Sul Romanzo - Anno I n. 1 - Apr 2010

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uSommario

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L’editoriale

di Morgan Palmas

I (rin)tracciati

Dell’uccidere, ovvero Jean-Patrick Manchette di Alessandro Puglisi

Cinematura

Tatanka scatenato di Claudia Verardi

Editori: il catalogo qual è? Mattioli 1885 di Paolo Melissi

Cantautori: per rispetto chiamati artisti Francesco De Gregori alias il principe di Annalisa Castronovo

Racconti dal retrobottega

Se tu fai uno sconto a me io compro un libro a te di Geraldine Meyer

Pensiero antico e identità europea

Radici classiche del pensiero europeo di Adriana Pedicini

Prospettiva fantasy

J.R.R. Tolkien e la svolta classica di Marcello Marinisi

I libri che ti cambiano la vita Gente che bussa alla porta di Marta Traverso

Concorso letterario Legambiente

Il Grande Albero. Concorso letterario per giovanissimi scrittori ‘in erba’ di Annalisa Castronovo

Scrittori allo specchio

Una stanza per noi di Sabrina Campolongo e Morena Fanti

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Vetrioli sparsi

La filosofia del tutto gratis e l’editoria a pagamento di Emanuele Romeres

Tarantula

Komunikato n.ro 2 di Roberto Orsetti

Vita standard di uno scribacchino provvisorio Il timballo di maccheroni di Giovanni Ragonesi

Esordire

Zoo col semaforo di Paolo Piccirillo di Sara Gamberini

La metà oscura del mondo

Avventure di un povero ricercatore solitario di Maria Antonietta Pinna

Socretinate

Un incontro con Emanuele Tonon di Morgan Palmas

L’angolo delle interviste

Francesca Ruggiu Traversi a cura della redazione

Poesia e racconto del mese

su La bioetica  Arianna Girelli – La bellezza  Annamaria Trevale – Mondi a parte


uL’editoriale di Morgan Palmas - sulromanzo@libero.it l’affetto che avete dimostrato nei confronti della webzine sul romanzo, sia in termini di visite che di mail ricevute, ci sprona contro i dubbi che fomentavamo fra noi per la nuova esperienza intrapresa. i timori non sono defunti, ciononostante s’è creato un ingenuo entusiasmo nella redazione, siamo oramai persuasi che aggregare le idee attorno a un obiettivo culturale comune sia sempre un atto di ribellione sano. una reazione ribelle che tratteggi uno sforzo di focalizzare la tensione verso un lido peculiare, indipendentemente dalle conseguenze. avrete modo di leggere più articoli in questo numero e vi chiediamo da subito di essere franchi con noi, scriveteci, diteci la vostra schietta opinione. soltanto grazie a voi che ci dedicate tempo potremo migliorare la qualità della webzine. nel dettaglio, le novità sono un articolo dedicato a un esordiente, una nuova rubrica che tratta l’incontro fra musica e letteratura, il primo di una serie di libri che possano cambiare la vita, due scrittrici (sabrina campolongo e Morena fanti) che si confrontano su Virginia Woolf e la scrittura femminile, e infine un dialogo con emanuele tonon, nel quale emerge la sua visione esistenzialistica. nell’aprile di dieci anni fa moriva a roma giorgio bassani, autore de il giardino dei finzi-contini, esimio intellettuale, nonché colui il quale favorì la pubblicazione del celebre romanzo di giuseppe tomasi di lampedusa. Vogliamo

ricordarlo per un motivo: conoscete il campo di tennis della famiglia finzi-contini, territorio franco che si ribellò alle leggi razziali del 1938, mentre fuori imperversava la paura del diverso e gli orrendi fantasmi frutto di parole scellerate. Paura, fantasmi, parole. ognuno di noi ha un campo di tennis, un’area nella quale coltivare le proprie libertà di pensiero, lontane magari dai più o quantomeno dissimili. Pur nel rispetto di una storia tragica e di un autore che ancora oggi rappresenta un faro che l’ineluttabilità del tempo vorrebbe dotato di luce offuscata, ci incanta considerare la webzine sul romanzo come un piccolo e modesto campo di tennis, dove la libertà sia vera, dove la passione per le idee sia educatamente mordace. non sentite un odore di vuoto sempre più diffuso? non avete la sensazione che il gusto maggioritario del paese sia l’indebolimento culturale e la caccia alle streghe? non credete che la paura sia di chi grida contro la paura, che i fantasmi siano di chi urla contro i fantasmi, che le parole siano di chi ne utilizza troppe e a sproposito? noi pensiamo in ogni caso che servano altri campi da tennis ribelli, tanti, tantissimi.

buona lettura.

Sul Romanzo - Rivista elettronica di informazione e cultura letteraria Anno I • n. 1 • Aprile 2010 Progetto editoriale: Morgan Palmas art director: Marcello Marinisi Progetto grafico e e Marcello Marinisi

iMPaginazione:

annalisa castronovo

Hanno collaborato a questo nuMero: annalisa castronovo • sara gamberini • Marcello Marinisi • Paolo Melissi • geraldine Meyer • roberto orsetti • Morgan Palmas • adriana Pedicini • Maria antonietta Pinna • alessandro Puglisi • giovanni ragonesi • emanuele romeres • Marta traverso • claudia Verardi. si ringraziano: sabrina campolongo • Paolo cioni • Morena fanti • arianna girelli • emanuele tonon • francesca ruggiu traversi • annamaria trevale.

note legali: “sul romanzo - rivista elettronica di informazione e cultura letteraria” è in fase sperimentale, pertanto non rappresenta una testata giornalistica e gli aggiornamenti dei contenuti avvengono senza nessuna periodicità. non può dunque essere considerato un prodotto editoriale ai sensi della legge n.62 del 2001. gli autori sono responsabili per i contenuti dei loro articoli. tutti i contenuti della rivista sono rilasciati con licenza creative commons attribuzione-non commercialecondividi allo stesso modo 2.5 italia. Per maggiori informazioni: http://creativecommons.org/licenses/by-ncsa/2.5/it/

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uI (rin)tracciati

Dell’uccidere, ovvero Jean-Patrick Manchette

di Alessandro Puglisi - alex.puglisi@inwind.it settanta, in preda a convulse riconfigurazioni. Jean-Patrick Manchette

Jean-Patrick Manchette, nato a Marsiglia nel dicembre del 1942, scrittore, traduttore, musicista, militante di sinistra, situazionista, disincantato: questo l’oggetto. cresciuto a pane e letteratura di genere. una dozzina di romanzi, scritti nel giro di una decina d’anni, per “colpire al cuore”. qualcuno ha parlato di post-noir, o neo-polar: le classificazioni talvolta possono essere utili; in questo caso, è altissimo il rischio di precipitare nella stucchevolezza. giusto dare qualche coordinata, può essere fruttuoso. due nomi su tutti (opinabilissimi): dashiell Hammett che, come sappiamo, si colloca cronologicamente molti anni prima di Manchette e, nel particolare, almeno da un punto di vista “autoriale”, tra gli anni Venti e trenta, coi suoi lavori più noti; e tuttavia fondamentale: Manchette cresce infatti col noir o, per meglio dire, col giallo “all’americana”. e Jean-claude izzo, marsigliese anch’egli, pressoché coetaneo di Manchette, e scomparso nel 2000. questo, solo per evitare il tedio di individuazioni archetipiche che potrebbero lasciare il tempo che trovano.

recuperare è l’obiettivo di questa rubrica. leggere, o rileggere. tale scopo si rende tanto più evidente nel caso di specie; basterà approcciare un romanzo di Manchette, infatti, per comprendere quanta e quale sia la necessità di riproporre, a quasi 15 anni dalla sua morte, il complesso dell’opera del francese, in un’inquadratura che sappia andare dal particolare al generale e viceversa, dallo schiocco secco di una pistola all’affresco, steso con pochi ma sapienti tratti, di una società, quella d’oltralpe degli anni

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“Hard boiled” e “noir metropolitano”, dunque, per soggiornare ancora un attimo presso gli scomodi lidi tassonomici. ognuno faccia le proprie considerazioni: il dato emergente è che la scrittura di Manchette fa male. non si tratta di parzialità o facilità, predisposizione alla suggestione della violenza. dimostrazione: affidiamoci a due romanzi, il caso N’Gustro e Fatale, originariamente pubblicati in francia rispettivamente nel 1971 e nel 1977. il primo, ispirato al caso “ben barka”, politico marocchino dissidente, nato nel 1920, sequestrato e morto a Parigi nel 1965, in circostanze ancora tutte da chiarire, comincia proprio dalla fine. Prime tre pagine, e il protagonista, Henri


butron, fascista, intellettuale a modo suo, qualunquista per opportunità, viene freddato con «un’automatica spagnola astra munita di silenziatore artigianale». la descrizione dell’uccisione di butron è un capolavoro di quello che oggi chiameremmo (ma in questo caso, almeno, non a sproposito) pulp: «il negro gli spara una pallottola che gli perfora il cuore, esce dalla schiena, sotto la scapola sinistra, con un buco grande come un pomodoro; carne e sangue schizzano la parete graffiata; il cuore di butron è scoppiato». Poco dopo, qualcuno fa partire un nastro, e ne viene fuori la storia (o anche la storia, per certi versi). la vicenda di una vita, incisa, che, mentre due pingui e sprezzanti capi militari la ascoltano, diventa la voce del narratore, alimentando un anomalo Bildungsroman, nel quale, dopo un attacco quasi da “press-clipping”, intitolato nella versione italiana Alcune considerazioni su Henri Butron raccolte nelle settimane seguenti il decesso, si alternano, lungo il dipanarsi di brevi capitoli, e definendo una partitura narrativa di vivacità estrema, prima e terza persona. sapendo già che la fine si è compiuta, ed ora bisogna scontare di nuovo lo sprofondamento. tutt’altro stile e orchestrazione per Fatale. inizialmente soggetto per un film, mai realizzato, anche se dell’idea Manchette aveva parlato a claude chabrol, ottenendo riscontri entusiastici, diventò in seguito un romanzo.

opera dal ritmo discontinuo: per ottanta pagine non succede quasi nulla. la protagonista, aimée (per lei, l’ultimo di una lunga serie di falsi nomi), che nella seconda parte del libro sarà descritta con toni appassionati, quasi amorosi: «se qualcuno avesse potuto vederla, avrebbe detto che non era bella; o forse sì, dipende dai gusti. era tutta spettinata. i suoi capelli biondi intrisi di sudore erano incollati al cranio e pendevano sulla fronte e sulla nuca con ciocche umide, come capita alle donne quando hanno fatto l’amore in maniera forsennata per diverse ore di fila», si trasferisce nella cittadina di bléville, crogiuolo di una borghesia opulenta, ipocrita e sonnecchiante. il suo progetto è quello di conquistare la fiducia dei suoi nuovi concittadini, per poi far conflagrare le contraddizioni, ponendosi ad affascinante arbitro della vita e della morte. le modalità con cui questa partita prenderà luogo, sono troppo suggestive e appassionanti, per svelarle a chi ancora non conosca l’oggetto del nostro presente dissertare. burattinaio dei noneroi, Manchette tira le fila di una grandiosa messinscena subdolamente ironica; il suo palcoscenico è popolato dal degrado, da esseri umani che danzano malinconicamente sull’orlo del baratro. 

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uCinematura

Tatanka scatenato

di Claudia Verardi - claudiaverardi@alice.it dopo Gomorra, roberto saviano torna a incrociare letteratura e cinema in un nuovo film di prossima realizzazione, Tatanka scatenato. le riprese della pellicola sono cominciate nei primi mesi del 2010 in italia e in germania, a berlino per l’esattezza, e si pensa che il film sarà pronto per uscire nelle sale italiane nel 2011. Tatanka scatenato nasce dall’omonimo scritto contenuto nell’ultimo libro dello scrittore napoletano, La Bellezza e l’Inferno, e racconta la storia e le vicende tumultuose di clemente russo, famoso pugile marcianisano (Marcianise è un paesino del casertano), che ha vinto alle ultime olimpiadi la medaglia d’argento come peso massimo. roberto saviano, noto, oltre che per l’alto livello letterario della sua opera che ha saputo miscelare ingredienti diversi (romanzo, cronaca, giornalismo), anche per essere costretto a vivere (dal 2006) sotto scorta a causa delle minacce ricevute dal pericoloso clan dei casalesi, si conferma autore di denuncia. È una penna formidabile, saviano, una penna che sa prestarsi anche al cinema. in questo, ricorda molto da vicino il giornalista giancarlo siani che, come lui, si imbarcò in una lotta senza sconti alla camorra e che, purtroppo, venne ucciso il 23 settembre del 1985 in un agguato nel quartiere napoletano del Vomero, dove abitava. con Gomorra roberto saviano ha vinto, tra le altre cose, proprio il premio intitolato al giornalista, un riconoscimento istituito nel 2004 a napoli e promosso dall’ordine dei giornalisti della regione campania, dal quotidiano il

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Mattino, dall’università degli studi sant’orsola benincasa e dal centro studi siani. Tatanka scatenato sarà sceneggiato, oltre che dal regista calabrese giuseppe gagliardi, da Maurizio braucci, Massimo gaudioso, salvatore sansone e stefano sardo. clemente russo, che nel film interpreterà se stesso, è cresciuto in campania e conosce bene la realtà di una terra torturata dalla camorra dove, nei casi più estremi, anche la boxe può diventare un percorso sano da scegliere per non rimanere intrappolati fra le maglie della delinquenza. clemente viene “affettuosamente” chiamato tatanka per il suo stile di combattimento, ovvero caricare l’avversario a testa bassa con la furia cieca di un bisonte, oltre al fatto di avere tatuato sul petto proprio un bisonte, con tanto di guantoni. il riferimento al “tatanka” ha valenza duplice. gli apalaches, tribù fra le più affascinanti dei nativi americani, chiamavano così il bisonte per la sua grande forza fisica, ma anche per il profondo potere spirituale. talvolta, i membri della tribù vedevano tatanka come espressione del grande spirito Manitù, che assumeva proprio le sembianze di un grande bisonte bianco (da qui potrebbe partire lo spunto per parlare di un grande classico del cinema, Sfida a White Buffalo, del 1977, con charles bronson). Ma, forse, questo nome non è un caso. È un nome che racconta la grande forza interiore di chi vuole ribellarsi a un mondo che non gli si addice, e che gli sta stretto, anche solo esprimendo la propria ribellione attraverso la potenza fisica. la scrittura di saviano, già co-


sceneggiatore di gomorra, è qui febbrilmente acuta, pungente, a volte persino feroce. Però è incisiva e potente, e ha, perciò, il merito di arrivare direttamente alle persone e raccontare realtà scomode che altrimenti rimarrebbero, con grande probabilità, nascoste.

fotogramma dal film Gomorra di Matteo garrone (2008)

il racconto di Tatanka scatenato si muove tra le palestre di Marcianise (prima fra tutte l’excelsior, quella che ha sfoderato il campione) dove tutto ha inizio, fino al ring di Pechino. clemente combatte con i pugni quello che saviano combatte con le parole e la letteratura: la criminalità organizzata e le mafie tutte, che distruggono e lacerano senza alcuna pietà terre altrimenti paradisiache. entrambi auspicano, anzi, esigono con tutte le proprie forze il riscatto della terra d’origine, del luogo di appartenenza. ed entrambi sanno che per combattere certe oscenità c’è bisogno di metodo, oltre che di forza. c’è bisogno di tecnica delle mani e dell’intelletto. il grande poeta greco omero diceva che non c’è impresa migliore di quella realizzata con le proprie mani. e clemente, che è un pugile, ha fatto tesoro di questa affermazione. Marcianise è una delle capitali mondiali del pugilato, di sicuro la capitale italiana. in paese esistono tre palestre gratuite dove i ragazzi di tutta la zona vanno a esercitarsi. e c’è un motivo che spiega perché proprio Marcianise sia uno dei centri più importanti per chi vuole fare pugilato. i marines americani che abitavano in campania chiamavano i carpentieri e gli allevatori di bufale locali che si misuravano con loro in cambio di qualche dollaro. e i marcianisani, dopo averne lasciati parecchi al tappeto, decisero di continuare a combattere e costruirono palestre per i ragazzi della zona. una valida alternativa, in effetti. Poi, nella voglia di riscatto di tatanka, c’è il fattore polizia. clemente russo è un poliziotto, fa parte della Polizia di stato, ed è questo un elemento che rafforza ancora di più la voglia di vivere in una terra sana da tutti i punti di vista. e, poi, clemente è anche un amante della natura, uno che, quando non dà cazzotti, ama correre in libertà sul suo cavallo. ama il vento che gli accarezza la testa quando è in sella, perché in quel momento capisce cosa significa sentirsi liberi. già, libertà, concetto chiave di quelle zone ma, oggi più che

mai, di vaste, vastissime, aree italiane. la libertà che vuole saviano, che vuole tatanka e che voleva, sopra ogni altra cosa, anche giancarlo siani, il cronista definito “libero martire in nome della verità”. siani scriveva, dopo una faticosa gavetta in altre testate, per il Mattino di napoli e buttava giù articoli su articoli per il periodico “osservatorio sulla camorra”, diretto da amato lamberti. aveva deciso di imbastire tutta la sua attività e, di conseguenza, la fetta più grossa della sua vita, nel sogno di distruggere le mafie e poter finalmente disporre di un territorio libero. così fa roberto saviano oggi, lavorando con gli strumenti letterari a sua disposizione – racconto di cronaca, giornalismo di “super” inchiesta, reportage e narrazione legata ai fatti reali – e con i successivi sviluppi cinematografici. il suo intento è raggiungere quante più teste perché si sappia la verità, si sappia quello che troppe volte viene nascosto, dalla gente comune così come dai media. senza ingigantire la questione, né metterla sotto altri termini. la gente deve sapere, ma deve sapere “bene”, senza crogiolarsi in stupidi razzismi e qualunquismi di varia natura. la vita, la personalità e l’opera tutta di saviano sono vincolate a queste realtà, e la sua formazione intellettuale lo rende eroe letterario inarrestabile. e anche clemente, attraverso il suo racconto, si delinea come eroe, come figura che gravita attorno al bene per allontanare il male della mafia 2010 • Sul Romanzo

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clemente russo alle olimpiadi di Pechino del 2008

locale. la mafia, che nelle terre di saviano e russo si chiama camorra o, anzi sistema, è il male più grande, il cancro che crea danni spesso, purtroppo, irreversibili. Ma non è un problema di oggi. È da parecchio che ci si interroga su questa malattia (che logora il sud come il nord e il centro, a dispetto del pensiero folcloristico di qualche leghista) e sulle possibili cure per stanarla e, quindi, debellarla. di recente si è parlato del film Un camorrista perbene di enzo acri. il film (che tra l’altro deve ancora uscire), fortemente discusso da intellettuali e giuristi, è nato come risposta al Gomorra cinematografico diretto da Matteo garrone. la storia racconta di Michele barbetta, esponente della camorra degli anni 80’, che, dopo aver scontato 18 anni di galera per associazione camorristica, quando esce dal carcere diventa produttore discografico di un ragazzo conosciuto a Palermo. acri ridefinisce i concetti di malavita organizzata, probabilmente ritenendo la realtà presentata da saviano un po’ forzata e, in qualche passaggio, troppo romanzata. questo può anche essere, in parte, vero, ma è altrettanto vero che la letteratura – e il cinema – devono

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contenere in sé una parte di fabula, una zona d’ombra che rimanga incontaminata dal vero, anche quando è il vero che viene presentato. acri dice che la realtà napoletana non è solo camorra, sistema e delinquenza, ma c’è molto altro. questo sì che è mostruosamente vero. È l’italia che vuole far credere il contrario, così come vuole fare credere che le mafie inquinino solamente il meridione. azzardando, i governi. ed è per questo che lui ha deciso di realizzare un manifesto anticamorra. Però non possiamo passare da un eccesso all’altro. ci sono tanti napoletani che combattono la camorra, ma c’è una percentuale, anche minima, per cui la camorra è un’istituzione importante e affidabile. ci sono zone, spesso periferie, in cui vige una certa anarchia sociale, dove si cerca di combattere il degrado avvicinando i giovani al cinema, usandolo come mezzo di educazione. ed è qui che interviene saviano, con i libri e le sceneggiature dei film, ed è qui che interviene tatanka, con il sogno di un riscatto perbene, di una realizzazione professionale onesta, di uno studio approfondito sui libri prima che direttamente sul campo della vita. sogni per i giovani, sogni per tutti. Per la camorra l’ignoranza è un bene, però anche i governi hanno


l’arma del romanzo/saggio anche se questa è una forma espressiva che non ha inventato lui, ma era già nota nella narrativa di denuncia ottocentesca. fu adoperata, per esempio, dal raccontatore napoletano francesco Mastriani autore di romanzi d’appendice del periodo del basso romanticismo. la letteratura ha lo scopo di soddisfare il bisogno umano di narrare storie che, essendo fatte di carta, lasciano spazio all’immaginazione, alla fantasia e all’eventualità di ricorrere all’utilizzo di archetipi più o meno reali che facciano da supporto a quanto immaginiamo. il cinema traduce tutta la storia in immagini vere, che non hanno più bisogno di quel tipo di supporto, ma si appoggiano ad altri fondamenti per dipanare il filo della matassa. e, in questo senso, il percorso del cinema è profondamente diverso da quello della letteratura. Però sono due amici complementari che possono stare insieme. gli apparati simbolici dei due registri sono rappresentati da valenze semantiche e figurative di consistenza differente, ma di eguale valore evocativo. anche le rispettive responsabilità sono diverse, ma entrambi assai rilevanti, considerando il potere incisivo che possono esercitare su chi guarda o chi legge. tatanka, ovvero clemente russo, cerca sempre di promuovere iniziative che possano aiutare i ragazzi a rischio ad avvicinarsi allo sport invece che ad “altro”. È davvero “scatenato” anche in questo senso. i libri, il cinema e lo sport possono fare tanto. Possono fare addirittura miracoli. e le parole sono armi come tante altre: possono far paura, possono farti riflettere e possono arrivare a ucciderti. roberto saviano

dimostrato interesse nell’allevare nuove generazioni di ignoranti. la letteratura di saviano segue una strutturazione che esplora i poli opposti del bene e del male e con tatanka scatenato ha scelto di raccontare il male che ammorba un territorio insieme al bene, che sa di pugilato. lotta feroce e senza controllo contro lotta ben strutturata e disciplinata. la boxe è uno sport epico, fondato sulle regole della carne, che mettono l’uomo davanti alle sue responsabilità e nel quale i cazzotti assumono un valore simbolico. non si combatte più solo per se stessi, ma anche – forse soprattutto – per il prossimo, con il solo scopo di vincere il male che intorno ha messo radici e l’obiettivo di sradicarle a suon di pugni in faccia. il male si può combattere così o con l’approfondimento culturale che può passare attraverso il cinema, il teatro e la musica. o attraverso l’arte in sé. saviano usa

il cinema, come la letteratura, ha il compito di spiegare, insegnare, far sapere, far aprire gli occhi, ma anche di intrattenere, di sperare, di immaginare. e roberto saviano, così come i registi, gli sceneggiatori e gli attori a cui si affida, sanno farlo. dura realtà con qualche grattugiata di effetto romanzato fresco, tanto per gradire. e, così, anche dal secondo libro di roberto saviano verrà tratto un film. aspettiamo dunque di vedere Tatanka scatenato al cinema, per vedere se riuscirà a essere all’altezza di Gomorra e non deludere le aspettative di chi si è affezionato a lui e alle sue parole. curiosità: il nuovo libro (più dvd) di roberto saviano si chiama la parola contro la camorra ed è edito da einaudi stile libero. di internet e di facebook saviano ha parlato in un’intervista concessa a repubblica rivelando che per lui sono “fili diretti col mondo. una specie di pub, dove gli amici ti sostengono ma possono pure dirti che oggi hai scritto “proprio ‘na strunzata”. 

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uEditori: il catalogo qual è?

Mattioli 1885

di Paolo Melissi - paolo.melissi@gmail.com

le origini della casa editrice risalgono alla fine dell'800 e all'azienda tipografica attiva in riferimento alle terme di salsomaggiore e tabiano, con particolare riferimento quindi al settore della salute e a quello scientifico. oggi Mattioli unisce alla narrativa italiana e internazionale anche saggistica, architettura, periodici, formazione. la scelta di restringere l'attenzione alla narrativa Mattioli risponde a un'unica intenzione, quella di mettere in evidenza il paziente lavoro svolto dalla casa editrice nella costruzione di un catalogo che va facendosi via via più prezioso e interessante, insieme a una scelta grafica e stilistica personalissime, che fanno della rigorosa eleganza, e degli angoli arrotondati una cifra ormai decisamente riconoscibile. la collana “experience/experience light” raccoglie autori “classici” della narrativa, autobiografie e diari di viaggio, con un occhio di riguardo ad autori di rilievo ma anche dimenticati dai confusi e spesso troppo commerciali movimenti del mercato editoriale. una scelta precisa conferisce alla collana un'identità forte, una dote fondamentale non solo agli occhi dei lettori, ma anche dei librai, preziosi “intermediari” che, in una continua lotta contro il tempo e la sovrapproduzione editoriale, devono poter fare scelte mirate e di qualità per continuare a fare

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con profitto il loro mestiere. scorrendo il catalogo ci si imbatte in Giallo crome firmato da aldous Huxley, che scrisse il romanzo (che è racconto e riflessione letteraria insieme) durante un soggiorno in italia, piccolo capolavoro di Jerome Klapka Jerome, conosciuto ai più come autore di Tre uomini in barca, Storie di fantasmi per il dopocena, in cui i racconti di fantasmi lamentosi o dispettosi decollano grazie all'ispirazione alcolica, o in Perdersi a Londra, libro (dotato di mappa) di charles dickens, grande conoscitore della capitale inglese, che racconta la città dal punto di vista di un bambino che ci si è smarrito e di un giovane insonne che la percorre annotando ogni dettaglio con precisione scientifica. quest'ultimo libro trova la sua versione francese in Amo la notte con passione, la Parigi di guy de Maupassant, che si rivela tra le tenebre e i primi lampioni a gas, scenario da incubo o teatro di avventure. ed è difficile tenere fuori dall'elenco, seppur necessariamente sintetico, libri come Intorno ai sette colli di Julien gracq, diario al vetriolo sulla città di roma, o L'arte della scrittura, in cui robert louis stevenson elabora le sue teorie sull'arte della scrittura. nell'elenco figura anche il regista Valerio zurlini, autore di Pagine di un diario veneziano, un'autobiografia perduta che restituisce anche un autore di rilievo, oltre che un uomo di cinema, e Noa Noa: profumo, il diario di viaggio di Paul


il progetto è nato, sulla base di una casa editrice scientifica, circa cinque anni fa. all'origine della gran parte del lavoro poi fatto c'è una rivista che si chiamava “experience” e che adesso è un'esperienza ferma - non chiusa - in attesa di nuovi sviluppi. “experience” si proponeva di riunire all'interno di un solo prodotto tutti gli stimoli derivanti dalla produzione scientifica e universitaria già esistenti, fondendoli con la nuova vocazione letteraria. l'attenzione a tutti gli aspetti del lavoro editoriale e tipografico ci ha spinto a partire dal progetto di un nuovo carattere tipografico che abbiamo chiamato 'Mattioli 1885'. dal primo numero della rivista tutte le pubblicazioni della casa editrice hanno cambiato font, impaginato, formati e materiali. “experience” tentava di essere un progetto multimediale e utilizzava di norma 7/8 carte differenti per ogni volume. anche gli angoli stondati partono da quel progetto. altro discorso è quello dei contenuti, anche se in realtà mi piace pensare che non siano così disgiunti. qui entra in gioco la passione per la narrativa americana, quella dei grandi spazi Paolo cioni

gauguin sull'isola di tahiti, la cui stesura prese inizio nel 1893, al ritorno dal primo viaggio in Polinesia. da segnalare poi la recente uscita di Vagabondo in Irlanda, di John M. synge, diario di un viaggio a piedi alla scoperta delle contee di Wicklow e West Kerry, regioni rurali dell'isola verde, tra vagabondi solitari, tinkers, lavoratori itineranti, contadini e musicisti. infine un cenno alla collana “fluxum aquae”, che raccoglie romanzi legati al mare e alla “vita sull'acqua”. in catalogo, oltre a un Cuore di tenebra di Joseph conrad, spicca Il giro del mondo di un navigatore solitario di J. slocum, Vita sul Mississippi di Mark twain e La crociera dello Snark di Jack london. Intervista all'editore Paolo Cioni Com'è nato il progetto Mattioli? Mi interessa mettere in evidenza le "idee" che hanno portato alla sua nascita, oltre che i primi passi per costruire la casa editrice.

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e della frontiera.

ma in generale abbiamo molti librai attenti alle nostre uscite. non possiamo lamentarci, anche se la strada è ancora lunga.

Quali sono state le prime collane e i primi titoli pubblicati? la prima collana si chiamava e si chiama experience, con due appendici experience/frontiere ed experience/light. le collane sono dedicate alla narrativa più classica del grande patrimonio anglosassone. il primo titolo è stato Vita sul Mississippi di Mark twain, seguito da L'ultimo spettacolo di larry McMurtry, e credo che fossero indicativi delle prospettive future. la collana light sfrutta il piccolo formato e il basso prezzo, pubblica preferibilmente materiale originale e mai tradotto prima o comunque in nuova traduzione, affiancando spesso un saggio. su questa base si è sviluppato il catalogo fin qui.

Quale il/i titolo/i più venduti a oggi? grande attenzione hanno avuto Il compromesso di elia Kazan, La famiglia Aubrey di rebecca West, Una canzone per Bobby Long di ronald everett capps e il recente Non

abitiamo più qui di andre dubus. anche i light vengono molto apprezzati. e perfino Mark twain è oggi in ristampa per la terza volta, in una nuova edizione rivista.

Potete dire di avere una distribuzione sufficiente sul territorio nazionale? In che tipo di librerie riuscite a ottenere la migliore visibilità? credo di sì. abbiamo fatto un buon lavoro e i librai cominciano ad avere fiducia. la promozione è accurata e Pde ci offre un ottimo supporto su tutto il territorio nazionale. oggi le librerie feltrinelli ci stanno dando grande attenzione (con una promozione sui mesi di marzo/aprile),

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Il catalogo evidenzia autori "d'eccellenza" sia per la narrativa sia per la saggistica. Come si fa a costruire un simile catalogo? ci vuole tempo e soprattutto passione. un catalogo richiede anni di lavoro e non si può improvvisare. credo che sia importante muoversi con piccoli passi, ma con una direzione precisa, senza farsi troppo influenzare dai dati di vendita, dai consigli di chi sta fuori e non vede le cose dalla stessa prospettiva. le ricette del successo sono mille e di solito sono tutte sbagliate. credo che il successo sia sempre una sorpresa, e forse è giusto così. Vedremo cosa ci riserva il futuro.

Quali sono le principali "strozzature" del mercato, cosa impedisce una migliore visibilità/attenzione da parte dei librai? forse il problema più attuale è quello della sfiducia generale che questa crisi ha portato con sé. non riguarda solo il settore editoriale, anche se è un settore in cui i margini sono spesso ridotti o inesistenti. Passerà anche questa crisi, poco ma sicuro. il vero problema credo sia la lunga catena che va dall'autore all'editore al promotore al distributore al libraio agli uffici stampa al critico letterario e, ultimo anello, forse, al lettore. ed è sufficiente che uno qualsiasi della lista dubiti per un istante per inceppare il meccanismo. e poi siamo tanti, tanti editori, tanti scrittori, tanti giornalisti e tantissimi libri. unica certezza è che così come ci vuole tempo a fare i libri, ci pensa il tempo a far dimenticare i libri che non servono a nulla. l'ideale sarebbe potersi tutti concentrare su quelli che restano. 


L'editoria è uno strano mestiere. Usa lo spirito per fare soldi, e i soldi per fare lo spirito. Gian Arturo Ferrari

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uCantautori: per rispetto chiamati artisti

Francesco De Gregori alia

Prima parte: dagli esordi al

di Annalisa Castronovo - annalisa.castronovo@gmail.com il nome della rubrica è liberamente ispirato a un verso di un inedito che sarebbe diventato anche il titolo di un’altra canzone (e dell’album che la contiene) di francesco de gregori: Per brevità chiamato artista. come spiega egli stesso, si tratta della definizione legale, agghiacciante e divertente al tempo stesso, con cui fu frettolosamente bollato sul suo primo contratto discografico. Ma a cantautore, «brutta parola e per giunta artefatta, costruita», egli preferisce artista, per le connotazioni romantiche della parola arte, che lascia «un segno intellettuale e poetico» e non semplicemente un sapore commerciale. di questi cantautori si tratterà appunto nella mia rubrica. di chi di testi e musica ha saputo fare un’arte. in ogni articolo vorrei affrontare una personalità

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differente (anche se per alcune figure serviranno più rounds), tracciandone il profilo tra riferimenti letterari, panorama storico, aneddoti e curiosità che possano schiarire qualche tratto un po’ fumoso. Mi piace pensarli come delle “istruzioni per l’uso”. Mi è parso doveroso cominciare da colui da cui è tratto il titolo. francesco de gregori – detto “il principe” per la riservatezza che lo caratterizza, elitario sebbene ami la canzone popolare, “aristocratico” e “operaio” a un tempo – nasce nel 1951, in pieno dopoguerra, nella capitale in un contesto familiare che credo ne abbia fortemente orientato il percorso. suo padre, giorgio, fu come il nonno, luigi, uno tra i più importanti bibliotecari


as il principe

l “processo” al Palalido italiani del XX secolo; la madre, rita, invece, era una professoressa di lettere. il nome di battesimo, francesco, invece, lo deve allo zio, morto con altri partigiani (fra i quali guido Pasolini, fratello di Pierpaolo) in friuli nel 1945 (a questi, in battaglia detto Bolla, sarà dedicata Stelutis alpinis, traduzione dal friulano di un canto alpino). de gregori visse parte della propria infanzia a Pescara (per impegni di lavoro del padre) e un cenno alla città ricorrerà nella sua Signor Hood (a M., con autonomia), in cui secondo alcuni M sta per Marco Pannella (politico stimato nonostante la divergenza di vedute). francesco de gregori fu presto iniziato all’impegno sociale: quindicenne nel 1966 va col padre e col fratello a firenze per dare un aiuto concreto agli alluvionati; inoltre, la sua prima canzone racconta di un uomo che disperato perché senza lavoro si arrampica sul colosseo, ma scivolando muore. credo che la sua posizione politica si sia formata durante l’adolescenza, che lo vide diciassettenne nel 1968, l’anno clou del movimento di contestazione giovanile e di rivoluzione culturale che ha attraversato l’occidente (mentre tra i suoi compagni al liceo c’era la figlia del democristiano amintore fanfani). da sinistra: giorgio lo cascio, francesco de gregori, antonello Venditti ed ernesto bassignano al Folkstudio

Veniamo alla carriera. a diciannove anni francesco, seguendo le orme del fratello luigi (in arte dapprima ludwig e poi luigi grechi, col cognome della madre) fa il suo ingresso al Folksudio, locale trasteverino di giancarlo cesaroni, in cui si esibivano vari giovani con cover e pezzi propri, fra i quali si trovò a passare, in viaggio a roma, un tale robert zimmerman (più tardi noto come bob dylan) non ancora famoso, apparso di fronte a una platea di una trentina di persone. in quella cantina umida de gregori

incontrò giorgio lo cascio, antonello Venditti ed ernesto bassignano (con lui conosciuti come I giovani del Folk), come pure caterina bueno (alla quale sarà dedicata Caterina in Titanic), Mimmo locasciulli e giovanna Marinuzzi (flirt con la quale pare porti quest’ultima a essere la donna citata in Niente da capire). il percorso discografico di de gregori sembrerebbe cominciare al fianco di lo cascio per la it, ma in realtà il suo primo lP sarà Theorius Campus con Venditti (giugno 1972), in cui sono presenti, infatti, canzoni quali Signora aquilone di de gregori, La casa del pazzo di de gregori e lo cascio, nonché la più nota Roma capoccia di Venditti. Theorius Campus è un nome privo di un senso specifico che rievoca i campus anglosassoni fucina di idee e teatro degli scontri di quegli anni; sulla copertina scelta dal discografico Vincenzo Micocci campeggia un dettaglio dell’Ofelia, raffinata e misteriosa, dipinta da John everett Millais, pittore inglese, come inglesi sono pure quattro dei musicisti coinvolti nel progetto. l’anno successivo de gregori partecipa a Un disco per l’estate 1973 con la canzone Alice, classificandosi ultimo. Alice non lo sa, infatti, il suo primo lavoro da solista, è stato giudicato un album di complessa comprensione, ermetico. etichetta che ha accompagnato fino a oggi l’opera dell’artista. all’interno del disco sono rintracciabili gran parte delle note distintive di de gregori. ecco, dunque, il richiamo alla letteratura presente già in Alice, il cui “cesare perduto nella pioggia” che “sta aspettando da sei ore il suo amore ballerina” altri non è che cesare Pavese, il quale davvero nella suddetta situazione si ammalò di pleurite. inoltre, si riscontra con facilità la ricchezza nei testi di figure retoriche, alcune più care di altre al cantautore, basti pensare alla delicata sinestesia di un verso de La casa di Hilde (scritta con

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edoardo de angelis) che fa: “e ci mettemmo seduti ad ascoltare il tramonto” (corsivo mio). con esso non solo tratteggia un dipinto, ma evoca i suoni e l’atmosfera che completano lo scenario, realizza un panorama sonoro. Peraltro, nel vinile non mancano i primi ritratti di donna, Alice e Irene, e tanto meno i testi che oserei definire “storiografici”, come 1940, in cui la storia viene raccontata a partire dalla quotidianità di chi l’ha vissuta, così in una sola strofa chiama in causa un uomo preciso e un preciso momento storico, senza fare nomi né citando date, ma scrivendo: “e la gente/ che legge i giornali/ sta parlando/ dell’uomo coi baffi:/ l’altro ieri è arrivato/ a Parigi”. si tratta evidentemente di adolf Hitler e dell’ingresso dell’esercito tedesco nella capitale francese il 14 giugno del 1940, appunto. e c’è anche Saigon, canzone più tardi definita dallo stesso de gregori «ingenua» perché auspicava la vittoria del Vietnam del nord, la liberazione della città e il ritorno della pace; a suo dire: «riascoltare adesso Saigon alla luce di quel che è successo è frustrante. Però da quella canzone non usciva esattamente saigon, cioè la capitale di uno stato in guerra, occupata e militarizzata dagli stati uniti in nome dell’occidente che però non tutto approvava: non era una città autentica ma un luogo della mente e del mondo. un simbolo della libertà che non è soltanto il Medio oriente degli anni sessanta». nelle canzoni di de gregori, inoltre, quasi niente è lasciato al caso, neanche melodie e arrangiamenti, in Saigon spicca la sonorità orientaleggiante in un crescendo coinvolgente.

nel 1974 arriva l’album Francesco De Gregori, conosciuto come “l’album della pecora” per via della copertina, la cui immagine è costituita da un agnello accovacciato che sorregge una bandiera bianca mediante un’asta che forma le iniziali del cantautore romano. si tratta di un dipinto di gordon fagetter, batterista dei Cyan Three e primo marito di Patty Pravo. l’opera contiene alcune delle più belle – 16

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sebbene non altrettanto famose – canzoni di de gregori, da Niente da capire (sopra citata), che da un lato risponde scherzosamente (il brano, infatti, si apre con una frase tratta da un noto jingle di uno spot pubblicitario sui salumi) a chi si interroga sui suoi testi e dall’altro sembra narrare dell’essenza stessa dell’amore, a Dolce amore del Bahia, a Informazioni di Vincent (in cui Vincent è van gogh e angela davis un’attivista del movimento afroamericano e del Partito comunista statunitensi), a Giorno di Pioggia, a Bene e tante altre; A lupo, invece, fu ispirata da un produttore musicale, lupo, appunto, che aveva l’abitudine di giurare sulla propria figlia. ebbene, volete sapere cosa dichiarò un giorno de gregori di questo album? «secondo me è il disco più brutto che ho fatto». scrittori, artisti, scienziati spesso non si rendono conto di quel che hanno scoperto, inventato, creato. credo che anche questo ne sia un caso eclatante. un anno più tardi arriva Rimmel e con esso il successo. oltre all’omonima canzone (in cui la “venere di rimmel”, secondo alcuni, è un riferimento a una poesia di eugenio Montale contenuta nella raccolta Ossi di seppia), c’è anche Pezzi di vetro (dove i “pezzi di vetro” probabilmente si rifanno ai “cocci aguzzi di bottiglia”, nell’ultimo verso di Meriggiare pallido e assorto ancora da Ossi di seppia e invece “una luna e dei fuochi alle spalle” sono una palese citazione de La luna e i falò di cesare Pavese), ma contiene anche, tra le altre, le famosissime Pablo (con la partecipazione di lucio dalla e che, a quanto pare, riguarda un emigrante spagnolo che in svizzera muore sul lavoro), Buonanotte fiorellino, dolcissimo valzer ispirato a Winterlude di bob dylan e Le storie di ieri, canzone antifascista che chiama in causa anche diversi uomini politici del panorama italiano dell’epoca; in realtà il brano, che doveva essere presente nell’album precedente, prima che in Rimmel passò per Volume VIII (al quale de gregori collaborò in più parti) di fabrizio de andrè in una versione un po’ più edulcorata. il 1976 è l’anno di Bufalo Bill e del cosiddetto “processo al Palalido”. quanto al disco ci sarebbe tanto da dire, persino la copertina ha una sua storia. essa avrebbe dovuto essere un’altra, secondo lo stesso de gregori: «[…] anche se ormai mi ci sono affezionato, la copertina di "bufalo bill" è un ripiego: io avrei voluto farla con gil elvgren, Aiming to please (I Shot Him in una litografia di un the Excitement), 1946 espressionista tedesco, otto dix, che raffigurava dei pellerossa un po’


francesco de gregori

fasulli che cavalcavano in stile circense sullo sfondo di una bandiera a stelle e strisce, e che mi aveva fornito l’ispirazione primaria per scrivere la canzone», si riferisce ad American Riding Act (1922) al cui posto, invece, si trova Aiming to please di gil elvgren, ritratto estrapolato da un calendario americano del 1948, che pure ironizza sul mito americano. la canzone si fa biografia e romanzo, la storia di un uomo e di una società che passa dalla natura, dal mito del West alla meccanica, a “culo di gomma”, la cui mollezza sta nel non essersi irrobustito a cavallo, è la nuova generazione otto dix, American Riding Act, 1922 ottimista prima del crollo di Wall street del ’29. immagine ispirata a una sequenza de La ballata di Cable Hogue (1970) del regista sam Peckinpah. Ma nell’album ci sono anche canzoni d’amore come Atlantide con il “grosso suonatore di chitarre”, con “lisa”, “una ragazza di roma la cui faccia ricorda il crollo di una diga” per la quale scrive: “ditele che l'ho perduta quando l'ho capita/ ditele che la perdono per averla tradita”. Ma c’è anche Disastro aereo sul canale di Sicilia che rivendica verità nascoste, c’è Festival dedicata a luigi tenco, vittima dell’industria discografica da vivo e

dell’ipocrisia da morto (“altri ne hanno fatto un monumento per dimenticare un po’ più in fretta”), c’è Giovane esploratore Tobia, scout, adolescente, cattolico e lì l’autore si rivolge a chi, scegliendo una via per sentito dire, scivola nel qualunquismo, e Santa Lucia, che nasce da un’invocazione di uso comune quando non si trova qualcosa di evidente (fatta spesso propria dalla madre dell’artista), è la protettrice dei ciechi e questa è una “preghiera” per chi non vede, in senso esteso. invece con l’espressione processo al Palalido si riscopre una pagina triste nella carriera del cantautore che sfiorò la tragedia quando, durante il concerto del 2 aprile 1976 al Palalido di Milano, de gregori venne pubblicamente offeso da un gruppo, dichiaratosi appartenente al movimento “autonomia operaia”, che lo accusò di percepire cachets troppo elevati e di non agire concretamente per la sinistra, fino all’assurdo invito a suicidarsi seduta stante come aveva fatto Vladimir V. Majakovskij, poeta e drammaturgo russo. da quell’episodio il cantautore ne uscì indenne nel corpo, ma segnato nello spirito e sconvolto affermò che forse non si sarebbe mai più esibito. qui si conclude la prima parte dedicata al grande artista romano; nel prossimo numero si procederà seguendone il percorso tra canzoni, collaborazioni, riferimenti letterari e altro ancora da quanto ho raccontato fino ai nostri giorni. dunque, ad altre curiosità, ad altri versi e ad altre note. 

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uRacconti dal retrobottega

Se tu fai uno sconto a me io compro un libro a te

di Geraldine Meyer - geraldine.meyer@virgilio.it il viaggio all'interno della libreria continua. e continua in modo molto personale, forse disordinato. non riesco a seguire una logica che non sia quella puramente emozionale. a volte questo lavoro provoca anche molta rabbia. spesso, come piccoli librai, ci si sente impotenti davanti a logiche economiche che snaturano il mestiere. nessuno, di sicuro non io, pensa o auspica che i librai debbano vivere in una sorta di bolla economicocommerciale che segua regole diverse da quelle all'interno delle quali si muove ogni tipo di commercio. Per esempio, e ne parlerò in modo più esteso un'altra volta, sono contraria alle rese. Ma lo vedremo nella prossima puntata. oggi vorrei parlare di scontistica; sia quella che gli editori fanno ai librai, sia quella che i librai fanno ai clienti. Mi sembra un argomento abusato, certo. Ma vivendolo in prima persona mi permetto di considerarlo centrale nella mia quotidiana battaglia lavorativa. fa parte delle più elementari regole delle transazioni che chi più ti fa lavorare più meriti un incentivo per continuare a lavorare con te. e fino a qui possiamo essere tutti d'accordo. la

sfumatura che vorrei sottolineare è questa: e se si vendesse non ciò che merita ma ciò che si riesce ad acquistare con uno sconto maggiore? c'è il rischio, tanto per usare un eufemismo, che il libraio sia indotto a dare spazio, in termini di titoli e di copie, a quegli editori che gli garantiscono uno sconto maggiore. fa parte del gioco ma con quali ricadute in termini di scelte obiettive e di differenziazione dell'offerta? a volte questo può diventare uno strumento interessante nelle mani del libraio se usato per dare visibilità e vendite ad un titolo che considera davvero valido. io stessa dopo avere letto il libro di nicola lagioia, e averlo anche recensito sul blog “sul romanzo” ne ho ordinate molte copie per la mia libreria. Ho contattato il rappresentante einaudi e gli ho chiesto uno sconto maggiore a fronte di un acquisto impegnativo per la libreria. Ma si è trattato del percorso inverso. io come libraia ho deciso che quel libro andava sostenuto e me ne sono assunta la responsabilità economica insieme all'editore. Ma la decisione è stata della libreria, con quel che ne consegue, in termini anche di immagine e "riconoscibilità" del negozio. altra cosa è il rappresentante che arriva a presentarti un libro e ti dice

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che, siccome l'editore ci punta molto, ti fa uno sconto maggiore se ne compri una certa quantità. gli attori sono gli stessi ma le dinamiche molto diverse. compri, più o meno a scatola chiusa, niente altro che un prodotto. e come tale lo posizioni e lo vendi. niente di più e niente di meno. a queste considerazioni si aggiunga il fatto che, molto spesso, i libri su cui si dovrebbe puntare di più sono quelli per cui si prevedono vendite alte ma in un arco di tempo relativamente breve. a noi, tanto per fare un esempio, l'ultimo libro di dan brown non ce lo chiede più nessuno. e non da poco. lo sconto dovrebbe essere uno strumento relazionale basato sulla continuità del rapporto commerciale, nel suo complesso. dovrebbe funzionare quasi esclusivamente come supporto commerciale affinché il libraio valorizzi la propria professionalità. È evidente che nessun "bottegaio" può tenere in assortimento solo quello in cui crede fermamente. Ma la discriminante non può essere solo il margine di guadagno che quel libro, o quella linea promozionale, ti danno in cambio. uno dei più grandi librai del giappone sostiene che per la sua libreria il vero best seller non è quello di cui vende quaranta copie in un mese; ma quello di cui vende quattro copie ogni mese per dieci mesi. i numeri alla fine sono quelli ma allungati nel tempo. eppure si sta parlando sempre di quaranta copie. da noi un andamento di vendite come questo porta con sé sconti diversi. a mio modestissimo parere la professionalità è un'altra cosa e non ha come arma principale e prioritaria lo sconto. una logica diversa costringerebbe noi librai per

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primi a un maggior rigore. a una politica di acquisti che come presupposto imprescindibile dovrebbe avere la profonda conoscenza del proprio negozio, della sua reale capacità di "assorbimento" e della propria clientela. la mia opinione sullo sconto ai clienti non si scosta da quanto detto fino a qui. la riduzione, momentanea o continuativa, del prezzo di copertina non può essere l'unica arma di vendita. questa mi sembra semmai una mortificazione del mestiere, della cultura e della professionalità. fare il libraio, ma farlo davvero, è un'altra cosa. una quotidiana battaglia in cui il valore aggiunto sono elementi come cortesia, assortimento, competenza, velocità nel reperire i libri mancanti. lo sconto indiscriminato diventa un'indifferenziata offerta a pioggia. non tiene conto della reale relazione commerciale tra libreria e cliente. come prima parlavo di una continuità di rapporto nel tempo che può essere "premiata" con uno sconto del fornitore alla libreria, così dovrebbe essere tra libreria e cliente. Ma quante volte invece ci si trova un cliente alla cassa, entrato in libreria per la prima volta, che così senza nessun preambolo chiede: "fate sconti vero?". al di là dei costi con cui lo sconto incide su una piccola libreria, di cui il cliente non è tenuto a sapere nulla, è proprio una questione culturale. quando si va in farmacia o dal panettiere si chiede lo sconto? nei grandi supermercati alla cassa si chiede lo sconto? Perché in libreria sì? si tratta quindi di una visione generale del libro e del suo acquisto. se entrare in una libreria e acquistare viene determinato in


prima battuta dallo sconto c'è qualcosa di distorto. nel migliore dei mondi possibili tutti i librai acquisterebbero i libri allo stesso prezzo e li venderebbero esattamente al prezzo di copertina. questa sarebbe non solo una battaglia ad armi pari; diventerebbe anche uno stimolo per cercare e trovare altri modi di fidelizzazione. cambierebbe l'intero modo di gestire e l'intero sistema di vendita. forse a quel punto le librerie, tutte, tornerebbero davvero ad essere luoghi di promozione culturale. con connotazioni ben specifiche e distinte l'una dall'altra. Ma il commercio, già di per sé arte del compromesso, nel campo librario diventa quasi un sottile ricatto. la forza contrattuale di tutti i protagonisti diviene quasi unico arbitro delle dinamiche di vendita. non dobbiamo dimenticare però che l'interlocutore assume il potere che noi gli concediamo. 

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uPensiero antico e identità europea

Radici classiche del di Adriana Pedicini - adripedi@virgilio.it le caratteristiche fisiche dell’europa, mancando severe barriere naturali, hanno favorito fin dall’antichità i rapporti e gli scambi tra i popoli, creando le basi per una civiltà europea unitaria. Ma l’idea di europa poggia le sue radici su alcune fondamentali categorie di natura civile, culturale, religiosa, spirituale comuni a popoli che, pur diversi per storia, lingua, tradizioni e origini etniche, hanno sempre avuto in comune la convinzione di appartenere tutti a una stessa civiltà. e se nel corso della sua storia l’europa ha subito immigrazioni, invasioni, guerre, tali fenomeni hanno finito per favorire un processo di fusione e di interscambio culturale. lo spirito europeo, dunque, si può dire frutto di due culture: quella greca, tipicamente razionale e filosofica, e quella romana, costruttrice e organizzatrice della vita associata. ad esse va aggiunta quella cristiana, intesa come concezione cristiana della vita. la grecia ha diffuso in tutta l’europa il suo patrimonio culturale e soprattutto l’idea di democrazia e di libertà individuale, il concetto di stato, il valore della ragione e della scienza, l’arte, la letteratura, il teatro. roma diffuse la civiltà greca e, convinta della sua missione civilizzatrice, portò a tutti gli altri popoli europei un’esperienza di civiltà attraverso i codici di legge, l’organizzazione amministrativa e militare dello stato, il sistema di strade e comunicazioni, il fiorire di opere pubbliche, contribuendo a unificare l’europa sotto una stessa lingua, il latino. Valori come il senso logico, l’idea dell’infinito, dell’assoluto, della perfezione artistica (ereditati dai greci), insieme al diritto, al senso civico, alla virtù militare, all’organizzazione politica (da roma) sono ancora oggi, nella civiltà europea, retaggio delle radici comuni dei popoli europei. dell’europa è stato detto che è la patria della memoria

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dell’uomo, anzi la memoria stessa del mondo umano. non avrebbe pertanto senso alimentare la dialettica tra presente e passato con toni distruttivi, tra la rivolta contro il passato o l’accettazione passiva di esso, tra la coscienza delle nostre origini e lo sguardo unicamente volto al futuro, o peggio ancora fissato esclusivamente sul tempo presente. ovviamente non tutto si può risolvere mantenendo vivo il rapporto con l’antichità classica; i problemi di oggi hanno una più complessa origine che non sia il semplice rapporto con essa; ma è anche vero che tuttora si guarda all’antichità classica come alla più grande esperienza concessa dalla storia; e nei suoi “miti” si continuano a vagheggiare alcuni dei più alti valori dello spirito: come i sensi di responsabilità, della coerenza, dell’armonia, e soprattutto della continuità ed eternità, di contro alla disordinata inquietudine e alla volubile provvisorietà del tempo attuale. individuare i caratteri salienti della letteratura greca/latina e collocare i testi e gli autori nella trama generale della storia letteraria, in quanto veicolo di tematiche storiche, sociologiche e antropologiche, risolverebbe molti problemi di comprensione storica, favorendo anche la soluzione di problemi di valutazione estetica. un’attenta osservazione inoltre del lessico strutturale di svariate lingue moderne vede collocati gli etimi di molti termini afferenti all’area politica, filosofica e scientifica proprio nell’una o nell’altra delle lingue classiche. dunque molti dei temi dibattuti nelle moderne società, in special modo in contesti europei, sono riconducibili agli antichi tentativi greci e romani di gettare le basi della convivenza civile nel rispetto delle leggi e delle costituzioni. alcuni nuclei concettuali classici permangono nel pensiero europeo, come ad esempio il concetto di legge come ratio scripta, la distinzione tra ius e fas, giustizia come aequitas, così come alcuni princìpi di diritto romano sono tuttora fondamentali.


l pensiero europeo raffaello sanzio, La scuola di Atene, 1509-1511, Musei Vaticani, città del Vaticano

Valore delle leggi la pretesa che numerose leggi possano correggere i costumi è sicuro indizio di malgoverno: la vera giustizia deve basarsi su fondamenti costituzionali. leggiamo in isocrate (atene, 436 a.c. – atene, 338 a.c.) Areopagitico, par. 39-40: «questo consiglio (l'areopago) ritenne frutto d'ignoranza l'idea che gli uomini sono migliori là dove le leggi sono state fissate precisamente per iscritto, perché allora nulla impedirebbe che tutti i greci fossero uguali, data la facilità di scambiarsi normative scritte. "com'è possibile?" dicevano "non è certo da questo che la virtù trae incremento, bensì dai comportamenti quotidiani, perché la maggior parte degli uomini tende ad assimilare quegli atteggiamenti morali in mezzo ai quali è cresciuta. e così la quantità e la precisione di dettato delle leggi sono segno che la città è mal organizzata: i cittadini per fare argine ai delitti si sono visti costretti a moltiplicare le normative». e inoltre: «chi governa rettamente non riempie i portici di parole scritte, ma possiede la giustizia nell'animo. non dai decreti, ma da sani costumi vengono ben governate le città, e chi è stato allevato male non si farà scrupoli a violare anche le leggi più accuratamente scritte, mentre chi ha ricevuto una buona educazione si atterrà alle leggi anche se formulate con semplicità. Perciò non si accanivano a cercare pene raffinate per punire chi tralignasse, ma piuttosto un modo per cui nessuno si macchiasse di delitti degni di castigo. questo era il loro dovere: la vendetta conviene ai nemici».

La mancanza di un principio ispiratore introduce precarietà nelle leggi e malcostume fra i cittadini le leggi non sono da considerarsi figlie occasionali dei tempi, capaci di assecondare questo o quell’altro interesse privato, pur interpretando il senso dei tempi. Ma la loro genesi deve essere la costituzione, che i Padri hanno tramandato e che può senz’altro essere migliorata, senza travisarne lo spirito e il dettato interno. «…Vuoi che ci prendiamo la briga di definire per legge l’esazione delle tasse, le imposizioni obbligatorie, l’uso delle piazze, dei porti, oppure anche quella normativa di carattere generale che ha per oggetto i mercati...? e chi trova la forza e la volontà di raddrizzare siffatte città, non lo ammireresti per il suo valore e per la sua disponibilità? questo sì, – ammise –, ma non coloro che si fanno ingannare da quei millantatori che credono di essere dei veri uomini politici, solo perché la folla li applaude. non essere troppo severo, perché costoro, dopotutto, sono i più simpatici, col loro fare e rifare le leggi, convinti come sono di trovare la norma risolutiva contro le frodi nei contratti, e nelle attività sopra menzionate» [Platone, Repubblica 426 d, e].

Le leggi entrano nell’educazione dei giovani la conoscenza delle leggi, intesa come matura consapevolezza, è l’ultimo gradino nel sistema educativo dei giovani e viene affidato alla polis. «e quando (i giovani) lasciano la scuola, la città, dal canto suo, li costringe ad imparare le leggi ed a vivere secondo queste, affinché non agiscano di testa loro e a capriccio… la città, prescrivendo le leggi, trovate da antichi ed eccellenti legislatori, costringe a comandare e ubbidire secondo quelle.

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eugène delacroix, La Libertà che guida il popolo, 1830, Musée du louvre, Parigi

e chi si allontana da esse è punito» [Platone, Protagora 325c-326d].

I fondamenti del diritto natura o opinio, natura o convenzione a fondamento dello ius, del diritto? il diritto che sta alla base della società deriva dalla legge naturale, cioè da un criterio universale di scelta tra bene e male. se il diritto avesse fondamento nell’opera dell’uomo, potrebbe essere considerato diritto qualunque misfatto, purché sanzionato come legale da un’autorità che abbia il potere costituzionale per farlo. la questione è affrontata da cicerone nel De legibus (i, 15-16 passim): «dobbiamo infatti spiegare la natura del diritto ed essa deve essere fatta derivare dalla natura umana, dobbiamo considerare le leggi con le quali si debbano governare gli stati, e poi dobbiamo trattare di quelle leggi e di quegli ordinamenti dei popoli che sono stati codificati e distinti, e fra di essi non ci sfuggiranno certo quelli del nostro popolo, che sono chiamati diritti civili. Piacque dunque agli uomini più dotti nella materia di partire dalla legge, non so se con buone ragioni, a condizione che, secondo la loro stessa definizione, la legge consista nella norma suprema insita nella natura, la quale ordina ciò che si deve fare, e proibisce il contrario. questa norma medesima, quando è resa certa, ed impressa nella mente umana è la legge. Pertanto questi giudicano che legge sia la saggezza, la cui forza è che essa comanda di agire rettamente, vieta di commettere colpa, e ritengono che essa, in base al suo nome greco, sia stata così chiamata dall'attribuire a ciascuno il suo, io invece, in base al suo nome latino, da "scegliere"; infatti come quelli attribuiscono al termine "legge " il significato di equità, così noi vi attribuiamo quello di scelta, ma tuttavia ambedue i significati sono propri della

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legge. se questo ragionamento è esatto, e certo a me in linea di massima sembra tale, la fonte del diritto è da desumersi dalla legge; essa infatti è la forza vitale della natura, essa è mente e ragione del saggio, essa criterio del giusto e dell'ingiusto. Ma poiché ogni nostro discorso mira alla comprensione delle masse, sarà necessario parlare talvolta in forma popolare e chiamare legge quella che, scritta, sancisce ciò che vuole o comandando o vietando secondo la definizione corrente».

Importanza della costituzione ideale

Costituzione

e

la

«eppure sappiamo tutti che la condizione favorevole (a ben governare una città) la predispongono e la conservano non coloro che si circondano di mura bellissime e grandissime o coloro che si riuniscono nello stesso luogo insieme a un elevatissimo numero di persone, ma chi amministra la propria città nella maniera migliore e più accorta. l'anima di una città non è nient'altro che la costituzione, che possiede tanta forza quanta ne ha nel corpo l'intelligenza. Proprio la costituzione è colei che assume le deliberazioni riguardo a qualsiasi argomento, custodisce i beni e allontana le disgrazie: ad essa è giusto che si conformino sia le leggi, sia gli oratori, sia i privati cittadini e agiscano in accordo con la costituzione che si trovano ad avere» [isocrate, Panegirico, 30 passim]. rispetto ai greci che in nome della libertà e dell’autonomia non riuscirono a superare il frazionamento politico in nome di un’armonia panellenica, i romani grazie alla loro indole pratica seppero concretamente con un impero durevole realizzare un’unità di cultura e strutture politiche, sociali, economiche e militari, pur nel rispetto di ciascuna gente sottomessa. Per Polibio la causa prima di ciò consiste nella costituzione romana. «stando così le cose, fra le tre forme fondamentali


di governo, per me la monarchica é di gran lunga la migliore. Ma la stessa monarchia cede a quella costituzione in cui le tre forme predette siano contemperate e s'equilibrino perfettamente fra loro. É bene infatti che, in uno stato, ci sia qualcosa di sommo e di regale, e, d'altra parte, che si conceda equamente qualcosa all'autorità dei grandi e che, infine, qualche materia sia riservata al giudizio e alla volontà della moltitudine. questa costituzione ha, innanzi tutto, una certa grandiosa imparzialità della quale non possono mai a lungo fare a meno i popoli liberi, ed ha poi la stabilità, mentre tutte le altre forme cadono al più presto nell'eccesso contrario e da un re nasce un tiranno, e dai grandi la fazione e dal popolo la setta e la confusione. e tutte queste forme si alternano e si succedono senza fine, cosa che, in questa costituzione mista e ben temperata, non potrebbe mai avvenire senza gravi torti dei capi. non ci potrebbe essere infatti ragione di mutamenti in una società in cui ogni parte abbia il posto che le compete e non abbia sotto di sé alcunché su cui piombare» [cicerone, De Republica 1, 69-70].

Prevenzione del delitto e importanza della educazione. il principio della prevenzione del delitto e l’altro secondo cui ogni pena deve mirare al recupero e al reinserimento del deviante nel tessuto sociale, principi fondamentali del diritto italiano, risultano già espressi in isocrate, Areopagitico, 39-42: «non badavano a cercare innanzitutto gli strumenti per punire i violatori dell’ordine, ma i mezzi con cui evitare che si macchiassero di qualcosa meritevole di pena: ritenevano che questo fosse il loro compito… si occupavano di tutti i cittadini ma soprattutto dei giovani. Vedevano infatti che le persone di quella età vivono in modo molto disordinato e sono preda di moltissimi desideri ed è quindi necessario domare i loro animi con l’interesse per occupazioni belle che mescolino

fatiche e piaceri: permane infatti in queste sole occupazioni chi riceve un’educazione da uomo libero e si abitua alla grandezza d’animo».

Libertà di pensiero e di parola nello Stato, ovvero libertà e democrazia l’idea di libertà di pensiero e di parola fu assicurata come diritto all’individuo e conquistata dai greci attraverso una lunga lotta e la rottura con le consuetudini di una tradizione che sembravano immutabili. Parimenti è greca l’idea di libertà nello stato, che non vuol dire anarchia e indipendenza dall’autorità, ma consiste nel vigore di leggi che garantiscano la libertà di ciascun cittadino e non consentano soprusi e prevaricazioni (ovviamente sono ignorati i diritti dei non cittadini, donne e schiavi). «la nostra costituzione non calca l'orma di leggi straniere. noi piuttosto siamo d'esempio agli altri, senza imitarli. il suo nome è governo del popolo: perché affidiamo la città non ad un'oligarchia, ma ad una più vasta cerchia di cittadini; ma in realtà le sue leggi danno a tutti indistintamente i medesimi diritti nella vita privata; e per quanto riguarda gli onori ognuno viene prescelto secondo la fama che gode: non per l'appartenere all'uno o all'altro partito, a preferenza del valore. né avviene che la povertà offuschi il prestigio e arresti la carriera di chi può rendere buoni servigi alla città. libera si svolge la vita politica della nostra città; e, quanto a quel sospettoso inquisire nelle quotidiane abitudini dei concittadini, non ci si irrita col vicino se anche in qualche cosa si comporta a piacer suo; né lo si rattrista con dispettoso cipiglio, pur senza colpirlo direttamente. senza alcuna costrizione nella vita privata, nei rapporti pubblici non trasgrediamo la legge, soprattutto per reverenza verso di essa: ubbidendo ai magistrati in carica e alle diverse leggi: specialmente a quante proteggono gli offesi e a quante, senza essere scritte, recano come universale sanzione il disonore» [tucidide, ii,37].  Fine seconda parte

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uProspettiva fantasy

J. R. R. Tolkien e la svolta di Marcello Marinisi - marcello.marinisi@gmail.com tante parole sono state spese su John ronald reuel tolkien (1892-1973). Per molti anni, le sue opere sono state assunte a vessillo dei movimenti di destra del nostro paese che, per via di un’interpretazione fantasiosa, vedevano in esse un baluardo dei principi su cui si basavano le loro rivendicazioni. oggi queste questioni sono state superate e anche in italia si è avviato un dibattito molto più sereno sull’autore e sulla sua produzione

letteraria. tolkien è unanimemente riconosciuto come il più importante autore di fantasy di sempre e the times lo ha inserito nella lista dei “50 più grandi autori inglesi dal 1945”. nell’economia del nostro discorso sulle prospettive di evoluzione della fantasy italiana, parlare delle opere del professore dell’università di oxford è utile per riuscire a tracciare una linea che serva a delimitare i seppur vasti confini all’interno dei quali, oggi, si muovono le opere che appartengono a questo genere.

John ronald reuel tolkien, pastello

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illustrare la grandezza delle opere di tolkien non è il mio compito, basta citare romanzi come il signore degli anelli, il silmarillion o lo Hobbit per dare un’idea dell’importanza del ruolo che questo autore ha rivestito per la crescita di un genere in cerca di un padre che gli desse lustro e credibilità. tolkien ha avuto il grande merito di vestire la fantasy con un abito elegante e di foggia eccelsa. grazie ai suoi studi sulle culture, le leggende, le fiabe e le lingue antiche, egli è riuscito a plasmare un mondo con un forte grado di autonomia rispetto a quello a lui contemporaneo e a creare una lingua originale grazie alla


a classica

quale ha realizzato un corpus di racconti, un’epica in grado di fornire un substrato culturale alle popolazioni che abitavano quel mondo e parlavano quella lingua. in effetti, si può affermare che il signore degli anelli prima e il silmarillion poi (e più marginalmente anche lo Hobbit), rappresentano, in un certo senso, un mero pretesto per permettere a tolkien di utilizzare in un contesto credibile la lingua da lui elaborata. a ben pensare, un’operazione di questo tipo rappresenta un caso più unico che raro anche tra i successori dell’autore inglese; infatti, le opere “figlie” del lavoro di tolkien non fanno altro che poggiare le loro basi su una cosmogonia già ben strutturata. tutto questo ha permesso di porre tolkien come uno spartiacque e di definire la letteratura fantasy come se

esistesse un prima e un dopo il signore degli anelli, insomma, come se il più importante romanzo della produzione tolkieniana rappresentasse la pietra miliare che ha gettato le basi per l’evoluzione di un intero genere. la fantasy come genere autonomo nasce con tolkien e da lui prendono spunto tutti gli autori successivi che pescano a piene mani nei topoi sviluppati in quelle opere che, a loro volta, affondano le loro radici nella tradizione mitologica norrena. È soltanto dopo la pubblicazione de il signore degli anelli che si può parlare a pieno titolo di fantasy classica (o alta) ed è soltanto attraverso la definizione dei canoni di base di questo genere che è stato possibile avviare tutta una serie di innovazioni che hanno portato negli anni alla situazione attuale. così, dallo sword and sorcery si è passati all’heroic fantasy, per approdare alla fantasy contemporanea (con forti tinte punk e 2010 • Sul Romanzo

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questo genere che negli ultimi decenni si sta dimostrando, invece, molto prolifico e gode di buona salute.

contaminazioni fantascientifiche) e alla cosiddetta dark fantasy (quel sotto-genere fortemente intriso di horror e gotico). senza l’opera di tolkien (ma non dobbiamo dimenticare anche il contributo basilare di clive staples lewis e delle sue cronache di narnia), non sarebbe stato possibile parlare di fantasy contemporaneo, poiché sarebbero venuti meno i presupposti di base per l’evoluzione del genere. in fin dei conti, egli può essere considerato a pieno titolo il capostipite di una nuova generazione di scrittori che, affascinati dalla sua capacità di plasmare mondi, si sono cimentati in una sfida che ha permesso di far crescere e arricchire la fantasy, fino a farla diventare uno dei generi più letti, soprattutto tra i più giovani. sebbene la fantasy nasca come letteratura per ragazzi (lo stesso tolkien scrisse lo Hobbit per intrattenere i nipoti ancora fanciulli), ultimamente, essa ha travalicato questi confini per approdare su un terreno di sfida più ampio. sono sempre più frequenti i romanzi che si rivolgono a un pubblico più adulto (cosiddetti giovani-adulti, quella fascia di consumatori con un’età compresa tra i 20 e i 35 anni), che trattano tematiche più impegnate e vengono scritti con un stile narrativo meno fanciullesco e più vicino al gusto di lettori sempre più esigenti. tuttavia resta una generale diffidenza da parte del pubblico adulto nei confronti di

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oggi, i confini dei generi sono molto labili, le contaminazioni sono molteplici e la fantasy vive un momento di grande fermento anche in italia. sempre più spesso i canoni dell’horror e della fantascienza vengono calati in romanzi fantasy di autori di grande successo, rendendo sempre più vivaci le ambientazioni e le trame che, in questo modo, si discostano dalla tradizione classica per approdare su sponde spesso inesplorate ma fortemente intrise di fascino. certamente, John r.r. tolkien ha donato molto alla fantasy riuscendo a infondere una linfa quasi inesauribile in grado di gettare le basi per quasi l’intero panorama contemporaneo del genere. negli anni compresi tra il ’68 e la fine degli anni settanta, la letteratura fantasy ha sofferto molto il confronto con le opere di tolkien. autori di talento non sono riusciti a emergere nel mare magnum del genere, rimanendo schiacciati dal peso delle opere tolkieniane. in un tentativo continuo di distaccarsi dai topoi e dallo stile de il signore degli anelli, la fantasy ha cominciato a perdere di vista la sua natura. fino al 1977, anno in cui la del rey, sfidando la sorte, decide di pubblicare il romanzo di esordio di un avvocato dell’illinois, un tale di nome terry brooks. la spada di shannara – questo il titolo dell’opera – balza improvvisamente al vertice della classifica del “new York times” dei libri più venduti e ci rimane per cinque mesi. si tratta del primo fantasy a fregiarsi di questo grande onore, ma questa è un’altra storia e ne parleremo nel prossimo numero.



uI libri che ti cambiano la vita

Gente che bussa alla di Marta Traverso - marti.traverso@gmail.com «Al coraggio dei palestinesi e di tutti coloro che li guidano per la riconquista di almeno una parte della loro terra. Questo libro non ha niente a che vedere col loro problema».

Patricia Highsmith

questo viaggio parte da una scelta: accettare che il riferimento ai palestinesi sia puramente casuale, totalmente estraneo ai contenuti del libro, oppure fermarsi un istante e riflettere su una possibile connessione. non quella che Patricia Highsmith ha eventualmente ipotizzato nello scrivere questo romanzo, ma quella che io – in quanto lettore – individuo e rendo mia.

Patricia Highsmith

chi sono i palestinesi? sulla carta non esistono, sono solo un insieme di individui stanziati in un certo territorio, del quale rivendicano l'appartenenza politica. la loro battaglia – a prescindere dall'opinione pro o contro di ciascuno di noi, ma soffermandosi unicamente sui loro intenti – altro non è che una lotta per la conquista dell'identità e della dignità. il lettore più attento a ciò che incontra durante questo viaggio, si accorge presto che il nucleo centrale del romanzo non è un adolescente americano che deve scegliere quale college frequentare, vive le gioie e i drammi del primo amore e si ribella al fanatismo religioso del padre, quanto piuttosto l'affermazione dell'identità e della dignità di ogni persona umana.

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porta il viaggio ha il suo punto di inizio in arthur e Maggie: lui ama la biologia, lei predilige la sociologia. un pomeriggio di studio insieme li porta a dare compimento a quel ciclo vitale di cui poco prima hanno tracciato il diagramma per compito. un ciclo guardato con occhi pieni di paura da una diciassettenne rimasta incinta al primo rapporto sessuale, una paura che la porta a una scelta sofferta, ma di fronte alla quale la disperazione non presenta alternative. interpretando alla lettera la dottrina della religione cattolica, ne emerge che un sacerdote può assolvere in confessione uno stupratore o un omicida, ma non una donna che ha abortito. i recenti fatti di cronaca ci ricordano inoltre che un sacerdote che si sposa o che benedice una coppia omosessuale viene punito con la riduzione allo stato laicale, mentre ciò non avviene per chi commette abusi su minori. questi gli inevitabili pensieri che attraversano la mente proseguendo nella lettura. inevitabili perché i media, la società, la nostra forma mentis, tutto ci abitua a ragionare secondo criteri di prossimità. la nostra capacità di giudizio si orienta istintivamente verso quei concetti che più ci sono affini. questo viaggio “cambia la vita” se chi lo intraprende accetta di estendere la propria visione a una prospettiva più ampia. fermiamoci un istante e rileggiamo. famiglia. un padre, una madre, due figli adolescenti. richard alderman fa l'assicuratore, e la sua filosofia di vita si riassume in un principio fondamentale: «è nella natura dell'uomo desiderare di progredire, ma questo non è quasi niente in confronto a un gruzzolo in banca o a un investimento che cresce anno dopo anno». un'impostazione interiore che di fronte a un evento drammatico – il ricovero in ospedale del figlio minore per una forma acuta di tonsillite – devia lungo un diverso binario, che conduce fino al punto più estremo: «per me, e credo anche per la maggior parte dei genitori, è

impensabile tollerare in casa la presenza di un figlio, o di una figlia, che deliberatamente si fa beffe dei principi da cui essi sono ispirati». quali principi? la First Church of Christ Gospel non è cattolica, né ebrea, né battista. questi gli unici indizi che vengono concessi in modo esplicito nel corso del viaggio. la First Church of Christ Gospel è un concetto che trascende ogni culto e ogni congregazione, e ci insegna che il fanatismo non ha colore, se non il nero della chiusura mentale di chi lo pratica. un nero che è buio, buio di fronte ai propri stessi figli e ai propri doveri di genitore. il figlio più grande, arthur, cacciato di casa perché continua a frequentare la ragazza colpevole di aver abortito. cacciato perché frequenta la famiglia di lei, che «sfoggia la mancanza di ogni umana decenza, di ogni moralità. Non li accetterei mai come clienti». cacciato perché non va con loro in chiesa la domenica. cacciato perché studia biologia e rifiuta di credere che il mondo è stato creato in sette giorni. il figlio più piccolo, robbie, resta in famiglia perché esce con le persone giuste. Persone più grandi, alcune di loro già adulte, tutte conosciute nell'ambito della chiesa. Va a caccia e pesca con loro, a seconda delle stagioni. non gli interessano le ragazze, né i balli della scuola, né tutto ciò di apparentemente immorale. Ha un carattere chiuso, spesso irascibile, con frequenti sbalzi d'umore, ma nessuno ci fa troppo caso. Va in chiesa ogni domenica e critica apertamente l'aborto, tanto basta. chi ha bussato alla porta di casa alderman? non il reverendo bob cole, né il misterioso eddie Howell, né la prostituta irene langley. Ha bussato un'intera vita trascorsa all'ombra di una piccola cittadina, di un lavoro sicuro, di una famiglia dall'apparenza ineccepibile. Ha bussato l'incapacità di cogliere il dolore dei propri stessi figli fino all'inevitabile epilogo. Ha bussato il seminatore che ha gettato il seme sul suolo roccioso (dove spunta ma non mette radici, e inaridisce appena sorge il sole) invece che sulla buona terra. 

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uConcorso letterario Legambiente

Il Grande Albero

Concorso letterario per giovanissimi scrittori ‘in erba’

di Annalisa Castronovo annalisa.castronovo@gmail.com

susanna tamaro durante la Festa dell’Albero 2009

in seguito alla Festa dell’Albero, organizzata da Legambiente nel novembre 2009 in collaborazione con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del Mare (in occasione della quale sono state scattate anche le fotografie qui mostrate), ha preso il la un progetto ambientale, Un albero per il clima, all’interno del quale si pone il concorso letterario Il Grande Albero. l’iniziativa è rivolta a bambini e bambine di età compresa tra i 7 e i 10 anni che vogliano cimentarsi nello scrivere un racconto di massimo 50 righe (circa 650 parole) in cui esporre «esperienze, emozioni e storie relative alla natura e Festa dell’Albero 2009 agli alberi», alla loro importanza per gli ecosistemi, la biodiversità, l’attenuazione dei cambiamenti climatici e la bellezza di cui essi ammantano anche gli spazi urbani. a valutare i testi ci sarà una giuria, presieduta dalla scrittrice

Festa dell’Albero 2009

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Susanna Tamaro, che terrà conto sia delle abilità compositive dei piccoli scrittori in erba sia dell’attinenza con il tema indicato. al vincitore verrà assegnato un kit per realizzare da sé la carta riciclata e un premio consistente in tre libri di salani editore, vale a dire Il grande albero, L’uomo che piantava gli alberi e L'insalata era nell'orto. inoltre, i migliori racconti saranno pubblicati su www.legambientescuolaformazione.it Per partecipare occorre inviare il manoscritto inedito entro il 30 aprile 2010, unitamente alla Scheda di Adesione (che conterrà i dati relativi al bambino e la firma di un genitore e che è presente sul sito Web sopra citato), via e-mail, fax o posta agli indirizzi riportati nella pagina qui a fianco. Per approcciarsi alla scrittura e per sostenere l’ambiente non è mai troppo presto. 


Concorso letterario Il Grande Albero di Legambiente e Susanna Tamaro Il concorso Il Grande Albero indetto da Legambiente e Susanna Tamaro è un concorso letterario a premi che ha l’intento di promuovere la scrittura e la cultura dell’ambiente tra i bambini e le bambine di età compresa tra i 7 e i 10 anni. L’iniziativa è inserita anche nel progetto di educazione ambientale di Legambiente Un albero per il Clima organizzato in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

Il tema I partecipanti dovranno realizzare un breve racconto di massimo 50 righe sull’importanza che gli alberi rivestono per la natura e la vita sulla Terra, raccontando le emozioni e la gioia che essi regalano, la varietà dei loro fiori, foglie e frutti, la bellezza che donano alle nostre città con la loro presenza.

Come partecipare Il racconto dovrà essere inedito e dovrà pervenire unitamente alla Scheda di Adesione, via e-mail all’indirizzo festa.albero@legambiente.it, via fax al numero 06.86268474 - c.a. Ufficio Campagne, oppure via posta all’indirizzo: Legambiente Onlus – Ufficio Campagne – Via Salaria 403 – 00199 – Roma. Entro il 30 aprile 2010.

Premiazione! La giuria, presieduta dalla scrittrice Susanna Tama ro, giudicherà i lavori pervenuti in base alla rispondenza al tema e all’abilitàcreatività e della scrittura. Il vincit ore sarà premiato con un kit per fare con le proprie mani la carta riciclata e tre libri: Il grande albero, L'uomo che piantava gli alberi e L'insalata era nell'ortodi Salani Editore. La scheda di adesione e il regolamento completo www.legambientescuolaformazione.it su: Per informazioni:festa.albero@legambiente.it tel. 06.86268348


uScrittori allo specchio

Una stanza per noi di Sabrina Campolongo - sabrina.campolongo@libero.it e Morena Fanti - morenafanti@gmail.com hanno posticipato l'invio di questa mail. l'altra ragione è privata, altri impegni da seguire, ma non è del tutto fuori luogo parlarne qui, credo. Mi sembra che abbia decisamente a che fare con la stanza tutta per sé, il fatto che, ora che l'abbiamo trovata, o che è alla nostra portata almeno, prese da un misto di euforia e senso di colpa tendiamo a riempirla oltre il possibile, a ingombrarla di progetti, attività, libri da studiare, oltre a portarci anche lavoro da finire, alla fine, cose dal mondo "di fuori". non la proteggiamo abbastanza, questa la mia impressione, forse perché non ci appartiene, in fondo, l'idea di sacralità di un luogo, o non ci appartiene più. l'inviolabilità di un nostro spazio, la sacralità del nostro tempo. cerco di concentrarmi in questa riflessione, in questo dialogo con te che ancora non conosco – so solo che sei una donna che scrive, e già questo mi fa pensare che tu possa capire quello che dico – e intanto rispondo al figlio piccolo che mi chiede se la e viene prima della f, tra poco andrò in cucina a controllare che la fiamma sotto al brodo non sia troppo alta, mia figlia mi ha appena letto a voce alta il suo problema di aritmetica. la mia stanza è questo foglio bianco che scrivo, e se lo è, tutta per me, direi che ha qualche problema di spifferi, come minimo.

george charles beresford,Virginia Woolf, 1902

Sabrina: cara Morena, eccomi, infine. a parlare di Virginia Woolf, e di scrittura femminile, ancora. confesso che, me ne sono resa conto ieri sera, mentre, a causa di un brutto raffreddore, non riuscivo a prendere sonno, forse la scelta del tema è una delle ragioni che

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si cerca di tenere assieme tutto e non ci si assolve mai, quando qualcosa si perde per strada. come riuscisse a fare tutto questo è sorprendente, - scrive il nipote nel proprio mémoire - perché non aveva uno studio proprio in cui rifugiarsi, e la gran parte della sua opera deve essere stata scritta nella stanza di soggiorno comune, dove era soggetta a ogni sorta di interruzioni casuali. faceva in modo che né le persone di servizio né i visitatori o chiunque altro al di fuori della famiglia si accorgessero di quello che faceva.


Jane Austen, basato su un ritratto della sorella Cassandra, 1873

È cambiata poi molto, la condizione della donna che scrive, non solo da quando Virginia Woolf citava questo passaggio dal mémoire del nipote di Jane austen in Una stanza tutta per sé, ma addirittura da quando il nipote lo scriveva, o da quando Jane austen lo viveva? non chiuderò forse questa pagina, tra poco, quando ci sarà bisogno di fare qualcosa di più "utile"? la condizione della donna che scrive, è solo questo che mi interessa, parlando di “letteratura al femminile”, i temi e la visione femminile non esistono, se non si parla, allo stesso tempo di letteratura maschile, riferendoci a quello che viene scritto dagli uomini. Ma questo non interessa, mi pare. quella è la letteratura. Punto. eppure sono i valori maschili a prevalere. Parlando grossolanamente, il calcio e lo sport sono “importanti”; il culto della moda, acquistare vestiti sono “frivolezze”. e questi valori, inevitabilmente, trasmigrano dalla vita alla letteratura. ecco un libro importante, pensa il critico, perché parla di guerra. quest’altro invece è un libro insignificante perché ha a che fare con i sentimenti delle donne in un salotto. la moda non è più un argomento così frivolo, oggi, ma solo perché sono maschi, in prevalenza, a fare soldi sul culto della moda, e maschi, ormai, nella stessa misura delle donne, o quasi, i grandi clienti del mercato dell'apparire. la sostanza del ragionamento, quindi, non cambia. Per il resto, se una donna scrive di guerra, ha scritto un "magnifico affresco femminile sulla guerra", se scrive di violenza, di finanza, di potere idem. se un uomo scrive d'amore, scrive di Vita, se una donna scrive d'amore scrive d'amore. la domanda sulla vita privata non si risparmia a nessuna atleta donna, anche se ha superato un record del Mondo, l'hai notato? Ma sono discorsi così triti che mi vengo a noia da sola. la domanda a cui non so darmi risposta è sempre la stessa: perché lo accettiamo? la Woolf aveva immaginato grandi cose per le donne che sarebbero venute dopo di lei, quelle che avrebbero avuto, finalmente "una stanza tutta per sé". e allora ti chiedo: ce l'abbiamo, intanto, secondo te? e, se ce l'abbiamo, o comunque potremmo permettercela, che uso ne stiamo facendo?

Morena: la tua lettera, sabrina cara, è un bellissimo testo, pieno di spunti e riflessioni, con domande che io stessa mi pongo spesso. continuerò a ragionare su questo argomento che, credo, dovrebbe starci ancora di più a cuore. credo che noi (intese come donne, ma anche come 'noi' in questi anni) ci portiamo sulle spalle così tanta zavorra da appesantire il nostro pensiero e il nostro sforzo intellettuale. È difficile approfondire questo argomento. la tua domanda finale mi pone in situazione di precarietà e di dubbio: che uso facciamo di ciò che possediamo, ora che abbiamo finalmente la nostra stanza e le “cinquecento sterline” tanto auspicate dalla Woolf? Mi domando spesso se stiamo usando tutto ciò che abbiamo, o se invece non usiamo la nostra voce mitigandola e adattandola a ciò che crediamo debba essere. Penso spesso che noi dovremmo smettere di pensare a “noi” e a “loro”: questo è il primo scoglio. se gli uomini usano pensare che esista una letteratura femminile è forse perché noi permettiamo loro di pensarlo, non credi?

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dobbiamo alzare la testa, guardare oltre la massa di sentimenti e abbattere gli ostacoli che impediscono alla nostra mente di “divenire incandescente”. dobbiamo abbandonare i fardelli di rancori passati, quelli delle nostre nonne e bisnonne che venivano relegate in un ‘salotto comune’ [niente “stanza tutta per sé” e niente rendita di cinquecento sterline annue per loro] e derise se osavano avvicinarsi a quelle che erano ritenute “attività maschili”. noi ci comportiamo ancora come Jane austen; nascondiamo ancora i nostri fogli e temiamo ancora il giudizio del mondo. Vincent van gogh, Camera da letto, 1888, Van gogh Museum, amsterdam

se non troviamo la nostra vera voce, se non abbiamo il coraggio di usarla, come possiamo pensare che gli altri possano accordarci questo diritto/potere? quale stato d’animo è più propizio per l’attività creativa? si domandava la Woolf facendo ricerche per scrivere la sua conferenza sulle donne e sul romanzo. «scrivere un’opera di genio è quasi sempre un atto di coraggio che comporta una prodigiosa difficoltà” e ancora “la mente dell’artista, per poter realizzare l’impresa prodigiosa, deve essere incandescente [… ]. in essa non devono esservi ostacoli, né alcuna materia estranea che non sia stata consumata». cosa significano queste parole? riusciamo a cogliere il loro senso e a trarne una guida per portare avanti il nostro pensiero e affondare le difficoltà? siamo incandescenti? se esploro il mondo letterario, cercando e leggendo le autrici oggi più note e apprezzate, troverò ancora materia estranea non consumata? credo di sì. io credo che ci portiamo ancora sulla schiena i secoli passati e non ci siamo affatto svincolate dai pensieri degli intellettuali dell’ottocento. noi pensiamo ancora di dovere relegare la nostra voce in certi ambiti e in certe modalità espressive. abbiamo la nostra stanza e non ne facciamo buon uso. 36

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sembra, quindi, che non basti avere questa “stanza tutta per noi” che abbiamo conquistato, e neanche le cinquecento sterline annue che ci tengano al riparo e ci tolgano qualcuno dei pensieri che ci distraggono dalla scrittura. se la stanza non è chiusa, se lascia passare spifferi molesti (e non mi riferisco ai figli o alle incombenze di casa dalle quali sembra impossibile esimerci) e non ci permette quel dialogo interno che ci porta alla scrittura, abbiamo un problema diverso, e forse si chiama ‘consapevolezza’. forse abbiamo ancora qualche timore residuo, o qualche ansia, e temiamo di non essere adeguate, o forse coviamo ancora la convinzione che gli uomini vogliano escluderci da certe stanze e ci vogliano confinate nelle stanze di servizio. il vero limite è sempre dentro le persone. Penso che se riusciremo a smettere di vedere il limite lo elimineremo. se abbiamo una visione del mondo dobbiamo esprimerla: non dobbiamo ‘adattarla’ a ciò che crediamo sia giusto, a ciò che il mondo si aspetta da noi. se vogliamo essere dentro ciò che scriviamo, non dobbiamo farlo da spettatrici, bensì da attrici e dobbiamo essere un tutt’uno con chi ci legge. in una lettera personale a Margaret llewelyn davies, Virginia Woolf scriveva: «l’immaginazione è in gran parte figlia della carne. non si può essere la signora giles di


durham se il proprio corpo non è mai stato chino sulla tinozza del bucato». questo pensiero era nato da una riflessione che le era stata suggerita dal comportamento notato in un gruppo di donne (le donne che assistevano ad un suo discorso nel 1913, a un congresso della lega cooperativa delle donne) che, diversamente da lei «[…]non girellavano per casa dicendo che bisognava mettere nei panni sporchi quella coperta o cambiare quelle lenzuola: immergevano le braccia nell’acqua bollente e strofinavano energicamente i panni loro stesse. […] quelle donne non toccavano nulla con delicatezza; afferravano penne e matite come se fossero state scope». Mettiamo le mani nella tinozza e scriviamo ciò che stiamo vivendo.

M: È tutto vero: tutto deve partire da noi e uscire da qui, proprio da questa nostra mente che si accende [per ora] solo a compartimenti ben divisi. dobbiamo lasciare che il fuoco si propaghi in tutti gli angoli e ci tolga la zavorra. l’atto purificante del fuoco renderà più chiara la nostra voce e ci fornirà la porta da chiudere sulla nostra stanza: una porta che sarà opportuno poi aprire sul mondo per lasciare finalmente libera la nostra voce di andare ovunque e di farsi capire e ascoltare. non dobbiamo temere di annegare nella tinozza: immergiamoci tutte, se necessario, e scriviamo ciò che sentiamo. chi può usare la parola deve farlo anche per chi non ha voce. lo deve fare per tutte le donne che non vengono ascoltate, e meglio ancora, per tutte le persone.

lo dobbiamo a Virginia.

S: la forza dell'immagine della mente incandescente è stupenda, dovremmo davvero farla nostra, abbeverarcene. il sessismo è dentro la nostra mente come in quella degli uomini, non potrebbe essere altrimenti, essendo il nostro imprinting lo stesso che hanno ricevuto loro, uguali i preconcetti, i percorsi obbligati. a noi sta spezzare le catene, e finché non lo faremo dentro la nostra testa, finché non metteremo al rogo (non un incendio scomposto, ma una pira ben fatta, consapevole) tutti i pensieri sessisti che applichiamo a noi stesse non potremo smettere di rivolgerli alle altre donne, sia alle sconosciute che incontriamo negli uffici, al supermercato o davanti alla scuola, sia alle altre scrittrici che, e questo è gravissimo, alle nostre figlie. credo che in italia siamo lontane dall'aver pagato il nostro debito verso Virginia e le donne che hanno scosso con forza le catene, che ce le hanno mostrate, che le hanno spezzate pagandone un prezzo personale altissimo. Per questo chi si oppone ogni giorno, privatamente, alla logica sessista e patriarcale trova ancora la via verso il rispetto così dissestata, per questo in italia l'immagine della donna è così svilita, e le poche che combattono seriamente e pubblicamente il sessismo sono così isolate e misconosciute.

sabrina e Morena sono donne che scrivono e vivono nel mondo reale. si sono confrontate e scambiate le idee attraverso alcune mail, lavorando insieme, seppure a distanza, per mezzo del pc e di internet. la loro 'stanza' è virtuale ma la loro voce è reale. un tema come quello che Virginia Woolf affrontava tanti decenni fa sembra essere ancora molto attuale, anche se ora esistono opportunità maggiori. il web 2.0 diventa un mezzo per ampliare quella stanza auspicata da Virginia e farla diventare un'occasione di crescita

Sabrina Campolongo ha scritto la raccolta di racconti Balene Bianche (Michele di salvo editore), il romanzo Il cerchio imperfetto (declinato al femminile, edizioni creativa) e il giallo Il muro dell’apparenza (Historica edizioni). finalista del premio alberto tedeschi (giallo Mondadori) nel 2000. alcuni suoi racconti sono presenti su antologie, riviste e in rete. scrive recensioni per la rivista letteraria “Historica” e sulla rivista culturale e di analisi politica “Paginauno”. http://balenebianche.splinder.com

credo sia importante sottolineare che ci sono Paesi, in europa e nel mondo, in cui la parità sessuale non è più un modello ideale ma una realtà. ci sono anche Paesi in cui le donne stanno molto peggio, certo non si dimentica, tutt'altro. Proprio perché noi viviamo nel cuore dell'europa e godiamo di condizioni di vita privilegiate non abbiamo scusanti. dobbiamo, ogni giorno, prenderci la responsabilità di provocare il cambiamento.

Morena Fanti scrive sul Web dal 2001. suoi racconti sono presenti in vari siti e su antologie e raccolte. Ha pubblicato Orfana di mia figlia (il pozzo di giacobbe, 2007). http://morenafanti.wordpress.com

la nostra incandescenza è ostacolata dalla nostra paura del fuoco.

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Chi mai potrĂ misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando rimane preso e intrappolato in un corpo di donna? Virginia Woolf

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uVetrioli sparsi

La filosofia del tutto gratis e l’editoria a pagamento

di Emanuele Romeres, editor Marco Valerio Edizioni - emanueleromeres@marcovalerio.com c'era una volta il politicamente scorretto e anche la vanity press. un povero, sano scrittore, desideroso di gloria casereccia o comunque di vedere stampati i propri endecasillabi zoppicanti, senza particolari problemi si rivolgeva a onesti editori a pagamento che, dietro compenso, provvedevano a trasformare gli ululati del poeta in un vero libro degno di essere regalato agli amici, ai parenti e persino di comparire nelle recensioni del gazzettino di caccavecchia alta. gli editori a pagamento erano gente in fondo piuttosto seria che, per qualche migliaio di euro attuali, impaginava decentemente gli strazi agonizzanti, eliminava o almeno proponeva di eliminare gli errori di ortografia più evidenti, assemblava una copertina con tanto di quadro celebre riprodotto a sbafo, e sfornava un bel librozzo su carta patinata. sani tempi antichi, prima che internet sparigliasse le carte. Poi venne la rete e con la rete i blog contro l'editoria a pagamento. Come? – scrissero i nuovi profeti della letteratura – pagare per pubblicare il vostro poema in terzine quadrettate con rime contestate? Spetta all'editore pagare il vostro capolavoro. Voi, gli Autori, rigorosamente con la A maiuscola, dovete pretendere di essere pagati. ecco allora la battaglia lanciata da un figlio d'arte quale

ettore bianciardi, su “riaprireilfuoco.org”. dove leggerete le lamentele della scrittrice adriana Maria leaci: «Per mancanza anche mia, purtroppo, durante l’editing ho fatto caso solo alle modifiche proposte senza andare a rileggere i contenuti, che sono rimasti con gli errori di battitura che avevo inoltrato per la selezione[…]», perché naturalmente lo scrittore non deve abbassarsi a controllare l'ortografia dei propri capolavori. e chi sponsorizza riaprireilfuoco.org? Marcello baraghini, patron di stampa alternativa, editore del libro di Miriam bendia Editori a perdere. cambiamo pagina dunque, e visitiamo il citatissimo blog di linda rando, “Writersdream.org”. qui le ormai copiatissime liste eaP, sulle quali l'autrice rivendica giustamente un copyright, promuovono i buoni e bocciano i cattivi. i buoni sono quelli che si fanno pagare sì, però non per pubblicare, perché quello è brutto, ma solo per l'editing. insomma per gli orrori di ortografia. anzi, no, perché quelli vanno in purgatorio. Molto meglio non pagare proprio l'editore: se proprio non sapete scrivere, il vostro periodare ricorda un motore fuso con il cambio rotto e la vostra padronanza dell'italiano è pari alla vostra umiltà, allora pagate soltanto un'agenzia letteraria. l'editore vi pubblicherà gratis. a pagarlo sarà l'agenzia, ma la faccia l'avete salvata. su writersdream.org campeggia la pubblicità dei libri di un editore, Montag. e poco sotto ecco un altro annuncio: «Hai

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un manoscritto nel cassetto? Ebbene, mandacelo! Writer's Dream seleziona manoscritti di ogni genere e lunghezza per la pubblicazione con la casa editrice Simplicissimus Book Farm». e siamo a tre. a fare eco a linda rando si aggiunge poco più in là andrea Mucciolo, con “galassiaarte.it” il suo nuovo blog. scrive Mucciolo: «Buongiorno, ho appena creato un nuovo portale: “Come pubblicare un libro” ovvero: “Come pubblicare senza farsi gabbare dagli editori”, e da altre persone poco corrette che bazzicano questo ambiente. Ho inserito i primi contenuti, come ad esempio: avvertenze sugli editori a pagamento, come presentarsi alle case editrici, il book on demand e altro ancora: www.comepubblicareunlibro.com» andrea Mucciolo promuove il suo libro, Come diventare scrittori oggi. Perché si sa, chi sa fa e chi non sa insegna. in calce al blog, una bella dicitura per il copyright: tutti i diritti di riproduzione riservati a eremon edizioni. se sappiamo fare di conto siamo a quattro. di manuali scritti da scrittori che scrivono su come scrivere avevamo già Io scrivo di simone navarra, edito da delos book. sì, proprio quelli dei premi letterari, una decina l'anno, che trovate su www.delosbooks.it/premi/ e ai quali potete iscrivervi su www.delosstore.it/iscrizioni/, con tariffe variabili da 5 a 50 eurini. delos book è anche la rivista “Writers Magazine” che, pagando, vi spiega come 40

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pubblicare gratis o a poco prezzo. se l'aritmetica non è un'opinione siamo a cinque. ciliegina sulla torta, perché i vetrioli sono per tutti, e mai esclusi i presenti, il seguitissimo blog sulromanzo.blogspot.com curato nientepopodimeno da Morgan Palmas che ospita questo articolo sulla neonata webzine omonima. interviste agli editor, compreso l'autore di questo vetriolo e, naturalmente, banner sparato sul suo libro Scrivere un romanzo in cento giorni. edizioni Marco Valerio questa volta, mio datore di lavoro per inciso. e siamo a sei. e se per gli altri cinque giuriamo sull'assoluta buona fede in mancanza di informazioni, per quanto riguarda il sesto abbiamo i dati diretti. la campagna di stampa contro l'editoria a pagamento non ha incrementato neppure di un punto percentuale le vendite del saggio pubblicizzato. in compenso ha provocato un inatteso incremento del quattrocento per cento del numero di manoscritti, non richiesti, inviati in allegato email. se venissero passati sotto un software di sintesi vocale, gli ululati degli scrittori spaventerebbero un branco di lupi selvatici. Morgan Palmas, consapevole della sua colpa, si è ritirato in clausura letteraria e, per espiare, legge un libro al giorno. e se leggere, semplicemente leggere, fosse la strada giusta per diventare scrittori? 


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uTarantula

Komunikato n.

di Roberto Orsetti - rorsetti@tin.it quale poteva essere l'opera letteraria che maggiormente aveva ispirato con le sue pagine, il lavoro di musicisti di tutte le parti del mondo e di qualsiasi genere?

vari scritti tolkeniani, perché non ci si ferma solo a Il Signore degli Anelli, ma si fanno riferimenti a Il Simmarilion, a Tom Bombadil, a Lo Hobbit.

Ma semplice: Il Signore degli Anelli di tolkien.

opere così vaste e complesse come quelle di tolkien si prestano alle più disparate emozioni e ispirazioni, ma diventano anche il pretesto per legittimare lavori deludenti, di scarso interesse o, più semplicemente, inaccettabili.

se fate una ricerca sul web, i risultati sono centinaia e l'appeal che le storie dell'anello hanno avuto negli ultimi decenni su musicisti dalle diverse estrazioni e gusti continua senza sosta. si spazia da compositori new age a metallari con borchie, da gruppi americani coperti da lustrini a cantastorie. una fonte di ispirazione trasversale, che attraversa i generi più disparati e le mode del momento. c'è chi si è limitato al nome d'arte, c'è chi ha cercato di tradurre in musica le immagini e le situazioni evocate dal libro, chi ha messo sul pentagramma testi dello stesso tolkien. un compositore austriaco ha scelto il nome d'arte di gandalf, per affermare la sua devozione all'ispiratore di molti dei suoi lavori e numerosi gruppi anche di appartenenze musicali diverse hanno preso il nome dalle pagine dello scrittore: i gorgoroth, prendono il proprio nome dall'omonimo altopiano di Mordor, i burzum dalla scritta incisa all'interno dell'anello, gli amon amarth dal Monte fato, gli isengard dalla residenza di saruman; gli italici nazgul dagli schiavi dell'anello. Più profondi sembrano i riferimenti quando le musiche vorrebbero evocare le storie, gli spazi o le emozioni dei

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il caso degli styx, un gruppo pop americano di grande successo negli anni ottanta, è emblematico. il testo della canzone Lords of the Rings dall'album Pieces of Eight meriterebbe che la band fosse sciolta d'ufficio per la sua melensa e sconcertante pochezza. la prima cosa che mi venne in mente, dopo averlo letto, fu che non solo non avessero mai letto il libro, ma che non avessero neanche mai visto una copertina delle molte edizioni stampate. Mi delusero meno i rush che intitolarono Rivendell, dal nome inglese di gran burrone, una canzone del loro album Fly By Night. anche qui il testo non sembra di quelli indimenticabili, ma almeno si intravede l'appartenenza al maestro. Molto coinvolti sono invece i blind guardian, una metal band tedesca, che ha intitolato una canzone Lord of the Rings nell'album Tales from the Twilight World. da cercare anche un loro album ispirato a Il Silmarillion e intitolato Nightfall in Middle-Earth. in un altro lavoro, Battalions of Fear c'è una canzone dedicata a Éowyn. in molte altre si trovano riferimenti e citazioni al lavoro di tolkien, in una sorta di continuo punto di riferimento alla


.ro 2 Performance live di Howard shore al “radio city Music Hall di new York, 2009

Jimm

loro ispirazione. in america il compositore david arkenstone ha pubblicato nel 2001 un album dal titolo Music Inspired by Middle Earth (musica ispirata alla terra di Mezzo), uscito in concomitanza con il film La compagnia dell'Anello, ne ha sfruttato il momento, ma senza la risonanza che avrebbe meritato. nel panorama dei lavori ispirati è uno di quelli meritevoli di attenzione. attenzione che invece è stata riservata a un progetto chiamato “the fellowship”. creato appositamente per avere musiche e canzoni che traducessero in musica le pagine di tolkien, ha prodotto un album intitolato in Elven Lands. con la collaborazione di artisti importanti come Jon anderson, il vocalist degli “Yes”, è di una pallosità mostruosa, pari solo alla roboante serie di annunci per lanciarlo. ci sono dunque tutti i generi rappresentati, dalla musica neo-classica alla new age, dal metal alle canzoni folk, dal rock al pop. Ma ci sono anche tanti flop, tante semplici operazioni di comodo o di facciata. essere

y Pa

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accostati, o accostarsi a forza, al fenomeno tolkien, attira subito attenzioni e da parte di media e appassionati. da tempo io diffido di tutto quello che gira intorno alla terra di Mezzo. sin dai tempi in cui i giornali, e parlo del 1980, cominciarono a scrivere articoli su Il Signore degli Anelli senza essersi documentati. ricordo, ad esempio, che scrivemmo a “l'espresso” agli inizi degli anni ottanta, per richiamare a maggiore consapevolezza della propria ignoranza in materia, un giornalista che aveva firmato un articolo pieno di imprecisioni marchiane. lo stesso mi è successo con la musica. entrare nello spirito dell'opera tolkeniana significa non solo interpretarne gli andamenti, ma fare i conti con i milioni di cervelli che creano le proprie melodie durante la lettura. non è solo l'ispirazione, la sensibilità del musicista a far la differenza tra l'accettabile e la bocciatura, ma quella di tutti noi. questo dovrebbe essere di monito ai furboni.

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lascio per ultime due citazioni per lavori di notevole pregio e spessore musicale. la prima è per bo Hansson, un musicista svedese, che ha realizzato un album nel 1973, solo strumentale. una lavoro che ricorda molto Mike oldfield e il suo Tubular Bells e stupendo nella sua immediatezza e semplicità. non è facile reperirlo, ma su You tube ci sono parti che si possono ascoltare. ne varrebbe la pena, perché credo che nessuno come lui abbia sublimato le atmosfere evocate da tolkien. la seconda citazione è per il gruppo dei led zeppelin, che nella loro produzione hanno costanti, e anche molto precisi, riferimenti alle pagine tolkeniane. il gruppo di Plant e Page ha inciso diverse canzoni ispirate a Il Signore degli Anelli: Misty Mountain Hop è derivato dalle Montagne nebbiose, Ramble On ci riporta a bilbo, galadriel, smigol e Mordor. The Battle of Evermore è ispirata dalle letture di Plant delle saghe anglosassoni e nel testo di Stairway To Heaven, forse la canzone più conosciuta del gruppo, sono numerosi i riferimenti a tolkien, come ha sempre dichiarato lo stesso Plant. il caso dei led zeppelin ribalta il concetto che avevo esposto prima, quello riferito ai milioni di cervelli che elaborano melodie durante la lettura. quando la musica raggiunge questi livelli, si associa poi nella nostra mente e vi resta per sempre. 

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cover dell’album Led Zeppelin IV

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uVita standard di uno scribacchino provvisorio

Il timballo di maccheroni di Giovanni Ragonesi - giov.ragonesi@gmail.com

l’agenda di Valerio questa settimana è piena. Ha in programma due aperitivi, la vernice di una mostra, un cinema, una cena e una serata dai risvolti galanti, o quantomeno è questa la speranza.

anche Mario Praz di cui il nostro ha anche visitato la mitologica abitazione.

non possiede un apparecchio televisivo (ama dire che ascolta la radio come Pietro ingrao) e da tempo è persuaso che cenare fuori sia una dei maggiori piaceri della vita (a prescindere dal ristorante, anche il dopo lavoro ferroviario gli ha suscitato più di un piacere). adesso, però, frastornato dalla lettura di quel bellissimo libro che è Voci di frederic Prokosch, desidererebbe tanto aggiungere in agenda delle cene, o qualsiasi altro motivo d’incontro, con autori. il giovane Prokosch era stato svezzato da una cena in famiglia con ospite d’onore thomas Mann. forse è per questo che nel dover scrivere le proprie memorie ha scandito la sua vita con tutta una serie di incontri – per lo più letterari – che hanno accompagnato il suo crescere, come uomo e come scrittore. i suoi incontri poi sono stati tutti di altissimo livello, a frederic Prokosch Mann hanno fatto seguito James Joyce (incontrato proprio nel retro di quella ottava meraviglia che è la libreria shakespeare & c. nel cuore del quartiere latino) col quale ha discusso di romanzi e flussi di coscienza e gossip del demi-monde parigino; le cene reiterate con gertrude stein sempre accompagnata dalla sua alice e da qualche aneddoto sul mondo che le aveva sfilato in soggiorno e sempre concludendo con spassosi consigli sulla coltivazione degli ortaggi; senza tralasciare una chiacchierata, accompagnata da un bicchiere di brandy, in compagnia di nabokov per confrontare le rispettive passioni per l’entomologia; una scampagnata serale nei pressi di roma con somerset Maugham e una promenade lungo il lago nemi con a fianco un discreto e misterioso t.s.eliot. i personaggi incontrati e conosciuti da Prokosch si può dire siano stati il meglio del ‘900 letterario, ed è difficile – per Valerio quasi impossibile – riuscire a immaginare di avere in agenda (ovviamente aggiornata) e.M.forster, W.H.auden, dylan thomas, Virginia Woolf, norman douglas, ezra Pound, andré gide e non per ultimo 46

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ne La mia Africa, la baronessa Karen blixen, per la quale il nostro Prokosch preparò una tartare e una insalata di lattuga invitandola a cena nel suo appartamento newyorchese, racconta di un uomo che viveva in una fattoria in prossimità di uno stagno e che una notte venne svegliato da un forte rumore. giù dal letto e fuori di casa l’uomo cominciò a correre di qua e di là, inciampando nella notte, per capire cosa stesse succedendo. infine si accorse della falla sull’argine dalla quale fuoriuscivano acqua e pesci e corse a ripararla.

lago di nemi, tra nemi e genzano di roma


l’indomani mattina, al risveglio, si accorse che coi suoi passi sul terreno, durante la notte, aveva tracciato una figura di cicogna. al termine della sua storia la blixen si chiede se una volta terminato il disegno della sua vita riuscirà a vedere una cicogna. Valerio, in questo momento, dai segni lasciati dal suo girovagare, non riesce a scorgere la sagoma di nessun volatile. Pensa però a frederic, oramai anziano, nella sua villa a grasse, nel sud della francia, intento a leggere Le tour du monde en quatre-vingts jour, alla serenità con la quale si siede al suo tavolo per scrivere ancora. Per adesso non è riuscito a identificare la sagoma tracciata, ma è certo che quelle decine – centinaia – d’incontri abbiano disegnato qualcosa di profondo. l’agenda di Valerio è lì aperta sul tavolo. si chiede con quali nomi sarebbe bello ed utile (una utilità nell’accezione aristotelica) riempirla di impegni.

Pier Paolo Pasolini

È prassi, anzi quasi luogo comune, da diversi decenni, ripetere che non c’è più nessuno da incontrare, ‘bene che vada Brian Eno’. Valerio rimane un po’ perplesso. certo è vero, nella periferia di roma non c’è più sandro Penna che segue mesto e cheto qualche finto marinaretto, così come in nessuna trattoria potrà più scorgere una tavolata con Moravia, Pasolini, siciliano, la Morante e se andava bene una comparsata a fine pasto, giusto per il caffé, di Maria callas. È davvero tutto finito? una certa epoca è di sicuro conclusa, e pure certe modalità di incontro e di relazionarsi. questo è un dato di fatto, inconfutabile; un ennesimo stereotipo degli anni 2000. il web, però, nelle opinioni di tutti i letterati, scrittori e scribacchini, è la via Veneto dei nostri anni. sul web gli incontri continuano, pure i confronti, le liti, i gossip e qualche scena madre, senza urla, ma pur sempre in stile filumena Marturano. si discute, si palesano opinioni, la progettualità incede, si gioca anche e poi ci si incontra. anche sul web bisogna apparire e tutti hanno un proprio sito, una presenza costante sui social network e una polemica avviata o un contributo autoriale su un blog a tema. tornando

con

lo

sguardo

sulla

propria

agenda

(rigorosamente in tela nera), ancora aperta sulla settimana a venire, Valerio vorrebbe tanto scrivere per martedì un appuntamento a cena con Valeria Parrella. gli piacerebbe prenotare da “il piattino” dove potrebbero fare fuori, senza ritegno, una pepata di cozze sensazionale che di sicuro aggraderebbe il palato della Parrella; annaffiata con del corposo e fresco vino bianco che allieterebbe anche la conversazione. Per giovedì vorrebbe segnare un aperitivo etnico al “tempio d’oro” con giuseppe genna. tra una portata marocchina e un’altra troppo speziata, stavolta accompagnati da un calice di vino rosso, chiederebbe a genna di raccontargli della genesi e del lavoro di Medium, della scelta di renderlo disponibile solo online, gli mostrerebbe tutta la sua ammirazione, ma con garbo e senza adulazione, per quella magistrale elaborazione del lutto. a un certo punto, magari al secondo bicchiere, gli chiederebbe che libro ha sul comodino, scommettendo tra sé su Tristram Shandy. Venerdì seratona: presentazione con giancarlo de cataldo e due chiacchiere su Walter benjamin; a seguire un prosecco veloce (ma non meno di quarantacinque minuti) con giacomo fontana ché di sicuro sui fatti di via Padova, oltre che proprie opinioni, ha notizie che sui giornali non ci finiscono; a stomaco satollo di alcol, ma a mente lucida e cuore trepidante, si seguirebbe alla vernice – in una galleria 2010 • Sul Romanzo

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in zona ztl – della mostra di Jenny saville a parlare con Marco Mancassola di rappresentazioni del corpo che investono anche schiele (in mostra a Palazzo reale) e comprendono – come ovvio – il capo, suo argomento di interesse in molti articoli e pezzi, da alcuni mesi in qua, sul il Manifesto. a un certo punto, scaltro e confidenziale, farebbe scivolare il discorrere su certi quartieri berlinesi e sui nuovi crew che ne animano le serate, senza tralasciare, omissione colposa, la segnalazione di una nuova etichetta svedese assai bizzarra e promettente. lasciato il bicchiere sul tavolo da cui gli addetti del catering lo porteranno via assieme ai vassoi svuotati delle tartine, Valerio, tirata su la lampo del suo giubbino in pelle blucobalto e accesa una tanto attesa sigaretta, a passo spedito seguirebbe l’itinerario della sua agenda recandosi a un dopo cena, giusto due chiacchiere e un rosso toscano, con carlo lucarelli. strada facendo però, incontentabile, con nonchalance, estrarrebbe il suo bianco telefono e, selezionata la s in rubrica, farebbe partire una chiamata: non sa resistere e vuole un resoconto della visita alla casa di Marguerite duras che sandra Petrignani dovrebbe aver fatto in giornata. la invidia tanto, lei lo sa e lui glielo ripete ogni volta nell’attesa di trovare il coraggio di proporle, un giorno o l’altro, un viaggio in Kenya sulle tracce della casa africana della blixen. con carlo poi, una volta riportati i saluti di simona Vinci e quelli di luigi bernardi in questo periodo assai coinvolto da un querelle con un assessore comunale, il discorrere, malgré lui, andrebbe a cadere, come aceto balsamico modenese su foglie fresche di valeriana, sul caso, affascinantissimo banale e raffinato, di francesca alinovi. 48

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come un qualsiasi ascoltatore di radio deejay Valerio gli chiederebbe ancora del rolex automatico, dell’innocenza o meno di francesco ciancabilla, della scritta ritrovata in bagno, Your not alone anyway… e da dettaglio a indizio, da sospetti e sospensioni, lo sguardo si farebbe generale sugli anni ’80 e su quella euforica città che all’epoca era bologna, maestra d’avanguardia onnicomprensiva d’arte, critica, libri, droghe, musica e politica e professori e sindaci e tavole ariostee fumettistiche e liberissime frequenze radio e i solchi dei carri armati ancora visibili sull’asfalto del centro. infine la giornata si concluderebbe, come ogni venerdì, col rito della mail a dag (douglas coupland). Ma se cenare fuori è il non plus ultra di una certa idea di vita mondana, Valerio sa bene, e non potrebbe essere altrimenti, che, di tanto in tanto, è doveroso, come buona costumanza insegna e impone, cucinare e invitare a casa propria. e questo sabato, tenendo aperte le pagine di tomasi di lampedusa, gli piacerebbe preparare un gattopardesco timballo di maccheroni per il suo ospite tanto atteso: nicola, senza book party in programma, è in città e sarà seduto al suo tavolo. certo sarebbe stato più comodo avere a cena Marcel Proust al quale, per andare in visibilio culinario, bastava del pollo al forno con chiodi di garofano e un boccale di gelida birra. Ma, come scrisse qualcuno, “ogni generazione ha la liz taylor che si merita” e Valerio sarebbe oltremodo felice di avere nicola lagioia come ospite, e poi non vedrebbe l’ora di commentare il nuovo caso Pasolini e sa già che la logorrea sottilmente gioiosa di nicola, sull’affaire Petrolio, si scatenerebbe per ore scomodando gli ultimi trent’anni di storia patria, affiancando il mood complottistico


sociale che dalle tivù americane è arrivato a impregnare le epiche pagine dei Wu Ming, mettendo in ombra baumann ma continuando ad esaltare zizek, smerdando (a cena si può dire) fukuyama, sperando nell’iPad, amando chatwin e confidando nell’esegesi di andy Warhol. ogni cena però obbedisce a delle sue intrinseche logiche strutturali, ben enucleate da quel tale che rispondeva al nome di immanuel Kant, anch’egli estimatore dei convivi attorno a un tavolo ben imbandito, secondo il quale, affinché una cena possa risolversi nel modo migliore, occorre che il numero dei commensali non oltrepassi il numero delle Muse, ma non deve essere inferiore al numero delle grazie. Pertanto Valerio si premurerebbe di vagliare e valutare con tolemaica serietà e propensione alessandrina la giusta combinazione umana di cui circondare il suo tavolo con quattro posti. anna negri sarebbe un perfetto terzo elemento, quasi una contessa olenska di whartoniana memoria. Per la quarta opzione, dopo avere sondato la disponibilità

di Veronica raimo, dopo avere sperimentato una trovata da talk show con Pulsatilla, a Valerio farebbe davvero piacere se, dopo le tre telefonate e gli incalcolabili sms, toni fachini volesse prendere parte alla deflorazione del suo elaboratissimo timballo di maccheroni gattopardesco. Ha adorato i suoi libri, li ha letti e riletti e sottolineato alcuni passi con una matita per occhi, comperata appositamente per quello scopo, certo di farle piacere. Ha adorato quel sapore forte e quell’odore muschiato di vita e quelle sue gambe di cicogna dadaista. sarebbe una tavola perfetta con quel tocco di viscontiano che nobilita anche un pezzetto di pollo incastrato tra i denti. È giunta l’ora per Valerio di abbandonare le peregrinazioni e le digressioni che in altra sede gioverebbero quantomeno a pagare gli alimenti alla ex moglie di uno psicoanalista.

egon leon adolf schiele, Standing Male Nude With A Red Loincloth, 1914, graphische sammlung albertina, Vienna

l’orario del suo impegno con a.a. è prossimo ad apparire sull’orologio anni ’70 del suo scrittoio. Pensa con un briciolo di tristezza che probabilmente a.a. (che ovviamente non è alberto arbasino, col quale però a Valerio, prima o poi, piacerebbe gustare un silenzioso tramonto tibetano) non ha mai letto firbank e dopo un film non confronta le sue opinioni con quelle di emanuela Martini… ma tant’è, come vestono certi capi fred Perry tra le spalle e i fianchi di a.a. non riescono a farlo con nessun altro, e dopotutto le cicogne volano a stormi, ammesso che voglia dire qualcosa. 

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uEsordire

Zoo col semaforo di Paolo Piccirillo

di Sara Gamberini - saragamber@libero.it quando un libro appassiona capita spesso di riuscire a parlarne poco e male, il linguaggio si rompe e regredisce a una facilità di parole infantili; si diviene un po' sciocchi, viene solo da giudicarlo un romanzo meraviglioso, geniale, un capolavoro. l'arte, se incanta, è indicibile. Zoo col semaforo lascia la pace di pensare, non mette nell'urgenza di tradurre cose in parole. c'è da capire se per generosità o finitezza. a ben vedere il romanzo d'esordio di Paolo Piccirillo si occupa proprio di indicibilità e lo fa compiendo un'interessante ricerca sulla lingua, non tanto concentrandosi sullo stile che risulta fin troppo alleggerito ma tentando invece di afferrare qualcosa che sta al di qua del linguaggio. siamo nella provincia di caserta. il pit bull di slator, detto salvatore, azzanna il figlio di ettore, macellaio del paese e attaccabrighe per vocazione. il cane scappa e viene rincorso e bastonato quasi a morte davanti alla casa di carmine che vent'anni prima aveva perso il figlio proprio a causa dell'aggressione di un pit bull. carmine, detto 'o schiattamuort, cura il proprio dolore con

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un'ossessione: ogni giorno compie un pellegrinaggio sulla lapide del figlio, costruita sul ciglio della tangenziale aversa-napoli, e tiene pulito quel tratto di strada dalle carcasse degli animali investiti dalle auto. salvatore è arrivato molti anni prima in italia dall'albania, nascosto sotto la marmitta di un camion. l'infanzia di slator è stata dura e abitata dalla violenza del padre da cui è scappato quando aveva quindici anni. la vendetta di ettore, crudele ma anche meccanica, quasi un automatismo dettato dai codici del territorio, cambierà il destino dei due protagonisti. la struttura è particolare: la narrazione è intervallata da brevi racconti in cui i protagonisti sono tutti animali. all'interno di questo montaggio dall'intreccio acrobatico, inserito in un insolito e bellissimo bestiario, si trova L'anatra pneumatica, racconto che ha vinto il concorso letterario 8x8 di oblique studio. la finitezza mi pare stia tutta in questa raffinata struttura narrativa che risulta forzata, costruita ad arte e in tal senso inadatta a ritmare e sostenere l'intento dell'autore di sperimentarsi con l'essenziale. nonostante la preziosa architettura, Zoo col semaforo è un libro che appassiona, fa male e fa pensare.


c'è un grande silenzio in questo romanzo, nessun chiacchierio di sottofondo e invece netto un forte rumore di pensieri, di ossessioni rimuginate, di squarci di inconscio che spezzano il meccanismo delle cose che accadono. la scrittura scarna e affilata di Piccirillo è ricerca di una voce che sia in grado di parlare di vita e di morte. con generosità ci risparmia lo strazio e la noia del dolore spiegato o dell'immedesimazione a tutti i costi e lo fa con un brusco gesto filosofico che mira a togliere strati al discorso narrativo per poter rimanere finalmente senza parole. nei racconti l'autore adotta il punto di vista degli animali e li mette di fronte a due prove estreme: la morte e l'abbandono. Piccirillo cerca una soluzione nell'indicibile, mette a tacere la razionalità e interroga l'istinto. gli interessa cogliere il momento in cui nell'istinto qualcosa si inceppa: «[...] ci sono storie di animali che fanno cose strane, senza motivo, lontane da quello che per natura quegli animali dovrebbero fare, eppure lo fanno. Perché devono farlo, come se esistesse dentro di loro qualcosa di incontrollabile, che non è l'istinto a cui obbediscono sempre, ma un altro istinto, l'istinto dell'istinto; l'altra faccia dell'istinto». una spigola ingoia un'acciuga di metallo, gialla e rossa, «sa che lo deve fare e lo fa» e muore felice perché, trascinata fuori dall'acqua da una lenza, vede quanto immenso sia il mondo fuori dal mare; una zecca che «non è come le altre, è una zecca che non sa scegliere», fatica a trovare un cane su cui passare l'inverno e si attacca al pelo di un pupazzo di cane abbandonato vicino ad un cassonetto, lo stesso peluche da cui non si riusciva a staccare una cagna tormentata da una gravidanza isterica; un gatto cade dal settimo piano, mentre precipita gli viene voglia di risalire e ricominciare tutto da capo. «Poi però dovette abbassare la testa, si sentì invadere le tempie da una valanga di sangue. dovette chiuderli per forza gli occhi, gli facevano male. un rivolo rosso fuoriuscì dal minuscolo naso rosa. il gatto posò la testa sull'asfalto ruvido. si distrasse e non successe più nulla».

nonostante l'ambientazione geografica del romanzo e l'equivoco, in cui a volte l'autore cade, di credere che l'essenziale debba coincidere stilisticamente con i modi della lingua parlata, l'autore riesce a spostare il proprio esordio narrativo lontano dalle suggestioni del nuovo realismo italiano.

i due protagonisti restano per anni incapaci di spostarsi dallo sgomento della morte, ammutoliti di fronte alla forza dell'istinto che nel caso di carmine ha ucciso suo figlio e che ha dannato l'infanzia di salvatore.

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a Piccirillo interessano il bene e il male, la pulsione di vita e la pulsione di morte. «il dolore non si sceglie o si conosce prima, arriva quando vuole. e si fanno tante cose nella sofferenza; si mangia, si beve, si piange, si spera, si pensa. Ma in realtà non si fa nulla. tranne questo: obbedire al dolore stesso. [...] quest'obbedienza è puro istinto. È un modo di vivere. diventa quotidianità. istinto. un istinto continuo. come gli animali». tra le ossessioni di salvatore e carmine emerge quella dell'autore: cos'è più forte dell'istinto? l'amore che è indicibile ma sta dappertutto. come si sopravvive alla morte di una persona amata? addomesticando il dolore. Zoo col semaforo è un romanzo di separazione, racconta il male normale di staccarsi dall'istintualità dell'infanzia, di

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abbandonare la propria terra, di sopportare il rumore dei pensieri, di trovare pace rispetto all'orrore che ci fa la morte. la natura ci è di conforto e al contempo è incomprensibile, trattiene un segreto che non si sa come far parlare, gli animali ci appaiono saggi per come sopportano il male e a volte per questo ci sembrano sciocchi. la salvezza, secondo Piccirillo, sta nell'identificare il momento in cui, nella nostra vita, l'istinto si è inceppato e riparare per rinascere. «carmine ha paura della fine. della fine di qualsiasi cosa. [...] a lui il sole lo manda in bestia perché tutti ne parlano bene del sole, dicono che è la sorgente della vita, ma invece per carmine è la cosa più innaturale che esiste. Perché finisce e poi ritorna. Muore e rinasce. [...] carmine non la capisce la fine, perché l'ha sempre subita e non se l'è mai scelta. Per questo non gli piace il sole, lo invidia perché sceglie di iniziare e finire ogni giorno». 


Il compito più alto di un uomo è sottrarre gli animali alla crudeltà. Émile Zola

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uLa metà oscura del mondo

Avventure di un povero ricercatore solitario di Maria Antonietta Pinna - marylibri1@gmail.com si orienti verso una brossura o un’edizione più costosa. la cultura quindi dovrebbe essere alla portata di tutti, senza distinzioni. non è esattamente così. siamo nell’italia del Marchese d’onofrio del grillo. la legge dell’Io so io è valida anche per la cultura. le biblioteche delle nostre città sono silenziose, il personale in genere è gentile…

in passato la cultura era appannaggio di classi privilegiate e nobili. nel 1450 venne inventata la stampa a caratteri mobili di gutenberg. aldo Manuzio successivamente in Venezia loderà l’invenzione in nome della circolazione di un sapere prima esclusivo di ambiti ristrettissimi. la possibilità di vendere le proprie opere edite a stampa e di guadagnare rappresentava una novità. Ma c’era anche l’altro lato della medaglia. cominciavano a circolare opere contraffatte, falsi. e il libro divenne prodotto di consumo. oggi tutti hanno libero accesso a biblioteche e librerie, previo tempo a disposizione e disponibilità economiche che possono essere più o meno consistenti, a seconda che ci

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Ma prendiamo il caso di un ricercatore solitario, uno che non lavora per nessuno, ma per se stesso. uno che appena ha un po’ di tempo libero anziché andare a giocare a carte o a pallone con gli amici, preferisce starsene in biblioteca a sfogliare libri curiosi per documentarsi e scrivere a sua volta. certo tipi del genere non sono comuni, ma esistono. facciamo finta che il nostro ricercatore solitario stia scrivendo un libro sulla storia delle imbarcazioni, come nascono, quando, dove e perché. Ha bisogno di materiale per poter dare sostegno a ciò che scrive. la prima regola di ogni buon ricercatore è provare tutto ciò che si afferma con fonti, note a piè di pagina, bibliografia. niente può essere lasciato al caso, per evitare che il lavoro abbia un taglio dilettantistico o che dia l’idea dell’improvvisazione. Pieno di buone intenzioni e voglia di fare, il nostro eroe si dirige verso la biblioteca principale della città. all’ingresso


una ragazza sorridente gli consegna una chiave. con questa apre una cassetta dentro la quale appoggia la borsa del portatile e alcuni libri. Per pochi centesimi compra dalla ragazza una busta trasparente nella quale ripone i suoi occhiali, il cellulare, il portafoglio ed altri oggetti personali che non vuole lasciare dentro la cassetta. Prende il portatile e si avvia fiducioso verso l’interno. non ha la tessera, ma può farla in pochi minuti. lo fanno sedere su una sedia bianca, e click, la foto è fatta. il sorriso un po’ di plastica, gli occhi increduli e miopi. la tessera viene stampata con quella foto che il poveretto dovrà portarsi appresso per un anno. si può entrare ora. inizia la ricerca. si siede al computer della biblioteca e inizia a compilare la griglia per trovare i libri. Perfetto, ci sono tutti, in particolare un testo davvero curioso che bisognerebbe consultare al più presto. si tratta di una seicentina. il nostro ricercatore chiede di consultare il libro e compila apposito modulo on line. ormai le biblioteche sono tutte informatizzate e quindi non c’è più bisogno di compilare il cartaceo che richiederebbe più tempo. chiede di poter consultare il libro nella sala “manoscritti e rari”. Perfetto. entra nella sala, prende un posto consegnando la tessera al bancone, attende. un’ora. Passati belli sessanta minuti, si accende una spia sul posto dove siede, una lucetta piccola piccola che segnala l’arrivo del libro. finalmente.

si avvia al bancone. la bibliotecaria, occhiali sul naso, gli dice di mostrarle il documento. «quale documento, scusi?». «il documento di prammatica in questi casi». «ossia?». «ossia il foglio scritto dal professore e debitamente firmato dallo stesso, attestante che lei sta facendo una tesi di laurea o un lavoro di ricerca per l’università». «Ma io non sto facendo una tesi di laurea!». «allora che vuole da me?». «il libro, devo consultarlo, ho aspettato un’ora per poterlo sfogliare». «forse non ha capito. ce l’ha il foglio scritto?». «no, non sapevo...». «e allora niente, ci sono regole precise qua dentro, cosa crede? di poter fare come le pare?». «Ma io sto facendo una ricerca, devo...». «se sta facendo una ricerca si faccia firmare un foglio dal suo professore». «Ma non esiste il mio professore, sono solo io, un ricercatore solitario». «Mi dispiace, ma non può consultare il libro».

biblioteca pubblica di new York

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«Perché?».

«nessuno».

«Perché non è previsto che un ricercatore solitario consulti, a che titolo? chi la manda? chi è lei?».

«a posto, può anche andarsene, adesso. se vuole consultare quel libro, venga qui con la firma di qualcuno e tutto si accomoda. Ma dove vive? su Marte?».

«nessuno». «se non è nessuno, cosa pretende? non sa che in italia bisogna essere o conoscere qualcuno per poter fare qualsiasi cosa? bisogna rispettare le regole. la legge non ammette ignoranza». «non è previsto che un libero cittadino possa avere desiderio di consultare per motivi di studio e ricerca un libro del seicento?». «no, non è previsto». «Ma dove sta il problema, scusi?». «il problema è che il libro è antico, ha un certo valore, quindi non è per tutti». «si tratta di un libro!». «esatto, un libro che non può consultare». «e poi qui ci sono telecamere dappertutto! che cosa potrei fare con quel libro se non leggerlo?». «non le faccio io le leggi, mi dispiace, sono solo un’impiegata e seguo precise disposizioni». «Mi dia una ristampa, allora». «non abbiamo ristampe e credo che neppure ne esistano». «io ho bisogno di consultare quel libro. sto scrivendo un saggio». «Per conto di chi?». «di me». «e lei chi è?». 56

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la cultura non è dunque per tutti. Art. 3 della Costituzione: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. l’articolo 33, 1º comma, della costituzione sancisce: «l’arte e la scienza sono libere». 


Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perchÊ tu, la tua idea possa esprimerla liberamente. Voltaire

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uSocretinate

Un incontro con Emanuele

di Morgan Palmas - sulromanzo@libero.it Morgan: καλημέρα emanuele! emanuele: καλημέρα Morgan!

M: leggevo poco fa queste frasi su un libro di Meneghello: «Parlammo a lungo quel giorno, seduti davanti al fuoco, nel fumo acre e profumato. nello mi disse cosa pensava di fare dopo la guerra; erano progetti seri e modesti, e io mi sentivo vagamente commosso». dopo la guerra, dopo il ’68, dopo la crisi. c’è sempre un dopo, l’essere umano così concentrato sul domani. eppure abbiamo davanti agli occhi scene che ci potrebbero donare poca speranza. no?

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E: ti rispondo con i versi di una canzone tratta dall’ultimo album dei Pgr, cronaca montana: «certo le circostanze non sono favorevoli e quando mai. bisognerebbe, bisognerebbe niente. bisogna quello che è, bisogna il presente». credo sia pericolosa questa proiezione continua perché deresponsabilizza. si cercano nel passato (personale e storico) le cause del male e si emanuele tonon proietta la possibile cura in un futuro ipotetico. il presente, l’hic et nunc, dovrebbe essere oltre che luogo e spazio del dolore anche luogo e spazio per l’attuazione della felicità. si chiede sempre il sacrificio della vita presente per il conseguimento di una felicità che sarà domani. e lo fanno le religioni, le ideologie, i partiti. ti sei mai domandato perché, giusto per restare nell’ambito di questa vostra webzine letteraria, di un autore esordiente si dice quasi sempre: «questo autore ci riserverà sorprese. aspettiamo di vedere la crescita di questo autore». Perché non ci si limita ad apprezzare la potenza di una nascita, di un esordire carico di stupore, perché si proietta l’esordio in un futuro di realizzazione, rinunciando quasi a godere della meraviglia di quanto ora è, e che potrebbe essere pure testamentario?


Tonon M: Mi fai pensare a Ecce homo, quando nietzsche, nel prologo, sostiene che ogni risultato, ogni passo avanti nella conoscenza è una conseguenza del coraggio, della durezza con se stessi, della pulizia con se stessi. chi ha coraggio oggi nella conoscenza? steiner ci direbbe che forse vi sono troppi uomini ingenui schiavi della percezione dei sensi. È il nucleo del problema? Prendiamo un caso specifico, senza avere la pretesa di teorizzare. tu vivi nel nordest, come il sottoscritto: Pil, fatturati, aziende, banche, benessere. un sistema che vive nella fiducia del sistema stesso, caricando di aspettative la propria esistenza rispetto al domani. innumerevoli piccole e medie imprese che corrono, galoppano, contro e nonostante la crisi economica. il presente vive di futuro, l’unica tensione dominante non è etica o politica – nel senso alto del termine –, ma epicurea, ovvero conquistare quei piaceri che ripaghino il galoppo: shopping, beauty farm, lussi, ecc. non credi che quella domanda sull’esordiente abbia una fonte al di là della letteratura? non credi che la mutazione in corso sia ancor più esplosiva nel ricco nordest?

E: Ho scritto un libro che, in parte, è un’accusa durissima al sistema imprenditoriale del nordest. tu dici, giustamente, che il presente vive di futuro ma, ad esempio, per gli operai il futuro è sempre stato il miraggio della pensione. Penso a mio padre che si è fatto massacrare per trentacinque anni, per morire con seicentonovanta euro di pensione. È questo il futuro di cui dovrebbe nutrirsi il presente? cosa resta della vita dopo dieci ore quotidiane di fabbrica, nella ripetizione coatta dello stesso gesto? un sano epicureismo è necessario, altrimenti uno impazzisce. È chiaro che uno si attacca alla automobile, ai piccoli lussi, alla lobotomia televisiva. la devastazione originaria è il lavoro. Penso al Discorso tipico dello schiavo di silvano agosti: Immagina che tu vivi in un sistema politico, economico e sociale dove le persone sono obbligate, con quello che le sorveglia, a fare l’amore otto ore al giorno… sarebbe una vera tortura… e quindi perché non dovrebbe essere la stessa cosa per il lavoro che non è certamente più gradevole di fare l’amore,

no?! Per esempio il fatto che la gente vada a lavorare sei giorni alla settimana… certo c’ho il mitra alla nuca… lo faccio, perché faccio il discorso: «Meglio leccare il pavimento o morire?». «Meglio leccare il pavimento» ma quello che è orrendo in questa cultura è che “leccare il pavimento” è diventata addirittura una aspirazione, capisci? sai dirmi, Morgan, dove sono, oggi, gli imprenditori alla adriano olivetti che ai suoi dirigenti diceva: «Voglio che lei conosca il buio alle sei del mattino»?

M: senza nostalgie inutili e fuorvianti, è vero che le radici sembra abbiano prodotto frutti pessimi, almeno a una prima impressione, è altrettanto vero che oggi, pur con un percorso intriso di lotte dal basso, sono garantiti diritti che soltanto trent’anni fa non erano pensabili. ironia della sorte, anzi nessuna ironia, tragedia della sorte, il sistema capitalistico, per utilizzare nomi precisi, ha trovato in se stesso altre falle, indebolendo tali diritti conquistati con fatica. il capitalismo male dell’economia? se lasciato a briglia sciolta sì, non posso essere annoverato fra gli anticapitalisti, vecchia retorica che non ha portato a nulla, le timide alternative non hanno scosso il sistema. forse la decrescita potrebbe essere una soluzione, ma, per venire ai nostri argomenti preferiti, ciò che è preoccupante è il grado di penetrazione del capitalismo nei luoghi più impensabili, a cominciare dall’editoria (si pensi ai costi della pubblicità), deturpandola non di rado, livellando a ribasso la qualità. a volte penso che cioran avesse ragione quando sosteneva che «quest’inferno noi lo attendiamo, ci facciamo anzi un dovere di accelerarne l’avvento». ci si lamenta del sistema, che riteniamo sempre appartenere agli altri, in che cosa noi tutti siamo complici?

E: siamo complici quando demandiamo ad altri anche il piccolo intervento quotidiano che potrebbe modificare lo stato di cose. scendere in piazza è facilissimo, farlo col

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culo parato, con la carta di credito del papà in tasca, abitando attici è ancora più facile. bisognerebbe semplicemente offrire alla fiamma i peletti del proprio buco del culo. Mettere la propria vita nei proclami. se io ti parlo di fabbrica, te ne parlo perché ne conosco l’orrore. le nostre parole possono aspirare ad essere veritative solo se forgiate dall’esperienza. a me veniva da ridere, quando ero uno studente teologo, nel sentir parlare di sessualità gente che era entrata in seminario a dieci anni e non aveva mai sentito l’odore di una fica. oggi mi viene da ridere quando ascolto i rivoluzionari televisivi o accademici che guadagnano in un mese quello che io guadagno in un anno di fabbrica (i più poveri dei rivoluzionari ricchi, sia chiaro). ricordo un’intervista a Moresco, gli chiedevano cosa ne pensasse di un critico letterario baronale: «a lui piace roba un po’ finta, invece considera scrittori come me elitari. Ma come elitari? Ho fatto la vita di merda, non ho fatto l’università, ho lavorato nelle fabbriche e io sarei elitario. loro invece sono tutti professori». io credo solo a chi ha pagato, Morgan, tu?

M: Prendi una parola: contraddizione. È ovunque. c’è chi se ne ciba in quantità per conquistare sicurezze, siano esse materiali o psicologiche. Prendi un’altra parola: coerenza. non è ovunque, nella realtà – non a parole –, ma anche in questo caso c’è chi se ne ciba per conquistare altre sicurezze. tutti, a loro modo, vogliono sentirsi sicuri di qualcosa. È sempre un problema dell’io. e di scelte. Mentre la vita, a dispetto di tutti, dona talvolta eventi che prima di qualsiasi scelta si subiscono sulla pelle. c’è chi è più fortunato di altri. una persona potrebbe studiare la vita e il pensiero di Hannah arendt, ma non è come essere un ebreo esule in quegli anni. un oncologo conosce la diagnosi per un tumore, ma non è come avere un tumore

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che si impossessa del tuo corpo. io non credo solo a chi ha pagato, ho proprio un pessimo rapporto con chi parla di cose che non conosce. tutti avere possiamo un’opinione, ed è giusto, tuttavia con il tempo credo sempre più che un celebre filosofo viennese la sapesse lunga: «non giocare con le profondità dell’altro!». si tratta però di comprendere se avere pagato doni sempre profondità, che cosa ne pensi? che cosa è per te la profondità?

E: la profondità è testimonianza. i primi cristiani venivano riconosciuti per la testimonianza che davano della loro fede, fino all’effusione del sangue, non per i proclami. Vedo tanti ologrammi, in giro, non testimonianze. siamo tutti nella contraddizione, Morgan. Ma almeno che ci sia la tensione al raggiungimento di una testimonianza radicale. È buffo che io debba prendere continuamente lezioni di comunismo, ad esempio, da milionari. certo, devo stare ad ascoltarli perché passano in televisione. certo, sono loro che hanno il diritto di venire a dirmi che devo resistere, che devo lottare. io sto a guardare la loro testimonianza inebetito di felicità, vivo con ottocento euro al mese, quando va di lusso, sapendo che loro, in una delle tre o quattro villazze che hanno, stanno lavorando per me. Vanno in televisione per me. Per la mia fatica. Per la mia impossibilità ad essere anche solo contento la domenica mattina, non dico felice, anche solo contento perché oggi tromberò e mi ubriacherò, oggi che è domenica, che domani riprenderò a morire. insegnano all’università per me che a quindici anni sono stato costretto ad entrare in un capannone di fabbrica. scrivono libri per me, affinché io faccia vincere loro i premi letterari (ma sì, diamogli diecimila euro che ne ha bisogno, che ne prende solo dodicimila al mese, poveraccio!). fanno i giornalisti per me! loro che guerreggiano per diventare papa di una chiesa fintamente


atea ma ancora più dogmatica di quella romana. loro che odiano la chiesa di roma ma ne baciano ad ogni occorrenza il buco del culo. che cosa è per te la verità, Morgan?

M: torniamo alla contraddizione, vedi. c’è da chiedersi se c’è verità nella contraddizione o nella coerenza. Possiamo rapportare una verità a tante verità, e trovare d’un sistema filosofico la sua coerenza o contraddizione interna. non credo ai sistemi apodittici o rivelati, di qualsiasi argomento si stia parlando, anche il più banale. Ho le mie profonde e illusorie sicurezze, benché sia persuaso che siano esse stesse temporanee. si concentrano in me, moriranno in me e/o con me: grazie a quale arroganza si può credere in una verità se un semplice dialogo con uno scintoista giapponese o un tunisino mussulmano dimostrano lapalissianamente che esistono molteplici verità che impongono di concentrarsi nella ricerca, non nel risultato? stesso dicasi per la visione politica. relativismo? certo. apprezzare il relativismo come approccio dona una fondamentale umiltà per avvicinarsi all’altro, anche se poi si sceglieranno magari strade diverse. l’unica verità è arroganza e non rispetto delle idee altrui. tu parli della rappresentanza politica rimpinzata di marketing demagogico od opportunistico e citi la testimonianza. sì, la testimonianza influenza la società – microcosmo o macrocosmo –, questa è la ragione della necessità dell’impegno, qualunque sia. la testimonianza radicale non è di questi tempi, esporsi è rischioso. Vale il rischio? a quale prezzo di vita?

E: Morgan, il nostro piccolo dialogo percorre ormai strade che all’inizio nemmeno immaginavo. certo che vale il rischio. lo vale nella misura del corpo a corpo, non delle astrazioni. lo vale mentre non solo parlo degli ultimi, dei poveri, ma quando ne parlo essendo ultimo, povero. quando combatto contro la miseria ma affermo che la povertà è un valore, essendolo, povero, volendolo essere. come a battezzarmi, a ridiventarlo ontologicamente. non solo come dato statistico, come oggetto di indagine sociologica o vergognosamente giornalistico. ti dico questo perché mi piacerebbe chiudere il tutto nel fare letterario. Vedi, ho cominciato a scrivere da povero, continuo a farlo. Ma provavo vergogna, perché non avevo la consacrazione delle scuole, pur potendo aspirare all’accademia i miei potevano solamente darmi la strada che avevano percorso loro buttando sangue. dopo la fabbrica da adolescente, per me è arrivata la teologia. e dalla teologia sono tornato alla fabbrica. apolide, da entrambe le parti. dagli “intellettuali” il rifiuto della

condizione di nascita, dagli operai il rifiuto perché “intellettuale”. Ho cominciato a scrivere sicuramente per una tara ma anche perché vedevo ogni giorno l’umiliazione di mio padre, perché sono stato umiliato a mia volta. Vedevo quell’impossibilità ad essere felici, almeno un poco, quel continuo essere bastonati. c’era un ragazzo, un giorno, avevo diciassette anni. un macchinario gli portò via un dito. si vergognava, chiedeva perdono ai padroni di aver perso quel dito. non piangeva per il dito preda della frese, piangeva perché doveva lavorare e quel ditino massacrato poteva pregiudicare il suo stare al mondo. e il suo mondo era stare dieci ore al giorno sotto un capannone, nel frastuono intollerabile, tra bestemmie e infinita mancanza di sonno, infinita mancanza di vita. ecco, forse quel giorno mi è capitato di cominciare a scrivere.

M: δε φτάνει (ci vuole altro…). e: άσε την πόρτα ανοιχτή (lascia la porta aperta!). 

Emanuele Tonon vive a cormons, in provincia di gorizia. Ha esordito nel 2009 con il romanzo Il nemico, isbn edizioni.

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uL’angolo delle interviste

Francesca Ruggiu Traversi A cura della Redazione Lei è interessata ai libri per ragazzi: una passione? Ho una grande passione per la lettura e per le storie in generale. leggo di tutto, anche molti romanzi per adulti, ma quelli per bambini e ragazzi sono i miei preferiti: mi piace immergermi in mondi fantastici e vivere nuove avventure. oggi poi la letteratura traversi a ruggiu per ragazzi è francesc davvero vasta, c'è un'ampia scelta, e a volte è sottile il confine tra romanzo per ragazzi e romanzo per adulti. Personalmente non mi piace mettere troppe etichette. se una storia è coinvolgente e fa provare emozioni, può andar bene per un ragazzo come per un adulto. È una bella storia e basta.

E poi ha pubblicato il suo primo libro con Einaudi Ragazzi: Il mistero del gatto d’oro. Ci racconta brevemente il percorso che l’ha portata dalla prima parola dell’incipit alla pubblicazione? Ho scritto questo romanzo per partecipare a un concorso organizzato da una piccola casa editrice, classificandomi al terzo posto. non avevo tutta la trama in mente dall'inizio, ho cominciato a scrivere di uno scoiattolino che correva in un bosco, inseguito da due volpi, e poi mi è venuto in mente il resto della trama e sono andata avanti. Mi hanno proposto la pubblicazione del romanzo con richiesta di contributo, ma ho rifiutato e l'ho spedito in valutazione a diverse case editrici. dopo sette mesi ho ricevuto la telefonata di edizioni el, che ha deciso di pubblicarlo nella collana storie e rime di einaudi ragazzi.

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È soddisfatta finora? Ci segnala qualche debolezza del mondo editoriale che ha incontrato? sì, sono molto soddisfatta. credo infatti che sia molto difficile arrivare alla pubblicazione, e sono felicissima che le edizioni el abbiano creduto nella mia storia dandomi questa possibilità concessa a pochi. qualche debolezza del mondo editoriale? Ho l'impressione che molte case editrici preferiscano tradurre prodotti esteri che hanno già avuto successo nel paese d'origine, per andare sul sicuro, o comunque pubblicare autori italiani già affermati. scrivere una buona storia non significa che si verrà pubblicati, e se si è esordienti è molto più difficile farsi notare. Però per fortuna non sempre è così, e il mio caso è un esempio di apertura verso nuovi autori italiani.

Un aspetto che ci ha molto incuriosito è la sua collaborazione con l’Associazione Donatori di Voce (ADOV) di Pavia: come l’ha conosciuta? Me ne hanno parlato degli amici e ho subito mandato una e-mail per avere informazioni. Ho pensato che fosse un'attività a cui potermi dedicare, dato che mi è sempre piaciuto leggere a voce alta. Mi hanno chiesto di mandare un cd con la mia voce registrata (si richiede una lettura chiara e senza particolari inflessioni o accenti) e dopo la risposta positiva mi sono iscritta come socia e ho iniziato a registrare.

In che cosa consiste leggere e registrare voci per non vedenti? Può parlarci di qualche sua esperienza e riflessione a riguardo? io registro a casa. le uniche cose che servono sono un computer e un microfono, e si può leggere un libro a scelta, comunicandolo all'associazione prima di cominciare. io registro soprattutto libri per ragazzi che sono richiesti non solo da ipovedenti ma anche da bambini dislessici. È un'attività che si può svolgere quando si ha un po' di tempo a disposizione. ci si deve però dedicare con impegno e attenzione. tecnicamente


parlando: si deve cancellare e ripetere quando si fanno degli errori, quando ci sono dei rumori fuori campo, quando si è interrotti da una telefonata o altro. cerco sempre di leggere senza troppa enfasi ma neanche in maniera piatta, ho ancora molto da imparare e sicuramente si può migliorare con l'esperienza. una cosa carina che ho fatto è stata leggere anche il mio libro Il mistero del Gatto d'Oro. a me piacerebbe molto ascoltare un libro letto dal suo autore, perciò penso che possa incuriosire e interessare. ultimamente ho letto il libro Twilight di stephenie Meyer, il primo di una saga molto popolare tra gli adolescenti, e ho saputo che la mia registrazione è piaciuta e che aspettano con ansia il seguito. questa notizia mi ha fatto molto piacere e mi ha dato nuova carica per continuare in questa attività.

Dove nasce il suo impegno nel sociale? È la prima volta che mi dedico al volontariato e ho iniziato circa due anni fa. in passato non ne avrei avuto il tempo. sono felice di dedicarmi a questa attività. conosco persone con seri problemi alla vista, e purtroppo so bene cosa vuol dire non avere la possibilità di leggere un libro.

parte dei ragazzi rida oggi con acutezza? È difficile da dire. io nelle storie uso sempre l'ironia, perché mi piace divertirmi mentre scrivo e perché amo creare personaggi buffi e situazioni che suscitino il sorriso in chi legge. spesso faccio apparire ridicoli proprio i personaggi più cattivi, per rendere divertenti anche le scene che dovrebbero essere drammatiche, e ho notato che i bambini apprezzano molto queste parti del libro. amano vedere il cattivo della storia messo in ridicolo. sono anche molto svegli ed intuitivi e quando mi capita di chiedere loro come andrebbero avanti in un ipotetico seguito della storia, sanno proporre situazioni fantasiose, capaci di far ridere me e i loro compagni.

Ha qualcosa in cantiere per loro: un nuovo libro magari…? sì, un nuovo libro che uscirà fra poco, nel mese di giugno, sempre nella collana storie e rime di einaudi ragazzi. questa volta il protagonista è un bambino di dieci anni di nome tommy che va in vacanza da suo zio livido, scrittore di storie di fantasmi. qui tommy vivrà un'avventura da “brivido” con la sua nuova amica Pippina. una storia di fantasmi, che potrebbe avere un seguito...

Grazie per questa preziosa intervista. Pensa che la letteratura possa avere un ruolo in alcune difficili condizioni? sicuramente. come nel caso, ad esempio, delle persone non vedenti che tramite il “libro parlato” hanno la possibilità di ascoltare le opere della letteratura. Ma anche in altre situazioni di disagio secondo me ha un ruolo fondamentale. il libro, con le storie e i personaggi in esso contenuti, è un amico e un compagno di viaggio. con un libro da leggere non si è mai veramente soli.

grazie a voi per questa piacevole chiacchierata. 

Francesca Ruggiu Traversi è nata e cresciuta a Verbania, sul lago Maggiore, e risiede a certosa di Pavia. dopo aver compiuto studi classici ed essersi laureata in giurisprudenza, ha iniziato a scrivere storie per i piccoli lettori, pubblicando il suo primo libro con einaudi ragazzi nel 2007.

E magari scappa un sorriso, crede che la maggior

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Area Socio educativa

Corsi di alfabetizzazione strutturati in base all’utenza e ad ogni eventuale richiesta del committente. Corsi di formazione per insegnanti, mediatori culturali, operatori sociali sui temi inerenti lo spazio interculturale. Laboratori artistici e sensoriali per bambini e ragazzi delle scuole. Interventi educativi volti a prevenire o ridurre il rischio di emarginazione sociale. Progettazione e attivazione di interventi socio educativi in ambiti internazionali.

Progetto web personalizzato: il sito del Giardino dei Viandanti è l’ indirizzo dove trovare riflessioni e approfondimenti sui temi interculturali. Laboratori del fare strutturati e definiti per fasce d’età. Laboratori artistici e sensoriali per bambini e ragazzi delle scuole. Organizzazione e gestione di mostre d’arte. Proposte editoriali a tema interculturale.

Servizi alla persona

Comunicazione

Assistenza per il disbrigo di pratiche burocratiche per il migrante. Assistenza legale con il supporto di uno studio specializzato in diritto dell’ immigrazione. Percorsi di orientamenteo su specifica richiesta dell’ utenza con il supporto di counselor e coach specializzato. Consulenza fiscale per la compilazione della dichiarazione dei redditi presso un commercialista specializzato. Servizi di intermediazione e facilitazione linguistica per favorire l’inserimento sociale (stipula del mutuo, acquisto affitto casa...) tutte le foto utilizzate sono di Annamaria Volpi


La moralità non è propriamente la dottrina del come renderci felici, ma di come dovremmo diventare degni di possedere la felicità. Immanuel Kant

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uLa poesia e il racconto

sceglieremo sempre una poesia e un racconto fra quelli giunti a yousulromanzo@libero.it. nel prossimo numero ci dedicheremo a una tematica attualissima: il rapporto fra Nord e Sud in Italia. i racconti saranno di una lunghezza massima di 16.000 caratteri (spazi inclusi).

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le Poesie saranno in forma libera. inviate i vostri lavori a yousulromanzo@libero.it, in Oggetto: racconto o Poesia. scadenza venerdì 30 aprile. allegate una breve scheda biografica che non dovrà essere superiore a 800 caratteri (spazi inclusi). 


La bellezza

di Arianna Girelli

Risvegliato da un sonno abbandonato, ho pianto di gioia per l’improvviso freddo e qualcuno disse: “È nato! È nato!”. Non mi volevano all’inizio… un viso bello come il mio, dopo un poco spiato dalla scienza; lei mi vide e reciso il sentimento con papà ha dato vita alla vita, al grembo il segno inciso. Poteva essere un’altra brutta storia, di brutto e bello si tace, non certo di legittimo o illegittimo, amore d’una madre confusa; pazzia e boria di chi naviga in un vago deserto, poco prima muore, bacia poi il cuore.

Arianna Girelli è nata a Verona nel 1979 e vive a bologna, è una commessa presso un negozio di abbigliamento. da sempre amante della poesia, ne legge troppa, attende di pubblicare la sua prima silloge. nel tempo libero scrive poesie e cura le sue piante.

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Mondi a parte di Annamaria Trevale

È davvero difficile sostenere che siamo tutti dover trascorrere gli ultimi anni di vita. uguali. La modernità e l’efficienza del ventunesimo Esistono troppi mondi sconosciuti intorno a secolo hanno creato le “Residenze Sanitarie per noi, di cui possiamo ignorare completamente Anziani”, dando loro una denominazione che l’esistenza fino al giorno in cui non siamo dovrebbe suonare rassicurante per i ricoverati, costretti per qualsiasi motivo ad accorgercene, ma soprattutto per coloro che vengono costretti ad entrarvi, anche solo a sfiorarli per un da troppe circostanze a compiere il gesto momento. doloroso e definitivo di separarsi da una persona amata, spesso dopo molti e molti anni Tu sei una delle mie migliori amiche, ci di difficile convivenza. conosciamo da molto tempo e abbiamo un lungo patrimonio di ricordi comuni che rafforza Anche questa sigla RSA suona però fredda, il nostro legame, tuttavia so che oggi qualcosa artificiosa e burocratica come quasi tutte le ci divide, mentre camminiamo insieme per le altre sigle di conio recente, che pretendono di vie della città ed entriamo in questo palazzo etichettare con supposta efficienza svariati dall’aspetto severo, che alla vista incute una problemi, il che però non implica leggera soggezione, soprattutto a te che ne stai automaticamente una loro rapida e facile oltrepassando la soglia per la prima volta. soluzione. Mi hai già detto tempo fa che non hai mai avuto occasione di entrare in una “Residenza Sanitaria per Anziani”, un luogo particolare dove vengono ricoverate le persone non più in grado di vivere un’esistenza normale quando diventano troppo vecchie e malate, ma non mi sono certo meravigliata per questo.

Oltre il pesante portone dagli spessi vetri sfumati si apre un vasto ingresso, controllato da una graziosa impiegata che dispensa sorrisi stando seduta dietro a un bancone, che starebbe benissimo nell’atrio di albergo o di una società importante.

Quasi subito però, l’affacciarsi da uno dei corridoi che si diramano dall'ingresso di un’infermiera in uniforme azzurrina, intenta a spingere una sedia a rotelle su cui troneggia un uomo dalla schiena ricurva e dagli occhi semichiusi, cancella ogni illusione: siamo entrate in un mondo diverso, che non ha nulla a che vedere né con un grande ufficio né con un Un tempo venivano chiamati “ospizi”, poi albergo, anche se di quest'ultimo cerca di ingentiliti in “case di riposo”, e alcuni di essi simulare l'apparenza. avevano nomi o soprannomi immortalati dalla tradizione popolare, come quel Pio Albergo C'è persino un cavalletto, posato a pochi passi Trivulzio che per tutti i milanesi di lunga data dal banco della ricezione, su cui è posato un è, e sarà sempre, “la Baggina”. grande blocco di fogli su cui compaiono i menu proposti di giorno in giorno agli ospiti, Erano luoghi in realtà tristemente noti per il composti da piatti dai nomi invitanti e loro squallore, dove nessuno si augurava di vagamente ricercati. Sono luoghi di cui si preferisce ignorare l'esistenza e di cui in fondo non si parla mai volentieri: se poi non è strettamente necessario, si evita accuratamente di varcarne la soglia, e di entrare in contatto con ciò che ospitano fra le loro mura.

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sonnolenza che però non sa dare sollievo, perché dopo pochi istanti un impulso incontrollabile la costringe a riaprirli, per riabbassare le palpebre subito dopo, penso che Luisa non abbia più da molto tempo alcun interesse per ciò che si può osservare oltre la grande vetrata. Il mondo esterno e la strada con il traffico di auto e di passanti non riescono assolutamente a catturare il suo sguardo, che è incapace di fissarsi su qualsiasi cosa.

Voci strane, stridenti o lamentose, ci arrivano a tratti, confuse e sovrapposte fra loro, mentre iniziamo a percorrere uno dei lunghi corridoi, che dovrebbero essere insonorizzati ma in realtà non lo sono così tanto da attutire del tutto la forza di certi suoni.

Come faccio ad ogni visita, mi siedo accanto a lei, le parlo e le accarezzo le mani, che si muovono senza requie sul piano della tavoletta fissata al bordo della sedia a rotelle davanti a lei, in preda a chissà quale smania di compiere gesti ormai dimenticati. Sono trascorsi anni da quando quelle mani erano in grado di svolgere un'infinità di compiti, dalle banali faccende domestiche a certi ricami finissimi e laboriosi che sono rimasti a casa mia, conservati con cura nei cassetti della biancheria.

Tu sei perplessa ma non fai nessuna domanda, Luisa percepisce la mia presenza e mi sorride. forse non osi. Non ha la più pallida idea di chi io sia, perché aveva smesso di riconoscere le persone già Ti limiti ad osservare l’ambiente circostante e a lanciare cautamente qualche commento molto tempo prima di essere ricoverata qui, ma generico sul suo aspetto luminoso e ordinato, le fa sempre piacere ricevere delle attenzioni: almeno finché raggiungiamo una delle sale di le carezze, i sorrisi, le voci affettuose sembrano soggiorno dove sono raccolti parecchi riuscire a colpire ancora in qualche modo la sua ricoverati, cercando la persona che siamo mente offuscata.

venute a trovare: mia zia Luisa, afflitta dal Tu mi imiti, un po' impacciata, ma intanto non morbo di Alzheimer allo stadio terminale. puoi fare a meno di notare l'aspetto È seduta in fondo al vasto salone, o meglio sconcertante degli altri ospiti che occupano il rattrappita su una sedia a rotelle che le salone intorno a noi.

infermiere accostano a uno dei grandi finestroni che illuminano il locale, nella convinzione che le piaccia osservare ciò che si può vedere del mondo esterno.

Maria da giovane doveva essere molto bella, e lo si intuisce ancora contemplandone i grandi occhi azzurri e i lineamenti fini del volto, nonostante il reticolo di rughe, ma ora il suo Io, guardando i suoi occhi spenti, che spesso si corpo appare come un mucchietto informe di accartocciate sulla carrozzina, chiudono come per arrendersi ad una ossa 2010 • Sul Romanzo

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pietosamente mimetizzate sotto la coperta di che farà la sua inevitabile comparsa di tanto in lana a colori vivaci perché lei ha sempre freddo, tanto: perché che cos’è in definitiva questo persino in piena estate. luogo se non una specie di area di parcheggio prima dell’incontro fra queste persone Santino non parla più da molto tempo e se ne stremate e il loro salto nel buio? sta tutto il giorno davanti al televisore acceso, indifferente alla rete su cui è sintonizzato e ai Il personale che si aggira per stanze e corridoi, programmi trasmessi, emettendo per contrasto, è giovane e forte: ragazze e saltuariamente dei mugolii che potrebbero ragazzi dall’aspetto sano e robusto, spesso di essere di soddisfazione, ma anche di critica a origine straniera e provenienti da paesi ciò che vede, se solo qualcuno fosse in grado di lontani. interpretarli. Lavorare qua dentro costa fatica e comporta la Se anche un giorno decidesse di averne necessità di svolgere compiti non sempre abbastanza di tutta questa televisione, gradevoli, perché gli anziani vanno accuditi, difficilmente le infermiere se ne potrebbero lavati, ripuliti quando si rovesciano addosso il accorgere, abituate come sono a parcheggiare cibo a tavola, e come dei neonati fuori misura ogni pomeriggio la sua sedia a rotelle davanti sono tutti provvisti di pannolini. all’apparecchio acceso. Eppure anche questi giovani uomini e donne, Rita chiede insistentemente e ritmicamente dopo essere stati per molte ore a contatto con aiuto, con una voce monotona e metallica che corpi in disfacimento e menti ottenebrate, dopo un po’ diventa un sottofondo che si cerca usciranno ogni volta per tornare a casa, e d’ignorare, sapendo che la sua richiesta è del ritroveranno una vita normale, gli affetti, gli tutto immotivata, puro impulso dettato da un amici, e avranno come tutti desiderio di cervello in disfacimento: tuttavia non è per divertirsi, dimenticando il mondo diverso dove nulla facile fingere di non sentirla. lavorano. Rachele sorride con gentilezza a tutti, appare sempre di buon umore e disposta a chiacchierare, ma poiché la sua memoria non esiste più è incapace di sostenere una conversazione: qualsiasi persona si stanca a sentirsi ripetere la stessa domanda dieci volte di seguito, prima di comprendere che la sua interlocutrice non sarà mai in grado di trattenere nella mente una risposta. Alberto cammina, cammina sempre.

Questo mondo a parte, di cui non tutti conoscono l’esistenza finché non hanno occasione di sfiorarlo. Il medico di reparto se ne sta per la maggior parte del tempo nel suo studio a svolgere un noioso lavoro di routine, somministrando farmaci e compilando cartelle cliniche che non gli verranno mai richieste, perché nessuno dei suoi pazienti uscirà vivo da questo luogo.

Mi sono chiesta spesso quanto possa essere frustrante, per una persona che ha studiato medicina per anni con lo scopo ovvio e naturale di curare le persone, per mantenere o riportare alla piena efficienza i loro corpi, questo passare le giornate assistendo soltanto all’inesorabile disfacimento di decine di malati terminali, Già, la morte. controllando che assumano farmaci costosi ed inutili e misurando funzioni vitali divenute Aleggia fra queste mura chiare, in questi spazi fintamente accoglienti, come un ospite ininfluenti. supplementare e poco gradito, ma di cui si sa A che serve che Luisa Maria e Alberto abbiano Il suo vecchio corpo affaticato e malfermo forse vorrebbe riposare, ma è obbligato a obbedire a quell’impulso infernale a muoversi senza tregua, che solo la morte probabilmente riuscirà a fermare.

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il cuore e la pressione in ottimo stato se le loro menti si sono spente? Chissà se queste persone, potendo riacquistare per un attimo la lucidità necessaria a prendere coscienza del loro sopravvivere in una condizione subumana, vorrebbero continuare a farlo. Senza pensieri, senza emozioni, senza memoria... senza piacere, senza dolore. Senza soprattutto la dignità di sentirsi ancora uomini e donne come per tutta la parte cosciente della loro esistenza. Il medico passa fra loro tenendo per sé i suoi pensieri, poi torna nello studio a sfogliare cartelle cliniche, e ad accontentare le esigenze dei burocrati. “Fino a quando si può restare?” mi chiedi ora, e capisco che in realtà vorresti sapere se non sia possibile andar via, perché questo luogo ti ha turbata più del previsto, come tutti coloro che ci vengono per la prima volta. Posso immaginare quali pensieri ti stiano passando per la testa, perché di sicuro non saranno molto diversi dai miei, ma preferisco non farmeli raccontare. “L’orario di visita termina fra mezz'ora, ma è inutile trattenerci ancora, e se vuoi possiamo andare. Sei stata gentile a venire, anche se non credo ti abbia riconosciuta.” Usciamo senza voltarci indietro, mentre Rita continua a chiedere aiuto e Alberto ritorna a percorrere per la centesima volta il corridoio che ci lasciamo alle spalle. Torniamo al mondo “reale”, dove parleremo di figli e mariti, di progetti e di speranze, relegando il pensiero di quel “mondo a parte” nell'angolo più remoto della nostra mente. 

Annamaria Trevale è nata a Milano nel 1958. Ha pubblicato due raccolte di racconti (in prima persona, Maremmi 2003 e solitudini, Prospettiva 2008) e svariati racconti su riviste e antologie, quattordici dei quali nelle instant-anthologies di giulio Perrone editore. Ha partecipato a due volumi scaturiti dall'esperienza del multiblog ibrid@menti creato dall'università ca' foscari di Venezia: Pratiche collaborative in rete (Mimesis 2008) e dai blog ai social network (Mimesis 2009). collabora a siti e riviste letterarie online. blog personale: http://paginebrevi.splinder.com

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