Svacco Creativo Magazine n° 2

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NON C’È PIÙ SPERANZA NUMERO 1 • FEBBRAIO 2018 COPERTINA DI: CIANF

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MICHELA POSER

E se ti amo a te cosa importa?

L’amore è una cosa banale


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MASTURBARSI AI TEMPI DEL ROSATELLUM

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di ROBERTA DENTI

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LA SECONDA VOLTA NON È MAI COME LA PRIMA

RIDATEGLI CALCUTTA di TAFFY VALVASORI

DIZIONARIO (POCO) RAGONATO DELLE ELEZIONI POLITICHE di LUMINOSO SEGRETARIO

di MIRELLA DEROSSI

32 LE POESIE DA SVACCO

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JACK E JILL E LA GITA AL MATTATOIO

MARTEDÌ

di SILVIO SPACCESI

di JAIME A. DE CASTRO

22 DENTRO LA MENTE DI HARRIS E KLEBOLD

37 IL LOVE BOX DI LAURA TRAIANO


losvaccodisvacco LE MIGLIORI FRASI DI FACUNDO CABRAL

L’ORSCOPO DI SVACCO

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ARIETE

BILANCIA

Nettuno in trigonometria piana con Uranio, sfasa l’assioma con Giove che entra nell’anno del Cerbiatto di Mare. Non so che vuol dire, ma io al vostro posto mi gratterei.

La Luna in Scorpione disturba non poco la vostra sfera emotiva. Considerando che con il freddo anche quel problemino di emorroidi peggiora, non deve essere un bel periodo per voi.

TORO

SCORPIONE

Per tutti gli amici del Toro che ancora non hanno trovato l’anima gemella, questo mese traquilli che prosegue uguale.

Il Sole in Casa del Cancro vi farà riscoprire la gioia di vivere e la voglia di realizzare i vostri sogni. Ah no scusate, queste sono le previsioni per il Toro.

GEMELLI

SAGITTARIO

Mercurio in trigono con Plutone, annunciano importanti novità per quanto riguarda la sfera sessuale. Chissà, forse è arrivato il momento di provare la mano sinistra. Osate!

Durante il mese di marzo farete un incontro molto importante per il vostro futuro, con delle persone che non vedevate da molto tempo. Spero abbiate la contabilità in ordine…

CANCRO

CAPRICORNO

Possibilità di notevoli vincite al gioco. Secondo Urano queste possibilità sono di una su sei bilioni di miliardi.

A tutti gli innamorati del Capricorno, questo mese Venere in seconda casa (quella al lago), farà scoprire finalmente di cosa sono la metafora le enormi corna che simboleggiano questo segno.

LEONE

ACQUARIO

Giove vi manda a dire da Urano che se non gli restituite quel prestitino fareste bene a trovarvi un buon gommista.

I soliti Urano e Plutone favoriranno i cambiamenti che avete saputo intraprendere durante questi mesi. Ma giusto per vedere la faccia che farete quando vi accorgerete di averli sbagliati tutti.

VERGINE

PESCI

Questo mese sentirete forte la voglia di essere amati e di trovare l’anima gemella. Le stelle prendono nota e mi dicono che in caso vi faranno sapere.

Marte vi regalerà gioia e nuovi stimoli. Poi però arriverà Urano che ve li ruberà e Plutone che vi sputerà in faccia.

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l’editoriale

DIECI BUONI MOTIVI PER NON VOTARE di ROBERTO ALBINI 1. La lista dei partiti e dei personaggi in gara è semplicemente ridicola. 2. Nessuno di quelle aggregazioni politiche, nessuno di quegli insulsi personaggi, cambierà mai qualcosa nella storia di questo paese e in quella della vostra vita. I partiti contro-partiti con le sigle più assurde nemmeno. 3. È vero: per darci la possibilità di votare è morta molta gente, e non votare è irrispettoso nei confronti della storia. C’è da dire però che quelle persone nel sacrificarsi non pensavano che un giorno il voto sarebbe stato abbassato alla scelta tra il nulla, il loro sentimento di democrazia era puro e utopico, una passione che purtroppo è stata degradata nello stesso modo con cui si è degradata qualsiasi altra cosa nel mondo. Inoltre chi si è battuto per la nostra libertà, ha lottato pure per la libertà di scegliere di non votare. 4. Se giochi a briscola da sessantacinque anni e sei stufo di farlo, non basta cambiare le figure sulle carte per poter di dire di aver cambiato gioco. 5. L’unica azione realmente destabilizzante in questo secolo è non partecipare. Tutte gli altri strumenti di antagonismo sono solo il modo in cui il sistema ti permette di dissentire, quindi per propria natura inefficaci. Votare non serve a niente, scendere in piazza non serve a nulla, scioperare è inutile, quelli che fanno i flash mob dovrebbero internarli. Se volete destabilizzare il sistema non fate nulla. Non comprate, non fate benzina, non usate i telefoni, non accedente la tv, non accendete il PC, non ascoltate la radio, non lavorate. Fermatevi, non fate assolutamente nessuna azione per almeno una settimana, e vedrete che tutto si arresta. Il sistema è come una dinamo: il vostro agitarvi a vuoto alimenta l’energia che serve a far funzionare il sistema stesso. Se volete arrestarlo, smettete di esserne complici. 6. Nessuno riempirà mai il vuoto che vi portate dentro. Sposare una causa qualsiasi contro una minaccia presunta o reale, non vi farà diventare migliori. Il vostro stupore fanciullesco di fronte ai grandi cambiamenti della storia, resterà lì intatto. Nessuno fermerà mai l’immigrazione, perché la storia è fatta solo di migrazioni; nessuno fermerà mai l’inquinamento perché l’inquinamento è il male necessario affinché tutto funzioni; nessuno fermerà mai la corruzione, perché il sistema stesso è l’origine della corruzione. Chiunque

sia il movimento o la persona a cui hai affidato il tuo vuoto interiore, sappi che te lo restituirà doppio tra qualche tempo. Se vuoi veramente essere utile alla storia, estirpa le ragioni che portano i poveri a migrare, le fabbriche a inquinare, il sistema a corrompere. E questo non lo puoi fare con un post. 7. Se pensi di essere il buono che vota per i buoni, e se questo ti basta per metterti la coscienza a posto, allora non hai capito cosa è il mondo. 8. Se pensi che siano tutti inguardabili, ma che comunque qualcuno lo si dovrà pur votare, allora dovrebbero levarti il diritto di voto. 9. Le ideologie non sono morte. Le hanno seppellite vive per comodità, affinché non vi poniate più domande che vanno al di là di chi sarà il vincitore, come in un talent, o una partita di calcio. Sappiate comunque che in questa partita il pallone siete voi. Qualsiasi siano le squadre in campo il ruolo di quelli che prendono i calci in faccia, per forza di cose, sarà sempre il vostro. 10. La maggior parte delle persone non dovrebbe avere diritto di votare. L’ammissione a questo diritto non dovrebbe essere universale: gli idioti, gli ignoranti, i disturbati mentali, chi pensa che l’eutanasia sia un omicidio, che Hitler in fondo ha fatto delle cose buone, che i vaccini sono un’arma di distruzione di massa delle lobby massoniche, che Berlusconi l’ha fatto fuori l’Europa, che il problema del denaro è il nome che gli si dà, non dovrebbero avere la possibilità di influire su scelte che incidono sulla mia vita, o su quella di ogni persona ragionevole. Questo è il vizio gravissimo di forma delle elezioni. Ci sono persone così influenzabili in giro che si sono vendute casa per i rametti benedetti di Wanna Marchi. Non siamo tutti uguali quando è il momento di compiere scelte importanti, che sia chiaro. Prima di andare a votare, guardatevi allo specchio, prendete fiato, e domandatevi se siete sul serio a conoscenza del posto dove vivete, del perché le cose prendono le direzioni con le quali sfuggono di mano, se sul serio esiste un Darth Vader da sconfiggere, un uomo malvagio al quale contrapporre l’eroe senza macchia. O se forse questo è solamente un film da riscrivere dal principio.

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R E D A Z I O N E

ROBERTO ALBINI • VERA BONACCINI SILVIA DE MIGLIO • SERGIO DI VITANTONIO ANDREA DORO • BARBARA GIULIANI LUCA ISPANI • MA REA

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SEXline

MASTURBARSI AI TEMPI DEL ROSATELLUM di ROBERTA DENTI

a masturbazione dovrebbe essere patrimonio dell’umanità, sancita, protetta e promossa dalle più alte sfere mondiali. Si dovrebbe sradicare del tutto e per sempre ogni minimo retaggio di senso di colpa (siamo nel 2018!), che io amo chiamare sesso di colpa, instillato dalle ipocrite religioni. Tutte. Se io non ci vedo bene è perché ho 45 anni e sono miope astigmatica mica perché mi sollazzo a sgrillettarmi. Ricordate la cazzata del se ti masturbi, diventi cieco? La dicevano, la implementavano, mentre vi toccavano l’uccello o la passera. Tutt’altro… i benefici, quando non arrivano direttamente dai pene-fici, della masturbazione sono immensi. Vediamo quali.

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Vieni ogni volta. E alle amiche che mi dicono che ogni tanto non ci riescono ribadisco l’ovvio: sta tutto nella testa. Inutile sfregare il clitoride a mo’ di Lampada di Aladino fino a praticarti un’escissione da infibulazione, non infilarti una mazza da baseball nel retto. Se la testa è disconnessa, puoi scordarti i fuochi d’artificio subdominali. Ricomincia da capo. Ossia dalla capa. Vieni ogni volta. Puoi essere te stessa. Mettendo in gioco qualsivoglia fantasia. QUALSIVOGLIA. Persino le più estreme. Hai voglia di scoparti il marito della tua migliore amica? Fantastichi sul giovane minorenne della porta accanto? Vorresti avere un menage a trois? Parti da un menage a moi… Puoi avere tutte queste fantasie e realiz-

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zarle. Nella tua mente, trasportandole sui tuoi capezzoli e facendole esplodere nel tuo sesso. E per favore cancella l’immagine di papà/l’ex/il prete dalla tua mente. A meno che non ti sollazzino … Non rischi alcuna spiacevole malattia/infezione/conversazione. Nessuna protezione, nessun cappuccio, nessun cappuccino la mattina dopo con qualcuno che nemmeno ti interessa ma in cui ti sei imbattuta perché avevi voglia di essere battuta. Se solo voi donne aveste il coraggio di riconoscere il vostro troppo a lungo castigato desiderio sessuale, se foste in grado di abbracciarlo e scoparlo, se non nella realtà (non voglio troppe concorrenti…), ma almeno nell’intimità vostra, riuscireste con somma soddisfazione a raggiungere le ambite vette del piacere. Senza sottoporvi a umilianti e degradanti letture/visioni di polpettoni trilogici tipo Le Sfumature di Sta Ciufola. PS. Parlo di voi perché io, rigorosamente e regolarmente, mi dedico alla pratica dell’autoerotismo dall’età di 9 anni. La pelle acquista una luminosità radiosa e irradiante. Gli amici ti chiederanno quale crema usi. E tu avrai risparmiato 120 euro che è il prezzo della maschera Sisley Rose Noire che ti garantisce lo stesso effetto. Tu te lo puoi regalare da sola. L’umore, sia in termini di spirito che di liquido, è raggiante. Un deficiente quasi ti stira in bicicletta? Tu sei appena venuta, con gli spasmi, e quasi gli fai il saluto tibetano invece di inveire come una faina inferocita. Con il coadiuvo di un ottimo bicchiere di vino


rosso in tarda serata è il rimedio in assoluto più naturale per prendere sonno e lasciarsi condurre in sogni che di dorata hanno solo la pioggia. Una soluzione melliflua all’impillolarsi di sonniferi. Che poi diventi assuefatta, e non più fatta. Se anche non hai un compagno e non stai facendo sesso, masturbarti ti consente di mantenere il corpo attivo a livello sessuale. Fondamentale per non rischiare l’atrofia vaginale. E una vagina felice, credetemi, è alla base di tutto il resto. Io ne sono la prova vivente. Mi masturbo ergo sum frivola.

Mantieni vivace e loquace una conversazione sessuale con il tuo compagno se lontano. Accorciando la distanza. Meglio così lontani così vicini di così vicini così lontani. Nonché per un’Ulissa come la sottoscritta uno degli aspetti più intriganti di un rapporto a distanza. Il desiderio. L’attesa. La fantasia. La mente. E il braccio, oddio nel mio caso solo dita ma a ognuna il suo. No judgement. Puoi farti una sveltina. Non sempre abbiamo il tempo/la voglia di mettere in pratica un’ardita fantasia concedendoci il lusso di farlo in solitaria con frizzi, lazzi e cotillons. Allora ben venga la tecnologia che in meno di un baleno ti permette di vedere ogni tipo di sozzeria sul micro schermo del tuo smartphone. Anche qui, a ognuno il suo. Io ho un’ossessione per Roberto Malone e i film porno degli anni Ottanta. Quelli parlati. Tipo: ‘Dai puttana succhialo, dimmi che vuoi il mio grosso cazzone, ingoia tutto troia.’ Insomma, quelli con la trama … Ricordo un ex che aveva una collezione di porno oscenamente deviati al cui confronto l’horror Saw L’Enigmista era un feel-good-movie della Disney. Qui un po’ di judgment e di fifa pure l’ho avuto. Però fintanto che le sue perversioni estreme se le godeva in video e non le praticava sulla mia vagina e/o retto, it’s all good. Non rischi di rimanere incinta. Mio incubo ricorrente ma che grazie alla maturità, nonché vecchiaia, si allontana sempre più. Ma non l’orgasmo. Quello dopo i 40 è il mio Santo Graal. Tanto cercato in affannose copulazioni da ragazza e finalmente incontrato e trattenuto in età adulta. Che meraviglia la natura. Ti toglie il fisico sodo e lo contraccambia con una consapevolezza sessuale inebriante. Che fa ammattire i ragazzi giovani … E non solo. L’unico risultato è un assoluto e infinito piacere carnale, mentale, spirituale. A costo zero. Vi consiglierei vivamente di smettere di leggermi e d’indirizzare altrove la vostra attenzione/eccitazione. Fatevi un regalo. Fate l’amore con voi stesse/i. Oppure scopatevi duro. Di nuovo, fate un po’ come cazzo vi pare. Ma fatelo. Anzi, fallo! Io ho trascorso il mio fine settimana a masturbarmi. Non ho figli. Non ho un compagno, quan-

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tomeno fisso. Non ho un cane. Non ho un gatto. Ho tanto tempo per me stessa e l’ho dedicato ad amarmi sessualmente. Ho ascoltato una sinfonia di Gustav Mahler, mi sono versata un bicchiere di ottimo vino rosso, ho indossato le mie amate culottes avorio con pizzo nero, mi sono proibita di usare le immagini scontate dei vari YouPorn, ho concentrato la mente su un uomo, poi su un altro che si trova a Kampala in Uganda, poi ancora sul primo, poi sul secondo e … la qualunque. Per ritornare a lui e alla sua stanza gremita di libri (ognuno ha i suoi potenti afrodisiaci. Io sono sapiosessuale e mi eccito con la cultura) nella campagna. L’ho immaginato ricevermi nel suo terreno e nella sua terra. Accogliermi e desiderarmi. Afferrarmi e baciarmi. Denudarmi e servirmi. Prendermi e penetrarmi. Prima con la lingua, con le dita, con il volto. Immerso e sommerso nei miei umori. Ho iniziato sfiorandomi. Il seno. Il pancino. I fianchi. Il clitoride. Il desiderio è montato. La mano è scesa, ha toccato l’umido, l’ho assaggiato. Mi sono fermata a bere un po’ di vino. Ho ripreso con maggior foga sulla figa. E dopo una sessione di autoerotismo di oltre 30 minuti, godibilissimi e godutissimi, sono venuta con il corpo tutto che fremeva. Cullata dalla sinfonia di Mahler. Che Ma(h)le(r) c’è a farsi l’amore? Il tema giocattoli sessuali, aka sexual toys, sarà affrontato in settimana quando presenterò la mia nuova collaborazione in qualità di sex-toy tester per il più antico sex-shop d’Italia, l’iconico Basta Problemi di Piazza Sempione, che ha avuto l’audacia e l’intelligenza di arruolarmi offrendomi non una cazzo di paga ma una paga di cazzo. Direi il miglior cambio merce della mia vita! Quindi rimanete sintonizzati. Perché andrò a provare uno stimola clitoride a onde soniche. Non per voi, ma per noi. I FUCKING LOVE MY BLOGJOB. Al punto da portarmelo non solo a casa ma anche dentro! Lancio una nuova professione che oltrepassa quella della life-coach: farò la fuck-coach. www.robbiedoesblogging.net

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adultinellatormenta

LA SECONDA VOLTA NON È MAI COME LA PRIMA di MIRELLA DEROSSI

uando il mezzo secolo inizia a soffiarti sul collo, e soffia parecchio forte perché lo senti già da lontano, le inventi tutte pur di sentirti giovane. Un metodo infallibile consiste nell’iscriversi all’università. Ebbene sì, quel mostro a mille teste che minacciava, senza riuscire ad espugnarli, i migliori anni della tua vita (ma chi l’ha detto poi che sono i migliori?) ora torna, diabolico, a tentarti, e ti vince con l’arma sottile della lusinga, sussurrando paroline dolci al tuo Q.I., solleticando il tuo ego di ragioniera complessata, ammaliandoti con l’illusione di dare un tocco di freschezza e novità a un’esistenza che si appresta con riluttanza ad accomodarsi scomodamente su se stessa. Ed è così che un giorno, dopo aver conquistato con non poca fatica le vette della burocrazia accademica digitale, percorri da matricola quel gran corridoio affollato che un tempo ti spaventava tanto, con la stessa timidezza, questa volta compensata dal fatto che ora tutti ti scambiano per una professoressa, per andare ad infilarti in un banco dell’aula 2, non senza sacrificare il collant sulla sedia sbeccata, dove rimani due ore ad ascoltare a bocca aperta la lezione di macroeconomia, e a pensare che la vita è bellissima. Il lavoro un po’ meno ma va beh; ti hanno insegnato che un vero cristiano non è tale se non soffre almeno un po’. Sei atea da tanti anni ma si vede che ti è rimasto il segno del bollino. Stare in mezzo ai giovani è davvero meraviglioso: ti senti proprio una di loro, soprattutto quando: - fai la fila di un’ora ai cessi puzzolenti perché son tutti scassati tranne uno, che ovviamente è sporchissimo e scassato pure quello ma un po’ meno,

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- per non deludere il naso stai immersa per un tempo infinito in una nube di afrore sudatizio che ti brucia per sempre i sensori olfattivi, - vieni convocata per un esame alle 9, aspetti in piedi in un corridoio stretto e stracolmo di gente il prof che arriva due ore dopo, fa entrare la folla in aula e ne caccia fuori metà dicendole di tornare al pomeriggio. - assisti alle lezioni di psicologia seduta per terra perché siete in 600 in un’aula da 400 posti, e a nessuno viene in mente di cederti la sedia, perché se sei una di loro lo sei fino in fondo. - qualcuno cerca di venderti gli appunti di qualcun altro. Ma non sei una vera studentessa giovane se non ti fai maltrattare almeno un po’ da un professore sadico, possibilmente vecchio, così selezioni con cura, attraverso vari masochistici tentativi, quello che ha la vita privata peggiore e vai a farti interrogare là dove non osano neanche le aquile, là, dove lui si sente più forte, nel luogo in cui regna sovrano il meglio della sua tronfia merdosità: il suo ufficio. Eccolo raggiunto, il tanto agognato apice della giovinezza!! Seduta di fronte a lui con le mani sudate, percossa da palpitazioni che alla tua età meriterebbero quasi un pacemaker, in attesa del massacro che indovini nel suo sguardo goloso di sangue studentesco, ti senti quindicenne dentro, più adolescente di quando lo eri davvero. Si consuma così la tua più tremenda mezz’ora: sotto il fuoco di fila di domande assurde su argomenti che nei testi d’esame non c’erano, di sue dimostrazioni delle quali non capisci niente, di silenzi intrisi d’angoscia (tua) e scuotimenti di capo (suoi), diventi sempre più piccola, piccola, piccola… Riesci, chissà come, a non piangere. Perché giovane dentro ok, sprovveduta forse, ma non al punto da offrirgli questo orgasmo gratis. Te ne vai dolorante, accompagnata alla porta dal suo disprezzo, ma il diciotto che ti porti in tasca gli fa un gesto dell’ombrello grande come tutto il campus. Insomma, essere studentesse universitarie di mezz’età è davvero bello! Ti puoi divertire un sacco ad apprendere tante cose interessanti che poi dimentichi immediatamente, tranne le nuove tecniche di copiatura permesse dalla tecnologia, che vanno assolutamente memorizzate. Puoi aggiungere altri gruppi di whatsapp e avere 200 messaggi al giorno in più. Puoi litigare con un funzionario della segreteria e averla vinta perché


conosci la normativa sull’autocertificazione meglio di lui. Puoi girare tutte le copisterie della città senza trovare il libro che ti serve perché nessuno ci crede che lo vuoi davvero comprarle e non fare loro la multa. Riesci addirittura provare l’ebbrezza di staccare inavvertitamente il microfono al docente davanti a 500 persone con invidiabile nonchalance. Ma alla fine le cose fondamentali che impari son sei: 1. laurearsi è più facile che capire il sito dell’università; 2. puoi camminare a testa alta in qualsiasi gran corridoio del mondo;

3. nessun professore ti chiederà mai prestazioni sessuali in cambio di un bel voto (anche se a quello di antropologia culturale le avresti chieste tu); 4. chi se la prende con i giovani è vecchio; 5. i ragazzi sono mediamente meglio degli adulti, la maggior parte si rovina dopo ma gli stronzi non hanno età; 6. non vorresti essere giovane adesso, troppo difficile. Un po’ di nostalgia di te com’eri una volta, però, ce l’hai.

Quando sei troppo grande per fare lo scemo sui social di ROBERTA MAGO

uesta mattina, scorrendo come spesso capita l’“accadde oggi“, ho trovato un mio orribile post, datato 2011, in cui scrivevo “Andiamooo”. Cosa che, se adesso qualcuno mi saluta con un “ciaoooo” o con un “buongiornoooo”, gli chiedo, in modo sarcastico, se per caso stia cadendo in un burrone. Quindi ho scoperto che anche su Facebook ci si può evolvere (o involvere, dipende dai punti di vista). Purtroppo, però, non vale per tutti: esistono categorie immuni all’evoluzione, all’involuzione o perfino all’estinzione. Resisteranno nel tempo e nello spazio. La prima è la categoria di quelli che “se la tirano“. Ti avevano messo un like nel 1988 e poi si sono eclissati. Hanno però un grandissimo seguito. Sono i cosiddetti VIP di Facebook. La seconda è quella dei politicanti: sono mono argomento e maledicono il mondo e il governo, specialmente quello “non eletto dal popolo“. La terza è quella dei “polifan”. Sono fan sfegatati - dalla prima ora, naturalmente - di qualunque artista. Regista, attore, pittore e soprattutto cantante. A patto che sia morto. Lo salutano con un “RIP” e postano un brano che ha accompagnato i loro momenti felici, beati loro. La quarta, e qui è una vertigine, è quella rappresentata da quelle persone che non solo non si fanno mai scappare un like, ma se appaiono, lo fanno solo per rivolgere critiche. Probabilmente pensano, a torto, di rendersi più interessanti. Per concludere ci sono i tormentoni: i vari “e allora i marò”, “e allora le foibe”, per passare alle catene, all’al-

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goritmo, passando dai tristissimi profili di coppia per arrivare ai vari “se hai un kuore kondividi”. Per tacere, ovviamente, di quelli che ci provano con tutte, anche amiche tra loro, pensando che, pasturando selvaggiamente, prima o poi qualcosa abboccherà. Però nella vita bisogna cercare di non perdere la pazienza e pensare che in fondo “ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile, sempre“. E, al massimo, la banni.


specialeelezioni

HAI NOTATO CHE QUAN ALLE ELEZIONI STORCI di ROBERTO ALBINI ilustrazioni di MERCURIO CROMO uest’anno ho compiuto quarantacinque anni, un mese fa, circa, e subito mi sono reso conto che sono sufficienti a provare sprazzi di vecchiaia. Non mi riferisco alle cose brutte della vecchiaia: non mi piscio addosso, non mi serve il bastone per camminare, digerisco ancora bene, e pure nelle parti basse nessuno ammaina bandiere. Intendo le cose belle della vecchiaia. Un certo rilassamento generale, meno tensione. Quasi tutte le cose che succedono sono già successe, in una forma o in un’altra, e non mi stupiscono più come prima. La vita in generale è come se abbassasse le luci, se brillasse di meno, come la prima volta che vedi Star Wars a sette anni e poi la ri-

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vedi a trenta. L’apprensione che dedico a ciò che m’interessa ha una natura affettiva piuttosto che di vera emozione. Ma va bene così, è piacevole. Come è estremamente rilassante togliersi il peso della responsabilità del futuro del mondo. Non è più compito mio ormai, non mi appartiene più quel futuro. Adesso devo badare al mio, a breve termine ma altrettanto impegnativo. Non ho nemmeno figli, non sono costretto a pensare a cosa accadrà loro, e dei vostri di figli sinceramente me ne infischio. Ho una vecchiaia senza pensione che mi aspetta dietro l’angolo, forse sarò costretto a mangiarmeli. E poi c’è il grande recupero del mio passato, che finalmente posso chiamare i “miei tempi”. Al principio lo pensavo, ma non avevo il coraggio di dirlo e di dirmelo. Dopo è diventato evidente, inevitabile, il divario s’è fatto baratro, e a volte non ce la faccio a saltarlo. Prendi la musica per esempio: per come era concepita


NDO PENSI IL NASO? ai miei tempi, quella di adesso è semplicemente non musica. E la cosa buffa è che già ai miei tempi la musica faceva cagare, ma questo è il miracolo della vecchiaia. I tuoi tempi, che sono stati oggettivamente inguardabili, di fronte a quelli attuali diventano ere d’oro, epoche illuminate. È sempre successo così e sempre accadrà. Persino mio nonno rimpiangeva quando mangiava i gatti per sopravvivere durante la guerra. E solo adesso capisco perché lo diceva, e solo ora, a quarantacinque anni, riconosco che aveva ragione: la sensazione è quella che tutto vada irrimediabilmente a peggiorare. Ai miei tempi quando facevi attività politica, lottavi per le cose grandi, grandissime, tanto che poi la gente ha iniziato a non capirle più, e le ha ribattezzate utopie. Si voleva togliere la proprietà privata, si voleva una società equa, senza primi né secondi, con l’uomo al centro dell’economia, e lo Stato, cioè noi stessi, a garanzia delle buone intenzioni. Per lavorare meno, ma lavorare tutti. Per la liberazione della schiavitù del salario. Per abolire il concetto di denaro. Si voleva un mondo diverso che ai miei tempi non voleva dire “senza olio di palma negli alimenti”. Si può stare a discutere per giorni se si è d’accordo o meno, ma non è questo il punto. Il punto era la magnificenza degli scopi per i quali ti infervoravi, e per i quali sentivi valeva la pena battersi, perché sapevi che se avresti vinto avresti ottenuto sul serio un nuovo mondo. Adesso la gente si fomenta per l’assegno di cittadinanza, si batte per la chiusura di un inceneritore, per dimostrare che i cani possono votare e che i vaccini uccidono. Adesso vi esaltate per l’abbassamento di una tassa, per un condono sul secondo balcone abusivo, per un ponte che non serve, per un buco che è solo un buco in una montagna. Ve lo faccio fare a voi il tifo. È come se l’umanità avesse rinunciato a qualsiasi possibilità anche solo di immaginarlo un mondo dove non serve l’elemosina di stato perché tutti hanno un’occupazione, dove non esistono gli inceneritori perché non è più l’economia a dirci quali materiali consumare, dove non esiste nessuna medicina dannosa, perché nessuno ti vende niente. E io, che a quarantacinque anni scorgo sprazzi di vecchiaia, questa musica contemporanea non l’ascolto. Sento solo Morrissey, che era uno forte ai miei tempi. E questa politica di merda ve la faccio fare a voi. Vi lascio agitarvi per i dettagli, mentre il fondamentale, lentamente, cade nell’oblio.

Una foto diversa della prima Repubblica. Ogni giorno

Dizionario (poco) ragionato di queste noiose ELEZIONI POLITICHE di IL LUMINOSO SEGRETARIO DE UFDDPR.OG

Abolizioni: diffidate dalle abolizioni. Al contrario fidatevi sempre di chi vuole: introdurre, reintrodurre, istituire, interporre, regolamentare, interporre, instaurare… Berlusconismo: i primi editoriali che annunciavano l’ormai imminente fine del berlusconismo risalgono al dicembre del 1994. Ventiquattro anni dopo lui è ancora qua. (Eh già…) Casini: candidato nel 1983, 1987, 1992, 1994, 1996, 2001, 2006, 2008, 2013 e 2018 con DC, DC, DC, CCD, CCD-CDU, UDC, UDC, UC, UC, CP con il PD. Mirabile esempio di discontinuità nella continuità. Di Maio: un giovane talmente incapace a tutto che potrebbe diventare capace di tutto, persino di essere il prossimo Presidente del Consiglio dei Ministri. Quantomeno incaricato. Exit poll: a queste giro diffidarne fortemente. Fascismo: Tema latente fin dall’inizio della campagna elettorale, diventato preponderante dopo i fatti di Macerata. Settanta anni dopo l’amnistia Togliatti e vent’anni dopo la svolta di Fiuggi questo paese non ha mai davvero fatto i conti con il passato. Geometra (Manuale del): in un Parlamento che vedrà la possibilità di innumerevoli geometrie variabili servirà averlo a portata di mano il 5 marzo, ad urne chiuse e seggi assegnati, per capire come potrà evolvere la situazione. NUMERO

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Una foto diversa della prima Repubblica. Ogni giorno Haters: un tempo si chiamavano rompicoglioni. Ipotesi (Amato): jolly sempreverde da utilizzare quando in una ricostruzione giornalistica non si sa bene come uscire da una situazione di impasse istituzionale e/o che pesci pigliare. Potrebbe tornare utile dal 5 marzo. Legislatura: dopo la XVII, effettivamente davvero infausta, arriva la XVIII; ci hanno tolto tutto, aggrappiamoci alla numerologia. Menzogne: oggi si chiamano fake news. (dal) Nulla (al) Niente: “Dialettica di un periodo di transizione dal nulla al niente” è un libro dello scrittore russo Viktor Olegovič Pelevin. Il libro non ha niente a che vedere con queste elezioni ma il titolo calza perfettamente come descrizione di questa campagna elettorale. Ombra (di D’Alema): come l’ipotesi Amato, altro sempreverde jolly da usare quando la situazione pare troppo complessa per essere interpretata e si necessità di un Babau e/o uno Spauracchio. Pronostico: quelle del 4 marzo sono tra le elezioni più impronosticabili degli ultimi anni. Tanto vale affidarsi ai dadi. Quota (PDS ’96): il probabile risultato del PD (pronostico naturalmente fatto con i dadi). Razzismo: che nel 2018 sia uno dei temi preponderanti della campagna elettorale la dice lunga su che razza di paese siamo ormai diventati. (Vedi anche Fascismo e Vaccini) Sondaggi: Mirabile videtur, quod non rideat haruspex cum haruspicem viderit ovvero c’è da stupirsi che un indovino non rida vedendo un altro indovino. Sostituire “indovino” con “sondaggista”. (Vedi anche Pronostico) Terza (Repubblica): Dopo la prima e la seconda è ormai evidente che non ci stiamo avviando verso la terza Repubblica né stiamo tornando alla prima. Stiamo piuttosto andando verso uno strano ircocervo che potremmo chiamare "seconda prima Repubblica". Uninominali (collegi): un grande ritorno. Vaccini: altro tema che non pensavamo potesse seriamente diventare oggetto di dibattito in una campagna elettorale successiva agli anni ’50. E invece… Zero virgola: probabile risultato di almeno 4/5 liste presenti sulla scheda elettorale.

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SANREMO 2018: le nostre pagelle di EMILIANO D’AGOSTINO THE KOLORS – FRIDA: 4,5 - Praticamente è la versione Tamburo e mèches dell'Haka, la danza che la nazionale di rugby neozelandese utilizza per terrorizzare gli avversari. I The Kolors vanno a segno nel loro intento tanto che a Baglioni, spaventato a morte, gli cede lo zigomo plastificato. In suo soccorso, per fortuna, interviene Ornella Vanoni che dentro il beauty case tiene sempre una scorta di Saratoga. RENZO RUBINO – CUSTODIRE: 5 - Grandi aspettative sul talento pugliese. Le tradisce tutte, a partire dalla camicia rossa con sfumature a righe orizzontali da giostraio alla festa dei Colli Pescaresi. Tamarrissimo il tocco di bigiotteria con la collana costruita con le palline dell’abaco. F. MORO – E. META – NON MI AVETE FATTO NIENTE: (SAREBBE) 6 - Hai presente quando a scuola copi talmente bene il compito in classe dal tuo compagno di banco da riportare sul TUO foglio persino il SUO nome e cognome? Ecco. Proprio così. Il duo è a rischio squalifica per un plagio colossale. LO STATO SOCIALE – UNA VITA IN VACANZA: 6,5 La trovata scenica della anziana signora che danza sul palco dell’Ariston come Carla Fracci a 20 anni è il plus della canzone. Se non altro perché, io, a poco più di trent’anni, ho colite, reflusso, gastrite e accenno di osteoporosi. Invidia. Con meno stonature il brano potrebbe assumere sembianze di canzone. GIOVANNI CACCAMO – ETERNO: 4 - Il ragazzotto macchia in camerino la camicia con del caffè. Costretto a ripiegare su una maglietta microfibra, la esibisce con fierezza sotto un abito da cresimando. Confronto al brano, “i dolori del giovane Werther” è una filastrocca dello Zecchino d’oro. Tuttavia, rime di una banalità che nemmeno allo Zecchino d’oro di cui sopra avrebbero passato le selezioni. MARIO BIONDI – RIVEDERTI: 4 - Mario, davvero, Sentirti è stato molto peggio che Rivederti. Una lagna.


costume&società Degna di una winter collection gaelica nella sezione offerte 9.90€ all’Autogrill Metauro Est. RED CANZIAN - OGNUNO HA IL SUO RACCONTO: 4 - Ognuno ha il suo racconto, è vero. Ognuno ce l’ha. Ma non è che tutti si debba andare in giro a sbandierarlo. Alcune volte, come questa, non è il caso. "Certe cose tienile per te", cit. DECIBEL – LETTERA AL DUCA: 7,5 - Tre cose. La prima, il tastierista dei Decibel è paro paro a Don Backy. Il bassista pare, invece, uno dei Village People. La terza, più importante, Ruggieri e la sua cricca hanno stile da vendere, ed è un fatto. LE VIBRAZIONI – COSÌ SBAGLIATO: 7 - Tra i super ospiti dell’edizione canora perfino Jack Sparrow, d’altra parte sabato è Carnevale. Inoltre Sàrcina, utilizza come fermacapelli lo stecco in liquirizia del gelato Liuk. Una chicca. Per la canzone, invece, Le Vibrazioni si esibiscono talmente tardi che finiscono per essere i primi della seconda serata. Il ritmo è buono, ma già sonnecchiavo. Da risentire in radio. Dove funzionerà. ENZO AVITABILE CON PEPPE SERVILLO - IL CORAGGIO DI OGNI GIORNO: 6.5 - A parte la felpa adolescenziale, Avitabile è uguale all’attore che nel film “Il ciclone” recita la battuta: “Che ce l’hai il gratta e vinci te?”. Anzi, secondo me è proprio lui. Provate ad affermare il contrario. ELIO E LE STORIE TESE – ARRIVEDORCI: 5 - Per quello che hanno fatto nella loro carriera, agli Elii puoi volere soltanto bene. Però questa non è la geniale Canzone Monotòna presentata qualche anno fa. Sarà che la fine è quasi sempre triste ma bastava una conferenza stampa a supportare le parole del testo. MAX GAZZÈ - LA LEGGENDA DI CRISTALDA E PIZZOMUNNO: 6,5 Presentarsi con una delle tante mantelle sbrilluccicanti del mago Silvan può essere avventato. Come il giudizio su una canzone che va ascoltata più volte e che, comunque, sostituita alla favole

da raccontare ai bambini per farli addormentare fa risparmiare tempo ai genitori che possono dedicarsi alla visione delle serie tv su Netflix. RON - ALMENO PENSAMI: 7 - Qualche anno fa, Ron, è apparso sul palco con occhiali blu alla Johnny Depp e ciuffo rosso Malpelo tinta ruggine codice 345. Anche dalla scelta estetica di mostrare il capello imbiancato dall’età, si evince come Rosalino abbia profondo rispetto del testo di Lucio Dalla. Preziosa. ANNALISA - IL MONDO PRIMA DI TE: 5 - Perché ad essere bella è bella. La voce, pure quella, c’è. Lo stilista ha fatto un ottimo lavoro, per il quale il genere maschile ringrazia. Qualcuno dica ad Annalisa di ingaggiare degli autori validi. Che abbiano superato almeno le scuole dell'obbligo. Niente niente riesca a portare qualche brano capace di restare nella memoria collettiva almeno per la durata dello stesso. NOEMI - NON SMETTERE MAI DI CERCARMI: 7 - Il problema di Noemi è che canta sempre la stessa canzone. Cioè, che se fosse il suo primo inedito esclameresti Woww!. Apprezzabilissima l’orchidea selvaggia fissata con la colla Millechiodi sopra l’orecchio a spezzare l’abito in stile strega Ursula de La Sirenetta. NINA ZILLI - SENZA APPARTENERE: 3 - Colpa del topazio da 5 kg sull’indice sinistro che le ostruisce il passaggio del sangue e che quindi la costringe a prendere più stecche che a shanghai. L’abito da comunione, di certo, non agevola la credibilità di un brano assai banale. DIODATO E ROY PACI – ADESSO - Da decifrare il featuring di Roy Paci che suona meno di qualsiasi altro trombettista dell’orchestra. Forse, resosi conto di questo, Diodato viene preso da un attacco di panico e si muove come tarantolato sul palco, quasi voglioso di anticipare la musica pur di gettare parole sulla base. E porre termine all’agonia del sodale, che in tre minuti e mezzo fa più playback che note con lo strumentino. LUCA BARBAROSSA – PASSAME ER SALE: 8 - Dal titolo uno pensa sia il manifesto identificativo e gnoseologico dell’ Associazione Nutrizionisti - Dietisti Italiani. Invece, Barbarossa si riaffaccia con uno stornello romano alla Mannarino, maturo e consapevole, che è il riassunto di trent’anni di vita. Notevole. ROBY FACCHINETTI E RICCARDO FOGLI - IL SEGRETO DEL TEMPO: 6+ “Dio delle ciuuutttàààà!”. Facchinetti andrebbe sottotitolato da televideo o tradotto con il linguaggio dei segni. “Muaaauuori… Ouuraaa”, si fa fatica a seguire il testo, anche perché se si sposta lo sguardo su quello di Riccardo Fogli, durante i primi quaranta secondi, sembra sia afflitto da coliche devastanti tanto digrigna i denti. ORNELLA VANONI CON BUNGARO E PACIFICO IMPARARE AD AMARSI: 6 - Il ddl sulla clonazione in Italia viene approvato sul palco dell’Ariston. La Vanoni è, praticamente, un Renato Balestra dal più folto parrucchino. Di ispirazione colore ruggine 345 di Ron, vedi sopra. Il problema del botox è che tira di brutto la pelle e spesso le parole, la Vanoni, più che cantarle le accorpa farfugliandole.

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L’IMPORTANTISSIMO FILM SU DE ANDRÉ di ALBERTO CALANDRIELLO Europa ce lo chiede: ma tu, Cala, lo hai visto il film su De Andrè? Allora, premessa: io su De Andrè sono meno tollerante che su Springsteen. Per me, con De Andrè, vale il principio di presunta colpevolezza. A meno che tu non sia Cristiano de Andrè, Pagani, Bubola, la PFM, Fossati e pochissimi altri, se metti mano all'argomento de Andrè, per me, tu hai torto. E hai torto finchè non mi convinci del contrario. E finchè non mi convinci del contrario, io ti punto addosso un mitra. Quiiiiiiiiiiiiiindi no, una volta sfumata la possibilità di vederlo in un cinema, con schermo ed audio di buon livello per godermelo come si deve, l'idea di vederlo stuprato dalla pubblicità, tra l'altro in due sere dove c'era la Champions League e un concerto che aspettavo da 2 mesi, no, grazie. Poi, a prescindere da orari e qualità audio/video, un prodotto nato per essere trasmesso su Rai 1 e pubblicizzato da Fazio (con interventi musicali di alto livello tipo Gabbani), lasciamo perdere. Tra l'altro Fazio si è definitivamente sputtanato pure l'unica cosa che faceva bene, ossia dedicare le puntate a De Andrè; quanta differenza con lo speciale a 10 anni dalla scomparsa, con Bubola, Bennato, Capossela, lo stesso Cristiano in diretta dal porto, l'omaggio del porto, che a pensarci ho ancora la pelle d'oca. Vabbè, Fazio. Nei 23 minuti che ho visto della prima puntata, con mia figlia che ascoltava con le cuffie la Juve e la commentava a voce così alta che, ad un certo punto, avrei preferito avere Fazio in casa, anche con Gabbani, piuttosto che sentire il partitone che stavano facendo a Torino, ho notato alcune cose: Vaaaaa bene la cadenza genovese, anzi no romanesca anzi, no neutra, perchè il contesto non è importante (come no? Genova è fondamentale per de Andrè, ma vaaaaaaaaaaa bene) ok, ok, ok. Poi in 30 secondi due volte dicono MUSSA ed una BAGASCE ed allora spiegatemi: la cadenza no, le espressioni gergali si? Villaggio parla da genovese,

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meno di quello vero, ma parla da genovese. Quindi? Sta storia della cadenza? Poi, tornando al contesto, non è importante però se uno non avesse saputo che era un film su De Andrè, in certi momenti, avrebbe pensato di trovarsi davanti ad una puntata di Sereno Variabile o Geo & Geo; inquadrature della madonna in centro storico, scorci della zona mare, Boccadasse su tutte, talmente meravigliose che, ad un certo punto, pensavi arrivasse Mengacci coi cuochi di piatti tipici. Quindi, sta storia del contesto? Poi, Marinelli, bravo per carità di dio, bravo si, ma per quel poco che ho visto mi ha dato l'impressione di recitare più che in funzione del telefilm, in funzione di sè stesso, di autocompiacersi in modo masturbatorio della sua stessa bravura, un po' come Giorgia Todrani in arte Giorgia che oh con quella voce può cantare quello che vuole (ma vuole sempre cantare canzoni di merda) e quando canta sembra sempre che dica guardatemi guardate quaaaaaaaaaaaaaaaanto sono brava. L'attrice che impersonava la signora Dori Ghezzi non l'ho vista perchè al pareggio del Tottenham, quando mia figlia ha scagliato gli auricolari con veemenza e, purtroppo, anche con il (mio) telefono attaccato, la serata ha preso una brutta piega ed ho spento, prima della sua di lei comparsa sullo schermo. Ma alla fine, a quasi vent'anni dalla morte, credo che lo scopo sia stato raggiunto. De Andrè è diventato un santino, da mettere sul comodino vicino a Pruzzo e Che Guevara che guarda di lato. Esattamente quello che lui, a detta della signora Ghezzi, non voleva diventare, stando a quello che disse in occasione della puntata di Fazio per il decennale della scomparsa. E poi, grazie all'audience, potremmo comprare una nuova raccolta. Peccato, se tantissimi artisti, da Elvis a Freddie Mercury, sono stati trattati malissimo dopo la morte per motivi economici, speravo che a De Andrè questa fine venisse evitata. Peccato.


L’INDIA CI HA TORNATO I MARÒ, È GIUSTO RENDERGLI

CALCUTTA

di TAFFY VALVASORI è stato un momento in cui tutti le riviste musicali specializzate, amici musicisti stimati, gente del giro “giusto”, hanno cominciato a parlarmi di Calcutta. Ha iniziato a suonare in tutti i locali alternativi della penisola quale astro nascente della musica indie. Ho pensato, si, ok, ma alternativa a cosa?! Allora ho fatto una ricerca su Wikipedia, la quale, alla voce Calcutta così recita: “Calcutta è una città dell'India, capitale dello Stato Federato del Bengala Occidentale”. Ecco da lì il nostro dev’essere partito per scrivere la propria inarrivabile hit “Orgasmo”. Un brano davvero Pànc!!! Vi si trovano termini trasgressivi quali “scopare”, “mutande”, “orgasmo” appunto e, udite udite, “scollatura”. Memorabile l’onomatopea “ tu-ru-tu-dum tu-rutu-dum”, degna dei migliori gruppi rock della storia quali i Beatles e gli Stones. Il tutto musicalmente all’altezza del miglior Riccardo Fogli, di “Era lei” di Michele Pecora e del Riccardo Soffici di “Ti voglio tanto bene” nonchè di tutta la discografia dei Pooh. Ma io quella roba lì l’avevo già sentita. Ma come? Ma che c’è di alternativo in tutto ciò mi chiesi? E allora approfondiamo. La vocetta da ragazzino di uno che ragazzino non è più, i falsetti in perfetto stile pop anni settanta, i termini pseudo-provocatori, ma provocatori ormai solo per gli under-six, mi riportano alla nausea per questo tipo di musica che anche da piccolo mi stomacava, quelle basi scontate, prevedibili mi danno lo stesso fastidio. Dove sta quindi la novità del fenomeno Calcutta? Semplicemente non c’è. Come in passato gli 883, Masini, Vasco Rossi e mille altri, non è altro che lo specchio della normalità sfigata, un prodottino confezionato ad hoc per questi tempi pieni di nulla, di vuoti e, appunto, di sfighe. In questo quadro le parole ad effetto di cui sopra, il gergo scurrile da bambino dell’asilo, lo accomunano al suo pubblico, e lo rendono alle loro orecchie “alternativo”, “ribelle”. Lo stesso pubblico che invece di incazzarsi per lo stato delle cose e fare qualcosa, mettersi in gioco per cambiarle le cose, imbraccia i forconi, urla vaffanculi, ritende le mani. Esa-

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gero? Forse. Ma le analogie con i vaffanculi di Masini, le sfighe di Max Pezzali, i “siamo solo noi” di Vasco Rossi a me paiono evidenti. Alla fine l’unica spiegazione è che uno che fa cover pop anni settanta risponda all’esigenza di false ribellioni dell’italiano medio contemporaneo. In aiuto ci viene il testo di “Gaetano” (la mia solidarietà a tutti i Gaetano d’Italia), si spinge addirittura ad esternare “E ho fatto una svastica in centro a Bologna, ma era solo per litigare, non volevo far festa e mi serviva un pretesto per lasciarti andare” o “Tua madre lo diceva, «non andare su YouPorn», suona una fisarmonica e fiamme nel campo Rom”. Ora, introdurre la parola “cultura” in questa analisi diventa giocoforza necessario. Un inno all’ignoranza, lo sdoganamento del “menefrego”, il qualunquismo come modo. A rafforzare il concetto del cantante sfigato di successo, le interviste in cui dichiara addirittura di non apprezzare i suoi stessi brani, di prendersi poco sul serio, tutto infatti in questo progetto è poco serio, ed è, alla fine l’arma che lo rende vincente. Arriva a dichiarare di voler scrivere un pezzo per Al Bano, invita le ragazze ad accettare il proprio corpo, cosa per altro apprezzabile ma in contrasto con i suoi stessi testi. Ma Calcutta è solo la punta dell’iceberg di questa nuova mediocrità spacciata per musica alternativa, cantautorato di livello. E quindi dobbiamo parlare degli spacciatori, di chi produce questi prodotti, dei critici musicali di radio, carta stampata, televisioni. È musica che costa molto poco produrre e porta incassi sempre più importanti. Capiamoci il poppino insulso è sempre esistito, non è questo che si discute, ciò che si discute è che farlo passare per musica alternativa, underground è quanto di più assurdo si possa affermare e il fastidio sale girando per le sale concerti ad ascoltare artisti e gruppi degni di questo nome che suonano gratis. Insomma, la musica alternativa in Italia, secondo molti ha il suo nuovo re. Io resto dell’idea che Calcutta, dato che ci hanno ridato i marò, debba essere ridato all’India, che Indie e India sono due cose del tutto distinte e diverse.

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LIBRI VINTAGE PER L'INFANZIA

di SILVIO SPACCESI

In questo classico volumetto degli anni '70, Jack e Gill sono i due giovani rampolli di una facoltosa famiglia di allevatori del Minnesota che vivono la loro spensierata fanciullezza tra i recinti e le stalle

LETTERA DEI COSACCHI DELLA ZAPORIZHIA AL SULTANO TURCO di SERGIO DI VITANTONIO

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della fattoria paterna. Fino al giorno in cui i genitori non decideranno che è giunto il momento della loro iniziazione: i due giovani sono invitati a recarsi insieme a quelli che erano da sempre stati i loro animali da compagnia presso l'opificio dove vengono processati i prodotti dell'azienda e da lì in poi inizia un viaggio infernale che condurrà le due innocenti creature verso il loro destino: basti sapere che ancora oggi da quelle parti vengono ricordati come "i boia gemelli della Contea di Arlington". Per la crudezza di alcune immagini, dopo pochi giorni dalla sua pubblicazione il libro fu vietato ai minori di 16 anni in molti stati americani. Ma anche questo provvedimento non fu sufficiente a calmare l'opinione pubblica: in breve tempo furono organizzate un po' ovunque delle manifestazioni pubbliche in cui vennero bruciate quasi tutte le copie del libro, tanto che i pochi esemplari scampati oggi vengono scambiati al mercato nero con cifre a cinque zeri. È ancora attiva una bolla papale che minaccia di scomunica l'editore che osasse ristampare il volume; provvedimento superfluo, visto che le matrici sono state seppellite a grande profondità in una località sconosciuta delle Montagne Rocciose. A quanto pare fu a partire da queste esperienze purificatorie che cominciarono ad organizzarsi i primi gruppi che sarebbero poi confluiti in quello che oggi è il grande movimento "vegan". Jack e Gill furono reclusi per anni nel manicomio criminale di Trenton, finché non se ne persero le tracce. Secondo alcuni oggi svolgerebbero attività di consulenza per una nota catena di fast food."

L’anno è il 1676. In quella che oggi conosciamo come Ucraina meridionale, sorge la regione della Zaporizhia, popolata e amministrata dalla comunità cosacca locale, alleata dell’Impero Russo. I cosacchi zaporoghi hanno da poco sconfitto in battaglia un esercito dell’Impero Ottomano che li ha attaccati. Nonostante la disfatta, il sultano Mehmet IV chiede formalmente la sottomissione di quel popolo nomade e fa recapitare loro una lettera: “Sultano Mehmet IV ai cosacchi della Zaporizhia In quanto sultano; figlio di Maometto; fratello del Sole e della Luna; nipote e viceré per grazia di Dio; governatore dei regni di Macedonia, Babilonia, Gerusalemme, Alto e Basso Egitto; imperatore di imperatori; sovrano di sovrani; cavaliere straordinario e mai battuto; guardiano devoto del sepolcro di Gesù Cristo; fedele prescelto da Dio in persona; speranza e conforto dei Musulmani; grande difensore dei Cristiani; io comando a voi, cosac-


danielanani lapupadisvacco

“Andare sulla luna, non è poi così lontano. Il viaggio più lontano è quello all’interno di noi stessi.” (Anaïs Nin)

chi della Zaporizhia, di sottomettervi volontariamente a me e senza alcuna resistenza, e di cessare di tediarmi con i vostri attacchi”. Da bravi analfabeti, i cosacchi reclutano il messo che ha loro inviato il messaggio per scrivere la risposta da inviare prontamente al sultano: “I cosacchi della Zaporizhia al sultano turco: O sultano, diavolo turco, compare maledetto e fratello del demonio, servo di Lucifero in persona. Che razza di cavaliere sei, che non riesci a uccidere un riccio col tuo culo nudo? Quando il diavolo caca, il tuo esercito mangia. Non avrai, figlio di puttana, dei Cristiani sotto di te; non abbiamo paura del tuo esercito e continueremo a darti battaglia per terra e per mare, maledetta tua madre. Tu, sguattero babilonese, carrettiere macedone, birraio di Gerusalemme, incula-capre di Alessandria, guardiani di porci dell’Alto e Basso Egitto, maiale armeno, ladro della Podolia, catamita tartaro, boia di Ka-

menec-Podol’skij, idiota del mondo e dell’altro mondo, idiota dinanzi a Dio, nipote del Serpente e piaga nel nostro cazzo. Muso di porco, culo di giumenta, cane da mattatoio, fronte non battezzata, scopati tua madre! Così dichiarano gli Zaporoghi, essere infimo. Neanche i maiali di un Cristiano comanderai. Così concludiamo, non conosciamo la data e non abbiamo calendari, quindi la luna è in cielo, l’anno è del Signore, il giorno è lo stesso sia qui che giù da voi; baciaci il culo! Firmato dall’atamano cosacco Ivan Sirko, con tutta l’orda della Zaporizhia” Non ci è dato sapere se questo simpatico scambio di epistole sia accaduto nella realtà dei fatti, ma nella seconda metà dell’Ottocento, un etnografo russo trovò delle copie di queste lettere a Yekaterinoslav. I cosacchi godevano all’epoca di un ruolo primario nell’immaginario romantico della letteratura, visti non solo come reietti di una comunità anarchica.

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IN DIFESA DELLA POESIA IRONICA di ROBERTO MARZANO

alvolta, i poeti ironici e/o divertenti sono relegati - da taluni presunti tali colti sul fatto a storcere il nasino all'accenno di un sorriso o un battimani da parte di un pubblico complice del misfatto - a poeti di serie B. Quasi che l'essere ironici fosse solo una posa di convenienza, e non un semplice aspetto di animi poetici differenti che, anzi, proprio a causa di ciò si complicano non poco la vita. E' risaputo e ripetuto da secoli quanto sia molto più difficile far ridere che, invece, far piangere... farlo in versi lo è sicuramente di più. Per cui sarebbe oltremodo giusto dare ulteriore rispetto a chi sceglie i sentieri più impervi! Altro che poesia minore o di serie B. Poesia e ironia. A prescindere che le due parole incontrandosi in una rima baciata che più baciata non si può, sono di per sé un fatto già abbastanza ironico, al punto che il discorso potrebbe chiudersi qui: punto. Ciò sarebbe di sicuro irriverente, forse poco poetico, ma indubbiamente beffardo, perché ironia è anche sorpresa e lo spiazzamento un ingrediente basilare per condurre l'incauto lettore in meandri imprevisti, quasi metafisici, dove ci si fa allegramente un baffo di stereotipi e luoghi comuni. E allora, una melanzana trova voce per dichiarare il proprio amore al cuoco che la riduce in cubetti, gli ubriachi sono ascoltati come guru dispensatori di saggezze, le capre decidono di testa loro se stare sopra o sotto la panca, senza paura di crepare e i tacchini formano un'estemporanea sezione fiati d'incommensurabile bravura. Si gioca, si cazzeggia, destreggiandosi disinvolti tra le regole implacabili dettate da non si sa chi... anzi proprio questi dogmi e il gusto perverso di infrangerli rendono il tutto ancora più intrigante. Versi come archibugi carichi a teste di carciofo pungenti e sottili, per dissacrare perbenismi e consuetudini, frantumare le ragnatele di schiavitù a conformismi triti e avvilenti e, non ul-

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timo, bombardare l'arroganza del potere e i suoi orrori quotidiani. Insomma, se nelle poesie devono esserci per forza gabbiani, tramonti, fringuelletti, luna e lacrime, che almeno se ne trovi uno spunto originale e autentico, che non dia l'impressione di aver già letto la cosa da qualche parte, cosa che non ci stupirebbe affatto. E, soprattutto, ironici e taglienti bisogna esserlo per davvero anche nella vita, e non depredare atteggiamenti o pose già prese, altrimenti il gioco si fa debole, e i dotti critici coi denti affilati che affollano blog e riviste letterarie lo smaschererebbero piuttosto facilmente. Fare a pezzi le regole (che bisogna conoscere!) per trasformarle in uno spasso che avvince il poeta quanto il lettore. Anni addietro visitai lo studio di un pittore il quale, sebbene la sue opere fossero in quel momento alquanto astratte e fuori dagli schemi, ci tenne molto a mostrarmi i suoi studi giovanili di anatomia. Come avesse voluto dire: " Frantumo, contorco, gioco con le forme e la materia ma, all'occorrenza, sono in grado di fare le cose come vanno fatte". Mi trovo molto d'accordo con il vecchio pittore. E penso addirittura che un rockettaro debba assolutamente saper suonare una beguine o un jazzista rockeggiare allegramente, perché l'Arte presume padronanza dei mezzi espressivi senza preclusione alcuna. Ora, l'ironia è sì una “freccia aguzza che trafigge le banalità e genera stupore” ma, importante, per non ridurla a semplice sberleffo teso a sbalordire a tutti i costi, aldilà dei contenuti occorre che sia anche "bellezza", "ritmo" e "suono". Deve, io credo, - oltre ad attingere liberamente a metafore, ossimori, sinestesie, calembour e paradossi, in endecasillabi come settenari o versi liberi - essere frutto maturo di visioni e fantasie, di un saper abbandonarsi a immagini inconsce e oniriche, accarezzando così i cuoricini palpitanti di affamati fruitori di versi, generando bocche spalancate al sorriso, in un sottofondo d'irrequieta dolcezza... altrimenti gli eruditi poetoni di cui all'inizio si troverebbero ad aver ragione... e non ne saremmo per niente contenti!



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DENTRO LA MENTE DI ERIC HARRIS E

DYLAN KLEBOLD ERIC DAVID HARRIS E DYLAN BENNET KLEBOLD SONO STATI DUE RAGAZZI STATUNITENSI, RESPONSABILI DEL MASSACRO DELLA COLUMBINE HIGH SCHOOL NELLA CONTEA DI JEFFERSON, IN COLORADO, IL 20 APRILE 1999, DOVE UCCISERO 12 STUDENTI E UN INSEGNANTE. SIA HARRIS CHE KLEBOLD, COETANEI, SI SUICIDARONO DOPO LA SPARATORIA.

utti conoscono a menadito i dibattiti sulle leggi sul controllo delle armi, sul bullismo nelle scuole, sul malessere giovanile e sulla violenza nei videogiochi. Pochi, invece, sanno come è nato tutto questo. 20 aprile 1999, Columbine, Colorado. Due giovani allievi della Columbine High School fanno irruzione nel loro istituto e, armi alla mano, uccidono dodici studenti e un insegnante e ne feriscono ventuno. Si improvvisano bombaroli e piazzano poco più di una novantina di dispositivi esplosivi artigianali con lo scopo di compiere una strage peggiore. Barricati all’interno della scuola, messi alle strette dalla polizia, i due si suicidano. Perché? Nonostante siano trascorsi anni da quell’evento, nessuno ha una risposta. I due amici erano degli studenti modello, con famiglie normalissime e conducevano una vita apparentemente normale tra videogiochi e le prime timide relazioni sentimentali. Molto attivi su Internet, quando ancora il web non conosceva una diffusione capillare come quella attuale, avevano account su America Online e un blog. Lì veniva messo in mostra tutto il loro lato oscuro in un crescendo di messaggi carichi di odio verso la società e la loro vita quotidiana. Avevano anche l’abitudine di riprendersi mentre, ad esempio, facevano pratica nell’utilizzo di armi da fuoco (acquistate con la complicità inconsapevole di alcuni loro amici maggiorenni), costruivano bombe artigianali o lanciavano invettive contro il mondo che non li capiva, pianificando

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accuratamente orari e tempi della strage del 20 aprile che, già nelle loro intenzione, non li avrebbe visti sopravvissuti. Quello che rimane adesso di loro è lo spaccato distorto di una cultura occidentale che non riconosce i propri fallimenti e frammenti dei loro deliranti manifesti che qui vengono riproposti riassunti in una poesia di Harris e in due stralci del diario di Klebold.

Ciò che non vedo, non so Ciò che non so, non voglio Ciò che non voglio, non necessito Ciò che non necessito, non sento Ciò che non sento, non dico Ciò che non dico, non faccio Ciò che non faccio, non apprezzo Ciò che non apprezzo, rifiuto. Sono qui per scuotere il vostro mondo, Sono qui per scuotere la vostra fede, Anatematico anarchico, Sono qui per prendere il mio posto. Sono la vostra incoscienza, Sono eccesso senza freni, Metamorfica irrequietezza, Io, Io sono la vostra Apocalisse, Io sono il vostro credo grezzo, Monolitica forza, Io. Onda d’urto, Attacco massivo, Esplosione atomica, Il figlio dell’arma è tornato.

Ecco, tutti voi lì fuori potete baciarmi le chiappe e crepare. Da ora in poi non mi importerà un cazzo di quello che avete da dire, a meno che io non vi rispetti ma è molto improbabile. Per chi di voi sa di me e sa che lo rispetto, andate in pace e state lontani dalla mia linea di fuoco; per tutti gli altri sarebbe meglio che vi nascondiate in casa perché verrò presto a trovarvi e io SARÒ armato fino ai denti e vi SPARERÒ per uccidervi e UCCIDERÒ TUTTI! No, non sono pazzo. La pazzia è solo una parola che per me non ha significato. Tutti sono diversi, ma alla maggior parte di voi teste di cazzo della società, che andate ogni fottuto giorno a lavorare e a fare le vostre cose quotidiane merdose, io dirò vaffanculo e morite. Se avete problemi con le mie idee venite a dirmelo e vi ucciderò perché… dannazione, perché I MORTI NON DISCUTONO! Dannazione, MI AVETE ROTTO!! Dylan Klebold

Un giorno. Uno è l’inizio? La fine. AHAHAHAHAH! Al contrario, è vero. Tra circa ventisei ore e mezzo, inizierà il giudizio. Difficile ma non impossibile. Necessario, spacca-nervi e divertente. Cos’è la vita senza una piccola morte? È interessante, nella mia forma umana, sapere di stare per morire. C’è un tocco di trivialità in tutto. Conta poco ad esempio fare questi calcoli. Tra circa ventisei ore e un quarto sarò morto e contento. Quella piccola feccia zombie saprà i suoi errori e ne soffrirà per sempre. AHAHAHAHAHAHAH! Dylan Klebold

Caos e panico, Nessuna resistenza, Detonazioni in distanza. Apocalisse adesso, Pareti infuocate, Fumo che esce, Chi deve essere incolpato. Forgiato dall’acciaio, Volontà ferrea, Merda per cervelli, Nato per uccidere. Tutti sono uguali, Nessuna discriminazione, Figlio dell’arma, Una semplice equazione.

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Figlio dell’arma, padrone del fato, non si inginocchia a Dio, al Regno o allo Stato. Eric Harris NUMERO

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lestoriedisvacco to arrivando, mancano sei isolati e arrivo a scuola, parcheggio, prendo le bimbe e si va dal dentista. Due anni di succo di limone ogni mattina hanno reso lo smalto dei miei denti poroso come un panno Vileda. Mate, caffè e vino rosso hanno fatto il resto. Guido e rumino pensieri. Penso alle vacche findelmondane: occhi fermi, sereni o profondi, o serenamente e profondamente ignoranti, gambe possenti ancorate a terra, muovono la mandibola in senso orario. Faccio attenzione, davanti a me una macchina di scuola guida va lenta, inchioda, sorpassa una macchina in doppia fila, metto la freccia (se non metti la freccia sei una troia), sorpasso anche io e sento un rumore secco, come di ramo spezzato. Guardo lo specchio retrovisore, poi il mio specchietto. Niente. Avrò pestato un ramo o mi avranno buttato qualcosa o sarà caduta una casta-

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PIZZETTO

gna o sarà il rumore delle famose fratture ideologiche dopo tanto ruminare. Sono a tre isolati quando la macchina in doppia fila mi affianca al semaforo. Uno con capelli corti, pizzetto e due auricolari bluetooth bianchi che gli pendono, uno da ogni orecchio come tubi da sgorgo, abbassa il finestrino e urla: - E va bene che mi rompi lo specchietto ma scappare no, dai…Mi giro e lo guardo con la mia faccia da vacca ruminante quale sono, e tento di capire se era un amico che mi faceva uno scherzo. Impossibile. Guardo il suo specchietto. Rotto. Allora non erano fratture ideologiche. - E chi scappa?- dico io - Accostiamo. Dai Pizzetto, accostiamo. E modera i termini, che qui la regina del dramma findelmondano, quella cresciuta a dulce de leche e telenovelas, sono Io. “Scappare”. A me? Per uno specchietto? Pizzetto, questo a me non lo dici. Scendiamo dalle macchine, saliamo sul marciapiede, ma non abbiamo niente da accarezzare e guardare attentamente con un mix di rabbia e sconforto, come fanno tutti negli incidenti, perché lo specchietto rotto è rimasto a lato della strada. Allora Pizzetto mi guarda e rincara: - E no, eh, perché va bene tutto, eh?, ma scappare.. dai, su! - Ma smettila -Pizzetto- Non me ne ero accorta. Ti chiedo scusa. Facciamo la constatazione? Devo prendere le mie figlie a scuola.

E LO SPECCHIETTO di MERCEDES VIOLA

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- No, guarda, lo so che è uno specchietto di merda, ma la macchina è nuova. Mio padre è carrozziere, dammi duecento euro e siamo a posto. C’è un lampo di luce dubbiosa nei miei occhi da vacca al pascolo. Lo trovo troppo organizzato per un fortuito incidente stradale. Allora vado a controllare il mio specchietto (c’era qualcosa da guardare e carezzare, c’era!) e sì, era rigato, mezzo chiuso, un po’ storto. L’avevo preso allora, Pizzetto. - Va bene, non li ho qui. Dimmi dove e te li porto domani, ti lascio i miei dati. Mentre gli parlo vedo che ha del gel sui cappelli corti e irti. Pizzetto mi distrae dall’osservazione quando, tentando una espressione sarcastica, ridacchia. “He he he, ho gel e pizzetto, petto in fuori, un metro quaranta d’altezza, auricolari bluetooth bianchi che mi grondano dalle orecchie, parcheggio in doppia fila, inseguo una donna per uno specchietto, la accuso di essere una fuggiasca, ma non sono un coglione, bimba, che ti sia chiaro”. Questo sembra dire con la sua risatina. - E no no no, domani no. He he, mi rompi lo specchio, scappi…- Aridangate con sto “scappi”. Va bene, allora facciamo la costatazione. Tiro fuori il telefono per chiedere a una amica di dire alle mie tre figlie che non le ho abbandonate,ma ho solo inciampato su Mammolo. E con l’occasione chiamo anche il dentista. Quindi Pizzetto propone di fare un bancomat. Va bene, vai tu Mammolo che ti seguo perché non so dov’ è un bancomat qui. Nel tragitto mi è balenato un tenue sospetto che fosse un ladro o qualcosa, ma più pensavo alla sua faccia, più mi rassicuravo. Se lo mangiano a colazione i ladri, ‘sto Pizzetto. Parcheggiamo a caso coprendo passi carrai e spazi riservati ai camion per le consegne. Metto le quattro frecce (una Santa!). Attraverso. Arrivo al bancomat e Pizzetto mi segue a ruota. - Ma cosa fai? -Mammolo- Dove vuoi che vada che la mia macchina è là? Vai e tieni calmi i furgoni che siamo parcheggiati malissimo. Faccio il bancomat e arrivo. E’obbediente però, gira sui tacchi e se ne va. Prelevo e torno in macchina, mi siedo, abbasso il finestrino, e gli passo i duecento euro. Lui sente un po’ d’imbarazzo. Mi porge la mano e dice - Giacomo - per dire. Le stringo la mano e, quando sento che è sudaticcia e molle, gliela stritolo. - Mercedes - Non sei italiana - dice lui socchiudendo gli occhi nel tentativo di un’espressione perspicace. - Sei un genio - dico io e sciolgo la stretta. Se ne va. Dopo due passi si gira e ribatte in tono paternale: - La prossima volta, Mercedes, stai più attenta però, va bene? Gli avrei stretto la testolina fino a vedere la sostanza

grigia uscire dalla cannuccia degli auricolari bianchi. Una specie di reset, un dono ai suoi parenti di primo grado: Pizzetto con una bella testa vuota tutta da riprogrammare. A me sarebbero rimaste solo le mani piene di gel. - Vai a fare il maestrino a tua nonna - Pizzetto – Adesso chiamo i vigili e vediamo se, con la macchina in doppia fila, l’assicurazione ti copre lo specchietto. Ti disperi per lo specchietto della macchina nuova. Mi insegui, ti chiedo scusa, lascio tre bimbe fuori da scuola e arrivo tardi dal dentista a sbiancare i miei palettoni perché sei così disperato per duecento euro che non puoi attendere fino a domani, allora io li cerco e te li procuro. Ma non mi fare il maestrino. Vai tranquillo e contento con i tuoi duecento euro e fai qualcosa di buono! Porta fuori a cena tua moglie … ad esempio! E me ne sono andata. Sono consapevole del fatto che è stato inutile rispondere, forse mammolo aveva le cannucce alle orecchie con lo zecchino d’oro a palla e non mi ha nemmeno sentito. Ma non ho risposto perché sentisse lui. Ho risposto per risarcire me stessa di tutte quelle volte nelle quali sono stata zitta. E non per bontà, ma per confusione . Per quella propensione a sentirmi nel torto e chiedere scusa. Ma questa volta ero pronta, pensavo mentre andavo a prendere finalmente le bimbe. Ancora non riuscivo a capire come. Ma ero pronta. Poi ricordai. Avevo visto il film Pianeta Verde di Colling Serrau, film francese del anno ’96, e ho ripetuto la scena dello specchietto quando lui, dopo aver chiesto scusa in tutti i modi, eslama “E’ terribile, Pancione, quello che ti è successo, è terribile!” Mi domando se ero pronta perché avevo visto il film, o se invece c’è una parte di noi che si ispira a ciò che vede, impara, e per farci guarire, ripete. Il famoso quesito del uovo e la gallina declinato. Le bimbe salirono in macchina e, tra canti e il racconto di Pizzetto e lo specchietto arriviamo dal mio dentista, il Raikonen dell’estrazioni doppie dei denti dei giudizio. Le bambine hanno disegnato ,l’igienista mi ha lucidato i dentoni. Siamo tornate a casa, ormai era buio, la giornata arrivava alla fine e nel bilancio avevo duecento euro in meno da una parte e dall’altra, a compensare, il calore di casa mia (tanto che è ancora piena di zanzare a dicembre) il profumo di soffritto, che, come sanno bene in napoletani,è la premessa dei momenti che scaldano il cuore e la pancia. Un profumo che accompagna conversazioni sincere in cucina, un malbec, un sorriso splendente, tre bimbe che cantano, suonano e raccontano le vicissitudini della vita che inizia a muoversi tra gli altri e in più avevo una utopia da pianeta verde nonchè una capacità nuova di rispondere, dopo aver chiesto scusa, ai vari momenti-pizzetto della vita.

www.mercedesviola.it

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lestoriedisvacco UDIZIONI. La scritta era sotto la freccia composta da nastro adesivo nero raffazzonato su un foglio bianco. Priscilla Pussy, minigonna inguinale, tacchi da vertigine, collant trasparenti che sottolineavano le gambe toniche, estrasse lo specchietto e il rossetto dalla borsetta tempestata di paillettes. “Evita il rossetto, bella. Fai già coreografia così.” Una biondina slavata, in abito monacale, le fece sbavare il rossetto che stava applicando. “Nulla da dire un corpo da favola. Ma tutte le regine prima o poi devono rinunciare al trono.” Agitò le dita per un saluto provocatorio. “Priscilla Pussy, che la forza del silicone sia con te!” La slavata andò nella direzione indicata dalla freccia, lasciando la regina inerte. Era successo tutto così in fretta, che non aveva avuto neppure il tempo di ribattere. Scrollò le spalle. Tutta invidia di una che non arrivava neppure alla seconda di reggiseno. Priscilla si rivolse di nuovo allo specchietto. Vide allora l’immagine riflessa di un gruppo di ragazze. Si stavano avvicinando, allegre come scolarette in gita scolastica. Erano tutte senza trucco, avvolte in abiti XL o XXL. Due di loro indossavano un velo che copriva la testa e parte del volto su cui spiccavano occhi chiari e limpidi. Quella sulla destra aveva sopracciglia rossicce ed efelidi sparpagliate sulla pelle cerea. Alzò l’indice verso Priscilla che portò la mano al petto, carico d’ansia. “Ragazze, dobbiamo andare di qua”, disse la rossa. Priscilla capì allora che non stavano indicando lei, ma il cartello, così fece un sospiro di sollievo. Sollievo che durò poco. Il gruppetto le passò accanto e due tipe, più spente di una giornata di nebbia, si parlarono sottovoce dopo averla bruciata sul rogo della disapprovazione. “Hai visto quella?” “Priscilla Pussy! Bella è bella, non c’è che dire.” “Non ne dubito, ma non sa di essere sorpassata?” “In effetti, ho giusto il contenitore della plastica libero, a casa.” Il gruppetto sparì dietro l’angolo, lasciando la regina ancora

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LO STRANO CAOS DI

PRISCILLA PUSSY di ROBERTA DE TOMI

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una volta sconcertata. No, non per il veleno sparato dalle due scialbine; per quello aveva fatto fior di tagliandi e aveva uno stomaco a prova di proiettili. Quello che non si spiegava era la situazione. La regina dei clic su web sentì di nuovo la porta aprirsi. Per un attimo si accigliò al pensiero di nuovi incontri sgraditi, ma poi le labbra si spalancarono insieme alle braccia, alla vista di un viso famigliare. “Sally! Ziaooooo!” L’entusiasmo si spense quando notò i pantaloni neri e larghi, una camicetta bianca, chiusa fino al colletto, un paio di ballerine con il fiocchetto sottile sulle punte. Sugli occhi da gatta, un linea di matita nera. Priscilla chiese chiarimenti, l’altra scosse la chioma corvina. “Scilla, il tuo agente non te l’ha detto?” “Tim? Lui è in ferie.” “Quindi non sai nulla delle nuove leggi?” “Leggi? Quali leggi?” “Ossignore. Non mi dire che sei venuta qui conciata a quel modo?” “Certo, vuoi che per i provini di un film porno venga vestita con il tutù?” “Non ti ha fermato nessuno, vero?” “No, sono tornata ieri sera dal tour e le uniche persone che ho visto a parte te e le altre candidate, sono state la donna di servizio e il mio autista. Come sai, la mia Mercedes ha i vetri oscurati e nessuno può guardare dentro.” “Ti è andata bene. Ora vestirsi succinte è reato.” “Reato?” Sally aprì la borsa. Ne estrasse qualcosa che lanciò all’amica: erano un paio di leggins neri. “Mettili.” Priscilla esitò, lei si scaldò. “Preferisci essere arrestata?” “Okay, okay, ma stai calma.” Rapida, si tolse le scarpe e i collant e infilò i leggins. Quando si fu sistemata, l’amica le piombò addosso con una salvietta struccante. “Via anche il trucco.” “Mi possono accusare di essere troppo provocante anche per il trucco?”

“Devi essere nature. È il mantra di Maestro Yoghi.” “Ma non di Bubu.” “Vedo che non hai perso lo spirito.” “Posso essere arrestata anche per lo spirito o si può ancora ridere? E per il silicone?” “Stai serena, baby.” Mentre la ripuliva, l’amica le diede spiegazioni. “Hai presente il caso Weinstein e tutti gli altri scoppiati in pochi mesi?” “Lo hanno presente anche i muri. E Kyla e Jasmine sono tra quelle che hanno raccontato di essere state insidiate da un altro produttore, non ricordo chi.” “Proprio loro, dedite a cocaina e orge. Ma non è questo l’argomento. Dopo il caso Weinstein e affini, è stata approvata la Chastity.” Priscilla giunse le mani a preghiera: “Ti prego, lasciami almeno le ciglia finte.” “Proibite anche queste.” Sally rovistò nella borsa. “Ho l’ultima cosa per te.” Spiegò una camicia di seta nera per completare la vestizione. Infine si portò alle spalle e raccolse i capelli platinati in una coda alta sulla testa. Tornò a lei, le sollevò il mento. “Ora sei perfetta.” “Per una cresima. E comunque non mi hai risposto sul silicone!” “Silicone con moderazione. Abolite le minigonne, gli abiti scollati, i tacchi esagerati. Abolite le copertine ammiccanti e tutto quello che è erotico ostentato. Le donne ora non devono essere appariscenti o dare scandalo.” “E Madonna, come farà?” “Sta per pubblicare un disco di canti sacri in versione pop. Roba dance innovativa. Ha anche lanciato la moda di tuniche colorate e veli in tinta.” Sally la spinse in avanti “Andiamo, le audizioni cominciano tra cinque minuti.” Priscilla sbatté le ciglia, corte e bionde. Si sentiva nuda senza quelle finte. E si sentiva nuda con tutti quei vestiti, con una marea di domande in testa e un caos nel cuore. Ma il vero quesito è un altro. “Il porno non è stato abolito?” Sally non si scompose: “Quello resta, ma l’importante è che quando usciamo ci copriamo bene.”

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l’esperimento

RTEDÌ di JAIME ANDRȨ́ S DE CASTRO

l sottofondo musicale del momento in cui vidi Juanita era una canzone di cui poi ho capito tutte le parole del testo, faceva “Galoppiamo in SH, 'namo in sella / Lei è bella bella peccato che è lella / Perché piangi alla patente pora stella / T'hanno bocciata perché sei partita in terza”. Non credo lei lo ricordi. A me è rimasto impresso perché ho avuto la sensazione di essere ad una di quelle feste da liceali americani con la casa libera, ma in zona romana. In realtà eravamo nella provincia di Milano, avevamo già ventisette anni e io avevo appena preso la laurea in Filosofia, dopo aver lasciato la promettente carriera da preparatore atletico. Lei si ricordava ben poco della sua infanzia peruviana e aveva studiato come estetista. Ero vestito da Salvini, mi ero fatto crescere barba e capelli apposta. Sono le cose che fai quando sei single da anni e vuoi impressionare qualche ragazza a una festa. La realtà è che passai metà della serata attaccato al culo di un amico. Juanita si avvicinò chiedendomi se m’interessava un’alleanza. Aveva avuto l’idea geniale di indossare un abito nero, a tubino, con una scollatura che richiedeva concentrazione per non far cadere gli occhi sulla sua terza abbondante, abbinandolo a una maschera in lattice di Berlusconi. Me lo dovette ripetere. «Mi consenta, vuole fare un’alleanza?», con la “s” da ispanica. Le dissi di sì, che m’interessava. Ero appena stato rimorchiato da Berlusconi ad una festa di carnevale. O almeno credevo. Perché nel trambusto sentivo le sue parole, ma non la sua voce. Sentivo il suo discorso un po’ banale su come le giornate piano piano fossero sempre meno fredde e la precisazione di non aver mai votato per Berlusconi. Sentivo il mio discorso ancora più banale su quanto avessi già bevuto e sul fatto che non mi avesse ancora detto il suo vero nome. Juanita. E fu subito il ricordo di lei che mi baciava a diciannove anni nel parco della biblioteca. Del primo viaggio, un capodanno triste in piazza a Verona e ben più felice nel letto del bed & breakfast dopo aver fumato una canna. Di quando iniziò a

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farmi un pompino in un camerino di H&M, la commessa se ne accorse e scappammo prima che arrivasse il tizio della sicurezza. Il giorno in cui mi disse che non poteva più stare con me, senza darmi alcuna spiegazione, scomparendo. Tese la mano e da sotto la maschera disse il mio nome. Mi chiese come stavo e non riuscivo a capire se intendesse in quel preciso istante o da quando se n’era andata. Cercai di far finta di niente e le chiesi di uscire nel giardino della villetta. Rollai una sigaretta, mi disse che non fumava, la accesi e le domandai se fosse lì da sola. «Fino ad ora sì». Parlammo dei ricordi e delle nostre vite. Lei era felice così. Era riuscita ad andare a vivere lontano dai suoi genitori. Aveva un cane di nome Augusto. Preferiva fare la spesa all’Esselunga. Si era interessata alla chitarra e stava seguendo un corso con una maestra bravissima. Aveva letto qualche poesia di Prévert, glielo aveva consigliato una persona, e se ne stava appassionando. Non chiese di me nemmeno una volta, nemmeno per sbaglio. Così le raccontai della laurea, della ragazza dopo di lei, dell’idea di sposarmi. Non avevo veramente intenzione di sposarmi con Giulia. Però in quella situazione sentivo il bisogno di farle male emotivamente, speravo mi prendesse la mano, mi baciasse. Juanita era stata in ogni donna con cui avevo voluto stare. Era entrata nei corpi di quelle con cui poi sono finito a letto. Nei ricordi delle cose che piacevano a lei. E piacevano solo a lei. La sigaretta era a metà quando una voce che mi uscì dalla bocca le chiese che fine avesse fatto in tutti quegli anni. Spostò la testa verso il basso, i capelli lunghi e neri le facevano da tenda sul viso. Rispose che ai tempi non lo sapeva. Rispose che si sentiva ancora in colpa. Rispose che non era mai stata più con nessuno dopo di me. L’idea di essere stato l’ultimo mi fece sorridere, mi accese l’orgoglio. Le chiesi: «Cosa voterai alle elezioni?». Le venne da ridere. «Di sicuro non Berlusconi», fece una pausa, mi guardò, «e nemmeno te, Matteo». Mi accarezzò e alzandosi mi diede un bacio sulla fronte, quel bacio sulla fronte che mi aveva dato per tre anni e otto mesi. «Vieni», mi disse. Rientrammo in casa. C’erano delle persone attorno ad una ragazza con una chitarra. Stava cantando una canzone che tutti intonavano assieme a lei. Juanita cominciò da «Si sa che la gente dà buoni consigli / Sentendosi come Gesù nel tempio / Si sa che la gente dà buoni consigli / Se non può più dare cattivo esempio» e proseguì fino alla fine. Per non fare brutta figura muovevo le labbra e cercavo di catturare le ultime lettere delle rime. Scoppiò un grande applauso e la ragazza alla chitarra ringraziò evidentemente imbarazzata. Juanita fece per avvicinarsi a lei, si voltò verso di me.

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METROPOLITICA di DANIELA PI

iaggio in metro A, dal centro di Romacapitale alla periferia Sud. Da San Pietro ad Anagnina per intenderci con i romani. Ora di pranzo. La metro anzi, il treno, brulica di ragazzi appena usciti da scuola. “Allora la famo ’sta rivoluzione?”, parlano ad alta voce un gruppetto di ragazzi di 18 anni circa, vestiti normali: sneakers ai piedi, jeans, felpa, parka con la pelliccia. “Sì, c’annamo tutti non dubbita’”.. E dove andranno mai?, mi chiedo incuriosita, specialmente dal fatto che parlano di rivoluzione all’ora di pranzo. “Allora tocca vestisse bbene”. Ridacchiano e guardano un quarto ragazzo un po’ in disparte, affiancato da una coetanea a cui esplode una chioma riccia e lunghissima. Il quarto ragazzo li guarda sorridendo a metà, un po’ perché li conosce (compagni di classe?) un pò per darsi un tono con lei ma si vede che è innervosito dai commenti. I tre continuano: “Allora, pe fa’ la rivoluzione fa-

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EDGAR di ALFREDO GENTILE

sciva dal cunicolo tutte le sere, Edgar, velocemente, fugacemente; un capolino dalla rete e si fiondava nel piccolo piazzale del distributore di benzina ormai chiuso, puntava l’altro lato della strada, aveva imparato a distinguere le luci delle auto e si fiondava sul marciapiede opposto, senza esitare. Da lì avrebbe scavalcato un muretto basso, passando di fianco alla colonnina del citofono e subito salendo su di un muro che gli avrebbe fatto vedere il mondo dall’alto. Si fermava

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scista se dovemo mette le nazidas nere” Le che?, penso io. “Allora, nun ve distraete: le nazidas nere, i jeans de Carvin Clai, sempre neri, la cinta de Gucci, er bomber nero, ’mpò lucido. Che dici va bene, no?”. E guardano il quarto ragazzo, che ammicca un po’ più serio, ma non commenta. “Aò”, fanno i tre all’altro, ora quasi torvo, “aa sei sicuro che a te co’ quei capelli te la fanno fa’ la rivoluzione der fascio? Nun saranno troppi quei capelli? Co’ quer ciuffo poi!”. Il quarto ragazzo non ha il tempo di ribattere, perché i tre, in due secondi, salutano - con due bacetti sulle guance - la ragazza che è vicino a lui e continuando a ridacchiare in modo plateale, scendono alla loro fermata. Capisco che c’è stato un prima rispetto a questo spettacolino cui ho appena assistito. Infatti il ragazzo, fino ad allora muto e contegnoso, apre bocca e si rivolge alla ragazza: “E certo eh, ma che l’hai fatto apposta a dire quella cosa a scuola?” . E lei con atteggiamento vago e ingenuo che nemmeno Heidi: “Maperchèscusachehodettoio?”. “Ma come?”, dice lui visibilmente offeso, “hai

talvolta ad ammirare la luna, quando ella voleva e se non gli impallidiva troppo il viso; non lo faceva per non essere visto, poco gli importava, lui era un esperto. Passando in lontananza ascoltava un battito costante, ritmato, che veniva dal balcone di una vecchia signora che guardava un’enorme scatola di luci. Ne sapeva più di un diavolo, lui che in quella zona c’era nato; poco lontano c’era Denise, preparatissima che non avrebbe mosso un muscolo al suo passaggio, più avanti la stanza di un bambino che dormiva placidamente. Edgar avrebbe dovuto attraversare poi un giardino con due mastini napoletani che fortunatamente russavano già da tempo. Leggerissimo, una sosta impercettibile, come se si fermasse a leggere il cartello -“Attenti al cane”- e poi via dentro, avendo cura di evitare tutto ciò che era verde perché “il verde poteva essere rumoroso”. Si aggrappava in un lampo vicino ad uno scolo


scritto sul tema che quelli che votano Casa Pound te fanno schifo! E io allora? Te faccio schifo pure io!”. “Ma no che centri tu, era così per dire no?”. “Ma come, io sò de Casa Pound e tu esci con me! Allora nun sei sincera…”, e qui è visibilmente affranto e mi fa pure un po’ tenerezza. Poi riprende: “Vedi, tu, come l’altri, c’hai un pregiudizio de fondo, che è sbajato, perché noi ciavemo un ideale, ciavemo un credo, che poi sarebbe quello che tutti dovrebbero rispettare le leggi, senza approfittasse”. E lei : “Ma… non so….”. “E non lo sai no, ma solo perché non hai studiato”. “Altrimenti sapresti che ci fu un tempo in cui i delinquenti nun ce staveno e la legge se rispettava”. “Si! Ma cor manganello! E tra l’altro il manganello ce l’avevano proprio li delinquenti come voi!”. Interviene a gamba tesa una signora che si avvicina alle porte. Nel frattempo il treno arriva al capolinea. Temo la reazione del Casapoundiano. Craniata? Parolaccia? Lettura coatta di un manifestino di propaganda a piacere? Triplice se-

quenza di saluti romani? Invece no. Pacatissima reazione democristiana del giovine italiano: “Grazie signora, ma credo che si debba informare meglio. Non credo sia proprio così, però, signora eh”. La signora: “E non ce credi no! Ma su che libbri ve fanno studia’? Va bbello va’ a studia’ la storia”. E qui craniata siderale, penso io. Me l’aspetto. Sei de Casa Pound. E invece: “Arrivederci signora, grazie del consiglio. Però anche lei provi a rivedere le sue posizioni.” Che quasi ci rimane male pure la signora stessa. Li guardo allontanarsi e penso che ora lui la strattonerà – come minimo - tanto per rifarsi delle angherie subite fino adesso. Nell’ordine: aa scuola, (la tua ragazza ha scritto che gli fai un po’ schifo), dagli amici (ti prendono in giro perché sei una specie di Casa Pound borghese), da una di sinistra (che ti dà dell’ignorante). E invece che fa? Compra un fiore da un cingalese ambulante e lo regala alla sua bella. Bacio. The End. A volte, poche per la verità, finisce bene.

dell’acqua che scendeva dai piani superiori, saltando su di una recinzione provvisoria e superando un’altra proprietà, da lì si sarebbe trovato in aperta campagna; ancora una mezz’ora di cammino evitando tutto ciò che poteva procurargli disgusto; disdegnava fango, terreno molliccio, gli escrementi dei bufali, le erbacce accantonate e lavorate che formavano una collina enorme; zigzagava alacremente tra i filari di una vite ancora acerba e correva verso la luce di un lampione, evitando riluttante il bidone di una mensa. Doveva ancora superare un cancello, e sarebbe arrivato nel suo piccolo regno notturno a rubare il cibo a Thomas, ormai anziano che lo stava a guardare e non lo rincorreva più come una volta; quando erano giovani allora sì, che facevano dei lunghi girotondi, per rispettare i ruoli. Ma quella sera Thomas non c’era, e nemmeno più il suo cib.

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lepoesiedasvacco MATTINO IMMOBILE

SENZA TITOLO

Due uccelli che non identifico hanno volteggiato intorno a un’antenna e sono scesi oltre il tetto di fronte. Un alzarsi di vento sulle cinque m’ha svegliato, ho controllato gli ormeggi d’alcuni oggetti sul terrazzo, poi ho ridormito due ore. Adesso c’è questo mattino di nuvole alte, nessun segno di vita alle finestre del cortile, c’è più silenzio che a mezzanotte ed è forte il tic tac dell’orologio che sta sul muro sopra lo scaffale. Ondeggia piano una borsa di tela appesa alla ringhiera del balcone. Sembrerebbe un’attesa, ma di cosa?

Lì, dove tutti sanno qualcosa e io di ogni cosa, proprio niente. Lì, fregando gli occhi, la mano impara un pugno di mosche come la briciola le cince domate perché tutto è così, e noto e impudente, e disincantato come il verso, e l'albero, e il 'cuc' e di Esenin il pianger la cagna e la strada, e la gente, e il 'non' come il 'giustapposto' dal fitto a ore e il truismo, e l'altero, e il banale e le questioni del futuro delle frittelle con ova di pinguino reale.

DEBORAH ŽEROVNIK CARLO MOLINARO

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illustrazioni di MICHELA DI LANZO

POESIA SVACCATA

QUEST’ANNO

Abbandonati su poltrone e divani. Taluni vicini, talaltri lontani, immersi in trasparenti pensieri alcuni di oggi e altri di ieri contorti e sinceri né bianchi, né neri, riassunti di vita in disegni a matita, su foglie a righe ma anche a quadretti, si scambiano idee

Per circostanza o per vocazione, del carro è rimasto il bue e del rito funebre la risurrezione della carne: quest’anno mi vesto da sbirro o da Digos (così comanda la mimesis) nella confusion del logos; ma il mio verbo fusion inarca le sopracciglia anche oggi, hobb ché l’amore è il mio hobby; alle imminenti elezioni il partito delle lobby e quello dei nessuno ballano l’abbandono: la ballata dell’amore sordo – d’amore privo; anche oggi ch’è San Valentino. La mano della zingara è nera e il mio capo, alzandosi, rimira una luna vermiglia dentro le tue labbra c’è un po’ di pietà nel rosso intimo dell’allergia al fluoro, fosforo bianco rischiara il cielo; io canto l’ingiustizia: la fine del lavoro. Quest’anno mi vesto da privato o da politico, così avrò in me l’illusione di scegliere su quale zigomo dormire: quest’anno, febbraio vestito di rami neri

GEORG RUZZENE

DAVIDE GALIPÒ

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COMINCIARE A CAPIRE

LA MITRAILLE

Dovrai pure cominciare a capire che un poeta non è poi tanto normale se a vomitare si ostina indecorose quartine su di te abbacchiato steso lì in prima fila se la voce impostata dà la falsa impressione che abbia tanto da dire per scaldarti un po' il cuore che possieda parole a scardinare gli intoppi con acrobatici versi e metafore argute…

È spuntato alle spalle del muro nigeriano come un grande Dio Rosso io ero nel tappeto, nel cappello di paglia, nei campanelli di filo spinato, ad aspettare il mitra notturno sull'uscio.

Ma dovrai pure cominciare a capire che un poeta talvolta non ha niente da dire ma lo fa egualmente senza neanche un pudore e a te resta soltanto il gran dubbio - sicuro -

Lui s'è seduto davanti al pianoforte, io sono diventata il lampadario e con un terremoto di dita e piedi s'è messo a farmi tremolare fino al mattino dopo In questa casa non puoi farti la doccia perché una tavolata di sudamericani sudati sta cantando nell'enorme cabina bagno priva di mattonelle ma puoi urlare o guardare gli uccelli inquieti cadere in picchiata dal cielo fino bucare l'asfalto che prima o poi, lo sai, si affloscerà come un grosso pallone grigio

ROBERTO MARZANO

Così te ne stai dove non esiste un vero e proprio tempo con una gamba abbronzata che penzola dalla finestra di ruggine a goderti lo spettacolo di ciò che accade nella tua testa: pallottole adesive e donne pazze bananavestite tutte identiche che con aspirapolvere vivi inorridiscono l'intero isolato, il ragazzino travestito da leccalecca azzurro, e più in là, in fondo alla strada, la pineta di cavalli giganti. A sera, torni nella tua stanza, dove lui t'ha aspettato “Non ci riesci proprio, vero?” le sue corna sfiorano il soffitto, è seduto intorno al tavolo, severo come una bestia ferale “Che me lo chiedi a fare, se sei tu a generare tutto questo?” lui s'intristisce, ed è strano vedere la tua paura aleggiare nella luce soffusa, i suoi occhi di rughe, ridotta come una vecchia che ha trascorso con te tutta la tua vita. “Perché sei triste, Paura?” gli chiedo. Spero che lui mi abbandoni, che gli spuntino le ali e vada via per sempre perché non riesco proprio a scendere da quella finestra. Guardo la fune che ho poggiato su una sedia, pensando di poter sbucar via dalla mia mente ultrasensibile e di annientare il grande Dio Rosso. “Te ne vai?” sospira lui. Io mi alzo, spengo la luce, lo lascio al buio sento che sospira come un canotto che si sgonfia, entro nell'altra stanza e mi infilo nella coperta verde. Lui cammina pesante, avanti e indietro per molte ore, non posso dormire, come ogni cosa che lampeggia, i miei occhi si arrestano a intermittenza, poi cospargono di chiarore l'intera stanza. E così fino al mattino, finché non sarò costretta a spaccarmi in mille pezzi, ogni giorno, ed essere nel tappeto, nel cappello di paglia, nei campanelli di filo spinato,

VERONICA FALCO NUMERO

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CI FOSSE STATA SEMPRE Ci fosse stata sempre la terra avrebbe il colore della stelle il dna le giuste dritte Ci fosse stata sempre questo dio guercio avrebbe gli occhi trasparenti le mani calorose e ogni goccia di luce darebbe sangue nuovo non ci sarebbero offese silenzi nelle bocche spalancate i tramonti avrebbero ogni secondo il cuore sospeso e il codice dei cancelli chiusi sarebbe abraso ci sarebbero i monti dorati fioriti sarebbero gli anelli di saturno e amore amore amore prima di pensare di udire di capire. Ci sarebbe, ci fosse stata sempre un solo pianeta senza frontiere senza la pelle dei camaleonti senza la polvere d'odio sui tetti che abbaglia le menti non svezzate educate solo al pregiudizio dei potenti Non regnerebbero i tiranni gli arroganti i venditori di fumo il sole alla fonte davanti allo specchio il freddo del vuoto infinito sarebbe, ci fosse stata sempre la zolla gravitazionale più potente che a se tutto l'indesiderabile risucchierebbe mentre l'amore consapevole che sterilizza ogni rabbia svilisce ogni violenza avrebbe la volontà di farsi uomo, veramente. ci fosse stata sempre non ci sarebbero troni edificati da tonnellate di neuroni schiavi a dar fiato a vescovi generali possidenti di terreni iniqui consegnati all'eterno monopolio della paura nel catasto mai censito del potere perpetuo Ci fosse stata sempre la droga sarebbe ricorsa a ragioni più forti di tutti gli uncini fusi alla calotta dell'ambiguo piacere Avrebbero gli animali ci fosse stata sempre uno smoking per la sera e

niente sgomento da esibire ai fucili niente grugniti fraintesi ci fosse stata sempre tutte le ore del giorno avrebbero un senso una storia un'entità preziosa per tutti gli uomini della terra ci fosse stata sempre nessuno sarebbe morto per nessuna ragione e il capo chino di morte rassegnata avrebbero i bimbi accarezzato con la dolcezza di chi non si spaventa in un perpetuo presente ..... ci fosse stata sempre ogni armonia esportata fuori dal globo sarebbe un esercito contro il caos decisa a vedersi determinante a trovarsi infine distrutta e ricostruita distrutta e ricostruita.. Ci fosse stata sempre questo dio guercio avrebbe gli occhi trasparenti le mani calorose e ogni goccia di luce darebbe il sangue nuovo ci fossi stata sempre ma neanche ora ci sei folle giusta assoluta concreta,

STEFANO RASPINI

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l’esperimento

LOVE BOX

LA RIVOLUZIONE GENTILE DI

LAURA SHASHI TROIANO

LOVE IS (LOVE BOX) nasce come installazione per il Festival d'arte contemporanea SGUARDI SONORI, tenutosi al Museo Civico di Roma nel 2010. Si tratta di una particolare cassetta della posta in cui chiunque può inserire un messaggio che abbia per tema quello che l'amore significa per lui. Una volta terminato l'evento, Laura ha deciso di trasformare LOVE BOX in un'installazione itinerante e non ha più smesso di raccogliere messaggi sul tema “Love is/Cos'è l'amore”; l'obiettivo è quello di dar vita ad una successiva installazione composta da tutti i messaggi raccolti in giro per il mondo, una sorta di celebrazione dell'amore universale, senza limitazioni dovute a distanze, credenze o linguaggi differenti. Dopo aver girato l'Italia, LOVE BOX è stata da poco ospitata a Parigi e si trova attualmente presso il Quiet Healing Center di Auroville in India. Chi volesse invitare LOVE BOX e partecipare così alla raccolta dei messaggi può contattare Laura all'indirizzo premluna@gmail.com. Laura Shashi Troiano, visual artist, performer e videomaker, dopo anni trascorsi tra Bologna, Parigi, New York e Los Angeles, ha deciso di fermarsi a vivere in

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Toscana, sopra una collina che guarda il mare. Oltre a LOVE BOX, porta avanti altri progetti artistici sempre caratterizzati da una forte valenza emotiva e spirituale. La serie di dipinti “Ocean – We have a blue mind” che si propone di portare nelle case una finestra tramite cui entrare in contatto con i colori e le vibrazioni del mare, dato che anche solo una piccola vista sull'oceano può aumentare la salute mentale di una persona e migliorarne l'equilibrio psichico. Sappiamo intuitivamente dall'esperienza che vivere vicino all'oceano aumenta la felicità e anche la scienza ha dimostrato che l'oceano ispira il pensiero creativo, riduce l'ansia e promuove il pensiero compassionevole. Riferimenti precisi a tali ricerche si possono tro-

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vare nel libro “Blue Mind” dello scienziato e biologo marino Wallace J. Nichols, da cui Laura ha tratto ispirazione per questo progetto. I Tableaux-lunatiques, invece, sono piccoli acquerelli colorati che Laura, come una curandera universale, sparge in giro per il mondo come piccole preghiere poetiche, piccoli post-it che riempiono chi li tiene tra le mani di armonia ed energia positiva (particolari in tal senso sono le due serie di Tableaux “Pachamama” e “My New Mini Collection About Yoga Mala Universe” dedicati alla Madre Terra e alla connessione tra Uomo e Universo) che, ad oggi, contano più di mille esemplari unici e sono i semi attraverso cui prende piede il sogno della rivoluzione gentile di Laura, un'artista con l'anima a colori



Resistenza, ma quella delle donne. Seconda Guerra Mondiale in Canavese, ma settant’anni dopo. Amore. Quello che ti fa stare così bene da sentirti terribilmente male. Strage di Sabra e Shatila. E che ci azzecca Cuorgnè con un genocidio? Una moschea in montagna che, no grazie, non verrà costruita. Un adolescente violento, l’unico che ha capito e può salvare chi pensa di proteggerlo. Torino. Toro alè, micidialcanavese granata. Insomma, una classica storia di famiglia.

BIANCA NON ERA A SHATILA Mariagrazia Nemour


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