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POST GRAFFITI IN ITALIA & USA
BOLOgna 21 gennaio - 4 febbRaio 2012 Galleria del Circolo artistico Corte Isolani 7A
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ARTEFIERA
Tag Indelebili Post Graffiti in Italia ed USA
21 gennaio - 4 febbraio 2012 Galleria del Circolo Artistico di Bologna, Corte Isolani 7a
A cura di Oddone Sangiorgi, Bartolomeo De Gioia
Produced & Powered by Consorzio Fia, Fabbrica di Idee ed Azioni
Indice Prefazione di Oddone Sangiorgi
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Interventi
Giovanni Pintori - Scrivere Ovunque Scrivere
---------- pag.10
Christian Omodeo - Graffiti & Post-Graffiti ---------------- pag.12
Valeria Petrini - PostGraffiti
----------------------------- pag.18
Jacob Kimvall - Cosa Scrivi?
----------------------------- pag.24
Luca Sforzini - Tag Indelebili
----------------------------- pag.28
Marco Corallo - Writing 2011
----------------------------- pag.30
MaxieMillion - First Contact
----------------------------- pag.32
All’inizio Era.. ------------------------------------------------------ pag.35 Artisti ed Opere
Dado ------------------------------------------------------------ pag.42
Daniele Falanga
KayOne ------------------------------------------------------ pag.60
Paul Kostabi
Mambo ------------------------------------------------------ pag.76
UnikProdukt
V3rbo
Mr Wany ------------------------------------------------------ pag.100
Flick Yoli ------------------------------------------------------ pag.110
TMNK @ Spazio Ratti-Lavin
Top Italian Writers @ Arcadia Concept Art Store --------- pag.129
----------------------------------------- pag.52
------------------------------------------------ pag.70 ------------------------------------------------ pag.84
------------------------------------------------------ pag.92
----------------------------- pag.119
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Prefazione di Oddone Sangiorgi
Tengo a precisare in premessa, per farmi perdonare subito le possibili “ingenuità” che non sono un critico d’arte, né un curatore, ma un ”semplice” appassionato e collezionista d’arte, affascinato dalle correnti espressive contemporanee. Già aver sottotitolato la Mostra “post graffiti” ha scatenato le critiche di alcuni seri studiosi, che mi hanno ricordato che il termine graffiti, anziché del più corretto writing, pare lo si debba al confuso poliziotto di Filadelfia degli anni ‘60 che, trovandosi a redigere un verbale, preso atto di un muro oggetto di questa nuova e sconosciuta forma di “espressione”, non sapendola definire, la risolse burocraticamente e sbrigativamente con graffiti. In realtà, a parlare e scrivere proprio di graffiti agli inizi degli anni ‘70, è il grande filosofo, critico e teorico della post modernità Jean Baudrillard che tra i primi ne intuisce la portata e la carica rivoluzionaria e documenta anche fotograficamente il fenomeno, nelle sue frequenti visite a New York. Di seguito, nascono e si sviluppano altri stili ed avrei forse dovuto quindi richiamare post writing, post lettering, post wall painting, post street art, sottolineando anche “ la consecutio tempurum”che ci conduce ai nostri giorni. Su questa problematica e prospettiva rimando all’esaustivo saggio di Fabiola Naldi Do The Right Wall/Fai il Muro Giusto, in cui si chiariscono i fraintendimenti su “..queste sigle scomode e restrittive per gli artisti che ne fanno parte, ma utili per coloro che si avvicinano alle moltituidini di codici visivi..” Tuttavia graffiti, inteso comprensivamente e nell’immaginario collettivo, identifica storicamente un percorso artistico come abbiamo già considerato, vasto ed articolato, a mio avviso concluso. Lo affermo consapevole di scatenare le ire dei “writer grafittari” che si sentono vivi e vegeti, mentre post ci conduce all’attualità, ad una evoluzione e prospettiva aperta ed è per questo che non “mollo”. Tornando alle motivazioni che hanno spinto Il Circolo Artistico di Bologna e me a promuovere e realizzare la mostra TAG INDELEBILI: Post Graffiti in Italia ed Usa, risiede in diversi stimoli, il primo, per post- graffiti intendiamo e vogliamo indagare le tendenze stilistiche che affondano le radici nella cultura del graffiti writing e della street art e che si manifestano in molteplici discipline, quali Pittura, Scultura, Grafica, Computer grafica, Design, Illustrazione, Moda, Fotografia, Architettura, Videoarte, Calligrafia. La differenza fondamentale fra street art/graffiti writing e tendenze post-graffiti si esplicita nei campi di applicazione delle produzioni dell’Artista. Lo street artist o il graffiti writer crea un’opera che si colloca in spazi pubblici seguendo un percorso creativo strutturato e finalizzato spesso alla
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TAG INDELEBILI notorietà, in concorrenza con artisti che vengono da esperienze comuni e si esprimono con un codice simile al loro; un Artista post-graffiti si cimenta invece in discipline “convenzionali”, se non nelle Arti Maggiori, confrontandosi con creativi che non hanno una formazione e impostazione apertamente legata al gusto dei Graffiti o della street art. È comunque evidente come gli stilemi proposti abbiano permeato qualsiasi produzione rivolta ai giovani e, più in generale il contemporaneo, dimostrando la forza d’impatto e la persistenza di questo genere artistico. Detto ciò, non esiste una definizione stringente e definitiva dell’arte Post Graffiti, che come abbiamo riscontrato, affonda le radici in quella dei Graffiti e della Street Art, nate a Filadelfia nei tardi anni Sessanta sui treni e si sviluppano in seguito a New York negli anni settanta fino a raggiungere una prima maturità stilistica a metà degli anni ottanta, testimoniata dalla realizzazione di Style Wars (documentario sui graffiti della metropolitana newyorchese) e cristallizzata dal film Wild Style. Il fenomeno graffiti si diffuse poi su scala mondiale, trovando in Europa un fertile terreno. In Italia si diffuse negli anni ’80, ma già da prima l’influenza americana aveva colpito alcuni artisti nostrani. Sul fenomeno della Street Art e del Graffitismo, esiste un vasto repertorio di mostre, rassegne, libri, film, documentazioni e studi. Proprio a Bologna nel 1982 Francesca Alinovi (insieme a Renato Barilli, Roberto Daolio e Marco Mango) organizza il “Telepazzia”, la prima manifestazione di graffiti in Italia. È la stessa Alinovi a curare la mostra “Arte di frontiera: New York graffiti” (1984), che porta a Bologna writer statunitensi come Futura 2000, Lady Pink, Toxic e molti altri. Il confronto Italia – Usa sul post graffiti proposto, può apparire ambizioso, ma mentre nel momento storico costitutivo della Graffiti e Street Art, gli archetipi e protagonisti statunitensi divennero riferimento per il mondo intero, nel panorama post graffiti, specialmente italiano, si sviluppano linguaggi espressivi originali, mentre i “ trenta quarantenni “ USA ripercorrono forse strade già tracciate, proponendo interessanti opere di “maniera” che sfociano nella persistenza. Questa è una delle chiavi di lettura possibile della collettiva che propone un confronto non esaustivo tra diversi protagonisti dello scenario contemporaneo, financo di cronaca, scelti con assoluta arbitrarietà dagli organizzatori, consapevoli anche di non rappresentare criticamente l’intero panorama significativo, ma quello meritevole e…che ci piace….. Tag Indelebili post graffiti in Italia ed Usa, sarà anche la prima Mostra in Italia completamente leggibile (taggata)tramite i codici QR (Quick Response Code) che sono gli eredi intelligenti del codice a barre. Si tratta concretamente di piccoli quadrati, associati alle singole opere, composti da puntini e linee che a occhio nudo non significano nulla, ma catturati dall’obiettivo di un cellulare collegato ad internet, e provvisto di un software adatto, gratuito e veloce da scaricare, svelano tantissime informazioni sulle opere a cui sono associate e sugli autori. Il valore aggiunto del Qr Code sta proprio nel permettere un passaggio immediato di informazioni in un’ottica “customer friendly”, il che significa con facilità, in tempo reale e gratuitamente. In un contesto di una mostra d’arte dove è prevista una forte affluenza di visitatori, anche internazionali, questo servizio, in modo semplice ed autonomo, offre la possibilità di acquisire informazioni utili ed interessanti, in modalità multilingue.
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Scrivere ovunque Scrivere (L’origine di facebook) di Giovanni Pintori
Com’è ampiamente noto la letteratura sul fenomeno del graffitismo o, per meglio dire del graffiti writing è talmente vasta che risulta difficile aggiungere qualcosa a ciò che è stato fin troppo abbondantemente detto e scritto. Dai primi esempi che collocherei alla fine degli anni sessanta nelle esperienze svolte a Filadelfia e subito dopo a New York è emersa una differenza linguistica piuttosto forte da quella pratica, che ha tutta un’altra storia, che è dei cosiddetti murales. L’uomo, comunque (e ciò va detto), fin dai tempi remoti di Altamira ha sempre sentito la necessità di tracciare segni e storie nelle superfici della terra e trovo suggestiva persino un’attribuzione di graffitismo in senso lato alle diverse esperienze della land art e non solo. Posso quindi in questa occasione, ed in questa mia necessariamente breve testimonianza, ristringere il campo all’epoca in cui questa pratica è stata condotta al punto di divenire diffusa nell’intero pianeta. Gli anni ottanta. Ho incontrato casualmente Francesca Alinovi nella galleria di Ileana Sonnabend nel mitico 420 di West Broadway, erano i primi anni di quel decennio, gli anni di Soho, certamente verso la fine di ottobre quando la grande mela dichiara i suoi programmi, svela i suoi progetti nelle calde sere in cui l’indian summer riscalda la città e noi, allora ahimè giovani artisti non potevamo mancare di esserci. Guardando i muri parlanti di quella irripetibile New York mi ricordo mi colpirono le blak schadol di Richard Ambledon abbandonate come corpi inerti all’est village. Sono sicuro che Francesca sia stata la prima a capire il forte senso artistico del graffitismo. Mi aveva in quell’occasione invitato ad una mostra che stava allestendo in un ex cinema del Bronx e mi parlava con l’entusiasmo che la caratterizzava di un certo One e di un certo Rammellzee poi di Keith Haring del quale peraltro avevo già sentito parlare da John Giorno e che nel corso della sua breve esistenza ho incontrato varie volte alla Kunst messe di Basilea (dove tra uno stand e l’altro cercava di vendere i suoi radiosi quanto
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radioattivi disegni per 100 dollari) e alla biennale di Venezia nel corso di una sua installazione che eseguiva portando sulla spalla sinistra un’enorme radio che diffondeva incessantemente musica rap. Gli altri li ho conosciuti a Bologna in un’indimenticabile mostra che l’Alinovi aveva allestito nella vecchia ma indimenticabile GAM (non credo che l’attuale MAMbo possa, almeno per ora, vantare lo stesso luminoso destino). Insomma, Francesca aveva quella che si chiama “una marcia in più”: allieva di Renato Barilli, ha prima di altri capito che la militanza critica non divide l’arte dalla vita. E di questo credo sia morta. Ricordo l’orgoglio che sprigionava dai suoi sensi quando al museo arrivò il mestichiere con una gigantesca scorta di bombolette spray che illuminò gli occhi increduli dei numerosi graffitisti presenti. A New York da tempo li avevano proibiti e tolti dal mercato. Nel corso degli anni in ogni mio viaggio ho potuto, come tutti noi, vedere lo sviluppo planetario di quest’arte (Inghilterra esclusa. Lì la censura è stata precoce) ma persino in Asia il fenomeno è dilagato. Da parte mia devo ammettere che, come artista, non ho mai sposato questa dimensione che invece mi limitavo ad osservare con attenzione. Il mio limite è sempre stato quello di rifuggire gli aspetti sociologici del fare artistico e nel graffitismo questa dimensione è alla base, sebbene coniugata alla soggettiva presenza dell’individualismo delle tag e delle crew calate e colate come stimmate sui muri del mondo. Un esempio (fra i tanti) italiano di grande efficacia è certamente rappresentato dal lavoro randagio della coppia Cuoghi Corsello i quali nei muri dimenticati delle stazioni hanno insistentemente tracciato segni di papere perplesse di cui lo stesso Luca Beatrice in una sua antica ma efficace recensione ha scritto “ormai il simbolo di Bologna non è più il Nettuno del Giambologna…).
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Graffiti & Post-Graffiti
Fermo immagine su un fenomeno artistico di Christian Omodeo
Fig. 1 - Eadweard Muybridge, Cavallo in movimento, 1878, Washington, Library of Congress, Prints and Photographs Division.
Le fotografie di Eadweard Muybridge rappresentano una delle tappe più conosciute del progressivo affermarsi del fermo immagine nella cultura visiva contemporanea1. Il Cavallo in movimento, una serie di 24 fotografie di un cavallo in corsa scattate nel 1878 (fig. 1), venne realizzata per capire in quale posizione i cavalli si staccavano da terra durante il galoppo. La sua cronofotografia confermò che le loro zampe non erano tutte sollevate da terra nel momento di massima estensione ed obbligò gli artisti a modificare il modo con il quale, fino ad allora, avevano rappresentato la corsa di questi animali (fig. 2). Da Muybridge in poi, lo sguardo contemporaneo ha scoperto e si è abituato alle possibilità offerte dal fermo immagine. L’istante passato è diventato un elemento del momento presente. Deve essere osservato a freddo, valutato e giudicato con oggettività, per porre rimedio agli errori compiuti da ogni uomo nel proprio presente. L’esempio più noto è probabilmente quello degli arbitraggi sportivi che vengono sottoposti al vaglio della moviola, anche quando – come nel calcio – la sentenza sportiva non può comunque essere modificata. Le ragioni del successo dei graffiti sono numerose, ma, tra le tante, vorrei qui concentrarmi sul suo essere un’immagine sfuggente al fermo immagine, perché i graffiti fanno parte dello sfondo visivo che ci accompagna mentre ci spostiamo all’interno di spazi urbani. Una delle possibili chiavi di lettura per capire cosa distingue il graffiti dal post-graffiti è l’analisi di come questo carattere originario si è progressivamente perso. 1
Marta Braun, Eadweard Muybridge, London, Reaction Books, 2010.
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Fig. 2 – Théodore Géricault, Il derby di Epsom, 1821, Parigi, Museo del Louvre.
Nati a ridosso delle arterie di scorrimento negli anni ’70, i graffiti hanno legato per più di un decennio il loro destino agli spostamenti urbani. L’immagine che lasciavano nella retina era ed è rimasta effimera ed imperfetta fino all’apparizione di alcuni libri che, nel tentativo di censire questa produzione, pubblicarono fotografie di vagoni di metropolitane e di facciate di edifici situati in gran parte nelle periferie delle grandi città. Tra questi, Subway Art, pubblicato da Martha Cooper e Henry Chalfant nel 19842, è sicuramente uno dei più importanti (fig. 3). In poco più di dieci anni, dalla metà degli anni ’80 alla fine degli anni ’90, libri come Subway Art hanno rivoluzionato il mondo dei graffiti, mettendo a disposizione dei writers, di ogni dove e di ogni età, dei repertori formali da consultare per conoscere gli stili elaborati in altre città. Inventarsi ed aggiornare il proprio stile richiedeva ormai un passaggio ulteriore. Affidarsi alle impressioni raccolte dal proprio occhio, mentre il vagone della metropolitana passava veloce davanti ai graffiti non era più sufficiente. Uno studio metodico effettuato a partire da immagini statiche doveva ormai essere affiancato a questa prima fase. Pur rimanendo un’arte di strada, il graffiti si stava sedentarizzando. Le conseguenze di questa evoluzione non tardarono a manifestarsi. La possibilità di confrontarsi ad un vasto repertorio figurativo incoraggiò la ricerca di nuove soluzioni formali e di nuovi stili. Al tempo stesso, l’interesse del mercato dell’arte e di alcuni galleristi per il graffiti permise ad alcuni writers di scoprire la superficie della tela e lo studio, dove si poteva dipingere senza fretta, perché non era più necessario finire il pezzo di corsa per evitare di essere arrestati. Nel giro di pochi anni, le tecniche si impreziosirono. Nuovi colori e nuovi tappi per ottenere degli spruzzi di diametro variabile fecero la loro comparsa ed incoraggiarono a loro volta la ricerca di forme e di stili sempre più raffinati. Il fermo immagine fotografico iniziava a dare i suoi frutti anche nel mondo dei graffiti. Oggi, il post graffiti vive e si nutre quasi solo di fermi immagine. Internet è la sua nuova casa dove ogni giorno centinaia di street artists di tutto il mondo pubblicano le fotografie delle loro 2
Martha Cooper – Henry Chalfant, Subway Art, London, Thames and Hudson, New York, Henry Holt, 1984.
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Fig. 3 – La copertina del libro di Martha Cooper e Henry Chalfant, Subway Art.
nuove opere. In questo nuovo contesto, una delle principali novità è la diversificazione degli stili. Forse è anche per questo che si è sentita l’esigenza di chiamarli in modo diverso rispetto al passato. Il termine di post-graffiti fa riferimento ad un bacino formale nel quale sono percepibili dei legami con i graffiti degli anni ’70, ’80 e ’90. Negli ultimi anni molti hanno però ricorso al termine urban art perchè considerano che restituisca meglio i caratteri stilistici della produzione contemporanea. I motivi per i quali oggi più stili e più modi di intendere il graffiti coesistono sono diversi. Da un lato, più generazioni di street artists si trovano per la prima volta a lavorare una a fianco all’altra. Ognuna di esse tende a identificarsi con una propria scala di valori e di forme e questo già in parte spiega il moltiplicarsi degli stili. Dall’altro, i percorsi artistici diventano sempre più ibridi. Si parte dal graffiti per interessarsi alla pittura, alla scultura, al design, all’illustrazione, alla videoarte ed alla calligrafia, ma il graffiti può anche essere il punto di arrivo di un artista che ha seguito un percorso di formazione accademico. Nei fatti, le frontiere di quest’universo creativo sono oggi molto più porose di quelle di un tempo e questo processo facilita l’emergere di nuovi stili e di nuovi modi
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TAG INDELEBILI di intendere il graffiti. Una delle conseguenze di questa tendenza è che, in Europa e più specificatamente in Italia, ispirarsi alle forme del graffiti americano è oggi ancora meno necessario di ieri. Il modello americano non è più l’unico riferimento possibile ed è forse anche questa la ragione per la quale il direttore del MOCA di Los Angeles, Jeffrey Deitch, ha invitato relativamente pochi artisti non-americani alla mostra Art in the streets nel 20113. La street art europea e quella italiana hanno acquisito una propria autonomia ed oggi sono sempre meno assimilabili a quella americana. Se il graffiti nasce e si sviluppa quindi negli Stati Uniti per imporre il proprio modello su scala planetaria, il post-graffiti nasce e si sviluppa in un mondo globale, perché vive e si diffonde via internet. La rete è il luogo dove si cercano nuovi modelli a cui ispirarsi e dove si pubblicano le fotografie dei propri lavori.
Fig. 4 – Una facciata di un palazzo di São Paulo ricoperta di pixação.
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Jeffrey Deitch (dir.), Art in the streets, Los Angeles, Museum Of Contemporary Art, 2011, New York-Los Angeles, Skira-MOCA, 2011.
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TAG INDELEBILI Nelle sue forme attuali, il post-graffiti può quindi essere inteso come il risultato di un processo che, per quasi trent’anni, ha sottomesso il graffiti alle logiche del fermo immagine. Le conseguenze positive di questo fenomeno sono oggi sotto gli occhi di tutti, a partire dalla varietà di forme e di stili del graffiti contemporaneo. Questa diversificazione è stata favorizzata anche dal numero crescente di città dove il graffiti americano è stato modificato ed adattato alle esigenze locali, fino quasi a perdere ogni legame con il modello originario, come nel caso dei pixação brasiliani (fig. 4). Ma è anche in questo contesto dove più epicentri hanno preso il posto del solo epicentro americano che stanno nascendo le prime forme di ribellione all’influenza esercitata dal fermo immagine sul graffiti. Tra i tanti esempi possibili, tre più degli altri meritano di essere menzionati. Il primo concerne la tendenza attuale a sviluppare progetti di georeferenziamento dei graffiti, per permettere a chiunque, dopo averli trovati su internet, di vederli dal vero. Street Art View4, finanziato dalla Red Bull, e Mural Locator5 sono forse gli esempi più conosciuti. Ad oggi, nessuno ha però notato come questi progetti contribuiscano in modo inconscio, ad attenuare gli effetti del fermo immagine sul graffiti, perché permettono a chiunque di andare a vedere l’opera dal vero, senza accontentarsi dell’immagine fissa che campeggia sullo schermo del proprio computer. C’è poi da segnalare il ricorso sempre più frequente al video da parte degli street artists, writers compresi. Se fino a qualche anno fà realizzare un filmato richiedeva videocamere costose, oggi qualsiasi fotocamera permette di ottenere dei video in formato HD, che possono essere uploadati in rete su uno dei tanti siti sui quali è possibile stoccare a costo zero questo tipo di materiali. Una delle principali conseguenze di questo fenomeno è la metamorfosi del graffiti in una sorta di performance. Quello che importa è esclusivamente l’operazione stessa di realizzazione del graffiti che, filmata e montata, viene messa in rete. Anche in questo caso, ci troviamo di fronte all’abbandono di un’unica immagine statica a favore di un flusso ininterrotto di immagini. Infine, merita di essere notato il rafforzarsi di una tendenza che mira alla disgregazione dell’universo formale dei graffiti. Lo svedese NUG6 (fig. 5) ed il francese Kidult7 (fig. 6), sono forse tra i rappresentanti più conosciuti di questo nuovo filone che si pone al di fuori di ogni genere e sottogenere con il solo ed apparente scopo di riportare il graffiti al suo grado zero. Ancora una volta, è possibile riconoscere nel rifiuto della scelta di uno dei tanti stili del post-graffiti una sorta di malessere rispetto al controllo che il fermo immagine esercita su questa forma di arte. Di fronte all’abbondanza di forme, si opta per una non-forma, come per ricordare che quel che conta in arte sono anche i contenuti e non solo la qualità dell’apparato che riveste questi ultimi.
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<http://streetartview.com>. <http://murallocator.org>. NUG, The concept is fuck you, yes you, 2011, <http://vimeo.com/25881419W>. Kidult, Illegal world, 2011, <http://vimeo.com/29159202>.
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Fig. 5 – L’intervento di NUG al Fame Festival di Grottaglie, giugno-luglio 2011.
Fig.6 – L’attacco di Kidult al negozio di Agnès B a Parigi nel febbraio 2011.
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PostGraffiti di Valeria Petrini
Il XXI secolo, un'epoca della continua evoluzione e movimento, è caratterizzato da una moltitudine di scene urbane che dialogano tra loro, a volte non comprendendosi, stridendo in giardini cementizi popolati da un'incredibile fauna multi-culturale. Alla base della modernità vi è una crescita tecnologica accompagnata dallo sviluppo dell'industria e dal capitalismo; elementi associati normalmente a fattori come il disagio psicologico e il mutamento sociale. Nella post-modernità, oltre al fenomeno della globalizzazione, stiamo assistendo anche a quello del degrado urbano che porta con sé le tracce della rivoluzione industriale. Si tratta di un processo mediante il quale una parte, o addirittura un’intera città, cade in uno stato di rovina. Durante il corso di vita di un centro abitato, alcuni eventi fanno in modo che diverse sue zone restino abbandonate, sotto gli occhi noncuranti delle istituzioni, le quali non provvedono a fornire un’adeguata manutenzione delle strutture di queste aree, lasciandole andare alla deriva. Sulle spoglie delle superfici verticali, i muri che disvelano spesse volte la materia che li edifica, prendono forma espressioni culturali di un disagio, che sono lo specchio di una civiltà viva e brulicante. Tra queste possiamo distinguere principalmente due movimenti artistici, entrambi espressione di un malessere sociale: la Street Art e la Graffiti Art (detta anche "Post-Graffiti Art"). Queste, anche se
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TAG INDELEBILI aventi origini differenti, dialogano e si fondono spesso tra loro. “Street Art" è la definizione comunemente utilizzata per inquadrare tutte le manifestazioni artistiche compiute in spazi pubblici, si riferisce ad un tipo di arte alternativa, opposta alle iniziative sponsorizzare dal governo. Il concetto è facilmente riconducibile all'idea di performance nata negli anni settanta, con l'aggiunta del tentativo di proporre un'opera duratura, che non sia ufficiale né richiesta. Sorge come un piccolo movimento underground iniziato nel 1980, fu una risposta alla percepita sottrazione dello spazio pubblico da parte degli interessi commerciali, all’avvertita banalità di molti pezzi d’arte autorizzati al pubblico e alla mancanza di opportunità, per gli artisti, di ottenere le autorizzazioni nell' organizzare esposizioni. Le motivazioni e gli obiettivi che guidano questi artisti sono così vari quanto le loro personalità. Esiste una forte corrente attivista e sovversiva nell’arte urbana, potente piattaforma per il raggiungimento del pubblico. Alcuni si occupano di esteriorizzare tematiche di critica spesso riguardanti abusi, soprusi e altri problemi culturali, l’abolizione della proprietà privata e la bonificazione delle strade; altri più semplicemente vedono le città come luogo di sperimentazione, in modo da essere apprezzati attraverso i cambiamenti e i rischi associati alle istallazioni illecite dei loro lavori. In tutti i casi, il tema universale che accomuna tutta la Street Art è quello di adattare le opere prodotte ad una forma che utilizza lo spazio collettivo, permettendo agli artisti che si sentono privi della libertà di espressione, di raggiungere un pubblico molto più vasto rispetto a quello di una tradizionale galleria d’arte. Nella sua essenza, connota una decentralizzazione, una forma democratica di accesso universale e il controllo reale sui messaggi di produzione sociale. È un barometro che registra lo spettro di pensiero, creando una storia all’interno delle diverse comunità. Aiuta così a capire i conflitti tra lo stato e la società, diventando un mezzo per analizzare e descrivere l’evoluzione culturale di un Paese. Il suo obiettivo è quello di mettere in evidenza un’idea attraverso immagini di “impatto”. Per questo motivo i lavori sono studiati per semplificarne la comunicazione, sintetizzando idee attraverso precisi messaggi. A tal fine, l’uso di slogan o cartoon realistici, è spesso impiegato per facilitare la comprensione del pubblico. I temi di natura politica, sociale, economica o culturale, sono adattati per riflettere i problemi o illustrare le caratteristiche appartenenti ad un contesto specifico.
Per "Post-Graffiti Art" si intende tutte quelle forme d'arte di strada che rappresentano l'evoluzione del "Graffitismo", basate sull'uso di lettere stilizzate e di tecniche simili a quelle della grafica e della tipografia. La sua storia risale al "Writing" Americano degli anni '60 e '70 nato per mano di artisti quali Taki183, Julio204, Cat161 e Cornbread, i quali iniziarono a dipingere i loro nomi sui muri o all’interno della
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TAG INDELEBILI metropolitana. L’unico obiettivo dei primi writers era di acquistare popolarità. Quelli da loro dipinti non erano mai nomi di battesimo, ma quasi sempre soprannomi (nomi d’arte), seguiti dal numero della strada. Era nato il fenomeno delle Tags, ovvero l'utilizzare un nome in codice da parte di writers, mc (rapper) e breakers, per distinguersi tra loro. Il 21 luglio del 1971 si assistette alla prima apparizione dei graffiti sulla scena dei media: il New York Times pubblicò un articolo intitolato “Taki183 spawns pen pals” (Taki183 genera compagni di penna). L’articolo produsse subito effetti evidenti e dopo brevissimo tempo il numero dei writers raddoppiò. Gli anni '70 furono caratterizzati dall'evoluzione di differenti stili, mediante i quali le semplici tag crescevano di dimensioni, e dall’invenzione di nuove forme e tecniche per acquisire maggiore visibilità e originalità. In questo periodo si realizzò una saldatura sempre più stretta tra il graffitismo e la cultura urbana dell’Hip-Hop. A partire dal 1972 la municipalità di New York propose le sue prime iniziative anti graffiti con una campagna di pulitura massiccia di tutti i vagoni della metropolitana, scatenando una vera e propria lotta contro questo fenomeno, tutt'oggi non conclusa. Ma il gusto del rischio di un eventuale scontro con le autorità non fu altro che un ulteriore stimolo per alimentare le scritte illegali. Parallelamente emersero i primi tentativi di considerare i graffiti come fenomeno strettamente artistico. Hugo Martinez, uno specialista di sociologia del City College di New York, attratto dalla novità del linguaggio del writing, contattò alcuni artisti, e assieme a loro fondò la “United Graffiti Artist” (UGA), con lo scopo di incanalare l’arte di strada in uno studio. Il New York Times pubblicò numerosi articoli stendendo una lista: la “Graffiti Hit Parade” con le foto dei masterpieces ritenuti più raffinati e più belli. Nel 1974 venne pubblicato il volume “The Faith of Graffiti”, con fotografie a colori e un testo di Norman Mailer, che fu tra i primi a mettere in luce il carattere profondamente sovversivo, dal punto di vista culturale, del fenomeno. Il fenomeno del Graffiti Writing contribuì a creare un'identità comune in questi giovani che vedevano la città come spazio di vita e allo stesso tempo di espressione. Il riflesso di questa cultura "urbana" ha generato oggi un imponente fenomeno commerciale e sociale, rivoluzionando il mondo della musica, della danza, dell'abbigliamento e del design. Alla fine degli anni '70 iniziarono a farsi luce personalità come Keith Haring e Jean-Michel Basquiat che entrarono a far parte a pieno titolo del circuito dell’arte internazionale. In particolare, Jean-Michel Basquiat, assieme al suo amico graffitista, Al Diaz, aveva iniziato a tracciare i suoi strani, bizzarri e spiazzanti aforismi, siglati con la criptica firma SAMO, che si diceva
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TAG INDELEBILI volesse dire “Same Old Shit” (sempre la solita merda). Keith Haring ne era un fan perché, proprio come lui, Samo usava i muri della città per esprimersi senza per questo avere null’altro in comune con i graffitisti. Si stava assistendo per la prima volta alla nascita di un “graffito letterario”, attraverso il quale Basquiat esprimeva aforismi, frasi spiazzanti e intrecci densi di segni e simboli. Era il segno di un mutamento in atto nella prassi di alcuni artisti di strada; la radicalità ideologica cominciò a essere contaminata da elementi post-pop, da citazioni, da continui e ripetuti richiami ad altri linguaggi e ad altre forme culturali. Durante gli anni ’90 il graffitismo dopo essere sbarcato in Europa si divulgò velocemente negli altri continenti, grazie anche all’influenza di nuove culture quali lo skateboarding e il punk, diffondendosi sempre di più e diventando un fenomeno di massa. I writer che scelgono di esprimersi per lo più in spazi a loro dedicati, attraverso la scelta consapevole e responsabile del supporto per la pittura, si distinguono da quelli che intervengono anche su edifici di interesse storico e artistico. “Il vandalo è colui che imbratta senza sapere ciò che sta facendo... Il writer è un vandalo con creatività, gusto estetico, rispetto per l'arte e consapevolezza di ciò che sta facendo.”(Eron) Il Writing, esploso ormai a livello mondiale, si evolse in forme stilisticamente sempre più raffinate e diventò presto terreno di conquista per le grandi major della moda e della pubblicità, per i manager commerciali e per il mondo della grafica e del design. Il suo linguaggio diventò così parte integrante dell’estetica diffusa del post-modernismo. Oggi quindi numerosi personaggi, integrati nel sistema convenzionale del mercato dell'arte, traggono il loro valore da esperienze precedenti spesso formalmente illegali.
Il Post-Graffiti è l'evoluzione del Writing. Esso utilizza le tecniche abituali dei graffiti, mischiate a nuovi stili di creazione, e allo stesso tempo si serve dell' esperienza sperimentale della Street Art, dell'arte murale, della grafica e della tipografia per sviluppare nuove tendenze. Questa corrente artistica è molto vasta e raggruppa innumerevoli stili che vanno dal semplice spray bombing alla realizzazione di opere più complesse nello stile e nella forma. Tra i suoi protagonisti possiamo distinguere personalità come quelle di Daniele Falanga, Flick Yoli, il gruppo SOSIC Soho Street Ink, KayOne, LA2 Little Angel Ortiz, Mambo, Rae Martini, Filippo Minelli, Mr. Wany, Paul Kostabi, TMNK Nobody, Unikprodukt e Verbo.
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Valeria Petrini
Valeria Petrini nasce a S. Giovanni Rotondo nel 1985 e vive a Foggia fino all'età di diciannove anni. Terminato il liceo scientifico si trasferisce a Roma ottenendo la laurea triennale in Disegno Industriale nel 2008. Si reca quindi a Venezia per frequentare il corso di laurea specialistica in Design, Comunicazioni Visive e Multimediali allo IUAV. Da sempre amante di viaggi, nuove esperienze e confronti, nel 2009 trascorre nove mesi in erasmus all'Accademia delle Belle Arti di Nantes. Ottiene la laurea magistrale nel 2010. Nel 2006 riceve una menzione speciale 4° posto al concorso internazionale "Metro dopo Metro" per la progettazione di una banchina della metro, in collaborazione con Paola Schiattarella. Nel 2009 realizza, con l'aiuto di Andrea Mattiello, una proiezione video di interpretazione sulle tavole futuriste all'entrata della 53° mostra d'Arte Biennale Futurista a Venezia. Nel 2010 si occupa del restyling e della creazione del sito de Comité des oeuvres sociales C.O.S. (Comunità delle Opere Sociali) della città di Nantes. Alla fine dello stesso anno sviluppa una ricerca sul fenomeno della Street Art e del Graffiti Writing, accompagnata da un reportage di foto effettuato tra le strade di Roma, Venezia, Milano, Nantes e Parigi. All'inizio del 2011 si trasferisce a Parigi, dove collabora saltuariamente con una casa discografica, partecipa ad un'esposizione di Street Art e si dedica alla realizzazione di video per un'emissione televisiva prodotta da Canal+ in collaborazione con la giornalista Hayley Edmonds. Ha come interessi principali: lo sviluppo delle campagne di comunicazione visiva sia sociale che non convenzionale; la realizzazione di video; lo studio di spazi allestitivi degli eventi e il relativo impatto sullo spettatore; il disegno e la fotografia.
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COSA SCRIVI? di Jacob Kimvall
“Ti ho visto lavorare qui intorno e voglio solo scoprire quello che stai filmando”. “Stiamo facendo un film sui graffiti della metropolitana di New York”.
come a voler allungare l’orecchio verso l’altro, come se non avesse sentito abbastanza: “Cos’è?” “S-E-E-N”. “È il suo nome?”. “Sì, è quello che scrive”. L’uomo a porre questa domanda è esile e di pel- “O è un nom de plume?”. le chiara. I suoi capelli bianchi, che tendono a “Sì, è un nom de plume”. diradarsi su di un’ampia fronte, sono separati da “Vedo”. una riga ben marcata. Una canottiera si intravede sotto la maglietta bianca e porta una cravatta rossa annodata in modo impeccabile. È anziano, ma trasmette un’energia vitale, ed i suoi occhi, dietro a degli occhiali marroni di corno, interrogano il passante con uno sguardo per nulla spiacevole o minaccioso. “Perchè hai scelto queFoto 1: Seen davanti ad una sua opera esposta alla mostra Seen City a Parigi nel 2007
sto quartiere particolare?“ chiede, guardando prima a destra e poi a sinistra, prima di continuare: “Cosa c’è di particolare? Ci sono più graffiti qui che in altri luoghi. Spero di no...”. “Siamo qui perchè uno dei più bravi writers di graffiti abita in questa zona. Lui scrive Seen.” L’uomo comincia piegando leggermente la testa,
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L’uomo annuisce leggermente, sposta la testa a destra e distoglie lo sguardo sembrando, allo stesso tempo, soddisfatto e pensieroso, poi si gira di nuovo.
TAG INDELEBILI maggiore libertà artistica ed evitare di confrontarsi con le severe restrizione sessuali in vigore, col rischio di essere valutate secondo standard meno elevati. Più una società è repressiva, tanto più è probabile che i suoi artisti ricorrano ad uno pseudonimo. A volte, questo stratagemma si limita al Foto 2: La copertina del DVD di Style Wars riedito nel 2003
“Non mi vorresti dire il suo vero nome?” “No” “Perchè no? Perchè avrebbe dei guai o perchè ne sarebbe esaltato?” La scena appena descritta è uno dei momenti chiave del film documentario del 1982 Style Wars1. È una presentazione efficace e magistrale di uno dei personaggi principali del film, Seen, il writer del Bronx e, molto probabilmente, è stata filmata per caso durante le riprese. La scena si riferisce a due aspetti importanti ed al tempo stesso complessi del graffitismo. Prima di tutto quello del tag come pseudonimo, o “nom de plume”, per usare l’espressione che impiega l’anziano ben educato e con le idee chiare. L’espressione deriva dal francese. Letteralmente significa “nome di penna” ed indica un autore che cela la propria identità dietro ad un nome costruito. È un nome che rappresenta solo la penna che scrive il testo. Le ragioni per cui i writers usano noms de plume sono varie: artistiche, commerciali, correlate alla carriera e così via. Durante l’800, molte scrittrici polemiste (in inglese il termine usato è writers) pubblicarono libelli firmandosi con nomi maschili per proteggere la loro reputazione. Volevano ottenere
vano tentativo di mantenere segreta la propria identità. Stendhal è il più famoso di molti noms de plume usati dall’autore francesce Marie-Henri Beyle (1783-1842). Si dice che l’unica autorità ad avere una vera visione d’insieme degli scritti di Beyle, al momento della sua morte, fosse la polizia che, assiduamente e con un forte senso dello stile letterario, gestiva un registro di tutte le sue opere pubblicate con tutti gli pseudonomi da lui utilizzati. Che il writer lavori sotto falso nome può sembrare una cosa evidente, qualcosa di così ovvio da non dover necessariamente esplicitare. Da quando la maggior parte dei writers hanno scelto o sono stati costretti a lavorare illegalmente è, se non altro, una semplice questione di necessità. Tuttavia, il nome di un writer è qualcosa di di-
1 Style Wars può essere visto online all’indirizzo <http://vimeo. com/941073>.
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Foto 3: Martha Cooper, Dondi. Children of the Grave Part 3
verso da un nom de plume. Il tag (nel senso di alter ego o del nome del writer) è il motivo più ricorrente nelle tre espressioni del graffitismo: tags (nel senso di scrittura calligrafica di parole), throw-ups e quadri. È questo il secondo aspetto che diventa evidente nel dialogo tratto da Style Wars riportato più sopra. Il regista non dice che il nome di Seen è Seen, ma che lui scrive Seen. Lo ripete anche una seconda volta, quando l’anziano chiede se sia il suo vero nome. Sì, è quello che scrive, è la risposta. Un writer è quello che scrive. Oggi, venti anni dopo, ricordo ancora la mia confusione quando mi chiesero per la prima volta: cosa scrivi? Mi domandavo cosa intendevano quando mi chiedevano qual’era il mio tag. I due ragazzi più grandi che mi avevano fatto questa domanda mi guardavano con indulgenza. Sapevo che qualcosa non andava, ma avrei capito solo dopo che mi ero rivelato come un ragazzino piuttosto ingenuo. “Cosa scrivi?” è una domanda importante, ma anche una di quelle alle quali non si risponde
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in maniera tradizionale. È una questione di fiducia e, pertanto, richiede discrezione. Ho imparato in fretta a non andare in giro a chiedere a chiunque e senza remore quello che scrive. Si tratta di qualcosa di delicato nel rapporto fra due writers. È meglio ”incontrarsi” con un cenno del capo per riconoscersi o per segnalare il proprio apprezzamento, piuttosto che chiedere ”Cosa scrivi?”. Perché il tag, il nom de plume del writer, non è né uno pseudonimo né un qualcosa di proprietà, ma una via di mezzo. Si tratta di qualcosa a metà tra il si è e il si possiede. Di conseguenza, è un po’ entrambe le cose, ma è soprattutto qualcosa che si fa: ”Questo è il suo nome?”. ”Sì, questo è quello che scrivo”. Il termine writer di graffiti
TAG INDELEBILI (o solo writer) denota che scrivere non ha a che fare solo con l’identità del singolo, ma si intreccia anche con quella di un gruppo di artisti. Durante l’adolescenza, uno dei miei grandi idoli era il writer Dondi. Era in Style Wars, e morì nel 1998 a soli 37 anni. Il suo nome era Donald Joseph White, ma diventerà noto al mondo come Dondi. Era Dondi perché scriveva Dondi. Come molti altri writers alternava diversi tags. Come nel caso di Stendhal, lo pseudonimo che ancora oggi identifica questo scrittore. Se si volessero riassumere i diversi tags di Dondi, sarebbe più o meno così: Dondi si è firmato anche come Naco e Bus 129 e, per un po’, come Asia. Oltre a questi, ne ha utilizzati un’altra dozzina, che sono qualcosa a metà tra temi e nomi. Nom de guerre, un nome di battaglia o il nome di un soldato, è un termine strettamente legato a nom de plume. Yasser Arafat, Che Guevara e Pancho Villa sono tutti comunemente noms de guerre – e letteralmente sono tutti nomi di soldati. Ma c’è una tradizione ulteriore in cui il termine ha un significato più vicino a ciò che sto cercan-
do. L’undicesimo volume dell’enciclopedia svedese Nordisk Familjebok (pubblicata nel 1887) lo definisce come: ”Il nome assunto occasionalmente ed al posto del proprio da un artista drammatico o lirico per presentarsi al pubblico”. In questa definizione, riconosco in parte la mia esperienza dei tags. Forse lo pseudonimo del writer è in una terra di nessuno tra arti visive, poesia e recitazione. Il writer è quello che scrive, e quello che scrive è spesso sia la performance che il nome con cui appare di fronte al pubblico. È allo stesso tempo un gioco di identità ed un progetto artistico. Il nom de plume del writer non è quindi solo un tentativo di celare l’identità di qualcuno ma una strategia artisticamente produttiva, un concetto implicito ma inespresso e quasi inconscio che crea significato e contenuto nell’arte dei graffiti. Questo è il suo nome perchè è ciò che scrive.
Questo testo è la traduzione italiana di un articolo in lingua inglese pubblicato nel libro di Torkel Sjöstrand, 1207 (Dokument Press, 2007).
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TAG indelebili: post-graffiti in Italia ed USA di Luca Sforzini
Era il dicembre 1983 quando la Sidney Janis Gallery tenne a New York la sua POSTGRAFFITI Exhibit (con opere di Haring, Basquiat, Crash, Lady Pink ed altri). Janis mise l’accento sulla valenza artistica del movimento, ponendo quindi in secondo piano gli “effetti collaterali” tacciati di vandalismo; la critica Grace Glueck sul New York Times vi rilevò l’annuncio della morte dei Graffiti nel passaggio dai muri e dai treni della Metro alla tela ed alle pareti d’una Galleria. Parliamo di ormai 30 anni fa. 30 anni di sopravvivenza, per un soggetto dichiarato cadavere, mi paiono un bel segnale di vitalità. Il graffitismo se n’è fatto quindi un baffo del prefisso POST affibbiatogli a New York nel 1983; penso si farà un baffo anche dell’analogo prefisso appioppatogli ora dagli amici del Circolo Artistico di Bologna. Sempre fertile e vitale, il graffitismo - in tutte le sue declinazioni di Street Art - si è già rigenerato molte volte : ad esempio attorno agli anni ’90 quando, partito dai vagoni della Metro e dai muri, cominciò a colonizzare anche cabine del telefono, cassette postali, cartelli stradali. Il nuovo millennio offre ora al movimento il supporto del web : un grande moltiplicatore e al tempo stesso un grande generatore di confusione. Mi spiego : internet è per il graffitismo il muro globale, il vagone della metro globale, la visibilità immediata, mondiale, ed a rischio zero, o quasi. Aggiunge in audience ciò che toglie in ispira-
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zione e forza creativa generata dall’adrenalina del gesto proibito ai confini della legalità (esperienza comune a tutti i graffitisti doc). Il web tuttavia è anche un grande livellatore, che toglie ogni barriera d’ingresso : vien meno l’essenziale selezione naturale, personale ed artistica, data dalla “palestra” di strada – chiunque può postare su youtube, su facebook, su ebay, su myspace, qualunque cosa dal capolavoro al più dilettantesco scarabocchio. Il leggendario Tracy168 può aver la stessa visibilità di chi ha impugnato la prima bomboletta ieri : e quanti ce ne sono … L’occhio vergine dell’osservatore può così andare facilmente in tilt da overdose di immagini e suggestioni. L’occhio allenato ne trae invece conferma che non ci troviamo di fronte ad un fenomeno storicamente compiuto : è un processo in pieno divenire, in cui alcuni writers della prima ora, passata la soglia dei 40 anni o anche dei 50, si rivelano
TAG INDELEBILI a volte più vitali, frizzanti e creativi degli attuali ragazzi della loro età quand’erano agli esordi. Così succede che RD357 disegni Cope2 su una cartina della Metro di New York con l’ombra di un topo dietro di sé – orrendo sfregio nel codice dei writers, e Cope2 replichi volantinando in metropolitana caricature di RD357 con la parrucca bionda : il tutto condito di irripetibili improperi e minacce postati sul web, a cui concorrono vari protagonisti della Street Art divisi in opposte tifoserie. Ma quale “post”? Due ragazzoni del 1968, uno bianco l’altro nero, che non si “annusano” da sempre, da sempre in “squadre” rivali, e che tutt’ora se le “suonano” di santa ragione regalandoci pagine di Street Art piena, pura, vivacissima. È cronaca di queste ultime settimane: ne è nata la “Cope2/RD357 Hate Collection” che prossimamente esporrò al pubblico. Ma veniamo alla seconda suggestione suggerita dagli amici del Circolo Artistico di Bologna : il confronto USA/Italia. Segui la voglia di emergere autentica, cerca la “fame”, e troverai l’Arte. È una regola, con rare eccezioni, sempre valida – ma ancor più valida per la Street Art. I graffiti sono Arte da outsiders, che si “vendica” rendendo outsider di quell’Arte chi ha il sedere troppo al caldo : è una nemesi storico/artistica. Mi chiedo : quanta “fame” c’è in Italia? Quanta, se comparata a quella che ancora troviamo negli USA, ma anche in Africa, in Iran, nei Paesi toccati dalla cosiddetta “Primavera araba”? È una domanda a cui non voglio, per ora, dar risposta. Mi piace concludere con le parole di M. Maeterlinck : "Strano come, appena pronunciata, una cosa perde il suo valore. Crediamo d’essere scesi sul fondo dell’abisso, ma
quando risaliamo, le gocce rimaste sulle pallide punte delle nostre dita, non hanno più nulla del mare da cui provengono. Crediamo d’aver scoperto una fossa piena di tesori meravigliosi, ma, quando risaliamo alla luce, ci accorgiamo di avere con noi solo pietre false e frammenti di vetro. Nella tenebra intanto, il tesoro continua a brillare, inalterato". A quel tesoro che continua a brillare inalterato negli sketchbooks di migliaia di ragazzi, e di uomini, in giro per il Mondo, la sfida, l’opportunità unica nella vita di un Gallerista, e di un appassionato d’arte prima ancora, è poter contribuire a trovare la giusta collocazione - che ancora non è data incontestabilmente. Sia essa negli album di foto ingiallite nel cassetto d’una casa di New York, o in un malinconico post su twitter, o alle pareti d’un Museo. Le meritano molti più di quanti già vi siano.
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Writing 2011 di Marco Corallo
Ci sono decine di definizioni di writing e dei suoi attori, i writer, che si sono sviluppate nel corso dell’ ultimo ventennio, da quando il writing ha fatto la sua comparsa sulla scena italiana recuperando tutto il sapore di libertà e di New York che questa forma espressiva porta con se. Ho conosciuto il writing circa 15 anni fa, quando alcuni amici mi hanno coinvolto nelle loro performance che, ai tempi, erano molto lontane dall’essere quello che oggi è un vero e proprio mondo delineato da regole flessibili e spazi che sono occupabili da chiunque. È questo il fascino che il writing esercita sui ragazzi, giovani e non: è un’arte accessibile e immediata, con le caratteristiche per trasformare un semplice muro in un campione di espressione e di significati, che spesso sono oscuri ai più. Per questo, nel ventennio passato, il writing è stato al centro di discussioni variegate: arte o vandalismo? Movimento politico o subculture di postmillenio? Qualunque sia la definizione che si vuole accogliere e qualsiasi sia il modo in cui si vuole approcciare questa forma espressiva, quello che è certo è che è stata ed è oggi fortemente transazionale
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TAG INDELEBILI al mondo mainstream dal quale prende e a cui dà valore. Il writing passa da un primo status di vandalismo puro e semplice a mezzo con cui una subcultura giovanile in crescita e forte fermento si esprime. Presto invade, attraverso il rap e la breakdance, il mondo reale, legale, il mondo riconosciuto da tutti come quello in cui le cose si fanno così, o non si fanno. Ma il writing spezza questa dicotomia attraverso personaggi controversi che nascono con il movimento, lo trascinano e presto passano al jet set, al mondo dove si fa la grana vera. Il mondo rifiutato e denigrato fino a poco prima ora viene accolto, cantato, dipinto a gran voce dalla cultura che si muove. Le major si fanno furbe, capiscono il potenziale del movimento e iniziano a servirsene a “man bassa”, i comuni organizzano mostre, concedono spazi, pubblicizzano jam in centri sociali che sembrano sempre più spesso discoteche. I ragazzi ci stanno, cedono, passano dall’altra parte della staccionata e cominciano a produrre per tutto quello che chiamavano sbagliato, si firmano scarpe multinazionali, si cede la TAG alla tv. Il writing sembra essere assorbito in un sistema nuovo che lo vuole cambiare, educare, dividere. Ma è a questo punto che succede quello che pochi si immaginavano, arriva la nuova scuola; rabbiosa, violenta, decisa a prendere solo la faccia della medaglia che torna utile. La nuova scuola “spacca di brutto” dicono i ragazzi che ne fanno parte…la vecchia scuola “era stilosa” dicono i writer ormai sulla quarantina, ma nel frattempo i ragazzi si sono fatti furbi, hanno capito che si può cavalcare l’onda, va solo cambiata la tavola. Ed ecco arrivare i rapper commerciali, non migliori o peggiori di quelli dei primi anni 90, solo diversi. Sembrano privi di ideali, ma hanno capito il trucco e ci stanno navigando sopra, dentro, attorno. Usano la società ufficiale che li vuole usare, se ne impadroniscono nei pezzi, sui muri, nella frattura netta fra una vecchia scuola che voleva uscire dal ghetto attraverso masterpiece lontani dalle tag e una nuova scuola che invece fa delle tag, colate, droppate, lunghe, enormi, il suo punto di forza. Migliora la visione, migliora la tecnica, il mainstream c’è dentro fino al collo e allora butta grana sui ragazzi, che la prendono volentieri: aprono le loro aziende di bombolette, di marker, c’è chi si fa la galleria d’arte, chi diventa il calligrafo snob stiloso che però ha le radici nel writing, e non dimentica di farlo vedere. E dove finisce il writing di New York anni 80? Dove finisce l’Athena del nostro movimento? E anche qui l’intelligenza di questo movimento; diventa icona, meta, la Mecca dove andare per cogliere ispirazione, per trovare le radici. Si scelgono le icone, si definiscono i simboli, si continua a discutere sul vero valore del writing, ma una cosa è certa, ormai il movimento ha fatto quello che voleva fare all’inizio con la prima tag scritta sui muri della Mela: è diventato indelebile!
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First Contact di MaxieMillion
Quando entrai in contatto con la street art non era ancora quella che conoscete voi ora. Il mio viaggio nel tempo (nel quale vi invito a fare un giro per accompagnarmi), parte all’incirca 25 anni fa. C’era dell’arte e veniva utilizzata in strada, ma nessuna opera era esclusiva: tutti potevano permettersene una, anche se erano di reperibilità limitata. Sto parlando di tavole da skateboard. Dimenticate il web e la massima accessibilità di cui godete ora che fa si che possiate portarvi a casa un pezzo di California nell’arco di tempo di 15 giorni. Dimenticate X Games, Street League e qualsiasi trasmissione televisiva o film che promuova lo skate: all’epoca non ce n’erano. Passaparola, circuiti alternativi, fanzines e passione erano alla base della mia ricerca. L’energia e la creatività legate a quella tavola con 4 ruote mi avevano conquistato e condotto per mano verso mondi sconosciuti ai più i cui codici comportamentali, le movenze e gli appartenenti a tali mondi non rientravano in nessuna realtà preesistente. Ero affascinato ed incuriosito da come lo skater prendesse spunto dal punk, lo remixasse con una tenuta sportiva e volesse aggiungere allegria e colore, come se la sua esistenza rischiasse di passare inosservata. Le riviste americane di settore circolavano a casa mia tramite abbonamenti fatti con fotocopie del versamento del vaglia internazionale. La voglia di decifrare i contenuti sempre di più e di capire il 100% di quello che leggevo era ormai diventata una vera e propria febbre. Come me centinaia di migliaia di kids intorno al globo, si fecero sedurre da questa fantastica
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cultura basata su libertà, creatività e ribellione, dove sport, immagine e attitudine si fondono in un equilibrio naturale le cui percentuali stava ad ogni singolo skater decidere. Le tavole ci affascinavano per i loro disegni, non eravamo ancora in grado di capirne le differenze. Eravamo tutti fans di Santa Cruz le cui grafiche, a cura di quell’hippie di Jim Phillips, ci conquistavano. Per non parlare del suo più grande capolavoro: il marchio Independent. Un po’ per il fascino del termine in sè, un po’ per il potere della controversia di una croce di ferro che esprimesse libertà in skate, avere una tee shirt o un patch Independent rappresentava all’epoca come una medaglia al merito. I più legati a musicalità quali il punk e il metal non potevano non sentirsi attratti da Pushead, conosciuto anche come Ben Schroeder. Cantante dei Septic Death, oltre che skater, aveva la direzione artistica del brand Zorlac e aveva prodotto dei soggetti di tee shirt per il magazine di San Francisco manifesto del movimento: Thrasher. Disegni crudi e aggressivi, dove i teschi erano onnipresenti e la facevano da protagonisti erano il suo modus operandi. Finì col disegnare anche delle copertine per i dischi dei Metallica ed ottenne così la fama mondiale che gli è dovuta. All’opposto della sua produzione c’era Vernon Courtland Johnson, detto in arte VCJ. I suoi teschi non erano affatto aggressivi
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ma piuttosto epici o gloriosi, volutamente più puliti e perbenisti. Il mondo dello skate gli è comunque largamente riconoscente per le grafiche più classiche e famose di questo settore: quelle delle prime tavole Powell Peralta. L’impatto grafico delle tavole e la voglia di ogni skater di urlare al mondo la sua passione fece si che il passaggio di tali simboli e di soggetti dalla tavola alla t shirt e alla felpa fosse praticamente immediato. Lo skate sopravvisse ad alti e bassi, trend di ogni tipo, stravolgimenti ed evoluzioni dell’hardware fino ad oggi. Passarono gli anni, i lustri e i decenni e la cosa venne completamente sradicata dalle sue origini. Non sta a me dire se è meglio o peggio ora ma è sostanzialmente diversa. Molto diversa. Tre negozi in ogni città almeno vendono skateboards e abbigliamento, le Vans si trovano in ogni negozio di scarpe sportive e puoi vedere su Youtube in tempo reale, quello che è stato reso noto alla scena dalla skate community mondiale.
È proprio parlando ieri con Verbo che è emerso il fatto che a suo giudizio gran parte della street art oggi deve anche ringraziare tutto questo. È un dato di fatto che street artist quali Jeremy Fish hanno prodotto più di una tavola da skate. O che Shepard Fairey di Obey includa spesso e volentieri delle tematiche inerenti lo skate nei suoi soggetti di t shirt. E ancora che Mark Gonzales, il pioniere del fenomeno dello street skate, sia un quotato artista contesissimo dai galleristi di New York e di Los Angeles. Oppure Cope 2 che ha prestato la sua mano per alcune grafiche di Superior skateboard. Eric Haze ha collaborato di recente per una serie di prodotti commercializzati dal brand di Huf. In questo delicato equilibrio di nomi, artisti, old school e produzione di streetwear, il mio blog si propone in modo divertente di fare luce e di dare delle chiavi d’accesso di meccanismi che potrebbero risultare oscuri ed incomprensibili ai più. Recensioni di t-shirts, cappelli, scarpe, ma anche stampe, coffee table books, cover di iPhone e report di eventi si susseguono ad un ritmo che viene apprezzato per la sua casualità ed il suo tono leggero che se uniti al sapere, non possono che risultare graditi. Salite a fare un giro qui ora? www.themaxiemillion.com
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...allâ&#x20AC;&#x2122;inizio era... ...at the BEGINNING IT was...
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Il muro, si sa, attira la scrittura: non un muro, in città, esente da graffiti. In un certo modo è il supporto stesso che sprigiona un’energia di scrittura, è lui che scrive e quella scrittura mi riguarda: nulla appare più voyeur di un muro scritto, perché nulla è osservato, letto con maggiore intensità. Nessuno ha scritto sul muro – e tutti lo leggono. Roland Barthes, “ Il piacere del testo”
I still never called myself a graffiti writer although I use spray paint and I legally (and illegally) paint all over the city (soon to paint over 100 gates in NYC, legally). I make paintings with spray paint and I think I have a lot to offer to the graffiti world. Kenny Sharf
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TAG INDELEBILI The trains down there are a large book, and while you write the pages, while the formations are placed on the train, wagons pages are tossed around. The book is scattered and redispersed as a game of dice. The letters have armed themselves while scattered along the ... path. And the company continued to play this great game to disperse by breaking the sequence numbers of the cars. When you put two cars together you get a sentence ion. And these words began to make sense. Rammellzee, “Un paese all’avanguardia”
I speak to machines with the voice of humanity, Speak to the wise with the voice of insanity. Cause I am a man of thousand faces. Bansky
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TAG INDELEBILI L'atto della creazione è una sorta di rituale. Le origini dell'arte e dell'umanità giacciono nascoste in questa misteriosa creazione. La creatività umana riconferma e mistica la potenza della vita. ---Tutte le volte che creo qualcosa, penso alle persone che stanno per vederlo e tutte le volte che vedo qualcosa, penso alla persona che l’ha fatto. Keith Haring
I did most of my ‘getting up’ alone. I was always worried about (them) doing something stupid. For dangerous missions, I rolled solo. Futura 2000
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Our work was very hard to understand at the beginning. People here in New York tend to be frightened of things they don't understand. Jean-Michel Basquiat and Keith Haring were more palatable, it didn't frighten people as much as our work, as our presence. We were very young, and because we didn't pay for our paint they regarded us as thieves. Dondi
Cancello le parole in modo che le si possano notare. Il fatto che siano oscure spinge a volerle leggere ancora di pi첫. Jean Michel Basquiat
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...Gli Artisti... ...The Artists...
TAG INDELEBILI DADO
Alessandro Ferri
Ferri Alessandro nato a Bologna, Italia il 22 Dicembre 1975. Vive a Bologna, lavora in Italia e allâ&#x20AC;&#x2122;estero. Il punto di partenza per Dado è stata la dedizione al writing inteso come disciplina artistica, come architettura della lettera e calcolo matematico, come labirintici solidi geometrici e fasci di lettere sinuose che si attorcigliano tra loro. Alla fine degli anni â&#x20AC;&#x2122;90, dopo avere
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avuto la grande opportunità di lavorare in collaborazione con il già famoso writer Americano “Phase II”, Dado inizia a cercare un nuovo modo di usare nuovi fonts su una speculazione, prima intuitiva e poi geometrica, della lettera, scomponendola, destrutturandola e ricreandola, catturando una totale diversa e completa nuova attenzione agli osservatori del fenomeno e tra i writers stessi. Dado approfondisce i suoi studi grafologici affiancato da ecclesiastici domenicani, tramutando in concetti formali la sua ricerca. Prima attraverso gli insegnamenti teorici dei professori dell’Accademia di Belle Arti e poi con la sperimentazione continua di tecniche inedite, per Dado il writing diventa un mondo di evoluzioni e in continua trasformazione. I materiali e le tecniche, sempre diversi, sono gli strumenti di una parte della sua ricerca, che arricchiscono il suo campo d’azione . Giocando creativamente e modificando le funzioni e le finalità dei differenti materiali e tecniche, Dado scopre
potenzialità nascoste adatte alla sua creatività, forgiandole al suo intento. Questa ricerca personale lo ha spinto in un più attento e accurato studio generale delle arti, e un’ attenzione specifica è stata volta alla grafologia, alla grafica ed al disegno scolpito, superando infine il limite della pittura di parete. Dado crea il modo di connettere il segno alla parete in un'entità omogenea, la parete si trasforma in una parte del disegno e viceversa, una combinazione armonica di un gesto profondo primitivo come i graffiti. La sua necessità di espressione delle parole, concetti e sensibilità, attraverso il segno, lo ha incitato a scoprire l'unicità dell'arte orientale antica di grafologia, oggi il suo punto di riferimento. “I graffiti sono una disciplina che racchiude la dimensione progettuale e
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intuitiva del segno, attraverso la quale l’uomo ha potuto con un semplice tratto esprimere un concetto potente ed efficace ed ha raggiunto il risultato più importante e più intelligente”... (Dado) Spesso ancora oggi, la maggior parte dei writers sono considerati degli artisti fuorilegge, e non è semplice percepire la linea sottile che divide il vandalismo dall’arte e Dado è stato un promotore della nuova forma d’arte di fronte all’opinione pubblica e alle locali amministrazioni. Da quindici anni Dado collabora con la amministrazione del Comune di Bologna ed altre città, si è fatto strumento di decoro dell’arredo urbano, delle stazioni ferroviarie e delle zone industriali, 44
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delle scuole; ha tenuto seminari presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e l’Università di Padova presso la facoltàdi Storia dell’Arte Contemporanea, e ha partecipato a diverse lezioni sul writing presso le scuole. In questi anni, Dado ha esposto in gallerie, musei e spazi pubblici; ha colla-
borato con diversi e importanti artisti in Italia e all’estero, e con diverse aziende. Come conseguenza del suo percorso artistico, nel 2007 apre una propria attività. L’arte di Dado opera in diversi campi, allestimenti e decorazioni, grafica, design d’interni ed esterni, sculture, studio e progettazione di oggetti.
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MURETTO: IL REPERTO tecnica mista bassorilievo cm 65x60x10 Pezzo di muro sgretolato con tags a spray.
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PAESAGGIO URBANO: LA STRADA tela cm.50x40 tecnica mista rotonda di via Massarenti, Bologna . L’opera resta sul posto alcuni anni, indisturbata. 
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Title:Â DADO8 calco 1/10 bassorilievo tecnica mista cm.150x40x10 Un dialogo armonico tra scultura e pittura
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Title:Â DADO8 calco 8/10 bassorilievo tecnica mista cm.150x40x10 Un dialogo armonico tra pittura e scultura
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Title:Â DADO8 calco 4/10 bassorilievo tecnica mista cm.150x40x10 Un dialogo armonico tra scultura e pittura
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TAG INDELEBILI Daniele Falanga nasce a Messina nel 1974. Nel Daniele Falanga 2007 consegue la laurea in Scienze dell’Amministrazione presso la Facoltà di Scienze Politiche di Siena. Nel 2001 apre il suo Studio/Laboratorio d’Arte a Messina. Nel 2005 gli vengono conferiti: a Monte Carlo il Premio Quadriennale, a Messina il Premio “Antonello da Messina”, a Copenaghen il premio “The Royal General Certificate of Art Hans Christian Andersen”. Nel 2009 viene scelto quale interprete artistico dell’anno Marconiano, in occasione della ricorrenza dei cento anni del conferimento del Premio Nobel allo scienziato Guglielmo Marconi e del GMFE Guglielmo Marconi ICT Global Forum&Exhibition; per tale occasione viene allestita, nel cuore di Bologna, la sua personale SAGOME A BOLOGNA WIRED curata da Oddone Sangiorgi, con prefazione di Luca Faccenda, direttore artistico della National Gallery Firenze. Sempre nel 2009 collabora con Paul Kostabi nella realizzazione di un’opera a 4 mani, che viene esposta a Palazzo Duchi di Santo Stefano di Taormina e pubblicata sul catalogo delle mostre dell’artista americano in Italia. A seguire collabora con Enzo Migneco in arte TOGO nella realizzazione di una grande opera a 4 mani che viene esposta in Taormina presso la sede della Fondazione Mazzullo nell’antologica istituzionale del Maestro e pubblicata sul relativo catalogo. Successivamente collabora con Thomas Berra e Cesare 52
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Filistad, eseguendo in Taormina un’opera a 6 mani con performace dal vivo. Opera che viene esposta nella sede della Fondazione Mazzullo di Taormina e pubblicata sul catalogo fotografico edito per l’occasione. È tra i protagonisti di ARTE SOLIDALE a Taormina, patrocinata dal Comune di Taormina e dalla Provincia di Messina. Il 4 ottobre 2009, la città di Taormina gli conferisce la Targa Speciale per l’Arte Pittorica, IV Premio Nazionale Teatro Antico Giovanni Cutrufelli. Ancora nel 2009, a Roma, una sua grande opera viene battuta nell’asta benefica Asta di Solidarietà, da Maurizio Costanzo. Nel 2010 realizza un’opera per la collezione Mille Artisti a Palazzo, esposta a Palazzo Arese Borromeo di Cesano Maderno (MI). Il 2010 è anche l’anno di due importanti eventi dedicati all’artista: la mostra
personale RED=LIVE con prefazione del Maestro TOGO tenutasi presso la storica Galleria d’Arte siciliana Agatirio ed a seguire la mostra personale istituzionale LUMINARIE A VILLA GENOVESI con prefazione di Patrizia Danzè; evento quest’ultimo per il quale l’artista realizza su commissione della Amministrazione Comunale un grande dipinto dedicato al trentennale anniversario della Strage di Bologna ed il cui bozzetto artistico viene nel contempo utilizzato per la realizzazione di una cartolina commemorativa (che durante il vernissage ha ricevuto l’annullo da parte delle Poste Italiane). Le sue opere, trattate da Galleristi e Mercanti d’Arte in tutto il territorio nazionale e presenti in importanti collezioni pubbliche e private, vengono battute in asta dalle principali Case d’Asta Italiane.
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Senza Titolo Anno: 2009 Dittico a Tecnica mista su tela Size:Â 40 x 60 cm
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...Monocromo? Anno: 2009 Tecnica mista su masonite Size:Â 74 x 94 cm
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Re-Interpretando Bologna Anno: 2009 Tecniche miste su tela Size:Â 100 x 150 cm
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Sagoma in Italian Style Anno: 2011 Tecnica mista su tela Size:Â 100 x 60 cm
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SagomE alla Moda Anno: 2011 Tecniche miste su tela Size:Â 100 x 60 cm
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TAG INDELEBILI KayOne
Uno dei writer italiani della prima ora, KayOne, classe 1972, ha cominciato nel 1988 a 15 anni. Pioniere a Milano quando i graffiti comparivano solo nelle serie riciclate dei telefilm americani e quando le tendenze impiegavano cinque anni per attraversare lâ&#x20AC;&#x2122;Oceano. Marco Mantovani oggi ha 39 anni e passa gran parte del suo tempo negli uffici dellâ&#x20AC;&#x2122;associazione culturale Stradedarts, dipingendo quadri e organizzando eventi legati al mondo della Street Art e dei Graffiti.
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TAG INDELEBILI UNA TAVOLOZZA D’ASFALTO di Francesca Porreca
La vicenda artistica di KayOne si configura come un percorso fatto di contaminazioni - tra la strada e la tela, lo spray e le gocciolature di colore acrilico, il lettering e lo studio grafico, la componente istintiva e il controllo attento della composizione. Proprio per questo si rivela affascinante la possibilità di ripercorrere, in questa mostra, l’evoluzione del linguaggio di uno dei più importanti street artist italiani, che non ha mai rinnegato le origini e anzi ha saputo mettere a frutto la propria esperienza nel settore della grafica, della pubblicità e in quello più strettamente artistico, realizzando opere che registrano grande successo nel campo del collezionismo e della critica, delle
gallerie e delle istituzioni, inserendosi appieno nel sistema dell’arte contemporanea. Nell’approccio alla tela, la strada rimane per KayOne straordinaria fonte di ispirazione, non tanto come riferimento figurativo, quanto piuttosto come serbatoio di materiali e di senso: i colori sono prelievi diretti dal mondo urbano (il nero ottenuto dal bitume, il bianco dalla vernice per le strisce pedonali) e dalla graffiti art (lo spray è presente come magmatico colore di fondo, in quanto carattere imprescindibile da cui scaturisce tutto il resto). Interessanti sono anche i dettagli figurativi inseriti a collage nella composizione astratta, citazione pop che rimandano ai prelievi di Mimmo Rotella dai cartelloni pubblicitari e alle sperimentazioni dell’informale americano (si pensi in particolare ai combine painting di Rauschemberg). L’utilizzo
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TAG INDELEBILI delle lettere, ritagliate e incollate sulla tela, non dipinte, è certamente un particolare originale poiché strizza l’occhio alla ricerca (da graffitaro) sul lettering del proprio nome - stile in cui KayOne si è dimostrato un maestro, preciso e creativo - che prevede l’elaborazione di grafie intricate e complesse che evolvono nel disegno fino a dissolversi nel wildstyle. L’obiettivo è naturalmente quello di diffondere e rendere riconoscibile il proprio nome come un marchio di stile ben preciso. È lo stesso KayOne a ricordarci che “la diffusione del proprio nickname è il punto di partenza per ogni writer, imparare a realizzarlo con stile è la conclusione”. È quasi superfluo notare che la circolazione del nome e la ricerca di uno stile riconoscibile siano elementi fondamentali del writing tanto quanto del mondo dell’arte più “tradizionale”. Trovare uno stile al di là del proprio nome è probabilmente ciò che segna il passaggio tra essere un writer ed essere un artista. D’altra parte, la presenza di lettere e inserti a collage denota l’unione delle due anime del percorso creativo di KayOne, quella dello street artist e quella legata alla grafica e al linguaggio pubblicitario. In entrambi i casi, il senso va comunque cercato oltre il mero significato linguistico, così come accade nelle opere su tela, superfici caratterizzate dalla stratificazione e da una verve sintetico-immaginativa che guarda da un lato alle parole in libertà del futurismo e all’uso del collage caratteristico delle sperimentazioni cubiste, dada e surrealiste, dall’altro agli esempi del lettrisme di Alain Satié, che esalta il valore estetico del segno alfabetico oltre il 62
suo significato semantico (la sua serie Murs d’atelier d’artiste del 1974 va in effetti riconosciuta come straordinario antecedente per la graffiti art che invaderà New York pochi anni più tardi). Per Satié e i suoi compagni, la lettera va intesa come una nuova struttura formale grazie alla quale fondare un campo di lavoro autonomo, ricco ed inesauribile. Niente di più simile al writing urbano dunque! Non deve stupire l’abilità di KayOne di coniugare la suggestione della strada alle avanguardie e ai movimenti più innovativi del Novecento, dal momento che proprio questi gruppi di sperimentatori si erano posti per primi il problema di far confluire - anche in modo diretto - la vita nell’arte. La forza dei quadri di KayOne sta proprio nella capacità di attirare chi guarda in un universo di sensazioni, emozioni, significati, la cui energia dirompente evoca
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la strada senza bisogno di rappresentarla. Il rapporto dell’artista con la materia appare viscerale, teso a sottolineare la plasticità della pittura, le sue qualità dinamiche e tattili, oltre che visive, con l’obiettivo di trovare una nuova dimensione significante attraverso composizioni polimateriche e associazioni insolite. In questo modo, l’arte di KayOne sembra essere in grado di dialogare con la realtà senza mediazioni, grazie a una pittura corposa e densa in cui si mescolano vernici, sabbie, polveri d’asfalto, spray, pigmenti, smalti, e poi carta, legno, metallo… tecniche e materiali ibridi, dal significato complesso e stratificato, che si distinguono per un riferimento istintivo al contesto urbano in grado di trascendere e ampliare la dimensione pittorica tradizionale. Nelle opere di KayOne il prelievo di realtà è dunque minimo, ma risulta amplificato dalla forte componente gestuale e materica della sua pittura, che riesce a trasmettere quel senso di “ruvidezza” che viene direttamente dal
contatto con la strada. Le superfici non sono mai levigate, ma appaiono come esito di un’operazione di scavo nelle emozioni, che si traduce in intensa gestualità - emotiva e controllata al tempo stesso - grazie alla quale segno e colore acquistano incisività. Energia e spontaneità sono naturalmente elementi derivati dall’esperienza di writer, insieme alla rapidità, che sulla strada è data dalla velocità dell’esecuzione imposta dalla situazione, mentre sulla tela si concretizza in modo più meditato, nelle linee dinamiche che si inseguono, si incrociano, si sovrappongono, si accendono in punti luminosi. Il controllo dell’equilibrio e delle sovrapposizioni di segni e colori è particolarmente curato, l’elemento vorticoso è parte di un’operazione quasi ipnotica nei confronti della realtà, che sembra lasciare tracce nel colore fresco, pronto a catturare l’istante - come quando accade di calpestare per caso le linee bianche appena rifatte sull’asfalto.
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Fear of the dark Anno: 2011 Tecnica mista su tela Size:Â 80cm x 180cm
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Fear of the dark 2 Anno: 2011 Tecnica mista su tela Size: 80cm x 180cm
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Punto di rottura (Left Side) Anno: 2011 Tecnica mista su tela Size:Â 120 x 120 cm
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Punto di RotTura (Right Side) Anno: 2011 Tecnica mista su tela Size:Â 120 x 120 cm
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Reattore Quattro Anno: 2011 Tecnica mista su tela Size: 200 x 200 cm Esposto alla 54° Biennale di Venezia Padiglione Lombardia
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TAG INDELEBILI Paul Kostabi
Recentemente, delle strane parole scritte in grande sono apparse nel suo lavoro a sovrapposizioni, come: “DARCO JOE ENA” e “CARE BAIP”. I significati sono intraducibili perché assolutamente personali. L’utilizzo delle parole è ancora un altro metodo grafico che Paul ha adottato dalla tradizione Modernista, esplorata per primo da Picasso e poi da Stuart Davis, Ed Ruschi, Mimmo Rotella, Julian Schnabel e Jean-Michel Basquiat. L’uso del colore nelle opere di Paul è via via diventato più deciso e sottile. Nei primi anni ’80, quando Paul cominciò ad esporre a New York Lower East Side, nelle gallerie come Casa Nada su Revington Street, i colori erano frequentemente primari, acidi e apparentemente non
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curati, nello spirito East villane. Adesso, senza peraltro perdere energia, i suoi colori hanno spesso un’armonia quasi romantica, autunnale. Il complesso lavoro a sovrapposizioni a volte richiama le opere recenti di Terry Winters o le ultime lacerazioni di Mimmo Rotella. Con queste ricercate basi della recente storia dell’arte, è legittimo pensare che ci saranno ancora molte scoperte da fare. In ogni modo sia, la raccolta dei vari dipinti che formano la prima mostra personale di Paul in Italia, è molto soddisfacente. Negli ultimi anni, il mondo artistico di New York ha vissuto una nuova moda, quasi ossessiva, verso il lavoro ultra-slick e “perfetto”. Questa voglia di estrema “accuratezza” di molti
TAG INDELEBILI giovani artisti e mercanti di New York fa sembrare il lavoro finish-fetish della California, cominciato negli anni ’60, grezza pittura di strada. Il lavoro di Paul Kostabi è l’antitesi di questo Neo-analismo. Lui preferisce guidare una Rambler con qualche graffio che una Lexus lucidata a specchio. Kostabi ha fondato, insieme ad altri, i seguenti gruppi musicali: Youth Gone Mad (1981), White Zombie (1984) e Psychotica. Nel 2002, Kostabi ha suonato, insieme a Dee Dee Ramone e C.J. Ramone (dei Ramones), la canzone Blitzkrieg Bop alla Roseland Ballroom di New York, insieme anche a Daniel Rey e Marky Ramone. È stata l’ultima volta che questi componenti dei Ramones sono apparsi sullo stesso palco. In seguito, Kostabi ha suonato e inciso con Dee Dee Ramone Too Tough to Die Live, ed ha inoltre inciso anche con i False Alarm e gli Hammerbrain. Nel 2006 ha dato vita a uno studio di registrazione a Piermont, nello Stato di New York. Insieme a Dee Dee Ramone ha prodotto una serie di dipinti esposti nelle gallerie di tutto il mondo. Nel 2002 è stato pubblicato un LP su vinile dal titolo “Youth Gone Mad
featuring Dee Dee Ramone”, prodotto dalla casa discografica indipendente “Trend is dead!” records, con musiche di Kostabi e Dee Dee. Tra le gallerie che ospitano i dipinti di Kostabi è possibile ricordare la galleria Quadreria di San Donà di Piave e la Follin Gallery.
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scott Mahon & Wickers Tecnica mista su tela
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UNTITLED Tecnica mista su tela
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Take Us to Rivington Street Tecnica mista su tela
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senza Titolo Tecnica mista su tela Size:Â 102 x 76 cm
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TAG INDELEBILI Mambo
Elvis Pregnolato
Quando nel 1988, appena giunto a Bologna, viene a contatto con il fenomeno del writing si rende subito conto che questo rappresentava non solo una realtĂ artistica e culturale a lui del tutto ignota, ma anche una chiave dâ&#x20AC;&#x2122;accesso a una dimensione misconosciuta e sotterra-
nea del tessuto urbano: entrato in questa nuova dimensione si fa notare per la scelta di curare con eguale attenzione lettering ed elementi figurativi, i quali, indipendentemente dallo spazio fisico dedicato, si fondono e dialogano tra loro. Gli studi accademici forniscono a Mambo gli strumenti tecnici necessari a coniugare il mezzo, insieme aereo e materico dello spray con soggetti maggiormente pittorici e, al tempo stesso, danno 76
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l’impulso a sperimentazioni atte alla trasposizione dell’energia e dell’approccio tipici della realtà del writing anche tramite medium differenti dalla classica bomboletta: elemento, quest’ultimo, che diviene sempre più peculiare del suo stile e ne asseconda la naturale, poliedrica abilità nell’espressione attraverso le tecniche più svariate. I percorsi eseguiti a fianco di professori del calibro di Concetto Pozzati rendono altresì possibile l’acquisizione di solide basi nel campo dell’arte concettuale. Volendo individuare gli elementi principali che contraddistinguono il percorso artistico di Mambo e ne determinano il fascino e l’unicità all’interno della scena street art italiana, subito si colgono l’abilità e l’interesse nell’effettuare continue decontestualizzazioni con uno stile peculiare, ironico e dissacrante, che coniuga Dada e Pop art; e il gusto spiccato per la resa pittorica, alla ricerca di quella perfezione e cura per i minimi dettagli che risulta ben evidente in ciascuna delle sue opere siano esse volte alla riproduzione realistica o all’astrazione.
Si nota in lui l’interesse per la creazione di percorsi tematici che pongano in luce di volta in volta il nucleo concettuale desiderato e la tensione verso un opera di “distillazione” dell’essenza del mondo dei graffiti, la cui successiva ricollocazione nei contesti più svariati (dalla ritrattistica all’installazione) costituiscono le costanti fondamentali dei suoi lavori, dei quali si può apprezzare l’inconsueta unione tra una sensibilità tipicamente POP, strutture compositive dalla matrice concettuale e una scelta cromatica dalle forti contrapposizioni. Tutte queste caratteristiche vengono sovente poste al servizio del messaggio auto affermativo tipico del writing, verso cui Mambo si pone in maniera inusuale, operando sorprendenti “ready made”, che lasciano talvolta trapelare un’ombra di ironia e dando vita a un gioco di rimandi in cui la figura, il lettering e l’oggetto ritrovato ora si accompagnano, ora sono inglobati l’uno dall’altro, spesso finiscono per fondersi nell’acquisizione di un nuovo, potente, codice espressivo. 77
TAG INDELEBILI Danse Macabre Il movimento Hip-Hop è sopravissuto fino ad ora grazie ad una continua trasformazione ed un florido rinnovamento generazionale. Proprio in questo momento storico e culturale, in cui si evidenziano tensioni tra correnti che incoraggiano la contaminazione e la collaborazione con il mondo dell’arte istituzionalizzata ed altre che vogliono mantenere un’identità di Arte di Strada “pura”, si rende necessaria una rilettura ed un rinnovamento che vadano alle basi stesse di questo movimento culturale. Una realtà, come l’Hip-Hop, profondamente radicata nella contemporaneità, di cui rappresenta una costante digestione e rielaborazione, nel momento stesso in cui si ripiega all’interno dei propri schemi rifiutandosi di interagire con il cambiamento sta già moren-
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do. Questo è particolarmente evidente nell’era presente, in cui la tecnologia dell’interconnessione permanente spinge alla costante condivisione del proprio percorso artistico. In questo senso la Danse Macabre che guida le figure-simbolo dell’Hip-Hop, nelle sue declinazioni pittoriche, sportive e musicali, verso il destino ultimo, vuole rappresentare non un doloroso epitaffio, ma un inno al coraggio necessario per affrontare il volto, a volte cupo, della Trasformazione e poter cogliere in futuro i frutti del rinnovamento. Il messaggio che nel gruppo pittorico dedicato alla Danse Macabre abbraccia il macrocosmo Hip-Hop si riflette nel microcosmo dell’autore nell’opera singola “XIII”: una rielaborazione della tredicesima carta dei tarocchi.
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Breaker’s Danse Macabre Anno: 2011 Vernici spray e acrilici su ferro Size: 100 x 40 cm
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Rapper’s Danse Macabre Anno: 2011 Vernici spray e acrilici su ferro Size: 100 x 40 cm
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Skater’s Danse Macabre Anno: 2011 Vernici spray e acrilici su ferro Size: 100 x 40 cm
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Writer’s Danse Macabre Anno: 2011 Vernici spray e acrilici su ferro Size: 100 x 40 cm
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XII Anno: 2011 Vernici spray e acrilici su ferro Size: 120 x 50 cm
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TAG INDELEBILI UNIKPRODUkT
Street art for unmapped streets.
>> Lessons learned underground. It’s quite nice being underground at this time of year; the rabbits are updating their Big Map and discovering a lot of strange and interesting things in the process. I usually try to help out where I can, but because of the language barrier it can be quite frustrating. After a while spent tripping over teams of scurrying rabbits, accidentally block-
ing tunnels and knocking over important equipment I decided to give up my attempts at assistance and just go for a wander on my own. Happily I found that once I stopped trying to help all the confusion died down and I actually became useful. The rabbits started to follow me, pointing me in the direction of doors they needed assistance in shoving open. They gathered around me in the darkest sections where lights wouldn’t work and where there were terrifying noises. We made quick progress and passed quickly into the non-disclosure zone, which I can’t really talk about at the moment, at least until the proper paperwork has come through. We didn’t
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TAG INDELEBILI >> I want to be a refuse and recycling operative. see any monsters though, I can reveal that much. I learned a lot underground and I fully intend to apply this knowledge. It is the glory of God to conceal a thing; but the glory of kings is to search out a thing. Today I have spent a lot of time just roaming about. I had some paintings to post and then I thought I would look for some materials. There seem to be certain places that are magnets for rubbish, sometimes there are nice scraps of wood or metal. I donâ&#x20AC;&#x2122;t know what I am looking for until I see it. I ended up stumbling upon a strange thing. A huge sack of polystyrene packing chips had been burst and scattered,
and there were about five fire extinguishers of various sizes and types positioned almost deliberately around the area. I really dislike explaining things away by the simple option. I totally hate that Occam geezer. Where is the fun in that? Anyway. I spent a lot of time wandering around and not so much time working out what I was going to write tonight. I still came through with something. I promised myself I would. And today I did discover some mysterious and interesting ideas which will come out shortly. >> I investigate programmatic animation. I chop a bit off my finger! I began doing some animation tests to-
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TAG INDELEBILI day! I’m going to start out with news reports from the Land of the Dead. It’s a simple subject to animate, a great opportunity to make a whole series of them for practice and a kooky vehicle for the literary side of what I want to do. So, being a real madman, I have start-
ed writing some software which takes various cut up bits of the characters (eyes, mouths etc) and animates them programatically based on a script. I dig this a great deal; it’s geeky as hell and will mean that once the structure is in place I can bash out episodes by just writing the script. Anyway, after cutting my characters up on the computer into eyes and mouths and hands, I almost did the same to myself. I was cutting out a whole lot of carboard creatures for a street piece I’m working on when I managed to slice a nice chunk off my little finger. Ouch. Thank you all for commenting and sharing my previous post on Facebook; you rock a significant amount. I’ll write again tomorrow with pictures of the finished street piece and more… >> I slack off on my art. I am frightened. My work explores the Land of the Dead. I can’t directly explain what the Land of the Dead is, so I do it through art
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(and soon with animation, short stories and maybe even a podcast). It is scary work; for years I have always backed off and took a break from working when it all got too frightening, but I honestly can’t stand letting things continue like this. I have devised a basic yet cunning method to break through this problem. I have made a commitment to post to this site every day. Seems simple? It is, but this is what it means: I must keep working, coming up with ideas and improving my writing skills in order to keep up; all the while forcing myself past the fear and the urge to quit. See how cunning this plan is? Your encouragement in all this is highly appreciated; from now on I’ll be showing my grattitude with loads of free stuff available online, as well as gifts of art to those who take an interest and get enjoyment from what I do.
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Continuing Ink, paint, collage wrapped on a handmade wooden frame. Size:Â 39 x 25 cm It never seems to end.
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AllieS Ink, paint, collage wrapped on a handmade wooden frame. Size:Â 30 x 20 cm A citizen will accept support from wherever he can find it.
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Translation Ink, paint, collage on 12â&#x20AC;? vinyl record. The painting is signed, dated and titled on the reverse. Some beings cannot communicate in the regular way.
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Televisions Ink, paint, collage on 12â&#x20AC;? vinyl record. The painting is signed, dated and titled on the reverse. The televisions do not work properly any more; they are dangerous and unpredictable.
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Containment Ink, paint, collage on 12â&#x20AC;? vinyl record. The painting is signed, dated and titled on the reverse. There are things in the Land of the Dead that should never be released.
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TAG INDELEBILI Verbo
“Verbo” writer nasce a Bergamo nei primi anni novanta e cresce artisticamente tra binari, tetti e marciapiedi; in poco tempo il suo nome inizia a girare nella scena underground italiana attraverso le carrozze dei treni e le sue opere vengono presto pubblicate sulle riviste del settore nazionali e internazionali per l’originalità, lo stile e la qualità delle sue produzioni. Sul finire del decennio entra così a far parte di una delle più importanti crew italiane per apporto di stile su metallo: la PDB, di cui fanno parte anche Blef, Cento, Wany, Eron, Sir2, Rizla, Kemh, Bol. Lo stile di Verbo colpisce innan-
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zitutto per la difficoltà di esecuzione tecnica (questo a maggior ragione nelle situazioni più difficili, come le opere illegali) e per il forte dinamismo tridimensionale delle lettere, che unito ad un tratto fortemente espressivo dà forma al vissuto (gusti, emozioni, sentimenti) con cui l’autore è cresciuto. I colori usati, accesi e contrastati, gli innesti tra le lettere e le armature da cui nasce la grande vitalità che caratterizza i suoi pezzi con un richiamo a quel fondamentale background culturale costituito dalle astronavi e dai robot dei manga giapponesi, diffusissimi a cavallo tra anni settanta e ottanta, se non direttamente dalla cultura cyberpunk.
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Il trattamento riservato ad ogni lettera diventa così un gioco di incastri e di intersezione tra volumi, dinamismi e fughe che proiettano lo spettatore in una dimensione ludica, sovrapposta a quella preesistente applicata da ogni writer nella creazione del proprio peculiare stile calligrafico. Il risultato finale è un melange armonico e inconfondibile, che anche un occhio meno allenato di quello dei “colleghi” writers è in grado di riconoscere immediatamente. Nel corso degli anni, con la maturazione artistica subentra una graduale trasformazione delle armature in veri e propri esoscheletri tecnologici, con il conseguente mutamento del suo lettering
in un vero e proprio insieme di metainsetti biomeccanici, che hanno invaso la superficie urbana assorbendone l’essenza e insieme contaminandola. Un rapporto simbiotico, quello instaurato tra lettere e superficie, non dissimile da quello che unisce un’ape con i fiori: la metropoli possiede una vitalità in cui i pezzi si nutrono e che, contemporaneamente, grazie al loro apporto rivive in continuazione. Verbo presenta la sua calligrafia attraverso l’evoluzione delle lettere. Tecnica: bomboletta spray su lastre tipografiche. La scelta del supporto non è affatto casuale. Le lastre tipografiche sono state selezionate tra quelle già incise, sulle quali possiamo riconoscere i motivi grafici quotidiani contemporanei, che
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TAG INDELEBILI rappresentano il contesto socio culturale con il quale l’autore si confronta fin dall’inizio: l’apparire “pubblicitario” del proprio nome sugli spazi della città lo portano a un intrinseco confronto con le forme di comunicazione sociale, attraverso le quali fa emergere il suo stile coprendo le matrici dello stesso. “Crossa” alla matrice denunciando la necessità di evoluzione delle forme grafiche contemporanee e apportandovi la forza del gesto pittorico irreplicabile; di fatto le sue opere sono di getto, “freestyles” rapidi che freddano gli attimi esatti vengono prodotti senza la pretesa di catturare forme più grandi di un singolo momento che è già infinito, un’esecuzione che per il Verbo può durare una notte intera o un minuto, il tempo di essere completata o il tempo necessario per non essere preso.
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TdiTekno freestyle on metal slabs Anno: 2012 Size:Â 94x68cm
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RdiReddito freestyle on metal slabs Anno: 2012 Size:Â 94x68cm
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MdiMasterplan freestyle on metal slabs Anno: 2012 Size:Â 94x68cm
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AdiAnarchy freestyle on metal slabs Anno: 2012 Size:Â 94x68cm
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EdiRibelle freestyle on metal slabs Anno: 2012 Size:Â 94x68cm
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TAG INDELEBILI MR.Wany
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Andrea Sergio nasce a Brindisi nel 1978. Inizia il suo percorso artistico con il graffitismo a soli 12 anni, nel 1990, è già noto come Mr.Wany, lo pseudonimo con cui firma i graffiti sui muri della sua città. Si diploma al Liceo Artistico “Edgardo Simone” di Brindisi e successivamente si specializza col massimo dei voti presso la “Scuola Internazionale di Comics” a Roma. Nel 2000 si trasferisce a Bologna dove viene assunto come Art-Director
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dalla Dynit, una delle più importanti case editrici di cartoon e fumetti giapponesi. Negli anni lavora come decoratore, scenografo, fumettista, illustratore, grafico pubblicitario, designer, art director, progettista, serigrafo e creativo con delle parentesi di producer musicale/talent scout, editoria autoprodotta e ballerino professionista sino ad approdare alla pittura. In 20 anni di graffitismo raggiunge molti obiettivi, come vincere contest regionali, nazionali ed internazionali, essere invitato come giurato in quanto uno tra i maggior rappresentanti della cultura hip hop in Italia nel Writing, dipingere in meeting di writing in Italia, dalla Sicilia al Piemonte; insegna come docente su questa cultura in Università e corsi di specializzazione in scuo-
le private. Realizza art work e progetti per Nike, Adidas, Coca Cola, D&G, Casio, Timberland, Volkswagen, Mtv, Mediaset, Avis, Toei Animation Japan, Reebok, Eastpack, Rai Sat Smash, Sky. Viene intervistato da giornali, Tv e radio in Italia ed all’estero che si interessano al suo operato artistico, nonchè pubblicato su libri, catalogi e DVD. Nel 2005 la sua notorietà esplode anche all’estero: viene invitato a numerosi meeting ed esposizioni in Croazia, Germania, Inghilterra, Belgio, Danimarca, Romania, Grecia, Olanda, Austria, Spagna, Francia, Bosnia, Svizzera, U.S.A., Brasile, Argentina, Nuova Zelanda, Equador e Russia. La curiosità e la personalità creativa lo spingono a sperimentare le tecniche e i supporti più svariati, in questo modo approda alla tela col bagaglio artistico del writing, del fumetto, della grafica 101
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pubblicitaria e dell’illustrazione. Entra così da innovatore nel circuito più accademicamente artistico, partecipando a importanti mostre personali e collettive in gallerie e musei in Italia ed all’estero. Come “Sweet Art Street Art” la mostra voluta da Vittorio Sgarbi ed Alessandro Riva, presso il PAC di Milano, oppure il MAC (Museo d’arte contemporanea) a San Paulo in Brasile e nella maggiori capitali europee come Londra o Parigi. Così nel 2007 firma un contratto con una galleria con cui lavora per circa un anno che lo porterà a vivere a Milano. Dopo questa parentesi i suoi lavori sono molto richiesti e inizia a operare in modo autonomo con gallerie e musei in tutto il mondo. Scrive di lui il critico Marco Meneguzzo: “Mr.Wany elabora uno scenario postatomico, spesso popolato da una umanità mista (di razze e di metalli), dove l’Oriente fisiognomico diventa l’Oriente fantastico dei manga. È la riproposizione dell’esotismo misterioso, così come si può formulare in un mondo dove non esistono più “posti esotici”. Il critico d’arte Vittorio Sgarbi sceglie inconsapevolmente il graffito di Mr.Wany al Leon cavallo come il suo preferito, poi in seguito curerà alcune delle sue mostre, presentandolo come uno dei più rappresentativi artisti di questa corrente.
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TAG INDELEBILI La sua pittura nasce dall’esperienza metropolitana del writing, dalla passioneex-professione del cartoon giapponese e delle ultime tecniche grafiche, dalla vulcanica personalità creativa. Balza subito all’occhio l’originalità della sua ricerca e sperimentazione cromatica, utilizza modi e tecniche variegate, creando sintesi insospettabili e fluide, fra colature di colore, tags, pensieri scritti stilizzati o criptati e disegni fantastici, surreali, onirici. La realtà viene filtrata e interpretata attraverso una sensibilità che prende coscienza dei problemi esistenziali dell’uomo d’oggi, delle nevrosi, dei meccanismi di frenesia e isolamento contemporanei; l’artista reagisce inventando un mondo in cui vivono nuovi simboli e personaggi, un mondo enfatizzato, deformato, decostruito, in cui egli “scolla” dal supporto murale i
suoi soggetti, trascinandoli sulla tela o trasformandoli in toys ed installazioni. È così che giunge, dunque, a far “resuscitare” anche oggetti senza vita, frammenti di strada come materassi, frigoriferi, lavatrici, televisori, recuperandoli nelle discariche e facendoli diventare angeli, bambole felliniane, animaletti un po’ teneri un po’ cinici, richiami sensuali e sessuali. Anche la sua arte pittorica risente di questa simbologia apollineo-dionisiaca; dunque accanto al richiamo infantile del “pupazzo”, si inseriscono a volte riferimenti diabolici o macabri, come teschi, sangue, cervelli umani. Ma il tutto viene eseguito con grande ironia, con il gioco dei pensieri che ridimensiona la realtà e sperimenta nuovi orizzonti; ed è così che la sua arte fluttua nell’universo dei più dinamici linguaggi contemporanei.
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Pianta Digitale Tecnica mista su stampa digitale rigida. Anno: 2009 Size:Â 100 x 70 cm
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Pensieri sincopati Smalti e spray su tela. Anno: 2010 Size:Â 100 x 70 cm
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We need of coffee tecnica mista su tronco ed altri ogetti. Anno: 2010 Size:Â 44 x35 x 38 cm
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“God’s Blaster” freestyle on metal slabs Anno: 2012 Size: 68 x 42 x 25 cm
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Privé tecnica mista su tela. Anno: 2009 Size: 50 x 50 cm
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Kaotico Equilibrio Tecnica mista su tela. Anno: 2009 Size:Â 50 x 50 cm
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TAG INDELEBILI Flick Yoli
Self-taught, Flick Yoli, deals with materials as a matter of aptness in approaching forms, which in all hopes bring him to the most telling bliss of bare existence. A habitual outsider, Flick Yoli uses a primary lexicon of wear and tear aesthetics that in all likelihood were first revealed to him as an actual silhouette of humanity as seen from the crib. Early on, he remembers thinking that the art lessons of those who appeared
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insane could lead to enhanced reason, or even maybe, to special powers. The respect for the behaviors of the insane which he noted in various cultures led him to adopt the panic narrative modality. He also explored this for intuitive market survival purposes.
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Vernacular art with a twinge of futuristic regret. Thank You, Dubuffet! Ah, to live like millionaire eccentrics malingering in fake mental illness, on the palm lined streets amidst the pidgeons, and wearing a bathrobe on the streets - and perhaps even a motheaten beret. Thank God Art Brut is everywhere, for such raw art neednâ&#x20AC;&#x2122;t be good nor beautiful, nor intentional. It only needs your eye to be. Thank you, Dubuffet, you have given us this way of seeing art with new, fresh eyes despite the clamorous insinuation of those who seek to to turn its producers into loonies.
Art Brut, for me, is befriending the limitations of materials and by sometimes hobbling the application of mediums. Itâ&#x20AC;&#x2122;s about allowing material to be itself, but to become more than itself - redeemed, in fact. It also allows one, abiding by a unique phenomena, to reveal through subconscious projection onto surfaces, images of the mind unregulated by habits of signature. Above all, Art Brut is unfettered expression. Whether its documents are successful in finding admirers, or not, Art Brut is always a success as a process. Flick Yoli
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Morning sun Anno: 2009 Tecnica Mista.
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Sacrifical Lamb Anno: 2009 Tecnica Mista
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CCCP Anno: 2009 Tecnica Mista
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Bikers Dozen Anno: 2009 Tecnica Mista
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SiLK Neck wear Anno: 2009 Tecnica Mista
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TAG INDELEBILI TMNK
THE ME NOBODY KNOWS
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Fotografo, pittore, produttore musicale, artista dei tatuaggi, Scott Andre Patterson è veramente un artista la cui creatività sconfigge le etichette. Patterson inizia la sua carriera come fotografo di moda di talento in trasferta a Parigi per le collezioni degli stilisti per Essence Magazine, più volte premiato per le sue illustrazioni digitali. Più interessato a fare arte che crearsi un nome Patterson ha iniziato a dipingere fuori dal circuito ufficiale, esponendo i suoi struggenti, provocatori e audaci lavori con lo pseudonimo di “The Me Nobody Knows” o semplicemente NOBODY. Con questo pseudonimo Patterson intendeva sottolineare le similitudini tra se’ e le decine di altri ragazzi di talento della sua community ma sconosciuti al mondo dell’arte. Insieme ad alcuni di questi ragazzi (Avone, Ski, 2Esae) nascono opere di grande intensità, nella grande tradizione delle collaborazioni tra artisti che, a tutti i livelli, rivela la voglia di contaminarsi e di confrontarsi. Una factory di strada nata a Soho che conosce come unico palcoscenico i marciapiedi della Grande Mela; un gruppo di artisti che a volte collaborano mantenendo però la propria prospettiva individuale
e i propri messaggi. Assemblando, costruendo, decostruendo, dipingendo e graffiando su ogni superficie che trova, i suoi lavori sono pitture rupestri contemporanee che stimolano profonde riflessioni, osservazioni e discussioni. I mixed media paintings di Patterson hanno catturato l’attenzione di curatori internazionali, collezionisti, celebrità e perfino altri artisti. Scott Andre Patterson vive e lavora a New York e si firma con il tag TMNK e 5150. L’artista e il gruppo Sosic (Soho Street Ink Collective) sono stati invitati nel febbraio 2008 a presentare la loro arte durante l’evento “Design and Elastic Mind Exhibit” al MOMA (Museum of Modern Art) di New York. Riferendosi a Scott André Patterson - “The Me Nobody Knows” è riduttivo parlare di “street art”. “Your work is great, I love it / Le tue opere sono grandiose, le adoro”, gli disse Whoopi Goldberg quando, dopo aver acquistato due sue opere, andò anche a fargli visita presso la sua Galleria di strada, a New York. C’è chi parla di lui come dell’erede di Jean-Michel Basquiat. Da mettere subito in collezione, finchè è ancora possibile acquistarlo… 121
TAG INDELEBILI TMNK is truly an artist whose creative abilities defy labels. He began his career as a fashion photographer, where he found himself in Paris photographing the designers collections for Essence Magazine. He has received national recognition for his digital editorial illustrations. More content with making art than making a name for himself, TMNK exhibits his poignant, provocative and bold art under the moniker “THE ME NOBODY KNOWS (TMNK).” The artist likes to refer to his unique paintings as urban hieroglyphics. Constructing, assembling, deconstructing, painting, and scratching on any surface he can find, his paintings are modern-day cave drawings, offering refelctions, observations, and discussions that the viewer is invited to join. TMNK’s work has drawn the attention of curators, collectors - And even other artist! Well known raw artist Gus Fink had this to say: “I think you’re one of greatest out there.” “I really think your work is superb. It’s brilliant... I can’t believe how wonderful your work is.... A little bit of Warhol, Basquiat, Picasso and you of course.” - Art In America. If you’re looking for a contemporary artist to add to your collection keep your eye on TMNK (The Me Nobody Knows). “As an artist you’re nobody, until somebody buys your work. Yet, I hope I have created something that somehow connects with you. Thanks for making this “Nobody” feel like a somebody. Your support and encouragement is sincerely appreciated.”
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I Ain’t Tina Anno: 2008 Tecnica Mista su tela Size: 90 x 60 cm
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Sharing tears Anno: 2008 Tecnica Mista su masonite Size:Â 30 x 25 cm
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Spray Man Anno: 2008 Tecnica Mista su tela Size:Â 90 x 60 cm con la collaborazione di AVONE
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President Anno: 2008 Tecnica Mista su tavoletta Size:Â 10 x 20 cm
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All need a Hand sometimes Anno: 2008 Tecnica Mista su tavoletta Size:Â 10 x 20 cm
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Tag Indelebili Post Graffiti in Italia ed USA
TIW
Top Italian Writers Arcadia Concept Art Store via San Vitale 22, Bologna
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Pingos 02 - Ari Size: 100 x 100 cm
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Riflettendo sulle opere di Arianna Ruffinengo di Pierangelo Russo
C’è un mondo visibile a cui tutti apparteniamo. C’è un mondo invisibile che qualcuno intuisce. C’è un mondo che contiene entrambi, sono in pochi a possedere la chiave per entrarvi. Ci sono artisti che vivono per l’arte, ne fanno uno scopo di vita, sublimano le loro energie per appagare il bisogno creativo. Spesso rincorrono con ostinazione e ossessione la perfezione estetica, formale o informale che sia. Poi ci sono artisti che attratti e guidati dall’arte intraprendono nuovi percorsi estetici e concettuali, usano l’arte per scoprire nuove vie, dotati di talento e ispirazione approdano in nuovi spazi sconosciuti, alto è il rischio di perdersi. Arianna è una viaggiatrice, la direzione è nel cuore, l’arte ispirata è la sua bussola. Non schiava della tecnica, non attratta dalla perfezione formale, ella procede come un’esploratrice, usando il giusto strumento nel giusto momento. Un viaggio tridimensionale, nello spirito, nella mente e negli istinti della carne. Oltre il visibile del mondo ordinario, la inizia la sua curiosità, la sua indagine, danza tra gli archetipi che popolano il mondo sottile, protetta dai caldi colori e come danzatrice sinuosa, stacca un velo ad ogni volteggio e si viene rapiti dalla bellissima, intravista nuda verità. Energia creatrice che tutto feconda e contamina, vortici centrifughi e centripeti, così le atmosfere dei suoi quadri, sensualità che sprigiona forza brulicante di luce, faville in mille traiettorie che incendiano questi micro macro mondi che bruciano nel fuoco del vero amore. Neo sacerdotessa di una antica Via, assetata di nuovi indizi, Arianna Ruffinengo ricerca e trova ovunque tracce di questa forza e come novella alchimista, dei suoi quadri ne fa preziosi appunti, indicazioni e tracce come una mappa del tesoro…la sorgente di vita. Enfasi a parte, questa è la chiave per interpretare i quadri di Arianna. Mi pongo davanti ad essi sospendendo il giudizio, come un tuffatore sulla piattaforma, faccio silenzio dentro di me alla ricerca del giusto momento…della giusta sintonica vibrazione per tuffarmi nel quadro….o è il quadro che si tuffa in me? 131
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Bronx Bull - Anonimo Scultura in legno Size:Â 95 x 95 cm
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Do The Right Wall - Anonimo Size: 180 x 120 cm
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BattLE FIELD - flyCat Anno: 2010 Size: 100 x 150 cm
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Flycat
Incontra la Cultura Hip Hop e l’arte Spray agli inizi degli anni ‘80, nello stesso periodo conosce il maestro newyorkese A-One (noto esponente con Basquiat e Rammellzee dell’avanguardia newyorkese, scomparso nel 2001) a Milano, il quale gli insegna quelle che saranno poi le fondamenta sulle quali Flycat svilupperà il suo stile di pittura. Ora Flycat è riconosciuto come personaggio di spicco del panorama Hip Hop/Spray Art a livello internazionale. Fly diviene ben presto una figura importante nel troppo spesso difficile rapporto tra Arte underground e Media. Nel 1991 l’incontro con il pioniere della Spray Art di New York: Phase 2, che segnerà notevolmente il suo successivo sviluppo artistico. Dal 1995 entra a far parte ufficialmente del Movimento culturale-artistico Chicano di East Los Angeles, California, dove trascorre ogni anno un lungo periodo, collaborando con alcuni tra i più noti artisti quali il pittore “Chaz Bojorquez”di cui diviene allievo, il poeta-scrittore “Luis J. Rodriguez” ed il fotografo-regista “Estevan Oriol”. Ha realizzato diverse produzioni musicali rap; l’ultimo album dal titolo “Our Sign” uscito nel 2006, registrato interamente a Los Angeles, prodotto dalla nota formazione hip hop californiana The Psycho Realm-Sick Symphonies, cosi entrandone ufficialmente a farne parte come unico membro di provenienza europea-italiana. Dal 2008 inizia la collaborazione con il Ministero della Gioventù atta a creare un tavolo tecnico sull’Arte Urbana. La forte carica emotiva che ha sempre contraddistinto Flycat lo ha portato al di là di quelli che possono essere gli schemi pre-definiti dell’arte spray, collaborando con diversi artisti appartenenti ad altrettanti diversi modi di “creare”, spaziando così dalla fotografia alla grafica, dalla musica alla poesia, al giornalismo, dal design alla video-art e alla moda. Flycat nel 2010 viene insignito del grado di “Ikonoklast Panzerist” e nominato Y-1 dal Gran Maestro RammellZee.
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La Hardcore - RaptUz Size: 100 x 100 cm
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Raptuz
La sua pittura riflette un’esistenza sempre più sofferta, propria dell’epoca moderna, instaurando stretti rapporti con il linguaggio informale e con il cromatismo di Pollock. L’informale non è tanto nel segno quanto nella materia che richiama la rugosità del muro grezzo, risolvendosi nel gesto costruente, forte e con colori che si accendono di una carica simbolica. L’ispirazione maggiore viene dalla strada e dalla sua storia. Elementi grafici, figurativi, scritte quasi propagandistiche, segni, gesti, sfumature e sovrapposizioni coesistono come elementi in diverso rapporto tra loro, parte di un mondo personale, infinitamente variabile interpretabile secondo molteplici prospettive.
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Rusty Cleo - MambO
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Genialità Ritratta - Falanga Anno: 2009 Smalto su tela Size: 100 x 150 cm
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Credits
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Coordinamento Tecnico Esposizione................................Jacob Kovo Graphic Designer ......................................................... Marlon Saglia Webmaster .................................................................. Matteo Magni Editor Supervisor.................................................. Elisabetta Facchini
Per contatti ed ulteriori informazioni contattateci: Consorzio FIA, Fabbrica di Idee ed Azioni
Blocco 1B Galleria B, 159/161 40050 Funo (BO) Tel. +39 051863192 Fax +39 051862045 Email: info@consorziofia.it Web: www.consorziofia.it