TNM 11

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TNM n°11 • novembre-dicembre 2011 • periodico mensile

www.tacticalnewsmagazine.it • € 6.00 “Poste Italiane SpA, Spedizione in Abbonamento Postale DL 353/2003 (convertito in legge 27/02/2004 n°46) art. 1 comma 1 LO/MI”

M I L I T A R Y • L A W ENFORCEMENT • SECURITY

OPERATION REPORTS

HAMBURGER HILL COLLINA 937

FOCUS ON

FORCE PROTECTION DA CONCETTO DIFENSIVO A DOTTRINA OPERATIVA

speciale

MILIPOL PARIGI 2011 SITUATION REPORT L’IRAN E IL PENDOLO DELLA RIVOLUZIONE

TACTICAL FITNESS

LA GEOMETRIA DI DIO

COLTELLI TATTICI

SOG SEAL TEAM



SCAR速 Assault Rifle


EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE

tiriamo LE SOMME... Tra qualche settimana Tactical News Magazine compie un anno, il suo primo anno di vita. Molte riviste concorrenti, di cui per ovvie ragioni non posso rivelare i nomi, non ci davano tre mesi di vita, e invece siamo qui presenti e sempre più spinti a fare del nostro meglio per garantirvi ogni mese una sana lettura depurata dalla varia ipocrisia e schiavismo nelle Istituzioni, che regna invece in altre redazioni. Abbiamo più volte rifiutato un’offerta di acquisto, pervenutaci da una nota casa editrice del settore, che voleva comprare TNM... chissà poi perchè, dato che è una delle stesse che ci davano tre mesi di vita. Forse perchè, prima ancora di Voi lettori, sono gli stessi concorrenti ad aver capito l’ondata di rivoluzione che TNM sarebbe stata in grado di portare in questo difficile e controverso settore. Tactical News Magazine è nata per colmare un vuoto che nel panorama italiano purtroppo mancava e grazie a questo vuoto e sopratutto grazie alla professionalità dei nostri collaboratori, siamo riusciti in un solo anno ad ottenere dei risultati eccezionali non preventivati e non consideratela una presunzione personale, quanto ho appena affermato è in considerazione di tutte le email di ringraziamento che quotidianamente ci arrivano dalle più disparate personalità, che vanno dal semplice lettore appassionato, fino ad arrivare a gli addetti del settore di qualsiasi grado e specialità... e all’unisono tutti ci considerano “la rivista del settore per eccelenza”. Quando mi arrivano delle email con scritto “grazie per quello che fate” e ne arrivano moltissime, sono sincero, a stento trattengo le lacrime. La mia più grande soddisfazione sono queste email di solidarietà, che mi fanno capire quanto sia importante quello che stiamo facendo e che tutto il nostro impegno, che è veramente enorme, è ampiamente ricompensato dai ringraziamenti di Voi lettori, e i lettori per noi sono la cosa più importante prima ancora degi sponsor. Dato che ho appena nominato gli sponsor, allora mi sento in dovere di ringraziare anche loro, di ringraziare tutte quelle aziende che hanno creduto in noi fin dal primo momento e tutte quelle che lo hanno fatto dopo e che ancora adesso lo stanno facendo. L’importanza dei nomi che ci hanno affidato la loro pubblicità, è un ulteriore segno tangibile che TNM rappresenta ormai una realtà forte e dominante. Inoltre pensando all’incarico affidatoci da Stato Maggiore Esercito per la realizzazione del libro “Folgore Afghanistan 2011”, agli importanti accordi che stiamo prendendo con i vari Corpi di Polizia Nazionali, i Reparti Militari e le varie Associazioni d’Arma in congedo... pensando a tutto questo, a chi ci vuole del male mi rivolgo con una bellissima frase del nostro Albertone nazionale, che nei panni dell’irriverente Marchese del Grillo diceva ai popolani arrestati... «Ah... Mi dispiace, ma io so’ io, e voi nun siete un...!» Mirko Gargiulo


RIALE EDITORIALE


INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE

TACTICAL NEWS MAGAZINE Military - Law Enforcement - Security n°11 - novembre-dicembre 2011 - mensile

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Direttore responsabile: Giuseppe Morabito

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EDITORIALE

Direttore editoriale: Mirko Gargiulo mirko.gargiulo@tacticalnewsmagazine.it

NEWS

Direttore commerciale: Giovanni Petretta giovanni.petretta@tacticalnewsmagazine.it

HOT POINT

Art director: Matteo Tamburrino tambetti@gmail.com Impaginazione: echocommunication.eu Collaboratori: Davide Pane, Gianluca Favro, Gianluca Sciorilli, Gianluca H., Fabio Rossi, Galdino Gallini, Marco Sereno Bandioli, Carlo Biffani, Giovanni Di Gregorio, Roberto Galbignani, Zoran Milosevic, Gabriele Da Casto, Marco Strano, T. Col. GdF Mario Leone Piccinni, Antonello Tiracchia, Marco Buschini, Michele Farinetti, Ovidio Di Gianfilippo, Sergio Giacoia, Mario Vilardi, Alberto Saini, Marco Strano Fotografie: ISAF, Department of Defense, Stato Maggiore Esercito, U.S. Navy, NATO Multimedia, The National, Command Special Naval Warfare, Onu Media Press, Zoran Milosevic, Michele Farinetti, Marco Buschini Redazione: redazione@tacticalnewsmagazine.it Periodico mensile edito da: CORNO EDITORE Piazza della Repubblica n. 6 20090 Segrate - Milano - P.IVA 07132540969 Stampa: Reggiani Spa Via C. Rovera 40, 21026 Gavirate (VA) Distributore: Pieroni Distribuzione s.r.l. Viale Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano Registrazione Tribunale di Milano n.509 del 27 settembre 2010 Iscrizione al ROC 20844 Tutti i diritti di proprietà letteraria, artistica e fotografica sono riservati, ne è vietata dunque ogni duplicazione senza il consenso scritto della Corno Editore

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Pirates Being Pirated

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Report From

MILIPOL PARIS 2011 Salon mondial de la sécurité intérieure des États

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HAMBURGER HILL COLLINA 937

Situation Reports

Il pendolo della Rivoluzione L’Onda Verde e la Primavera araba

OPERATION REPORT

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TEST BY TNM

5.11 RUSH MOAB6

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FORCE PROTECTION. DA CONCETTO DIFENSIVO A DOTTRINA OPERATIVA

InternationaL Security Assistance Force

FOCUS ON

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FIRE TEST

ISAF

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AFGHANFRAMES

FOTO AFGHANISTAN

SOLDATO IN ABITI CIVILI. IZHMASH Saiga M4 calibro 7.62x39 Russian

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LA GEOMETRIA DI DIO

POLICE FORCE COMBAT PSYCHOLOGY

LA PERSONALITà del guerriero

tactical fitneSS

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BERETTA DEFENCE SHOOTING ACADEMY

ALL’ACCADEMIA DELLA BERETTA CON IL CORPO FORESTALE DELLA REGIONE SICILIA

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COLTELLI TATTICI

SOG Seal Team


CE


AROUND THE WORLD Il Ministero della Difesa all’Ammiraglio Di Paola L’Ammiraglio Giampaolo DI PAOLA è nato a Torre Annunziata (NA) il 15 agosto 1944. E’ entrato all’Accademia Navale nel 1963 ed è stato nominato Guardiamarina nel 1966. E’ stato promosso successivamente: Sottotenente di Vascello l’11 novembre 1967, Tenente di Vascello il 31 luglio 1971, Capitano di Corvetta il 1 gennaio 1976, Capitano di Fregata il 1 gennaio 1980, Capitano di Vascello il 31 dicembre 1986, Contrammiraglio il 31 dicembre 1993, Ammiraglio di Divisione il 31 dicembre 1997 ed è stato promosso Ammiraglio di Squadra il 1° gennaio 1999. Dopo la specializzazione presso la Scuola Sommergibili, dal 1968 al 1974 ha prestato servizio con vari incarichi a bordo dei sommergibili convenzionali “GAZZANA” e “PIOMATA”. Comandante del Sommergibile “CAPPELLINI” nel 1974/75 e del Sommergibile “SAURO” nel 1980/81 è stato anche Comandante della Fregata “GRECALE” nel 1984/85; dopo la promozione a Capitano di Vascello ha prestato servizio come Comandante a bordo dell’Incrociatore Portaeromobili “G. GARIBALDI” nel 1989/90. Nel 1981 ha frequentato il NATO DEFENCE COLLEGE a Roma (Italia). Dal 1981 al 1984 l’Ammiraglio Giampaolo DI PAOLA ha prestato servizio a SACLANT(Norfolk – Virginia, USA) nel settore “LONG TERM PLANNING” come Ufficiale ASW (guerra antisommergibile) e addetto al Programma di Guerra Subacquea. I suoi incarichi più importanti nell’ambito dello Stato Maggiore Marina sono stati: Capo del Settore “Piani e Programmi” della Pianificazione Generale e Finanziaria” (1986/1989), “Assistente del Sottocapo Stato Maggiore della Marina” (1990/1991), “Capo dell’Ufficio Piani e Politica Navale della divisione Piani e Operazioni” (1991/92)e “Capo del 3° Reparto Piani e Operazioni” (1992/94). Dal 1994 al 1998 ha ricoperto l’incarico di “Capo del Reparto Politica Militare” dello Stato Maggiore Difesa. Il 30 novembre 1998 è stato nominato “Capo di Gabinetto” del Ministro della Difesa. Dal 26 marzo 2001 al 9 marzo 2004 è stato Segretario Generale della Difesa/Direttore Nazionale degli Armamenti. Dal 10 marzo 2004 al 12 febbraio 2008, l’Ammiraglio Giampaolo DI PAOLA è stato il Capo di Stato Maggiore della Difesa. Dal 27 giugno 2008 al 17 novembre 2011 è stato il Presidente del Comitato Militare della NATO. Dal 18 novembre 2011 è Ministro della Difesa.

COMMERCIALI

L’Ammiraglio Giampaolo DI PAOLA è stato insignito delle seguenti decorazioni e onorificenze: • Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine di Merito della Repubblica italiana; • Croce d’oro per anzianità di servizio (40 anni); • Medaglia Militare al merito di lungo comando; • Medaglia di Bronzo per servizio di lunga navigazione nella Marina Militare (10 anni); • Medaglia “Mauriziana” al merito per 10 lustri di carriera militare; • Decorazione d’onore interforze di SMD; TNM ••• 06

• Gran Croce con Spade dell’Ordine al Merito Melitense; • Commendatore con Placca dell’Ordine Equestre di S.Gregorio Magno; • Cavaliere di Gran Croce di Merito del “Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio”; • Cavaliere Grand’Ufficiale dell’Ordine Equestre di Sant’Agata (San Marino); • The Legion of Merit (Degree of Commander) USA; • Commandeur de l’ordre de la Legion d’Honneur (FR); • Grand’Ufficiale dell’Ordine dell’Infante Don Enrico (PO); • Commandeur de l’ordre National du merite (FR); • Gran Croce dell’Ordine Bernardo O’Higgins (Cile); • Grand’Ufficiale della Virtu’ Militare con l’insegna di Guerra (RO); • Grand’Ufficiale dell’Ordine al Merito del CISM; • Medaglia NATO per l’Operazione ISAF in Afghanistan; • Medaglia per la Missione ONU per il Mantenimento della Pace in Kosovo (UNMIK); • Medaglia Commemorativa del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta; • Distintivo d’Onore per Sommergibilisti.


La denuncia di Amnesty: da Usa, Europa e Russia armi alle dittature arabe Gli Stati Uniti, la Russia e altri paesi europei hanno fornito grandi quantità di armi ai regimi del Medio Oriente e del Nord Africa prima dell’avvento della cosiddetta ‘primavera araba’, pur sapendo che potevano essere usate per compiere violazioni dei diritti umani. Lo ha denunciato Amnesty International in un rapporto dal titolo ‘Trasferimenti di armi in Medio Oriente e Africa del Nord: le lezioni per un efficace trattato sul commercio di armi’. Nel documento vengono prese in esame le esportazioni di armamenti verso Bahrein, Egitto, Libia, Siria e Yemen a partire dal 2005. “Le nostre conclusioni mettono in evidenza il profondo fallimento degli attuali controlli sulle esportazioni di armi, con tutte le scappatoie esistenti, e sottolineano quanto occorra un efficace ‘Trattato sul commercio di armi’ che tenga in piena considerazione la necessita’ di difendere i diritti umani”, ha dichiarato Helen Hughes, che ha curato la stesura del rapporto di Amnesty International. “I governi che ora affermano di stare dalla parte della gente in Medio Oriente e Africa del Nord sono gli stessi che fino a poco tempo fa hanno fornito armi, proiettili ed equipaggiamento militare e di polizia usati per uccidere, ferire e imprigionare arbitrariamente migliaia di manifestanti pacifici in paesi come la Tunisia e l’Egitto e tuttora utilizzati dalle forze di sicurezza in Siria e Yemen”, ha commentato la Hughes. I principali fornitori di armi ai cinque paesi di cui si occupa il rapporto sono Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Russia e Stati Uniti. Il rapporto menziona 11 paesi (tra cui Bulgaria, Germania, Italia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Russia, Stati Uniti d’America, Turchia e Ucraina) che hanno garantito assistenza militare o autorizzato esportazioni di armi, munizioni e relativo equipaggiamento allo Yemen. Più difficile avere informazioni sull’afflusso di armi in Siria, dove comunque Amnesty denuncia che il principale fornitore è la Russia, che qui destina circa il 10 per cento di tutte le sue esportazioni. Nel rapporto si legge poi che l’India ha autorizzato la fornitura di veicoli blindati alla Siria, mentre la Francia ha venduto munizioni a Damasco tra il 2005 e il 2009. Amnesty International ha quindi identificato 10 stati (tra cui Belgio, Francia, Germania, Italia, Regno

Prima prova di fuoco del Tomahawk sul sottomarino Astute Il primo sottomarino classe Astute della Royal Navy ha compiuto la prima prova di fuoco con il missile da crociera Tomahawk al largo del Golfo del Messico. Il test con il missile è una delle ultime tappe della campagna di prove in mare nell’Oceano Atlantico settentrionale che vede impegnata l’unità fino all’inizio della prossima primavera. Il missile si è comportato come previsto, accellerando fino a 885 km/h prima di entrare nella fase di volo di crociera per poi colpire il bersaglio a terra situato negli USA. Il Regno Unito resta l’unico paese, oltre agli Stati Uniti, che impiega il missile da crociera Tomahawk, lungo 5.5 metri per 1.300 kg e con un raggio d’azione di 1.600 km; oltre che in Afghanistan e in Iraq, il Tomahawk Block IV è stato impiegato dalle unità britanniche e americane di superficie e sommerse anche nelle operazioni in Libia. Con 7.400 tonnellate di dislocamento e velocità di oltre 29 nodi in immersione, 97 metri di lunghezza, 6 tubi lanciasiluri Spearfish/missili Harpoon e Tomahawk (38 munizioni trasportabili), reattore nucleare con autonomia di 25 anni, stealthness e sensoristica avanzata, la classe di sottomarini Astute è la più avanzata mai costruita per la Royal Navy. L’HMS Astute, la prima delle sette unità programmate (con la quinta già in costruzione), è stato preso in consegna dalla Marina inglese il 27 Agosto 2010 e alla fine della campagna di prove inizierà l’attività operativa. Questa classe di sottomarini sarà in grado di svolgere oltre alle convenzionali missioni di guerra contro unità di superficie e sommerse, anche compiti di appoggio alle forze di terra, sorveglianza e raccolta dati di intelligence. Sostituirà i vecchi classe Swiftsure e Trafalgar. (difesa news.it ) Unito, Russia e Spagna) che hanno autorizzato la fornitura di armamenti, munizioni ed equipaggiamento al regime libico del colonnello Muammar Gheddafi a partire dal 2005. Munizioni a grappolo e proiettili da mortaio MAT-120 di provenienza spagnola, venduti nel 2007, sono stati rinvenuti da Amnesty International a Misurata, bombardata dalle forze di Gheddafi. Si tratta di forniture proibite dalla Convenzione sulle munizioni a grappolo. Gran parte delle munizioni recuperate in Libia erano di fabbricazione russa, cinese, bulgara e italiana Almeno 20 stati hanno poi venduto o fornito all’Egitto armi leggere, munizioni, gas lacrimogeni, prodotti antisommossa e altro equipaggiamento. Su tutti gli Stati Uniti, con forniture per un miliardo e

300 milioni di dollari all’anno, seguiti da Austria, Belgio, Bulgaria, Italia e Svizzera. I fucili sono stati usati dalle forze di sicurezza in Bahrain ed Egitto. Quest’anno, riconosce Amnesty International, sono comunque stati fatti passi avanti dalla comunità internazionale, che ha limitato i trasferimenti internazionali di armi a Bahrein, Egitto, Libia, Siria e Yemen. E questo per via degli attuali controlli sulle armi. “Ciò di cui il mondo ha bisogno è che si valuti rigorosamente e caso per caso ogni proposta di trasferimento di armi in modo tale che, se c’è il rischio sostanziale che queste potranno essere usate per compiere o facilitare gravi violazioni dei diritti umani, il governo dovrà mostrare semaforo rosso”, ha detto la Hughes. TNM ••• 07


Libia, catturato Saif al-Islam Gheddafi. Folla tenta linciaggio. Il tribunale dell’ Aja: “Datelo a noi” Tripoli, 19 novembre, Saif alIslam Gheddafi, figlio del defunto leader libico Muammar Gheddafi, e’ stato catturato insieme a due collaboratori ‘’nella regione di al Obari’’, nel sud della Libia. Saif, stando a Mohammad al-Alaqi, esponente del CNT citato da alArabiya, sarebbe stato arrestato mentre tentava la fuga verso il Niger ed è stato trasferito a Zintan. La tv libica al-Ahrar ha trasmesso le immagini di Saif al-Islam dopo la cattura. Nel video, girato con un cellulare, il figlio di Gheddafi appare vivo con la mano destra fasciata. Una folla inferocita ha tentato di assaltare l’aereo su cui Saif veniva trasportato da al Obari a Zintan. Il figlio del colonnello è ricercato dal Tribunale penale internazionale per crimini contro l’umanità. Dall’Aja il TPI ha fatto sapere di aver ricevuto conferma dalle autorita’ libiche della cattura di Saif al-Islam. ‘’Ci stiamo coordinando con il ministero libico della Giustizia affinche’ ogni circostanza riguardo l’arresto di Saif al-Islam rispetti la legge’’, ha detto un portavoce del Tpi. E dopo le polemiche internazionali per il brutale assassinio di Muammar Gheddafi da parte dei ribelli, ora il ministro della Giustizia del CNT libico, Mohammad Alalaqi, assicura

che il figlio del colonnello avrà un ‘’processo giusto, sulla base degli standard internazionali’’. ‘’Ci coordineremo con il Tribunale penale internazionale per il processo’’, ha detto il ministro. Il presidente del Tribunale dell’Aja, Luis Moreno Ocampo, ha detto che si rechera’ a Tripoli la prossima settimana per discutere del processo di Saif al Islam. Una sua portavoce inoltre ha dichiarato che la Libia ha il dovere legale di collaborare con il TPI e che il figlio del defunto rais libico deve essere trasferito all’Aja. Un appello è stato lanciato anche da Amnesty International, secondo cui Saif al Islam “deve essere consegnato al TPI e la sua sicurezza e i suoi

diritti devono essere garantiti”. Secondo Hassiba Hadj Sahraoui, vice direttore dell’ufficio di Medio Oriente e Nord Africa, il figlio di Gheddafi deve “rispondere dei suoi crimini in un giusto processo che non preveda la pena di morte”. Col diffondersi della notizia della sua cattura, i libici sono scesi in strada per festeggiare. Al-Jazeera riferisce di festeggiamenti nella citta’ costiera di Misurata. Scene di giubilo e spari in aria anche a Tripoli, riporta la Bbc, con caroselli di macchine per le strade piene di libici armati di bandiere. Saif al-Islam e’ l’ultimo esponente di spicco della famiglia Gheddafi a essere catturato o ucciso in Libia.

Damasco dopo le sanzioni turche: “Libereremo 900 oppositori” La Turchia sospende la cooperazione strategica con la Siria e accresce le pressioni internazionali su Damasco. Caduti nel vuoto i suoi appelli a cessare le violenze, Ankara è passata ai fatti, annunciando sanzioni economiche e stop alla vendita d’armi. Tra le misure anche il gelo degli asset siriani in Turchia e l’interruzione dei rapporti con la Banca centrale siriana. “Riteniamo che il governo siriano si sia giocato tutte le opportunità – ha detto il Ministro degli esteri turco, Ahmet Davutoglu -, inclusa quella che gli è stata offerta dalla Lega Araba. Le alternative sono ormai esaurite, ma non è che una conseguenza delle loro scelte”. Sollecitata a consentire l’ingresso di un contingente di osservatori internazionali, Damasco aveva con il suo silenzio indotto la w ad adottare appena domenica una serie di sanzioni economiche. All’iniziativa di Ankara, il governo siriano ha subito replicato annunciando la liberazione di oltre 900 persone, arrestate nel corso delle proteste. Altre circa 1.800 sarebbero state liberate a metà novembre. TNM ••• 08


Terminata Unified Protector, il Capo di Stato Maggiore della Marina incontra gli equipaggi rientrati dalla missione Nato Il tre novembre scorso a bordo della portaerei Garibaldi ormeggiata nella Base Navale in Mar Grande di Taranto alle ore 15:30, il Capo di Stato Maggiore della Marina l’Ammiraglio di Squadra Bruno Branciforte, ha incontrato gli equipaggi che hanno partecipato alla missione NATO Unified Protector. Nel dare loro il ben tornati a casa l’ammiraglio Branciforte ha espresso parole di vivo apprezzamento per il lavoro compiuto: “ Sono qui per esprimere la grande soddisfazione per l’operato di tutte le componenti della Marina”. Dal 23 marzo e fino al 31 ottobre in 231 giorni di missione, le forze aeronavali italiane messe a disposizione della NATO per l’operazione Unified Protector hanno portato a termine i compiti assegnati per l’imposizione della No – Fly Zone e dell’embargo navale. Il Capo di Stato Maggiore della Marina ha poi aggiunto “porto il saluto della Marina Militare e del Paese tutto in questo momento difficile. Quanto avete fatto deve essere d’esempio per la Nazione. Avete dimostrato quanto strategicamente è importante uno strumento navale in grado di intervenire ovunque e in poco tempo. Le operazioni in Libia hanno fatto chiarezza sulle reali capacità della Marina”. Fin dal 17 febbraio 2011 l’Italia si è attivata per fronteggiare gli esiti della crisi Libica. Le Unità della Marina Militare da subito hanno dato inizio ad un’attività di monitoraggio delle acque dello Stretto di Sicilia e dello spazio aereo sovrastante oltre a garantire l’evacuazione dei cittadini Italiani, ed anche non Italiani, che sono stati costretti ad abbandonare il territorio libico per non rimanere vittime di una guerra civile che si stava profilando. Il 24 marzo, l’Italia aderì alla Operazione Unified Protector in una coalizione di alleati della NATO e non NATO. L’ONU ha chiesto alla NATO di intervenire per far rispettare le Risoluzioni delle Nazioni Unite 1970 e 1973 embargo delle armi, no-fly zone e protezione della popolazione Libica da attacchi o da minacce di attacco. Il Comando del Task Group per le Operazioni Navali (CTG 455.01) è stato affidato dapprima al Contrammiraglio Gualtiero Mattesi – già Comandante del Gruppo Navale NATO UNO (SNMG1) - imbarcato su Nave ETNA fino al 31 maggio, e successivamente all’Ammiraglio di Divisione Filippo Maria FOFFI imbarcato sulla Portaerei Garibaldi fino al 26 luglio e sulla Nave Anfibia San Giusto dal 27 luglio ad oggi. A conclusione del suo intervento a bordo del Garibaldi l’ammiraglio Branciforte ha sottolineato:” L’importante contributo delle famiglie che sorreggono e supportano i propri cari imbarcati per lunghe missioni”.

Primo volo del secondo X-47B Il secondo esemplare dell’aereo da combattimento unmanned sviluppato da Northrop Grumman X-47B, Air Vehicle 2 (AV-2), ha compiuto il primo volo presso la base aerea di Edwards, California, consentendo al team di sviluppo di avere a disposizione una seconda piattaforma per accelerare l’ottenimento dei risultati utili nel quadro del programma UCAS-D (Unmanned Combat Air System Carrier Demonstration) della US Navy. L’AV-2, partito da Edwards, è salito subito a 5.000 piedi ed ha compiuto una serie di manovre in volo sopra il Rogers Dry Lake, atterrando mezz’ora dopo sulla pista californiana. La disponibilità di due velivoli è particolarmente importante anche per mantenere un ritmo soddisfacente di prove in volo, nel momento in cui il primo esemplare sta per effettuare la transizione presso la Naval Air Station di Patuxent River, Maryland, per i testi di idoneità a terra propedeutici alla transizione a bordo della portaerei USS Dwight D. Eisenhower (CVN-69) nel 2013. Mentre un aereo sarà stanziato stabilmente a Pax River dalla fine del 2011, l’altro continuerà l’espansione dell’inviluppo di volo a Edwards. I test di idoneità comprenderanno approcci di precisione, atterraggi con cavo d’arresto e lanci con catapulta a terra presso l’impianto di prova. I test serviranno anche a validare i sistemi hardware e software di controllo e navigazione automatica recentemente installati a bordo dei due velivoli che permetteranno all’X-47B di atterrare con precisione sul ponte in movimento di una portaerei. L’X-47B, propulso da un motore F100-PW-220U di Pratt & Whitney (derivato dai modelli F100-PW-220 e -220E che spingono l’F-15 e l’F-16), è un sistema aereo da combattimento ad alto livello di automatismo in grado in futuro di portare a termine una missione pre-programmata, e rientrare alla base o sul ponte della portaerei senza bisogno che venga pilotato a distanza come con gli UAV attualmente in servizio; l’operatore a terra si limiterà a controllare attivamente il funzionamento generale del velivolo, a confermare l’obiettivo individuato e ad apportare eventuali modifiche e correttivi in corso. La Marina USA ha assegnato il primo contratto UCAS-D a Northrop Grumman nell’agosto del 2007, con lo scopo di sviluppare e collaudare due velivoli da combattimento senza pilota a bassa osservabilità capaci di operare in sicurezza dal ponte delle presenti e future portaerei statunitensi. Nel 2013 il programma raggiungerà un’importante tappa con la prima dimostrazione di un lancio e recupero in mare, e nel 2014 sono attese le prime prove di rifornimento in volo. ( difesanews.it ) TNM ••• 09


Costa d’Avorio: Gbagbo arrivato a L’Aja L’ Aja... ovvero il capolinea. L’ex Presidente della Costa d’Avorio Laurent Gbagbo mercoledi 30 novembre scorso, è atterrato alle 4 del mattino a Rotterdam. La sua meta ultima: la prigione della Corte Penale Internazionale dell’ Aja che lo accusa delle violenze e delle stragi avvenute nel Paese africano tra lo scorcio del 2010 e i primi mesi di quest’anno. E’ il lasso di tempo durante il quale Gbagbo, 65 anni, alla guida della Costa d’Avorio dal 2000, ha rifiutato di lasciare il potere al vincitore delle elezioni presidenziali Alassane Ouattara. Secondo il procuratore del Cpi le vittime delle violenze post elettorali sono state almeno 3.000. Gbagbo è stato arrestato lo scorso aprile ad Abidjan dove per giorni è rimasto asserragliato nella sua residenza bunker.

la Francia autorizza estradizione ex dittatore PANAMENSE Manuel Noriega La Francia autorizza l’estradizione dell’ex dittatore panamense Manuel Noriega. L’uomo ha scontato una condanna per riciclaggio di danaro, ma su di lui pende un’altra sentenza: nel suo Paese dovrebbe trascorrere altri a 60 anni di prigione per tre omicidi. Capo della polizia segreta panamense ed ex informatore della Cia, Noriega fu accusato da Washington di traffico di droga internazionale e il 20 dicembre 1989, 27mila soldati statunitensi invasero Panama, con l’intenzione di rimuoverlo. Dopo l’invasione, Noriega trovò asilo presso la missione diplomatica della Santa Sede per poi arrendersi ai militari statunitensi. Condotto in Florida fu condannato a 30 anni. Dopo aver scontato 17 anni di prigione negli Stati Uniti, nel 2010 fu estradato in Francia e ora il suo Paese lo attende per saldare l’ennesimo debito con la giustizia. TNM ••• 010


Generali iracheni prendono parte alla Crisis Management Exercise al NATO Defence College a Roma Il 28 novembre scorso, nell’ambito delle attività addestrative condotte dalla NATO Training Mission-Iraq (NTM-I) nei Paesi della NATO a favore delle Forze di Sicurezza irachene, due generali iracheni hanno partecipato, presso il NATO Defence College in Roma, alla Crisis Management Exercise (CMX), fase conclusiva del sesto NATO Regional Cooperation Course. Scopo della CMX, durata due settimane, è quello di raggiungere una soluzione condivisa delle maggiori problematiche di ordine globale, nonchè di sviluppare una guida a indirizzo strategico. Durante la loro permanenza in Italia, gli ufficiali hanno avuto modo di intrattenersi con figure di rilievo, militari e civili, del NATO Defence College. Il compito di accompagnare per l’intera durata dell’attività i due alti ufficiali, il Preside del Defence College iracheno (I-NDC), Generale Alì Mohammed Mahmood Alfarag e il capo della Education Section della Defence University for Military Studies (DUfMS), Generale Ghalib Kareem Abbood Al-Obaidi, è stato affidato al Ten. Col. dell’Aeronautica Militare italiana Maurizio Moscato, in servizio alla NTM-I a Baghdad in qualità di consigliere presso il Defence College iracheno. Al termine dei lavori, i due generali hanno espresso la loro soddisfazione e apprezzamento per l’attività svolta e l’esperienza acquisita che si rivelerà fondamentale per la futura condotta di analoghe iniziative in territorio e a guida iracheni. Il Generale Alì, in particolare, ha affermato: “Sono grato alla NATO e all’Italia per questa opportunità unica che mi è stata offerta di raccogliere nuove idee che saranno realizzate anche nel National Defence College iracheno”. Il Generale italiano Giovanni Armentani, Vice Comandante della NATO Training Mission-Iraq, ha ribadito l’importanza di tali attività peculiari dei rapporti di partenariato esistenti e in via di consolidamento tra NATO e Iraq.

Anche la Svizzera sceglie il GRIPEN Il Governo svizzero ha selezionato il Gripen di Saab quale nuovo caccia multiruolo per l’Aeronautica elvetica, scartando i contendenti più temibili come l’Eurofighter Typhoon, di cui sono dotati tutti i paesi confinanti tranne la Francia, e il Rafale di Dassault, desiderosa di piazzare il primo ordine export per il suo cacciabombardiere. Saab fornirà 22 JAS-39E/F, basati sul nuovo pacchetto NG, quali sostituti dei vecchi F-5 Tiger, più servizi di addestramento e supporto, con prime consegne previste nel 2015. La ratifica formale dell’accordo avverrà dopo approvazione parlamentare a fine 2012. Oltre al prezzo finale e ai bassi costi per ciclo di vita (in 30 anni), la società svedese ha puntato tutto sulla cooperazione industriale spinta con le industrie locali della Confederazione, una strategia rivelatasi utile anche in passato e ormai determinante nello stabilire la vittoria nelle gare internazionali. Il costo dell’intero affare si aggira sui 2.44 miliardi di euro, mentre le negoziazioni nel dettaglio circa il trasferimento di lavoro e tecnologia partiranno immediatamente, compresa la discussione su dove avverrà l’assemblaggio finale dell’aereo, che verrà affidato alla RUAG. Il risultato ottenuto da inoltre ulteriore forza alla proposta di SAAB nella gara brasiliana F-X2, e aumenta la possibilità di ordini da parte di quel gruppo di paesi europei che deve rinnovare la propria linea caccia nei prossimi anni, come Croazia, Bulgaria, Repubblica Ceca (già utilizzatore), Romania, Serbia, Slovacchia e Polonia. Il caccia Gripen, nelle varie versioni, è in servizio nelle aviazioni militari di Svezia, Repubblica Ceca, Ungheria, Sudafrica e Thailandia. L’Empire Test Pilot School (ETPS) del Regno Unito utilizza il Gripen quale piattaforma di addestramento per i piloti collaudatori. (difesa news.it ) TNM ••• 011


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Pirates Being Pirated Di Carlo Biffani

Intervista a due membri del Team di Security imbarcati sulla Montecristo Durante lo scorso mese di novembre l’ennesimo attacco contro una nave mercantile italiana, la Montecristo dell’armatore D’Alesio, sostenuto da quelli che genericamente definiamo “pirati somali” ha avuto risvolti diversi dal solito, tali che per certi aspetti potrebbero essere definiti epocali rispetto al susseguirsi dei fatti che avvengono solitamente e che purtroppo culminano nella maggioranza dei casi nel sequestro della nave e del suo equipaggio. In questo caso abbiamo assistito invece, ad una serie di accadimenti che rappresentano, a mio parere, nella loro unicità, la pietra angolare di quella che mi auguro possa sempre più frequentemente diventare la fattiva collaborazione fra armatori ed aliquote di security. Nel caso preso in esame, infatti, dopo l’abbordaggio ed il conseguente scampo da parte di tutto l’equipaggio all’interno della zona fortificata denominata “cittadelle”, per oltre 24 ore i pirati hanno tentato in tutti i modi di forzare l’accesso dell’area protetta, senza però riuscire nel loro intento nonostante i numerosi tentativi effettuati avvalendosi persino dell’utilizzo di cariche esplosive. Solo la capacità professionali dell’equipaggio e del team di security e la loro comune volontà di difendersi, TNM ••• 012

La nave Italiana Montecristo della compagnia armatrice livornese Gruppo D’Alesio

hanno fatto si che dopo più di un giorno di strenua resistenza, sia stato reso vano il tentativo di sequestro e si sia arrivati all’arresto dei pirati da parte delle sopraggiunte forze di sicurezza. In questo caso, il vero valore aggiunto rispetto ai protocolli solitamente attuati e dettati dalle BMP (Best Management Practices) è stato quello della presenza a bordo di un team di security, che pur se non armato, ha reso possibile l’ottenimento del

massimo risultato, ed è su questo particolare aspetto che vogliamo concentrare la nostra attenzione. La ricostruzione dei fatti, si baserà perciò sul racconto di Alessio Mascherana e Carlo Di Folco, due dei componenti di quella aliquota, operatori che conosco da molti anni ed ai quali sono legato da una sincera amicizia oltre che da un rapporto professionale. Alessio, Carlo potete raccontarci quanti eravate a bordo ad occuparvi di


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sicurezza e come eravate arrivati ad ottenere l’incarico? Carlo • “Eravamo un team di 4 operatori, tutti italiani ed oltre a me ed a Alessio c’erano, il Team Leader Pietro Marras e Massimiliano “Max” Sassi. Tramite una nostra conoscenza, io, Alessio ed altri colleghi, siamo stati presentati al C.A.V. di Parma. Abbiamo successivamente fatto conoscenza con il titolare, che ci ha illustrato la situazione lavorativa già avviata da qualche mese a bordo di navi italiane, per quanto riguardava ovviamente la sfera della sicurezza marittima. Convinti dalla proposta, di li a poco abbiamo partecipato ad una sessione formativa della durata di 3 giorni, necessaria a qualificarci come Consulenti Formatori, una qualifica interna alla struttura dalla quale eravamo stati ingaggiati, in materia di antipirateria marittima. Insomma, il nostro lavoro sarebbe stato quello di coadiuvare l’attività del comandante e dell’equipaggio in materia di prevenzione aiutarli ad approntare le difese passive, preparare un piano di evacuazione di emergenza e provvedere alla sorveglianza ed all’avvistamento, oltre che alla emanazione di procedure operative.” Quale era stata l’accoglienza riservatavi dall’equipaggio e come avevate trascorso i giorni di navigazione in avvicinamento alla zona rossa? Carlo • “ Ci siamo imbarcati la notte del 1° di ottobre alle 01.00 a Suez con un motoscafo di un agenzia locale. Saliti a bordo ci ha ricevuto il Comandante Diego Scussat, che da subito è stato cordiale e molto rispettoso dei ruoli e delle competenze, facendoci davvero un ottima impressione per le doti di umiltà, professionalità e simpatia dimostrate. Non è stata davvero cosa di poco conto poter contare su un professionista di così alto livello ed avere al comando un uomo di quella pasta è stato per noi da subito un gran sollievo. Il nostro rapporto pur se improntato al rispetto dei ruoli e delle competenze è stato tutt’altro che formale. Da parte del resto dell’equipaggio abbiamo subito notato ammirazione e rispetto nei nostri confronti e, perché no, abbiamo percepito immediatamente un pizzico di serenità nel vederci

Il 19 ottobre sono arrivati a Roma i 15 pirati accusati del sequestro della nave portacontainer Montecristo. Si tratta di 13 somali e 2 pachistani arrestati in diverse riprese e giunti a Roma per essere interrogati. I 15 sono ancora oggi detenuti nel carcere di Regina Coeli.

li all’opera accanto a loro. Abbiamo immediatamente pianificato una serie di briefing sia tra noi del team di security che con il Comandante, analizzando anzitutto le criticità della nave così da approntare le modifiche necessarie anche alla creazione di una possibile area sicura. I restanti giorni prima della HRA abbiamo approntato con l’aiuto dell’equipaggio l’installazione delle difese passive (concertina, idranti, preclusione di alcuni accessi, posizionamento di barriere fisiche), oltre che verificato le procedure di drill del Team di Security in caso di attacco e di ricovero dell’equipaggio in cittadella. Abbiamo inoltre provveduto all’approntamento delle risorse per la vita in cittadella, controllando gli equipaggiamenti personali e nei ritagli di tempo, come sempre, ci siamo “concessi” la nostra dose di condizionamento fisico quotidiano.” Vi erano stati segnali precedentemente al tentativo di sequestro, di possibili attività di acquisizione di informazioni sul vostro conto da parte di eventuali compagini ostili? Alessio • “Ovviamente si. Avevamo avuto numerosi avvistamenti di imbarcazioni di presunti pescatori ferme e vicine tra loro a circa 10 Miglia da noi, con AIS spento o inesistente e, con un fondale di circa 1000 mt potevamo considerarli realmente pescatori o piuttosto acquisitori? Non

abbiamo subito avvicinamenti o giri di ricognizione come a volte accade in quelle zone di mare, ma una notte, forse la prima, dopo essere usciti dal corridoio di sicurezza e quindi senza scorta della Marina Militare, proprio mentre effettuavo il turno di notte (i turni erano di 8 h per operatore, 4 h sul ponte di comando e 4 h di pronto impiego) dovetti procedere con una attivazione del mio pronto impiego, così da invitarlo a raggiungermi velocemente sul ponte perché avevo avvistato un barchino che transitava molto lentamente da dritta, in direzione opposta alla nostra a circa 200 mt da noi a luci spente, forse per testare la qualità della nostra risposta. Mi risulta infatti difficile immaginare che si trattasse di aspiranti suicidi che rischiavano una collisione con noi! Comunque in seguito ho saputo che quella dell’acquisire possibili obiettivi anche di notte, sarebbe una pratica diffusasi negli ultimi tempi.” Arriviamo al giorno dell’attacco. In quale tratto di mare vi trovavate? Come si è palesata la minaccia, e quanto tempo è passato da quando avete preso consapevolezza del pericolo a quando siete stati fatti oggetto dei primi colpi di arma da fuoco? Alessio • “ Ci trovavamo nell’Oceano Indiano a circa 620 Miglia ad est delle coste Somale in direzione dello Sri Lanka, più o meno a metà della tratta. Io ero di pronto impiego, avevo fatto la notte, e venni chiamato da Max che TNM ••• 013


HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT mi informò del fatto che il radar tracciava un imbarcazione a circa 12 nm da noi con AIS spento. A questo punto qualcuno di noi si preoccupò di effettuare l’attività di monitoraggio della nave sospetta, sia attraverso il radar che grazie al binocolo, minaccia rivelatasi successivamente essere realmente una nave madre. Contemporaneamente l’ufficiale sul ponte faceva effettuare una manovra di allontanamento per aumentare la distanza tra la nostra e la loro imbarcazione e verificare una loro eventuale reazione. Il secondo campanello d’allarme suonò nelle nostre menti allorché costatammo che la nave madre manteneva più o meno la stessa distanza, quindi ci trovavamo davvero di fronte ad una inequivocabile manovra di avvicinamento. Alle h 07:20 c.a. raggiungevo Max sul ponte di comando, ed insieme verificavamo che a poco meno di 10 mg la nave madre aveva sganciato un barchino che procedeva veloce verso la nostra direzione. A quella distanza e con il solo binocolo, il barchino spariva e riappariva in mezzo alle onde e riuscivamo a malapena a distinguerne il colore. A questo punto anche il resto del

team veniva allertato e ci trovavamo già tutti pronti sul ponte di comando. La manovra di avvicinamento del barchino durò poco più di mezzora, mentre noi intanto seguivamo le istruzioni programmate in caso di attacco ed emanate in tempo reale dal Team Leader Marras. Mentre discutevamo sul da farsi, il tempo sembrava dilatarsi. Abbiamo quindi deciso di palesare la nostra presenza immaginando che gli assalitori potessero avere un ripensamento vedendoci a bordo, o che almeno una loro eventuale indecisione sul da farsi, ci avrebbe potuto dare qualche piccolo vantaggio in termini di tempo. Arrivati alla distanza di circa 250/300 mt riuscivamo a distinguere i 5 somali a bordo dello skift che proveniva da poppa alla nostra sinistra. Giusto il tempo di iniziare a scorgerne i lineamenti che questi iniziarono ad esplodere i primi colpi di AK con raffiche mirate e discriminate che si infilavano sulle sovrastrutture della nave a non più di 3 mt dalle nostre teste. Dopo un repentino cambio di direzione verso la dritta, l’atteggiamento degli assalitori cambiò in peggio perché i pirati spararono il primo RPG che andò a colpire il fumaiolo, fortunatamente senza creare danni irreparabili.” Quali sono state a questo punto le disposizioni che avevate pianificato e che avete messo in atto? Alessio • “ La prima cosa che ha cercato di fare il Comandante è stata quella di effettuare una manovra

evasiva, ma il barchino dei pirati era troppo veloce per permetterci di ricavare qualche vantaggio dal cambiamento di velocità e di rotta. Quando il gruppo di assalitori era ormai ad una distanza di 3 nm, tutto l’equipaggio tranne il Comandante, i 2 ufficiali italiani, ed il team di sicurezza, veniva fatto ricoverare in cittadella mentre all’entrata della stessa c’era uno degli ufficiali russi che spuntava la lista dei nominativi accertandosi che tutti fossero al sicuro. A questo punto si verificò un episodio dai risvolti clamorosi e per certi aspetti comici (e che in caso di presenza a bordo di personale armato, avrebbe deciso in men che non si dica le sorti del confronto a favore del team di sicurezza N.d.A): il barchino degli assalitori finì il carburante, ma nonostante il momentaneo stop da parte dei nostri nemic, non festeggiammo poiché conoscevamo bene il loro modus operandi e sapevamo che da li a poco avrebbero fatto rifornimento con delle taniche di benzina che avevano a bordo e ripreso l’avvicinamento. Difatti così fu, tanto che i pirati ripartirono e ci raggiunsero a dritta, a circa 20 mt dalla murata della nave, facendoci a gran gesti segno di fermarci. Ora si che li potevamo distinguere chiaramente! Nel frattempo un ufficiale riusciva a passare il governo della nave e le comunicazioni, dalla plancia comando alla cittadella. Il Comandante stava già mandando gli allarmi via radio e via telefono satellitare, sia alla compagnia

L’Italia, al momento non ha ancora una legge che preveda di imbarcare su mercantili e navi passeggeri guardie armate, anche se gran parte degli armatori sollecita una soluzione legislativa in tal senso.


HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT che agli organi preposti al controllo ed alla sicurezza della navigazione, comunicando che da li a poco ci saremmo rifugiati in cittadella poiché l’attacco era pesante ed i pirati erano da subito passati alle vie di fatto tanto che il Team Leader Marras, che in quel momento faceva da spotter, ci comunicò che gli assalitori stavano caricando un altro RPG. Io e Max eravamo vicini agli ufficiali, pronti ad evacuarli e Carlo in prossimità di Marras, quando quest’ultimo urlando ci avvisò che i pirati avevano appena lanciato, proprio verso il ponte di comando dove ci trovavamo in quel momento, il secondo RPG! In un attimo abbandonammo la sala tirando letteralmente via gli ufficiali che erano con noi mentre Carlo e Marras ci raggiungevano sulle scale in “zona sicura”. Il tipico rumore dell’RPG in arrivo e poi il successivo boato, ci fecero chiaramente capire che la zona nella quale ci trovavamo tutti sino ad un attimo prima, era stata pesantemente colpita. Ci precipitammo letteralmente tutti quanti in cittadella mentre udivamo altri colpi di RPG che raggiungevano il ponte di comando.” Una volta chiusi nella cittadella, come avete organizzato le attività e come avete gestito la tensione? Carlo •“ La cittadella era già stata approntata precedentemente all’arrivo in HRA con scorte di viveri, medicinali e brandine da campo, oltre che resa idonea alla gestione della navigazione attraverso l’installazione di comandi remoti. L’area comprendeva 2 locali, ovvero sala macchine e sala timoneria. Se necessario sarebbe stato possibile separare ulteriormente le aree dividendole grazie ad una porta di sicurezza. Dopo i primi momenti concitati ed una volta constatato che i pirati erano riusciti a salire a bordo grazie all’accesso al fumaiolo da dove avevamo la possibilità di sfruttare una sorta di “finestra” sull’esterno, (avevamo costruito uno specchio legato ad un bastone per vedere ai lati del fumaiolo) il Comandante prese la decisione di dirigere la nave verso l’Oman in modo da permettere ai soccorritori di capire che avevamo ancora il governo della stessa visto che non stavamo puntando verso le coste somale. Va purtroppo specificato che non potevamo comunicare con l’esterno in nessun modo, in quanto il commando di pirati aveva subito, una volta entrati in plancia comando, distrutto lo switch degli apparati radio verso la cittadella.

In realtà anche i radar e la girobussola erano stati messi fuori uso tanto che per tutto il periodo successivo navigammo alla cieca mentre l’ufficiale pilotava la nave a mano dalla sala timoneria. Immaginate che per vedere in quale direzione procedessimo, usavamo un gps ed un pc che fortunatamente aveva con se un ufficiale russo! I tecnici riuscirono comunque ad accendere le luci esterne di emergenza. Verificammo che tutte le modifiche agli accessi fossero funzionanti e ne modificammo ulteriormente alcune. Abbiamo organizzato da subito i turni di osservazione sul fumaiolo con l’aiuto dei russi (alcuni ex militari) e ci colpì molto il fatto che anche il Comandante venisse lassù con noi. Vorrei sottolineare che li in quell’ambiente era un inferno, con una temperatura che si aggirava attorno ai 70 gradi per cui non si poteva resistere più di mezz’ora! Per infondere tranquillità all’equipaggio ci mostravamo sereni ed ottimisti anche attraverso il ricorso a modi di interagire ed a gestualità atte ad infondere positività, magari scherzando o facendo, a volte, qualche battuta. Per ciò che riguarda noi del team di security, abbiamo semplicemente cercato di liberare la mente dai pensieri negativi e dal soffermarci sulle personali immagini affettive facendoci forza l’uno con l’altro. Siamo riusciti anche a riposare tra un turno e l’altro e pensandoci oggi devo riconoscere che probabilmente non c’era troppo tempo per fermarsi ad avere paura!” Siamo arrivati alla notte. Con il passare delle ore e dopo quasi un giorno di “attività” come si comportavano gli assalitori? Alessio •“ I pirati, dopo aver tentato con ogni mezzo, ininterrottamente sino a notte inoltrata, la forzatura dei più disparati e possibili accessi alla cittadella, forse esaurito l’effetto del kath ( Il kath e’ una droga da masticare. Foglie e germogli vengono pressati in grumi che s’ammassano nella borsa mascellare e dopo un quarto d’ora rilasciano i loro effetti, simili a quelli della foglia di coca in Sud America ) o anche solo per indurci ad uscire con la falsa illusione che loro non fossero più a bordo, non producevano più alcun rumore e per quanto fossimo in religioso silenzio, non riuscivamo più ad udire nessun tipo di attività. Durante la notte ero di guardia sul fumaiolo ed avvistai una nave che procedeva a dritta in senso contrario al nostro, ma non sparai il razzo di segnalazione per paura di

palesare ai pirati la nostra presenza all’interno dello stesso. Difatti di giorno era capitato a Carlo, che si trovava nella mia stessa posizione insieme ad un russo dell’equipaggio, di essere fatto oggetto di una raffica di AK sulle grate del fumaiolo, perché avvistato dai pirati. Fortunatamente non vi fu bisogno di lanciare il razzo di segnalazione perché un tecnico aveva ripristinato le luci d’emergenza e la petroliera comunicò la nostra posizione agli organi di competenza, come ci fu raccontato in seguito.” Raccontateci cosa avete provato quando finalmente avete avuto sentore che vi fossero forze amiche in prossimità della vostra nave. Carlo • “ Non si trattò di una sensazione ma di una certezza poiché l’avvistamento della nave della Marina Militare Americana avvenne quando la stessa era ormai a poche centinaia di metri da noi, visto che dal fumaiolo riuscivamo a vedere bene la nostra poppa ma non altrettanto bene le zone a lato della nave. Sicuramente, anche se pur provati fisicamente vista la stanchezza e qualche ferita procuratasi da Alessio e Marras durante il lancio di un razzo di segnalazione e con me ustionato alle mani per aver salito una scaletta del fumaiolo senza guanti, la forza ed il morale tornarono immediatamente alti, tanto che ci scatenammo tutti ingegnandoci per trovare un modo di comunicare la nostra situazione alla nave in soccorso. Il Comandante scrisse un cartello che fissammo sul fumaiolo in cui spiegavamo che eravamo tutti in cittadella, in buono stato e che a bordo c’erano 11 pirati. Sventolammo anche lenzuoli bianchi mentre facevamo i segnali di s.o.s. con la torcia, poi, preoccupati che forse i soccorritori non leggessero bene il cartello di “spiegazioni” su dove fossimo chiusi, gettammo in mare una bottiglia di plastica con una luce stroboscopica dei giubbetti salvagente e con all’interno lo stesso messaggio del cartello. Infine calammo una delle nostre radio in dotazione, con una corda. Una volta fermate le macchine, doveva essere palese per i militari che fossimo noi a governare la nave. Proprio in quel momento i pirati tentarono il tutto per tutto e ricominciarono con ogni mezzo nel tentativo di forzare l’accesso alla cittadella. Ricordo che li sentivamo parlare da dietro quella lastra di metallo, e da li a poco sentimmo uno strano frastuono. Fu allora che capimmo che stavano provando a stanarci con l’esplosivo. Ci chiudemmo TNM ••• 015


HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT La CTF-150 (Combined Task Force 150) è una task force marittima di coalizione multinazionale che dispone di strutture logistiche a Gibuti istituite per monitorare, controllare, e bloccare i traffici mercantili sospetti al fine perseguire la guerra al terrorismo nella regione del Corno d’Africa. Sono incluse anche “operazioni di sicurezza marittime” (MSO) per la repressione della pirateria in Somalia.

allora in timoneria, ambiente decisamente diverso da quello della sala macchine. A quel punto non potevamo più accedere al fumaiolo, non c’era aria condizionata ne wc (solo quello chimico) e nessun’altra comodità ma soprattutto c’era molto caldo e rumore. A quel punto della storia eravamo tagliati fuori di brutto! Il morale calò bruscamente poiché sapevamo che se a bordo della nave militare non ci fossero state forze abilitate alle azioni di incursione e di liberazione ostaggi nessuno avrebbe autorizzato l’intervento in nostro soccorso e comunque conoscendo a grandi linee i tempi tecnici necessari ad organizzare un blitz, ci prese un poco di sconforto. Passarono diverse ore durante le quali i pirati, che intanto erano entrati in possesso di una delle nostre radio, ci comunicavano di stare tranquilli e di aprire, provando a passare per elementi della Marina Militare! La speranza si riaccese quando dai rumori e dalla concitazione delle azioni che potevamo solo intuire si stessero verificando fuori dal nostro rifugio, capimmo che qualcuno era davvero giunto in nostro soccorso. Si trattava degli SBS Inglesi arrivati poco dopo la nave americana, che assaltarono la nave catturando tutti ed 11 i pirati ed una volta recuperata la radio che avevamo calato dal fumaiolo, ci comunicarono che venivano ad aprirci. L’accento inconfondibile ci rassicurava, ma TNM ••• 016

noi del team di security, da bravi paranoici, continuavamo a temere qualche ulteriore scherzo dei pirati. La sorpresa mista a felicità prese il sopravvento e l’entusiasmo fù davvero indescrivibile, quando da una botolina passacavi verificammo che erano arrivati i nostri. Potevamo finalmente cantare vittoria!” Siete operatori di security da diversi anni. Vi siete addestrati numerose volte ed in diverse situazioni per reagire in maniera ordinata ad una situazione di pericolo come quella di cui siete stati protagonisti. Cosa passa davvero nella testa di chi si trova sotto una così grave minaccia? A posteriori, quali aspetti ritenete che dovrebbero caratterizzare il training di chi fa il nostro lavoro? Alessio • “ innanzitutto devo ringraziarti, perché in qualità di mio primo istruttore in questo settore nel ‘96, con la tua professionalità ed il tuo carisma, hai incentivato la mia volontà a continuare il mio percorso formativo e professionale. Da allora ad oggi ho avuto molteplici esperienze sia professionali che formative, non solo in Italia ma anche all’estero. Credo nell’importanza delle esperienze sul campo ma ritengo che sia irrinunciabile l’aspetto formativo. Bisogna formarsi ad alto livello per comprendere quali sono gli steps da seguire per organizzare al meglio un servizio più o meno complesso. Bisogna essere curiosi,

qualsiasi sia il proprio incarico, e per ottenere buoni risultati dobbiamo informarci, aggiornarci sulle tecniche e sulle risorse tecnologiche che evolvono continuamente. Bisogna assolutamente tenersi al passo. La formazione non deve contraddistinguere solo i primi anni di attività e poi farci erroneamente ritenere che non sia più necessario studiare perché ormai si è appreso tutto, così come non può essere orientata unicamente verso competenze di tipo combat! Personalmente continuo il mio training e mi aggiorno ogni volta che posso, anche con te, e non mi sentirò mai arrivato. Ho avuto diverse esperienze formative sia in Italia che all’estero, con strutture che operano in contesti totalmente diversi, cosi da fare in modo che possa avere un bagaglio di nozioni diversificate, da modulare a seconda delle diverse fasi applicative. Il fatto e, che l’operatore non solo deve avere un’ottima preparazione nelle materie concernenti la difesa attiva e le tecniche di combattimento od in altre attività pratiche, ma deve soprattutto acquisire appieno tutto quello che riguarda l’organizzazione del sistema di protezione, le procedure, l’analisi dei rischi, l’intelligence, la sorveglianza e la contro-sorveglianza, oppure aspetti tra i più disparati, come ad esempio quelli che riguardano il body language o la psicologia applicata


HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT al comportamento criminale. Come poi non interessarsi ad altri settori quali quelli medici e paramedici oppure a segmenti riguardanti la comunicazione? Certo è che bisogna provare ad avere un elasticità mentale tale da permetterci di adattarci alle più diverse situazioni. Sicuramente devo molto all’allenamento in condizioni di stress indotto, metodo che in molti utilizziamo non solo per le attività inerenti il tiro o più in generale il combattimento, ma anche come approccio alla preparazione fisica affinché l’organismo si abitui a lavorare nella zona di criticità sia a livello muscolare che psicologico cosicché il corpo riconosca successivamente la situazione critica per quello che realmente rappresenta. Solo attraverso questo tipo di approccio, in un momento di criticità si può reagire, utilizzo una tua metafora, “in maniera ordinata” e prendere decisioni senza rischiare di bloccarsi. Il lavoro sotto stress mi ha permesso di dare una risposta migliore in quei momenti di concitazione ed a dire il vero, abbiamo tutti risposto molto bene, sia quando eravamo sotto il fuoco, sia nei momenti in cui eravamo in cittadella nei quali ormai l’adrenalina era scesa e la mente era più libera di pensare e soprattutto di prefigurare scenari. Abbiamo cercato di liberarci dai cattivi pensieri e continuato a fare il nostro lavoro anche li dentro. Il problema vero, credo possa essere stato quello che ognuno di noi si sia trovato a riflettere sulle altre navi italiane attualmente sotto sequestro e che in caso di cattura, non si sarebbe trattato di giorni ma di mesi di attesa. Ci chiedevamo inoltre quale sarebbe potuto essere il comportamento dei pirati nei confronti dei componenti di un team si security, qualora fossimo stati catturati. Non esistono riferimenti storici da questo punto di vista e quindi le domande che ci facevamo in tal senso erano tutte senza risposta. Abbiamo ricevuto un encomio da parte del Comandante e della Compagnia di navigazione proprietaria della nave, mentre il Cte degli SBS ha voluto fare scambio di t-shirt con noi, (le loro sono del reparto e dell’Operazione Capri 2011 con il loro stemma con su scritto pirates being pirated, invece ad alcuni operatori del S.Marco incontrati una volta giunta in zona l’Andrea Doria, abbiamo lasciato i nostri berretti) ma il merito del buon esito va diviso fra tutti noi, il Comandante, gli ufficiali italiani, quelli russi ed ucraini che hanno risolto tutti i problemi tecnici e

ci hanno dato una mano determinante. Insomma il nostro è stato davvero un grande equipaggio. Permettimi di aggiungere anche che il nostro ringraziamento va alla Marina Americana, a quella Inglese ed alla Marina Militare Italiana che ci ha fatto sentire a casa, come un grazie deve andare agli organismi competenti che sono stati vicini alle nostre famiglie. Per il resto, sono certo del fatto che non ci sia stato nessuno di noi che non abbia ripetutamente pregato e ringraziato il proprio Dio.” Alla fine di questo lungo racconto mi affollano la mente una serie di considerazioni sia strategiche che tattiche, che da sole richiederebbero una quantità di spazio altrettanto vasto, per essere analizzate in maniera esaustiva. Mi riservo di discuterne insieme a voi alla prossima occasione, ma vorrei congedarmi lanciando una riflessione sulla futilità e la dabbenaggine dei pregiudizi che hanno sinora impedito a chi va per mare il semplice esercizio del diritto alla legittima difesa. Se gli operatori che abbiamo potuto ascoltare in questo racconto avessero avuto accesso all’utilizzo legittimo di armi, non vi sarebbe stata alcuna possibilità di successo da parte degli assalitori, ed in un momento come quello del rifornimento del loro motoscafo, non sarebbe stato verosimilmente necessario neppure sparare al bersaglio, ma potevano bastare alcuni colpi in prossimità dello scafo per far capire loro che quel giorno avevano sbagliato obiettivo. Se in altre simili circostanze si fosse potuta utilizzare una risorsa qualificata ed adeguatamente preparata, non si sarebbe arrivati a contare i quasi 500 ostaggi che si trovano, in alcuni casi da mesi, ancora sequestrati nelle roccaforti dei pirati. In questi mesi continuo a raccogliere segnali preoccupanti riguardanti la reale volontà di dare un seguito all’intervento privato di risorse di security armata su navi battenti bandiera italiana. Personalmente ho sempre auspicato la presenza della Marina Militare, il cui contributo generale in termini di contrasto al fenomeno e di presidio dei corridoi di navigazione è irrinunciabile. Mi auguro però vivamente che possano essere prive di fondamento notizie che mi arrivano e che riguarderebbero la volontà da parte di alcuni reparti militari (ed udite, udite, di alcune Forze dell’Ordine che chiedono a gran voce modifiche alla

Legge 130 che per ora li vedrebbe tagliati fuori) di entrare nel business della protezione armata delle nostre navi mercantili. Se il problema della difesa dei nostri confini marittimi e del contrasto a fenomeni di criminalità odiosi quali il traffico di esseri umani, di droga e di armi è ancora lungi dall’essere risolto e se è vero come è vero che le Forze che ogni giorno combattono questi barbari crimini, hanno sempre lamentato difficoltà in termini di numero del personale assegnato loro, di mezzi ed addestramento del medesimo, faccio davvero una gran fatica ad immaginare che si possano trovare le risorse per distogliere uomini, da quei compiti (istituzionali) per dedicarli a servizi accessori, per altro a pagamento. Vorrei poi proporre una riflessione, non senza partire da un presupposto: gli uomini e le donne delle nostre FFAA e di Polizia hanno tutta la mia stima e la mia riconoscenza e sono sentimenti espressi da un ex Ufficiale della Brigata Paracadutisti Folgore. Trovo ciò nondimeno discutibile che Forze Armate, e da domani forse anche di Polizia, entrino in una dinamica commerciale ed effettuino servizi a pagamento staccando fatture in contesti di impiego che li dovrebbero vedere impegnati per il bene della comunità, senza ulteriore aggravio economico per la stessa. Perché vedete, se la contestazione che è stata sempre mossa alla mia categoria è stata quella di essere composta da mercenari, come potremmo allora definire le prestazioni di chi svolge un lavoro analogo indossando una divisa e percependo anche se solo in linea di principio, due stipendi, uno dallo Stato ed un altro dai privati? Hanno pensato a questo passaggio così delicato, i Comandanti che tanto hanno fatto in questi anni per far approvare il progetto dei Nuclei Militari di Protezione? La cosa che mi verrebbe da pensare è che forse, la lotta senza quartiere nei nostri confronti possa avere come unico fine quello di tentare di tutto, pur di non vedere un giorno gli odiati “contractors”, termine che di suo non significa altro che contrattisti, seriamente impiegati in prima linea a difesa di interessi nazionali e riconosciuti da uno status giuridico così come è per i colleghi di altre nazioni nostre alleate. E questo è un passaggio che mi sembra siano in molti a voler boicottare, anche a costo di assumere posizioni illogiche ed insostenibili. TNM ••• 017


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MILIPOL PARIS 2011 Testo di Fabio ROSSI - foto di Michele FARINETTI

Salon mondial de la sécurité intérieure des États


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Il MILIPOL 2011 di Parigi ha nuovamente tenuto fede a tutte le sue aspettative, nonostante la grave crisi a livello mondiale, la cui scure non ha sicuramente evitato di abbattersi sugli stanziamenti, dei vari governi, nei settori militare e di pubblica sicurezza. Erano presenti 888 espositori, stand istituzionali, grandi gruppi e piccole e medie imprese - 34% francesi e 66% internazionali - che hanno presentato le loro più recenti innovazioni. I visitatori che si sono avvicendati nei quattro giorni di apertura sono stati 27.243 ed hanno potuto letteralmente “rifarsi gli occhi” sia nel campo della tecnologia, dell’informazione e comunicazione, sicurezza stradale, armamenti, tessuti, attrezzature speciali. La dimensione internazionale ed istituzionale dell’evento si è concretizzata con l’inaugurazione alla presenza di Claude Guéant, Ministro francese degli Interni, dalla presenza di molte personalità e, soprattutto, dalla partecipazione di ben 110 delegazioni

ufficiali provenienti da 53 paesi. Queste ultime hanno dimostrato chiaramente che il MILIPOL di Parigi è il punto di riferimento mondiale per il mercato della sicurezza e per tutti i professionisti che della sicurezza hanno fatto la loro professione. Inoltre, e questa è stata la grande novità dell’edizione 2011, la Sicurezza Civile, le esibizioni della Gendarmeria e della Polizia Nazionale francesi che hanno organizzato diversi scenari illustrando le loro azioni, modalità d’intervento e innovazioni tecnologiche. TNM - Semper Presente - è intervenuto all’evento ed ha “scovato” quelle novità o piccole “chicche” che sicuramente interesseranno i nostri affezionati lettori, ed ha cercato di sostituirsi ai loro attenti occhi e di non cadere in una mera e sterile carrellata fotografica. Un ringraziamento alla Special Equipment di Genova, che ci ha ospitato presso il suo stand accordandoci un ottimo punto logistico e a tutti coloro che ci hanno fatto visita.


AU TA TOM TT E IC ZZ I I

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Armor International Hunter TR12 L’azienda colombiana Armor International ha esposto l’Hunter TR12, un nuovo veicolo tattico con ruote corazzate “runflats” ed adatto per il trasporto di 12 operatori equipaggiati in aree pericolose. Il modello esposto era provvisto, sulla parte superiore, di un portellone al quale è stata abbinata una torretta, con protezione a 360°, che potrà essere equipaggiata con mitragliatrici in calibro 7,62 mm o 12,7 mm. Potrebbe anche essere montato un sistema d’arma con controllo remoto. Il vano equipaggio è composto da un monoscafo montato su un telaio indipendente. Questo offre un’alta protezione balistica certificata CEN B6 che lo rende ideale per le operazioni in aree soggette ad alto rischio di scontri e agguati. L’ Hunter TR-12 è motorizzato con un 6700 cc V8 Turbo Diesel accoppiato ad una trasmissione 4x4 automatica a 6 marce e 1 retromarcia.

Automezzo tattico 4x4 Renault Sherpa Ligh versione station vagon

Automezzo tattico 4x4 Renault Sherpa Light APC con protezione NBC

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Sopra: Il francese Panhard VBL MK 2 4x4 Veicolo Blindato Leggero equipaggiato con armamento a controllo remoto Destra: Vista interna del Panhard VBL MK 2 4x4

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RO ET EL LE CH CU OS ER ES H

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Hercule Un grande passo avanti in aiuto ai soldati di fanteria: HERCULE!!! Si tratta di un esoscheletro robotizzato progettato per aiutare un essere umano nel trasporto e nella movimentazione di carichi pesanti. Nato dagli studi e dalle progettazioni di una società francese, che collabora con il ministero della Difesa e messo a punto in sinergia con la DGA (Direzione Generale per gli Armamenti). L’esoscheletro servirà per assistere i soldati e aumentare la loro capacità di carico e resistenza sul campo di battaglia. HERCULE è composto da due gambe “mechatronic” (combinazione di meccanica, computer ed elettronica) che sono in grado di sostenere una struttura dorsale che consente all’utente di trasportare un carico molto pesante. Ciò che lo rende unico sono la sua compattezza ed il fatto di non essere radiocontrollato. Il computer di cui è dotato rileva automaticamente i movimenti del corpo e li segue costantemente dando sostegno agli sforzi al posto del corpo umano. La durata della batteria è di circa 20 km ad una velocità di movimento di 4 Km/h. Avrà la capacità di trasportare fino a 100 kg. Il suo campo d’azione, come è prevedibile, non sarà solo quello prettamente militare ma anche nel trasporto di attrezzature per la Protezione Civile, nell’ambito della logistica nell’edilizia e nella cantieristica e, cosa non trascurabile, in ambito medico per la gestione dei pazienti disabili.

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AC PE CE R SS AR O M RI A

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Aimpoint Patrol Rifle Optic Aimpoint, creatore e leader mondiale nella “red dot sighting technology”, ha presentato Aimpoint PRO - Patrol Rifle Optic™, un nuovo prodotto progettato con il contributo di un gruppo di professionisti. Incorpora molte caratteristiche mai viste prima ed indirizzate a massimizzarne le prestazioni nelle difficili condizioni di utilizzo affrontate dalle moderne forze di polizia. E’ costituito da un tubo di 30 millimetri con trattamento anodizzato molto tenace ed è caratterizzato da un circuito ad alta efficienza che permette, utilizzando una singola batteria, di poterlo lasciare sempre acceso per un periodo di tre anni. La lente frontale utilizza un esclusivo rivestimento che permette di poterlo impiegare con tutte le generazioni di dispositivi di visione notturna. Il sistema modulare QRP2 di assemblaggio include un distanziatore estraibile che ne ottimizza l’altezza sulle armi del tipo AR15/M16/M4. Questo distanziatore può essere rimosso per consentire l’utilizzo su shotguns o pistole mitragliatrici. Le lenti anteriore e posteriore sono incassate all’interno del corpo per fornire una maggiore protezione contro urti, graffi e impronte digitali. Sono presenti di serie i coperchi “flip” per incrementare ulteriormente la protezione delle lenti. Un red dot da 2MOA è stato utilizzato per permettere la massima precisione a tutte le distanze e in tutte le condizioni ambientali.

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CAA Tactica Molto affollato lo stand dell’israeliana CAA Tactical dove ci sono state presentate le novità 2011. La prima è stata la 2^ generazione, ancora a livello di prototipo, dell’esoscheletro RONI, riprogettato per le sole pistole di grosso calibro; sono state aggiunte due viti passanti per assicurare una maggiore tenuta dell’assemblaggio (foto in basso dettaglio n° 1) e la maggiorazione delle feritoie di sfogo dei gas di sparo per abbassare con più rapidità le temperature interne (foto in basso dettaglio n° 2). Altro prodotto, sempre assemblato ad un RONI è stato l’AS-STD Angelsight Combat Lifesaver, un dispositivo ottico che permette di poter mirare e sparare da dietro ostacoli e angoli, senza dover esporre la sagoma del tiratore sulla linea di fuoco. E’ composto da ottiche a “doppio percorso” e permette, inoltre, l’immediata transizione da un colpo esploso da posizione defilata a uno da posizione con arma alla spalla, senza dover riposizionare l’ottica sull’arma. Ruota di 360° e permette all’operatore la massima flessibilità per inquadrare l’obiettivo da qualsiasi direzione: sinistra, destra, alto, ecc. Ha un ingrandimento ottico 1x, non necessita di azzeramento, calibrazione o fonte di alimentazione esterna ed è compatibile con qualsiasi arma, anche non letale, dotata di una guida Picatinny. Per ultimo, ha attirato la nostra curiosità, visto le recenti aperture legislative italiane, un caricatore in polimero da 30 colpi per carabine basate sulla piattaforma AR15/M4 calibro 5.56x45. Denominato a catalogo CDMAG - Countdown Magazine - è un innovativo caricatore, molto leggero e resistente, con molla anticorrosione in acciaio inox, a cui è stato abbinato, nella parte posteriore/inferiore, un dispositivo con un codice colore e numerico che permette di individuare immediatamente i colpi residui: 3021 verde, 20-11 giallo e 10-0 rosso.

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Varie tipologie di approntamento del TRIAR II

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Hera Triar II Nello stand della Hera Arms abbiamo avuto il piacere di incontrare il nuovo TRIAR II. E’ stato progettato per soddisfare le attuali funzioni e le esigenze delle forze dell’ordine, dei militari, delle agenzie private e perché no… degli appassionati sportivi. La struttura è composta da una robusta piattaforma in alluminio highgrade. Una serie di rail Picatinny sono integrati nella parte superiore, di lato ed in basso, al fine di consentire l’assemblaggio gli accessori tattici. Non richiede alcun tipo di modifica all’arma. E’ attualmente disponibile per pistole SIG 2022 e SIG 226, Glock 17 / 22 / 31 (Gen.3 / Gen.4), Glock 19 / 23 / 32 (Gen.3), Glock 34 / 35 (Gen.3) Glock 20 / 21 (Gen.3), CZ SP01. E sono di prossima commercializzazione le versioni per Springfield XD, HK P30 e Walther P99. Prossimamente, come già abbiamo fatto per il CAA RONI e per il FAB Defense KPOS, testeremo il prodotto e vi renderemo partecipi del nostro report. Nella foto: il TRIAR II imbracciato con inserito il simulacro di una pistola Walter P99

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EQ UI IN PA DI GG VI IA DU M AL EN I TI

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Il particolare e funzionale sistema cosciale abbinato alla Speed-Draw™ Duty Holster

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Fondina per bomboletta spray OC dedicata alle bombolette della Sabre in situazione di sicurezza

Proposta dalla HT Holster la Speed-Draw™ Duty Holster è caratterizzata da un sistema di sgancio a pulsante che premuto spinge l’arma verso l’alto di 50mm

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Sopra: Fondina Vega Holster modello VKG8 GUARDIAN Nell’ingrandimento: Il sistema di sicurezza proposto sulla fondina Vega Holster modello VKG8 GUARDIAN

Sotto: Vari modelli di chiavi maggiorate per manette dell’americana ZAK TOOL Destra: Riduttore per manette, utile da inserire quando la persona da bloccare ha le dimensioni dei polsi molto piccole

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Ombrello Para Pactum Un piccolo stand, un unico prodotto esposto, gelosamente custodito da un signore non più giovane, elegantemente vestito e con un spiccato accento della Francia del nord. Lui è Jean-Pierre Yvon, un mastro ombrellaio e presidente/direttore dell’azienda “Le Veritable Cherbourg”, specializzata da oltre 25 anni nella realizzazione di “parapluies” di lusso. Il prodotto è un ombrello high-tech, dalle linee molto eleganti ma che nasconde una grande forza. E’ il primo ombrello espressamente realizzato per la Close Protection e studiato in collaborazione con GSPR della Gendarmeria francese (Groupe de Sécurité de la Présidence de la République) che ne ha già ordinato un lotto per la protezione ravvicinata del Presidente Nicolas Sarkozy e della moglie Carla Bruni. PARA PACTUM (preparati alla pace), questo è il suo nome, ha una struttura irrobustita in fibra di carbonio o in titanio, una lunghezza di 100cm, l’apertura della cupola è di 130 cm ed il peso è di 2,225 kg. La cupola, molto ampia, è stata rinforzata con tessuto balistico Kevlar®, che ha permesso di incrementarne le caratteristiche antitaglio e di resistenza al lancio di oggetti contundenti o liquidi. Le prove a cui è stato sottoposto nella galleria del vento hanno registrato la rottura del manufatto a 168Km/h e, le prove pratiche sul campo, hanno permesso di contenere l’impeto di un cane in corsa del peso di circa 25/30 kg. Le finiture esterne, le personalizzazioni ed i colori sono naturalmente a scelta del cliente e sono eseguite con cura altamente professionale. E’ in vendita solo su prenotazione diretta alla fabbrica con un prezzo che oscilla, a seconda dei materiali impiegati, tra i 7.000 e gli 11.000 euro. www.parapluiedecherbourg.com

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Il nuovo stivaletto anfibio OASI 2 dell’italiana Crispi che sarà commercializzato nel 2012

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Il nuovo Cosmas M.O.U.T. Realizzato in collaborazione con COMSUBIN e specifico per combattimento su navi, piattaforme petrolifere ed in ambienti urbani

La suola del nuovo Cosmas M.O.U.T. Lo stivaletto sarà disponibile al pubblico dalla primevera del 2012

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MK Tecknology Veramente imponente lo stand dell’azienda tedesca MK Tecknology - Body Protection Solutions – che abbiamo già avuto modo di conoscere a Roma durante l’evento del Mad Max Day. Anche in questa occasione a farla da padrone erano una serie di manichini equipaggiati con le loro suite protettive, dei veri e propri esoscheletri professionali per l’utilizzo sia in situazioni di ordine pubblico, sia tattico operative che di training. La loro punta di diamante è il modello della linea KS2000 type A, che, come le antiche corazze, è costituito da un’armatura articolata e realizzata in una speciale lega di alluminio temprato. La sua copertura esterna è realizzata con un materiale ad alta resistenza al calore, antivento, impermeabile, traspirante e può essere implementata con appositi moduli balistici nei vari livelli di protezione. La particolarità di questi prodotti è di poter essere completamente personalizzabili e attagliati per ogni singolo operatore. I rappresentanti ci hanno poi illustrato le caratteristiche di una nuova suite da training, molto utile nell’addestramento sotto stress e nell’utilizzo di bastoni ed oggetti contundenti vari. Non ci siamo fidati!!!... Abbiamo indossato le due protezioni e le abbiamo provate personalmente. Il risultato è stato sorprendente, massima mobilità nei movimenti con entrambe, livello di superficie protetta elevato ma, soprattutto, nessun tipo di danno anche con potenti colpi portati con una mazza da baseball. Aggiungerei che il prodotto potrebbe essere sicuramente ben valutato per l’adozione da parte delle nostre forze di Polizia, in quanto abbasserebbe notevolmente i danni “collaterali” agli operatori impegnati nelle difficili operazioni di gestione dell’Ordine Pubblico.

Vestizione della suite da training della MK Technology

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Prova pratica della suite antisommossa della MK Technology

Prova di mobilità con la suite da training

Prova di tenuta agli urti con mazza da baseball

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Manichino della CRS Police Nationale in tenuta da Ordine Pubblico con suite di protezione della francese PROTECOP

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Suite completa antisommossa in colorazione desert sand proposta dalla francese GK Professional per unità militari UN


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Suite completa antisommossa proposta dalla francese GK Professional per unità di polizia

Suite completa da intervento proposta dalla francese GK Professional per operatore equipaggiato con lanciatore non letale Flash Ball

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Prodotti esposti dalla Special Equipment di Genova, visibile al centro era l’ALV - Assault Life Vest F1 per elicotteristi e fornito alla Marina Militare Italiana

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Borsone Trolley CARGO con capacità di 120 litri proposto dalla francese DCA France

Struttura portante rinforzata in polimero a tre ruote del borsone Borsone Trolley CARGO

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L’italiana Special Equipment ha proposto il nuovo corpetto tattico GAMMA, recentemente testato dal COMSUBIN

B&T La s imp mili unic term spe forz met sim man di a che sce mun Le p SIR il po o CS gom al p sog TNM ••• 042


L TA LE S AN ON TH AP SS E LE W

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B&T LL-06 Less Lethal Launcher La svizzera B&T ha sviluppato il suo sistema “Less Than Letal”, su input di importanti agenzie di polizia europee, giornalmente impegnate ad affrontare le violente e pericolose situazioni di ordine pubblico, partendo dalla piattaforma del lanciagranate militare GL-06 da 40mmm. L’idea è stata quella di adottare un sistema completo, lanciagranate e munizioni, fornite da un unico produttore, per assicurare la piena compatibilità con conseguente elevazione della sicurezza e della precisione balistica terminale, che in questo caso varia da 1 a 60 metri. Il progetto nasce dalla consapevolezza operativa che i dimostranti violenti spesso scagliano sassi, bottiglie e altri oggetti contundenti, incluse bottiglie incendiarie tipo “molotov” in direzione delle file delle forze di polizia. Gli studi hanno permesso di stabilire che la distanza media di questi lanci si attesta generalmente intorno a 40 metri. Infatti un uomo di media taglia può lanciare un sasso di 300 grammi o un oggetto similare intorno ai 38 metri. Quindi, con questo tipologia di armi non letali, si possono mantenere i manifestanti più violenti fuori portata del lancio di sassi, con il risultato di avere un minor numero di poliziotti feriti. La precisione del sistema è così accurata che un operatore può, non solo selezionare il soggetto da colpire, ma può anche scegliere esattamente quale parte del corpo da attingere. B&T produce 12 tipologie di munizioni da 40mm “non letali” prodotte e dedicate al LL-06 Less Lethal Launcher. Le più utilizzate dagli operatori nei vari scenari sono la SIR - Safe Impact Round - e la SIRX - Safe Impact Round Extended Range - con proiettile in gomma dura. Elevando il potere invalidante troviamo la SAR (Safe Agent Round) che contiene anche gas OC o CS e che produrrà un duplice effetto, conseguenza dell’impatto del proiettile in gomma e dell’esposizione al capsicum o all’agente chimico. Per ultimo l’SMR, identico al precedente, ma contenente un composto colorato indelebile, idoneo a marcare un B&T munizioni da 40mm non letali soggetto e renderlo individuabile anche in momenti successivi. TNM ••• 043


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Flash Ball modello SUPER-PRO Progettato e prodotto dalla Verney-Carron, il principale fabbricante francese di armi da caccia, il Flash-Ball genera il potere di arresto di una munizione calibro 38 Special, ma su di una superficie d’impatto di 6,7cm. L’effetto è potente, tanto da “disattivare” momentaneamente l’aggressore, senza avere come conseguenza la penetrazione degli abiti o dei tessuti umani. La distanza di ingaggio è di circa 10/15mt. Vengono prodotti due modelli di lanciatori: il Super Pro, che esteticamente assomiglia ad un grande revolver con due canne sovrapposte e rail Picatinny per l’aggancio degli accessori, ed il Compact, più semplice, in cui le canne sono parallele; in entrambi, per essere caricate, le canne vengono fatte basculare anteriormente. Sono disponibili diverse versioni di munizionamento: la Soft Rubber Ball il cui proiettile è composto da una piccola palla di gomma del peso di 28gr. e che eroga una potenza di 200 joule a 2,5 metri; la Soft Rubber Buckshots che contiene 9 piccole palle in gomma del diametro di 17mm; la Dye Ball e la Tea Powder Ball che sono frangibili all’impatto e contengono rispettivamente: la prima un olio colorante, non tossico ed indelebile, la seconda gas CS o OC. E ‘stata appena presentata una munizione utilizzabile per il controllo della folla, contenente sette distinti involucri che, all’impatto, generano una nube di gas CS. La gittata massima di quest’ultima, che varia con l’angolo di sparo, è di circa 50/70 metri.

Flash Ball modello COMPACT

Munizioni da 44mm specifiche per Flash Ball

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AR M I

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Sako TRG M10 La Sako – Gruppo Beretta – ha arricchito la sua famiglia TRG proponendo il suo nuovo TRG M10 Sniper Weapon System, esclusivamente destinato all’impiego da parte di operatori militari e delle forze di polizia. L’arma è caratterizzato da una struttura realizzata in lega leggera e da un sistema di calciatura modulare, totalmente regolabile e basculabile lateralmente, con possibilità di scelta a destra o a sinistra. Il sistema, con meccanica di funzionamento bolt-action, è disponibile ed intercambiabile nei calibri 308 Winchester, 300 Winchester Magnum e 338 Lapua Magnum. Le canne vengono proposte in lunghezze variabili fra i 510mm ed i 690mm, con un peso finale che varia tra i 4,5 kg ed i 6,0 kg, in funzione della configurazione prescelta. La sostituzione rapida della canna e del sistema di sparo può essere effettuata dall’operatore, anche in situazione operativa, in pochi minuti e senza l’utilizzo di attrezzature e competenze speciali. Disponibile di serie nelle colorazioni coyote brown, military green e stealth black. TNM ••• 046


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Il Sako TRG M10

Attraverso l’utilizzo dell’appiglio dell’otturatore è possibile svitare un vano posizionato sotto la carcassa e contenente degli attrezzi

La calciatura regolabile dove si può notare il supporto nero per la mano d’appoggio

Le tre tipologie di caricatori intercambiabili nel sistema d’arma, da sinistra il 308W il 338LM ed il 300WM

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Beretta ARX 160 con abbinato il lanciagranate da 40mm GLX160 es un’ottica Trijicon

Beretta ARX 160 in colorazione desert tan con ottica Trijicon Acog e mire flip-up Magpul AMBUS

FN SCAR® Weapon System, il nuovo SCAR®-H PR calibro 7,62x51 con canna pesante da 20 pollici

HK G28 Standard, ottica Schmidt & Bender PMII reticolo 3-20x50 e Aimpoint Micro T1, calcio telescopico regolabile, peso circa 7,9 kg.

IWI X95 S SMG. Arma in polimero con configurazione bull pup calibro 9x19, appositamente creata per l’impiego in attività antiterroristiche in ambiente urbano

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HK G28 Marksman Rifle cal 7,62x51 NATO, è la versione militare della più nota versione civile MR308 con una precisione garantita di 1,5 MOA, canna da 16,6” forgiata per martellatura e cromata, 75% delle parti intercambiabili con l’HK417,

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Beretta MX4 STORM, derivata dalla carabina semiautomatica CX4 Storm, è in grado di sparare a raffica ed è alimentata da caricatori bifilari da trenta colpi calibro 9x19

IWI Jericho PSL calibro 9x19 con compensatore

IWI UZI Pro è la nuova generazione di SMG. Combina la robustezza e la potenza dell’affidabile modello datato 50 anni ad un design e materiali moderni

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CO TA LT TT EL IC LI I

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Extrema Ratio RAO. Sviluppato su input del 185° Rgt della Folgore. E’ un coltello da sopravvivenza, non un grosso chiudibile ma un compatto coltello da lavoro

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Extrema Ratio RAO chiuso all’interno del suo fodero

Extrema Ratio RAO inserito nel suo fodero aperto come un lama fissa

Il nuovo Extrema Ratio CN1 rivisitazione moderna di un famoso pugnale del ventennio. Nella foto con il tipico fodero da parata in cuoio nero con passante a 45°chiuso all’interno del suo fodero

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Prodotto dalla tedesca Waffentechnik Borkott & Eickhorn il SARD (Search and Rescue Device) è un coltello per uso di polizia e soccorso con quattro tipologie di lame. Il SARD è munito, inoltre, anche di taglia fascette di sicurezza.

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Extrema Ratio Landing Force. Ufficilamente adottato dalla Forza da Sbarco italiana. Lama e codolo in titanio lo rendono resistente all’ossidazione e antimagnetico

Extrema Ratio Landing Force agganciato alla parte superiore di un corpetto modulare tattico Extrema Ratio Baionetta Fulcrum col suo fodero

Extrevma Ratio Pugio. Il nome deriva dalla corta ed appuntita daga romana e l’impugnatura a osso di seppia rastremato sui lati ricorda quella dei lunghi pugnali caucasici.

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SI OPMU ER LA AT ZIO IV NI E

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Simulazione dei rilievi tecnici eseguiti sulla scena del crimine a cura della Police Nationale

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Simulazione dei rilievi tecnici eseguiti sulla scena del crimine a cura della Police Nationale

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NE XT

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L’anno prossimo il MILIPOL si terrà in QATAR dal 26 al 28 Novembre 2012

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con oltre 60 anni di servizio rappresenta la sintesi più efficace tra esperienza e tecnologia WWW.peztco.com PEZT Co. SRL - Via Laveni, 2/D - 25030 Adro (BS) - ITALY - Tel. +39-030-745. 0136 - Fax +39-030-745. 3470 - info@peztco.com

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di Michele Brunelli e Giovanni di Gregorio

Il pendolo

della Rivoluzione L’Onda Verde e la Primavera araba

L’ondata delle rivolte che dal dicembre 2010 ha iniziato ad abbattersi sui regimi arabi, scuotendone le forme e le fondamenta politico-istituzionali, ha catalizzato l’attenzione dei media e degli stati occidentali. Dai gelsomini tunisini, alla Piazza Tahrir del Cairo, la ventata entusiastica rivoluzionaria incantava i giornalisti spingendoli a definire gli accadimenti del Vicino Oriente la nuova “primavera dei popoli”, riallacciandosi idealmente a quei moti che nel 1848 fecero germogliare, in Europa, il seme dell’irredentismo e dell’autodeterminazione, ora “un nuovo 1989”, quando l’Europa orientale si spogliava di quella pesante coltre oppressiva del marxismo scientifico e dell’economia pianificata, dando vita a regimi democratici e liberali. Ancora una volta, la narrativa occidentale, assegnava i propri archetipi e modelli politici a realtà storico-sociali profondamente diverse. Poi l’attenzione venne catalizzata dal caso Libia: non una rivoluzione, ma null’altro che una feroce guerra clanico-tribale in uno degli stati più artificiosi del mondo contemporaneo. L’interventismo francoTNM ••• 062


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britannico, che sembra richiamare l’architettura delle politiche di spartizione di Sykes e Picot (1916) e la caccia al Colonnello Gheddafi, allontanarono l’attenzione dal fatto che nel Maghreb non si parlava di indipendenza, come nel 1848 o che non si stava verificando un repentino collasso degli stati come vide l’Europa nel 1989, né un crollo ideologico, né tantomeno stavano sorgendo nazioni democratiche e liberali. Tuttavia, anche in questo caso, lo scoppio della guerra civile libica, si riconduceva a quell’effetto domino scatenato da Mohammed Bouazizi, venditore ambulante di Sidi Bouzid, che il 17 dicembre si dava fuoco per protestare contro il sequestro della sua bancarella, unica fonte di sostentamento. Fra i molti paradossi che la Storia ci consegna, la primigenie dell’ondata di sommovimenti che congiungono idealmente le sponde atlantiche della Mauritania a quelle saudite e bahreinite del Golfo Persico, sino a quelle indiane dello Yemen, attraversando il mondo arabo sunnita, non è da ricercarsi a Sidi Bouzid, ma semmai nelle vie principali di Tehran e successivamente nelle piazze di Isfahan, Tabriz e Shiraz. Un pendolo rivoluzionario che ha avuto il suo punto d’origine nel cuore del mondo sciita e che da qui, si è propagato travolgendo regimi e dittatori al potere da decenni con l’auxilium ed il consilium dell’Occidente, nel nome del conflitto bipolare prima e del timore della teocrazia dopo. Un movimento

di rivolta che, oltre ad essere transnazionale, è stato anche trans-religioso ed almeno sino ad oggi, addirittura scevro da ogni riferimento teologico. Per le dinamiche e le caratteristiche strutturali pre-rivolta, ma anche per le azioni e gli strumenti impiegati durante le manifestazioni, la primavera araba del 2010-2011 molto deve alla calda estate iraniana del 2009. Nella prima fase della campagna presidenziale iraniana, molti furono i candidati esclusi. Un’esclusione del tutto “istituzionale”, poiché, così come prevede la Costituzione della Repubblica Islamica (art. 110, ix), ogni potenziale candidato deve possedere una serie di requisiti morali e quindi essere conforme al sistema di valori islamici, ma soprattutto deve attenersi ad una corretta interpretazione del predominio assoluto del governo del giureconsulto (velāyat-e faqih), la quintessenza teocratico politica della stessa repubblica islamica dell’Iran, pena, appunto, l’esclusione dall’elettorato passivo da parte del Consiglio dei Guardiani (Šurā-ye Negahbān). Potere di veto usato spesso in maniera strumentale da parte dell’autocrazia iraniana. La campagna elettorale fu condotta senza esclusione di colpi e lo scontro andò via via acuendosi. Da un lato, il presidente uscente Mahmood Ahmadi-Nejad, dall’altro il Primo Ministro ai tempi della Guerra Imposta (19801988) Mir Hossein Mousavi. Dietro le quinte dello scontro, TNM ••• 063


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Ruhollah Mustafa Mosavi Khomeyni (Khomeyn, 22 settembre 1902 – Teheran, 3 giugno 1989) è stato un politico iraniano. Fu un ayatollah, capo spirituale e politico del suo Paese dal 1979 al 1989. Il suo governo fu di stampo religioso islamico sciita, impostato su uno stretto moralismo di linea fondamentalista. Il regime da lui instaurato inaugurò una linea di potere teocratico in Iran che persiste tuttora.

il complesso sistema multilivello pluricentripeta della politica iraniana. Assi intersecanti che vedono al loro interno, ora in una logica di coalizione, ora di forte e ferma contrapposizione le Bonyad, associazioni caritatevoli che gestiscono enormi flussi di denaro; l’apparato clericale, con i suoi molteplici vertici di padrini spirituali (Mehdi Karrubi per Mousavi, Mohammad Taqui Meshbah-Yazdi per Ahmadi-Nejad); i bazaris, altra forza tradizionale ed attore primario dei cambiamenti socio-politici prima in Persia, poi in Iran; la Guida Suprema (Rahbar) ed il clan Rafsanjani, potentato economico-politico. Ma soprattutto i Pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione, portati alla ribalta, anche politica, durante il primo quadriennio presidenziale di Ahmadi-Nejad. Se solo qualche settimana prima delle elezioni, previste per il 12 giugno 2009, l’opinione pubblica corrente andava verso una passiva rassegnazione alla rielezione del presidente uscente, l’elevata capacità di mobilitazione, espressa da Mousavi con la sua “Onda Verde”, spinse le frange più giovani e dinamiche della società urbana iraniana a scendere nelle piazze per contestare un’insensata dichiarazione resa, ancora ad urne aperte, dallo stesso Ahmadi-Nejad, il quale annunciava con sicumera, di aver ottenuto la vittoria. Gli scontri si acuirono e videro contrapposti gran parte della società civile, che si sentiva palesemente raggirata e violata da tale dichiarazione, alle forze paramiliari governative (Pasdaran) TNM ••• 064

ed ai Basiji, milizia popolare voluta da Khomeyni per provvedere alla difesa armata della Repubblica. La mobilitazione degli iraniani dimostrò tutta la forza delle giovani generazioni, la voglia di riscatto e di ribellione, pur entro i limiti della democrazia, da attuarsi attraverso una serie di manifestazioni che s’imponevano essere pacifiche, ma travolte dalla repressone governativa. Nel contempo, si procedeva ad una sorta di agglomerazione dell’opposizione al regime, ad un vero e proprio conteggio dei voti “casted away”, cosi come facevano risuonare i cori in Vali e-Asr, supportati dallo slogan “Where is my vote?”, sottolineando la palese sproporzione tra la gente in piazza pro-Mousavi ed i risultati elettorali ufficiali. Fu una prova di forza. Un tentativo di riaffermare tutta una serie di diritti costituzionalmente previsti, ma spesso disillusi a livello della pratica. Non il tentativo di innescare una terza rivoluzione, dopo quella costituzionale del 1905-07 ed islamica del 1979-81. Secondo Nader Mousavizadeh, uno dei massimi conoscitori del paese, già consulente del Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan, quello dell’Onda Verde, poteva definirsi come il movimento più interessante di tutela dei diritti umani che si fosse visto nascere in Medio Oriente negli ultimi 25 anni. E ancora una volta l’Iran poteva considerarsi un vero laboratorio politico, in parte precursore di movimenti interessanti ed importanti del XX secolo, come quello costituzionalista che introdusse


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Il confermato Presidente della Repubblica Iraniana Ahmadi-Nejad, al quale, in quanto già rieletto, è costituzionalmente impedito di ricandidarsi per un terzo mandato.

per la prima volta nel Medio Oriente, una Costituzione nel 1906 o come quello khomeynista, conservatore da un punto di vista sociale e sovrastrutturale, ma a suo modo innovativo, da un punto di vista politologico, introducendo il concetto, unico nel suo genere, del velāyat-e faqih. La dimostrazione di una società attiva, laica, filo-occidentale per scelta e nel contempo, profondamente e storicamente “persiana” nel suo essere più profondo, che si costruiva sulle aspirazioni del rispetto dei diritti di base provenienti dai giovani, il desiderio di cambiamento, l’identificazione di un luogo simbolo nel quale condurre ed identificate la rivolta, piazza Azadi (“Libertà”, così ribattezzata all’indomani della rivoluzione del ’79), i social network, quale nuova arma di mobilitazione e di diffusione sia degli ideali, sia dei soprusi, rappresentavano i punti di forza e le caratteristiche principali dell’Onda Verde. Tutti elementi, questi, riscontrabili in seguito nelle varie parti del mondo arabo, motori a loro volta delle rivolte sociali del 2010 e 2011. Seguendo forse la lunga tradizione di previsioni errate sull’Iran della Central Intelligence Agency, l’analisi formulata dal Segretario alla Difesa statunitense Leon Panetta, per tre anni anche direttore della CIA, prevede nel breve periodo una rivoluzione in Iran, contagiata dalla primavera araba. In realtà in Panetta si riscontra un’inversione nei termini di causa-effetto. La primavera araba si è ideologicamente plasmata nell’estate iraniana, nel giugno 2009 e quest’ultima ne è tutt’oggi in parte l’ispiratrice, perché in essa vi si riscontravano tutte quelle fratture sistemiche che caratterizzavano anche taluni regimi arabi e che, esasperate, andavano via via innescandosi e trasformandosi in movimenti di piazza. L’effetto ultimo fu quello di dimostrare che un cambiamento – anche solo parziale - oltre ad essere necessario, sarebbe stato possibile. Il mondo arabo esplose, nelle sue varie forme, non esclusivamente rivoluzionarie, come in Tunisia, ma anche sottoforma di colpo di Stato (Egitto), rivolta di una maggioranza oppressa contro un’élite minoritaria al potere (Bahrein), o ancora come guerra clanico-tribale (Libia), o tribale e religiosa (Yemen). Il mondo persiano è rimasto silente. In parte per la mancanza di un leader che fosse in grado di rappresentare in maniera unitaria le aspirazioni e le richieste dei manifestanti, capace di convogliarle in una piattaforma programmatica, che potesse concretizzarsi nel breve periodo e condurre ad un reale cambiamento strutturale nel sistema di un potere per ora, e per la sua intima struttura, immodificabile, a causa della sua stessa pluralità di centri. Lo scontro politico, iniziato dalle frange giovanili, aliquota maggioritaria nel panorama demografico persiano, prosegue oggi nei palazzi del potere ed arriva a coinvolgere, in maniera sempre più radicale e destabilizzante, le alte cariche della Repubblica Islamica. Se nella fase immediatamente precedente gli scontri nelle città iraniane, i principali centri di potere, attorno ai quali gravitavano centri relativamente minori (tra questi, il Parlamento con il suo presidente, Ali Larijani; o la

municipalità di Tehran con il suo sindaco, MohammedBaqer Qalibaf), potevano essere essenzialmente identificati nella Guida Suprema, (Ali Khamene’i), nella carica di presidente della Repubblica (Ahmadi-Nejad), e nella figura di Ali Akhbar Hasemi Rafsanjani, che riuniva la carica di Presidente dell’Assemblea degli Esperti e del Consiglio per il Discernimento, il duro confronto, che ha portato alla riaffermazione di Ahmadi-Nejad, ha visto lasciare sul campo parte del potere accumulato in questi anni da Rafsanjani. Ciò ha privato, nella sostanza, di un importante punto d’appoggio e di confronto intraclericale e soprattutto economico, la stessa Guida Spirituale. Da allora abbiamo assistito ad un progressivo e pervicace attacco al Rahbar. In una prima fase, si giunse a supporre che Ahmadi-Nejad volesse produrre uno scardinamento del potere dall’alto, rimettendo in discussione il ruolo di leader di Khamene’i e proponendo quale sostituto, il suo mentore, l’Ayatollah Meshbad Yasdi, eliminando così anche quell’ultimo potenziale baluardo al suo potere assoluto. La partita è quanto mai aperta e la posta in gioco è il dopo Ahmadi-Nejad, al quale (in quanto già rieletto), è costituzionalmente impedito di ricandidarsi per un terzo mandato. Il Presidente ha tentato di giocare una carta “alla Putin”, cercando di imporre, quale candidato per il 2013, il suo consuocero, Esfandiar Rahim Masha’i, mossa che avrebbe dato la possibilità ad Ahmadi-Nejad di mantenere la salda presa sul potere. La macchina del fango, non solo prerogativa italiana, fu immediatamente messa in moto ed all’indomani della TNM ••• 065


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a sinistra: Ali Akbar Hashemi Rafsanjani è un politico e religioso iraniano, attuale Presidente del Consiglio per il Discernimento dell’Iran. È stato Presidente dell’Iran dal 1989 al 1997 e Presidente dell’Assemblea di Esperti dal 2007 al marzo del 2011. sopra: L’analisi formulata dal Segretario alla Difesa statunitense Leon Panetta, per tre anni anche direttore della CIA, prevede nel breve periodo una rivoluzione in Iran, contagiata dalla primavera araba.

sua nomina a vicepresidente della Repubblica, quando la strategia della “staffetta” Ahmadi-Nejad/Masha’i sembrò prendere sempre più piede, molti dei quotidiani nazionali iniziarono un duro attacco nei confronti di Masha’i. L’arma impiegata dalla fazione avversa è potente e non riguarda tanto la diffamazione, quanto il non rispetto dei valori islamici, se non la loro negazione. Masha’i fu messo sotto accusa. Secondo la stampa iraniana, durante un viaggio ufficiale in Turchia, nel 2006, sarebbe stato filmato ad una festa nella quale venivano serviti alcolici ed avrebbe incontrato l’ex ambasciatore americano in Israele. Accuse banali, a tratti anacronistiche, ma che in realtà celano, da parte dei conservatori e della stessa Guida, un certo timore per le dichiarazioni rese da Masha’i. Abbozzi di un disegno politico che enfatizzano un sempre più diffuso anticlericalismo e che lo hanno portato a professarsi per un modello non più islamico, ma iraniano; a dichiararsi contro il sionismo, ma non contro il popolo israeliano; a rinsaldare i rapporti con la potentissima diaspora iraniana per convincerli ad investire capitali freschi nella fragile economia del paese. Dichiarazioni, queste, che cercano di proporre il superamento di un modello sul quale si basa la Repubblica islamica da oltre un trentennio. In risposta ad un decreto emesso da Khamene’i, con il quale si imponeva di rimuovere Masha’i dall’incarico di Vicepresidente, Ahmadi-Nejad rispose con la sua nomina a capo di gabinetto, mantenendolo così all’interno del ristrettissimo cerchio del governo. La Guida ventilò allora l’ipotesi di avviare la procedura di impeachment per il Presidente, un’azione, questa, già chiesta a gran voce da diversi membri del parlamento iraniano, in maggioranza economisti, durante il primo mandato, giudicando il presidente incapace di gestire la drammatica situazione economico-finanziaria del paese. In seguito, alcuni membri dell’entourage presidenziale TNM ••• 066

sarebbero stati arrestati, con l’accusa d’impiegare “forze sopranaturali” e spiriti contro la Guida Suprema. Superstizioni ed accuse anacronistiche create ad hoc, che in verità mettono in risalto un contrasto ormai insanabile tra messianesimo e clericalismo, tra un Ahmadi-Nejad sempre più ossessionato dal Mahdi, il Dodicesimo Imam nascosto, il cui ritorno, secondo lui imminente, renderebbe inutile il ruolo della Guida. Superstizioni ed accuse che al momento sono costate allo stesso Ahmadi-Nejad la tutela dei Mesbah Yazdi e che, nonostante tutto, forte dell’appoggio dei Pasdaran, cerca di prorogare il proprio potere oltre i limiti temporali costituzionalmente previsti. Un primo passo per meglio comprendere la situazione sul campo ed il delicato bilanciamento del potere in Iran, saranno le prossime elezioni parlamentari, previste per il marzo 2012. Non si tratterà tanto di vedere chi sarà eletto, ma chi, attraverso il sapiente uso dello strumento della conformità alla legge islamica, ne sarà escluso. Sarà allora possibile iniziare a considerare quale sia la reale influenza di Ahmadi-Nejad su alcuni dei principali organi di controllo della Repubblica. Viceversa, sarà altresì possibile condurre una primissima valutazione sul potere residuale delle istituzioni tradizionali filo-clericali all’indomani del violento scontro intra-istituzionale che sta caratterizzando la vita politica dell’Iran. Scontro, ancora una volta, largamente ignorato dai media occidentali. Per il successore di Ahmadi-Nejad, secondo le molte opinioni raccolte in Iran, bisognerà attendere le fasi immediatamente precedenti le elezioni stesse (2013), per poter valutare con attenzione non solo i candidati che approderanno al ballottaggio, ma anche le indicazioni provenienti dal Rahbar. Per questo sembra esserci ancora tempo. Un tempo avvolto in un silenzio assordante e che, al momento, non sembra sarà scosso ancora dal pendolo della rivoluzione.


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FORCE PROTECTION. DA CONCETTO DIFENSIVO A DOTTRINA OPERATIVA DI Marco Bandioli - Alberto SAINI

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L’ESSENZA DELLA DIFESA DELLE INSTALLAZIONI: PROTEGGERE E DIFENDERE. Consultando un vocabolario di sinonimi e contrari, si può constatare che “proteggere” e “difendere” sono sinonimi. La cosa è validissima in campo linguistico ma non in campo militare, dove, molto spesso, a vocaboli molto simili, sono attribuiti significati “operativi” ben diversi. Nel settore operativo della “Difesa delle Installazioni” (peraltro denominato in modo diverso all’interno di ogni singola Forza Armata) i due concetti di Protezione e Difesa, ancorché collegati, sono ben distinti. Per Protezione s’intendono i criteri, le modalità e le procedure (che danno luogo al “Dispositivo di Sicurezza”) adottate per garantire la difesa dell’installazione in situazione normale, ovvero di “non emergenza” impiegando sia dispositivi passivi (o meglio strutture) che dispositivi attivi. A titolo di esempio, per dispositivi passivi s’individuano le varie realizzazioni per la videosorveglianza, le numerose tipologie di sensori per dare l’allarme, gli accorgimenti per il controllo veicolare e pedonale, le varie segnaletiche di obblighi e divieti, l’illuminazione, nonché le realizzazioni per la protezione fisica dell’installazione quali recinzioni, le barriere, i dissuasori, le bande chiodate, le concertine lamellari, i reticolati, i cancelli, i muri, le inferriate, le sbarre, i corpi di guardia, le altane ecc... mentre per dispositivi attivi si individuano le procedure d’intervento armato e di reazione immediata, gli uomini e le armi per il contrasto, il pattugliamento continuo/periodico/ saltuario, le postazioni predisposte per il tiro ..ed altro ancora. Alcuni “puristi” del settore della difesa delle installazioni preferiscono inquadrare tutti i “sensori attivi” nei dispositivi di difesa attiva e tutti i “sensori passivi” nei dispositivi di difesa passiva. E’ una corretta

Per dispositivi passivi s’individuano le varie realizzazioni per la videosorveglianza, le numerose tipologie di sensori per dare l’allarme, gli accorgimenti per il controllo veicolare e pedonale, le varie segnaletiche di obblighi e divieti, l’illuminazione, nonché le realizzazioni per la protezione fisica dell’installazione quali recinzioni, le barriere, i dissuasori, le bande chiodate, le concertine lamellari, i reticolati, i cancelli, i muri, le inferriate, le sbarre, i corpi di guardia, le altane

osservazione concettuale che sicuramente fornisce una maggiore comprensione da parte delle ditte private che forniscono la tecnologia associata. Per Difesa si intendono invece i criteri, le modalità e le procedure (che danno luogo al “Piano di Difesa”) adottate per garantire la difesa dell’installazione in situazione

di “emergenza”, assumendo particolari Dispositivi di difesa pre-pianificati (assetti) specifici per quella determinata installazione. Com’è intuitivo aspettarsi, le due funzioni (Protezione e Difesa), hanno dei punti in comune che sono appositamente in connessione per poter garantire un passaggio fluido da una situazione normale TNM ••• 071


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Per dispositivi attivi si individuano le procedure d’intervento armato e di reazione immediata, gli uomini e le armi per il contrasto, il pattugliamento continuo/periodico/ saltuario, le postazioni predisposte per il tiro... ed altro ancora.

ad una situazione di emergenza, riducendo al massimo quello che viene definito “il tempo di reazione”, ovvero il tempo che intercorre tra il momento in cui si materializza una minaccia (o anche solo un evento potenzialmente ostile) e scatta l’allarme ed il momento in cui il personale, armato, ha raggiunto le posizioni assegnate ed è pronto a reagire secondo le modalità pre-pianificate per la specifica situazione (ingaggio immediato delle forze ostili, ricerca degli intrusi, attesa dei rinforzi, difesa dei soli punti sensibili..). Il conseguente eventuale Contrasto, ovviamente, TNM ••• 072

rappresenta la reazione armata per limitare o neutralizzare totalmente la minaccia che si è presentata nella particolare circostanza. Naturalmente, da quando si doveva difendere l’accampamento con le lance e gli scudi o si doveva respingere l’attacco alla fortezza versando l’olio bollente dall’alto dei contrafforti, nel tempo, molte cose sono ovviamente cambiate, ma il concetto difensivo di base è rimasto il medesimo. Tuttavia, il compito della difesa di un’installazione si è maggiormente professionalizzato poiché ora, per espletare al meglio tale incombenza, occorrono

maggiori conoscenze e maggiori competenze rispetto a quanto fosse necessario in passato, anche alla luce del fatto che, in un contesto inevitabilmente “asimmetrico e non convenzionale”, l’azione ostile si può concretizzare in tempo di pace, sul territorio nazionale, in luoghi, frangenti e circostanze una volta impensabili. LA PROTEZIONE DELLE FORZE OPERATIVE: LA “FORCE PROTECTION”. Negli ultimi anni, a seguito del considerevole aumento di eventi


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e/o atti ostili occorsi a Forze Operative in sosta o in transito nelle varie aree di ridislocazione (per questioni di antiterrorismo, non necessariamente fuori dal proprio territorio nazionale) è emersa la crescente necessità di sviluppare maggiormente le capacità difensive intrinseche di qualsiasi unità militare, sia terrestre, che navale o aerea che si voglia intendere. Per evitare confusioni con altri settori difensivi e di sicurezza fisica, è stato internazionalmente deciso di parlare di “Protezione”, sebbene tale protezione sia in effetti una difesa che ha molti punti

Il Semtex è un esplosivo al plastico di brevetto cecoslovacco, usato dall’ex Armata Rossa ed in generale dalle forze armate del disciolto Patto di Varsavia, oltre che da varie organizzazioni terroristiche.

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Negli ultimi anni nei vari scenari operativi medio orientali si è purtroppo consolidata l’ormai sempre presente minaccia rappresentata dai noti ordigni esplosivi improvvisati (Improvised Explosive Devices, IEDs)

in comune con la dottrina della Difesa delle Installazioni. Tale protezione delle Forze Operative viene pertanto individuata con il termine “Force Protection”. Al momento, la definizione ritenuta più valida di Force Protection è quella fornita dalle pubblicazioni della NATO, ovvero: “insieme di misure e mezzi per ridurre al minimo la vulnerabilità di uomini, mezzi, installazioni e delle operazioni in ogni circostanza rispetto a qualsiasi tipo di minaccia al fine di preservare le capacità d’azione e l’efficienza operativa delle Forze”. Per completezza d’informazione, esistono anche altre interpretazioni che però risultano, sebbene corrette dal punto di vista di principio, eccessivamente dispersive. Per alcune amministrazioni straniere, la Force Protection verrebbe estesa, TNM ••• 074

in alcune particolari situazioni, anche ai familiari ed includerebbe predisposizioni sanitarie, la combat surgery, le profilassi vaccinali, l’igiene personale, la qualità dei cibi, la purezza dell’acqua, le situazioni meteorologiche e climatiche e così via, insomma un quadro troppo ampio. Tornando invece ad una dimensione più operativa, la Force Protection (da ora in avanti “FP”) ha sostanzialmente la duplice finalità di mitigare/ridurre al massimo gli effetti negativi di un eventuale attacco nemico e di ridurre al massimo, per quanto possibile, l’eventuale perdita di vite umane. Nei vari teatri operativi le unità da combattimento si sono trovate a dover affrontare e contrastare attività ostili ed attacchi nemici di variegata natura e tipologia: veicoli terrestri in sosta o in movimento,


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I lanciarazzi anticarro/multiruolo RPG (Rocket Propelled Grenade) rappresentano sempre una minaccia per le forze operative terrestri

unità navali in porto o in navigazione e velivoli ricoverati a terra si sono ritrovati ad essere sempre più oggetto di atti ostili. Per tali motivi la FP si è naturalmente e progressivamente orientata verso uno specifico assetto difensivo proprio che risulta essere un punto di confluenza di attività e procedure principalmente della “Difesa delle Installazioni”, nonché dell’”Antiterrorismo”, della “Controguerriglia”, della “Controinsorgenza” e della “Antimboscata / Controimboscata“. A titolo di esempio, attuare le opportune misure cautelative per scongiurare un eventuale rapimento di marinai in libera uscita (“in franchigia”) in un porto estero, con unità navale in sosta verso la zona di operazioni, è già da considerarsi, anche se a bassissimo livello, una

vera e propria attività di FP. Per le forze operative terrestri, in particolare, si è purtroppo consolidata l’ormai sempre presente minaccia rappresentata dai noti ordigni esplosivi improvvisati (Improvised Explosive Devices, IEDs), dai lanciarazzi anticarro/ multiruolo (Rocket Propelled Grenade, RPG) e dai colpi di mortaio. In tale ottica e come si vedrà più avanti, la FP si è quindi orientata sia verso una specifica protezione dei veicoli contro la “minaccia esplosiva” e sia verso tutti quegli equipaggiamenti che possono fornire protezione al singolo uomo (“Individual Protection”). FORCE PROTECTION: UNA NUOVA DOTTRINA OPERATIVA Come si è visto, la FP richiede un certo bagaglio di conoscenze tecniche, di idonee procedure operative e di un adeguato equipaggiamento sia per la protezione individuale che per la protezione della Forza, intesa nella specifica conformazione assunta (raggruppata o frammentata) per l’assolvimento della missione assegnata. Per tale ragione la FP è diventata, a pieno titolo, una nuova dottrina operativa. La protezione di un’unità operativa si può configurare in due principali

situazioni, ossia quando la forza è in “movimento” e quando la forza è in “stazionamento”. In tale contesto, si devono sicuramente considerare la natura e la funzione del movimento (scorta, trasferimento, transito inoffensivo, pattugliamento, ricognizione, movimento tattico..) come pure la natura e la funzione dello stazionamento (temporaneo o permanente / accentrato o dispiegato / per supporto operativo, per osservazione ed allarme, per l’acquisizione d’informazioni..). Si potranno così determinare preventivamente le predisposizioni, le procedure e le tattiche più opportune da adottare per poter avere una protezione di uomini e mezzi che possa essere, per quanto possibile, continuativa senza inficiare le capacità di movimento e di eventuale reazione della Forza stessa. In buona sostanza, similmente a quanto avviene nel settore della Difesa delle Installazioni, si individuano un certo numero di misure di natura difensiva ed offensiva. Le Misure Difensive si suddividono in Passive (blindatura dei mezzi, impiego di protezioni individuali, sensori mobili di sorveglianza ed allarme, barriere, mimetizzazione, strutture difensive modulari..) ed Attive (individuazione di percorsi/rotte alternative, variazione delle “abitudini” operative, TNM ••• 075


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In molti casi le pattuglie si devono dispiegare in modo indipendente ed operare da “avamposti” disseminati sul territorio, ovvero dai COP (Combat OutPost), postazioni molto meno sicure.

Squadra di Pronto Impiego della 101st Airborne Division- 1st Squadron - 32nd Cavalry. Ovvero Quick Reaction Force/Team o Immediate Reaction Force/Team, predisposta nell’ambito dell’unità operativa, per l’attuazione di una reazione rapida o immediata in caso di allarme

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attività di controsorveglianza, impiego di unità navali quali “picchetto radar”..). Le Misure Offensive, che si possono considerare unicamente di natura attiva, si suddividono in Preventive (tutte quelle attività finalizzate a percepire l’avvicinarsi di eventuali forze ostili, impiego di nuclei di protezione avanzata, pattugliamenti difensivi, individuazione di attività sospette in prossimità delle future aree di transito..) e di Contrasto (presenza di una Squadra di Pronto Impiego, ovvero di una Quick Reaction Force/Team o Immediate Reaction Force/Team, predisposta nell’ambito dell’unità operativa, per l’attuazione di una reazione rapida o immediata in caso di allarme). La “Dottrina Nazionale per la Protezione delle Forze” inquadra concettualmente quanto appena detto, ridefinendo le Misure Difensive come “Misure Passive” e le Misure Offensive come “Misure Attive”. Nell’ambito delle Misure Attive rientrano anche eventuali azioni di forza esercitate su obiettivi collaterali che siano in qualche modo coinvolti in attività ostili (es. recupero di personale rimasto isolato). Inoltre, in aggiunta alle dette Misure Attive e


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Passive, sono previste anche “Misure Reattive”, ovvero quelle misure atte a ripristinare l’integrità della Forza Operativa dopo un evento ostile. Ma chi dovrebbe essere il principale fautore della FP? Data l’intrinseca natura della questione, la FP, che rimarrà necessariamente una “dottrina perfettibile”, si svilupperà principalmente attraverso l’incremento di uno specifico addestramento degli uomini, adeguatamente equipaggiati (protezioni balistiche), nonché il miglioramento della protezione dei mezzi (ove possibile, blindature sempre più “performanti”) e delle installazioni (es. strutture modulari resistenti). Contestualmente, in questa perfettibilità, viene anche prevista l’analisi della missione da compiere, in quanto è sempre necessario effettuare un confronto, in un’ottica di FP, tra la “valutazione della minaccia” con la “valutazione del rischio” per giungere ad una corretta, ancorché teorica, “gestione del rischio”. In termini pratici, bisogna valutare come deve essere talvolta dimensionata e/o frazionata la “protezione”. Un semplice esempio: se

la missione dovesse essere “il controllo del territorio”, da attuarsi con pattuglie appiedate, meccanizzate o miste, in termini di FP bisognerebbe stabilire se le medesime si debbano muovere da grandi “basi operative avanzate” mediamente sicure, ovvero le FOB (Forward Operating Base) oppure se dette pattuglie si debbano dispiegare in modo indipendente ed operare da “avamposti” disseminati sul territorio, ovvero dai COP (Combat OutPost), postazioni molto meno sicure. Tutti i componenti di un’unità militare, che sia da combattimento o meno, dovrebbero avere un ciclo di addestramento basico di FP ed inoltre, per particolari situazioni o missioni, si dovrebbe poter avere la disponibilità di forze dedicate e specializzate “FP”, ridislocabili in qualsiasi teatro operativo, per assolvere unicamente tale attività. Parlando dei teatri operativi terrestri, la minaccia più insidiosa e che purtroppo determina continue perdite, è rappresentata dai già citati IED. Per tale motivo, buona parte degli sforzi profusi per migliorare le capacità ”FP”, sia di una Forza operativa che del

singolo individuo (Individual Protection) vengono pertanto orientati verso una maggiore capacità di protezione dalle esplosioni. CENNI SUL FENOMENO ESPLOSIVO In via preliminare, senza addentrarsi nel vastissimo settore dell’esplosivistica o in complicate disquisizioni scientifiche, è comunque opportuno richiamare alcuni concetti di base legati all’esplosione di origine chimica (ovvero proveniente da composizioni chimiche, quali i composti esplosivi, le miscele esplosive o i miscugli esplosivi) ed ai suoi effetti diretti ed indiretti. Si tralasciano volutamente dettagli relativi all’esplosione di origine fisica (dovuta principalmente a procedimenti di natura chimico-fisica) ed a quella nucleare che, seppur pertinenti, non rientrano per ora, come tipologia, nella minaccia rappresentata dagli IED. Come noto, in termini generali, l’esplosione è una rapidissima reazione di ossidoriduzione esotermica, ovvero una combustione in cui, una certa

Come noto, in termini generali, l’esplosione è una rapidissima reazione di ossidoriduzione esotermica, ovvero una combustione in cui, una certa sostanza esplosiva, innescata da un adatto e necessario stimolo esterno, si decompone in brevissimo tempo, sviluppando una grandissima quantità di gas ad altissima temperatura e pressione.


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L’onda d’urto si propaga rapidamente, recando con se la maggior parte del contenuto energetico e “viaggia” per breve distanza, con effetti devastanti sulla struttura fisica del materiale interessato.

sostanza esplosiva, innescata da un adatto e necessario stimolo esterno (uno sfregamento, un forte calore, un urto meccanico, un urto esplosivo..), si decompone in brevissimo tempo, sviluppando una grandissima quantità di gas ad altissima temperatura e pressione, con correlati alti livelli d’intensità luminosa e sonora, causando significativi mutamenti nell’ambiente circostante (onda d’urto, onda di pressione, onda retrograda) e producendo violenti effetti meccanici collaterali (proiezione di schegge, di spezzoni di materiale, di pezzi incendiati, di frammenti metallici..). Se tale reazione esplosiva/combustione ha una velocità dell’ordine delle centinaia di metri al secondo, si parla di “Deflagrazione” (e si considera ancora sostanzialmente come una veloce combustione), se invece la velocità è dell’ordine delle migliaia di metri al secondo, si parla di “Detonazione”, che si caratterizza per la sua estrema rapidità (si considera “quasi istantanea”) e grande violenza (produce ragguardevoli effetti dirompenti e distruttivi nell’ambiente circostante). Un oggetto fisico, considerato come “bersaglio” (persona, veicolo, struttura ecc.) che si trova ad una TNM ••• 078

certa distanza dal punto in cui avviene un’esplosione, ovvero la detonazione, ne subirà gli effetti in funzione di svariati elementi quali, ad esempio, la propria costituzione e natura, la distanza dal punto dell’esplosione, dalle condizioni ambientali circostanti, ecc.. tuttavia, più in generale, sarà l’elevazione del livello energetico generato dall’esplosione stessa che, “viaggiando”, si trasferisce dal punto della detonazione sino al punto di contatto col bersaglio a delineare, in termini di balistica terminale, la sorte del bersaglio stesso. Ora è necessario dettagliare meglio che cosa succede durante un’esplosione. All’atto della detonazione, nell’ambiente circostante la massa esplodente, si concretizza un primo effetto tangibile che è la costituzione della cosiddetta “onda d’urto” (shock wave) chiamata anche “onda esplosiva” o “impulso esplosivo”. Quest’onda è, di fatto, un fronte d’avanzamento dell’energia prodotta dalla reazione esplosiva, caratterizzata da un rapidissimo ed intensissimo aumento dei valori di pressione e densità del materiale (da lì la sua natura impulsiva) che ne è interessato e che dissipa nell’ambiente circostante oltre la metà dell’energia

sviluppatasi. La rapidità con cui si propaga nell’ambiente è tale da non produrre, di fatto, movimento (ossia trasmissione di energia cinetica) delle masse materiali raggiunte, ma scarica la quantità energetica in possesso unicamente a livello delle molecole componenti la materia stessa. L’onda d’urto si propaga rapidamente, recando con se la maggior parte del contenuto energetico e “viaggia” per breve distanza (la teoria generale vuole che si esaurisca ad una distanza di circa 15 volte il diametro di una carica teorica supposta sferica ed omogenea) con effetti devastanti sulla struttura fisica del materiale interessato, dopo di che e per distanze ben superiori, giungono e prevalgono gli effetti della cosiddetta “onda di pressione” (blast wave), chiamata anche “onda diretta”. L’onda di pressione costituisce un settore frontale di massa materiale in avanzamento, proveniente dall’area d’origine del punto d’esplosione, messa in moto dalla restante aliquota del bilancio energetico, proveniente da quanto rimane del prodotto totale dell’esplosione, meno quanto dissipato dall’onda d’urto. In questo caso l’energia però compie un lavoro sulla massa fisica dell’ambiente circostante


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il punto d’origine dell’esplosione. I volumi in espansione dei gas generati e l’aumento della temperatura, formano una sorta di “bolla” di gas in veloce espansione, la massa ambientale viene via via “spinta” lontana dal punto d’origine e viaggia così, comprimendo e compattando la materia, che inizialmente circondava la carica esplosiva. Il fenomeno prosegue con gli effetti descritti sulla massa ambiente (in genere aria o acqua) e sui bersagli posti sul suo cammino. Mentre l’onda d’urto si diffonde in maniera estremamente rapida e relativamente a breve distanza e per breve periodo di tempo, l’onda di pressione porta i suoi effetti molto più lontano e per tempi ben più prolungati. Successivamente, poiché la massa ambientale si è spostata comprimendosi verso l’esterno a causa dell’onda di pressione, si crea un volume di “vuoto ambientale” (vacuum), a densità e pressione praticamente nulle, che provoca un movimento, a pressione negativa, di ritorno della massa stessa verso la sorgente dell’esplosione per ristabilire la posizione d’equilibrio ambientale iniziale, ovvero per riempire il vuoto creatosi. Si forma così la cosiddetta “onda retrograda” (backward wind), anch’essa in grado di produrre notevoli danni. La somma dell’onda di pressione (onda diretta) e dell’onda retrograda viene definita come “urto esplosivo” (che non deve essere confuso con la già citata onda d’urto). Riassumendo, l’evento esplosivo si può sintetizzare nei seguenti 4 fenomeni di pressione e densità: onda d’urto, onda di pressione (onda diretta), creazione del vuoto ambientale ed onda retrograda, identificati altresì dall’appartenenza a due fasi distinte dell’andamento del valore di pressione rispetto al “momento d’origine”: la fase positiva e la fase negativa, di cui la prima è della durata temporale di circa un quarto della seconda. Alla questione “esplosivistica” in senso stretto, bisogna poi aggiungere gli effetti, “scheggia” e/o “incendiario”, relativi alla produzione di materia proiettata, chiaramente riconducibili al fenomeno

esplosivistico in sé stesso, ma talvolta balisticamente voluti e progettati sia per aumentare l’effetto devastante sui materiali e sulle strutture (aggiunta all’esplosivo di base di fosforo, alluminio..) che per aumentare l’effetto invalidante o letale sul personale (es, effetto “Shrapnel” con proiezione di biglie d’acciaio, lamette, chiodi..).

Stock di casse di munizioni da 76 mm “Squash Head” con testata di esplosivo plastico (da qui le definizioni inglese HESH, High Explosive Squash Head )

LA MINACCIA: ORDIGNI, BOMBE E PROIETTILI E’ chiaro che il pericolo, anche se meno sofisticato (ma non per questo meno preoccupante), è rappresentato dall’impiego di una massa esplosiva generica, utilizzata come strumento di offesa verso veicoli o personale. Gli effetti, come già detto, dipendono in massima parte da quantitativo e tipologia di esplosivo impiegato, oltre che dalla distanza del bersaglio dal punto di detonazione. Si tralasciano, per necessità di sintesi, tutte le considerazioni relative alle condizioni ambientali e di fatto (carica in superficie, interrata, ripari naturali, condizioni atmosferiche, parziali detonazioni..) però è opportuno sottolineare il fatto che l’energia dell’esplosione, generata dalla massa esplodente, non verrà interamente orientata verso il danneggiamento del bersaglio, ma si disperderà per la maggior parte in tutto l’ambiente circostante e quindi, gli effetti distruttivi su detto bersaglio, saranno dovuti ad una parte minima del totale dell’energia prodotta. Sorge pertanto il problema di come non sprecare inutilmente dell’energia e cercare di convogliarne la massima parte possibile contro il bersaglio ottenendo, in tal modo, il duplice guadagno di migliorare l’efficienza offensiva della carica e magari, di ridurne anche le dimensioni. La soluzione è stata trovata con l’ideazione, la progettazione e la realizzazione di specifici manufatti (più o meno complessi e sofisticati) genericamente definiti come “ordigni esplosivi”. In tale fattispecie rientrano anche quei componenti “standardizzati” che vengono definiti come “proiettili” (o “proietti” in

Facciata esterna di un palazzo a Mosul ( Iraq ) colpita da munizionamento Squash Head sparato dall’artiglieria Americana.

termine artiglieresco) e “bombe” o, in termini ancor più generali, come “munizionamento”. La differenza fra l’impiego di “esplosivo in massa”, “ordigni” o “proiettili”, non si ferma alla sola caratteristica di differente focalizzazione dell’energia sul bersaglio, ma anche dalle modalità con le quali, in termini cinetici, l’esplosivo arriva a contatto con il bersaglio, ovvero se è il bersaglio che si porta alla distanza d’attivazione dell’esplosivo (massa esplosiva,ordigni esplosivi, IED..) oppure se la carica esplosiva, o il “carico offensivo”, viene trasportato da un ordigno verso il bersaglio (bombe, proietti, munizionamento..). Pur tralasciando le specifiche caratteristiche ed i relativi vantaggi e svantaggi delle diverse tipologie di TNM ••• 079


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I veicoli terrestri, presentano, a protezione del personale all’interno, un’ulteriore struttura blindata interna (con particolari caratteristiche antiurto, antischegge, ed antivibrazione), studiata appositamente per proteggere l’equipaggio del mezzo e concepita per garantire la sopravvivenza all’interno dell’abitacolo anche quando il resto del mezzo venga quasi completamente distrutto da un’esplosione ravvicinata od a contatto.

esplosivi, di ordigni, di IED, di mine, di bombe, di granate, di razzi e di proiettili, è opportuno ricordare che, oltre alla fondamentale differenza circa la diversa metodologia di approccio al bersaglio, ogni tipologia d’offesa sfrutta la combinazione dei diversi effetti prodotti dall’esplosione. I rapidi ed elevati livelli d’innalzamento dei valori di pressione, la densità della materia, la temperatura, nonché l’urto del materiale proiettato e dello spostamento della “massa ambiente” sono, in termini di FP, i principali effetti ricercati e sfruttati da chi vuole usare l’esplosivo per colpire gli individui ed i veicoli di un’unità operativa. LA DIFESA: CORAZZE E PROTEZIONI BALISTICHE Già dagli albori dell’arte del TNM ••• 080

combattimento, si è ravvisata la necessità di proteggere l’uomo ed i relativi mezzi di trasporto, dall’attacco portato dall’avversario. In principio, fino a quando l’uso dell’arma bianca è stato unico o predominante, i mezzi di protezione si sono evoluti nell’ambito del sistema passivo di protezione, per eccellenza: la corazza. Spesso, prendendo spunto anche dalla natura, l’essere umano ha sviluppato corazze e rivestimenti corazzati, cercando di raggiungere l’obiettivo di difendere l’intero corpo o le parti più sensibili/vulnerabili di questo, mediante l’interposizione di uno o più “strati” o strutture di materiale resistente alla penetrazione da parte di diversi oggetti o materiale proiettato allo scopo di ferire i tessuti e gli organi vitali del corpo umano. Tutto questo ha costituito,

nel corso dei secoli, vere e proprie scuole di formazione per artigiani del settore e dato vita a veri e propri cicli di sviluppo tecnologico (anche tramite metodologia empirica) dei settori metallurgico e manifatturiero, nonché singoli “maestri” o ditte ed industrie per la produzione di corazze e corazzature, considerate sino alla stregua di opere d’arte. Il progresso tecnologico delle armi da fuoco e dell’esplosivistica nel suo complesso, ha visto un contestuale miglioramento delle qualità di resistenza alla penetrazione dei materiali di corazzatura. Tuttavia, la necessità di assicurare mobilità al veicolo o al personale da proteggere, ha obbligato i progettisti a rinunciare all’impari corsa fra “aggiungere protezione” (quindi peso) ed “aumentare il potenziale d’offesa” (riducendo dimensioni e peso). Attualmente, in tale contesto, la cosiddetta “difesa passiva” (sistemi studiati e realizzati per resistere all’offesa semplicemente aspettando e sopportando gli effetti del colpo) è affidata a “gusci protettivi” ed ha un limite nelle necessità di compromesso fra peso e movimento. Risulta evidente come le corazze abbiano, ancor oggi, un senso ben più completo per quanto riguarda i veicoli; certamente è più complicato riuscire a “corazzare” un individuo e garantire che questo riesca a muoversi in maniera adeguata alle esigenze. Quanto detto non significa necessariamente che corazze e corazzature abbiano totalmente perso di significato, anzi, soprattutto le seconde hanno trovato nuova vitalità con lo sviluppo di nuovi materiali (acciai speciali, kevlar, fibre aramidiche, fibre multistrato di sintesi, ceramiche resistenti..) vista la possibilità, offerta dalle stesse, di rendere il loro impiego flessibile ed attagliabile quindi alle diverse esigenze operative. Per inciso, con “corazza” s’intende una struttura resistente definita e non modificabile, posta a protezione di un qualcosa, mentre con “corazzatura” s’intende una struttura resistente a protezione di qualcosa che però è costituita da diversi elementi assemblati insieme (ed eventualmente rimovibili), anche


US ON FOCUS ON FOCUS ON FOCUS ON FOCUS ON FOCUS ON FOCUS ON Le protezioni balistiche passive sono, di fatto, “lastre” di materiale ( kevlar, gomme e plastiche di particolare consistenza, ceramiche o fibre di sintesi di moderna concezione )

in tempi diversi. Com’è facilmente intuibile, nel caso della corazza si è costretti a definire a priori i limiti ritenuti necessari per la protezione ed imposti dalle dimensioni, dal peso e dall’impiego dell’elemento da proteggere, mentre nel caso della corazzatura, invece, i limiti possono essere variati e modificati in relazione alle diverse necessità operative che si possono prospettare in un secondo tempo. Nell’ambito della corazzatura, anche se generalmente si parla impropriamente di corazze, si può ora introdurre la questione relativa alle cosiddette protezioni balistiche passive ed attive. Le protezioni balistiche passive sono, di fatto, “lastre” di materiale (kevlar, gomme e plastiche di particolare consistenza, ceramiche o fibre di sintesi di moderna concezione..) che, poste a protezione della struttura principale, subiscono la quasi totalità dell’urto esplosivo, permettendo così alla struttura sottostante di “sopravvivere” all’esplosione, talvolta “sacrificandosi” al loro posto. Tale protezione è maggiormente valida per i veicoli, anche se risulta praticabile per gli individui come, ad esempio, le tute protettive del personale artificiere o i semplici giubbotti antiproiettile (nonché i più leggeri “antischegge”). Le protezioni balistiche attive sono invece delle vere e proprie cariche esplosive, concepite per indirizzare la loro capacità energetica verso l’esterno della struttura da proteggere e la loro efficacia si basa sul concetto di contrastare, esplodendo, il sopraggiungere dell’urto esplosivo prodotto da una bomba o il sopraggiungere del “dardo di fiamma” di un proiettile perforante a carica cava

(EFP, Explosively Formed Penetrator), contrapponendo così all’energia esplosiva concentrata in arrivo, il cui scopo è penetrare la struttura, una corrispondente forza energetica esplosiva di direzione opposta (ecco perché vengono definite anche col termine di “protezioni balistiche reattive” o “corazze reattive”). A corredo di tutta la disamina fatta, è doveroso citare la particolarità portata da quel munizionamento “Squash Head” con testata di esplosivo plastico (da qui le definizioni inglese HESH, High Explosive Squash Head ed americana HEP, High Explosive Plastic) per il quale, il fine non è rappresentato dal voler penetrare la corazza, quanto quello di trasmettere alla struttura resistente un “colpo” tale da provocare il distacco di parte (vere e proprie schegge) del materiale di rivestimento interno del veicolo, ottenendo così il risultato di offendere gli occupanti ed i materiali all’interno senza necessariamente forarne la struttura protettiva. L’effetto ricercato è quello di trasferire l’energia dell’esplosione su un’ampia superficie di struttura esterna, così da ottenere un effetto “maglio” (spalling effect) tale da far sì che l’urto esplosivo, trasferendo l’energia al materiale in contatto, provochi la disgregazione degli strati più distanti dal punto del contatto. Al momento, tale effetto può essere mitigato impiegando veicoli dotati di moderne armature “spaziate” e/o composite con imbottitura interna antischegge. La protezione di uomini e mezzi dagli effetti devastanti delle esplosioni è costantemente all’attenzione delle industrie specializzate di

settore. Grazie ai continui studi ed all’evoluzione della chimica applicata ai materiali, si perviene, faticosamente, alla realizzazione di veicoli blindati e corazzati con caratteristiche di difesa passiva sempre più spinte, che forniscono una protezione tale da sopportare gli effetti di una sempre maggiore quantità di energia esplosiva per centimetro quadrato. In particolare, i veicoli terrestri, presentano, a protezione del personale all’interno, un’ulteriore struttura blindata interna (con particolari caratteristiche antiurto, antischegge, ed antivibrazione), studiata appositamente per proteggere l’equipaggio del mezzo e concepita per garantire la sopravvivenza all’interno dell’abitacolo anche quando il resto del mezzo venga quasi completamente distrutto da un’esplosione ravvicinata od a contatto. Tuttavia, purtroppo, la lotta è impari in quanto le forze ostili, non appena si accorgono che hanno a che fare con un mezzo più resistente, aumentano la quantità di esplosivo impiegato. In definitiva, la materia della Force Protection è in continua evoluzione, in quanto è in evoluzione la minaccia stessa e risulta sostanziale poter garantire la sicurezza in ogni circostanza, anche in quella che appare favorevole. Molto spesso, nei teatri operativi, è presente una progettualità ostile, il pericolo rimane latente, nonostante il fatto che la situazione sia considerata politicamente stabilizzata ed il soldato, talvolta bombardato dalla parola “portatore di pace”, può essere “portato” ad avere una falsa percezione della possibile minaccia. Ben vengano quindi le protezioni balistiche! TNM ••• 081


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Di Ovidio Di Gianfilippo Foto Giovanni di Gianfilippo

SOLDATO IN ABITI CIVILI IZHMASH Saiga M4 calibro 7.62x39 Russian Era il 1943 quando due ingegneri, Elizarov e Semin, misero a punto una nuova cartuccia intermedia, calibro 7,62x39 con denominazione militare M-43. La nuova M-43 montava una palla full metal jacket del peso di 122 grs con trafilatura di 311” a differenza dei 7,62 occidentali che invece montavano palle con trafilatura 308”, aveva un bossolo di 39 mm e complessivamente era lunga 55,6 mm. Nel 1945 Serguei Gavrilovich Simonov mise a punto una nuova arma, la carabina semiautomatica SKS Simonov in calibro 7,62x39, ed è proprio da quest’ultima che nel 1946 Mikhail Timofeyevich Kalashnikov prese spunto per realizzare un prototipo sperimentale di fucile d’assalto e nel 1947 Kalashnikov darà vita al fucile d’assalto per eccellenza: L’AUTOMAT KALASHNIKOVA OBRAZET .. meglio conosciuto come AK-47 in calibro 7,62x39. Anche se il progetto nacque nel 1947, l’AK 47 comincerà ad essere fabbricato in serie solo nel 1950. L’AK-47 inizialmente presentava il fusto ricavato per fresatura da blocco pieno, nel 1955, con l’adozione dell’AK-47 da parte di tutti i reparti militari russi, si ebbe la necessità di ridurre i costi di produzione, ed ecco che nacque la versione con il fusto ricavato per stampaggio di lamiera di acciaio denominato AKM. A seguire videro la nascita varie versioni dell’AK, versione con calcio ribaltabile e fusto ricavato dal pieno denominato AKS, o con calcio ribaltabile

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e fusto ricavato da lamiera di acciaio stampata denominato AKMS. In questo articolo parliamo di un AKM in versione civile: l’Izhmash M4, che non è l’ennesima versione dell’AK costruita in Cina, in Romania o chissà quale altro paese, e anche se si tratta di un’arma costruita per il mercato civile, qui si parla dell’AK per eccellenza, quello vero, quello made in Russia. Ricordiamo che quello che oggi è Izhmash all’inizio era “ Arsenale di Tula “, il posto dove sono nati tutti gli armamenti del patto di Varsavia.


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ASPETTI TECNICI L’organizzazione meccanica rimane quella del suo fratellino militare, con alcune differenze sostanziali quali: • non è provvisto di selettore di raffica • per il suo funzionamento utilizza caricatori limitati a 10 cartucce (come prevede il catalogo nazionale delle armi) • è completamente privo di attacco baionetta.

L’aspetto è molto marziale, tutto in tonalità nera con calciatura sintetica. Quando si spara con questo AK, si prova una sensazione particolare, diversa di quando si spara con altri fucili, il 7,62x39 con il suo botto baritonale e metallico, da un’ impressione di cattiveria pura. Lo abbiamo provato varie volte e in diverse condizioni, la sua fama di arma super efficiente e affidabile, è completamente meritata, la sua meccanica infatti presenta delle tolleranze talmente generose da garantire il funzionamento anche nelle

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Fase di smontaggio coperchio coprimolla di recupero

Molla di recupero

Smontaggio da campo

condizioni più avverse, tali tolleranze comunque non impediscono una certa precisione, che pur non essendo paragonabile a quella di altri suoi rivali costruiti da altre aziende (vedi COLT M4 e il resto delle piattaforme serie AR-15, i vari SIG 550, 551, 552 commando, H&K e altri ancora) è comunque di tutto rispetto, data la sua destinazione d’uso. Questo Kala, come tutti gli altri è compatto e leggero, il che ne fa una delle migliori armi per utilizzo operativo, quando si va in puntamento la tacca di mira si allinea subito e con facilità, se si porta semplicemente in posizione di caccia risulta essere di facile brandeggio e la sensazione è di estrema Particolare della scatola di scatto

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Vista laterale dell’arma. Nel riquadro le cartucce utilizzate per il nostro fire test

comodità anche quando si è costretti a dover mantenere a lungo la posizione. Un’altra nota positiva la merita lo scatto, che nell’Izhmash è particolarmente pulito e netto, soprattutto se si tiene conto della meccanica spartana dell’arma. Un punto a sfavore ma del tutto sopportabile è lo sgancio caricatore, azionato mediante una levetta a bilanciere posta davanti al ponticello del grilletto, che rallenta un pochino i cambi di caricatore, a differenza della gran parte dei fucili d’assalto occidentali che hanno lo sgancio caricatore mediante pulsante che molto spesso è posto in posizione comoda e di immediato utilizzo

da parte del tiratore, nonostante questo, lo sgancio dell’ AK permette di effettuare il cambio caricatore sia con la mano destra che con la sinistra, mantenendo comunque l’arma in puntamento. Altro punto a sfavore dell’Izhmash M-4 è la totale assenza dell’old open, la leva che blocca l’otturatore in posizione aperta ad ultimazione cartucce, o per meglio dire non è provvisto di old open funzionante tramite lamina di elevazione del caricatore, ma ha una leva posta sul lato destro proprio di fianco al grilletto, azionabile manualmente reggendo l’otturatore in apertura, per questo motivo ogni volta che si sostituisce il caricatore si deve riarmare TNM ••• 085


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sopra: vivo di volata sotto: vista frontale dell’otturatore

totalmente scarrellando l’otturatore per intera corsa. La manutenzione del AK è estremamente semplice, sia perché l’AK ne richiede davvero poca, e sia perché lo smontaggio da campo è veloce e pratico, essendo l’arma in questione dotata di pochi pezzi e facilmente maneggiabili. Per le prove a fuoco abbiamo utilizzato un Izhmash M-4 allestito con impugnatura anatomica TDI Arms, e di torcia tattica surefire fissata ad una piccola slitta weaver posta sotto la canna. Questo M-4 ha all’attivo circa 3000 colpi sparati (davvero pochi per un’arma del genere) è dotato di caricatore con corpo da 30 cartucce ma limitato a 10 secondo legge come già detto in precedenza. Per la prova abbiamo utilizzato cartucce BARNAUL con bossolo di acciaio e palla jacketed hollow point da 122 grs, FEDERAL power shock con palla jacketed soft point da 123 grs e per ultime le AMERICAN EAGLE con palla full metal jacket da 124 grs, gentilmente messe a disposizione dall’ Armeria Calvisi Rachele con sede in Trasacco (AQ ). Abbiamo sparato in diverse TNM ••• 086

posizioni, sia in statico che in movimento e abbiamo facilmente constatato il facile utilizzo operativo dell’arma in condizioni di fuoco. IN CONCLUSIONE L’ AK 47 è il fucile d’assalto per antonomasia, Mikhail Timofeyevich Kalashnikov voleva creare un’arma militare che avesse come caratteristica quella di funzionare bene in qualsiasi condizione e sempre; secondo il mio modesto parere Kalashnikov è riuscito pienamente nel suo intento. Per molti decenni ancora nei vari angoli caldi del mondo si continuerà ad ascoltare il sinistro crepitio delle sue raffiche. Quando parlo con la gente del mio Izhmash M-4 dico sempre una cosa: sotto l’aspetto funzionale è il miglior acquisto che io abbia mai fatto. Ringrazio di cuore per la sua collaborazione Palma Luigi, mio grande amico di infanzia ed esperto di armi e balistica, attualmente in forza presso la Polizia di Stato.


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di Marco Strano

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BAT PSYCHOLOGY POLICE FORCE COMBAT PSYCHOLOGY POLICE FORC Marco Strano Direttore Tecnico Capo (Psicologo) della Polizia di Stato, Dirigente Nazionale dell’UGL Polizia e Direttore scientifico dell’ICAA (www.criminologia.org)

moderno e alla difesa personale è quindi contraddistinta da una serie di caratteristiche (innate o sviluppabili con un training mirato). Il miglioramento delle tecniche di combattimento che avviene attraverso la formazione e l’esperienza, dovrebbe essere integrato da percorsi di incremento delle risorse psicologiche dell’individuocombattente che deve far fronte a sempre più limitate regole di ingaggio dettate dall’avvento della civiltà. MODELLI DI PERSONALITA’ DEL COMBATTENTE Nel combattimento difensivo moderno c’è un largo uso di tecnologie sofisticate (che necessitano del controllo delle emozioni e delle reazioni fisiologiche), c’è una evidente necessità di lavorare in team (che richiede una buona capacità collaborativa e una efficace comunicazione interna), ci sono regole di ingaggio fortemente limitative (che necessitano di una alta tolleranza alla frustrazione). Il combattimento moderno viene collocato infine all’interno di normative rigide sull’entità della reazione all’aggressione che non può essere spropositata (cosa che implica un valido controllo degli impulsi). Tutto ciò è utile a delineare quello che dovrebbe essere il profilo di personalità ottimale nel combattente moderno. Secondo le teorie fattorialiste, la personalità è un insieme di fattori che vanno a comporre un assetto integrato della mente. Tale assetto fornisce nel tempo delle risposte comportamentali congruenti. Il modello del Big Five (misurabile con il Militari regolari dell’ esercito Australiano mentre eseguono la Big Five Questionnaire), viene ampiamente utilizzato Haka. La Haka è la danza tipica dei Maori, il popolo aborigeno per analizzare il profilo di personalità in ambito della Nuova Zelanda. La Haka non è, come spesso si pensa, solo professionale e considera e misura ad esempio 5 Superuna danza di guerra, fatta prima dello scontro con il nemico. Se fatta prima di un combattimento, essa serve per esprimere il Fattori: Energia (dominanza, dinamismo), Amicalità coraggio, la cattiveria e la virilità di chi deve combattere. Ma se (cordialità, cooperatività), Coscienziosità (perseveranza, fatta per celebrare altri momenti della vita umana, allora può scrupolosità), Stabilità emotiva (controllo delle emozioni, esprimere anche sentimenti di gioia, dolore, rabbia. controllo degli impulsi) e Apertura mentale (apertura all’esperienza, apertura alla cultura). L’esperienza applicativa del Big Five Questionnaire ha mostrato come Una professionista che apprende e poi attua una serie di determinati punteggi nelle varie aree analizzate possano tecniche di combattimento difensivo, utilizza un bagaglio suggerire statisticamente il successo o l’insuccesso complesso di abilità e strategie. Conoscenza delle tecniche e in una determinata attività professionale. Secondo preparazione fisica, logica, percezione, attenzione, vigilanza, Mirco Turco, Psicologo dell’ICAA e praticante di arti memoria, controllo delle emozioni, valutazione e gestione marziali, “..la personalità funzionale all’autodifesa e al del rischio, raggiungimento di uno scopo, motivazione, combattimento difensivo (moderno) è la personalità che, che necessitano di un profilo di personalità funzionale. Il tra l’altro, ha un buon livello di Stabilità Emotiva che combattimento difensivo implica infatti la condizione di significa, un buon controllo delle emozioni e controllo degli dover reagire con prontezza ed efficacia a un’aggressione, impulsi…” La stabilità emotiva può essere valutata con la condotta da elementi ostili, siano essi armati o disarmati. psicodiagnostica specifica e se necessario incrementata Una personalità funzionale al combattimento difensivo con azione di training/consulenza psicologica mirata. TNM ••• 089


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SELF-EFFICACY e LOCUS OF CONTROL

visto sistemi d’arma sofisticati, strategie di cooperazione tra diversi reparti e diversi specialisti e inoltre fa riferimento a un quadro normativo assai limitante. Insomma è un’attività La moderna Psicologia del lavoro ha individuato altri fattori personali che potrebbero concorrere a delineare un corretto complessa dove la logica e l’intelligenza devono avere assetto mentale di colui che è impegnato professionalmente decisamente la meglio sulla forza e sull’impulsività. Il problema è che, nel corso di un combattimento, non si può in attività di security. Mirco Turco ci suggerisce in primo non tener conto della paura degli attori coinvolti e la paura, luogo la self-efficacy (autoefficacia). Persone che si percepiscono efficaci, hanno atteggiamenti e comportamenti fisiologicamente, induce alla fuga o all’aggressività reattiva. più adeguati alle situazioni estreme diversamente da coloro Considerando poi che un “soldato”, anche per impostazione culturale, “non dovrebbe mai fuggire davanti al nemico”, che hanno una bassa percezione della loro efficacia e sperimenta pressioni interne che tendono a indirizzarlo che ritengono (in generale) di non saper gestire situazioni soprattutto verso la seconda strada: un incremento critiche. Anche la localizzazione di quello che viene definito locus of control sembra influenzare la performance reattiva esplosivo dell’aggressività che sovente però cozza con le regole di ingaggio. Insomma un problema di notevole in caso di reazione ad un attacco: chi ha un locus of control complessità che si deve cercare di affrontare e risolvere. interno, vale a dire colui che si ritiene spesso artefice degli accadimenti circostanti (il buono o cattivo esito di un’azione FRUSTRAZIONE E CONTROLLO DEGLI IMPULSI dipende da lui e dalla sua preparazione), tende ad operare e dunque ad agire e reagire in modo più efficace rispetto a coloro che attribuiscono gli accadimenti al caso, alla fortuna Gli scenari moderni di ipotetico combattimento, per quanto riguarda i soldati italiani, sono ristretti, in base al dettato o altri fattori esterni (locus of control esterno). Anche Selfcostituzionale, alle sole missioni di pace, o peacekeeping, Efficacy e Locus of Control possono essere valutati con la psicodiagnostica e incrementati attraverso la formazione come vengono definite in ambito politico-istituzionale. Ma per quanto i politici siano riusciti con raffinate tecniche di psicologica. etichettamento eufemistico (in pratica usando le parole a loro vantaggio addolcendo i significati) ad eliminare l’impatto INTELLIGENZA VERSUS IMPULSIVITA’ simbolico della parola “guerra”, ciò che non sono proprio riusciti a fare è che “quelli”, dall’altra parte si astengano La guerra moderna, o meglio, l’impiego di personale con dallo sparare addosso ai nostri soldati. Il soldato occidentale funzioni di peacekeeping in scenari di guerra (termine moderno si trova quindi ad operare su un doppio binario: edulcorato tipico della classe politica), utilizza come si è da un lato la necessità di portare la pelle a casa, dall’altro lato il timore che una sua reazione malauguratamente eccessiva (ad esempio per una errata stima del rischio reale), lo porti a violare le regole di ingaggio che tra l’altro sono particolarmente restrittive per i reparti italiani e che venga quindi “espulso” da un ambito professionale a cui è particolarmente attaccato. Dei non-soldati che svolgono


BAT PSYCHOLOGY POLICE FORCE COMBAT PSYCHOLOGY POLICE FORC L’attività di sicurezza e di polizia viene svolta da squadre operative (normalmente composte da 5-10 elementi) che si integrano poi in strutture più ampie ma che spesso godono di una certa indipendenza.

L’AGGRESSIONE COME SCENARIO COMPLESSO

azioni di non-combattimento nell’ambito di una non-guerra. Tutto praticamente perfetto, a parte il fatto che muoiono lo stesso come i soldati “veri” nelle guerre “vere” del secolo scorso. Ma questo è un particolare secondario…. Queste considerazioni ci servono a sottolineare il fatto che l’operare tra queste due istanze contrapposte può generare sicuramente una condizione di forte frustrazione che a sua volta potrebbe incrementare (come dimostrato dalla letteratura scientifica) proprio gli impulsi aggressivi. Ma questa contraddizione del “non-combattente” si manifesta anche per quanto riguarda i poliziotti nel corso di attività di ordine pubblico in Italia. I blackbloc violenti devono essere controllati e gli si deve impedire di distruggere tutto. Ma se qualcuno di loro si fa male il poliziotto “aggressivo” viene denunciato ed espulso dalla Polizia. La domanda allora sorge spontanea: come si fa a “dissuadere” senza usare la violenza un soggetto completamente fuori di sé (magari imbottito di droga) che vuole spaccarti la testa con un estintore o che vuole bruciarti all’interno di un blindato con una molotov? La raffinata risposta dei politici è spesso questa: rientra nella professionalità dei poliziotti saper gestire la situazione adottando le tattiche di dissuasione più idonee senza scadere nella violenza. Che in altri termini vuol dire “ …li ci state voi ed è un problema vostro, noi ci limitiamo a fare le leggi comodamente seduti in Parlamento…”. A questo punto, tornando al profilo di personalità funzionale nel moderno soldato occidentale, possiamo immaginare dei tratti che sono diametralmente opposti a quelli presenti nel combattente tradizionale delle due guerre mondiali. Un’alta tolleranza alla frustrazione e un ottimo controllo degli impulsi rappresentano in teoria le sue risorse più importanti. Esattamente l’opposto dei soldati della vecchia generazione in cui venivano invece rinforzati gli impulsi più profondi ed esplosivi (e riempiti di ecstasy come facevano gli americani in Vietnam) per fornirgli le risorse necessarie ad affrontare il nemico.

Il militare impegnato in missioni di peacekeeping, il poliziotto impegnato in ordine pubblico ma anche il comune cittadino che si trova a dover fronteggiare un aggressore in strada, deve così far fronte a regole di ingaggio limitanti e spesso contraddittorie. La sua azione deve essere svolta sempre all’interno di un quadro normativo di riferimento assai rigido e nel “defender” si manifesta sovente il timore di attuare una reazione sproporzionata all’offesa e le maggiori preoccupazioni sono rivolte non tanto alla neutralizzazione dell’avversario quanto alla necessità di ridurre i rischi di “danni collaterali” e di cercare ad ogni costo di “dilazionare il combattimento”. La vera abilità del combattente moderno consiste quindi proprio nel riuscire a evitare il più possibile lo scontro, controllando la paura e l’impulso alla reazione violenta. In linea con i dettami degli antichi Samurai, “il combattimento realmente vinto è quello che non si è combattuto..” Questo però ovviamente può avvenire entro certi limiti. Le possibilità oggettive di evitare il confronto fisico non sono illimitate. A volte ci si trova con le spalle al muro e occorre combattere per difendersi o per difendere gli altri. Il vecchio proverbio popolare “meglio un cattivo processo che un buon funerale”, assai radicato nella cultura professionale degli appartenenti alle forze di polizia di tutto il mondo, la dice lunga però sulla necessità di convivere e operare quotidianamente con una contraddizione di fondo e con la consapevolezza che non necessariamente “le istituzioni” sono sempre e comunque dalla tua parte. LA CAPACITA’ DEL SOLDATO MODERNO DI LAVORARE IN GRUPPO L’organizzazione degli eserciti moderni e delle strutture di polizia prevede nella maggior parte dei compiti (operativi e logistici) l’attività di team operativi. L’azione in team (di dimensioni variabili) è legata in parte all’impiego di tecnologie che necessitano, per funzionare, dell’azione in contemporanea di più di un operatore ma anche per assolvere all’esigenza di condurre operazioni tattiche efficaci e in sicurezza. In altre parole l’attività di sicurezza e di polizia viene svolta da squadre operative (normalmente composte da 5-10 elementi) che si integrano poi in strutture più ampie ma che spesso godono di una certa indipendenza. Ciò significa che un militare e un operatore TNM ••• 091


POLICE FORCE COMBAT PSYCHOLOGY POLICE FORCE COMBAT P La capacità di lavorare all’interno di un gruppo rappresenta una qualità fondamentale del soldato moderno. Le personalità “abrasive” (così definite dallo Psicologo Levinson nel 1978) sono quelle che non riescono a integrarsi con successo nel gruppo mortificando i sentimenti e la sensibilità degli altri membri e causando stress.


BAT PSYCHOLOGY POLICE FORCE COMBAT PSYCHOLOGY POLICE FORC Molti Psicologi ritengono che un gruppo di lavoro realmente efficiente ed efficace debba essere dotato di un elevato livello di collaborazione tra i suoi componenti.

della sicurezza per portare a termine i loro obiettivi, devono necessariamente lavorare fianco a fianco con altri colleghi all’interno di un workteam. Come sottolinea Luciana Castellini, un workteam è un gruppo di persone che collaborano per il raggiungimento di obiettivi professionali comuni e che forniscono ciascuno un contributo alla realizzazione della performance del gruppo. Un workteam è quindi costituito da un insieme di individui che interagiscono tra loro nella consapevolezza di dipendere l’uno dall’altro e di condividere gli stessi obiettivi e lo stesso compito. Ognuno all’interno del gruppo dovrebbe svolgere un ruolo specifico e riconosciuto dagli altri membri, e nel contempo dovrebbe interessarsi al benessere dei e alla tutela dei colleghi. Gli Psicologi ritengono che un gruppo di lavoro realmente efficiente ed efficace debba essere dotato di un elevato livello di collaborazione tra i suoi componenti e debba mirare a raggiungere con il tempo una vera e propria integrazione, dove i partecipanti al gruppo possano condividere bisogni ed esigenze oltre che obiettivi. Proprio per questo la Psicologia ha sottolineato che l’attività di gruppo di professionisti non può essere improvvisata e lasciata al caso, bensì necessita dell’uso consapevole di regole e strumenti. La capacità di lavorare all’interno di un gruppo rappresenta quindi una qualità fondamentale del soldato moderno. Le personalità “abrasive” (così definite dallo Psicologo Levinson nel 1978) sono quelle che non riescono a integrarsi con successo nel gruppo mortificando i sentimenti e la sensibilità degli altri membri e causando stress. Questi individui rappresentano un fattore antagonista al successo del workteam e dovrebbero essere individuate e compensate. LA PSICOLOGIA DEL LAVORO ENTRA IN CASERMA La psicologia del lavoro è un settore della Psicologia che si propone di studiare il comportamento dell’uomo nel suo ambiente lavorativo. Le prime esperienze in tal senso avvengono all’inizio del 900 quando per la prima volta vengono chiamati degli psicologi per occuparsi della selezione delle reclute durante la prima guerra mondiale. Poi con il passare del tempo (più o meno dal 1930) si delinea progressivamente l’interesse verso lo studio dell’adattamento dell’uomo alle varie esperienze professionali. Si comincia quindi a studiare l’interazione tra l’individuo e l’organizzazione lavorativa in cui è inserito per individuare correttivi finalizzati a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori ma anche per incrementare la produttività e l’efficienza professionale. I gruppi e le squadre, nell’organizzazione militare e di polizia, tendono a essere stabili. Le persone che compongono questi gruppi tendono infatti ad operare stabilmente insieme, a volte per lungo tempo. Essi non sono degli “automi” in stile robocop ma sviluppano dinamiche affettive ed emotive (oltre che professionali) nei confronti degli altri appartenenti al gruppo e del gruppo stesso. Tali dinamiche influenzano poi direttamente la vita, l’operatività e l’efficacia del

team. Disconoscerle o tentare di comprimere ed orientare tutto facendo solo affidamento sul sistema sanzionatorio (ricompense e punizioni) è una strategia perdente. Per questo i concetti e gli strumenti di psicologia del workteam (il gruppo di lavoro), che nascono e si sviluppano negli ambienti professionali all’avanguardia, cominciano da qualche anno a trovare applicazione (a volte con una certa lentezza) anche negli ambienti di lavoro militari e di polizia. Del resto la cultura autoritario-burocratica (come la definisce il Prof. Spaltro) tipica degli ambienti militari tradizionali, dove il potere è attribuito ai vari membri sulla base della sola posizione gerarchica oppure sulla base delle direttive formali indicate dal regolamento, sta progressivamente lasciando il posto a una cultura professionale dove il potere è attribuito ai vari membri e quindi da esso gestito, anche in base alle funzioni e ai risultati che le persone sono chiamate ad assicurare all’organizzazione. Soprattutto la tecnologicizzazione delle attività militari e di polizia ha generato delle aree di competenza tecnica dotate necessariamente di autosufficienza decisionale. E proprio per questo le caratteristiche necessarie in un comandante (team leader) di un esercito moderno o di una moderna forza di polizia, devono comprendere, parallelamente alla capacità di guidare il lavoro degli altri, anche notevole abilità interpersonale, necessaria a costruire rapporti tra le persone, a negoziare e a far crescere le potenzialità degli individui nel gruppo. Riferimenti bibliografici Novara F., Sarchielli G., Fondamenti di psicologia del lavoro, Bologna, Il Mulino 1996. Bennis W.G., Nanus B., Leader, anatomia della leadership, Angeli, Milano, 1993. Borgogni L. (a cura di), Valutazione e motivazione delle risorse umane nelle organizzazioni, Milano, Angeli, 1996.

Giuseppe Larghi, Giovanni E. Alberti, Alberto Gandolfi - “Team Leadership: La capacità di guidare e gestire un team in modo efficace” - Edizioni Organizzazione e Management

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di Giovanni Di Gregorio – Direttore Studi Strategici del CeSA - Geopolitica DI GALDINO GALLINI

HAMBURGER HILL COLLINA 937

La storia del genere umano è caratterizzata da una scia continua e quasi ininterrotta di guerre più o meno estese e gli Stati Uniti d’America, nonostante siano una Nazione relativamente recente, non fanno certo eccezione. La scia di sangue per la conquista del territorio e la sottomissione delle popolazioni indigene, la lotta per l’indipendenza dal dominio europeo, la guerra di secessione ed i successivi conflitti con nazioni straniere che continuano tutt’oggi con l’ipocrita denominazione di “missioni di pace” sono tristemente note anche tra coloro che si occupano di storia in modo superficiale. Tra i recenti episodi bellici che hanno visto impegnato l’Esercito Statunitense, la guerra del Vietnam è sicuramente una delle più interessanti in quanto, se si fa un paragone con i precedenti conflitti, il panorama politico, le modalità dell’intervento e le caratteristiche del territorio e del nemico configurano uno scenario generale non convenzionale. Per questi motivi molti studiosi di storia militare non hanno mai smesso di approfondire i vari aspetti di questo evento ed anche i normali cultori di storia moderna continuano ad essere affascinati dalle tragiche esperienze vissute dai soldati che hanno preso parte a quei combattimenti. Le cronache e le testimonianze di coloro che hanno vissuto quel dramma sono state rese pubbliche in molti modi ed uno dei sistemi di divulgazione di massa più efficaci e più idonei a comunicare la tragicità del sacrificio sia del singolo individuo che delle masse è sicuramente il cinema. L’avvicendamento delle fasi della guerra del Vietnam è veramente incalzante. Anche le fasi iniziali, in cui la presenza americana è stata più politica che non militare, possono affascinare più di una spy-story scritta da un abile romanziere. Tutto ha inizio con la fine della seconda guerra mondiale quando, per gli americani, ha

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cominciato a delinearsi la paura di un blocco comunista guidato dall’Unione Sovietica; tra le componenti più preoccupanti di questo blocco c’era la Cina ed il leader comunista Ho Chi Minh, capo indiscusso del nord del Vietnam, era legato a doppio filo con il regime di Pechino. Nel 1954 ci fu la disfatta definitiva delle truppe francesi in Indocina e venne delineata una sorta di linea di confine lungo il 17° parallelo tra il Vietnam del Nord ed il Vietnam del Sud. La presenza di personale del servizio strategico americano in Indocina risale alla seconda guerra mondiale ed aveva il compito di aiutare le truppe partigiane nella lotta contro i giapponesi, ma è verso il 1955 che prende corpo una vera e propria attività di sostegno nei confronti dei sud-vietnamiti per contrastare le forze comuniste nordvietnamite di Ho Chi Minh. Inizialmente l’assistenza statunitense era limitata a consulenze strategiche e fornitura di materiale; fu nel 1961 che il neopresidente John F. Kennedy diede l’ordine di intervenire militarmente in modo conclamato. Le difficoltà di questa campagna furono inizialmente sottovalutate ed il conflitto prese subito un brutta piega. L’impiego di uomini e di mezzi venne progressivamente incrementato ma le truppe sudvietnamite dimostrarono di saper replicare colpo su colpo con grande efficacia ed incredibile spirito di sacrificio. Gli scontri a fuoco, le scaramucce più o meno sanguinose e le battaglie sono state numerose e tutte hanno determinato perdite di uomini per ambo le parti, ma uno dei combattimenti più cruenti nella storia della guerra in Vietnam è stato sicuramente quello avvenuto tra l’11 ed il 20 maggio del 1969 per la conquista di una collina chiamata dai locali Dong Ap Bia, alta 937 metri ( per questo denominata “Quota 937” ) e situata nella valle di A Shau. Quest’area era particolarmente importante dal punto di vista strategico in quanto permetteva di tenere sotto controllo il passaggio di truppe e rifornimenti dal Laos al Vietnam del Sud. Dopo dieci giorni di “botte da orbi” i soldati americani riuscirono ad avere la meglio ma le perdite furono così ingenti che, finito lo scontro, i militari la soprannominarono “Hamburger Hill”. Correva l’anno 1969; a gennaio Richard Nixon aveva preso il posto di Lyndon Johnson come presidente degli Stati Uniti. In quel periodo l’esito del conflitto era abbastanza positivo e le truppe di Ho Chi Minh erano state ricacciate verso nord. Durante l’operazione Dewey Canyon, durata un paio di mesi e terminata nel mese di marzo, il 9° Marines, penetrando nella valle dell’A Shau, riuscì ad infliggere numerose perdite ( circa 1500 uomini ) all’esercito nemico ma non riuscì a scacciare completamente le truppe avversarie che si erano insediate in quell’area nel 1966 . Pertanto venne organizzata una nuova spedizione, sempre nella valle di A Shau, denominata “Apache Snow” che ebbe inizio nei primi giorni di maggio del 1969. Vennero utilizzati tre battaglioni della 101° Divisione Aviotrasportata, comandata dal Generale Melvin Zais. Il primo battaglione era formato dal

506° Fanteria ed era comandato dal Col. John Bowers; il secondo battaglione era il 501° Fanteria comandato dal Col. Robert German, ed il terzo battaglione era il 187° Fanteria comandato dal Col. Weldon Honeycut. Le truppe statunitensi erano affiancate da due battaglioni dell’esercito sud-vietnamita. Le forze nemiche, arroccate nelle loro postazioni sulla cima della collina indicata sulle mappe militari con la sigla “Quota 937”, non erano certo intenzionate a mollare le loro posizioni senza combattere. La morfologia delle pareti di quella montagna era particolarmente propizia alle forze difensive. I pochi canaloni che scendevano longitudinalmente verso la base del monte erano stretti e poco profondi, pertanto vi potevano passare pochi uomini per volta, e potevano essere facilmente spazzati dal fuoco delle postazioni

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difese dal 29° reggimento nord-vietnamita. Le vie d’accesso alla cima erano scarse e carenti di protezioni e di ripari. Anche la vegetazione, di solito molto rigogliosa, non ha apportato grandi vantaggi alla risalita delle truppe americane durante i ripetuti assalti. Il giorno 11 ebbe inizio la scalata della collina Dong Ap Bia. Le compagnie Alpha e Delta furono impegnate sul versante nord, le compagnie Bravo e Charlie sugli altri due versanti accessibili. Il primo contatto col nemico avvenne sul versante nord ed il comando americano capì immediatamente che le forze avversarie erano molto più ingenti del previsto. Venne pertanto dato il via alla prima incursione con elicotteri Cobra (Bell A-H1) armati di razzi da 70 mm., che effettuarono un primo bombardamento delle postazioni nemiche. I soldati nord-vietnamiti avevano organizzato un fitto sistema di bunker che, grazie alla vegetazione, era impossibile individuare; inoltre la robusta struttura di queste casematte minimizzava l’effetto dei bombardamenti a tappeto. Purtroppo molti razzi fallirono il bersaglio e colpirono disastrosamente le postazioni americane uccidendo due soldati e ferendone ben trentacinque tra

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cui lo stesso colonnello Honeycut. Questa involontaria coltellata alla schiena obbligò le due compagnie ad abbandonare la posizione conquistata ed a ridiscendere alle postazioni di partenza. Purtroppo questo incidente avvenne altre volte nel corso di questa battaglia ed alcune volte da parte dell’artiglieria di supporto. Nei due giorni successivi vennero sferrati altri assalti con esito catastrofico. La deduzione del comando fu che le posizioni nemiche, oltre ad essere più consistenti del previsto, stavano anche ricevendo truppe fresche e materiale dal versante rivolto verso il Laos. Nei giorni 14 e 15, mentre due compagnie perseveravano con inutili tentativi sul versante nord, venne effettuata una manovra di accerchiamento così da poter sferrare un attacco contemporaneamente sui due versanti ed, al tempo stesso, interrompere l’eventuale flusso di aiuti alle truppe asserragliate su Quota 937. L’incarico di aggirare la collina venne assegnato al 1° Battaglione. Anche questa iniziativa incontrò una serie di difficoltà impreviste: una parte degli uomini venne spostata con gli elicotteri ma la vegetazione molto fitta impediva di trovare punti di atterraggio logisticamente validi. I militari che affrontarono lo spostamento a piedi


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ebbero anch’essi difficoltà e rallentamenti per l’impenetrabilità della giungla. Inoltre le truppe nemiche, che invece si sapevano muovere agilmente nel loro territorio, riuscivano a creare continue difficoltà ed ad infliggere perdite consistenti con numerose imboscate. Vennero infatti abbattuti numerosi elicotteri sia durante le operazioni di scarico delle truppe che in quelle di recupero. Per questi motivi solo una parte del 1° battaglione riuscì ad effettuare i primi assalti alla cima della collina nei giorni 16 e 17 maggio ma anche questi fallirono e le perdite furono ingenti. L’intero contingente fu schierato completamente solo il giorno 19. Il giorno 19 arrivò anche un altro contingente di truppe fresche: il 501° Battaglione di fanteria e due battaglioni dell’esercito sud-vietnamita. Grazie a questo incremento del numero di soldati fu possibile dare il cambio alle compagnie più provate e decimate in quei giorni infernali. L’attacco finale cominciò alle 10.00 del mattino del 20 maggio dopo quasi due ore di bombardamento a tappeto da parte dell’artiglieria e degli elicotteri. Le compagnie furono condotte all’assalto simultaneamente e le truppe sud-vietnamite furono determinanti per la vittoria finale. La Quota 937 fu conquistata definitivamente alle 17.00 di quel giorno. Alle Forze Statunitensi la battaglia costò più di 70 morti e 370 feriti. I caduti dell’esercito nemico furono 680. La conquista di “Hamburger Hill” non ebbe un gran peso strategico per le sorti del conflitto e l’effetto più devastante lo ebbe sull’opinione pubblica americana. Per ironia della sorte la collina venne abbandonata il 5 giugno di quello stesso anno. Durante quei 10 giorni vennero impiegati cinque battaglioni di fanteria per un totale di 1800 uomini e su Quota 937 vennero riversate 450 tonnellate di bombe e 69 tonnellate di napalm. La storia di questi soldati è stata raccontata in un film di grande pregio dal regista John Irvin. La pellicola è stata presentata nel 1987 ed è considerata da molti un vero capolavoro per il realismo delle scene e delle ambientazioni. John Irvin è principalmente uno scrittore ma ha diretto molti film di successo di vario genere. Tra i suoi più famosi film d’azione vanno ricordati: i mastini della guerra; “codice magnum”; “vendetta trasversale”; “Robin Hood – la leggenda”; “la spirale della vendetta”… La lista dei film ambientati in scenari bellici è infinita e, grazie alla bravura dei registi e degli scenografi, tutti riescono a suscitare emozioni più o meno intense quando ci immedesimiamo nei personaggi. Purtroppo nel nostro inconscio si è ormai radicata la sensazione che tutte le situazioni narrate nei film siano frutto della fantasia del regista. In realtà dovremmo affrontare in modo differente le storie tratte da episodi realmente accaduti. Con questo approccio la sofferenza di chi ha subito le traversie della storia umana potrà aiutarci a crescere interiormente ed il loro sacrificio avrà più significato.

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Di FABIO ROSSI - Foto di Michele FARINETTI

RUSH MOAB6 Mobile Operation Attachment Bag

L’AZIENDA

confezionati attraverso la ricerca di materiali in grado di garantirne elevate qualità di affidabilità, prestazioni e 5.11 Inc. è un azienda americana, oggi diffusa e molto durata nel tempo. Il catalogo dell’azienda, consultabile apprezzata anche in Europa, ultimamente in forte anche on-line come flipbook, contiene abbigliamento espansione anche sul nostro territorio nazionale. tattico professionale, sia di taglio esplicito che a basso Si occupa, da quasi due decenni, dello sviluppo e profilo, fondine in tecnopolimero e buffetteria, occhiali ed commercializzazione di prodotti tattici destinati all’impiego orologi, borse e zaini per il trasporto di equipaggiamento e all’equipaggiamento di operatori del Law Enforcement, ed armi, scarpe e boots tattici e recentemente sono stati Military, Security ed Outdoor. Prodotti che sono progettati e inseriti anche alcuni modelli di coltelli professionali e testati con il contributo di esperti del settore e che vengono tactical lights ad alta potenza e ricarica rapida. TNM ••• 099


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IL PRODOTTO

affidata a due identiche cerniere. La sua parte esterna è ricoperta da un set di cinghie PALS – M.O.L.L.E. System Questa tactical bag è stata studiata per essere utilizzata - 4 righe x 4 canali - con una zona 7x7cm di tessuto velcro per apporre patchs ID. Nella parte interna sia nella vita di tutti i giorni sia in situazioni operative, fissa sono presenti una serie di tasche sovrapposte, in quanto, le sue caratteristiche, permettono di poter di diverse dimensioni, adatte a contenere piccoli “stivare” all’interno materiali ed equipaggiamenti di oggetti e due fettucce con moschettone portachiavi. foggia e dimensioni diverse. Nella parte mobile sono presenti due ampie tasche parallele delle dimensioni di un caricatore da 30 STRUTTURA colpi 5,56mm per carabina M4. I due contenitori sono separati da una tasca “segreta”, la cui chiusura La struttura portante dell’articolo è costruita avviene per mezzo di due piccole strisce di velcro. utilizzando un tessuto in Nylon 1050 denari con un Ulteriori PALS – M.O.L.L.E. System sono stati inseriti trattamento impermeabilizzante. Il contenitore nelle sezioni laterali del contenitore principale. Nella principale ha dimensioni di circa 30cm di altezza, 25 sua parte superiore troviamo, inoltre, la maniglia di larghezza e 20 di profondità, con due cerniere di generose dimensioni provviste di laccetti per facilitarne di trasporto ed una tasca, con fodera in materiale morbido, idonea al alloggiare, in modo sicuro, un paio le operazioni di apertura e chiusura. Al suo interno occhiali. La parte posteriore del bag è formata da è presente una tasca in nylon leggero elasticizzata un’ambia tasca, molto sottile, con chiusura a cerniera, mentre, sulla parte basculante, sono applicate due nella quale possono essere occultati dei documenti. tasche con cerniera; sul fondo è presente un foro di Nella sezione esterna, che aderisce perfettamente al drenaggio con l’esterno. Il contenitore secondario corpo dell’utilizzatore, sono stati cuciti due rinforzi in ha dimensioni più piccole, circa 23cm di altezza, 20 di larghezza e 8 di profondità, sempre con chiusura materiale antiscivolo e due passanti in polimero, uno TNM ••• 0101


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a destra ed uno a sinistra. Questi ultimi servono per fissare la bandoliera e rendere il prodotto ambidestro. La bandoliera è formata da un nastro in nylon da 4cm ad alta resistenza, fissato nella parte anteriore con una fibbia Fastex, per facilitarne lo sgancio rapido da parte dell’operatore. La parte di bandoliera fissata al contenitore principale è maggiorata nelle dimensioni e rinforzata con un materiale morbido. Sulla sua superficie esterna è cucita una tasca con cerniera, dimensioni circa 15cm di altezza, 11 di larghezza e 4 di profondità, dove, attraverso un elastico interno, può essere fissato un telefonino, una radio portatile o altri oggetti di ridotte dimensioni. Un’asola passacavo

consente l’utilizzo di eventuali cuffie auricolari e, sull’esterno, del tessuto velcro permette di apporre ulteriori patchs ID. Inoltre, con l’utilizzo di alcuni nastri in nylon, forniti di serie, il bag può essere fissato a tutti gli zaini 5.11 RUSH Backpack serie 12 -24 -72. REPORT DELLE PROVE Nel tempo ho provato ed utilizzato molti prodotti di questo genere, dalle dimensioni più o meno generose, a volte persino esagerate per l’uso che mi ero proposto. Utilizzo il 5.11 RUSH MOAB6 da circa sei mesi, posso dire quasi quotidianamente, trasportando al suo TNM ••• 103


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studiata per essere utilizzata sia nella vita di tutti i giorni sia in situazioni operative

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interno, come direbbe qualcuno, “la qualunque”; dal notebook alla macchina fotografica nel tempo libero, ad oggetti molto più seri e professionali durante le ore lavorative. Nelle sue molteplici e disseminate piccole tasche si possono celare documenti personali, occhiali, penne, chiavi, telefonino, agenda o taccuino per gli appunti. Nelle foto allegate all’articolo si può notare che la tasca “segreta” può tranquillamente contenere una pistola semiautomatica full-size, celandola completamente alla vista altrui e rendendola immediatamente disponibile; anche se, come ho già ribadito in altri articoli, non sono molto favorevole a questa tipologia di porto dell’arma, preferisco, senza ombra di dubbio, un’ottima fondina da cintura. Nella stessa tasca è presente una pannello in velcro al quale possono essere assemblati gli accessori aggiuntivi del kit 5.11 Back-Up Belt System™. Il bag non ha determinato alcun tipo di problema nella salita e discesa da autovetture o durante la guida di moto e scooter, anche grazie alla possibilità di poter essere spostato, rapidamente, dalla parte ventrale a quella dorsale dell’utilizzatore o viceversa. La vestibilità e l’attagliamento sono è ottimi, in quanto garantiti dalla regolazione presenti sulla parte frontale della bandoliera e da quelle sui passanti nella parte posteriore del bag. Sicuramente il prodotto, per le sue caratteristiche costruttive e le colorazioni dei tessuti – al momento solo disponibile in black e sandstone - non consente un trasporto low-profile, rendendo facilmente visibile ed individuabile l’operatore professionista.

Ritengo comunque che si tratti di un buon prodotto, dall’ottimo rapporto qualità prezzo, come d’altronde su tutta l’ampia gamma di prodotti 5.11. Prezzo di vendita circa 80 euro. 5.11 Tactical Inc. 4300 Spyres Way Modesto, CA 95356 www.511tactical.com Importatore italiano: Bignami S.p.A. Via Lahn 1 39040 Ora (BZ) tel.: 0471 803000 fax: 0471 810899 www.bignami.it

Si ringrazia: TACTICAL EQUIPMENT S.r.l. Store/negozio Via Nizza 167/169 R 17100 Savona - Tel/Fax 019 2054224 Per aver fornito il prodotto testato e tutto l’abbigliamento 5.11 – Tactical Pant coyote, Chameleon Soft Shell black, XPRT Tactical Botts black – utilizzati per le foto dell’articolo. www.tacticalequipment.it TNM ••• 105


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ISAF Di ANTONELLO TIRACCHIA

InternationaL Security Assistance Force


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Mentre era già in corso l’Operazione Enduring Freedom, nel dicembre del 2001, sotto l’egida dell’ONU, venne indetta la Conferenza di Bonn con l’intento di creare un’Autorità Provvisoria Afghana che permettesse di giungere alla convocazione della Loya Jirga (alla lettera: grande consiglio) dove il termine Jirga è di origine turca e significa tenda, il luogo appunto dove le differenti tribù si riunivano per affrontare aspetti della vita e della politica comune. È probabile che la prima sia stata convocata già verso il 1000 dalle tribù pashtun che, da sempre, si considerano i “veri” afghani e per molto tempo la Loyra Jirga è stata un loro privilegio esclusivo. Lo scopo della Conferenza di Bonn era quello di creare i presupposti per ridare all’Afghanistan una struttura governativa che fosse in grado di rimediare ai danni che la guerra successiva all’invasione sovietica e l’occupazione talebana avevano arrecato a tutte le più basilari strutture amministrative del Paese. Attraverso un’intensa attività diplomatica la Loira Jirga venne convocata per il 2002 e per la prima volta nella sua storia, vide sedere a fianco una dell’altra tutte le etnie tribali afghane. L’Autorità Provvisoria Afghana era presieduta da un Presidente, una Commissione Indipendente Speciale per la convocazione della Loya Jirga di emergenza, ed una Corte suprema dell’Afghanistan, nonché di altre entità giuridico amministrative necessarie all’Amministrazione Provvisoria per compiere la sua missione. In base agli accordi della Conferenza di Bonn si riconobbe alla stessa Autorità Provvisoria Afghana la sovranità sullo stato afgano, la rappresentanza dell’Afghanistan nelle sue relazioni esterne ed il diritto ad occuparne il seggio all’ONU, venne inoltre momentaneamente recuperata la costituzione liberale del 1964, quella emessa dal re Zahir Shah, che nel 2002 venne richiamato in patria da Roma, dove viveva in esilio e si attivò come figura super partes per la convocazione della Loyra Jirga che avrebbe portato alle elezioni del 2004 ed alla nascita dell’attuale Repubblica Islamica dell’Afghanistan. Le difficoltà oggettive per applicare un simile programma, in un paese ancora in preda a sanguinosi conflitti interni, portarono parallelamente alla Conferenza di Bonn alla nascita dell’International Security Afghanistan Force (ISAF) il cui comando fu passato con un’apposita Risoluzione dalle Nazioni Unite alla NATO. La missione di ISAF coinvolge 48 diverse nazioni che contribuiscono, a vario titolo, alla coalizione, sia con l’invio di truppe che con l’erogazione di fondi, gestiti da apposite strutture multinazionali. La missione ISAF è imperniata su tre punti.

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Militare Inglese dei Royal Marine Commandos

1•SICUREZZA: il cui sviluppo è ritenuto indispensabile per generare i presupposti per uno sviluppo sociale ed economico del Repubblica Islamica dell’Afghanistan, affidando alle forze di polizia ed all’esercito della Repubblica il controllo del territorio di cui ISAF, tramite le nazioni aderenti alla coalizione, si assume l’onere della formazione, dell’equipaggiamento e dell’affiancamento (mentoring) del personale. 2•RICOSTRUZIONE E SVILUPPO: è il vero cardine della missione ISAF ed è attuata attraverso la costituzione dei Provincial Reconstruction Teams (PRT), che sono delle strutture amministrative sotto il controllo militare di alcune Nazioni più impegnate sul territorio, come per esempio l’Italia, con lo scopo di dialogare con il Governo centrale afghano ed individuare priorità sociali, opere pubbliche ed opportunità di sviluppo e di lavoro. Si potrebbero paragonare, per sommi capi, alle attività prefettizie della nostra amministrazione pubblica. Il PRT italiano opera, a stretto contatto, con la Direzione per la Cooperazione e lo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri e con alcune Organizzazioni Non Governative. Molte nazioni di ISAF che hanno un ruolo marginale sotto il profilo militare o altre che non ne fanno parte, come per esempio il Giappone e la Svizzera, hanno dei delegati sul territorio e finanziano i progetti portati avanti da ISAF attraverso i PRT di altre nazioni. 3•GOVERNANCE: l’obiettivo finale dell’intervento di ISAF è quello di creare i presupposti per una solida e duratura attività del legittimo governo afghano, attraverso libere elezioni democratiche e l’applicazione di leggi che siano coerenti con gli TNM TNM••• •••0110 110

elementi fondanti della carta dei diritti dell’uomo ed il ridimensionamento del diffusissimo costume della corruzione che investe, a vari livelli, gran parte delle attività amministrative afghane. È interessante notare come l’Italia, nelle presentazioni ufficiali del suo ruolo all’interno di ISAF, modifichi l’ordine dei tre punti, posponendo il primo punto “sicurezza” all’ultimo posto, in linea con la politica di basso profilo che i governi nazionali cercano sempre di dare alle operazioni militari in cui, a vario titolo, è coinvolta la nostra Repubblica. All’origine, ISAF, operava nella sola provincia di Kabul, sono stati i tedeschi che per primi hanno esteso nel 2003 le attività dei loro PRT a Kunduz, a nord di Kabul, quasi al confine con il Tajikistan. In una fase progressiva ISAF ha espanso le sue attività a tutto l’Afghanistan, che è stato diviso in quattro macroaree di cui quella occidentale è sotto il controllo italiano, il così detto RC-W (Regional CommandWest). In pratica, in Afghanistan, operano due realtà: Enduring Freedom, che ha una vocazione prettamente militare, che si può sintetizzare nelle soppressione di attività militari ed armate in contrasto con il legittimo governo della Repubblica Islamica dell’Afghanistan ed ISAF, che utilizza le forze armate per sostenere lo sviluppo e la governance dell’Afghanistan, secondo le direttive delle risoluzioni delle nazioni Unite di cui la NATO, che di fatto governa ed amministra ISAF, è il mandatario. Le forze armate impegnate nella missione ISAF sono soggette a strettissimi national caveats, che sono i limiti operativi, all’interno dei quali, possono operare i contingenti militari delle varie nazioni in caso di uno scontro armato, che sono analizzati e descritti nelle “regole d’ingaggio” o “ruls of engagement” delle singole nazioni che, per essere più chiari, sono l’incubo di ogni comandante di reparto.


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AFGHAN


han Frames Afghan Frames Afghan Frames Afghan Frames Afg Panorama della Masamute Valley

FRAMES


Afghan Frames Afghan Frames Afghan Frames Afghan F Membri del Royal Marine Commandos Inglesi impegnati nell’operzione Sond Chara (Helmand Province)


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Afghan Frames Afghan Frames Afghan Frames Afghan F 82nd Airborne Division in attivitĂ di pattuglia nella Masamute Valley


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Afghan Frames Afghan Frames Afghan Frames Afghan F Special Forces Americane


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han Frames Afghan Frames Afghan Frames Afghan Frames Afg Membri del 82nd Airborne Division mentre fanno cantare il loro Howitzer da 155 mm


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Il Sergente Edward Duran of Downey dirige le operazioni di sicurezza predisposte per l’arrivo di alti Ufficiali Americani e Afghani presso la base di GARDEZ


Afghan Frames Afghan Frames Afghan Frames Afghan F Royal Marine Commandos durante un operazione di clearance


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han Frames Afghan Frames Afghan Frames Afghan Frames Afg Militare dei Royal Marine Commandos Inglesi ( Helmand Province )


Afghan Frames Afghan Frames Afghan Frames Afghan F Il Sergente Derrik Browne e il Sergente Jason Andrade del 1st Cavalry Division, provvedono alla sicurezza dell’area di Bala Hesar


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i soldati della Folgore in missione in Afghanistan

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Di Decimo Alcatraz

LA GEOMETRIA

DI DIO

è la tensegrità. Segna la strada, che connette stabilità e movimento: una rivoluzione nel condizionamento fisico tattico operativo. Immaginate di dover costruire un corpo umano capace di stare eretto e di muoversi. Quali materiali utilizzereste? Legno, tubi in PVC o in ceramica per le ossa, silicone o qualche tipo di plastica per le cartilagini, lacci, corde e ogni genere di cavi per i tendini e i legamenti, cardini per le articolazioni, tubi di gomma per il sistema circolatorio, bambagia per riempire gli spazi vuoti, pellicola trasparente e sacchetti di plastica per tenere insieme il tutto, olio e grasso per lubrificare le superfici mobili, vetro per le retine, filtri e spugne per gli organi interni. Ma come fareste a mettere tutto insieme senza velcro o nastro adesivo? Quello che vi manca è il tessuto connettivo! E’ un vero e proprio sistema, che connette tutte le varie parti del nostro organismo. Forma una rete, che avvolge, sostiene e collega tutte le unità funzionali del corpo. E’ sede di numerosissimi recettori sensoriali, struttura i muscoli, anatomicamente e funzionalmente, in catene miofasciali e assume quindi un ruolo fondamentale all’interno del sistema dell’equilibrio e della postura. Per farla breve, il tessuto connettivo, è l’elemento indispensabile per combinare flessibilità e stabilità in un organismo con esigenze complesse di movimento.

Le famigerate trazioni alla sbarra, bestia nera di tante selezioni, il più delle volte si trasformano in un puro esercizio di forza nel quale dominano coloro, che la natura ha dotato di dorsali ad ala di pipistrello!

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Cerchiamo di capirci nella pratica Se un incursore, dopo una marcia forzata, non può entrare in azione per il mal di schiena causato dai 40kg di affardellamento tattico; se un artigliere non può servire al pezzo per un’infiammazione alla spalla; se un vigile del fuoco non può stendere il tubo dell’idrante per un forte dolore al gomito o se


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un agente di polizia ha una persistente contrattura dei trapezi che gli fa perdere il corretto allineamento nel momento del tiro con la pistola, il problema il più delle volte non è dovuto ai muscoli, ai legamenti, alle articolazioni, ma alla fascia connettiva, che è stata sollecitata oltre le proprie possibilità, senza essere stata sufficientemente e volontariamente riattivata e decompressa. Pensate ora a qual’ è la tipologia di condizionamento fisico attualmente in uso nella maggior parte dei corpi militari, di pubblica sicurezza e di protezione civile, italiani e stranieri. Non affaticatevi a cercare la risposta! E’ semplice: il classico binomio potenza muscolare/ resistenza cardiovascolare. Nei casi più fortunati ed evoluti, si aggiunge l’addestramento specifico per la coordinazione neuromuscolare. Nessuno invece si occupa del rafforzamento miofasciale, quindi della produzione di nuovo tessuto connettivo, che significa lavorare sui principi di tensegrità, al fine di acquisire maggior fluidità di movimento, incrementando la stabilità del corpo. In realtà, la negazione assoluta è sbagliata. L’Accademia Antiterrorismo Lotar di Tel Aviv, il NYPD per la squadra di negoziazione ostaggi, il FLETCH dell’FBI come gli Air Marshall USA e alcuni reparti della polizia olandese e belga hanno compreso l’importanza fondamentale di un allenamento specifico, che miri anche alla produzione di nuovo tessuto connettivo, in grado di garantire performance operative di miglior livello. Hanno così introdotto nei propri protocolli di allenamento il Tacfit e la Tactical Gymnastic, ovverosia quei sistemi basati sulla ricerca della massima mobilità articolare, della più alta attivazione del core addominale stabilizzante e del miglior recupero dallo sforzo. Per capire le implicazioni dell’allenamento di quella che è chiamata “fascia”, torniamo solo per un attimo alla teoria. Ci troviamo di fronte a un vero e proprio network, che a differenza di quelli del sistema nervoso, endocrino e immunitario, presenta un metodo forse apparentemente più arcaico ma non certo meno importante di funzionamento: quello meccanico. Semplicemente, tira e spinge comunicando così da fibra a fibra, da cellula a cellula, con una modalità definita “ tensegrità “: il suo nome deriva dall’unione di due parole, tensione e integrità, e significa che l’integrità di una struttura dipende dal bilanciamento della sua tensione interna. Infatti, tutte le strutture dell’universo sono frutto di un equilibrio tra tensione e compressione, tra spinta e trazione. Il corpo umano non fa eccezione! Le parti in compressione sono: le ossa, che spingono in fuori contro le parti in trazione e i muscoli e i tendini che spingono verso l’interno. Questo tipo di strutture presentano una stabilità più elastica rispetto a quelle a compressione continua e diventano tanto più stabili quanto più vengono

caricate. Riprendiamo, allora, in considerazione il corpo che abbiamo provato a costruire all’inizio. Il senso che la nostra struttura fisica sia costituita da blocchi sovrapposti, che si auto-sostengono, è un errore dovuto all’abitudine: se pensate allo scheletro, che quasi tutti noi ad un certo punto della nostra carriera scolastica abbiamo trovato nell’aula di scienze, lo immaginate capace di reggersi in piedi da solo. E’ così che si creano i pregiudizi! Oltre che con la semantica delle parole! Colonna vertebrale, infatti, evoca una monolitica struttura portante di blocchi – le vertebre, appunto – capace di reggere tutto il corpo. Niente di più sbagliato! La nostra spina dorsale è un perfetto modello di tensegrità, nel quale elementi ossei e “tessuti molli” si equilibrano in perfetta armonia, fino a che… qualche blocco locale, come le aderenze fasciali derivante da sforzi eccessivi, la mancanza di esercizio, gli allenamenti

Come le trazioni fanno parte dell’iconografia legata al mondo militare, tanto quanto i fiori ad un appuntamento galante!

erronei o qualche trauma, li ridispone in risposta a una tensione locale. Il nostro corpo non è una colonna di sostegno del tempio del nostro ego! E’ più corretto pensarlo come una barca, il cui involucro galleggia, tanto meglio quanto più le drizze, le sartie, le vele, i verricelli e la barra del timone concorrono a conservarne il giusto equilibrio tra mare e vento, che altro non sono se non una metafora, neppure troppo fantasiosa, di movimenti continui ed improvvisi. I professionisti della sicurezza militare, pubblica e civile hanno esigenze che spesso richiedono di dover esprimere, assorbire e ridistribuire immediate e violente esplosioni di forza. Vere e proprie cannonate! E, credetemi, sparare con un cannone montato su una canoa è più pericoloso per l’imbarcazione stessa, che non per i suoi assalitori! Quindi la struttura del corpo, deve essere funzionale al lavoro specifico, che le è richiesto. In caso di militari, agenti, vigili del fuoco, l’unica speranza per far fronte ai mille imprevisti di una professione all’insegna del rischio e dell’incolumità fisica, è allenare il corpo in modo che TNM ••• 133


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Il nostro corpo non è una colonna di sostegno del tempio del nostro ego! E’ più corretto pensarlo come una barca, il cui involucro galleggia, tanto meglio quanto più le drizze, le sartie, le vele, i verricelli e la barra del timone concorrono a conservarne il giusto equilibrio tra mare e vento, che altro non sono se non una metafora, neppure troppo fantasiosa, di movimenti continui ed improvvisi.

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la naturale tensegrità rimanga inalterata. Per meglio immaginarsi il funzionamento della nostra struttura muscolo-scheletrica, dobbiamo pensare a due sacche che nella perfetta condizione fisica scivolano l’una sopra l’altra. La “sacca interna” contiene ossa e cartilagin. La “sacca esterna” è chiamata fascia e contiene una sorta di sostanza molle elettrificata, che altro non sono che i muscoli. Le due sacche sono unite attraverso una serie di punti, chiamate inserzioni. Una lesione, un trauma muscolare, un’infiammazione tendinea creano un blocco, che ha la sua ripercussione più profonda sull’inserzione adiacente, provocando una tensione che disequilibra la tensegrità, che garantisce benessere, corretta ampiezza e range di movimento al corpo. E’ a causa di questo sbilanciamento e della mancata cura e regolazione della tensione della fascia, la perdità della mobilità, flessibilità, coordinazione, forza e resistenza di tutto il corpo. Ancora una volta l’esempio più semplice può servire a chiarire un concetto all’apparenza complicato. Prendiamo in considerazione: corsa, pull-ups e push-ups, ossia la base dell’addestramento militare tradizionale. Analizziamo i dettagli e vediamo come all’insegna del binomio mobilità/stabilità allenare questi stessi movimenti in maniera più funzionale. Corsa – Ai militari non serve fare jogging e neppure running. Non serve a molto lo skip con le ginocchia al petto, la corsa con i talloni battuti ai glutei e neppure una falcata nella quale l’anfibio rende più pesante il passo, ma la riproposizione della postura e del gesto è identica a quella con le scarpe da cross. Avete mai trovato qualcuno in caserma, che abbia speso tre minuti a spiegare alle reclute che la corsa in ambito militare è sempre gravata da un peso che disequibra il corpo? Quando va bene è solo quello dell’arma in dotazione, quando va male – ed è la maggior parte delle volte – quello del bodyarmour, dello zaino, della radio, del corpo del compagno ferito da evacuare. Quindi la corsa militare non può prescindere dalla massima mobilità delle anche, che devono poter trazionare il corpo, in presenza di qualsiasi impedimento, aggravio o deviazione di forza. Perché ciò avvenga è necessario rafforzare tutta la catena fasciale posteriore e lavorare molto sulla mobilità complementare di ginocchia e caviglie, oltre che sulla ricerca della massima attivazione del core addominale. E stiamo parlando solo della corsa di resistenza: per gli sprint necessari per passare da un riparo all’altro e per coprire i tratti di campo durante l’ingaggio a fuoco, magari durante un urban close combat,… bhe forse dedicheremo un articolo apposito! Pullups – Le famigerate trazioni alla sbarra, bestia nera di tante selezioni, il più delle volte si trasformano in un puro esercizio di forza nel quale dominano

coloro, che la natura ha dotato di dorsali ad ala di pipistrello! Ma che cosa accadrà quando anche loro dovranno issarsi oltre il davanzale di una finestra o un muro di cinta? Il movimento a cui sono stati abituati prevede una presa perfetta della mano intorno alla sbarra e una trazione, che porta la testa – a volte nemmeno per intero – oltre la sbarra. Il cambio dell’impugnatura, il lavorare in appoggio e non in presa stretta, l’attivazione preventiva del dorsale in modo da creare un lock della spalla in modo da renderla un pack unico con il pettorale, rafforzandola e difendendola da contratture e stiramenti, il recupero del cocige verso il basso in modo da garantire un allineamento ottimale della colonna, così da non sottoporla a stress inutili ed eccessivi, non mi pare facciano purtroppo parte del bagaglio tecnico dell’allenamento per le trazioni. Senza citare le diverse varianti commando e chin-up . Pushups – le trazioni fanno parte dell’iconografia legata al mondo militare, tanto quanto i fiori ad un appuntamento galante! Centinaia di flessioni divengono l’esercizio abituale per reclute e soldati di lungo corso, fino a che un giorno scoprono fastidiosi dolori al gomito, restrizioni di movimento del braccio, blocchi inspiegabili alla spalla, tanto da non riuscire neppure a infilare l’arma di servizio a tracolla. Quante flessioni avete totalizzato tenendo i gomiti a 45° invece che perfettamente aderenti ai fianchi? Avete idea di quante varianti “funzionali” vi siano per le flessioni? Prometto di dedicare uno dei prossimi articoli ad una fotogallery con scheda di spiegazione del movimento e integrazione della funzionalità. La morale per il proprio allenamento quotidiano è semplice: in un corpo sano, le fasce profonde consentono alle strutture adiacenti di scivolare una sull’altra. L’abitudine ad allenare il nostro corpo solo lungo 2 direttrici, dimenticando che le articolazioni sono fatte per muoversi a 360°, su 6 differenti angolazioni, crea infiammazioni muscolari, contratture croniche e lesioni, che aumentano l’attrito durante il movimento, formando aderenze e cicatrici, capaci di trasformarsi in fibrosità difficilmente reversibili, con posture anomale e movimenti limitati, oltre che con influenze negative sulla circolazione sanguigna e la conduzione nervosa, con seguente deperimento del tono muscolare, crescita del senso di affaticamento e uno stato di tensione continua. Conoscere la tensegrità, rispettare l’equilibrio che ne deriva, incrementare i range di movimento più che l’ipertrofia della massa, consente a chi deve utilizzare il proprio corpo come uno strumento di lavoro di allenarlo, curarlo e rispettarlo, come il bene più prezioso su cui fare conto. TNM ••• 135


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ALL’ACCADEMIA DELLA BERETTA A CURA DELLA REDAZIONE

CON IL CORPO FORESTALE DELLA REGIONE SICILIA TNM ••• 136

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Alcuni membri del Corpo Forestale hanno anche partecipato ad un corso per operatore con fucile lancia siringhe narcotizzanti “DAN INJECT”, di fabbricazione danese, per la cattura zoo profilattica degli animali

Il Corpo Forestale della Regione Sicilia ha svolto due corsi di perfezionamento per Istruttori di tiro con la “BERETTA DEFENCE SHOOTING ACADEMY”. Il primo ha trattato il tiro operativo con la pistola BERETTA 98 FS, arma in dotazione a tutti gli appartenenti al Corpo. Il corso si è svolto in 40 ore ed ha toccato tutte le tematiche del tiro operativo di Polizia. Al mattino si svolgevano le lezioni teoriche in aula, dove i formatori Beretta spiegavano l’importanza del “Mind Set”, cioè dell’atteggiamento mentale dell’operatore verso il tiro. Di particolare importanza sono state le lezioni sulla capacità di reazione a cui dovranno puntare tutti coloro che si troveranno sotto stress affrontando un conflitto a fuoco. Essendo gli allievi, comunque, tutti già Istruttori di tiro formati alla scuola del Corpo Forestale dello Stato

di Sabaudia, le lezioni in aula spesso sono state supportate da aneddoti e racconti di esperienze vissute dagli stessi in occasioni di particolari situazioni pericolose in servizio, o casi particolari avvenuti durante l’addestramento del personale. Al pomeriggio si mettevano in pratica le tecniche apprese in teoria, provandole sulla linea di tiro. Quello a cui puntavano i Formatori Beretta era integrare le esperienze di ogni allievo con le nuove tecniche insegnate durante il corso. Il primo giorno è stato dedicato a far apprendere ai partecipanti i vantaggi di avere una risposta pronta e decisa rispetto alla minaccia, curando in particolare il tiro di “pronta risposta”. Nei giorni successivi, sono state affrontate le varie tecniche base del tiro Operativo di Polizia, come il tiro in movimento, lo sfruttamento

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dei ripari alti, medi e bassi, i cambi caricatore in emergenza, il cambio tattico, il tiro con mano debole, la risoluzione degli inceppamenti, fino ad arrivare alle tecniche di tiro avanzate come le posizioni “FBI Crunch” e “Mexican Yaki”, nonché le tecniche di tiro in “Low Light”. Nel secondo corso, anch’esso della durata di 40 ore, sono state affrontate le tecniche di “Tactical Carbine” con l’uso delle carabine BERETTA CX4 STORM Cal. 9x21, in dotazione a tutto il Corpo Forestale della Regione Sicilia. In questo caso, gli istruttori del corpo, erano fino a quel momento “auto referenziati”, avendo da poco sostituito le carabine Winchester con le Beretta. Anche in questo caso, le

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armi sono state studiate a fondo, sotto la sapiente guida dei formatori Beretta, che hanno addestrato al meglio gli Istruttori, sia nelle norme di sicurezza, sia sulle peculiarità di questa versatile arma, che permette all’operatore di rispondere al meglio al pericolo, soprattutto grazie all’ingombro ridotto ed alla leggerezza, merito del polimero con cui, in parte, è costruita, ed alla precisione. In particolare, sono state apprezzate le ottiche della Burris, montate sulle carabine. Il corso per le CX4 Storm ha comunque visto le transizioni d’arma con la pistola in caso di esaurimento dei colpi o accidentale inceppamento. Mentre tutti gli Istruttori del Corpo

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Una fase del corso che prevedeva il tiro operativo con la pistola BERETTA 98 FS, arma in dotazione a tutti gli appartenenti al Corpo

Marco Buschini, istruttore della “BERETTA DEFENCE SHOOTING ACADEMY”, durante le fasi del corso

Il corso, oltre che il tiro da fermi ed in movimento, ha visto anche un addestramento con tiro dall’elicottero

Forestale della Sicilia hanno frequentato il corso di Tiro Operativo di Polizia con la Pistola ed il corso “Tactical Carbine” con la CX4 STORM, una decina di loro hanno anche partecipato ad un corso per operatore con fucile lancia siringhe narcotizzanti “ DAN INJECT”, di fabbricazione danese, per la cattura zoo profilattica degli animali. Questo particolare fucile ad aria compressa permette, attraverso l’uso del narcotico, di catturare alcuni animali tipo i cani randagi od effettuare una profilassi sul bestiame allo stato brado. Il corso, oltre che il tiro da fermi ed in movimento, ha visto anche un addestramento con tiro dall’elicottero.

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Il SOG Seal Team ha una lama tipo Bowie lunga 180 mm., lo spessore è 5,7 mm. ed il punto di massima altezza misura 35 mm.


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Di Galdino Gallini e Antonio Merendoni - Foto di Max Masala

In tutti gli appassionati di storia militare e di tecniche operative la sigla SOG desta sempre forti emozioni in quanto ci riporta ad un teatro bellico che, nonostante la sua drammaticità, presenta aspetti molto affascinanti e peculiari. Nel 1964 la complessità delle operazioni in Vietnam indusse lo Stato Maggiore dell’Esercito USA insieme alla CIA a creare un team di specialisti in grado di condurre operazioni segrete in tutte quelle fasce territoriali in cui non era consentito operare ufficialmente. Mediante una minuziosa selezione effettuata tra i più affidabili elementi dei vari corpi speciali venne costituita un’unità specializzata denominata MACV SOG (Military Assistance Command, Vietnam – Studies and Observations Group ) che ufficialmente doveva attenersi rigorosamente all’attività di osservazione ma, in realtà, era incaricata di effettuare tutte quelle missioni non ufficiali e clandestine che le truppe normali non potevano intraprendere. Questi specialisti erano pertanto costretti ad agire privi di qualsiasi forma di protezione da parte delle loro autorità militari ed erano autorizzati ad utilizzare ogni mezzo, anche illecito, per raggiungere lo scopo prefissato. La sigla SOG, che nei primi anni significava “ Gruppo di Studio e Osservazione”, venne cambiata in “ Search Objective Group” ovvero “gruppo di ricerca degli obiettivi”. Negli ultimi anni della guerra in Vietnam la sigla venne nuovamente modificata in “Special Operation Group”. La peculiarità dei compiti a cui questi specialisti erano designati richiedeva una particolare attenzione nella scelta degli strumenti e delle armi in dotazione. Pertanto anche il coltello venne studiato appositamente da Benjamin Baker, uno specialista degli armamenti: ispirandosi alla tradizionale lama del Bowie realizzò la caratteristica lama in acciaio al carbonio non inossidabile con il dorso a tre ordini che tutt’oggi contraddistingue i coltelli della SOG. L’ impugnatura del primo modello venne realizzata ricoprendo il codulo con dei dischi di cuoio come i classici coltelli di Randall, i Marble, i modelli militari MK1 ed MK 2. Per migliorare la presa, il margine inferiore dell’impugnatura venne dotato di quattro incavi per l’alloggiamento delle dita. La guardia in ottone è a due rami come si addice ad un coltello da combattimento. L’estremità posteriore dell’impugnatura termina con un cilindro, anch’esso in ottone, che funge da skull cruscher, martello, ecc. Il coltello era dotato di un fodero in cuoio nero con tasca per l’alloggiamento di una pietra affilatrice. La produzione di questo coltello venne assegnata alla Yogi Shokai, una fabbrica giapponese di indiscussa affidabilità che produsse un primo lotto di circa 1300 pezzi con lama da 7 pollici, privi di qualsiasi marchio o riferimento per evitare, in caso di indagine da parte delle autorità nemiche, il riconoscimento della provenienza del coltello. Il secondo lotto di 1200 coltelli venne prodotto con lama da 6 pollici. Il successivo lotto di 3700 unità, sempre con lama da 6’’, venne invece numerato progressivamente. Durante il conflitto il coltello per i membri del SOG ottenne un ottimo successo. Grazie al generoso spessore della lama ed alle dimensioni intermedie dimostrò di essere TNM ••• 141


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adeguato ad ogni tipo di circostanza. Tutta la produzione venne utilizzata da personale militare e non fu mai venduta sul mercato civile. Fu nel 1986 che venne fondata la SOG, l’azienda che diede inizio alla fabbricazione di una linea di coltelli commerciali con una foggia caratteristica derivante dal modello utilizzato dall’unità speciale in Vietnam. Il fondatore è Spencer Frazer e la sede è in Santa Monica – California; il primo modello, prodotto in Giappone, a Seki, è praticamente identico al coltello da combattimento in dotazione al reparto speciale omonimo, la finitura generale, rispetto al modello militare, è ovviamente molto meno grezza e la lama presenta lo stemma delle Forze Speciali Statunitensi. La Casa californiana, ricca di idee innovative, è riuscita ad affermarsi sul competitivo mercato americano grazie alla indiscutibile qualità dei suoi prodotti. Nel suo catalogo ci sono anche coltelli chiudibili ed attrezzi multiuso estremamente affidabili. Il modello che stiamo per analizzare è il SOG SEAL TEAM, S37-N e ci è stato gentilmente affidato dalla Coltelleria Collini di Busto Arsizio (Varese) che dispone di tutta la linea prodotta dalla Casa californiana: i coltelli a lama fissa, i chiudibili e tutti i modelli di pinza multiuso. Il SOG Seal Team ha una lama tipo Bowie lunga 180 mm., lo spessore è 5,7 mm. ed il punto di massima altezza misura 35 mm. L’acciaio utilizzato è l’ AUS-8, una lega inossidabile ad alto tenore di cromo ( 13-14,5 %) contenente anche una piccola percentuale di nickel che incrementa la resistenza all’ossidazione ma non aiuta al raggiungimento di un livello elevato di durezza che infatti si aggira attorno ai 56 / 57 HRC. Questa lega contiene anche manganese, vanadio, molibdeno, fosforo, silicio e zolfo. Il dorso superiore della lama ha i tre ordini caratteristici del SOG militare. Quello più vicino alla guardia offre un comodo appoggio al dito pollice quando si impugna il coltello in posizione avanzata. Allo scasso per il pollice corrisponde una cavità della parte inferiore della lama per il posizionamento del dito indice. Lo sguscio “Bowie style” in corrispondenza della estremità anteriore della lama non è affilato. La punta è abbastanza acuminata e permette una buona penetrazione conferendo al SOG una discreta attitudine all’utilizzo come coltello da combattimento. Il consistente spessore della costolatura centrale, che si prolunga fino all’apice della lama assicura anche una buona resistenza alle torsioni ed alle cadute accidentali di punta. La sezione dei biselli è “hollow grind” e conferisce al coltello un’ottima capacità di taglio. L’affilatura è molto accurata ed ha un angolo abbastanza acuto. Il filo è misto: seghettato per i 5 cm. prossimali all’impugnatura e piano per la parte rimanente. Le superfici della lama sono sabbiate antiriflesso e vengono sottoposte ad un trattamento denominato “Powder Coated” che gli conferisce un colore grigio scuro, quasi nero, estremamente resistente alle abrasioni ed alle aggressioni da agenti chimici. Il processo “Powder Coated” si ottiene mediante polvere secca che si deposita nella porosità delle superfici mediante un processo elettrolitico fino a formare un specie di pelle che il successivo fissaggio termico rende particolarmente resistente agli insulti meccanici e chimici. TNM ••• 142

Uno dei vantaggi rispetto ai classici trattamenti mediante verniciatura è l’assenza di uso di solventi di qualsiasi tipo. Sul lato sinistro della lama c’è la scritta SOG – Seal Team. Sul lato destro, in corrispondenza del tallone, troviamo la scritta Taiwan che ci indica il Paese dove il coltello è stato fabbricato. L’impugnatura è in Zytel ed avvolge il massiccio codulo lasciando scoperta l’estremità posteriore che forma un robusto “skull cruscher” di profilo rettangolare a margini smussati. La guardia è formata da un ramo inferiore di 14 mm. che, pur non essendo molto pronunciato scongiura lo scivolamento in avanti della mano. Il ramo superiore è di solo 5 mm. ed ha la funzione di appoggio per il pollice quando si impugna il coltello nella classica posizione arretrata. Il margine inferiore del manico presenta le quattro cavità per le dita che abbiamo già visto nel primo modello militare. Tutte le superfici dell’impugnatura presentano una consistente zigrinatura che non infastidisce la mano anche in caso di utilizzo prolungato ed assicura una presa molto salda anche con mani bagnate. L’estremità posteriore è dotata di un ampio foro passante per il laccio da polso. Il SOG Seal Team pesa 292 grammi, la lunghezza totale è 312 mm. e la bilanciatura è sull’estremità anteriore dell’impugnatura. Il coltello viene fornito con un robusto fodero in nylon, di colore nero, che racchiude una parte interna rigida in Kydex in cui trova alloggio la lama assicurando così una totale sicurezza in caso di cadute accidentali. Il fodero è dotato anche di un alloggio di generose dimensioni per la pietra affilatrice od altri accessori, due occhielli superiori e due inferiori per eventuali lacci di fissaggio, una fascetta che abbraccia l’impugnatura con chiusura a velcro per evitare l’estrazione involontaria ed un passante posteriore che consente di posizionare il fodero alla cintura in due differenti altezze. Il fodero è compatibile col sistema “molle” per i moderni giubbini tattici. Questo coltello, nato per soddisfare le esigenza dei corpi speciali statunitensi, è stato sottoposto con successo ad una severa serie di test d’adozione dei Navy Seals. L’esame prevede che la punta, la lama ed il codulo vengano stressati con differenti tipi di torsioni e leve. La resistenza del filo viene valutata mediante il taglio di numerosi materiali e sei tipi differenti di corde e cavi. Viene esaminata la performanza nel chopping, nell’utilizzo come martello e la penetrazione forzata. Il coltello deve passare due settimane in acqua salata senza subire danneggiamenti. Ovviamente, solo dopo aver superato queste prove preliminari, un piccolo lotto di pezzi viene consegnato ad un gruppo di militari ed utilizzato per un periodo di tempo prolungato così da poter verificare con sicurezza che il coltello sia veramente adeguato alle esigenze operative. Pertanto, il SOG Seal Team, che è stato giudicato idoneo all’utilizzo da parte di militari super esigenti come le truppe speciali dell’Esercito Americano, potrà sicuramente soddisfare anche le esigenze dei nostri militari, degli operatori di sicurezza che debbano operare in ambienti in cui possa essere utile una mannaia di questo genere, degli escursionisti che si avventurano in zone impegnative e dei collezionisti di coltelli militari.


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