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TNM N° 21 • MARZO 2013 • PERIODICO MENSILE

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M I L I T A R Y • L A W ENFORCEMENT • SECURITY

OPERATION REPORT LA PAPERA PERDUTA

INTERVISTA AL COMANDANTE GLI ARDITI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE UNA GIORNATA PARTICOLARE AL GELO CON GLI ONO INCURSORI DEL N

E L A I C E P S

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EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE

XI° REPARTO

D’ASSALTO

Cari amici di TNM, è vero che i nostri lettori, quelli più fedeli e sono tanti, hanno la pazienza di Giobbe, o forse per dirla usando toni a noi più consoni, hanno una pazienza da “sniper”. Però io credo e sono sicuro che le loro attese, alla fine, vengono premiate e questo numero di marzo ne è la testimonianza. Ebbene si, siamo ritornati con i nostri amici del 9° “Col Moschin”, un grande onore e un grande privilegio che pochi hanno. In questo numero speciale – vi avverto è solo l’antipasto di una cena regale che avverrà più avanti – abbiamo avvicinato il meglio che il nostro Paese produce in fatto di soldati. E noi siamo orgogliosi di loro e fieri di ciò che fanno ogni giorno, non solo in missione, ma proprio ogni santo giorno della loro vita. Abbiamo scoperto ben tre volti di questo mitico reparto: quello storico con un articolo sugli Arditi, uno umano e uno tecnico. Il secondo aspetto – quello forse meno indagato da altre riviste – vuole restituire la giusta immagine di questi uomini i quali, lungi dall’essere dei “Rambo”, hanno una componete umana fuori dal comune che certamente eguaglia, e molte volte supera, la loro competenza in materia militare. Un particolare ringraziamento va al comandante di reparto, il quale ci ha generosamente concesso un’importante intervista, e a tutto il suo staff, infine una stretta di mano a tutti i ragazzi che ci hanno accolto con rispetto e che, spero, ci aspetteranno per un successivo servizio. Noi di TNM ci saremo… voi lettori… anche! Mirko Gargiulo (Direttore editoriale)


RIALE EDITORIALE


INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE IND

2 EDITORIALE 6 NEWS 16 HOT POINT 20 TEST BY TNM DUE VOLTE VIPERA

26 SPECIALE COL MOSCHIN

• INCURSORI: IERI E OGGI • FERT • UNA GIORNATA MOLTO PARTICOLARE • AL GELO CON GLI INCURSORI DEL IX • INTERVISTA AL COMANDANTE DEL IX° REGGIMENTO D’ASSALTO “COL MOSCHIN” COLONNELLO ROBERTO VANNACCI

88 FIRE TEST ADC ITALIAN BLACK RIFLE EDITION 2013

100 BOOK 102 LAW AREA IL POSSESSO INGIUSTIFICATO DI CHIAVI ALTERATE O GRIMALDELLI 1° PARTE

108 LONG RANGE SHOOTING LA SCELTA DEL RETICOLO

120 SITUATION REPORTS A CASA... SPERIAMO PER SEMPRE

124 OPERATION REPORT LA PAPERA PERDUTA


CE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDIC Military - Law Enforcement - Security n°21 - marzo 2013 - mensile www.tacticalnewsmagazine.it Direttore responsabile Marco Alberini marco.alberini@tacticalnewsmagazine.eu Direttore editoriale Mirko Gargiulo mirko.gargiulo@tacticalnewsmagazine.it Capo redattore Paolo Palumbo redazionetnm@tacticalnewsmagazine.eu Direttore commerciale Giovanni Petretta giovanni.petretta@tacticalnewsmagazine.it Art director Matteo Tamburrino tambetti@gmail.com facebook: mt@work Impaginazione echocommunication.eu Corrispondente dagli Stati Uniti Jae Gillentine Pubblicità redazione@tacticalnewsmagazine.eu Collaboratori Gianluca Favro, Gianluca Sciorilli, Fabio Rossi, Marco Sereno Bandioli, Giovanni Di Gregorio, Marco Strano, Mario Leone Piccinni, Marco Buschini, Michele Farinetti, Ovidio Di Gianfilippo, Sergio Giacoia, Alberto Saini, Lorenzo Prodan, Daniel Piga, Paolo Palumbo, Daniel Sharon, Norbert Ciano, Gogo della Luna, Luca Munareto, Davide Pisenti, Alessandro Zanin, Giuseppe Marino, Rocco Pacella, Bartosz Szolucha, Guns & Tactics, Jeremy Pagan, Giuliano Palazzo, Jacopo Guarino, Paolo Grandis Fotografie ISAF, Department of Defense, Stato Maggiore Esercito, U.S. Navy, NATO Multimedia, The National, Command Special Naval Warfare, Onu Media Press, Michele Farinetti, Marco Buschini, Marco Alberini, Norbert Ciano, Davide Pisenti, Jhon Campo, Stickman Periodico mensile edito da: CORNO EDITORE Piazza della Repubblica n. 6 20090 Segrate - Milano - P.IVA 07132540969 Stampa Postel SpA Via Carlo Spinola, 11 - 00154 Roma Distributore Pieroni Distribuzione Srl Via Vittorio Veneto 28 - 20124 Milano Registrazione Tribunale di Milano n.509 del 27 settembre 2010 Iscrizione al ROC 20844 Partner:

Tutti i diritti di proprietà letteraria, artistica e fotografica sono riservati, ne è vietata dunque ogni duplicazione senza il consenso scritto della Corno Editore


A CURA DI MARCO ALBERINI

SIRIA, LA FRANCIA TOGLIERÀ L’EMBARGO PER ARMARE I RIBELLI Francia e Regno Unito chiederanno di anticipare la prossima riunione dell’Unione europea per togliere l’embargo sulle armi alla Siria. In caso di assenza di unanimità forniranno da sole, a titolo nazionale, gli armamenti ai ribelli. Lo ha dichiaato il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, parlando alla radio France Info: “La nostra posizione è di chiedere di togliere l’embargo affinché i ribelli abbiano la possibilità di difendersi. Russia e Cina armano Bashar al-Assad. Non possiamo accettare questo squilibrio. Se la richiesta non fosse accettata, la Francia è uno Stato sovrano”.Se armare i ribelli è l’unica soluzione possibile per Parigi, la comunità internazionale nutre timori per il ruolo che potrebbe giocare al-Nusra, l’ala più estrema dei ribelli siriani. Gli Stati Uniti la considerano una organizzazione terroristica, mentre i membri dell’opposizione siriana ritengono che sia un alleato importante nella lotta contro il regime.

MALI: NUOVA STRATEGIA STATUNITENSE NELLA “GUERRA AL TERRORE” Si sta intensificando il ruolo degli Stati Uniti nella guerra in Mali contro i gruppi jihadisti “terroristi”, guidata dalla Francia. Lo scrive il Wall Street Journal, precisando che i droni Reaper che sorvolano il Mali hanno fornito informazioni di intelligence utili per circa 60 incursioni aeree francesi condotte negli ultimi giorni nella regione montuosa nordorientale del paese. Secondo il quotidiano statunitense, il nuovo accordo prevede che il Pentagono e i servizi statunitensi forniscano a Parigi tutte le informazioni dettagliate sui possibili obiettivi da colpire. “L’intesa rappresenta un test per la nuova strategia del presidente Barack Obama di fronte alla minaccia crescente del terrorismo in Africa. Anziché mandare truppe terrestri e droni armati per intervenire direttamente, gli Usa forniranno, laddove possibile, un sostegno logistico, tecnico e di intelligence per aiutare i partner locali e regionali” si legge nel giornale. Il ruolo degli Stati Uniti nella crisi in Mali, che non rappresenta una minaccia diretta alla nazione americana, è stato al centro di dibattiti tra i servizi segreti, l’amministrazione Usa e consiglieri legali. Il rischio, hanno sottolineato alcuni esperti, è che gli Stati Uniti diventino co-responsabili della guerra in atto contro Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) e che gli interessi americani nella regione possano diventare obiettivi del gruppo radicale. Prima del colpo di Stato dello scorso marzo il Mali era un fedele alleato di Washington nella lotta al terrorismo in Africa. La nuova guerra contro i “terroristi” che nel nord del Mali erano riusciti a stabilire solide basi ha riportato la collaborazione ai massimi livelli in apparente sintonia con la Francia, l’ex potenza colonizzatrice che sta riconquistando, con il pretesto dell’aiuto militare, l’influenza persa finora. TNM ••• 6


COLOMBIA: RIPRENDE IL NEGOZIATO TRA OMAGGI A CHÁVEZ E NUOVE PROPOSTE Le Farc (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) si sono riunite il 12 marzo a Cuba con il governo colombiano per riprendere il negoziato di pace, con un tributo al defunto presidente del Venezuela, Hugo Chávez, e una nuova serie di proposte sul diritto alla terra delle comunità indigene e afrodiscendenti. Al suo arrivo al Palacio de Convenciones all’Avana, sede permanente dei colloqui tra le parti, la guerriglia ha nuovamente reso omaggio a Chávez, definendolo “presidente della pace e della fratellanza latino-caraibica”. “La delegazione di pace e l’insieme delle Farc sono in lutto, che si converte in forza morale per continuare ad andare avanti”, recita un comunicato letto dal guerrigliero Seuxis Paucias Hernández, alias ‘Jesús Santrich’. Dopo una settimana di sosta, le Farc sono tornate al tavole delle trattative con otto nuove proposte sulla questione della terra, primo punto dell’agenda del negoziato, questa volta relative al riconoscimento del diritto alla terra delle comunità indigene e afrodiscendenti. I ribelli chiedono garanzie sul diritto alla terra per questi due gruppi, così come la risoluzione immediata delle loro aspirazioni territoriali e la sostenibilità ambientale delle zone in cui risiedono. Esigono inoltre che la figura dei territori colombiani interetnici e interculturali venga costituzionalizzata negli stessi termini che già esistono per i territori indigeni e afrodiscendenti. Per tali territori pretendono finanziamenti statali con risorse provenienti dal sistema generale delle partecipazioni e delle royalties e da una percentuale fissa del bilancio della nazione, tra le altre proposte. Come di norma, i delegati del presidente Juan Manuel Santos non hanno rilasciato dichiarazioni alla stampa al momento del loro arrivo al Palacio de Convenciones. Il precedente round di colloqui è stato caratterizzato da un cauto ottimismo circa il raggiungimento di alcuni accordi specifici sulla questione della terra. Ciononostante, il congresso colombiano continua ad avvertire governo e guerriglieri: “Devono firmare un accordo definitivo per porre fino al conflitto armato entro il prossimo luglio”. Il congresso dovrà ratificare questi accordi entro il termine di questa legislatura, poiché nel primo semestre del 2014 in Colombia si terranno le elezioni legislative e presidenziali. Ci si aspetta che le parti inizieranno a breve a discutere del secondo punto del negoziato, relativo alla partecipazione politica della guerriglia. Gli altri tre punti sono ruolo futuro della guerriglia nella vita politica, lotta al narcotraffico e compensazione delle vittime del conflitto. Iniziato ufficialmente lo scorso 18 ottobre a Hurdal, una località a 80 chilometri a nord di Oslo, in Norvegia, il negoziato di pace si è trasferito come da programma all’Avana – che sarà la sede permanente dei colloqui – che ha già ospitato gli incontri bilaterali conclusi con un accordo per avviare le trattative.

SIRIA: LA GUERRA RISCHIA DI CANCELLARE UN’INTERA GENERAZIONE Rischia di perdere un’intera generazione la Siria, a causa del conflitto, perché i bambini di oggi non conoscono nulla, a parte la guerra e la violenza. E’ scritto nell’ultimo rapporto dell’Unicef di qualche giorno fa e lo conferma l’ultimo dossier di Save the Children, pubblicato martedì. Ha attecchito anche in Siria, infatti, l’odiosa pratica dei bambini soldato: fanno le guardie, i facchini, gli informatori e “lavorano” per entrambe le parti del conflitto, lealisti e oppositori.Quando imbracciano un’arma e combattono sono motivo di orgoglio per le famiglie. Ma molti vengono reclutati anche come scudi umani. Hanno smesso di andare a scuola: o perché sono ufficialmente rifugiati o perché gli edifici sono stati distrutti. Tre su quattro hanno perso una persona cara e la gran parte ha subito violenza, fisica o psicologica. Che siano rimasti in patria o siano fuggiti, sono poveri: le famiglie faticano a procacciarsi il cibo, le condizioni igieniche sono carenti e la gran parte di loro è a rischio di contrarre malattie. Il rapporto li definisce “vittime dimenticate davanti alla morte e alla sofferenza”.


AFGHANISTAN: TALEBANI E AMERICANI… PER KARZAI VOGLIONO ENTRAMBI UN PAESE INSTABILE Tutti colpevoli di offuscare il futuro dell’Afghanistan e di far crescere le preoccupazioni su quanto accadrà dopo il 2014: è questo il “verdetto” del presidente afghano Hamid Karzai che sul banco degli imputati e con pari responsabilità ha piazzato i nemici talebani ma anche gli amici americani. Lo spunto colto da Karzai è stato dato dagli attentati suicidi che sabato hanno colpito Kabul e Khost lasciando 19 vittime civili tra cui molti bambini. Fatti che pur in un Afghanistan uso alla violenza hanno colpito l’opinione pubblica tanto da costringere gli stessi talebani a smentire un loro coinvolgimento. Karzai ha annullato una conferenza stampa programmata insieme al segretario alla Difesa americano Chuck Hagel e ci è andato giù duro accusando i talebani di voler prolungare in questo modo la permanenza di truppe straniere anche oltre il 2014, anno in cui dovrebbe invece essere previsto il ritiro delle truppe straniere operative. Ma Karzai e il governo afghano sono ormai da tempo anche in relazioni critiche con gli Stati Uniti per le vittime civili causate dai raid aerei, per le vicende legate alla prigione di Bagram e per le azioni delle forze speciali americane nella provincia di Wardak. Nel suo intervento, trasmesso in televisione, Karzai ha esplicitamente accusato talebani e americani di voler convincere gli afghani che la situazione peggiorerà ulteriormente dopo il 2014. Inevitabile una reazione ufficiale del comandante delle forze Nato nel paese, il generale Joseph Dunford, secondo cui la coalizione internazionale ha subito fin troppe perdite negli ultimi 12 anni per pensare che un paese instabile possa costituire un vantaggio. Attualmente in Afghanistan sono presenti 66.000 militari statunitensi che scenderanno a 34.000 entro gli inizi del prossimo anno. Il numero di truppe internazionali che restareà in Afghanistan dopo il 2014 deve uinvece ancora essere stabilito. rappresentanti di Norvegia e Cuba come paesi garanti, e Venezuela e Cile, come paesi accompagnanti. TNM ••• 8

GAZA: HAMAS OFFRE AMNISTIA AI COLLABORAZIONISTI DI ISRAELE Hamas ha offerto l’amnistia ai collaborazionisti di Israele, i cui atti sono punibili con la morte, che si consegnano alle autorità della Striscia di Gaza entro il prossimo 11 aprile. Lo rivela l’agenzia di stampa palestinese Ma’an, che cita funzionari della sicurezza del Movimento di Resistenza Islamico secondo i quali i collaborazionisti che rispetteranno questo termine non saranno né arrestati né interrogati. Inoltre, le loro famiglie riceveranno una sovvenzione mensile dai ministeri degli Affari sociali e dell’Interno. Da quando Hamas è arrivato al potere a Gaza, nel giugno del 2007, i tribunali dell’enclave hanno emesso 30 condanne a morte, i cui destinatari sono stati in maggioranza collaborazionisti. Durante l’operazione militare israeliana contro Gaza lo scorso novembre, sei uomini accusati di collaborare con Israele sono stati giustiziati e il corpo di uno di loro è stato legato con delle corde ad una motocicletta e trascinato per le strade del centro di Gaza.


STATI UNITI: TAGLI AL BILANCIO, RIDOTTA LA PRESENZA MILITARE NEL GOLFO PERSICO FINANCIAL TIMES: IRAQ, GLI USA HANNO VINTO LA GUERRA, L’IRAN LA PACE, LA TURCHIA I CONTRATTI Iraq. Seicentomila vittime. Per una guerra in nome del petrolio. A dieci anni dal conflitto che ha deposto il regime di Saddam sconvolgendo la culla della civiltà mondiale, il Financial Times delinea uno scenario politico economico per nulla scontato. Ad una ricostruzione latitante si abbina un’evoluzione che attesta fedelmente le difficoltà e lo spaesamento in cui il grande impero americano pare definitivamente arenato: a due anni dal ritiro delle truppe americane, più di 800 miliardi di dollari spesi (fonte Congressional Budget Service) e 4.500 soldati statunitensi morti, Bagdad, gradualmente, è scivolata sotto l’egida politica sciita iraniana con un mercato interno risucchiato dalla vorace produzione della ruspante Turchia. Secondo l’autorevole quotidiano finanziario londinese (tra i più antichi e letti al mondo) l’Iraq nel 2012 è diventato per la Turchia il secondo paese dopo la Germania in termini di esportazioni fruttando ad Ankara ben 10,8 miliardi di dollari. Con una crescita rispetto all’anno precedente di oltre il 25%. I progetti di ricostruzione hanno portato contrattri ad anziende private turche per oltre 3,8 miliardi di dollari. Mentre l’Iran gode della sua massima influenza politica sul paese, la Turchia ha invaso i piccoli grandi mercati iracheni con la presenza dei suoi prodotti artigianali e industriali. Paradossalmente con la regione indipendente curda in testa. Il primo ministro iracheno Nour Al-Maliki, pedina predisposta dagli americani al termine del conflitto, ha dichiarato la Turchia paese ostile nel tentativo di porre freno al fenomeno. Ma il duro scambio di accuse, che ha visto il premier Erdogan accusare di settarismo il collega iracheno, al momento pare restare sulla carta.

L’entrata in vigore del ‘fiscal cliff’, o precipizio fiscale, negli Stati Uniti ha obbligato il Pentagono a ridurre la sua presenza militare nel Golfo Persico, una misura che secondo il nuovo segretario della Difesa Chuck Hagel “mette a rischio la nostra capacità di compiere missioni”. Dal 1° marzo fino al prossimo settembre, Washington dovrà imporre una serie di interventi economici che ridurranno il bilancio federale per il 2013 di 65 miliardi di euro. Circa la metà dei tagli al bilancio, 35,3 miliardi di euro, interesserà il settore militare, cosa che muterà i piani del Pentagono per il dispiegamento navale statunitense nel mondo, iniziando da una forte riduzione della presenza delle portaerei nel Golfo Persico. Il Pentagono aveva previsto di inviare due delle sue dieci portaerei nel Golfo Persico; ma, con l’entrata in vigore dei tagli, ne salperà solo una diretta in questa zona. Hagel ha annunciato che, nel tentativo di compensare questi tagli, quattro divisioni dei marines “gradualmente” cesseranno di volare. Anche l’aviazione ridurrà le sue ore di volo, mentre l’esercito di terra diminuirà gli addestramenti, “eccetto quelli delle unità dispiegate in Afghanistan”.


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L A D E I NOTIZ N A T S H K KYRZA NE

LA REDAZIO

A CURA DEL

a comunità internazionale è andata nel pallone quando il Segretario di Stato Americano ha inavvertitamente tirato fuori il paese del Kyrzakhstan. Fior di analisti, dall’Artico all’Oceania, alla ricerca di spiegazioni credibili, ancora non sono in grado di indicare l’esatta ubicazione geografica di questo misterioso paese misterioso. La CIA dice che “è da qualche parte in Asia Centrale”. Per avvantaggiarsi nel lavoro, il neo capo della CIA John Brennan, ha già messo insieme una flotta di droni armati per raccogliere informazioni sulle sospette attività terroristiche del

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Kyrzakhstan. Sebbene in linea con la politica a “doppio binario” utilizzata

IL SEGRETARIO GENERALE DELLA NATO, ANDERS FOGH-RASMUSSEN, HA GIÀ INVITATO IL KYRZAKHSTAN AD ENTRARE NELLA NATO

per l’Iran, pare che Brennan stia per sfruttare le qualità cinematografiche del produttore Clooney e del regista Affleck, per una trama che ricorda

vagamente quella della pellicola vincitrice dell’Oscar, “Argo”, facendoli infiltrare nel Kyrzakhstan camuffati da troupe cinematografica per girare un film sui successi di Alessandro Il Grande in Asia Centrale. Quando Kerry, alla vigilia del suo primo viaggio internazionale in veste di segretario di stato, lodò i diplomatici statunitensi impegnati nel consolidamento delle “istituzioni democratiche” nel Kyrzakhstan, non immaginava minimamente quale tempesta si stava preparando all’orizzonte. Soprattutto perchè fonti interne dell’isolata repubblica avevano testardamente deciso di restare muti come pesci.


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Ad Almaty, in Kazakistan – dove i P5 + 1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, più la Germania) sono stai recentemente impegnati al tavolo dei negoziati con l’Iran – i diplomatici sono stati deliberatamente evasivi. Fonti dell’Unione Europea hanno detto che se il Kyrzakhstan continuerà ad ostacolare il desiderio della comunità internazionale di una maggiore trasparenza – ad esempio rifiutando di abbandonare il suo

programma di massima segretezza - l’Unione Europea sarà costretta ad adottare sanzioni commerciali e bancarie, dietro suggerimento di Washington nel suo usuale ruolo “da dietro le quinte”. Fonti del Kazakistan dalla capitale Astana hanno detto, “No, tutto questo non ci riguarda. Siamo un’economia stabile alla “gatto delle nevi”, che si prepara a raggiungere uno status di valenza mondiale. Abbiamo molto petrolio e stiamo facendo tanti buoni affari con Russia e Cina, e anche con il Grande petroliere, gli Stati Uniti. Siamo puliti. Tutto questo ci sembra un tentativo di destabilizzazione

del nostro paese”. Per parte sua, il Kyrgyzstan – una naziona chiusa tra altre vicine, con 5 milioni e mezzo di persone, conosciuto anche come la “Svizzera dell’Asia Centrale” – non sembra rispondere alle chiamate, né dalla capitale Bishkek e né dalle missioni estere. Il Kyrgyzstan è un alleato cruciale nella GWOT (Global War on Terror) condotta dagli USA, concentrata in Afganistan; nel 2011, secondo gli ultimi dati disponibili, il Kyrgyzstan ha ottenuto la strabiliante somma di 41milioni di dollari americani di aiuti. Il Kyrgyzstan è stato definito dai media come fulcro della spinta democratica promossa dagli USA in Asia Centrale. E’ stata la culla della Rivoluzione “Tulip” nel 2005, TNM ••• 17


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ma anche della contro-rivoluzione Tulip nel 2010; tutto questo ha poi condotto alle elezioni nel 2011. Washington e Mosca tuttora si contendono il “controllo” di Bishkek. Secondo alcuni analisti energetici, il Kyrzakhstan, invece, è tutt’altra storia. Possederebbe le più vaste riserve di petrolio e gas naturale ancora non esplorate del mondo; destinato quindi a diventare la pedina pù ambita nel Nuovo Grande Gioco in Eurasia.

Altri paesi dal finale “stan” sono già impegnati in una lobby per convincere il Kyrzakhstan a unirsi all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, su caloroso invito di Pechino e Mosca. Tutto sembra concorrere a favore di un rapido accoglimento della richiesta da parte del Kyrzakhstan, tanto da farla passare avanti ad altre richieste precedentemente presentate da Iran, Pakistan e India. Sollecitato dalla comunità internazionale, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si riunisce nelle prossime settimane in sessione speciale per deliberare sul Kyrzakhstan. Il clima è ottimistico; ma se l’isolata

repubblica insiste nel restare invisibile, potrà essere colpita da pesanti sanzioni e etichettata come “stato ostile”, attraversando così la linea rossa stabilita dai membri permanenti di Russia e Cina nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Nel Medio Oriente, la Coalizione Nazionale Siriana non perde tempo e ha già predisposto in men che non si dica una delegazione in visita nel Kyrzakhstan, per chiedere armi per i ribelli siriani, che vanno ad aggiungersi a quelle già acquistate dai Sauditi, spedite attraverso la Croazia. Al-Jazeera sta già preparando uno special, gentilmente offerto dallo Sheikh Yusuf al-Qaradawi, per presentare il Kyrzakhstan al mondo. Nel frattempo Kerry ha intrapreso un tour Europeo/Mediorientale che lo porterà nel Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Turchia, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar. Non è prevista però alcuna tappa nel nel Kyrzakhstan.

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TNM N°17 • LUGLIO-AGOSTO 2012

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In un articolo che sarà pubblicato nella prossima edizione di Foreigh Affairs, Zbigniew Brzezinski afferma che un oleodotto che va dal Kyrzakhstan ai mercati occidentali, bypassando sia Russia sia Iran, diventerà la priorità numero uno nel “pivoting” asiatico dell’Amministrazione Obama. Il Segretario Generale della NATO, Anders Fogh-Rasmussen, ha già invitato il Kyrzakhstan ad entrare nella NATO – che presto sarà disoccupata in Afganistan. Rasmussen avrebbe detto “La nostra missione è quella di difendere il popolo del Kyrzakhstan prima che questo paese diventi un rifugio di terroristi. Il tempo corre”. “Se il Kyrzakhstan non dovesse

accettare” ha detto Rasmussen “sul tavolo sono aperte tutte le opzioni”, nel senso che si potrà considerare anche l’istituzione di una no-fly zone sul misterioso paese.

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DI JACOPO GUARINO - TADPOLES TACTICS FOTOGRAFIE DI PIERANGELO TIMOLINA olti conoscono, o indossano già, uno dei più fortunati prodotti della linea di abbigliamento tecnico di SOD Gear, la combat jacket denominata “Vipera”. Il progetto di questo giaccone termico antivento da combattimento è nato per offrire al mercato professionale un capo in grado di garantire ottime prestazioni termiche, di traspirabilità e resistenza all’usura. Gli obiettivi prefissati sono stati tutti raggiunti e, in un certo senso, superati in termini di prestazioni, ma questo non ha fermato lo sviluppo della linea di abbigliamento, che oggi vede disponibile per tutto il mercato la nuova SOD Shell - Vipera 2 Combat Pro.

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Il successo ottenuto dal Vipera, sia per un utilizzo come combat jacket che come field jacket, lo ha portato ad essere oggi adottato praticamente da tutte le unità di forze speciali italiane: questo onore, come sempre, è accompagnato anche dall’onere di dover essere in ogni momento all’altezza delle aspettative, ma anche di dover prestare massima attenzione ai feedback o alle richieste di evoluzione da parte degli utilizzatori finali. Proprio per andare incontro ad alcune necessità specifiche dei reparti che lo utilizzano, è nata l’evoluzione oggi denominata Vipera 2: questa versione, infatti, non sostituisce ma affianca quanto già disponibile, e la scelta tra le due versioni è discriminata dalle reali necessità

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Sul petto sono stati ricavati etrici, due tasconi simm i di ampie dimension e apribili sia rso verso l’alto che ve il basso


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Il Vipera 2 è fornito di due tasche sulle maniche, all’altezza del bicipite e sull’avambraccio.

dell’utilizzatore finale. In termini generali, questo nuovo giaccone antivento da combattimento nasce, esattamente come il predecessore, per essere utilizzato sopra pochi base layer, a seconda dell’ambiente di utilizzo: le prestazioni termiche, infatti, garantite dal guscio interamente rivestito di una speciale trama di Cordura, unite alle spiccate doti di traspirabilità, lo rendono un capo estremamente confortevole e affidabile. I rinforzi in Cordura 500 rendono l’esterno del giaccone incredibilmente resistente e durevole, e allo stesso tempo la struttura nel suo complesso garantisce a chi lo indossa di rimanere asciutto e fresco, poiché la traspirazione segue un andamento dall’interno verso l’esterno. Nel tempo, i feedback ricevuti suggerivano un deciso aumento di tasche e tasconi: per questo motivo il Vipera 2 è fornito di due tasche sulle maniche, all’altezza del bicipite e sull’avambraccio. La prima, di notevoli dimensioni e forma asimmetrica, è chiusa mediante una robusta cerniera YKK e ricoperta, all’esterno, di uno strato di velcro per l’applicazione di patches; questo spazio risulta molto utile per lo storage di mappe, documenti, device elettronici o altro. La seconda tasca, più piccola, ricavata sull’avambraccio, è dedicata ad ospitare piccoli oggetti a cui accedere comodamente ed in velocità. Le cerniere dedicate a queste tasche, come tutte le altre presenti sul giaccone, oltre ad essere in pattern, sono dotate di un cordino che ne semplifica l’apertura anche indossando guanti o in ambienti a temperature molto basse che pregiudicano

la sensibilità delle dita. Sul petto sono stati ricavati due tasconi simmetrici, di ampie dimensioni e apribili sia verso l’alto che verso il basso: l’interno degli stessi è rivestito da una morbida struttura a rete e sono presenti piccoli alloggiamenti dedicati a oggetti dalle dimensioni minute o che necessitino di una separazione dal resto del contenuto. Il giaccone, inoltre, al suo interno dispone di due ulteriori tasche con chiusura a velcro e di due anelli in paracord per l’aggancio in sicurezza o il vincolo di quanto riposto. Data la destinazione d’uso del Vipera 2, è stata ricavata anche una tasca posteriore, accessibile sia da destra che da sinistra, da utilizzare quando gli spazi ricavati sul petto non sono accessibili a causa di eventuali protezioni balistiche, chest rig o altro equipaggiamento. Per lo stesso motivo sono state previste due ampie aperture ascellari, regolabili con una cerniera, utili e pratiche per la respirazione del corpo. Un’altra novità importante e molto ben accetta è rappresentata dal nuovo disegno del cappuccio, oggi pretensionato con un elastico e quindi dal profilo molto più compatto quando a riposo sulle spalle: quando utilizzato, invece, lo stesso cappuccio risulta molto più aderente, garantendo maggiore mobilità, protezione termica e soprattutto campo visivo, anche durante la rotazione del capo. Il giaccone nel suo complesso risulta corto alla vita, e quindi rispettoso delle necessità di mobilità e di compatibilità con le diverse configurazioni di prima linea da combattimento: nonostante questo, sul posteriore è stato TNM ••• 23


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mantenuto un profilo più lungo per proteggere la schiena nella parte lombare quando, a capo indossato, ci si trova in posizione inginocchiata o rannicchiata (in ogni caso, nel bordo inferiore è annegato un cordino che permette un’ulteriore regolazione personale). Nelle foto a corredo, chi scrive, istruttore per Tadpoles Tactics (compagnia attiva nella formazione e ambasciatrice del marchio SOD Gear, utilizzato durante i corsi condotti in Italia e nel mondo) indossa un giaccone da combattimento Vipera 2 nella colorazione HCS, in contemporanea ad una prima linea di cintura molto alta con fondina per arma corta e porta caricatori: in questa configurazione le doti di mobilità e comodità del capo sono risultate di assoluto rilievo, così come la capacità termica dello stesso, in un ambiente a temperatura di congelamento. Segnaliamo, peraltro, che attualmente sono disponibili le colorazioni Black, HCS e Vegetato. Un precedente test autunnale, da noi effettuato prima della effettiva messa in commercio del Vipera 2, ha stressato il giaccone fino ai suoi limiti, mettendolo alla prova nei confronti dell’acqua: sebbene il capo qui presentato sia antivento e non antipioggia, la resistenza e l’impermeabilità garantite dal Cordura sono elevate. Solo una lunga permanenza sotto la pioggia o una forte intensità della stessa mettono in crisi il Vipera 2 e le sue cuciture non termosaldate. Quando questo succede, ed abbiamo avuto TNM ••• 24

modo di provarlo durante una delle brevi alluvioni che hanno interessato la capitale, l’acqua supera lo strato di Cordura e penetra fino a bagnare gli strati inferiori: a questo punto però, le altre doti del giaccone prevalgono, e la sua membrana interna crea un microclima che mantiene il corpo caldo, anche se umido, non disperdendo con l’acqua il calore. Questo aspetto non è assolutamente da sottovalutare, perché il vero nemico in un caso del genere è il freddo e non l’eventuale inumidimento degli strati inferiori. Il materiale di fabbricazione e la membrana interna, inoltre, canalizzando l’umidità e l’acqua verso l’esterno, garantiscono una velocità di asciugatura del capo impressionante. Con un cambio di base layer, che saggiamente trova sempre posto nello zaino, è possibile indossare nuovamente il Vipera 2 dopo un breve periodo di asciugatura e continuare l’operazione, la missione o il lavoro in corso. Non c’è da stupirsi, dunque, se questo prodotto di SOD Gear, come molti altri, è il riferimento per le unità delle forze speciali italiane, che hanno avuto modo di provarne la durabilità, la comodità e le ottime qualità necessarie durante un impiego pratico professionale. Pur non potendo entrare, per ovvi motivi, nei dettagli, possiamo in ogni caso anticipare che la famiglia “Vipera” è orientata ad ulteriori sviluppi nel breve futuro, e pronta ad allargarsi nuovamente. E anche noi siamo ansiosi di potervelo raccontare.

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ieri e oggi Per chi si occupa di storia, il sogno segreto o la fantasia più comune, è quella di poter viaggiare su una macchina del tempo, ciò nondimeno tutti sappiamo che non esiste e che l’unico modo per conoscere il nostro passato e immaginare il futuro è racchiuso nei libri. Lo storico ha dunque il vantaggio - grazie alla lettura e alla decodificazione dei documenti - di capire il passato, servendosi del presente, per immaginare il futuro; egli ha, per così dire, la capacità di tracciare una linea continua tra diverse epoche. La congiunzione tra presente e passato, soprattutto nella storia di un reparto militare, appare più evidente e salda che in altri settori. Le tradizioni sono, infatti, un aspetto fondante che forgia il carattere di un reggimento; ogni suo appartenente deve conoscere la storia della propria bandiera, altrimenti non potrà mai agire come un vero soldato. Per il 9° reggimento d’assalto la leggenda – come vedremo in questo speciale a loro dedicato – nasce durante il primo conflitto mondiale e porta il nome di “Arditi”. Sfogliando le pagine della loro storia, appare palese quale siano le “linee comuni” che connettono l’ardito di ieri e l’incursore di oggi. Tecnologia, uniformi, mezzi, addestramento sono cambiati, tuttavia l’animo e lo spirito di questi uomini è immutato, per lo meno è rimasta identica la loro volontà e il loro amore verso il Tricolore. Grazie alla gentile concessione dell’attuale comandate di reparto, pubblichiamo di seguito un decalogo, scritto nel 1918, dal generale Francesco Grazioli comandante un reparto di Arditi, il quale, se letto attentamente, pone in risalto quella continuità cui accennavamo sopra.


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Decalogo dell’ardito • Ardito! Il tuo nome esprime coraggio, forza e lealtà; la tua missione è la vittoria ad ogni costo. Sii orgoglioso di mostrare al mondo intero che al soldato italiano nessuno può resistere. Pensa ai tesori di affetti, di bellezza, di prosperità nazionali che difendi col tuo valore. Ciò infonderà nell’animo tuo una forza irresistibile. • Per vincere, numero ed armi non valgono; sopra ogni altra cosa vale disciplina e audacia. Disciplina è espressione di bellezza e di forza morale altissima. Audacia è volontà fredda e salda di imporre la tua superiorità al nemico, sempre ed ovunque. • La vittoria è al di là dell’ultima trincea del nemico, è nelle sue retrovie; per giungervi adopera violenza ed astuzia, né curare se nell’avanzata impetuosa, nuclei avversari ti restano alle spalle. Se il nemico ti aggira mantieni i nervi saldi ed aggiralo a tua volta. • Cerca di comprendere sempre quanto accade nella battaglia ed accorri in aiuto dei compagni sopraffatti. Quando ti accorgi che la situazione vacilla, gettati avanti, punta dritto davanti a te. • Nell’assalto usa la bomba ed il pugnale, vere armi dell’ardito; nella difesa del terreno conquistato, il moschetto e la mitragliatrice. Difendi le tue mitragliatrici se vuoi che esse ti difendano. Copri il rumore della valanga nemica che avanza al canto delle tue mitragliatrici. A quel canto vedrai la valanga disperdersi e il nemico cadere come messe falciata. • Se giungi sulle retrovie nemiche gettavi lo scompiglio ed il terrore; allora un ardito può valere cento uomini; un ardito italiano mille soldati nemici. • Il timore che ispiri all’avversario è la tua arma più potente; sappi mantenere alta la tua fama. Sii feroce col nemico finché è in piedi; sii generoso con lui soltanto quando è caduto. • Se rimani ferito o disperso è tuo debito d’onore dar notizie di te al tuo reparto e far l’impossibile per raggiungerlo. • Non desiderare altro premio al tuo valore che il sorriso delle belle donne d’Italia che avrai difeso col tuo coraggio. Esse ti copriranno di fiori e baceranno la tua fronte ardita allorché ritornerai vittorioso, fiero della tua maschia forza, figlio prediletto della più grande Italia. • Corri alla battaglia tu sei la più fulgida espressione del genio di nostra razza. Tutta la Patria segue come una scia luminosa la tua corsa eroica per l’assalto! Generale Francesco Grazioli Giugno 1918


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DI PAOLO PALUMBO

llo scoppio della guerra, nel 1915, la gente scendeva nelle piazze italiane convinta che sarebbe stata l’occasione per cambiare in meglio le sorti del paese. Rimanere seduti a guardare, o scendere in armi contro l’ex alleato austroungarico per riprendersi le terre irredente e concludere quello che le guerre risorgimentali avevano lasciato in sospeso? Sul volto dei soldati, che per primi lasciarono le loro famiglie per dirigersi a est, traspariva un misto tra paura ed esaltazione, era finalmente giunto il momento di regolare i conti con gli arroganti “imperiali”, stringere le mani ai fratelli del Trentino e bagnare i piedi nel mare di Trieste. Forse molti soldati credevano di affrontare grandi battaglie campali, come era successo durante le guerre d’indipendenza le quali, per certe caratteristiche avevano alcune reminiscenze napoleoniche. Gloria o morte, dunque, e pronti a mettere gli scarponi sul Carso e sulle alte cime delle Dolomiti laddove, come

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aquile silenti, vigilavano i soldati dell’Imperatore. La “gloriosa” guerra, sognata dai tanti ragazzi provenienti da tutta Italia, diede subito una forte delusione: dopo i primi mesi di relativo movimento tutto il fronte si impantanò nel fango e nella roccia carsica, i

CHE COSA SONO GLI ARDITI? SONO I FIGLI DELLE PATTUGLIE, DEGLI ASSALTI, DELLA GUERRA PIÙ CRUENTA E PIÙ FONDENTE, I PRIMI GIUNTI AL TRAGUARDO DELLA VITTORIA: L’ESPRESSIONE PIÙ PURA DEL CORAGGIO. SONO NATI NEL SOLCO DELLA TRINCEA SCAVATA DAL VOMERE DELLA VITTORIA. Ferruccio Vecchi, 1919

combattimenti si fermarono e tutti gli uomini furono ingoiati dalla terra, infossati in lunghe trincee che per molti sarebbero diventate tombe maleodoranti. Dal 1915 al 1917 l’uomo mostrò al mondo il suo lato più barbaro; gli stati maggiori, incapaci di uscire da quella situazione d’immobilità, lanciavano migliaia di soldati verso la morte solo per conquistare un lembo di suolo nella famigerata “terra di nessuno”. Anche i fanti che morivano erano “nessuno”, semplici macchie grigio verdi che nutrivano la terra con il loro sangue; ma qualcosa doveva cambiare, qualcuno doveva sollevare la testa: in un piccolo paesino nella provincia di Udine, Sdricca di Manzano, pochi uomini stavano per mutare le sorti delle battaglie. PUGNALE FRA I DENTI La guerra di trincea logorava i soldati, li privava della loro forza, ma ancora peggio, comprometteva il morale e la disciplina dei reparti. Le battaglie combattute sull’Isonzo avevano provato l’inadeguatezza del comando italiano; il generale Cadorna

era un macellaio e la fanteria la sua carne da macello: i ripetuti e inutili assalti italiani sulla linea dell’Isonzo si infrangevano davanti al fuoco delle mitragliatrici austriache e viceversa. Gli stati maggiori tedeschi e Imperial regi avevano già dimostrato l’efficacia in battaglia circa l’utilizzo di sparuti gruppi d’assalto i quali, operando indipendentemente dal battaglione, riuscivano ad infiltrarsi nelle linee nemiche. Se leggiamo l’immortale capolavoro dell’allora tenente Erwin Rommel, “Fanteria all’attacco”, possiamo comprendere quanto fossero devastanti le incursioni di questi piccole unità di combattenti specializzati. Fu così che presso il comando della II armata, il comandate generale Capello, il generale Grazioli, comandante della brigata Lambro, e il tenente colonello Bassi, istituirono - a Sdricca di Manzano, in provincia di Udine - il I reparto d’assalto. Agli ufficiali occorrevano soldati motivati, coraggiosi, armati ed equipaggiati in modo leggero per facilitarne la mobilità, ma soprattutto


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dovevano essere pochi elementi scelti, riuniti in gruppi ristretti e di facile comando. Nei reparti di fanteria esistevano già dei gruppi speciali, composti da uomini selezionati tra i più audaci e capaci, tuttavia i nuovi manipoli creati dal colonnello Bassi avevano qualcosa di diverso; il loro addestramento, ad esempio, mirava ad incanalarne l’irruenza, allontanandoli dal concetto di “morte passiva” che ormai attanagliava i colleghi delle trincee. Assalti e ancora assalti, gli arditi dovevano acquisire nuove tecniche di combattimento e di uso delle armi, dovevano diventare dei “professionisti” della guerra, analogamente ai loro pari delle truppe d’assalto tedesche. Era importante, dunque, per gli ufficiali italiani mantenere alto il morale di questi bravi ai quali fu concesso molto: prima cosa fra tutte, evitare la terribile vita di trincea. Ogni ardito poi vestiva una divisa diversa: un maglione, una giacca e i pantaloni all’alpina, considerati più comodi, non portavano zaini o ingombranti buffetterie; le fiamme nere, ostentate sul bavero,

li contraddistingueva dal resto dei reparti e tra di loro cominciava a maturare uno spirito di corpo senza eguali. L’ardito andava all’assalto non per puro spirito di dovere, ma perché fortemente determinato e sorretto da un addestramento particolare che esaltava l’iniziativa personale e un’aggressività, per alcuni, innata. Non a caso, alcuni detrattori del corpo, sostenevano che la violenza espressa dagli arditi nei loro attacchi, derivasse dalla loro fedina penale non sempre limpida. Lo storico Giorgio Rochat, nel suo libro dedicato alle imprese degli arditi, smonta in qualche modo la teoria secondo la quale gli arditi fossero in buona parte avanzi di galera. Effettivamente nei corpi d’assalto della II armata confluirono diversi militari con dei precedenti, tuttavia va ricordato che erano quasi tutti reati militari di entità diversa; chi a quel tempo nelle file dell’esercito non aveva qualche peccato da scontare? È, infatti, un grave errore parlare di “delinquenti” comuni; ciò nondimeno era vero che coloro i quali decidevano di arruolarsi nelle file dei

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pochi uomini – è bene ricordare l’esiguità del reparto – il I assaltatori riuscì ad espugnare tre linee di trincee nemiche, senza però che il grosso dei reparti di fanteria potesse seguirli giacché bloccati dal pressante fuoco dell’artiglieria imperiale. Effettivamente il primo impiego degli arditi fu davvero limitato rispetto alle aspettative che il reparto aveva attirato su di se. A livello tattico l’impegno degli uomini del colonnello Bassi fu sorprendente e SE NON CI CONOSCETE GUARDATECI IL MAGLIONE innovativo; pochi coraggiosi NOI SIAM LE FIAMME NERE DEL IX BATTAGLIONE. sloggiarono un numero BOMBE A MAN E CAREZZE COL PUGNAL! superiore di fanteria avversaria, tuttavia a livello raparti di assalto, potevano coercitivamente gli elementi strategico la furia delle fiamme nere non aveva usufruire di eventuali sconti migliori, o peggiori, da portato i risultati sperati. In inviare a Sdricca di della pena o di amnistie, primo luogo la velocità di Manzano. ma sempre per illeciti esecuzione espressa dagli commessi in divisa. Un arditi impediva ai reparti GLI ARDITI DEL IX secondo mito da sfatare di fanteria – più lenti e REPARTO riguardava l’esclusiva ingombranti – di sfruttare Il battesimo del fuoco dei forma “volontaria” di immediatamente i loro arruolamento negli arditi: la reparti di arditi accadde in precedenza era certamente occasione della sanguinosa successi; in seconda battuta il fatto che le azioni degli battaglia della Bainsizza riservata ai volontari, arditi non necessitassero dove vennero coinvolte la diversamente se le file dei di appoggio di artiglieria battaglioni languivano di prima (capitano Radicati) si ripercuoteva sulla uomini, la responsabilità e seconda compagnia fanteria che seguiva, la ricadeva sui comandati (capitano Porcari) del I quale rimaneva esposta dei reparti di fanteria reparto d’assalto. Grazie ai colpi mortali dei i quali selezionavano al coraggio di questi TNM ••• 30

cannoni austroungarici. Il coordinamento tra fanteria e reparti d’assalto faceva dunque difetto e sminuiva i risultati preziosi conseguiti dai “pochi” del colonello Bassi. La disfatta di Caporetto segnò uno spartiacque nella storia dell’esercito italiano: circa il comportamento degli arditi è certo che quest’ultimi ressero al limite delle loro forze, tuttavia nella fase finale cedettero anche loro al generale sconforto che aveva colto tutti i nostri reparti. Passato l’inferno del 1917 era arrivato il momento di una decisa riorganizzazione delle diverse brigate italiane, ivi compresi i reparti di arditi. La nuova organizzazione dell’esercito mise temporaneamente in secondo piano le Fiamme Nere: l’accrescimento della qualità della fanteria e la formazione all’interno della stessa di “plotoni di arditi reggimentali” ridimensionò in qualche la loro effettiva utilità. I battaglioni regolari ricevettero nuovi equipaggiamenti, armi più pesanti, ma soprattutto un addestramento più duro e meglio strutturato;


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senza contare poi che tra lo stato maggiore italiano alcuni nutrivano dei forti pregiudizi nei confronti di soldati “poco formali” e molto ribelli. Nella nuova riorganizzazione voluta dal generale Armando Diaz, gli arditi vennero inquadrati su tre compagnie di 150 uomini armati di moschetto, tre sezioni mitragliatrici, sei sezioni di pistole mitragliatrici e sei sezioni di lanciafiamme per un totale di circa 600 uomini. Questa totale revisione degli effettivi portò allo scioglimento e alla formazione di nuovi reparti: ad esempio il VI reparto – in carico alla 4. armata – diventò centro di raccolta di altri due contingenti, per poi essere assegnato al IX corpo d’armata e quindi rinumerato. Al neonato IX reparto arrivò una figura di spicco dell’esercito, il colonnello Giovanni Messe il

quale ottenne la fiducia dei suoi superiori e riorganizzò l’addestramento del nuovo corpo degli arditi. Il mese di giugno del 1918 rappresentò per il IX reparto il banco di prova più arduo: gli uomini del maggiore Messe espugnarono a colpi di pugnale e fuoco di mitragliatrice alcune posizioni austriache sul Fenilon e sul Col Moschin (supportati dai fanti della brigata “Basilicata”). In poche ore le Fiamme Nere fecero prigionieri 350 uomini e 25 ufficiali dell’85° Reggimento di Fanteria Imperiale; nel frattempo l’avanzata degli uomini della brigata Bari e della brigata Cremona avevano reso vano ogni tentativo di resistenza austriaca. Il IX reparto d’assalto continuò le sue gesta eroiche anche durante l’offensiva del Grappa in particolare sul monte Asolone e sul Col TNM ••• 31


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della Berretta dove furono annientati i temibili soldati bosniaci e i fanti del 44° Battaglione d’assalto ungherese. Con la fine della guerra coincise anche lo scioglimento del IX reparto che, negli ultimi giorni di combattimento, aveva il suo quartier generale a Risano (Udine): Il IX Reparto d’Assalto deve essere sciolto. Se come Battaglione non esisterà più nel fatto, esso esisterà sempre per il IX Corpo d’Armata, perché a lui si legano i fasti più belli della lotta che ha deciso l’annientamento del nemico. Miei Arditi! Non vi è pietra da Roccia Anzini all’Asolone e Col Bonato che non conosca l’impeto vostro. Io vi saluto a nome di tutto il Corpo d’Armata, fiero di serbarvi ancora tra i reparti arditi dei miei gloriosi reggimenti di fanteria. La voi aggiungerete nuovo vigore di vita e manterrete integre le eroiche tradizioni del vostro storico Reparto. Generale De Bono La lettera del generale italiano non segnò certamente la fine degli arditi i quali si ricostituirono nel 1919. Affrontare gli anni che seguirono ci porterebbe a parlare di argomenti più adatti a un saggio storico

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che ad un semplice articolo dedicato a questi giovani impavidi che tanto hanno fatto per l’unità del nostro Paese. Sarebbe troppo facile sprofondare nella retorica o, ancor peggio, in equivoci politici che tanto piacere farebbero ai detrattori che ancora oggi, purtroppo, etichettano “politicamente” il nostro esercito. Tanto per cambiare – negli anni Venti – l’ideale patriottico “puro e semplice” di questi ragazzi, che tornarono a casa dopo anni di dura e sanguinosa guerra, divenne oggetto di strumentalizzazione, trasformandosi in una micidiale arma politica. LE FONTI Per la scrittura di questo articolo mi sono avvalso di alcuni testi importanti sull’argomento, primo fra tutti il volume di Giorgio Rochat, Gli Arditi della Grande Guerra, (1981, Milano). Molti documenti sono stati riportati nel libro del Tenente Alberto Businelli, Gli Arditi del IX (riedizione del 2007, Milano) e nell’agevole volumetto di Bepi Magrin e Luciano Favero, Arditi sul Col Moschin. L’operazione Radetzki (Schio, 2011). Importante risulta anche la lettura di B. di Martino e F. Cappello, I reparti d’assalto italiani nella Grande Guerra, (Roma, 2007).


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a produzione cinematografica a sfondo militare è piena di titoli dedicati ad atti di eroismo e uomini speciali: dal mitico lungometraggio “Berretti Verdi”, che consacrava le gesta delle forze speciali americane in Vietnam, fino al recente “Act of Valor” dove la produzione si è spinta talmente oltre da impiegare, come attori, veri SEAL della marina americana. Il primo impatto che la gente comune ha delle Forze Speciali è sovente mediato dalle sale cinematografiche; sempre troppo pochi si affidano, invece, ai testi di memorie (i quali subiscono censure cautelative attuate dai diversi stati maggiori) o compendi tecnici che dedicano larga parte del loro spazio a fotografie di materiali, armi e uniformi, senza tuttavia entrare troppo in certi dettagli “umani”. In

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effetti non esistono altri mezzi per avvicinare e comprendere uomini i quali sono considerati dei “superman” addestratissimi, che non conoscono il dolore, abituati a sopravvivere in qualsiasi ambiente; definiti dalla vulgata dei “Rambo”, tanto per non ignorare i “danni” causati dalle pellicole. Il pensiero collettivo è certamente giustificato, vista la sacrosanta “inavvicinabilità” di questi soldati che vivono vite normalissime, in famiglie altrettanto regolari, con la sola differenza che hanno imparato a fare un lavoro davvero particolare, e a svolgerlo al massimo delle loro possibilità. È inutile tenerlo nascosto, ma io ho avuto il privilegio e l’onore di avvicinarli e trascorrere una giornata e mezzo insieme a loro, in un ambiente operativo davvero suggestivo come la montagna. Quando il mio direttore editoriale,

MirkoGargiulo, mi ha comunicato che avrei trascorso un po’ del mio tempo insieme all’élite del nostro esercito – il 9° Reggimento d’assalto “Col Moschin” – quasi non volevo crederci. Non sono nuovo all’ambiente militare poiché sin dalla giovane età ho frequentato persone più adulte di me con trascorsi militari in diversi reparti di fanteria, alpini e paracadutisti, tuttavia mai avrei immaginato che un giorno venissi chiamato a vivere qualche giorno con il “meglio del meglio”, insieme a coloro i quali, se fotografati, hanno sempre il volto mascherato per non mettere in pericolo la loro vita e quella dei rispettivi famigliari. Cosa mi aspettavo da questa esperienza? È fuori dubbio che la mia conoscenza, diretta e indiretta, del mondo militare, mi ha sempre tutelato da equivoci tipo “Rambo” o “Commando”: non ho mai


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L’addestramento al RAFOS prevede che l’incursore affronti diverse prove in altrettante situazioni ambientali, compreso l’ambiente marino.

pensato di trovarmi di fronte super uomini immuni a qualsiasi sofferenza, che stanno sempre bene e affrontano il fuoco nemico senza preoccuparsi di trovare un riparo per portare a casa la pelle. Il mio pensiero, poi avvalorato da quanto ho toccato con mano, era quello di poter finalmente incontrare soldati con la S maiuscola, addestrati al sacrificio, al combattimento, ma soprattutto uomini che hanno ben presente cosa significhi affrontare la morte, senza per questo esaltarla o glorificarla. Persone normali direte voi? Ebbene si, non ho nessun problema ad affermarlo. Quando al mattino presto scendevo alla mensa per far colazione insieme a loro, non avvertivo assolutamente di essere seduto insieme a uomini che, fino a pochi mesi fa neutralizzavano IED o sfuggivano a proiettili talebani nel lontano Afghanistan. Mangiavo con

Il temibile percorso di guerra - con fango, filo spinato e ostacoli – rimane una prova “classica” per qualsiasi soldato, tuttavia gli incursori sono chiamati a dare sempre il meglio… in ogni circostanza. Ogni prova deve essere eseguita al massimo della concentrazione, pena l’esclusione dal corso.

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L’attività addestrativa in ambiente urbano ha acquistato un’importanza particolare, soprattutto se consideriamo le continue pattuglie che i nostri uomini della Forze Speciali compiono ogni giorno in Afghanistan alla ricerca di obiettivi sensibili. Entrare in un villaggio, seppur piccolo e scarsamente abitato, rappresenta sempre un’incognita dalla quale possono scaturire grandi problemi di natura operativa.

uomini e ragazzi poco più giovani di me, che discorrevano tranquillamente di calcio, donne, vacanze, internet e famiglia… soprattutto famiglia; non ho mai sentito nemmeno sussurrare la parola “guerra”, un termine che troppo spesso penzola dalla bocca di qualche benpensante il quale presume, dalla comoda poltrona di casa sua, che questi ragazzi siano “mastini” assetati di sangue! Le mie orecchie sono oramai esauste di udire termini come “esaltati”, “guerrafondai” o “violenti”. Per non parlare poi di quanti credono che questi soldati “speciali” siano sottoposti ad ogni tipo di tortura o, ancora peggio, a cerimonie “virili” TNM ••• 38

tipo brevetti piantati sul torace! Certo, l’addestramento al quale sono soggetti i ragazzi del 9° “Col Moschin” non è una passeggiata, è il più duro e lungo di tutte le Forze Armate italiane e si ispira alle prove sofferte dai candidati del famoso SAS inglese. Agli allievi del Reparto Addestramento Forze Speciali (RAFOS) non viene risparmiato nulla, nondimeno si tratta sempre di persone che hanno fatto uno scelta di vita, incluso il voler conoscere i propri limiti, costi quello che costi. Esaltati o guerrafondai? Nella giornata passata a bordo pista dell’aeroporto di Bolzano – consacrata da un cielo limpido e un sole splendente – gli incursori

del 9° si preparavano a un lancio di addestramento che li avrebbe portati ad atterrare nei pressi di una nota località sciistica della Valtellina. Seduti sul prato che circondava l’asfalto della pista, i “ragazzi del 9°” parlavano tra di loro, scherzavano, si scambiavano opinioni e dati importanti su quello che dovevano fare. Dopo un breve briefing con il comandante, a ciascuno è stato comunicato il rispettivo “decollo”, termine che identifica il turno di imbarco sull’aereo. I momenti di attesa mi hanno riportato indietro nel tempo, quando anche io ho avuto modo di testare le brezza del lancio: stessa emozione, medesimi


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discorsi, terminologie comuni, ma persone, motivazioni e competenze completamente diverse, forse i “valori” erano l’unico punto ad accomunarci. Virtù che si rispecchiano nella vita militare o in tutti coloro che apprezzano il lavoro di squadra, senza distinzioni di grado, affidandosi solamente al rispetto e riconoscenza verso le competenze di ciascuno. A quasi nessuno era visibile il grado, nascosto sotto gli indumenti e le imbracature per il lancio. Alla mia domanda su come si facesse a riconoscere i graduati il Maggiore mi ha risposto semplicemente “gli incursori sono pochissimi e tutti si TNM ••• 39


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conoscono più che bene! Lavorano insieme da anni quasi sempre di notte... Si figuri se di giorno c’è la possibilità di confondersi... Ognuno di noi rischia la pelle al fianco del proprio commilitone, il riconoscimento prima che dal grado o dal nome riportato sull’uniforme è dato dalla approfondita conoscenza personale!”. La mia presenza in quel gruppo di uomini non era minimamente percepita come una intrusione: conversavo con loro serenamente e dalle loro parole ho scoperto quale sia il vero ed unico valore che li contraddistingue dagli altri reparti, l’umiltà. È incredibile come questi soldati, appartenenti al corpo più prestigioso del nostro Esercito, dimostrino una semplicità e modestia disarmante: nessun atteggiamento altezzoso, o superbo, nessuna vanteria o scherno nei confronti di chi non fosse come loro. Incursori paracadutisti certamente, inquadrati nella Brigata Folgore; anche se, a mio modesto parere,è alquanto anomalo raggruppare un reparto di forze speciali all’interno di una brigata di fanteria, anche se d’élite. Per carità, i membri del gruppo non soffrono questa dipendenza, tuttavia dal punto di vista addestrativo potrebbe a mio avviso generare qualche difficoltà. Ma questo è un problema che semmai deve affrontare il comandante: una persona affabile, appena un anno più vecchio di me, ma con un carico di responsabilità e un background operativo davvero impressionante. In queste giornate ho avuto modo di conoscere anche una parte inedita del reggimento, e a loro va il mio ultimo pensiero. Mi riferisco ai veterani, a coloro che hanno servito nel 9° in anni molto difficili, dove la tecnologia e i mezzi a disposizione non differivano molto da quelli in uso nei reparti di fanteria regolare. Sono rimasto particolarmente colpito quando “Mimmo”, un non più giovane incursore, si è raccomandato di scrivere sulla gloria del suo reggimento, di parlare bene dei suoi compagni, TNM ••• 40

Queste tre immagini esprimono in modo egregio gli ambienti operativi nei quali sono chiamati ad operare gli uomini del 9° reggimento. I lanci ad alta quota (HAHO e HALO) e l’addestramento sopra e sotto la superficie del mare conferiscono agli incursori una preparazione senza eguali, certamente la migliore di tutto l’esercito.

non tanto per quelli in vita, ma per gli amici che non c’erano più. Quando mi narrava del pesante contributo in vite umane che il 9° ha dato alla Patria, a stento tratteneva le lacrime. Sono loro – ho pensato tra me

e me – la vera spina dorsale del reggimento, e mi piace pensare che lo siano anche del mio Paese il cui onore è stato molte volte sorretto da questi uomini, semplici, ignoti e silenziosi.


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ZIONE URSORI) A CURA DELLA REDA PO (IX째 REGGIMENTO INC FOTO DI JHON CAM


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i abbiamo lasciati durante uno stage di addestramento ai lanci ad alta quota con procedure ad ossigeno denominato “HAHO/HALO” (High Altitude High Opening/High Altitude Low Opening, vedi numero TNM di Giugno 2012) e ora li ritroviamo in una situazione addestrativa diversa, ma allo stesso tempo operativamente connessa. Gli Incursori dell’unico reparto di Forze Speciali dell’Esercito Italiano si sono, infatti, schierati presso la base prescelta per l’annuale addestramento invernale tramite un aviolancio con la Tecnica della Caduta Libera (TCL) da alta quota con procedure ad ossigeno di tipo HALO effettuato in zona montana, con condizioni meteo “al limite” atterrando in una radura completamente innevata a circa 2000 metri di quota. L’aviolancio con cui gli incursori hanno dato inizio all’addestramento artico-montano non è stato un semplice trasferimento o aviolancio addestrativo. Infatti, la pianificazione e l’esecuzione del lancio hanno comportato procedure operative molto complesse e realistiche che hanno visto coinvolti i comandanti ai vari livelli, gli istruttori di paracadutismo (TCL) del reparto, gli ADLO (Assistente Direttore di Lancio ad Ossigeno) e gli equipaggi di volo della 46^ Aerobrigata in una organizzazione di dettaglio articolata e, per alcuni versi rischiosa, durata diversi giorni. Tale pianificazione ha dovuto tener conto del tempo di volo e dell’autonomia degli erogatori di ossigeno collettivi ed individuali (dettando le tempistiche e le pressioni di pressurizzazione del velivolo militare C130-J impiegato per l’attività), della quota della zona di lancio prescelta (che, come detto, si aggira sui 2000 m ed ancora una volta non rientra tra quelle “convenzionali”) che incide sulla taratura dei congegni barometrici di apertura automatica del paracadute, della quota e della distanza degli ostacoli naturali (ci sono rilievi nelle vicinanze del “punto di uscita” dal velivolo che sfiorano i 3500m) che incidono sulla rotta d’attacco e sulle vie di scampo, della particolare

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morfologia del terreno sottostante e delle condizioni meteorologiche del momento. Il tutto è stato messo poi in sistema con le procedure di emergenza per dar vita alle “disposizioni finali per l’inserzione”. L’aviolancio, la cui esecuzione pratica, per gli spettatori, si risolve a pochi secondi di pura adrenalina, ha di fatto rappresentato un proficuo, complesso, elaborato momento addestrativo, anche tenendo conto delle condizioni al limite nel quale è stato effettuato. Ricordiamoci che un banale errore in una delle operazioni di pianificazione che sopra abbiamo cercato di riassumere (che a volte sono influenzate da parametri naturali non sempre sotto assoluto controllo quali la velocità istantanea del vento al momento dell’aviolancio) può risultare in esiti che possono assumere risvolti di tragicità anche in addestramento. L’ADDESTRAMENTO NELL’AMBIENTE “ARTICO-MONTANO” La capacità di muovere, vivere e combattere in ogni ambiente operativo, in situazione ambientali a volte critiche ed anche in completa autonomia ed isolamento è una delle caratteristiche di base delle unità operative del 9° reggimento “Col Moschin”. Al fianco di quello desertico, medio-europeocontinentale, costiero-mediterraneo, urbano e acque aperte, l’ambiente artico-montano rappresenta uno dei principali scenari nei quali gli incursori sono addestrati ad operare. In considerazione delle caratteristiche e specificità a volte estreme del particolare ambiente, la capacità di operarvi e di condurvi i compiti assegnati alle Forze Speciali si acquisisce tramite lunghi e articolati addestramenti, corsi, condizionamenti e specifiche attività tecnico specialistiche che devono poi essere mantenute nel tempo al fine di garantire la possibilità di impiego “sul tamburo” delle unità. L’ AMBIENTAMENTO Gli Incursori lo chiamano semplicemente “ambientamento invernale” (intendendo che esiste


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L’annuale modulo di combattimento in montagna si fasi articola in diverse 10 e si sviluppa su 8/ e settiman


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anche un modulo addestrativo omologo che si svolge nel periodo estivo) ma in realtà è un addestramento operativo multilivello molto articolato e lungo (circa 2 mesi) finalizzato a consolidare e perfezionare la capacità delle unità operative di Forze Speciali e delle aliquote destinate a supportarle ed esercitare il Comando e Controllo nella condotta di Operazioni Speciali nello specifico ed ostico ambiente naturale. Il 9° reggimento conduce da sempre tali attività. Durante la nostra ultima visita al reparto ci è stato possibile ammirare foto d’epoca che risalgono agli anni

ha memoria non ha futuro” sia per sottolineare l’importanza che nel reparto è attribuita all’esperienza tramandata dagli operatori più anziani, sia a sottolineare ulteriormente una delle quattro grandi verità riferite alle Forze Speciali, ossia, reparti del genere non si improvvisano nel giro di pochi mesi od anni! Tornando all’ambientamento, l’addestramento si svolge in località sempre diverse dell’arco alpino (grazie anche alla disponibilità del Comando Truppe Alpine che da sempre supporta il 9° fornendo la disponibilità di basi

‘50 di “sabotatori” alle prese con sci alti più di 2 metri ed attrezzature stile “Zeno Colo’”. Nel dopoguerra, infatti, sin dalla ricostituzione del reparto con la nascita del “plotone speciale” nel 1953, l’addestramento in ambiente innevato montano costituiva uno dei pilastri delle capacità operative. Anche parlando con gli incursori più giovani ci sono sembrati tutti orgogliosissimi di questo passato caratterizzato da equipaggiamenti estemporanei, uniformi non tecniche e sicuramente poco specifiche, tanta improvvisazione e adattamento che ha però creato all’interno del reparto una coscienza e consapevolezza fuori del comune ed un bagaglio di esperienza impagabile. Spesso ci siamo sentiti dire “chi non

e accantonamenti in montagna) in un ambiente naturale tra i più impegnativi e difficili anche se paragonato alle zone innevate del nord Europa. La tipologia di attività che gli incursori conducono in tali situazioni ambientali richiedono una preparazione fisica e tecnica di altissimo livello nonché la disponibilità di equipaggiamenti moderni, affidabili, leggeri, e spesso peculiari. Di fatto gli obiettivi addestrativi che l’ambientamento si propone sono volti a mantenere la capacità di eseguire Operazioni Speciali in un territorio che pone significative limitazioni operative connesse principalmente alle quote, alla compartimentazione e morfologia del terreno, alla presenza del manto nevoso, alle condizioni TNM ••• 47


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Il luogo prescelto per le settimane di addestramento invernale è stato rto raggiunto dal repa ad tramite aviolancio alta quota.


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climatiche estreme ed alla difficolta di occultamento, soprattutto in considerazione che le unità operative del 9° svolgono le loro attività continuative prevalentemente di notte, a quote che spesso superano i 3000 metri, su zone non battute e con carichi operativi che possono oltrepassare i 40kg. Ancora una volta (un’ulteriore analogia con il precedente articolo di TNM) si cerca, infatti, di trasferire la capacità operativa complessiva dell’unità di FS da un punto di partenza (inserzione) ad una area dove sia necessario produrre gli effetti definiti nella missione ricevuta, adottando

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tutte le procedure e le predisposizioni volte all’autoprotezione, alla mobilità occulta, alla capacità offensiva e/o di raccolta informativa, sopravvivenza, fuga ed evasione, adattando le procedure e gli equipaggiamenti all’ambiente in cui si deve svolgere la specifica Operazione Speciale. In tale contesto il processo di pianificazione e le procedure tecnico tattiche rimangono invariate, mentre quello che sostanzialmente differisce è il modo in cui tali procedure vengono applicate. Inoltre assume un’importanza determinante la disponibilità di equipaggiamenti,

vestiario, materiali delle trasmissioni e sistemi d’arma in grado di funzionare anche in condizioni ambientali estreme, garantendo l’assolvimento di tutti i compiti assegnati alle Forze Speciali. Tutto ciò comporta ed impone una preparazione specifica e selettiva, che inizia sin dalle prime fasi della formazione degli allievi Incursori con una progressione graduale ed integrata con le altre capacità richieste a ciascun Incursore del 9° reggimento. I PRIMI PASSI Come risaputo, l’iter per diventare incursore dell’Esercito è il più lungo,


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arduo complesso ed articolato periodo formativo per entrare a far parte di unità di Forze Speciali sicuramente in ambito nazionale ma, a nostra conoscenza, anche in ambito dei paesi occidentali che possono vantare simili unità a valenza strategica. Ad un allievo incursore, generalmente un soldato proveniente da una unità convenzionale già addestrato e preparato e che spesso ha già servito in Teatro Operativo, servono più di due anni di corsi, esercitazioni, selezioni, addestramenti, tirocini, lezioni e allenamenti per potersi fregiare dell’agognato brevetto, transitare a far

parte di un Distaccamento Operativo Incursori ed essere impiegato nella condotta di Operazioni Speciali. Le fondamenta della capacità di operare in ogni ambiente operativo vengono fornite proprio durante l’iter formativo che prevede, a grandi linee, il primo anno dedicato ad apprendere le tattiche, tecniche e procedure tipiche delle Forze Speciali (formare il combattente) ed il secondo anno specificatamente indirizzato a perfezionare tali capacità nell’ambito dei vari ambienti geografico-operativi nei quali il futuro Incursore sarà chiamato ad operare.

Per quanto attiene allo specifico ambiente artico-montano, i primi passi vengono mossi durante la permanenza presso il Reparto Addestramento Forze Speciali (RAFOS) del 9° reggimento “Col Moschin”. Il corso di sopravvivenza è forse il primo che richiede agli allievi di confrontarsi specificatamente con le bassissime temperature, con il ghiaccio e la neve. Come ci si procura da mangiare, come si sopravvive ad una caduta in acqua gelida da una rottura di una superficie di ghiaccio, come ci si costruisce un ricovero in mezzo alla neve e come si costruiscono attrezzi ed equipaggiamenti per potersi

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spostare e sopravvivere in ambiente artico sono alcune delle tematiche del corso. In seguito, gli allievi Incursori frequentano il “Corso Basico di Sci ” ed il “Corso basico di Alpinismo” presso il Centro Addestramento Alpino di La Thuile, entrambi obbligatori per proseguire l’iter di specializzazione, dove imparano a conoscere e utilizzare i materiali per la mobilità alpina e apprendono le nozioni tecniche basilari di movimento e combattimento in montagna innevata e non. \Il corso basico sci è seguito da uno specifico modulo di “combattimento e sopravvivenza in montagna e in ambiente artico” della durata di 3-4 settimane, condotto dal Reparto Addestramento Forze Speciali organico al 9° reggimento. Tale periodo, riservato ai soli aspiranti incursori, rappresenta il “clou” dell’addestramento nello specifico ambiente poiché si adattano le procedure già imparate durante il primo anno e funzionali alla condotta di azioni dirette, ricognizioni speciali e assistenza militare allo specifico scenario. Qui l’allievo, che possiede già tutte le nozioni per condurre i compiti delle Forze Speciali ed è padrone delle tecniche per muovere e sopravvivere a bassissime temperature, dovrà integrare le conoscenze e diventare un operatore in grado di combattere nello specifico ambiente nella condotta di compiti a valenza strategica. IL CONSOLIDAMENTO Acquisito il brevetto da Incursore ed inserito in un Distaccamento Operativo di Forze Speciali del 9° reggimento, l’addestramento nello specifico ambiente continua. Innanzitutto, le conoscenze acquisite durante gli altri addestramenti non specificatamente rivolti all’ambiente devono essere integrate. Ad esempio, si svolgono specifici addestramenti sulle inserzioni tramite aviolancio TCL ed HALO/HAHO in montagna ed in ambiente artico (come avvenuto con il lancio all’inizio del periodo ambientale), oppure si approfondiscono le tecniche per condurre attività sott’acqua in scenari

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caratterizzati da alta quota, bassissima temperatura, presenza di ghiaccio ecc. (ad esempio in azioni contro dighe situate in alta montagna o contro centrali idroelettriche). Anche i tiratori scelti del reparto, che ricordiamo essere innanzitutto degli incursori di primissimo piano, eseguono specifici addestramenti volti a perfezionare il tiro su lunghe distanze con grandi angoli di sito nello specifico scenario. Gli esperti in esplosivi, inoltre, approfondiscono gli effetti delle basse temperature sugli artifizi detonanti e su tutto l’equipaggiamento del breacher. Durante il consolidamento vengono anche condotte attività a difficoltà crescente che richiedono competenze e capacità sempre maggiori e si eseguono addestramenti peculiari nell’utilizzo dei mezzi specifici idonei allo spostamento su terreni innevati. Si approfondiscono le tematiche relative al combattimento in montagna invernale impiegando assiduamente assetti aerei ad ala fissa e rotante ed assetti per l’Intelligence, Surveillance, Target Acquisition e Reconnaissance (ISTAR). IL PERFEZIONAMENTO In funzione delle attitudini e delle capacità individuali, nonché delle specializzazioni richieste dalle unità operative, un elevato numero di Incursori frequenta anche i corsi di perfezionamento Sci e Alpinismo, conseguendo le relative qualifiche di “Istruttore” che permettono a ciascun Distaccamento Operativo di svolgere in assoluta sicurezza, con ottima competenza tecnica ed in completa autonomia, tutte le attività addestrative avanzate in ambiente montano ed artico. Inoltre, i Distaccamenti Operativi orientati ad operare nell’ambiente artico/ montano partecipano ad esercitazioni organizzate da Paesi Nordici (vedi “Cold Response” in Norvegia) o a corsi di sopravvivenza e combattimento in ambiente innevato come il “NATO SOF Winter Warfare Course” organizzato dall’Austria o ai corsi “Winter Survival” presso l’International Special Training


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Center di Pfullendorf (GER), che, nel complesso, pur non essendo specificatamente rivolti alle Forze Speciali, consentono di perfezionare ed ampliare, attraverso il confronto con altre realtà, le proprie conoscenze in un ambito così particolare. Tutto ciò ha contribuito e contribuisce a creare professionalità riconosciute al di fuori del mondo militare dove, ad esempio, gli Incursori del 9° vengono richiesti per supportare la preparazione del personale che si appresta a partecipare a missioni scientifiche in climi artici (Centro Ricerche Brasimone dell’ENEA), nonché competenze su materiali, mezzi ed equipaggiamenti specifici che si arricchiscono anche attraverso particolari corsi e/o collaborazioni con ditte e consorzi civili, fino alla creazione di vere e proprie eccellenze che contribuiscono ad

inclinazioni. In tale ambito si inquadra la partecipazione ormai costante e decennale di specialisti del 9° reggimento alla missione scientifica LE ECCELLENZE italiana in Antartide in supporto A similitudine di quanto avviene per all’ENEA, dove gli Incursori non solo gli altri ambienti e specializzazioni, forniscono professionalità di nicchia e il 9° reggimento già da anni forma assolutamente pregiate alla missione del personale che rappresenta nello scientifica ma hanno la possibilità di specifico settore una vera propria approfondire a loro volta conoscenze e eccellenza. Come già accennato, capacità che poi riverseranno nel resto questi approfonditi conoscitori della dell’unità. In altri casi personale del materia vengono impiegati quali istruttori per innalzare il livello tecnico/ 9° ha partecipato a spedizioni sportive operativo del restante personale e “al limite” e ci risulta che, proprio contribuiscono alla realizzazione di quest’anno ce ne sia una aliquota che equipaggiamenti specifici e peculiari voglia tentare la scalata ad un 8000, del reparto. Inoltre il 9° reggimento ma non abbiamo ulteriori particolari si avvale del prezioso contributo al riguardo. Da queste avventure di molti operatori appassionati nascono inoltre collaborazioni con ed entusiasti a titolo personale esperti e con ditte che consentono di della materia, e cerca pertanto di diventare dei veri e propri conoscitori assecondarne e promuoverne le d’eccezione del settore. Non sono pochi accrescere la dimensione strategica del reparto.

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infatti gli equipaggiamenti specifici del 9° che sono nati nell’ambito di tali approfondimenti. I MEZZI, I MATERIALI E GLI EQUIPAGGIAMENTI Ogni ambiente ha le sue caratteristiche e, di conseguenza, anche i mezzi e gli equipaggiamenti che il 9° utilizza per muovere, combattere e sopravvivere in ambiente artico/montano sono peculiari ed appositamente studiati. A differenza di altre situazioni, dove un adeguato equipaggiamento e abbigliamento può agevolare e migliorare la performance operativa, in montagna tali fattori rivestono un’importanza fondamentale in quanto possono incidere anche sulla sopravvivenza individuale o del Team. Gli incursori del 9° hanno trovato il giusto compromesso tra polifunzionalità e specificità nell’ambito del vestiario, degli equipaggiamenti, dei sistemi d’arma e delle trasmissioni, dell’alimentazione e del soccorso, per garantire una soluzione ottimale alle sfide poste dall’ambiente naturale e mantenere costantemente elevata la necessaria efficienza operativa. Ma vediamo nel dettaglio alcune delle soluzioni adottate dagli specialisti del 9°: • la sfida del freddo: in ambienti caratterizzati da basse temperature una delle prime necessità è difendersi dal freddo pur consentendo movimenti agili e discreti agli operatori. In questo campo sono stati realizzati tute da combattimento e capi underwear con tessuti tecnici, traspiranti, leggeri e comodi che vengono impiegati anche per gli altri ambienti in cui sono soliti operare gli incursori. Alcuni elementi specifici quali i guanti dotati di tasca per lo stivaggio di un riscaldatore chimico e la combinazione per temperature estreme vengono, infatti, impiegati anche per i lanci da alta quota. Per quando riguarda la protezione termica durante le soste prolungate, il 9° ha adottato da tempo un sistema modulare da bivacco costituito da due sacchi a

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pelo di dimensioni ridotte e di peso limitato integrabili o utilizzabili separatamente in relazione alla temperatura in cui ci si trova ad operare, e tende in grado di offrire un elevato isolamento termico grazie a materiali che riducono il ponte termico e limitano la formazione di condensa all’interno delle stesse. Queste tende sono realizzate con materiali estremamente leggeri e resistenti in grado di sopportare lo stress derivante da condizioni meteorologiche avverse in ambienti estremi e con la possibilità di variare la colorazione in base all’ambiente circostante. • La sfida della mimetizzazione: per le attività di tipo tattico, gli Incursori del 9° utilizzano sopravestiti con colorazione adatta agli ambienti innevati, studiati per integrarsi completamente con il gibernaggio, permettere l’impiego delle tasche porta caricatori e garantire al contempo la traspirabilità ed un adeguato confort. A essi si aggiungono, a livello individuale, passamontagna, copricapo e teli coprizaino con analoga mimetizzazione. A livello Distaccamento Operativo vengono utilizzate reti scenografiche in grado di ridurre la segnatura termica del personale e dei veicoli, caratterizzate dalla capacità di mantenere la temperatura dell’ambiente esterno. • La sfida del movimento: uno dei problemi maggiori in ambiente alpino è rappresentato dalle difficoltà di procedere, in salita ed in discesa, su terreni innevati con elevate pendenze. A carattere generale si utilizzano materiali di derivazione commerciale opportunamente modificati per renderli più robusti e resistenti alle sollecitazioni dovute ai carichi operativi. In particolare si utilizzano sci e ciaspole, bastoncini telescopici, pelli di foca, ramponi, racchette da neve e corde da arrampicata con mimetizzazione adatta all’ambiente montano. • La sfida dell’energia: per garantire il funzionamento dei sistemi di


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comunicazione (voce e dati), degli apparati di visione notturna, di puntamento e di navigazione occorre diminuire i consumi aumentando, per quanto possibile, la scorta di energia disponibile ed evitare il suo rapido decadimento. A tale scopo si utilizzano apparati satellitari e HF/VHF/UHF a bassa potenza di trasmissione alimentate da Batterie al nichel-cadmio ad alto rendimento e capacità ma di peso contenuto e più resistenti al freddo rispetto a quelle agli ioni di litio. Particolari sacche realizzate dal reparto consentono di tenere le batterie vicino al corpo umano in modo da evitare che il freddo ne procuri il rapido esaurimento, cercando, tra l’altro, di utilizzare lo stesso pacco batterie per tutte le utenze a disposizione (radio, puntatori e congegni delle armi, torce ecc). Come fonti alternate si utilizzano sistemi di ricarica ed alimentazione a pannelli solari ed a celle combustibili (metanolo) in grado di garantire la massima efficienza e di minimizzare il tempo di ricarica. Sono sistemi molto leggeri che possono essere utilizzati in modalità stand-alone o collegati ad un’altra fonte di energia come la batteria di un veicolo. • La sfida delle armi e dei sistemi di puntamento: per mantenere in efficienza le armi alle basse temperature ed evitare malfunzionamenti dovuti al ghiaccio formatosi nelle parti meccaniche mobili, vengono utilizzati olii specifici per le bassissime temperature e sono in studio particolari conformazioni dei tenoni sulle teste degli otturatori. Per le ottiche si adottano Sistemi di puntamento dotati di fibra ottica in sostituzione delle batterie per l’illuminazione del reticolo. • La sfida della mobility: per garantire la mobilità in montagna diversa

da quella appiedata, i mezzi in dotazione vengono equipaggiati con sistemi che impediscono il congelamento del carburante diesel e con pneumatici e catene adatti all’uso gravoso su terreni innevati e viscidi. Per quanto riguarda gli ATV (All Terrain Vehicle), sono previsti Kit di sostituzione rapida delle ruote con cingoli in gomma. Inoltre sono in studio motoslitte a bassa segnatura acustica e dotate di

sistemi idonei all’esecuzione di Operazioni Speciali. Infine, per massimizzare le capacità dei mezzi gli incursori seguono specifici addestramenti di guida notturna e diurna su strada e fuoristrada su fondi a scarsa aderenza quali neve e ghiaccio. • La sfida delle scarpe: Gli Incursori sono dotati di scarponi in grado di garantire un elevato isolamento termico, impermeabilità e traspirabilità. Gli stessi permettono l’utilizzo di ramponi e di ciaspole, garantendo al tempo stesso un elevato comfort anche in


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Marciare n con le ciaspole o co di oltre gli sci e uno zaino hi 30 kg richiede lung ta ol m addestramenti e a. preparazione fisic


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situazioni di uso prolungato in condizioni ambientali estreme. Ad essi vengono abbinate ghette in materiale traspirante per impedire l’ingresso di neve nelle calzature. • La sfida dell’alimentazione: al fine di ridurre il peso e i tempi di preparazione e garantire comunque il necessario apporto calorico individuale giornaliero richiesto in montagna, vengono impiegati cibi liofilizzati confezionati in pratiche buste compatte e leggere e divisi in menù di diverso tipo. E’ sufficiente aggiungere dell’acqua calda per rendere il pasto commestibile. Inoltre, per scaldare il cibo, si possono utilizzare apposite scaldavivande con gavetta ad alta efficienza (per ridurre il consumo di combustibile e accelerare i tempi di cottura), costruiti con materiali estremamente leggeri e di dimensioni contenute. Infine si adoperano sistemi portatili chimici e meccanici per la potabilizzazione dell’acqua. • La sfida dei sistemi di soccorso: per il soccorso in parete o all’interno di un crepaccio è disponibile un sistema per il recupero costituito da una serie di pali di supporto in lega leggera, di carrucole e paranchi. In caso di terreno con forte rischio valanghe, ciascun incursore viene dotato di un complesso per la ricerca del travolto che prevede una pala, una sonda e un ARTVA, tutti realizzati tenendo in considerazione la necessità di ridurre i pesi, gli ingombri e l’impiego in situazioni estreme. IL MODULO ADDESTRATIVO DI COMBATTIMENTO IN MONTAGNA INNEVATA. L’annuale modulo di combattimento in montagna si articola in diverse fasi e si sviluppa su 8/10 settimane includendo attività pratiche e specialistiche, lezioni teoriche, prove e sperimentazioni di equipaggiamenti, attività continuative di diversi giorni in variegati contesti ambientali montani (boschi, valli, linee di cresta, bacini idrici ad alta quota, altipiani, piccoli borghi, ecc.) ed una

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esercitazione finale della durata di circa 10 giorni che costituisce la verifica delle capacità raggiunte dalle unità operative del livello Special Operations Task Units. All’addestramento partecipano tutte le componenti operative che non sono impegnate all’estero anche se con modalità ed obiettivi addestrativi diversi connessi con la costante turnazione in prontezza in cui sono inserite. Anche il personale destinato al supporto logistico ed ai comandi degli Special Operations Task Groups svolge un periodo di addestramento nello specifico ambiente montano. Tale fase, che si svolge normalmente in concomitanza con l’ambientamento dell’aliquota operativa anche per incrementare l’amalgama e l’integrazione fra tutte le componenti dell’unità, è necessaria per assicurare la capacità di esercitare con efficienza e continuità il comando e controllo in simili ambienti. D’altra parte, durante l’esercitazione finale anche le aliquote non operative sono impegnate e valutate dovendo dimostrare la loro specifica capacità a pianificare, coordinare e supportare l’esecuzione di Operazioni Speciali in ambienti artico/montani schierando le opportune strutture deputate al comando e controllo. FASE TATTICA E MOVIMENTO IN ASSETTO DI PATTUGLIA L’addestramento è estremamente articolato. Si approfondiscono le varie fasi della pianificazione, dallo studio del terreno per la scelta dell’itinerario di movimento da un punto di vista tattico (dominio di quota, copertura, pendenza, vie di fuga in caso di attivazione, direttrici di attacco, vie di facilitazione per raids e imboscate, zone che facilitano l’impiego di apparati delle trasmissioni e dei Remotely Operated Video Enhanced Receivers ecc.), all’impiego nelle diverse situazioni ed ambienti degli enablers quali gli assetti aerei ad ala rotante, assetti ISR, il supporto di fuoco (provenga esso da mezzi aerei o terrestri). Si affrontano gli aspetti riguardanti il movimento in assetto da combattimento in

ambiente innevato, la realizzazione di ripari e ricoveri di emergenza, la gestione dell’equipaggiamento tecnico di mobilità e quello operativo (diverse posizioni per impiegare al meglio le armi da fuoco, impugnatura e regolazione dei bastoncini per le reazioni a fuoco, comportamento in caso di soste brevi o lunghe, realizzazione di bivacchi, cancellazione delle tracce e false tracce, costruzione di posti di osservazione, impiego dei sistemi di acquisizione foto/video operati anche da posizioni remote). Molti esercizi ed approfondimenti

vanno ad analizzare particolari che per molti potrebbero sembrare insignificanti ma che invece possono pregiudicare la riuscita di una operazione. Per esempio si studiano, anche in funzione dei nuovi equipaggiamenti, le sistemazioni ottimali dei capi termici e degli alimenti, al fine di averli sempre a disposizione scongiurando ipotermie durante le soste brevi e lunghe. Come si asciugano in materiali bagnati utilizzando il calore del proprio corpo all’interno del sacco da bivacco. Particolare attenzione viene posta

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sugli effetti del freddo e del ghiaccio sull’equipaggiamento tecnico e sulle armi, che sebbene tenute sempre a portata di mano, richiedono accorgimenti affinché la condensa all’interno della tenda/truna si raffreddi diventando ghiaccio e ne pregiudichi il funzionamento. Vengono illustrate tutte le accortezze da adottare nelle varie fasi del movimento e delle soste. Ad esempio nel periodo di permanenza al bivacco gli sci devono mantenere le pelli di foca montate per evitare che il freddo renda difficoltoso il montaggio in caso di emergenza, mentre gli scafi degli scarponi devono rimanere in un ambiente freddo, ma di rapido accesso (abside della tenda, oppure zona più bassa della truna). Lo zaino può rimanere nell’abside della tenda, oppure vicino alla testa dell’operatore all’interno della truna, e deve consentire di poter riporre il materiale da bivacco nel più breve tempo possibile. Infine, le giberne devono rimanere a portata di mano TNM ••• 68

e ovviamente anche l’arma lunga, ma possibilmente non in un posto caldo, per evitare che, terminata la fase di riposo e riusciti all’esterno, l’eventuale ghiaccio che si può formare all’interno ne possa pregiudicare il funzionamento. Vengono condotti i vari atti tattici impiegando sia sci, sia ciaspole o semplicemente scarponi a seconda delle condizioni del momento e delle opportunità operative da sfruttare. LA SICUREZZA, IL SOCCORSO E LE EMERGENZE. L’ambientamento inizia generalmente con un richiamo sui materiali a disposizione, con lezioni che hanno lo scopo di illustrarne le caratteristiche tecniche. Molti equipaggiamenti infatti sono rinnovati di frequenza per stare al passo con lo sviluppo tecnologico e per guadagnare in leggerezza, resistenza ed in ergonomia. Altra operazioni importanti constano nelle regolazioni degli attacchi, dei bastoncini, degli scarponi, l’applicazione corretta delle

pelli di foca, l’utilizzo degli apparecchi di segnalazione dei travolti da valanga (ARTVA) e le tecniche per mantenere efficienti tutti gli equipaggiamenti. Si procede quindi con il controllo del proprio materiale e del corretto attagliamento con le prime uscite senza carichi su terreno con dislivello contenuto, durante le quali gli istruttori del Distaccamento si accertano che tutti gli Incursori prendano confidenza con l’equipaggiamento e siano in grado di effettuare i vari passi di curva (girato, infilato, infilato all’indietro). Inoltre si testano le regolazioni degli attacchi, si prova l’inserimento dell’alzatacco ed il passaggio da sci a racchette da neve e viceversa, possibilmente su neve alta e fresca. L’utilizzo dell’ARTVA, della sonda da valanga, pala e barella di circostanza e delle procedure da adottare nella ricerca di personale travolto (sistema di sondaggio) sono oggetto di una lezione teorico pratica di richiamo a parte, che deve essere svolta il prima possibile, per consentire di effettuare


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le successive uscite in completa sicurezza e garantire al Distaccamento Operativo la completa capacità di autosoccorso in caso di valanghe. Le uscite successive vengono effettuate con equipaggiamento completo per prendere confidenza con i pesi ed il diverso equilibrio che questi comportano nel movimento con gli sci. Le uscite di sci alpinismo sono effettuate con difficoltà crescenti in relazione alla durata, al dislivello e alle condizioni di visibilità e sono svolte parallelamente alle attività pratiche di discesa alpina, che garantiscono a ciascun Incursore un livello tecnico tale da poter salire e scendere pendii alpini con carichi operativi consistenti con la necessaria padronanza e sicurezza. ADDETRAMENTO AL TIRO Durante l’addestramento in ambiente innevato sono sempre previste delle attività di tiro in poligono durante le quali si applicano la basi dell’addestramento a fuoco in ambiente innevato, che non

differiscono nella sostanza dagli altri ambienti, ma sono condizionate dal materiale con cui si è costretti a lavorare alle basse temperature. È necessario ancora una volta sottolineare che l’abbandono del materiale anche in situazioni di emergenza può pregiudicare la sopravvivenza in montagna e che quindi, nonostante i movimenti risultino più lenti, è necessario svolgere le attività a fuoco di Distaccamento con tutto l’equipaggiamento indossato al fine di ridurre al minimo l’impaccio e velocizzare le azioni a fuoco. Si provano tutte le posizioni di tiro con gli sci indossati (in piedi, in ginocchio, sdraiati), utilizzando, ad esempio, i bastoncini come appoggio per l’arma, singolo o incrociando i lacci di sicurezza, per ottenere un tiro più preciso. Le reazioni automatiche seguiranno le procedure standard, e ciascun Incursore sparerà con un ginocchio appoggiato sulla parte anteriore dello sci, e si sgancerà con movimenti di sci-alpinismo,

effettuando delle rotazioni sul posto che devono essere provate molte volte. Viene ricordato inoltre che nelle azioni di ripiegamento l’effetto delle granate e dei fumogeni sulla neve è decisamente ridotto. Un’altro esercizio che viene provato molte volte è l’assalto di Distaccamento con le ciaspole (che danno un minor impaccio) o con sci nel caso la neve non consenta l’avanzamento con le ciaspole, finalizzato ancora una volta a mantenere in necessario coordinamento tra le aliquote durante il fuoco ed il movimento sula neve in assetto da combattimento. L’ESERCITAZIONE “LONTRA 2013” La Lontra 2013 costituisce l’evento conclusivo dell’ambientamento montano innevato degli Incursori e si inquadra nel processo di mantenimento delle capacità delle Forze Speciali di muovere, vivere e combattere in tutti i contesti ambientali e nelle diverse situazioni operative. La concezione e l’organizzazione di tale TNM ••• 69


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Le esercitazioni al poligono sono particolarmente si importanti poichĂŠ he apprendono tecnic uali di tiro del tutto inus in altri ambienti operativi.


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evento, che ha visto la convergenza di verifiche di due diverse compagnie d’assalto, è iniziata già da ottobre scorso, in virtù della complessità necessaria a ricreare l’imprescindibile realismo delle attività addestrative degli Incursori e garantire nel contempo la predisposizione di tutte le misure di sicurezza volte ad mitigarne il rischio intrinseco, soprattutto in un ambiente naturale ostico come quello alpino. Il reggimento si avvale di una Sezione di Addestramento composta da personale selezionatissimo ed esperto in tutte i settori di impiego che, di concerto con l’Ufficio Operazioni dell’unità, si è occupata di creare lo scenario operativo e la relativa documentazione di supporto, individuare le aree idonee allo sviluppo delle attività tattiche aderenti allo scenario (incluse le strutture da adibire a targets), svolgere tutte le ricognizioni in loco e stabilire i contatti con i privati, le autorità locali e gli organi di sicurezza che sono stati interessati, a vario titolo, dall’attività. Per garantire il necessario realismo ed ottenere la massima efficacia addestrativa, è stata prevista la presenza di una controparte con funzioni di OPFOR (Opposing Forces) e Role Players, ruolo ricoperto da squadre di Alpini (messe a disposizione dal Comando Truppe Alpine) che, sotto la direzione dall’Exercise Control (EXCON) hanno svolto attività di controinterdizione, ricerca d’area e presidio obiettivi. Inoltre la settimana precedente l’esercitazione vera e propria un advance party del REOS (Reparto Elicotteri per Operazioni Speciali) con il quale il 9° collabora in maniera proficua da molti anni, si è unito al personale del 9° per finalizzare la pianificazione e sviluppare le necessarie modalità di coordinamento con i Distaccamenti Operativi. La domenica successiva anche un AB 412 e un CH47 del REOS, con i relativi equipaggi, si sono ricongiunti con il resto dello Special Operations Task Group ed hanno iniziato le attività di amalgama e rehearsal a premessa delle inserzioni. L’esercitazione ha

avuto inizio con uno Startex Briefing da parte del Comando del battaglione d’assalto, dove sono stati enunciati i lineamenti dell’esercitazione, gli obiettivi addestrativi e le modalità di svolgimento. A seguire è stato presentato lo scenario operativo e la road to war, usati per creare le condizioni di conoscenza comune e dare seguito alla successiva fase di emanazioni gli ordini alle unità dipendenti. Utilizzando gli strumenti

di condivisione e la rete locale creata dalla dipendente componente CIS, le unità operative hanno iniziato la fase di pianificazione, alla quale, per motivi di OPSEC non è stato possibile partecipare. Lo scenario geopolitico sul quale si è basata l’esercitazione Lontra 13 ha ipotizzato una situazione in cui una nazione del sud Europa (la Repubblica Federale Alpina - RFA), venuta in contrasto con la politica unitaria della Comunità Europea, ha TNM ••• 73


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intrapreso uno sviluppo economico autonomo cercando di impadronirsi delle neo scoperte risorse petrolifere nel Mar Adriatico a discapito della nazione confinante (MEDITERRANEA). Contestualmente RFA ha iniziato un programma di sviluppo nucleare volto a creare pressioni sulla Comunità Europea, che ha reagito con moniti formali ed il richiamo in Patria del personale diplomatico. La cattura

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e detenzione di alcuni diplomatici da parte delle forze armate di RFA ha prodotto un’inevitabile escalation di tensione tra le parti e conseguentemente tasking di unità di FS con il compito di concepire, organizzare e condurre Operazioni Speciali in ambiente montano innevato, in un contesto non permissivo volto alla raccolta informativa ed alla condotta di possibili azioni di Hostage Release

Operations. La sera del lunedì, al termine dei briefback e degli aircrew coordination briefings, abbiamo quindi visto i primi teams muoversi, sempre in modo discreto e con la loro tipica silenziosità, verso l’area d’imbarco, dove gli equipaggi erano già pronti a dare inizio alle operazioni di caricamento. Successivamente abbiamo visto (o meglio sentito) gli elicotteri allontanarsi nel buio alla volta


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di sensori remoti di recentissima acquisizione e di Azioni Dirette su obiettivi fissi e mobili. Già dallo scenario che ci è stato presentato abbiamo dedotto che una particolare attenzione è stata dedicata alla lotta contro le armi di natura chimica e nucleare.

delle zone di atterraggio di inserzione da dove hanno iniziato il movimento notturno verso le rispettive aree obiettivo. Durante tutto lo sviluppo delle attività ci è parso di percepire la grande enfasi data alla sicurezza del personale in supporto (OPFOR/Role Players), con briefing dedicati alle regole d’ingaggio, al tipo di munizioni da usare (colpi a salve o simmunition), alle modalità di riconoscimento del

personale ed alle modalità di utilizzo e forzamento delle infrastrutture utilizzate per limitare i danni alle stesse, atteggiamento che ancora una volta denota professionalità e cura dei dettagli. Per motivi di riservatezza non ci è stato possibile seguire l’evolversi dell’esercitazione ma ci risulta che le attività svolte dai distaccamenti si siano materializzate in Special Reconnaissance con l’utilizzo anche

L’INSERZIONE AEREA IN AMBIENTI ARTICI E MONTANI. Come noto le Operazioni Speciali sono particolarmente sbilanciate nella terza dimensione ed i sistemi di inserzione che sfruttano assetti aerei ad ala fissa sono spesso impiegati dalle Forze Speciali in quanto consentono una rilevante penetrazione mantenendo caratteristiche di flessibilità e discrezione. Nell’esecuzione di un Operazione Speciale, infatti, contrariamente a quanto potrebbe avvenire nelle attività convenzionali, qualora l’aviolancio di inserzione venisse individuato dal “nemico” l’intera attività che, per definizione stessa di Operazione Speciale, si rivolge a obiettivi di altissima e prioritaria importanza, verrebbe compromessa quasi ancora prima di iniziare. L’ambiente circostante condiziona profondamente le procedure e le tecniche di effettuazione degli aviolanci di inserzione imponendo spesso delle restrizioni considerevoli. In scenari artico montani, soprattutto se in terreni particolarmente compartimentati, l’aviolancio con fune di vincolo ha scarse probabilità di essere scelto ed effettuato principalmente per la difficoltà nel reperire in prossimità dell’area di interesse operativo una zona idonea e di adeguata ampiezza e lunghezza per garantire l’effettuazione di tale tipologia di inserzione garantendo l’uscita dal velivolo di tutti gli operatori necessari senza ripetere i passaggi dello stesso al fine garantire la citata e necessaria discrezione dell’attività. Inoltre, qualora scelta la tipologia di lancio vincolato, sarebbe necessario anche prevedere l’aviolancio di un carico volto a contenere tutto l’equipaggiamento

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di particolare ingombro (sci, racchette da neve, materiale tecnico e di soccorso, ecc.) necessario alla condotta dell’operazione e che non può, per limitazione della tecnica di lancio stessa, essere trasportato individualmente dall’operatore durante l’aviolancio. Il problema quindi, sempre qualora si reperisse la zona di ampiezza tale da consentire l’attività, sarebbe poi quello degli incursori che, una volta atterrati e senza equipaggiamento specifico per muovere su terreni innevati (soprattutto se il manto nevoso è alto e fresco), dovrebbero andare a cercare, di notte, il punto di atterraggio del carico per prendere i materiali necessari per la missione. Ci dicono i nostri amici del 9° che svariate volte, nel passato, hanno provato anche tecniche simili, che il tutto si riduce a delle “ravanate” incredibili che danno risultati del tutto deludenti: il carico viene trovato solo alle luci del mattino seguente, spesso è in zone boschive ed è necessario un tempo

incredibile per cancellare o comunque confondere le tracce delle ricerche della notte. Anche dotando il carico di un trasmettitore GPS (cosa già provata dal 9° incursori) si riducono i tempi di ricerca ma non si risolve la problematica. E’ quindi la tecnica della caduta libera, che a seconda degli scenari può essere effettuata da alta quota (lanci HAHO/HALO), quella scelta dagli incursori del 9° che sono l’unico reparto di Forze Speciali nazionali ad esprimere questa capacità ed in cui tutti gli operatori sono abilitati ed esperti nell’effettuazione di aviolanci in caduta libera, anche da alta quota e con l’impiego di apparecchiature ad ossigeno. La tecnica in caduta libera consente la fuoriuscita in un tempo minimo, comportando quindi una trascurabile dispersione, di un considerevole numero di operatori che poi, manovrando le vele a profilo alare, potranno atterrare in landing zones di ridotte dimensione evitando con discreta facilità gli eventuali ostacoli presenti. Inoltre,

tale procedura consente al personale l’impiego di night vision goggles e quindi la marcatura della zona con luci all’infrarosso non visibili ad occhio nudo (anche se i nostri incursori sono in grado ed addestrati ad effettuare aviolanci senza marcatura della zona di lancio). Uno degli altri onerosi problemi degli aviolanci in montagna è rappresentato dal carico operativo che ogni incursore si deve portare al seguito. Il normale equipaggiamento, che normalmente supera il peso di 40 kg, è ulteriormente appesantito dal materiale necessario per difendersi dalle temperature artiche e dai mezzi per spostarsi sopra la neve, siano essi gli sci o le ciaspole (racchette da neve). Ogni incursore si trova dunque a doversi portare addosso durante l’aviolancio pesi che possono superare i 50 kg e di un ingombro di notevolissima importanza. Tenuto conto di ciò il 9° reggimento sembra comunque aver risolto il problema. Non ci sono stati forniti dettagli, ma vedendo qualche scorcio di materiali ci è parso di

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capire che impieghino sistemi quali il Military Tandem Tethered Bundle (MTTB) che consente di aviolanciare un carico, che può raggiungere i 200 Kg, che è vincolato in caduta libera ad un paracadutista….un po’ come

settore infatti, il 9° reggimento rappresenta l’unità di riferimento per l’innovazione sia degli equipaggiamenti sia nelle procedure nell’ambito del paracadutismo. Sono gli incursori del reggimento che hanno messo

di ricercare, senza ricevere alcun input dall’alto e spesso in scarsità incredibile di risorse, il modo migliore per assolvere ai compiti speciali che da sempre gli sono stati affidati.

un lancio in tandem con personale. Tale procedura elimina il problema della la dispersione, e consente di racchiudere in un contenitore, che verrà poi materialmente portato in caduta libera da uno degli incursori più esperti e capaci, il materiale più ingombrante e che non rientra nei carichi individuali, necessario per la missione. E’ chiaro che l’adozione di questa tecnica richiede esperienza, qualifiche, mantenimento ed anche una buona dose di fegato….qualità queste che non ci sono sembrate mancare agli incursori del 9° tra le cui file militano svariati istruttori di paracadutismo ed esperti nel settore ampiamente riconosciuti anche nell’ambito civile. Nello specifico

a punto, tramite il loro laboratorio, l’imbragatura per il trasporto “tutto dietro” dei carichi in caduta libera. Tecnica che dopo la lunga fase di sperimentazione è stata adottata da tutta la Brigata paracadutisti e da tutte le Forze Speciali nazionali (GOI, 17° stormo e GIS). Molto è cambiato e si è evoluto dai lontani anni settanta quando gli allora “sabotatori” del 9° battaglione avevano sperimentato gli “sci pieghevoli” e quindi trasportabili facilmente dall’individuo, che però si rompevano facilmente sotto il carico dell’’operatore e dello zaino provocando “smoccolature” tra le valli silenziose dell’arco alpino. Ma anche a quei tempi il 9° non si stancava di spingersi sempre più lontano e

COME SI DIVENTA INCURSORI La formazione di un incursore dell’Esercito rappresenta l’iter addestrativo più completo, articolato e selettivo delle Forze Speciali italiane che, oltre al 9° rgt, sono costituite dal Gruppo Operativo Incursori della Marina Militare, dal 17^ Stormo della AM e dal GIS dei Carabinieri, e tra i più lunghi anche in ambito internazionale. Le percentuali di attrito complessive dell’intero processo possono raggiungere anche il 90% e le capacità individuali acquisite alla fine sono uniche e difficilmente riscontrabili perfino negli omologhi reparti dei principali Paesi occidentali. L’end state che si prefigge l’iter formativo, che nel complesso dura poco più

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di due anni e viene svolto in gran parte all’interno dell’unità formativa e addestrativa del 9° reggimento, il RAFOS (Reparto Addestramento Forze Speciali), è il condizionamento di un soldato maturo ed equilibrato

comportamentali di base necessarie alla condotta di elementari pattuglie da combattimento. La fase successiva, della durata di circa 6 mesi, ha lo scopo di abilitare gli aspiranti incursori alla pianificazione, organizzazione

per l’abilitazione all’impiego di autorespiratori a ossigeno) svolti nelle scuole di specializzazione dell’esercito (Cealp e Capar) e della Marina Militare (COMSUBIN). Al termine dell’iter formativo, (su 100

in grado di operare in autonomia operativa e logistica in condizioni di isolamento ed in contesti ostili. Il reparto recluta militari già competenti con alle spalle almeno tre anni di vita militare e li sottopone, prima dell’iter vero e proprio, a un percorso selettivo e impegnativo sia dal punto di vista fisico sia da quello dell’impegno psicologico, che prevede una serie di esercizi valutativi e prove di resistenza fisica in assetto da combattimento e in condizioni di stress psico-fisico. Alla fine delle tre settimane, il personale idoneo è ammesso alla frequenza del corso OBOS (Operatore Basico per Operazioni Speciali) della durata di circa 5 mesi, durante il quale l’aspirante acquisisce le abilità

e condotta di Operazioni Speciali. A seguire, gli aspiranti incursori frequentano il corso di combattimento avanzato, i cui contenuti rappresentano l’ambito di eccellenza di impiego delle Forze Speciali. Il corso fornisce le tecniche e gli strumenti base per il combattimento in ambienti ristretti (room clearing, impiego di esplosivi e breaching, combattimento offensivo ravvicinato, impiego sniper, eccetera) a livello individuale, di nucleo e di team. Il secondo anno dell’iter formativo è rivolto principalmente ai cosiddetti corsi “ambientali” (corso basico di alpinismo, corso basico di sci e sci-alpinismo, corso anfibio, corso aviolanci con la tecnica della caduta libera, corso

aspiranti che si presentano alle selezioni, dopo due anni ne escono meno di 20 qualificati incursori), il personale riceve l’agognato brevetto di Incursore ed andrà ad alimentare il battaglione d’Assalto. In tale ambito la formazione continua con attività di specializzazione avanzate in funzione degli incarichi da ricoprire all’interno dei distaccamenti operativi (HAHO/ HALO, FAC, Medical, Sniper, Breacher, operatore specializzato Close protection team, corsi di istruttore sci, alpinismo, TCL, ecc.) e si perfeziona attraverso la partecipazione alle molteplici missioni all’estero e agli addestramenti congiunti con Forze Speciali italiane (il Gruppo Operativo incursori della marina militare, il 17°

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stormo dell’aeronautica militare e il GIS dei carabinieri, con le quali il 9°, grazie al coordinamento del Comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali, opera e si addestra quotidianamente) e straniere, nonché a corsi professionali specifici tra cui quelli svolti negli Stati Uniti e presso il Nato Special Operations Headquarter in Belgio. Una vita ricca di soddisfazioni, a fronte di grandi sacrifici, fatiche, periodi lontani dalle famiglie e rischi sia in addestramento, sia in operazioni. A copertura dei maggiori rischi e dei maggiori disagi connessi con la specificità e unicità delle attività condotte dal personale del reparto, gli incursori percepiscono indennità non trascurabili, che vanno anche a contribuire alla formazione del trattamento di quiescenza. Per il personale ancora non in servizio permanente, il conseguimento del brevetto da incursore costituisce un vero e proprio trampolino di lancio per il passaggio in servizio permanente effettivo. Informazioni generali sul reclutamento al 9° Col Moschin sul sito dell’Associazione nazionale incursori esercito (www. incursoriesercito.com). Un articolo del collega Scarpitta esamina in profondità tutto l’iter formativo degli incursori (www.analisidifesa.it/wp-content/ uploads/2012/11/rafos.pub_.pdf) TNM ••• 80

IL RECLUTAMENTO Sembrerebbe che le procedure per il reclutamento del personale che aspira a diventare incursore dell’Esercito stiano cambiando. Mentre prima il reparto attingeva principalmente dai militari già paracadutisti ora il bacino sarà esteso presumibilmnete a tutta la Forza Armata. Gli aspiranti saranno con ogni probabilità VFP4, VSP, Sergenti e Marescialli con una età massima di 28-29 anni (forse si potrà arrivare sino ai 30-31 per i sergenti). Dovranno passare delle selezioni dure, ma li aspetta un percorso formativo di eccezione ed una vita unica nel suo genere. Non abbiamo altri particolari ma ci hanno dato quasi per certo che entro fine anno qualsiasi militare dell’Esercito che lo desideri e che rientri nei parametri stabiliti potrà aderire al reclutamento per il 9° reggimento “Col Moschin”. Chi è interessato tenga occhi aperti e orecchie dritte e soprattutto cominci da ora la preparazione e l’allenamento perché, da quanto sappiamo, non si faranno sconti a nessuno. Non ci saranno preferenze, ma sembra logico che i più facilitati nel passare le selezioni saranno i militari con una preparazione fisica assolutamente eccellente, che abbiano una ottima conoscenza della procedure e materie militari convenzionali (addestramento individuale al combattimento, tiro, topografia, tecniche di pattuglia ecc…), che magari sappiano già abbastanza bene una o più lingue straniere (la più importante è ovviamente l’Inglese ma anche le altre sono considerate di interesse) e che abbiano preferibilmente conseguito delle qualifiche inerenti la formazione dell’incursore tra le quali abbiano frequentato il corso sci, il corso di alpinismo, il corso di paracadutismo con la Tecnica della Caduta Libera, la qualifica di Forward Air Controller ecc… Ma che i meno esperti non si impauriscano, ci hanno detto gli incursori stessi che spesso cominciare da zero con volontà, passione, determinazione e spirito di adattamento è meglio che avere già delle impostazioni avanzate, magari non complete, che vanno poi corrette ed adattate. Molto probabilmente il sito www.incursoriesercito.com pubblicherà da subito la richiesta di reclutamento estesa a tutti i militari dell’Esercito.


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INTERVIEW INTERVIEW INTERVIEW INTERVIEW INTERVIEW IN

INTERVISTA AL COMANDANTE

DEL IX° REGGIMENTO

D’ASSALTO “COL MOSCHIN” COLONNELLO ROBERTO VANNACCI DI PAOLO PALUMBO

Signor colonnello puoi raccontarmi brevemente qual è stato il suo iter addestrativo che l’ha condotta a diventare il comandante di uno dei reparti più prestigiosi dell’esercito italiano? Non vorrei annoiarla raccontandole una biografia ricca di date, riferimenti e corsi per cui sarò estremamente sintetico: ho frequentato l’Accademia di Modena e la Scuola di Applicazione di Torino, al termine della quale col grado di Tenente ho chiesto di essere assegnato al 9° reggimento “Col Moschin”. Ho dovuto superare tutte le prove ed i test di ammissione e, in seguito, ho iniziato l’iter di due anni per diventare incursore. Per gli Ufficiali il percorso è lo stesso (da sempre, al 9° reggimento, non si fanno sconti, indulti, o sanatorie per nessuno) e, all’epoca, quando ancora il reggimento inquadrava unicamente Ufficiali e Sottufficiali, i commilitoni con i quali ho condiviso i due anni di corsi e addestramenti formativi, erano i sergenti provenienti dalla Scuola Sottufficiali. Conseguito il brevetto da incursore e dopo un periodo di esperienza nell’aliquota operativa dell’allora battaglione “Col Moschin” ho assunto il Comando di un Distaccamento Operativo Incursori e sono partito quasi immediatamente in operazioni in Somalia. Presso il 9° reggimento ho svolto tutti gli incarichi di Comando: Distaccamento Operativo Incursori, Compagnia Incursori e Battaglione Incursori e sono stato impiegato al comando di unità di Forze Speciali in ogni grado rivestito in quasi tutti i teatri in cui l’Italia è intervenuta dal 1990 in poi: dalla Somalia ai Balcani, all’Iraq ed Afghanistan conducendo anche attività operative in Ruanda, Yemen e Costa d’Avorio. Dopo il Comando di battaglione incursori TNM ••• 82

sono stato impiegato presso il neo costituito Comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali (COFS) prima in qualità di Capo Ufficio Operazioni, poi come Sottocapo di Stato maggiore Operativo ed infine quale Capo di Stato Maggiore. Durante la mia carriera ho frequentato svariati corsi per Forze Speciali all’estero e, indispensabile per poter ambire il comando di reggimento, ho frequentato il Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze. Qualche anno fa ho anche prestato servizio presso l’ISAF Command e l’ISAF SOF Command in Afghanistan. La quasi totalità della mia esperienza professionale l’ho trascorsa nello specifico ambiente delle Forze Speciali coronando così una scelta di vita che manifestavo sin da adolescente. Oggi, rispetto a quando ha iniziato la sua carriera, soprattutto a livello umano, cosa è cambiato nell’essere un “incursore” ? Non è cambiato molto. I valori, le motivazioni, i fattori stimolanti e le emozioni sono rimaste le stesse. Forse è cambiato il profilo di impiego e, con esso, la vita quotidiana dell’incursore. All’epoca si viveva ancora (anche se poi è cambiato molto rapidamente) con la mentalità della guerra fredda: molti addestramenti e attività esercitative volte a prepararsi per un ipotetico impiego “oltre cortina”. Sin dalla sua ricostituzione nel dopoguerra, infatti, anche se all’epoca il termine Forze Speciali non era ancora entrato nelle antologie di specialità, il reparto era l’unico in ambito Forza Armata a cui erano assegnati “compiti strategici” da assolversi con modalità “non convenzionali”. Gli incursori, all’epoca sabotatori, sono quindi sempre cresciuti con quella mentalità. In quegli anni la tipica missione era percepita come un


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“lancia e dimentica” in operazioni in territorio nemico che avrebbero comportato quasi certamente la morte. Ma la posta in gioco era anche molto alta… si trattava della sopravvivenza stessa della nostra nazione. Oggi gli incursori sono costantemente impiegati. Chi viene da noi sa che passerà almeno 6 mesi all’anno in operazioni all’estero. Il periodo trascorso in Patria è percepito quasi come un intervallo tra due missioni consecutive. I compiti sono sempre ad altissima valenza strategica e si svolgono al di fuori dei confini nazionali, ma il contesto internazionale è cambiato. Da un punto di vista umano credo che non sia cambiato nulla. Chi diventa incursore, ora come allora, lo fa sicuramente per amor di patria, ma anche per appartenere ad una schiera unica nel suo genere… per dimostrare soprattutto a se stesso di essere in grado di fare ciò che solo in pochi, pochissimi sanno fare… per essere un diverso…. in poche parole per far parte di una élite ristrettissima. Unica! Nel suo percorso addestrativo un allievo incursore è portato al limite delle sue possibilità, sia fisiche, sia psicologiche; immagino tuttavia che il corso non insegni cosa voglia dire effettivamente essere un soldato speciale, ad affrontare l’imprevisto, ma soprattutto a vivere insieme ad altre persone, come i propri familiari, i quali non sempre sono pronti ad accettare quello che fai. Come si coniugano le due cose? Può parlarmi della sua esperienza personale? Il corso, e soprattutto l’esperienza professionale che si matura negli anni nel reparto di Forze Speciali insegnano molte cose. La parte fisica e tecnico procedurale è la più semplice, basta impegnarsi, allenarsi, studiare e si riesce. La componente umana, sociale e relazionale è sicuramente la più complessa ed articolata. Non ci sono lezioni specifiche (anche se in realtà se ne fanno), il grosso lo si impara a proprie spese e, per i più furbi, imitando e facendo tesoro di quanto consigliato dai più esperti. Un incursore, per il proprio lavoro, deve essere adattabile, flessibile, lungimirante, dotato di iniziativa e di tempismo… tutte qualità che anche nell’ambito relazionale aiutano. L’abitudine a dover quotidianamente affrontare e risolvere situazioni complesse senza mai perdere la calma è un altro fattore importante che trova riscontro anche nella vita comune. E’ tuttavia estremamente difficile unire le esigenze professionali che richiedono una disponibilità totale con quelle familiari che spesso richiedono la stessa, se non maggiore, disponibilità. La mia esperienza personale è semplice: ho rinunciato ad una famiglia per la quasi totalità della mia vita professionale! In cuor mio sapevo che essendo estremamente impegnato, spesso all’estero e facendo un lavoro che richiedeva una riservatezza totale non mi sarei potuto dedicare ad altro. Mi sono sposato solo 2 anni fa, superati i quaranta. La mia vita, così come molti altri incursori, l’ho passata con lo zaino sempre pronto, le vacanze (poche) fatte solo e sempre all’ultimo momento, un appartamento austero arredato da IKEA (in modo da potermi trasferire con facilità senza spendere un patrimonio), una assicurazione sugli infortuni (perche in operazioni, ma soprattutto in addestramento si rischia molto) ed una assicurazione TNM ••• 84

sulla autovettura con possibilità di sospensione (in modo da non perdere i lunghi ed imprevedibili periodo passati all’estero in operazioni). Molti fanno così, si sposano solo alla fine della fase operativa, altri lo fanno prima. Spesso va bene, ma anche il contrario avviene con una certa frequenza. Anticipo una ulteriore domanda che le potrebbe venire in mente: non rimpiango nulla di quanto ho fatto, era la mia passione ed ambizione, e probabilmente, se me ne fosse data la possibilità, lo rifarei a grandi linee magari evitando qualche stupido errore! Altri corpi speciali nel mondo, come i famosi SAS inglesi o i SEAL americani, spesso usufruiscono delle nostre competenze per perfezionarsi in determinati ambienti operativi. Tuttavia il 9° “Col Moschin” non gode della stessa pubblicità sui vari media che hanno gli stranieri. Certo, in Italia fa difetto una totale diffidenza rispetto tutto ciò che è militare: secondo lei c’è la possibilità che la mentalità cambi? Perché ancora tutta questa diffidenza? Non vi è dubbio che gli Americani abbiano la capacità di tramutare in un telefilm tutti i mestieri del mondo… da “CSI” a “medici in prima linea”, da “baywatch” a “JAG”. Con un po’ di fantasia e la collaborazione di qualche bella attrice sgambata hanno trovato il modo di fare una pubblicità che farebbe invidia a qualsiasi


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associazione di “arti e mestieri”. C’è anche da dire che queste serie negli USA hanno anche un particolare successo! Ma non scordiamoci che gli Stati Uniti sono una nazione dove ogni cittadino ha una bandiera a stelle e strisce in casa o nel giardino ed a scuola, prima di iniziare le lezioni, sin dalle elementari, si canta in piedi l’inno nazionale. I servitori dello stato e soprattutto i militari sono considerati degli eroi, per non parlare di quelli impiegati in operazioni! Da noi, come sa, le percezioni sono diverse. I rapporti con i media sono buoni quello che cambia, a mio avviso ed usando un termine tecnico, è la “target audience”… in altre parole il pubblico interessato. Non nascondo che spesso molte attività del reggimento rimangono non divulgate per una necessità di discrezione e riservatezza, e ciò è comprensibile. Molto è stato fatto e devo dire anche con discreti risultati. E’ anche una mia impressione che il numero di persone interessate a quanto facciamo ed a cosa rappresentiamo stia aumentando. Il futuro è quindi promettente…non credo a cambi repentini di mentalità ma con un po’ di sforzo da parte istituzionale ed un po’ di presa di coscienza da parte del pubblico il problema della comunicazione potrebbe appianarsi.

A livello comunicativo cosa dovrebbe fare, secondo lei, il suo reparto per conquistare un giusto spazio sulle pagine dei quotidiani (riviste del settore a parte), ammesso che lei lo desideri? Non le nascondo che questa domanda scaturisca dal fatto che certi “miti” o “distorsioni” nascono appunto dalla cattiva informazione e che, forse, un’attenta diffusione di ciò che si fa, contribuisca a fare chiarezza. La divulgazione di notizie certe ed ufficiali circa l’operato del reggimento, quando possibile, credo sia l’unica maniera per evitare che leggende insulse o miti inconsistenti vengano creati ed affiancati all’immagine del reparto. Anche una apertura nei confronti dei media è pagante, ma spesso sono i media stessi a non essere interessati, o ad esserlo solo in alcuni momenti topici… quando c’è un ferito, o forse un caduto, o quando si sente parlare di una operazione all’estero… ed allora c’è la rincorsa alle notizie, si sfoderano immagini di repertorio, filmati datati ed a volte non coerenti, ed alcune testate, per fare lo scoop, alimentano quei miti e leggende di cui le parlavo prima… Quale è il vostro rapporto con le altre componenti del COFS? Sono certo che qualsiasi operazione si svolga in piena collaborazione, tuttavia a livello di tradizioni si conserva ancora un po’ di sano e militaresco campanilismo? Il senso di appartenenza al reparto è molto sentito. A volte è morboso…fa parte di quel sentimento di sentirsi dei diversi, appartenenti ad una élite ristrettissima. Unica!


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Ricorda?! La collaborazione con gli altri reparti di Forze Speciali italiani appartenenti alle altre Forze Armate è costante e produttiva. Il COFS, sin dalla sua creazione, ha esaltato questa integrazione e sia in patria sia in operazioni gli incursori del 9°, del GOI, del 17° stormo e del GIS si trovano spesso amalgamati lavorando a strettissimo contatto. Penso che sia ovvio che ognuno cerchi di custodire gelosamente le proprie caratteristiche e nicchie di eccellenza derivanti dalla storia, dalla vocazione del reparto e dalla Forza Armata di appartenenza ma questo rientra nella sana competizione tra professionisti. Peraltro, la stessa concorrenza l’ho notata anche nei colleghi stranieri, fra SAS e SBS, tra SEAL e Berretti Verdi, tra il Commando Hubert ed il 1er RPIMA… perciò, nulla di cui preoccuparsi! Il comandante di un reparto come il suo deve assommare diverse qualità, e non mi riferisco solo alle competenze tecniche espresse sul campo, ma soprattutto il saper risolvere i problemi di tutti giorni. Cosa vuol dire dirigere un reparto speciale oggi? Come si suol dire “chi si loda s’imbroda” per cui non si aspetti che inizi ad elencare una serie di rare qualità delle quali dovrei essere in possesso! Comandare il reparto di Forze Speciali dell’Esercito è innanzitutto un onore ed un privilegio. Per quanto non sia io a dover dire se sono all’altezza del compito, ma piuttosto i miei superiori (e subordinati) dal mio punto di vista comandare il 9° reggimento richiede innanzitutto tanta disponibilità, pazienza, impegno e buon senso. La conoscenza dei propri uomini e l’aver condiviso con loro, nel corso degli anni, rischi, successi, paure e fatiche è un’altra componente importante. Quando si fa parte del clan si è ascoltati e percepiti da tutti, anche dai giovanissimi, con un atteggiamento diverso, non si eseguono solo ordini! E poi, come in ogni altro mestiere, l’esperienza e soprattutto l’esempio chiudono il cerchio! È d’accordo con l’affermazione che oggi, un operatore delle Forze Speciali, per le sue competenze e qualità espresse, debba assomigliare più a un professore universitario che non a un soldato “senza macchia e senza paura”? No, non condivido, e non vorrei che con queste affermazioni si alimentassero altri miti. Un appartenente alle Forze Speciali è innanzitutto e primariamente un soldato, ovvero un “atleta che sa sparare“! Forza fisica, capacità di adattamento e conoscenza tecnico-pratica degli strumenti di lavoro sono le caratteristiche fondamentali che vanno poi completate con altre capacità. Non vi è dubbio che lo spettro di conoscenze che deve possedere un appartenente alle Forze Speciali è sicuramente ampio e diversificato ma le basi, i fondamentali, non sono cambiati. Nel nostro lavoro, peraltro, le capacità pratiche e teoriche si sviluppano armoniosamente ed è la mentalità dell’incursore che lo spinge a perfezionarsi sempre ed a ricercare di eccellere in ogni campo. Chi aspira a diventare incursore, TNM ••• 86

proprio per quella mentalità di appartenere ad una élite ristrettissima, è portato alla competizione ed è bramoso di far parte “dei primi”. Dalle fila del reggimento sono usciti personaggi di assoluto rilevo: alcuni hanno raggiunto i vertici delle Forze Armate, altri si sono distinti in altri campi, anche i più disparati. Pensi che il primo astronauta italiano è stato proprio un incursore del 9° reggimento, Paolo Nespoli, che ha coronato la propria ambizione contando solo sulle proprie forze e su tanta, tanta, tanta determinazione. Quello che voi incursori sapete fare e avete imparato in anni di lungo addestramento e nei teatri operativi, fa di voi persone molto preparate. Quanto di quello che avete appreso è utilizzabile nel mondo civile? Anche in questo campo ritengo che non siano le conoscenze specifiche ad essere ricercate nell’ambito civile ma la mentalità, la capacità di adattamento, di risoluzione dei problemi, di integrazione, la determinazione nel raggiungere gli obiettivi. Tutte qualità che un incursore deve possedere. Credo sia per questo che, in genere, chi esce dal reggimento non ha difficoltà a trovare altri impieghi, anche di rilievo, nell’ambito civile. Con questo non voglio sminuire la preparazione tecnica approfondita che si consegue al reparto, ma la stessa preparazione può essere raggiunta studiando ed impegnandosi anche in altri ambienti… esistono civili che conoscono benissimo armi ed esplosivi, che insegnano queste materie alle scuole od alle università, ma quanti di questi hanno superato la prova del fuoco, quanti hanno deliberatamente partecipato ad azioni che ponevano in estremo pericolo la propria vita, hanno dimostrato praticamente di saper agire in gruppo in situazioni di estremo pericolo conseguendo risultati di grande rilievo? Ecco, a mio avviso, il perché gli incursori sono ricercati! Alla luce di quanto sia cambiato nel modo di fare la guerra, secondo la sua esperienza, che futuro ha un reparto come gli incursori? A questa domanda è facile rispondere, basta vedere gli orientamenti di tutti gli stati moderni che, in un periodo di crisi nera e tagli drastici stanno risparmiando su tutto, chiudendo reparti e Comandi, ritirando truppe dalle operazioni, ormeggiando ai moli le navi e chiudendo negli hangar gli aerei, ma stanno potenziando ed investendo sui reparti di Forze Speciali. Potrei anche risponderle in modo più dottrinale: dal momento in cui la minaccia è diventata asimmetrica e non convenzionale serve uno strumento anch’esso non convenzionale per prevenirla e, se necessario, contrastarla e le Forze Speciali si sono dimostrate molto efficaci ad assolvere questo compito. Sono quindi convinto che almeno per il prossimo ventennio intelligence, capacità di comando e controllo e forze non convenzionali rimarranno al centro degli sforzi di potenziamento nel settore della Difesa e Sicurezza degli stati occidentali. Il 9° reggimento “Col Moschin” dovrebbe quindi avere un futuro caratterizzato da attenzione, sviluppo, investimento ed impiego a tutto campo.


11-14 June 2013 - Olympia Conference Centre, London

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ADC ITALIAN BLACK RIFLE EDITION 2013

DI JACOPO GUARINO & PAOLO GRANDIS - TADPOLES TACTICS FOTO DI PIERANGELO TIMOLINA


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veliamo per voi in anteprima tutti i segreti del nuovo “black rifle” prodotto dalla società italiana ADC Armi Dallera Custom: sono state, infatti, introdotte, a partire dal 2013, svariate novità e varianti, sempre alla ricerca della massima espressione possibile di qualità made in Italy. La scelta di Tadpoles Tactics di utilizzare nei propri corsi di formazione una carabina semiautomatica di dimensioni compatte e di eccellente fattura ha richiesto un conseguente sforzo selettivo tra quanto disponibile sull’ampio mercato; le svariate collaborazioni internazionali, in particolare con gli USA, hanno ampliato in modo esponenziale l’offerta di prodotti, sia per quanto sviluppato con l’obiettivo di soddisfare il mercato militare o di law enforcement, sia per quello civile o sportivo. Ogni appassionato del settore conosce approfonditamente, infatti, le possibili offerte del mercato americano, tedesco e svizzero. Ultimamente, certo non per inferiore qualità di risultato, produzioni dall’est Europa hanno fatto breccia anche nel mercato italiano, e lo stesso dicasi per i tanto discussi prodotti con gli occhi a mandorla. La decisione finale è qui illustrata, rappresentata da uno specifico prodotto totalmente italiano, orgogliosamente peraltro, creato su misura per le esigenze di Tadpoles Tactics come solo un produttore “custom” può e sa fare: il nuovo ADC SWAT - 12,5”.

Passando alla disamina delle caratteristiche dei singoli componenti, non si può non rilevare, già a prima vista, un completo rifacimento del upper receiver: lo stesso è ricavato dal pieno in alluminio 7075 con un indurimento di tipo T6, e trattato esternamente attraverso un processo di anodizzazione dura. Il modello 2013 presenta spessori completamente rivisti e maggiorati, che conferiscono, nel complesso, un aspetto di solidità e robustezza che è difficilmente descrivibile. Basti notare che non è presente nessuna scanalatura o abbassamento di profilo dalla parte posteriore verso la canna: il risultato, in ogni caso, stupisce anche per la sua leggerezza, poiché la scelta dei materiali e il progetto nel suo insieme sono stati pensati per offrire al tiratore un’arma compatta e ben bilanciata. La parte superiore dell’upper presenta anche un slitta Picatinny MIL-STD-1913 con riferimenti per il montaggio di accessori.

ADC Armi Dallera Custom non ha bisogno di presentazioni, rappresentando da anni l’eccellenza nel mercato delle armi corte su disegno 1911 sia nell’ambito sportivo che difensivo: Cristian Dallera, figlio di Roberto, si occupa oggi di sviluppare il settore carabine, anch’esse pensate e costruite sia per un impiego sportivo (gare di IPSC, dove hanno conquistato e continuano a conquistare titoli, tra cui l’ultimo campionato europeo) sia per impieghi militari e di polizia.

o dello scaricamento dell’arma. Ai fini didattici, poi, la compresenza della spina posteriore di armamento, voluta come sistema di back-up, permette anche agli istruttori di Tadpoles Tactics di illustrare le tecniche con riferimento sia a sistemi d’arma con manetta a spina posteriore, sia ad azionamento laterale. La manetta proposta da ADC è facilmente smontabile per la normale pulizia dell’arma perché fissata alla parte sinistra del portaotturatore mediante una vite di dimensioni importanti e da un perfetto accoppiamento dei piani, che garantisce l’assenza di torsioni (porta otturatore e otturatore sono realizzati in acciaio 8620).

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Le armi attualmente in nostro possesso sono state create partendo da una ampia possibilità di personalizzazione a richiesta del tiratore, sotto ogni aspetto coinvolto e aiutato dalle capacità tecniche del produttore.

L’upper receiver ospita anche la caratteristica più importante e peculiare del fucile: una manetta di armamento laterale, ricavata da un intaglio nel lato sinistro e vincolata al portaotturatore. Questo particolare, ereditato dai fucili che ADC produce per il mercato delle competizioni sportive, è una idea che abbiamo voluto replicare anche sulla versione “tattica” del fucile, essendo la stessa molto utile per la gestione in rapidità di malfunzionamenti, press-check

Durante le prove non si sono riscontrati malfunzionamenti di alcun genere riferibili al sistema di armamento con manetta TNM ••• 91


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La struttura del lower receiver in versione 2013, qui personalizzata con il logo di Tadpoles Tactics e con il marchio di ADC Armi Dallera Custom, è realizzata anch’essa in alluminio 7075 con i medesimi trattamenti dell’upper

laterale e nemmeno possibili flussi d’aria dalla fessura dovuti da anticipi di apertura. La manetta ha egregiamente compiuto il suo lavoro, aiutando l’operatore nella gestione dell’otturatore, sia in situazione d’emergenza sia per le normali procedure di colpo in canna/scaricamento. Le sue dimensioni sono il frutto di un buon bilanciamento tra ergonomia e basso profilo, anche considerando il movimento della stessa solidale al portaotturatore. In fase di transizione da arma lunga ad arma corta, utilizzando una cinghia a singolo punto, non abbiamo riscontrato particolari TNM ••• 92

difficoltà o intralci creati dalla manetta rispetto al gibernaggio, o alle svariate possibili configurazioni di equipaggiamento tecnico indossato dall’operatore. La carabina attrezzata con manetta di armamento laterale, così costruita e strutturata, necessita forse di più attenzione alla pulizia esclusivamente quando utilizzata in ambienti


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estremi (polvere, sabbia, fango): vedremo successivamente, infatti, che l’utilizzo professionale della stessa è, ad avviso di chi scrive, maggiormente indicato ad operatori con compiti di polizia - law enforcement, almeno in questa specifica configurazione. La struttura del lower receiver in versione 2013, qui personalizzata con il logo di Tadpoles Tactics e con il marchio di ADC Armi Dallera Custom, è realizzata anch’essa in alluminio 7075 con i medesimi trattamenti dell’upper: l’accoppiamento tra i componenti, tutti, è veramente eccezionale e tipico solamente della

armi costruite “in shop” da maestri armaioli. Le tolleranze risultano minime e i giochi ridotti fino al limite delle armi sportive da competizione: in mano il tiratore, però, si ritrova un fucile tattico, capace di ciclare migliaia di volte senza un solo inceppamento e le vibrazioni sono assenti anche dopo sessioni di tiro ad alta cadenza! Ma i dettagli davvero significativi che rendono questo lower quanto di meglio si possa avere tra le mani sono molteplici, e vanno analizzati uno per uno. Il lower receiver ha subito lo stesso trattamento del compagno ed è stato irrobustito negli TNM ••• 93


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spessori, nonché dotato di un ponticello integrale (trigger guard): ma le modifiche non si sono fermate a questi dettagli. Nello specifico, il gruppo di scatto è stato preparato e modificato da ADC, come di diretta produzione sono le molle alleggerite che lo completano: lo scatto risulta fluido, leggero ma sicuro e capace di garantire al tiratore allenato un’ottima velocità di ripetizione. La guardia del grilletto è fissa ma di ampie dimensioni, tali da facilitare anche nell’uso di guanti ingombranti, magari perché destinati ad un uso invernale o di tipo protettivo (antitaglio, ignifughi, ecc.). La bocca del caricatore ha subito un completo ridisegno, e in nessun modo si sentirà la necessità di dotarsi di un magwell maggiorato posticcio. Il nuovo disegno, infatti, allunga e sposta verso l’esterno la guardia della bocca del caricatore, dotandola anche di grip realizzato con scanalature direttamente ricavate sulla superficie: durante l’uso in condizioni avverse, per l’utilizzo di guanti o in posizioni di tiro raccolte, si evitano tensioni sul caricatore, spesso causa di malfunzionamenti o rotture, poiché l’appoggio pieno è garantito dalla forma del bocchettone, senza necessità di contatto con il caricatore in uso. Lo stesso bocchettone, come si riesce a notare nelle foto a corredo, e’ stato maggiorato e svasato nella parte inferiore, creando una minigonna di generose dimensioni, utile al tiratore per velocizzare e semplificare le procedure di cambi di caricatore sia tattici che di emergenza. Ancora una volta il mondo sportivo e delle competizioni strizza l’occhio a chi deve fare dell’arma un utilizzo tattico, agevolando l’operatore, ma mantenendo tutte le caratteristiche di semplicità e affidabilità richieste da un uso professionale. TNM ••• 94

Le particolarità che rendono così interessante questa carabina non sono finite: la presenza di una manetta esterna di armamento sul lato sinistro ha comportato il ripensamento del pulsante di sgancio del gruppo otturatore. Oggi la tendenza, con sempre maggiore diffusione in tutto il mondo, è quella di dotare l’arma di un Battery Assist Lever: in pratica si sono diffuse come accessorio delle leve ad “L” che, passando attraverso la guardia del grilletto, permettano l’attivazione del pulsante di sgancio del gruppo otturatore con il dito indice della mano destra, velocizzando così la procedure di cambio caricatore e riarmo. Questo espediente, però, costringe l’operatore ad una fastidiosa abitudine: vale a dire all’utilizzo del dito indice in “zona grilletto” per operazioni che non siano quelle necessarie all’ingaggio effettivo; non vogliamo scendere in polemiche sugli svantaggi o meno dal punto di vista formativo di un tale sistema, quanto piuttosto segnalare che ADC Armi Dallera Custom ha invece dotato le proprie armi di un sistema di sgancio del gruppo otturatore a pulsante (sempre sul lato destro), attivabile dal dito indice del tiratore in posizione esterna alla guardia del grilletto. La facilità e la velocità di utilizzo di tale sistema, disposto immediatamente sopra in posizione arretrata rispetto al pulsante di sgancio del caricatore, dopo un breve periodo di allenamento, sono evidenti e davvero incontestabili. L’impugnatura a pistola e’ affidata alla israeliana FAB Defense, in gomma morbida con sportello apribile nella parte inferiore per alloggiare batterie di riserva o piccoli accessori (come la chiave di smontaggio della manetta di


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armamento laterale). La struttura della gomma consente un ottimo grip con mani asciutte, con guanti e anche in condizioni meno favorevoli. Completiamo la zona lower segnalando che la placca posteriore è realizzata di serie con un attacco per cinghia ambidestro, molto utile e compatibile con molte delle cinghie tattiche ad un punto oggi in commercio (ad esempio, nelle foto a corredo si utilizzano cinghie VooDoo Tactical, assicurate con un moschettone a doppio gancio e dotate di una discreta forza di sospensione e tensione). Nel caso di Tadpoles Tactics poi, che utilizza cinghie tattiche dell’americana Tactical Link, tale placca è stata recentemente sostituita con una dal profilo privo di anelli laterali. Per quanto riguarda il calcio, oggi sulle armi sono montati due semplici CAA Tactical, con alloggiamenti laterali per batterie o altro, punti di aggancio multipli e possibilità di regolazione in lunghezza: fanno parte di un allestimento standard per il quale si è optato al fine di poter condurre le prove e i test, mentre verrano a breve sostituiti secondo le esigenze degli istruttori. Così costruita, la carabina risulta avere una lunghezza di soli 73,5 cm con il calcio totalmente collassato (chiuso) e 80 cm di lunghezza massima a calcio telescopico esteso. L’arma, come si è detto, è configurata con una canna bottonata da 12,5 pollici prodotta dalla Lothar Walther (con passo da rigatura 1:9”) ed un sistema a recupero di gas con presa di gas regolabile. In particolare, il gas block è di tipo low profile e studiato per un accoppiamento alla canna poco invasivo, ma molto efficace. Il sistema di regolazione del recupero di gas a vite permette regolazioni davvero precise e su misura: a seconda del tipo di munizionamento

in dotazione (e quindi alle differenti grammature di peso di palla oggi disponili sul mercato, sia di serie o commerciali, sia per chi scegliesse la ricarica) è possibile individuare la giusta combinazione di fattori che garantiscano al tiratore precisione, affidabilità e gestione dell’arma. La filosofia di ADC si riassume in un’arma che sfrutti la potenza senza esagerare, ovvero senza costringere il tiratore a gestire un rilevo e uno sbandieramento eccessivo causati dalla violenza del rinculo provocata dalla forte pressione dei gas di ritorno; un regolazione in questo senso permette anche all’operatore professionale di dotarsi di un’arma “su misura” che in ogni momento gli garantisca il massimo della precisione e dell’affidabilità richiesta. Con il minimo sforzo di una taratura iniziale, si gioverà nel tempo di una performance davvero competitiva. L’arma è inoltre dotata di un compensatore/rompifiamma antitorsione a quattro punte anch’esso sottoposto ad un trattamento di indurimento: il suo funzionamento avviene attraverso una mono camera con tre fori superiori di sfogo e con un movimento a contrasto del passo di rigatura, garantendo un aspetto aggressivo ma soprattutto un risultato funzionale. L’arma così equipaggiata, infatti, non risultata soggetta a impennamenti di alcun tipo e soprattutto a nessuno spostamento laterale dovuto all’uscita dei gas di sparo. Le quattro punte, per impiego operativo, consentono l’utilizzo in procedure di muzzle strike o con funzione di frangivetro (glass crash). Sottolineiamo inoltre, cercando di rispondere preventivamente agli appunti mossi dal pubblico professionale, che abbastanza evidentemente TNM ••• 95


FIRE TEST FIRE TEST FIRE TEST FIRE TEST FIRE TEST FIRE T La carabina attrezzata con manetta di armamento laterale, così costruita e strutturata, necessita forse di più attenzione alla pulizia esclusivamente quando utilizzata in ambienti estremi (polvere, sabbia, fango)

lo spostamento d’aria provocato da un compensatore realizzato in tal modo può risultare fastidioso in un lavoro in team a stretto contatto (abbiamo già accennato che l’utilizzo professionale della carabina ADC Swat è per noi principalmente ad opera di LEO). Come per ogni cosa, anche la costruzione di un’arma non può tenere conto di tutti gli ipotetici scenari di utilizzo, motivo per il quale le sue componenti sono facilmente intercambiabili o adattabili (in questo caso, e per le sopracitate necessità, all’utilizzo di un più funzionale flash hider). ADC Armi Dallera Custom, in TNM ••• 96

particolare, risulta essere in grado di soddisfare le esigenze più disparate e la risoluzione dei problemi o le modifiche sono approntate in modo professionale e tempestivo, sempre a seconda delle esigenze dell’utilizzatore finale. L’arma è completata da un copricanna tondo, anch’esso finito con un trattamento di anodizzazione dura, e vincolato all’arma da un sistema di montaggio e bloccaggio ideato da ADC. Questa opzione, preferita al più comune multirail a 4 slitte, ha permesso una notevole riduzione di peso sulla parte anteriore dell’arma, ma non solo: la configurazione


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Per effettuare la prova della carabina è stata allestita una serie di bersagli posti a varie distanze, dai 5 ai 50 metri, che hanno consentito di testare il comportamento della canna da 12,5 pollici in combinazione a munizioni commerciali con palla da 55 grani.

proposta comprende 94 singoli fori filettati e disposti in sequenza ogni 22,5 gradi. Questo tipo di copricanna offre al tiratore una vastissima combinazione di possibili configurazioni, anche ad angoli impossibili da ottenere con il classico multirail (senza l’utilizzo di accessori sviluppati ad hoc, in ogni caso difficili da reperire sul mercato) per il montaggio di sistemi d’illuminazione, puntatori laser o mire disassate per il close quarter. Si ottiene così una linea filante e aggressiva in grado di favorire l’impugnatura al tiratore anche senza vertical grip o angled fore grip (Tadpoles Tactics ha comunque optato per un sistema AFG di Magpul), garantendo in ogni caso la possibilità di montare accessori a 360 gradi. La presenza, poi, di ampie scanalature lungo tutta la lunghezza del copricanna consente il raffreddamento della stessa quando la cadenza

di tiro dovesse risultare particolarmente sostenuta o prolungata nel tempo. Gli organi di mira, non forniti di serie, sono a scelta del tiratore. ADC Armi Dallera Custom ha in catalogo le sue mire in acciaio flip-up, di ottima fattura e con regolazioni micrometriche: per un utilizzo tattico, anche in presenza di organi di puntamento alternativi (olografici o ottici) non è possibile fare a meno di un backup installato sull’arma. La scelta di Tadpoles Tactics (e quindi di Jacopo Guarino, responsabile anche degli equipaggiamenti ed armamenti), è stata, per quest’arma, quella di privilegiare la leggerezza e la gestibilità, optando per una coppia di MBUS di Magpul e lasciando i sistemi metallici di Troy o ADC a corredo di armi con canna più lunga (H&K MR223 - 16”). Nessun compromesso, invece, per il sistema di puntamento a punto TNM ••• 97


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rosso, che vede installato sulle due carabine ADC SWAT un sistema Aimpoint Micro T1 2MOA vincolato alla nuova slitta LaRue Tactical Mount LT751 a sgancio rapido. Il risultato è un’arma perfettamente bilanciata, leggera e maneggevole, con una facilità di puntamento davvero invidiabile e una precisione costante anche a distanze sostenute. La prova dell’arma e’ stata effettuata al campo di tiro Brixia Shooting di Mazzano (Brescia), in una giornata soleggiata, ma con una temperatura abbastanza rigida (che ha permesso in ogni caso di provare la qualità globale dell’allestimento anche in condizioni disagevoli). Gli istruttori, per l’occasione, indossavano materiali SOD Gear (SodSkin, Parà One Pants, Steal Jacket), guanti Line of Fire e buffetteria High Speed Gear. Per effettuare la prova della carabina è stata allestita una serie di bersagli posti a varie distanze, dai 5 ai 50 metri, che hanno consentito di testare il comportamento della canna da 12,5 pollici in combinazione a munizioni commerciali con palla da 55 grani. Le prove di tiro, e la rosata riportata in queste pagine ne è la prova, sono la dimostrazione della qualità del sistema realizzato da ADC Armi Dallera Custom. In particolare, l’esempio di rosata che trovate raffigurato insieme al TNM ••• 98

tiratore, Paolo Grandis, è stato realizzato a 30 yards (circa 27,5 metri) con un tiro cadenzato ma non rapido da posizione eretta. Considerando la destinazione d’uso dell’arma, escludendo i flyer del tiratore e la posizione di tiro, non sono necessari molti commenti oltre il risultato intrinseco, anche in considerazione che, come detto, il sistema di puntamento adottato ha un punto di impatto illuminato di 2 MOA. La prova è stata dunque eseguita in configurazione tattica, e non per un tiro di precisione da bench rest, poiché la destinazione d’uso di quest’arma può sicuramente essere il mondo professionale e operativo. In questo settore non è possibile prescindere dall’affidabilità, ed è dunque corretto sottolineare che durante tutto il test (circa 500 colpi per singolo tiratore) non è stato registrato alcun malfunzionamento: per poter provare l’utilità della manetta di armamento laterale siamo stati costretti a ricreare situazioni di double feeding o di mancate percussioni, perchè in nessun modo la carabina ci ha voluto sorprendere interrompendo il suo egregio lavoro. Bastano pochi tentativi per capire che il sistema di riarmo esterno offre al tiratore o all’operatore un nuovo livello di


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riguardano il passo di rigatura, la velocità alla bocca e la distanza alla quale il proiettile riesce a stabilizzarsi, ma in nessun caso avremo garanzie di qualità al ridursi della lunghezza della canna. Lunghezze più brevi sono adottate da alcuni reparti di eccellenza (in ogni caso senza mai scendere sotto i 10 pollici) perché molto spesso la canna viene “allungata” dai soppressori. E’ fondamentalmente questo il motivo per cui la maggior parte dei sistemi d’arma più corti e compatti utilizzano munizionamento in calibri comunemente definiti da arma corta. Disquisizioni tecniche a parte, riteniamo che questo sistema d’arma garantisca una portata utile di ingaggio fino a circa 300 metri, mantenendo un ottimo livello di precisione sul bersaglio (che non significa avere una carabina in configurazione sniper con una canna da 30 cm.. significa poter estendere il proprio campo di operatività a distanze limite, in occasioni limite). gestione dell’arma, semplificando, velocizzando e rendendo intuitiva qualunque procedura di gestione di un’emergenza. Ci ha stupito, inoltre, la comodità di poter arretrare il gruppo otturatore e di vincolarlo all’hold open con una sola mano, la sinistra, a differenza di quanto possibile con una classica piattaforma AR15 dotata di spina posteriore. Per chi, come noi, ritiene che la mano destra debba lasciare il suo posto sull’impugnatura solo in casi estremi (o, consentiteci la battuta molto in voga ultimamente: ormai fredda), questo sistema apre a procedure di risoluzione dei malfunzionamenti semplici e facilmente gestibili. Qualche considerazione, poi, è doveroso farla circa il contesto di utilizzo di una carabina così progettata, anzitutto partendo dalla scelta di una lunghezza di canna di 12,5 pollici. Consideriamo, umilmente, che la scelta di una canna di tale lunghezza rappresenti il limite di utilizzo per un sistema camerato in .223rem (o 5.56 Nato), poiché la precisione intrinseca legata alla munizione rischia di diminuire drasticamente e non in proporzione costante all’accorciarsi della canna. Le variabili da tenere presente, ovviamente,

Concludendo, possiamo certamente affermare che il prodotto di ADC Armi Dallera Custom, nella versione qui esposta e analizzata, garantisce al tiratore civile il massimo possibile in termini di affidabilità, precisione, possibilità formative e anche divertimento. Allo stesso tempo, l’allestimento scelto da Tadpoles Tactics rappresenta un compromesso ottimale per l’utilizzo da parte di operatori law enforcement e per operatori militari in contesti MOUT (ambiente urbano). La lunghezza dell’arma, la sua leggerezza, la precisione e velocità di ingaggio sono e sarebbero un vantaggio tattico indispensabile per tutte le operazioni in contesto nazionale. I principali teatri operativi oggi attivi per il personale militare sono un insieme di condizioni estreme che necessitano di accorgimenti limite, e non riteniamo che la configurazione qui rappresentata possa dare il livello di affidabilità richiesto: ciò nonostante, come già detto, per quelle necessità ADC Armi Dallera Custom ha a disposizione tutta una serie di proposte che, esattamente come la carabina SWAT 12,5” qui recensita, sono il frutto dell’esperienza e della massima espressione dell’industria armiera italiana. TNM ••• 99


TACTICAL BOOK TACTICAL BOOK TACTICAL BOOK TACTICAL B

THE EVOLUTION OF MILITARY AUTOMATIC PISTOLS L’Autore ha raccolto materiale per svariati anni per portare a termine questa ricerca: ne è risultato un libro molto interessante e divertente sul tema di queste pistole e dei loro “creatori”. Molti dei suoi contatti sono o discendenti dei progettisti, lo stesso progettista, o gli stabilimenti di produzione per cui hanno lavorato. Il libro che, presenta una gran mole di dettagli relativamente alle armi e ai loro inventori, è indirizzato principalmente ai collezionisti e agli estimatori delle armi corte. Le immagini sono tutte molto chiare, i disegni ben composti e stampati in maniera ottimale. AUTORE: Bruce Gordon si occupa da molti anni di armi da fuoco, è autore di diverse pubblicazioni e il lavoro in questione è il risultato di anni di attente ricerche.

LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE DELL’ESERCITO ITALIANO Questo libro non vuole essere semplicemente una testimonianza fotografica, o foto-giornalistica, delle missioni all’estero dell’Esercito Italiano, ma vuole mettere in evidenza i tratti operativi che hanno portato l’Esercito Italiano ad affrontare le trasformazioni interne e la sfide internazionali degli ultimi 20 anni. Il volume, interamente illustrato, mostra questi uomini e parte dei loro equipaggiamenti e sistemi operativi: dal mondo post Guerra Fredda alle inevitabili crisi causate dal venir meno dei blocchi geopolitici; dalle operazioni nel Kossovo all’Iraq; dalla Somalia alla Bosnia nel novero delle missioni di pace degli anni ’90; dal Libano all’Afghanistan. AUTORE: Pietro Batacchi è laureato in scienze politiche, ha un master in studi internazionali strategico-militari. Ad un lungo curriculum di collaborazioni a varie riviste come pubblicista, ha affiancato la partecipazione a gruppi di ricerca e di docenza presso svariate scuole militari. EDITORE: Rivista Miliare (stampato nel 2010) INFO: Rilegato - formato 22 x 30,5 - 192 pag. interamente illustrate. LINGUA: italiano PREZZO: 39,00 euro DISPONIBILE PRESSO: www.ritteredizioni.com TNM ••• 100

EDITORE: Mowbray Publications (stampato nel 2012) INFO: Brossura - formato 21,5 x 28 - 164 pag. con circa 500 illustrazioni in b/n LINGUA: inglese PREZZO: 26,00 euro DISPONIBILE PRESSO: www.ritteredizioni.com


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ITALIA, POTENZA GLOBALE? IL RUOLO INTERNAZIONALE DELL’ITALIA OGGI

100+ SNIPER EXERCISES Un tiratore scelto professionista ha bisogno di realizzare tre cose per fare bene il suo lavoro: essere prevedibile, avere una grande capacità di tiro ed essere capace di ripetere più volte questi tiri. Per contribuire al raggiungimento di tale obiettivo, l’istruttore veterano Eduardo de Abril Fontcuberta, ha raccolto decine di esercizi pratici, sia di provenienza militare che di polizia, organizzati in un corso di formazione specifico. Gli esercizi proposti in questo volume, sono estrapolati dai manuali di U.S. Army, U.S. Navy Seals, Legione straniera spagnola, Marines svedesi, e da svariati manuali di sniping e snipercraft, e coprono l’intera gamma di esercizi necessari per ottimizzare l’abilità dei tiratori: tiri a distanza ravvicinata, identificazione dell’obbiettivo e posizionamento per il tiro, tiro a lunga distanza, balistica, lettura del vento, esercizi in condizioni di stress, impieghi simultanei, comunicazione, mimetismo, medicina tattica, sopravvivenza e monitoraggio. Dopo “Ultimate Sniper” del Maggiore Plaster, un altro importante volume sul tiro di precisione.

Il libro si occupa di investigare le attuali direttrici della politica estera italiana, esponendone i punti di forza e di debolezza. La trattazione prevede un doppio canale, geografico e settoriale: sono state analizzate le caratteristiche dei rapporti politici e commerciali dell’Italia in quattro aree (Estremo Oriente, Balcani, Mediterraneo, Stati Uniti) nonché il concetto d’interesse nazionale e l’importanza dell’approvvigionamento energetico. Il filo rosso che collega l’intera opera è rappresentato da un approccio originale alle relazioni tra l’Italia, l’Unione europea e gli altri partner continentali in un contesto di competizione globale. Pur partendo da solide convinzioni europeiste, gli autori desiderano rimarcare la persistente divergenza di interessi in merito ad alcuni aspetti sostanziali della politica estera. AUTORE: AA.VV. EDITORE: Fuoco edizioni (stampato nel 2012) INFO: Brossura - formato 15 x 21 - 205 pag. LINGUA: italiano PREZZO: 18,00 euro DISPONIBILE PRESSO: www.ritteredizioni.com

AUTORE: Eduardo Abril de Fontcuberta è, il tiratore scelto spagnolo più conosciuto in ambito internazionale. Il suo lavoro nelle forze speciali, lo ha portato a diventare un professionista apprezzato nell’ambito della “comunità” dei tiratori scelti. EDITORE: Paladin Press (stampato nel 2013) INFO: Brossura - formato 21,50 x 28 – 308 pag. con circa 500 illustrazioni in b/n LINGUA: inglese PREZZO: 36,00 euro DISPONIBILE PRESSO: www.ritteredizioni.com TNM ••• 101


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DI FABIO MUNTESU

IL POSSESSO INGIUSTIFICATO DI CHIAVI ALTERATE O GRIMALDELLI 1^ PARTE

FIGURE VECCHIE E NUOVE DI SCASSINATORI ià migliaia di anni fa, diverse civiltà avvertirono la necessità di realizzare congegni idonei a proteggere i propri beni materiali e le loro abitazioni, ideando le prime serrature a chiave che, per quanto rudimentali, denotavano una certa similitudine con quelle tutt’oggi in uso, oltre a una discreta efficienza. Quattromila anni fa infatti, in Mesopotamia, l’odierno Iraq, si realizzò una serratura con un congegno molto simile a quelle odierne, e parimenti, dall’altra parte, poteva assistersi ai primordi dell’arte di violare tali protezioni con dei rudimentali grimaldelli a gancio. Serrature di analoghe fattezze furono costruite dagli Egizi (chiavistello egizio) e anche da altre popolazioni del Nord-Africa e in generale dell’area mediterranea.

G

Nell’antica Roma, i magistri clavarii (i costruttori di serrature o fabbri, ma quest’ultima accezione non rende loro giustizia) tentavano di realizzare meccanismi tali da contrastare l’azione, sempre più spregiudicata, degli effractores (gli scassinatori) i quali, nel loro arsenale, potevano contare su grimaldelli all’uopo costruiti oltre che, extrema ratio, anche su estrattori da utilizzarsi


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con la forza bruta. Non solo, gli artigiani romani erano in grado di costruire lucchetti di ridotte dimensioni (pochi centimetri) con meccanismi anche molto complicati. Un lucchetto romano, particolarmente sofisticato, rinvenuto a Pompei, è esposto al British Museum di Londra. La manifattura delle serrature, in particolare, divenne un’arte e gli artigiani ricercarono sempre più precisione al punto di progettare le prime serrature a combinazione e senza chiave, così almeno da precludere agli scassinatori l’utilizzo dei grimaldelli, costruttivamente già più evoluti. In realtà, l’arte di congegnare serrature divenne complementare alla costruzione del manufatto cui le stesse erano poste a protezione. Spesso questi oggetti erano preziosi il che obbligava il costruttore a dotarlo di una serratura altrettanto pregiata, ma soprattutto sofisticata, sia dal punto di vista estetico che funzionale.

Gli scassinatori, tuttavia, senza rassegnarsi, affinarono nuove tecniche per ricercare il più rapido e idoneo metodo d’ingresso, perfezionando sempre di più la loro arte di costruire grimaldelli e addestrandosi all’uso precipuo della mano sinistra (più sensibile perché meno utilizzata e quindi meno rozza nelle sue funzionalità tattili). Congiuntamente alle funzioni tattili, affinarono anche l’udito per ascoltare gli scatti dei meccanismi fino all’epilogo, ossia all’apertura della serratura. Nella modernità, in ausilio all’orecchio sarebbe intervenuto lo stetoscopio. Nel ‘700 nacque la prima fabbrica di casseforti alzando realmente il livello dello scontro tra buoni e cattivi, non solo, iniziarono anche a sorgere rivalità tra gli scassinatori più abili per i quali era un punto d’onore, rispetto ai colleghi, riuscire ad avere ragione della cassaforte ritenuta più inattaccabile. Con alterne fortune la serratura, sempre in perenne lotta con l’ingegno criminale, evolve fino a coinvolgervi l’elettronica, con le tessere magnetiche e i badge i quali probabilmente, in un domani non troppo lontano, soppianteranno le più comuni serrature e le rispettive chiavi. IL CONCETTO DI EFFRAZIONE Il sostantivo femminile deriva dal latino “effractus”, participio passato del verbo “effringo”, che significa rompere. Ciò è riferito al rendere inutilizzabile non solo serrature, ma muri, porte e quant’altro venga posto a protezione di qualcosa. I vari dizionari italiani sono concordi nell’indicare grosso modo il suo significato nella forzatura di sistemi di chiusura o dispositivi di sicurezza. Può essere usato anche in senso figurato, se riferito alla violazione di un principio o una consuetudine. Il suo sinonimo popolarmente conosciuto è “scasso”. VENIAMO AL SODO Nel Codice Penale possiamo individuare immediatamente la sottonotata norma, che per meglio


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analizzarla è riportata integrale e poi scomposta: art. 707 c.p.: Possesso ingiustificato di chiavi alterate o grimaldelli Chiunque essendo stato condannato per delitti determinati da motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione dei delitti contro il patrimonio (o per mendicità o essendo ammonito o sottoposto ad una misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta), è colto in possesso di chiavi alterate o contraffatte, ovvero di chiavi genuine o di strumenti atti ad aprire o a sforzare serrature, dei quali non giustifichi l’attuale destinazione, è punito con l’arresto da sei mesi a due anni.

di lucro e verosimilmente progettati da chi reca con sé gli oggetti indicati dal precetto. Il reato, inoltre, è punito a titolo di dolo generico, presuppone coscienza e volontà della condotta illecita. Si tratta soprattutto di un reato cosiddetto proprio, altrimenti detto “a soggetto attivo qualificato”. In soldoni: non tutti possono (meglio dire potrebbero) commetterlo. Elemento costitutivo del reato e conditio sine qua non al suo concretizzarsi, è che il soggetto attivo appartenga ad una categoria ben precisa: quella del condannato per delitti determinati da motivi di lucro o comunque contravvenzioni inerenti la prevenzione dei delitti contro il patrimonio. La parte in parentesi e corsivo era Condanna quindi, non mero pregiudizio stata abrogata con sentenza nr.14 del di Polizia. Per i non addetti ai lavori: 19/07/1968 dalla Corte Costituzionale. fedina penale chirurgicamente sporca Vi erano altresì, sino a poco tempo da reati contro il patrimonio. fa, altre due norme specifiche sulla Il motivo di lucro, in questo caso, materia, gli art. 710 e 711 c.p., entrambi ha un significato piuttosto ampio: il abrogati dall’art. 18 della legge legislatore vuole indicare qualunque 205/1999. Il primo articolo puniva sia reato per il quale il sospetto sia chiunque (reato comune) fabbricasse già stato condannato, che gli abbia chiavi su richiesta di persona diversa conferito un vantaggio patrimoniale. dal proprietario o possessore del Quindi, eventualmente, oltre ad i luogo o dell’oggetto cui le chiavi erano classici reati predatori destinate, sia il fabbro o chiavaiuolo quali furti e rapine, (reato proprio) che nella sua attività andrebbero consegnava a terzi grimaldelli o altri assimilati anche strumenti, idonei a sforzare serrature. i reati afflittivi Il secondo articolo puniva altri beni giuridici specificatamente il fabbro o chiavaiuolo protetti, purché che apriva serrature o altro posto il sospettato abbia a difesa di un luogo od oggetto, su tratto dalla commissione richiesta di terzi non aventi diritto sul dell’illecito un indebito luogo o l’oggetto. beneficio patrimoniale. L’art. 707 c.p. , invece, diversamente Ogni regola, tuttavia, ha le sue da quelli sopra citati, meno fortunati, eccezioni: consta che la Suprema ed altri simili reati di sospetto come Corte abbia stabilito che sia possibile l’art. 708 c.p. (possesso ingiustificato il concorso nel reato anche da di valori), parimenti abrogato, è parte di colui che, sebbene non da sopravvissuto quasi indenne ai diversi afflitto da pregressa condanna tentativi di epurazione edcancellazione di tale natura, sia consapevole che nel corso degli anni lo hanno visto di accompagnarsi a soggetto bersaglio delle varie Corti. già condannato, in possesso di strumenti atti allo Scomponiamo ora l’art. 707 c.p. scasso e quindi possa Si tratta di un reato di sospetto, ossia avere coscienza della facente parte di quel tipo di norme concretezza della previste per la prevenzione di illeciti, disponibilità e in questo caso da commettersi a fini del potenziale

imminente utilizzo da parte di questi, potendo poi ragionevolmente supporsi che possa concorrere nell’uso. L’espressione “colto in possesso” indica una condizione di tempo e luogo tale da presupporre, aprioristicamente, che la detenzione degli strumenti vietati dalla norma avvenga in un contesto spazio-temporale di sospetto attuale ed immediato (tempo di notte, parcheggi di autovetture bui ed incustoditi, obiettivi sensibili od abitazioni isolate etc.). Il verbo cogliere, in questo caso, esprime infatti la condizione del soggetto nella sua attuale potenziale predeterminazione a compiere illeciti e nell’impossibilità di “giustificare l’attuale destinazione”. Poi, importante, la giurisprudenza decreta la norma come applicabile anche allorquando, sempre in presenza dei requisiti obbligatori (condanna pregressa e assenza di giustificato motivo), gli strumenti vengano detenuti in un luogo di immediata accessibilità per il sospetto, quale ad esempio la propria abitazione. Ma quali strumenti possono qualificarsi “atti ad aprire o sforzare serrature”, così come intende


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la norma? L’intera cassetta del bricolage ad esempio e non voglio fare il solito catastrofista. Non solo quindi quelli specifici per l’uso, come i grimaldelli strictu sensu. Naturalmente non è che il povero condannato per delitto determinato da motivi di lucro, redento o no, non possa detenere in casa un martello o un cacciavite; occorrerebbero una serie di gravi, precisi e concordanti indizi tali da configurare il possesso come pericolo per il bene giuridico protetto. Pertanto, oltre ai citati grimaldelli, i comuni utensili, ancorché non modificati allo scopo, possono rientrare in questa categoria. Ed allora cacciaviti, martelli, pinze, tronchesi, lime, lame di ogni tipo, sino ad altri materiali il cui connubio potrebbe risultare idoneo a violare serrature o forzare protezioni. Guardate in TNM ••• 106

proposito in rete qualche filmato dove vengono aperte serrature e lucchetti con graffette, forcine, forbici, coltelli, martelli addirittura tubi “innocenti” o cilindri di cartone della carta igienica o anche una pallina da tennis; l’ingegno dei moderni effractores non ha confini. Chi, poi, non ha memoria dei vecchi ladruncoli anni ’70, che utilizzavano i frammenti di ceramica della candele delle autovetture per infrangerne i vetri, sfruttando le caratteristiche di quel materiale che, a contatto con il vetro, ne attivava la frequenza di risonanza procurandone l’immediata disintegrazione. Oppure coloro i quali, nella stessa epoca, affermavano di forzare una Fiat 500 con la chiavetta di una nota marca di carne in scatola. Ricordiamo ancora le lastre radiografiche, il cui utilizzo per sbloccare porte ed accedere in

appartamenti è notorio ed ancora, tessere plastificate utilizzate nello stesso modo. Voglio citare, in materia di metodi effrattivi, il particolare modus operandi di una banda di criminali di etnia slava dedita alle c.d. “rapine in villa” che utilizzava, per penetrare nelle abitazioni, una verrina utile a praticare silenziosamente un foro nelle persiane in legno, introducendovi quindi il manico in ferro di un secchio da edilizia, all’uopo sagomato, per raggiungere il blocco della persiana stessa ed aprirla; tutto materiale comunemente rilevabile fra attrezzi di un qualunque onesto lavorante edile. Parliamo poi delle chiavi vere e proprie, quelle che cita la norma, possiamo distinguerne alcune categorie. Le chiavi alterate sono chiavi morfologicamente modificate per adattarsi alla serratura da violare, mentre quelle


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contraffatte sono chiavi simili alle genuine, ma falsamente riprodotte. Le chiavi genuine sono quelle dedicate alla serratura di riferimento ma illecitamente possedute, non assimilandosi evidentemente tale serratura alla sfera di possesso del soggetto al quale vengono reperite. La norma fa menzione del grimaldello solo nel titolo del reato, ma chiaramente un grimaldello, così come lo possiamo idealmente visualizzare, è di per sé uno strumento clandestino volto ad aprire serrature in luogo della chiave originale. Il suo possesso è di per sé sospetto. Per serratura, invece, il legislatore intende qualunque meccanismo, di qualsivoglia fattezza e materiale, la cui destinazione è la protezione dell’oggetto cui è posto a difesa. La

Suprema Corte ad esempio, in una sua Sentenza, assimila il deflettore dell’autovettura a tale congegno, in ragione del suo meccanismo di chiusura. Nel “giustificare l’attuale destinazione”, non deve intendersi l’inversione dell’onere della prova, pur tuttavia il soggetto deve fornire una valida giustificazione in relazione al possesso, in quel preciso momento, per scopi leciti, degli strumenti de quo. L’esimente è quindi la liceità del possesso supportata da convincenti giustificazioni, in quell’immediato frangente. Ma quali sono le circostanze in cui un individuo può giustificare il possesso di strumenti atti ad aprire o sforzare serrature (mi riferisco a grimaldelli, piedi di porco o altri), ancorchè non in condizioni di avere subito una pregressa condanna? Direi molto poche.

Quest’ultima considerazione nasce dal fatto che anche in Italia si è diffuso, ritengo tra persone perbene, lo sport del lockpicking, ossia l’arte di aprire le serrature con grimaldelli auto costruiti. Tale pratica è diffusissima in alcuni paesi dell’Unione Europea e negli Stati Uniti dove si tengono gare e campionati. A contrasto di tale attività, laddove venga praticata per scopi illeciti, opera la Lockpicking Forensics, disciplina che si propone di fornire una prova forense dall’esame di una serratura violata. Lockpicking come sport, così come andrebbe inteso, ma gli esiti di un sua pratica distratta o meno che cristallina lo farebbe assurgere a sport estremo. Sulla materia mi riservo di abbozzare qualche aspetto d’interesse per l’operatore di Polizia, facendo seguito a quanto ha preceduto. TNM ••• 107


LONG RANGE SHOOTING LONG RANGE SHOOTING LONG RANGE S


NGE SHOOTING LONG RANGE SHOOTING LONG RANGE SHOOTING LONG Marines al tiro con carabina MK11 Mod. 0 dotata di ottica Schmidt & Bender modello PMII

LA

SCELTA DEL

RETICOLO DI MARCO ALBERINI


LONG RANGE SHOOTING LONG RANGE SHOOTING LONG RANGE S Barret M82 calibro 50 con ottica Schmidt & Bender modello PMII

l reticolo nell’ottica è un componente d’importanza fondamentale anche se spesso viene scelto senza troppa coscienza. La scelta del reticolo è un importante ausilio al tiratore. Non solo offre l’individuazione del centro della linea di mira dell’ottica e lo aiuta ad allineare rapidamente il bersaglio, ma è anche lo strumento che lo stesso utilizzerà per valutare l’errore e correggere il tiro in caso di “miss” e gli sarà utile anche per valutare le distanze. La sua scelta dipende dal genere di attività, il raggio d’azione

I

TNM ••• 110

dell’arma e il tipo di bersagli da ingaggiare. I reticoli vengono realizzati in diverse forme e dimensioni, spessori e livelli di visibilità, tutti pensati per aiutare il tiratore nella specifica attività. Alcuni sono semplici crosshairs (due linee che si incrociano), altri sono più complessi con l’aggiunta di riferimenti supplementari come i Mil-Dot, i diagrammi di caduta dei calibri specifici, i riferimenti telemetrici per la stima della distanza del bersaglio ecc. La distanza tra i riferimenti dipenderà dal sistema sul quale il reticolo è stato progettato: generalmente i più comuni si

basano sui millesimi di radiante o semplificato Mil (al momento da molti preferito per la semplicità di conversione basandosi su sistemi di calcolo in centimetri e metri con decimali “puliti”) oppure sul sistema del minuto d’angolo o MoA (Minute of Angle). I reticoli delle ottiche moderne vengono oggi incisi sulle lenti con un laser, differentemente dalle metodologie produttive di non molti anni or sono, dove il reticolo era come un disegno fatto con un particolare filo che veniva incollato sulla lente utilizzando della colla epossidica. Oltre a chiari motivi economici, d’elasticità e


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Mawhinney ed il suo M40-A1 corredato di Redfield 3-9. Chuck che servì negli USMC sniper in Vietnam, ha 103 confirmed kills and 216 “probable kills”, in 16 mesi di azione.

di precisione dell’esecuzione, l’incisione laser risolve la necessità di preservare l’integrità dei reticoli dalle sollecitazioni a cui è sottoposta l’ottica. I produttori più accorti fissano i cristalli dei reticoli avvitandoli al complessivo del sistema di orientamento o fissandoli direttamente con viti allo stesso. Sistemi d’installazione ad incastro o ad incollaggio non sono infatti di lunga durata su armi con calibri di una certa potenza. All’inizio della guerra del Vietnam gli scoutsniper dei Marines americani erano dotati di un’ottica Redfield con ingrandimenti 3-9, corredata

“incrociante” superiore formata da due parallele orizzontali e la verticale del reticolo. Variando gli ingrandimenti dell’ottica, essendo questo reticolo installato sul primo piano focale, variava l’ampiezza delle due estremità delle parallele che dovevano di un reticolo che in teoria doveva andare a coincidere con l’inizio avere funzioni telemetriche, ma in e la fine del torso del target. verità, anche se il sistema non era Al variare degli ingrandimenti complesso ed abbastanza intuitivo, mutava anche la scala graduata non forniva grandi risultati in posta nella parte inferiore del quanto soffriva sia di una carenza reticolo che indicava la stima della tecnica dovuta alla tecnologia distanza del target. del tempo, sia di una scarsa Nel 1970 sempre i Marines precisione intrinseca che sta nel introdussero un metodo per cercare di migliorare le metodo di misurare target i quali caratteristiche di telemetria sono comunque di dimensioni dei reticoli, la soluzione differenti da caso a caso. arrivò prendendo spunto dagli Dunque lo strumento aiutava, ma osservatori di artiglieria che c’era ancora tanto “istinto” ed esperienza acquisita per ottenere calcolavano la distanza usando ottiche con reticoli graduati in buoni risultati. Il reticolo presente sulle Redfield, millesimi di radiante. Venne così proposto il reticolo era composto da un parte TNM ••• 111


LONG RANGE SHOOTING LONG RANGE SHOOTING LONG RANGE S Carabina M200 Cheytac in calibro 408 dotata di ottica Nighforce

che noi tutti oggi conosciamo con il nome di Mil-Dot, solitamente composto da 8 punti (in inglese dot) di riferimento sull’asse verticale ed 8 su quello orizzontale, i quali sono equidistanti dal punto successivo di esattamente 1 Mil (millesimo di radiante). Il reticolo Mil-Dot venne installato per la prima volta dai Marines sulle ottiche Unertl 10x (ad ingrandimento fisso) e successivamente anche l’esercito americano adottò ufficialmente il nuovo reticolo sulle ottiche Leupold. TNM ••• 112

I due reticoli con Mil-Dot

ARMY MIL-DOT reticle

USMC MIL-DOT reticle


NGE SHOOTING LONG RANGE SHOOTING LONG RANGE SHOOTING LONG

RADIANTE E MIL

Però si crearono a questo due sistemi a Mil-Dot: quello con punti (dot) ovali utilizzato dai Marines e dunque denominato USMC MilDot reticle; e quello con punti (dot) tondi utilizzato dall’esercito e denominato US Army Mil-Dot reticle. Già Marines e US Army utilizzano valori in Mil non in “accordo” nei tiri di artiglieria, dividendo un cerchio di 360° in modi differenti (diviso 6400 Mil per l’Army e 6283 Mil per l’USMC), dunque diventa quasi “scontato” che abbiano adottato soluzioni diverse per il reticolo delle ottiche.

Sostanzialmente la differenza tra un sistema e l’altro pone per noi in vantaggio il metodo Marines in quanto i dot ovali diventano frazioni di millesimi di radiante, in quanto caso il dot USMC è uguale a 0,25 Mil, dunque si visualizzano abbastanza facilmente varie frazioni di Mil nel reticolo, ad esempio 1 Mil da centro a centro degli ovali - 0,75 Mil da ovale ad ovale. Più complesso per fare calcoli e stima di milling la misura del dot Army in quanto è di 0,22 Mil.

ll radiante è l’unità di misura degli angoli del Sistema internazionale. Tale misura rappresenta il rapporto tra la lunghezza di un arco di circonferenza spazzato dall’angolo, e la lunghezza del raggio di tale circonferenza. In ambito militare viene utilizzato da moltissimo tempo il millesimo di radiante, che è impiegato per determinare gli scarti, e le relative correzioni, nei tiri con l’artiglieria. Un millesimo di radiante o Mil, come lo si preferisce chiamare, equivale ad una corda lunga un metro di una circonferenza avente raggio di un chilometro. Per esempio, per correggere un colpo caduto 100 metri a destra di un bersaglio posto alla distanza di 10 km bisognerà apportare una correzione di 10°° (millesimi). Visto che il radiante è una misura “angolare”, il valore “finale” di 1 millesimo di radiante (1 Mil) varia a seconda della distanza dal target. Ad esempio: • 1 Mil a 1.000 metri di distanza equivale a 1 metro (100 cm) • 1 Mil a 500 metri di distanza equivale a 50 cm • 1 Mil a 100 metri di distanza equivale a 10 cm) Dato che per correggere un tiro effettuato con una carabina di precisione, il valore di 1 Mil è troppo grande per essere utilizzato, le torrette di regolazione di alzo e deriva vengono costruite con una regolazione di frazioni di millesimo, solitamente 1/10 di millesimo, dunque un “click” equivale ad 1 cm a 100 metri.

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LONG RANGE SHOOTING LONG RANGE SHOOTING LONG RANGE S

Marines in training con carabina M40 n calibro 308 Win dotata di ottica Schmidt & Bender modello PMII

22 mil

1/4 mil 1/2 mil 3/4 mil 1 mil

25 mil

1/2 mil

1/4 mil 3/4 mil 1 mil

Sopre: le frazioni di Mil nel reticolo dell’Esercito (Army) Sotto: le frazioni di Mil nel reticolo dei Marines (USMC)

LE EVOLUZIONI DEL MIL-DOT Negli ultimi due decenni il concetto di Mil-Dot si è evoluto e sono comparsi sul mercato dei reticoli di “seconda generazione” ad esempio il TMR (Tactical Military Reticle) della Leupold. La suddivisione delle parti che compongono il reticolo avviene sempre in intervalli di 1 Mil, ma anziché utilizzare come forma di riferimento i punti (dot), la suddivisione è effettuata con dei trattini. In aggiunta alla suddivisione di 1 Mil sono stati inseriti trattini per la TNM ••• 114

suddivisione in 0,2 e 0,5 Mil. Vi sono vari modelli commerciali del “metodo TMR” ed ogni casa produttrice di ottiche propone la propria variante Vi sono dei vantaggi evidenti nel “concetto trattini” del TMR: cioè quelli di avere una chiara e ben distinguibile suddivisione del reticolo in varie frazioni e decimali di 1 millesimo, permettendo esercizi della stima della distanza (tecnica del “milling”) in modo più agevole, difatti i trattini possono meglio suddividere i vari punti dell’oggetto di cui si deve fare la valutazione, ed allo stesso tempo risultare meno invasivi nella visione dello stesso. Simili al reticolo TMR sono i reticoli della ditta Schmidt & Bender, prima versione con meno suddivisioni denominata P3L, che si è poi evoluta come P4L e P4L Fein. Le due ultime versioni sono praticamente lo stesso reticolo, con l’unica differenza che il “Fein”, come dice il nome stesso, ha le linee più sottili rispetto il P4. La casa costruttrice “garantisce” la possibilità di effettuare esercizi di milling fino a 2.000 metri con il reticolo più fine visto che questo andrà a coprire minor parte degli elementi da stimare, per contro un reticolo fine ha una maggiore difficoltà nel risaltare quando sovrapposto ad reticolo maggiormente visibile un bersaglio con conseguente perdita di campo visivo. Esiste poi la soluzione russa, come il reticolo installato sull’ottica PSO-1 la quale accompagna il noto fucile semiauto di precisone Dragunov. (specialmente Come genere di reticolo non ha una controparte occidentale. Sulla se di colore parte sinistra ha dei riferimenti scuro); telemetrici per stimare la distanza dunque potrebbe costringere il tiratore a cui si trova un uomo di media statura. L’ottica è poi corredata a dover aumentare gli ingrandimenti per rendere il da un tamburo con la caduta del


NGE SHOOTING LONG RANGE SHOOTING LONG RANGE SHOOTING LONG

proiettile che si deve ruotare fino a raggiungere il riferimento per la distanza stimata. Questo fino ai 1000 metri. Oltre i 1000 metri si trovano tre frecce verso l’alto e sono i riferimenti per i tiri in hold off fino a 1500 metri. Questo reticolo specifico per questa determinata ottica ha qualche limite nell’utilizzo, ad esempio quello di essere disegnato e calcolato per una sola determinata munizione. Dalla sua ha il fatto di consentire un inquadramento veloce negli ingaggi anche se dinamici. È

difatti un reticolo progettato con uno scopo ben preciso e cioè l’uso da parte di tiratori scelti nelle file di un plotone di fanteria russa, consentendo di fatto ingaggi di bersagli multipli anche a distanze variabili e allo stesso tempo permettendo un discreta precisione in un tiro più selettivo.

I vari reticoli ottimizzati per la tecnica del “milling” possono anche essere utilizzati come riferimento di mira correlato alla caduta del proiettile per la tecnica dei tiri in “hold off” (cambiare in punto di mira compensando la caduta del proiettile o lo spostamento laterale derivato dal vento, senza utilizzare le torrette di alzo e deriva) La seguente figura mostra la caduta della munizione americana Mk262 da 77 grani utilizzata per alimentare la carabina Mark 12 SPR (Special Purpose Rifle).

Oltre all’utilizzo del reticolo per la stima della distanza del target e come riferimento per la caduta del proiettile nei tiri in hold off, c’è un terzo impiego per i reticoli con riferimenti in millesimi di radiante TNM ••• 115


LONG RANGE SHOOTING LONG RANGE SHOOTING LONG RANGE S

Marines al tiro con un XM-3 SWS ed ottica Nighforce.

della squadra sniper che sarà oggetto di un futuro articolo su questa rivista, proprio cogliendo l’occasione di testare questi particolari reticoli. I reticoli della Horus possono essere installati su ottiche e spotting scope di vari brand.

Il reticolo H59 della Horus, concepito per ottica da carabina

fin qui non ancora menzionato: cioè quello di facilitare il lavoro di squadra tra tiratore e spotter. È semplice comprendere che se un tiratore ed uno spotter sono equipaggiati se non con lo stesso reticolo e su strumenti differenti, ma comunque con gli stessi riferimenti in Mil, come ad esempio un’ottica per carabina e uno spotting scope con alti ingrandimenti, il reticolo in Mil TNM ••• 116

Il reticolo H36 della Horus, montato solitamente su degli spotting scope

faciliterà di molto il dialogo tra i due operatori fornendo i punti di riferimento di impatto con le stesse unità di misura. Per questo motivo si stanno diffondendo i reticoli della ditta Horus, come gli H32 e H36 per gli spotting scope e gli H59 ed H37 per le ottiche da carabina. Alla base di questi reticoli vi è un metodo di “correzione” del tiro tramite il dialogo tra gli operatori

RETICOLO SUL PRIMO E SUL SECONDO PIANO FOCALE Per comprendere ancora meglio l’utilità dei reticoli e dei suoi riferimenti dobbiamo però anche parlare di un particolare metodo di posizionamento del reticolo all’interno dell’ottica, perché questo può essere installato sia sul primo che sul secondo piano focale. Per la maggior parte dei tiratori questa scelta ricade sul costo, difficilmente si è scelto per il modo in cui realmente si prevede di utilizzare l’ottica. Generalmente un’ottica che ha il reticolo sul primo piano focale (FFP), costerà di più di una con un reticolo sul secondo piano focale (SFP), inoltre il processo con cui


NGE SHOOTING LONG RANGE SHOOTING LONG RANGE SHOOTING LONG

Marines in training con carabina M40 n calibro 308 Win dotata di ottica Schmidt & Bender modello PMII, particolare sul treppiede Manfrotto che troviamo sempre più spesso sul campo.

vengono realizzate è più laborioso. Per anni le aziende produttrici hanno prodotto reticoli sul secondo piano focale, principalmente per un motivo di costi e mercato, visto che quello civile preferiva la seconda soluzione; successivamente c’è stata una presa di coscienza da parte dei militari e di tiratori che praticano tiri meno statici che hanno iniziato a capire gli innumerevoli vantaggi del sistema FFP perché questo sistema rende un’ottica molto più versatile e sfruttabile di una con il reticolo sul SFP. Quando parliamo di primo piano focale e di secondo piano focale intendiamo con questo indicare in quale posizione si trova la sezione dell’erector tube che ospita il reticolo, all’interno del tubo principale (main tube). Nel primo piano focale questa sezione si trova nella parte anteriore dell’ erector tube. Ciò significa che al variare dell’ingrandimento cambierà la dimensione del

reticolo apparendo più grande o più piccolo a seconda che aumentino o diminuiscano gli ingrandimenti. È doveroso aggiungere che i riferimenti sul reticolo, come i Mil, non modificano la loro dimensione al variare dell’ingrandimento cioè, se per esempio il nostro bersaglio all’ingrandimento 5 X misura 2 Mil, portando la ghiera degli ingrandimenti su 25 X il nostro bersaglio misurerà ancora 2 Mil. Questa particolarità è di grande importanza perché la stima della distanza di un oggetto di dimensione note tramite il reticolo, potrà essere effettuata a qualsiasi ingrandimento senza preoccuparci di quale ingrandimento abbiamo scelto, così come il tiro in hold off. A differenza del reticolo sul FFP, quello sul secondo piano focale ha la sezione dell’erector tube che ospita il reticolo, vicino alla regolazione degli ingrandimenti , il reticolo non muta di dimensioni al variare degli ingrandimenti

ed è possibile fare la stima della distanza di un bersaglio delle dimensioni note tramite il reticolo, solo ad un ben determinato ingrandimento che viene indicato dal produttore a seconda delle caratteristiche costruttive o dal numero degli ingrandimenti. TECNICA DI STIMA DELLA DISTANZA CON IL RETICOLO OTTICA Determinare la distanza di un bersaglio dalle dimensioni note, tramite un reticolo posto sul primo piano focale di un’ottica è il compito principale a cui tutte le ottiche con il reticolo basato sul sistema dei millesimi di radiante, sono stati destinati ad assolvere, fin dall’inizio della loro progettazione. Quest’esercizio è tutt’altro che una cosa semplice e richiede molta pratica per determinare correttamente le distanze stimate. Per cercare di farvi capire quanto sia importante una lettura corretta vi porto un esempio: considerando di utilizzare un 308 Win, stimata TNM ••• 117


LONG RANGE SHOOTING LONG RANGE SHOOTING LONG RANGE S Sniper e spotter dell’ US Army con M24 SWS, ottica e spotting scope della Leupold serie Mark 4

l’apparente distanza del bersaglio tramite il reticolo, impostiamo i valori per una caduta a 675 metri mentre realmente il bersaglio si trovi a 650 metri noi sbaglieremmo di circa 50 centimentri, sufficienti per farci mancare il nostro “target”. La prima cosa di cui abbiamo bisogno è sapere la dimensione e quindi l’altezza del nostro bersaglio: supponiamo che sia largo 0.50 metri ed alto 1 metro. A questo punto si allineerà il centro del reticolo ad ore 6 rispetto al margine inferiore del bersaglio. Il prossimo step è quello di misurare l’altezza sfruttando il reticolo dell’ottica. Ritornando all’esempio, determinato che il nostro target misura 2 Mil, applichiamo la seguente formula per ricavare la distanza in metri: Distanza in metri= Altezza del bersaglio in metri, diviso l’altezza in Mil x 1000. Quindi 1.0 metri di altezza bersaglio, diviso 2 Mil è = a 0,5 che

moltiplicato per 1000 è = 500 m. Altre formule: • Altezza bersaglio in m = (Distanza in m x 0.01) x Mil • Altezza Bersaglio in Mil = (Altezza Beraglio in m. x 1000) Distanza in m. • Distanza in yard = Altezza Bersaglio in inch diviso i Mil x 27.77 Il nostro bersaglio è a 500 metri di distanza, questo teoricamente perché all’atto pratico possono esservi degli scostamenti tra la distanza stimata e quella reale. È opportuno quindi cercare di essere il più sicuri possibile del valore di distanza ottenuto. È buona norma trovare la postura maggiormente stabile durante l’osservazione. I reticoli di seconda generazione riportano riferimenti con 0.2 Mil di dimensione rendendo ancora più accurata la stima, ma è inoltre fondamentale conoscere perfettamente tutte le dimensioni del nostro reticolo tenendo degli appunti all’interno del log book per

confrontare la stima con dati reali, ove necessario. Altra nota molto importante, è quella di segnarsi nel proprio log book dei riferimenti di misura che possono essere particolari e che caratterizzano il teatro di operazione, ad esempio l’altezza delle finestre, le dimensioni dei veicoli o altri oggetti che possono comunque cambiare al variare della zona di teatro. Conoscendo le dimensioni certe di questi oggetti si possono avere dei confronti con i risultati che si ottengono con la stima del target attraverso il “milling”. È naturale che oggi, con la larga diffusione dei telemetrici optoelettronici, la tecnica suddetta per la stima della distanza dei bersagli, diventa abbastanza “obsoleta”, ma è pur vero che non tutti i tiratori scelti degli eserciti moderni sono sempre equipaggiati con telemetri e che non ci si può mai affidare le proprie conoscenze a strumentazione che si può rompere. Vedasi GPS e nozioni di cartografia.

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A CURA DELLA REDAZIONE

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Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, fieri appartenenti al battaglione San Marco e dal 2012 detenuti in India non faranno ritorno dai loro carcerieri: questo ha deciso il nostro governo il quale ha usato “mano ferma” con le autorità indiane. La questione è delicata e noi pubblichiamo questa notizia con la piena consapevolezza che i tempi di stampa potrebbero dare spazio a cambiamenti repentini, giustamente non calcolati. La fragilità di tutta la vicenda risiede anche in questa improvvisa risolutezza palesata – ricordiamolo – da un governo uscente il quale ha oramai i giorni contati. Cosa c’è allora dietro questa risoluzione? Per quale motivo il governo italiano ha improvvisamente fatto la voce grossa e ribadito con fermezza che la detenzione di due nostri soldati sul suolo straniero sia una cosa illegittima? La redazione di TNM è avvezza alle caserme, TNM ••• 122


EPORTS SITUATION REPORTS SITUATION REPORTS SITUATION REPOR

dialoga con i soldati, ciò nondimeno ha poca dimestichezza con i palazzi del potere, tantomeno con l’atteggiamento piuttosto ambiguo dei politici. Riconosciamo che il gesto è stato davvero forte, tuttavia non resterà privo di conseguenze. Il nostro ministro degli esteri, Giulio Terzi, ha finalmente capito che l’intera questione debba essere trattata dalla giurisprudenza italiana, al massimo con un arbitrato internazionale; i nostri due marò sono stati trattenuti tutto questo tempo – ricordiamolo, per correttezza, trattati sempre con riguardo – facendo appello a motivazioni sfuggenti. Come del resto è stato indefinibile e truffaldino il modo in cui sono stati catturati. Ora l’India minaccia ritorsioni contro il nostro Paese, non di natura militare, bene inteso, ma su un campo altrettanto importante come quello dell’economia. Ricordiamo che l’Italia è al settimo posto tra gli investitori dell’Unione Europea e che in India ci sono diverse aziende nazionali che hanno importanti centri di produzione. Dobbiamo dunque sacrificare tutto a sua maestà l’industria? Il provvedimento preso da Roma ha senza dubbio turbato le giornate del nostro ambasciatore Daniele Mancini il quale trascorre le sue giornate facendo, avanti e indietro, il tragitto che separa l’ambasciata italiana dal palazzo di governo indiano. L’Italia – secondo quanto dichiarato dal premier Singh – avrebbe tradito i patti commettendo così un atto ostile nei confronti dell’India. Se fossimo nell’Ottocento ci sarebbero tutti gli ingredienti per pensare che tra i due paesi la guerra sia imminente, ma per fortuna non è così e credo che tutto continuerà a consumarsi sui tavoli della diplomazia. Intanto notiamo volti contenti, felici e sollevati: i primi sono quelli dei due marò, seguiti da quelli delle loro famiglie e di tutti i commilitoni. In altri momenti scorgiamo il sorriso di tutte quelle persone le quali, in questi mesi, hanno indossato sul

bavero della loro uniforme, o giacca da lavoro, un fiocco giallo, simbolo di protesta per l’ingiusta detenzione dei nostri soldati. Sorridono quelli come noi che forse ottusamente continuano a credere nel proprio Paese, e si commuovono quando vedono sventolare il Tricolore o si alzano in piedi quando sentono l’Inno Nazionale. La decisione del governo italiano è stata giusta, tuttavia non possiamo negare la sua intempestività; sorgono dubbi sul perché si sia lasciato trascorrere così tanto tempo. I diritti e i doveri dei nostri due marò oggi, sono identici a quelli di un anno fa; abbiamo usato – come in altre occasioni – una politica attendista la quale produrrà effetti che al momento ci lasciano “in sospeso”. Non sapremo mai

come sono andate le cose, ciò nondimeno siamo certi circa l’innocenza dei nostri due soldati, un’incolpevolezza largamente provata che, purtroppo, non andava bene alla politica del momento. Noi di TNM ci siamo battuti sin dall’inizio per La Torre e Girone, lo ricordate? Quindi permetteteci un po’ di ottimismo, speriamo che questa triste vicenda serva ad insegnare, al prossimo esecutivo, che adottare un “low profile” non sempre aiuta, soprattutto quando di mezzo ci sono uomini che hanno speso la loro esistenza per difendere a costo della vita il proprio Paese. Noi non facciamo politica, non la vogliamo fare, alla giacca e cravatta preferiamo la vegetata intrisa di sudore… forse per questo non capiremo mai fino in fondo… TNM ••• 123


OPERATION REPORT OPERATION REPORTS OPERATION REPOR

La

Papera

ago di Garda, martedì 11 dicembre 2012. Una mattina d’inverno come tante altre, di quelle in cui il freddo penetra nelle ossa e si spande nell’aria l’odore dell’acqua lacustre. Sulla superficie si dirada l’ultima nebbia. E poi il rumore del lago accompagnato dal rumore di un gommone dei Volontari del Garda che si allontana dalla riva, spinto al largo dal suo potente fuoribordo. È diretto in un punto preciso, tra Porto San Nicolò e la baia Azzurra, proprio di fronte alla spiaggia dei Sabbioni. Sarà per il freddo, o per l’orario di lavoro, ma sulla sponda c’è solo un uomo che osserva la barca, accigliato. A chi passasse di lì per caso potrebbe sembrare solo un anziano che guarda il lago e il solito spettacolo di una barca che si allontana, ma Carlo Bombelli, questo il suo nome, non è lì per caso: è stato lui ad indicare “il posto”.

L

lui, bambino, era nella stessa identica posizione e osservava il sole morire nelle acque del lago, mentre alle sue spalle i tedeschi sfilavano mestamente in ritirata: uomini stanchi, lontani da casa e stremati dai continui combattimenti che li vedevano retrocedere inesorabilmente. In più il loro animo era rabbioso, da Appeso alle balaustre giorni serpeggiava la notizia che il dell’imbarcadero, il suo sguardo Duce fosse stato assassinato dai si perde nella scia bianca che la partigiani pochi chilometri a Nord, barchetta lascia sulle acque calme sul lago d’Iseo, e che la Germania del lago: e riaffiorano i ricordi. fosse sul punto d’arrendersi. Quella notte del 30 aprile 1945 Negli ultimi giorni gli scontri TNM ••• 124

con gli americani, sbarcati un anno e mezzo prima in Sicilia, si erano fatti sempre più frequenti e si consumavano sulle coste lacustri, dove i due eserciti si contendevano il terreno palmo a palmo, per sancire il predominio sulla strada Gardesana che correva sulla sponda orientale del lago e portava al Brennero. Dopo la presa di Verona, il 25 aprile, quello era divenuto l’obiettivo alleato. Impegnati nell’operazione vi erano gli uomini della decima divisione di montagna dell’esercito americano i quali si misuravano


EPORT OPERATION REPORT OPERATION REPORTS OPERATION REPORT

a t u d r pe DI ALBERTO DOLCI

contro l’accanita difesa della Whermacht. La “decima” era stata l’ultima divisione dell’US Army ad entrare in combattimento ed era arrivata in Italia il 6 gennaio 1945; subito incominciò a combattere vicino a Cutigliano e Orsigna. L'unità attaccò il settore di Monte Belvedere-Monte della Torraccia che furono ripuliti dopo diversi giorni di intensi combattimenti. All'inizio di marzo la divisione si spinse fino a nord di Canolle, arrivando a 24 km da Bologna. Per le successive tre settimane la divisione mantenne posizioni difensive. Il 14 aprile iniziò l'attacco generale della 5ª Armata e la divisione si mosse da Monte della Spè lungo la direttrice Roffeno-Tolè, finché il 20 aprile non catturò Mongiorgio facendo breccia nella valle del Po, catturando i punti strategici di Pradalbino e Bomporto. La 10ª attraversò il Po il 23 aprile, raggiungendo Verona il 25, incontrando forte resistenza a Nago-Torbole per poi affacciarsi sul Garda. Il 28 Aprile si era giunti ad una fase di stallo; partiti da Bussolengo in direzione Navene, gli americani si erano trovati

di fronte ad una serie di sette gallerie fatte crollare dalle SS della scuola Alpinistica del Monte Altissimo. Il combattimento si era spostato sul lato montano, con l’obiettivo di aggirare le gallerie ormai impraticabili, ma ogni tantativo venne respinto dalle SS supportate da una compagnia di marina e da una di fanti. L’unica opzione rimasta era un attacco anfibio da Malcesine. Sette DUKW, mezzi anfibi largamente utilizzati dagli americani nel corso della guerra, capaci di portare 25 soldati e armi per un carico complessivo di tre tonnellate e

mezza, si inoltrarono nel lago passando tra crateri acquei creati dai cannoni nazisti. Per onore di giustizia va precisato che questi mezzi altro non erano che cassoni di latta mal difesi i quali si muovevano lentamente fra le acque esponendo gli uomini ad incredibili rischi. In ogni caso riuscirono a prender terra fra il secondo e terzo tunnel e prima di sera ne avevano conquistati quattro. Mentre erano sul punto di attaccare il quinto, una violenta esplosione li fermò: i tedeschi, minata la galleria, la fecero esplodere sui loro TNM ••• 125


OPERATION REPORT OPERATION REPORTS OPERATION REPOR

stessi commilitoni. L’ipotesi più probabile è che si sia trattato di un errata valutazione dei genieri tedeschi, ma non ci è dato saperlo: ciò che è certo è che il cui risultato fu una strage. Da quel giorno questo tunnel prese il macabro soprannome di “tunnel dei morti”. I combattimenti, ripresi il giorno successivo, videro nuovamente l’avanzata americana fermata da un colpo di cannone 88 mm che con precisione infilò la sua granata nella galleria di Corno di Bò, causando decine di morti e feriti fra le fila alleate. Il 30 aprile, infine, gli americani vennero a capo di quelle gallerie: le perdite registrate alla fine degli scontri furono spaventose: 63 morti e 270 feriti. Ma purtroppo non era ancora finita. Abbrancato alle traverse del pontile c’era un bambino, proprio Carlo Bombelli, che guardava il tramonto sullo specchio d’acqua del lago. D’improvviso delle grida lo distolsero dalla sua silenziosa contemplazione: venivano dal centro del lago, ed erano TNM ••• 126

disperate. In inglese alcuni uomini imploravano aiuto. Nulla poté essere fatto: il buio, la tempesta, l’assenza di barche e i tedeschi che si stavano ritirando in quel momento dal centro del paese, impedirono qualsiasi azione di soccorso. E poco a poco le urla si fecero più rade, fino quando si spensero del tutto.

scandagliando le scure acque del lago alla ricerca delle spoglie dei soldati americani. La spedizione non ebbe successo e gli uomini continuarono a riposare sul fondo limaccioso del lago che era divenuto la loro gelida tomba.

Queste erano le immagini che passavano per la testa di Carlo Bombelli quando il rumore Cosa era dunque accaduto? Alcuni del gommone, al rientro dalla navigazione, lo distolse dalle soldati americani, a bordo di un DUKW, si erano spinti nelle acque sue riflessioni. Accostando pieni di munizioni per rifornire i l’imbarcazione, Mauro Fusato, compagni sull’altra sponda del responsabile dei volontari del lago. Il mezzo, caricato oltre ogni Garda, si sporge, lo guarda e gli limite, si ribaltò ai primi accenni di dice: “Lo abbiamo trovato”. E tempesta inabissandosi con tutto così l’11 dicembre 2012 è stato il suo carico. Le nere acque gelide rinvenuto il DUKW affondato il la ebbero, in breve tempo, ragione sera del 30 aprile di 67 anni prima, degli uomini, facendoli annegare. causando la morte di 23 soldati Solo uno si salvò afferrandosi ad americani della decima divisione un pezzo galleggiante e nuotando di montagna. La loro tomba si fino a riva: il suo nome è Thomas trova a 273 metri di profondità. Hough. Nel 2004 una spedizione Le informazioni sono già state della University of Texas con consegnate al consolato USA per i reduci John Duffy, 75 anni, valutare un possibile recupero e Harvey Wieprecht, 78 anni, e riconsegnare le spoglie dei giovani Jerry Nash spese tempo e denaro audaci alle loro famiglie.


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