COR - The Local Magazine #4 (IT)

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L O C A L

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M A G A Z I N E

SOSTENIBILITÀ

SAPORI

STUPORE

Una vacanza consapevole

I piatti dell’infanzia

L’arte contemporanea della Valle Isarco

I nostri Wo es schmeckt! tesori Ein Heft über den Genuss und die Berge

Montagne, arte e voglia di vivere

B R E S S A N O N E

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C H I U S A

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R I O

P U S T E R I A

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N A Z - S C I A V E S

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L U S O N


Cosa rende così unico l’Alto Adige? Gli incontri possibili solo qui. Come quando l’esperta guida alpina Michaela ha conosciuto Benjamin, un fornaio che prepara ancora oggi il tipico pane di segale croccante dell’Alto Adige. Un connubio di gusto e alta quota. Lasciati ispirare anche tu su suedtirol.info/incontri


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Hanno collaborato a questo numero 1 La nostra redattrice Debora Longariva non resiste alla magia dei lost places, dei luoghi abbandonati. Ecco perché è stata ben felice di esplorare le mura medievali del monastero di Sabiona (p. 70) o di girovagare nell’ex forte militare di Fortezza (p. 66). 2 In questo numero di COR, si sono riuniti due… omonimi: il colosso di bronzo dal nome “COR Circus” dell’artista Peter Senoner sorveglia dall’alto la Valle Isarco e, fino a poco fa, probabilmente non sapeva nulla del nostro magazine, proprio come la nostra redazione non conosceva il nome dell’imponente cyborg. Purtroppo, il colosso non ha voluto rilasciarci un’intervista.

3 Un servizio fotografico sulle piste da sci? “Niente di meglio!” ha risposto il nostro fotografo Michael Pezzei, appassionato sciatore. La bravura sciistica dell’ex campionessa Linda Stricker (p. 56) lo ha lasciato a bocca aperta: ha avuto non poche difficoltà a starle dietro!

Cor. Il cuore. Das Herz. Che batte più forte dove ci si sente al sicuro. A casa, nella propria terra. Una terra che ha mille volti: dai monti alle valli, dai sapori tradizionali ai piaceri raffinati. Perché la nostra terra è quella dove ci sentiamo a nostro agio, circondati da persone bendisposte ad accoglierci. Questo numero del magazine vi porterà a Bressanone, Rio Pusteria, Chiusa, Naz-Sciaves e Luson. Nella terra delle stagioni vissute appieno. Nella terra di chi ama girare il mondo con animo puro e buona coscienza. Con il cuore in mano e la felicità nello zaino. Chi non viaggia per consumare, ma per vivere emozioni ed esperienze, ritorna veramente arricchito. Il denaro, per una volta, lasciamolo agli altri! Cordialmente, la redazione

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Tradizioni dalle radici profonde Quattro scorci di felicità

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Buone nuove Notizie e curiosità dal territorio

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Tre domande a… Magdalena Jöchler, che fa la spola tra metropoli e rifugio alpino

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La terra delle stagioni I quattro volti dell’Alto Adige

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La nostra vacanza green Giorni di pura, consapevole felicità

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Il piatto della mia infanzia I sapori che ci accompagnano da una vita

Colophon EDITORI Bressanone Turismo Soc. Coop. Società cooperativa turistica Rio Pusteria Società cooperativa turistica Chiusa, Barbiano, Velturno e Villandro Società cooperativa turistica Naz-Sciaves Associazione turistica Luson IDM Südtirol – Alto Adige CONTATTI info@cormagazine.com REDAZIONE Exlibris www.exlibris.bz.it PUBLISHING MANAGEMENT Valeria Dejaco, Debora Longariva (Exlibris), Karin Niederfriniger (IDM) CAPOREDATTORE Lenz Koppelstätter

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L’uccisione di Askalon Capolavori in dettaglio

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Una vita a tutta velocità Intervista a Linda Stricker

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Solo il meglio Rassegna di prodotti del territorio

Terra d’arte La scena locale si racconta

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Luoghi spettacolari Il Forte di Fortezza

Ripidi pendii In visita al Kuenhof

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L’Alto Adige per principianti 4a puntata: Piccoli montanari crescono

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Piccolo dizionario sudtirolese Il nostro dialetto, spiegato bene

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Il silenzio che rimane Il monastero di Sabiona

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I nostri luoghi preferiti... per le famiglie

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Cogli l’attimo! La storia dietro l’immagine

Pietre delle meraviglie La grande varietà mineraria della Valle Isarco

ART DIRECTION Philipp Putzer www.farbfabrik.it AUTORI Valeria Dejaco, Stefania Fracassi, Cassandra Han, Marianna Kastlunger, Lenz Koppelstätter, Anna Kornprobst, Teseo La Marca, Debora Longariva, Judith Niederwanger e Alexander Pichler (Roter Rucksack), Silvia Oberrauch, Anna Terleth FOTOGRAFIE Florian Andergassen, Leonhard Angerer, archivio fotografico Ufficio Beni architettonici e artistici, ripartizione Beni culturali, della Provincia di Bolzano, Ass. turistica Gitschberg Jochtal (H. Moling, T. Monsomo, Rotwild, H. Niederkofler), Autogrill Lanz/Matthias Lanz, Bressanone Turismo (A. Filz, G. Hofer, M. Kottersteger), Forte di Fortezza (Fly Südtirol, Günter Richard Wett), Cassandra Han (archivio privato), Fabian Haspinger, HuskySledDog/Greta Bonavoglia, IDM (A. Andreis, M. Ferrigato, A. Filz, A. Moling, H. Niederkofler, H. Wisthaler), Kuenhof/Andreas Tauber, Gasthof Bad Dreikirchen, Miniera di Villandro, Michael Pezzei, Caroline Renzler, Rifugio Bressanone/Magdalena Jöchler, Roter Rucksack, Soc. Coop. Turistica Naz-Sciaves /Andreas Tauber, Soc. Coop. Turistica Chiusa (W. Gafriller, P. Santifaller), Sportservice Stricker /Linda Stricker (archivio privato), TV Lüsen/H. Niederkofler, ullstein bild, Gustav Willeit ILLUSTRAZIONI Sabine Kranz (4, 68), Dialog Brixen (16) TRADUZIONI E REVISIONI Exlibris (Valeria Dejaco, Helene Dorner, Debora Longariva, Milena Macaluso, Charlotte Marston, Silvia Oberrauch, Federica Romanini, The Word Artists) STAMPA Lanarepro, Lana

Con il generoso supporto di:

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Tradizioni dalle radici profonde Cime lontane, giardini incantati, piaceri culinari e contadini in festa: quattro scorci di felicità

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Talmente bello da sembrare finto: nelle giornate limpide, da Terento lo sguardo spazia fino alle imponenti pareti rocciose del Sass de Putia, che svetta a 2.875 metri nel blu intenso del cielo.

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Il Palazzo Vescovile di Bressanone, eretto nel XIII secolo, è stato a lungo la residenza dei principi vescovi. Oggi ospita, tra gli altri, il Museo diocesano con i suoi capolavori di arte sacra medievale e moderna.

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Il Törggelen è nel sangue dei valligiani, che in autunno si danno appuntamento nelle tradizionali osterie contadine. Qui le castagne ormai mature vengono arrostite e servite con vino novello, succo d’uva e prodotti del maso come Schlutzer, speck, insaccati e crauti. Da gustare nelle stube di legno – o, meteo permettendo, all’aria aperta.

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La mucca non è soltanto un animale domestico: è anche il simbolo dell’Alto Adige contadino, emblema di vita e tradizione a contatto con la natura. La transumanza si festeggia adornando riccamente il bestiame, che a fine estate scende fiero dagli alpeggi in quota ai masi a fondovalle.

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BUONE NUOVE Notizie e curiosità dal territorio

Greta Bonavoglia è una musher, ovvero conducente certificata di una muta di cani da slitta, con i quali lavora al Passo delle Erbe.

Il numero di questa edizione EISACKTALER KOST, LA SETTIMANA GASTRONOMICA COMPIE 50 ANNI Si festeggia ogni primavera, a marzo, la manifestazione enogastronomica più antica dell’Alto Adige: quella della Valle Isarco. Per due settimane, quattordici ristoranti da Vipiteno a Barbiano offrono agli ospiti i piatti tipici della vallata, rivisitando in chiave moderna i cibi della tradizione e gli antichi ricettari. Il risultato? Una raffinata e innovativa selezione di piatti primaverili. Naturalmente creati con ingredienti rigorosamente a chilometro zero.

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La donna che sussurra ai cani “NON SI PUÒ QUASI CHIAMARE LAVORO, il mio: è una passione. Ogni giorno è una nuova avventura.” Con il progetto HuskySledDog, Greta Bonavoglia, 39 anni, insieme al suo compagno offre tour in slitte trainate da cani husky al Passo delle Erbe. Le chiediamo se ha un cane preferito. No, anzi: è riuscita a instaurare un rapporto personale con ciascuno dei suoi ventisei husky. “Amiamo gli animali da sempre, ma tutto è iniziato quando un amico ci ha regalato la prima cagnolina. Da lì abbiamo scoperto la nostra passione per le escursioni con le slitte trainate dai cani.” Dopo una breve introduzione, i partecipanti ai tour di HuskySledDog sono in grado di condurre autonomamente la

slitta: “La sintonia con i nostri cani e il contatto con la natura in un paesaggio incantato sono un’esperienza indimenticabile. Vivere queste emozioni con i miei clienti è l’aspetto più bello del mio lavoro”, dice Greta con entusiasmo. E l’estate? Come la passano i cani da slitta? “Trascorriamo i mesi estivi in un’azienda agricola a Rimini. Lì i nostri husky possono riposarsi all’ombra, giocare e ricaricare le batterie. A settembre e ottobre riprendiamo gli allenamenti per prepararli a nuovi emozionanti tour sulla neve.” www.huskysleddog.com


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Tre escursioni da provare ❶ SENTIERO DELLA CREAZIONE Il Sentiero della Creazione sull’Alpe di Rodengo e Luson è un suggestivo itinerario di sei chilometri sullo sfondo di imponenti cime. Lungo il percorso, otto opere d’arte contemporanea illustrano la storia biblica della Creazione. Il sentiero termina alla cappella Pianer Kreuz, dove si trova anche l’ultima stazione, una panchina che rappresenta il settimo giorno, consacrato da Dio al riposo dopo avere completato la sua opera. ❷ CICLABILE BRESSANONE-FUNES Antichi masi, prati verdissimi e un paesaggio alpino mozzafiato: la ciclabile Bressanone-Funes è ideale per chi ama abbinare le proprie pedalate a un’esperienza paesaggistica particolare. Su stradine sterrate e sentieri nel bosco conduce fino a Ranui, ai piedi delle maestose Odle. L’itinerario attraversa località pittoresche e paesaggi di straordinaria bellezza e offre numerosi punti di sosta e ristoro.

Gite sostenibili ②

A piedi o in bicicletta: altre escursioni da scoprire a partire da p. 22

❸ SENTIERO PINO MUGO Il Sentiero Pino Mugo si snoda sul pittoresco altopiano di Villandro in una meravigliosa cornice alpina. L’itinerario circolare conduce attraverso boschi di pino mugo con la vista che a est si apre sulle Dolomiti. Tappe imperdibili dell’escursione sono la malga Marzuner Schupfe e, nei suoi pressi, la distilleria di pino mugo, dove potrete assistere alla produzione di oli essenziali.

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Il bunker dei vini UN PICCOLO VIGNETO DI FAMIGLIA ha dato i suoi frutti: dal 2016 la famiglia Lanz coltiva le vigne adagiate lungo la strada statale della Val Pusteria, facendo nascere il Riesling “Julian”. Vino e botti sono conservati in un ambiente spettacolare, uno storico bunker risalente alla seconda guerra mondiale di proprietà della famiglia. Da maggio a ottobre l’azienda offre visite guidate con degustazione negli antichi sotterranei. Per informazioni e prenotazioni: +39 348 2230125 o info@lanz.store.

G come… gerla

COME VENIVANO TRASPORTATI un tempo i beni da un luogo all’altro? Nelle zone di montagna con la gerla, in tedesco Kraxe: una sorta di cesta o struttura in legno, fissata alla schiena con due cinghie, utilizzata in agricoltura ma anche dai venditori ambulanti, che vi caricavano le loro merci. Con le gerle si trasportava, per esempio, il fieno, oltre ad alimenti e attrezzi. Che ne dite di un’escursione con una gerla all’antica seguita da un picnic nel verde? La baita Rossalm propone Kraxe da picnic per due persone oppure per famiglie, anche in versione vegetariana. Nella Kraxe piena di bontà a chilometro zero troverete una coperta e prelibatezze fatte in casa o di produttori locali, prive di imballaggi di plastica. www.rossalm.com

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Gita architettonica a Barbiano ❶ GASTHOF BAD DREIKIRCHEN “Era di una solitudine adorabile: montagne, boschi, fiori, acqua…”: con queste parole Sigmund Freud descrisse il suo soggiorno nell’idilliaca località di Tre Chiese presso Barbiano. Proprio accanto alle tre chiesette si trova l’antico albergo Gasthof Bad Dreikirchen, che nel 2022 ha ricevuto un riconoscimento speciale nell’ambito del concorso “Albergo storico dell’anno”. L’albergo a conduzione familiare vanta due secoli di storia ed è stato recentemente oggetto di una sensibile e attenta ristrutturazione. I gioielli dell’edificio, nel quale la storia passata si intreccia al presente, sono la biblioteca, la stanza della musica, la sala ristorante e la tradizionale Stube.

Tradizione e modernità, comfort e minimalismo. A Barbiano natura e architettura si intrecciano armoniosamente.

❷ EINÄUGL E ❸ LA CASA SULL’ALBERO ISIDOR “Einäugl” è rinato nel 2021, proprio come una fenice dalle ceneri, nel luogo in cui un edificio andò a fuoco nel 1982, sulle colline sopra Barbiano. La costruzione circolare in legno, armonicamente inserita nel paesaggio, è un luogo senza tempo in cui si fondono natura, architettura e umanità. Gli interni, progettati dall’architetto Theo Gallmetzer in stile essenziale e minimalista, ospitano una dependance della pensione Briol, subito accanto. La casa sull’albero Isidor, sempre attigua alla pensione, è una piccola oasi di tranquillità per coppie e famiglie nel cuore della natura. La costruzione in legno di 50 metri quadrati, immersa tra boschi e prati, offre un ambiente esclusivo e finestre terra cielo con vista che spazia in profondità nel paesaggio delle Dolomiti.

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Tre domande a… Magdalena Jöchler, che ha realizzato il suo grande sogno: in estate abbandona il suo lavoro da giornalista e la grande città per gestire un rifugio sui Monti di Fundres

In inverno vive a Vienna e in estate gestisce il rifugio Bressanone a 2.282 metri di altezza. Com’è nata questa insolita decisione? Scherzando dicevo spesso ai miei amici che prima o poi avrei preso in gestione una baita. La vita e il lavoro nei rifugi mi hanno sempre affascinato. Ultimamente ho capito che è importante realizzare i propri sogni finché si è in tempo, anziché rimandare continuamente. Ecco perché, quando mi è stata offerta la gestione del rifugio Bressanone insieme a Christoph Giacomuzzi e Simon Baumgartner, ho accettato subito, senza esitare. E non mi sono mai pentita. Questa è la mia seconda estate in quota: a inizio giugno saliamo in baita, avanzando nell’ultima neve, e prepariamo il rifugio per gli ospiti; a ottobre chiudiamo tutto e ritorniamo a valle, alle nostre occupazioni “normali”.

Magdalena Jöchler fa la spola tra la frenesia cittadina e l’idillio montano.

Lassù vivete in tre, isolati e in spazi ristretti. Dopo un po’ non c’è il rischio di non sopportarsi più? Certo che c’è, e molto concreto. Devo essere sincera. Dopo quattro mesi senza privacy e con lunghi turni di lavoro capita di avere i nervi a fior di pelle. Il primo anno, poi, c’erano da chiarire questioni di fondo: che tipo di rifugio volevamo essere? Con quale proposta gastronomica? Come organizzare il lavoro? Ma è proprio discutendo intensamente che si impara a conoscersi meglio. A volte ci siamo dati sui nervi, certo, ma ne siamo usciti sani e salvi! Anzi, siamo cresciuti come team e ormai ci completiamo a vicenda. Quali piatti del vostro menu dobbiamo assolutamente provare? Sembrerà una scelta banale ma vi consiglio i canederli con l’insalata di cavolo cappuccio. Anche i nostri “Plentenen”, i canederli di grano saraceno, sono imbattibili. Lo ha confermato anche Martha, la gestrice alla quale siamo subentrati, durante una degustazione. E il suo è un giudizio che conta: i suoi “Plentenen” erano apprezzati addirittura dallo chef stellato altoatesino Herbert Hintner!

L’escursione consigliata Malga Fane – lago Selvaggio – rifugio Bressanone Dal parcheggio a Valles, la malga Fane – un piccolo villaggio alpestre – si raggiunge a piedi in pochi minuti. Da qui, seguite il sentiero n. 17 attraverso la gola Valler Schramme. Diramandosi a sinistra, il sentiero n. 18 porta alla malga Labeseben, da dove uno stretto sentiero raggiunge il cristallino lago Selvaggio a 2.532 m s.l.m. Dal lago, attraverso il giogo Rauhtal (2.800 m) e il sentiero 17B si scende al rifugio Bressanone.

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La terra delle stagioni Ho dovuto lasciare l’Alto Adige per capire ciò che mi lega di più alla mia terra: l’alternarsi delle stagioni

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i mancava qualcosa ma non sapevo esattamente cosa. Avvertivo netta la sensazione di mancanza. Ma di cosa? All’inizio no, non mi mancava nulla. Del resto, che cosa può mancare a un ragazzo che si lascia alle spalle l’idillio alpino da cartolina, un mondo che per quanto paradisiaco a quell’età viene percepito come opprimente, per trasferirsi in una grande città, sporca e rumorosa? Che in questa grande città del Nord, per quanto fosse vivace e affascinante, in inverno il sole non facesse quasi mai capolino… beh, ci stava. All’inizio. Del resto, si sa che da giovani si vive di notte e si dorme di giorno. A che serve il sole? Ma poi, più passavano gli anni e più questa mancanza si faceva sentire. E a un certo punto mi sono reso conto che nel lungo inverno di questa metropoli non si faceva altro che aspettare con trepidazione uno sprazzo d’estate, giorno dopo giorno, ora dopo ora. Poi, nel bel mezzo dell’estate, che arrivava sempre troppo tardi e finiva sempre troppo presto, già si iniziava a paventare l’arrivo del prossimo inverno, lungo e buio, che giungeva sempre troppo velocemente. Un inverno con la neve, ma senza montagne. E senza sole. La neve, senza montagne e senza sole? Una follia!

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Ben presto ho realizzato che a rendere la mia terra, l’Alto Adige, così attraente ai miei occhi è proprio il succedersi delle stagioni. A marzo, per esempio, quando sulla Plose si scia ancora, nella vallata, a Bressanone, spuntano già i primi boccioli e ai tavolini dei bar ci si gode il sole (ah, il sole!) sorseggiando i primi aperitivi all’aria aperta della stagione. In autunno, quando nelle osterie contadine della Valle Isarco è tempo di Törggelen, tutt’intorno le chiome degli alberi passano dal verde alle tonalità più intense di giallo e di rosso. Alla fine dell’inverno si pregusta la primavera, alla fine della primavera l’estate, e poi ancora l’autunno, l’inverno, e così via. Ogni stagione sfoggia il suo fascino particolare, di cui va orgogliosa. La vita e il lavoro nei campi seguono i cicli della natura, che si susseguono ininterrottamente. Le stagioni, assaporate fino in fondo, ci rendono felici. Nella vita, del resto, è spesso così: le cose che non sono sempre disponibili, che dobbiamo attendere, sono anche le più interessanti e quelle che apprezziamo maggiormente. La gioia speciale che solo le stagioni sanno regalare ci coglie in tanti piccoli momenti, mentre facciamo sport, a tavola o immersi nella natura. Quando l’inverno sembra ancora prevalere sulla primavera, ma dal bianco manto che avvolge il monte Gitschberg spuntano i primi bucaneve che annunciano il risveglio della natura. Come in un acquarello. O quando, durante un’escursione sull’Alpe di Luson in una calda giornata d’estate, si avverte a un tratto la prima brezza autunnale. E poi ancora a ottobre inoltrato, quando le caldarroste cuociono in forno e all’improvviso cadono i primi fiocchi di neve. I bambini, con i nasini schiacciati contro la finestra, sognano il primo pupazzo di neve, la mattina dopo con il cielo terso e un sole splendente. E poi l’ultima giornata sugli sci, a primavera iniziata: la neve dopo le dieci è bagnata e appiccicosa, è vero, ma non ci fai caso e ti godi l’ultima discesa e l’ultimo calice di spumante in baita, mentre con la mente corri già alla prima gita estiva ai Laghi Gelati, al primo impavido tuffo in quei gelidi laghetti alpini. Alcuni anni fa ho abbandonato la metropoli buia e rumorosa. E ho fatto ritorno alle mie montagne. Vi rimarrò per sempre? Chissà. Se sarà così, se sceglierò di non andarmene più, sarà per quei quattro elementi che mi danno gioia: la primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno.

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La nostra vacanza green T e s t o

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Una vacanza all’insegna della sostenibilità, senza rinunciare a nulla: utopia o realtà? Abbiamo chiesto a una giovane coppia di provare un soggiorno green, diverso dal solito. Il risultato? Giornate di pura felicità!

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A sinistra: la guida alpina Raimund Gietl conduce i visitatori all’antico “granaio” dell’Alto Adige.

E “Dove se non qui si può respirare la vita in tutta la sua pienezza?”

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Sotto: l’albergatore Elmar Braun dimostra che non c’è contraddizione tra gusto e sostenibilità ai massimi livelli.

se ci fossimo sbagliati? Chissà quando ha iniziato a insinuarsi questo dubbio... magari a cena, gustando una vellutata di peperoni al latte di cocco e un risotto di grano saraceno con i finferli freschi, o magari facendo due passi sul sentiero che dal pergolato ricoperto di viti porta all’infinity pool con vista sulle Dolomiti. O ancora degustando un calice di Kerner immersi in una vasca tinozza a botte riscaldata, perfetta per rilassarsi e guardare il cielo stellato nelle notti di tarda estate… Niente di tutto ciò, in effetti, sa di privazione. E pensare che, scegliendo di trascorrere una vacanza sostenibile, ci eravamo rassegnati all’idea di dovere rinunciare a qualcosa. Volevamo partire con la coscienza pulita per l’Alto Adige, alla volta di Bressanone, di Chiusa e dei paesini che si affacciano sulla Valle Isarco, e con la coscienza pulita volevamo tornare a casa. E abbiamo sempre creduto che la coscienza pulita dovesse per forza andare a braccetto con la privazione. Da sempre, non solo da quando abbiamo deciso di bandire dalla nostra vita i macchinoni fuoristrada e gli spostamenti in aereo. Ero convinto di averlo imparato già da bambino, quando mia madre per colazione comprava i fiocchi d’avena biologici, mentre io avrei preferito i cereali al cioccolato grondanti di zucchero. La lezione era chiara: biologico vuol dire pagare di più, per una coscienza più pulita e uno stile di vita più sano, non per più gusto. Ma è davvero così? Non necessariamente. Elmar Braun, per esempio, la pensa diversamente. L’albergatore, e padre, quarantenne gestisce l’agriturismo biologico certificato “Pennhof ” a Barbiano, sull’assolato versante occidentale della Valle Isarco, dove abbiamo deciso di trascorrere qualche giorno di vacanza. Braun ha lavorato per molti anni come chef vegano in Portogallo, Tailandia e Olanda, prima di fare ritorno in Alto Adige: “È il posto più bello del mondo: le montagne, i laghi, i vigneti, il buon cibo… dove, se non qui, si può respirare la vita in tutta la sua pienezza?”. Quando Elmar aveva dieci anni, i genitori decisero di trasformare il maso di famiglia in un’azienda agricola biologica, ponendo le basi per la successiva apertura dell’agriturismo. Decisivo è stato per Braun anche il soggiorno, durante una vacanza, in un hotel

biologico: “Mi sono detto: è proprio quello che vorrei fare io, è l’idea che vorrei portare in Alto Adige”. Oggi Braun gestisce l’agriturismo, mentre i genitori e il fratello continuano a occuparsi dell’azienda agricola annessa. Proprio qui abbiamo osservato le mucche leccare affettuosamente i loro vitellini, una scena a cui si può assistere solo in un allevamento di vacche nutrici. Abbiamo dato da mangiare del pane ai maiali e alle capre del mini zoo e ci siamo divertiti a guardare un vero e proprio stuolo di galline da uova biologiche che razzolavano all’aperto. Ci si sente subito a proprio agio in una struttura così, capace di unire il servizio di un hotel di alto livello, tra menu di gala e sauna alpina, all’atmosfera rilassata di un agriturismo. Braun, il giramondo che ancora oggi si ritira due volte all’anno nella sua piccola proprietà in Colombia, non aspira solo a essere un albergatore di successo, la sua vera missione è dimostrare che non c’è alcuna contraddizione tra gusto ai massimi livelli e sostenibilità, che è possibile godersi appieno le vacanze senza lasciare una pesante impronta ecologica. Qual è il segreto? La risposta ci attende tra il cinguettio degli uccelli e il gorgogliare di un ruscello in lontananza. Qui, ai piedi dell’arco alpino centrale, ci inoltriamo con Raimund Gietl, guida escursionistica in pensione, lungo


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un sentiero che, tra prati e boschi di abeti, conduce a una casetta di legno. La piccola costruzione dall’inconfondibile patina alpina, conferita dalle intemperie degli ultimi cinquecento anni, ci accoglie al suo interno con un operoso rumore di ingranaggi. Qui, ancora oggi i visitatori possono ammirare l’efficienza di una tecnologia che da secoli sfrutta la sola spinta dell’acqua per macinare i cereali ottenendo una fine farina. Un mulino ad acqua non ha bisogno né di motori né di elettricità e funziona senza l’ausilio della forza muscolare. La pesante macina di pietra produce il prezioso alimento con la sua rotazione. Osservo la nostra guida e mi accorgo che non siamo gli unici a provare stupore. Mentre spiega il funzionamento del mulino, Gietl non nasconde la sua ammirazione per questa tecnologia un tempo così essenziale per l’umanità. Ancora oggi, l’albero motore converte l’energia cinetica dell’acqua in energia meccanica tramite l’incastro di una ruota dentata e di una cosiddetta lanterna, mentre i cereali continuano a scivolare dalle tramogge alle macine sottostanti. Pochi e semplici gesti permettono infine di regolare la consistenza, a grana spessa o fine, della farina. Nei dintorni di Terento la concentrazione di ❶ mulini è particolarmente alta. “Questa zona un tempo era considerata il granaio dell’Alto Adige”, ci spiega Gietl. Quando, a partire dagli anni cinquanta, il raccolto dei piccoli appezzamenti dell’altopiano

non riuscì più a tenere il passo con l’importazione di cereali dall’estero, la maggior parte degli agricoltori preferì passare alla produzione casearia. I campi di grano vennero allora lentamente soppiantati da pascoli per l’allevamento di vacche da latte. Negli ultimi anni alcuni giovani agricoltori hanno scelto di seguire le orme dei loro antenati reintroducendo nella vallata la coltivazione di cereali, questa volta biologici. Ne è valsa la pena: oggi si è instaurata un’economia circolare a livello locale che comprende la coltivazione e macinazione dei cereali e la produzione di pane. E il pane a chilometro zero non solo ❶ abbatte le emissioni, ma è anche gustosissimo, come constatiamo all’agriturismo Tötscherhof di Terento, in cui ci siamo recati terminata la visita agli antichi mulini. Qui, una piccola costru→

Negli ultimi anni i giovani agricoltori hanno scelto di seguire le tracce dei loro antenati reintroducendo la coltivazione dei cereali, questa volta biologici.

I mulini di Terento Affascinante viaggio nel tempo alla scoperta di antiche tradizioni e imponenti ruote ad acqua, ma anche meta di una piacevole escursione, il percorso didattico Sentiero dei Mulini parte dal centro del paese di Terento e si snoda attraverso prati e boschi di abeti costeggiando le “piramidi di terra” dal fascino quasi surreale. Dopo 45 minuti si raggiunge il primo mulino. Nei mesi estivi, ogni lunedì uno dei mulini è in funzione e può essere visitato. È possibile richiedere una guida escursionistica del posto contattando l’Associazione turistica di Terento. www.gitschberg-jochtal.com

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zione antistante all’edificio principale ospita un antico forno nel quale ancora oggi si prepara il pane a lievitazione naturale della tradizione contadina. Iniziando a infornare all’alba, la famiglia produce fino a cinquecento pagnotte al giorno. Un tempo il pane era riservato al consumo domestico, come ci racconta l’agricoltore Georg Feichter. Del resto, fin quasi ai nostri giorni, le famiglie contadine erano particolarmente numerose. Feichter stesso è cresciuto con sette fratelli e sorelle e ricorda bene con quale appetito da bambini divorassero il fragrante pane con speck e formaggio. Come dare loro torto? Il pane appena sfornato del Tötscherhof è semplicemente delizioso! Oggi, gli alimenti prodotti secondo le ricette e le tecniche di lavorazione tradizionali non sono reperibili soltanto nelle botteghe contadine. Passeggiando tra le torri e le caratteristiche case del centro storico di Bressanone, notiamo che sono molti i negozi a puntare su prodotti sostenibili e di provenienza locale. Al Mercato dei sapori ❷ Pur Südtirol, per esempio, scopriamo le uova biologiche del nostro ospite Elmar Braun e diverse farine biologiche ricavate da cereali coltivati in zona. A sorprenderci è la capacità di Bressanone, la città più antica dell’Alto Adige, di preservare la sua identità. Nel vivace centro cittadino, al posto delle vie dello shopping e delle filiali delle catene internazionali che hanno ormai invaso molte città europee, ci sono botteghe e piccoli esercizi commerciali come ❸ “Kauri Store”, che offre moda sostenibile, o ❹ “WiaNui”, specializzato in articoli di riciclo creativo.

In fatto di equipaggiamenti sportivi, la parola d’ordine per chi ha a cuore la sostenibilità è noleggiare anziché acquistare. Tra i trend del momento ci sono le e-bike, ideali per esplorare in modo comodo e rispettoso dell’ambiente i dintorni della città. Come la Val di Luson, che negli ultimi anni è assurta a meta particolarmente amata dagli e-mountain biker. La vallata a nord di Bressanone, dalla caratteristica forma di mezza luna, si estende in direzione sud-est, racchiudendo la Plose e salendo dall’Alpe di Luson fino al Passo delle Erbe, la porta del “regno delle Dolomiti”. La vallata, che non dispone di impianti di risalita, era rimasta tagliata fuori dal turismo invernale convenzionale, una circostanza che inizialmente aveva destato preoccupazione nella popolazione locale, come ci racconta l’albergatore Franz Hinte→

Shopping sostenibile a Bressanone ② Pur Südtirol Dal vino allo speck, negli scaffali del Mercato dei sapori troverete il meglio delle specialità e dei prodotti biologici dell’Alto Adige, ma anche articoli di artigianato locale e cosmetici. www.pursuedtirol.com

④ WiaNui

Abbigliamento alla moda, ma anche equosolidale e sostenibile. Sono questi i valori guida dei brand che Kauri Store seleziona per la sua clientela.

“Wia nui”, che in dialetto sudtirolese significa “come nuovo”, è il motto di un’iniziativa di upcycling all’insegna della bellezza e della sostenibilità. I raffinati articoli di riciclo creativo sono disponibili nello shop di via Fienili a Bressanone.

www.kauristore.com

www.wianui.eu

③ Kauri Store

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Luson in e-MTB Oltre ai ben forniti noleggi di biciclette della zona, anche alcuni hotel dispongono di e-bike ed e-MTB riservate ai loro ospiti. Un suggestivo itinerario attraversa l’Alpe di Luson che, insieme all’Alpe di Rodengo, forma un vasto altopiano: 20 chilometri quadrati di prati verdissimi e con uno straordinario panorama a 360 gradi sulle cime circostanti. www.luesen.com

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regger durante un’escursione in e-bike ❺ sull’Alpe di Luson. Da quassù la vista spazia fino all’imponente Sass de Putia, alle Odle e, subito dietro, alle cime dolomitiche. A sud si gode il panorama della Valle Isarco, a nord quello dell’arco alpino centrale. Vasti alpeggi si aprono tra i profumati boschi di pino cembro, mentre sullo sfondo si stagliano le vacche al pascolo. Immersi in questo paesaggio, intuiamo subito cosa intende Hinteregger quando parla del potenziale racchiuso in un apparente svantaggio. Un potenziale che i valligiani hanno saputo riconoscere, creando una fitta rete di percorsi escursionistici e di sentieri forestali, ideali per passeggiate invernali, tour con le ciaspole o per praticare lo slittino. Oggi la Valle di Luson è sinonimo del turismo slow, a contatto con la natura. Anche Hinteregger ha scoperto il fascino delle due ruote: almeno una volta alla settimana, accompagna i suoi ospiti lungo un itinerario in e-bike sulle cime circostanti, per poi rientrare, stanco ma appagato, nel suo albergo. Tornando al Pennhof, dopo una giornata ricca di esperienze e incontri, anche noi ci sentiamo affaticati ma tutt’altro che esausti, profondamente rilassati e al tempo stesso carichi di slancio ed energia. E il menu serale, vario e genuino, compensa comunque ogni fatica. Dalla finestra panoramica della sala, la vista si apre sulle Dolomiti che risplendono nella luce del tramonto. Scorgiamo Elmar Braun che, insieme a un collaboratore, trascina all’esterno delle vecchie cassette di legno con cui accenderà un falò. Una scelta non casuale: l’utilizzo dei rifiuti combustibili al posto della legna da ardere permette di “chiudere il cerchio” della gestione sostenibile delle risorse. Intanto il fuoco crepita e divampa vivace e a poco a poco le fiamme sostituiscono il rosso bagliore delle montagne nell’ultima luce della sera. Dopo una vacanza così, per noi tra gusto, benessere e sostenibilità non c’è più alcuna contraddizione.

Vasti alpeggi si estendono tra i boschi di pino cembro. Sullo sfondo pascolano le mucche.

Botteghe contadine a Chiusa e dintorni Tschotthof

Radoar

Obergostnerhof

Il maso di Villandro offre confetture e sciroppi di ciliegie, albicocche, mele e piccoli frutti di coltivazione propria, ma anche sale aromatizzato alle erbe e fiori, speck e frutta essiccata.

Bisogna suonare energicamente la campanella all’ingresso! Ecco come si accede alla bottega del maso Radoarhof di Velturno dove potrete acquistare vino e grappa, succo di mele, aceto e frutta secca, in autunno anche castagne e noci biologiche.

Nella bottega della famiglia Gasser di Pardell, frazione di Chiusa, troverete specialità di produzione propria come miele, aceto di mele e le tipiche “Kloazn” (pere essiccate).

www.tschott.com

www.radoar.com

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www.gasser.bz.it


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La sostenibilità per i piccoli Bühlerhof Dal latte al burro, dai cereali al pane: il maso Bühlerhof di Rasa, frazione di Naz-Sciaves, organizza laboratori per avvicinare i bambini ai cicli produttivi locali, con assaggi del cibo preparato insieme. Mini zoo, olimpiadi del maso e visite guidate introducono i piccoli al mondo dell’agricoltura sostenibile. www.buehlerhof.it

Al Tötscherhof si prepara il pane a lievitazione naturale della tradizione contadina.

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Il piatto della mia infanzia Il sapore del nostro piatto preferito da bambini ha il potere di richiamare alla mente immagini e profumi dell’infanzia. Due ristoratrici e uno chef ci raccontano i ricordi culinari che li accompagnano da tutta la vita

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Turmwirt, AO e Ahner Berghof: tre locali in cui la tradizione vive fondendosi con la modernità.

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MARIA GASSER (39 anni), ristorante Turmwirt di Gudon “Il Turmwirt è la casa in cui sono cresciuta: la mia famiglia vive qui da cinque generazioni e io fin da ragazzina ho sempre dato una mano nel ristorante. Adoravo andare a mangiare da nonna Rosa a Ponte Gardena, insieme a mia sorella e alle mie cugine. In tavola c’era spesso il nostro piatto preferito: le Kartoffelblattln, le frittelle di patate con i crauti. Le frittelle erano sofficissime, perfette per avvolgervi i crauti, proprio come piacevano a noi. Una tirava l’altra, arrivavamo a mangiarne anche undici a testa! Pur avendo scelto in origine un altro percorso scolastico, alla fine ho deciso di frequentare la Scuola professionale provinciale alberghiera ed alimentare Emma Hellenstainer di Bressanone. Ricordo che durante la giornata delle porte aperte c’erano dei deliziosi croissant e dolcetti di ogni tipo. Pensai: se qui le pause sono tutte così, è la scuola che fa per me! E poi, rispetto ad altri istituti, si faceva meno matematica e non c’era il latino, ma in compenso si imparavano più lingue straniere. Ho frequentato il biennio a Bressanone e il triennio di specializzazione alla Scuola alberghiera provinciale Kaiserhof di Merano. Dopo la maturità, per perfezionare l’inglese sono andata in Florida con un’amica, a lavorare in un golf club. Un mondo del tutto nuovo per me, che mi ha permesso di fare molte esperienze. In seguito mi sono trasferita in Austria e quindi in Toscana: anni belli e spensierati, nonostante i lunghi turni di lavoro. Alla fine sono tornata a Gudon per aiutare i miei genitori a gestire il ristorante. Ma non si può certo dire che fossi diventata ‘sedentaria’. Approfittavo infatti della chiusura invernale del ristorante per continuare a fare esperienze all’estero. Un paio di anni fa ho fatto un lungo viaggio, da sola. Mi sono presa del tempo per riflettere. Ho capito così che girovagare per il mondo è bellissimo, ma che ho anche bisogno di un punto di riferimento, un posto che mi fa sentire a casa. Questo posto, per me, è proprio il Turmwirt: il mio punto di partenza, così, alla fine è diventato la mia meta. E le frittelle di patate con i crauti? Naturalmente le ho inserite nel nostro menu, preparate secondo la ricetta del nostro chef Daniel Trenkwalder.” www.turmwirt-gufidaun.com

Frittelle di patate con i crauti Ricetta per quattro persone

per le frittelle 250 g di patate farinose 2 tuorli sale q.b. circa 125 g di farina 2 cucchiai di burro fuso

per i crauti 500 g di crauti 1 cipolla media 1 spicchio d’aglio 50 ml di vino bianco 200 ml di brodo di carne o vegetale cumino, alloro o bacche di ginepro a piacere

Per le frittelle: fate lessare le patate in abbondante acqua salata e passatele ancora tiepide nello schiacciapatate. Aggiungete gli altri ingredienti per le frittelle, mescolate e impastate fino a ottenere un composto liscio e omogeneo. Se necessario aggiungete un po’ di farina. Stendete l’impasto e tagliatelo a quadrati che disporrete quindi su una teglia infarinata. Riponete in frigo. Per i crauti: soffriggete in padella la cipolla e l’aglio tritati. Unite i crauti, sfumate con il vino bianco e fate restringere il liquido. Versate quindi il brodo, insaporito a piacere con un po’ di cumino, alloro o bacche di ginepro. Friggete le frittelle in olio bollente e servitele subito con i crauti caldi.

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LEVIN GRÜTEN (27 anni), ristorante AO di Bressanone “Sono cresciuto in Belgio, vicino a una cittadina grande come Bressanone. Mio padre, medico d’urgenza, aveva turni di servizio di 24 ore seguiti da due giorni liberi. Due giorni liberi significavano per lui due giorni passati ai fornelli. Io guardavo e imparavo. È nato così il mio amore per la cucina. Vivevamo in una vecchia casa colonica che i miei genitori avevano restaurato. C’erano galline, pecore, meli, ciliegi, piante di piccoli frutti e ortaggi. Amavamo abbinare la nostra carne e i frutti del nostro giardino alle più svariate spezie provenienti dal mondo arabo e dal Congo, che in Belgio si trovano ovunque. Quando c’era un’occasione da festeggiare, però, andavamo al ristorante. E ordinavamo sempre il filet americain: una specialità belga molto raffinata, una sorta di battuta, o tartare, ma tagliata ancora più finemente, quasi spalmabile. È il piatto per eccellenza della mia infanzia. Dopo la maturità ho deciso di lavorare nella ristorazione. Ho svolto il tirocinio in un classico ristorante francese e poi mi sono trasferito a Melbourne, trovando lavoro in una pasticceria industriale che produceva donut, muffin e croissant per le filiali australiane e neozelandesi di McDonald’s. Una follia! Non lo rifarei mai… eppure è stata un’esperienza molto istruttiva. In fondo, la pasticceria è parte integrante della cucina. Non volevo ritornare in Belgio, troppo grigio, troppo piovoso. Mi sono trasferito così a Saint-Moritz. Lì ho conosciuto Teresa e insieme a lei sono venuto in Alto Adige. Avevo già iniziato ad appassionarmi alle montagne e ben presto mi sono innamorato anche di questo territorio. Dove cresce il vino, mi sono detto, il cibo è sempre ottimo. E poi qui ci sono tanti giovani come me e Teresa, che viaggiano, conoscono il mondo e ritornano nella loro terra portando nuove idee. Io stesso ho completato recentemente uno stage di alcuni mesi al Noma di Copenaghen, uno dei migliori ristoranti al mondo. Essere selezionati da un locale che riceve circa duecento candidature al giorno è una bella soddisfazione! Volevo imparare il più possibile per realizzare al meglio il nostro progetto qui a Bressanone, nell’albergo della famiglia di Teresa: una cucina moderna ma che non rinneghi la tradizione e scelga prodotti genuini e sostenibili di provenienza locale. Non serviamo ostriche, né aragoste ma carne e ortaggi forniti da piccole aziende agricole della zona. E chi ha assaggiato la carne degli animali che trascorrono l’estate sugli alpeggi lo sa bene: semplicemente, è più buona. Ogni tanto vengono a trovarmi i miei genitori dal Belgio. Mio padre adora lo speck e il vino della Valle Isarco. A volte prepariamo insieme il piatto preferito della mia infanzia, con ingredienti altoatesini e rivisitando un po’ la ricetta in chiave gourmet: sottile paglia di patate, un tuorlo... È un piatto sostanzioso e saporito, perfetto con un calice di Gewürztraminer locale.” www.byhaller.com

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Filet americain Ricetta per quattro persone

per la maionese 3 tuorli 1 cucchiaio di senape 50 ml di aceto di vino bianco sale q.b. 300 ml di olio di semi

per il filetto 600 g di tartare di filetto di bovino locale 2 cucchiai di maionese fatta in casa 1 cucchiaio di senape media 2 cucchiaini di salsa Worcester 2 cucchiaini di paprica 2 cucchiai di salsa chili pepe e sale in fiocchi

per la paglia di patate 3 grandi patate a pasta dura sale

per servire erba cipollina tritata

Per la maionese: amalgamate in una ciotola i tuorli con la senape, l’aceto e il sale. Versate quindi l’olio a filo continuando a mescolare. Per il filetto: versate tutti gli ingredienti in un frullatore o un robot da cucina e sminuzzateli finemente. Per la paglia di patate: tagliate le patate a julienne e lasciatele riposare in acqua fredda per 10 minuti. Asciugate quindi con cura le striscioline di patate e friggetele per circa 6-7 minuti in abbondante olio bollente a 150 °C. Trasferitele sulla carta da cucina per far assorbire l’olio in eccesso e salatele. Per servire: disponete la carne in uno stampo ad anello, livellate la superficie e spargetevi sopra un po’ di erba cipollina tritata, della paglia di patate e alcune gocce di maionese. Al ristorante vi aggiungiamo anche del tuorlo marinato. Come da tradizione noi serviamo il filet americain con una baguette a lievitazione naturale fatta in casa. In alternativa, il vostro panificio di fiducia saprà consigliarvi un pane bianco croccante adatto a questa ricetta.

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Canederli di grano saraceno con formaggio grigio e insalata di cavolo cappuccio Ricetta per tre persone

3 rosette o fette di pane di segale rafferme 50 g di porro ½ cipolla 1 spicchio d’aglio 20 g di burro 2 uova 100 ml di latte 50 g di farina di grano saraceno 20 g di farina di frumento sale e pepe q.b. 100 g di formaggio grigio parmigiano e burro fuso insalata di cavolo cappuccio e striscioline di speck

Tagliate il pane a dadini e versatelo in una ciotola. Tritate il porro, la cipolla e l’aglio, fateli rosolare nel burro e uniteli al pane. Sbattete le uova insieme al latte e versatele sul pane. Unite ora la farina di grano saraceno e la farina di frumento, aggiustate di sale e pepe e amalgamate il tutto. Coprite con un canovaccio e lasciate riposare il composto così ottenuto per circa mezz’ora. Formate quindi dei piccoli canederli e inserite in ciascuno di essi un pezzo di formaggio grigio. Portate a ebollizione una pentola d’acqua salata e cuocetevi i canederli per 20 minuti.

SIMONE KLAMMER (35 anni), trattoria Ahner Berghof di Rodengo “Sono cresciuta a Rodengo, giù in paese. Ora abito quassù in montagna: un sogno! Il maso apparteneva ai nonni di mio marito Armin, che ne ha assunto la gestione quando aveva solo 18 anni. Ci siamo conosciuti da giovanissimi e già allora sapevamo che vivere qui era esattamente quello che volevamo. Armin ama occuparsi degli animali, io ho iniziato prestissimo a lavorare nell’albergo dei miei genitori e ho imparato ad amare questo mestiere. L’Ahner Berghof è la simbiosi perfetta tra le nostre due passioni, l’agricoltura e l’ospitalità. Mia madre Maria, che oggi ha 71 anni, lavora ancora nella ristorazione. Quando vado a trovarla sa già cosa prepararmi: gli Schwarzplentene Knödel, i canederli di grano saraceno ripieni di formaggio grigio, il mio piatto preferito da bambina. Mi piace gustarli con un’insalata di cavolo cappuccio e un bicchiere di latte appena munto. Il retrogusto amarognolo del grano saraceno e l’aroma intenso del formaggio ne fanno un piatto un po’ particolare. È un piatto da veri tirolesi, che può non piacere a tutti. A me è sempre piaciuto tantissimo. Per questo ho voluto inserire i canederli di grano saraceno al formaggio grigio nel nostro menu. Io ci aggiungo delle fettine di speck abbrustolito, penso che ci stiano bene, anche perché uso l’ottimo speck che produciamo qui al maso. Abbiamo trentacinque mucche e dieci maiali. E poi produciamo salami e Kaminwurzen, i tipici salamini affumicati. Anche gli altri piatti sono fatti in casa: gli Schlutzkrapfen, i ravioli ripieni di spinaci, ma anche la pasta fresca e, appunto, i canederli. Per fortuna anche i miei due figli più grandi, Mara e Jonas, hanno ereditato la mia passione per i canederli di grano saraceno. Amano gustarli qui a casa, ma naturalmente i migliori sono quelli della nonna...” www.ahner-berghof.com

Disponete i canederli sull’insalata di cavolo cappuccio, grattugiatevi sopra un po’ di parmigiano, versate del burro fuso e accompagnate con alcune striscioline di speck abbrustolito.

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In anni recenti alcune gallerie della miniera di Villandro sono state restaurate e rese accessibili al pubblico.

PIETRE DELLE MERAVIGLIE L’Isarco ha scavato nel corso dei millenni una profonda gola nella roccia, rivelando una stupefacente varietà mineraria. Una breve panoramica

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❶ Il granito di Bressanone Il granito di Bressanone è la roccia più tipica della vallata, diffusa nelle zone di Bressanone, Fortezza, Rio di Pusteria e Scaleres. Il termine “granito” deriva dal latino “granum”, con chiaro riferimento alla struttura cristallina granulare del materiale. La prima estrazione su larga scala avvenne nei pressi di Fortezza durante la costruzione della ferrovia del Brennero. Questa roccia particolarmente resistente si presta agli utilizzi più vari, come la realizzazione di davanzali, fontane, scale, mattoni e pietre tombali, un impiego quest’ultimo che in Alto Adige ha una grande rilevanza storico-culturale. Un esempio di costruzione in granito di Bressanone è il campanile della chiesa di San Sebastiano a Sarnes. ❷ Le geodi di Tiso Piccole rocce sferiche dall’aspetto esteriore poco appariscente, le geodi di Tiso custodiscono al loro interno dei cristalli rilucenti come fuochi d’artificio. Le variopinte formazioni, considerate veri e propri tesori dell’Alto Adige, possono contenere fino a sette minerali diversi. Le geodi devono il loro nome al luogo del primo ritrovamento, il paesino di Tiso in Val di Funes. Qui si trova anche il Museo mineralogico, dove potrete ammirare alcuni esemplari particolarmente preziosi delle splendide rocce. www.mineralienmuseum-teis.it

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❸ Il serpentino di Fundres Il serpentino della Val di Fundres (in dialetto locale “Pfundra Stoan”) si estrae nella zona del Gaiskofel. È una roccia metamorfica, ovvero si trasforma se sottoposta a forte pressione o a temperature elevate. Denominato anche “marmo verde” per via della sua colorazione, il serpentino di Fundres è un materiale molto duro e resistente all’acido.

❹ La diorite di Chiusa (“Klausenit”) La diorite di Chiusa è una pietra a grana fine di tipo intrusivo, che si forma all’interno della fillade di quarzo di Bressanone. La roccia ha preso il nome dall’area di estrazione principale intorno alla città di Chiusa, soprattutto nel monte Sabiona. Giacimenti sono stati rinvenuti anche nell’area della miniera di Villandro. La diorite di Chiusa contiene soprattutto galena e blenda di zinco. ❺ La pietra delle streghe Una danza con il diavolo o piuttosto un rito per propiziare la fertilità? La pietra delle streghe di Terento, che giace non lontana dal centro del paese, è da sempre avvolta nella leggenda. Alcuni sostengono che la pietra, insieme a una fonte nelle immediate vicinanze, testimoni un antico culto della fertilità. I malgari più anziani affermano invece che le streghe si ritrovavano qui per feste e baccanali sfrenati, e sembra che nella notte del solstizio d’estate anche il diavolo si unisse alle loro danze. I fori visibili sul sasso sarebbero le impronte lasciate dai loro piedi.

La miniera di Villandro La zona mineraria di Villandro, un tempo la più importante del Tirolo, è attraversata da una rete di percorsi lunga circa 20 chilometri. Le gallerie, che presentano un dislivello di circa 750 metri, furono scavate perlopiù a mano: appena un terzo di esse fu infatti ricavato con l’utilizzo di esplosivo. La miniera subì un lento declino, per essere infine dismessa e dimenticata dai più nel corso del XX secolo. In anni recenti alcune gallerie sono state ristrutturate e rese accessibili al pubblico. Da aprile a novembre la miniera offre interessanti visite guidate interattive nelle antiche cave. www.bergwerk.it

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Peter Senoner Terra d’arte

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Ritratti

A volte impegnata, a volte monumentale, a volte delicata: la scena artistica della Valle Isarco è più vivace che mai. Varia e sorprendente, guarda da tempo ben oltre i confini dell’Alto Adige. Siamo andati a trovare tre artisti nei loro atelier


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AliPaloma

Astrid Gamper T H E L O C A L M AG A Z I N E

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Una catena di ancoraggio creata in cristallo: attenzione, fragile!


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Orafi, fabbri e vetrai: AliPaloma realizza le sue opere in collaborazione con artigiane e artigiani di fiducia. Sotto a destra: ecco come nascono le montagne di cera in miniatura.

L’impegnata AliPaloma Stufles, il rione più antico di Bressanone, emana un’atmosfera particolare, fatta di viuzze acciottolate, pittoreschi edifici storici e spazi dedicati all’arte. In uno dei numerosi atelier della zona incontriamo l’artista concettuale AliPaloma. “Adoro Stufles, ho un rapporto molto intimo con questo quartiere”, esordisce. L’artista lavora in uno spazio di coworking ospitato in un’antica macelleria che negli ultimi decenni ha visto avvicendarsi negozi di ortofrutta, pastifici e un internet café. AliPaloma, all’anagrafe Alexandra Paloma Angerer, concepisce le sue opere al computer

dando l’avvio a un processo creativo che riassume così: “Una volta scelto il soggetto, seleziono i materiali e individuo il mezzo di espressione più adatto”. Attualmente l’artista affronta temi di forte attualità come i cambiamenti climatici e la fragilità insita nella “società del rischio”, creando montagne di cera in miniatura e catene di ancoraggio in cristallo. La produzione è affidata a orafi, fabbri e vetrai amici dell’artista ventottenne: “Amo collaborare con diversi artigiani e artigiane. Tra loro ci sono dei veri e propri geni, sempre pronti a trovare una soluzione anche per i progetti più sperimentali”. Le chiediamo come valuta l’ambiente artistico locale. “Qui ho molte possibilità di emergere. Se lavorassi in una grande città, probabilmente mi perderei tra molti altri artisti con posizioni analoghe alle mie”, risponde con entusiasmo l’artista brissinese. La scena artistica altoatesina, nonostante si muova su un territorio relativamente piccolo, offre ottimi spazi espositivi, tra i quali la Galleria civica di Bressanone e il Forte di Fortezza. Proprio qui l’artista, che ha conseguito anche una laurea triennale in architettura, l’estate scorsa ha presentato un’installazione di mattoni di cristallo e si è esibita in una performance: “Per la costruzione del forte furono impiegati 20 milioni di mattoni che trasudano tuttora un opprimente potere patriarcale”. AliPaloma ha rappresentato il tema realizzando un muro di vetro del peso di 250 chili. “Quando la mostra volgeva al termine, ho capito che non volevo semplicemente smontare l’opera pezzo per pezzo. Così ho deciso di rovesciarla durante una videoperformance di grande intensità emotiva”, racconta. Della sua terra, AliPaloma apprezza anche la natura e il paesaggio, nei quali ama praticare sport: “Come AliPaloma mi calo sempre in un ruolo. La gente sembra quasi delusa quando si accorge che in privato sono una persona perfettamente normale”. A volte, continua, si stupisce dell’immagine romantica che si ha dell’artista e dell’eterno stereotipo secondo cui si può creare solo in un eccesso di follia: “A ben guardare, le mie giornate sono fatte di organizzazione, ricerche, riflessione e lavoro manuale”, conclude. www.alipaloma.com

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Percorrendo l’Autobrennero in direzione nord, all’altezza di Chiusa difficilmente può essere sfuggita al vostro sguardo: parliamo di “COR circus”, l’enorme scultura bronzea di dieci metri di altezza, montata su un’impalcatura di acciaio fucsia, che si erge sulle colline sopra Albions vegliando la valle sottostante. È un’opera di Peter Senoner, artista e scultore cinquantunenne con una predilezione per i lavori monumentali dalla forte componente spaziale, quasi architettonica. Nel suo grande studio a pochi passi dal colosso bronzeo notiamo però che l’artista si dedica intensamente anche al disegno, in particolare all’interazione dei materiali in un contesto performativo. Ne sono testimonianza diversi ritratti androgini di grande formato e alcuni paesaggi artificiali, realizzati nel 2021 durante una performance nell’ambito dell’annuale festival di arte contemporanea altoatesino Transart. Per l’occasione l’artista aveva trasferito il suo atelier all’interno del TerraXCube del NOI Techpark di Bolzano, una struttura capace di riprodurre condizioni climatiche estreme, nel caso specifico vento e bufera di neve a un’altitudine simulata di 4.500 metri. In questo ambiente proibitivo, a una temperatura di -35 °C, Senoner ha lavorato live ad ARTARCTIC, una serie di opere realizzate con grafite e pigmenti su pannelli di legno opportunamente trattati. “Non sapevo che impatto avrebbero avuto le condizioni esterne sul mio lavoro e la mia creatività. Mi toccava spaccare le lastre di ghiaccio che continuavano a formarsi, un’esperienza incredibile”, ricorda l’artista, la cui performance è stata trasmessa simultaneamente in una galleria di Tokyo.

Il monumentalismo contemporaneo Peter Senoner

Da venticinque anni, con la sua opera Senoner scandaglia l’esistenza umana tra tecnologia e scienze naturali. La sua arte porta l’impronta degli anni trascorsi tra Germania, Stati Uniti e Giappone; sono internazionali del resto anche gli indirizzi che si leggono sulle casse usate dall’artista per trasportare le sue sculture in occasione di mostre in tutto il mondo: Monaco di Baviera, Milano, Los Angeles. Senoner si avvale della collaborazione di alcuni assistenti: “Lavoro a più progetti contemporaneamente. Inoltre, ricevo regolarmente inviti per libere docenze, per esempio da parte dell’Istituto di architettura sperimentale di Innsbruck o della facoltà di Arte e Design di Bolzano. Attualmente insegno alla Technische Hochschule di Rosenheim. Insomma, sono parecchio in giro”, dice l’artista mentre apre la porta che conduce al suo secondo atelier. Senoner ha deciso di stabilirsi, dopo anni di spostamenti, proprio qui: ad Albions ha trovato un luogo ideale per concentrarsi sul lavoro e pianificare con cura i soggiorni all’estero. “In questo studio nascono sculture completamente analogiche”, dice Senoner indicando un blocco di legno grezzo, uno dei tanti utilizzati dall’artista per creare figure che sembrano perdere la loro natura lignea per acquisire attributi come cuffie auricolari o forme organiche interconnesse. Una volta ultimata, la scultura funge da modello per il calco dal quale si ricava la scultura bronzea vera a propria. L’ultimo passaggio consiste nella lucidatura e patinatura, opaca o lucida, dell’opera. Accanto al blocco di legno scorgiamo alcuni calchi, figure con corpi grezzi e volti lisci e inespressivi come maschere che, a seconda dell’angolo visuale e dell’incidenza della luce, affascinano o turbano l’osservatore. Senoner è anche appassionato di alpinismo: il contatto con la natura altoatesina, di cui apprezza la grande varietà, gli permette di controbilanciare il lavoro creativo. Com’è la vita da artista, qui tra le montagne? “Internet ha rivoluzionato tutto: oggi anche dal paesino più sperduto è possibile connettersi intellettualmente con il mondo intero”, dice. E poi, aggiunge, collezionisti e curatori amano venire da queste parti: “Sono sorpresi dalla varietà culturale, paesaggistica e gastronomica dell’Alto Adige. Dopo la visita all’atelier, li porto volentieri a pranzo nella trattoria del paese. È anche questo aspetto a contribuire alla poliedricità della mia terra”, conclude. www.petersenoner.com

A sinistra: nel suo studio, l’artista si dedica intensamente a ritratti androgini e paesaggi artificiali. A destra: “COR circus”, la scultura alta dieci metri sulle colline sopra Chiusa.

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A destra: strati, sbavature e graffi. Le figure nascono dalla sovrapposizione di più disegni, che l’artista strappa e ricompone. Sotto: dal piccolo atelier la vista spazia dal centro storico di Chiusa al sovrastante monastero di Sabiona.

La potenza della delicatezza Astrid Gamper

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Un’indagine che prende le mosse dal corpo, in particolare dal nudo femminile, con uno sguardo carico di empatia.

Dall’atelier di Astrid Gamper, nella torretta d’ingresso dell’antica Residenza Griesbruck a Chiusa, si gode una vista meravigliosa sulla vallata e sul monastero di Sabiona. Quando rivolgiamo lo sguardo nuovamente alle antiche mura del palazzo, non sfuggono alcune interessanti analogie con la sua opera. “Vedete gli affreschi sbiaditi e le immagini dipinte sulla mia torretta? Tra queste mura si respira la storia del luogo, il passare del tempo”, dice. Per l’artista è essenziale che la presenza del tempo sia ravvisabile anche nelle sue opere. La sua indagine prende le mosse dal corpo, in particolare dal nudo femminile, per il quale Astrid Gamper ha adottato una visione originale, studiandone forme e postura dalla prospettiva della moda. Nei suoi disegni di grande formato, l’artista trasfonde una visione empatica della sensibilità e della fragilità dell’esistenza umana. Astrid Gamper realizza immagini di corpi femminili disegnando su carta bianca con grafite nera e diverse sfumature di grigio, ottenute con gesso e carboncino. Ciascun corpo è il risultato della sovrapposizione di più disegni, che l’artista strappa, applicando una parte dei ritagli sul foglio fino a creare, gradualmente, un’unica figura. Crepe, sbavature e graffi, ma anche l’eliminazione successiva degli “involucri” mettono in luce ferite e trasformazioni. “Mi affascinano le tracce che la vita lascia sui corpi e sulle anime”, dice la Gamper: più tempo passa e più segni rimangono. Ma non è doloroso distruggere i propri disegni? Ride: “Certo che lo è. È un gesto distruttivo, ma è il presupposto per una trasformazione riuscita. Sono attratta da come la nostra personalità, la nostra identità si formino a partire dalle esperienze che viviamo e dai cambiamenti che subiamo. È la metamorfosi che metto in luce nei miei lavori”. Questo processo, sottolinea l’artista, è al tempo stesso una ricerca della fonte della forza interiore femminile: le sue figure appaiono delicate e vulnerabili ma si adagiano nel loro equilibrio. Nella loro delicatezza si nasconde tutta la forza della vita. Con la sua ultima opera di grandi dimensioni, un enorme bozzolo di carta che va dal pavimento al soffitto, Astrid Gamper ha vinto il premio “Lorenzo il Magnifico”, assegnato nell’ambito della Florence Biennale del 2021 nella categoria “Installation Art”. Il bozzolo è in caduta libera, le figure che lo compongono si stanno dissolvendo. Il neonato giace a terra, disegnato sui ritagli che si sono staccati dal bozzolo. “Il mio approccio è improntato alla sensibilità, mi rivolgo al mondo con sguardo empatico. Quando disegno un neonato, sono consapevole della nostra responsabilità e mi chiedo istintivamente quale mondo lasceremo in eredità ai nostri figli”, spiega l’artista cinquantenne. Come valuta la scena artistica locale? “È il mondo di cui faccio parte, come artista e operatrice culturale di Chiusa”, dice con trasporto, e aggiunge: “Numerosi progetti, piccoli e grandi, stanno proiettando nel futuro la nostra cittadina, che infine è sempre stata una città di artisti”. In qualità di membro dell’Associazione Beni culturali di Chiusa e di presidente del Comitato Educazione permanente, Astrid Gamper da anni contribuisce alla preservazione del patrimonio culturale di Chiusa e allo sviluppo di nuovi progetti. “Sento un legame molto forte con la mia città natale. La mia creatività nasce da dentro, ma le mie antenne captano tutti i segnali che vengono dal mondo là fuori”, conclude. www.astridgamper.com

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Ripidi pendii I genitori hanno scritto la storia della viticoltura in Valle Isarco. Il figlio punta all’innovazione. In visita alla tenuta Kuenhof T e s t o — L E N Z K O P P E L S T Ä T T E R F o t o g r a f i e — A N D R E A S T A U B E R

NUOVA SERIE

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Scorgiamo Simon Pliger tra i filari di Riesling e Grüner Veltliner, con lo sguardo rivolto al cielo sereno di una giornata di fine autunno. A est, dietro al pendio boscoso, si stagliano le Odle, a ovest decine di gracchi alpini volteggiano all’orizzonte. “Devo tenerli d’occhio”, ci dice Simon, mentre stacca un acino da un grappolo in sovramaturazione e lo assaggia annuendo soddisfatto. “Se gli uccelli scoprono che qui c’è ancora questa bontà, si precipitano subito sull’uva e distruggono tutto il nostro lavoro”, aggiunge. Insieme ai genitori il ventottenne gestisce l’azienda vinicola di famiglia, a sud di Bressanone. La tenuta, risalente al XII secolo, era un tempo di proprietà vescovile. Oggi vi si coltivano Sylvaner, Grüner Veltliner, Gewürztraminer e addirittura Riesling, un vitigno piuttosto raro in Valle Isarco. Su pendii vertiginosamente ripidi. Le viti crescono su terreni argillosi ricchi di sedimenti, fillade quarzifera e ardesia morbida che rilascia minerali e sali preziosi. Il Kuenhof produce circa 40.000 bottiglie l’anno, da vigneti che si estendono per circa 6 ettari e raggiungono gli 890 metri di altitudine. I vini maturano in grandi botti di acacia e in fusti di acciaio inossidabile. La famiglia Pliger ha scelto un approccio naturale alla viticoltura che non prevede l’utilizzo di erbicidi. “Teniamo alla salute delle nostre viti”, afferma Simon.


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F COME FUTURO

Sul ripido pendio, allora invaso dalle sterpaglie, Peter Pliger, il padre di Simon, iniziò a piantare viti e a costruire migliaia di metri quadrati di muretti a secco, suscitando non poco stupore. Più di qualcuno si chiese infatti se valesse la pena reintrodurre la vite (per di più il Riesling!) in terreni così scoscesi. Ma Peter aveva fatto una scelta: puntare sulla qualità anziché sulla quantità. Brigitte ha creduto fin dall’inizio nel marito, e collabora ancora oggi con Peter e Simon nella gestione della tenuta. Nel 1999 il Riesling “Kaiton” ha ottenuto, primo tra i vini della Valle Isarco, i “tre bicchieri” del Gambero Rosso, il massimo riconoscimento assegnato dalla rinomata rivista. Una vera e propria consacrazione enologica, che mise a tacere anche i più scettici. Il “Kaiton” presenta le caratteristiche tipiche dei vini cresciuti su ripidi pendii con forte escursione termica: fresco e ricco di personalità, riflette il terroir di provenienza con una nota gradevolmente salina. Simon Pliger sta in equilibrio sul muretto dell’orto antistante alla tenuta. Qui crescono limoni, patate, basilico, carote, zucchine, lamponi, finocchi e radicchio. “Non andiamo spesso al supermercato”, dice il giovane agricoltore e ci racconta la sua storia: “Mio padre era falegname. Ho sempre pensato che anch’io avrei fatto l’artigiano ed è così che sono diventato elettricista”.

Ma ben presto Simon si rese conto che non era quella la sua strada. Il padre all’epoca aveva già abbandonato la sua professione per dedicarsi con successo alla viticoltura. Simon decise di seguirne le orme e si trasferì in Germania per specializzarsi nella scuola per viticoltori di Weinsberg e per lavorare poi presso la tenuta Heinrich, entrambi nel Baden-Württemberg nordorientale. Oggi i due Pliger lavorano fianco a fianco tra i filari e in cantina, il padre che ha aperto la strada con coraggio e il figlio che, percorrendo quella strada, cerca di sviluppare nuovi, interessanti percorsi. Come lo spumante che sta fermentando in alcune bottiglie, o i grappoli riservati alla vendemmia tardiva, dalla quale si ricaveranno due vini passiti, un Riesling e un particolarissimo Veltliner. Accanto al maso secolare sorge un edificio moderno in legno e vetro che ospita il nuovo spazio per le degustazioni. Nel lavoro della famiglia Pliger, insomma, la modernità si sposa con la tradizione. “Le lampade le ho montate io”, dice Simon, l’ex elettricista, strizzando l’occhio. Un ultimo sguardo al cielo: lo stormo di gracchi è volato via. www.kuenhof.com

I vini della Valle Isarco hanno grandi potenzialità. Che cosa riserva il futuro? Un grande vantaggio della nostra zona vinicola è rappresentato dalla possibilità di coltivare la vite fino a 1.000 metri di altitudine. A queste quote, la maturazione più lenta permette ai vini di sviluppare un bouquet di aromi molto intenso. I cambiamenti climatici pongono i viticoltori della Valle Isarco di fronte a nuove sfide, alle quali sarà necessario reagire con innovazioni e idee creative. In futuro si diffonderanno vitigni più resistenti e più adatti alle mutate condizioni ambientali.

Hannes Munter classe 1982, è enologo presso la Cantina Valle Isarco e uno dei più giovani professionisti del settore in Alto Adige.

Il padre ha aperto la strada con coraggio, il figlio intraprende nuovi, interessanti percorsi.

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Gli affreschi del Ciclo di Ywain Epoca: tra il 1200 e il 1230 Tecnica: affresco Pittore: sconosciuto

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L’uccisione di Askalon avalcando il suo sauro, Ywain sfreccia verso sinistra – e con un unico colpo di spada spacca in due non solo lo scudo ma anche l’elmo del suo avversario Askalon , infliggendogli una ferita mortale. La scena si concentra interamente sul violento scontro finale tra i due combattenti: nessun elemento decorativo, nessuna raffigurazione di alberi o elementi architettonici, a differenza delle altre dieci scene che decorano la stessa sala. L’affresco custodito nel castello di Rodengo fa parte del Ciclo di Ywain, uno dei più antichi dipinti murali secolari dell’area germanofona risalente probabilmente all’inizio del XIII secolo. Quando gli affreschi furono scoperti nel 1972, si potevano osservare tre schizzi di sangue rosso rubino sgorgare dall’elmo di Askalon ferito a morte. Già un anno

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dopo, tuttavia, erano a malapena riconoscibili. La risposta al mistero si scoprì soltanto più tardi: il colore rosso era composto da ossido di piombo e solfuro di mercurio, che una volta esposti all’ossigeno e alla luce sbiadirono. A oggi è rimasto appena visibile solo uno degli schizzi di sangue. Il ciclo di affreschi cavallereschi-cortesi è basato sul poema epico Iwein di Hartmann von Aue, anche se il pittore, che non ci è noto, lo interpreta abbastanza liberamente. Le undici scene raccontano la storia di Ywain, un cavaliere che parte alla ricerca della sua fortuna nella aventiure (avventura) e nel minne (l’amore). Si scontra in battaglia con il cavaliere Askalon, lo uccide e si innamora della sua addolorata vedova Laudine.

Castello di Rodengo + Il castello di Rodengo sorge su uno sperone roccioso allungato all’ingresso della Val Pusteria. Fu costruito nella prima metà del XII secolo da Federico I di Rodank. La sala Ywain, situata al secondo piano di una struttura a torre all’interno del castello, ne è una delle attrazioni principali. + Via Villa 1 39037 Rodengo +39 391 74 89 492 + Aperto alle visite nei mesi estivi. Per informazioni: www.rodenegg.it

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I n t e r v i s t a — L E N Z K O P P E L S T Ä T T E R F o t o g r a f i e — M I C H A E L P E Z Z E I

Una vita a tutta velocità Il marito Erwin era una leggenda dello sci, oggi Linda Stricker ne porta avanti l’opera. Tra una discesa e l’altra, la gran dama del noleggio sci ci ha parlato di come è cambiato il mondo dello sport alpino, di invenzioni bizzarre, giorni felici, periodi duri e di una gara con un bimbo in grembo

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Il nostro autore Lenz Koppelstätter sfrutta gli spostamenti in cabinovia per carpire a Linda Stricker alcuni aneddoti della sua intensa vita.

“A quei tempi gli atleti erano individualisti, spiriti liberi, vere e proprie star.”

Intervista

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a neve brilla sotto il cielo terso e assolato della Plose. Linda Stricker ci viene incontro a grandi passi: “Gli appuntamenti sugli sci sono i miei preferiti, non vedevo l’ora di tornare sulle piste”, dice salutandoci. Linda conosce ogni centimetro di questa montagna. Il marito Erwin Stricker, una leggenda dello sci altoatesino, scomparso alcuni anni fa, ha iniziato proprio qui la sua carriera vincendo, ancora giovanissimo, la storica gara cittadina Stadtlrennen a cui ancora oggi partecipano tutti gli abitanti del posto. “Io, ormai, scio prendendomela comoda”, dice l’ex atleta di sci alpino. E parte con l’eleganza che tutti ricordano, a una velocità tale che fatichiamo a starle dietro. Per conoscere meglio Linda, approfittiamo della risalita con vista sulle Dolomiti e dell’ottimo pranzo a base di costolette al rifugio Pfannspitz, sul monte Fana. Non c’è posto più adatto, e più spettacolare, per la nostra chiacchierata.

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Signora Stricker, lei è nata e cresciuta in Olanda. Ho controllato: il punto più alto del suo Paese d’origine è il Vaalserberg, di appena 322 metri e mezzo sul livello del mare. Cosa l’ha avvicinata al mondo dello sci? Linda Stricker: Sono nata ad Amsterdam, terza di quattro fratelli. Nostro padre era un pilota automobilistico e un grande appassionato di sport. Tennis, canottaggio, hockey. Con la nazionale olandese di hockey ha disputato sessantadue partite e preso parte a due olimpiadi, vincendo un argento e un bronzo. Scoprì lo sci quando era sulla trentina e coinvolse da subito il resto

della famiglia. Almeno una volta all’anno ci mettevamo in strada per raggiungere Gargellen, in Vorarlberg, a 900 chilometri da casa. Viaggiavamo in un maggiolone Volkswagen, i bambini più grandi sul sedile posteriore, i piccoli nel bagagliaio. Più tardi, quando mio padre iniziò a lavorare per la Swissair, ci trasferimmo sul lago di Zurigo. Lì esplose la mia passione per lo sci. Il maestro di sci di Gargellen, che aveva notato in me un certo talento, mi permise di allenarmi insieme ai bambini del paese. Di lì a poco iniziai a gareggiare e vinsi i campionati giovanili olandesi. In seguito partecipai ai “campionati delle pianure”… Ai campionati di cosa? Delle pianure! Una sfida tra sciatori olandesi, belgi, inglesi e danesi. Vinsi e poco dopo iniziai a prendere parte alla Coppa Europa e alla Coppa del Mondo. Qual è stato il suo successo più grande? Ah, niente di speciale a dire la verità; un undicesimo posto in combinata in una gara di Coppa del Mondo a Saint-Moritz nel 1974 e un ventesimo posto nello slalom. E fui eletta “Miss Coppa del Mondo”, la sciatrice più bella del circuito! Non sarò stata una campionessa, ma quei tempi sono stati memorabili. Perché? Era l’epoca dei grandi campioni, la cui fama andava ben oltre i risultati sportivi: erano vere e proprie star! Quando gareggiavano il mondo si fermava. I tifosi sedevano con il fiato sospeso accanto alla radio o si accalcavano davanti alle vetrine dei negozi di elettrodomestici. Erano seguiti come le boy band e le top model degli


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anni novanta: Naomi Campbell, Claudia Schiffer… Oggi, se si chiede alla gente il nome di una modella o di uno sciatore, ne saprebbe citare uno o due, forse. Allora gli atleti erano individualisti, spiriti liberi. Oggi tutto è regolato fin nei minimi particolari e gli sportivi sono circondati da una sorta di scudo protettivo. Nessuno può più avvicinarsi a loro. Anche Erwin Stricker era una stella dello sci, un cavallo pazzo. Faceva parte della “Valanga azzurra” insieme a campioni come Piero Gros e Gustav Thöni. Come vi siete conosciuti? Durante una finale di Coppa Europa a Mayrhofen. Alloggiavo per caso nello stesso albergo della squadra azzurra maschile. Ricordo benissimo la scena: ero seduta su un’altalena al parco, quando lo vidi avvicinarsi con i suoi riccioli biondi. Mi disse a bruciapelo: “Io ti sposerò!”. Lo guardai incredula. È pazzo, ho pensato. Tre anni dopo eravamo davanti all’altare. Durante la stagione agonistica le squadre maschili e femminili si incontrano raramente, con gli uomini che magari gareggiano in Austria mentre le donne negli Stati Uniti, e via dicendo. Come avete fatto a rimanere insieme?

“Nell’ultima gara ero già incinta. Scesi con il freno a mano tirato!”

No, no, noi due siamo sempre stati insieme! Ci ha pensato Erwin; era furbo come una volpe e ha fatto in modo che potessi allenarmi con la squadra maschile italiana. Allenarsi insieme alla fidanzata? Anche se lei era una sciatrice professionista, non era vietato? Certo che lo era. Premetto che mio nonno era originario del Suriname, mia nonna era indonesiana. Ebbene, Erwin riuscì a convincere lo staff che eravamo già sposati. E quando il presidente della squadra maschile volle vedere il certificato di matrimonio, Erwin gli raccontò che ci eravamo sposati con un rito asiatico-suda-

mericano che non prevedeva l’emissione di certificati. Che ridere! Ma gli azzurri mi accolsero con affetto. Fino a quando ha gareggiato? L’ultima competizione è stata una gara di Coppa del Mondo del 1978, a Garmisch-Partenkirchen. Ero già incinta di nostro figlio Tim. Devo dire che quella volta sciai con il freno a mano tirato! Suo marito invece continuò a competere… Sì, ma non per molto tempo, solo un altro anno. Collaborava già con Ellesse, allora azienda leader nel settore dell’abbigliamento sportivo, e si concentrava ormai più

Linda Stricker ama la Plose, la montagna dei brissinesi. La sua pista preferita? Naturalmente la Crazy Horse, dedicata al marito scomparso.

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Erwin Stricker era un tipo irruente e abituato alle fratture, nello sport come nella vita.

sul lavoro che sulle gare. Aveva mille idee che voleva realizzare dopo il ritiro dall’attività agonistica. E si infortunava così spesso che passava più tempo in ospedale che in pista. Era un tipo irruente, nello sport come nella vita. Non c’è osso che non si sia rotto! Al suo fianco ho imparato ben presto a non perdere la calma, in qualsiasi situazione. Come quando mi chiamava nel cuore della notte per dirmi che si era ribaltato con la jeep. “Linda, senti, ho…” Non serviva aggiungesse altro. Mi limitavo a chiedere in quale ospedale dovessi precipitarmi. Quando si è trasferita in Alto Adige? A fine carriera decidemmo di trasferirci a Bressanone, a casa della mamma di Erwin. Beh, non è stato facile. Prima di me Erwin aveva avuto una fidanzata altoatesina, della Val Venosta. Il padre della ragazza aveva nella stalla un toro da primato… In che senso da primato? Un toro che aveva vinto una medaglia d’oro in una qualche competizione mondiale. Perché aveva le corna più belle o era il più forte, vai a sapere! Comunque sia, mia suocera ne era rimasta molto colpita. E poi arrivai io, un’olandese. Non avevo alcuna possibilità di conquistarla. Così, dopo la nascita di nostra figlia Nina, ci siamo trasferiti a Merano. Eppure, ancora oggi viene spesso in Valle Isarco, a Bressanone e sulla Plose. Perché? Perché è un posto bellissimo! Dalle piste si gode una vista impareggiabile sulla città.

Suocera a parte, come si è trovata all’inizio in Alto Adige? Noi olandesi siamo un popolo di navigatori ed esploratori. Abbiamo una mentalità aperta. Gli altoatesini hanno vissuto a lungo isolati tra le montagne, sono più conservatori. Ci ho messo un po’ a capirne e apprezzarne i pregi: la loro disponibilità, riservata ma onesta, e la sincerità. E poi negli ultimi decenni l’Alto Adige è cambiato molto, si è aperto. Oggi sono davvero felice di vivere qui. Suo marito era un classico altoatesino? A volte sì. Per esempio, diceva sempre: mia moglie non ha bisogno di lavorare. Ma io volevo lavorare! Non volevo passare le giornate al parco giochi parlando di pannolini con le altre mamme. Un’amica che gestiva un pub mi assunse allora come cameriera. A lui, geloso com’era, la cosa non andava giù. La prese piuttosto male. Così, ogni sera sedeva al bancone con la sua birra e rifletteva sul da farsi. Finché un giorno mi propose di prendere il suo posto nell’accordo sulla distribuzione del marchio Ellesse per il territorio altoatesino. Erwin in quegli anni fondò invece la Rent and Go, specializzata nel noleggio di attrezzatura sciistica di qualità. Vi somigliavate almeno un po’ o eravate diametralmente opposti? Erwin era un bulldozer, capace di trascinare ed entusiasmare chiunque. Quanto a me, penso di avere ereditato il temperamento asiatico di mia nonna. Sono una che non perde mai le staffe, preferisco

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Erwin Stricker classe 1950, è stato uno sciatore alpino e membro della nazionale italiana di sci. Stricker, che gareggiava in tutte le discipline, ha preso parte a diversi campionati mondiali di sci e alle Olimpiadi invernali di Sapporo nel 1972 e di Innsbruck nel 1976. Si è aggiudicato due titoli italiani e ha ottenuto due podi nelle gare di Coppa del Mondo. È ricordato anche come membro della “Valanga Azzurra”, la fortissima compagine capitanata da Piero Gros e Gustav Thöni. Dopo la fine della carriera professionistica nel 1979, Stricker è stato imprenditore e consulente nel settore degli sport invernali. Già durante gli anni dell’agonismo, ha legato il suo nome a importanti innovazioni nell’ambito degli sport alpini, del turismo invernale e anche del ciclismo. Da ultimo ha contribuito alla creazione di un comprensorio sciistico in Cina. Stricker si è spento il 28 settembre 2010 all’ospedale di Bolzano a causa di un tumore al cervello.


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Linda Stricker è nata nel 1953 nei Paesi Bassi come Linda Esser. Dopo un’infanzia trascorsa in parte ai Caraibi e a Zurigo, ha scoperto sulle Alpi la passione per lo sci alpino, iniziando presto l’attività agonistica. Ha partecipato a diverse gare di Coppa del Mondo e a campionati mondiali di sci. Nel 1977 ha sposato Erwin Stricker. Oggi Linda vive in Alto Adige, dove gestisce l’azienda Rent and Go, fondata dal marito, con settanta noleggi di sci in tutta Italia, e la Sportservice Erwin Stricker con sette punti di noleggio sci, dodici stazioni di noleggio biciclette e tre negozi di articoli sportivi in Alto Adige.

“La Plose è un posto bellissimo! Dalle piste si gode una vista impareggiabile sulla città!”

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Ma è terribile. Anche suo marito è morto a sessant’anni. Sì, se ne sono andati entrambi troppo presto. Come ha reagito alla morte prematura di Erwin? All’inizio ero arrabbiata, ero proprio furiosa. Con lui! Gli dicevo: “Come hai potuto abbandonarmi?”. Se n’è andato come ha vissuto, in gran fretta. Un momento era in Cina a occuparsi della costruzione di un impianto sciistico, il momento dopo correva a Bolzano a un incontro con il presidente della Provincia. Si è fermato soltanto quando è arrivata la diagnosi: tumore al cervello.

aspettare che passi. Da questo punto di vista eravamo agli antipodi e infatti litigavamo spesso, per poi fare subito pace. Tra mia nonna ed Erwin, tra l’altro, è stato amore a prima vista. Ci racconti! Mi ricordo come se fosse ieri: eravamo ad Amsterdam e volevo presentarle Erwin. Lui salì le scale strette e ripide che portavano al suo appartamento, lei lo salutò stringendogli il braccio e gli chiese: “I soldi ce li hai?”. Lui rimase interdetto per qualche istante, poi lei lo rassicurò: “Non devi per forza averne, ma non guastano mai”. Da quel momento iniziarono a telefonarsi spessissimo. Lei gli ha insegnato l’olandese, lui il dialetto sudtirolese. Erwin era un autodidatta, imparava tutto da solo. Suo marito era una persona molto ingegnosa… Sì, era un inventore. Aveva una mente che non si fermava mai. Quando guidava, per esempio, apriva il finestrino e tendeva il braccio all’esterno. Era affascinato dall’aerodinamica, da come la mano fendeva l’aria. Erwin Stricker ha inventato le racchette curve per le discese veloci ed è stato uno dei primi a utilizzare il cannone sparaneve… Sì. Si allenava sempre a Vandoies. Lì c’era un impianto di risalita piccolo ma le piste offrivano condizioni ideali. Erano sempre in ombra e, in assenza di neve naturale, si prestavano perfettamente all’innevamento artificiale. Erwin ordinò un cannone della Linde e installò quello che di fatto fu il primo cannone sparaneve in tutto l’Alto Adige. Tutti dicevano: “È completamente impazzito, è pronto per farsi internare”. Intanto lui si allenava, mentre gli altri aspettavano la neve.

Erwin Stricker era un tipo ingegnoso. A lui si devono le racchette curve per le discipline veloci, i puntali a uncino, le ginocchiere integrate nei pantaloni così come tute e caschi aerodinamici.

Che altro ha inventato? Il puntale a uncino, le cosiddette “punte a becco d’avvoltoio”! Erwin sceglieva sempre la linea più stretta e aggressiva e infatti inforcava spesso. Così ebbe l’idea di piegare la punta degli sci di alcuni centimetri per potersi avvicinare quel paio di centimetri in più alla porta. Ha inventato anche le ginocchiere integrate nei pantaloni e le leggendarie tute di plastica. Wow! Con queste tute ben presto ci si accorse che gli italiani in posizione eretta correvano più veloci degli austriaci accovacciati. Ma quelle tute erano troppo pericolose e furono subito vietate. Così Erwin continuò ad armeggiare e creò una tuta da gara in pelle per sé stesso e una per me. E poi un casco aerodinamico con il quale per poco non si ruppe il collo, proprio come accadde a mio padre. A suo padre? Sì, mio padre morì sciando nella neve alta. Cadde battendo la testa su una rastrelliera antivalanga nascosta sotto la massa di neve. Aveva appena sessant’anni.

E poi? Poi subì due interventi, rimase ricoverato in ospedale. A un certo punto capii che non ce l’avrebbe fatta. È sempre stato una roccia, non doveva mai allenarsi per aumentare la forza, quella l’ha sempre avuta di suo. Una sua stretta di mano era capace di metterti in ginocchio. Ma con la malattia, la forza lo ha abbandonato all’improvviso. Che cosa ha fatto dopo la sua morte? Ho preso il coraggio a due mani e senza pensarci troppo ho assunto la gestione delle sue aziende. Non potevo certo abbandonare i nostri dipendenti al loro destino! Negli ultimi dieci anni ci siamo espansi. Oggi la Rent and Go coordina una rete di settanta noleggi in franchising in tutta Italia. La Sportservice Erwin Stricker gestisce in Alto Adige sette punti noleggio sci, dodici stazioni di noleggio biciclette e tre negozi di articoli sportivi. Siamo nella cabina dell’ovovia che sorvola la pista nera Crazy Horse, dedicata a suo marito. Che significato ha questo luogo per lei? Adoro questa pista. È come la nostra vita insieme: ripida, veloce, piena di curve. Ogni volta che la faccio penso a lui.

“Se n’è andato come ha vissuto, di gran fretta.”

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Solo il meglio Rassegna di prodotti del territorio

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❷ Una nobile coppia Pratico utensile da cucina ma anche oggetto ornamentale dal design minimalista: i macina sale e pepe di Fillmill sono pezzi unici, ricavati dall’intaglio di legno pregiato secondo la tradizione artigianale locale. Il 100 per cento del legno utilizzato proviene da alberi del comune di Laion. Ogni esemplare è caratterizzato da venature e colori leggeremente differenti; ad accomunarli è la macina di precisione in ceramica. La coppia è in vendita online a 199 euro. www.selbergmocht.it

③ ❶ Stampe naturali Ispirate dalla vita quotidiana nella cittadina di Chiusa, le stampe di KR Studio sono pezzi unici, con soggetti legati al paesaggio locale. La crescente popolazione di aironi, per esempio, è stata presa come spunto per il design di astucci e t-shirt, realizzati con tessuti derivati da processi produttivi equo-solidali. L’astuccio è acquistabile al prezzo di 30 euro presso il piccolo shop (indirizzo: Leitach/Coste 18, Chiusa). www.instagram.com/klausen. printing.lab/

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❸ “No a Kaffeele – un altro caffè!” Da raffinati chicchi di caffè Arabica e Robusta, provenienti dal commercio equo-solidale e tostati all’AH Bräu di Fortezza in modo lento e delicato, nasce il caffè NOAH dal gusto aromatico. Com’è nato il nome? Deriva da “No a Kaffeele!” (ancora un caffè per favore), frase in dialetto che risuona in tutti i bar altoatesini. La confezione da 250 g è in vendita a partire da 8 euro nel ristorante AH Bräu. www.sachsenklemme.it


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❹ L’eleganza del marmo Materiali di alta qualità, tecnologia innovativa e passione per la pietra naturale si fondono negli elementi da parete “Kalmo” che Joachim Rabanser realizza a Laion/Novale. Gli eleganti pezzi unici in marmo impreziosiscono diversi concetti abitativi con un design moderno dalle linee morbide e leggere. Set composto da tre elementi, prezzo a richiesta. www.kalmo-marble.com

⑥ ④ ⑤ ❺ Bocca di ciliegia

❻ Purezza dolomitica

“Kirschmund”, bocca di ciliegia, è un rilievo su legno di tiglio intagliato a mano e dipinto con acrilico dall’artista Erich Perathoner: solo una delle molteplici opere d’arte contemporeanea, moderna e antica che si possono ammirare e acquistare presso la Galleria Kompatscher nel centro storico di Bressanone. La galleria ospita artiste e artisti locali e di tutto il territorio nazionale ed è aperta agli appassionati d’arte e ai curiosi. L’opera “Kirschmund” è in vendita a 1.220 euro.

Soda, acqua tonica, ginger ale o ginger beer: le bibite analcoliche Alpex, da gustare pure o da utilizzare nella preparazione di cocktail, sono frutto dell’esperienza di Acqua Plose, azienda di Bressanone che da anni produce la pregiata acqua minerale. Anche le nuove toniche, naturalmente, contengono l’acqua che sgorga cristallina dalle rocce dolomitiche. Le bibite Alpex sono disponibili in sei diversi gusti, in bottiglie da 20 cl, nei negozi specializzati di bevande.

www.kompatscher.eu

www.alpexdrinks.com

❼ Delizia autunnale Oliver Gasser, ambizioso patissier di Luson e vincitore, nel 2021, della competizione televisiva “Das große Backen – Die Profis” in Germania, è l’ideatore della squisita torta di castagne originale della Valle Isarco. Una prelibatezza realizzata con castagne intere locali, oltre a uova, miele, burro, latte e panna a chilometro zero. Acquistabile in autunno, nella pregiata confezione regalo, in tutti i punti vendita del panificio Gasser a 15,90 euro. www.baeckerei-gasser.it

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n bastione di pietra, testimonianza di tempi di guerra, quando il controllo delle vie di transito garantiva il controllo del territorio. Oggi il Forte è monumento e luogo di arte e incontro, ricco di storia e di tante storie da raccontare.

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T e s t o

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Costruzione e scopo La costruzione dell’attuale complesso iniziò nel 1833 sotto l’impera­tore Francesco I. Scopo dell’opera era garantire la sicurezza delle principali vie di transito tra i fiumi Inn e Po. Il Tirolo costituisce infatti un importante asse tra la Germania meridionale e l’Italia del Nord. Il Forte, ultimato in appena cinque anni, venne inaugurato nel 1838 dall’imperatore Ferdinando I.

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Nove campi da calcio Con una superficie di 65.000 metri quadrati, il Forte è il complesso storico più grande dell’Alto Adige. Per la costruzione vennero impiegati circa 20 milioni di mattoni, 250.000 metri cubi di granito e molte tonnellate di legno, sabbia e calce, trasportati grazie a centinaia di carichi giornalieri. Nel cantiere, allora il più grande T H E L O C A L M AG A Z I N E


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d’Europa, vi lavorarono da 3.500 a 5.000 uomini provenienti da tutto l’Impero asburgico. Per rendere un’idea delle dimensioni: all’epoca Bressanone contava appena 3.000 abitanti. Un progetto dispendioso Il Forte costò quasi tre milioni di fiorini austriaci, corrispondenti a circa 55 milioni di euro attuali. Tuttavia, le spese di costruzione oggi sarebbero notevolmente maggiori. Si narra che durante l’inaugurazione l’imperatore Ferdinando I, evidentemente non informato sulle dimensioni del progetto, chiese se il Forte fosse fatto… d’argento.

Tra arte e galleria del Brennero Il Forte, aperto al pubblico dal 2005, nel 2008 ha ospitato la Biennale di arte contemporanea Manifesta 7. Da allora, sotto le antiche volte si sono tenute mostre e manifestazioni di ogni tipo. Negli spazi del complesso, ben preservati e sottoposti ad accurato restauro, si possono oggi ammirare opere di artisti e artiste locali o assistere a concerti per orchestra. Dal 2015 il Forte ospita inoltre una mostra permanente sulla costruzione della galleria di base del Brennero.

Un capolavoro di progettazione Il Forte di Fortezza rappresenta uno dei più avanzati sistemi di fortificazione in superficie. L’ottima conformazione alle caratteristiche del terreno, gli ampi fronti di fuoco, le postazioni di artiglieria a prova di bomba, la pianificazione delle singole parti, così come la difesa multipla delle porte di accesso ma anche gli alloggi e i depositi ne fanno un capolavoro dell’architettura bellica austriaca. Utilizzo e deposito di munizioni Al completamento dei lavori, il complesso aveva già perso la sua rilevanza strategica. L’installazione di artiglieria non sarebbe avvenuta mai nei termini previsti inizialmente. L’unica eccezione è rappresentata dalle guerre del 1848, 1859 e 1866, quando lungo le mura furono posizionati alcuni cannoni. Per il resto, il Forte era sorvegliato da una piccola guarnigione di settanta uomini. Occasionalmente vi furono acquartierate compagnie in attesa di essere impiegate a Sud. In seguito, e fino al 2003, il Forte è stato utilizzato dall’Esercito Italiano come deposito di armi e munizioni. 127,5 tonnellate d’oro Nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, l’amministrazione militare tedesca nascose grandi quantitativi della riserva aurea italiana in una galleria di roccia del Forte, per poi trasferire buona parte del tesoro a più riprese in Germania. Nel 1944, le tonnellate d’oro rimanenti furono messe al sicuro dalle truppe americane e quindi restituite allo Stato italiano. Le 100 tonnellate prelevate precedentemente furono rinvenute dopo la fine del conflitto in diversi luoghi tra Austria, Germania e Svizzera.

La cappella Eretta nel 1844 nel cortile interno del complesso, la cappella del Forte rappresenta una delle prime costruzioni neogotiche del Tirolo. Nella chiesetta si celebravano le messe per la guarnigione di stanza. Restaurata nel 2009, da allora è dedicata a San Giovanni Battista, patrono degli scalpellini, e a Santa Barbara, patrona dei minatori, degli artiglieri e delle fortezze. La ferrovia Pochi anni dopo il completamento della tratta ferroviaria del Brennero tra Bolzano e Innsbruck, nel 1871 venne realizzata anche la ferrovia della Val Pusteria. I binari attraversavano (e attraversano tutt’oggi!) l’areale del Forte per permettere all’esercito di controllare i treni di passaggio e individuare eventuali passeggeri nemici. La diga Nel 1939, per sopperire al crescente fabbisogno energetico, il regime fascista dispose la realizzazione di un lago artificiale ai piedi del Forte. In corso d’opera vennero sommersi il borgo di Unterau e una parte del Forte stesso. Il bacino, che misura 23 ettari per una profondità massima di 59 metri, è delimitato da un muro di sbarramento alto circa 65 metri. L’energia elettrica ricavata era originariamente utilizzata per alimentare la ferrovia del Brennero.

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L’Alto Adige per principianti 4 A PUNTATA:

Piccoli montanari crescono

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uando i nostri figli erano bero diventati troppo pesanti per essere portati sulla piccoli, ogni sabato spiegaschiena e, ahimè, grandi abbastanza per sabotare le vamo sul tavolo della cunostre escursioni. cina una cartina dell’Alto La chiamavo Walk of Shame. Immaginatevi la sceAdige. Sì, proprio quelle di na: a soli 600 metri dall’inizio del percorso selezionato carta, come si usavano una con cura, fingete con sguardo ostinato e viso paonazzo volta. Poi chiedevamo ai di non avere una treenne urlante attaccata al polpacbimbi di indicare alla cieca cio. Ben sapendo che con questa zavorra non riuscirete un luogo… e ci mettevamo a fare neanche i prossimi dieci metri. La piccola, dal in strada! Non c’era da tecanto suo, sa benissimo (ma quando le imparano certe mere: ovunque puntassero cose?) che irrigidendosi diventa ancora più pesante. Ed quei ditini attaccaticci, ci entrambe sapete che la tenacia con la quale i bambini aspettavano sempre posti gridano a squarciagola va ben oltre la capacità di sopspettacolari. portazione degli adulti. Intanto altri genitori, tranquilCome i fedeli lettori e le fedeli lettrici di questa lissimi e con pargoli che si inerpicano come stambecrubrica ben sanno, al mondo esistono due categorie chi, vi superano a destra e a manca. I grandi tentano di persone: i comuni mortali e gli di non fissarvi, di non sorridere e altoatesini. La regola si applica andi non giudicare. I piccoli appaiono che, al quadrato se non al cubo, alla interdetti: che strani questi bambi“Esistono due relativa progenie. ni che non amano le camminate in Vi potrebbe per esempio capitamontagna con mamma e papà! categorie di persone: re di incontrare sulle piste innevate I miei figli non hanno invece mai i comuni mortali e gli una famiglia di conoscenti del luoopposto alcuna resistenza a un’altra altoatesini.” go e proporre loro di fare un paio di attività molto amata dalle famiglie discese insieme, per una bella scialocali: lo slittino. Da newyorkese, ta in compagnia. Fate pure! Ma non la parola “slittino” evoca in me imilludetevi di riuscire a stare dietro magini di bambini che trascinano neanche ai più piccoli fra loro. Lo dico perché ci sono piccoli dischi di plastica lungo pendii innevati – lievi cascata anch’io. La piccola sa a malapena camminare, pendii, beninteso, non le “colline” altoatesine che alnon sarà poi così veloce sugli sci, mi sono detta. Credetetrove si chiamano montagne. I bambini metropolitani mi: vi stracceranno. si lanciano quindi tra urla e risate per brevi discese, che Del resto, i piccoli altoatesini imparano ad andare terminano non appena il pendio si appiana e lo slittino in montagna prima ancora che a camminare. “Impossisi ferma. Il tutto si ripete per circa ottanta volte e finisce bile!”, direte. Invece è proprio così: secondo me i bamcon nasini rossi e moccolosi. bini nati tra queste montagne imparano per osmosi, In Alto Adige, “slittare” è invece sinonimo di escurgodendosi lunghe escursioni nello zaino portabebè e sioni in quota. Un tipo di escursioni contro il quale i addormentandosi cullati dal passo esperto e cadenzato miei bambini non hanno stranamente mai avuto nuldi mamma e papà. la da obiettare. Perché adorano tutto quello che viene Anche noi esploravamo la montagna così. Bei temdopo la salita. Ecco come funziona: giunti in cima, sipi… passati troppo in fretta. Di lì a poco i bimbi sarebstemate i vostri pargoli davanti a voi su una slitta – na-

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Piccolo dizionario sudtirolese Il nostro dialetto, spiegato bene

schurzblau [ˈʃʊʁt͡ sˌbla͡ ʊ] turalmente di tipo professionale, di legno con i pattini d’acciaio – e scivolate per mezz’ora, curva dopo curva, seguendo il sentiero che attraversa il bosco. Inutile a dirsi, anche qui verrete immancabilmente superati da una famiglia locale che vi saluterà allegra continuando a scendere con eleganza e senza sforzo apparente, disegnando una curva perfetta senza sollevare neanche un filo di neve. Arrivati a valle, vi guarderete intorno e scoprirete di essere gli unici ricoperti da uno spesso strato di neve, dal casco agli stivali. Naturalmente, sarete anche gli unici con il naso rosso che cola. A questo punto, guardo i volti raggianti dei miei figli, che hanno evidentemente nel sangue il talento per lo slittino – ereditato dal padre, si intende. Se poi saltellando chiedono a gran voce: Possiamo rifarlo? Ti prego!, c’è una sola risposta giusta: Sì, certo! Perché è così che si crescono i bambini in Alto Adige.

Il “blu grembiule” è il blu reale della stoffa dei tradizionali grembiuli contadini, senza i quali, come recita un adagio, “si è vestiti solo a metà”. Il grembiule è detto anche “Firtig” (“panno frontale”).

Poppele [ˈpopɛlə] Poppele (dal latino “pupa”, bimba o bambola) è l’espressione affettuosa con cui gli altoatesini chiamano i neonati, anche i più agitati! Naturalmente non li portano a spasso nel passeggino, ma nel “Poppmwagele”.

antrisch Cassandra Han Nata e cresciuta negli Stati Uniti, nel 2008 si è trasferita in Alto Adige, terra d’origine della famiglia materna del marito Lorenzo. In questa rubrica, ci racconta di come abbia imparato a conoscere e amare le stranezze della regione e di come lei stessa, a poco a poco, sia diventata una vera altoatesina.

[ˈantʁɪʃ] Per gli altoatesini non c’è modo più efficace per descrivere quella sensazione vagamente inquietante che ci assale, per esempio, quando attraversiamo i corridoi di un convento abbandonato.

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T e s t o — D E B O R A L O N G A R I V A F o t o g r a f i e — C A R O L I N E R E N Z L E R

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Possenti mura, corridoi bui e celle anguste: per 335 anni, il monastero sopra Chiusa ha ospitato un piccolo mondo, inaccessibile agli estranei. Recentemente, le ultime monache benedettine se ne sono andate: oggi l’edificio è disabitato. Un piccolo omaggio

Il silenzio che rimane T H E L O C A L M AG A Z I N E


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La costruzione del convento iniziò nel 1681 sotto la guida del parroco di Chiusa, Matthias Jenner. Cinque anni dopo, nel 1686, venne fondato ufficialmente il monastero della Santa Croce di Sabiona, in cui si insediarono le monache benedettine dell’abbazia di Nonnberg a Salisburgo. Recentemente l’ultima novizia di Sabiona si è trasferita proprio nel convento di Nonnberg, chiudendo così il cerchio di una storia lunga 335 anni. Il convento ha ospitato in tutto 550 monache. Negli anni di maggiore attività vi vivevano tra le 80 e le 90 religiose. Le benedettine, che improntavano la loro vita al motto dell’ordine “Ora et labora” osservando fino ai giorni nostri una stretta clausura, occupavano un’ala separata dell’edificio, non accessibile agli esterni. E una volta che una monaca vi entrava, generalmente vi rimaneva fino alla morte.

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Un elemento fondamentale per la sussistenza del monastero? La dote che ciascuna novizia portava al momento del suo ingresso e che poteva consistere in denaro ma anche in mobilio, attrezzi e altri beni. Le religiose dovevano provvedere da sé all’arredamento della propria cella. Oltre al contributo economico, era richiesto anche un contributo sociale: talvolta, l’abilità come infermiera o calzolaia contava, per l’ammissione, più dei beni materiali. Anche il talento canoro di una novizia poteva compensare una dote piuttosto magra.

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La giornata iniziava alle cinque del mattino ed era scandita da ritmi precisi: levata, preghiera mattutina, messa, colazione, lavoro, preghiera di mezzogiorno, pranzo, riposo pomeridiano, lavoro, vespro, cena, ricreazione, compieta e riposo notturno. La vita monastica era solitaria. Le monache erano infatti tenute al silenzio durante quasi tutte le attività. Soltanto nell’ora della ricreazione era loro permesso di parlare, anche di argomenti terreni. In quell’ora le religiose ascoltavano la radio, giocavano, leggevano e ricamavano. L’ultima domenica del mese non era prevista alcuna ricreazione, per onorare ancora di più il silenzio.

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Infermiera, farmacista, contabile, calzolaia, carpentiera, cuoca… nella regola del convento di Sabiona sono elencate quasi 50 mansioni. I passaggi del documento nei quali è definita la distribuzione dei compiti restituiscono un’immagine della struttura sociale del monastero. Gli incarichi venivano riassegnati ogni anno. La decisione, di fondamentale importanza per la pacifica convivenza, spettava unicamente alla badessa.

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PR-INFO

Una giornata nell’incantevole Chiusa Il piacere della cultura e del fascino medievale

Orari di apertura dei negozi + Da lunedì a venerdì dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 19 Sabato dalle 9 alle 12 www.klausen.it/shopping

Museo Civico di Chiusa + Il Museo è aperto da fine marzo a fine ottobre da martedì a sabato, dalle 9.30 alle 12 e dalle 15.30 alle 18. Il Museo rimane chiuso la domenica, il lunedì e i giorni festivi. www.museumklausenchiusa.it

Visite guidate gratuite di Chiusa + Ogni giovedì, da metà luglio a fine agosto, in lingua italiana Punto di ritrovo: Ufficio turistico, piazza Mercato 1, tel. 0472 847 424

Chiusa è un’affascinante cittadina di impianto medievale adagiata tra le Dolomiti e le Alpi Sarentine. Già molti secoli fa i viaggiatori che si spostavano tra il nord e il sud dell’Europa amavano sostare nel pittoresco borgo ai piedi dell’imponente monastero di Sabiona. Nel tempo Chiusa ha sviluppato il suo inconfondibile carattere, che si è mantenuto inalterato fino ai giorni nostri. Nel centro storico potrete passeggiare da piazza Mercato a Porta Bressanone, attraversando strette viuzze su cui affacciano eleganti case signorili dai caratteristici bovindi e scoprendo gli angoli nascosti della città. I nomi delle strade che percorrerete, da via Conciatori a via Tintori e via Molini, lasciano intuire l’importanza, presente e passata, dell’artigianato nell’economia di Chiusa. L’attitudine commerciale della città è invece testimoniata dal mercato mensile, una tradizione ancora viva che alcune fonti fanno risalire al lontano 1220. Oggi le raffinate boutique e le botteghe con articoli selezionati fanno di Chiusa un’interessante meta anche per lo shopping. Per rilassarsi e vivere fino in fondo l’atmosfera della cittadina non c’è nulla di meglio di una pausa caffè gustando un

dolce tipico e un caffè o un aperitivo con un calice di vino bianco della Valle Isarco. Nelle trattorie e nei ristoranti tradizionali di Chiusa potrete gustare specialità come il gulasch con canederli allo speck o gli Schlutzkrapfen con ripieno di spinaci, magari accompagnati da un boccale di birra locale. Imperdibile è poi la passeggiata che dal centro storico conduce al monastero di Sabiona. L’ascesa è piuttosto ripida ma la vista sui tetti di Chiusa e sui paesini del versante meridionale della vallata ripaga di ogni fatica. Il borgo medievale esercita da sempre il suo fascino sugli artisti. Il celebre Albrecht Dürer dipinse un acquarello della città e lo utilizzò come sfondo per l’incisione su rame “Nemesis – La grande fortuna”. Non stupisce insomma che Chiusa rientri nel novero dei “Borghi più belli d’Italia”. La città che ha ispirato e continua a ispirare numerosi artisti conquista i visitatori con la sua grande poliedricità e mette voglia di tornarvi al più presto. www.klausen.it

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I nostri luoghi preferiti… per le famiglie 1 Parco avventura Jochtal Acqua e arrampicata: il parco avventura Jochtal si snoda lungo un percorso divertente e adrenalinico tra il ristorante Jochtal e la piattaforma panoramica Stoanermandl. I piccoli possono mettersi alla prova con il cervo in legno per l’arrampicata, scatenarsi nel giardino acquatico, accarezzare gli animali del minizoo o riposarsi sull’amaca tra un’avventura e l’altra.

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2 WoodyWalk Plose Facilmente raggiungibile con la funivia della Plose, il sentiero WoodyWalk è pensato per una spensierata gita in famiglia. Il percorso, vario e divertente, si compone di più stazioni realizzate con legno locale, tra cui il tracciato “non toccare terra”, la nave vichinga e l’impianto Kneipp. L’itinerario circolare dura circa un’ora e mezza.


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3 Parco del Sole Gitschberg È proprio il sole il grande protagonista del parco avventura sull’assolato altopiano di Maranza. Mentre i grandi si godono il meraviglioso panorama, i piccoli possono arrampicarsi alla conquista del trono del sole e scendere lungo lo scivolo gigante per poi lanciarsi verso nuove avventure, come una chiacchierata a distanza con il telefono del sole o un giro sul carro del sole trainato da cavalli. 3

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La sciovia per bambini di Luson

Impianto Kneipp di Scaleres

La “montagna per bambini”, completamente rinnovata nel 2019, offre attrazioni sulla neve per i piccoli sciatori, ma anche un ambiente ideale per gli adulti che desiderano prendere, o riprendere, confidenza con gli sci. Il moderno skilift, le piste preparate con cura e un parco avventura con due tappeti magici permettono ai piccoli di scoprire in modo ludico il mondo dello sci.

L’impianto Kneipp di Varna, che fu il primo creato in Alto Adige, è un’oasi di pace e frescura, da visitare dopo una lunga escursione, per immergere i piedi nell’acqua gelata, riattivare la circolazione e rilassarsi sdraiati sul prato. Per i piccoli c’è un parco giochi attiguo, mentre per i salutisti l’impianto idroterapico mette a disposizione anche un percorso fitness.

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4 Parco Active Terento Il parco Active di Terento lungo la soleggiata strada statale della Val Pusteria è un’ampia area ricreativa all’insegna della varietà. Qui vi aspettano uno scivolo zipline, un percorso alta fune, amache e giochi d’acqua, ma anche un campo da calcio, uno da pallavolo e un minigolf con 18 buche per… sfidare mamma e papà.

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Laghetto naturale balneabile di Luson

Sentiero della mela di Naz-Sciaves

Il laghetto alpino di Luson, armoniosamente inserito nel paesaggio circostante, offre a grandi e piccini relax, tuffi e refrigerio nelle calde giornate d’estate. Il bacino, immerso tra prati e alberi, è aperto alla balneazione, a seconda delle condizioni meteo, da inizio giugno a fine agosto. Il laghetto naturale viene depurato biologicamente ed è adatto anche a chi soffre di allergie.

Il Sentiero della mela di Naz costeggia i meleti e attraversando il bosco conduce ad alcuni biotopi e a un idilliaco laghetto. Lungo il percorso i pannelli informativi permettono di scoprire di più sulla coltivazione delle mele, mentre l’area giochi Apfelgarten di Rasa è pensata per il divertimento dei piccoli, ma anche per un picnic in famiglia. L’itinerario circolare, lungo 7,7 chilometri, inizia presso la chiesa di Naz.

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9 Falesia Nock in Val di Tinne La falesia Nock si trova in Val di Tinne, a 5 chilometri dal centro storico di Chiusa in direzione ovest. La falesia dispone di una parete da arrampicata con percorsi di diversi livelli di difficoltà, slackline e Flying Fox per principianti e per chi è già un arrampicatore provetto. L’offerta comprende anche corsi di arrampicata. 9

10 Le piramidi di terra di Terento

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Le imponenti colonne delle piramidi di terra di Terento, formatesi in seguito a violente intemperie, si possono ammirare da una piattaforma panoramica al termine di una breve escursione. Attenzione: il percorso non è adatto ai passeggini.

11 Il Sentiero degli elfi a Vandoies Sapete quale abitante dei boschi altoatesini ha le corna più pesanti? E perché le api eseguono le loro danze? La risposta a queste e ad altre domande si trova lungo il Sentiero degli elfi. L’itinerario circolare per piccoli e grandi esploratori inizia presso il parcheggio della chiesa di San Nicolò a Vandoies di Sopra. L’elfa Lilli vi condurrà lungo undici stazioni interattive con informazioni e curiosità sulla natura e la cultura locali. Qui troverete una stazione di osservazione dei cervi, una cascata, una terrazza panoramica in pietra e un’area di sosta nel bosco.

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Cogli l’attimo! I foto blogger altoatesini Judith Niederwanger e Alexander Pichler svelano le storie dietro le loro immagini preferite Tre vette, una distesa di rose alpine e un panorama spettacolare: potremmo sintetizzare così la nostra escursione di inizio estate sulla Plose, durante la quale abbiamo scattato la foto che vi presentiamo in questo numero. Era il primo pomeriggio. L’itinerario che avevamo scelto prevedeva un percorso circolare con partenza e ritorno alla stazione a monte della cabinovia della Plose. Non sapevamo esattamente cosa aspettarci da questo percorso, ma già alla prima tappa, il monte Telegrafo a 2.486 metri, non abbiamo più avuto dubbi: la vista dalla Plose, soprattutto in una giornata limpida, è semplicemente straordinaria. Più salivamo, più il paesaggio ci conquistava. Dopo esserci lasciati alle spalle anche la seconda tappa, il monte Fana a 2.545 metri, nel tardo pomeriggio abbiamo raggiunto il vertice della nostra escursione: il monte Gabler (2.575 metri), la cima più alta della Plose. L’ascesa è piuttosto agevole ma si viene egualmente ricompensati con una vista mozzafiato. Da quassù, lo sguardo spazia dall’arco alpino alle Dolomiti. Il bivacco Gabler, a pochi passi, ha subito attirato la nostra attenzione. La piccola costruzione di legno sullo sfondo delle imponenti Odle di Eores e di Funes è un soggetto fotografico perfetto. Per enfatizzare la vicinanza delle montagne, abbiamo scelto di utilizzare un teleobiettivo.

Judith Niederwanger e Alexander Pichler curano il blog di successo “Roter Rucksack” (zaino rosso). L’omonima pagina Facebook è seguita da 20.000 follower, Instagram da più di 14.000. Nel 2022 hanno pubblicato il loro libro bestseller, uscito in tedesco nel 2019, anche in italiano: “Alto Adige: I posti più belli da esplorare e fotografare” (Edition Raetia). Il duo pubblica inoltre regolarmente calendari con le loro fotografie più belle. www.roterrucksack.com

Canon EOS 5D Mark II

70-200 mm @ 78 mm

f/8 1/640 s Fotografia scattata il 16 giugno 2021 alle 18.35

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Settimane bianche 7=6

www.settimane-bianche.it

Rio Pusteria – Bressanone

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