August Sander, Un’analisi del metodo di costruzione documentaria

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August Sander Un’analisi del metodo di costruzione documentaria Silvio Lorusso




“L’ho conosciuto bene, questo August Sander. Ricordo abbastanza chiaramente il modo in cui lui andava di villaggio in villaggio e scattava fotografie. E mentre le faceva, lui diceva sempre alle persone: ‘non fare quella faccia fotogenica, deve sembrare che tu non voglia assolutamente essere fotografato.’”1

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Un’analisi del metodo di costruzione documentaria

Il colossale progetto che August Sander concepisce a partire dal 1910 è quello di comporre un ritratto fedele della società del suo tempo, divisa in classi sociali, professioni e mestieri. Parte quasi sempre ritenuta secondaria, per contingenze politiche, è quella che descrive sistematicamente gli ambienti della Germania di Sander, comprendendo i paesaggi naturali e gli agglomerati urbani. In realtà per Sander questa seconda parte non era affatto meno rilevante e il suo interesse precedente al potere del terzo Reich smentisce questa tesi. Questo breve saggio è incentrato sul lavoro svolto da Sander attorno all’uomo e alla società, l’opera completa di Sander conta infatti anche fotografia d’architettura, fotografia di paesaggio, studi botanici e collages che in questa sede saranno marginalmente accennati. Ripercorrere le varie tappe del lavoro di Sander ai fini della definizione di un metodo è una via che permette di indagare le aderenze tra teoria e pratica fotografica; ogni fase di lavoro è intesa come un livello tra la presentazione di uno spaccato della società tedesca e la costruzione di un pensiero sopra di essa. Il passaggio da documento a documentario viene analizzato come serie di scelte da parte del fotografo. Idealmente il processo parte dalla selezione dei soggetti, per arrivare all’edizione dei testi, ma in realtà le fasi si mescolano nella prospettiva totale del progetto che, allo stesso tempo, si situa prima e dopo le altre fasi ridefinendole. Viceversa, le varie fasi sono lo spunto continuo per nuovi corollari al progetto generale, di cui la serie è elemento costante.

Dal film documentario del 1977 Homage to August Sander, http://www. youtube.com/watch?v=zhlEKTAf9Ik 1

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La seduta fotografica

La seduta preparatoria alla fotografia, descritta da Ulrich Keller nell’introduzione a “Uomini del XX secolo”, risulta essere molto lunga, si parla persino di svariate ore2. Al contrario del pittore romantico, che utilizza il tempo che precede il ritratto per carpire la gestualità, la psicologia e in ultima istanza l’identità del soggetto, Sander fa in modo che questo tempo sia utile al modello per prendere confidenza con il mezzo fotografico. Questa consapevolezza, in realtà, non è altro che presa di coscienza del proprio corpo che si fa immagine. La posa frontale non fa che amplificare questa coscienza, perchè è l’unica posa conosciuta e controllata, anche se solo in parte, dal modello. La stessa idea di posa viene ribaltata: se essa era considerata goffa e innaturale, diventa per Sander, e per molti teorici dell’epoca, la “massima espressione della personalità vivente”3. Olivier Lugon a tal proposito parla di autoritratto assistito e della resposabilità che passa dal fotografo al modello il quale diviene soggetto4. Questo passaggio di responsabilità si definisce anche attraverso la parsimonia dei negativi che sono al massimo tre ed inoltre attraverso un tempo di esposizione che va dai 2 ai 4 secondi, il quale richiede dunque un’immobilità pressochè totale. Dalla citazione che apre il saggio potremmo dedurre che Sander influisse sul modello per ottenere quegli sguardi distaccati, in alcuni casi quasi di sfida, che si sono prestati alle interpretazioni psicologiche e sociologiche più disparate. Ma i commentatori dell’epoca descriveranno il lavoro di Sander utilizzando la fortunata metafora dello specchio e lui stesso ne farà uso. Ovviamente questa metafora ben si adatta all’impianto teorico e alla volontà progettuale di Sander, che è quella di comporre un ritratto neutrale della società tedesca.

U. Keller, in A. Sander, Menschen des 20. Jahrhunderts: Portraitphotographien 1892-1952, cit. 3 D. Sternberger, Über die Kunst der Fotografie, cit. 4 O. Lugon, Lo stile documentario in fotografia Da August Sander a Walker Evans 1920-1945, Electa, Milano, 2008, p. 172 2

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Il ruolo del modello tra Sander e Barthes

Anche Barthes utilizzerà in seguito la metafora dello specchio per descrivere l’inquietudine e la follia del modello che vede se stesso. Ma Sander, che come Barthes riconosce il ruolo attivo del modello nel momento della posa5, al contrario di quest’ultimo, non è affatto preoccupato dalla ricerca di coincidenza tra “io” e immagine. Per Sander questa disperata ricerca è un aspetto intrinseco dell’io quindi vero. Questa verità, che Sander vuole universale/scientifica, può essere considerata tale perchè rappresenta al meglio l’oscillazione, quindi la compresenza, tra individuo e tipo, tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere. In questo modo convergono due livelli di lettura, in realtà inscindibili, che sono la classe sociale, il mestiere e la provenienza da una parte, e il vissuto dall’altra. Inoltre, la teoria scientifica dell’epoca conferma la compresenza di questi due flussi nell’aspetto fisico dell’individuo; discipline come la fisiognomica o la chirognomia permettono a Sander di avere fiducia in una fotografia esatta. Barthes definisce quattro forze in campo nel ritratto fotografico in posa, il modello è al tempo stesso: ciò che egli crede di essere, ciò che egli vorrebbe che si creda che sia, ciò che il fotografo crede che egli sia e infine ciò di cui il fotografo si serve per far mostra della propria arte6. Sander si dimostra non interessato alle prime due forze, infatti i Becher avranno buon gioco nell’affermare che “ [egli], in quanto ritrattista, rispetta i suoi oggetti, rispetta il loro ruolo, non diceva, come altri fotografi, “voglio fotografarli quali essi sono o quali essi pensano d’essere”; li accettava quali erano nel loro ruolo”7. Inoltre le ultime due forze si annullano, o almeno l’ultima è fortemente stemperata dalla struttura programmatica del lavoro e dalla libertà data al soggetto. Ma se invece di considerare, come si è fatto finora,

R. Barthes, La camera chiara, Einaudi, Torino, 2003, p. 12 R. Barthes, La camera chiara, Einaudi, Torino, 2003, p. 15 7 Da un’intervista riportata in J.F. Chevrier, J.Lingwood, Un’altra oggettività, Idea Books, Milano, 1989, p. 60 5

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la singola foto, si considera il catalogo come testo, l’ultima forza ritorna presente e preponderante perchè la percezione del singolo è altamente influenzata dalla successione di altri singoli. Cosa resta di questa estrema riduzione? Il ritratto della “maschera” che paradossalmente risulta essere il più vero8.

Dalla premessa di Claudio Marra in F. Muzzarelli, Formato tessera, Bruno Mondadori, Milano, 2003, p. XI 8

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Attrezzatura, stampa e lavoro sui negativi

Visione generale della tecnica

L’uso del dagherrotipo

Intorno agli anni ‘30 il repentino sviluppo tecnologico delle attrezzature fotografiche porterà ad un’euforia positivistica che enfatizzerà l’infinita superiorità del mezzo fotografico rispetto all’occhio umano. Per Sander, al contrario, l’aspetto tecnico della fotografia da sottolineare è la vasta maglia di informazioni e relazioni che si instaura anche nelle fotografie più comuni. Parlando della fotografia criminale affermerà che “fotografando l’arma del delitto, i mobili rotti, i vestiti strappati o le macchie di sangue, [ed esaminando] le impronte digitali, le contusioni e le ferite per determinare come sono state prodotte, si possono fornire alla criminologia molte indicazioni per risalire al colpevole”9. In netta controtendenza con i suoi contemporanei Sander rivolgerà gli occhi al passato e sperimenterà il dagherrotipo e le altre tecniche primigenie della fotografia. Sono due gli aspetti del dagherrotipo che interessano Sander, il primo esogeno ed endogeno il secondo. L’aspetto esogeno, che spingerà Sander ad essere un collezionista di dagherrotipi della prima ora, riguarda il rapporto dei soggetti fotografati con il mezzo. Quella solenne rigidità di posa, tanto disprezzata dai fotografi pittorialisti, verrà vista da Sander e da alcuni suoi contemporanei10 come una prestazione dignitosa, un mettersi in gioco nella proprià totalità e nel definire il proprio status. L’aspetto endogeno ha invece a che fare con la totale fiducia nel potere straniante della fotografia applicata semplicemente a cose ed oggetti. Il dagherrotipo a differenza della pellicola non permetteva la riproduzione in serie della fotografia, l’immagine risultante era unica e manteneva di conseguenza la propria dimensione auratica. Quest’ultima aumenta l’effetto straniante e porta al diretto ribaltmento della realtà che si fa immagine. L’immagine straniata ha le caratteri-

9 A. Sander, Wesen

und Werden der Photographie, cit., IV conferenza, Die wissenschaftliche Photographie, 1931, p. 8 10 O. Lugon, Lo stile documentario in fotografia Da August Sander a Walker Evans 1920-1945, Electa, Milano, 2008, pp. 176 177 178

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Il grande formato

La stampa

stiche necessarie ad elevarsi ad assoluto e divenire archetipo. Se Sander restaura l’idea di unicuum nella fotografia11, non è certo per confermare l’artisticità di questa pratica, ma per affermare il potere immaginifico che essa già incorpora nella sua specificità; in maniera opposta, l’archivio diventa la manifestazione tangibile della serialità a livello di programma. Le sperimentazioni col dagherrotipo si rivelano comunque secondarie ed infine abbandonate a causa dei costi eccessivi e Sander continua, come aveva sempre fatto, ad utilizzare una macchina di grande formato. Nei primi anni del ‘900, gli anni in cui Sander si avvicina alla fotografia, il grande formato era l’unica scelta possibile; è solo negli anni ‘20 che il medio e piccolo formato forniscono un’alternativa valida. Per tutti i fotografi cosiddetti documentaristi, il grande formato acquisisce un forte valore in funzione di una caratteristica fondamentale nelle loro fotografie: il dettaglio. Ma il grande formato oltre a significare immensa qualità di dettaglio, significava anche un’attrezzatura molto pesante e poco maneggevole, cosa che non inficiava il lavoro di Sander, molto lento e ragionato. La visibilità del dettaglio oltre ad essere resa possibile dal grande formato, viene esaltata da una stampa appropriata. In aperto contrasto con le forti zone d’ombra dei pittorialisti August Sander recupera dei ritratti eseguiti negli anni ‘10, periodo nel quale non aveva ancora definito il suo progetto, e allo scopo di inserirli nell’archivio ne ottiene una versione nuova attraverso una stampa molto schiarita che riporta alla luce una serie di dettagli. La visibilità e leggibilità totale sarà formulata da Sander in una massima12 che sarà oggetto di interpretazioni filosofiche per tutta la fotografia documentaria. Anche l’utilizzo della carta

11 “La

tradizione autentica della fotografia è quella dell’immagine unica: com’era il dagherrotipo”. Da un’affermazione di Sander riportata in August Sander, ritratto di un popolo, in “Nuova Fotografia”, luglio-agosto, 1977, p.40 12 “In fotografia non esistono ombre che non si possono illuminare [keine ungeklärten Schatten]!” da A. Sander, Aussprüche..., cit., s.p.

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Ritaglio dei negativi

lucida, che derivava dalla fotografia industriale, quindi di per sé intrisa di quell’estetica della macchina tanto cara ai modernisti, contribuiva a rendere nitidi e più facilmente individuabili i dettagli. La questione del dettaglio e della nitidezza non gli era certo nuova, infatti in una conferenza degli anni ‘30 Sander afferma: “I primi negativi che stampai mi procurarono una gioia immensa, più stemperata per i miei familiari i quali trovarono che le rughe dei volti erano poco estetiche e creavano dei brutti effetti”13. Altra caratteristica dell’opera di Sander è il lavoro posteriore sui negativi, eresia per molti fotografi i quali ritenevano la foto conclusa nel momento dello scatto. Ciò che era incluso nella fotografia doveva rimanere tale per rispettare il rapporto con la realtà che il fotografo aveva stabilito precedentemente. Al contrario Sander ottiene ritratti individuali da foto di gruppo, tecnica che aveva adottato durante la Prima Guerra Mondiale per l’impellente necessità di ritratti fotografici per i passaporti, inoltre ritaglia particolari e in alcuni casi effettua dei leggeri requadrages per ottenere fotografie di taglio simile. Se questa operazione può contraddire l’assolutezza e l’unicità della fotografia sostenuta da Sander stesso, sposta la questione sul catalogo come testo. Da Sander in poi, spesso le peculiarità estetiche della singola foto saranno sacrificate in funzione della serie che diventa essa stessa l’opera, visione che permette di tollerare imprecisioni, fotografie imperfette, e persino fotografie recuperate. Si può osservare come i crop avessero spesso funzione sintetica e di indirizzamento visivo, come nel caso dello studente membro di una confraternita14, la quantità di dettagli e decorazioni dell’abbigliamento viene sacrificata per porre l’accento sul volto graffiato dello studente e della sua espressività. Altro caso

13 A. Sander, conferenza

del 1930 Studente membro di una confraternita, 1925, IV/18/1 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 14

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degno di nota è quello del disoccupato15, in questa fotografia gran parte del negativo viene ritagliato, possiamo supporre che da una parte questo serva per normalizzare il ritratto centrandolo, dall’altra per indirizzare l’attenzione sul soggetto e non sulla città.

Disoccupato, 1928, VI/42/6 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002ù 15

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Selezione dei soggetti e delle fotografie

L’archetipo

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La questione che qui ci si pone è quella della scelta dei soggetti adatti a impersonare l’archetipo, operazione che va di pari passo con l’ulteriore selezione effettuata sulle foto già scattate, quindi delle fotografie adatte a rappresentare l’archetipo. Prima di ciò però è necessario provare a interrogarsi sulla definizione di archetipo (o tipo) per Sander. Se ad oggi, l’idea di classificare la società attraverso il ceto o la professione ci sembra poco aderente alla realtà, dobbiamo immaginare che ai tempi di Sander la mobilità sociale era praticamente nulla, che la professione di un individuo era parte dominante della sua identità e che l’espressione della personalità non era certo una consuetudine. Inoltre era molto più semplice individuare la classe sociale e la professione dagli attributi degli individui, come l’abbigliamento e gli strumenti. Ma Sander potrà parlare anche di segni/attributi organici, quali il volto, le mani e il corpo in generale, sicuramente grazie all’euforia fisiognomica e alle idee di Benjamin sul mimetismo quale incarnazione involontaria del proprio ruolo sociale attraverso il linguaggio gestuale inconscio. In quest’ottica l’aderenza del modello al tipo non ha bisogno di nessuna riconferma a posteriori perchè il gruppo sociale instilla necessariamente le proprie peculiarità all’individuo. La stessa argomentazione è portata avanti dallo scrittore Alfred Döblin, autore dell’introduzione al libro Antlitz der Zeit (Volti dell’epoca), che parla di livellamento attraverso la società, ma oltre a ciò, indica la morte come altra fonte di livellamento, di passaggio dall’individuo al tipo. Per Döblin la possibilità di vedere il tipo è collegata al punto di vista adottato, dalla distanza di questo, egli afferma: “L’individuo e il collettivo (o l’universale)


sono dunque [...] occasioni della mutevole distanza”16. Quindi l’archetipo è visibile nella prospettiva di lavoro di Sander nel momento in cui si prende in considerazione la serie, cioè nel momento in cui la distanza del punto di vista è massima. Si può sottolineare inoltre, il fatto che Döblin non neghi mai la presenza dell’individuo nelle fotografie di Sander, ma ciò non è d’intralcio perchè la fruizione dell’opera è suggerita dall’autore stesso. Sia le teorie pseudo-scientifiche di Benjamin che le speculazioni generalizzanti di Döblin conducono verso una conclusione unica: l’archetipo aderisce sempre e comunque all’individuo, quest’ultimo contiene il suo archetipo sociale e culturale. E’ questo che permette di non confondere l’archetipo con lo stereotipo, il primo si può intendere come un’accumulazione di tutte le peculiarità di una tale categoria riscontrabili nella totalità di coloro che ne fanno parte, una sorta di architettura che muove dal particolare per giungere all’universale. Lo stereotipo invece è composto dalle caratteristiche comuni a tutti per sottrazione, quello che in matematica si chiama minimo comune multiplo. Il lavoro di Sander è complementare a quello di Gerd Arntz: entrambi hanno fatto parte di quel gruppo di estrema sinistra che sono i Progressisti di Colonia, per entrambi l’assenza di caratteristiche individuali, l’arte che si vota alla collettività sono temi fondamentali, ma se Arntz lavora sui pittogrammi, eliminando i volti e le differenze tra individui, Sander realizza i temi preposti per eccesso di individualità. Come sottolinea Rubinfien, Sander quando fotografa il macellaio è interessato all’essere-macellaio, ma questo possiamo solo riscontrarlo in un uomo che pratica quella professione, nessuna astrazione dunque, solo uno sguardo pensante17.

Ritratti, fotografie di August Sander, Electa, Roma, 2004, p. 17 L. Rubinfien, August Sander: the mask behind the face, Art in America, GiugnoLuglio 2004, http://www.americansuburbx.com/2008/01/theory-augustsander-mask-behind-face.html 18 Un buon esempio può essere “La filosofa” I/ST/7, A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 19 (a cura di) G. Sander, August Sander, la fotografia non ha ombre oscure!, Alinari, Firenze, 1996, p. 26 20 O. Lugon, Lo stile documentario in fotografia Da August Sander a Walker Evans 16 17

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Le opere di Sander

In verità abbiamo il diritto di ritenere la definizione di archetipo e la collezione di questi, una costruzione intellettuale sopra la realtà, data dalla personale visione del fotografo che, nell’atto della scelta, modella la rappresentazione della società e del tempo. Conferma di ciò è l’antologia che apre l’opera Uomini del XX secolo, la cosiddetta antologia sociale. La volontà dell’autore è qui presente tre volte: prima nella definizione di classi sociali o ruoli soggettivi, poi nell’identificazione di queste attraverso attributi interiori, ed infine nella chiara affermazione della nobiltà archetipica del mondo rurale18. A tal proposito Sander afferma di aver: “subordinato i diversi tipi [...] a questo archetipo con tutte le caratteristiche generali dell’umanità”19. Ma Sander non è nè un antropologo nè un sociologo e l’essere-categoria della fotografia è una questione puramente visiva. Quello che Evans definirà uso del documentario come stile20, è l’uso che Sander fa della sociologia, disciplina peraltro molto in voga in quel periodo. Possiamo certamente parlare di “stile sociologico” o di “metafora sociologica”21 in quanto l’apparato scientifico a cui egli fa riferimento si riduce ad una componente estetica. A questo punto, avendo chiarificato il significato di archetipo, la sua inesorabilità teorica e la sua soggettività estetica, analizziamo il processo attraverso il quale si definiscono gli individui ed in seguito le immagini adatte a rappresentare (o presentare) l’archetipo. L’unica opera incentrata sull’uomo di cui disponiamo, in cui la volontà di Sander è certa riguardo alla scelta dei soggetti e delle fotografie è “Antlitz der Zeit”, la prima edizione risale al 1929 e mostra una serie di 60 ritratti. Per Sander quest’opera era

1920-1945, Electa, Milano, 2008, p. 15 21 L. Rubinfien, August Sander: the mask behind the face, Art in America, GiugnoLuglio 2004, http://www.americansuburbx.com/2008/01/theory-augustsander-mask-behind-face.html

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una specie di anticipazione del progetto totale “Uomini del XX secolo”. Quest’ultima è disponibile in due versioni, entrambe postume; la prima del 1980 curata da Gunther Sander contenente 439 fotografie22, mentre la seconda, del 2002 curata da Susanne Lange, Gabriele Conrath-Scholl e Gerd Sander che ne contiene 61923. Non avendo possibilità di accesso all’archivio Sander a Colonia, ciò che si può fare in questa sede è di proporre un metodo di indagine. Il progetto di Sander nasce in seno alla sua esperienza professionale, quella di fotografo commerciale. Egli stesso afferma che l’idea risale agli anni ‘10, anni in cui trasferisce il suo laboratorio fotografico da Linz a Colonia24, ma il primo documento scritto che lo dichiara risale al 192525. Sicuramente il progetto influenza anche i suoi esiti professionali, nella ricerca di uno stile più netto, senza alcun tipo di effetto e vicino alla fotografia di studio antropologico. All’interno di questa nuova prospettiva di lavoro, anche i ritratti commerciali, eseguiti cioè su commissione, possono rientrare a pieno titolo nella serie. Questa possibilità non era una novità per l’epoca, infatti molte fotografie esposte alla fiere erano il risultato dell’attività professionale dei fotografi. D’altro canto sappiamo con certezza che molte foto erano realizzate con l’unico scopo di completare il progetto; ad esempio gran parte del settimo volume dedicato agli ultimi della società, gli idioti, i malati ed i pazzi, è sicuramente realizzata ad hoc. Scelta dei soggetti L’analisi del metodo di scelta aprioristica dei tipi, cioè precedente all’atto stesso del fotografare, si può effettuare focalizzando l’attenzione su quei soggetti sicuramente prescelti al di fuori della routine professionale. Individuare questi soggetti non è compito facile, infatti non c’è alcuna differenza tecnica tra una

22 A. Sander, Menschen

des 20. Jahrhunderts, Schirmer-Mosel, Monaco, 1980 of the 20th century, Abrams, New York, 2002 24 Ritratti, fotografie di August Sander, Electa, Roma, 2004, p. 20 25 A. Sander, lettera a Erich Stenger, 21 luglio 1925 (ASA) 23 A. Sander, People

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Scelta delle fotografie

Raoul Hausmann

foto su commissione ed una realizzata ad hoc. L’unica possibilità che resta è di ripercorrere le trame biografiche di August Sander ed evidenziare i rapporti con i modelli. Individuato un soggetto fotografato ad hoc, si proseguirebbe definendo la classe sociale o la professione che avrebbe rappresentato all’interno del portfolio/antologia. Fatto ciò lo si confronterebbe con altri soggetti appartenenti alla stessa categoria ed infine si avanzerebbero ipotesi sulle motivazioni della scelta effettiva. Discernere le logiche della selezione sulle fotografie già scattate è un compito ancora più arduo. Sappiamo che l’opera completa “Uomini del XX secolo” avrebbe contenuto, secondo Gerd Sander, circa 1500-2000 fotografie26, al contrario per Susanne Lange la mole si riduce a 500-600 fotografie27. Sappiamo anche che molte di queste non sono mai state scattate, quindi la quantità di foto definitive si riduce ampiamente. L’archivio in cui selezionare e confrontare queste fotografie conta ben 11000 negativi, non tutti dedicati ai ritratti ma sicuramente una buona parte di questi. Ad esempio l’antologia intitolata “Il giovane contadino” include 69 possibili fotografie ma l’edizione del 2002 ne vede 21 selezionate28. La questione è complicata dal fatto che August Sander parla orientativamente di 12 foto per antologia. La proposta di metodo qui si basa invece sul soggetto unico e sulle varie fotografie scattate. Mettendo a confronto diverse pose di uno stesso soggetto, magari in diversi luoghi e a distanza di tempo si può riflettere sull’intervento della composizione, sulla collocazione tipologica dei soggetti e più in generale dell’immagine a costituire l’archetipo. Un caso interessante da percorrere è quello dell’artista austriaco Raoul Hausmann noto per i suoi collages dadaisti, il quale

(a cura di) G. Sander, August Sander, la fotografia non ha ombre oscure!, Alinari, Firenze, 1996, p. 10 27 A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002, primo volume, p. 13 28 A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002, primo volume, p. 31 26

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è presente ben 3 volte all’interno di “Uomini del XX secolo”. Sappiamo che Sander conosce Hausmann grazie ai contatti stabiliti con gli artisti progressisti di Colonia, in particolare grazie all’amico comune Franz Wilhelm Seiwert, il quale scrive una lettera di raccomandazione che Sander porta con sè a Berlino29. Il primo portfolio in cui lo troviamo è il secondo, quello dedicato all’operaio specializzato (in realtà l’estensione è molto più ampia, troviamo infatti, politici, industriali, tecnici etc.). Raoul Hausmann è nella dodicesima antologia, intitolata “Il tecnico e l’inventore”30. La collocazione, seppur inaspettata, ha un valore decisivo nell’impianto teorico di Sander e dei suoi compagni pittori: il ruolo dell’artista è quello di collaborare con i tecnici e i professionisti e in questo modo svolgere un compito verso la scoietà intera. Troviamo nuovamente Hausmann nel terzo portfolio, quello dedicato alla donna. L’antologia è intitolata “La donna e l’uomo” e nella foto che conclude la serie vediamo Hausmann che abbraccia la sua compagna e una sua amica31; la fotografia, preceduta, da foto di coppia, sembra aprire le porte a nuove tipologie di rapporti più liberi. Ci si aspetterebbe di trovare l’ultima foto di Hausmann all’interno del portfolio dedicato agli artisti, ma non è così; vediamo una fotografia abbastanza divertita intitolata “Raoul Hausmann come ballerino” all’interno del sesto portfolio dedicato alla città32, nell’antologia che raccoglie “Tipi e personaggi della grande città”. La modalità che permette a Sander di inserire un individuo all’interno di diversi ambiti è segno della molteplicità delle sfaccettature del singolo, che all’interno della società riveste svariati ruoli ed è affermazione del fallimento del ritratto singolo nel momento in cui è incaricato di rappresentare il modello nella sua totalità.

29 A. Sander, People

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of the 20th century, Abrams, New York, 2002, secondo volume, pp. 17 18 30 Inventore e dadaista, 1929, II/12/7 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 31 Il dadaista Raoul Hausmann, 1929, III/13/14 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 32 Raoul Hausmann come ballerino, 1929, VI/42/3 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002


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Erich Sander

Ma il modello che ritorna più spesso all’interno dell’opera è sicuramente Erich Sander, suo figlio primogenito. Il primo ritratto in cui lo incontriamo è di gruppo e lo mostra nei panni di “studente lavoratore” insieme a tre suoi compagni, uno dei quali lo ritroveremo come membro del KPD33 . Lo troviamo ancora nell’antologia successiva dedicata agli studiosi, questa volta è un ritratto singolo ed è intitolato “Studente di filosofia”34, entrambe le foto sono del 1926. La foto successiva ci mostra le conseguenze delle sue scelte a distanza di 17 anni: in questa fotografia vediamo Erich Sander come prigioniero politico all’interno della sua cella, l’unico ritratto ambientale di quell’antologia 35. Non a caso l’ultimo ritratto di Erich è quello che chiude l’opera di suo padre36, in questa fotografia il destino di Erich si è compiuto, vittima di persecuzione da parte del Nazismo è morto per rifiuto di assistenza medica e la sua maschera mortuaria resta il solido monito che Sander pone ai posteri.

Studenti lavoratori, 1926, IV/18/4 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 34 Studente di filosofia, 1926, IV/19/6 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 35 Prigioniero politico, 1943, VI/44a/1 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 36 Maschera mortuaria di Erich Sander, 1944, VII/45/16 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 33

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Struttura e divisione del progetto, catalogazione ed editoria

La prima bozza della struttura dell’opera “Uomini del XX secolo” viene descritta da August Sander in un documento risalente agli anni tra il 1925 e il 1927. L’opera, mai completata, è composta da sette portfolii, divisi ulteriormente in 45 antologie. Ognuna di queste avrebbe dovuto contenere in prima istanza 12 fotografie, ma in seguito Sander eliminerà questa costrizione. I portfolii si susseguono in quest’ordine: 1.Il contadino, 2.L’artigiano (od operaio specializzato), 3.La donna, 4.Le classi e professioni, 5.Gli artisti, 6.La grande città e 7.Gli ultimi. Come sottolinea Susanne Lange, il leitmotiv che guida l’intera opera è quello dello sviluppo ciclico, e se ne trova conferma sia nella struttura generale che nelle singole antologie37. Esempio che si può riportare è il primo portfolio, aperto dall’”Uomo legato alla terra”38 e chiuso dall’”Aviatore”39. Molte scelte strutturali sono la prova della visione “non-statistica” della società tedesca da parte di Sander, come il portfolio dedicato alla donna, l’antologia dedicata ai nazional-socialisti, quella dedicata ai perseguitati, ai prigionieri politici ed infine quella intitolata “Persone che hanno bussato alla mia porta”. Inoltre alcune categorie molto presenti e rilevanti ai tempi della repubblica di Weimar risultano totalmente assenti, come ad esempio le prostitute. Al contrario August Sander mostra una notevole attenzione e lungimiranza nel documentare la presenza di gitani, vagabondi, pellegrini e mendicanti; e il messaggio umanitario prevade chiaramente tutto il settimo portfolio. Alla ricerca di una completezza nell’ambito di alcune professioni vediamo tipologie particolari e inaspettate come il magnetizzatore, l’ipnotizzatore, il mago40, il venditore di trappole per topi, etc.

37 A. Sander, People

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of the 20th century, Abrams, New York, 2002, primo volume, p. 12 38 Uomo legato alla terra, 1910, I/ST/1 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 39 Aviatore, 1920, I/7/12 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 40 Mago, 1930, VI/37/11 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002


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Primo portofolio

Il primo portfolio, quello dedicato ai contadini si apre con un’antologia introduttiva, la Stammappe [tradotta in italiano come Antologia sociale]; molte delle foto ivi contenute erano già presenti in “Antlitz der Zeit”, scattate infatti intorno al 1913, ma in questa sede cambiano nome con lo scopo di mettere in luce una serie di valori che appartengono all’umanità intera. In questo modo un contadino diventa un rivoluzionario, un pastore viene indentificato come “Saggio”, una contadina diventa “Donna dall’intelletto evoluto”. La scelta rurale sarà giustificata per il forte e diretto legame che queste persone, note a Sander fin dalla sua giovinezza, mantengono con la natura41. Le successive antologie analizzano la vita contadina in tutti i suoi aspetti, passando pian piano dalla campagna ai piccoli agglomerati urbani. L’antologia che chiude il portfolio è dedicata allo sport, attività che accomuna sia la vita di provincia che quella di città. Secondo portofolio Il secondo portfolio è dedicato all’artigiano (od operaio specializzato). Esso si apre con i mestieri tradizionali nell’ambito dell’artigianato e passa direttamente agli industriali. A questo segue la decima antologia intitolata “L’operaio, la sua vita e il suo lavoro”, diversa dalle altre per il tipo di ritratto: qui abbiamo punti di vista molto più larghi che ci mostrano più chiaramente i luoghi di lavoro, i macchinari. L’antologia successiva mette in relazione il lavoro fisico e quello intellettuale, riferendosi a quest’ultimo come attività di propaganda e di corporazione tra gli operai. L’antologia che chiude il portfolio è dedicata al tecnico e all’inventore e molto attuale si rivela la scelta della fotografia finale che ritrae un pubblicitario. Terzo portfolio Il portfolio dedicato alla donna, ci rivela un punto di vista che contiene aspetti sia tradizionali che progressisti; la donna è

(a cura di) G. Sander, August Sander, la fotografia non ha ombre oscure!, Alinari, Firenze, 1996, p. 26 41

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raccontata come moglie, come madre, come elemento primario della famiglia. Anche in questo contesto si nota un’attenzione particolare alle coppie di artisti, ritratte in sequenza con una formula sensuale che sfrutta l’interazione tra le pose dei volti42. La donna è poi rappresentata nelle sue qualità estetiche con l’antologia intitolata “La donna elegante”. Il portfolio si chiude infine con la donna impegnata nel lavoro fisico ed intellettuale. Quarto portofolio Il quarto portofolio è dedicato alle varie classi e professioni, si apre con l’antologia dedicata agli studenti, passando per gli studiosi, i pubblici ufficiali, i soldati, per arrivare ai nazionalscoialisti che sono descritti con lo stesso rigore che contraddistingue il lavoro di Sander. Una breve antologia è dedicata agli aristocratici, considerata probabilmente una classe in estinzione. A seguire un’antologia dedicata agli uomini di chiesa, quindi parroci, missionari di varie estrazioni religiose. Mentre una serie dedicata agli insegnanti anticipa quella dedicata ai commercianti, nella quale August Sander non si risparmia una riflessione sociale inserendo tra grandi commercianti un venditore di fiammiferi. Quinto portofolio Un intero portofolio è dedicato agli artisti, quali scrittori, attori, architetti, scultori, pittori; la sezione dedicata alla musica è divisa in compositori e musicisti. Dal punto di vista della composizione seriale questo portfolio risulta essere molto rigoroso: quasi tutti i ritratti sono singoli, alcune scelte si ripetono coerentemente per intere antologie. Ad esempio tutti gli scrittori sono seduti, stesso vale per gran parte degli architetti e dei pittori. Altra particolarità rispetto agli altri portfolii è l’assenza quasi totale di strumenti che hanno funzione di attributo per la professione svolta; si vedono solo un paio di pennelli nel ritratto di Gottfried Brockmann43, qualche statua nell’atelier di uno scultore, un pro-

Coppia d’architetti, 1926, III/13/10 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 43 Pittore, 1924, V/33/19 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 42

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Sesto portfolio

getto tra le mani di un architetto. La scelta può essere interpretata come una visione attuale dell’arte come attività intellettuale legata solo in parte alla tecnica. Nel sesto portfolio, quello dedicato alla grande città, si evidenziano molti dei temi successivi ad “Antlitz der Zeit”. La prima antologia dedicata alla vita in strada comincia con alcune fotografie che mostrano la città più che l’uomo, si passa poi ad alcune foto in cui oltre ai soggetti dicharati nella didascalia ce ne sono altri che creano una possibile narrazione, è il caso dei “Musicisti di strada” 44. Altre fotografie, presenti in tutto il portfolio mostrano soggetti collocati nella città45, le inquadrature qui sono molto più larghe e si ricollegano inevitabilmente ai ritratti di Atget a Parigi46, a differenza di quest’ultimo Sander isola il soggetto sfocando lo sfondo oppure piazzandolo su superfici piatte come muri o porte. Una fotografia scattata al presidente Paul von Hindenburg e il sindaco Konrad Adenauer47, ricorda invece la street photography e l’istante decisivo, ma possiamo ipotizzare che Sander non avesse avuto molte occasioni di fotografare questi personaggi di spicco, quindi la si può considerare una scelta forzata. Altra particolarità sono le fotografie che mostrano consistenti gruppi di persone durante scioperi, funerali, processioni o semplicemente al mercato settimanale. Anche la serie dedicata alle feste si può considerare una pausa divertita alla serialità che pervade l’opera intera: travestimenti, pose patetiche e volti sorridenti anticipano una cerimonia meno allegra che è il funerale, amara riflessione sulla caducità della vita. Dopo un’ antologia dedicata alla servitù, ritratta quasi sempre in interni, incontriamo l’unica foto che rappresenta l’archetipo del criminale48 , con buona probabilità la foto non è scattata da Sander, e

Musicisti di strada, 1922-28, VI/36/4 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 45 Musicista di strada, 1928, VI/36/7 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 46 Eugène Atget, Venditore di lampade, 1899-1900 47 Il presidente Paul von Hindenburg e il sindaco Konrad Adenauer, 1926, VI/36/10 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 48 Tipo criminale, 1926-30, VI/42/7 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 44

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Settimo portfolio

Antlitz der Zeit

sembra interpellare la fisiognomica dell’innato, quindi discipline come la frenologia che hanno anticipato le teorie razziali, la foto infatti mostra il profilo del modello, cosa piuttosto rara nel lavoro di Sander, ma anche in questo caso si può supporre che la scelta sia imposta. Dopo una serie “Persone che hanno bussato alla mia porta”, troviamo le vittime di persecuzione. L’antologia successiva, aperta dal figlio Erich in cella mostra una serie di prigionieri politici, molte di queste foto sono scattate dallo stesso Erich e poi inviate di nascosto a suo padre. L’ultima antologia è dedicata ad un altro tipo di perseguitati: i lavoratori stranieri, ritratti sopratutto in ambienti esterni, anche questa scelta risulta ad oggi lungimirante vista l’ampiezza e l’importanza del fenomeno dell’immigrazione. L’ultimo portofolio è dedicato agli ultimi della società e contiene un’unica grande antologia che mostra, gli idioti, i malati, i folli e la morte. La scelta di mettere insieme queste categorie all’interno di un unico calderone è motivata probabilmente dalla rilevanza sociale che esse rivestono. Molte di queste fotografie sono scattate all’interno di un istituto per ciechi, invalidità cruciale di fronte alla fotocamera, stumento in grado solo di vedere. Nell’opera predente, “Antlitz der Zeit”, la serie di fotografie non è spiegata in nessun modo, ma a tratti rispecchia il percorso di “Uomini del XX secolo”. Le foto contenute nell’opera del ‘’29 vengono pubblicate tutte all’interno dell’opera postuma, con minime differenze: il crop più largo del secondo ritratto49 e la posa diversa dell’architetto50. Comune ad entrambe le opere è la quasi totale assenza dei nomi dei soggetti nelle didascalie; scelta programmatica fonda-

2.Pastore, 1919 in A. Sander, I volti della società, Mazzotta, Milano, 1979 e Il saggio, 1913, I/ST/4 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 50 49.Architetto in A. Sander, I volti della società, Mazzotta, Milano, 1979 e Architetto, 1929, V/31/2 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 49

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La serie

mentale che ci riporta al discorso sull’archetipo e la sociologia. Una sorta di compromesso si riscontra in tutto il portfolio dedicato agli artisti, in questo caso le iniziali vengono conservate. Questa premura speciale per una categoria molto cara a Sander è spiegata in una lettera al compositore Paul Hindemint: “La mia intenzione è quella di fissare su una fotografia per i nostri posteri i maestri del nostro tempo, in quanto personalità, nel loro aspetto esteriore.”51. Nessuna eccezione fa invece Sander quando inserisce sé stesso nei panni di fotografo, senza alcuna aggiunta di didascalia; mentre per i suoi familiari presenti nell’opera aggiungerà una nota personale e narrativa come nel caso della fotografia “Mia moglie nella gioia e nel dolore”52. Altro aspetto relativo ad entrambe le opere riguarda la scelta editoriale: l’assenza di più fotografie nella doppia pagina, scelta dovuta probabilmente alla volontà di non creare fili narrativi fra le singole foto e indirizzare lo spettatore alla relazione tra fotografia singola e serie completa. Ed è proprio la serie a conferire al lavoro di Sander l’importanza che esso riveste, per quanto in verità non sia così rigorosa nella normalizzazione dell’inquadratura, della posa e del contesto, essa mette in discussione le categorie estetiche che permettono di analizzare il fare fotografico. Le foto commerciali, quelle recuperate, le fotografie scattate da altri, spostano l’attenzione dallo sviluppo della singola fotografia a quello del progetto sottostante, riconvertendo discorsi visivi in affermazioni di concetto e riappropriazioni contestuali. Christoph Schreirer afferma che “la presenza estetica delle [fotografie di Sander] resta fuor di dubbio”53, al contrario Olivier Lugon sottolinea l’assoluta indistinguibilità delle foto d’arte da quelle commerciali54. Possiamo

(a cura di) G. Sander, August Sander, la fotografia non ha ombre oscure!, Alinari, Firenze, 1996, p. 140 52 Mia moglie nella gioia e nel dolore, 1911, III/14/16 in A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 53 (a cura di) G. Sander, August Sander, la fotografia non ha ombre oscure!, Alinari, Firenze, 1996, p. 7 51

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qui affermare che certamente all’interno dell’opera ci sono fotografie che vanno oltre un’ottima abilità tecnica ma per analizzare il godimento esteitico che si prova di fronte all’opera di Sander è necessario relazionarlo ad una serie di elementi che si sommano: la patina polverosa del medium, la mitologia storica che comprende la parabola nazista, l’abitudine ormai collettiva ad un’estetica riconfermata da generazioni di fotografi che ci hanno abituato alla serie ed infine all’ immensa mole di un archivio di vite e della vita dell’uomo che lo ha raccolto.

O. Lugon, Lo stile documentario in fotografia Da August Sander a Walker Evans 1920-1945, Electa, Milano, 2008, p. 338 54

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Bibliografia, sitografia e filmografia di riferimento

Ritratti, fotografie di August Sander, Electa, Roma, 2004 (a cura di) Aperture, August Sander, Konemann, Colonia, 1977 R. Barthes, La camera chiara, Einaudi, Torino, 2003 W. Benjamin, Piccola storia della fotografia, in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino, 2000 E. Grazioli, Corpo e figura umana nella fotografia, Bruno Mondadori, Milano, 2009 O. Lugon, Lo stile documentario in fotografia Da August Sander a Walker Evans 1920-1945, Electa, Milano, 2008 A. Madesani, Storia della fotografia, Bruno Mondadori, Milano, 2005 C. Marra, Pittura e fotografia nel novecento, Bruno Mondadori, Milano, 1999 F. Muzzarelli, Formato tessera, Bruno Mondadori, Milano, 2003 L. Rubinfien, August Sander: the mask behind the face, Art in America, Giugno-Luglio 2004 A. Sander, I volti della società, Mazzotta, Milano, 1979 A. Sander, People of the 20th century, Abrams, New York, 2002 (a cura di) G. Sander, August Sander, la fotografia non ha ombre oscure!, Alinari, Firenze, 1996 S. Sontag, Sulla fotografia, Einaudi, Torino, 2004 http://www.americansuburbx.com/ http://www.youtube.com/ http://it.wikipedia.org/ Homage to August Sander, 1977 W. Wenders, Appunti di viaggio su moda e città, 2009

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Corso di Storia di Fotografia | Prof. Antonello Frongia | A.A. 2008/2009 | IUAV | Venezia


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