TNM 10

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TNM N°10 • OTTOBRE 2011 • PERIODICO MENSILE

WWW.TACTICALNEWSMAGAZINE.IT • € 6.00 “POSTE ITALIANE SPA, SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE DL 353/2003 (CONVERTITO IN LEGGE 27/02/2004 N°46) ART. 1 COMMA 1 LO/MI”

M I L I T A R Y • L A W ENFORCEMENT • SECURITY

TEST BY TNM

RUGER LCR CALIBRO 38 SPECIAL

FOCUS ON

LA GENDARMERIA VATICANA

SPECIALE AFGHANISTAN

LA BRIGATA PARACADUTISTI

FOLGORE ARMI STORICHE

LEE - ENFIELD N.4 MK II

TACTICAL FITNESS

IL CLUBBEL

SPECIAL EVENTS

MAD MAX DAYS


FKMD NATO CAGE CODE: AG180 DEFCON 5 NATO CAGE CODE: AG427

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EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE

Ai ragazzi della Folgore... Raccontare l’epopea della Folgore ad El Alamein richiederebbe almeno lo stesso spazio che decine di Autori, sicuramente più autorevoli di noi che siamo dei semplici divulgatori, hanno usato nei loro libri. Ognuno degli Interpreti di questa Storia, quelli caduti nella sabbie non più deserte di El Alamein, ed i pochi sopravvissuti a quei tragici giorni, è una fonte inesauribile di fatti, storie e momenti che proprio in una corale individualità hanno scolpito una pagina di Coraggio e di Gloria in grado di riscattare un’intera Nazione ed il suo Popolo, sprofondato in avvenimenti che ne hanno infangato la Civiltà, se ci permettete, millenaria. Tramandarne il ricordo sfrondato da pregiudizi ideologici alle generazioni più giovani dovrebbe essere un impegno primario della Scuola e della Società Civile: perché senza Memoria c’è solo barbarie. Mirko Gargiulo

Fra le sabbie non più deserte

son qui di presidio per l’eternità i ragazzi della Folgore

fior fiore di un popolo e di un Esercito in armi. Caduti per un’idea, senza rimpianto,

onorati nel ricordo dello stesso nemico,

essi additano agli italiani, nella buona e nell’avversa fortuna, il cammino dell’onore e della gloria. Viandante, arrestati e riverisci.

Dio degli Eserciti,

accogli gli spiriti di questi ragazzi in quell’angolo di cielo

che riserbi ai martiri ed agli Eroi.

Epigrafe posta all’ingresso del Sacrario Militare Italiano di El Alamein DI Quota 33 estratta da “I ragazzi della Folgore” di Alberto Bechi Luserna


RIALE EDITORIALE


INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE

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“NOIALTRI”

EDITORIALE

TACTICAL NEWS MAGAZINE Military - Law Enforcement - Security n°10 - ottobre 2011 - mensile Direttore responsabile: Giuseppe Morabito Direttore editoriale: Mirko Gargiulo mirko.gargiulo@tacticalnewsmagazine.it Direttore commerciale: Giovanni Petretta giovanni.petretta@tacticalnewsmagazine.it Art director: Matteo Tamburrino tambetti@gmail.com Impaginazione: echocommunication.eu Collaboratori: Davide Pane, Gianluca Favro, Gianluca Sciorilli, Pasquale Camuso, Gianluca H., Fabio Rossi, Livio Nobile, Galdino Gallini, Riccardo Braccini, Marco Sereno Bandioli, Carlo Biffani, Giovanni Di Gregorio, Roberto Galbignani, Zoran Milosevic, Gabriele Da Casto, Marco Strano, T. Col. GdF Mario Leone Piccinni, Antonello Tiracchia, Marco Buschini, Michele Farinetti, Ovidio Di Gianfilippo, Antoine Khan Fotografie: ISAF, Department of Defense, Stato Maggiore Esercito, U.S. Navy, NATO Multimedia, The National, Command Special Naval Warfare, Onu Media Press, Zoran Milosevic, Michele Farinetti, Giuseppe Lami, Marco Buschini, Alessandro Tenaglia, Marta Nobile Ufficio stampa: Marcello Melca marcello.melca@tacticalnewsmagazine.it ufficio.stampa@tacticalnewsmagazine.it Redazione: redazione@tacticalnewsmagazine.it Periodico mensile edito da: CORNO EDITORE Piazza della Repubblica n. 6 20090 Segrate - Milano - P.IVA 07132540969 Stampa: Reggiani Spa Via C. Rovera 40, 21026 Gavirate (VA) Distributore: Pieroni Distribuzione s.r.l. Viale Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano Registrazione Tribunale di Milano n.509 del 27 settembre 2010 Iscrizione al ROC 20844 Tutti i diritti di proprietà letteraria, artistica e fotografica sono riservati, ne è vietata dunque ogni duplicazione senza il consenso scritto della Corno Editore

speciale AFGHANISTAN

NEWS

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AFGHANFRAMES

CARTE SEGRETE

L’ISTINTO DEL SOLDATO

022

Situation Reports

CUBA, L’antagonista del capitalismo

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SPECIAL EVENTS MA-D-DAYS

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speciale AFGHANISTAN

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speciale AFGHANISTAN

La transizione ITALO-AFGHANA

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speciale AFGHANISTAN Sonni TRANQUILLI

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speciale AFGHANISTAN Sparare A VANVERA

ARMI STORICHE

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Il catalogo delle cose CHE NON SI POSSONO COMPRARE

LEE-ENFIELD N°4 MkII

POLICE FORCE COMBAT PSYCHOLOGY LA PSICOLOGIA COME ARMA DIFENSIVA

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FOCUS ON

HECKLER & KOCH P-30

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FOCUS ON

Gli angeli custodi del Pontefice

speciale AFGHANISTAN

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speciale AFGHANISTAN 22 ottobre 2011, LIVORNO

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speciale AFGHANISTAN

il discorso del Generale CARMINE MASIELLO

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TEST BY TNM RUGER LCR

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parte seconda

COLTELLI E LEGGE

speciale AFGHANISTAN

law area

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arrivano I RUSSI

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Clubbell® uno strumento antico per il guerriero moderno

QUI FOB LAVAREDO, Bakwa

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speciale AFGHANISTAN

speciale AFGHANISTAN

tactical fitneSS

storie di tutti i giorni Operazione in Nigeria


CE


ISAF Regional Command West - Afghanistan CAMBIA IL CONTINGENTE OPERATIONAL MENTOR AND LIAISON TEAM (OMLT)

AFGHANISTAN: LE UNITA’ DELLA BRIGATA “SASSARI” AL COMANDO DI TUTTE LE TASK FORCE. Farah, 6 ottobre 2011 - Si è svolta questa mattina la cerimonia di trasferimento di autorità (TOA) della Task Force South tra il 187° Reggimento paracadutisti “Folgore”, comandato dal Col. Gianmarco Badialetti, e il 152° Reggimento fanteria “SASSARI”, comandato dal Col. Gianluca Carai. Con questa cerimonia si completa il passaggio di responsabilità delle unità della Brigata “Sassari” al comando delle task force nella regione ovest dell’Afghanistan. Il 152° reggimento assume il comando del settore sud con il controllo sulle piu’ importanti vie di comunicazioni che attraversano tutta l’area di responsabilità del contingente italiano. Tutte le unità hanno al seguito la bandiera di guerra, simbolo che rappresenta la storia del reggimento ed il sentimento di appartenenza al nostro Paese. Per la prima volta, in un Teatro Operativo sono presenti: la Bandiera di Guerra del 3° Reggimento Bersaglieri, denominato “ Glorioso Terzo” per essere la bandiera più decorata d’Italia, in operazione è responsabile del Provincial Reconstruction Team (PRT) in Herat; la Bandiera di Guerra del Reggimento “San Marco” della Marina Militare, per la prima volta schierato con le caratteristiche di un reggimento di fanteria ed in operazione responsabile del settore Sud- Est; la Bandiera di Guerra del 5° Reggimento Genio Guastatori responsabile della Task Force Genio; lo Stendardo del 5° Reggimento “Rigel” unità dell’aviazione dell’Esercito responsabile dell’Aviation Battalion. Tornano in Afghanistan per la terza volta le bandiere del 151° e 152° Reggimento entrambi della Brigata “Sassari”e per la seconda volta la bandiera del 66° Reggimento aeromobile “Trieste”. TNM ••• 06

Herat, 15 ottobre 2011 - Si è svolta la scorsa settimana, presso la base di Camp Stone in Herat, la cerimonia di avvicendamento del Contingente Operational Mentor and Liaison Team (OMLT), giunto al termine del proprio undicesimo mandato. Dopo oltre 5 mesi di intensa attività, in cui si sono state condotte più di un centinaio di operazioni, pianificate e condotte, congiuntamente all’esercito afghano (ANA – Afghan National Army) e circa 85000 chilometri percorsi tra Kabul, Farah, Herat e Bala Murgab, il Comandante del contingente OMLT XI , Colonnello Giuseppe LEVATO ha ceduto il comando al Comandante del contingente OMLT XII , Colonnello Paolo FABBRI. Alla cerimonia, caratterizzata dal commosso ricordo del Capitano Bucci, del Caporal Maggiore C. Frasca e del 1° Caporal Maggaggiore Di Legge, caduti in un tragico incidente stradale il 23 settembre scorso, hanno partecipato autorità militari afghani della provincia di Herat a testimonianza del successo della missione e degli ottimi risultati ottenuti. Nel corso del suo intervento, il Colonnello Levato ha sottolineato il proprio orgoglio nei confronti degli uomini dell’ OMLT e li ha elogiati per aver operato con qualificata professionalità ed elevata competenza contribuendo in modo sostanziale al processo che quotidianamente rende il 207° Corpo d’Armata Afghano sempre più autonomo nel garantire il controllo nell’area occidentale del Paese. Il Vice comandante del 207° Corpo d’Armata afghano, Generale Fazlmohammad Junbesh, presente alla cerimonia in rappresentanza del Comandante, nel proprio discorso, ha ringraziato il personale italiano di OMLT XI evidenziando che hanno servito come fratelli i soldati afghani, al fine di migliorare il loro addestramento. Il compito affidato al contingente OMLT è di preparare, istruire ed indirizzare le Unità dell’ANA, consigliando e supportando i Comandanti ai vari livelli, al fine di promuovere lo sviluppo di uno strumento efficace ed autosufficiente teso al progressivo passaggio di responsabilità della sicurezza da ISAF al Governo della Repubblica Islamica di Afghanistan (GIROA). Il contingente OMLT XI cedente, costituito da personale su base 1° Comando Forze di Difesa di Vittorio Veneto (TV), ha assunto la responsabilità il 18 maggio scorso, operando a stretto contatto con le truppe ANA presso le basi di Camp ZAFAR in HERAT e di Camp SAYAR in FARAH, prendendo parte a numerose attività pianificate e condotte congiuntamente. Il Contingente OMLT XII, subentrante, è costituito da personale su base 2° Comando Forze di Difesa di San Giorgio a Cremano (NA), e proseguirà il lavoro già intrapreso dai propri predecessori, teso a favorire la progressiva autonomia operativa delle Unità dell’Esercito Afghano.


AROUND THE WORLD F-35B: COMPLETATA LA PRIMA FASE DI PROVE IN MARE La nave d’assalto anfibio USS Wasp (LHD 1) è in via di rientro al porto di Norfolk dopo aver trascorso tre settimane nel ruolo di piattaforma di collaudo per le prime prove in mare del velivolo F-35B Lightning II. Questa prima campagna di test, che ha richiesto un anno di preparazione, è durata 18 giorni ed ha coinvolto due F-35B dell’USMC (BF-2 e BF-4), i quali hanno compiuto 72 decolli corti e atterraggi verticali in varie condizioni, per un totale di 28 ore di volo accumulate. I velivoli sono ora presso la base di Patuxent River per alcune modifiche da apportare all’attuatore che aziona lo sportello dorsale della ventola posta dietro il cockpit, componente che subirà una nuova riprogettazione prima di ottenere la qualificazione definitiva. La seconda campagna di test, denominata DT-2, comincerà nel 2013, e la terza entro il 2015. Il programma futuro di prove in mare beneficierà delle esperienze e dei dati ambientali raccolti sul ponte della nave circa l’impatto acustico, termico e operativo del JSF sulle strutture della WASP durante le operazioni di volo. Importanti lezioni sono già state apprese circa l’influenza del motore dell’F-35 sui sistemi perimetrali della nave, così come sullo stress termico e le sollecitazioni acustiche sulle strutture del ponte. A questo proposito è stata testata anche in un’area circoscritta, in coincidenza con lo spot 9 di atterraggio, una nuova superficie antiscivolo chiamata Thermion, che è rinforzata da una trama in lega alluminio-ceramica che la rende più resistente alle forti temperature dei gas di scarico, e che meglio sopporta l’usura delle operazioni di volo, consentendo minori costi di manutenzione. Il Thermion secondo i primi dati raccolti si è comportato bene, rendendo la copertura idenea per tutte le navi e le superfici che opereranno la versione STOVL del JSF, compresa Nave Cavour della MMI. L’F-35B, nell’impianto operativo dei Marines, dovrà essere il nodo centrale dell’Aviation Combat Element inserito nel quadro della Marine Air Ground Task Force, l’unità combinata di forze terrestri, aeree e di supporto impiegabile in missioni expeditionary. (difesanews.it)

IMPORTANTE OBBIETTIVO ADDESTRATIVO RAGGIUNTO DAI CARABINIERI DELLA NATO IN IRAQ. Il Vice Comandante della NATO Training MissionIraq (NTM-I), il Gen. Div. italiano Giovanni Armentani, ha salutato in questi giorni i Carabinieri appartenenti alla Gendarmerie Training Unit, il reparto che si appresta a lasciare l’Iraq dopo quattro anni di ininterrotta presenza nell’ambito della missione addestrativa della NATO in Iraq, congratulandosi con loro per l’eccezionale lavoro svolto. “I risultati da voi raggiunti si commentano da soli”, ha affermato il Generale Armentani che ha voluto ricordare alcuni significativi dati sull’attivita’ svolta dai Carabinieri dell’unita’ addestrativa: “Circa 11.000 poliziotti della Iraqi Federal e Oil Police sono stati da voi addestrati dal 2007 a oggi grazie a 20 corsi basici, 17 corsi di formazione per istruttori e ben 41 corsi di specialita’ che comprendevano lezioni di Counter-IED, Counter Insurgency e Investigazioni sulla scena del crimine. Il prodotto di questo impegno ha soddisfatto per piu’ del doppio le iniziali richieste delle Autorita’ irachene. Grazie anche al vostro operato la Polizia irachena e’ adesso in grado di organizzare e condurre i propri corsi autonomamente e con grande professionalità”. Il Generale Armentani ha poi evidenziato come, a termine di questa fase ‘tattica’ della vita della NTM-I, inizi ora una fase di carattere prevalentemente strategico. I Carabinieri che continueranno a servire nell’ambito della Police Advisory and Training Division (PATD) della missione, guidati dal Col. Michele Facciorusso, saranno infatti chiamati a fornire consulenza ai vertici istituzionali delle Forze di Sicurezza e al Ministero dell’Interno, ad incrementare l’organizzazione di attivita’ da condurre nelle scuole e centri di eccellenza dei Paesi della NATO, oltre che fornire addestramento molto piu’ specializzato, ricorrendo anche all’impiego di team mobili dall’Italia, su chiamata. La cerimonia dell’ammainabandiera a Camp Dublin, struttura sinora utilizzata dai Carabinieri per condurre l’addestramento dei poliziotti iracheni, segna quindi solo l’inizio dell’evoluzione della missione addestrativa della NATO allo scopo di rendere sempre piu’ vicina la completa autosufficienza delle Forze di Sicurezza del Paese, dimostratosi interessato a stringere una solida partnership con la NATO. Il Generale ha infine rivolto parole di vivissimo compiacimento al Col. Michele Facciorusso, comandante della PATD e al Ten. Col. Sergio Di Rosalia che per sette mesi e’ stato alla guida della Gendarmerie Training Unit.

COMMERCIALI

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LA SVEZIA OFFRE IL GRIPEN ALLA CROAZIA L’Agenzia per le esportazioni militari svedese (FXM) ha offerto il caccia Gripen al governo croato per la sostituzione dell’attuale flotta obsoleta di Mig-21. In particolare è stata proposta la vendita di 8/12 Gripen C/D, compreso supporto e addestramento per piloti e personale di terra, e il noleggio di una quota di Gripen A quale gap filler in attesa della consegna dei nuovi aerei. Saab offre alla Croazia, coerentemente con le proprie strategie di vendita, anche una cooperazione industriale spinta tesa a favorire il rientro del 100% della somma investita sotto forma di ritorni industriali. La Croazia fa parte di quel pool di paesi europei che deve rinnovare la propria linea caccia nei prossimi anni, per i quali si prospetta una vendita complessiva di circa 150/200 macchine. Nella stessa situazione compaiono infatti anche Bulgaria, Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Slovacchia e Polonia. Mentre per la Repubblica Ceca il Gripen rimane l’ovvio favorito nella gara, dato che è già un suo utilizzatore e avrebbe vantaggi logistici e operativi nel mantenimento e aggiornamento della piattaforma (attualmente 14 Gripen sono dati in leasing con contratto in scadenza nel 2015), per gli altri paesi si prospetta anche l’ipotesi dell’acquisto di una quota di Eurofighter Typhoon Tranche I italiani, che permetterebbe loro di dotarsi di una macchina avanzata semi-nuova a costi ridotti del 30/40%, e al governo italiano di sbloccare fondi per l’acquisto dei più avanzati esemplari della Tranche III. Il caccia Gripen è in servizio nelle aviazioni militari di Svezia, Repubblica Ceca, Ungheria, Sudafrica e Thailandia. L’Empire Test Pilot School (ETPS) del Regno Unito utilizza il Gripen quale piattaforma di addestramento per i piloti collaudatori. (difesanews.it)

ACCORDO BOEING – SELEX : PER SISTEMA DI GESTIONE DEL TRAFFICO AEREO Boeing e SELEX Sistemi Integrati, una società di Finmeccanica, hanno annunciato di aver siglato un Memorandum of Collaboration con l’obiettivo di lavorare insieme per rendere compatibili i sistemi per la gestione del traffico aereo presenti nel mondo. Attraverso l’accordo, le due società si sono impegnate a fornire un contributo cooperativo sia al programma di ricerca Single European Sky ATM Reserach (SESAR), sia al programma statunitense Next Generation Air Transportation (NextGen). Gli Stati Uniti, l’Europa e le altre regioni aeree del mondo hanno dei programmi in corso per modernizzare i propri sistemi per la gestione del traffico aereo. I sistemi di aviazione si possono considerare interoperabili quando hanno sistemi di controllo del traffico aereo, procedure, equipaggiamenti e modalità di addestramento compatibili; requisiti questi che consentono agli operatori dello spazio aereo di lavorare in modo semplice e senza discontinuità operative attraverso uno spazio aereo globale. “L’interoperabilità globale è TNM ••• 08

raggiungibile attraverso una forte collaborazione nei programmi americano NextGen e in quello europeo SESAR da parte dei governi e i leader industriali della gestione del traffico aereo” ha affermato Neil Planzer, vice president di Boeing Air Traffic Management, durante la conferenza che si è tenuta ad ATCA, l’annuale fiera che si svolge negli Stati Uniti, dedicata agli operatori dell’ATM. “La nostra profonda conoscenza tecnica degli aeroplani, i contratti di ricerca e sviluppo negli Stati Uniti ed in Europa, le partnership globali con l’industria rendono Boeing il partner ideale per guidare l’interoperabilità globale dei sistemi per la gestione del traffico aereo”. Mano a mano che i sistemi per la gestione del traffico aereo migliorano, grazie alle nuove tecnologie, sia in termini di gestione della traiettoria nelle quattro dimensioni, sia nella gestione delle informazioni e nella navigazione basata sulla performance, sarà fondamentale stabilire standard comuni per armonizzare i sistemi ATM ed assicurare che il velivolo


PRIMAVERA ARABA: DEMOCRAZIA TARGATA AL QAEDA? “Mi congratulo con il nostro popolo in Libia per la sua vittoria contro il tiranno, invito il popolo di Algeria a seguirne i passi. I vostri fratelli in Tunisia e in Libia hanno gettato i loro tiranni nella spazzatura della storia, perché non vi ribellate anche voi contro i vostri?”.Con queste parole il nuovo leader di Al Qaeda, Ayman Al Zawahiri, ha commentato entusiasta gli sviluppi della primavera araba in un video pubblicato il 12 ottobre su alcuni siti jihadisti. Il successore di Osama bin Laden dopo aver elogiato gli insorti libici e tunisini e sollecitato all’insurrezione il popolo algerino ha invitato a “fare il primo e più importante passo: applicare la Sharia”.Meno di due settimane più tardi Mustafa Abdel Jalil, leader del Consiglio Nazionale di Transizione libico, nel corso di un comizio tenuto a Bengasi ha annunciato: “la sharia islamica sarà alla base del nostro ordinamento giuridico”, suscitando l’elogio degli ambienti che veicolano la propaganda di Al Qaeda.In Libia l’islamismo combattente ha giocato un ruolo degno di nota nella rivolta che ha abbattuto la Jamahiriya. Già da tempo esisteva un’opposizione di stampo jihadista al governo di Gheddafi: il Gruppo Combattente Islamico in Libia (GCIL), formato da miliziani libici tornati dall’Afghanistan dove avevano combattuto con bin Laden nella resistenza antisovietica degli anni ‘80, inserito nella lista Onu delle organizzazioni terroriste e responsabile di un fallito attentato al colonnello nel 1996. Il 24 febbraio 2011 un’altra sigla della galassia jihadista, il gruppo Al Qaeda nel Maghreb Islamico (responsabile del recente rapimento della cooperante italiana Rossella Urru), ha reso nota la sua vicinanza agli insorti in un comunicato: “Dichiariamo il nostro supporto alle legittime richieste della rivoluzione libica”. Le connessioni della rivolta anti-Gheddafi con la Jihad non si fermano ai comunicati. Abdel-Hakim al-Hasidi è una delle figure chiave della primavera libica. Fondatore del Gruppo Combattente Islamico in Libia, è stato addestrato in un campo militare in Afghanistan, dove ha combattuto. Arrestato in Pakistan nel 2002 è stato detenuto ad Islamabad dagli statunitensi fino al 2008. Ora è a capo di un contingente di mille uomini che hanno lottato contro le truppe libiche rimaste fedeli a Gheddafi, ha ammesso che almeno alcune decine di jihadisti che hanno combattuto in Iraq combattono ora in Libia e di Al Qaeda dice: ”i membri di al-Qaeda sono anche buoni musulmani e lottano contro l’invasore”. Un curriculum simile lo ha anche Abdul Hakim Belhadj. Anche lui membro del Gruppo Combattente Islamico Libico, è stato catturato a Bangkok da agenti dalla Cia per le sue connessioni con il terrorismo internazionale e detenuto per 5 anni. Ora Belhadj è a capo del Consiglio Militare di Tripoli. Altri ex membri del GCIL hanno ruoli di primo piano nel nuovo corso libico: Ismail al-Salabi a Bengasi, Abdel Hakim al-Assadi a Derna. Nel frattempo c’è un’altra notizia che allarma la Nato: dai depositi militari libici sono stati fatti sparire almeno 10.000 missili terra-aria. “Credo che la possibilità che al Qaeda possa contrabbandare fuori dalla Libia armi di quel tipo è piuttosto alta” ha sostenuto Richard Clark esperto di antiterrorismo ed ex consigliere del Dipartimento di Stato Usa. La road map qaedista per il Maghreb sembra dunque prendere corpo: dopo la dissoluzione delle leadership ostili al fondamentalismo islamico, quando non proprio laiciste, di Hosni Mubarak (che sfuggì a diversi attentati di fondamentalisti islamici negli anni ‘90) in Egitto, Ben Alì in Tunisia e Mohammar Gheddafi in Libia sembrano aprirsi nuovi orizzonti per Al Qaeda. Senza l’opposizione severa ai gruppi islamisti radicali che ha caratterizzato l’operato dei presidenti deposti, questi gruppi cercheranno di approfittare della situazione di instabilità e debolezza politica per radicarsi nella regione come già hanno fatto in Afghanistan, Iraq e Somalia, ma questa volta ad un passo dall’Europa.

possa volare in tutte le regioni del mondo senza alcuna discontinuità operativa. “Progettare e sviluppare un sistema integrato di gestione del traffico aereo valido per gli Stati Uniti e l’Europa per i decenni a venire, è una sfida complessa che può essere gestita solo utilizzando le migliori capacità presenti nel campo dei sistemi integrati e dell’aviazione” ha affermato Luca Izzotti, senior vice president Pianificazione Strategica e di prodotto di SELEX Sistemi Integrati. Boeing sviluppa concetti avanzati nel campo dell’ATM, requisiti standard di equipaggiamento, soluzioni efficaci per lo spazio aereo. Boeing ha una grande esperienza nei programmi di gestione delle informazioni “system wide”, nell’integrazione dei sistemi e negli strumenti di modellazione e simulazione. SELEX Sistemi Integrati è uno dei maggiori player in Europa nell’ambito delle iniziative di sviluppo e di implementazione di sistemi per la gestione del traffico aereo. La società ha una solida esperienza nelle attività di ricerca e sviluppo nell’ATM ed è uno dei maggiori contributori industriali

nella SESAR Joint Undertaking, la partnership creata dalle Istituzioni europea per consentire la realizzazione del “Cielo Unico Europeo” nel settore del traffico aereo.

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IN AFRICA CENTRALE LA PROSSIMA GUERRA DI OBAMA Dopo Afghanistan, Iraq, Pakistan, Yemen e Libia è l’ora dell’escalation militare USA in Africa centrale. Assassinati Osama Bin Laden e Gheddafi, il nemico number one dell’amministrazione Obama è divenuto Joseph Kony, il capo supremo del Lord’s Resistance Army (Esercito del Signore), l’organizzazione di ribelli ugandesi che dalla seconda metà degli anni ’80 ad oggi si è macchiata di gravi crimini contro l’umanità, massacri, stupri e rapimenti di bambini e adolescenti. Con una lettera al Congresso, il Presidente Barack Obama ha annunciato l’invio in Africa centrale di un “piccolo numero di militari equipaggiati per il combattimento” per “fornire assistenza alle forze armate locali impegnate a sconfiggere Joseph Kony. Si tratta, in una prima fase, di un team di “consiglieri” delle forze operative speciali USA, il cui numero dovrebbe crescere entro un mese a un centinaio tra militari e “civili”, compreso un “secondo gruppo equipaggiato al combattimento con personale esperto TNM ••• 010

in intelligence, comunicazioni e logistica”. I militari hanno raggiunto l’Uganda, ma successivamente le forze armate statunitensi potrebbero estendere il loro raggio d’azione al Sudan meridionale, al Darfur, alla Repubblica Centroafricana e alla Repubblica Democratica del Congo. Il controllo della missione è stato affidato allo Special Operations Command Africa, il comando per le operazioni speciali nel continente con sede a Stoccarda (Germania). “Il personale USA fornirà informazioni e consulenza, ma non sarà impiegato per combattere”, scrive Obama. “Non entrerà in azione contro i miliziani del Lord’s Resistance Army se non perché costretto all’autodifesa. Sono state prese tutte le precauzioni per assicurare la massima sicurezza al personale militare USA durante la sua missione”. Il portavoce di Usafricom, il comando degli Stati Uniti per l’Africa, Vince Crawley, ha dichiarato di non sapere sino a quando sarà necessario disporre dei militari in Africa


centrale, “tuttavia le nostre unità sono preparate per tutto il tempo che servirà a consentire alle forze armate della regione d’intervenire contro l’LRA in modo autonomo”. Per il Pentagono l’obiettivo a medio termine dell’intervento è la costituzione di una brigata mobile con un migliaio di uomini delle forze armate di Congo, Repubblica Centroafricana, Sudan ed Uganda, a cui l’Unione Africana affiderà i compiti di pattugliamento delle frontiere. Secondo quanto riferito alla BBC da una fonte diplomatica USA, il piano fa pure affidamento sull’intervento della Nigeria e del Sud Africa, “le due sole nazioni africane che hanno le adeguate capacità logistiche”. Per la BBC, anche se nei documenti ufficiali il riferimento è solo al Lord’s Resistance Army, è forte il sospetto che “questa brigata potrebbe intervenire in operazioni esterne contro i gruppi di al-Qaeda in Maghreb e coloro che stanno tormentando oggi le aree del Mali e della Mauritania”. Nel dicembre 2008, gli eserciti di Uganda, Repubblica Democratica del Congo e Sudan lanciarono una violenta offensiva militare contro i miliziani dell’LRA (Operazione Linghting Thunder). Determinanti furono il supporto logistico, le armi e le apparecchiature “non letali”, per il valore di 23 milioni di dollari, forniti da Washington. Secondo i maggiori quotidiani USA, l’operazione fu pianificata direttamente dagli strateghi del Comando Africom di Stoccarda (Germania). Diciassette consiglieri militari furono inviati in Uganda per lavorare a stretto contatto con gli ufficiali locali e fornire i dati d’intelligence e le riprese satellitari sugli accampamenti nel Parco Nazionale di Garamba in cui si nascondevano gli uomini di Joseph Kony. L’intervento contro l’LRA si rivelò tuttavia fallimentare e per certi versi pure controproducente: le milizie ribelli scampate ai bombardamenti si vendicarono contro la popolazione civile, massacrando più di 900 persone, in buona parte donne e bambini. L’Esercito del Signore si rifugiò in Darfur, Congo e Repubblica Centroafricana, paese quest’ultimo dove vivrebbe adesso Kony. Alcune Organizzazione per i Diritti Umani con sede negli Stati Uniti affermano tuttavia che le forze ribelli non disporrebbero di più di 400 uomini, un dato che lascia apparire del tutto sovradimensionata ed ingiustificata la mobilitazione militare internazionale contro il “pericolo” LRA. Secondo il Pentagono, personale militare USA è stato impiegato per lungo tempo nell’addestramento delle forze armate ugandesi in funzione anti-Kony. Washington ha fornito al paese africano aiuti militari per 33 milioni di dollari, principalmente apparecchiature di telecomunicazione e camion per il trasporto truppe. Lo scorso anno, 550 uomini di US Army Africa, il Comando per le operazioni terrestri nel continente con base a Vicenza, hanno partecipato a Kitgum, nord Uganda (area di aperto conflitto contro l’LRA), ad una delle maggiori esercitazioni mai realizzate in Africa (Natural Fire 10), congiuntamente ai reparti armati di Kenya, Tanzania, Uganda, Rwanda e Burundi. Lo scorso mese d’aprile, ancora con il coordinamento di US Army Africa, il nord Uganda è stato sede di una vasta operazione di lancio paracadutisti, a cui hanno partecipato militari ugandesi, il 21st Special Troops Battalion dell’esercito USA con sede a Kaiserslautern (Germania) e la 197th Special Troops Company della Guardia Nazionale dell’Utah. Dal 2003 gli

statunitensi sono impegnati pure nell’addestramento delle ri-costituite forze armate del Congo, accusate da più parti (comprese alcune agenzie Onu) di efferate violenze contro la popolazione civile. Il Dipartimento di Stato, in particolare, ha finanziato una luna missione di “consiglieri” dell’US Special Operations Command Africa, prima a Kisangani e successivamente nella regione meridionale del paese. Nello specifico, il team ha curato la formazione sul campo nelle attività di sminamento e distruzione di vecchie munizioni inesplose. Come recentemente annunciato dall’ambasciatore USA in Congo, un battaglione di fanteria leggera congolese, formato e addestrato da personale USA, ha raggiunto la città di Dungu, nel nord-est del paese, per “combattere contro le milizie del Lord’s Resistance Army”. Per creare da zero questo battaglione mobile, Washington ha speso circa 15 milioni di dollari, quasi un quarto dell’ammontare dei programmi di “riforma del settore difesa” destinati al Congo nel 2010. Intervenendo ad un seminario dell’ultraconservatore Center for Strategic and International Studies di Washington, il generale Ham, comandante Africom, ha annunciato che le forze armate USA “accresceranno il proprio aiuto a favore delle forze armate del Congo e della Repubblica Centroafricana contro l’LRA”. “Se mi chiedete se nel mondo esiste oggi il diavolo, io rispondo che esiste nella persona di Joesph Kony e della sua organizzazione”, ha concluso Ham. La guerra a “bassa intensità” contro l’Esercito del Signore venne lanciata dall’amministrazione USA dopo l’approvazione con voto unanime dei congressisti (primavera del 2009) del cosiddetto LRA Disarmament and Northern Uganda Recovery Act, che invocava il pugno duro per “chiudere definitivamente la lotta al gruppo ribelle di Joseph Kony”. Nel novembre 2010, il presidente Obama presentò al Congresso un piano per “smantellare” il Lord’s Resistance Army e catturare il suo leader. Quattro gli obiettivi chiave: “maggiore protezione dei civili; rimozione di Kony dal campo di battaglia; promozione degli sforzi per reintegrare nella società i restanti combattenti dell’LRA; potenziamento dell’intervento umanitario nella regione per assicurare una continua assistenza alle comunità vittime”. Il piano affidava gli interventi ai Dipartimenti di Stato e alla Difesa e a USAID, l’agenzia alla cooperazione e allo sviluppo degli Stati Uniti d’America. L’intervento militare USA è stato richiesto alcuni mesi fa dai rappresentanti di quattro “organizzazioni non governative” (Resolve, Enough Project, Invisible Children e Citizens for Global Solutions). Con una lettera aperta al Presidente Obama, le ONG lo hanno invitato “a dimostrare tutta la serietà possibile per porre fine alla violenza dell’LRA contro i civili”. “Anche se il supporto a favore dei militari dell’Uganda possa sembrare a breve termine il modo migliore per arrestare gli anziani comandanti del Lord’s Resistance Army, è sempre più evidente che essi non siano in grado di farlo”, commentavano i portavoce delle organizzazioni. “La leadership USA ha pertanto l’urgente necessità di trovare alternative praticabili alla strategia odierna e al tipo di sostegno offerto”. Washington li ha prontamente accontentati inviando la special task force in Africa centrale. Alla prossima guerra, militari, ONG e contractor ci andranno piacevolmente insieme. TNM ••• 011


USA, SUL WEB LA SFIDA ALL’IRAN Hillary Clinton punta su «un’ambasciata virtuale» per dialogare con gli iraniani a dispetto del regime. È lo stesso Segretario di Stato ad annunciare la decisione agli iraniani con due interviste ai canali in persiano della Bbc e di Voice of America, precisando che si tratterà di «un sito Web in grado di comunicare con la popolazione iraniana» 24 ore su 24, offrendo la possibilità di ottenere visiti, studiare in America o avere informazioni

TNM ••• 012

sugli aspetti più differenti della vita negli Stati Uniti. «Il controllo del regime iraniano sulla vita dei cittadini ricorda quello dell’Urss» ha sottolineato Hillary Clinton, riconoscendo a Teheran di «essere stata molto aggressiva ed efficace nell’ostacolare le comunicazioni via Internet fra manifestanti e dissidenti» dall’indomani delle rivolte di piazza iniziate nel giugno del 2009. Da qui la scelta dell’amministrazione Obama di sfidare la Repubblica Islamica

proprio sul Web, creando un portale digitale «al quale ogni cittadino iraniano potrà accedere per chiedere le informazioni che desidera sugli Stati Uniti». Per Hillary, paladina dichiarata della «libertà su Internet», significa rilanciare l’uso del «soft power» degli Stati Uniti per rafforzare un dialogo diretto con la popolazione iraniana, alla quale il presidente Barack Obama si è più volte rivolto direttamente sin dall’indomani dell’insediamento alla Casa Bianca. A conferma della scelta di accrescere la pressione sull’Iran, Hillary ha parlato della Repubblica Islamica come di «un regime in progressiva trasformazione verso una dittatura militare» e a evidenziarlo sarebbe il recente presunto complotto ai danni dell’ambasciatore saudita a Washington «perché a ordirlo è stata la Forza Al Quds dei Guardiani della Rivoluzione» che non è ben chiaro a quale potere politico risponda avvalorando lo scenario di «una struttura militare sempre più potente e dominante nel sistema di governo». In tale maniera Hillary punta ad aprire un dialogo anche con quegli iraniani che hanno finora sostenuto la teocrazia iraniana ma non vedono con favore l’accentramento di potere politico e militare nelle mani di Alì Khamenei, la Guida Suprema della Rivoluzione che alcuni giorni fa ha proposto di abolire l’istituzione della presidenza della Repubblica sollevando le proteste anche di Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, già presidente negli Anni Novanta. A conferma della volontà della Casa Bianca di indebolire la capacità dei servizi di sicurezza iraniani di controllare le comunicazioni vi sono le indiscrezioni pubblicate dal «Wall Street Journal» sul fatto che gran parte del sistema di telefonia mobile adoperato dal governo di Teheran è fornito da Huawey Technologies, un gigante dell’economia cinese i cui profitti nel 2010 hanno sfiorato i 200 miliardi di yuan. Sono oltre 6000 gli iraniani arrestati dal 2009 a seguito di intercettazioni telefoniche e ciò significa che Washington ritiene Huawey coinvolta in tali operazioni: da qui la possibilità che la Casa Bianca studi una nuova tipologia di sanzioni per impedire il trasferimento di alta tecnologia telefonica agli ayatollah.


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«In pratica ci avevano teso una trappola. Sapevano già che noi saremmo andati lì e che cosa avremmo fatto e così hanno aspettato, miscelati alla gente del luogo o nascosti nelle case che noi avevamo visto da fuori perché non erano state ancora controllate da nessuno. Ci muovevamo in mezzo a un branco di ragazzini che facevano gli scugnizzi e che riuscivamo ad allontanare con fatica mentre disturbavano l’operazione. Questi tipi hanno il senso della guerra nel sangue, sono nutriti sin da piccoli a base di privazioni e violenze e non hanno paura di nulla ed utilizzano i ragazzini e gli abitanti dei villaggi come scudi. Quando sembrava tutto a posto e ormai la tensione dei primi istanti era calata hanno iniziato a spararci ed i ragazzini sono spariti

in un lampo senza più gridare. Un fuoco da professionisti, brevi raffiche ma continue e soprattutto mirate e sparate da molti punti. Sparavano da dietro e anche da dentro le case dove prima davanti c’erano gli abitanti del villaggio e noi ci siamo trovati tagliati fuori, in una piccola discesa coperti da un basso muro di fango. Appena tiravamo fuori la testa arrivava una scarica di colpi. Il comandante del plotone era incredibilmente calmo mentre accovacciato dietro al muro sbeccato dai colpi degli AK47 parlava per radio, ma era chiaro che stavamo in una brutta posizione. Ci ha ordinato di spostarci sulla sinistra, eravamo troppo ammucchiati ed i blindo ancora lontani ed anche loro sotto tiro. Per raggiungerli avremmo dovuto muoverci allo scoperto, dovevamo prima posizionarci. Insieme al mio fuciliere ho seguito il muro rasentandolo e procedendo piegato. Avevo il cuore e la testa che mi battevano forte ma non avevo paura, parlo di quella che ti congela, mi sembrava di vivere al rallentatore ed i rumori degli spari sembravano ovattati. Ad un tratto il muro, che non era proprio dritto, è finito e poi c’era un altro muro non in linea e mi sono trovato nello spazio vuoto tra i due, allo scoperto, ho visto quattro di loro che avanzavano verso il nostro varco e la posizione che avevo lasciato alla mia destra. Ci stavano accerchiando. Avevano anche gli RPG e stavano forse a meno di sessanta, settanta metri da noi. E’ durato tutto una frazione di tempo, anche loro hanno visto me e il mio compagno ed abbiamo sparato insieme, noi e loro. Quando ci ripenso mi sembra di vedere un film al rallentatore, invece è durato il tempo di sparare una ventina di colpi con la mia minimi. Tre gli ho visti cadere e un quarto con il lancia razzi è scappato a gambe levate dietro le case inseguito dai nostri colpi. All’improvviso e per qualche secondo hanno tutti smesso di sparare e mi sono trovato come avvolto in una specie di silenzio che rimbombava nelle orecchie. Si sentivano delle grida concitate verso il luogo dove era scappato quello con il lanciarazzi e che nella fuga l’aveva lasciato

cadere. Vedevo chiaramente uno dei tre che avevamo colpito steso a terra, con la casacca bianca sporca di sangue, gli altri due li intravedevo, uno sembrava muoversi. Io e il mio compagno riprendemmo a sparare brevi raffiche alternandoci per ricaricare le armi, lui con il fucile automatico. Anche gli altri dietro al muro adesso si alzavano sporgendosi rapidamente e sparavano una raffica lunga, poi si accovacciavano e altri ricominciavano da altre posizione. Si sentivano urla e grida e dei lamenti distinti nonostante i colpi. Poi ad un tratto hanno incominciato a suonare le chitarre dei blindo (le mitragliatrici Browning cal. 12,7 e le MG cal. 7,62 - n.d.r.) che nel frattempo si erano riposizionati. Un gran casino, la reazione è stata fortissima, si vedevano pezzi di muro sbriciolarsi ed anche i nostri alleati di cui dovevamo costituire la protezione si erano ripresi ed iniziarono a reagire come fanno loro, sparando a martello con tutto quello che avevano. Coperti dal nostro fuoco di interdizione hanno concluso l’operazione a modo loro. Per me era stata la prima volta. Non avevo avuto paura, provavo però un sentimento strano tra l’eccitazione di avere fatto qualche cosa di totalizzante ed un vago senso di colpa per averlo fatto. La notte ho dormito a mattone per la stanchezza e la scomparsa dell’adrenalina, ma i miei camerati mi dissero che avevo parlato sconclusionatamente nel sonno. Ne ho parlato con il Cappellano, io non vado mai in chiesa, ma quell’uomo poco più grande di me mi ha dato risposte umane, comprensibili e rassicuranti. Non racconto mai questa storia, è come un film in bianco e nero visto tanto tempo fa. Comunque anche quel giorno non sono riusciti a fregarci. Ci hanno provato tantissime altre volte ma le hanno sempre prese. Molti di noi dicono che hanno fatto l’attentato con l’auto bomba perché con noi sul campo hanno sempre perso. Vuoi sapere se è cambiato qualche cosa? No. Non è cambiato nulla. Ho fatto quello per cui ero stato addestrato e penso di averlo fatto bene. Ma a volte mi domando: perché io?»


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DI GIOVANNI DI GREGORIO – DIRETTORE STUDI STRATEGICI DEL CESA - GEOPOLITICA

Tutti siamo ammaliati dalle bellezze geografiche, dalle spiagge dorate scaldate dal sole e dal mare incantevole e pescoso di Cuba. Tantissimi siti web descrivono l’isola cubana come una perla dei caraibi. Editoria e quotidiani di incerta fazione pro Fidel elogiano l’ideale comunista, anche in tempi di globalizzazione e di democrazia liberale. Ma nessuno parla mai delle severe condizioni nelle quali, buona parte della popolazione cubana, è costretta a vivere, proprio per il dissenso ideologico della politica interna. Nessuno parla mai dello stato di polizia esistente sull’isola. Come nessuno da credito a coloro che si battono per una vera democrazia capitalista e liberale. La politica interna cubana, infatti, affonda le sue radici nell’ideale statal-autoritario ponendosi come unica realtà del Paese. Un’ideologia ormai anacronistica e sognante, che comunque lega TNM ••• 022

ancora altri Stati nella folle politica d’altri tempi. Già negli scorsi numeri di TNM abbiamo affrontato i temi di geopolitica internazionale di Nazioni come Venezuela e Corea del Nord, dove il legame politico con Cuba è ben sviluppato e forte, tanto da rafforzare intere economie di scambio. Nonostante l’embargo in essere, imposto dagli Stati Uniti in seguito alla ben nota crisi della Baia dei Porci ed all’indomani della rivoluzione castrista, Cuba, effettua scambi commerciali che gli permettono di sopravvivere e di diffondere la propria ideologia rivoluzionaria comunista, al di là delle proprie frontiere. Un’ideologia fanatica e sovversiva che spinge folle dai vessilli rossi ed arcobaleni a diffondere violenza contro chi la pensa contrariamente alla loro politica e che li arma anche degli ormai noti “estintori” ..anch’essi rossi. Il governo cubano, per dimostrare l’esistenza


EPORTS SITUATION REPORTS SITUATION REPORTS SITUATION REPOR

a sinistra Fidel Castro a destra il fratello Raul

della democrazia agli stranieri che soggiornano sull’isola, permette loro qualsiasi spavalderia e libertà. Al popolo cubano, invece, è privata anche la semplice libertà di acquistare un cellulare o di spostarsi da una città all’altra. Tutto appartiene allo Stato Cubano, compreso l’essere umano. Il potenziale economico del popolo cubano è stato soffocato per molto tempo, prigioniero di un sistema economico fallito, che sostiene il regime, ma che non fa nulla per dare prosperità al popolo cubano. Un eventuale cambiamento del potere governativo dovrebbe affrontare situazioni critiche che vanno dallo stabilizzare le condizioni macroeconomiche al creare una struttura microeconomica, che permetta la crescita degli affari tra privati. Solo il 13% dei cubani ha accesso all’acqua potabile. Le riforme non mirano a portare il

paese verso una struttura economica di tipo capitalistico, bensì a trasformare l’economia socialista cubana, per conseguire stabilità e per preservare il suo sistema socio-economico, mantenendo la funzione di orientamento generale del settore socialista nell’attività produttiva e nei servizi. Il processo di trasformazione, più che una pura e semplice liberalizzazione commerciale, costituisce un’apertura del sistema economico e produttivo, il cui obiettivo è essenzialmente quello di orientare l’economia verso i mercati internazionali attraverso le esportazioni e di garantire una certa apertura economica interna. Durante questa fase di riforme economiche, è stata avviata un’importante ristrutturazione nell’organizzazione dello Stato, per rendere ancor più “statalista ed accentratore” il potere centrale, TNM ••• 023


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attraverso la creazione di cinque nuovi ministeri che hanno sostituito vari dei precedenti “Comitati dello Stato” ed “ Istituti Statali”; tra i nuovi, spiccano per importanza, quelli degli investimenti stranieri e della collaborazione economica, delle finanze e dei prezzi ed il ministero del turismo. In sostituzione al “Banco Nacional de Cuba” è stata istituita la nuova Banca Centrale di Cuba, con la quale si tenta di regolare la politica monetaria e creditizia, con lo scopo d’incentivare la modernizzazione e la diversificazione del settore bancario. Un altro intervento fondamentale è stata la creazione di nuovi spazi economici, aggiuntivi rispetto alla sfera statale: in particolare è stato incentivato il commercio delle eccedenze agricole e dei prodotti agroalimentari in mercati appositamente creati, ma che non si sono sviluppati secondo le previsioni degli economisti governativi. All’interno di questi mercati si cerca d’incentivare il commercio, secondo i prezzi di mercato, di un insieme di prodotti e di servizi offerti, sia dal settore privato sia dal settore statale. La creazione di questi mercati ha due principali funzioni: liberare il settore statale dall’anacronistico compito della produzione di quasi tutti i beni e servizi, che esso non poteva più assolvere efficientemente ed in secondo luogo, come alternativa d’impiego all’occupazione statale. wIl settore agricolo ha visto la creazione di nuove forme organizzative: un gran numero d’imprese statali è stato trasformato in società cooperative (UBPC, unità di base della produzione cooperativa), procedendo simultaneamente ad una riduzione della dimensione delle stesse; in questo modo, circa l’80% delle terre è passato, già nel 1996, a forme di sfruttamento non statale. Purtroppo questo passaggio non ha avuto esito positivo. Per la parte finanziaria, gli squilibri hanno avuto principale origine dalla monetizzazione degli enormi deficit fiscali, i quali, nei momenti più critici, hanno superato il 30% del PIL. Tutte le misure intraprese sono state indirizzate, da una parte, a ridurre l’eccesso di moneta in circolazione, che era nelle mani della popolazione che godeva di un certo benessere, riportando la massa monetaria complessiva entro un limite “statalmente” gestibile, senza pressioni inflazionistiche (ciò si è ottenuto in un primo momento mediante aumento dei prezzi di beni di consumo non essenziali quali sigarette, alcolici, benzina, ecc.., oltre che mediante eliminazione di alcune forniture gratuite di servizi) e dall’altra, ad evitare che si TNM ••• 024

continuasse ad alimentare il deficit fiscale attraverso i sussidi alle imprese statali in perdita (ciò si è ottenuto sottoponendo i loro risultati economici ad un controllo più rigoroso da parte di ciascun ministero competente). Ma anche questa “sognante” manovra economica si è dimostrata un tentativo fallimentare che ha danneggiato fortemente il popolo cubano, ormai vinto ed assopito al volere statale. Dal canto suo, il Leader Maximo, ormai in agonia, come il suo ideale, ha lasciato il potere al fratello Raul, ancora più incompetente e statalista. Il delirio di Castro ormai è palese, tanto che in un comunicato trasmesso via radio ha accusato la NATO di omicidio illegale di Gheddafi. Da quest’ultima affermazione, oltre che percepire la follia ideologica di un Capo in declino, si evince quale filo “illogico” leghi Venezuela-CubaLibia-Iran e Corea del Nord. Un legame ideologico ed economico, atto a contrastare l’imperialismo democratico, ormai diffuso in gran parte del mondo libero. Resta il fatto che, nonostante gran parte dei governi occidentale riconoscano il pericolo di una politica autoritaria e despota, l’ONU, abbia condannato l’embargo. Infatti, l’Assembla Generale si è espressa quasi all’unanimità: 186 voti favorevoli, due contrari (Stati Uniti ed Israele) e tre astensioni (Isole Marshall, Micronesia e Palau). Libia e Svezia non hanno votato contro l’embargo criminale, cosi definito via radio da Castro, mentre era sul letto d’ospedale. Quasi a sottolineare il completo controllo della stampa e di tutti i mezzi di comunicazione, peculiarità proprie di una dittatura, i media cubani vicini al governo centrale (non esistono libertà di stampa e libera circolazione d’informazioni) scrivono che l’embargo, imposto da Kennedy, rappresenta “un mix di leggi e decreti che impongono extraterritorialmente la giurisdizione americana verso paesi terzi, dato che tali norme colpiscono anche la sovranità di altri Stati e la libertà di commercio e di navigazione”. In pratica, Cuba sfoggia esternamente una coltre dorata che nasconde il suo interno scuro e macchiato di crimini sanguinosi, atti al controllo autoritario dei dissidenti del potere centrale. Un controllo centralizzato e partitico dell’economia dell’intero Paese, che si nasconde nelle beate bellezze turistiche e nei tentativi d’esportazione di prodotti tipici. Di Cuba possiamo apprezzare l’ottimo rum ed i sublimi sigari, non certamente la sua ideologia fanatica ed oltranzista.


EPORTS SITUATION REPORTS SITUATION REPORTS SITUATION REPOR

TNM ••• 025


SPECIAL EVENTS SPECIAL EVENTS SPECIAL EVENTS SPECIAL

DUE GIORNI FULL-IMMERSION D’INNOVAZIONI TECNICHE ED EQUIPAGGIAMENTI DEDICATI AI SETTORI MILITARY/LAW ENFORCEMENT. A CURA DELLA REDAZIONE DI TNM

TNM ••• 026


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Cinturoni allestiti con fondine serpa della Blackhawk

Sarà monotono ricordarlo, ma TNM è “sempre in prima linea”, soprattutto con gli eventi proposti sul territorio nazionale; questo per tenere costantemente informati ed aggiornati tutti gli Operatori o gli appassionati che ci seguono. Siamo stati invitati alla “due giorni” organizzata dall’azienda romana Mad Max Co., che ha visto come teatro operativo la fantastica cornice del Poligono di Tiro Futura Club, situato a Castel Sant’Elia (VT). Erano presenti molteplici e qualificati rappresentanti delle principali Istituzioni Militari e di Polizia Nazionali, oltre ad un nutrito numero di operativi ed utilizzatori finali. I promotori della manifestazione, nonché proprietari, Alessandra Tolomei e Massimo Zotti, con l’ausilio tecnico degli istruttori del Mad Max Training Team e dei collaboratori della medesima azienda, hanno offerto una panoramica dei nuovi prodotti ed equipaggiamenti che sono entrati a far parte del catalogo 2011/2012. A tal proposito, al fine di poter meglio illustrare i dettagli e le caratteristiche di ogni singolo prodotto, sono appositamente confluiti, dagli USA, dalla Germania e dall’Austria, sia i rappresentanti commerciali che il relativo staff tecnico di ogni

azienda coinvolta nell’evento. L’inizio dei lavori è stato tutto dell’americana “Blackhawk”, presente con ben quattro consulenti, che hanno illustrato ai presenti le finalità e le potenzialità dei nuovi prodotti dell’azienda, focalizzando l’attenzione sul sistema di fondina modulabile Serpa, sul kit tattico per l’effrazione di porte e finestre “Dinamic Entry Tools” e sul calciolo collassabile per shotgun SpecOps NRS. Al termine della lezione teorica i presenti sono stati divisi in due gruppi ed affidati ai tutor dell’azienda. Il primo è stato condotto presso uno stage di tiro del poligono ed equipaggiato con cinturone, fondina Serpa, replica inerte Colt mod.1911 ed ha effettuato pratica nelle tecniche d’estrazione. Successivamente il simulacro è stato sostituito con pistole, gentilmente concesse dalla Tanfoglio, modello Witness 1911 calibro 45 ACP e Caracal calibro 9x21, per l’esecuzione delle prove a fuoco, con munizioni fornite della Fiocchi. Contemporaneamente, il secondo gruppo si è radunato presso una struttura eretta per l’occasione e realizzata in cartongesso, con relativa porta corazzata in acciaio e finestra con vetro. In quest’area sono stati descritti e testati dagli operatori i vari attrezzi presenti nel kit da TNM ••• 027


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Prove a fuoco con estrazione dalla fondina Serpa Blackhawk


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sopra: Prove in bianco di estrazione con la fondina Serpa Blackhawk sinistra: La Caracal alloggiata nella fondina Serpa Blackhawk

irruzione. I gruppi si sono successivamente alternati nelle varie simulazioni dinamiche. Tutti, in seguito, hanno avuto la possibilità di verificare l’efficacia della reale riduzione del collasso di sparo utilizzando sia un comune fucile a pompa cal 12 che un Maverick, equipaggiato con la speciale calciatura ammortizzante SpecOps NRS. La parte finale della giornata è stata appannaggio dell’azienda tedesca MK Tecknology Body Protection Solutions – che ha presentato alcuni veri e propri esoscheletri protettivi professionali per l’utilizzo sia in situazioni di ordine pubblico, sia tattico operative, che di training. La particolarità di questi prodotti è quella di poter essere completamente personalizzabili ed attagliati per ogni singolo operatore. Il modello della linea KS2000 type A, oggetto della demo, era costituito, come le antiche corazze, da un’armatura articolata, realizzata in una speciale lega di alluminio temprato. La sua copertura esterna è realizzata con un materiale ad alta resistenza al calore, antivento, impermeabile, traspirante e può essere implementata con appositi moduli balistici nei vari livelli di protezione. I presenti sono rimasti impressionati dalla “prova pratica” durante la quale il manufatto, indossato da due operatori del Mad Max Training Team, è stato violentemente “ingaggiato” con svariati oggetti contundenti, tra cui un’ascia da vigile del fuoco ed un bastone estensibile ASP in acciaio. Praticamente inesistenti i danni subiti e facilmente sopportabile il trauma indotto dai colpi, tutti realmente portati a piena potenza. TNM ••• 029


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sopra: Prove a fuoco sinistra: Prova pratica del Maverick equipaggiato con la speciale calciatura ammortizzante Specops NRS

SECONDO GIORNO Arrivati alla spicciolata ma puntuali, davanti ad un ottimo caffè, i partecipanti hanno avuto la possibilità di un veloce scambio di opinioni ed impressioni su quanto visto il giorno precedente. La prima ad iniziare è stata la tedesca BSST – partner di MK Tecnology - che ha presentato la vasta gamma di prodotti balistici, nei vari livelli di protezione e con configurazioni sia ad uso di polizia (undercover ed esterni) sia per specifici ambiti militari. Azienda che ha concentrato le sue ricerche e risorse nella realizzazione di prodotti idonei alla risoluzione del problema blunt-trauma ed al contrasto dei colpi portati con armi bianche. Per la prima volta, in Italia, è stata presentata, in seconda battuta, la linea di zaineria tecnica, tutta “made in U.S.A.”, della Mystery Ranch. La loro filosofia è molto semplice: rendere particolarmente confortevoli ed incredibilmente resistenti i prodotti, specialmente se da questi dipende il confort e la sicurezza delle persone che li utilizzano. Tenendo TNM ••• 030


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sinistra in alto: Esposizione dei prodotti ASP sinistra in basso: Corpetti balistici della BSST

ben presente che l’utilizzatore finale dovrà, con molta probabilità, trasportare materiale molto pesante e dalla forma irregolare, come ad esempio nel caso dei militari, armi automatiche, apparecchiature elettroniche e radio. Per concludere, hanno avuto spazio due aziende, sempre molto conosciute oltreoceano, che hanno proposto prodotti dedicati al settore del law enforcement e security: ASP e Sabre. La prima, acronimo di Armament System and Procedures, di cui già in altre occasioni abbiamo avuto modo di parlare, è fornitrice in oltre 80 paesi nel mondo, ha all’attivo la produzione di svariati prodotti, come ad esempio i tactical baton estensibili in acciaio 4140, varie tipologie di manette e fascette di ritenzione in materiale plastico – Tryfold - e tactical led lights - Triad. Su queste ultime si è incentrata la demo, condotta dal rappresentante europeo di ASP, che, all’interno di un modulo abitativo appositamente oscurato, ha “visivamente” dimostrato la differenza di potenza dei Loro led, di ultima generazione, rispetto ad altri prodotti in commercio. Per ultima ma non ultima, TNM ••• 031


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sopra: Le Tanfoglio Witness 1911 alloggiate nella Serpa Blackhawk sinistra: Corpetto modulare tattico della BSST

vista l’esperienza più che trentennale nel settore della produzione di presidi difensivi a base di OC – Oleoresin Capsicum, l’americana Sabre. Molto precise ed esaustive, sia nella parte teorica che in quella dimostrativa, le informazioni dei tecnici che si sono particolarmente soffermati sulla 3^generazione di prodotti denominata Crossfire. Questa è caratterizzata da una formula che rende il prodotto solubile in acqua, non infiammabile e visibile agli ultravioletti, in modo tale da “marcare” i soggetti colpiti e renderli rintracciabili anche in tempi successivi. Ma la peculiarità che la contraddistingue è la possibilità di erogare il suo contenuto coprendo l’intero range dei 360 gradi, permettendo, quindi, all’operatore di poter ingaggiare il bersaglio anche e soprattutto in situazioni dinamiche. La dimostrazione pratica ha visto la contaminazione di un manichino con i tre sistemi d’erogazione: gel, schiuma ed aerosol. Quest’ultimo, per mera conoscenza, unico sistema che sarà consentito ai civili dal prossimo 8 gennaio 2012, data in cui entrerà a regime la liberalizzazione della vendita al pubblico degli spray OC, in conformità al Decreto del Ministero dell’Interno n. 103 del 12 Maggio 2011. In conclusione, confermiamo il plauso alla Mad Max Co. per quest’innovativa iniziativa nel panorama TNM ••• 032

italiano, adottata - in primis - dalle aziende d’oltreoceano, che da anni investono, sia risorse economiche che di tempo, in questa tipologia di eventi e che è stata mirata, non solo alla mera illustrazione tecnica dei prodotti, ma principalmente alla possibilità di poterli testare direttamente sul campo.


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ARMI STORICHE ARMI STORICHE ARMI STORICHE ARMI STORIC


TORICHE ARMI STORICHE ARMI STORICHE ARMI STORICHE ARMI STOR

LEE-ENFIELD ° DI LUCA TINELLI - FOTO DI MARTA NOBILE

N 4 MkII

A british classic

Anche questa volta parleremo di uno dei tanti protagonisti della Seconda Guerra Mondiale. Dalle spiagge della Normandia, passando per il deserto africano fino alle isole più sperdute del pacifico, ha prestato servizio a fianco di ogni soldato agli ordini di sua Maestà. Progettato in Inghilterra, costruito oltre oceano e utilizzato in qualunque angolo del pianeta per oltre mezzo secolo, il LEEENFIELD in tutte la sue versioni si è largamente guadagnato il suo posto tra le armi più belle di sempre.

e MkII furono i prototipi. Dopo breve tempo divenne N°1 MkIII*. L’asterisco servì a differenziare gli esemplari più recenti costruiti senza il cut-off, che non era nient’altro che una linguetta di metallo incernierata alla carcassa che, se azionata, impediva l’alimentazione da parte del caricatore allo scopo di togliere o sostituire il colpo in canna, un lusso che costava parecchio e, a mio stretto parere personale, completamente inutile in una carabina dotata di caricatore removibile! STORIA Durante la Grande Guerra per far fronte alle esigenze belliche All’inizio del ventesimo secolo il Regno Unito, con progetto Sir James Paris Lee diede alla mano, commissionò alla vita ad un’arma destinata alla statunitense Winchester un nuovo fanteria inglese, sviluppata in modello, il P14 (Pattern). Basato collaborazione con la RSAF (Royal sullo Springfield M1903, ma fedele Small Arms Factory) nella città di alla cartuccia “di casa” il .303 Enfield alla periferia di Londra. British. Nel 1926 fu ufficialmente Il progetto non fu del tutto denominato Enfield N°3. (A nuovo, il design derivava dal suo quest’opera non prese parte James predecessore,il Lee-Metford, ideato Paris Lee). nel 1884 e camerato per la stessa Una volta conclusa la produzione identica cartuccia: il .303 British. di P14, nel 1917, gli USA decisero Il primo modello ebbe origine nel di proseguire la costruzione di 1906, lo SMLE (Short Magazine un’arma pressoché identica a Lee Enfield) ribattezzato N°1 MkIII quella anglosassone calibrata in (Number 1 Mark 3). I modelli MkI .30-06, il P17. Nel 1922, le forze TNM ••• 035


ARMI STORICHE ARMI STORICHE ARMI STORICHE ARMI STORIC


TORICHE ARMI STORICHE ARMI STORICHE ARMI STORICHE ARMI STOR


ARMI STORICHE ARMI STORICHE ARMI STORICHE ARMI STORIC

armate britanniche sentirono la necessità di addestrare le truppe con uno strumento meno impegnativo del fucile d’ordinanza ma che non fosse concepito solo ed esclusivamente per il maneggio... doveva sparare! Ed ecco che nacque il N°2 trainer in .22 Long Rifle. Arriviamo nel bel mezzo del secondo conflitto globale, la Gran Bretagna e i paesi del Commonwealth ricevettero nuovi fucili d’ordinanza: il N°4, che esamineremo in seguito, ed il N°5 “Jungle”. Sempre molto somiglianti tra loro e hai loro predecessori, con la caratteristica fondamentale di essere prodotti anche negli USA (Savage), Canada (Longbranch) e TNM ••• 038

ANNO DI ARSENALI PROGETTAZIONE PRODUTTORI

MODELLO

CALIBRO

N°1 MkIII*

.303 British 7.62x51 mm

1906

Royal Small Arms Factory Birmingham Small Arms Rifle Factory Ishapore Lithgow Small Arms London Small Arms

N°2 TRAINER

.22 Long Rifle

1922

Royal Small Arms Factory

N°3 (P14)

.303 British

1916

Winchester

N°4 MkI

.303 British

1939

Royal Ordnance Factory Longbranch Arsenal

Savage Arms Pakistan Ordnance Factories N°5 “JUNGLE” .303 British

1944

Longbranch Arsenal


TORICHE ARMI STORICHE ARMI STORICHE ARMI STORICHE ARMI STOR

Pakistan (POF). Il N°5 definito “Jungle Carbine” venne apprezzato molto per le sue limitate dimensione ed una consequenziale riduzione di peso che ne fecero l’arma ideale per teatri operativi, come ad esempio una giungla! Il N°4 Il fucile N°4 nacque nel 1939, ma non tutti gli esemplari furono prodotti nel nuovo continente, la Royal Ordnance Factory diede il suo patriottico contributo. Nelle città di Maltby nel South Yorkshire e Fazakerley a nord di Liverpool si incrementava il numero di armi

leggere da destinare ai soldati sul fronte. Scelte geografiche dovute alla scarsa esposizione agli attacchi aerei nemici. Questo esemplare risale al 1942 ed è un N°4 MkII. Come tutti i LeeEnfield ha un caricatore bifilare da 10 colpi removibile, una canna lunga 64 cm e tre tipologie di rigature diverse: 2 come il pezzo in questione, 5 o 6 principi, tutti quanti con un passo di 1:10 (il proietto compie un giro completo di 360 gradi percorrendo 10 pollici di canna), la lunghezza complessiva è di 112 cm per un peso di 4 kg circa. L’otturatore è dotato di una testa avvitata al corpo principale che scorre orizzontalmente senza

ruotare. Nell’ultima tratto di corsa in chiusura, il percussore viene armato prima che la maniglia di armamento sia abbassata del tutto. Per lo smontaggio si preme il tastino a lato destro della carcassa che sgancia la testina otturatrice concedendogli una rotazione antioraria di 45 gradi portandola in asse con il resto del corpo di otturazione. Il sistema di puntamento, posto dietro la guida delle lastrine di carica, è una doppia diottra tarate a 300 e 600 yard. (Regolabile fino a 1300 yard da una vite che percorre la lunghezza della stessa per il N°4 MkI. Regolabile fino a 1300 yard da una levetta a molla per i N°4 MkIII TNM ••• 039


ARMI STORICHE ARMI STORICHE ARMI STORICHE ARMI STORIC

CARTUCCE CIVILI PRODUTTORE TIPO DI PALLA

PESO IN GRANI

NORMA

Round Nose

174

REMINGTON

Round Nose

174

FEDERAL

Soft Point

150

SELLIER & BELLOT

Full Metal Jacket

180

PRVI PARTIZAN

Full Metal Jacket

174

e MkIV). Sulla fascia d’acciaio, sotto la leva di sicura, si trovano: la matricola, l’anno di costruzione (42) e l’arsenale di provenienza (Royal Ordnance Factory). Il calciolo caratteristico, è di ottone con al centro un portellino che custodisce un vano per il kit di pulizia formato da un oliatore in bachelite ed uno spago che sostituisce la bacchetta rigida che si usa di solito. MUNIZIONE Il .303 British (7.70x56mm) ha origine nel 1888, e come tutti i calibri dell’epoca, in uso ancora ai giorni nostri, si è evoluto nel tempo adeguandosi ad ogni esigenza (bellica, sportiva o venatoria). Caricato inizialmente a polvere nera montava una palla Round Nose per il Lee-Metford, con l’arrivo del Lee-Enfield ci fu un netto miglioramento passando ad una cartuccia Full Metal Jacket spinta da una buona dose di cordite fino ad arrivare ai propellenti infumi a metà del secolo scorso.

CARTUCCE MILITARI PUNZONI SUL PRODUTTORI FONDELLO

ANNO

TIPO

U [rombo] 1943 VII

South African Mint. (filiale di Kimberley)

1943

Mark 7

W.R.A. 1942 .303

Winchester Repeating Arms

1942

.303 British

1943 DI Z

Défense Industries Ltd. Verdun (Québec)

1943

Z= Nitrocellulosa

GB 1943 VII

Greenwood & Batley - Leeds (Yorkshire)

1943

Mark 7

DAC 1941 VII

Dominion Cartridge Co. - Brownsburg (Québec)

1941

Mark 7

TNM ••• 040

Pag


TORICHE ARMI STORICHE ARMI STORICHE ARMI STORICHE ARMI STOR

PROFESSIONE DIFESA è un’ Associazione senza fini di lucro per divulgare la cultura e la storia militare italiana rimediando così alla distrazione ed al disinteresse su questi argomenti dei grandi network televisivi e della stampa. ATTIVITA’ • Produzione e diffusione di audiovisivi su argomenti militari e storici. • Interviste a personaggi della nostra storia militare anche recente. • Raccolta di lettere, video e fotografie per costituire un archivio storico. • Organizzazione di eventi, riunioni, dibattiti e proiezioni pubbliche. RISULTATI Nonostante le minute risorse finanziarie in meno di due anni siamo riusciti a produrre oltre 200 ore di registrazioni video e 10 documentari divulgativi disponibili su DVD, visibili sul canale Professione Difesa su YouTube e su alcune emittenti locali, ma vogliamo andare oltre. CONDIVISIONE Tutti i video sono a disposizione di emittenti televisive che ne garantiscano la corretta diffusione senza tagli o di Associazioni, Enti e Scuole che attraverso la loro pubblica proiezione decidano di organizzare eventi, incontri e dibattiti. FUTURO Ci stiamo trasformando in un’ Associazione, dotata di una propria realtà giuridica e amministrativa, allargata a tutti coloro che identificano nelle nostre Forze Armate e nei Corpi Militarizzati dello Stato i garanti della libertà, della difesa e della divulgazione dei valori fondanti della nostra Nazione. SE SEI INTERESSATO E VUOI SAPERNE DI PIÙ per conoscere lo Statuto e partecipare da protagonista, simpatizzante o da sostenitore a questa iniziativa visita il nostro sito e contattaci. www.professionedifesa.it

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POLICE FORCE COMBAT PSYCHOLOGY POLICE FORCE COMBAT P

di Marco Strano

LA PSICOLOGIA COME ARMA DIFENSIVA TNM ••• 042


BAT PSYCHOLOGY POLICE FORCE COMBAT PSYCHOLOGY POLICE FORC

Marco Strano è Direttore Tecnico Capo (Psicologo) della Polizia di Stato, Dirigente nazionale della CONSAP e Direttore Scientifico dell’ICAA (www.criminologia.org)

rimanere in condizione di perenne allerta, può provocare dopo un certo periodo dei livelli di stress insostenibili per la mente umana. L’addestramento sostanziale in questo ambito è quindi indirizzato alla capacità di attivare una rapida ed efficace vigilanza per il tempo necessario ad eseguire tattiche difensive efficaci per poi rientrare, in una condizione di quiete cognitiva che garantisca un’accettabile qualità della vita anche in chi ha deciso, per professione, di fare il guerriero. ROUTINE E DESENSIBILIZZAZIONE DAL RISCHIO

Anthony J. Pinizzotto, Edward F. Davis, M.S. e Charles E. Miller hanno pubblicato sul “Fbi Law Enforcement Bulletin” diversi interessanti articoli scientifici sui comportamenti disfunzionali di alcuni poliziotti nel corso di azioni di controllo sulla strada.

La mente umana costituisce la prima e la più efficace arma difensiva di cui dispone l’uomo. Sofisticati sistemi d’arma e lunghi addestramenti all’autodifesa si rivelano spesso inutili con soggetti che non sono preparati ad individuare prontamente il pericolo ed a reagire in maniera logica ed efficace o che divengono preda delle loro emozioni. L’abitudine, la sottostima del rischio ed il calo della reattività rappresentano infatti uno dei maggiori elementi di vulnerabilità in combattimento. Allo stesso tempo, il

Specie quando l’attività di security professionale diviene routine, anche gli specialisti tendono a ridurre progressivamente la loro capacità reattiva di fronte al pericolo. Tale circostanza è insita nella condizione di cognitive energy saving (risparmio di energia cognitiva) che numerosi studi di psicologia, già dagli anni ’60, hanno evidenziato brillantemente. In pratica la mente tende, con il tempo, a ridurre la capacità di elaborare gli stimoli rischiosi che vengono percepiti dagli organi di senso, attuando una sorta di desensibilizzazione al pericolo. Tale meccanismo, inoltre, è rinforzato, secondo i teorici dell’apprendimento (psicologi comportamentisti), dalla condizione oggettiva di assenza di conseguenze pericolose. In altri termini, quando si svolge un compito pericoloso per anni senza incappare in “incidenti di percorso” si tende fisiologicamente alla sottostima del rischio. Molti incidenti con le armi da fuoco avvengono ad esempio non solo con le reclute inesperte ed intimidite ma anche con personale esperto e navigato, avvezzo al maneggio delle armi da lungo tempo. Allo stesso modo, l’addormentamento dell’operatore impegnato in attività di guardia è sovente ascrivibile a soggetti esperti ma demotivati. Il professionista “esposto professionalmente a rischi” si trova così ad operare in una complessa condizione in cui, se da un lato si fa trovare costantemente “pronto”, rischia letteralmente d’impazzire per l’eccessivo stress cognitivo ma allo stesso tempo, l’abbassamento della soglia di attenzione può rappresentare la condizione fatale per farlo trovare impreparato e per fargli produrre una reazione goffa, inadeguata e scoordinata (dal punto di vista motorio) ad un pericolo improvviso. TNM ••• 043


POLICE FORCE COMBAT PSYCHOLOGY POLICE FORCE COMBAT P

LA STENOGRAFIA PERCETTIVA DEGLI OPERATORI DI POLIZIA Anthony J. Pinizzotto, Edward F. Davis, M.S. e Charles E. Miller hanno pubblicato sul “Fbi Law Enforcement Bulletin” diversi interessanti articoli scientifici sui comportamenti disfunzionali di alcuni poliziotti statunitensi nel corso di azioni di controllo sulla strada. In particolare, gli autori, hanno evidenziato che dietro all’uccisione di molti operatori delle forze dell’ordine c’è stata una sottostima del rischio e l’incapacità di cogliere alcuni segni di pericolo. La chiamano stenografia percettiva, vale a dire una sorta di “semplificazione” dell’attività di osservazione del contesto che, partendo da pregiudizi, come ad esempio “una donna generalmente è disarmata” oppure “chi è realmente pericoloso ha comportamenti anomali”, può portare a non notare degli elementi significativi di pericolo e di conseguenza a non adottare tutte le procedure di sicurezza previste in un determinato contesto operativo. Gli studi di Pinizzotto e colleghi, negli ultimi 20 anni, hanno ad esempio dimostrato che la fase iniziale nell’approccio ad una determinata situazione, in cui vengono osservati alcuni comportamenti e viene attribuito loro un determinato significato o valore (pericolo o contesto amichevole), influirà notevolmente sull’approccio operativo e sulle azioni TNM ••• 044

successive. Se in questa fase iniziale vengono commessi degli errori di valutazione, non saranno adottate le opportune strategie difensive e gli agenti potranno essere sorpresi ed impreparati, che in altri termini vuol dire morti. Nel periodo analizzato dai ricercatori dell’FBI (circa un decennio tra il 1989 e il 1998), negli Stati Uniti, 682 operatori delle forze dell’Ordine tra poliziotti locali, di stato e federali hanno perso la vita a causa di un’azione criminale. Di questi 682 operatori circa il 75% (509 persone) hanno ricevuto le ferite mortali mentre erano a meno di tre metri dai loro assalitori. Quest’area di combattimento viene chiamata dagli americani “killing zone” poiché raccoglie la maggior parte dei morti in conflitti a fuoco appartenenti alle forze dell’ordine. La ricerca, che ha impiegato anche interviste fatte ad agenti sopravvissuti ad attacco a fuoco, ha individuato sovente delle inesatte percezioni da parte di tali agenti, che li hanno portati all’interno della “killing zone” senza attuare le idonee misure di sicurezza. Le conclusioni a cui è giunto Pinizzotto sono che i poliziotti feriti (e ragionevolmente quelli uccisi), avevano interpretato in modo scorretto i segnali comportamentali inviati inizialmente dagli aggressori, giudicando la situazione come non pericolosa e senza poi riuscire a percepire ed elaborare ulteriori segnali inviati dagli stessi aggressori in un secondo tempo, che viceversa indicavano oggettivamente una situazione di alto rischio. Secondo gli esperti americani è possibile evitare la trappola della “stenografia percettiva” incrementando un atteggiamento psicologico funzionale nell’operatore di Polizia, attraverso un percorso di formazione mirata che vada al di la delle mere procedure di movimento tattico nell’area dell’intervento. Come sottolinea Pinizzotto “..anche il più comune degli incarichi quotidiani di servizio può trasformarsi in maniera letale per l’operatore se quest’ultimo giudica le situazioni sulla base di osservazioni sbagliate od incomplete..” Gli operatori devono trattare ogni situazione che gli si presenta come se fosse una questione da cui dipende la loro esistenza. COMBAT MINDSET SWITCH La soluzione a questa situazione risiede nella capacità di attivare, a comando, un assetto mentale funzionale a percepire anticipatamente le minacce ed a costruire le idonee risposte a seguito di una valutazione della presenza di un potenziale pericolo proveniente dall’ambiente circostante. Gli specialisti lo chiamano combat mindset Switch (passaggio ad un assetto mentale da combattimento). Ovviamente quest’attivazione non può essere costante, pena un dispendio di energia cognitiva insostenibile ed il rischio di danneggiare il


BAT PSYCHOLOGY POLICE FORCE COMBAT PSYCHOLOGY POLICE FORC In circa un decennio negli Stati Uniti, circa 682 operatori delle forze dell’Ordine tra poliziotti locali, di stato e federali hanno perso la vita a causa di un’azione criminale. Di questi 682 operatori circa il 75% (509 persone) hanno ricevuto le ferite mortali mentre erano a meno di tre metri dai loro assalitori

nostro delicato equilibrio psichico. E’ necessario quindi effettuare un training specifico per allenare la mente a leggere i segnali di pericolo che giungono dall’ambiente, ad attivarsi prontamente ed a rimanere in una condizione di iper-vigilanza reattiva per il tempo necessario a gestire la minaccia, per poi rientrare (a comando) in uno stato di quiete, per recuperare le energie spese e per garantirsi una soddisfacente qualità della vita. Non una costante condizione paranoidea quindi, ma una lucida e professionale attivazione al momento giusto. Molti disturbi psichici dei “reduci” sembrano essere collegati, oltre che al Disturbo Post Traumatico (esiti psicologici di traumi), anche alla lunga e forzata condizione di allerta. Al combat mindset switch deve poi necessariamente associarsi una predisposizione fisica alla reazione di combattimento (con armi da fuoco o a mani nude), acquisita con l’addestramento specifico e necessaria a rendere operativa la risposta più idonea. Se percepisco che in un locale pubblico un potenziale aggressore potrebbe venire contro di me, ma rimango ad esempio nella stessa posizione e non controllo che le mie gambe siano libere (per alzarmi di scatto ed evitare il colpo), non potrò comunque applicare la tecnica difensiva più idonea alla circostanza. L’individuazione anticipata di una possibile minaccia, da parte di aggressori con armi da fuoco, va naturalmente associata ad una buona dimestichezza con le tecniche di estrazione dell’arma corta o del puntamento dell’arma lunga (se in quel momento si dispone di un’arma ovviamente..). L’allenamento ad un rapido passaggio da una situazione di quiete ad una condizione mentale e fisica di preparazione alla difesa lucida e determinata, con il tempo, consente l’attivazione di un processo di condizionamento e dunque di automatismi comportamentali funzionali. CONTROLLO DELLE PROPRIE REAZIONI FISIOLOGICHE Parallelamente, è necessario addestrare la mente ed il fisico a non subire passivamente le reazioni fisiologiche ed emotive scatenate da stress acuto (paura rapida ed intensa). Il combat mindset switch rappresenta infatti anche una delle tecniche di addestramento più efficaci per ridurre e controllare l’insorgenza delle alterazioni fisiologiche (e percettive) tipiche della paura in combattimento (descritta in altro articolo). Il passaggio ad un assetto mentale “combat” non va interpretato come una condizione di reattività frenetica e di tensione muscolare ma al contrario come un tentativo di allontanare dalla propria mente le immagini intrusive angoscianti che possono essere indotte dalla paura improvvisa, un controllo introspettivo delle alterazioni fisiologiche con tecniche di autorilassamento (respiro lento e profondo, compensazione della tunnel vision, ecc.) ed il mantenimento della coordinazione motoria attraverso la concentrazione sui propri movimenti corporei e la consapevolezza delle caratteristiche dell’ambiente circostante (superficie di appoggio, ripari e vie di fuga).

MAPPE COGNITIVE E PERCEZIONE DELLA REALTA’: SFRUTTARE A NOSTRO VANTAGGIO IL FUNZIONAMENTO DELLA MENTE DELL’AVVERSARIO Secondo gli Psicologi cognitivisti la mente umana interpreta la realtà circostante in base a delle “mappe” precedentemente costruite con l’esperienza nel corso degli anni. Quando giunge uno stimolo, attraverso gli organi di senso, l’individuo in pratica ha già quasi sempre al suo interno uno schema mentale appreso, che gli consente di riconoscere la situazione e di attribuirgli un certo significato senza dover riprocessare e rimettere in discussione tutta la situazione. Se incontro un amico che conosco da anni e che già ho giudicato come “simpatico”, “pulito”, “non pericoloso”, ecc.. la mia mente non richiede una nuova verifica per valutare se lo è realmente. Ci aspettiamo che un pezzo di formaggio odori di formaggio. Se invece odora di benzina la nostra mente cerca prioritariamente, istantaneamente ed involontariamente di capire perché. Se un oggetto è sperimentato in passato come doloroso bollente - viscido, il nostro corpo, in automatico, assume un comportamento adatto a trattare tale oggetto in modo funzionale. Quando la scala-mobile è ferma, la nostra mente, che è abituata ad approcciarla in movimento, ci fa avere un comportamento anomalo ed instabile nei primi due o tre passi. Poi si ristabilizza. Tutto ciò per risparmiare preziosa energia mentale. Se dovessimo ogni volta rimettere tutto in discussione e rianalizzare l’ambiente che ci circonda potremmo letteralmente impazzire in pochi giorni. STIMOLI ANOMALI E REAZIONE COMPORTAMENTALE Insomma, la nostra mente funziona attraverso delle “mappe” che racchiudono delle esperienze passate. Ma cosa succede quando uno stimolo, proveniente dall’esterno, mostra degli elementi nuovi, atipici rispetto allo schema TNM ••• 045


POLICE FORCE COMBAT PSYCHOLOGY POLICE FORCE COMBAT P In molte arti di combattimento ravvicinato, come il krav-maga, vengono suggeriti dei semplici “diversivi” per tentare di distrarre l’avversario per una frazione di secondo, utile a condurre una tecnica di elusione o di neutralizzazione

che ci si aspetta? La nostra mente tende, in una frazione di secondo, a cercare una spiegazione logica a tale modifica, una giustificazione dell’anomalia. Non riesce a farne a meno. In altre parole, quando l’individuo sperimenta una discrepanza tra quanto appreso (quotidianamente) sul piano percettivo, cognitivo e culturale e quanto veicolato da uno stimolo esterno apparentemente incongruente, tende automaticamente a cercare di dare una spiegazione di tale illogicità. Spesso basta una frazione di secondo per comprendere e rimettere tutto a posto. Ma a volte l’incongruenza è così forte, il messaggio è così incomprensibile, che la mente umana ha necessità di “soffermarsi” qualche attimo in più per tentare di comprendere. L’individuo appare in questi casi come distratto, assorto in un vero e proprio pensiero, mirato alla ricerca della spiegazione di questa circostanza nuova ed anomala. E se nel frattempo sta compiendo delle azioni finalizzate, spesso, si blocca per concentrarsi sul nuovo “compito” imposto dal suo cervello o più semplicemente perde di consapevolezza su quello che sta facendo, pur continuando a farlo. Su questa modalità di risposta psicologica si basano alcune particolarissime truffe, attuate da personaggi appartenenti sovente a ben individuate etnie (sembrerebbe soprattutto indiani), che si tramandano di padre in figlio le tecniche di “ipnosi istantanea”, utili a compiere dei raggiri ai danni di commercianti ed altri operatori che maneggiano denaro (es. i cassieri di banca o dei supermercati). Queste azioni illegali si basano proprio sul riuscire a frastornare la vittima con una serie di messaggi (verbali e non-verbali), palesemente incongruenti ed espressi in rapida successione, che “costringono” la mente del malcapitato a svolgere un superlavoro, per tentare di ridare una congruenza cognitiva agli accadimenti. La bravura del truffatore è quella di provocare una sorta di “loop” nella mente del malcapitato, che è così impegnato a TNM ••• 046

mettere ordine nella sua sfera cognitiva, da non accorgersi che, nel frattempo, il soggetto si sta appropriando del denaro. Se l’attacco para-ipnotico giunge ad esempio quando la vittima sta in cassa, consegnando delle banconote di resto, è possibile che i movimenti stereotipati di passaggio del denaro possano essere ripetuti ad oltranza fino a che la cassa non è svuotata. Alcune delle vittime di questi raggiri hanno inoltre raccontato che, anche dopo l’allontanamento del malfattore, non riuscivano per alcuni secondi a riprendere la concentrazione, come se il superlavoro imposto alla loro mente avesse totalmente saturato la loro capacità cognitiva. IMPIEGO DI TECNICHE DI SATURAZIONE COGNITIVA IN COMBATTIMENTO In molte arti di combattimento ravvicinato, come il krav-maga, specie quando si deve affrontare un avversario armato (tentando ad esempio un disarmo), vengono suggeriti dei semplici “diversivi” per tentare di distrarre l’avversario per una frazione di secondo, utile a condurre una tecnica di elusione o di neutralizzazione. Nella maggior parte dei casi si tratta di movimenti del corpo o di atteggiamenti posturali che impegnano solo percettivamente l’avversario, distogliendo il suo sguardo dal quadrante (arti inferiori o superiori) da cui abbiamo intenzione di far partire l’attacco. Ma è possibile impiegare le tecniche di saturazione cognitiva utilizzate dai truffatori sopra descritti per ottenere un maggior vantaggio in questo ambito? Probabilmente si e lo scrivente, da qualche anno, sta svolgendo degli esperimenti in collaborazione con alcuni Maestri di arti marziali, tra cui il Maestro Giuseppe Di Garbo di Padova, 10° Dan. L’obiettivo è quello di provocare nell’avversario una fase di riduzione della consapevolezza corporea che duri un certo periodo


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(almeno uno o due secondi). Qualcosa di ben più lungo e frastornante della semplice distrazione percettiva che si può provocare nell’avversario attraverso ad esempio un rapido movimento di una mano o dei piedi, tipico nel combattimento ravvicinato, per indurre la chiusura o l’apertura della guardia e per cercare di “entrare” nello spazio lasciato libero o di afferrare la mano dell’avversario in una tecnica di disarmo. Come abbiamo prima descritto, la mente umana crea una mappa cognitiva degli stimoli abituali e logici attraverso l’esperienza quotidiana. L’individuo tende a riconoscere, processare ed elaborare tali stimoli abituali e logici continuamente ed in maniera semiconscia. Quando giunge uno stimolo “anomalo”, la mente umana, va in “dissonanza cognitiva” e si sforza di dargli una coerenza di significato, collocandolo al giusto posto. Se lo stimolo è fortemente illogico si impiega una notevole energia mentale per comprenderne il senso. In questa fase, l’attività di comprensione, può essere primaria rispetto ad altri compiti e per qualche istante si può ridurre la capacità di vigilanza e di reazione ad altri stimoli provenienti dall’ambiente esterno. Obiettivo delle tecniche di saturazione cognitiva, applicate al combattimento, è quindi la produzione artificiale e voluta di una sequenza di stimoli illogici, per provocare un impegno di comprensione dell’evento da parte dell’avversario (con conseguente istante di blocco). Gli strumenti che possono essere utilizzati per provocare la saturazione cognitiva attraverso il canale verbale sono rappresentati da una sequenza di affermazioni palesemente incongruenti e contenenti doppie e triple negazioni (“..non è che non stai qui in questo momento?..) usando un tono di voce calmo e con tonalità appiattita, ma velocemente e senza effettuare pause tra un’affermazione e la seguente. La contemporanea attivazione del canale non verbale sembra inoltre essere molto utile (negli esperimenti condotti) a raggiungere lo scopo. Impercettibili movimenti corporei anomali, non collegabili alla difesa da combattimento ed espressioni del viso incompatibili con il processo comunicativo in atto (asincronia tra verbale e non verbale), possono infatti rappresentare un ulteriore “stimolo anomalo da processare” per la mente dell’avversario. E’ fondamentale, inoltre, che la rapida sequenza di micro-comportamenti incongruenti e stereotipati (verbali e non verbali) non sia assolutamente collegabile ad istanze aggressive che, specialmente in un soggetto avvezzo al combattimento fisico, possono innescare movimenti automatici, riportandolo in una condizione di piena reattività. L’obiettivo delle tecniche di saturazione cognitiva non è quindi quello di provocare una sorta di ipnosi nell’avversariointerlocutore che, come è noto, non è raggiungibile senza una collaborazione del soggetto, che oltretutto deve possedere una certa dose di suggestionabilità, ma semplicemente quello di indurlo a chiedersi: “..perché mi dice questa cosa ora?.. perché ha fatto quel movimento inutile?..”. La saturazione cognitiva, quando viene ottenuta, dura infatti pochi attimi ed è solo in grado di interrompere

il controllo motorio, a causa di una momentanea riduzione della decodifica percettiva. Ma per un operatore addestrato, che già in precedenza aveva effettuato un mindset switch ed era quindi pronto ad una reazione valida, il blocco, anche di pochi attimi, delle reazioni su input corticale e dell’attenzione e vigilanza dell’avversario, possono fornire un vantaggio importantissimo per cercare di attuare in primo luogo un’azione di disimpegno (in altri termini la fuga, cosa assolutamente consigliata e dignitosa) o se questo si dimostra impossibile, un’azione di attacco ponderato ed efficace. Nell’aprile 2012, nell’ambito di uno stage di arti marziali organizzato in Croazia dalla MPSIU (Military-Police & Security Instructor Union), verranno condotti esperimenti dallo scrivente con un gruppo di Maestri provenienti da diverse parti del mondo e praticanti diverse discipline di combattimento, che si sottoporranno (spero senza infastidirsi troppo..) ad una serie di esperimenti pubblici in tal senso, che verranno poi ampiamente documentati da Tactical New Magazine con un articolo dedicato. Obiettivo è quello di suggerire e sviluppare un nuovo filone di ricerca, che possa fornire strumenti efficaci ed innovativi all’insegnamento dell’autodifesa ed al combattimento ravvicinato con armi da fuoco.

COMBAT MINDSET SWITCH • FASE DI SCANNING (risparmio energetico ma mantenimento di un livello minimo di vigilanza) • FASE DI ALERT (risposta di attivazione da stimolo esterno, individuazione del rischio e predisposizione della mente al combattimento) • FASE DI SCREENING (osservazione dell’ambiente e dell’avversario per progettare la difesa più idonea) • FASE DI AUTOMONITORING E DI PROGETTAZIONE DELLA RISPOSTA (controllo delle proprie reazioni cognitive e fisiologiche, valutazione delle risorse difensive disponibili, monitoraggio dell’avversario) • FASE DELL’AZIONE (fuga, attacco o gestione dialettica) • FASE DELLA CHIUSURA (allontanamento dallo scenario di rischio e controllo fino a cessazione oggettiva del pericolo)

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DI OVIDIO DI GIANFILIPPO

HECKLER & KOCH P-30

LA POLIMERICA TEDESCA Da sempre, la pistola ricopre un ruolo fondamentale nel mondo delle armi da fuoco, e ciò è dato dal suo essere dimensionalmente raccolta ed occultabile rispetto alle armi lunghe. Con l’evoluzione delle armi da fuoco, la pistola ha fatto passi enormi in termini di funzionalità, efficacia e robustezza. Oggi le pistole, specialmente quelle per utilizzo difensivo, sono dei veri e propri sistemi d’arma di tipo modulare, che hanno come comune denominatore, robustezza, ergonomia e facilità di impiego, e proprio per questo risultano di fondamentale importanza nei moderni teatri operativi, soprattutto se si parla di C.Q.B. (Close Quarter Battle). Tra le moderne aziende che fabbricano pistole, spicca una casa costruttrice che negli anni ha raggiunto una certa esperienza nell’ambito delle pistole da difesa, parliamo della tedesca Heckler & Koch. Da anni ormai la casa tedesca , produce pistole destinate agli ambienti operativi, tutti gli appassionati del settore infatti conoscono bene per la loro fama di armi affidabili e ben fatte, le varie USP e P-2000. Non fa eccezione quindi una delle ultime creature della casa teutonica, la P-30. Essa, come le sue sorelle precedenti, rientra nella categoria delle pistole con fuso polimerico, ed è una evoluzione della H&K P-2000, nata nel 2006, inizialmente la P-30 portava la denominazione di P-3000, ma appena un anno dopo è stato variato in P-30. La H&K P-30, mantiene la gran parte dell’ organizzazione meccanica della P-2000, cambiando fondamentalmente solo nell’ergonomia. Come tutte le H&K, la P-30 è un capolavoro meccanico creato per funzionare sempre, essendo concepita per l’utilizzo in condizioni estremamente proibitive. Come le altre armi con fusto in polimero, la H&K P-30 mantiene comunque canna e carrello in acciaio, essa poi ha come caratteristica, come anche nella USP, quella di possedere la leva sgancio caricatore di tipo a leva ambidestra, anziché con il classico pulsante a profilo cilindrico, e ambidestra è anche la leva di sgancio del carrello. L’impugnatura si presta a tutti i tipi di mani, vista TNM ••• 048


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SCHEDA TECNICA COSTRUTTORE: Heckler & Koch MODELLO: P-30 TIPOLOGIA: Pistola semiautomatica CALIBRO: 9x19 parabellum, 9x21 I.M.I. CARICATORE: Bifilare CAPACITA’: 15+1 LUNGHEZZA CANNA: 98 mm LUNGHEZZA TOTALE: 177 mm SCATTO: Azione mista FUNZIONAMENTO: Corto rinculo di tipo Browning modificato SICURE: Assenti ORGANI DI MIRA: Acciao brunito MATERIALI: Acciaio e polimero PESO: 740 gr PREZZO: 900 euro circa IMPORTATORE: Bignami S.p.A.

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anche la possibilità di cambiare dorsalini e guancette, che sono in dotazione in varie dimensioni di tipologia S,M,L. La H&K P-30 ha il sistema di recupero di tipo browning modificato, e il sistema di funzionamento ad azione mista, ciò permette di scegliere di iniziare la sessione di tiro sia in singola che in doppia azione. La P30 è comunque dotata di cane esterno, questo è un enorme punto a favore di quest’arma che può quindi essere portata in tutta tranquillità anche in condition one, ovvero con il colpo in canna e cane abbassato, vista l’azione dura ma lineare che la contraddistingue. La molla di recupero è bloccata in maniera solidale all’asta guidamolla, molto simile alla GLOCK. Le finiture sono curatissime, come d’altronde tutte le armi tedesche, non presentando nessun segno di utensile neanche nella parte interna del carrello. La colorazione è la classica e piacevole nera di tipo sabbiato antiriflesso, che conferisce all’arma un aspetto militare. Sotto al fusto in tecno-polimero è ricavata una slitta di tipo picatinny, utile per l’applicazione di vari accessori supplementari come laser e torcia tattica. Gli organi di mira sono rappresentati da tacca di mira posteriore di tipo NOVAK e tacca anteriore a lamina, entrambe innestate a coda di rondine. Nella parte destra laterale al carrello-otturatore è posta l’unghia di estrazione. L’arma in questione, in dotazione ad alcuni reparti di polizia, è camerata per il classico 9x19 parabellum, TNM ••• 050

per il mercato civile italiano è naturalmente catalogata in 9x21 I.M.I. utilizzando per la sua alimentazione, caricatori metallici a profilo bifilare con capacità di 15 cartucce. L’arma ha una lunghezza totale di 177 mm, lunghezza canna di 98 mm ed un peso a vuoto di circa 740 gr


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FIDES ET VIRTUS GLI ANGELI CUSTODI DEL PONTEFICE A CURA DELLA REDAZIONE DI TNM

Piazzale del Governatorato della Città del Vaticano 29 Settembre 2011 ore 17.30 Festa del Corpo della Gendarmeria Vaticana Molti dei nostri lettori si chiederanno di cosa stiamo parlando ed in effetti, quest’Istituzione, è misconosciuta ai tanti.. ma Noi di TNM, e più precisamente due nostri collaboratori, hanno avuto l’onore di poter presenziare all’annuale ricorrenza, nel giorno della festività di S. Michele Arcangelo, patrono del predetto Corpo. Nel corso della cerimonia di quest’anno, inoltre, il principe Sforza Ruspoli, ha consegnato, ad un ufficiale della Gendarmeria, la bandiera di Fortezza di Porta Pia, che la sua Famiglia custodiva ininterrottamente dal 20 settembre 1870. Giorno in cui i Bersaglieri ed i Fanti sabaudi irruppero nella falla di 30 metri nelle fortificazioni romane, ponendo fine allo stato pontificio. Ma la bandiera papale che sventolava sopra la fortezza fu “salvata” dai Principi Ruspoli: i piemontesi si aprirono infatti il varco attraverso il giardino della villa abitata da Napoleone Carlo Bonaparte e Cristina Ruspoli. In questo sito si consumò la battaglia finale, nella quale morirono 19 Zuavi pontifici e 35 Bersaglieri. La bandiera, crivellata di colpi, venne messa in salvo da Cristina e fino ad oggi è stata conservata dalla sua famiglia. Il principe l’ha donata a Benedetto XVI nell’udienza privata avuta la mattina precedente e verrà successivamente esposta TNM ••• 053


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Passaggio della bandiera dalla famiglia Sforza Ruspoli alla Gendarmeria Vaticana


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Schieramento del drappello dei lancieri di montebello dell’esercito italiano in uniforme storica

nel Museo Storico, in fase di allestimento, all’interno dell’appartamento nobile del Palazzo Apostolico Lateranense. L’evento ha avuto inizio, con estrema puntualità, con lo sfilamento dei mezzi in dotazione e dei reparti della Gendarmeria Vaticana, dei Vigili del Fuoco e Protezione Civile, preceduti dalla Banda Musicale del Corpo. Si è unito, in ultimo, un drappello dei Lancieri di Montebello, in uniforme storica, in rappresentanza delle Forze Armate italiane. Successivamente ha fatto il suo ingresso la bandiera della Guardia Svizzera Pontificia, portata da un alfiere e scortata da due guardie in alta uniforme. Dopo lo schieramento sono stati resi gli onori alle autorità ecclesiastiche, militari e civili, sia vaticane che straniere ed alla bandiera di Stato; il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato Vaticano, ha passato, quindi, in rassegna il Quarto d’Onore. A questo punto ha avuto inizio la parte più importante della cerimonia, che ha visto il personale di servizio della famiglia Sforza Ruspoli sfilare con la bandiera di Fortezza di Porta Pia, crivellata di colpi, bianca e gialla con il simbolo del triregno in vista e che finalmente tornava a casa dopo 141 anni. Il veloce passaggio di consegna è stato seguito dal successivo inserimento della stessa all’interno dello schieramento, scortata da Gendarmi in uniforme storica. Sono seguiti poi i discorsi di rito del Comandante della Gendarmeria ed è stato letto il messaggio di Benedetto XVI. Particolarmente suggestivo il momento in cui sono stati resi gli onori ai caduti di tutte le guerre e di tutti gli eserciti, il silenzio dei presenti è stato infranto solamente dalla tromba che intonava le note del Silenzio e dal lento scalpitio degli zoccoli del cavallo senza cavaliere, accompagnato da un Gendarme e da un Lanciere di Montebello. La cerimonia ha avuto il suo epilogo con il defilamento dei reparti.

La bandiera di fortezza pontificia del 1870 pronta per il passaggio di consegna


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Stazione mobile della Gendarmeria Vaticana

GENDARMERIA VATICANA Il Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano, anche noto anche come Gendarmeria Vaticana, è una struttura di polizia preposta ad assicurare i compiti di pubblica sicurezza, controllo dell’ordine pubblico, nonché ad espletare le funzioni di polizia di frontiera, di polizia giudiziaria e di polizia TNM ••• 056

stradale all’interno del territorio dello Stato della Città del Vaticano, nonché nelle sue giurisdizioni extraterritoriali. Il Corpo, tuttavia, opera anche al di fuori dei confini nazionali, in stretta collaborazione con i Corpi di Polizia dei singoli Stati, per quanto concerne tutti i servizi indirizzati alle attività di protezione del


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Team del GIR - Gruppo Intervento Rapido Moto Ducati Multistrada 1200 e Smart elettriche della Gendarmeria

Pontefice. Si avvale, inoltre, per quanto riguarda il mantenimento dell’ordine pubblico in Piazza San Pietro, della stretta collaborazione con l’Ispettorato di Pubblica Sicurezza “Vaticano” della Polizia di Stato italiana. In occasione del Giubileo del 2000, è stata, inoltre, creata una modernissima Sala Operativa di Controllo, centro di coordinamento dei soccorsi per le emergenze sul territorio. E’ attrezzata con impianti di allarme e di videosorveglianza di ultima generazione, è operativa 24 ore su 24 per i 365 giorni dell’anno e dispone di strumenti tecnologici ed informatici con i quali è in grado di analizzare e valutare, in tempo reale, tutte le informazioni raccolte dalle reti di monitoraggio. La sua istituzione è relativamente recente, essendo la diretta discendente del corpo militare della Gendarmeria Pontificia, disciolto il 20 gennaio 1970 da Papa Paolo VI. Infatti, con lo scioglimento dei predetti

Corpi Armati Pontifici, si rese indispensabile istituire un corpo di polizia in grado di raccogliere, anche se in parte, le loro funzioni. Venne quindi istituita una struttura denominata Ufficio Centrale di Vigilanza, in cui confluirono gli ex gendarmi. Il 25 marzo 1991 variò nuovamente denominazione in Corpo di Vigilanza dello Stato della Città del Vaticano per poi assumere in data 2 gennaio 2002, con legge promulgata dal papa Giovanni Paolo II, l’attuale denominazione di Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano. Dal 7 ottobre 2008 è entrata a far parte dell’Interpol. Attualmente l’organico e di circa 130 effettivi ed il Comando è retto, dall’anno 2006, dall’Ispettore Generale Domenico Giani, ex ufficiale della Guardia di Finanza. I Gendarmi vengono selezionati tra tutti i cittadini maschi, celibi, titolari di un diploma di scuola media superiore, di età compresa tra i 21 e i 25 anni e di TNM ••• 057


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Mezzi tecnici dei Vigili del Fuoco dello stato della Citta’ del Vaticano Autovettura Fiat Bravo adibita al controllo del territorio

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Autovetture Volkswagen adibite al servizio di scorta Mezzo tecnico del nucleo antisabotaggio della Gendarmeria Vaticana

altezza minima di 1,78 m. I candidati, oltre all’idoneità psicofisica alle mansioni da svolgere ed all’uso delle armi, devono dimostrare di professare e praticare la fede cattolica. Sono di recente istituzione il GIR Gruppo di Intervento Rapido e l’Unità Antisabotaggio, entrambi alle dirette dipendenze del Comandante. L’operatività ed il pressante addestramento del primo sono finalizzati al contrasto di eventuali azioni eversive ed allo svolgimento dell’attività di “pronto impiego H24” in caso di situazioni ad alto rischio. Il secondo è formato da elementi altamente specializzati ed addestrati ed è munito di sofisticate ed innovative attrezzature tecnologiche. Le principali attività di questi specialisti, che si esercitano continuamente sulle più moderne tecniche d’intervento, si concretizzano, nel mettere in atto tutte le misure di sicurezza, in caso di ritrovamento di pacchi o plichi sospetti e nella loro successiva neutralizzazione. Svariati sono i mezzi utilizzati sia per i servizi d’istituto che per le scorte del personale politico e diplomatico

della Santa Sede e come è possibile vedere dalle foto annesse all’articolo, passiamo dalle moderne e potenti moto Ducati Multistrada 1200 con livrea bianco/ gialla alle mini-auto Smart con ecologici e silenziosi motori elettrici. Per quanto riguarda le scorte, il parco macchine è ampio ma, in prevalenza, troviamo autovetture Volkswagen Passat e Mercedes S350 Bluetec ed unica, la “papamobile”, opportunamente modificata e blindata partendo dal telaio del SUV Mercedes ML 430. Non sono noti, per ovvie ragioni di riservatezza, i mezzi in dotazione al Gruppo Intervento Rapido. L’armamento individuale dei Gendarmi, come abbiamo potuto notare, è composto dalla pistola semiautomatica GLOCK 17 in calibro 9, trasportata al cinturone nella sua fondina originale in materiale plastico. Per quanto riguarda gli operatori del GIR, per tutta la durata della cerimonia, sono stati equipaggiati con i nuovi BUSHMASTER Carbon 15 in calibro 9 e con uno shotgun FABARM Martial Ultra Short con canna da 14” in cal. 12M. TNM ••• 059


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«Noi crediamo che sarebbe un errore fatale mandare le nostre truppe in Afghanistan. Se ci entrassero la situazione non migliorerebbe. Anzi, peggiorerebbe. Le nostre truppe dovrebbero combattere non solo con dei nemici esterni, ma anche con una parte della popolazione». Aleksej Nikolaevic Kosygin (premier dell’URSS 1964-1980)

Afghanistan 1981 - Carri sovietici T-55

LA FINE DEL REGNO AFGHANO Il colpo di stato militare di Mohammed Daoud Khan del 1973 rimise in moto tensioni che durante i quarant’anni di relativa tranquillità del regno di Mohammad Zahir Shah si erano parzialmente sopite. La determinazione di Mohammed Daoud Khan di accelerare e radicalizzare il processo di riforme aumentò lo scontento dei mullah ed alimentò vecchi odi e rancori tra le varie etnie tribali. Le condizioni di grave disagio sociale ed economico di gran parte della popolazione, contrapposte alla ricca ed agiata oligarchia che gestiva il potere, avevano inoltre favorito la nascita di molti movimenti e partiti estremisti. Il più TNM ••• 064

importante di questi era il Partito Popolare Democratico dell’Afghanistan (PDPA) fondato nel 1965 da esponenti della nuova classe di intellettuali laici che era cresciuta e si era sviluppata democraticamente proprio grazie alle riforme e alle aperture sociali di re Zahir Shah. Il suo segretario, Nur Mohammad Taraki di etnia ghilzai, si era laureato presso l’Università di Kabul ed aveva poi studiato in America presso la Columbia University e ad Harvard dove aveva ottenuto un master in economia politica. Taraki aveva progressivamente maturato la sua adesione al comunismo perché era convinto che fosse l’unica soluzione possibile per superare l’atavica arretratezza del suo popolo e farlo uscire dall’immobile pantano dell’ingerenza religiosa. Il PDPA era collegato al Partito Comunista Sovietico che contribuiva al suo sostentamento con elargizioni di denaro e ospitandone esponenti nelle scuole di formazione politica di Mosca. A causa dei soliti conflitti tribali afghani il PDPA si divise ben presto in due fazioni, identificate con il nome dei loro giornali di partito, che riflettevano le divisioni di classe, etniche e ideologiche di questa complicata nazione. La fazione di Nur Muhammad Taraki che era un ghilzai si chiamava Khalcq ed era più estremista e radicale, l’altra più moderata si chiamava Parcham ed era guidata da Babrak Karmal, un pashtun discendente dalla stirpe dei Durrani. Mohammed Daoud Khan per conservare il controllo del suo governo all’interno di questo fermento politico attivò una dura repressione verso i suoi oppositori più radicali. Questo però non lo salvò dal cruento colpo di stato del 27 aprile 1978 organizzato dal Partito Popolare Democratico dell’Afghanistan con il sostegno dell’URSS e di una larga parte delle forze armate. Mohammed Daoud Khan venne così assassinato insieme alla sua famiglia e Noor Mohammed Taraki divenne Presidente del Consiglio Rivoluzionario e Primo Ministro della neo costituita Repubblica Democratica dell’Afghanistan. Noor Mohammed Taraki varò subito un programma di riforme sociali radicali con l’intenzione di estenderlo a tutto il territorio afghano, incominciando dall’arretrato e sminuzzato povero mondo agricolo, sottomesso al potere


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Kunar Province - Avamposti Russi muniti di mitragliatrice contarerea Zikuyak 14,5 mm

religioso e totalmente privo di diritti civili. La riforma agraria che prevedeva la consegna delle terre ad oltre duecentomila famiglie contadine era alla base di una lunga serie di interventi che iniziarono con l’immediata abolizione del vassallaggio e dell’usura. Regolò inoltre i prezzi dei beni primari, statalizzò i servizi sociali garantendoli a tutti e riconobbe il diritto di voto alle donne. Con un colpo di scimitarra sostituì arcaiche e barbare consuetudini religiose con leggi basate sui fondamenti del diritto laico: legalizzò i sindacati, impose il divieto di usare il burka, vietò i matrimoni forzati e la squallida e barbara usanza della vendita delle bambine. Rese obbligatoria anche per le donne l’istruzione scolastica che sino a quel momento era stata possibile solo alle giovani donne delle classi più agiate e che vivevano nelle grandi città, dove le riforme di Mohammad Zahir Shah avevano avuto una certa applicazione. Questi cambiamenti radicali non furono mai accettati dai mullah che considerarono la messa al bando dei tribunali tribali e l’abrogazione dell’ushur, ovvero la decima dovuta dai braccianti, un attacco diretto al loro potere. Sino a quel momento erano infatti loro a giudicare le controversie con un’interpretazione restrittiva e inappellabile della shari’a ed a beneficiare direttamente dell’ushur che spesso amministravano per conto dei potentati delle province. Nel 1919 con l’arrivò al potere di Amanullah, che aveva varato le prime riforme in chiave laica, i mullah avevano già sentito vacillare il loro potere secolare basato sulla figura giuridica della manomorta, che corrisponde all’inalienabilità dei terreni agricoli e alla loro perpetua trasmissibilità solo verso il potere politico-religioso a sua volta basato sull’ignoranza, la povertà e la superstizione del popolo. Gli interventi di Taraki minavano in modo ancora più netto la loro autorità perché interferivano nei piccoli centri agricoli e nei villaggi di cui i mullah avevano un controllo totale e diretto. Iniziarono così ad avversare le riforme aizzando i containi alla rivolta spingendoli verso la jihad (la guerra santa) sostenuta dai mujaheddin (alla lettera: santi guerrieri) fasce di giovani legati ad una visione tradizionalista della società afghana che avrebbero dovuto combattere il regime dei comunisti senza Dio. Noor Mohammed Taraki era laico, intelligente e dotato di grande carisma ed i suoi discorsi infervoravano il popolo che lo identificava come un liberatore. Nei suoi comizi non usava mai termini come “governo o regime comunista”e li sostituiva ad arte con “governo rivoluzionario afghano o nazionalista” ma durante la sua permanenza al potere la presenza sovietica sul territorio afghano si intensificò grazie ad accordi commerciali e militari che prevedevano la realizzazione di importanti opere pubbliche e la ristrutturazione delle forze armate. Tutto questo però diede fastidio agli Stati Uniti che proprio in quegli anni subivano la sconfitta politica e militare del Vietnam. Il presidente Jimmy Carter, animato da un forte anticomunismo, iniziò a sostenere indirettamente la lotta dei mujaheddin che sino a quel momento si era espressa con azioni di ribellione e con atti di terrorismo contro i militari, la polizia e gli esponenti dell’amministrazione centrale.

Il governo afghano di Taraki aveva iniziato a rispondere a questi attacchi con estrema fermezza imprigionando e giustiziando molti oppositori spesso senza processi formali. L’impegno scaturito da questa attività militare interna aumentò non solo l’ingerenza dei sovietici all’interno delle forze armate afghane, ma anche i timori degli Stati Uniti che nel frattempo, nel 1979, avevano perso l’Iran, il loro più grande alleato dell’area ai confini con l’Afghanistan e con le repubbliche sovietiche dell’Asia settentrionale. Questa nazione, governata dispoticamente dallo Scià Mohammad Reza Pahlavi, era stata conquistata da una coalizione di nazionalisti, liberali e marxisti iraniani coagulati intorno all’islamismo fondamentalista dell’Ayatollah Khomeini sino ad allora esule in Francia. I timori degli Stati Uniti non si rivelarono infondati, l’ambasciata USA di Teheran venne attaccata e 52 funzionari furono presi prigionieri e tenuti come ostaggi per più di un anno. Gli Stati Uniti tentarono di liberarli organizzando una complessa azione di commando che si risolse in un tragico e umiliante insuccesso. Nell’arco di poche settimane quella che era stata la nazione più occidentale dell’area, confinante con l’Asia sovietica e l’Afghanistan, piombò in un terrifico medioevo: l’Ayatollah Khomeini impose immediatamente le ferree leggi della shari’a, applicate con metodi drastici e cruenti da gruppi di fanatici che si erano autoproclamati pasdaran (alla lettera: guardiani della rivoluzione). Furono chiusi con la violenza giornali, librerie, luoghi di svago e di culto non islamico e vennero dichiarati illegali l’uso di bevande alcoliche, la prostituzione ed il gioco d’azzardo estendendo la persecuzione agli omosessuali, agli intellettuali di cultura TNM ••• 065


speciale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN speciale A Mujaheddin Afghani

laica ed in genere a chiunque avesse comportamenti non conformi alle leggi islamiche. Gli Stati Uniti, nell’estate del 1979, temendo una progressiva sovietizzazione dell’Asia centrale vararono un piano per sostenere militarmente i mujaheddin afghani: l’incarico venne affidato dal presidente Carter a Charlie Wilson, un Ufficiale dell’US Navy diventato deputato del partito democratico come rappresentante del Texas. Nacque così l’”Operazione Cyclone”, la più lunga, complessa e costosa attività coperta mai messa in atto dalla CIA. Wilson ebbe a disposizione ingenti fondi per organizzare una complessa rete di collegamenti e coperture coinvolgendo i ricchi paesi arabi del Golfo Persico, di fatto le sue leve operative, che da quel momento sarebbero entrati in termini sempre più invasivi e subdoli nello scenario della storia afghana. Pur sostenendo apertamente e senza riserve prima l’integralismo dei mujaheddin ed in seguito il governo teocratico dei talebani, i sauditi hanno sempre fatto in modo che queste espressioni di integralismo politico e religioso rimanessero relegate all’Afghanistan e comunque sempre lontano dai loro interessi politici ed economici, colpendo con violenta determinazione qualsiasi intervento che avrebbe potuto modificare lo status quo nei loro territori. Il centro dell’Operazione Cyclone fu collocato in Pakistan dove in campi di addestramento segreti confluivano i volontari reclutati non solo nei paesi islamici. Il coinvolgimento del Pakistan facilitò l’espansione della produzione dell’oppio, ricavato dai papaveri, in Afghanistan coltivati da sempre. La produzione della droga passò sotto il controllo dei mujaheddin che ne sfruttavano i proventi per finanziare la ribellione, mentre la sua ben più proficua diffusione verso il mercato mondiale divenne un appannaggio degli intrighi tra l’ISI (Inter Services Intelligence, l’influente servizio segreto militare pakistano nato insieme al Pakistan nel 1948) ed il corpo delle Guardie di Frontiera pakistane. Queste due istituzioni, grazie alla complessa e munifica rete messa in opera dalla CIA in cui avevano un ruolo preminente ed ai proventi del traffico internazionale della droga divennero talmente potenti da poter essere considerate come uno stato nello stato e tutt’ora conservano un ruolo ambiguo e determinante nella crisi afghana. La coltivazione del papavero da cui si ricavano l’oppio e la morfina, sebbene diffusa in ogni angolo dell’Afghanistan, è maggiormente concentrata TNM ••• 066

nella provincia di Helmand. Qui verso il 1955 l’USAID (United State Agency for International Development) finanziò la costruzione di una diga sul fiume Helmand per la produzione di energia elettrica e da cui si diramava una rete di 500 chilometri di canali di irrigazione che trasformarono l’intera provincia nel granaio e nel frutteto dell’Afghanistan. La sua capitale, Lashkargah, era chiamata “piccola America” grazie alla ricchezza e al benessere complessivo che proveniva da queste iniziative. Dopo l’invasione sovietica i talebani utilizzarono questo sofisticato sistema di irrigazione, ormai in un stato di semiabbandono, per la coltivazione del papavero. Proprio per questo motivo l’Helmand, attualmente controllato dagli Stati Uniti e confinante con il Gulistan, controllato a sua volta dal contingente italiano, è ancora una delle aree più pericolose per il contingente ISAF. Rinforzati dall’appoggio pratico e materiale della poderosa coalizione segreta messa in piedi dagli Stati Uniti le azioni terroristiche dei mujaheddin contro il governo comunista di Taraki si trasformarono ben presto in una vera guerriglia compromettendone la campagna di riforme, mentre i sovietici, più volte sollecitati ad un intervento militare diretto, si guardavano bene di esporsi direttamente in una situazione tanto complessa. I PREPARATIVI PER L’INVASIONE SOVIETICA Nel 1979 Noor Mohammed Taraki venne deposto da un colpo di stato ordito dal viceMinistro Hafizullah Amin (anche lui membro del PDAP). Da questo momento sino all’invasione sovietica tutta la vicenda afghana assume i contorni di un intricato romanzo di spionaggio. Secondo i sovietici Hafizullah Amin era un agente della CIA, come dimostravano numerosi documenti raccolti o preparati ad arte dal Dipartimento Comunicazione del KGB (Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti: alla lettera: Comitato per la sicurezza dello Stato) specializzato nella disinformazia, ovvero nella preparazione di falsi dossier per screditare personaggi invisi al partito comunista sovietico o ritenuti pericolosi. Il KGB dotato di ingenti risorse finanziarie e poteri assoluti riuniva in un unico organo tutti i compiti e poteri che negli Stati Uniti d’America sono per esempio svolti da CIA, NSA, FBI ed altri organismi. L’ambiguità di questa opera di discredito intenzionale di Hafizullah Amin potrebbe essere confermata dal fatto che i sovietici aiutarono e diedero asilo


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alla sua famiglia. Tuttavia per la mancanza di testimonianze precise i motivi che avevano portato alla rottura tra Taraki e Amin non sono stati mai chiariti. Sappiamo che Taraki, già deposto, si recò a Mosca per cercare aiuto e consigli ed al suo rientro chiese un incontro con Amin che acconsentì solo a condizione che l’ambasciatore sovietico garantisse per la sua sicurezza. L’incontro al Palazzo del Popolo si trasformò in una sparatoria da cui Amin riuscì a sfuggire. Poco dopo tornò al palazzo con dei sostenitori armati ed usò la Guardia di Palazzo per prendere Taraki prigioniero. Assunto quindi a tutti gli effetti il controllo del governo annunciò che Taraki era morto per una “misteriosa malattia fulminante”. Nei pochi mesi del suo governo Amin attuò una spietata epurazione dei suoi diretti antagonisti politici e dei sostenitori di Taraki. Secondo le fonti ufficiali eliminò in breve tempo tra le 15 e le 20 mila persone, ma gli afghani alzano il numero fino 45 mila, a ulteriore dimostrazione che per la storia e l’opinione pubblica superato l’orrore per il primo morto ammazzato tutte le altre vittime degli eccidi diventano imprecisi dati statistici. Hafizullah Amin scaricò su Taraki le responsabilità di questa epurazione di massa e, da abile doppiogiochista privo di scrupoli qual’era, si proclamò un fedele difensore della religione islamica sostenendo allo stesso tempo una feroce campagna di repressione contro i mujaheddin ed i mullah più integralisti, in particolare contro quelli di origine pashtun, (essendo lui un ghilzai), uccidendone barbaramente oltre mille nella sola provincia di Paktia. I sovietici convennero così che Hazifullah Amin era diventato un problema per i loro interessi e, parallelamente alla campagna di discredito e di disinformazione organizzata dal KGB, organizzarono più direttamente un piano per rovesciarlo, invadere l’Afghanistan e mettere al suo posto il fidato Babrak Karmal, in quel momento ospitato a Mosca. I sovietici facevano così rivivere all’Afghanistan il remake del 1840 con gli stessi errori della tragica storia di Lord Auckland e della sua marionetta Shah Shuah, finito sul trono di Kabul per assecondare i disegni politici inglesi. Amin capì di avere perso la fiducia dei sovietici e temendo per la sua vita trasferì la sede del suo governo e la sua residenza poco fuori la capitale, presso il Palazzo Tajbeg, che si ergeva isolato su un’altura da cui era possibile controllarne qualsiasi punto di accesso. La start line dell’invasione sovietica inizia il 22 dicembre 1979, giorno in cui i consiglieri militari sovietici informarono i loro colleghi afghani che sarebbe iniziato il ciclo di aggiornamento tecnico programmato da tempo e tutti i carri armati e i pezzi di artiglieria afghani furono riportati nelle loro basi. Le notizie di quello che realmente accadde da quel momento in poi sono frammentarie, spesso discordanti e sono ricostruite tramite testimonianze individuali o la recente e parziale apertura degli archivi di stato russi di difficile consultazione. È certo però che una volta che i mezzi rientrarono negli hangar i tecnici sovietici che ne avevano in carico la manutenzione li misero nelle condizioni di non poter essere utilizzati.

ENTRANO IN AZIONE GLI SPECNAZ Intanto erano giunti sotto copertura alcuni piccoli reparti di specnaz, le famose truppe speciali dell’URSS, che con i loro successivi interventi dimostrarono che tutto quello che stava accadendo non era improvvisato o messo in piedi in poco tempo. Agenti del KGB corrompendo alcuni membri del suo governo avevano già provato ad avvelenare Amin ma senza successo; decisi a chiudere definitivamente la partita passarono alle maniere forti e cinque giorni dopo la messa fuori uso dei carri e delle artiglierie afghane, il 27 dicembre, entrarono in azione per la prima volta gli uomini del Gruppo Alpha, un reparto speciale alle dipendenze del Settimo Direttorato del KGB, sino allora segreto e formato da operatori super selezionati tra i migliori degli specnaz: in pratica il meglio del meglio dell’Armata Rossa. Mentre alcuni operatori mettevano fuori uso le linee di comunicazione con Kabul, isolandola, cinque elementi del Gruppo Alpha con le uniformi dell’esercito afghano riuscirono ad ingannare la guardia presidenziale ed entrare a Palazzo Tajbeg aprendo il varco ad un team di altri 20 operatori. Nei corridoi e nelle stanze del palazzo si accese una furibonda battaglia. Gli specnaz, inferiori per numero ma sostenuti da un alto addestramento, conquistavano una stanza dopo l’altra con fredda determinazione facendosi precedere da precisi lanci di granate e colpendo le guardie rimaste illese con gli AKMS, la versione per truppe speciali dell’AK47 dagli effetti devastanti nei combattimenti ravvicinati ed in ambienti chiusi. Lo stesso Amin pur protetto dai suoi fedelissimi venne raggiunto da un lancio di granate che uccise suo figlio e alcune guardie ma riuscì ancora a evadere la morsa. Mentre fuggiva per cercare un ulteriore riparo venne colpito da una raffica di AK 47 sparata dal tenente del Gruppo Alpha Alexander Plysmin, appostato dietro il bancone di un bar; solo pochi anni fa Alexander Plysmin ha raccontato insieme agli altri suoi compagni del team tutta la storia. La battaglia a palazzo Tajbeg era ancora in corso quando da Termez, nell’Uzbekistan, dov’era il quartier generale sovietico che comandava l’operazione, veniva diffuso un messaggio preregistrato di Babrak Karmal attraverso Radio Kabul, che era stata occupata con grande tempismo da altri specnaz poco prima che iniziasse l’assalto al Palazzo. Nel messaggio Karmal annunciava in termini trionfalistici e rassicuranti la fine del regime di Amin celebrando la libertà e la ritrovata pace dell’Afghanistan che grazie all’aiuto e all’amicizia dell’Unione Sovietica avrebbe goduto di importanti e innovative riforme sociali, economiche e politiche. Kabul era stata conquistata in poche ore da un piccolo reparto di forze speciali composto da uomini coraggiosi e determinati e che di fatto controllavano, armati soltanto dei loro AK47, l’intero Afghanistan. A ricordo di quell’impresa il Palazzo Tajbeg è diventato il simbolo della loro audacia e la sua immagine sormonta il sito dei veterani del Gruppo Alpha. A Mosca il Politburo sovietico, tramite la stampa ed i canali diplomatici, informava che l’azione era stata una conseguenza del Trattato di amicizia, cooperazione TNM ••• 067


speciale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN speciale A Afghanistan Kunar Province 1987 Bambini Afghani con Zikuyak sovietico 14,5 mm

e buon vicinato firmato nel 1978 dal precedente presidente Taraki e che aveva un prestigioso avallo storico, essendo null’altro che la continuazione e lo sviluppo del trattato del 1921 concluso addirittura da Lenin con Amanullah Khan. I sovietici sostenevano quindi che la fine di Hafizullah Amin era stata un’azione preparata ed attuata da un fantomatico Comitato Centrale Rivoluzionario Afghano che, poco prima della divulgazione del suo messaggio, aveva eletto come presidente proprio Babrak Karmal che, è bene ricordarlo, era a Mosca. Il 1° gennaio 1980 un poderoso esercito di invasione che si era acquartierato in Uzbekistan e composto da 50.000 soldati, 2.000 carri armati e migliaia di automezzi attraversava il massiccio, largo e robusto “Ponte dell’Amicizia Afghana-Uzbeka” che univa le due sponde dell’Amu Darya e che era stato costruito con una sospetta lungimiranza dai sovietici pochi anni prima. Era il giorno che la storia ricorda come quello dell’invasione dell’Afghanistan e che fu scelto non a caso, coincidendo con le feste di Natale che immobilizzano per molti giorni tutto il mondo occidentale. Truppe paracadutiste occuparono con rapidità i pochi aeroporti, anche questi precedentemente aggiornati con nuove piste ed infrastrutture, che permisero all’Armata Rossa di attivare un ponte aereo con i suoi grandi velivoli da trasporto che scaricarono mezzi meccanizzati e altre truppe speciali, mostrando una mai messa in discussione lucidità operativa ma anche un’inaspettata capacità logistica che fece tremare i polsi degli alti ufficiali del Pentagono e della NATO. Dopo 262 anni dalla tragica spedizione di Aleksander Bekovič contro Khiva, la Russia, formalmente attraverso l’URSS, coronava il sogno di Pietro il Grande di quel lontano ma mai dimenticato 1717. IL VIETNAM SOVIETICO Il mondo occidentale protestò in un modo blando contro l’invasione, solo Gli Stati Uniti attuarono un embargo bloccando le forniture di grano e di tecnologie, creando una catena di eventi che avrebbero portato di lì a dieci anni al collasso dell’URSS che non era in grado, se non grazie ad importazioni dagli Stati Uniti e da altri paesi occidentali, di aggiornare il proprio elefantiaco ed antiquato sistema TNM ••• 068

industriale e soprattutto di sfamare sua popolazione. Gli Stati Uniti boicottarono inoltre le XXII Olimpiadi di Mosca e almeno per i primi quattro anni dall’invasione, con la presidenza del determinato e deciso Ronald Reagan, la guerra fredda assunse i suoi toni più caldi con il terrore di un possibile conflitto nucleare planetario. Ronald Reagan varò una politica estera molto aggressiva (“i nemici dei miei nemici sono i miei amici”) passata alla storia come Dottrina Reagan, che attribuiva agli Stati Uniti il dovere morale di contrastare il comunismo in ogni parte del mondo, anche sostenendo quelle popolazioni che, come i Mujaheddin, in quegli anni combattevano contro i sovietici. La storia, pur tra molte polemiche e dissensi, gli avrebbe dato ragione. In pochi giorni l’esercito di invasione sovietico, tuttora definito da una parte della sinistra italiana come un esercito di liberazione, sostenuto da una forza aerea di oltre 200 velivoli da attacco e centinaia di elicotteri, composto in gran parte da truppe dei territori asiatici dell’URSS ma anche con la presenza di soldati cubani, tedeschi dell’est, bulgari e siriani, raggiunse i 90 mila uomini. La maggior parte delle truppe sovietiche si attestarono nella provincia di Herat e da lì sin dai primi giorni dell’invasione confluirono in massa verso i valichi della frontiera pakistana, da dove giungevano gli aiuti ai mujaheddin, già presidiati sin dai primi momenti dell’invasione da reparti di Paracadutisti che avevano preso il controllo del passo storico di Khyber e gli altri accessi verso le città pakistane di Peshawar e Rawalpindi dove erano i campi di addestramento e i centri logistici dei ribelli, finanziati e sostenuti dalla rete messa su da Charlie Wilson con i soldi della CIA. Esattamente come aveva previsto tre secoli prima Pietro il Grande e più tardi gli inglesi, le truppe ed i rifornimenti affluivano dal nord con gigantesche colonne di automezzi ridiscendendo la valle dell’Amu Darya utilizzando le nuove scorrevoli strade che i tecnici sovietici avevano realizzato negli anni precedenti. Eppure, nonostante questo imponente schieramento di forze pianificato attentamente in più di un anno di preparativi, l’Esercito Sovietico non riuscì mai ad avere il pieno controllo del Paese perché, come già era accaduto agli inglesi nel secolo precedente, aveva sottovalutato la mancanza di una cultura nazionalista sostituita da ferree regole tribali che investono qualsiasi aspetto della vita quotidiana, regolata a sua volta da ataviche e radicate credenze religiose che condizionano pesantemente la vita e lo sviluppo sociale e che tra le altre cose, lontanissime dal nostro modo di pensare, promettono una seconda vita in un mitico paradiso a chi muore nella jihad. Sarà proprio la fede religiosa a creare scompiglio nelle file dell’esercito sovietico: molti reparti provenivano dai paesi dell’Asia settentrionale e nonostante l’ateismo di stato erano di religione islamica e praticanti. Molti soldati si rifiutavano di sparare contro i loro fratelli musulmani mentre alcuni altri disertarono, spesso con il loro arsenale, per arruolarsi nelle file dei mujaheddin delle cui capacità militari si era già diffuso il mito ma anche il terrore per storie di atroci violenze e crudeltà. C’era inoltre il problema della catena di comando: i Comandanti


ale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN sopra: militari sovietici in un villaggio vicino a Kabul sotto: combattenti mujaheddin sulle montagne afghane

superiori erano tutti russi mentre i Comandanti dei battaglioni e delle compagnie ed i loro soldati provenivano da almeno una dozzina di stati federati che non parlavano e scrivevano il russo; un problema che per esempio la NATO, e quindi l’ISAF, ha risolto da un pezzo istituendo come lingua ufficiale l’inglese, parlato da tutti gli ufficiali e da una gran parte di tutto il contingente, soprattutto tra i soldati più giovani. I mujaheddin avevano diversi leader essendo una mescolanza di almeno sette gruppi politici tra loro genericamente divisi in tradizionalisti e fondamentalisti o in base a differenti concetti politici ed etnici, ma erano accomunati dalla guerra agli invasori, dalla fede religiosa e anche da interessi materiali come la produzione ed il traffico della droga, il traffico delle armi ed il pizzo sui transiti oltre che dalla spartizione delle ingenti risorse distribuite dalla CIA tramite l’Operazione Cyclone. Tra questi solo due superarono con la loro fama i confini afghani, anche se per motivi opposti. Il capo ufficiale della guerriglia, imposto non a caso dal Pakistan, era Gulbuddin Hekmatyar passato alla storia per la sua mancanza di scrupoli e per la sua lucida crudeltà. La sorte peggiore di un soldato sovietico era cadere prigioniero dei suoi uomini: nel migliore dei casi il malcapitato “comunista senza dio” poteva ringraziare il destino, perché veniva sgozzato come le capre e le pecore di quel popolo di pastori e moriva così in breve tempo. In altre situazioni poteva accadere che i ribelli lo sottoponessero alla camicia, cioè lo scuoiassero vivo e lo guardassero morire tra le loro risa di scherno, con la polvere alzata dal vento che raggrumava il sangue con le mosche ed i tafani che banchettavano con le sue carni, mentre gli altri prigionieri in attesa del loro turno assistevano terrorizzati alla scena che anticipava la loro fine. Un’altra prassi comune, più rapida ma non per questo meno truce, prevedeva il taglio delle dita delle mani, del naso e delle orecchie, l’asportazione dei globi oculari e la castrazione: violenze che precedevano l’abbandono del malcapitato in mezzo alle montagne o nel deserto, dove sarebbe morto lentamente tra atroci dolori. Se il Corano vieta l’uccisione dei prigionieri a quanto pare non vieta la loro tortura e le sevizie. Ma il vero leader di questa guerra fu Ahmad Shāh Massoūd, passato alla storia come il “Leone del Panjshir” per la sua cultura, per il suo sincero sogno di un Afganistan libero e democratico e per le sue grandi qualità di combattente e di stratega. Tutta la storia Afghana che inizia con l’invasione sovietica e termina con il regime talebano vede campeggiare le figure di questi due uomini alleati solo formalmente nella guerra contro gli invasori sovietici ma divisi tra loro dalla cultura, da un diverso approccio alla guerra e dall’odio reciproco. LO SCEICCO GUERRIGLIERO Nella lotta contro i sovietici appare per la prima volta sulla scena Osama Bin Laden, all’inizio con un ruolo secondario ma poi in rapida ascesa. Dopo alcune non edificanti apparizioni sul campo di battaglia questo giovane rampollo

di una ricchissima famiglia dell’Arabia Saudita dopo una vita da dandy trascorsa a Londra scoprì di essere illuminato dal verbo del profeta ma anche di non avere la stoffa del combattente, anche se farà di tutto per far credere il contrario come ci mostrano le immagini messe in circuito da Al-Quaida tramite l’emittente Al-Jazeeira. Nel suo libro “Afghanistan, ultima trincea” Gian Micalessin così descrive l’esordio sulla scena militare di Osama Bin Laden: «Ma Osama Bin Laden non è disposto a essere un mero finanziatore. Vuole combattere, vuole partecipare in

prima persona alla Jihad. Così in quella primavera del 1986 riunisce il suo magro seguito di giovani volontari fanatici e sale fino alla valle di Jajini per guadagnarsi un posto in prima linea. L’esordio non è dei più convincenti. Una volta presentatosi dal capo Abdul Rasul Sayyaff, un leader fondamentalista laureato al Cairo e legato al movimento dei Fratelli Musulmani, ricevette il permesso di accamparsi dove meglio crede. Muovendosi nell’oscurità per raggiungere una delle zone più avanzate del fronte Osama e i suoi inesperti compagni di viaggio non si rendono conto di dove stanno piazzando le tende. Lo capiscono la mattina successiva quando si accorgono di aver dormito in mezzo a un campo minato. Mentre tentavano di ritirarsi vengono avvistati dalle forze governative e bersagliati da una pioggia di razzi. Uno cade a pochi metri da Osama, uccide uno dei suoi compagni e ne ferisce altri tre, ma lascia illeso il futuro capo del terrorismo internazionale. Quando raggiungono le retrovie Sayyaf non li vuole neppure vedere. Uno dei suoi Comandanti li convoca e consiglia loro di riprendere la strada del Pakistan visto che lì la loro presenza “appare del tutto inutile”. » Bin Laden scoprì così subito che poteva fare ben altro per sostenere la guerra dei santi guerrieri che sfiancarsi sui monti carico come un mulo di munizioni ed armi, destinato a morire sotto un attacco aereo o un bombardamento di artiglieria dei sovietici senza dio o delle truppe governative che con la loro alleanza con gli infedeli avevano tradito le leggi coraniche. Per il suo stato sociale ed economico godeva di credibilità e amicizie nell’oligarchia TNM ••• 069


speciale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN speciale A

Kunar Shultan Valley - mujaheddin 1987

LA PUNTURA FINALE La situazione si era paradossalmente invertita: i sovietici da aggressori si erano trasformati in difensori vivendo arroccati nelle loro basi protette ed isolate e di cui in Afghanistan rimangono ancora numerose tracce. Sentendosi braccati ed umiliati per le continue sconfitte e pieni di sentimenti di vendetta per la sorte che toccava a chi finiva prigioniero, i sovietici dell’Armata Rossa compirono numerosi eccidi, senza peraltro che la sinistra italiana organizzasse uno straccio di manifestazione di condanna o di denuncia. I russi incominciarono ad operare senza più nessun rispetto per la vita dei civili, alimentando l’odio della popolazione nei loro confronti come aveva ben previsto Kosygin. Se un dell’Arabia Saudita e degli altri Paesi del Golfo che riuscì a reparto esplorante aveva il sospetto che in un villaggio si convincere ad aumentare e concentrare i fondi destinati ai nascondessero dei guerriglieri non vi entrava combattendo mujaheddin al di fuori dell’Operazione Cyclone, altrimenti tra le vie e rovistando nelle misere abitazioni ma il villaggio gestiti dalla CIA e dal Pakistan. Fondò così il MAK, il Maktab veniva raso al suolo con tutti i suoi abitanti tramite un al-Khadamat, alla lettera Ufficio d’Ordine, con cui riuscì a bombardamento di artiglieria o un attacco aereo. Per far affluire in Afghanistan ingenti quantità di denaro, di armi stanare i mujaheddin dai loro nascondigli, collocati in zone e di combattenti musulmani spinti dal fanatismo religioso montuose praticamente inattaccabili se non al prezzo di e sempre meglio addestrati ed equipaggiati. E’ in questo gravi perdite, incominciarono ad usare i gas nervini. Per periodo che si salda il legame con il mullah Mohammed punire i loro reali o presunti sostenitori dei villaggi agricoli Omar, futuro leader dell’Afghanistan dei talebani. spargevano l’area con la cosiddetta pioggia gialla, un Bin Laden, sostenuto dal successo dei suoi interventi cocktail mortale di micotossine che distruggeva i campi ed finanziari ed organizzativi, intuì che il vero coagulante dei intossicava gli abitanti con i suoi elementi chimici altamente guerriglieri non era la guerra ai comunisti in quanto invasori cancerogeni e mutageni che intaccando il DNA ne avrebbero ma in quanto atei ed infedeli. Abbandonò così il MAK e fondò trasmesso i danni alle generazioni future. insieme al medico egiziano Ayman al-Zawāhirī il movimento Dai report sulla situazione sanitaria afghana, effettuati da Al-Quaida (alla lettera: la base) con il dichiarato scopo di organizzazioni sanitarie internazionali e dalla stessa ISAF, espandere la lotta a tutti gli infedeli attraverso una Jihad risulta che oltre alle tipiche patologie frutto della mancanza planetaria. In questo scenario, preludio dell’odierna realtà di igiene e alla brucellosi, una malattia endemica in afghana, i sovietici, nonostante il continuo afflusso di mezzi Afghanistan causata dalla scarsa cottura delle carni e dalla e uomini, continuarono a collezionare insuccessi, tanto da mancata pastorizzazione del latte e dei suoi derivati, molti far esclamare ad un loro alto Ufficiale: «…siamo l’esercito bambini nascono afflitti da deformazioni fisiche dovute a più potente del mondo e siamo continuamente battuti disordini endocrini dei genitori, che nei paesi industrializzati da quattro straccioni male armati e male odoranti, che sono causati dai così detti “distruttori endocrini” generati hanno più familiarità con un mulo che con un’arma e che si dall’inquinamento atmosferico dell’aria, dell’acqua e dei cibi muovono come fantasmi inafferrabili!» per le sostanze emesse dagli idrocarburi ma che può anche La potentissima 40° Armata dell’Armata Rossa lanciò nei 10 essere causato da altri prodotti altamente tossici come anni di guerra ben nove offensive senza mai vincerne una. quelli usati nelle armi chimiche e batteriologiche. I mujaheddin, per una crudele nemesi storica, applicavano Non avendo più il controllo delle strade, pur disponendo le stesse tattiche utilizzate in Vietnam dai vietcong i cui di numerosi carri armati e di agili mezzi blindati per il capi erano stati addestrati a loro volta proprio da istruttori trasporto delle truppe, i sovietici fecero sempre più ricorso sovietici. Come i vietcong i mujaheddin compivano rapide ai bombardamenti aerei ed all’uso degli elicotteri schierando azioni “mordi e fuggi” oppure attiravano i sovietici in in gran numero i nuovissimi Mil-Mi 24, all’epoca un vero trappole abilmente predisposte e li finivano come topi spauracchio per la NATO che nei suoi arsenali non aveva un in gabbia, riuscendo ad annientare interi reggimenti elicottero equivalente. Il Mi 24 nonostante la massa di oltre meccanizzati. Come era già successo negli Stati Uniti con il 11 tonnellate era molto veloce e maneggevole, parzialmente Vietnam, la guerra incominciava ad avere gravi ripercussioni blindato ed armato con mitragliatrici e lanciarazzi con cui interne a Mosca e in tutto l’impero sovietico, dove ormai supportava l’azione a terra di una squadra di 8 uomini che molti ufficiali dell’Armata Rossa vendevano sotto banco trovavano posto nella sua capace stiva. L’industria sovietica ed a caro prezzo l’esenzione di un periodo di missione in li sfornava a getto continuo, esattamente come era successo Afghanistan, ponendo così le basi per la nascita della futura per l’americano Bell UH1 Huey al tempo del Vietnam e di cui mafia russa. era divenuto il simbolo. Il Mi24 era (ed è) il mezzo ideale per TNM ••• 070


ale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN Gli elicotteri Apache usati dai sovietici seminarono migliaia di vittime tra la popolazione afghana

contrastare azioni di guerriglia e per compiere veloci colpi di mano. Il loro arrivo diede finalmente ai sovietici la possibilità di vincere qualche scaramuccia migliorando il morale delle truppe, ma questa rinata fiducia sarebbe stata presto spazzata via. Stanca ormai per gli insuccessi sul campo di battaglia, in difficoltà per i problemi economici interni a causa delle ingenti spese della guerra e afflitta dai numerosi casi di diserzione, l’URSS ricevette il colpo finale con la comparsa nelle mani dei mujaheddin dello Stinger. Lo Stinger è un leggero e sofisticato missile antiaereo, sviluppato e prodotto negli USA dalla Raytheon. Il missile insieme al lanciatore pesa circa 15 chilogrammi e viene lanciato a spalla come fosse un bazooka. In pochi secondi accelera sino a raggiungere la velocità di 750 m/s dirigendosi, guidato dai i suoi sensori ad infrarosso, verso le emissioni di scarico delle turbine degli elicotteri e degli aerei che volano a bassa quota, distruggendoli grazie alla sua potentissima carica hit-to-kill. La CIA in base alla dottrina Reagan ne distribuì ai mujaheddin probabilmente 5 mila esemplari (il costo attuale unitario è di circa 30 mila dollari) ed è certo che la quasi totalità degli aerei e degli elicotteri abbattuti dai mujaheddin siano caduti per opera di quest’arma che in breve ingessò la strategia russa basata su rapidi colpi di mano a bordo dei Mi 24, preceduti da pesanti interventi aerei con attacchi a bassa quota. Poiché molti di questi missili sono finiti nelle mani dei talebani la fortuna dei contingenti ISAF e di Enduring Freedom è che dopo un certo numero di anni il sistema di accensione e il propellente degradano, rendendo il missile inutilizzabile. Con l’arrivo al Cremlino nel 1985 di Michail Gorbaciov la politica estera sovietica prese un’altra direzione: c’era da risanare l’economia praticamente disastrata e non vi erano più risorse per alimentare la mastodontica Armata Rossa. Iniziò così in maniera un po’ nascosta il rimpatrio della 40° Armata dall’Afghanistan: la ritirata unilaterale delle truppe sovietiche, che sanciva la loro sconfitta, si concluse il 15 febbraio 1989 quando Kabul era ormai già assediata da 30 mila mujaheddin. La tremenda eredità lasciata all’Afghanistan dai sovietici ammontava a un milione e mezzo di morti, tre milioni di disabili e mutilati, cinque milioni di profughi. Trenta milioni di mine, tra cui le tremende mine a farfalla che per la loro particolare forma attraggono i bambini scambiandole per giocattoli, erano state sparse per tutto il territorio e ancora oggi mietono vittime nonostante la massiccia campagna di sminamento attuata nei primi anni dal contingente ISAF e adesso da un grande numero di contractor di compagnie private, in gran parte provenienti dai Balcani. Innumerevoli carcasse di aerei, di elicotteri, di carri armati e mezzi blindati sono mestamente disseminati in tutto il territorio afghano, nonostante l’URSS si sia preoccupata di ritirare a quel tempo 110 mila soldati, 500 carri armati, 4 mila veicoli blindati, 2 mila pezzi di artiglieria e 16 mila camion. Uno di questi relitti, un carro T60, è il guardian gate del comando RC-W di ISAF ad Herat. Secondo dati ufficiali sovietici le perdite da parte russa, con uno zelo e una

precisione che olezzano di bugia, furono di 13.833 morti, 53.754 feriti, 118 aerei, 333 elicotteri, 147 carri armati, 1214 veicoli blindati, 433 pezzi di artiglieria e 11.369 tra camion e veicoli. Secondo stime del Pentagono e di analisti militari di agenzie indipendenti questi dati rappresentano meno della metà di quelli reali. Il presidente Barbak Karmal divenne il capro espiatorio dell’insuccesso sovietico e già alla fine de 1986 venne destituito; l’Afghanistan rimase di fatto senza un vero leader per quasi un anno sino a quando il Politburo sovietico non identificò in Mohammad Najibullah il nuovo Presidente della Repubblica Democratica dell’Afghanistan. Karmal, che si era rifugiato ancora una volta a Mosca, vi morì alla fine del 1996. Il suo corpo fu trasportato con un aereo militare russo a Mazar-i- Sharif dove fu sepolto. I suoi resti, dopo la conquista di Hayratan da parte dei talebani, vennero da questi riesumati e dispersi con dispregio nell’Amu Darya. L’invasione sovietica dell’Afghanistan e la successiva disfatta dell’Armata Rossa hanno attivato una catena di eventi tuttora in corso. La fine dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ha lasciato in eredità al mondo la radicalizzazione del fondamentalismo islamico che, proprio nel diseredato Afghanistan e grazie anche all’aiuto maldestro degli Stati Uniti ai mujaheddin tramite il Pakistan, ha trovato il modo per diventare il vero problema politico e militare di questo inizio secolo e a cui non si è ancora trovata una soluzione. Nel vicino Nord Africa e nell’Asia minore, ma anche nell’Africa sub sahariana ed in genere dovunque l’Islam si sostituisce o vuole sostituirsi ad amministrazioni governative laiche, esistono tensioni che si trasformano in rivolte ed in conflitti che aprono nuovi pericolosi scenari nei quali anche l’Europa, volente o nolente, dovrà giocare un ruolo, non ancora ben definito ma sicuramente pieno di incognite e di rischi. TNM ••• 071


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QUI FOB LAVAREDO Bakwa TNM ••• 072


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Ingresso della Fob Lavaredo

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Bakwa, Task Force South-East, agosto 2011 Si chiama FOB Lavaredo, ma la scelta del nome deve essere stato un omaggio o forse una provocazione di qualche Ufficiale della Tridentina. Qui è difficile trovare qualche cosa che possa ricordare le Tré Thìme e se c’è non è di certo il paesaggio. L’unico vero nesso potrebbe essere il sudore, la fatica ed rischi degli alpini che l’hanno abitata per primi, lo stesso sudore, la stessa fatica e gli stessi rischi degli alpini che hanno combattuto, chiusi nelle loro trincee sotto le cime di Lavaredo, negli anni della Grande Guerra. La FOB Lavaredo a Bakwa è un agglomerato di hescobastion, dei grossi cesti a sezione quadrata costituiti da reti d’acciao, al cui interno viene poi posto un sacco riempito di terra e sassi. Un’idea geniale per costruire in poche ore uno sbarramento, un argine o una protezione in grado di assorbire l’impatto di armi automatiche, razzi e anche colpi di artiglieria. Il suo inventore, l’ex minatore Jimi Heselden, grazie a questa sua idea era diventato uno dei quattrocento

uomini più ricchi d’Inghilterra. Doveva esser un tipo speciale questo Heselden: è morto l’anno scorso a 62 anni mentre collaudava una versione off-road destinata ai militari della Segway, quello strano arnese a due ruote affiancate che si muove e sta in equilibrio grazie ad un sofisticato sistema di giroscopi. La FOB Lavaredo nel distretto di Bakwa è come un monumento a Heselden, ma l’Afghanistan di monumenti come questo ne è piena, perché dovunque c’è un soldato di ISAF o di Enduring Freedom c’è uno sbarramento di hesco-bastion che lo protegge. FOB Lavaredo è come un piccolo forte apache costruito con questo sistema ed è a sua volta addossato ad un vecchio forte inglese del 1800 interamente di fango, come le case dei villaggi qui intorno. Doveva essere molto difficile la vita per quei soldati inglesi ma anche oggi per i nostri Paracadutisti del 186° e dell’8° Reggimento della Folgore che vivono qui insieme ai trasmettitori della Compagnia Leonessa

Interno della base

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Particolare della FOB Lavaredo

del 11° Reggimento Trasmettitori non è uno scherzo. Allora come adesso intorno al fortino ed a FOB Lavaredo c’è solo un nulla pieno di rischi e di domande senza risposta e che sconfina a giro d’orizzonte in un’immensa pianura che verso nord-nordovest finisce sotto il profilo di alte montagne sassose, senza un albero, isolate nella loro aspra durezza come le genti di questo mondo dimenticato che vive da sempre di sofferenze e miseria. Arriviamo a Bakwa da Farah, che dista circa duecento chilometri, a bordo di un Blackhawk della 1st Cavalry Division con la scritta Ghost Riders a bassa visibilità sulle fiancate e non certo per caso: questi giovani americani volano continuamente e con l’uso degli NVG soprattutto di notte, quando oltre ad essere meno visibili la temperatura più bassa permette di spremere tutta la potenza delle turbine. Non è stato un volo diretto, prima di andare a Bakwa siamo andati a fare carburante a Delaram e poi abbiamo fatto il giro di tutte le COP del Gulistan, come un autobus urbano, caricando e scaricando qualche soldato italiano e tutto quello che può essere infilato dentro un elicottero. I due gunners americani non vanno molto per il sottile, usano il loro elicottero come una station wagon di una famiglia americana in vacanza. L’unica differenza

è che le station wagon delle famigliole americane non sono armate, mentre il nostro Blackhawk lo è ed appena siamo in quota i due gunners provano le loro M60 ed i bossoli fumanti mi cadono sulle scarpe, ne vorrei prendere qualcuno come souvenir ma non posso proprio muovermi. A Farah ero stato imbarcato come passeggero e tappa dopo tappa sono diventato parte integrante del bagaglio e come tale ero letteralmente incastrato tra un mucchio di sacche e sulle gambe l’enorme e pesantissimo zaino di un vikingo italiano che si chiama Leonardo Attolico, un tenente di vascello del San Marco che viene a Bakwa con noi, il primo a raggiungere quella che sarà la prossima destinazione del Reggimento della Marina. Arriviamo a Bakwa dopo almeno due ore di continui atterraggi e decolli e quando finalmente mi liberano dai bagagli che mi sovrastavano riesco finalmente a scendere dall’elicottero investito da un caldo ossessivo ma quasi liberatorio rispetto alla scomodità del viaggio. Mi guardo intorno, c’è solo sabbia ed in lontananza si vedono dei Lince che hanno creato intorno alle piazzole di atterraggio un anello di protezione. Più avanti c’è la FOB di Bakwa, addossata alla Route 515, che si erge isolata in mezzo a questa distesa di polvere rovente, soffice come borotalco. Fa TNM ••• 075


speciale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN speciale A Attività quotidiane all’interno della Fob Lavaredo

un caldo bestia ma il vento polveroso dei 120 giorni sembra sia finito dopo avere smerigliato la scocca dei Lince e messo a dura prova i soldati di FOB Lavaredo. Bakwa è una delle zone calde del territorio sotto il controllo di RC-W e certamente non solo per la temperatura atmosferica che normalmente raggiunge e spesso supera i 50°. Molti villaggi intorno ed il bazar sulla Route 515 sono stati abbandonati per le pressioni e le minacce degli insorgenti che applicano il pizzo su qualunque attività e puniscono chi ha rapporti troppo confidenziali con gli infedeli. La bandiera italiana che sventola su un pennone, che in questa grande distesa di sabbia sormonta ed identifica la base, attiva una rapida scarica di emozioni: è incredibile quanto sia carico di significati un pezzo di stoffa colorata. Ci viene incontro un “ragazzo” di mezza età, atletico, con una bella faccia asciutta e sorridente, in t-shirt oliver green, senza gradi e con la pistola al fianco, è a capo scoperto ma si capisce subito che è un paracadutista. “Benvenuti a Bakwa.” Il “ragazzo” che ci da il benvenuto è il Tenente Colonnello Angelo Intruglio, S1 della base, che ci osserva con attenzione mentre ci aiuta gentilmente a portare i bagagli, forse domandandosi quale tipo di problema potranno creare nei giorni successivi due tipi come noi. Siamo infatti i primi cittadini italiani “civili e quasi normali” ad avere avuto il permesso di vivere qualche giorno nella tana del 186° Reggimento Paracadutisti Folgore e questo fatto ci riempie di soddisfazione, per giorni siamo rimasti nel dubbio se a RC-W ci davano il permesso per andare in prima linea e adesso ci siamo. Quando finalmente ce l’hanno concesso Giuseppe ed io ci siamo guardati in faccia, ed abbiamo convenuto scherzando che il permesso era solo un modo per toglierci di torno e passare il problema a quelli di Bakwa. Il Tenente Colonnello Intruglio, che nei pochi minuti di percorso che separano la piazzola dalla base è ormai diventato Angelo, sarà il nostro riferimento come lo è per tutti i Paracadutisti di Bakwa e per i soldati dell’11° Reggimento Trasmissioni Leonessa di Civitavecchia che qui svolgono un ruolo essenziale. Nei giorni successivi avremo modo di scoprire che quest’uomo gentile e dai modi eleganti è molto di più che un riferimento, è una certezza; qui dove tutto è precario e anche la vita può esserlo un soldato così è un valore aggiunto incalcolabile. L’S1 ci fa accomodare nella tenda briefing e ci da il tempo di recuperare un po’ di energie offrendoci una paio di bottigliette d’acqua fresca, qui se ne bevono almeno una dozzina al giorno ma si fa poca pipì: i liquidi per il caldo secco evaporano direttamente, come una patata nel forno, ma più velocemente. Veniamo infine ricevuti dal colonnello Lorenzo Daddario, il Comandante del 186° Reggimento Paracadutisti Folgore e della Task Force South-East, all’incontro


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è presente anche il luogotenente Franco Provenzale il decano del Reggimento, entrambi hanno il basco amaranto ma anche per loro non era necessario per capire a quale specialità della fanteria appartengono. Poche parole, molto precise e chiare, per illustrarci la situazione tattica ed operativa e poi veniamo affidati al capitano Stefano Piazza, Comandante della 14° Compagnia Pantere Indomite. La “mia” Compagnia, dove ero Ufficiale nel 1970. Per tutta la durata della mia permanenza a FOB Lavaredo sono stato avvolto da continue emozioni e ricordi, con la long memory che mi riproponeva volti, nomi, episodi ed il lontano ma impagabile ricordo di avere fatto quello che andava fatto per poter indossare il basco amaranto ed appuntarmi sul cuore ancor prima che sulla divisa le ali d’aquila sormontate dal paracadute con la stella. Non ho nessun falso pudore a riconoscere che condividere i disagi ed i rischi dei Paracadutisti di FOB Lavaredo è stato un privilegio, uno di quei regali inaspettati della vita che rappresentano un valore assoluto, soprattutto quando all’orizzonte si intravede il buio dell’ultima notte. Mentre la mia mente svolazzava nella sfera delle emozioni e dei ricordi un warning mi fa tornare sulla terra e con Giuseppe ci

spostiamo nella più totale oscurità cercando di stare dietro al maresciallo Gabriele Pinna che si muove con una velocità incredibile raggiungendo prima la centrale di tiro e poi una piazzola del Thomson rigato da 120 mm. Dopo una mezz’ora di attesa, con la squadra mortai pronta a ad aprire il fuoco il warning rientra e noi raggiungiamo la tenda del maresciallo Pinna, Comandante del 2° plotone, che diventerà la nostra tana e dove è possibile riposare e lavorare al “fresco” dei suoi 32/35 gradi prodotti dal condizionatore in perenne funzione. La condividiamo insieme ai Comandanti di squadra del 2° Plotone che ci danno il benvenuto, sono tutti sardi e anche io sono nato nell’isola, un motivo in più per familiarizzare. Ci mettiamo subito al lavoro a scrivere e postare le foto, a Bakwa, in questo angolo d’Italia che esiste solo sulle carte militari c’è, incredibile ma vero, una super linea WIFI satellitare e ne approfittiamo subito nonostante la stanchezza, siamo in piedi dalle sei e non ci siamo fermati un momento. Un altro aspetto affascinante di questa nuova missione è il rapporto con i lettori della fanpage di TNM, i pezzi e le fotografie che pubblichiamo hanno ormai una media di oltre 15 mila visitatori al giorno e non possiamo deluderli.


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“NOIALTRI”

siamo abituati a fare così

Il brano che segue è tratto dal libro Alamein 1933-1962 - edito da Mursia - già vincitore del premio Bancarella nel 1963 e continuamente ristampato da quasi cinquanta anni. Paolo Caccia Dominioni, il suo autore, è stata una straordinaria figura di ingegnere, scrittore, artista, esploratore ed ufficiale di complemento durante tre guerre e che proprio ad El Alamein era al comando del 31° Battaglione Guastatori del Genio. Il monumento all’interno della Caserma Vannucci a Livorno per esempio è una sua opera, così come il sacrario di Quota 33 ad El Almein, realizzato dopo aver trascorso 14 anni nel deserto alla ricerca e all’identificazione delle salme dei caduti di tutte le nazioni che si fronteggiarono nel corso delle due Battaglie. Coadiuvato dal suo fedele assistente Renato Chiodini, un guastatore del suo battaglione, dal 1949 fino al 1962 ha raccolto dai numerosi cimiteri di guerra egiziani e libici ma soprattutto dal deserto le salme ed i resti di più di 5.000 caduti italiani. Nelle loro avventurose e tristi ricognizioni hanno percorso 360.000 chilometri di deserto su piste spesso in zone minate, sulle quali persero la vita sette collaboratori egiziani ed un paio di volte loro stessi sono capitati con il loro mezzo su delle mine, fortunatamente esplose senza creare loro gravi danni. Dalle pagine del suoi libri, dense di avvenimenti e di storie piccole e grandi, esce fuori un nobilissimo ritratto collettivo non solo dei “ragazzi della Folgore” ma dei soldati italiani in genere, spesso ingiustamente disprezzati da chi aveva ed ha interesse a sminuirne il valore, tramandandone con i sui scritti e le sue illustrazioni il valore e gli atti di umanità e di eroismo.

Pista Whisky, tra le Quote 99 e 154, fine settembre 1942 La Folgore ha compiuto il terzo mese di esperienza africana. Tre mesi sono pochi di fronte ai trentasei delle contigue Brescia e Pavia, consumate e avvizzite; ma bastano per completare il tirocinio di uomini che sembrano fusi in

acciaio inossidabile. Possono dissanguarsi per fatiche, perdite e dissenteria senza che l’animo e i muscoli vengano intaccati. Atleti adolescenti avevano sognato luminose discese dal cielo verso la vittoria, e hanno trovato la miseria dei capisaldi sabbiosi nella geenna del deserto di luglio. Ora il primo acquazzone autunnale ha offerto loro anche il tormento della notte gelida e dell’arena inzuppata. Ma la Folgore quaggiù, domina con il senso di superiorità proprio delle unità sicure: essa irride alla tracotanza di un alleato spesso incline a ignorare la presenza italiana, irride alla tracotanza di un nemico simile a un affarista arricchito cui è facile prevalere sopra i mendicanti che sostano nella sua contrada. Ogni giorno, nello schieramento dei Paracadutisti, si ha notizia di nuovi atti generosi ed edificanti. Nella sabbia soffice di una conca riparata sul margine orientale del pianoro di El Taqa hanno sepolto due caduti del VI/186°, comandato da Gianni Bergonzi: il caporalmaggiore paracadutista Guglielmo Principe da Trieste, di ventiquattro anni, e il paracadutista Francesco Salvini di ventidue, padovano. Secondo una prima versione non confermata, ma assai verosimile perché


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ambedue erano di altissimo animo e legati da grande amicizia, essi rientravano isolati da una pattuglia. Principe cadde per il primo, e Salvini, accorso al suo richiamo, ne seguì la sorte. Nell’atteggiamento in cui furono ritrovati è apparso che il Principe, trasformatosi a sua volta in soccorritore, si trascinò fino all’amico e trovò la morte mentre cercava di prodigargli qualche cura. Più a sud, lo stesso giorno il II/187°, al comando di Mario Zanninovich maggiore di cavalleria, riceve il cambio dal V/186°, composto in prevalenza da antichi alpini che sorridono della nuova posizione. Questa “montagna”, è una nave solitaria di roccia calcinata, alta meno di cento metri sul deserto, con la prua diretta a levante, tra lunghe ondate di sabbia dove galleggiano, qua e là, tronchi di legno pietrificati e preistorici. I numerosi lombardi presenti trovano più facile sostituire all’onomastica beduina la propria, e Qaret el Himeimat diventa la “Carretta dj bei matt”. È l’ultimo bastione meridionale dell’armata corazzata. Più in là non v’è nessuno: soltanto mine, mine e ancora mine. Le vedette, dall’alto, avvertono qualsiasi movimento in un raggio di venti chilometri e incassano cannonate notte e giorno. Ma il battaglione di Zanninovich non va a riposo, dopo la lunga permanenza sul roccione che ha conquistato in agosto: occupa in giornata una posizione chiave a cavallo della Pista Whisky, là dove convergono le due tragiche depressioni di Alinda e del Munassib, a destra del Kampfgruppe Paracadutisti del maggiore Hübner, formato anch’esso di veterani che fecero Polonia, Norvegia, Rotterdam e Creta. Gli ufficiali si affannano a distribuire la gente nelle buche e nei posti di vigilanza: all’alba ognuno dovrà essere già familiarizzato con la posizione, che è ancora più lugubre della precedente. Intanto i tedeschi avvertono che esce una loro pattuglia, per la consueta ispezione notturna ai campi minati tesi tra le linee: e Zanninovich manda loro due Paracadutisti perché possano fare immediata conoscenza del terreno antistante. Così, dopo una giornata faticosa, preceduta dalla insonne notte del cambio, il veronese Butturini e il suo compagno hanno l’impressione di essere due corridori giunti sfiniti al traguardo, ai quali si dica: la corsa non è valida, dovete rincominciare subito. Ma non fiatano e sono pronti, in tenuta da pattuglia. Butturini ha un fratello sergente, sempre nello stesso battaglione: quella madre di diversi soldati ne ha due l’uno e l’altro folgorini, e per giunta sulla linea di El Alamein.Il Leutnant, il Feldwebel e otto Paracadutisti, sei tedeschi e due italiani, escono dal varco, si incolonnano lungo il sentiero di sicurezza, marcato dal solito filo telefonico, e si snodano silenziosi sotto un cielo

nuvoloso che copre la luna. Bisogna fare molta attenzione al suolo: un inciampo, un rumore potrebbero essere fatali. Le mine anticarro non spaventano: occorrono centoventi chilogrammi per farle saltare, e tale peso non è certo un privilegio dei guerrieri di questo fronte: ma le insidiose mine a shrapnel o antiuomo esplodono sotto la zampetta di un gatto, e quando il dispositivo è a strappo, cioè a mezzo di uno spago perfettamente mimetizzato nella sabbia, la difesa è impossibile. Il settore nemico viene raggiunto e gli uomini si distendono a ventaglio, perché una ricognizione nel deserto non differisce da una esplorazione di cacciatorpediniere. Ma una vampata rossa squarcia il buio, il Leutnant è caduto, c’è una nuova striscia di mine antiuomo che la notte scorsa non esisteva. Qui scatta l’inesorabile meccanismo della logica militare tedesca, nel cranio del Feldwebel che ha preso il comando, e gli dice che il compito, con l’accertamento della nuova difesa minata, è assolto. La perdita dell’Ufficiale è dolorosa, ma non si possono rischiare altre vite preziose per ricuperarlo: la pattuglia rientra dopo qualche minuto di immobilità assoluta per assicurarsi che nessuna pattuglia inglese si stia avvicinando. Al varco i due folgorini vengono messi in libertà. Salutano e si avviano verso le proprie linee. In meno di cinque minuti potrebbero essere sdraiati nella loro buca, ma dopo qualche passo si fermano. No, dicono. È scattato un altro meccanismo cerebrale, italiano. Quel tenente tedesco bisogna riprenderselo, vivo o morto. Se gli inglesi, avvertiti dallo scoppio, sono già sul posto, si vedrà, si farà il necessario, a moschettate e bombe a mano. E se l’orgoglio tedesco, al ritorno, sarà irritato, niente di male. Ancora cinquanta minuti, e una povera cosa sanguinante, che forse i dottori potranno riportare alla vita, è consegnata al battaglione Hübner. Non era un fardello leggero: la sabbia sprofondava come farina, una pena bestiale. “Noialtri”, dice lo spossatissimo Butturini ai tedeschi sorpresi “siamo abituati a fare così”. E spiega che le mine a shrapnel, lassù sono molte, tutte a strappo, messe di fresco: chi ci torna deve fare attenzione. I due Paracadutisti si sono svegliati brutalmente nel primo sonno e imprecano, ma non c’è tempo: via, via subito, i tedeschi vogliono i due folgorini di stanotte. Presso Hübner c’è proprio il Generale Ramcke, Comandante la brigata, piccolo e indiavolato, quello che ride sempre: e senza tante cerimonie appunta la croce di ferro sui camiciotti dei due italiani. Una stretta di mano, un saluto scattante: ora i due vanno dal maggiore Zanninovich a farsi vedere con quell’affare sul petto, ma soprattutto a riprendere il sonno interrotto. TNM ••• 079


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AFGHAN


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L’ultimo saluto

FRAMES


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Alba dopo una ron (rest of night)


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In pattuglia con un ‘’freccia’’


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In pattuglia


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Ring road a nord di delaram: link up con reparti statunitensi.


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Ring road: transito vicino a carcasse di autocisterne date alle fiamme, in questi casi i mitraglieri rientrano per motivi di sicurezza (possibilitĂ di cariche attivate a distanza...)


Il primo libro fotografico che racconta

i soldati della Folgore in missione in Afghanistan

Inedite immagini dei sette mesi di missione della Folgore in Afghanistan, raccolte in questo straordinario libro fotografico con la prefazione del Generale Carmine Masiello. Ordina subito la tua copia: redazione@tacticalnewsmagazine.it


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La transizione

ITALO AFGHANA TNM ••• 094


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A sinistra: il Generale Giorgio Cornacchione (C.te COI), Paolo Roman e il Generale Carmine Masiello Sotto: Antonello Tiracchia collaboratore e inviato di Tactical News Magazine

Herat, Afghanistan: 21 luglio 2011- Aeroporto di Camp Arena, RC-W. Il 21 luglio 2011, il giorno della Transizione, è ormai una data storica per l’Afghanistan, per l’Italia, per l’ISAF, per i contingenti italiani che da 10 lunghi anni hanno operato in questa terra disseminata di dolorosa miseria e per la Folgore che l’ha attuata; ma l’Italia l’ha formalmente ignorata, dimenticando in questo modo la sofferenza di centinaia di feriti nel corpo e nell’anima e la memoria ed il sacrificio estremo di 41 dei

suoi figli morti anche per giungere a quel momento. In quei giorni in Italia il Parlamento e la stampa “ufficiale” avevano ben altro a cui pensare. I miserabili reportage di cronaca nera e di gossip politico che imperversano sui nostri media erano stati sostituiti da qualche cosa di più importante. Il 20 luglio era finito in carcere il deputato del PDL Alfonso Papa con il rischio che fosse seguito a ruota dal senatore Alberto Tedesco del PD, entrambi con accuse infamanti per il loro ruolo di parlamentari. Per questo motivo il Ministro degli Esteri e quello della Difesa, i principali rappresentanti del Governo italiano per questo avvenimento, non erano presenti qui ad Herat alla cerimonia. Il compito di rappresentare il Governo è così toccato al Ministro per lo Sviluppo Economico Paolo Romani e naturalmente all’ambasciatore a Kabul Claudio Glaentzer e al rappresentante del nostro Governo presso la NATO ad Herat, il Consigliere d’Ambasciata Claudio Taffuri. La Transizione è l’atto formale che, dopo 10 anni di guerra e di ricostruzione delle strutture amministrative e civili dell’Afghanistan, sancisce il passaggio del controllo del territorio dal Regional Comand-West gestito

dalle nostre Forze Armate, alle autorità afghane. Una vittoria dell’Italia sul piano militare e su quello più vasto della «Ai tanti che sono stati qui. A quelli che hanno dato tanto. Ad Alessandro Di Lisio che ha dato tutto» Ganjabad 14 luglio 2009. (1) credibilità della nostra politica estera. Le Forze Armate invece erano ben rappresentate con la presenza del Generale di Corpo d’Armata Giorgio Cornacchione, Comandante del COI (Comando Operativo di vertice Interforze) e naturalmente dal Generale di Brigata Carmine Masiello Comandante della Folgore e del RC-W, dal suo Stato Maggiore e da altri ufficiali superiori di ISAF appartenenti a varie nazioni e da lui dipendenti. C’erano naturalmente numerosissimi giornalisti afghani ma anche pakistani, delle repubbliche a nord dell’Afghanistan, inglesi, spagnoli, americani e la troupe ufficiale della televisione cinese. La stampa italiana era rappresentata, si fa per dire, da un regista indipendente (io) e, come me presente in

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da sinistra Daub Saba (Governatore Herat), Paolo Romani e Ashraf Ghani (Capo Commissione Transizione)

Afghanistan per altri motivi, da un fotoreporter collaboratore dell’ANSA (Giuseppe) e dall’inviata di TG SKY 24 che qui ad Herat ha una base fissa e trasmette via satellite. La RAI, Mediaset, la 7, La Repubblica, Il Corriere della Sera, la Stampa, Il Giornale e così via non erano presenti; trasferta troppo costosa e lontana dal loro pubblico affamato di gossip, di cronaca, di calcio e della politica da loro raccontata come una grande e penosa kermesse. La cerimonia della Transizione si è svolta dentro un grande hangar da campo dell’aeroporto di Herat, praticamente dentro la base e sino all’ultimo il luogo è stato tenuto segreto per motivi di sicurezza. Per i talebani o insorgenti che siano era un boccone super appetitoso questa concentrazione di un così grande numero di esponenti delle Forze Armate e del Governo afghano, oltre a ufficiali ISAF pieni di stelle. Se la transizione era una festa per chi crede nello sviluppo dell’Afghanistan per gli insorgenti è stata una conseguente sonora TNM ••• 096

sconfitta ormai passata alla storia. Il servizio di sicurezza, messo in atto da RC-W, è facile immaginarlo, era a dir poco imponente ma di fatto quasi invisibile. Il Ministro Romani ha fatto un bel discorso stringato e diretto come non è abitudine dei nostri politici, spesso prolissi e retorici e dopo avere elogiato i nostri soldati ha dichiarato pubblicamente che l’Italia investirà grandi somme per la costruzione del nuovo grande scalo aereo internazionale di Herat, a conferma della continua crescita di rapporti commerciali bilaterali con questa Nazione affamata di stabilità e di sviluppo. A fine cerimonia, quando tutti gli ospiti erano già andati via con un’imponente scorta, un afghano alto di statura, vestito con abiti tradizionali, barbuto, scuro di carnagione e che aveva continuamente parlato con altri esponenti afghani nelle lingua locale si è intrattenuto nell’hangar ormai semivuoto dove si muoveva con sospetta disinvoltura; incuriosito ho pensato per un attimo e con eccessiva fantasia che fosse un infiltrato e così lo tenevo d’occhio

pronto ad usare la mia telecamera. Poi questo ipotetico infiltrato si è avvicinato al tavolo del buffet, che veniva smantellato, ed ha incominciato a mangiare dei tramezzini sino a quando ad una certa distanza da lui non è transitato un carabiniere del Tuscania, una nostro amico. Allora quello mentre mangiava l’ennesimo tramezzino ha esclamato: “Ahoo, a‘ndo sta er pischello, dije de venì qua cor toyota.” Era un afghano de Roma… La giornata della transizione per il Generale Masiello, gran parte del suo stato maggiore, per molti altri militari ed anche per noi, era iniziata con la sveglia alle 3 della notte. Il Generale voleva fare un regalo originale e simbolico al governatore di Herat. Insieme a gran parte del suo Stato Maggiore e ad alcuni elementi della sua scorta che non lo molla mai un minuto, si sono lanciati da un CH 47 da 4 mila metri di quota, naturalmente tutti, Generale compreso, erano dotati di un’arma corta, del resto un lancio per un paracadutista è


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Momenti della Cerimonia ufficiale per la Transizione

comunque un atto tattico e si può sempre finire fuori area. Durante la caduta libera in relativo nella suggestiva luce dell’alba afghana il Generale ed un altro Ufficiale del suo Stato Maggiore hanno estratto una bandiera dell’Afghanistan e l’hanno stesa nel vento della discesa. La fotografia della scena, ripresa dal maresciallo Vincenzo Di Canio combat-camera della Brigata Folgore, è stata consegnata ben incorniciata al governatore di Herat durante la cerimonia, poche ore dopo. Un bellissimo regalo pieno di significati simbolici. Ho chiesto al maresciallo Di Canio a cosa avesse pensato in quel momento storico, in cielo, durante la caduta libera e lui ha risposto: “…a dove nascondermi se la foto non fosse uscita bene!” I Paracadutisti sono fatti così, massimo impegno e grande senso dell’autoironia. Il Generale Masiello è stato più secco e davanti alla mia telecamera, subito dopo l’atterraggio e con ancora il paracadute avvolto tra le braccia ha dichiarato: “…un’altra pagina di storia scritta dalla Folgore” e in questa pagina di storia io e Giuseppe ci siamo ricavati il nostro angolino, a margine, molto ma molto a margine, ma ci siamo anche noi due. NOTE 1 - Questa scritta è riportata su una piccola lapide sotto la Bandiera italiana a Farah. È impossibile non soffermarsi e riflettere su queste parole che sintetizzano la tragedia della morte di tutti i nostri soldati caduti in Afghanistan. Attraverso queste parole Il dolore ormai muto degli amici e delle famiglie diventa il simbolo di una storia italiana. Una storia scritta da gente pulita e coraggiosa, ma spesso dimenticata subito dopo la solennità dei Funerali di Stato. Alessandro era un ragazzo di 25 anni, primo caporale della XXII Compagnia “Angeli Neri” dell’8° Reggimento Guastatori Folgore. Gente diversa e rara, che svolge un lavoro molto rischioso che affronta con nobile coraggio. Il moto dell’8°Reggimento Guastatori Paracadutisti recita: “AVANTI E’ LA VITA”. Solo chi ha vissuto il privilegio di vedere all’opera questi ragazzi può provare a capire, ma forse solo in parte, il significato profondo di queste parole.

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Sonni

TRANQUILLI Bakwa, Task Force South-East, agosto 2011 Ogni sera qui Bakwa, prima di cena, il colonnello Lorenzo Daddario convoca il briefing a cui io e Giuseppe Lami siamo stati invitati a partecipare per tutta la durata della nostra permanenza, una prova di stima che ci accomuna ancora di più ai soldati della Task Force South-East. Durante il briefing i responsabili dei vari settori illustrano con delle slide di power point la situazione di loro competenza in un grande monitor, perché nonostante la base sia fatta di tende e costruzioni da bricolage ricavate da pallet e legno delle casse da imballaggio, l’informatica è presente in ogni attività e funziona tutto alla perfezione. Come per esempio i gruppi elettrogeni che assicurano l’energia elettrica per i sistemi TNM ••• 098

elettronici, ma anche per tutta la base, compresi i condizionatori, indispensabili per portare la temperatura delle tende a condizioni più umane. I servizi igienici e le docce sono dei rimorchi campali, molto tecnici, mentre i lavandini situati all’aperto sono dei grandi lavatoi in lamiera resa rovente dal sole implacabile, anche l’acqua potabilizzata dei rubinetti e delle docce è perennemente calda, a volte anche troppo: qui d’estate non serve accendere lo scaldabagno, andrebbe refrigerata. Bakwa è il Comando Generale della Task Force South-East che controlla direttamente l’avamposto di Buji e in Gulistan la FOB Ice che controlla a sua volta la COP Snow; il Comandante della FOB Ice, il Tenente Colonnello della


ale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN Sopra: il Colonello Lorenzo Daddario mentre tiene un briefing mattutino ai suoi ufficiali Sotto: il Colonello Lorenzo Daddario mentre controlla la mappa dell’aerea dii sua competenza

Folgore Sergio Cardea, partecipa anche lui al briefing in video conferenza e insieme al suo staff fa il suo report quotidiano e adegua la sua attività alle direttive del Comandante la Task Force che, a sua volta, si interfaccia sempre in video conferenza ma in una seduta ristretta e riservata con il Quartier Generale di RC-W ad Herat. Nei briefing viene trattato ogni minimo aspetto della vita della Task Force, dalla situazione tattica sino alle singole problematiche individuali passando attraverso i notam dell’intelligence. Questa mattina, secondo il briefing, arriveranno due elicotteri che scaricheranno derrate alimentari, acqua potabile e chi sa cosa altro. Alle 9.30 andiamo a filmare e fotografare questa attività, la temperatura è già altissima ed il treppiede della telecamera, di alluminio anodizzato, non si può toccare senza guanti. Davanti alla porta carraia ci sono delle piccole tettoie per proteggersi dal sole e tutti gli uomini della base che non sono in servizio hanno il compito di partecipare allo scarico degli elicotteri e così, pian piano, la piazzola si riempie come una fermata della metropolitana. Quando il TOC (Tactical Operations Center), la sala operativa della base in funzione 24 ore su 24, annuncia via radio l’arrivo degli elicotteri escono i Lince che cinturano la zona e la tengono sotto il tiro delle loro Browning da mezzo pollice mentre all’uscita della carraia sono pronti i rimorchi ed una gru. Tutta l’attività di protezione tattica di ciò che succede è sotto il controllo del pallone frenato dell’US Navy ancorato in un’apposita zona della base che è interamente cablata; da una quota di circa 800 metri il pallone scansiona con le sue telecamere multi banda, FLIR e altre diavolerie da guerre stellari l’intera area per un raggio di molti chilometri. È gestito da contractor americani Comandanti da un anziano sottufficiale in pensione della marina americana. Ogni movimento di persone o mezzi, di giorno e di notte, viene taggato dagli strumenti posti sul pallone ed il TOC può chiedere agli operatori ingrandimenti o altri dettagli. Se poi le immagini del pallone generano dei dubbi viene fatto decollare il Raven, un piccolo drone che sembra un aeromodello radiocomandato e che come tale viene lanciato a mano; anche questo piccolo aereo è pieno di diavolerie elettroniche miniaturizzate quanto efficienti e permette al TOC, ma soprattutto al reparto in azione sul campo, di vedere da pochi metri di quota quello che succede. Questo sistema di controllo permette di limitare al minimo l’impiego di vedette e sentinelle ma anche di esporre il personale a rischi inutili evitando danni collaterali alla popolazione civile. Il primo comandamento della Task Force è sicurezza a 360° e massima attenzione per i civili. Se tutto questo apparato di controllo e dissuasione non dovesse bastare allora si passa, come vedremo, da guerre stellari alle vecchie, affidabili pallottole. In Afghanistan gli elicotteri per motivi di sicurezza volano sempre in coppia, quelli che stiamo aspettando arrivano sulla base molto alti e perdono quota attraverso una lunga e lenta spirale; sono due Mil-8 bianchi con sulla coda le marche di identificazione civili della Moldavia, ma

volano anche loro con procedure militari, i piloti sanno il fatto loro e soprattutto sono coscienti dei rischi del loro lavoro. Il terrore di tutto il contingente ISAF è che compaiano sulla scena missili antiaerei lanciabili a spalla, come lo Stinger, che diede il colpo finale ai sovietici durante la loro invasione. Secondo i servizi di intelligence gli insorgenti li avrebbero già o stanno brigando per averli (gira voce che in Libia “qualcuno” ha svuotato un arsenale dove erano custoditi i clone iraniani dello Stinger) e così nel dubbio tutte le procedure di volo in Afghanistan prevedono un assetto che tenga conto di questa eventualità. Appena gli elicotteri atterrano i soldati si dirigono verso le piazzole, che sono dei grandi teloni di plastica pesante fissati al suolo con vecchi pneumatici appoggiati sopra; è l’unico modo per impedire che i rotori alzino nuvole di polvere, che si infiltra dovunque, ed è la vera ossessione del luogo. Qui è tutto beige a causa di questa polvere fine come talco che copre ogni cosa, l’unica macchia di colore è la bandiera italiana ripulita continuamente da una brezza quasi perenne e che si staglia rassicurante in un cielo azzurro e terso. In pochi minuti gli elicotteri vengono svuotati del loro contenuto con una veloce catena di prendo-e-passo che nei movimenti ricorda un saggio ginnico. Nella catena sono inserite anche alcune delle poche ragazze del 186° che fanno le stesse cose dei “maschietti” e a quanto sembra altrettanto bene, come la TNM ••• 099


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ragazza che guida l’ambulanza e che è già intervenuta professionalmente in situazioni che chiunque avrebbe preferito evitare di vedere o la graziosa minex della XXI compagnia dell’8° Guastatori, che avevo già incontrato alla sua prima missione in Libano, quasi due anni prima, che ha individuato numerose mine e trappole esplosive e di cui ho visto l’accresciuta sicurezza professionale. Con la stessa rapida procedura gli elicotteri decollano e tutti noi rientriamo in base soddisfatti: stasera a cena avremo in tavola un nuovo menù. La notte a Bakwa ci si addormenta a pelle di leone per il caldo, la fatica ed i disagi (non parlo naturalmente solo di me che sono, come dire, leggermente vintage) ma qui tutti lavorano sodo e nessuno ha tempo per soffrire di insonnia. Fare i lavativi da queste parti è come se un cardinale vestito di rosso cercasse di passare inosservato in mezzo ad una folla di monache vestite di bianco. Guardie, pattuglie, servizi vari e riunioni si susseguono con un ritmo solo apparentemente lento, ma in realtà inesorabilmente continuo, giorno dopo giorno per sei mesi o più, lontano da tutto quello che qui non c’è e che si può solo sognare, come una semplice birra fredda, le lenzuola al posto del sacco a pelo ed il cibo servito su un vero piatto e la rassicurante presenza dei propri affetti. La cosa sorprendente e che nessuno si lamenta ed i Paracadutisti del 186° e dell’8° trovano il tempo e soprattutto la voglia di fare ginnastica e attività di fitness nei rari momenti liberi. Basta seguire il suono di qualche pezzo di hardrock sparato a tutto volume e li vedi che sollevano pesi e potenziano gli addominali con strumenti improvvisati ma efficaci. L’unico diversivo è internet grazie ad una connessione satellitare WIFI molto efficiente che permette di comunicare con la famiglia, TNM ••• 100

sicuramente la privazione più pesante. La storia di chi aspetta a casa si meriterebbe le stesse attenzioni mediatiche di chi opera al fronte e prima o poi andrebbe raccontata. Durante la notte si sentono spesso i colpi secchi di armi automatiche ma non ci fa caso nessuno ed anche noi ci siamo abituati subito senza interrompere il sonno, pur restando come tutti vigili: esiste un sonno ristoratore da vita quotidiana ed un sonno tattico, qui ci si riposa con questo. I colpi di AK47 sono sparati (ma non sempre) dai militari afghani dell’ANA che hanno il campo confinante con il nostro e nel dubbio, quando qualcosa non li convince, prima sparano. I Paracadutisti del 186° qui a FOB Lavaredo sono molto più attenti, la vita degli altri è altrettanto sacra quanto quella dei nostri e se intervengono con le armi non è mai per caso. Quando il sistema di controllo individua situazioni di potenziale pericolo, in realtà abbastanza frequenti, scatta una procedura di reazione che è sempre proporzionata al pericolo stesso, alla sua distanza e alla sua reale consistenza e può anche coinvolgere i Paracadutisti del plotone mortai che allora sparano un colpo del ThomsonBrand rigato da 120 mm di calibro. In questo caso anche se vuoi dormire o continuare a fare l’indifferente non ci riesci. La terra trema accompagnata da un tonfo sordo come per lo schianto di una locomotiva lasciata cadere da qualche decina di metri di altezza e, dentro la tenda, quintali di polvere stratificata dovunque si spandono nell’aria per il contraccolpo. Se il primo colpo di mortaio, a volte costituito da un artificio illuminante, non dovesse bastare e la situazione viene ritenuta critica, scatta l’allarme e smadonnando ci si ritira dentro i rifugi. A quel punto il TOC valuta la situazione e prima di far sparare raffiche di


ale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN a destra: scarico materiali di pima necessità da un elicottero MI8, di una societa’ di ‘’Contrattors’’a sinistra: un Tiratore Scelto del 186°

mitragliatrici di tutti i calibri, secondo lo stile dei militari afghani, chiama i tiratori scelti della QRT (Quick Reation Team) che si piazzano sulle altane, dove esistono degli appositi siti di tiro costruiti da loro stessi in base alle esigenze della loro speciale attività. Il compito degli snipers della base è quello di dissuadere con un tiro selettivo gli insorgenti, anche nottambuli, che provano continuamente a fare qualche scherzetto, magari solo per guastare il sonno. Questa massa variegata di delinquenti comuni è rappresentata da taglieggiatori, usurai, sgherri di latifondisti, tagliagole a pagamento e trafficanti di tutto quello di illecito in cui si può trafficare, vite umane e bambine comprese: giustificano il loro operato perché convinti di essere illuminati dalla luce del verbo di Allah, sostenuti moralmente anche da alcuni italiani e da certa stampa a cui di Allah e del suo Profeta non glie ne frega niente ma inneggiano con passione ai nemici dell’occidente, qualunque essi siano. Gli insorgenti sanno bene che le loro armi più efficaci per dissuadere la popolazione dall’intraprendere contatti con gli infedeli sono la vessazione oppure mostrare che i soldati infedeli sono vulnerabili. Così piazzano IED anche lungo percorsi improbabili e magari li lasciano dormienti per molto tempo, se poi su uno di questi IED ci salta sopra una motocicletta con quattro persone a bordo di cui due bambini o un piccolo bus pieno come un uovo, come è già successo, per loro non cambia nulla, il messaggio al popolo supino arriva lo stesso.Per guastare il sonno di quelli che dormono dentro le basi che ritengono particolarmente moleste per i loro traffici (e Bakwa è per loro una vera spina nel fianco) questi galantuomini a volte ricorrono anche ad uno specialista del Snajperskaja Vintovka Dragunova ovvero uno sniper armato del vecchio e forse non precisissimo, ma comunque letale, Dragunov . Del resto chi lo può mai dire? Prova e riprova Allah potrebbe anche guidare il colpo. Questi coraggiosi guerriglieri poveretti vanno capiti: tutte le volte che hanno provato ad ingaggiare uno scontro diretto con i nostri Paracadutisti le hanno sempre prese di santa ragione.Tutti gli insorgenti sono a libro paga di qualcuno, normalmente è un mullah a gestire questi rapporti per conto del capobastone dei traffici locali o di qualche latifondista che conferisce ai mullah l’ushur, cioè la decima parte del raccolto e dei traffici. Il mullah e i suoi soci in affari non capiscono perché una situazione così vantaggiosa per loro, che è andata avanti praticamente da sempre, debba cambiare e ad opera di stranieri miscredenti che sostengono un governo centrale, per giunta macchiato dal disonore della democrazia, reale o parziale che sia, che dista un milione di chilometri dalla loro cultura. Un insorgente a libro paga può guadagnare anche più del doppio di un soldato dell’Afghanistan National Army, ma uno sniper dotato di un buon fucile e che magari ci coglie può guadagnare molto di più, anche l’equivalente di 500 dollari che qui sono veramente molti soldi oppure, se è un free lance, può anche essere pagato a cottimo per specifiche missioni di disturbo. Fonti dell’intelligence riportate da alcuni magazine inglesi e americani hanno riferito che nella

provincia dell’Helmand siano apparsi dei fucili di precisione H&K e anche qualche Barrett; anche la guerra santa ha bisogno della tecnologia occidentale. Per fare fronte a questa minaccia l’area che circonda la base è identificata per un raggio molto vasto da precisi target, settori di tiro e riferimenti. I tiratori scelti del 186° raggiungono le loro postazioni anche di notte e una volta identificati i loro bersagli decidono di intervenire in base a varie considerazioni tattiche e meteorologiche o con il Barrett M107 cal. 12.7 (che botto ragazzi!) o con il Sako .338 Lapua Magnum che sarà pure più piccolino ma anche lui fa tanto rumore ed anche tanta “bua”. Il Barrett viene soprattutto usato per colpire bersagli protetti da un riparo o particolarmente lontani. Il puntatore traguarda il target (già identificato da una serie di rilevamenti precedenti) conferma i dati al tiratore che spara, infilando i suoi colpi in “bersagli virtuali” che vanno dai 25x25 cm di ingombro in su, a seconda della distanza che a sua volta varia dai 500 metri a circa duemila. Periodicamente il team riverifica i target sul terreno e tiene allenate le proprie capacità sparando alcuni colpi. Se poi nel caso di un tentativo di disturbo o di collocazione di un IED gli insorgenti dovessero insistere e non si fanno intimidire dai colpi di dissuasione, la situazione diventa “politicamente scorretta” ed il fuoco da selettivo e intimidatorio diventa di neutralizzazione che è un modo “politicamente corretto” per dire che la vita di quegli insorgenti è nel dito indice del nostro tiratore scelto che prima di tirare il grilletto ci pensa, eccome se ci pensa, ma se quelli proprio non vogliono capire, allora i nostri potrebbero fare la “bua finale” a quegli “eroici difensori della libertà” che potrebbero così volare felici nel loro paradiso riservato ai combattenti della jiahd dove sono attesi da ben 70 vergini 70: ma tutto questo nel pieno rispetto dei nostri caveat e delle restrittive regole d’ingaggio imposte da ISAF. TNM ••• 101


speciale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN speciale A Nelle seguenti foto, militari italiani in attività operative

Sparare

A VANVERA

In Italia c’è un Codice Militare di Guerra ed uno di Pace. Non esiste un Codice Militare per le operazioni di mezzo, quelle che genericamente vengono definite con termini tipo peace keeping, operazione umanitaria, conflitto asimmetrico etc. Sino al 2010 se un veicolo militare italiano veniva colpito durante un combattimento finiva sotto sequestro giudiziario ed immobilizzato dalla Procura Militare di Roma, presente in Afghanistan tramite i Carabinieri che aprivano un’inchiesta. Pertanto presso l’aeroporto di Herat sino all’autunno scorso erano schierati numerosi Lince apparentemente abbandonati in attesa dell’arrivo da Roma del Procuratore Militare o che terminasse l’istruttoria nella quale il veicolo era considerato oggetto giuridico. Adesso TNM ••• 102

questa incongruenza è stata finalmente soppressa ed il Ministero della Difesa già da tempo ha avviato uno studio per sviluppare un appendice ai Codici Militari, inserendo regole adatte ai nuovi contesti in cui operano ed opereranno i nostri contingenti militari coinvolti in operazioni genericamente definite di peace keeping. Sicuramente queste norme verranno sviluppate dall’apposita Commissione di esperti senza interferenze da buonismo clericale e populismo televisivo, scrivendole con termini netti e precisi che non lascino dubbi nell’interpretazione essendo il loro scopo quello di salvaguardare la vita umana come bene supremo, anche quella degli avversari, ma soprattutto quella dei nostri soldati.


ale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN

I caveat, dal latino “stai attento” sono le direttive che compongono le Regole d’Ingaggio o ROE, acronimo dalle iniziali inglesi di Rules of Engagment, che stabiliscono i limiti dell’uso della forza di un reparto in teatro operativo e sono dettate dai governi dei singoli stati. I contingenti delle varie nazioni presenti in Afghanistan operano nel rispetto delle ROE codificate dalla NATO, a loro volta interpretate in maniera restrittiva dai caveat nazionali che sono ovviamente dettati anche da considerazioni di politica interna. Nel caso specifico afghano il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, sempre criptico nelle sue comunicazioni, ha inaspettatamente diramato nel 2007 due chiare e distinte risoluzioni che hanno ispirato la portata delle ROE, conferendo alla NATO e quindi ad ISAF il preciso incarico di “…combattere la minaccia dei terroristi e dei narcotrafficanti, con particolare riferimento a quella posta dai Talebani, da al-Qaeda e da altri gruppi estremisti prendendo ogni misura necessaria per adempiere al mandato”. Tra i membri del nostro Parlamento ci sono alcuni esponenti condizionati da un pacifismo di maniera che considera un fuciletto a tappi pericoloso e diseducativo ed il bambino che ci gioca un deviato e spesso cercano di argomentare i loro pregiudizi tirando in ballo l’Articolo 11 della nostra Costituzione o facendo un generico riferimento alle Regole d’Ingaggio, dimostrando spesso di non conoscere bene nessuna delle due cose. I nostri soldati sono addestrati ad operare in ambienti ostili e pericolosi nel pieno rispetto del mandato ricevuto dal Parlamento, consapevoli che trasgredire ai caveat imposti può significare anche un processo per omicidio davanti al Tribunale Militare. Lo scopo delle

ROE infatti non è solo quello di proteggere l’avversario da un’arbitrale uso della forza ma anche quello di condizionare l’operato delle forze in campo disegnando i limiti all’interno del quale possono operare liberamente per adempiere al compito affidatogli. Insomma prima di parlare di cose malamente orecchiate mi permetto di consigliare ad alcuni membri del Parlamento, esponenti del clero ed operatori dei media più radicali di attivare, adeguandosi almeno una volta alle procedure militari, una piccola check list. In tal modo potrebbero per esempio verificare, prima di una pubblica esternazione, che l’interruttore che collega il cervello alla lingua sia stato messo in posizione di ON evitando così meschine figure che alla lunga potrebbero incrinare la loro credibilità. TNM ••• 103


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Il catalogo delle cose

CHE NON SI POSSONO COMPRARE Bakwa, 3 agosto 2011 FOB Lavaredo Siamo rientrati da una una RON (Rest of Night) la cui traduzione italiana, il “resto della notte” è quasi un verso poetico e subito dopo, se mai avessi avuto dubbi su che cos’è da sempre la mentalità paracadutista, questi sono stati definitivamente spazzati via. Durante la RON e la successiva azione tattica dell’alba successiva ero stato definitivamente ed ufficialmente “reintegrato”, con mio grande orgoglio, come elemento “anziano” nella XIV Compagnia Pantere. Il capitano Salvatore Piazza prima di muovere verso il villaggio di Barghanà per un’altra missione, questa volta di food delivery, mi ha invitato a partecipare ad una foto di gruppo la cui dinamica era stata segretamente concordata con Giuseppe Lami. Mi inseriscono nel gruppo per la fotografia come un “membro di riguardo” della Compagnia e ad un comando convenuto tutti i Paracadutisti, sia quelli a terra che sopra il tetto dei Lince, ad incominciare dal capitano Piazza sino al più giovane paracadutista, si sono messi a pompare per il nonno, per me. Per non perdere gli ultimi stracci di dignità e non mettermi a frignare come un vitello ho avuto la forza di gridare per tre volte PANTERE! TNM ••• 104

e loro continuando a pompare hanno risposto urlando Folgore! Si può comprare tutto, donne, uomini, un seggio in Parlamento, macchine, case, droga, gioielli, salute ed innumerevoli altre cose ma il 4 agosto del 2011 a Bakwa i Paracadutisti della XIV Compagnia Pantere mi hanno regalato l’esclusivo “Catalogo delle Cose che non si Possono Comprare” con una prima pagina piena di significati e che durante la nostra permanenza in Afghanistan si è ben presto arricchito di altri articoli esclusivi. Bakwa, 4 agosto 2011 FOB Lavaredo Tutti i soldati italiani e i membri dei corpi militarizzati dello Stato che abbiamo incontrato qui in Afghanistan in questi ultimi 12 mesi sono veramente in gamba, equilibrati e professionali: persone normali che tra mille difficoltà fanno molto bene un lavoro anormale. Tra tutti questi i “ragazzi” del 186° Reggimento Paracadutisti ed i Guastatori della XXI Compagnia dell’8° Reggimento di Legnago che presidiano il distretto di Bakwa hanno qualche cosa di speciale, che scorre nelle loro vene e che lubrifica i loro cuori. Ieri notte eravamo stipati dentro la tenda che fa da mensa, dove abbiamo assistito alla consegna dei gradi di capitano al tenente Giovanni Cercone da parte del colonnello Lorenzo Daddario che

ha anche fatto un discorso di addio ai suoi Paracadutisti, a cui aveva già inviato ad uno per uno una sua lettera, perché sta per lasciare il comando del 186°. Al momento del commiato i suoi ragazzi lo hanno ringraziato urlando Folgore! Poi, spontaneamente, hanno intonato “Quando più aspra in guerra....” Il Comandante del 186° che aveva già abbandonato la tenda è rientrato dalla porta posteriore ed in piedi sulla tavolata centrale della mensa ha cantato con i suoi Paracadutisti. Non esistono parole, video e fotografie per descrivere o raccontare le emozioni ed i sentimenti che hanno scompigliato i pensieri di tutti quanti. Un momento magico che ha fatto vibrare le corde dell’anima ed anche io, nonostante


ale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN speciale AFGHANISTAN Prima di partire per una missione, i Paracadutisti del 186° Reggimento Folgore, onorano a modo loro l’ Anzianità di Brevetto del nostro inviato Antonello Tiracchia

I Paracadutisti del 186° posano per una foto di gruppo, prima di uscire per una missione di clear

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Il Colonnello Lorenzo Daddario canta insieme ai suoi Paracadutisti “ “Quando più aspra in guerra...” Il Capitano della XIV Compagnia Pantere, durante un briefing prima di una missione.

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Il Capitano Piazza insieme ad alcuni suoi Ufficiali ed Antonello Tiracchia.

il mio consolidato cinismo, nascosto dietro la telecamera ho sentito gli occhi inumidirsi al punto tale che non riuscivo più a mettere a fuoco e anche adesso che scrivo faccio fatica a controllare le emozioni nel tentativo di raccontare questo privilegio che la vita ha riservato a me ed al mio compagno d’avventura Giuseppe Lami. Ecco perché come scrivevo nei quotidiani report sulla nostra fanpage il nostro vero “salario” sono i commenti di chi ci legge e guarda i nostri video e i reportage fotografici. Commenti che ci hanno spinto a lavorare sempre con maggiore impegno, rubando ore al sonno dopo giornate certamente non rilassanti, per divulgare le storie e le esperienze degli italiani in uniforme, così degnamente rappresentati dai Paracadutisti della FOB Lavaredo, qui a Bakwa, Afghanistan, nel mese di agosto dell’A.D. 2011. Herat, 9 agosto 2011 Camp Arena, sede del RC-W È difficile a volte per chi fa il mio mestiere, anche se cerca di essere

Il Generale Carmine Masiello, dopo l’intervista, sistema il Basco al nostro inviato.

privo di preconcetti, estraniarsi da ciò che vive e prova perché spesso le immagini ed i testi che le accompagnano sono filtrati dalla propria storia, dalle emozioni del momento e da sentimenti personali. Le righe che seguono sono un fatto molto personale ma che nasconde una grande verità: è la conferma che “il catalogo delle cose che non si possono comprare” può diventare sempre più vasto per chi ha voglia di continuare

a cercare, qualunque sia la sua età. Per esempio trovarsi ad Herat, Afghanistan nord occidentale, ed avere l’onore di farsi sistemare il basco dal Generale Carmine Masiello, Comandante della Brigata Paracadutisti Folgore e Comandante del RC-W e poi posare shoulderto-shoulder insieme a lui, per una ripresa video ed una fotografia, è un’altra di quelle realtà che non si possono comprare. TNM ••• 107


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Alcuni Paracadutisti schierati durante la Cerimonia all’interno dello stadio Picchi di Livorno

22 ottobre 2011

LIVORNO

« Paracadutisti si nasce, come disse il Maggiore Alberto Bechi Luserna, poi ci si diventa in virtù di eventi e dell’addestramento. Ma Se non si ha quello spirito particolare non si va fare il Paracadutista. Si possono fare anche cose più pericolose ma non il Paracadutista Militare. » Santo Pelliccia, classe 1923, reduce di El Alamein. Dal documentario “Brigata Paracadutisti Folgore” di Professione Difesa

Con il suo giaccone mimetico, l’elmetto e altri simboli della sua vita Santo Pelliccia è stato li, in piedi per due ore, come tutti gli schieramenti di Paracadutisti e di esponenti delle altre Forze Armate italiane reduci dall’Afghanistan che sono affluiti presso lo Stadio Picchi di Livorno. Anche lui schierato, al posto che gli spetta per diritto: al fianco del dispositivo delle Bandiere di Guerra della Brigata Paracadutisti Folgore. Stare in schieramento e partecipare ad una cerimonia ed ascoltare i discorsi è faticoso anche per un giovane parà ma Santo Pelliccia era li, immobile e fiero come un leone indomito. La domenica precedente aveva fatto un lancio in tandem da quattromila metri per ricordare a se stesso, stupendo noi tutti, che Paracadutisti si nasce e chi lo scopre rimane tale per tutta la vita. TNM ••• 108

In una giornata piena di significati e avvenimenti che hanno animato i sentimenti delle migliaia di persone giunte da tutta Italia per commemorare il 69° anno della battaglia di El Alamein, festeggiare il rientro della Folgore dall’Afganistan e salutare il Generale Carmine Masiello che passava il Comando al Generale di Brigata Massimo Mingiardi, Santo Pelliccia è stato sicuramente il vincolo che lega la storia della Folgore alla sua realtà odierna. Se la Folgore è diventata una Leggenda lo si deve ai superstiti di quella che sono riusciti a tramandare i sentimenti per quei valori che, se sono essenziali per una qualsiasi nazione lo sono più che mai per la nostra Italia, attraversata da ombre barbariche. I giovani e non più tali che hanno colto il messaggio dei “Ragazzi della Folgore”


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Il Generale Mingiardi osserva il Generale Carmine Masiello mentre abbraccia il decano della Folgore Primo Maresciallo Giacomo Dessena, uno dei momenti più emozionanti della Cerimonia

sono ormai oltre 200 mila, perché questo è il numero dei Paracadutisti Militari che prima con la leva ed oggi con l’Esercito come professione si sono brevettati identificando nel dramma e nel coraggio di questi uomini un modello di vita, di lealtà e di tenacia; qualità che trasferite nella vita quotidiana sicuramente aiutano a diventare dei cittadini migliori. Durante la cerimonia ci sono stati momenti di grande coinvolgimento emotivo, come quando dopo il suo discorso il Generale Masiello, visibilmente commosso, ha salutato i suoi ragazzi in un momento della sua vita di Uomo, di Comandante e di Paracadutista che certamente ricorderà per sempre. Anche tutti i Paracadutisti che nel corso della sua carriera lo hanno avuto come Comandante lo ricorderanno consapevoli e fieri di avere vissuto insieme a lui una parabola importante della propria vita.

Il Generale Carmine Masiello consegna la Bandiera della Folgore al Generale Mingiardi

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Sfilata delle bandiere delle Associazioni, che rappresentano la continuità della nostra storia

Santo Pelliccia, uno dei Leoni di El-Alamein, è stato al centro dell’attenzione dei giovani Paracadutisti, per tutta la cerimonia.

Il Generale Carmine Masiello ha voluto salutare la Folgore, percorrendo una tappa di 10 km della staffetta, insieme alla sua scorta formata dai Paracadutisti del 185°. Al termine dei 10 km, la stanchezza è evidentemente superata dalla felicità del momento.

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Per un Ufficiale il contatto con i propri soldati è un’esperienza che ne rafforza il carattere permettendogli di applicare nell’esperienza del comando anni di studio e di impegno, verificando quotidianamente il proprio valore di Comandante, che prescinde dai gradi e di cui il personale sotto il suo comando è un giudice severo e inappellabile. Il prossimo incarico del Generale Masiello sarà al Ministero della Difesa, con un ruolo di grande prestigio e responsabilità che premia le sue capacità professionali ma probabilmente gli farà ricordare con nostalgia la sua lunga esperienza di comando sul campo di uno dei Reparti più prestigiosi delle nostre Forze Armate. Altre emozioni hanno ancora investito il pubblico quando il Ministro della Difesa ha conferito la Medaglia d’Oro al valore dell’Esercito “alla memoria” al Capitano Alessandro Romani e che è stata consegnata al padre, mentre una Medaglia d’Argento al valore dell’Esercito è stata consegnata al Primo Caporal Maggiore Elio Domenico Rapisarda e una Croce d’Argento al merito dell’Esercito al Maggiore Gianluca Iachini. La gloria ha un prezzo che a volte si paga con la vita ma che si conquista sempre con il coraggio e la responsabilità del proprio impegno nei confronti dei propri compagni d’armi. Da alcuni anni, ad opera di alcuni Paracadutisti dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia, in occasione della ricorrenza di El Alamein una staffetta di tedofori raggiunge Livorno partendo da Tarquinia, dove nel 1940 nacque la 1° Scuola Militare di Paracadutismo e da Tradate dove, dopo l’8 settembre del 1943, fu aperta la Scuola Militare di Paracadutismo della


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Durante la conferenza stampa del Ministro della Difesa Ignazio La Russa il Generale Carmine Masiello consegna al Ministro, il libro “Folgore Afghanistan 2011 “ edito da Tactical News Magazine.

R.S.I. e fu Ricostituito il Reggimento Paracadutisti Folgore. Giovedì 20 ottobre un gruppo di tedofori tutti membri dell’ANPdI è partito da Tradate per raggiungere Livorno, dopo trentatre tappe di 10 km mentre un altro gruppo è partito da Tarquinia il giorno successivo percorrendo 225 km sempre a piedi e di corsa. Al km 202 della via Aurelia il tedoforo dell’ANPdI di Roma ha passato il suo testimone al Generale Masiello che insieme a sei uomini della sua scorta, del 185° Rgt. RAO, ha percorso anche lui il suo tratto di 10 km: indossavano gli stivaletti tattici e la tuta mimetica e mentre correvano hanno più volte trovato il tempo di scherzare tra loro. Questa staffetta che è ormai diventata una tradizione non è una prova sportiva o un addestramento militare, è una testimonianza di valore ed un modello di comportamento il cui significato andrebbe diffuso nelle scuole e tra i giovani. Il 22 allo Stadio Picchi quattro di questi tedofori hanno aperto la cerimonia accendendo con le loro fiaccole un braciere mentre in quello stesso momento un altro tedoforo, a migliaia di chilometri di distanza, partiva dal Passo del Cammello, nel Fronte sud della Battaglia di El Alamein che fu presidiato dalla Folgore, ripercorrendo tutti i luoghi in cui ha scritto la sua storia: Naqb Rala, Qaret El Himeimat, Quota 105, Deir El Munassib, Deir Alinda, Bab El Qattara, Pista dell’Acqua per giungere infine il 23 ottobre al Sacrario Militare Italiano di Quota 33, data ufficiale della fine della 2° Battaglia di El Alamein. Al Sacrario ed alla presenza di numerose autorità italiane ed egiziane e di ben 33 Ambasciatori stranieri accompagnati dal loro Addetto Militare si è svolta la cerimonia di commemorazione. Alla

Egitto, 22 ottobre 2011- Passo del Cammello. Alzabandiera dei Tedofori di “congedati Folgore” che si aggingono a raggiungere El Alamein percorrendo i 116 km che attraversano tutto il fronte meridionale della Battaglia, che ha visto le Gesta della Folgore

staffetta dei tedofori ha partecipato anche il Maggiore Paracadutista Mustafa Ahmed dell’Esercito di Confine Egiziano che ha dichiarato di essere stato colpito dalla storia della Folgore e considera un onore aver avuto la possibilità di farne parte. Perché? Perché i Paracadutisti sono fatti così. TNM ••• 111


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il discorso del Generale

Livorno, 22 ottobre 2011

CARMINE MASIELLO brigata. Il mio saluto infine a tutti i tesserati dell’a.n.p.d’i. sempre vicini alla Folgore. Grazie a tutti di essere qui con noi! Dopo sei mesi di duro impegno nel teatro operativo afgano la Folgore, unitamente ad altri reparti, ha fatto rientro in patria. Rappresentanze di alcuni di questi reparti, appartenenti alla brigata ariete e alla brigata friuli, sono oggi schierati con noi. E ciò non per una mera questione formale, ma soprattutto per testimoniare l’unità di intenti con cui abbiamo operato per svolgere al meglio la complessa missione assegnata. Il mio primo pensiero, il pensiero della Folgore, va a coloro che non sono tornati con noi: Caporal maggiore Capo Gaetano Tuccillo, Caporal Maggiore Scelto Roberto Marchini, Caporal Maggiore Scelto David Tobini, Maggiore Matteo De Marco, Capitano Riccardo Bucci, Primo Caporal Maggiore Massimo Di Legge e Caporal Maggiore Capo Mario Frasca. Il loro sacrificio rappresenta un ulteriore sprone per continuare a svolgere al meglio la missione in quella terra martoriata. Lo dobbiamo a loro e a tutti quelli che hanno lasciato la vita non soltanto in Afghanistan ma anche in tutti i teatri operativi dove i soldati italiani sono stati chiamati ad operare. Bakwa, gulistan, farah, bala baluk, bala murghab, shindand sono solo alcuni dei nomi ai quali la Folgore ha voluto legare la sua storia. Il comportamento dei Paracadutisti è stato ancora una volta di esempio. E lo affermo con l’orgoglio del Comandante. Esempio non Signor Ministro, soltanto per la professionalità che avete dimostrato, ma Autorità, gentili Ospiti, Paracadutisti. soprattutto per la serenità ed il coraggio con il quale avete Innanzitutto, il benvenuto della Folgore a tutti voi alla affrontato i momenti più difficili. Serenità e coraggio che cerimonia odierna con la quale celebriamo la ricorrenza uniscono in una continuità di valori, i Paracadutisti di oggi e della battaglia di el alamein, il rientro del contingente quelli che circa 70 anni orsono hanno scritto una delle più belle isaf xvi e la mia cessione del comando della grande pagine di storia non soltanto del nostro esercito, ma del nostro unità. Non solo, oggi è anche l’occasione per il raduno degli paese. E voi, eredi di quei leoni della Folgore, avete scritto negli ex-appartenenti alla Folgore, numerosi sugli spalti, arrivati ultimi sei mesi un’altra pagina di storia della nostra Italia. Voi come ogni anno per rinsaldare i legami fra Paracadutisti che avete dimostrato di essere una delle più belle espressioni di ogni età, uniti da comunione di valori e ideali, sempre del “Made in Italy”, avete reso onore al tricolore, dimostrando orgogliosi di aver militato nei ranghi di questa straordinaria con i fatti ciò di cui siete capaci. Le vostre gesta rimarranno nei TNM ••• 112


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ricordi non soltanto degli afgani, ma di tutti coloro che sono venuti a contatto con la Folgore. Mi piace ricordare la frase di un film “…ciò che farete in vita rieccheggerà nell’eternità…” ed oramai dalle sabbie del Gulistan alla vallata del Murghab, i baschi amaranto hanno lasciato il segno, un segno che rimarrà nella storia. A voi ex-Paracadutisti della Folgore, a voi che scegliendo un giorno di indossare il basco verde e poi amaranto, a voi che avete scelto di appartenere per sempre ad un elite, la Folgore dice grazie. Poichè ciò che siamo oggi lo dobbiamo a chi ci ha preceduto, a chi ha creduto sin dall’inizio in questa bellissima realtà, a chi ci è stato di esempio dimostrandoci che non bisogna essere matti per lanciarsi da un aereo che funziona ma bisogna avere il coraggio e la determinazione per superare l’istinto di sopravvivenza. Quel coraggio e quella determinazione che non nascono dal nulla. I Paracadutisti non lo dimostrano quando si lanciano. No, i Paracadutisti lo dimostrano a terra. Lo hanno dimostrato ad El Alamein, resistendo oltre ogni umana sopportazione, resistendo all’attacco dei carri armati avversari a mani nude. E lo hanno dimostrato in Afghanistan, uscendo ogni giorno in attività operative con lo stesso coraggio e la stessa determinazione, ben sapendo i pericoli a cui andavano incontro. E non cito nessun evento perchè sarebbero troppi… Signor Ministro, gentili ospiti, eccoli schierati davanti a voi i degni eredi dei leoni della Folgore! Fra breve cederò il comando della Folgore, terminando la più bella esperienza della mia vita di uomo e di soldato. Con questo atto si chiuderà per me un’esperienza di vita iniziata 25 anni orsono. Oggi, quando lascerò i ranghi della Folgore, sarà per sempre e non potrò più ritornare. Da oggi in poi non potrò che essere un ex. Ma un ex che serberà per sempre nel cuore sino alla morte i ricordi di questi anni. È un momento non facile. Non vi tedierò con i sentimenti che mi animano. Però al termine di questa esperienza di vita vorrei esprimere alcuni ringraziamenti. In primis il mio ringraziamento da soldato italiano a tutti coloro che ci sono stati vicini durante i mesi afgani. Ringrazio lei signor Ministro per la sua continua vicinanza nei momenti difficili, ringrazio la linea di comando, soprattutto ringrazio il paese… perchè non ci siamo mai sentiti soli, abbiamo sempre saputo che alle nostre spalle, nella buona e nella cattiva sorte. C’era la spinta e il supporto di tutti quegli italiani che sapevano che laggiù, in Afghanistan, il tricolore sventolava ogni giorno, portatore di pace, di ideali a difesa della libertà di cui oggi noi tutti godiamo sul suolo patrio. Il mio ringraziamento poi quale Comandante della Folgore a tutte le città che ospitano le sedi dei nostri reparti. Grazie per il supporto continuo che ci date, per tutte le iniziative avviate e che sono sicuro continueranno per il benessere dei Paracadutisti e delle loro famiglie. Il mio ringraziamento, quale Ufficiale, a tutti i miei Comandanti, a tutti coloro che negli anni mi hanno guidato e che mi hanno fatto crescere consentendomi di giungere un giorno a comandare la Folgore. Grazie a tutti per gli esempi che mi avete dato: positivi e negativi. Per me sono stati sempre ammaestramenti.

Il mio grazie particolare alla mia linea di comando che Designandomi l’anno scorso alla guida di questa bellissima unità, ha creduto in me e mi ha dato la possibilità di coronare un sogno: comandare la Folgore in operazioni. Nessuna esperienza nella mia vita ha avuto o avrà mai lo stesso valore. Per me, paracadutista era la massima aspirazione. Il mio ringraziamento da marito e padre alla mia famiglia, a mia moglie Federica e ai miei due figli Maria Vittoria e Alessandro, che hanno supportato e sopportato in silenzio il mio sogno. Non potevo essere più fortunato. E attraverso la mia famiglia, ringrazio tutte le famiglie che ci sono state vicine soprattutto in questi ultimi sei mesi. Mogli, figli, madri, padri, fidanzate che hanno vissuto a circa 5000 chilometri negli ultimi sei mesi. Alcuni supportandosi a vicenda, e vorrei menzionare ad esempio l’iniziativa del sito “roba da fidanzate di un parà” attraverso il quale mogli e fidanzate si sono fatte coraggio a vicenda nell’attesa del rientro del proprio caro. Altri invece vivendo l’angoscia della solitudine. Per loro è stata più dura che per noi. Lo so. Per chi è in operazioni vi è la coscienza continua di ciò che stiamo facendo, per chi è a casa vi è l’angoscia di non sapere e la preghiera e la speranza che nessuno bussi mai alla porta di casa… Ed infine, perchè è il ringraziamento più importante, quello da paracadutista. Il mio grazie, a nome di tutta la Folgore, al colonnello alessandro albamonte, vittima di un vile attentato, per quanto ha fatto per la brigata e per l’esempio che sta dando a tutti noi. Grazie sandro fatti forza, siamo tutti con te! Grazie a Voi, Paracadutisti di ogni ordine e grado. Grazie ai Comandanti, perchè hanno comandato con l’esempio, senza mai nascondersi dietro al grado e dimostrando con i fatti cosa vuol dire essere leader. Chi non è stato all’altezza ha abbandonato, perchè i suoi uomini gli hanno fatto capire senza mezzi termini che i Paracadutisti non si comandano con dei tubolari. Grazie ai Sottufficiali della Folgore, cuore della nostra unità. Grazie perchè siete stati in ogni momento della mia carriera dei maestri insegnandomi tanto e trasmettendomi più di ogni altro l’orgoglio di essere paracadutista. Grazie a Voi, splendidi soldati della Folgore, perchè avete dimostrato ancora una volta il vostro valore, perchè mi avete seguito, perchè mi avete obbedito, perchè mi avete riconosciuto come Comandante. Siate fieri della scelta di vita che avete fatto, del basco che portate. In esso è racchiuso il nostro passato, i nostri valori, le gesta di chi ci ha preceduto. Ricordate per sempre cosa dice una nostra bellissima canzone: “ bagnando il basco in una pozza di sangue si fece il simbolo di tutti noi parà ”… Nel sangue di chi ci ha preceduti c’è il valore del nostro essere Paracadutisti. A tutti voi “buona fortuna sotto cielo senza tempesta su pista con pozzi generosi e senza predoni”. Grazie Folgore!!! TNM ••• 113


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LCR – Lightweight

Compact Revolver Lo snub-nose dal peso piuma Di FABIO ROSSI - Foto di Michele FARINETTI L’AZIENDA Al pubblico è nota con il nome di RUGER - abbreviazione di Sturm Ruger & Company – ed è una società fondata nel 1949 da William B. Ruger e Alexander Sturm McCormick, in un piccolo magazzino a Southport, nel Connecticut. Si tratta del quarto più grande produttore di armi da fuoco negli Stati Uniti. Dalle sue officine sono usciti fino ad oggi oltre 20 milioni di armi, tra cui fucili bolt-action, semiautomatici e full-auto, shotgun, pistole semiautomatiche e revolver a singola e doppia azione. I pezzi forti sul mercato americano sono la carabina in calibro 22LR denominata 10/22 e le pistole, sempre nello stesso calibro, Ruger MK II e Ruger MK III, il successo di questi prodotti è dovuto all’ottimo rapporto qualità7prezzo, in quanto poco costose e di buona qualità costruttiva, così come è ricca la varietà di TNM ••• 117


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accessori e customizzazioni aftermarket. Attualmente l’azienda è quotata in borsa ed utilizza tecniche di produzione all’avanguardia, che le permettono di poter soddisfare egregiamente le esigenze degli appassionati e dei professionisti dei settori: caccia, tiro, collezione, difesa personale e military/law enforcement. In quest’ultimo settore troviamo la carabina in cal. 5,56 NATO Ruger Mini 14, che ritengo sia la più conosciuta ai Nostri lettori nelle sue molteplici configurazioni, dalla classica con calciatura in legno alla più “cattiva” in configurazione tattica con accessori in tecnopolimero. STRUTTURA Con la produzione di quest’arma l’azienda ha praticamente demolito il tabù dell’impiego dei materiali plastici nella costruzione dei revolver. La sua struttura principale è suddivisibile in due parti: il fusto, che include il meccanismo di scatto e l’impugnatura. costruito in tecnopolimero, rinforzato con fibra di vetro, ad alta resistenza ed il castello superiore, formato da un telaio monolitico che incorpora la canna ed il tamburo. Quest’ultimo ( il castello superiore ) è composto da una lega di alluminio aerospaziale del gruppo 7000 (leghe alluminio/zinco e magnesio), più comunemente noto come Ergal, con una finitura superficiale molto resistente denominata Synergistic Hard Coat. L’assemblaggio delle parti è affidato a due viti tipo torx; la prima alloggiata nella porzione posteriore alta della gobba del castello, mentre la seconda, di dimensioni maggiori, penetra parallela al tamburo nella parte frontale del fusto, sopra al “trigger guard”. Il tamburo ha un diametro di 32,5 mm,

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alloggia cinque camere di cartuccia calibro 38 Special, ha una rotazione antioraria e bascula lateralmente a sinistra ed è ’ in acciaio inox martensitico AISI 400. L’acciaio AISI 400, è un particolare acciaio al solo cromo, dalle caratteristiche meccaniche molto elevate e ottimamente lavorabile alle macchine; è l’unico acciaio inox che può essere sottoposto a tempra- procedimento che ne aumenta, pertanto, le proprietà meccaniche del carico di rottura, del carico di snervamento e della durezza- grazie a questo procediment, è possibile poter gestire al meglio le alte pressioni delle cariche +P. Particolari e profonde sono le fresature di alleggerimento che lo percorrono e che contribuiscono a contenere il peso finale del revolver in soli 385 grammi. Il tamburo ha un particolare processo di finitura denominato Advanced Target Gray, che Ruger utilizza su alcuni revolver inox per ottenere un risultato unico, che mantiene inalterate la resistenza alla corrosione e la durata nel tempo, e fornisce, nel contempo, un ulteriore effetto antiriflesso alla superficie del metallo. La canna ha una lunghezza di circa 2 pollici con sei righe a passo destrorso di 406 mm, è forgiata in acciaio inox 17-4 PH ed è intubata all’interno del fusto. Anche il grilletto è in acciaio inox con finitura bianca; il meccanismo su cui agisce è progettato per la sola doppia azione ed utilizza un sistema di percussione indiretto, composto da un cane interno con percussore flottante. La chiusura del sistema si determina solamente nella parte anteriore del tamburo tramite l’astina dell’estrattore, assemblata con alcune parti in titanio. Una particolare attenzione deve essere rivolta all’impugnatura, progettata in


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Rosata 15 mt. due mani munizioni fiocchi 38 special semi jacket soft point 158 gt.

collaborazione con la Hogue e denominata “Tamer”, la cui traduzione siginfica “Domatore”… e rende bene l’idea!!! E’ prodotta in materiale gommoso, e nell’ interno della parte dorsale, troviamo un rinforzo in Sorbothane, un materiale dissipatore di energia adatto ad assorbire gli shock da vibrazione. I congegni di puntamento sono i classici presenti su di un revolver destinato alla difesa e comprendono: una tacca di mira fissa ad “U”, scanalata sul ponte del castello e che lo percorre interamente e un mirino intercambiabile a rampa con un design studiato per facilitare l’estrazione ed impedire impuntamenti anche portando l’arma in una tasca. Anche su questo revolver la casa madre ha previsto la possibilità di poter bloccare il grilletto tramite un “safety lock”, accessibile dopo aver tolto l’impugnatura monolitica ed interagibile con l’apposita chiave in dotazione. REPORT DELLE PROVE Non sono mai stato un amante del revolver, forse perché ho sempre portato in fondina una semiautomatica, tranne per un breve periodo in cui ho cercato di familiarizzare, con scarso successo, con uno Smith & Wesson modello Bodyguard, ma quando ho impugnato per la prima volta la LCR ho avuto una sensazione diversa. La mia fantasia è volata immediatamente all’utilità pratica, dettata dalle ridotte dimensioni e dal peso “piuma” di questo revolver, sicuramente indicato per la difesa personale civile ma anche come “back-up” per l’operatore professionista. L’azienda Ruger, anche se con po’ di ritardo, ha cercato di colmare il gap che si era creato con le altre concorrenti che avevano già commercializzato, negli anni precedenti, revolver costruiti in lega di scandio o titanio. Le prove a fuoco sono state effettuate presso la linea di tiro del TSN di Saluzzo (CN) ed hanno visto l’utilizzo di munizioni commerciali calibro 38 Special della Fiocchi con palla SJSP da 158 gr. Dopo alcuni colpi di prova siamo “entrati in intimità” con l’arma riuscendo ad ottenere ottimi risultati in sagoma nel range di distanza compreso tra i 7 ed i 15 metri. La doppia azione è risultata estremamente precisa, costante e fluida, anche se un poco lunga, e non si sono verificati collassi di retroscatto. L’impugnatura, anche se di ridotte dimensioni, al punto da impedire all’utilizzatore con mani medio/grandi di poter alloggiare il dito mignolo, è risultata comunque ben progettata ed ergonomica tale da poter mitigare l’apprezzabile rinculo di sparo. La sua progettazione è frutto dell’analisi di dati antropomorfici militari americani sulla forma della mano, in modo che la LCR possa essere comodamente impugnato da un ampio spettro di utilizzatori. E’ inoltre, disponibile a catalogo, una versione equipaggiata di impugnatura Lasergrip della Crimson Trace. Utilizzando una fondina dedicata in polimero prodotta dalla Fobus, modello Evolution Roto-Holster™ Paddle, abbiamo potuto

valutare la comodità di porto e la facilità di estrazione, sia in posizione eretta che all’interno, ed in uscita da un’auto di medie dimensioni. Infine, sono rimasto veramente colpito dal porto “nuda” all’interno della tasca anteriore del pantalone. Il peso e la forma ergonomica della struttura, priva di spigoli vivi, ne hanno celato totalmente la vista all’interlocutore esterno e ne hanno facilitato la rapida estrazione. Non è dato sapere se la Ruger LCR faccia parte della dotazione di reparti investigativi di polizia e, sicuramente, potrebbe essere adottata quale ottimo compromesso operativo nei periodi estivi, dove l’occultabilità delle semiautomatiche è estremamente difficoltosa e dove si ricorre, sempre più spesso, all’utilizzo di antiestetici, poco pratici ma soprattutto insicuri, marsupi. Prezzo al pubblico di poco superiore ai 600 euro ed è iscritta al Catalogo Nazionale, come arma comune, al numero 18145. TNM ••• 123


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Ruger LCR Costruttore: Sturm Ruger & Company Inc. - Southport (Connecticut) - USA - www.ruger-firearms.com Tipo: revolver a telaio chiuso con tamburo basculante lateralmente Calibro: 38 Special+P Canna: 46,7 mm - 6 righe a passo destrorso di 406 mm Sistema di percussione: indiretto con cane interno su percussore flottante Sistema di alimentazione: tamburo rotante antiorario con 5 camere di cartuccia Sistema di scatto: solo azione singola Congegni di puntamento: tacca di mira a U e mirino a rampa - entrambi fissi Peso: 385 gr. Dimensioni: lunghezza 165 mm - altezza 114 mm spessore 32,5 mm Importatore: Bignami Spa - www.bignami.it

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Si ringrazia: Tiro a Segno Nazionale - via Volontari del Soccorso snc Saluzzo (CN), nella persona del Presidente sig. Pierfelice CUNIBERTI, per l’utilizzo delle strutture. Armeria OCCELLI Sport - via Savigliano 49 SALUZZO, per le munizioni utilizzate. L’amico, cultore di armi, Giancarlo PATTI, per l’utilizzo del revolver Ruger LCR.


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Di PROTEUS

COLTELLI E LEGGE: QUANDO LA LUNGHEZZA NON CONTA

Brevi considerazioni, non esaustive ma di ordine pratico, sulla disciplina delle armi bianche, degli strumenti da punta e da taglio nella legislazione vigente, con qualche divagazione. REGOLA NUMERO NOVE “Regola numero nove: mai uscire di casa senza un coltello”. I cultori di “N.C.I.S”, la fortunata serie televisiva in onda sui canali nazionali, avranno sentito dire questa frase un bel numero di volte dall’agente speciale Gibbs, carismatico protagonista della serie, specie dopo averne estratto uno dalla tasca della giacca e convenientemente usato. Per chi fa il mestiere delle armi, o affini, il precetto è quanto mai sacrosanto e condivisibile. Occorre tener presente, però, che il nostro eroe opera a Washington D.C. e comunque sul territorio degli Stati Uniti, dove la legislazione sulle armi è decisamente più morbida. E’ noto, infatti, come in quel paese anche il coltello da combattimento, di ridotte dimensioni, sia scelto da alcuni operatori di polizia come arma di backup, in luogo di una seconda arma da fuoco. Sul suolo patrio La guspinesa è umile strumento da lavoro detto anche “coltello del minatore”, vanto della centenaria tradizione dei maestri di Guspini, piccolo centro del Campidano.

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invece, con tutte le riserve che possiamo esprimere in ordine all’asprezza ed alla reale attualità della norma, le cose vanno un po’ diversamente. La legislazione in vigore, vieta inoltre al personale delle forze di polizia di portare altre armi oltre a quelle loro concesse dall’amministrazione d’appartenenza. Quelle che seguono, oltre a qualche divagazione ed a qualche preambolo storico, sono brevi considerazioni d’ordine pratico perché sappiamo che la materia è vasta (così come la casistica e gli orientamenti giurisprudenziali) e che quindi non può essere trattata superficialmente ed in poche righe. UN PO’ DI STORIA Nel passato, mentre il nobile aveva la spada, il popolano utilizzava il coltello od il bastone. In epoche in cui le classi meno abbienti svolgevano esclusivamente lavori nel campo agricolo o comunque manuali, la lama era un accessorio indispensabile per le proprie attività ed alla bisogna, per difendersi, contando anche sull’insidiosità del porto occulto dovuta alle dimensioni, il coltello da lavoro diventava una vera e propria arma. Idem per il bastone, prontamente reperibile in ogni sua foggia, materiale o dimensione, occupava una posizione preminente nella pratica della difesa personale. Non a caso, nella cultura regionale italiana sono esistite scuole di scherma di coltello e bastone, le cui tradizioni vengono ancora oggi custodite ed insegnate da varie palestre od associazioni. Ci si difendeva, quindi, con gli strumenti che la quotidianità metteva a disposizione. Così come in Oriente gli oggetti agricoli, come bastoni per battere i cereali, falci, falcetti


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La svizzera Victorinox, leader mondiale del settore, produce il Victorinox Rescue Tool, coltello esclusivamente concepito per operazioni di emergenza o di soccorso.

circostanze di tempo e luogo volute dalla norma, alla doviziosa descrizione del coltello, senz’altro anche fotograficamente con riferimenti metrici, talché non vi siano dubbi sulla natura dello stesso e sulla conseguente vestizione giuridica della contestazione. Ciò anche per mettere in condizioni l’autorità giudiziaria di valutare correttamente il reato da ascrivere (ricordiamoci la differenza di pena). Per l’operatore di polizia o altro personale qualificato, il discorso sulla responsabilità, nel caso di porto, ritengo non cambi. Nessuno è, come dicevano i romani, legibus solutus. Se proprio si ritiene necessario portare un oggetto da taglio, stante talvolta la necessità istituzionale di doverlo utilizzare per ragioni d’emergenza/soccorso (taglio delle cinture di sicurezza od infrangimento di vetri in caso di sinistri stradali etc.), un’alternativa valida per l’operatore di polizia o della sicurezza potrebbe individuarsi nei c.d. “rescue tool”, che strutturalmente si presentano come un qualunque multiuso, mentre sono dotati di attrezzi specifici per alcuni tipi di soccorso, fra i quali quelli citati. In commercio esistono diversi tipi di prodotti di questo genere, provenienti da altrettante case costruttrici e tutti di ottima fattura e conveniente utilizzo. Per celerità di trattazione, cito per tutti, a titolo d’esempio, quello che segue. UN’ALTERNATIVA POSSIBILE PER L’OPERATORE La svizzera Victorinox, leader mondiale del settore, produce all’uopo il Victorinox Rescue Tool, coltello esclusivamente concepito per operazioni d’emergenza o di soccorso. L’oggetto, la cui foto è ben visibile, così come le caratteristiche, è ben TNM ••• 130

dettagliato sul sito internet della Coltelleria Collini di Busto Arsizio (VA), azienda che non ha bisogno di presentazioni e che fra le altre lo distribuisce. Innanzitutto, circostanza assai importante per questi strumenti, è l’impatto visivo. La forma, il colore vivace (giallo) rendono di per sé questo strumento amichevole e per nulla aggressivo alla vista, niente a che vedere quindi con coltelli la cui foggia escluderebbe a priori la natura “civile” dell’oggetto ed il suo porto a scopi umanitari. Collini offre inoltre, sulla pagina relativa, un link ad un filmato Youtube in cui può vedersi il corretto utilizzo dello strumento, con facilità estrema, per tutti gli usi che consente. Lo strumento è definito come “Coltello multiuso di 110mm. per emergenze/primo soccorso, con blocco lama e guancette in nylon giallo fluorescente, frangivetro e sega per vetro, sostituibili in caso di usura”; quest’ultima opzione è decisamente interessante. Le principali funzioni: lama a filo piano con blocco linea lock, taglia cinture, frangi vetro, sega per parabrezza/vetri, levacapsule, punteruolo/alesatore, cacciavite Philips e piatto, spelacavi, apricasse, anello portachiavi, pinzetta, stuzzicadenti, guancette fluorescenti, cordino in nylon, fodero in nylon rosso con impunture gialle. Lo strumento viene proposto al prezzo di euro 69,00, che può sembrare significativo ma che risulta appropriato se correlato agli esiti di un suo possibile utilizzo (salvare altrui vite o la propria, oltre ad evitare un’azione giudiziaria). Concludo ricordando le considerazioni già espresse in materia di porto che, per essere più precisi e laddove possibile, deve essere sempre considerato trasporto.


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CLUBBELL

®

UNO STRUMENTO ANTICO PER IL GUERRIERO MODERNO. DI DECIMO ALCATRAZ

Zurkhane, “la fonte della potenza”: la storia della ricerca della massima forza fisica da parte dell’uomo e della casta dei guerrieri in particolare, affonda in Persia le sue millenarie radici. Questa pratica, ancora oggi, tradizionalmente tenuta in vita in Iran, è riservata esclusivamente agli uomini. In essa l’attrezzo principale è una clava di peso e dimensioni

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diverse, a seconda delle capacità di chi la maneggia. I guerrieri persiani erano conosciuti nell’antichità come “gli immortali” per la loro grandissima capacità di lottare oltre qualsiasi limite, verso cui gli avversari potessero spingersi: ne fù testimone Leonida, con i suoi 300. Questa forza leggendaria, dalle pianure mesopotamiche si snoda attraverso


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i secoli per approdare a noi, grazie alla moderna riedizione della clava, in una forma definita come design, struttura e peso, che con il nome di Clubbell® è stata brevettata ormai più di dieci anni fa da Scott Sonnon, in America. Ma com’è possibile che uno strumento così primitivo possa oggi essere utile – se non indispensabile – per la preparazione fisica di militari, operatori professionisti nel campo della sicurezza e del personale di law enforcement e di protezione civile? Cosa garantisce di diverso dai sistemi d’allenamento tradizionalmente in uso, sia per il fitness sia per le esigenze funzionali di chi opera in contesto? Come abbiamo visto in questa stessa rubrica, qualche numero addietro, i protocolli del military fitness e della preparazione fisica, anche degli operatori impegnati nei corpi speciali, è ancora fondamentalmente incentrata sulla corsa e sulla costruzione della massa muscolare, con un approccio che si può riportare al body building. Il Clubbell® recupera la tradizione, utilizzata per secoli, di spostare un peso in tre direttrici, invece di sollevarlo solo in una o due di queste. Il peso decentrato del Clubbell® crea uno spostamento, che per il suo controllo richiede e genera una forza neurologica enorme, senza il danno al tessuto connettivo causato dai pesi convenzionali. Quando si fa sollevamento pesi, per aumentare la produzione di forza, bisogna aumentare il carico: quanto più questo è maggiore, tanto più lo è la compressione dannosa sul tessuto connettivo molle, sulle articolazioni e sulla colonna vertebrale. Il centro di gravità decentrato del Clubbell® costringe all’utilizzo di un carico inferiore, pur stimolando una produzione di forza superiore, senza però gli infortuni associati all’allenamento con i pesi convenzionali. Infatti, un manubrio o un bilanciere esercitano una spinta contro la struttura scheletrica, ad esempio contro le dita, mentre il Clubbell® esercita forza attraverso la presa, come una corda agitata intorno alla testa e trattenuta solo grazie alla forza muscolare, senza sostegno osteo-articolare. Solo la contrazione muscolare può trattenere il Clubbell®, mosso in maniera balistica. Slanciare un peso aumenta la torsione, ed aumentare la torsione incrementa la produzione di forza. L’allenamento con i Clubbell® produce incrementi esponenziali: muovere i Clubbell® due volte più velocemente produce una forza quattro volte maggiore. La trazione apre le articolazioni invece di comprimerle: motivo per il quale si è messi in trazione per guarire, perché aumenta la forza del tessuto connettivo. Infine, cosa più importante, l’allenamento con i pesi convenzionali può essere eseguito lungo due sole direttrici. Quest’arco di movimento limitato serve ad isolare determinati muscoli. Tuttavia, l’isolamento non esiste, è

IL CLUBBELL® PER CHI VUOLE RESTARE IN BUONA SALUTE A LUNGO • Migliora il flusso ematico al cervello • Riduce il dolore ed i fastidi al collo • Riduce i mal di testa e le emicranie da tensione • Elimina, riduce ed allevia il mal di schiena • Pone fine alle stilettate alle spalle ed al collo • Allevia i dolori alle gambe • Garantisce la salute delle anche • Procura un cuore più sano • Migliora la circolazione nella parte inferiore del corpo • Riduce il rischio di vene varicose • Previene l’affaticamento ed il dolore muscolare. ormai noto da tempo. Il corpo è come una rete interconnessa: un sistema a due sacche. La “sacca interna” contiene le ossa e le cartilagini ed il punto in cui aderisce all’osso si chiama periostio, mentre il punto dove avvolge l’articolazione si chiama capsula articolare. La “sacca esterna” contiene una gelatina elettrica, che chiamiamo muscolo, che a sua volta è ricoperto dalla fascia. I punti in cui la sacca esterna si attacca alla sacca interna si chiamano inserzioni. Così, le ossa e le articolazioni galleggiano in un mare di tensione continua e le nostre ossa agiscono come puntelli di compressione, che spingono verso l’esterno, mentre questa rete tira verso l’interno in un equilibrio particolare, chiamato biotensegrità. L’allenamento con i Clubbell® è tri-planare, cioè si muove lungo i piani saggitale, trasverso e frontale. Muovendosi in modo tri-planare, il Clubbell® rafforza le catene fasciali lungo il loro range di movimento completo. Ciò aumenta l’elasticità dei tessuti molli, invece di traumatizzarli come fanno i movimenti bidimensionali del sollevamento pesi convenzionale. Il movimento in tre dimensioni “inonda” le capsule TNM ••• 133


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articolari di nutrimenti e lubrificante, scioglie le aderenze fasciali, leviga le cartilagini (prevenendo l’artrosi) e muove le ossa (prevenendo l’osteoporosi). Lo sviluppo delle braccia, delle spalle, della parte alta della schiena e del petto di chi usa i Clubbell® è evidente. Tuttavia, l’aspetto più importante è che i Clubbell® sono costruiti appositamente per connettere la maggior produzione di forza di torsione al proprio core. Il Clubbell® è veramente un’estensione del braccio ed ogni movimento è un esercizio d’attivazione del core ed è per questo che, chi usa i Clubbell®, ha addominali, obliqui e parte bassa della schiena incredibilmente forti. Inoltre, tutti gli esercizi coinvolgono tutto il corpo e ciò sviluppa glutei, posteriori delle cosce, quadricipiti e polpacci incredibilmente potenti grazie alla spinta delle gambe. A questo punto, diventa intuitivo quali e quanti vantaggi, l’allenamento fisico con i Clubbell®

possa portare a chi per esigenze operative deve poter contare su una forma fisica, funzionale nel rispondere alle situazioni che emergono durante gli ingaggi. Non per volontà d’apparire, ma per necessità d’acquisire mobilità pur indossando un vest o un body armour, oppure di poter stabilizzare il corpo, sottoposto a disequilibri immediati e violenti, nel momento di un aggressione corpo a corpo o nella ricerca di un riparo durante un conflitto a fuoco. Il Clubbell® è l’attrezzo originale per il combat fitness ed è studiato, costruito ed utilizzato per allenare la forza rotazionale ed angolare/diagonale dei muscoli, per allenare la forza della presa, dei polsi e degli avambracci e delle spalle. IN CHE MODO LE CLAVE MIGLIORANO LA CONDIZIONE FISICA FUNZIONALE ALLE ESIGENZE DEL COMBAT Principio del pendolo Nel caso dei Clubbell®, la presa è all’estremità di un’estensione attaccata ad un centro di gravità più pesante, che si muove in relazione al punto fisso della presa, come un pendolo che ondeggia. La leva e la forza cambiano costantemente posizione, distribuendo e richiedendo forza di trazione lungo tutto l’arco di movimento, che crea resistenza e stressa i muscoli da angoli diversi. Ciò dà all’esercizio un effetto dinamico totalmente diverso, impossibile da ottenere con qualsiasi altro attrezzo. Questo principio del pendolo, usato per secoli ma andato perduto con l’allenamento convenzionale, è rinato grazie ai Clubbell®.

IL CLUBBELL PER I MILITARI/PROFESSIONISTI DELLA SICUREZZA ®

• Sviluppa maggiore coordinazione ed equilibrio. • Riduce il rischio di infortunio. • Aumenta la mobilità e la facilità di movimento. • Aumenta il volume e la capacità polmonare. • Migliora la flessibilità. • Accelera il metabolismo. • Aumenta la potenza di tutto il corpo. • Aumenta la forza per il sollevamento. • Aumenta la forza della presa. • Aumenta la forza esplosiva della parte superiore del corpo. • Aumenta la potenza di spinta. • Aiuta a saltare più in alto. • Aiuta a correre più velocemente. • Previene l’affaticamento ed il dolore muscolare.

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Presa regolabile per microcarico I Clubbell® sono perfetti per l’incremento progressivo. La forma speciale dell’impugnatura permette piccoli incrementi di carico, senza mai sovraccaricare i muscoli ma mettendoli sempre alla prova. La presa regolabile per il microcarico è una caratteristica speciale che favorisce il progresso costante ed i guadagni di forza. Nessun altro attrezzo ha questa versatilità! Effetto da allenamento complesso Una routine in combinazione è una serie di due o più esercizi di base, legati in sequenza, dopo aver appreso ogni movimento fondamentale. Le routine in combinazione mischiano forza, velocità e potenza nello stesso allenamento, con l’alternarsi di un esercizio pesante, seguito da un esercizio simile ma balistico o viceversa. L’esecuzione di una combinazione stimola il sistema neuro-muscolare insegnandogli ad attivarsi ad un ritmo più rapido. Sviluppa contemporaneamente, la forza, la velocità e la tecnica. Ciò fa sì che le routine in combinazione


SS TACTICAL FITNESS TACTICAL FITNESS TACTICAL FITNESS TACTIC LE 10 RAGIONI PRINCIPALI DELLA SUPERIORITÀ COSTRUTTIVA DEL CLUBBELL siano utilizzate in modo ideale per migliorare la preparazione fisica specifica per esigenze operative. Forza e tenuta della presa Fra le caratteristiche più specifiche della preparazione fisica di chi deve combattere e far uso di diversi “attrezzi” – pistola, fucile, coltello, bastone - ci sono la forza e la tenuta del grip. Tuttavia, gran parte dei programmi per la forza sottovalutano la forza delle mani, dei polsi e degli avambracci. Inoltre, studi medici hanno dimostrato che una forza carente della presa, nella mezza età, è indice di disabilità in età avanzata Forza lungo l’arco di movimento estremo Per prevenire gli infortuni ed utilizzare range di movimento estremi, gli atleti, devono allenarsi leggermente “oltre” l’arco e la profondità di movimento “attesi”. Il Clubbell® allena ogni parte muscolare ed articolare oltre l’arco e la profondità dei movimenti normali e quando questi si ampliano improvvisamente, una “valvola di sicurezza” previene gli infortuni e ripristina la capacità di lavoro tradizionale senza interferire con la prestazione. Sinergia delle spalle La spalla è l’articolazione più mobile del corpo umano. Sfortunatamente però, la grande mobilità, compromette la stabilità. Si tratta di un gruppo complesso di strutture che lavorano insieme per permettere i movimenti necessari a quasi tutte le attività pratiche. Gli infortuni possono verificarsi se si sovraccaricano troppo i movimenti, spesso causando strappi nella cuffia dei rotatori. Il Clubbell® incrementa la tenuta della struttura muscolo-tendinea, libera l’articolazione dalle calcificazioni procurate dall’usura (pensate banalmente allo stress procurato dal calcio dell’arma spallata sia in trasporto, sia in condizione di fuoco) e rilascia le tensioni, che ne limitano la mobilità in tutte le direttrici. Prevenzione e riabilitazione degli infortuni Le attività che necessitano di grandi impieghi di forza, ai quali non segue un periodo di recupero sufficiente, possono causare o aggravare traumi cumulativi a carico dei tessuti molli, del sistema muscolo scheletrico e di quello nervoso periferico. I disturbi descritti e diagnosticati più comunemente sono l’impuntamento della cuffia dei rotatori, l’epicondilite del gomito e la sindrome del tunnel carpale. Il Circular Strength Training® e l’utilizzo del Clubbell®, in particolare, possono essere un metodo conservativo di prevenzione dagli infortuni per le persone a rischio ed anche uno strumento importante di riabilitazione per quelli che già soffrono di questi infortuni comuni, correlati alla loro attività operativa.

1•Centro di gravità decentrato. Poic hé il centro della massa è lontano dalla mano, la clav a può essere molto leggera eppure produrre una forza superiore. Gli altri attrezzi devono pesare mol to di più perché il centro di gravità è vicino alla presa. 2•Slanciato e non sollevato. Grazie alla sua forma, il Clubbell® può essere slanciato su tre piani per sviluppare vera forza funzionale in tutto il corpo. I manubri possono essere sollevati solo su due piani. 3•Collo, non maniglia. Poiché il Club bell® esercita trazione attraverso la presa invece che contro di essa, è possibile usare un Clubbell® molto più leggero e comunque produrre una forza superiore, con il beneficio aggiunto di svilupp are grande forza della presa (indicata recentemente come uno dei 7 fattori chiave che determinano la salute e la longevità). 4•Leva vs. carico. Poiché la leva dev e essere applicata contro il centro della massa affinché questa si muova, è possibile usare un Clubbell® molto più leggero di altri attrezzi, che, per pro durre un effetto anche solo lontanamente sim ile a quello del Clubbell®, devono aumentare mol to più di peso. 5•Portabilità. Tutti questi elementi rendono il Clubbell® molto più facilmente tras portabile di qualsiasi attrezzo perché può ess ere molto leggero e produrre comunque una forza sup eriore. Per esempio, una clava di 7 kg produc e una forza pari a quella di un kettlebell di 25 kg e di un manubrio di 34 kg. 6•Stress, non sforzo. Poiché il Club bell® è mosso in più direzioni crea stress positivo, d’adattamento, non solo sul tessuto muscolare ma anc he sulla fascia e sui tendini. Gli altri attrezzi sforzan o le articolazioni ed il tessuto connettivo perché dev ono essere molto più pesanti. 7•Decompressione, non compressio ne. Poiché il Clubbell® è slanciato e non solleva to, contribuisce a rilasciare il tessuto connettivo, scio glie le aderenze e facilita il riassorbimento dei sali articolari, che causano calcificazione. Gli altri attr ezzi sono costruiti per comprimere le articolazioni! 8•Incrementale, non fisso. A diffe renza dei kettlebell e dei manubri, il collo del Clubbell® permette delle micro-variazioni, che cambiano il centro di gravità, producendo immediatamente un cambiamento del lavoro necessario per controllare la clava. 9•Stabile, non mobile. I dischi reg olabili, i pallini, l’acqua e la sabbia spostano il cen tro della massa in modo inatteso durante il movime nto. Questi spostamenti improvvisi possono cau sare strappi ed irrigidimenti traumatici. 10•Realizzato, non fabbricato. Altr i attrezzi sono pensati per finire nella spazzatura il più velocemente possibile, non per durare per sem pre. Il Clubbell® è stato realizzato con l’impostazione opposta. NB•Per avere maggiori informazioni o per acquistare i Clubbell®, www.cst-italy.it


STORIE DI TUTTI I GIORNI STORIE DI TUTTI I GIORNI STORIE D

OPERAZIONE I DI S. S.

DIARIO DI UN SECURITY CONSULTANT.

Dall’oblò dell’aereo che mi portava da Lagos a Warri, vedevo bene finalmente quell’Africa tanto sognata. Dall’alto la terra rossastra ed il verde della vegetazione creavano un effetto spettacolare, suscitando in me piacevoli sensazioni che, nel tempo, sono rimaste chiaramente impresse ed immutate. “Bello, veramente bello, che spettacolo!”, mi ripetevo in mente. A completamento di questo splendore della natura si aggiunsero, nei giorni seguenti, i meravigliosi colori dell’alba e del tramonto che il cielo d’Africa dona a tutti coloro che hanno la fortuna di vederlo. E si, io mi ritenevo fortunato, perché potevo lavorare in un continente da sempre sognato, con un incarico altrettanto desiderato, che mi faceva fare oltretutto un notevole salto professionale. Dovevo raggiungere il mio collega che mi aveva preceduto; infatti a lui era stato assegnato il primo


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IN NIGERIA turno di un mese, con l’incarico specifico di iniziare ad acquisire informazioni per organizzare il sistema sicurezza nell’area di nostra competenza: il sud della Nigeria. Era un compito alquanto complicato e che insieme dovevamo assolvere e poi gestire. L’azienda per la quale lavoravamo come consulenti esterni, si occupava della costruzione, vendita e manutenzione di turbine nelle stazioni di pompaggio gas, mandando i propri tecnici che noi dovevamo proteggere attraverso la gestione della logistica, dei trasporti, delle comunicazioni e della sicurezza in generale. Sicurezza e gestione rischi, questo era l’incarico per cui ci trovavamo in quella parte d’Africa, così affascinante e pericolosa, dal 2000 al 200 3. Era necessario organizzare, tra le altre cose, un’adeguata forza di protezione: potevamo contare sull’assistenza del governo

nigeriano per questo aspetto, chiedendo di utilizzare delle unità di fanteria della Marina Militare e della Mobile Police. Non fu particolarmente difficile ottenere questa collaborazione, infatti contattai il comando locale delle due Forze, instaurando con loro un ottimo rapporto che si dimostrò validissimo. La Mobile Police, detta comunemente MoPol, è una forza paramilitare governativa che dipende dalla Polizia nigeriana, utilizzata anche come forza antisommossa ed anti-crimine. u tutto il territorio nazionale i


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MoPol, divisi in squadroni da circa 700 uomini, operano a difesa dei funzionari, del corpo diplomatico e dei siti strategici, quali impianti petroliferi, pipeline ed aziende del settore.La nostra azienda, perfettamente in linea con le altre, mi autorizzò quindi a richiedere delle unità Mopol da utilizzare soprattutto come scorta per i nostri trasferimenti, che variavano in base alle normali necessità lavorative. I fanti di marina potevano essere impiegati per particolari emergenze sulle zone fluviali, dato che noi avevamo una serie di stazioni di pompaggio gas sparse su tutta l’area e collocate all’interno di territori appartenenti a varie comunità-villaggi che talvolta si dimostravano “ostili”. Durante la realizzazione dei nostri piani d’emergenza, necessari a garantire la funzionalità del sistema sicurezza, si consideravano vari possibili scenari di crisi e si studiavano le azioni da adottare in caso di necessità. In seguito, programmai delle attività d’addestramento per i nostri MoPol, consistenti essenzialmente in procedure di scorta adattate al territorio. Prima di iniziare, verificai la loro preparazione: era carente sotto alcuni aspetti, soprattutto nelle tecniche di scorta ravvicinata, pertanto le prime lezioni furono finalizzate al raggiungimento di uno standard d’eccellenza. Avevo la necessità inderogabile d’istaurare un ottimo rapporto di fiducia con gli uomini posti a protezione del nostro personale, perché non potevo assolutamente permettermi di avere dubbi sul loro equilibrio e sulla loro determinazione in caso di necessità. L’incolumità di tutti era nelle loro mani ed io dovevo fare in modo di “comandarli” adeguatamente. L’addestramento TNM ••• 138

veniva condotto mantenendo, per quanto possibile, una continuità che si alternava con le normali operazioni di scorta, si sfruttava tutto il tempo disponibile, anche le ore successive al lavoro. Curavo anche il lato umano di quegli uomini, interessandomi dei loro problemi personali ed in alcune occasioni, intervenendo anche con un piccolo aiuto economico. Sovente mi raccontavano le loro storie, la vita delle loro famiglie, i drammi e le felicità di ognuno in quest’Africa che somigliava tanto ad un meraviglioso quadro, ma trafugato. Durante l’addestramento cercavo anche d’imprimere un modello interiore tipicamente cavalleresco, spiegando, con l’ausilio di vari esempi, che l’odio non poteva più far parte di loro, che doveva essere estirpato come una pianta velenosa. Chi si trova a difendere con le armi altre persone, non può e non deve agire con la bramosità insita nell’odio ma con la consapevole volontà del sacrificio. Questo determinò anche una maggiore sicurezza in loro, li rese ancora più orientati verso i propri doveri e verso una maggiore capacità ad operare con serenità, determinazione ed efficienza. Non mi ero inventato nulla, avevo semplicemente composto un programma educativo “particolare” frutto delle mie esperienze, di quelle dei miei istruttori e del mio interesse all’alchimia spirituale, adattandolo alle condizioni del luogo. Una mattina, la città di Warri era visibilmente agitata, avevamo già ricevuto notizie che qualcosa, da lì a poco, sarebbe successo e questo non ci piaceva affatto, creando addirittura preoccupazioni in molti dei “vecchi lupi” che mormoravano a bassa voce tra loro. Giovani scorazzavano minacciosi nella città, organizzati in piccoli agguerriti gruppi.. preludio di grandi problemi. C’erano stati, in passato, vari tragici eventi a Warri, con scontri tribali tra le etnie degli Ijaw, Itsekiri ed Urhobo, ma questa volta tutti avevano una sensazione diversa, si respirava aria di tempesta. Ci trovavamo nella città più instabile dello Stato del Delta, dove successivamente alla mia definitiva partenza, comparve dal 2005, negli Stati del sud-est della Nigeria, il MEND (Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger), operando in netta contrapposizione al Governo ed alle compagnie petrolifere. Incursioni, rapimenti e scontri diretti, fecero del MEND l’organizzazione armata più temuta da tutti, compresi gli stessi nigeriani. Prima che tutto questo accadesse, esistevano altre organizzazioni armate che destabilizzavano Warri e che quella mattina ci diedero un gran da fare. Decisi immediatamente di attivare delle contromisure che avevo già elaborato, quando iniziarono ad arrivarci delle notizie poco rassicuranti, quindi era giunto il momento di renderle operative. Implementai gli uomini di scorta, programmando eventualmente di variare di continuo anche orari e tragitti dei nostri tecnici, facendo in modo da rendere difficile la vita ad eventuali osservatori “teste calde”. Questo più che altro per i giorni successivi agli avvenimenti, dato che al momento era meglio non muoversi proprio. Rafforzammo anche la protezione negli uffici, chiedendo supporto ai fanti di marina, come in altri siti di nostra competenza. Ad Oghenovo, in nostro compaund di residenza, feci rafforzare le difese passive ed aumentai visibilmente la presenza dei MoPol, in modo da creare un alto fattore deterrente. Verificammo le scorte alimentari e d’acqua, che pian piano


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conservavamo, come anche quelle di carburante. Di fatto eravamo in pre-allarme, ragione per la quale anche i movimenti non necessari dovevano essere annullati, generando incomprensione a chi amava troppo la “vita notturna”. Nel giro di poche ore, avevo raggiunto un buon risultato, accettabile ma non ancora del tutto completo, determinato dalla solita lentezza della vita nigeriana. Mentre rielaboravo alcune procedure, in attesa del rientro dei MoPol, mi chiamò il project manager: “S., mi organizzi un trasferimento ad Oghenovo? Ho urgenza di prendere alcuni documenti importanti nella mia villetta”. “Non è una buona idea spostarsi adesso.. non credi?”. “E’ importante… rischiamo di perdere un contratto”. “Si ma sbrighiamoci, vengo anche io, ne approfitto per controllare una cosa, le notizie non sono buone, facciamo in fretta!” risposi mentre facevo segno all’unico MoPol rimasto di salire a bordo della jeep. Roland fece partire a razzo la nostra vettura, causando una visibile contestazione di alcuni passanti in prossimità del cancello. “ Hei cowboy, piano, non c’è necessità di correre!” esclamai, mentre prendevo al volo gli occhiali da sole, tra le risate del project manager. Dallo specchietto retrovisore Roland mi guardò accigliandosi, e dopo una frazione di secondo sorrise nel vedere me che gli imitavo l’espressione. Erano passati solamente pochi minuti quando, in prossimità di una curva che dava al mercato, un nostro “informatore”, vedendoci arrivare, ci fece segnale di tornare in dietro. “Roland, gira subito rientriamo, rientriamo! ..vai per il percorso secondario”. Il project manager esclamò “cazzo!”, battendo il pugno sul finestrino. Mentre Roland eseguiva rapidamente la manovra, un furgoncino senza sportelli, carico di giovani armati con armi da taglio, bastoni e catene, ci sorpassò. Gridavano

minacciosamente contro di noi, facendo irritare notevolmente il MoPol. “Ok caporale, calmo ok?” gli dissi guardando sfrecciare il furgoncino. “Ah! Stupidi, stupidi, hanno il cervello pieno di zanzare” mormorò squotendo la testa. Mi voltai indietro, verso la direzione che avevamo lasciato e vidi una folla inferocita appiedata e motorizzata che dilagava lungo la strada distruggendo ogni cosa, qualsiasi cosa potesse intralciarla, era come un’onda nera strillante che sbalzava creando panico intorno a se. “Giù la testa, giù!” esclamai al project manager che rimase per un istante a guardarmi senza capire. Non gli ripetei l’ordine, lo feci eseguire forzatamente abbassandogli il capo mentre lo avvicinai coprendolo con il mio corpo. Nel frattempo quel furgoncino che ci aveva appena superato si mise di traverso per bloccarci la strada, il gruppo di giovani scese e si lanciò urlando di corsa contro la nostra jeep.. pazzesco! Il MoPol puntò l’arma contro di loro aprendo il finestrino, mentre Roland s’immobilizzò incredulo. “Roland accelera.. accelera, non cambiare direzione punta dritto, dritto e prendi il furgoncino dalla parte posteriore.. forza, forza vai!” gli gridai mentre con una mano cercavo un appiglio per resistere all’impatto che entro qualche istante avremmo dovuto sopportare. “Caporale spara in aria, in aria!” Roland ed il Mopol eseguirono immediatamente gli ordini, ci avvicinammo velocemente al furgoncino che ostruiva la strada, assordati dalle raffiche del nostro MoPol che davano l’effetto desiderato, facendo arrestare la carica frontale dei giovani, sparpagliatisi rapidamente vedendo la nostra decisa reazione. Un istante per voltarmi indietro, per vedere se l’onda nera ci stesse raggiungendo, pochi metri ancora e per noi poteva essere la fine. “Impattooo!!!” urlò Roland, facendo rotare il furgoncino e creando lo spazio necessario TNM ••• 139


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per passare. “Ohuuuu!!!” gridò il project manager oscurato dal mio corpo “Non ti muovere è tutto ok, ma rimani cosi” gli dissi mentre superavamo velocemente l’ostacolo. Dritti sparati verso gli uffici, con l’onda nera in coda, chiamai via radio la postazione dei fanti di marina, per farli disporre immediatamente a difesa della struttura e coprirci in prossimità dell’ingresso, dato che i nostri MoPol dovevano ancora rientrare da un briefing urgente con il loro comandante. Mentre ci avvicinavamo agli uffici, le persone scappavano in ogni possibile direzione, alla vista di ciò che ci seguiva. Evitammo in più di un’occasione di mettere sotto qualcuno. A Warri regnava il panico, era l’inizio di una rivolta in grande stile, voluta da un gruppo organizzato per punire chiunque non fosse d’accordo con le loro rivendicazioni, galvanizzando i membri della loro etnia e provocando una ripresa d’odio che sfociava in azioni violente generalizzate.. era l’arrivo della tempesta! L’organizzazione denominata “Forza Volontaria Popolare del Delta del Niger” (NDPVF), composta dall’etnia Ijaw, era forse la protagonista di questi eventi, non si avevano certezze assolute, ma tutto faceva pensare che l’NDPVF alimentava gli scontri con i suoi rivali, gli Itsekiri. La storia era complicata, perché risaliva a qualche anno prima, quando questa organizzazione tentò di assumere il controllo delle risorse presenti in tutta l’area, in prospettiva di una più ampia operazione di secessione dalla Nigeria. Ancora prima, un’altra organizzazione, si diresse verso programmi politici indipendentisti, il Movimento per la Sopravvivenza del Popolo Ogoni (MOSOP), fondato da Ken Saro-Wiwa, giustiziato dal governo nel 1995. Era un po’ come rivivere parte della storia del Biafra, forse mai definitivamente scomparsa nei cuori di tante persone appartenenti ad una più vasta comunità, quella del Delta del Niger che di per se è formata da oltre il 22% dell’intera popolazione della Nigeria. Contraddizioni e violenze in questa parte del Paese, dove tutto è finalizzato alla conquista dell’oro nero! Adesso Warri iniziava a bruciare, l’Esercito Nigeriano dilagò in ogni strada, in ogni vicolo, sopprimendo violentemente ogni forma di rivolta. Dalle strade più interne si alzavano colonne di fumo, erano gli effetti delle granate che esplodevano distruggendo le baracche, seminando panico.Una violenza forse eccessivamente sproporzionata, determinata dalle condizioni di esasperazione del governo verso le varie TNM ••• 140

organizzazioni di giovani ribelli. Finalmente rientrarono una parte dei MoPol del nostro gruppo, gli altri erano stati destinati urgentemente ad altri compiti. Mentre le azioni continuavano, ci barricammo nel nostro compaund degli uffici, facendo ben vedere all’esercito che i MoPol e la marina erano a nostra protezione ..garanzia di sopravvivenza! La cosa più sicura da fare era non muoverci da li, aspettare che la tempesta passasse totalmente, per poi verificare se c’erano le condizioni per andare ad Oghenovo. Non sapevamo quali potessero essere le contro-reazioni di chi aveva organizzato la rivolta, la cosa certa era che se la situazione fosse degenerata ulteriormente, avrei dovuto obbligatoriamente attivare la procedura d’evacuazione da Warri, portando tutto il personale a Lagos o a Port Harcourt. Al momento eravamo “intrappolati” negli uffici, pronti comunque a tentare, in caso d’estrema necessità, un forzato rientro ad Oghenovo in convoglio, pesantemente scortato. Ritenevo più sicuro non muoverci, potevamo difendere bene il nostro “fortino”: uomini sufficienti e ben equipaggiati per poter rispondere a probabili tentativi d’assalto. “Che facciamo S... fuori c’è l’inferno!” mi gridò il project manager mentre si avvicinava basso e rapidamente verso di me. “Che fai qui, torna dentro, adesso arrivo e vediamo come procedere”. Rimasi qualche altro istante con i fanti di marina ad assicurarmi che il nostro perimetro fosse ben protetto, poi corsi dentro.. fuori il panico, condito da mille grida! Erano tutti radunati in un ufficio che avevamo segnato come quello più protetto in casi simili, alcuni seduti altri accovacciati a terra, visibilmente impauriti. “Ok ascoltatemi: al momento non possiamo sapere quanto tempo dovremo rimanere in queste condizioni, la cosa importante è che voi non prendiate nessuna iniziativa personale. Questo potrebbe causare grossi problemi per la vostra sicurezza e quella dell’intero gruppo. Nessuna iniziativa personale, intesi?” Rimasero senza parole, ascoltando la mia voce che non dava segni visibili di alcuna irritazione o paura, capirono il messaggio e tutti annuirono in segno di conferma.“Bene, tutti noi sappiamo che la situazione si tranquillizzerà, non dobbiamo avere dubbi su questo, ma al contempo ci dobbiamo preparare per rimanere qui in piena sicurezza”. Io ed il project manager ci spostammo un attimo nell’ufficio adiacente, in modo da parlare in privato. “S. siamo nei casini, ma concordo pienamente con te”. “Abbiamo verificato di avere scorte sufficienti qui in ufficio, stessa cosa ad Oghenovo, quindi credo che, con la tua piena collaborazione, possiamo farcela”. “Certo, infatti poco fa, prima che tu entrassi, ho detto chiaramente a tutti che possiamo ben resistere per giorni qui dentro, anche se la cosa non mi piace affatto. Mi sentirei più sicuro ad Oghenovo perché, se non ricordo male, nel piano d’evacuazione che avete fatto è stabilito che un elicottero può atterrare lì in caso di necessità, vero?” “Si, ricordi bene, ma non possiamo spostarci adesso, lo capisci questo?” “Si, si è chiaro, ok”. “Bene, adesso cerchiamo di avere tutti gli aggiornamenti possibili, ci servono informazioni su cosa sta succedendo in prossimità di Oghenovo, contatta via radio il tuo cuoco nella villetta, magari può dirci qualcosa, nel frattempo io cerco di telefonare ad alcuni miei “informatori”. Dopo confrontiamo


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le notizie, ok?” “Faccio subito S.”. Dopo quasi un’ora, avevamo una serie d’informazioni non tanto gradevoli: la rivolta era estesa a tutta l’aria di Warri, con piccoli focolai anche in prossimità di alcuni siti di lavoro relativamente vicini. L’esercito nigeriano stava conducendo una massiccia azione di polizia, con arresti e punizioni esemplari, determinando alcune sporadiche reazioni che venivano immediatamente soffocate. Era questione di poco e la tempesta sarebbe finita, lasciando forse un migliaio di morti e centinaia di feriti. Alcuni miei colleghi assunti da altre aziende avevano affrontato la situazione allo stesso modo, cioè rimanendo fortificati negli uffici, mentre altri furono coinvolti direttamente negli scontri nel tentativo di raggiungere i punti di raccolta per essere evacuati con l’ausilio di elicotteri. Warri era in fiamme, vari quartieri totalmente distrutti, colonne di fumo ovunque.. disperazione! Sapevamo che l’arrivo della quiete era prossima, attesa da ognuno, anche dallo stesso tempo che in Africa ha un valore diverso dal nostro. Si presentò un problema serio per noi, che avrebbe potuto assumere contorni di tragicità se non fosse stato immediatamente risolto: non si riusciva a ricontattare la compagnia degli elicotteri che avevamo scelto per le operazioni urgenti d’evacuazione. Questo determinava l’impossibilità di attivare la procedura.. eravamo proprio messi male. L’ultimo contatto risaliva alle prime ore lavorative del mattino, per accertarmi che fossero disponibili nell’eventualità di una loro attivazione. Pur avvertendo che la tempesta si stava esaurendo, non ero affatto tranquillo sapendo che, in caso di un’improvvisa ripresa della rivolta, saremmo stati lasciati a terra. Tentai varie volte di contattare la compagnia d’elicotteri, ma tutti i miei sforzi risultarono inefficaci, non rispondeva nessuno al telefono, via radio lo stesso. “Puoi venire un attimo?” chiesi al project manager facendogli segnale di seguirmi. “Dimmi, che succede?” mi rispose senza ormai il solito sguardo preoccupato, quasi annoiato. “l’Eliporto non risponde... niente, né al telefono, né alla radio”. Improvvisamente gli tornò l’espressione d’ansia, cercava di dirmi qualcosa ma non riuscì. Gli posi una mano nella spalla e con un leggero sorriso gli dissi: “Ascolta, credo che la cosa migliore sia andare a vedere che succede, mi porterò alcune radio di riserva e due telefoni satellitari, se riesco ad arrivare sul posto ed incontrare il responsabile delle operazioni gli lascio radio e telefono, in modo da ristabilire il contatto”. Il project manager annuì. Era una scelta difficile, ma necessaria, adesso si doveva soltanto decidere che tipo di consistenza doveva avere la Forza di Protezione per effettuare questo mio tentativo. Non avevo intenzione di prendere i fanti di marina, meglio lasciare intatto il loro consistete gruppo a protezione di tutto il personale degli uffici, quindi utilizzai cinque MoPol dei momentanei sette a nostra disposizione. Formai due sezioni, una per vettura: la prima era composta da me e due MoPol, oltre l’autista chiaramente; la seconda dai tre restanti MoPol e dall’autista. Il sergente ordinò ai suoi uomini, pronti per l’operazione, di portarsi l’equipaggiamento completo con un buon numero di caricatori ed armi di riserva. “Noi siamo pronti” annunciai al project manager “Ok S., occhi aperti ok?” “Certo, non ti preoccupare.. senti, teniamoci in

continuo contatto radio e non vi muovete da qui. Da fuori mi potrò meglio rendere conto della situazione, valutare anche se potete andare ad Oghenovo, in questo caso vi raggiungerò.. ma questo lo vedremo dopo”. Ultimo controllo generale e deciso il percorso da effettuare, uscimmo al volo dal compaund, con estrema soddisfazione di Roland, questa volta, mandando la jeep in progressiva accelerazione. Nelle condizioni in cui si trovava la città era difficile determinare esattamente in quanto tempo saremmo giunti a destinazione. Alcuni tratti erano totalmente ostruiti, altri difficilmente praticabili: cumuli di legname bruciato e vetture abbandonate in fretta, qualche corpo giaceva nei lati di alcune strade. L’odore dell’aria calda era strana questa volta, il sudore s’impregnava TNM ••• 141


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d’altro, mentre si procedeva rapidamente e con la massima allerta. Potevamo incontrare qualche “ribelle” con la voglia di rivalsa, noi eravamo, di fatto, un possibile obiettivo e questo poteva far gola. Erano pochissime le vetture civili in movimento, qualche furgoncino s’improvvisava ambulanza ed altri cercavano di trasportare ciò che gli rimaneva. La città aveva cambiato volto, gli odori erano più pungenti, l’aria era chiazzata di fumi, si udivano brevi raffiche a distanza e piccole esplosioni seguite da qualche mezzo dell’esercito che ci incrociava. Da una traversa spuntò un uomo ferito che tentava una corsa disperata, seguito da alcuni che agitavano minacciosamente delle armi da taglio, mentre una donna, a pochi metri di distanza, abbracciava un bimbo. Mentre passavamo vicino a quella traversa, uno dei miei MoPol gridò contro quegli uomini, facendoli allontanare con una breve scarica sparata in aria. Mi voltai verso di lui e, annuendo, gli strinsi la mano. Riuscimmo a trovare un tratto di strada abbastanza sgombra, potendo ulteriormente accelerare fino ad un incrocio, poi nuovamente a bassa velocità fino a scorgere altri spazi ben percorribili. Passammo da quella strada dove, in una piccola baracca aperta, su un tavolino, solitamente sedeva accovacciato un ragazzo disabile che, per mestiere, faceva il calzolaio.. si il calzolaio.. lui che non poteva più camminare. Quel giorno il calzolaio non c’era, solo una lucida scarpa si notava nel mezzo di ciò che restava della baracca. Non appena superammo quel punto, da un angolo alla nostra destra, uscirono due uomini armati che tentarono di colpirci: varie raffiche ci sfiorarono mentre procedevamo spediti, l’equipaggio MoPol della nostra seconda vettura, rispose rapidamente al fuoco neutralizzando i bersagli. Fu un’azione rapida e precisa, in una manciata di secondi tutto era finito, noi illesi e velocissimi! Ad un tratto il mio corpo si raffreddò, non TNM ••• 142

sentivo più caldo, sudavo freddo, controllando il mio corpo per vedere se fossi stato colpito.. ebbi una strana sensazione, ero convinto di essere stato preso.. illusione! Intorno a me sentivo i MoPol gridare d’eccitazione, mentre comunicavano via radio con la seconda vettura.. Roland non parlava, guidava veloce come il vento. Mentre ci avvicinavamo alla nostra destinazione, notammo una leggera ripresa della normalità: alcune persone cominciavano ad uscire nelle strade camminando lentamente, altre prendevano i propri mezzi di trasporto e si avviavano adagio verso chissà dove, alcuni raccoglievano dei corpi, altri verificavano i danni subiti.. Warri iniziava a reagire. Sapevo benissimo che tutto poteva cambiare in un secondo, non era possibile avere la certezza che la repressione del governo fosse stata definitiva e che i “ribelli” fossero stati annientati. Ci avevano appena sparato addosso e questo dava la concreta misura delle cose. Con un altro po’ di fortuna, saremmo arrivati all’eliporto, eravamo ormai vicinissimi. Il cancello era aperto con due MoPol di guardia all’ingresso e dietro due jeep pesantemente armate: appena ci videro ci fecero direttamente entrare senza nessuna formalità, in fondo si scorgeva un elicottero, gli altri sicuramente ancora impegnati nelle operazioni d’evacuazione. Mentre ci avvicinavamo, nell’area adibita ad uffici era visibile la concentrazione di altri MoPol, posti a presidiare i punti nevralgici. Scesi di corsa dalla jeep e mi recai verso l’ufficio del responsabile alle operazioni, il quale mi accolse con particolare preoccupazione: “Ah! Mr. S., che situazione!” “Salve direttore, non sono riuscito a comunicare con voi, per questo mi trovo qui.” “Abbiamo subito un solo attacco, gente ben organizzata, ma tutto si è risolto in pochi minuti grazie a Dio. Il problema è che parte del nostro sistema di comunicazione è fuori


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uso, rete telefonica completamente andata e radio che funziona quando decide lei.. pazzesco! Tutto questo ci crea notevoli problemi come può immaginare.. stiamo tentando di riparare.” “Infatti.. mi permette di risolvere, almeno in parte, il problema: ho portato alcune radio portatili e telefoni satellitari, credo a questo punto che sia meglio utilizzare il satellitare in modo da tenerci in contatto con maggiore serenità. Noi non siamo ancora riusciti ad arrivare ad Oghenovo, quindi è indispensabile rimanere in contatto in modo da richiedere il vostro intervento se occorre.” “Certo Mr. S., grazie per aver pensato a questa soluzione, veramente ottima.” “Bene, vedo che avete quasi tutti gli elicotteri in volo?” “Eh si, abbiamo però avuto grosse difficoltà, l’unico che è a terra in questo momento non funziona, è stato danneggiato.. quello che era stato predisposto per voi lo stiamo utilizzando per un’altra azienda, appunto perché quello li infondo non può volare.” “Capisco la sua esigenza, ma io voglio avere la sicurezza che, nel caso di necessità, non ci lascerete a terra.” “Tra pochi minuti dovrebbe rientrarne uno, lo metterò subito in stand-by per voi.. promesso.” La situazione non mi piaceva affatto, non potevo fidarmi di quell’uomo, era evidente. Pensavo di ripiegare sulla seconda soluzione che avevo pianificato, cioè quella di evacuare da Warri via fiume, sicuramente la più pericolosa ma non avevo alternative. Si poteva tentare un’evacuazione via terra, ma questo non poteva essere preso seriamente in considerazione dato che non bastavano i mezzi per effettuarla: i fanti di marina predisposti a difesa degli uffici non avevano propri mezzi di trasporto, quindi non potevo organizzare un trasferimento d’emergenza con un’esigua forza di protezione composta dai soli MoPol a mia disposizione.. troppo pochi! Mi confortava il fatto che tutto il personale era al sicuro nel compaund degli uffici, dove la protezione era più che sufficiente, almeno questo mi rassicurava. Avevamo speedboat a sufficienza per tentare via fiume, inoltre potevamo contare sull’appoggio delle imbarcazioni della marina, cosa già verificata. “Ok direttore, la saluto e mi raccomando…non ci lasci a terra!” “Certo, certo, nessun problema…teniamoci in contatto, sarò io stesso a chiamarla immediatamente appena rientra uno dei miei elicotteri”. Ci salutammo cordialmente mentre valutavo se avrebbe mantenuto la promessa. Con questa speranza, messa in serio dubbio dati gli eventi, iniziammo il nostro viaggio di ritorno verso gli uffici. Contattai via radio il project manager chiedendogli aggiornamenti sulla situazione: “Adesso sembra tutto più calmo S., almeno sembra” “Ok, noi stiamo rientrando” “Avete avuto problemi durante il percorso?” “Qualcosa ma tutto bene, non ti preoccupare per me” “Ok, ma sei riuscito a parlare con qualcuno all’eliporto?” “Si, ho parlato con il direttore, abbiamo ristabilito il sistema di comunicazione e predefinito l’utilizzo del satellitare… ok?” “Si ricevuto, Ok” “Bene, ci vediamo tra poco.. chiudo” Roland era nel suo mondo, andava velocissimo, tallonato dalla nostra seconda vettura, mentre di tanto in tanto mi guardava dallo specchietto retrovisore per assicurarsi di non subire un amichevole rimprovero. Per fortuna il viaggio di rientro non fu particolarmente difficile, nessun tentativo d’attacco nei nostri confronti, nessun problema.. tutto liscio come l’olio! Effettivamente la situazione stava

migliorando notevolmente, era visibile e ci arrivarono varie conferme di questo dai nostri “informatori”. Giunti al compaund degli uffici, ricontrollammo le informazioni: il livello di rischio diminuiva, la nostra ambasciata ci chiedeva informazioni in continuazione ed io raccoglievo anche quelle degli altri colleghi di varie aziende per confrontarle. Tutti davano la stessa impressione.. il pericolo è passato. Si poteva cogliere l’occasione per rientrare ad Oghenovo, questo tranquillizzava molto il nostro personale, dato che un elicottero poteva toglierci rapidamente dai guai.. almeno così speravamo. Si, poteva essere il momento giusto, ma era comunque necessario procedere con estrema cautela: il convoglio doveva essere preceduto a distanza da una vettura che potesse informarci, via radio, sulle condizioni generali, in modo da avere la possibilità di variare il percorso stabilito al momento opportuno. Questa soluzione era la migliore per cercare di diminuire, per quanto fosse possibile, eventuali sorprese. Restava da verificare la possibilità di farci scortare anche dai fanti di marina che presidiavano il compaund degli uffici, ma rimaneva il problema dei mezzi non sufficienti. L’unica cosa da fare, per risolvere la questione, era quella di riuscire ad ottenere altri MoPol con propri mezzi. Chiesi al sergente di contattare urgentemente il suo diretto comandante, in modo da verificare la fattibilità di quest’opzione. Dopo qualche minuto il sergente mi comunicò che potevano farci arrivare una sola vettura, un pick-up con sei MoPol; ok era fatta andava bene così. Attendemmo circa trenta minuti, poi arrivarono i rinforzi richiesti e ci organizzammo per procedere verso Oghenovo, lasciando i fanti di marina a protezione della struttura. In convoglio ci spostammo verso la nostra meta, preceduti di qualche minuto da una vettura in avanscoperta come pianificato, costantemente in contatto radio. Un viaggio tra i colori del tramonto d’Africa, con il cielo sopra di noi che ci vegliava, accompagnandoci tra i colori mutati della città. Quel trasferimento si concluse in sicurezza e con la massima tranquillità, attraversando una Warri ormai coperta di fumo, con fuochi che si andavano esaurendo. Arrivati ad Oghenovo tirammo tutti un profondo sospiro di sollievo, eravamo tutti abbastanza provati da quella frenetica giornata, ma per grazia di Dio tutto era andato bene per noi: sani e salvi al calar del sole. TNM ••• 143





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