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Intervista — MARIANNA KASTLUNGER
Intervista
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IIl suo palmares nella disciplina cross country è notevole: campione del mondo juniores, campione del mondo U23, vicecampione del mondo, campione del mondo nella staffetta, campione europeo… Si è aggiudicato molte Coppe del mondo e l’anno scorso si è laureato di nuovo campione italiano di specialità. Poi ha appeso la bici al chiodo per impugnare il forcone. Perché? È stata una decisione sofferta. A 31 anni non ero ancora a fine carriera, alcuni colleghi smettono addirittura dopo i quaranta. Ma ho due figli piccoli, di uno e tre anni, e volevo trascorrere più tempo con loro qui al nostro maso, l’Unterplattnerhof, che avevo rilevato da poco. Fare il contadino mi piace, amo gli animali e il contatto con la natura. Da atleta ho viaggiato molto, assentandomi anche per più settimane di fila. Dopo il ritiro ho dovuto abituarmi a un nuovo ritmo di vita. È cambiato un po’ tutto, ma devo dire che le gare non mi mancano affatto.
Ci spiega brevemente cos’è il cross country?
È una specialità MTB nella quale si eseguono, in poco meno di un’ora e mezza, percorsi tecnicamente molto impegnativi con circa 800 metri di dislivello, sempre a tutta velocità. Dal 1996 il cross country è anche disciplina olimpica.
Come si è avvicinato al mondo della mountain bike?
Ho iniziato sul mio percorso preferito, da casa nostra a Verdignes fino al rifugio Santa Croce di Lazfons, dove i miei nonni gestivano una malga. Da bambino ho trascorso molte estati lassù. È stato proprio il nonno a darmi i soldi per la mia prima mountain bike, che desideravo per potermi spostare liberamente tra l’alpeggio e il paese.
Quando ha iniziato a gareggiare?
A undici anni, nella squadra dell’associazione sportiva di San Lorenzo di Sebato. Con loro ho girato l’Italia e l’Europa. Ogni tanto arrivavo primo, ma per noi ragazzi e ragazze vincere non era la cosa più importante.
Che cosa contava per voi?
Le patatine e gli orsetti gommosi, ad esempio. Li compravamo di nascosto con i soldi della paghetta durante le soste nelle stazioni di servizio! Ripensandoci, il mio esordio nello sport è stato molto sereno: nessuno faceva pressioni su di me, l’unica cosa che contava era il divertimento. Vorrei trasmettere questi valori anche ai miei figli, incoraggiarli a praticare sport, ma senza mai costringerli. Se c’è troppa pressione, l’interesse svanisce molto presto.
Che cosa ama di più del ciclismo?
Mi piace salire in sella e pedalare da solo, in libertà, lasciando correre i pensieri. Lo facevo anche quando mi allenavo. Poi certo, anche i successi sono fantastici. Se facesse la stessa domanda al Gerhard sedicenne, lui risponderebbe che la cosa più bella è la scarica di adrenalina dopo una vittoria! Oggi invece le rispondo: l’aria fresca che si respira nel bosco e in montagna. Salire e poi scendere giù come indiavolati – oitaifln, come diciamo qui in Valle Isarco.
“Oggi mi piace salire in sella e pedalare da solo, in libertà, lasciando correre i pensieri.”
Ha mai avuto paura di farsi male?
No, a dire il vero. Il ciclismo è tutto sommato uno sport sicuro. Le articolazioni sono meno sollecitate rispetto alla corsa. C’è sempre il rischio di farsi male cadendo, ma se si guida con prudenza e con la tecnica giusta non c’è molto da temere. Io ad esempio non ho mai subito infortuni, a parte un’unica infiammazione al tendine d’Achille quando ripresi l’attività troppo velocemente dopo un inverno durante il quale avevo trascurato un po’ l’allenamento.
Sopra: Kerschbaumer è cresciuto al maso Unterplattnerhof, che ha rilevato dai suoi genitori, e dove il lavoro non manca mai.
A sinistra: Al maso vivono pony, cavalli Haflinger, galline… e il cane Lusy.
Sotto: Tre anni fa, accanto al vecchio maso, Kerschbaumer ha costruito la sua nuova casa, oltre a degli chalet per gli ospiti.
Perché ha scelto la mountain bike e non, ad esempio, il ciclismo su strada?
Perché la mountain bike è libertà allo stato puro! Il ciclismo su strada è più strutturato e richiede più concentrazione rispetto al cross country. È fatto di tattica, percorsi prestabiliti e dinamiche di gruppo. Certo, dal punto di vista economico è più redditizio. Basti pensare al Giro d’Italia, un vero e proprio patrimonio nazionale! Però nel ciclismo classico non ci sono la libertà e il divertimento di scoprire nuovi percorsi in mezzo alla natura.
La scheda
Nome: Gerhard Kerschbaumer detto “Gerri”
Data e luogo di nascita: 19 luglio 1991 a
Bressanone
Residenza: Unterplattnerhof, Verdignes (Chiusa)
Peso: 69 kg
Altezza: 183 cm
Disciplina: MTB XC (cross country)
Squadra: Specialized Factory Racing
C’è una gara a cui è particolarmente legato?
Sì, ce ne sono due per la precisione, una nel 2009 a Canberra, in Australia, nella quale mi laureai campione del mondo juniores. Avevo 18 anni. Da quel momento si aprirono per me molte porte e firmai il mio primo contratto da professionista.
E la seconda?
I campionati italiani dell’anno scorso a Casies, in Val Pusteria, i primi disputati qui in Alto Adige! Giocavo in casa, per così dire. I trail erano fantastici e c’erano tanti amici e conoscenti che facevano il tifo per me. Ho vinto, ma ancora oggi non me lo spiego. Le mie prestazioni in quel periodo erano piuttosto deludenti. Una vittoria del genere è stata forse tutta questione di testa.
Ha mai pensato di ritornare a gareggiare?
Nel tempo libero pratico ancora la mountain bike, ma non penso che mi si vedrà più ai nastri di partenza. Sono stato uno sportivo felice, ora sono un contadino felice. In questo momento quello che conta di più per me sono la mia famiglia e il maso. Qui c’è sempre da fare, e mi diverto. Ho girato il mondo in sella alla mia bici e ora sono tornato alle mie radici, al maso nel quale sono cresciuto.