacoli naturali presenti sul terreno di caccia. L’autore francese avverte giustamente che si poteva essere buon veneur anche senza correre inutili rischi, ma riconosce nello stesso tempo che molti suoi contemporanei avevano perso un po’ di audacia grazie alle numerose facilitazioni a muoversi nel folto del bosco dovute alle strade, alle rotte e ai numerosi ponti che permettevano il comodo attraversamento di zone pericolose, o dei corsi d’acqua. 31 Si tratta dell’ambasciatore di S. M. Cesarea a Torino in quell’epoca. 32 P. Beckford, Thoughts upon hare and fox hunting, in a series of letters to a friend, in which are given ample direction for erecting a kennel, the managing of hounds, and the duties and qualifications necessary for the huntsman and wipper-in. Also an account of the most celebrated dog kennels in England, Dublin 1797, pp. 158-159: “È vero, ho cacciato due inverni a Torino; ma la loro caccia, è noto, non è più simile alla nostra di quanto non lo sia il pasto caldo che si presentava là a noi, rispetto alla prima colazione a cui stavamo di fronte qui. Se io dovessi descrivere la loro maniera di cacciare, la quantità infinita di cani, il loro numero di cacciatori, i loro ricambi di cavalli, le loro grandi selle, i grandi morsi e gli stivaloni, non sarebbe utile al nostro scopo attuale, più di quanto non lo sia la caccia del cinghiale in Germania, o la caccia agli sciacalli nel Bengala. C’est une chasse magnifique, et voilà tout. Tuttavia per dare un’idea dei loro cacciatori, devo dirle che un giorno il cervo, cosa assolutamente inusuale, uscì allo scoperto e lasciò la foresta; circostanza questa che diede a me molto piacere, quanto dispiacere a tutti gli altri – lasciandoli in una grande confusione. Io seguii uno dei cacciatori, pensando che conoscesse al meglio il territorio, ma non ci volle molto che restammo separati. Il primo fosso incontrato lo fermò. Io, ansioso di proseguire lo incitai allons, Piqueur, sautez donc – Non, pardi [sic!] rispose lui, assai freddamente “c’est un double fosse – je ne saute pas des doubles fosses” – Ci fu anche un curioso incidente quello stesso giorno che capitò a un importante personaggio, addirittura allo stesso Re, che lei potrà trovare interessante. Inoltre fu l’occasione per un bon mot che vale la pena di ascoltare. Il Re, impaziente nell’inseguimento, capitò in un pantano, e fu disarcionato – non fu ferito – e fu subito in piedi. Fummo tutti subito attorno a lui. Uno dei suoi vecchi generali, che era dietro ad una certa distanza, non appena vide il Re giù da cavallo, corse in fretta per capire quale fosse la causa Qu’est ce que c’est? Qu’est ce que c’est si mise a gridare il vecchio e buon generale e finì per ruzzolare nello stesso pantano. Il conte Kevenhuller, con grande humor rispose mostrando il luogo Voilà ce que c’est, voilà ce que c’est!” 33 P. Beckford, Familiars letters from Italy to a friend in England, Salisbury 1805, 2 voll., pp. 66-67: “A Stupigny [sic!] occorre cacciare col Re. Anche se molto inferiore alla svago a cui si è abituati in Inghilterra, il coup d’oeil è bello; l’equipage de chasse magnifique; e il cacciare interessante su questo lato delle Alpi, visto che, lasciando Torino non sarà possibile vedere un altro cane da caccia. Prima vi era una colazione pubblica, cui partecipavano coloro che erano presenti alla caccia e indossavano l’uniforme. Si trattava di un pasto caldo più simile a una cena che ad una colazione, e la dura cavalcata successiva, raramente mancava di provocarmi il mal di testa. L’etichetta che qui si osserva durante la caccia, di non sorpassare il re, potrebbe dispiacere a un appassionato sportivo. Ogni volta che vedevo i Reali, prendevo un’altra strada. È stato al ritorno da una di queste cacce che sono incorso nell’incidente di cui W. le ha parlato. La fiera di Montcallier [sic!] sfortunatamente è stata lo stesso giorno della caccia, ed era presente tutta Torino. Sulla strada vi erano due file di carrozze che ritornavano a casa, lasciando un intervallo appena sufficiente per il passaggio di un mezzo di trasporto. Io mi trovavo a bordo di una sedia di posta inglese con quattro cavalli. Il mio postiglione, non so perché, credette che avessi fretta, e ruppe la fila; in conseguenza di ciò in quel momento incontrammo uno sfortunato uomo a cavallo, che, non avendo spazio per passare, è stato buttato per terra, ed arrotato e il dibattersi del suo cavallo rovesciò la sedia. La scena fu terribile! Si figuri un mezzo rovesciato, la bardatura fracassata, un cavallo ucciso, un uomo moribondo sotto ogni aspetto. due figure sanguinanti passate per la finestra della sedia, e due postiglioni in ginocchio in attesa di essere immediatamente messi a morte, supplicando pietà: un confessore che esponeva la croce al moribondo, aggiungeva non poco all’orrore di una scena che sarebbe soggetto di un quadro molto interessante. Madame de Sévigné riferisce con infinito umorismo una storia un po’ simile, ma siccome non sono un vescovo, invece di tagliare le orecchie all’uomo e rompergli le ossa, l’ho fatto curare e guarire a mie spese” 34 L’autore parla di cacce in Sardegna, ma si tratta, senza dubbio, di quelle effettuate sul territorio piemontese, considerando che l’indicazione Sardegna definisca in generale il Regno Sardo.
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35 The Hermit in London, Reminiscences of an hold Sportsman, including hunting in the olden times in France, Italy, and other parts of the Continent, interspersed with anecdotes, pagg. 103-104, in, The Sporting Magazine or Monthly Calendar of the Transactions of the Turf, the Chase, and every other diversion interesting to the Man of Pleasure, Enterprise & Spirit, London 1832, vol. 4, II serie. “L’ultima scena delle mie cacce all’estero fu in Sardegna, appena prima della Rivoluzione in Francia. Vi era una assai piccola differenza fra la caccia al cervo e al cinghiale che si fa qui rispetto a quelle cui ho partecipato in Francia. I Reali in entrambe le occasioni erano attorniati dalla Nobiltà e il risultato era più simile a uno spettacolo che a una caccia. Il seguito di Sua Maestà Sarda è meno numeroso di q [sic!] con le sue gesta di abilità e agilità sul terreno di caccia. Parlando di salti, ho fatto cenno ad alcuni che avevo visto nel Leicestershire e altrove; a cui rispose, “Oh! Tutto ciò è nulla, una volta mi è capitato di fare un salto così straordinario che ero abbastanza stanco di rimanere in aria” (J’ai sauté si haut que je m’ennuyais en l’air.) Poco dopo queste parole, il Principe fece una caduta nell’attraversare un piccolo burrone. Non ho potuto fare a meno di dire al Signor Principe che le sue doti di cavallerizzo erano venute meno rispetto ai tempi in cui compiva grandi gesta di abilità. Prese la faccenda molto bonariamente, montò di nuovo a cavallo e partì a pieno galoppo, con i capelli incipriati svolazzanti in una nuvola attorno a lui e ogni tanto quasi accecandomi: fu veramente un caso di “palmam non sine pulvere”. È stato ridicolo vedere in quei giorni le parrucche dei cacciatori di servizio a Corte, con le aile de pigeon da ogni lato del loro capo completamente arricciate e incipriate, e un codino dietro; o talvolta con due grandi cannoncini ad ogni orecchio, e una spessa coda che batte il tempo tra le loro spalle, che un mio amico sportivo definisce “una parrucca a due canne allacciate a una coda di maiale”.
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La Sala degli Scudieri già Sala dei Buffetti, nell’appartamento del Re
Elenco delle illustrazioni
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G. M. Mengozzi Colonna, G. B. Crosato, Apollo che uccide il drago Pitone, 1737
2-5 Veduta complessiva delle quattro pareti della sala 6
Veduta delle pareti sud ed est della sala
Vittorio Amedeo Cignaroli, Scene di caccia, 1771-1777, olio su tela. Serie di 13 dipinti: 7-8 Sortita di Vittorio Amedeo III dalla Palazzina di Caccia per andare al “lasciar correre”, prima e dopo il restauro 9-10 Il débucher, prima e dopo il restauro 11
L’hallaly nel torrente
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La curée chaude
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La partenza dei relais
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L’hallaly courant
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Le change
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Un relais
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L’arresto del bracconiere
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Il furto della legna
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La partenza dei valets de limier per andare alla “quête” dei cervi
20-21 Scene campestri
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Il restauro Anna Maria Bava e Franco Gualano
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l restauro della Sala degli Scudieri, già “Sala delli Buffetti” dell’Appartamento della Regina, oggi del Re, s’inserisce organicamente nel percorso per i visitatori approntato sin dallo scorso novembre (2011) attraverso la Scuderia juvarriana, l’Appartamento di Levante e la susseguente Galleria, costituendone il naturale prolungamento in direzione del Salone centrale; per questo motivo, e per il fatto che la sala stessa versava in condizioni particolarmente precarie, a causa delle infiltrazioni verificatesi soprattutto in corrispondenza della volta e del cornicione dal lato della corte d’onore e più in generale dei danni da umidità che investivano estesamente anche le boiseries dipinte, il completo sostegno economico fornito dalla Consulta per l’apertura del cantiere di restauro è apparso particolarmente prezioso e tempestivo; il laboratorio di restauro della Soprintendenza aveva velinato le parti a rischio, procedendo poi alla stesura delle necessarie perizie di spesa. La volta della sala, costruita col nucleo più antico della Palazzina entro il 1731 e conclusa nella decorazione nel 1737, con un affresco raffigurante Apollo che uccide il drago Pitone, figurazioni delle Stagioni ai quattro angoli e altri personaggi o animali entro finti coretti nella parte mediana dei lati, assegnata a Gerolamo Mengozzi Colonna con Giovan Battista Crosato nell’Itinerario di Noemi Gabrielli1, ha subito modifiche sin dal 1791 (oltre a interventi più recenti), quando Angelo Vacca fu incaricato d’un largo rimaneggiamento, in occasione della trasformazione della sala, che venne ad accogliere un piccolo oratorio privato del Re2, con rimodellamento del cornicione tendente ad escludere dal perimetro un limitato spazio sul lato sud ed apertura in sua vece d’una finestra ovata. L’ambiente originario, destinato sin dal 1767 ad essere trasformato, in uno con l’altro ambiente corrispondente dal lato dell’attuale appartamento della Regina, ma in realtà con rinnovamento più lento, aveva accolto la serie delle tredici tele del Cignaroli e in seguito, poiché certo le scene di caccia erano venute a mutarne partimenti, soggetti e spirito, si trovò ad ospitare un nuovo rivestimento parietale a boiserie di legno dipinto (in corrispondenza delle grandi porte si dipinse su tele sovrapposte). A poco meno di dieci anni di distanza dalla realizzazione, documentata al 1763, di quattro sovrapporte e un paracamino con vedute di caccia per il salotto dell’appartamento di Levante della Palazzina di Caccia di Stupinigi, Vittorio Amedeo Cignaroli veniva infatti nuovamente incaricato dalla corte sabauda della decorazione parietale della sala3. Il pittore torinese, che già Lalande nel 1766 nel suo Voyage en Italie ricordava come “un peintre de paysages à l’huile fort estimés”4, aveva infatti dato prova della sua raffinata eleganza e della sua particolare perizia nella resa dei 39
paesaggi arcadici5. Si trattava però questa volta di dedicare l’intera decorazione delle pareti all’attività venatoria, funzione primaria della residenza di loisir di Stupinigi, descrivendone le diversi fasi e fotografandone puntualmente il rito della caccia e la partecipazione dei reali sabaudi. L’esecuzione del ciclo celebrativo, che comprende otto pannelli, di cui quattro di dimensioni minori, e cinque sovrapporte, di cui uno di maggiore grandezza apribile ad anta, si scala tra il 1771 e il 1777 e riflette richieste, gusti ed aspettative prima di Carlo Emanuele III poi di Vittorio Amedeo III, così come chiarisce l’intervento di Pietro Passerin d’Entrèves in questo volume. Nonostante il giudizio severo del Mallé che ne riscontra un esito compositivo non felice e un certo impaccio nella resa delle parate di personaggi6, il ciclo ci restituisce con dovizia momenti importanti della vita di corte, e il restauro condotto ha permesso di riportare i dipinti alla loro policromia originaria, mettendo in evidenza la capacità del pittore di giocare sulle sfumature delle tonalità dei verdi, dei rosa e degli azzurri per gli elementi naturali e di soffermarsi con precisione nelle vivaci scene gremite di personaggi, dove risaltano i rossi e blu squillanti delle uniformi. Le tele presentavano vicende conservative differenti ed erano stati interessati da interventi di manutenzione otto e novecenteschi; due sovrapporte, due pannelli minori e i quattro maggiori erano stati foderati durante un intervento di restauro degli anni sessanta del Novecento, mentre gli altri cinque dipinti risultavano ancora in prima tela (conservata anche nell’attuale intervento). Tutti i dipinti presentavano una vernice protettiva fortemente alterata e ingiallita e la pittura originale era stata interessata da vaste e spesse ridipinture (particolarmente diffuse nei due sovrapporta non foderati) che non permettevano una corretta lettura del ductus pittorico dell’artista dato che i numerosi ritocchi debordavano ampiamente sulla cromia originale. È stato così possibile far riemergere e rendere nuovamente leggibili molti dettagli, soprattutto in lontananza, completamente offuscati o a volte male interpretati dalle precedenti ridipinture. Particolarmente interessante risulta ora ad esempio la raffigurazione della facciata principale della Palazzina nel pannello rappresentante la partenza per la caccia che ci restituisce un’immagine preziosa dell’edificio prima delle trasformazioni tardo settecentesche. Il restauro ha inoltre ridonato al ciclo di tele la sua omogeneità nell’ambito della produzione del pittore torinese e della sua bottega, mentre prima, a causa dei diversi esiti delle ridipinture, sembrava evidenziare, almeno tra i sovrapporta, esiti stilistici, tempistiche e mani molto differenti. I lavori di restauro della volta hanno costituito l’occasione di verificare quanto sostenuto sin dagli anni della Gabrielli, ma mai documentato fotograficamente da presso, che cioè “a sinistra il boesaggio chiude uno sfondato, sulle cui pareti continua la pittura ad affresco con figure ed architetture”7. Smontata la grande tela sovrastante la porta centrale a doppio battente, peraltro opportunamente incernierata sul lato destro, è infatti apparsa, pur non facilmente visibile, limitata com’era dalla piccola apertura sul davanti, ed interclusa al disotto dal plaffone della cappellina, la parte nascosta dell’affresco, che si poteva solo in parte in-
travvedere dietro il vetro ondulato, comprendente architetture ed un coretto che rimanda a quelli sui due lati est e ovest, da cui s’affaccia una vivace figura maschile con gorgera e abito con nastri e maniche a sbuffo. La figura riemersa, per esaminar la quale qualche acrobazia in più non è certo stato un prezzo molto alto da pagare, completa quel che si conosceva solo imperfettamente, e viste meglio insieme, le tre figure che si affacciano dai coretti paiono ora dialogare tra loro, come se il paggio ricciuto indicasse al cacciatore del coretto sulla sinistra la scimmia che mangia la frutta in quello di destra. La sala, che ospitava in origine la pittura di tre coretti a sagoma realmente bombata, per enfatizzarne l’effetto a trompe l’oeil, e una finta finestra sul lato nord, sembra adesso mostrare due coretti e due finestre, di cui una vera8, con una certa alterazione dell’effetto del progetto originario, del resto non più di quanto succede nella sala simmetricamente posta dall’altro lato del Salone centrale (detta ora Anticappella), dove la più tarda trasformazione dello sfondato in spazio d’una cappella a tutt’altezza ha suggerito, oltre alla modifica del cornicione e l’eliminazione della decorazione in essa inclusa, anche la trasformazione della porzione centrale dell’affresco della volta che forse, in connessione coi due gruppi con figure di fanciulla e cacciatore, che sembrano adombrare scene di corteggiamento, poteva contenere una più esplicita scena galante, o magari una visione mitologica con Venere, non più consona alla nuova connotazione dell’ambiente9: la nuova, semplice, riquadratura del Borri fu eseguita, come ha rivelato il restauro ora eseguito con fondi ministeriali, previo completo rifacimento dell’intonaco. Ma a chi può realmente spettare l’esecuzione della volta della Sala degli Scudieri? Luigi Mallè aveva ribadito che il Mengozzi Colonna, specializzato in architetture e prospettive, non poteva essersi occupato della figurazione10, ed era più propenso della Gabrielli ad attribuire al Crosato, in quegli stessi frangenti impegnato per l’Anticamera della regina, la responsabilità della pittura delle figure, anche se il pittore che ricorre nei documenti rimane il primo responsabile dell’organizzazione della sala, pur seguendo le intenzioni dello Juvarra; le qualità del Veneto rimanendo in parte compromesse dalle ridipinture del Vacca. Dopo le osservazioni ravvicinate condotte in occasione dei restauri, non si può rimanere che in sostanziale accordo con lo studioso, anche se gli appesantimenti del Vacca (che sono comunque rimasti in essere, perché derivanti da un progetto che aveva le sue ragioni, oltreché ormai storicizzati) non sono forse i soli responsabili del dislivello qualitativo nei confronti del Sacrificio d’Ifigenia, dovuti al minor coinvolgimento dell’artista, fors’anche perché non responsabile primario, e certo perché in larga parte affiancato da aiuti non sempre in tutto adeguati. All’interno della sala stessa si profilano brani d’ incerta formulazione, e basti citare, per esempio nella figurazione dell’Estate, la differenza tra l’ariosa, leggera efficacia delle spighe poste sul capo e la secchezza di quelle poste nella parte inferiore dell’ovale, non meno dei poco convincenti rametti; il piede sinistro della stessa figura pare prigioniero d’una posizione alquanto incongrua, e altrove anche la realizzazione della scimmia sembra rigida e piuttosto goffa. Esiti felicissimi appaiono peraltro 41
nella ricca scioltezza della Primavera, così contenta di sé, e forse ancor più in quella dell’Inverno, tenera e toccante in quel riscaldarsi le mani al fuoco: ed in essa, alle ombre portate comuni anche alle scene delle altre stagioni e che paiono emanare dal centro della sala, se n’aggiunge una nuova che disegna il profilo del tripode e della mano sopra ad esso sospesa, genialmente indicandoci l’effetto delle braci accese senza direttamente mostrarcele. Le tipologie dei personaggi richiamano del resto inconfondibili caratteri crosatiani, come ci si renderà conto osservando a confronto proprio la figura dell’inverno con quella del vegliardo che impugna la spada sulla destra dell’ara del sacrificio nella volta dell’Anticamera della regina, o la parentela tra la Primavera e la stessa Ifigenia11. E’ la stessa situazione che si dispiega nella cosiddetta Anticappella, la cui vicenda compositiva pittorica pare per la più gran parte assimilabile, e dove la fanciulla che s’adagia su una voluta presso il cane e il giovane cacciatore è così esplicitamente parente di quella, col corpetto a righe e la gonna blu che affianca il piccolo podio, sempre nell’Anticamera. Non si può inoltre tacere che la tecnica realizzativa presenta chiare differenze tra l’apparato architettonico illusionistico, molto disegnato, con tutte le incisioni pertinenti, e i diversi personaggi, fatti quasi di getto con tecnica molto più libera e moderna, e quasi senza incisioni; la scena centrale con l’Apollo passa sopra alle architetture dipinte. Oltre all’azione di risanamento ed estrazione di sali, trattamento di piccole fessurazioni e distacchi, si è proceduto, previa esecuzione di tasselli di controllo, alla rimozione di ridipinture moderne sui fasci di luce a sinistra del carro dell’Apollo, in quanto alterate, e al ritocco correttivo a gessetti su di un’ala e sulla coda del drago, in passato manomesse. La fase di risarcimento estetico ha inoltre interessato le zone che necessitavano di stuccature; il cornicione ha richiesto una generosa azione ricostruttiva nel corpo e sulle superfici decorate, peraltro di carattere ripetitivo. Il rivestimento parietale a prevalente ritmo verticale, costituito da successione di porte con sovrapporte ed entreportes di minor sviluppo, è definito in corrispondenza di quest’ultime da lambriggio con nature morte e vive e sovrastante pannello con mascherone e ghirlande con borchie, che a sua volta precede, dove non siano le tele cignaroliane, lunghi trofei venatori con fucili, flora e fauna (gli stessi che si ritrovano nelle porte). Spettante anch’esso al Vacca per la parte dipinta, intorno al 1791, presenta un rigorismo strutturale che in parte si scioglie nell’elegante blu dei fondi, dove risplendono gli inserti naturalistici a colori chiari ben accordati. Un costante legame tematico (meno stretto dal punto di vista stilistico) insiste dallo zoccolo al cornicione, cui però non corrisponde per nulla la vasta e ariosa libertà della volta rococò, risultandone una cesura piuttosto netta; il motivo dei trofei (teste di cinghiale e di cervo) e teste femminili, che ricorre sia nelle boiseries che nella volta, sembra dunque un tentativo programmatico un po’ esteriore. Le boiseries erano segnate da forti ridipinture dei fondi e delle cornici, da manutenzioni su crepe apertesi nei pannelli (che hanno ora richiesto innesti di balsite), che avevano comportato ritocchi poi alteratisi, in modo tale che i rapporti 42
cromatici erano ormai discordanti; anche lo zoccolo decorato a finto marmo era stato assimilato nel colore al resto delle cornici (ed è stato recuperato, sulla base di qualche tratto ancora originale), da ultimo soprattutto i pannelli inferiori erano interessati da estese cadute di colore, specie nei fondi. Le superfici sono state fissate, risanate, ripulite, restaurate, con recupero di molte informazioni nuove: l’originaria foglia d’oro brunita è riapparsa sotto rifacimenti a missione, per le borchie reggi ghirlanda dei pannelli inferiori è stata svelata una prima stesura in azzurro, prima dell’attuale in oro, di poco posteriore; la primitiva decorazione parietale, precedente la sistemazione dei pannelli lignei, è potuta riemergere almeno nei sotto finestra, dove i danni da umidità hanno consigliato l’asportazione di alcuni pannelli per il risanamento, mostrando dei delicati finti marmi di bella realizzazione, sui toni del rosa e del lilla chiaro, quel che importa perfettamente accordati con lo spirito compositivo della volta. E se qualche rammarico rimane per la perduta fase decorativa del primo tempo, intorno al ’33, è certamente grande la soddisfazione per il recupero di questa prestigiosa pagina neoclassica (d’un gusto “restaurazione, secondo il Mallè, che la maltratta un po’ troppo12), soluzione alternativa, ma complementare, ad altre pagine del gusto dell’ultimo quarto del secolo, che conta in Palazzina i capolavori dell’arredo bonzanighiano, e che d’altro canto rinterza e conferma un altro dei caratteri precipui di questa residenza, vale a dire la presenza di ambienti segnati dalla boiserie a tutt’altezza, anche se sempre derivati da sistemazioni non originarie, come in Biblioteca e Antibiblioteca e in Anticamera di Levante. In essi si esercitarono spesso anche artigiani del legno di grande rilevanza, il riscatto dei cui singoli interventi attraverso la ricerca della precisa paternità sarebbe certo opera meritoria all’interno della più generale analisi e comprensione della Palazzina di Stupinigi.
Note 1 N. Gabrielli, Itinerario, in Museo dell’Arredamento. Stupinigi La Palazzina di Caccia, catalogo, Torino 1966, pp. 87-88. La stessa, nel commento critico steso insieme a M. Tagliapietra Rasi (Storia e documenti, in op. cit., Torino 1966, p. 29, ritenne però di limitare la misura della collaborazione di quest’ultimo per “differenze qualitative sostanziali”. 2 I lavori si trascinarono lungamente, o furono rimandati, perché al 1819 (Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Real Casa, Parcelle e Conti, mazzi 5254 e 5259), si parla della Creazione della Cappella nell’attuale Sala degli Scudieri. Ringraziamo Sonia Damiano per la gentile segnalazione. 3 A. Baudi di Vesme, Schede Vesme. L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, vol.I, Torino 1963, pp. 317-319. 4 J. J de Lalande, Voyage d’un françois en Italie, fait dans les Années 1765 et 1766, Venezia 1769. 5 Su Vittorio Amedeo Cignaroli come pittore di paesaggi si veda: A. Griseri, Pittura, in Mostra del Barocco piemontese, catalogo della mostra, a cura di V. Viale, Torino 1963, vol. II, pp.110-113; N. Gabrielli, op. cit., catalogo, Torino 1966, pp. 87-88 e pp. 138-140 (scheda biografica di L. Tamburini); A. Griseri, La Palazzina di Stupinigi, Novara 1982; Vittorio Amedeo Cignaroli. Un paesaggista alla corte dei Savoia e la sua epoca, catalogo a cura di A. Cottino, Torino 2001; Cignaroli. La seduzione del paesaggio, catalogo a cura di A. Cottino, Torino 2007.
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6 L. Mallè, Stupinigi. Un capolavoro del Settecento europeo tra Barocchetto e Classicismo, Torino 1968, p. 199. 7 N. Gabrielli, op. cit.,Torino 1966, p. 88. 8 L’intonaco intorno alla finta finestra sulla parete nord presenta caratteri molto simili a quello della rimodellazione intorno alla finestra vera sopra la cappellina, facendoci dubitare che il rimaneggiamento abbia coinvolto anche quel settore. 9 In proposito, Michela di Macco ha ricordato il “clima di rigorismo morale” promosso a corte da Carlo Emanuele III, in Collino e Bernero. Vasi, trofei, divinità agresti e venatorie, in Stupinigi luogo d’Europa, a cura di R. Gabetti e A. Griseri, Torino 1996, p. 132. 10 L. Mallè, op. cit., Torino 1968, p. 194. La medesima opinione traspare anche dalla lettura di G. Gritella, Stupinigi. Dal progetto di Juvarra alle premesse neoclassiche, Modena 1987, pp. 170-71 e 174-78. Si veda anche A. Griseri, “Aequa Potestas” tra architettura e pittura, in op. cit., Torino 1996, pp. 78-79. 11 Non è poi certo senza significato che un’annotazione d’un inventario del 1805 (Palais de Stupinis, Inventaire…, 1805, Chambre à cotè gauche du grand Vestibule ditte de la Chasse) reciti: “la chambre est emboisèe et ornè avec des sculptures dorme, et avec des peintures analogues à la chasse faites par Vacca Piemont. La voute est peinte à fraiche par Crosati, et Zuriga”. Cortese segnalazione di Sonia Damiano. 12 L. Mallè, op. cit., Torino 1968, p. 200.
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Il restauro Volta, cornicione, intonaci, voltini, camino Cristina Arlotto
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’intervento di restauro conservativo è stato eseguito sui dipinti murali che ricoprono interamente le superfici della volta, i cielini e le boiseries degli sguinci delle finestre e delle passate di porta, sul cornicione in stucco decorato e dorato, sugli intonaci non decorati (pareti degli sguinci delle finestre, pareti messe temporaneamente a vista dallo smontaggio delle tele del Cignaroli, interno camino), sul camino e sui davanzali in marmo. La caratteristica predominante dei dipinti murali della volta è la rigorosa osservanza della tecnica settecentesca del dipingere a fresco. L’intonaco è steso per giornate non di piccole dimensioni, distribuite ordinatamente, facendone coincidere i margini con alcune delle linee principali del disegno. Nella volta ciò avviene solo in parte, poiché in numerosi casi sono state osservate giornate molto evidenti, dove l’intonaco viene tagliato in maniera netta e il margine, pur non leggendosi se non a luce radente e coincidendo con gli elementi architettonici dipinti, esalta e sottolinea le forme del disegno. Questo è fortemente palese nelle quadrature che delimitano le Stagioni. Le giornate sono ben distinguibili, ma la loro sequenza è ricostruibile solo per gruppi e non singolarmente, come abbiamo cercato di spiegare nel grafico che segue. La volta della Sala degli Scudieri si trova in buone condizioni conservative, fatta eccezione per la parete rivolta a nord. La causa primaria del deterioramento è da addurre ad infiltrazioni di acqua piovana, provenienti da un pluviale esterno. In misura minore, non sono mancati anche danni di natura antropica (urti accidentali, usura, manomissioni) e strutturale (dissesti e assestamenti) e dovuti a difetti esecutivi (bottaccioli e fessurazioni). In tali zone, la fuoriuscita di sali solubili ha provocato sbiancamenti, ma soprattutto sollevamenti e caduta della pellicola pittorica, sia dei dipinti sia degli stucchi, nonché perdita di coesione. La loro azione in profondità, ha prodotto anche il distacco dell’intonaco dal supporto, causando in alcuni casi la formazione di lacune (soprattutto sul cornicione). Per il cornicione in stucco, la perdita del colore è stata pressoché totale nella porzione verso nord-est, mentre per i dipinti si è concentrata in punti localizzati. Infatti, le principali forme di degrado sono quelle termoigrometriche, caratterizzate da escursioni termiche e dalla presenza di acqua in tutte le sue forme di aggregazione. Tutte le superfici si presentano ricoperte da uno strato leggero di polveri e particellato. Lo sporco ha aderito in misura maggiore laddove la stesura 45
Mappatura delle giornate impiegate dai pittori nell’affresco della volta
dell’intonaco è leggermente convessa, a livello dei simulati balconi che sormontano i due accessi alla stanza. L’angolo raffigurante le Stagioni (Inverno) è caratterizzato da una leggera illeggibilità delle pitture causata dalla presenza in superficie di una patina biancastra opalescente, accentuata nelle porzioni di manto leopardato e giallo. Un ulteriore elemento osservato è quello delle fessurazioni da ritiro della malta. La “ragnatela” di linee conseguenti è visibile sui fondi chiari perché queste risultano 46
scurite dai sedimenti di polvere e nero fumo, accumulati al loro interno. La causa della loro formazione è da ricercare, soprattutto in un errore di stesura dell’intonaco, applicato probabilmente in uno strato troppo spesso. Altre fessurazioni, più importanti e tali da creare una situazione di precarietà, sono concentrate nelle porzioni inferiori dei sovrapporta dei passaggi con il corridoio verso l’atrio. Queste crepe si sono create in seguito ad assestamenti della muratura La volta presenta estese riprese pittoriche, facilmente solubili, parzialmente alterate e di scarsa qualità, che coprono stuccature e un gran numero di abrasioni . Queste ridipinture debordano anche su parti non degradate e spesso non rispettano le cromie e il disegno dei dipinti murali originali. I ritocchi sono ascrivibili ad una fase manutentiva precedente. Si notano perdite di film pittorico e materico soprattutto sulle pareti degli sguinci. Le mancanze di intonaco sono molto profonde ed in alcuni casi arrivano fino al mattone: il danno, di natura antropica, si è verificato con l’inserimento dei ferri fermaporta. Nelle boiseries sono presenti dei tagli eseguiti per l’inserimento di listelli lignei per sostenere l’attuale boiserie. Sul cornicione l’azione deteriorante dei fattori ambientali si è rilevata particolarmente dannosa nei confronti del materiale, anche in profondità, e ha provocato la formazione di efflorescenze saline con conseguente perdita totale sia della pellicola pittorica, che della lamina d’oro. Oltre all’accumulo di depositi di particellato e polveri coerenti, il cornicione in stucco, decorato e dorato, presenta in tutto il suo perimetro fessurazioni, lacune di vasta entità di supporti e finiture, distacchi, scomposizione e perdita dei frammenti dei modellati.. Il camino in marmo verde si trova in buone condizioni conservative. È presente su tutta la superficie una patina di cera invecchiata e ingiallita oltre che polveri e particellato incoerenti. Sono visibili stuccature colorate di restauri precedenti. I davanzali, inoltre presentano rotture del litotipo causate probabilmente da danni antropici. Sono stati eseguiti preliminarmente i test di pulitura e, considerata la forte presenza di efflorescenze saline, anche prove di trattamento specifico. I difetti di adesione dell’intonaco sono stati trattati con iniezioni di maltina idraulica premiscelata, a basso peso specifico. Il distacchi di alcune isole d’intonaco disancorate sul cornicione sono stati imperniati. Il trattamento dei difetti di coesione della pellicola pittorica è stato risolto applicando metodi diversi a seconda delle problematiche. Le zone molto decoese della porzione di volta, corrispondente al lato nord e nord est più degradate , sono state trattate con una soluzione microacrilica diluita in acqua demineralizzata in proporzione 1:1. La pulitura preliminare è stata eseguita applicando un foglio di carta giapponese sulla superficie ed effettuando ripetute spugnature con una miscela di acqua demineralizzata e alcool etilico (1:1). Si è cercato così di evitare la saturazione 47
del colore, la formazione di fastidiosi lucidi e di imbibire la superficie di materiali impermeabili estranei al dipinto murale. In volta e sulle pareti, la pulitura delle superfici non degradate è stata fatta prima a secco con spugne Wishab, poi, soprattutto sulle parti chiare, tamponando delicatamente con spugna semplice imbevuta in acqua distillata. Il cornicione, dove non degradato, è stato pulito con triammonio citrato in acqua demineralizzata al 5% e successivamente risciacquato. Le dorature distaccate sono state fatte riaderire mediante iniezioni di Microresina diluita in acqua demineralizzata in proporzione 1:1 e, una volta asciutte, sono state pulite con White Spirit. Le ridipinture, presenti sulla volta, sono state rimosse con impacchi veloci di carbonato d’ammonio in soluzione satura steso a pennello su carta giapponese e, infine, il tutto risciacquato con ripetute spugnature con acqua. Nella zona interessata da infiltrazioni pregresse di umidità con formazioni saline si sono effettuati impacchi di desolfatazione. Sul cornicione lato nord, le efflorescenze saline, cresciute sino a formare croste spesse e sedimenti lanosi, sono state eliminate meccanicamente a bisturi; poi sono stati effettuati ripetuti passaggi con impacchi di acqua deionizzata, velinando le superfici. Particolari della volta prima e dopo il restauro
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Particolari della volta dopo il restauro
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Per la stuccatura sono state impiegate malte a base di calce. L’interferenza visiva di macchie e lacune è stata corretta con acquerelli stesi a velatura o leggero tratteggio. Sui materiali lapidei (camino e davanzali) si è proceduto con la pulitura, con la rimozione del particellato superficiale per mezzo di pennellesse e dello sporco più consistente con spugne e acqua deionizzata; è stata eliminata la vecchia cera con triammonio citrato, risciacquato con acqua deionizzata. Infine è stata applicata a protezione della cera microcristallina.
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Il restauro Boiserie, porte e scuri delle finestre Brunella Rosa Brusin
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a decorazione ad olio della boiserie delle pareti, sino al cornicione, degli scuri delle finestre, delle quattro porte e delle ante della cappella fu realizzata, a fine Settecento, da Angelo Vacca. L’impianto decorativo è costituito da partiture architettoniche nei toni dell’ocra con bordature dorate che incorniciano ghirlande, mascheroni, nature morte e trofei di caccia su fondi azzurri. Su cornici, pannelli, ante e serramenti la pellicola pittorica è stesa su uno strato preparatorio a base gessosa applicato sul legno, sui pannelli delle porte è presente una incamottatura (tela fissata con colla di coniglio) con lo scopo di ammortizzare i movimenti del legno rispetto agli strati pittorici. Lo stato di conservazione in generale non era buono: erano presenti fessurazioni e deformazioni del legno di supporto, interessato in molte zone da attacchi di insetti xilofagi; sugli strati pittorici e preparatori vi erano difetti di adesione e coesione con sollevamenti e lacune e, sulla pellicola pittorica, alterazioni cromatiche, con presenza di sostanze sovrammesse di varia natura. Dai tasselli stratigrafici di indagine conoscitiva è emerso che erano presenti estese ridipinture soprattutto nelle parti basse dei lambriggi, perché probabilmente più volte rimaneggiati, mentre più in alto si evidenziano ritocchi più localizzati. In particolare per quanto riguarda le riquadrature, lo zoccolo decorato a finto marmo era stato completamente ridipinto con una tinta monocroma, molto compatta, di colore marrone; sulle cornici con fondo giallo chiaro nella parte alta delle pareti erano presenti spessi strati di vernice protettiva, molto alterati, ed Particolari della boiserie durante il restauro
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Particolare della boiserie prima e dopo il restauro
alcuni ritocchi localizzati , mentre le cornici dei lambriggi collocati piÚ in basso presentavano piÚ stati di ridipinture, alternati a strati di vernice, che ricoprivano interamente la coloritura originale, molto lacunosa, di colore giallo ocra, piÚ scuro rispetto al giallo chiaro delle altre partiture. Tutte le cornicette dei lambriggi, in origine decorate a foglia d’oro brunita su bolo rosso, durante un passato intervento di restauro erano state coperte con una foglia d’oro applicata a missione, che risultava essere molto opaca. 52
Tutti i pannelli decorati su fondo blu erano coperti da spessi strati di sporco polveroso e vernici alterate. Rimuovendo le sovrammissioni sono apparsi in modo ancora più evidente i numerosi ritocchi ad olio, eseguiti i diversi momenti, soprattutto lungo le linee di giunzione tra gli elementi lignei di supporto. Con la prima fase di intervento, relativa alla pulitura dei dipinti, sono state asportate tutte le sovrammissioni, quali depositi di sporco polveroso, strati protettivi alterati, ridipinture dei fondi e ritocchi localizzati per riportare alla luce le cromie originali, con soluzioni solventi scelte con test di solubilità. La doratura a missione è stata rimossa per restituire all’oro la brillantezza originale. I difetti di adesione degli strati preparatori, della pellicola pittorica e della doratura sono stati consolidati con resina alifatica diluita in acqua applicata a pennello o per infiltrazione. I sollevamenti dell’incamottatura presente sulle porte, molto rigidi, sono stati ammorbiditi e fatti riadagiare, previa infiltrazione di adesivo termoplastico, con apporto di calore controllato. Il legno di supporto è stato disinfestato sia con fumigazione dell’ambiente che con applicazione a pennello di prodotto biocida. Le lacune del materiale di supporto delle cornici, dei lambriggi inferiori e delle porte sono state integrate con resina bicomponente epossidica specifica per ricostruzioni lignee. Tutte le lacune della preparazione, sia sui dipinti che sulle dorature, sono state stuccate con colla animale e gesso di Bologna, poi levigate con retina ottonata. La reintegrazione pittorica è stata eseguita con colori a vernice chimicamente stabili e le lacune della doratura sono state risarcite applicando fogli di oro su uno strato preparatorio di bolo e poi brunite. In ultimo tutte le superfici decorate sono state verniciate con una vernice protettiva per restituire ai dipinti e alle dorature il giusto grado di rifrazione e brillantezza. Una curiosità: sul pannello in basso a sinistra della cappella, su una borsetta porta polvere da sparo, sono dipinte le iniziali di Vittorio Amedeo con una coroncina di alloro, mentre sul pannello rettangolare posto sulla parete est, a sinistra della porta, sono raffigurate, sullo stesso tipo di borsetta le iniziali di Vittorio Emanuele, con evidenti segni di abrasione della pellicola pittorica, con una ridipintura di un nuovo fondo giallo sul quale sono state tracciate le nuove iniziali, sormontate da una corona con particolari dorati (cfr. figura p. 51).
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Il restauro I dipinti su tela Cesare Pagliero
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a tecnica esecutiva del ciclo pittorico dei tredici dipinti a olio su tela ha rivelato caratteri di omogeneità, che prima del restauro apparivano alterati dalle vicende conservative del passato. Sono tutti realizzati su supporti in fibra di canapa, composti da filati dal titolo irregolare e tessuti con un’armatura a tela semplice di bassa densità (riduzione media di 7 fili/cm in trama e di 8 fili/cm in ordito). Ogni supporto è composto da un’unica pezza che presuppone la produzione con telai di larghezza superiore a 180 cm, considerato che la dimensione massima nel senso della trama è stata riscontrata nel sovrapporta grande, dove tuttavia la cimosa è assente lungo entrambi i margini. Le tele sono preparate con una mestica oleosa color terra rossa, in cui è presumibile la presenza di argille oltre che di ossidi di ferro; solo localmente la preparazione è migrata sul retro, a conferma dell’uso di una consueta apprettatura schermante a base di colla animale. L’esistenza di un preciso progetto iconografico preliminare si evince anche dall’osservazione dei bordi perimetrali delle cinque tele non foderate: è presente solo la preparazione, a conferma che la stesura è avvenuta su un telaio provvisorio di dimensioni maggiori, mentre la pittura è stata realizzata dopo il tensionamento sui telai definitivi. Il film pittorico è caratterizzato da stesure abbastanza corpose: raramente è stato sfruttato il colore della preparazione con funzione pittorica, coniugandolo ad effetti di trasparenza del colore soprastante; nei casi in cui compare è imputabile agli effetti di vecchie puliture un po’ aggressive. Durante l’attuale restauro si è potuto appurare con certezza – sia attraverso l’osservazione della successione stratigrafica in prossimità di lacune ed esfoliazioni degli strati pittorici, sia con indagini radiografiche digitali - che non vi sono cambiamenti di impostazione della pittura in corso d’opera, né tanto meno la sovrapposizione di due successioni pittoriche, imposte nell’avvicendamento della committenza Reale, come si ipotizzava dalle indicazioni di alcune fonti. Dei tredici dipinti solo i quattro più grandi sono firmati “Cignaroli pinxit”, ma in nessun caso sono state individuate le cifre di una data. I dipinti non foderati conservavano ancora l’inchiodatura originale, composta da tradizionali ancoraggi metallici a linguetta ripiegati verso il retro, sulle due piccole sovrapporte non foderate, erano stati infittiti con sellerine di foggia ottocentesca, senza smontarli dal telaio. 55
I telai originali sono realizzati in legno di pioppo e con incastri fissi a mezzo legno, incollati e imperniati; si tratta di strutture semplici e abbastanza esili, che però non manifestano particolari deformazioni o indebolimenti ad opera degli insetti xilofagi. Solo la grande sovrapporta, apribile ad anta, è assemblata con regoli più robusti perchè deve sostenere le tensioni esercitate dalla tela e dal peso nei movimenti a sbalzo; la serratura ad aste è azionabile dal fronte per mezzo di un perno passante nel dipinto. Le altre tele sono state foderate in occasione di un restauro degli anni sessanta del Novecento, in cui i telai sono stati sostituiti con strutture espandibili a biette e rinforzate con traverse a croce. Come tela di rifodero è stata impiegata una “patta” di lino, aderita con tradizionale colla-pasta; probabilmente in tale circostanza sono stati eliminati tutti i bordi perimetrali di ripiegatura che ci avrebbero potuto trasmettere alcune informazioni aggiuntive sulla presenza di montaggi precedenti. Di tale intervento non è stata individuata alcuna testimonianza scritta o fotografica che documenti le condizioni delle opere e le cause di così accentuate diversità conservative rispetto ai dipinti che, ancor prima di questa revisione, presentavano uno stato discreto a fronte di analoga tecnica esecutiva e condizioni ambientali. Soprattutto alcuni indelebili segni di sofferenza impressi negli strati pittorici rappresentano la sfortunata memoria di vicende conservative difficili e ormai migliorabili solo parzialmente. Sulle tele già foderate si osservano dei rigidi corrugamenti del film pittorico, talvolta alternati ad avvallamenti, che si sviluppano parallelamente ai filati e con leggera prevalenza lungo l’ordito (fig.1). È ipotizzabile che in un intervento di consolidamento con adesivi a base acquosa si siano verificate simultaneamente delle diffuse contrazioni della tela e dei rigonfiamenti della preparazione che hanno concentrato le loro tensioni in modo incontrollato lungo tali linee di sfogo e delimitando delle aree quadrangolari, evidenziate anche dai ritocchi in fluorescenza UV (fig.2). Inevitabilmente tali problemi si sono verificati in maniera più intensa sulle campiture compatte e ricche di biacca, quali i cieli, dove nel corso della pulitura sono emerse anche numerose cadute di colore stuccate e ritoccate. Sui paesaggi sono apparse delle perdite del solo film pittorico che mettevano in luce la preparazione rossa; in generale solo un numero limitato insisteva sulle figure. Lo stato di adesione della preparazione alla tela risultava discreto in tutti i dipinti, mentre sono stati rilevati più diffusi problemi di distacco fra film pittorico e preparazione, soprattutto su quelli non foderati che presentavano anche sollevamenti pericolanti, messi in sicurezza con velinature localizzate prima del trasporto in laboratorio (fig.3). Su cinque grandi tele già foderate sono state riscontrate stuccature variamente pigmentate (rosa, verdi, nere e gialline) anche in zone di colore simile e vicine fra loro, che fanno presupporre almeno un paio di interventi di epoche diverse, più che una scelta funzionale al ritocco. 56
Fig. 1 - Corrugamenti e avvallamenti degli strati pittorici
Fig. 2 - Ritocchi evidenziati dalla fluorescenza ultravioletti
Fig. 3 - Velinatura di protezione dei sollevamenti di colore
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Fig. 4 - Pulitura del film pittorico
Fig. 5 - Stessa fase di pulitura in fluorescenza UV
Esso risultava piuttosto accentuato sui cieli ed estesamente debordante sull’originale; l’alterazione dei ritocchi, unitamente a quella della vernice protettiva, determinava un notevole ottundimento dei raffinati passaggi di tonalità rosate e azzurrine, in particolare sulle parti del paesaggio in lontananza, tanto che alcuni tratti della catena montuosa venivano a confondersi con le nuvole (figg.4-5). Una nota particolare va riservata alle due sovrapporte non foderate (L’aratura dei campi e Il furto di legna), pesantemente ridipinti su quasi tutta la superficie; il confronto dell’aspetto in luce visibile e in fluorescenza UV ha evidenziato nettamente la presenza di un restauro più antico, forse ottocentesco, seguito da quello più recente di mero accomodamento. Con la pulitura attuale è stata recuperata la policromia originale, che è affiorata in tutta la freschezza dei toni e del ductus pittorico caratterizzanti gli altri dipinti, rivelando dettagli e sfumature totalmente ignorati e coperti da una ridipintura talmente materica, da assolvere contemporaneamente la funzione di stuccatura delle piccole, quanto infinite lacune di colore (tavv. 18, 20; figg. 6-7). 58
La pulitura del ciclo pittorico è stata quindi affrontata in maniera singolare per ogni dipinto, con l’intento di valorizzare quanto più possibile la pittura originale e di restituire condizioni di lettura armoniose ed unitarie, a fronte di almeno tre tipologie conservative assai diverse. Sono stati eseguiti dei test di solubilità preliminari, utili a definire un sistema solvente possibilmente selettivo e graduale: se per l’assottigliamento della vernice sui dipinti non foderati, quali la grande sovrapporta e le due scene ad essa adiacenti, è stato necessario impiegare un solvent gel di acetone, addizionato di una minima percentuale di alcol benzilico, per quelli estesamente ritoccati è stato necessario aumentare tale contributo per interagire con il legante più polimerizzato, ricorrendo anche all’azione di sostanze chelanti per favorire la rimozione dei pigmenti, attraverso ripetute applicazioni. Ove possibile, la fermatura degli strati pittorici e il consolidamento della tela sono stati eseguiti in seguito alla pulitura: i dipinti non foderati sono stati smontati dai telai e, a seguito di prove localizzate di confronto fra consolidanti diversi, sono stati trattati con la stesura dal retro di una soluzione di BEVA 371 O.F. al 15%, ottimizzando l’adesione con la riplastificazione sulla tavola calda a bassa pressione. Sui telai sono stati incollati dei bordini distanziatori perimetrali, per evitare l’impronta degli spigoli in caso di allentamento; i dipinti sono stati ritensionati previa adesione di strisce perimetrali. Più complessa è stata la scelta operativa su quelli rintelati, di cui si sarebbero voluti migliorare i difetti di superficie procurati da vecchi restauri; considerata però la distanza fra i corrugamenti di colore, la rigidità delle sovrapposizioni e degli avvallamenti, in relazione all’entità delle sollecitazioni che si sarebbero dovute procurare per ottenere un risultato prevedibilmente minimo e rischioso per le parti sane, si è optato per una linea meno invasiva. Infatti sarebbe stata inevitabile la rimozione della foderatura e dei residui di adesivo, per poter effettuare un montaggio su telai interinali e un’umidificazione annessa al tensionamento progressivo e controllato, inteso a ritrovare lo spazio per l’appianamento del colore; ma è evidente che per ottenere ciò su opere di tali dimensioni, si sarebbero poste a trazione in maniera spropositata le ampie aree intermedie con effetti ancor più dannosi. Laddove sono stati ravvisati margini di miglioramento, la superficie è stata quindi stirata dal fronte previa umidificazione in porzioni successive del retro foderato, in modo da rigenerare parzialmente il potere dell’adesivo presente. Le due sovrapporte foderate, che presentavano manifesti problemi di adesione fra colore e preparazione sono stati smontati dai telai e consolidati dal fronte con iniezioni sottovuoto di resina acrilica Plexisol P550 al 7% in benzina rettificata, ottimizzando successivamente il risultato con un passaggio sulla tavola calda a bassa pressione. Successivamente su tutti i dipinti sono state stuccate le cadute con gesso e colla, effettuando un collegamento della struttura superficiale anche sulle vecchie stuccature lisce, al fine di eliminare fastidiose soluzioni di continuità. 59
L’integrazione pittorica è stata eseguita in forma mimetica con colori a vernice, su basi cromatiche a tempera già molto vicine nel tono, previa verniciatura a pennello di tutto il dipinto con resina alifatica Regalrez 1094, applicata infine a spruzzo per proteggere i ritocchi e uniformare gli effetti di riflessione della luce. Figg. 6-7 - Particolare prima del restauro e durante la rimozione delle ridipinture
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Il restauro Sala degli Scudieri: il rilievo dell’Oratorio Gianfranco Vinardi
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lavori di restauro della Sala degli Scudieri nella Palazzina di Caccia di Stupinigi, finanziati dalla Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, hanno permesso di poter nuovamente ammirare le parti degli affreschi della volta nascosti in seguito alla chiusura della nicchia (ora pregadio) della parete di sinistra avvenuta nel 1767. I lavori di trasformazione, contemporanei a quelli eseguiti nella sala simmetrica ad ovest, che da mensa degli ufficiali fu tramutata in oratorio privato, Cappella di Sant’Uberto, modificarono le opere di affresco eseguite nel 1733 da Giovan Battista Crosato e Gerolamo Mengozzi Colonna. La nicchia venne divisa in altezza in due parti: il pregadio a livello della sala, accessibile mediante due porte inserite nella boiserìe decorate con dipinti riproducenti trofei di caccia, la parte superiore accessibile attraverso una apertura nel nuovo muro di chiusura dell’arco, a circa 3 metri di altezza, celata da una tela di Vittorio Amedeo Cignaroli apribile mediante due cerniere inserite sul lato destro del telaio della boiserìe. In alto venne inserita una finestra ovale che negli intenti doveva permettere alle persone di intravedere la parte di affresco celata dalla chiusura, ma in pratica a causa dell’altezza e della polvere depositata sui vetri nel tempo, il giovane affacciato al balconcino e così ben affrescato dagli artisti non potè che essere dimenticato. A seguito del distacco dei quadri per il loro restauro la muratura sottostante svela la trasformazione avvenuta. Le fessurazioni che indicano con il loro andamento la forma dell’arco primitivo sono ben visibili. I restauratori hanno eseguito un saggio in corrispondenza della fessura che ha confermato il distacco della muratura strutturale da quella di tamponamento. L’apertura sopra la porta del pregadio al centro dell’arco che permette l’ingresso al vano superiore è stata raggiunta mediante un piccolo ponteggio; ciò ha consentito di eseguire le rilevazioni dell’affresco inserito nella lunetta al di sopra del cornicione ed in seguito di effettuare i lavori di semplice ripulitura in quanto l’opera risulta in buono stato di conservazione. Durante le operazioni di rilievo si è notato come siano stati usati interessanti accorgimenti nella stesura degli strati di intonaco. La superficie nella zona dell’affresco del balconcino risulta curvata fino a raggiungere al centro il filo esterno del cornicione per aumentare l’effetto prospettico dell’aggetto. Gli spigoli della lunetta risultano molto arrotondati per permettere un miglior aggancio del disegno centrale con quelli laterali, creando una prospettiva ideale libera rispetto alla superficie di supporto. 61
L’esame della finestra ovale permette di verificare nella zona del sottarco la giunzione col successivo muro di tamponamento. L’affresco della finestra simmetrica sulla parete opposta, che riproduce quella originale, risulta non contemporaneo all’esecuzione dell’affresco della volta. I restauratori hanno notato essere la superficie dell’intonaco strutturalmente diversa (vedi granulometrie, ecc..), come è diversa la mano dell’artista: queste osservazioni fanno pensare che tale modifica sia stata contestuale all’esecuzione delle trasformazioni. È interessante notare come pure nella Cappella di Sant’Uberto la finestra ovale affrescata sul lato opposto del pregadio presenta la particolarità della presenza di un telaio in legno di un serramento vero, e non dipinto. Dal confronto della
Figura di paggio, affresco emerso a seguito della rimozione della tela di Vittorio Amedeo Cignaroli
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realizzazione nello stato attuale con il disegno della Biblioteca Reale di Torino (già Cartelle Promis) dove viene rappresentato il primo progetto della Palazzina di Caccia, si osserva che nelle due ali aggettanti corrispondenti alle sale laterali scanditi dalle lesene i campi centrali risultano più ampi, e l‘apertura al disopra della finestra centrale risulta costituita da un ovale sfondato entro una cornice rettangolare, più larga di quelle delle campate laterali. Oggi, tutte le aperture sono uguali e rettangolari. Perciò lo stato di fatto rintracciato in questo restauro nella parete frontistante induce a pensare come in una prima fase la costruzione sia stata realizzata in conformità al primo progetto, per essere poi modificata in un intervento successivo. In questa seconda fase il serramento ovale esistente può essere stato spostato sulla parete interna, integrandolo nel nuovo apparato decorativo. Il cantiere con le sue restituzioni grafiche delle scoperte e dei lacerti permette talvolta di rendere possibile conferme e nuovi percorsi di ricerca anche nei confronti di monumenti insigni e profondamente indagati.
Prospetto dopo la rimozione della tela di Vittorio Amedeo Cignaroli, rilievo di Gianfranco Vinardi
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Finito di stampare per i tipi de
L’Artistica Savigliano nel mese di Novembre 2012