TNM N°12 • GENNAIO 2012 • PERIODICO MENSILE
WWW.TACTICALNEWSMAGAZINE.IT • € 6.00 “POSTE ITALIANE SPA, SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE DL 353/2003 (CONVERTITO IN LEGGE 27/02/2004 N°46) ART. 1 COMMA 1 LO/MI”
M I L I T A R Y • L A W ENFORCEMENT • SECURITY
OPERATION REPORT
OPERAZIONE MEDUSA
FIRE TEST
IN ESCLUSIVA LA PROVA DELLA NUOVA CARABINA ADC IN 223 REMINGTON
COMMANDO
LINX LAW AREA
IL SEQUESTRO DI PERSONA
FOCUS ON IL 357 SIG
TEST BY TNM
BERETTA CX4 STORM
SCAR速 Assault Rifle
EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE
Figli di un Dio minore:
tutti uguali davanti alla morte quando il dovere chiama Agente della polizia locale di Milano Nicolò Savarino, matricola 02762... presente
Nel nostro immaginario collettivo (sbagliato) gli operatori più a rischio sono quelli confinati in aridi e desolati paesi comunemente chiamati TEATRI, sono quelli muniti di mephisto che fanno irruzioni da cinema per bloccare il delinquente di turno o il terrorista sospetto, sono quelli che vanno in giro brandeggiando l’ultima versione del fucile d’assalto della Bushmaster o di chissà quale altra casa costruttrice, sono quelli che hanno montato sul proprio fucile l’ultima versione dell’EOTech, sono quelli equipaggiati con la migliore buffetteria che indossano sopra l’ultimo modello di Body Armor visto nell’ultimo film d’azione... perchè fa tanto figo... sono quelli che vanno in giro per le strade di chissà quale paese su potenti fuori strada muniti di razzi al plasma, come nella migliore tradizione di qualsiasi film di 007. ... Nicolò Savarino Vigile Urbano di Milano, girava il quartiere della Bovisa, sulla sua normalissima bicicletta. ... Nicolò Savarino era considerato dai suoi colleghi «buono e dal temperamento molto calmo». ... Nicolò Savarino era originario della Sicilia «ma ormai era un nordico come tutti qua, perché si era trasferito a Milano molto giovane». ... Nicolò Savarino abitava a Rho in compagnia del fratello, non era sposato ma fidanzato. ... Nicolò Savarino nel tempo che non dedicava al servizio di noi cittadini, si occupava di fare volontariato in favore dei disabili, ma nessuno lo sapeva, a Nicolò non piaceva farsi pubblicità. ... Nicolò Savarino non andava a cercar rogne, non si credeva super sbirro da trincea metropolitana. ... Nicolò Savarino aveva la pazienza d’ inseguire le cose semplici. ... Nicolò Savarino coltivava l’orticello sotto lo sporco cielo inquinato dell’hinterland con l’occhio, la costanza e affetto del buon capo famiglia. Poi, quando sbocciava qualcosa, non lo teneva mai per sé. Lo portava per regalarlo al Comando dei vigili di zona 9. ... Nicolò Savarino era stimato da tutti. ... Nicolò Savarino è morto la sera 12 gennaio 2011 mentre era in servizio impegnato con un suo collega in un controllo del territorio. Dopo aver intimato l’alt ad un fuoristrada, in sella alla sua bicicletta si è avvicinato al finestrino del mezzo per chiedere i documenti. Il conducente però come impazzito ha ingranato la marcia, trascinandolo per circa 300 metri. Non voglio entrare nel merito dei fatti di cronaca e della scarso valore attribuito alla vita umana da una società sempre più distante da qualsiasi valore etico... e quindi, scrivendo a nome di tutta la nostra redazione, mi limito a chiudere cosi... «Il nostro primo pensiero è per lui e per la sua famiglia. Siamo vicini a tutto il Corpo di Polizia Locale a cui esprimiamo massima solidarietà e completo sostegno per l’importante lavoro che quotidianamente svolge nei nostri quartieri. Ci stringiamo intorno a tutto il personale, di cui possiamo solo immaginare il dolore e lo strazio personale. E’ anche il nostro». Mirko Gargiulo
EDITORIALE EDITORIALE
INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE
TACTICAL NEWS MAGAZINE Military - Law Enforcement - Security n°12 - gennaio 2012 - mensile Direttore responsabile: Giuseppe Morabito Direttore editoriale: Mirko Gargiulo mirko.gargiulo@tacticalnewsmagazine.it Direttore commerciale: Giovanni Petretta giovanni.petretta@tacticalnewsmagazine.it Art director: Matteo Tamburrino tambetti@gmail.com Impaginazione: echocommunication.eu Collaboratori: Davide Pane, Gianluca Favro, Gianluca Sciorilli, Gianluca H., Fabio Rossi, Galdino Gallini, Marco Sereno Bandioli, Carlo Biffani, Giovanni Di Gregorio, Roberto Galbignani, Zoran Milosevic, Gabriele Da Casto, Marco Strano, T. Col. GdF Mario Leone Piccinni, Antonello Tiracchia, Marco Buschini, Michele Farinetti, Ovidio Di Gianfilippo, Sergio Giacoia, Mario Vilardi, Alberto Saini, Marco Strano, Dott.ssa Milena Borreani, Lorenzo Prodan Fotografie: ISAF, Department of Defense, Stato Maggiore Esercito, U.S. Navy, NATO Multimedia, The National, Command Special Naval Warfare, Onu Media Press, Zoran Milosevic, Michele Farinetti, Marco Buschini, Fabio Boscacci Redazione: redazione@tacticalnewsmagazine.it Periodico mensile edito da: CORNO EDITORE Piazza della Repubblica n. 6 20090 Segrate - Milano - P.IVA 07132540969 Stampa: Reggiani Spa Via C. Rovera 40, 21026 Gavirate (VA) Distributore: Pieroni Distribuzione s.r.l. Viale Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano Registrazione Tribunale di Milano n.509 del 27 settembre 2010 Iscrizione al ROC 20844 Tutti i diritti di proprietà letteraria, artistica e fotografica sono riservati, ne è vietata dunque ogni duplicazione senza il consenso scritto della Corno Editore
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EDITORIALE
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NEWS
084
020
LA CARTUCCIA cal. 357 sig.
HOT POINT
UNITI SI DIFENDE MEGLIO!
026
POLICE FORCE COMBAT PSYCHOLOGY
IL RIPOSO DEL GUERRIERO
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FOCUS ON
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INSIDE
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TEST BY TNM
Beretta CX4 Storm Tactical Semiauto Carbine
FOCUS ON
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Istruttore di Tiro Tattico-Difensivo
io volontaria. 235° Reggimento «Piceno»
REPORT FROM
III Conferenza Less than Lethal
BERETTA DEFENCE SHOOTING ACADEMY
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COLTELLI TATTICI
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il Fantoni bushcraft
OPERAZIONE MEDUSA
TEST BY TNM
OPERATION REPORT
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Chest Rig WZCR–Type1
ADC AR-15
SITUATION REPORT
SUPER TEST BY TNM
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074
Bosnia. tra mafia ed europeizzazione
Il sequestro di persona, la riduzione in schiavitù, il sequestro lampo
tactical fitness
law area
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TACTICAL GYMNASTIC
140 EDPA
Nasce l’European Drone Pilots Association
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tactical BOOK
INDICE
AROUND THE WORLD Gli USA finalizzano accordi in Medio Oriente per F-15 e batterie THAAD Gli Stati Uniti hanno concluso contratti per circa 35 miliardi di dollari in Medio Oriente con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti incentrati sulla fornitura rispettivamente di caccia F-15 e batterie THAAD, nel quadro delle manovre politico-militari volte all’accerchiamento dell’Iran. Di recente Teheran aveva minacciato di chiudere lo Stretto di Hormuz al passaggio di navi cisterna se l’Occidente non avesse smesso di intromettersi nei suoi affari interni. La faccenda si è fatta calda pochi giorni fa con il provocatorio passaggio della portaerei americana John C. Stennis e del suo gruppo navale nell’area dove la Marina iraniana stava effettuando esercitazioni aeronavali. Andrew J. Shapiro, Assistente Segretario di Stato per le questioni politico-militari, si è mostrato soddisfatto ai reporters sul fatto che gli accordi presi non ridurranno il margine di vantaggio qualitativo delle forze militari israeliane, dato che ogni vendita ai paesi della regione viene analizzata a fondo avendo come finalità la massima sicurezza per Israele. E’ stato sottolineato inoltre il positivo effetto degli accordi sull’economia americana in questo momento di crisi.Boeing fornirà a Riyad 84 nuovi caccia F-15SA, e retrofitterà a questo standard i 70 velivoli già in possesso del Regno saudita in collaborazione con l’industria locale; nel pacchetto sono inclusi radar AESA, pod di acquisizione obiettivi e intelligence, armamento aria-aria, aria-suolo e antinave (missili Amraam, Sidewinder, Harpoon e HARM, bombe a guida laser Paveway e JDAM), supporto, addestramento e parti di ricambio. Il valore complessivo dell’accordo è di 29.4 miliardi di dollari, mentre è in via di completamento anche la trattativa per la vendita di altri TNM ••• 06
COMMERCIALI
sistemi d’arma fra cui 70 elicotteri d’attacco AH-64 Apache e 36 AH-6I che porteranno il valore totale dell’accordo a circa 60.5 miliardi di dollari. Le consegne dei primi caccia avverranno nel 2015 mentre l’upgrade dei modelli più vecchi partirà nel 2014.Lockheed Martin, con un analogo contratto Foreign Military Sale da 3.48 miliardi di dollari, fornirà due batterie antimissili balistici THAAD (Terminal High Altitude Area Defense), del valore di 1.96 miliardi di dolari, e 96 intercettori agli Emirati Arabi Uniti, altro partner storico americano nella regione, il quale diventerà il primo cliente export del sistema.Raytheon, passando per la Missile Defense Agency, fornirà agli Emirati i relativi radar a banda X AN/TPY-2 e servizi associati per un valore complessivo di 582.5 milioni di dollari. Questi radar sono appena stati installati e resi operativi in Turchia, altro paese confinante con l’Iran, nel quadro del piano di Obama chiamato European Phased Adaptive Approach (EPAA), un piano generale teso ufficialmente a difendere l’Europa e le forze americane sul continente da possibili attacchi iraniani; l’intero sistema è incentrato su piattaforme e sensori terrestri e navali aventi lo scopo di individuare e intercettare
principalmente missili balistici a corto e medio raggio (SRBM e MRBM) a partire dal 2020.A complemento di questo accordo, l’Arabia Saudita subirà un upgrade delle sue batterie Patriot per un importo totale di 1.7 miliardi di dollari mentre il Kuwait riceverà 209 nuovi missili per un valore di circa 900 milioni/$. Il THAAD è uno degli elementi chiave del Ballistic Missile Defense System (BMDS), programma gestito dalla Missile Defense Agency.Il progetto di difesa antimissile prevede una copertura stratificata contro i missili balistici diretti contro il territorio degli Stati Uniti e dei suo alleati, e comprende piattaforme a terra, in mare e nello spazio utili alla loro individuazione, inseguimento e distruzione, durante la fase iniziale, di metà corsa e terminale della testata. (difesanews.it)
Il Giappone sceglie l’F-35
Lotta al terrorismo: operazione “The discovery of the north 2”
Il Ministero della Difesa giapponese ha annunciato di aver selezionato l’ F-35 Lightning II, versione CTOL a decollo e atterraggio convenzionale, come nuovo assetto delle forze aeree di autodifesa (JASDF) nella gara F-X, a cui hanno partecipato sia il consorzio Eurofighter che Boeing con l’F/A-18E/F, per la sostituzione della flotta obsoleta di F-4J. Il contratto iniziale, che verrà firmato a metà 2012, coprirà la fornitura dei primi quattro dei 42 aerei programmati, che verranno prelevati dal lotto di velivoli prodotti nella fase LRIP VIII (Low-Rate Initial Production), con conseguente slittamento di quota di quelli statunitensi.Il Giappone diventa così il secondo cliente export del JSF dopo Israele, l’undicesimo complessivo dopo i nove paesi partner Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Olanda, Turchia, Canada, Australia, Danimarca e Norvegia. Il Regno Unito e i Paesi Bassi hanno ordinato velivoli di prova per la fase OT&E (Initial Operational Test and Evaluation), mentre Italia e Australia si sono impegnate a stanziare i finanziamenti a lungo termine necessari per avere i primi aerei operativi nel 2018 (da ricevere nel 2014/2015), mentre per il 2016 è fissata la data di consegna dei JSF giapponesi. Attualmente l’F-35, benchè in stadio avanzato di sviluppo, soffre di alcuni problemi relativi alla latenza di elaborazione dati e alla capacità di visione notturna dell’HMDS, al gancio d’arresto per le versioni CV che fatica ad afferrare i cavi Mark-7, eccessive vibrazioni sulla struttura del velivolo che ne limitano la manovrabilità, ritardi nello sviluppo del software (gli aerei da consegnare dovranno girare almeno con la versione Block 3, ora è in collaudo la Block 1 e in via di progettazione la Block 2A), problemi riguardo al contenimento dei pesi, e altri aspetti tenuti classificati. La scelta di dotarsi dell’F-35 da parte dei nipponici, oltre che per cautelarsi contro possibili crisi con la Corea del Nord, può aprire del resto la strada ad un’analoga decisione da parte di Singapore e Corea del Sud, rafforzando allo stesso tempo la “cintura di sicurezza” attorno alla Cina. Il Giappone riceverà offset industriali in modo da recuperare in parte l’investimento di circa 7 miliardi di dollari, fra cui un coinvolgimento da
Nuova operazione dei militari italiani e delle forze di sicurezza afgane per contrastare il terrorismo: arrestati 6 “insurgents” e sequestrato un ingente quantitativo di esplosivo. Si è conclusa con l’arresto di 6 insurgents ed il sequestro di un importante quantitativo di esplosivo, utile per il confezionamento di ordigni improvvisati (IED), l’operazione denominata “The discovery of the north 2”.L’operazione, che è stata condotta dalle forze di sicurezza afgane (Afghan National Security Forces - ANFS), dalla Task Force South, su base 152° reggimento ‘’Sassari’’ e da assetti genio di altre forze ISAF, aveva l’obiettivo di contrastare l’espansione del terrorismo in due distretti distanti circa 50 Km dalla città di Farah.L’attività ‘’The discovery of the north 2’’ si inquadra nelle operazioni che il Comando di RC-West pianifica e coordina per favorire la libertà di movimento e la sicurezza in tutta l’area di responsabilità italiana.
definire dell’industria locale nella produzione di alcuni componenti e strutture, e la costruzione di una linea di assemblaggio finale. I costi fly away del singolo aereo (comprensivi di un limitato servizio di supporto/manutenzione) sono fissati intorno ai 127 milioni di dollari, mentre Pratt & Whitney riceverà circa 1 miliardo di dollari per equipaggiare gli aerei con il motore F135. Benchè il consorzio Eurofighter abbia proposto una soluzione più conveniente dal punto di vista dei ritorni industriali, la scelta del Giappone di dotarsi di un velivolo con spiccate doti ariasuolo piuttosto che di superiorità aerea, di cui maggiormente necessita, lascia aperta l’ipotesi che il paese voglia apprendere particolari delle tecniche di costruzione dei velivoli stealth
da applicare nello sviluppo di un proprio caccia con caratteristiche di bassa osservabilità da costruire localmente per fronteggiare il J-20 cinese e il PAK-FA russo, basato sugli studi condotti con il programma ATD-X Shinshin di Mitsubishi.Il Joint Strike Fighter è un velivolo stealth multiruolo di quinta generazione con predominanti doti aria-suolo, scelto da molti paesi per le sue caratteristiche di interoperabilità. L’F-35 può effettuare interdizione di profondità, soppressione dei sistemi di difesa aerea avversari, missioni di guerra elettronica, può contribuire alla superiorità aerea e fornire supporto aereo ravvicinato alle forze di terra, oltre che raccogliere e distribuire dati di intelligence in ambiente netcentrico. ( difesanews.it ) TNM ••• 07
Le Forze Armate impegnate nelle operazioni di soccorso ai naufraghi della nave Costa Concordia
Il centro di Modelling and Simulation della Difesa eccelle nel panorama della NATO Presso il Supreme Allied Command Transformation di Norfolk (SACT) che si occupa dell’evoluzione operativa dello strumento militare della NATO, si è firmato il protocollo d’intesa che riconosce il centro di Modelling and Simulation (M&S) dello Stato Maggiore della Difesa quale centro di eccellenza per il supporto alle attività della NATO.Il centro di Modelling and Simulation dello Stato Maggiore Difesa diretto dal Col. Francesco Mastrorosa è infatti all’avanguardia nel panorama internazionale per lo sviluppo, la simulazione e l’impiego dello strumento militare all’interno di modelli e scenari operativi creati “in laboratorio”. Fra i firmatari il Deputy Supreme Allied Commander Transformation, Generale Mieczys�aw Bieniek, che ha presieduto la cerimonia ed il rappresentante nazionale italiano presso SACT, Capitano di Vascello Giorgio Gomma.Lo scopo del Centro sarà quello di collaborare con la NATO nel processo di trasformazione in ottica net-centrica dello strumento militare dove sensori, attuatori e valutatori interagisco in tempo reale tra di loro.Il costituendo Centro di Modelling e Simulation della NATO si occuperà in particolare delle attività di addestramento, della definizione di concetti e dottrine tramite l’impiego di laboratori per la sperimentazione, verifica e validazione delle soluzioni che meglio rispondono ai requisiti operativi ed offrendosi come piattaforma comune per la condivisione di conoscenza ed esperienze per la NATO. TNM ••• 08
A seguito dell’incidente occorso alla nave da crociera Costa Concordia in prossimità del porto dell’Isola del Giglio, le Forze Armate italiane sono prontamente intervenute per concorrere nelle operazioni di ricerca dei dispersi e di soccorso e assistenza ai naufraghi.In particolare, insieme con 3 elicotteri AB 412 della Guardia Costiera, sono stati impiegati 2 elicotteri EH 101 della Stazione elicotteri di Luni della Marina Militare e 1 elicottero HH 3F del 15° Stormo dell’Aeronautica Militare, che hanno svolto operazioni di recupero con verricello. Inoltre, aderendo ad una specifica richiesta della Prefettura di Grosseto, il 4° Stormo dell’Aeronautica Militare, insediato sul locale sedime aeroportuale di Grosseto, ha fornito supporto logistico per l’accoglienza, all’interno delle proprie strutture, delle persone evacuate dalla Costa Concordia ed il reggimento “Savoia Cavalleria” dell’Esercito è intervenuto, con circa 30 uomini, presso Porto Santo Stefano per la registrazione dati e lo smistamento del passeggeri evacuati dalla nave e, successivamente, dall’Isola del Giglio a Porto Santo Stefano.
Esplode autobomba a Mossul. È guerra tra sciiti e sunniti Un’automobile carica di esplosivo ha deflagrato il 16 gennaio scorso a Mossul, nel nord dell’Iraq, all’interno di un complesso abitativo che ospita sfollati sciiti, provocando otto morti e quattro feriti. Questo episodio è solo l’ultimo di una lunga scia di violenze che negli ultimi giorni sta diventando sempre più preoccupante. In Iraq, infatti, concluso il ritiro delle truppe americane, sembra stia riemergendo l’annoso problema della violenza inter-religiosa tra musulmani sciiti (circa il 60% della popolazione) e musulmani sunniti (circa il 40%), senza dimenticare l’ingombrante presenza della minoranza etnica curda, principalmente di religione sunnita. Solo ieri, nella città di Ramadi, 100 kilometri ad ovest di Baghdad, l’esplosione di quattro autobombe aveva causato 7 morti. Sabato, invece, era stata Bassora, 450 kilometri a sud di Baghdad, ad essere colpita da un attacco kamikaze. L’attentatore, prima di farsi esplodere, aveva iniziato a distribuire cibo alla folla durante una festività sciita al fine di radunare più gente possibile intorno a sé. L’esplosione ha provocato ben 53 vittime e 137 feriti. Da quando l’esercito statunitense ha abbandonato il suolo iraqeno, le vittime sono state addirittura 228. La situazione iraqena, quindi, si fa sempre più delicata, anche sotto un profilo politico. Le neonate istituzioni di Baghdad, infatti, sembrano non reggere l’impatto di questi contrasti che rischiano di far affondare il paese nel caos. Il 19 Dicembre è stato emesso un mandato di cattura nei confronti del vicepresidente iraqeno Tareq al-Hashemi, di religione sunnita, essendo stato accusato di essere il mandante di un attentato che aveva come obiettivi il premier al-Maliki, sciita, e il presidente del Parlamento Osama al-Nujaifi. Al-Hashemi si è rifugiato nel Kurdistan iraqeno, regione autonoma all’interno della quale le forze di sicurezza di Baghdad non possono entrare, e molti dei suoi sostenitori parlano di un complotto nei suoi confronti da parte di al-Maliki. Nonostante ciò, i curdi sono riluttanti a consegnare il vice-presidente iraqeno anche se un esponente del Parlamento curdo ha affermato il 10 Gennaio che al-Hashemi verrà riconsegnato alle autorità di Baghdad se verrà dimostrata la sua colpevolezza. L’Iraq si fa, quindi, sempre più instabile e gli Stati Uniti, ormai, possono solo agire dall’esterno in una regione di fondamentale importanza geopolitica, facendo da perno tra l’Iran, e la sua volontà di egemonizzare il Medioriente, la Siria, che vive ormai una vera e propria guerra civile, e la Turchia, che ha rapporti a dir poco complicati con la propria minoranza curda. Obama conosce la gravità della situazione e ha deciso di affidarla al suo vice, Biden. La luce fuori dal tunnel, però, è ancora lontana dal vedersi.
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Hormuz, Iran: risposta agli Usa in attesa, dubbi e paure sulla chiusura dello Stretto Risponderemo solo “se necessario”. Queste le parole del portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Ramin Mehmanparast, in riferimento alla lettere inviata dagli Stati Uniti lo scorso 13 gennaio in cui Washington metteva in guardia dal chiudere lo Stretto di Hormuz. La missiva inviata all’ayatollah Ali Khamenei, guida suprema iraniana, proveniva direttamente dai vertici dell’amministrazione americana, ma il portavoce ha fatto sapere che ancora non è stata presa una decisione riguardo un’eventuale risposta. Sicuramente, Teheran farà “tutto il possibile per garantire la sicurezza” nell’area dello Stretto, “una rotta strategica per la fornitura di energia per tutto il mondo”.A rincarare la dose sull’argomento, però, ci ha pensato il generale Massoud Jazayeri, vice capo di Stato Maggiore dell’aeronautica della Repubblica Islamica. Intervistato dall’emittente iraniana Press tv, l’ufficiale ha dichiarato che gli Usa “non sono in grado” di impedire all’Iran di chiudere lo Stretto: “Nonostante la loro propaganda, gli americani sono incapaci di far fronte alle azioni dell’Iran in diversi ambiti, incluso il progetto potenziale di chiudere lo Stretto di Hormuz”. Il generale, in seguito, ha precisato che l’obiettivo principale di Teheran è abbassare i toni e tentare di diminuire il clima di tensione che si è creato nella regione. Solo in caso di minaccia agli interessi nazionali, le forze armate utilizzeranno ogni mezzo a loro disposizione per difendere il Paese. Un intervento esterno arriva direttamente dall’Arabia Saudita, precisamente dal ministro del Petrolio, Ali al-Naimi, che ai microfoni della Cnn ha commentato la diatriba tra Iran e Occidente. Secondo Naimi, lo Stretto di Hormuz non potrebbe rimanere chiuso per un lungo periodo, perché TNM ••• 010
sarebbe il mondo stesso che “non lo accetterebbe”, per questo egli ritiene le polemiche sollevate da entrambe le parti “irritanti e inutili”. Il ministro, fermamente convinto dell’impossibilità di una blocco del traffico petrolifero marittimo, ha aggiunto che i continui attacchi verbali tra Iran e comunità internazionale “siano utili ai mercati” o a far salire il “prezzo del petrolio”. Dal Regno Unito, le alte sfere militari hanno sollevato diverse preoccupazioni in riferimento alla questione dello Stretto, soprattutto perché più dell’80% delle importazioni britanniche di gas naturale liquido passano per Hormuz. In particolare dal Qatar, Londra importa le quantità maggiori di approvvigionamenti energetici e per il piccolo Stato mediorientale non ci sono altre valide alternative di esportazione se non attraverso lo Stretto di Hormuz. In generale, comunque, il mercato europeo, che utilizza anche i derivati provenienti dal Mare del Nord e i rifornimenti di gas russo, potrebbe subire pesanti danni qualora le minacce iraniane dovessero prendere forma. Da Teheran, intanto, confermano la disponibilità di esportazioni energetiche ai mercati asiatici, nonostante la crescente pressione che versa sul Paese dopo l’inasprimento delle sanzioni economiche. Il responsabile degli affari internazionali presso la National Iranian Oil, Mohsen Qamsari, ha dichiarato al quotidiano Sharq che l’Iran ha rinnovato diversi contratti con Paesi raffinatori e lo farà anche con altri come prospettato dalle scadenze. Il riferimento è alla Corea del Sud che acquisterà il 10% del suo greggio dalla Repubblica Islamica nel 2012, una percentuale anche leggermente in aumento rispetto all’anno passato.
Afghanistan: brevettati 48 allievi dell’Aeronautica afgana sull’elicottero MI-17 Si è svolta l’otto gennaio scorso, nella base aerea di Shindand la cerimonia della consegna dei brevetti della più recente classe di piloti, ingegneri aeronautici, e capi squadra specialisti di volo (flight crew chief) dell’Afghan Air Force.Alla cerimonia hanno partecipato gli appartenenti all’Aeronautica Militare Italiana e alle forze della coalizione della Nato Training Mission-Afghanistan che sono impegnati nell’attività di formazione dei militari afgani. L’evento si è concluso con la consegna degli ambiti attestati agli equipaggi afgani, che verranno impiegati nel comparto ad ala rotante dell’Aeronautica Afgana sull’elicottero MI-17.L’Aeronautica Militare Italiana contribuisce alla formazione del personale militare dell’Aeronautica afgana a Shindand con i suoi “Advisors” che costituiscono due team: ASAATAirbase Support Air Advisory Team e MI17AAT Air advisory Team. I due Team, comandati dal Colonnello Luigi Casali, svolgono quotidianamente attività di addestramento ed “advising” al personale afgano appartenente alle diverse articolazioni dello Stormo ed ai futuri equipaggi assegnati all’elicottero MI17.Gli advisor italiani hanno istituito corsi basici di specializzazione sia nel settore delle comunicazioni che nei diversi settori a supporto dell’attività di volo (antincendi, rifornimento velivoli, e cc...). I corsi di pilotaggio effettuati a Shindand comprendono il basico “1^ Fase”, “co-pilota’”e “Capo Equipaggio”. L’addestramento per gli ingegneri aeronautici ed i capi squadra specialisti di volo che sono parte integrante dell’equipaggio di volo MI-17, viene svolto con lezioni teoriche a terra e voli addestrativi, in cooperazione con i colleghi dell’Aeronautica Ungherese, che vantano un’esperienza decennale sul MI-17. A Shindand si svolge l’equivalente dell’addestramento effettuato presso il 72^ Stormo di Frosinone, e presso i Reparti Operativi dell’Aeronautica Militare ed è la prima volta che tale capacità verrà acquisita dall’AAF”. Nel 2011 sono state brevettate 6 classi per un totale di 48 allievi ripartiti tra piloti, ingegneri aeronautici e capi squadra specialisti di volo.
Time Magazine: sono israeliani i killer degli scienziati iraniani Dopo che Foreign Policy (una delle bibbie dell’establishment americano) ha rivelato come Israele abbia arruolato e finanziato il movimento sunnita Jundallah perché compisse attacchi e attentati in Iran, ora è la volta di Time Magazine a far correre sudori freddi a Gerusalemme e TelAviv, accusando pubblicamente Israele d’essere responsabile della mattanza di scienziati iraniani vicini al programma nucleare persiano.Citando “fonti dell’intelligence occidentale” Time Magazine accusa Israele per quei delitti e anche per l’attacco che ha provocato recentemente una grossa esplosione nei pressi di una base missilistica nelle vicinanze di Teheran. È bene ricordare che oltre ai legami con Jundallah emersi di recente, il Mossad ha rapporti documentato con i mujaheddin del MEK, organizzazione terrorista iraniana, un tempo comunista e ora convertita al capitalismo. Organizzazione universalmente odiata in Iran perché si schierò con Saddam quando questi attaccò il paese persiano e che negli ultimi anni è stata “fonte” di gran parte dei falsi che sono circolati all’evidente scopo di porre in peggior luce la repubblica islamica.Due rivelazioni del genere da due fonti di questo tipo, una di seguito all’altra, sembrano ben poco frutto del caso o delle coincidenze, soprattutto se si tiene conto della tradizionale cautela dei media americani nel citare le vicende che coinvolgono Israele. Tradizione che sembra interrompersi bruscamente in questi giorni, segnalando una novità di rilievo nei rapporti tra Stati Uniti e Israele.
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COMMERCIALI NOVITA’!!! FINALMENTE ANCHE IN NERO!!! Stivaletto COSMAS modello WINTER CONTINENTAL particolarmente indicato per le attività operative militari in ambienti sia urbani che extraurbani invernali, idoneo anche sui terreni impervi. Le sue caratteristiche tecniche lo rendono adatto all’uso operativo delle Forze Speciali. Lo stivaletto è stato testato e risulta idoneo anche per attività aviolancistica. • Calzatura antistatica • Tomaia in pelle pieno fiore idrorepellente • Fodera impermeabile traspirante in PTFE Gore-Tex con isolamento termico • Assorbimento dello shock nella zona del tallone • Zona tallone chiusa • intersuola in PU con stabilizzatore nel tacco, ammortizzante, stabile e reattiva • Soletta antiforo in fibre trattate al plasma • Suola anti perforazione con rilievi, resistente ad olii ed idrocarburi, resistente al calore per contatto a 300°C • Prezzo € 292,90 IVA inclusa www.madmaxco.com
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Arc’teryx Alpha LT un Jacket rivoluzionario Giacca specificatamente tecnica confezionata con tre strati di Gore-Tex®, il capo risulta essere impermeabile, traspirante, leggero e durevole nel tempo, livello 6. Sono stati utilizzati nastri di cucitura Tiny GORE® da 13 mm. Il cappuccio è incorporato e provvisto di visiera rigida. E’ presente una tasca interna e due frontali con taglio di circa 30° e apertura crossover. Le cerniere delle tasche esterne WaterTight™ sono altamente resistenti all’acqua, ma non impermeabili. Sono presenti due lunghe cerniere sotto le ascelle per consentire maggiore aerazione. La zip frontale è stagna e provvista di lembo per chiusura antivento. I polsini sono provvisti di fasce di regolazione in Velcro® e fustellati in modo da non strappare. Pesa circa 365 g/12.9 oz. Esclusivamente in colorazione Crocodile. www.tacticalequipment.it
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Spyderco - Fred Perrin PPT RESILIENCE, TENACIOUS, PERSISTENCE ed AMBITIOUS Queste, secondo la filosofia di vita dei manager della Spyderco, sono le quattro qualità a cui dovrebbe ambire una persona nel momento in cui affronta una sfida. L’idea trova riscontro e conferma nella dedizione totale al lavoro e nell’aggressività della politica commerciale condotta fin dagli albori da Sal Glesser e da sua moglie Gail. L’inizio della loro attività imprenditoriale risale al 1976. Il Fred Perrin, disegnato dallo stesso Fred con la collaborazione di Philippe Perotti e Sacha Thiel, rappresenta in pieno le caratteristiche del coltello tattico/ sportivo • Tipo di produzione: Industriale • Produzione Lama: Taiwan • Lama: In acciaio inox CPMS30V • Bisellatura: Full Flat Ground • Manicatura: G10 e Acciaio Inox • Lunghezza lama: 77mm. • Spessore lama: 3mm. • Lunghezza chiuso: 110mm. • Lunghezza totale: 185mm. • Spessore da chiuso: 14mm. • Peso: 144g. • Chiusura: Frame Lock • Clip: in Acciaio Inox • Confezione: Scatola con loghi Spyderco • Note: Design by Fred Perrin, Philippe Perotti e Sacha Thiel www.coltelleriacollini.it
STREAM LIGHT TLR 2Â Laser Torcia tattica per armi, di grande potenza luminosa compatibile con la maggior parte delle armi attualmente sul mercato. Sistema di attacco rapido. Include puntatore Laser Materiali: alluminio di finitura anodizzata nero Fonte luminosa: C4 LED da 3 watt Alimentazione: 3 batterie al litio tipo tipo CR123A Potenza: 135 lumens Peso 133 grammi Accensione e spegnimento ambidestro. www.promocomsrl.com
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UNITI SI DIFENDE MEGLIO! Di Carlo Biffani - carlobiffani@gmail.com
Comunità Europea… Scenari futuri La creazione di uno spazio integrato di benessere, sicurezza e civiltà è stata una delle principali conquiste di un modello che, pur con i suoi limiti che oggi drammaticamente riscontriamo in ambito economico, rappresenta un traguardo unico: quello della fondazione di un’Unione Europea. Un Continente scosso da due conflitti mondiali e da lotte fratricide aveva bisogno di creare strutture comuni per approfondire la reciproca fiducia, favorire la libera circolazione di idee, persone, merci, scongiurare il pericolo di una nuova spietata competizione per le risorse. Il risultato è un modello di governo comune, quello dell’UE appunto, che non eguali nella storia e nella geografia. Una conquista epocale, cui la nostra generazione e tutte quelle future potranno guardare con orgoglio e con spirito positivo. Oggi l’Europa affronta uno snodo fondamentale. La crisi dei debiti sovrani pone il problema di una riflessione sulla efficacia dei meccanismi di condivisione e coordinamento tra i diversi governi. C’è chi, sull’onda degli effetti della crisi, sta cavalcando l’onda del malcontento, strumentalizzandolo a fini di propaganda e invocando sempre meno Europa nelle nostre vite ed un ritorno alle frontiere del nazionalismo e del protezionismo TNM ••• 020
Una piccola ma realistica finestra sembrerebbe offrirsi per la Polizia Penitenziaria, viste le caratteristiche di specializzazione del compito che svolge per istituto (nella foto membri del GOM, il Gruppo Operativo Mobile della Polizia Penitenziaria).
economico che sarebbero quanto meno incoerenti con lo spirito di un pianeta sempre più globale e interconnesso. E c’è chi, invece, molto più opportunamente, ritiene la crisi il momento giusto per fare un salto in avanti, per affermare più Europa, per accelerare il processo di integrazione. Ciò vale anche per un comparto straordinariamente importante come quello della sicurezza, uno dei pilastri della convivenza e della sicurezza europea. Si tratta di fare, in questo come in altri settori, meglio
con meno risorse, immaginando forme di approfondimento della messa in comune di risorse, capacità e strutture; In modo da garantire risparmi ma anche per incrociare la condizione oggettiva di uno spazio unico con l’utilizzo di strumenti comuni. Quando il Direttore della rivista, mi ha chiesto se potessi essere interessato ad affrontare in questo numero, lo spinoso argomento della costituzione di un Corpo di Polizia Europea, mi sono preso qualche ora di tempo per rispondere, perché per
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la prima volta mi sarei misurato con un argomento rispetto al quale, le mie conoscenze sarebbero state forse appena più approfondite di quelle dell’uomo della strada, non avendo infatti competenze specifiche in termini di Forze di Polizia e dell’Ordine. Le sfide però, hanno sempre esercitato sul mio smisurato ego, una attrazione fatale così ho pensato che potesse essere interessante proporre sul tema, la prospettiva di chi osserva le cose che riguardano alcuni settori professionali non con l’occhio del professionista ma con quello consentitemi di esprimermi per paradossi, del “dilettante di livello”. Vorrei intanto sottolineare alcuni punti che a mio modo di vedere, rappresentano rispetto all’argomento che affronteremo, dei veri capisaldi. • Il nostro Paese è stato gia da tempo sanzionato economicamente dalla Comunità Europea, per non aver ottemperato all’obbligo di dotarsi di un numero telefonico unico per le emergenze, che è stabilito debba essere in tutti i paesi membri, il 112. • Il nostro Paese paga già da tempo sanzioni economiche per non aver ridotto al numero di due, i Corpi di Polizia esistenti ed operanti sul territorio nazionale. • Il nostro Paese sarebbe allo stato attuale, se non l’unico, certamente uno fra i pochi ad annoverare almeno sei diverse tipologie di Forze dell’Ordine ovvero citandole in ordine alfabetico, Carabinieri (elevati nel tempo al rango di quarta Forza Armata e quindi di fatto non smilitarizzabili), Corpo Forestale dello Stato, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria Polizia di Stato oltre che innumerevoli Polizie Locali. Senza voler polemizzare o puntare il dito sulle vulnerabilità di un sistema così strutturato, appare evidente come questa frammentazione ed in molti casi duplicazione, sia nemica del principio di efficienza ed ottimizzazione del funzionamento di un apparato pubblico. Da sempre, ridondanza significa minore sostenibilità e maggiori costi per il contribuente. Tutti siamo poi perfettamente consapevoli del fatto che la maggioranza delle realtà che ho appena indicato, ha sistemi
propri ed indipendenti che agiscono in assoluta autonomia, ben lontani dalla applicazione del principio di coordinamento che, pur se stabilito per legge, è e resta nei fatti, una aspettativa irrinunciabile ma lungi dall’essere realizzata. Nella norma europea, applicata per altro già da tempo in modo più o meno indolore, troverebbero spazio unicamente Carabinieri e Polizia di Stato, con il passaggio ad una realtà dipendente dalle amministrazioni regionali ed in buona sostanza ridimensionata per il Corpo Forestale dello Stato e con lo smembramento della Guardia di Finanza “relegata” unicamente a funzioni di controllo dei crimini finanziari e di polizia tributaria. Una piccola ma realistica finestra sembrerebbe offrirsi per la Polizia Penitenziaria, viste le caratteristiche di specializzazione del compito che svolge per istituto, caratteristiche che non si sovrapporrebbero né configgerebbero con quelli che sarebbero propri delle due principali ed in questo caso superstiti, Forze dell’Ordine. Informandomi sulla volontà del legislatore in ambito europeo, mi è sembrato quindi di comprendere che tutte le attività delle Forze dell’Ordine, dovrebbero in termini di tempo relativamente brevi, essere ricondotte ad una, massimo due Forze di Polizia forse alleggerite dei richiami e dei riferimenti al proprio passato storico di carattere nazionale, ma anzi riconducibili ad un idea e
ad un modus operandi omologato in termini di organizzazione ed applicabile su scala europea ad ogni latitudine tanto a Stoccolma quanto a Catania. Ora credo che a tale proposito ci si possa dire tutti d’accordo sul fatto che ogni nazione abbia la propria storia e le proprie dinamiche in termini di crimini con i quali ci si deve confrontare. Per quanto sta alla criminalità, mi verrebbe infatti da affermare che si tratti di un fenomeno con connotazioni nazionali o regionali, più che continentali. Vi è inoltre un altro non trascurabile aspetto, che in un Paese così fortemente intriso di tradizioni e di storia com’è il nostro diventa tutt’altro che trascurabile, ovvero la componente storica che caratterizza ognuno degli attori di questa vicenda sul suolo patrio. L’idea di annullare con una legge comunitaria le tradizioni di un Arma come quella dei Carabinieri che inizia la sua Storia nel 1814, non può non apparire anche agli occhi di uno sprovveduto, come una aberrazione ed in tal senso non sarebbe assolutamente da etichettare come lobbistico l’atteggiamento di difesa degli interessi e delle tradizioni di un Arma che ha accompagnato il cammino del nostro Paese e della nostra democrazia per oltre 190 anni, eventualmente messo in atto da parte di chi quell’Arma rappresenta e ne è custode dei Valori e dei Sacrifici. E cosa dire poi della ancor più antica tradizione della Guardia di Finanza che accompagna le sorti degli abitanti dello Stivale già dal 1774 o della Polizia di Stato che in termini TNM ••• 021
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La Guardia di Finanza che accompagna le sorti degli abitanti dello Stivale già dal 1774, sarebbe “relegata” unicamente a funzioni di controllo dei crimini finanziari e di polizia tributa
di creazione si colloca nel mezzo, fra le altre due Forze dell’Ordine appena citate essendo nata nel 1848. Insomma, centinaia di anni di servizio, abnegazione, sacrifici, lutti, di senso di appartenenza, sembrerebbero dover lasciare il passo all’avanzare della modernità. In questa ottica, non è quindi difficile immaginare resistenze al cambiamento da parte di realtà tradizionalmente collegate nel nostro Paese, all’idea stessa di Forza dell’Ordine, ed un mutamento in questa direzione non può non tener conto dei problemi di identità e di tradizione storica che fanno parte delle nostre Forze di Polizia e che ne costituiscono un bagaglio irrinunciabile. La possibile unificazione in un unico Corpo, potrebbe significare un rimodellamento delle nostre Forze dell’Ordine, riassetto che comporterebbe anche una totale ridiscussione dei numeri e della loro composizione in termini di Comandi e di gerarchie. Ed in ultima analisi, perché poi di questo si tratterebbe, quale governo potrebbe assumersi la responsabilità di smilitarizzare i Carabinieri o di mettere migliaia di quegli uomini sotto il comando del capo della Polizia? A me sembrerebbe in primo luogo che una operazione tanto complessa come quella prospettata, in pratica una vera e propria rivoluzione, potrebbe intanto prestare il fianco a possibili “debolezze” del sistema in termini di performance dell’apparato investigativo e di repressione del crimine, in un momento per altro così delicato della nostra storia continentale, richiedendo uno sforzo organizzativo e tempi di messa a punto della intera macchina, che sarebbero secondi solo allo stravolgimento culturale che causerebbe un simile passo. Temo che l’intero sistema nazionale di prevenzione del crimine, attività questa della quale vi è un estremo bisogno, potrebbe segnare il passo per anni ed anni, prima di prendere le misure e rimettersi alacremente in marcia. Esiste poi una considerazione da fare, che a mio modo di vedere, rappresenta il vero snodo dell’intera vicenda. Se ci si può dire tutti d’accordo sul fatto che l’esistenza delle Forze dell’Ordine sia uno dei cardini della conservazione del TNM ••• 022
principio di Democrazia, riterrei logico considerare che il massimo della garanzia in tal senso (ovvero in quanto a rispetto delle regole e limpidezza nei comportamenti) possa essere offerta solo dalla esistenza di almeno due entità, che svolgano oltre che i compiti di Istituto, anche in qualche modo la funzione di controllo l’una dell’operato dell’altra. Se a mio avviso passasse l’idea che all’interno di un’unica struttura vi possano essere lo spazio e le modalità per prevenire e perseguire eventuali comportamenti illeciti, forse potrebbe essere sensato immaginare una più spiccata propensione della medesima, al principio di autodifesa ed auto-conservazione. Ritengo in ogni caso che sia inutile opporre una resistenza di carattere nazionalistico o dai connotati più strettamente campanilistici. La Storia ci ha insegnato che da sempre, il passaggio successivo alla nascita di una moneta comune, è sempre stato quello della creazione di un Esercito o quanto meno di una Forza di Sicurezza condivisa, sia in termini di composizione delle sue strutture che in quelli operativi fra le entità che avevano accettato di dotarsi di una sola valuta. Ritengo anche che l’esperienza europea non possa dirsi in tal senso pienamente realizzata se non saprà affrontare anche questo passaggio, per quanto spinoso e credo si possa affermare che l’idea di Polizia Europea, rappresenti uno snodo complesso ma essenziale di questa
I Carabinieri iniziano la loro Storia nel lontano 1814
epocale viaggio verso un Europa davvero compiuta. In tal senso e con questo obiettivo, penso che sarebbe sensato immaginare una sorta di “terza via” in termini di soluzione al problema, ispirata alla visione che fu gia del compianto presidente Cossiga, e pienamente realizzata dal governo Francese che ha delegato le attività di controllo delle zone decentrate, dei centri di piccola e media grandezza alla Gendarmeria Nazionale e le aree metropolitane alla Polizia. Questo consentirebbe forse, di non dilapidare il patrimonio di storia, tradizioni, approccio ed interazione con il tessuto sociale, che costituisce la misura del fortissimo rapporto che lega le nostre Forze dell’Ordine ed i cittadini del nostro Paese.
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IL RIPOSO DEL GUERRIERO di Marco Strano
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L’essere umano, così come la maggior parte degli esseri viventi, è stato progettato per dormire di notte e lavorare di giorno. Ci sono in realtà alcuni animali, come i predatori notturni, che sono invece stati progettati per operare di notte. Ma non è il caso dell’uomo, animale diurno per eccellenza. Purtroppo nella forze armate le attività procedono per tutto l’arco delle 24 ore e c’è necessità di un gruppo di persone che, violentando quanto determinato dalla natura, alterano un ciclo fisiologico per garantire delle attività fondamentali. Le chiamano “categorie che svolgono lavoro professionale notturno”. Sentinelle, piantoni, personale delle volanti, pattugliatori, centralinisti, ecc. Il sonno rappresenta quindi un’attività imprescindibile della fisiologia umana, fondamentale per il corretto funzionamento dell’organismo. Il ciclo sonno-veglia è regolato da un orologio biologico interno secondo un ritmo ben preciso (ritmo circadiano), influenzato da fattori esterni quali l’alternarsi della luce e del buio, il riposo e l’attività. Fisiologicamente le ore di massima tendenza al sonno si hanno tra le 23 e le 6 del mattino e tra le 14 e le 16. E’ possibile ridurre temporaneamente con degli stratagemmi i sintomi della carenza di sonno ma non l’esigenza di tale attività. La deprivazione di sonno, ovvero la fruizione di un numero di ore di sonno insufficienti rispetto all’esigenza dell’organismo, può infatti provocare gravi disturbi. L’organismo comincia ad inviare messaggi sempre più forti al “proprietario del corpo”, prima con attacchi di sonno ingovernabili, poi con un malessere diffuso. Se non vengono assecondati tali messaggi iniziano i disturbi che partono da sintomi fisici (es. giramenti di testa) fino a sintomi psichiatrici gravi, come l’alterazione del tono dell’umore e a volte allucinazioni, derealizzazione e altre alterazioni della coscienza. Studi interessanti di cronobiologia hanno individuato per gli addetti ai turni notturni un incremento dei livelli plasmatici di cortisolo, che si traduce in maggior incidenza di patologie psichiche, gastro-intestinali e associati disturbi della risposta del sistema immunitario. A lungo andare la deprivazione di sonno conduce a sintomi fisici gravi come lo svenimento e sul versante psicologico a quadri psicotici gravi (l’anticamera della follia). Insomma le persone devono assolutamente dormire. I turni di guardia notturni La soluzione organizzativa per assecondare le esigenze di attività professionale senza soluzione di continuità, è quella di organizzare il lavoro in turni. Una notte di lavoro viene normalmente seguita da due giornate intere di riposo (con una notte di mezzo). Il lavoro a turni ingerisce però comunque pesantemente sull’orologio biologico. Ampia letteratura scientifica indica che i lavoratori dei turni di notte presentano sovente una serie di sintomi fisici e psicologici tra cui una sonnolenza improvvisa e diffusa, senso di
Marco Strano Direttore Tecnico Capo (Psicologo) della Polizia di Stato, Dirigente Nazionale dell’UGL Polizia e Direttore scientifico dell’ICAA (www.criminologia.org)
stanchezza e uno scadimento generale delle prestazioni psicofisiche, specialmente nelle ultime ore della notte, solitamente dalle 3 alle 5. Tra le prestazioni psicologiche che si deteriorano si segnalano: • i processi percettivi (visione, ascolto ecc.); • i processi cognitivi e di elaborazione del pensiero; • i processi di memoria a breve e lungo termine. Tra i sintomi descritti in soggetti che sono costretti a turni di notte e quindi a una privazione di sonno, c’è inoltre quello dei lapses, che sono caratterizzati da piccoli episodi di interruzione del livello di vigilanza da svegli. I lapses sono veri e propri microsonni, che tendono a diventare più frequenti e più lunghi man mano che la privazione di sonno si protrae nel tempo. Quando ci si risveglia da uno di questi microsonni, si può scoprire di non ricordare assolutamente ciò che si è verifìcato poco prima, di avere cioè una piccola amnesia. Un esame elettroencefalografico evidenzia inoltre una netta riduzione dell’attività di fondo del ritmo alfa, con un tracciato molto simile a quello che si rileva dopo un’intossicazione alcolica. La pericolosità dei microsonni incontrollabili è legata soprattutto allo svolgimento di compiti pericolosi (guidare la macchina, controllare un sistema di armamento, stazionare in luoghi pericolosi, ecc.). In alcune categorie professionali soggette a turni notturni è stato inoltre individuato un disturbo chiamato paralisi del turno di notte (studiato particolarmente sugli infermieri ma presente in diverse categorie di turnisti), che rende il soggetto incapace di rispondere a uno stimolo abituale, pur essendo sveglio e cosciente. La problematica è stata sottolineata anche in occasione di gravi incidenti notturni a reattori nucleari tra cui quelli di Chernobyl e di Three Miles Island, dove il segnale acustico di emergenza emesso dal sistema elettronico di controllo non è stato percepito dal personale di turno anche se perfettamente addestrato. Il lavoro a turni implica infine numerosi riflessi negativi sulla qualità della vita, sia dal punto di vista fisico che relazionale. I turnisti sono più soggetti a malattie cardiovascolari, gastriti e disturbi intestinali e sono in genere più irritabili, hanno maggiori difficoltà nelle relazioni sociali. TNM ••• 027
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Turni notturni e attività di security Gli operatori di polizia e i militari sono tra quei lavoratori che storicamente sono sempre stati impegnati in turni notturni. Addormentarsi durante il lavoro notturno costituisce negli ambienti militari e di polizia un comportamento disfunzionale e assai riprovevole poiché mette in crisi una delle dimensioni fondamentali di tali organizzazioni: la sicurezza. In tempo di guerra tale azione è punita addirittura con la morte. In tempo di pace la sanzione prevista è comunque molto dura. Addormentarsi vuol dire interrompere un’azione vitale di controllo sulla comunità e sul gruppo di operatori. D’altra parte coloro che svolgono attività notturna devono combattere con il sonno e spesso non riescono a vincerlo. Un piccolo problema di digestione, un imprevisto che ha impedito il riposo nei giorni precedenti al turno notturno possono rendere impossibile lo svolgimento di un’attività notturna continuativa di 6-7 ore senza la presenza di microsonni improvvisi che interrompono momentaneamente l’efficienza dl servizio operativo. Lo scrivente, a parte la cultura specifica acquisita con gli studi di settore, ha svolto nella sua carriera professionale innumerevoli servizi notturni acquisendo una grande esperienza
personale. Nel corso di attività investigativa con lunghi e ripetuti appostamenti notturni della durata di diversi giorni mi è capitato diverse volte di passare dalla veglia al sonno senza accorgermene. Senza in pratica avvertire il torpore salire progressivamente (su cui si può tentare di intervenire). In questo la presenza del collega vicino che si rende conto del tuo “mancamento” e ti sveglia prontamente è una circostanza fondamentale.Ovviamente i turnisti con gli anni imparano ad adattarsi all’esigenza di non dormire, con degli stratagemmi personali. Mangiare cibi dolci, fare microsonni controllati dal collega vicino nelle fasi di maggior stimolazione al sonno. Tali stratagemmi sono stati studiati da psicologi di tutto il mondo che li hanno inseriti come sistemi “istituzionali” per migliorare la qualità dei servizi svolti nel corso di turni di notte. Alcune aziende giapponesi d’avanguardia prevedono ad esempio per i turnisti notturni dei pasti calorici durante il turno e lo svolgimento di 2 brevi riposini di 15-30 minuti. Molti personaggi famosi, costretti a lavorare anche di notte come Thomas Edison, Benjamin Franklin, Napoleone e Leonardo, praticavano una modalità di sonno polifasico, in pratica si concedevano durante la giornata molti microsonni, della durata di 5-15 minuti. Può essere questa una soluzione ma ovviamente solo per brevi periodi (es. una missione operativa molto intensa della durata di qualche settimana). Anche i comandanti militari e i dirigenti di polizia hanno sviluppato negli anni delle tecniche di governo del personale per risolvere, al di la dell’applicazione rigida dei regolamenti disciplinari, le problematiche di riduzione dell’efficienza per problemi di sonno. Le frequenti ispezioni sul luogo di servizio,
La deprivazione di sonno, ovvero la fruizione di un numero di ore di sonno insufficienti rispetto all’esigenza dell’organismo, può provocare gravi disturbi. L’organismo comincia ad inviare messaggi sempre più forti al “proprietario del corpo”, prima con attacchi di sonno ingovernabili, poi con un malessere diffuso.
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Tra i sintomi descritti in soggetti che sono costretti a turni di notte e quindi a una privazione di sonno, c’è inoltre quello dei lapses, che sono caratterizzati da piccoli episodi di interruzione del livello di vigilanza da svegli
la predisposizione di condizioni di sicurezza per il personale che necessita di una breve pausa di riposo, il controllo delle condizioni di salute dei dipendenti sono alcune delle strategie comunemente adottate. In linea di massima, negare questa problematica combattendola solo con la deterrenza della punizione e non con delle soluzioni organizzative appare oramai come un approccio anacronistico alla questione. Ad esempio appare a mio avviso importante verificare, anche entrando un po, se necessario, nella vita privata dell’operatore, se si sono verificate delle circostanze particolari che hanno impedito la giusta quantità di riposo nelle ore antecedenti al turno notturno. Militari e poliziotti divenuti da poco padri o madri (alle prese con un bimbo appena nato), o che stanno assistendo parenti ricoverati in ospedale, e che quindi non riescono a compensare il sonno perduto dovrebbero essere particolarmente seguiti ed aiutati con soluzioni individuali. Va da se, che personale in età matura e con alle spalle un numero di anni di servizio oggettivamente logorante (turni notturni, stress psico-fisico, ecc.) presenta statisticamente una maggiore vulnerabilità agli stati di malessere fisico e in generale una minore resistenza alle sollecitazioni tipiche del lavoro notturno, che possono essere ampiamente documentate e quindi oggettivate dalla letteratura specialistica in materia.
Preparazione specifica al lavoro notturno Sono stati sviluppati moderni modelli organizzativi del lavoro che tengono conto degli studi scientifici sul sonno al fine di sviluppare migliore capacita fisica di supporto ai lavoratori turnisti. Per prima cosa sarebbe necessario adottare un sistema di turno regolare e a rotazione veloce che sembra determinare minori alterazioni del ritmo sonno\veglia. I lavoratori sottoposti ad un turno irregolare mostrano infatti alte incidenze di affaticamento, nervosismo, maggiori incidenti sul lavoro e in generale un minore adattamento alla vita. La rotazione dei turni dovrebbe inoltre seguire il senso orario (mattino, pomeriggio, notte) in questo modo si è dimostrata una maggior adattabilità psico fisica. In generale, infine, sarebbe da evitare di sottoporre un soggetto a più di cinque anni di lavoro turnista continuativi. Ma le soluzioni sono legate anche alla responsabilità e all’iniziativa del singolo operatore. In molti contesti lavorativi vengono infatti divulgati tra i lavoratori dei consigli per il contenimento individuale dello stress da turni di notte. Il documento: “Lavoro a turni e notturno: strategie e consigli per la salute e sicurezza. Una guida per i datori di lavoro, le lavoratrici e i lavoratori” fornisce ad esempio alcuni consigli: • è bene, prima del turno, cominciare la giornata con un po’ di esercizio fisico; TNM ••• 029
POLICE FORCE COMBAT PSYCHOLOGY POLICE FORCE COMBAT P Un ampia letteratura scientifica indica che i lavoratori dei turni di notte presentano sovente una serie di sintomi fisici e psicologici tra cui una sonnolenza improvvisa e diffusa, senso di stanchezza e uno scadimento generale delle prestazioni psicofisiche, specialmente nelle ultime ore della notte, solitamente dalle 3 alle 5.
• un sonno di 2-4 ore prima della prima notte di turno può aiutare l’organismo ad abituarsi ed è consigliabile consumare il pasto principale dopo il periodo di sonno diurno, ad esempio prima del turno; • è importante proteggere le ore di sonno di un turnista per poter godere di un sonno effettivamente ristoratore (far conoscere alla famiglia il programma dei turni e delle ore di riposo; mantenere gli orari del sonno regolari; dormire in una stanza fresca, buia e silenziosa; diminuire i rumori esterni con tende o tapparelle pesanti, doppi vetri o usando tappi auricolari di tipo leggero); • è utile, per il benessere psicofisico, mantenere buoni rapporti sociali, cosa non facile quando si lavora mentre gli altri dormono e viceversa. A questo proposito si consiglia di trovare il tempo per parlare con gli amici, con i familiari,…; • una dieta sana è un buon consiglio per tutti ma in particolar modo per coloro che sono soggetti a turni di lavoro inusuali. È utile assumere pasti regolari con una dieta equilibrata, fare un pasto leggero a metà del turno di notte, verso la fine del turno consumare piccole porzioni di cibo… • può essere utile bere bevande contenenti una modesta quantità di caffeina prima del turno o nelle prime ore evitando, invece, di assumerla prima di andare a letto quando si è a riposo; • evitare di lasciare i compiti più noiosi e ripetitivi per la fine del turno, quando si è più assonnati; • se possibile prendersi brevi pause lungo tutto il turno: magari muovendosi, facendo una camminata o andando nella sala ristoro. Ai consigli “istituzionali” si sommano poi le indicazioni scaturite dall’esperienza di poliziotti e militari che per anni hanno lavorato di notte. Alcuni lavoratori turnisti suggeriscono ad esempio due “sistemi” fondamentali di resistenza a questo stress bio-psico-fisico: • il giorno del turno di notte consumare un solo pasto (che raggruppa pranzo e cena) verso la metà inoltrata del pomeriggio; • non eccedere nel sonno alla mattina dello smonto notte (non arrivare mai al di la di mezzogiorno) per mantenere una buona possibilità di addormentarsi poi la sera. Ci sono infine alcune abitudini comportamentali errate quali il consumo eccessivo di caffeina, vitamina C, alcool, nicotina, l’uso-abuso di farmaci ipnotici, che incidono pesantemente sulla capacità di affrontare un turno di notte. L’operatore che svolge tale attività dovrebbe quindi rendersi conto primariamente che il mantenimento di una buona condizione psicofisica è fondamentale per affrontare il servizio in orario notturno senza mettere a repentaglio la sua salute e le esigenze di sicurezza della sua organizzazione, compensando con adeguato riposo, e adottando uno stile di vita adeguato a un compito professionale particolarmente gravoso. TNM ••• 030
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235° Reggimento
Addestramento formale apertura
Io Volontaria
«Piceno» DI Gianluca Hermann
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Scalata di una parete artificiale
Il Reggimento, l’Eccellenza per la formazione di base del personale femminile Sono trascorsi undici anni dall’ingresso delle donne nell’Esercito Italiano che, sebbene sia stato tra gli ultimi ad accogliere il personale femminile nei propri ranghi, a differenza di tanti altri Paesi Europei, le impiega da sempre in prima linea nei teatri internazionali con incarichi Operativi. Il 235° Reggimento “Piceno” rappresenta il primo impatto con la realtà militare per la maggior parte delle donne che decidono di indossare le stellette ed imparare “il Mestiere delle Armi”. Fiore all’occhiello dell’Esercito Italiano, il 235° Reggimento Addestramento Volontari “Piceno” è l’unico Reparto che addestra le Volontarie nella prima fase che si conclude, dopo poco più di due mesi, con l’impiego presso tutti i Reparti della Forza Armata sul territorio nazionale. Ad Ascoli sono state formate professioniste che hanno operato e continueranno ad operare nei teatri quali l’Afghanistan, il Libano ed il Kosovo. Dal Caporal Maggiore Cristina Buonacucina, rimasta ferita a maggio del 2010 in Afghanistan a seguito di un attentato messo in atto con un IED (Improvised Explosive Device), al Tenente Pamela Sabato, primo pilota di elicotteri d’Attacco A-129 ed il Tenente Carla Brocolini, prima donna ad aver ottenuto la qualifica di Pilota Militare di aereo da trasporto tattico. Al 235° Reggimento “Piceno” si addestrano le Volontarie in Ferma Prefissata di un anno. Il corso di formazione di base prevede un programma addestrativo di 9 settimane, articolato in lezioni teoriche sui regolamenti e la disciplina militare, attività fisica, lezioni pratiche sull’addestramento militare e le esercitazioni in poligono con il fucile Beretta AR 70/90, arma individuale in dotazione all’Esercito Italiano. Il Reparto, che si presenta come un college che utilizza strutture didattiche all’avanguardia, dispone delle più avanzate tecnologie: il F.A.T.S. (Fire Arms Training System) è un avanzato sistema di addestramento per armi leggere. Il suo funzionamento è basato su un computer ed un sistema laser. Configurato in tre postazioni per fucile AR 70/90 ed una per il lanciarazzi contro carro Panzerfaust, permette all’istruttore di riprodurre, da una camera di regia, gli scenari operativi al fine di far acquisire all’allievo la conoscenza dell’arma ed approfondirne la padronanza, base essenziale per l’impiego in teatro operativo. È possibile, inoltre, al termine della lezione pratica, effettuare un debriefing per commentare e riepilogare i risultati conseguiti da ogni singolo allievo. Nell’area della caserma, adiacente alla palestra, è stata allestita un’area addestrativa attrezzata di un ponte tibetano ed una parete artificiale d’arrampicata, oggi punto di riferimento per l’iter valutativo. Dal 2000, anno d’esordio del personale femminile nell’Esercito, sono state
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addestrate dal 235° Reggimento più di 17.000 Volontarie. L’attuale iter formativo si articola in tre moduli; un primo modulo dedicato all’addestramento iniziale, il secondo all’addestramento individuale al combattimento (AIC) ed il terzo all’ordine pubblico e concorso alle Forze di Polizia. Probabilmente non tutti sanno che, per accedere alle carriere iniziali della Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco è indispensabile aver prestato servizio nell’Esercito, per almeno un anno, quale VFP1. Per chi rimane nella Forza Armata si prospetta, invece, la possibilità di prolungare di un ulteriore anno la ferma prefissata annuale o partecipare al concorso per la ferma prefissata di quattro anni, al termine dei quali, transitare in servizio permanente, dopo una valutazione dei titoli conseguiti. L’arruolamento dei VFP1 prevede TNM ••• 034
quattro sessioni annuali. Ad Ascoli, per ciascuna di esse, affluiscono circa 400 allieve di età compresa tra i 18 e i 25 anni. Tra i requisiti richiesti per accedere al concorso: il diploma di scuola media inferiore, la cittadinanza Italiana, idoneità per lo svolgimento di attività fisica agonistica. Intenso e serrato il programma d’addestramento; le attività quotidiane iniziano alle 06.30 con la sveglia, per terminare alle 17.30 con la libera uscita. Alle 23.00 tutte in caserma, davanti al proprio posto branda, per il contrappello e poi il silenzio. Chi decide d’indossare l’Uniforme lo fa per Passione e deve attenersi al regolamento di disciplina militare, da Sempre perno indissolubile, fulcro di un Mondo. Il personale femminile deve adeguarsi a precise norme che regolamentano le relazioni con il personale istruttore, l’uso dell’uniforme
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Tecnica del superamneto di muro - esercizio del CAGSM
Team impegnato nel superamento di un punto sensibile
non prevede monili appariscenti, make up e capelli sciolti al vento, le ferree disposizioni non creano problemi, la loro scelta le rende consapevoli del loro ruolo. Il Volontario dell’Esercito Italiano costituisce l’ossatura portante della Forza Armata, “boots on the ground” che operano quotidianamente nei teatri Operativi Internazionali, a loro si riconoscono Professionalità, spiccato senso del dovere e Spirito di Sacrificio, doti innate e fortificate nelle lunghe ore d’addestramento ed amalgama con i colleghi, nello Spirito di Sacrificio che comporta l’essere Donna e l’Essere Soldato. Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti ed impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare, vasto ed infinito. Antoine de Saint-Exupéry
Volonatria impegnata nel passaggio del ponte tibetano Passaggio di un ponte a corda
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III Conferenza
Less than Lethal Roma 7-8 novembre 2011 Di Gianluca Hermann e Gabriele Da Casto
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7 Novembre, siamo presso una magnifica struttura della Polizia Penitenziaria, per la III Conferenza Less than Lethal: il Ministero della Giustizia ci ha invitato a quest’evento, normalmente riservato ai soli operatori, dove sono presenti rappresentanti di tutte le forze dell’ordine nazionali ed alcune straniere. Tra gli organizzatori, un caro amico, operatore di alto profilo, della Polizia Penitenziaria, che ci fa da cicerone. L’evento è da “leccarsi i baffi”, per l’alta professionalità degli interventi e per la possibilità di
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testare noi stessi questi nuovi prodotti tecnologici che, normalmente, vediamo solo nelle mani degli operatori d’oltreoceano. Innanzi tutto, cosa sono le “Armi Non Letali”? Strumenti che consentono di agire in situazioni nelle quali l’utilizzo di armi tradizionali non sia l’opzione migliore, scoraggiando, ritardando o prevenendo azioni ostili, inabilitando temporaneamente personale ed equipaggiamenti e controllando le folle, con un’applicazione della forza pienamente in linea con gli
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scopi della missione e nel rispetto delle ROE. Esse offrono una valida soluzione, alternativa all’uso della forza letale, attribuendo alle forze militari l’opportunità di agire con gradualità, proporzionalità e selettività, ma con la minor invasività possibile ed il massimo riguardo per la salvaguardia della vita umana, delle cose e dell’ambiente. L’impiego delle Armi non letali risulta, pertanto, opportuno nella maggior parte degli scenari prefigurati. Al contempo abbiamo certamente rafforzato la convinzione che la
codificazione legislativa di taluni strumenti “meno che letali” ed il loro ipotetico utilizzo, da parte degli operatori della sicurezza, allontanerebbe lo spettro dell’uso della famigerata extrema ratio letale, ovvero l’arma da fuoco. Uno degli aspetti curiosi ed interessanti è stato scoprire che coloro che maggiormente si sono avvicinati al non letale o più precisamente, con pessima traduzione al “meno che letale” (less than lethal), sono stati e molti lo sono tutt’oggi, soggetti
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che, molto più di altri, hanno a che fare con le armi da fuoco. Ed allora pensare che il cammino intrapreso sia ancora quello giusto rappresenta una seconda grande opportunità da sfruttare appieno, considerato che alcuni operatori, più di altri, hanno cognizione della pericolosità delle armi letali perché le studiano, le manipolano, ci si esercitano e ci lavorano. Innanzitutto identifichiamo meglio il meno che letale, sdoganandolo definitivamente, ufficialmente e più
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attualmente come: “armamento inabilitante non letale”. Nessuna paura nell’utilizzare questo termine perché, in generale, gli c inabilitanti rientrano comunque nel concetto di armamento convenzionale o proprio, pur non producendo effetti letali (trattasi di strumenti idonei alla difesa ma anche all’offesa, in quanto capaci di procurare un danno - art. 585 c.p. commi 2 e 3 -). Il 3° comma dell’art. 585 assimila alle armi “le materie esplodenti ed i gas asfissianti o accecanti”.
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In questa logica si deve inserire il termine inabilitante, che esprime meglio lo scopo di queste tecnologie, ovvero impedire il normale funzionamento di mezzi meccanici e/o la normale deambulazione degli uomini o altrimenti limitando al massimo, pur non potendoli escludere, i cosiddetti danni collaterali. Deve comunque rimanere, necessario e costante, il riferimento alla disciplina contenuta nel codice penale agli articoli 51 (esercizio di un diritto ed adempimento di un dovere), 52 (legittima difesa) e
53 (uso legittimo delle armi) che prevedono alcune cause di giustificazione, dalle quali è esclusa la punibilità. Area opto-elettronica detta LEL (low energy laser), che comprende i taser, i fumogeni multi spettrali, gli impulsi elettromagnetici, i laser a bassa energia, etc.. (ricordiamo le cosiddette dream machines, che emettono impulsi luminosi ad alta intensità o le luci stroboscopiche).
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Area acustica in pratica, strumentazioni ad emissione sonora (sino a 170 decibel) come i generatori di ultrasuoni, dalla frequenza ultrabassa che, se direzionati verso le persone, causano disorientamento, vomito ed altri fastidi fisici ma anche (se volute) gravi lesioni ad organi interni (utilizzate sin dagli anni ’80 dai Sovietici, avverso i curiosi, intorno a basi e perimetri militari).
schiume, supercaustici, tecnologie di alterazione della combustione, agenti LME che modificano la struttura molecolare dei metalli portandoli allo stato liquido.
Area chimica/biologica/batteriologica che comprende gli agenti calmanti, batteriologici, gas lacrimogeni, spray paralizzanti ed irritanti, le supercolle (anche se uno dei componenti chimici pare oramai vietato, da accordi internazionali, a salvaguardia dell’ambiente),
Il Tactical Hight Energy Laser, già in dotazione all’esercito israeliano, utilizza sostanze chimiche come la fluorite di deuterio per creare un raggio laser invisibile, capace di abbattere aerei e missili “indesiderati”.
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Area cinetica categoria che prevede sistemi inabilitanti fondati appunto sull’energia cinetica, sulla forza d’urto, sull’effetto contundente: è l’area che si rivolge maggiormente agli operatori di polizia.
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Il laser a raggi ultravioletti HSV immobilizza persone ed animali a distanza. Utilizza due fasci di radiazioni ionizzati che seguono ed intercettano il bersaglio animato ed agisce sui recettori neurali che controllano i muscoli, paralizzando gli impulsi nervosi. Null’altro che la concretizzazione della cosiddetta “frusta neurale”, protagonista di tanti romanzi fantascientifici. Il laser ZEUS, montato su humvee o normali jeep, è stato finora utilizzato in Afghanistan ed Iraq per far brillare le mine. Delle armi al plasma ricordiamo il PIKL, ovvero “Pulsed Impulsive Kill Laser” che basa la sua tecnologia sui principi del fisico Nicola Tesla. In effetti è qualcosa a metà
tra arma laser ed al plasma, considerato che spara un proiettile d’energia composto di materia elettricamente carica di elettroni, neutroni e protoni; riesce a perforare lastre di metallo ed armature in kevlar. Il PEP, ovvero “Pulsed Energy Projectile” che sfrutta il plasma o impulso elettromagnetico emesso e si trasforma in forza d’urto, unita ad un’onda elettromagnetica: per un raggio d’azione di circa 2 Km si possono stordire uomini, animali o bloccare veicoli. Rappresenta la nuova frontiera dell’inabilitante nei presidi dei checkpoint ed in scenari di controllo dell’ordine pubblico. Il LRAD: “Long Range Acoustic Device” impiega un
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fascio di onde ultrasoniche che, avverso esseri umani, causa nausea, vertigini, perdita temporanea dell’udito e problemi all’intestino; sviluppa un max di 150 decibel e copre una distanza di 300 mt. Questa tecnologia inabilitante deriva dal cannone ultrasonico, ideato dagli scienziati nazisti per abbattere aerei durante il II conflitto mondiale, ma oggi, così come sviluppata, sembra sia destinata a disperdere folle di manifestanti ed allo sgombero di edifici. In studio e sperimentazione presso l’ I.N.S.P.T. (Istituto Nazionale Sperimentazione e Perfezionamento al Tiro), come ultima acquisizione, sono: •MEDUSA, di recentissima produzione, come pistola o fucile provvisti di grilletto elettronico: emettono un
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fascio laser luminoso conico (continuo o intermittente), con potenza variabile dai 5 ai 10 watt, utilizzabile sia in pieno giorno sia durante la notte e capace di procurare vertigini e forte disorientamento; •HyperShield, scudo anti sommossa ad emissione di onde sonore: energia acustica condensata in pressione sonora continua o intermittente, per un peso totale dell’attrezzatura pari a 7,8 g. E’ ovvio e naturale che, in mancanza di un’approfondita conoscenza della materia, l’opinione pubblica ed i non addetti ai lavori mantengano riserve verso questo mondo. Tra i media perdura una grossa confusione sulle strumentazioni esistenti ed una certa ignoranza delle terminologie, nonostante le ultime modifiche
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delle normative di settore. Esempi lampanti di notizie incomplete e talvolta fuorvianti sono all’ordine del giorno, quando invece, la conoscenza dei dati, valorizzerebbe meglio la notizia stessa. “A ……., manifestazioni e tumulti di piazza, la polizia spara ad altezza d’uomo ………!” L’addetto ai lavori sa bene che la polizia del luogo, se non equipaggiata con armamento less than lethal, sicuramente non ha esploso cartucce letali con armi da fuoco. In Francia, in Australia o in Italia ad es. le probabilità che un operatore esploda cartucce letali ad altezza d’uomo in contesti di O.P. sono, quanto meno, estremamente marginali, semmai CS, CN o miscele di CS e CN.
Ad oggi, per non guardare troppo gli Stati Uniti che, per taluni versi, sembra proprio essere l’altro mondo, sempre più Paesi, nella sola area Europa, scelgono per le rispettive forze dell’ordine l’armamento ed il munizionamento definito meno che letale o inabilitante, ne cito alcuni: Francia, Paesi Bassi, Spagna, Portogallo, Germania, Malta, Norvegia, ecc.. hanno adottato o stanno per equipaggiarsi di spray al capsicum, baton, pepperball, lanciatore FN 303, taser depotenziata e strumenti similari. E nel nostro Paese… In Italia, da sempre, come uniche vere alternative inabilitanti (?) all’extrema ratio, si utilizzano gli idranti con getti d’acqua potenti ed il lancio di lacrimogeni.
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Per chi crede alla salvaguardia dell’incolumità fisica di ogni cittadino e di ogni operatore di polizia ed alla libertà democratica di poter manifestare il dissenso pacificamente, una riflessione in proposito è d’obbligo! E’ sempre più ricorrente, negli ultimi anni, innanzi la minaccia d’offesa grave, il dilemma di dover scegliere tra l’uso della forza letale e la non azione, sia nelle operazioni militari (con regole d’ingaggio a dir poco
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restrittive), sia in quelle di polizia (vedasi gli interventi d’Ordine Pubblico). Nulla da eccepire sugli strumenti utilizzati durante i recentissimi eventi, se però si fosse avvertita la sola necessità della dispersione della folla. Considerato quanto occorso soprattutto a Roma, sarebbero state utilissime talune tecnologie inabilitanti, alcune già testate da anni. In tal modo, forse, si sarebbe potuta controllare meglio e più facilmente l’escalation
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violenta di alcuni soggetti, modulando gli interventi, dapprima individuando i facinorosi mescolati ai manifestanti pacifici, poi “marcandoli” indelebilmente, al fine di isolarli. Ogni evento critico con conseguenze negative ci fornisce indubbiamente dati sociali su cui lavorare e ci impartisce lezioni sulle quali riflettere... ma a quale costo!
sopravvivere” per concretizzare le loro azioni ostili, solo se esiste una folla più o meno connivente o accondiscendente, anche se solo inizialmente e meglio se in movimento; senza di essa rimarrebbero isolati naturalmente e forse non realizzerebbero eventi con lo stesso fine negativo avverso ciò e coloro che rappresentano l’istituzione.
Cosa certa è che, i violenti, hanno modo di “esistere e
L’uso delle strumentazioni inabilitanti potrebbe:
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• permettere più facilmente il rispetto delle Convenzioni Giuridiche Internazionali e della proporzionalità tra offesa e difesa, a noi tanto caro; • permettere di disarmare, ritardare, opporsi adeguatamente ed addirittura vanificare le azioni ostili aggressive e criminose dirette contro l’operatore o terzi soggetti, al fine di consentire magari azioni negoziatrici; • permettere risposte selettive a salvaguardia di coloro che non fanno parte del contesto che sta volgendo in peggio; • aumentare la credibilità delle Forze dell’Ordine o
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Forze Armate per professionalità, varietà di opzioni nell’uso della forza ed efficacia; • rappresentare validamente e rinforzare il concetto di deterrenza, rendendo l’opinione pubblica più sicura e l’avversario conscio di dover fronteggiare la tempestività e la maggiore adeguatezza tecnologica degli operatori della sicurezza; • essere generalmente più economico rispetto all’uso delle armi letali, considerati i minori costi di sviluppo, produzione ed eventuale impiego operativo; • provocare reazioni politiche più positive, considerati i minori danni inflitti a persone, cose ed ambienti.
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OPERATION REPORT OPERATION REPORT OPERATION REPORT
di Giovanni Di Gregorio – Direttore Studi Strategici del CeSA - Geopolitica
Afghanistan, 2 settembre 2006
OPERAZIONE MEDUSA L’operazione MEDUSA è la più grande operazione lanciata dalla NATO da quando prese il controllo del sud del Paese il 31 luglio 2006. L’operazione si é concentrata sul distretto di Panjwayi, circa 35 chilometri da Kandahar, punto di partenza fra il 1994 e il 1996 del movimento di conquista dell’Afghanistan da parte dei Taleban, gli ‘studenti di teologia’. Secondo la NATO, l’operazione, che ha impegnato 2.000 soldati afghani e stranieri, è costata la vita a cinque militari canadesi, uno dei quali vittima del ‘fuoco amico’ di un aereo americano, e a 14 soldati britannici, morti in un incidente del loro aereo spia. I ribelli uccisi sono stati circa 500 Benche’ l’operazione avesse coinvolto per la maggior parte forze canadesi, operatori dei “Green Berets” vennero chiamati a supporto. Quanto segue e’ un estratto dell’opera “Lions of Khandahar”, scritta dal Maggiore Rusty Bradley e pubblicata da Bantham Books. Il Maggiore Bradley ha comandato un Operational Detachment Alpha chiamato a supporto delle truppe convenzionali nel corso dell’operazione. Il Maggiore Bradley autore del libro “Lions of Khandahar”
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PORT OPERATION REPORT OPERATION REPORT OPERATION REPORT
I primi proiettili colpirono il parabrezza come una mazza. Mi bloccai all’istante aspettandomi il peggio. Fortunatamente il vetro blindato fece il suo lavoro, altrimenti il mio cervello sarebbe schizzato per tutto il mezzo. Gli R.P.G. (Rocket Propelled Grenades) ci venivano sparati contro da distanze cosi’ vicine, che potevo vedere le loro alette stabilizzatrici, che avrebbero potuto tagliare la testa, un braccio, od una gamba e distruggere un veicolo leggero con sconcertante rapidita’. Le loro scie erano sospese in aria. Il ruggito delle mitragliatrici era assordante ed atterriva. Eravamo appena arrivati sul campo di battaglia. L’operazione “MEDUSA”, la piu’ grande offensiva della N.A.T.O fino ad allora, si stava trasformando in un disastro. Non lontano, l’avanzata principale dei canadesi si era fermata sotto l’attacco di armi anticarro ed era stata incastrata in combattimenti urbani. Il mio team, ed i nostri alleati afghani, erano da cinque minuti nel mezzo di un furioso conflitto a fuoco alla base di Sperwan Ghar, una sperduta collina nel distretto Panjwayi, nella provincia occidentale di Kandahar. Due altre unita’ di Special Forces stavano conducendo i soldati afghani su per la collina e sotto il fuoco nemico. Se fossimo riusciti a conquistala, avremmo potuto chiamare attacchi aerei a supporto dei nostri alleati della N.A.T.O. I primi due minuti di un combattimento sono i piu’ difficili. Capisci di che pasta sono fatti i tuoi nemici, entro i primi trenta secondi, ammesso di vivere abbastanza. Le raffiche di mitragliatrici che colpirono i nostri Ground Mobility Vehicles (G.M.V.) e lo sbarramento degli R.P.G. mi fecero capire immediatamente che stavamo fronteggiando nemici che sapevano quel che stavano facendo. I talebani avevano gia’ inferto un duro colpo alle unita’ meccanizzate canadesi, uccidendo quasi una dozzina di
uomini e distruggendo diversi mezzi. Potevo sentire i canadesi alla radio che stavano combattendo per le loro vite d’altronde tutti noi lo stavamo facendo. Questo era il mio terzo turno in Afghanistan e quando me ne andai sette mesi prima, avevamo quasi cacciato i talebani dalla provincia di Kandahar. Dovevano essere demoralizzati e sconfitti, ma poi la N.A.T.O. ha assunto il controllo dell’Afghanistan meridionale, rimpiazzando le unita’ americane con un insieme di truppe provenienti da tutto il mondo. I comandanti N.A.T.O si concentrarono nell’allestimento di team di ricostruzione provinciali, trascurando le operazioni di combattimento e mantenimento della sicurezza. A cinque anni dall’inizio della guerra, questo cambio di strategia avrebbe portato al periodo piu’ turbolento dalla caduta del regime talebano nel 2001. Ci avevano avvertirti che i talebani erano tornati in forze e più numerosi di prima . Avevano ammassato migliaia di combattenti nel Panjwayi, ed erano determinati a conquistare Kandahar, la capitale della provincia sud dell’Afghanistan. Questi non erano talebani improvvisati, quelli
degli inizi che sparavano a casaccio sperando che Allah gli concedesse di uccidere gli infedeli e vivere un altro giorno. Questi utlizzavano manvore sincronizzate e ben coordinate. Dopo uno sbarramento di R.P.G., il nemico aveva iniziato a puntare i razzi direttamente contro i serventi delle nostre mitragliatrici pesanti, sperando di distruggerle od ucciderne gli operatori. Questo era il nostro primo contatto con un movimento talebano determinato a cacciarci dall’Afghansitan meridionale. Riparati all’interno dei nostri mezzi, fronteggiavamo un potere di fuoco che avevamo visto raramente dall’inizio della guerra. I colpi contro il lato posteriore destro del mio mezzo mi fecero trasalire. Sedevo in direzione dell’uscita, e girai la testa giusto in tempo per vedere l’ennesimo razzo colpire il suolo. I traccianti delle mitragliatrici che seguirono, centrarono il mezzo e la terra intorno a noi, rimbalzando ovunque. Girai la mia M240 in direzione della minaccia piu’ velocemente che potei. Il reticolo di canali di irrigazione, vegetazione fitta e capanne era illuminato dal fuoco delle armi del nemico.
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“Contatto a destra! Contatto a destra!”, urlai sopra il ruggito delle armi. Ogni mitragliatrice e lancia granate sui nostri mezzi esplosero contro le postazioni talebane. Dovevamo sopraffare il nemico con quanta piu’ potenza di fuoco possibile. Proprio mentre cominciavamo ad ottenere vantaggio, iniziammo a ricevere colpi provenienti dalle mura di una fortezza in fango davanti a noi. Eravamo all’aperto e senza copertura. I colpi rimbalzavano intorno e dentro il veicolo, poi ci fu un lampo. I denti iniziarono a farmi male e sentii in bocca il sapore forte e metallico tipico degli esplosivi. La confusione ed il dolore mi ricordavano che ero ancora vivo. Avevamo nemici davanti, alla nostra sinistra e a destra. La loro imboscata aveva quasi tagliato a meta’ il convoglio,
barcollando dall’edificio. I nemici centrati in pieno normalmente stramazzano al suolo come bambole di pezza, proprio come questi. Capii che avevamo contro tra i quaranta e i cinquanta talebani sopra e tutto intorno alla collina. Avevamo circa sessanta soldati afghani e trenta L’operazione MEDUSA è la uomini delle forze speciali divisi più grande operazione lanciata in un A-Team ed un B-Team per dalla NATO da quando prese il il comando e controllo. Il B-Team avrebbe dovuto essere composto controllo del sud del Paese il 31 da dodici uomini, ma in realta’ luglio 2006. erano solo quattro in un mezzo. Il nostro obiettivo, Sperwan Ghar, prevenendo l’arrivo di rinforzi. si ergeva nella valle cosparsa di Questo era stato il loro obiettivo campi separati da profondi canali fin da principio. Dividere l’unita’, di irrigazione. Era una posizione causare confusione, e finirci privilegiata, perche’ chiunque da individualmente. Ci serviva supporto li’ avrebbe potuto vedere su e giu’ aereo immediato! Elicotteri da per la valle ed oltre il fiume, dove combattimento Apache olandesi i canadesi venivano fatti a pezzi. orbitavano su di noi. Il suono Mentre cercavamo disperatamente dei loro cannoni da 30mm era di salire su per la collina, musica per le nostre orecchie. Gli contattammo il Tactical Operation elicotteri iniziarono a sventagliare Centre per ricevere ulteriori gli edifici per spingere fuori i informazioni. Stavano guardando loro occupanti. I primi due razzi lo scontro attraverso le immagini degli Apache colpirono la casa forniteci da un Predator che volava a meno di un campo da football sopra il campo di battaglia, rivelando di distanza. Il suono acuto delle una situazione drasticamente esplosioni significava che i razzi diversa da quello che ci era stata avevano colpito i loro bersagli. prospettata durante il briefing. “ Appena il fumo inizio’ a diradarsi, TALON 30 qui e’ EAGLE 10. Questa e’ i soldati afghani aprirono il fuoco, la situazione: il conteggio delle forze abbattendo quattro o cinque nemiche non ammonta a dozzine ma talebani che stavano uscendo a centinaia, forse anche migliaia.
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Sono ovunque! Ricevete, passo?”. Avevamo gia’ usato meta’ delle nostre munizioni. Ora sapevamo che eravamo tremendamente in minoranza e scarsamente armati. Fronteggiavamo centinaia di combattenti talebani, ed altri continuavano ad arrivare da ogni direzione. Eravamo nella me… La lunga colonna di polvere poteva essere vista a chilometri di distanza. I civili continuavano a scappare. Numerose richieste per Rangers, Marines o qualsiasi altro supporto erano state rifiutate, ma dopo il secondo contrattacco in meno di ventiquattro ore, il comando NATO a Baghram si decise ad inviare la Comanche Company della 10th Mountain Division, ed un altro team di Special Forces. Mandarono anche due Howitzer da 105mm attaccati a due Chinook. Meno di venti minuti dopo l’arrivo dei cannoni a Keybari Ghar, i loro serventi erano pronti a far fuoco. La compagnia di fanteria della 10th Mountain Division arrivo’ dieci minuti dopo. Aveva guidato da Kabul attraverso l’Highhway One, fermandosi solo per fare il pieno di carburante. Non ci importava da dove arrivassero, eravamo solo grati che fossero arrivati. Il convoglio formo’ un enorme cordone protettivo intorno all’artiglieria. Lo Special Forces Team 376 del 3rd Battallion accompagnava la fanteria insieme
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ad altri soldati afghani. Conoscevo il loro team leader, Mike, dal corso di qualifica. Scese giu’ dal suo mezzo e, indicando la minigun montata minacciosamente sopra di esso disse “Ho portato la distruzione con me.” Adesso li avremmo gonfiati per bene. L’arrivo della Comanche Company della 10th Mountain Division rappresentava la prima volta che un’unita’ convenzionale veniva posta sotto il comando di una forza speciale nel corso di un’operazione su larga scala. Era stata pianificata un’operazione ad ampio raggio per ripulire l’obiettivo Billiard, ovvero l’area a nord di Sperwan Ghar. La Comanche Company si sarebbe infiltrata attraverso il deserto, avrebbe fatto irruzione attraverso i villaggi e si sarebbe poi diretta a sud ovest, eliminando qualsiasi minaccia di fronte allo Sperwan Ghar. Servivano volontari per guidare i soldati afghani attraverso i labirintici villaggi nei quali si sarebbe avventurata la Comanche. Riley, Casey e Smitty si offrirono per la missione. Mentre i soldati si muovevano attraverso uno dei villaggi sottostanti, entrai nel mio mezzo e mi diressi in cima alla collina. Bill parcheggio’ accanto a me, proprio mentre dalla radio esplose la voce di Smitty. “TALON 30, qui e’ SIERRA 31. Unita’ in contatto. Contatto pesante. Oltre cento A.A.F. (Anti-Afghanistan Forces). Fuoco di armi di piccolo calibro, R.P.G. e mitragliatrici. Cento metri a nord-est della nostra posizione. Sto cercando di aggirarli con gli afghani. Ho bisogno di supporto immediato”, disse Smitty senza fiato. Potevo sentire il crepitio dei colpi in sottofondo e vedere il combattimento esplodere davanti a noi. I talebani gli avevano teso un’imboscata. Da lontano sembravano piccole formiche che uscivano fuori da un cumulo di terra. Una cinquantina di talebani spuntavano fuori dai canali di irrigazione mentre i soldati americani ed afghani inseguivano delle esche. Smitty ottenne finalmente alcuni elicotteri, ordinandogli di effettuare vari passaggi sul nemico con i mitragliatori.
Un comandante talebano poteva essere udito mentre cercava di raggruppare i suoi uomini, mentre altri tornavano semplicemente a nascondersi negli edifici. I suoi uomini venivano spinti in uno spazio confinato. C’erano segni del nemico ovunque, i corpi dei morti ed i feriti erano sparpagliati tra le abitazioni e le capanne. Altri locali erano pieni di armi, cibo, parti di ricambio e motociclette cinesi di scarsa qualita’. Udi’ Dave imprecare. Qualcuno era stato colpito. Mentre tornavo alla radio, un secondo soldato venne ferito. “Abbiamo quattro uomini colpiti, uno ‘e americano”. Un membro dell’Embedded Training Team che lavorava con gli afghani era stato ucciso mentre cercava di scavalcare le mura di un vigneto. Un soldato afghano era stato ucciso ed alti due feriti. I quattro vennero caricati sul retro di una Ford Ranger, che sgommo’ via in una nuvola di fumo verso la posizione di Comanche. Vidi otto Ford Ranger carichi di soldati afghani fuggire verso l’autostrada. Almeno adesso sapevamo cosa il nuovo Afghan National Army sapeva fare: SCAPPARE. Il Comandante della 10th Mountain, Comanche 6, richiese supporto. I suoi uomini erano colpiti da un’area ubicata tra la collina e la loro posizione, in un campo vicino al fiume. Dovevamo ottenere una migliore postazione d’osservazione, cosi’ ci muovemmo, con Chris e Zack dietro di noi con il loro mezzo. Finalmente vedemmo del movimento vicino a delle capanne non lontane da Sperwan Ghar. Partendo da una scuola, un gruppo di circa cento combattenti attacco’ la collina appena arrivammo, questo era il terzo contrattacco. Adesso erano in una pentola a pressione, compressi tra la Comanche e noi. Le loro mitragliatrici aprirono il fuoco appena ci videro. Brian e Dave si scambiarono di posto, dato che Dave aveva passato quasi tutta la mattina alla torretta del mezzo. Brian era adesso alla mitragliatrice, mentre Ron ed io lavoravamo sulle griglie per un attacco aereo, assicurandoci che gli
apparecchi non avrebbero aperto il fuoco sui nostri. Ron salto’ fuori dal retro del mezzo proprio mentre il fuoco iniziava ad intensificarsi, posizionandosi all’angolo di una scuola. Era piu’ sicuro li’ e mi poteva parlare attraverso la radio. Proprio in quel momento vidi un R.P.G. colpire il muro della scuola, facendo schizzare via pezzi di cemento ma senza esplodere. La testata atterro’ a pochi centimetri da Ron. Il nemico era talmente vicino che il razzo non aveva avuto il tempo di armarsi. Guardando attraverso il binocolo da sinistra a destra, cercai la sagoma di una testa e di un R.P.G. “E’ li’! E li!’” urlo’ Brian mentre apriva il fuoco contro una stalla. Circondata
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da alberi, la stalla aveva la forma di una piccola capanna per gli attrezzi ed era cinturata da un muretto. Il fuoco della mitragliatrice di Brian creò una serie di buchi nel muretto. Un’esplosione fece volare in aria parte di un torso umano, seguita da un’altra detonazione che provoco’ una sorta di nebbiolina bianco-rossastra. L’insorto indossava uno zaino pieno di razzi ed un proiettile doveva averlo colpito. Brian continuo’ a martellare il muro fino a farlo crollare ed essere certo che nulla si muovesse. Il team di Hordge, dall’altra parte della collina, becco’ sei combattenti intenti a fuggire verso un edificio a nord. “Il nemico arriva da sud, possiamo chiudere questo buco. Forse dovresti tornare sull’altro lato della scuola”, mi disse alla radio. Hodge era in una posizione d’osservazione avvantaggiata, e io decisi di seguire il suo consiglio. Tornammo alla nostra posizione precedente. Udi’ Jared parlare alla radio con Hodge e Bruce. Il giorno seguente avremmo dovuto necessariamente fare una ricognizione delle colline di Zangabar Ghar, anche note come la Schiena del Drago. Giu’ nei vigneti, Riley e Casey si muovevano velocemente mentre i soldati afghani li seguivano e facevano tenere basse le teste ai talebani con fuoco accurato. Mentre scendevano giu’ per i stretti canali d’irrigazione, Riley poteva sentire le urla di un talebano alla radio. Allineati ai lati della porta dell’edificio dove i talebani erano fuggiti, Riley e gli afghani fecero irruzione. Un talebano con un giubbetto tattico, radio alla mano, fece per strisciare verso il suo AK-47, distante diversi metri. Un binocolo giaceva accanto al fucile. Aveva fori di proiettile su entrambe le gambe ed una scia di sangue lo seguiva mentre strisciava. Dopo avergli legato polsi e caviglie, Riley lo perquisi’. Il telefono satelitare, due cellulari ed un rotolo di banconote, confermavano che questo era un comandante. “Mi sa che gli fa un male cane”, disse Riley ai soldati afghani. “E’ tutto vostro”. Sei paia di
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mani afferrarono il leader talebano che aveva appena cercato di ucciderli. Era responsabile della morte dei loro amici e di atrocita’ commesse contro la popolazione locale. Su per la collina, Bill mi raggiunse. Aveva ascoltato la battaglia alla radio. “Se le cose iniziano ad andar male, dico di andare dritti giu’ per la collina ed attaccare il nemico dal suo punto cieco. Non ci vedranno mai arrivare. Possiamo ammazzarne un bel mucchio e tornare qui. Non permettero’ ai nostri di rimanere inchiodati laggiu’.” Ero daccordo con lui. Ci preparammo al nostro assalto. Bill si coordino’ per l’attacco con Riley, Smitty e Casey ma le cose sembrarono calmarsi nell’ora successiva. I talebani spararono qualche colpo ma non come nei giorni precedenti. Rimanemmo al sicuro nei mezzi e dentro la scuola. Seduto nel mio mezzo mi allungai per raggiungere il contenitore dove tenevo le munizioni. All’improvviso qualcuno ci tiro’ contro un altro razzo, che passo’ accanto, esplodendo alcuni metri alle nostre spalle. “Qualcuno ha visto il lancio?”, chiese Bill alla radio. “Se non iniziano a sparare allora significa che stanno solo cercando di attirare la nostra attenzione lontano da qualcosa di interessante. Non sparate e state a vedere cosa succede”. Vedevo Brian con la coda dell’occhio annuire in egno di approvazione. Era un gioco del gatto col topo. “Dove siete?”, pensavo. Non importava. La collina era nostra e se la volevano veramente sarebbero venuti a prendersela. Potevamo sentire il parlottare dei talebani alla radio ed un comandante ordinare di attaccare Sperwan Ghar. Feci un cenno a Victor, che prese appunti. “Vedi di scrivere ogni parola”, disse Dave. Il comandante Talebano stava riprendendo chi ci aveva appena sparato contro un R.P.G. per non essersi coordinato con il mitragliere, dicendogli che ci avevano mancato e sprecato un razzo. Riferendosi a noi, diede un nuovo ordine. “Hamla, hamla, za, za,” urlo’ alla radio. “Attaccate, attaccate, andate, andate”. Victor urlo’ qulacosa che si perse nel caos.
Proiettili e schegge iniziarono a colpire i mezzi, mentre chiamavo Jared alla radio. Stava cercando di dirigere due scontri e cercava di comunicare mentre altre mitragliatrici iniziavano a sparare. Potevano essere ovunque a questo punto. “Qui e qui. Se fossi io vorrei operare da questi due punti.” Si trattava di canali di irrigazione distanti 150 metri l’uno dall’altro. Ron era daccordo con me ed inzio’ a passare le coordinate agli aerei. Un jet ci sorvolo’ basso per riconoscere i bersagli. “Dobbiamo marcarli cosi’ che possano distinguerci dal nemico”, disse Ron. “Possiamo sparare contro uno degli edifici o dare fuoco a qualcosa per marcarli”, chiesi. Bill ordino’ ai mortaisti di sparare proiettili fumogeni in un campo pieno di sterpaglie, mentre il resto di noi apri’ il fuoco nella stessa direzione, sperando che i traccianti appiccassero il fuoco. Ci riuscimmo. “Che ne dici di queto?” chiesi a Ron. “Niente. Il pilota non puo’ vederlo.” Piano B allora. Sparai un AT4 contro una capanna. Il razzo la centro’ in pieno appiccando il fuoco al tetto. “Bersaglio marcato! Bombe in arrivo!”, confermo’ Ron. L’F-18 fece un passaggio e sgancio’ il suo carico di confetti. L’esplosione fece tremare i nostri mezzi e i detriti iniziarono a piovere dall’alto. Dopo l’attacco,
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potevamo sentire i talebani urlare alla radio: “Ci stanno uccidendo. Nove fratelli sono stati colpiti, gli altri sono feriti! Fate presto!”. La bomba aveva centrato in pieno la postazione nemica. Ron ci guardo’, e sogghignando ci disse “Mi sa che non li abbiamo mancati!”La conquista di “Hamburger Hill” non ebbe un gran peso strategico per le sorti del conflitto e l’effetto più devastante lo ebbe sull’opinione pubblica americana. Per ironia della sorte la collina venne abbandonata il 5 giugno di quello stesso anno. Durante quei 10 giorni vennero impiegati cinque battaglioni di fanteria per un totale di 1800 uomini e su Quota 937 vennero
riversate 450 tonnellate di bombe e 69 tonnellate di napalm. La storia di questi soldati è stata raccontata in un film di grande pregio dal regista John Irvin. La pellicola è stata presentata nel 1987 ed è considerata da molti un vero capolavoro per il realismo delle scene e delle ambientazioni. John Irvin è principalmente uno scrittore ma ha diretto molti film di successo di vario genere. Tra i suoi più famosi film d’azione vanno ricordati: i mastini della guerra; “codice magnum”; “vendetta trasversale”; “Robin Hood – la leggenda”; “la spirale della vendetta”… La lista dei film ambientati in scenari bellici è infinita e, grazie
alla bravura dei registi e degli scenografi, tutti riescono a suscitare emozioni più o meno intense quando ci immedesimiamo nei personaggi. Purtroppo nel nostro inconscio si è ormai radicata la sensazione che tutte le situazioni narrate nei film siano frutto della fantasia del regista. In realtà dovremmo affrontare in modo differente le storie tratte da episodi realmente accaduti. Con questo approccio la sofferenza di chi ha subito le traversie della storia umana potrà aiutarci a crescere interiormente ed il loro sacrificio avrà più significato.
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ESCLUSIVA
I due fucili d’assalto più conosciuti al mondo sono l’AK 47 Kalashnikov e l’M16 e la storia di entrambi è ormai nota a chiunque abbia una minima conoscenza delle armi. E’ comunque interessante mettere in evidenza le differenti finalità che i progettisti si sono preposti durante le fasi di studio dei due fucili; sono queste che hanno determinato le peculiarità delle due organizzazioni meccaniche e, soprattutto, il differente rendimento balistico e funzionale di questi due progetti. Le armi russe sono sempre state progettate cercando di privilegiare al massimo la robustezza, la semplicità costruttiva e l’affidabilità meccanica anche a costo di sacrificare drasticamente la precisione balistica. Il
soldato deve essere sicuro di non avere inceppamenti o malfunzionamenti durante il combattimento. La manutenzione deve essere semplificata al massimo e l’eventuale impossibilità di effettuare la pulizia dell’arma non deve comprometterne il funzionamento. Gli addetti al lavoro affermano che “un Kala non si inceppa mai”. Ovviamente anche gli AK sono soggetti a malfunzionamenti occasionali ma, sicuramente, sono molto meno sensibili ai depositi da sparo nell’uso prolungato, alla polvere, alla sabbia, al fango ed ai traumi meccanici da caduta dell’arma o da urti accidentali. Il rovescio della medaglia è la precisione balistica. Effettuare dei tiri accurati, con arma in TNM ••• 057
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appoggio a 300 metri con un Kala, specialmente con il modello 47, è estremamente deludente. In realtà un militare con livello di preparazione medio, raramente è in grado di sfruttare a pieno un’arma con precisione da match. Per questi motivi i progettisti sovietici hanno ritenuto più importante privilegiare l’affidabilità meccanica e scongiurare il più possibile la possibilità di inceppamenti. L’approccio alla progettazione di un’arma da parte degli ingegneri statunitensi è invece completamente differente. Una forte influenza sulle caratteristiche funzionali deriva anche dal fatto che il prodotto deve essere adeguato sia alle richieste del personale militare, sia alle esigenze del mercato civile. L’aspetto commerciale di ogni prodotto non viene mai sottovalutato e le armi in dotazione all’esercito vengono sempre prodotte anche in versione compatibile con il mercato civile. Inoltre gli americani si vantano di avere una grande percentuale di militari che, già durante la loro vita da civili, hanno maturato la passione per le armi e per il tiro. Pertanto hanno la possibilità di sfruttare maggiormente la precisione elevata dell’arma in dotazione. Per questi motivi l’impostazione meccanica di un fucile d’assalto di progettazione statunitense è tendenzialmente molto curata, con giochi abbastanza contenuti e tolleranze ridotte. Tutto questo assicura una maggior precisione nel tiro alle lunghe distanze ma, come dice il vecchio proverbio, non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. L’arma risulterà essere più sensibile allo sporco ed a tutti quegli agenti esterni che generano gli inceppamenti. La carabina AR 15 in calibro 223 Remington, contraddistinta dalla sigla di assegnazione militare M16, deriva dal modello AR 10, in calibro 308 Winchester (7,62x51 o 7,62 Nato) progettata da Eugene Stoner nella seconda metà degli anni 50. La versione in 223 (5,56x45) fu TNM ••• 058
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invece sviluppata nel 1959. Prodotta inizialmente dalla Armalite, che in quel momento era situata a Costa Mesa - California, questa innovativa carabina automatica destò subito l’interesse della commissione militare per gli armamenti. La decisione di adottare quest’arma per le proprie truppe venne però presa in modo eccessivamente precipitoso. Per poter dare inizio
ad una veloce e copiosa produzione di pezzi la licenza di fabbricazione degli M16 venne appaltata alla Colt e la carabina progettata da Stoner venne subito impiegata nella guerra in Vietnam. Il suo esordio non fu particolarmente felice: la prima versione aveva dei grossi problemi di estrazione del bossolo e di cameratura della cartuccia con arma sporca.
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L’azienda ADC (Armi Dallera Custom srl) grazie alla genialità ed alla preparazione professionale di Cristian Dallera è riuscita ad ultimare una linea di carabine con meccanica AR15/M16 che offrono un tale livello di finitura e di precisione meccanica da non temere il confronto nemmeno con le armi customizzate dai più blasonati accuratizzatori d’oltreoceano.
Quest’ultimo problema era causato anche dalla scelta iniziale dei propellenti che lasciavano una feccia gommosa su tutte le parti in prossimità della camera di scoppio. Per questo motivo l’M16 venne dotato del “forward bolt assist” : un pulsante/pistoncino azionabile con la mano impegnata sull’impugnatura a pistola che permette di spingere l’otturatore fino al completamento
della chiusura. La nuova versione venne denominata M16A1. Inoltre la canna e la camera di cartuccia vennero cromate; molte altre componenti vennero sottoposte a modifiche che apparentemente sembrano minime ma che, in realtà, hanno portato il progetto iniziale ad una affidabilità adeguata alle esigenze di un teatro bellico moderno.
La carabina M16, grazie alla continua evoluzione tecnologica e sfruttando le più moderne soluzioni meccaniche, si è evoluta nel corso degli anni e la sua attuale configurazione nota come M4A1, continua ad essere l’arma in dotazione individuale alle truppe statunitens, agli eserciti di molte altre nazioni e a molti corpi speciali La licenza di fabbricazione di TNM ••• 059
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La particolare curvatura di questo ponticello consente di appoggiarvi il dito indice ed effettuare una trazione particolarmente corretta ingaggiando il grilletto in modo ottimale
questo fucile è stata estesa a molte fabbrica anche al di fuori degli Stati Uniti. Attualmente viene prodotta anche in Europa ed alcune versioni specificamente allestite per il mercato civile sono disponibili anche nelle nostre armerie. Oggi esiste finalmente una versione completamente costruita in Italia. Negli anni scorsi alcune ditte nostrane si erano dilettate a commercializzare versioni di AR15 ottenute assemblando parti d’arma importate dall’estero. L’azienda ADC (Armi Dallera Custom srl) con sede a Concesio (Bs), grazie alla genialità ed alla preparazione professionale di Cristian Dallera è riuscita ad ultimare una linea di carabine con meccanica AR15/M16 che offrono un tale livello di finitura e di precisione meccanica da non temere il confronto nemmeno con le armi customizzate dai più blasonati accuratizzatori d’oltreoceano. Gli ADC Tactical Black Rifle non utilizzano grezzi prodotti da aziende straniere; ogni parte fondamentale dell’arma viene fabbricata in Gardone con materiali selezionati e lavorati secondo le specifiche esigenze di Cristian. Sia l’upper receiver che il lower sono in lega di alluminio AL7075, sono lavorati dal pieno e sottoposti ad indurimento mediante tempra di tipo T6 che conferisce a questa lega una durezza ideale. Le cavità del lower receiver per l’alloggiamento della meccanica interna sono dimensionate in modo tale da eliminare ogni gioco tra le singole componenti. In questo modo si ottiene uno scatto particolarmente accurato e netto che tende a non acquisire giochi ed a rimanere invariato nel tempo. Il sistema di scatto utilizzato nell’esemplare in prova ubbidisce agli standard MIL SPEC ed è ad un tempo. La carabina può essere fornita anche con scatti a due tempi in base alle preferenze del tiratore. I Tactical Black Rifles della ADC hanno anche un ponticello-paragrilletto esclusivo, dimensionato in modo tale da poter sparare anche con
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L’alloggiamento per lo scorrimento dell’otturatore è curato in modo meticoloso. Questo impedisce la penetrazione e l’accumulo di sporco proveniente dall’esterno o dai residui di sparo ed assicura un posizionamento in chiusura perfettamente allineato e costante dell’otturatore rispetto alla camera di cartuccia
indossando guanti tattici invernali. La particolare curvatura di questo ponticello consente di appoggiarvi il dito indice ed effettuare una trazione particolarmente corretta ingaggiando il grilletto in modo ottimale. Le tolleranze sono ridotte al minimo anche tra upper e lower receiver. L’alloggiamento per lo scorrimento dell’otturatore è curato in modo meticoloso. Questo impedisce la penetrazione e l’accumulo di sporco proveniente dall’esterno o dai residui di sparo ed assicura un posizionamento in chiusura perfettamente allineato e costante dell’otturatore rispetto alla camera di cartuccia; questa caratteristica è essenziale se si vuole ottenere una buona precisione di tiro. Queste soluzioni sono il frutto di anni di esperienza ottenuta preparando le armi per il tiro dinamico. Anche la linea esterna delle due componenti della carcassa dell’arma sono state ridisegnate: alcuni piani, originariamente
tondeggianti sono ora squadrati al fine di avere una maggior resistenza delle pareti ed una linea più accattivante e caratteristica. L’upper receiver dell’arma che ci è stata affidata per la prova ha ancora la linea tradizionale ma la versione definitiva è in fase di allestimento. Sarà comunque disponibile entro breve tempo, sarà priva del pulsante “forward bolt assist” ed avrà i rilievi laterali non più tondeggianti bensì squadrati. E’ in fase di progettazione anche una versione di carabina ADC dotata di lower receiver con pulsante di rilascio-otturatore ambidestro. Le canne match di tipo pesante (heavy barrell), anch’esse prodotte dall’Azienda di Concesio, sono rotomartellate e vengono lavorate con estrema meticolosità: ogni canna viene controllata e scelta con grande attenzione scartando quelle che non raggiungono il livello qualitativo desiderato; l’ultima selezione avviene dopo la fase di distensione del metallo.
L’astina-copricanna è assicurata all’arma mediante quattro viti a brugola
La scelta di utilizzare canne pesanti permette di avere buona precisione balistica, una maggiore stabilità, un tempo di surriscaldamento più lento ed una maggior resistenza in caso di caduta o torsione accidentale. Il passo di rigatura è 1/9 così da assicurare buone prestazioni con pesi di palla da 55 a 69 grani. Sono disponibili , su richiesta, anche altri passi di rigatura (1/8 e 1/7). Ovviamente anche l’otturatore è prodotto dalla ADC utilizzando il tipo di acciaio ritenuto più idoneo; le dimensioni sono tali da assicurare un perfetto accoppiamento nella cavità di scorrimento. Il blocchetto di presa gas è particolarmente interessante. E’ stato disegnato in modo tale da garantire il TNM ••• 061
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Le carabine ADC sono disponibilei con una vasta gamma di lunghezze di canna: canne estremamente corte per un uso prettamente tattico da 7,5, da 10,5 e da 12,5 pollici; canne intermedie da 14,5 e da 16 pollici; canne per il tiro di precisione alle lunghe distanze da 18, 20 e 24 pollici
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convogliamento dei gas propulsivi senza avere la minima dispersione. Questo assicura la massima costanza nella velocità del proiettile. Inoltre la sua configurazione a profilo ribassato fa sì che il copricanna riesca a ricoprirla completamente sottraendola agli urti accidentali. Il rompifiamma è un vero capolavoro ed è il frutto di studi approfonditi, effettuati da Cristian Dallera, sulla dinamica dei flussi di vampa. La conformazione delle componenti di questo accessorio assicura una sorprendente stabilità nel tiro veloce. Peccato non poterne provare le prestazioni anche durante il tiro a raffica. L’ammortizzazione del rinculo, cioè dell’arretramento dell’arma per effetto dello sparo, è dato da due fori laterali che fungono da vero e proprio “freno di bocca”, come quello utilizzato nei cannoni: i gas propulsivi uscendo dalla canna vanno a spingere contro la parte anteriore di questi due fori. Si ottiene così una spinta in avanti dell’intera arma che ne contrasta il rinculo. Sulla parte superiore del rompifiamma ci sono tre fori che, facendo fuoriuscire verso l’alto un’altra porzione di gas propulsivi, permettono di limitare il rilevamento della canna, cioè la tendenza della parte anteriore dell’arma ad alzarsi. Questi fori sono anche posizionati ed orientati in modo tale da contrastare la rotazione dell’arma indotta dalla rigatura della canna. Tale rotazione viene ammortizzata in modo ancor più efficace dalla sfaccettatura delle quattro alette anteriori che è stata orientata in modo tale da sfruttare il più possibile la forza prorompente dei gas di sparo. Le quattro alette hanno anche il compito di frammentare la fiammata che è uno degli scopi tattici del rompifiamma. La conformazione generale di questo freno di bocca agisce anche sul rumore dello sparo. La detonazione è leggermente attenuata ed il picco di frequenza sonora è più cupo quindi molto meno fastidioso per l’orecchio.
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La carabina ADC è dotata anche di un accattivante accessorio che è sicuramente importante per gli operatori di security che utilizzano l’arma per scopi operativi: gli apici delle alette del rompifiamma sono temperati e formano un vero e proprio sfonda cristalli (glass cruscher). Già due reparti speciali italiani hanno adottato il rompifiamma ADC per le loro carabine tattiche. Anche l’astina copricanna presenta delle peculiarità che la rendono molto interessante e caratteristica. La configurazione è quadrirail, cioè è dotata di slitte picatinny su tutti e quattro i lati; tali slitte si estendono
per l’intera lunghezza dell’astina, così da offrire la possibilità di montare ogni tipo di accessorio in ogni posizione. Una delle peculiarità del copricanna ADC è il diametro esterno estremamente ridotto. Il materiale scelto per la sua realizzazione è la lega di alluminio AL6061 sottoposta anch’essa al trattamento di indurimento T6. Lo spessore delle pareti è particolarmente sottile così da offrire un ingombro totale minimo ed assicurare al tiratore il massimo comfort di impugnabilità. La robustezza è comunque garantita. Al fine di ridurre il peso sono state praticate delle fessure di
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Abbiamo sparato piÚ di 250 colpi di 223 R. gentilmente offerti dalla ditta Northwest, con palla FMJ da 62 grani con l’arma praticamente secca, priva di lubrificazione e non abbiamo avuto inceppamenti di nessun genere
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Anche durante la transizione dall’arma lunga a quella corta, la carabina ADC risulta essere estremamente maneggevole
L’esemplare in prova monta un calciolo di tipo militare con poggiaguancia ambidestro della CAA (Command Arms Accessories)
alleggerimento ad X che hanno anche un’ottima resa estetica. Anche i positivi dei rail sono stati fresati nella parte centrale per concorrere al contenimento del peso. La cosa è compatibile anche con l’aspetto funzionale in quanto i morsetti di tenuta degli accessori TNM ••• 066
fanno presa solo sulle estremità di questi denti. Anche questa è una caratteristica esclusiva dei copricanna ADC. Il copricanna si estende anteriormente fino a coprire il blocchetto di presa gas. Questo garantisce una protezione dagli urti e consente una presa
della mano più avanzata. Inoltre decidendo di montare delle mire metalliche e posizionando il mirino all’estremità anteriore dell’astina, si potrà avere il vantaggio di una linea di mira più lunga, pertanto una maggior precisione nel puntamento. L’ultimo vantaggio di questa astina è data dal fatto che la slitta posizionata sull’upper receiver è alla stessa altezza della slitta superiore del copricanna. Sarà pertanto possibile utilizzare gli organi di mira metallici a basso costo disponibili sul mercato. L’astina-copricanna è assicurata all’arma mediante quattro viti a brugola che permettono di fissare la sua parte posteriore al vitone che fissa la canna all’upper receiver come se fosse un manicotto. Ovviamente le pareti interne del copricanna non toccano né la canna, che è pertanto flottante, né la presa gas. Va anche segnalata la precisione con cui le slitte sono state realizzate: le tolleranze non superano i 5 centesimi di millimetro. Pertanto anche variando
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il punto di attacco dell’organo di mira il centro di rosata rimane costante. La finitura esterna è anodizzata nera opaca antiriflesso con un ulteriore processo di indurimento superficiale per la resistenza ai graffi secondo le specifiche dell’esercito statunitense. Chi lo desidera può richiedere dei trattamenti particolari che rendono la superficie ancora più tenace. Le carabine ADC è disponibile con una vasta gamma di lunghezze di canna: canne estremamente corte per un uso prettamente tattico da 7,5, da 10,5 e da 12,5 pollici; canne intermedie da 14,5 e da 16 pollici; canne per il tiro di precisione alle lunghe distanze da 18, 20 e 24 pollici. Purtroppo, per il momento, le canne da 7,5 e 10,5 non sono ancora state catalogate. Sono inoltre previste anche versioni in 7,62x39 con canne da 14,5 , 16 e 18 pollici. La calciatura proposta dalla ADC è del tipo estendibile. L’esemplare in prova monta un calciolo di tipo militare con
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Il rompifiamma è un vero capolavoro ed è il frutto di studi approfonditi, effettuati da Cristian Dallera, sulla dinamica dei flussi di vampa
poggiaguancia ambidestro della CAA (Command Arms Accessories) dotato di alloggio per batterie di riserva. La scelta del tipo di calciatura è retaggio del tiratore. Il tubo di scorrimento del calciolo è comunque compatibile con tutte le principali marche di accessori
per questo sistema d’arma. Anche l’impugnatura a pistola è del tipo custom e lascia spazio ai gusti personali dell’utilizzatore. La carabina viene fornita con caricatori da 5 colpi in base alle attuali disposizioni della normativa italiana. Il corpo del caricatore è TNM ••• 067
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La carabina ADC è dotata anche di un accattivante accessorio che è sicuramente importante per gli operatori di security che utilizzano l’arma per scopi operativi: gli apici delle alette del rompifiamma sono temperati e formano un vero e proprio sfonda cristalli (glass cruscher)
in plastica grigia semitrasparente con sistema di attacco STANAG utilizzato dalle versioni militari. LA PROVA Grazie alla disponibilità ed alla gentilezza di Cristian Dallera abbiamo potuto provare a fuoco la versione con canna da 14,5 pollici, denominata SWAT. Come organo di mira è stato montato un AimPoint CompM3-2Moa utilizzato dall’esercito americano. La carabina AR15 è un’arma particolarmente gradevole da sparare grazie alla sua struttura: TNM ••• 068
l’asse della canna corrisponde all’asse della calciatura. Questo fa si che il rinculo sia particolarmente lineare ed il rilevamento è ridotto al minimo. Avendo sparato frequentemente con i normali M16 di produzione Colt ho avuto modo di apprezzare obiettivamente l’effetto del rompifiamma ADC. I due fori laterali ammortizzano veramente il rinculo ed i fori di vampa superiori stabilizzano l’arma specialmente nelle sequenze di tiro in cui vengono sparati più colpi in brevissimo tempo. Il “double tap” è un vero spasso. I due colpi vanno a piazzarsi uno di fianco all’altro con estrema
facilità. Sorprendente anche lo scatto: netto, facile da gestire, ben intuibile con una breve precorsa e privo di collasso di retroscatto. Il peso di circa 1,5 Kg. permette di utilizzare l’arma per scopi operativi in condizioni di perfetta sicurezza ma consente di realizzare anche un tiro mirato di estrema
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Il sistema a punto rosso dell’AimPoint ha dimostrato di essere veramente imbattibile per un uso operativo.
precisione alle lunghe distanze. La slitta picatinny in dotazione sull’upper receiver consente di montare ottiche ad ingrandimento di qualsiasi tipo. La grippabilità dell’astina favorisce ulteriormente il mantenimento della linea di mira dopo lo sparo ed il sistema a punto rosso dell’AimPoint ha dimostrato di essere veramente imbattibile per un uso operativo. Abbiamo sparato più di 250 colpi di 223 R. gentilmente offerti dalla ditta Northwest, con palla FMJ da 62 grani con l’arma praticamente secca, priva di lubrificazione e non abbiamo avuto inceppamenti di
nessun genere. Alla fine della prova abbiamo effettuato lo smontaggio da campo ed abbiamo constatato che a livello dell’otturatore, della camera di cartuccia e delle parti vicine alla rampa di alimentazione non si è depositato alcun residuo solido di rilievo. Le superfici erano ovviamente opacizzate dai residui della combustione dei propellenti ma non abbiamo riscontrato alcun deposito palpabile. Le tolleranze ridotte al minimo impediscono il trafilaggio di gas e polveri incombuste tra le componenti della meccanica. Anche la qualità delle cartucce ha sicuramente il suo peso
sulla formazione delle morchie; ma la qualità della realizzazione delle parti meccaniche è la condizione più determinante sull’efficienza dell’arma durante l’uso prolungato. Il concetto della presenza di giochi e la probabilità che questi possano influire sugli inceppamenti è ancora oggi motivo di discussione. Se si considera un’arma come il Kala, in cui le tolleranze sono quasi esagerate, la presenza di residui dello sparo, sabbia, polvere ecc. non riesce, pur frapponendosi tra le componenti in movimento, a farle grippare. Anche in caso di lubrificazione eccessiva, sempre TNM ••• 069
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deleteria in ambito operativo, in quanto l’olio ed il grasso esercitano un effetto “carta moschicida”sulla polvere ed i detriti, difficilmente lo sporco riesce a colmare gli spazi tra le componenti del sistema di sparo. La condizione più pericolosa si ha con le armi costruite con tolleranze intermedie. In questo caso anche TNM ••• 070
leggere stratificazioni di materiale amorfo possono bloccare le parti in scorrimento reciproco. Queste armi soffrono in modo particolare quando vengono lubrificate ed utilizzate in ambienti sabbiosi. Le armi con giochi quasi inesistenti non solo non riescono ad essere penetrate dal pulviscolo
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ma le parti in scorrimento tendono ad auto-pulirsi grazie ad una sorta di raschiamento del materiale di deposito. Ovviamente queste teorie sono discutibili e difficilmente dimostrabili. Ogni meccanica ha le sue caratteristiche e non si possono generalizzare certi concetti. In ogni caso un’arma caratterizzata
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La qualità della realizzazione delle parti meccaniche è la condizione più determinante sull’efficienza dell’arma durante l’uso prolungato
da una meccanica particolarmente accurata assicura un’ottima precisione balistica, affidabilità di funzionamento ed una maggior durata nel tempo. Non va inoltre trascurato l’aspetto amatoriale: per un appassionato possedere un’arma realizzata con cura è un piacere indescrivibile e la
soddisfazione diventa ancora più grande nel momento in cui si apprezzano le prestazioni cimentandosi in tiri di precisione. Un altro aspetto importante è il prezzo: i Tactical Black Rifles della ADC con allestimento standard hanno un costo quasi sovrapponibile alla maggior parte delle carabine
commerciali con meccanica AR15. Questi prestigiosi fucili d’assalto sono pertanto un’ottima scelta per tutti gli appartenenti a gruppi di pronto intervento militare o di polizia, per gli operatori di sicurezza civili e per coloro che desiderano possedere ed utilizzare per scopi sportivi un’arma di elevata qualità. TNM ••• 071
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i Tactical Black Rifles della ADC con allestimento standard hanno un costo quasi sovrapponibile alla maggior parte delle carabine commerciali con meccanica AR15
SCHEDA TECNICA Modello: SWAT Calibro: 223 Remington Carabina con calcio telescopico, copricanna flottante in alluminio e heavy barrel Lunghezza canna: 317mm (12,5”) – con spegnifiamma inamovibile 359mm Lunghezza minima dell’arma: 751 mm con spegnifiamma e calcio telescopico chiuso Caricatore: amovibile n.05 colpi Produttore: ADC Armi Dallera Custom srl Via G.Rossa, 4 Concesio (BS) Tel. 030.8370301 UTILIZZA IL TUO SMARTPHONE PER VISIONARE I VIDEO IN ESCLUSIVA DEL TEST EFFETTUATO DA TNM
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Di T. Col. GdF Mario Leone Piccinni
Il sequestro di persona la riduzione in schiavitù il sequestro lampo:
analisi di pratiche criminali introdotte dalle mafie importate.
Il sequestro di persona è oggi un delitto in forte ripresa
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Il sequestro di persona tra passato e presente. Il sequestro di persona è oggi un delitto in forte ripresa, oramai orfano delle forme originarie della prigionia per lunghi periodi inflitta a facoltosi sequestrati, in boschi o alture, ad opera dell’anonima sarda o delle ‘ndrine calabresi, per assumere le moderne fisionomie del “sequestro lampo” e delle più disparate strategie criminali delle aggressive mafie importate, come quella cinese, albanese o nigeriana. Si assiste, quindi, ad una diversificazione delle pratiche di rapimento, con la conseguente possibilità di catalogare gli attori del delitto in argomento in cinque differenti macro-categorie: • criminalità organizzata (anonima sarda, ‘Ndrangheta calabrese); • gruppi terroristici (hezbollah, brigate rosse, ecc..); • singoli individui psicopatici, serial killer; • gruppi non organizzati; • Stati - Nazione. In ogni caso, la motivazione del delitto in argomento, è riconducibile quasi sempre ed esclusivamente alla sfera economica, con la conseguenza che il sequestrato è una semplice mercanzia, capace di generare guadagno. A prescindere comunque dalla tipologia e dagli attori del sequestro di persona, il riscatto ha spesso rappresentato, anche per gruppi criminali, politici o rivoluzionari, la possibilità di accedere a rilevanti somme di denaro, successivamente utilizzabili quali fonti di finanziamento per auto-sostentamento o quale start up per nuove azioni criminali. Le notizie, quotidianamente riportate dai mass media, testimoniano come oggi la pratica del sequestro di persona, sia esso praticato per finalità politiche o eversive ovvero quale atto criminale volto ad ottenere un tornaconto economico, sia un’attività endemica principalmente in America Latina ed Asia. Ma esistono e sono oggi estesamente diffuse, principalmente con riferimento a scenari di guerra in determinate aree del pianeta, tecniche di sequestro di persona e rapimenti riconducibili a principi unicamente di carattere politico, come comprovano le esperienze latino-americane, riferibili alle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC) o all’Ejercito Zapatista de Liberaciòn Nacional (EZLN). In tale contesto, il sequestro è peraltro utilizzato quale mezzo di manifestazione politica da gruppi terroristici, evidentemente incapaci di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica attraverso mezzi differenti dal rapimento. Nel Vecchio Continente, la pratica del rapimento a scopo politico ha raggiunto grande evidenza negli anni “di piombo”,
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Secondo indagini della Guardia di Finanza, in Italia, ben il 60% dell’intero ammontare dei profitti derivanti dai sequestri di persone a scopo di estorsione, sarebbe poi stato investito in speculazioni finanziari
principalmente per mano di organizzazioni eversive come le tristemente note brigate rosse. Quale arma politica, il sequestro di persona ha trovato diffusa applicazione nel mondo musulmano, così come testimoniato dalla prigionia inferta da hezbollah nel Libano della guerra civile ai nemici catturati, sino ai più recenti conflitti in Cecenia, Afghanistan ed Iraq, zone ove sono fortemente presi di mira obiettivi occidentali. Il rapimento è tradizionalmente una pratica criminale attraverso la quale la malavita ha sempre realizzato profitti economici; sin dai tempi del brigantaggio, il sequestro di persona ha rappresentato per i banditi un mezzo di sussistenza indispensabile per la sopravvivenza anche delle proprie famiglie. Il rapimento di persone ricche e facoltose è quindi una pratica criminale riconducibile all’era del banditismo rurale, fortemente favorita, sin dal secolo scorso, da fattori come la poca sicurezza delle vie di comunicazione, l’assenza dello Stato in aree geografiche particolarmente depresse, la presenza di estese zone boscose che garantivano protezione naturale ai sequestratori. Il sequestro di persona in Sardegna: l’Anonima Sarda. Con riferimento alla Sardegna, si può affermare che la pratica dei sequestri rappresenta una prassi estremamente peculiare per modus operandi e con radici molto più antiche di quelle di altre aree del Sud d’Italia, come la Calabria. Molti studiosi evidenziano l’esistenza di un rapporto inversamente proporzionale tra il reato di abigeato (peculiare crimine interno della realtà rurale sarda) ed il crudele delitto di sequestro di persona: difatti, alla progressiva diminuzione del furto di bestiame, nell’Isola, coincise storicamente un aumento numerico dei rapimenti. L’uomo si sostituisce quindi al bestiame quale nuovo obiettivo delle bande criminali, in grado di fornire a queste ultime maggiori vantaggi, sia in termini di gestione che di guadagni. In tale ottica, si pensi all’antico detto sardo: “gli uomini, al contrario delle pecore, non belano… impedire ad un sequestrato tenuto in cattività nei luoghi impervi della Barbagia, di chiedere aiuto, di urlare la sua disperazione, nel tentativo di attirare l’attenzione delle forze dell’ordine in servizio di pattuglia, era di gran lunga molto più semplice che impedire ad una pecora o ad un gregge rubato, di belare, rivelando così l’esatta ubicazione del bestiame…”. In territori indigenti come quelli del goceano, del nuorese, o della Gallura, il sequestro di persona, viene vissuto e visto dai più come un gesto di rivalsa o di reazione verso coloro i quali erano considerati come invasori. Ma all’imperversante diffusione dei rapimenti, contribuirono due
ulteriori elementi interni: il fenomeno dei latitanti e la peculiare morfologia del territorio isolano. Quella sarda è, difatti, una regione ricca di zone montane, spesso inaccessibili a chi non le conosce e le pratica abitualmente, costellate di immense contrade deserte, che rappresentano l’ideale per la realizzazione di basi logistiche per la detenzione dei rapiti. L’anonima sarda poteva altresì contare su una diffusa ed invalicabile omertà dei locali, oltre alla tradizionale riservatezza della popolazione sarda. Un muro d’inesistente collaborazione veniva quindi a crearsi tra popolazione locale e le Forze di Polizia che indagavano sui sequestri, una distanza che era, peraltro, alimentata dal fatto che coloro che erano mandati dallo Stato ad effettuare le indagini in territorio sardo, erano quasi sempre di provenienza esterna rispetto all’Isola e quindi considerati rappresentanti di Istituzioni centrali ritenute avverse. Spesso il sequestro era organizzato ed effettuato da pastori, “…soltanto il pastore sa dove nascondere il sequestrato; soltanto il pastore ha un alibi professionale perché non deve dar conto della prolungata assenza dal villaggio in cui risiede la sua famiglia…”.1 Nella quasi totalità dei casi, in Sardegna, i rapiti furono sempre tenuti segregati in caverne naturali o in nascondigli posizionati nei pressi di ovili, il punto di appoggio logistico ideale per carcerieri e sequestrati, ove poter ricevere con regolarità rifornimenti di viveri ed informazioni, ma anche per poter effettuare con regolarità l’alternanza dei turni di guardia al luogo di detenzione della “preziosa merce”. Con il sequestro del facoltoso, il pastore, finiva per godere della simpatia e della tutela di parte della popolazione o almeno della sua comunità rurale. Il pastoresequestratore veniva considerato un eroe-ribelle, un fuorilegge-latitante, capace d’incarnare il diffuso TNM ••• 075
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senso di rivalsa e lotta nei confronti del Regno e quindi della Repubblica in epoca successiva. Anche se autore di un sequestro di persona (o del furto di bestiame o di un gregge), il responsabile non andava denunciato alle Autorità, ma perseguito secondo i dettami dei codici barbaricini. Il latitante supramonte assume quindi il ruolo romantico di pastore-bandito-latitante. Ne è un esempio la storia di Pietro Cambilargiu di Osilo, bandito latitante che imperversava nel Logudoro sassarese, finché venne catturato da un sardo, il maresciallo dei Carabinieri Efisio Scaniglia. Con riferimento all’epoca contemporanea, ma sempre nell’ottica della tradizione sarda barbaricina, vi sono stati altri personaggi che usufruirono e vantano tutt’oggi di grande notorietà e fama tra le popolazioni dell’Isola, come Giovanni Battista Liandru ed il più recente Grazianeddu Mesina, detto il “re del supramonte”. Le ‘ndrine calabresi.
Con il sequestro effettuato nel 1963 dell’imprenditore reggino Ercole Versace, la ‘ndrangheta inaugura una lunga stagione dei rapimenti che si protrarrà sino agli anni 90. Il sequestro di persona ha trovato diffusa applicazione nel mondo musulmano, così come testimoniato dalla prigionia inferta da hezbollah nel Libano della guerra civile ai nemici catturati, sino ai più recenti conflitti in Cecenia, Afghanistan ed Iraq, zone ove sono fortemente presi di mira obiettivi occidentali
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Con il sequestro effettuato nel 1963 dell’imprenditore reggino Ercole Versace, la ‘ndrangheta inaugura una lunga stagione dei rapimenti che si protrarrà sino agli anni 90; “…fu tale il numero dei sequestri e l’alta professionalità mostrata nella gestione e nelle dinamiche delle diverse fasi del sequestro che si attribuì alle cosche calabresi una vera e propria specializzazione nel settore…” così sentenziò il Senatore Pardini nel 1998, nella “Relazione sui sequestri di persona a scopo di estorsione”, nell’ambito della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della
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mafia e delle altre associazioni criminali similari presentata in Senato. Per portare a termine il disegno criminoso, le ‘ndrine arrivavano a coinvolgere anche diverse decine di persone (principalmente del posto e legate da vincoli di parentela e quindi di affiliazione) alle quali venivano affidati compiti solitamente di secondo piano e che venivano chiamate ad operare essenzialmente in fasi differenti del sequestro, ciò allo scopo di limitare i potenziali rischi per l’organizzazione di venire individuata dalle Forze di Polizia. Da un punto di vista meramente esecutivo, i ‘ndranghetisti sceglievano le proprie vittime principalmente nelle ricche aree del centronord del Paese, per poi trasferirle (spesso senza particolari difficoltà e piuttosto celermente) e tenerle prigioniere nelle impervie ed impenetrabili zone dell’aspromontano calabrese. Come dimostrato dalle statistiche, una delle principali peculiarità del sequestro delle ‘ndrine calabresi era rappresentata dalla lunga prigionia alla quale i sequestrati erano costretti a sottostare, spesso in precarie e repellenti condizioni di vita. Un elemento, quest’ultimo, che testimonia come la ‘ndragheta godesse di un’elevata capacità logistica, “…il completo e pressoché assoluto controllo del territorio, nonostante lo Stato provvide alla militarizzazione della regione, inviando a più riprese corpi scelti dell’Esercito. Un controllo del territorio imputabile alla mobilitazione della stessa società locale, coesa al suo interno anche da indissolubili legami di sangue con gli stessi rapitori. Il sequestro diveniva così non solo una fonte di reddito, ma da un punto di vista politico, un fattore di forza, di supremazia e pieno controllo di quei luoghi, uno Stato nello Stato, anzi un anti-Stato…”.2 Secondo il Ministero dell’Interno, sarebbero ben 128 i sequestri di persona perpetrati in Calabria ed organizzati dalle ‘ndrine, con consequenziali guadagni di diverse centinaia di miliardi di vecchie lire per le famiglie criminali di San Luca, Natile di Careri e Platì, le quali notoriamente imposero una professionalizzazione del sequestro di persona. Secondo indagini della Guardia di Finanza, in Italia, ben il 60% dell’intero ammontare dei profitti derivanti dai sequestri di persone a scopo di estorsione, sarebbe poi stato investito in speculazioni finanziarie, con conseguente “lavaggio” del denaro proveniente da delitto. In particolare, secondo le stime realizzate dalle Fiamme Gialle, l’11% sarebbe stato reinvestito in attività imprenditoriali ed il 17% in beni immobili; in merito alle percentuali rimanenti non risultano evidenze o tracce specifiche, ma si può legittimamente desumere che parti rilevanti dei proventi ottenuti con i sequestri siano stati riciclati nel remunerativo traffico di sostanze stupefacenti. La fine del periodo dei sequestri da parte della ‘ndragheta calabrese e l’apertura di una nuova fase criminale con investimenti in altri settori, di certo più
redditizi rispetto a quello dei rapimenti, si deve a tre differenti fattori: • la perdita da parte dei siciliani e delle famiglie di cosa nostra di importanti fette del mercato degli stupefacenti a causa dell’incapacità di adattarsi alle nuove dinamiche dell’illecito mercato, cui fece seguito l’alleanza strategica venutasi a creare tra la ‘ndrangheta ed i grandi cartelli di narcos colombiani e la consequenziale acquisizione, da parte delle potenti ‘ndrine calabresi, del monopolio mondiale del traffico di cocaina; • l’entrata in vigore, nel 1991, nei mesi in cui nelle mani dei sequestratori vi era il piccolo Augusto de Megni, del Decreto Legislativo n. 8, convertito con legge n. 82, nota come Legge sul congelamento preventivo dei beni delle famiglie dei rapiti. La norma rendeva più difficile per le famiglie dei sequestrati reperire il denaro per pagare il riscatto e quindi per le stesse organizzazioni criminali riuscire a portate termine e con profitto il disegno criminale; • in seno alla stessa ‘ndrangheta erano sempre numerosi i boss e gli esponenti di spicco delle grandi famiglie storiche che ritenevano “immorale” il rapimento di bambini e donne, finendo per determinare una reale trasformazione del business criminale. In realtà, la citata “questione morale” era già stata sollevata dai tre principali capi bastuni della ‘ndrangheta in epoche precedenti, ma senza sortire effetto alcuno. Tale diversità di vedute su un business così importante per l’economia delle famiglie, causò anzi un ricambio generazionale all’interno della stessa ‘ndrangheta: l’uccisione nel 1975 del boss Antonio Macrì, detto zio Ntoni, (fermo e deciso ad opporsi ai sequestri di persona) servì ad intraprendere la via della trasformazione e modernizzazione dell’organizzazione malavitosa calabrese. Le potenti famiglie siciliane: Cosa Nostra. Nei primi anni Settanta, così come gli ‘ndranghetisti, anche i Corleonesi pensarono al business dei sequestri di persona a scopo d’estorsione quale strumento per l’autofinanziamento. Ma dal punto di vista strategico, le potenti famiglie siciliane operavano con modalità del tutto differenti dai calabresi. I siciliani, difatti, spesso ricorrevano al sequestro di persona come diversivo per tentare di spostare l’attenzione e la pressione delle forze dell’ordine in luoghi differenti rispetto a determinate aree o da zone nelle quali cosa nostra stava sviluppando traffici particolarmente remunerativi. Inoltre, nella metodologia dei Corleonesi, il periodo di prigionia del rapito era quasi sempre estremamente ridotto, anche a costo anche di non incamerare dalla TNM ••• 077
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Nel Vecchio Continente, la pratica del rapimento a scopo politico ha raggiunto grande evidenza negli anni “di piombo”, principalmente per mano di organizzazioni eversive come le tristemente note brigate rosse
famiglia del sequestrato quanto previsto in principio. Partendo dalla considerazione che nell’area del nord Italia poteva essere individuato un numero maggiore di potenziali obiettivi dalle disponibilità economiche importanti e che il sequestro di persona quale tattica di diversione in realtà finiva al contrario per attirare pericolosamente sull’Isola numeri imponenti di carabinieri, finanzieri e poliziotti, la Commissione di cosa nostra decise di proibire ogni rapimento in Sicilia. Tra il 1971 ed il 1972 in Sicilia vennero sequestrati Antonino Caruso, Giuseppe Vassallo, Luciano Cassina e l’enologo Francesco Madonia. I siciliani spostarono quindi le proprie mire nel Lazio ed in Lombardia (sequestro Torielli nel 1972, e sequestro Baroni, nel 1974) ed in Piemonte (sequestro Montelera, 1972). In ogni caso, la pratica dei sequestri di persona fu presto abbandonata da cosa nostra in favore della ripresa del business legato al traffico di stupefacenti. Il sequestro di persona: un fenomeno planetario. Mentre in Italia la pratica del sequestro di persona è quindi strettamente legata a ben definiti periodi e percorsi storici, a livello planetario il rapimento è un delitto che sta conoscendo una stagione davvero floridissima. Verso la fine degli anni Settanta, mentre il sequestro a scopo d’estorsione, attuato da organizzazioni criminali ben strutturate e dal banditismo sardo, sembrava rappresentare un fenomeno oramai in via di estinzione, in Europa, complice la diffusione del terrorismo eversivo di matrice marxista-leninista e maoista, forgiato sui modelli adottati dal gruppo separatista basco di Euskadi Ta Askatasuna (ETA), nasce e si diffonde il sequestro per fini politici. Allo scopo di catalizzare l’attenzione generale sulle proprie battaglie e sulla propria ideologia, gruppi terroristici, anche militarmente strutturati, come le Brigate Rosse, l’Eta, la Rote Armee Fraktion, Hamas ed Hezbollah, ricorreranno al rapimento di alte personalità provenienti dal mondo politico, istituzionale, militare, imprenditoriale. In tale ambito, ovvero quello della strategia destabilizzante avente il fine precipuo di attaccare il cuore dello Stato, vanno annoverati alcuni tra i più noti e tragici sequestri degli ultimi anni ‘70 ed inizio anni ’80, come il noto e tragico rapimento Moro (16 marzo-9 maggio 1978), il sequestro dell’Ing. Mincuzzi, dirigente dell’Alfa Romeo (28 giugno ’73), del Sostituto Procuratore Sossi (18 aprile ’74), del Giudice D’Urso (12 dicembre 1980), dell’assessore democristiano Ciro Cirillo (27 aprile del 1981), del Generale USA James Lee Dozier (17 dicembre 1981). Accanto ai sequestri con finalità politiche, ideologiche e propagandistiche, vi furono comunque TNM ••• 078
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rapimenti perpetrati da terroristi anche per meri scopi finanziari, ma si tratta di episodi dettati dalla necessità per i sodalizi eversivi di garantirsi la stessa sopravvivenza attraverso tale forma di autofinanziamento. La presa e carcerazione dell’ostaggio fa conoscere all’opinione pubblica l’organizzazione e palesa, ai militanti stessi, la potenza e la capacità del gruppo d’appartenenza; una dimostrazione di potenza e capacità di colpire simbolicamente i centri importanti dello Stato e del sistema capitalista. Frequenti, in determinate zone del pianeta, sono i rapimenti in cui gli ostaggi sono usati come merce di scambio per ottenere la liberazione di membri o di simpatizzanti/sostenitori in carcere. Si tratta, solitamente, di sodalizi piuttosto numerosi e militarmente organizzati che, attraverso la cattura di personalità politiche o gruppi di persone, tentano di esercitare pressioni sui governi in carica o di far cadere un determinato regime che reputano illegittimo. I terroristi che organizzano un sequestro politico puntano ad ottenere una vasta eco dell’azione, per suscitare interesse rispetto all’ideologia ed ai programmi del proprio gruppo eversivo. Oggi, il sequestro di persona per fini politici, è utilizzato da numerosi gruppi terroristici, come i talebani in Afghanistan, i gruppi islamici Hizb ut-Tahrir al-Islami in Uzbekistan, il Moro Islamic Liberation Front, i gruppi islamici ceceni, i filippini di Abu Sayyaf, al-Qaida con tutte le sue diverse affiliazioni e ramificazioni locali, la stessa Hamas, gli Hezbollah libanesi sciiti e gli Hezbollah turchi sunniti, i vari gruppi di resistenza in Iraq, i militanti della Forza Volontaria Popolare del Delta del Niger, i miliziani del Fronte di Liberazione nazionale dell’Ogaden e quelli di Jundallah dell’Iran meridionale. Attualmente, tra le organizzazioni che utilizzano il sequestro politico, i più numerosi sono senza dubbio i gruppi terroristici di matrice islamica, seguiti da gruppi eversivi di matrice marxista-leninista, attivi in diverse regioni del Sud America. Questi ultimi, con particolare riferimento ai gruppi che operano in Colombia, sono responsabili di circa l’80% degli episodi di rapimento di persone. Ancora oggi, gruppi come le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia - Ejército del Pueblo e l’Ejército de Liberación Nacional de Colombia, ottengono profitti generati dai sequestri di persona oscillanti tra i 150 ed i 350 milioni di dollari, pari al 40% - 60% dei loro guadagni complessivi.3 Si tratta di gruppi politici armati, con un forte movente politico, che si autofinanziano anche mediante la gestione di attività criminali collaterali come il traffico di stupefacenti. Ma mentre l’azione delle FARC registra una forte contrazione delle simpatie e della vicinanza ideologica della popolazione al processo rivoluzionario, si assiste ad una progressiva diminuzione dei sequestri politici
cui corrisponde un aumento dei sequestri di persona a scopo estorsivo eseguiti dalla criminalità comune, dovuto fondamentalmente alla nascita del cosiddetto “secuestro al paso” o “sequestro lampo”. In Colombia, quella che i colombiani chiamano la pesca milagrosa, consiste nel condurre con la forza i rapiti ad una postazione bancomat ove i malcapitati vengono costretti a prelevare del denaro per poi essere rilasciati. In Messico ed in Venezuela, al contrario, si assiste ad un aumento esponenziale dei rapimenti; l’Observatorio Venezolano de Violencia, sostiene che nella capitale venezuelana, ogni anno, si conterebbero circa 9.000 sequestri di persona, contro i 518 rapimenti citati dai dati ufficiali.4 Ancora più preoccupante sembra essere la situazione in Messico, ove (secondo la Procuradorìa General de la Repùblica de Mexico) si registrano in media oltre due sequestri al giorno ed ove i rapimenti vengono utilizzati come arma contro i nemici nell’ambito del più vasto conflitto tra i cartelli della droga, i quali, come noto, hanno ormai soppiantato quelli colombiani. Il “secuestro al paso” o “sequestro lampo” è una tipologia di sequestro oggi largamente diffusa nei vastissimi agglomerati suburbani delle favelas delle città brasiliane, ove gruppi di narcotrafficanti vi ricorrono per confermare il proprio predominio sul territorio o per ottenere denaro contante dal rapito o da persone a lui legate. Generalmente il sequestro lampo ha una durata di poche ore ed ha una percentuale di liberazione delle vittime che si aggira intorno al 99%. Si tratta di crimini che solitamente non vengono denunciati dalle vittime. In altre zone come il Perù, le potenziali vittime vengono individuate sulla base dell’autovettura su cui si muovono; viene quindi solitamente utilizzata la tattica del tamponamento: al momento della constatazione dell’incidente, la vittima viene immobilizzata e rapita per essere condotta nel luogo prescelto per la detenzione. Sempre in Sud America, i target vengono sequestrati appena usciti da banche o istituti di credito; nelle Filippine i sequestri di persona sono invece gestiti da gruppi fondamentalisti islamici o gruppi politici, come Abu Sayyaf, che effettua rapimenti di massa in danno di occidentali, considerati i nemici della ricostituzione della Umma pan-islamica. Per quanto attiene al mondo arabo-islamico, è possibile affermare che la pratica dei rapimenti è ormai tragicamente comune: in Afghanistan ed Iraq, ove i rapimenti sono conseguenze delle guerre intertribali arabe, sono numerosissimi i casi di rapimento di cooperanti, militari e contractors occidentali, anche se bisogna evidenziare che ben il 98% dei sequestrati sono soggetti locali. E’ certo che quella dei rapimenti è divenuta per quei paesi una vera e propria industria, capace di fatturare diversi milioni di dollari. TNM ••• 079
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Il sequestro strategico perpetrato da Stati-Nazione. Il sequestro in argomento è un’azione di tipo strategico, effettuato da stati sovrani, il cui scopo è conseguire determinati obiettivi politici di portata anche internazionale e che rappresentano target importanti per lo Stato stesso. Il caso simbolo di tale tipologia di sequestro strategico, è rappresentato dalla presa dell’ambasciata statunitense a Tehran, da parte dello stesso governo iraniano, avvenuta nel 1980 e la conseguente lunga prigionia di ben 444 giorni cui furono costretti i funzionari americani in servizio presso la sede diplomatica. Rapimenti attuati da soggetti psicopatici e serial killer. Altra categoria di sequestri di persona sono quelli perpetrati da singoli soggetti aventi forti disturbi sociali altrimenti definibili “psicopatici”, o da soggetti noti come “serial killer”. Solitamente si tratta dei rapimenti condotti non per fini economici ma dettati da disturbi mentali del sequestratore e che per tale motivo risultano di più ardua soluzione, in quanto alla cattura del rapito non segue una richiesta di riscatto. La soluzione viene peraltro resa ancora maggiormente improbabile dall’assenza di una motivazione che giustifichi il reato o un evidente filo logico che leghi il sequestrato al rapitore. TNM ••• 080
Caso classico è quello, oramai noto all’opinione pubblica di tutto il mondo, del rapimento compiuto da Wolfgang Priklopil, in danno della giovane austriaca Natascha Kampusch. La giovane viennese, rapita nel 1998 all’età di soli 10 anni mentre si recava a scuola, riuscì a fuggire dalla sua prigione, ricavata dall’insospettabile sequestratore in uno scantinato della propria abitazione, solo nell’estate del 2006, dopo otto lunghi anni di prigionia. A tale tipologia di sequestri sono riconducibili quelli pianificati da gruppi non organizzati, che spesso vedono fallire il progetto criminale proprio in virtù della loro “incapacità criminale”. Caso assai conosciuto è quello relativo al piccolo Tommaso Onofri, ucciso dai suoi sequestratori a Casalbaroncolo nel 2006. In questo caso, il gruppo di rapitori era costituito da un gruppo di muratori convinti che il proprietario dell’immobile a cui stavano lavorando, il padre del piccolo Tommaso, fosse un imprenditore abbiente; il sequestro lampo che cercarono di organizzare finì in tragedia con l’assurda uccisione del piccolo rapito. Il sequestro di persona praticato dalle mafie importate. Come noto, uomini e donne di ogni religione e cultura giungono ogni giorno in Italia, speranzosi di conquistare condizioni di vita migliori rispetto a quelle da cui sono fuggiti dai propri luoghi di origine. In realtà, per molti di loro, entrare illegalmente in Italia significa cadere nella rete delle mafie straniere
w area law area law area law area law area law area law ar In Messico, ove (secondo la Procuradorìa General de la Repùblica de Mexico) si registrano in media oltre due sequestri al giorno ed ove i rapimenti vengono utilizzati come arma contro i nemici nell’ambito del più vasto conflitto tra i cartelli della droga, i quali, come noto, hanno ormai soppiantato quelli colombiani.
già presenti nel territorio nazionale e ben collegate alle organizzazioni criminali autoctone. Le c.d. nuove mafie, presentano ovviamente specificità e strutturazioni differenti a seconda dell’etnia degli affiliati; sono sodalizi ed organizzazioni criminali di etnia est europea, cinese, albanese, nordafricana, sudamericana, validamente organizzate e con robuste propensioni internazionali, stretti da interessi comuni con le mafie locali, con solidi collegamenti con i territori di provenienza e con ramificazioni nel territorio in cui operano. Le consorterie delinquenziali di stanza nel nostro Paese, sono dedite principalmente al traffico di esseri umani e di migranti, al traffico di stupefacenti e di armi, allo sfruttamento dei lavoratori clandestini ed alla prostituzione. In tale contesto, il sequestro di persona, è un reato spesso connesso allo sfruttamento della prostituzione ed a reati cosiddetti predatori esperiti contro il patrimonio. Per ciò che attiene alla prostituzione, si tratta di un business ormai divenuto monopolio di organizzazioni criminali extracomunitarie o comunitarie come quella rumena. Altro evento criminale connesso al fenomeno rapimenti è rappresentato dall’accattonaggio, triste realtà di sfruttamento e sottomissione cui vengono sottoposti principalmente bambini nomadi di origine Rom, “…per ciò che attiene, invece, bambini impiegati in Italia nell’accattonaggio e provenienti dall’area balcanica (Kosovo, Albania e Bosnia Erzegovina soprattutto), le evidenze investigative di questi anni hanno dimostrato come spesso, nel proprio Paese di origine, il minore venga ceduto o affidato dalla propria famiglia a sodalizi criminali che si occupano della successiva collocazione dell’adolescente all’estero e quindi della sua custodia, spesso gestita con metodi violenti ed al limite della riduzione in schiavitù e del suo sfruttamento…”.5 All’interno delle comunità Rom vi sono altre tipologie di sequestro di persona, che anche da un punto di vista prettamente giuridico sono qualificabili come tali. E’ il caso dei familiari di un ragazzo che rapiscono e tengono prigioniera la donna, spesso minorenne ed in molti casi addirittura ancora bambina, che essi intendono far diventare moglie del proprio congiunto. Altro delitto strettamente correlato ai sequestri di persona è il traffico di bambini, triste realtà che vede coinvolte principalmente alcune organizzazioni criminali straniere operanti in Italia; il bambino può essere sottratto alla propria famiglia in patria con la falsa promessa di una vita migliore, oppure può essere rapito per poi essere portato all’estero ove sarà costretto all’accattonaggio, potrà essere utilizzato per il prelievo di organi che saranno oggetto di traffico illegale, verrà obbligato a commettere reati come furti e borseggi, a prostituirsi o sarà venduto a
soggetti orbitanti nel perverso mondo della pedofilia. Ma la pratica criminale importata in Italia dalla criminalità straniera e che nel nostro territorio ha trovato ampia diffusione, è senza dubbio quella rappresentata dai sequestri lampo, un tipo di sequestro nell’ambito del quale i criminali bloccano e tengono in ostaggio una persona o anche un intero nucleo familiare, fino a quando il capofamiglia non torna con il riscatto richiesto, per poi fuggire. Oramai estremamente diffusa, questa pratica, annovera tra i suoi principali obbiettivi soggetti benestanti, ma anche direttori di banca o di uffici postali o comunque individui che possono accedere a luoghi (come casseforti e caveau) ove sono custoditi denaro e valori. I criminali, dopo aver fatto irruzione nell’abitazione dell’obbiettivo prescelto, “...sequestrano i componenti della famiglia ed obbligano, con la minaccia di fare del male alla persone tenute in ostaggio, il capofamiglia a recarsi sul posto di lavoro, ad aprire la cassaforte, prelevare denaro ed altri valori ed a consegnarli loro; solo in quel caso le persone sequestrate saranno lasciate libere… si tratta, quindi, di episodi che spesso si risolvono in breve tempo…”.6 La mafia russa, una volta condotte giovani donne russe in Italia, le obbliga a perpetrare il meretricio in locali notturni spesso riconducibili a membri o boss della mafia dell’ex Unione Sovietica. Anche la criminalità bulgara è particolarmente attiva nello sfruttamento di minori ed adolescenti, principalmente di etnia Sinta, utilizzati per commettere reati minori, come scippi, furti, borseggi ed accattonaggio. Le investigazioni hanno evidenziato come i bambini vengano “acquistati” dall’organizzazione fra le famiglie più indigenti di alcune aree geografiche rurali della Bulgaria, le quali vendono i propri figli per un predefinito periodo di tempo in cambio di denaro. Per ciò che attiene alla comunità cinese in Italia, le evidenze investigative, hanno dimostrato come i sequestri di persona a scopo d’estorsione siano sovente connessi alla riscossione del debito contratto dal clandestino con l’organizzazione per giungere in Italia. Anche la criminalità cinese è particolarmente dedita allo sfruttamento delle donne da avviare alla prostituzione; dopo essere state rapite, le giovani donne asiatiche, vengono tenute in ostaggio con la minaccia di violenze e costrette a prostituirsi contro la propria volontà quasi sempre all’interno di “case di prostituzione” controllate dalle stesse organizzazioni criminali cinesi. L’oligopolio della prostituzione e quindi dei rapimenti delle donne da avviare al meretricio vede la criminalità nordafricana, quella nigeriana e maghrebina, particolarmente impegnata. Le vittime vengono condotte in Italia con la promessa di un lavoro; una volta nel nostro Paese, le giovani donne sono costrette a prostituirsi per saldare il prezzo dovuto all’organizzazione che ne ha permesso TNM ••• 081
law area law area law area law area law area law are Il latitante Francesco Perre scortato dai Carabinieri dello Squadrone Cacciatori di Calabria
l’ingresso clandestino. Una volta sequestrate, l’organizzazione criminale tiene prigioniere le ragazze all’interno di alloggi sotto la custodia di donne chiamate “maman” o “madame”, sotto la costante minaccia di riti “juju” o “woodoo”, (le donne nigeriane, difatti, sono prigioniere di credenze e ritualità legate alla religione ed alla magia, le quali rappresentano motivo di sottomissione ed asservimento psicologico). Strutturate in gang, anche le consorterie criminali sudamericane operanti nelle città italiane sono fortemente interessate al business dei rapimenti delle donne e dello sfruttamento della prostituzione. Le donne, anche in questo caso, vengono rapite e violentate sistematicamente per poi essere costrette al meretricio; nell’ambito delle faide tra gruppi rivali per la spartizione del territorio, numerosi sono i casi di violenze sessuali nei confronti di donne appartenenti a gang avversarie. In tale contesto, particolarmente orientati ad una gestione violenta e feroce del racket della prostituzione, sono le consorterie criminali nigeriane, rumene ed albanesi. La criminalità albanese e quella rumena detengono posizioni predominanti nel business della prostituzione, e gestiscono i propri illeciti traffici con metodi estremamente inumani, crudeli e spietati; le donne rumene ed albanesi vengono prima rapite nel proprio paese di origine, quindi fatte entrare clandestinamente in Italia ove vivono in stato di schiavitù, torturate e regolarmente violentate. I criminali requisiscono loro documenti e passaporti, ed in caso di ribellione le minacciano di ritorsioni sui familiari rimasti in patria. Un’ultima tipologia di reato connessa al sequestro di persona ed introdotta nel nostro Paese dalla criminalità albanese, è quella delle cosiddette rapine in villa. Si tratta di un fenomeno che riguarda, primariamente, ville situate nel Nord Italia, ove i criminali aggrediscono e sequestrano interi nuclei familiari all’interno della loro abitazione per razziare TNM ••• 082
tutto quanto di valore riescono a reperire; “…le incursioni vengono effettuate da veri e propri commando composti da gruppi più o meno numerosi di criminali; le vittime vengono sequestrate, immobilizzate, spesso selvaggiamente picchiate sino a che non consegnano tutti i valori presenti in casa o custoditi in casseforti o caveau. In questi anni le rapine in villa hanno fatto registrare diversi episodi di violenza sessuale in danno di donne che dimoravano al momento dell’irruzione nell’abitazione presa di mira...”.7 Da quanto relazionato emerge, pur nella consapevolezza che in Italia sono nate e permangono organizzazioni criminali autoctone come la camorra, la ‘ndragheta, la sacra corona unita e cosa nostra, che in realtà l’aberrante reato del sequestro di persona e la riduzione in schiavitù sono delitti che in Italia erano cessati con la sparizione dell’anonima sarda, ma che sono ricomparsi, in forme e con dinamiche diverse, perché direttamente importati nel nostro territorio da gruppi etnici extracomunitari ivi insediatisi. Da qui, il compito di una lotta sempre più qualificata ed incisiva da parte dello Stato italiano nei confronti di chi viola diritti fondamentali per la persona e la società stessa. NOTE 1, 2,6,7 “Tratto da: “Ladri di uomini”, di Michele Brunelli, Maria Francesca Chiappe, Mauro Mura e Mario Leone Piccinni, Edizioni della Torre, 2011. 3 Dati tratti da un reportage di Tamara Makarenko, in “Kidnapping increases in Latin America”, Jane’s Intelligence Review, June 01, 2003. 4 National Counterterrorism Center Office of the Coordinator for Counterterrorism, Country Reports on Terrorism Annex of Statistical Information, US State Government, Washington D.C., April 30, 2007. 5 Tratto da: “Ladri di uomini”, di Michele Brunelli, Maria Francesca Chiappe, Mauro Mura e Mario Leone Piccinni, Edizioni della Torre, 2011. 6 Tratto da: “Ladri di uomini”, di Michele Brunelli, Maria Francesca Chiappe, Mauro Mura e Mario Leone Piccinni, Edizioni della Torre, 2011.7 Tratto da: “Ladri di uomini”, di Michele Brunelli, Maria Francesca Chiappe, Mauro Mura e Mario Leone Piccinni, Edizioni della Torre, 2011
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US ON FOCUS ON FOCUS ON FOCUS ON FOCUS ON FOCUS ON FOCUS ON La nuova armeria 3GUN situata a Milano in Viale Certosa 14 ci ha gentilmente dato in prova una Glock mod. 32 e munizioni di differenti produzione
Il dibattito su quale sia il calibro ideale per la difesa personale è sempre stato uno degli argomenti imperanti nelle riviste e nei testi sulle armi da fuoco. La scelta del munizionamento da pistola o da fucile, per l’esercito, per le forze di polizia e per il personale armato civile, è un tema estremamente delicato ed importante in quanto è determinante sull’esito di azioni operative estremamente drammatiche. In uno scontro a fuoco è l’effetto terminale del proiettile che permette di rendere inoffensivo l’avversario. Le commissioni militari e delle forze di polizia addette allo studio ed alla scelta degli armamenti dedicano la maggior parte del loro tempo alla valutazione dei munizionamenti e delle armi presenti sul mercato così da poter proporre la dotazione più idonea per i propri operatori. Ovviamente, sia per le armi lunghe che per le corte, non esiste un binomio arma-cartuccia che possa essere considerato la scelta migliore per tutte le situazioni operative: un agente di sicurezza armato di pistola che svolge il proprio servizio sugli aerei di linea avrà delle esigenze completamente diverse da un agente della Border Patrol Texana che pattuglia i confini con il Messico. Pertanto la scelta dell’arma e del calibro viene fatta sempre in funzione delle valutazioni tattiche determinate dalle caratteristiche dell’ambiente in cui si deve operare, dalla distanza d’ingaggio dell’eventuale avversario, dall’abbigliamento e dalle caratteristiche dell’operatore (agente in divisa, in abiti civili, indumenti invernali o estivi, maschio o femmina, ecc…). Grazie alla fisica, esistono però dei parametri generali per la valutazione della capacità invalidante di un proiettile che si deducono mediante formule matematiche e che possono dare un’idea teorica dell’effetto lesivo del proiettile stesso. Sulle tabelle dei vari munizionamenti viene spesso riportata l’energia cinetica espressa in Foot/ pound, in Joule o in Chilogrammetri (Kgm). L’energia cinetica si ottiene moltiplicando ½ della massa
DI GALDINO GALLINI foto di fabio boscacci
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La traiettoria di tiro di questa cartuccia è particolarmente tesa e permette di ingaggiare con successo bersagli anche a lunga distanza.
Per le prove abbiamo utilizzato l’eccellente fondina della ditta americana Black Hawk. Il modello da noi utilizzato è denominato Sistema SERPA®, la quale presenta il sistema brevettato AUTO LOCK® per il blocco immediato dell’arma non appena riposta. Per info sul sistema SERPA e i Prodotti BLACK HAWK: www.madmaxco.com
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Durante le prove abbiamo scaricato un intero caricatore sulla portiera di una macchina per testare le qualità balistica del 357. Notare i particolari dei fori di entrata e di quelli di uscita.
per la velocità al quadrato. Molti preferiscono calcolare la “quantità di moto” che si ottiene moltiplicando la massa per la velocità. Esistono comunque equazioni molto più complesse ma anche più attendibili per calcolare il potere d’arresto di un proiettile ma la loro complessità le rende retaggio dei soli addetti ai lavori. Intuitivamente più il proiettile è veloce, pesante e grande di diametro e maggiore sarà il suo “stopping power”. In realtà le TNM ••• 088
cose non sono così semplici. Un colpo di 454 Casull con palla FMJ da 225 grains ha una velocità di quasi 600 m/ sec. Se viene sparato contro un bersaglio umano tende però a trapassare e ad uscire con una velocità residua quasi invariata scaricando così solo una piccola parte della sua energia sul bersaglio. Un 45ACP con palla di peso equivalente ed in conformazione Hollow Point ha una velocità di soli 260 m/sec. ma, grazie anche
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alla deformazione a fungo determinata dall’impatto con i tessuti, tende a fermarsi all’interno del bersaglio scaricando così l’intera energia cinetica su di esso. Pertanto il 45 ACP riesce ad avere un potere d’arresto più elevato su un bersaglio umano rispetto all’esuberante 454 Casull. Ovviamente gli studi più approfonditi sull’efficacia delle cartucce sono stati fatti negli Stati Uniti d’America. Sta di fatto che, sulla scia di tutte queste valutazioni matematiche, dopo aver effettuato innumerevoli prove di penetrazione su tutti i tipi di materiali inerti e tessuti organici, grazie anche allo studio delle ferite letali e non letali delle persone colpite negli scontri a fuoco unitamente alle testimonianze degli agenti che hanno partecipato attivamente a tali scontri, molti esperti di balistica terminale hanno pontificato che il miglior binomio arma corta/cartuccia per la difesa personale e per le forze di polizia è il 357 Magnum con palla da 125 grs. in configurazione Hollow point, sparata in un revolver con canna da 4 pollici ( circa 10 cm.). La velocità del proiettile si aggira, a seconda della carica utilizzata dalle varie case produttrici, attorno ai 1400/1450 ft/sec. e l’energia è di circa 500/550 ft/lb. Fino a metà degli anni 80 il revolver è sempre stato considerato più affidabile della pistola semiautomatica, inoltre permetteva di utilizzare cartucce molto più potenti. Successivamente le moderne tecniche di lavorazione ed il raffinamento dei progetti, ha portato ad una parificazione dell’efficienza e dell’affidabilità tra le pistole a tamburo e le automatiche. Inoltre la possibilità di poter effettuare un ricaricamento veloce dell’arma mediante la sola sostituzione del caricatore e la elevata disponibilità di caricatori bifilari ad alta capacità ha portato ad una drastica inversione di tendenza. Attualmente i sostenitori del revolver come arma da fianco per difesa personale sono una netta minoranza e la pistola semiautomatica è diventata l’arma più diffusa sia tra le forze militari e di polizia sia in ambito civile. Se la scelta della meccanica dell’arma è giunta ad un punto di accordo comune, così non è per la scelta del calibro. Inizialmente la contesa era tra il 9 mm.Pb che veniva preferito dalla scuola europea ed il 45 Auto da sempre considerato insostituibile dagli esperti statunitensi. Finalmente, dopo la comparsa dell’eccessivo 10 Auto, è arrivato il 40 S.W. a mettere d’accordo le due scuole. Ma, nel 1994, la presenza degli irreducibili sostenitori delle prestazioni del 357 Mg. con palla da 125 grs. ha indotto la SIG Sauer tedesca in collaborazione con l’americana Federal Cartridge Company a progettare una cartuccia per pistola semiautomatica con caratteristiche sovrapponibili. Il punto di partenza è il bossolo della cartuccia 40 S.W. Grazie alle sue dimensioni non eccessive tutti i fusti nati per contenere caricatori bifilari o monofilari in 9x19 possono essere utilizzati per allestire la versione in 40. A questo punto mediante la trasformazione a bottiglia del bossolo stesso, i tecnici della Federal hanno potuto progettare questo nuovo 9 mm. che, grazie alla elevata capacità di carica del bossolo del 40, ha permesso di
utilizzare polveri a media velocità di combustione capaci di spingere la palla da 9 mm con peso di 125 grs. alla velocità di circa 1420 ft/sec. senza sprigionare pressioni eccessive. La prima arma prodotta in questo calibro è stata la Sig Sauer mod. 229, già in produzione in calibro 40 S.W. Attualmente c’è una vasta scelta di pistole camerate per questa cartuccia e molte armi in cal. 40 possono essere trasformate in 357 SIG mediante la sola sostituzione della canna; molla e caricatori sono infatti perfettamente intercambiabili. La nuova Armeria 3GUN situata a Milano in Viale Certosa 14 ci ha gentilmente dato in prova una Glock mod. 32 e munizioni di differenti produzioni. La Glock 32 è la versione di dimensioni intermedie della linea in 357 SIG. La canna è lunga 102 mm. ed il caricatore può contenere 13 colpi; le dimensioni sono sovrapponibili al mod. 19 ed al mod. 22. La Casa austriaca offre anche il mod. 31, una pistola “full size” con canna da 114 mm. ed una capacità di 15 colpi, che ha dimensioni sovrapponibili alla Glock 17 ed alla Glock 21. La linea viene completata da una versione super compatta, la Glock 33, con canna da 88 mm. e caricatore da 9 colpi con dimensioni sovrapponibili ai mod. 26 e 27. Le armi della Glock ormai non hanno più bisogno di presentazioni. La loro larga diffusione in tutto il mondo è la dimostrazione evidente dell’affidabilità del prodotto. La canna a sei principi con pieni a margini TNM ••• 089
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arrotondati riesce ad imprimere velocità leggermente superiori rispetto alle rigature tradizionali. Il fusto in plastica ha un’azione determinante nell’ammortizzazione del rinculo e l’asse della canna particolarmente basso minimizza il rilevamento dell’arma allo sparo. Infatti, anche i calibri leggermente rabbiosi tipo il 40 ed 357 SIG, sono molto controllabili e gestibili anche nelle sequenze di tiro veloce. Lo scatto in semi-doppia azione con percussore lanciato è ottimo per l’uso operativo ma permette anche di ottenere rosate strette nel tiro mirato, specialmente utilizzando la leva di scatto da 2 Kgr. Per la prova a fuoco abbiamo utilizzato delle CCI Lawman con palla da 125 grs. TCFMJ che raggiungono una velocità alla bocca di circa 1360 ft/sec e delle Sellier & Bellot anch’esse con palla TCFMJ ma con peso di 140 grs., che escono ad una velocità decisamente inferiore: 1210 ft/sec. Infine delle Federal American Eagle con palla da 125 grs. FMJ e velocità iniziale di 1350 ft/sec. Il mercato offre una scelta di peso di palla che va dai 115 grs. fino ai 150 grs. Purtroppo le leggi italiane proibiscono l’utilizzo di palle a punta cava per difesa personale ed il 357 SIG ha significato solo se utilizzato con proiettili espansivi. L’elevata velocità intrinseca di questo calibro rende non idoneo l’uso di palle blindate per scopi difensivi. L’eccessiva capacità di penetrazione minimizza il potere d’arresto e rappresenta un pericolo per eventuali persone poste dietro il bersaglio. La traiettoria di tiro di questa cartuccia è particolarmente tesa e permette di ingaggiare con successo bersagli anche a lunga distanza. La scarsa diffusione del 357 SIG nel nostro paese influisce drasticamente sul costo del munizionamento. Unica soluzione: la ricarica. Chi decide di ricaricare questo calibro deve tener presente che solo la Dillon produce un die ricalibratore al carburo. Se ci si orienta sulle altre marche bisogna considerare che il bossolo va lubrificato prima della ricalibratura. Il punto dolente di questa cartuccia a collo di bottiglia è la crimpatura. E’ bene munirsi di un “factory crimp” della Lee, che oltre a rifinire la conformazione totale della cartuccia finita, assicura anche un crimpaggio di tipo “Taper” che comprime tutta la parte del bossolo che abbraccia la palla. I normali “roll crimp” infossano la sola rima superiore del bossolo. Il crimpaggio tenace fa si che la palla non venga spinta dentro il bossolo nella fase di cameratura; inoltre la cartuccia utilizza, come punto d’arresto in camera di scoppio, sia l’angolo di spalla che, soprattutto il margine anteriore del bossolo. Per questo motivo il “taper crimp”, non modificando la rima del bossolo, assicura una maggior precisione della cartuccia. Per quanto riguarda i propellenti, al fine di non eccedere con le pressioni, è meglio utilizzare polveri medio progressive come le Vihtavuori N340, N350, 3N37, la Winchester 540, la REX Verde, la Bofors JK3, ecc. Attualmente il 357 SIG è in dotazione alle forze di polizia di una quindicina di Stati americani ed al personale di alcune agenzie federali. L’utilizzo di questo calibro per difesa da parte di TNM ••• 090
personale civile o come arma di servizio per personale di sicurezza che opera nei centri urbani ed in ambienti ad elevata densità di popolazione non è certo la scelta più felice. La penetrazione molto elevata e la grande velocità rappresentano un pericolo per eventuali passanti. Nel nostro Paese, dove l’utilizzo per difesa delle palle a punta cava è proibito, gli aspetti negativi sono ancora più evidenti. E’ comunque indiscutibile il fascino di questa performante cartuccia, la precisione elevata anche alle lunghe distanze può dare grandi soddisfazioni ai tiratori e può essere considerata una interessante alternativa al 40 S.W. Tra gli operatori d’oltre oceano che possono invece utilizzare tutte le conformazioni di palla, il 357 SIG trova la sua giusta collocazione, specialmente per chi svolge il proprio servizio in ambienti aperti con distanze d’ingaggio elevate. Ringraziamo: l’Armeria 3GUN di Viale Certosa 14-Mlano, specializzata in armi tattiche e sportive, ricarica e buffetteria, per averci fornito l’arma e le munizioni.
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LINX Di ZORAN MILOSEVIC
Ùtvar Osobitného Urcenia Prezidia Policajného zboru (UOU), l’Unità di incarico speciale, meglio conosciuto sotto il nome di LYNX commando, rappresenta l’elite dell’antiterrorismo all’interno della polizia di Bratislava. Il LINX è uno degli elementi più importanti nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata in Slovacchia. La Repubblica Slovacca e la Repubblica Ceca sono nate il 1º gennaio 1993 dalla divisione sancita dal parlamento della Cecoslovacchia, che già dal 1990 aveva assunto il nome di Repubblica Federale Ceca e Slovacca. La repubblica Slovacca si è oramai adattata agli standard di vita occidentali, soprattutto per quanto riguarda le strutture militari (in quanto membro della NATO) e quelle sociali (come membro dell’Unione Europea). Questi adattamenti, in conformità con lo sviluppo dell’Europa moderna, hanno inevitabilmente portato alla comparsa di nuove forme di minacce sociali, quali la criminalità organizzata e le varie organizzazioni mafiose. Per combattere con successo queste minacce, la Slovacchia detiene un efficace unità anti-terrorismo, nota sotto il nome di “Útvar Osobitného Určenia” detta anche Commando LINX. Nonostante il LINX non abbia la fortunata fama di altre unità speculari conosciute a livello mondiale, possiamo tranquillamente affermare che l’unità vanta al suo interno personale altamente preparato in grado di far fronte a qualsiasi attività
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di counter terrorism. Fortunatamente, nonostante l’Unità abbia finora partecipato a molte azioni ad alto rischio sul territorio Slovacco (arresti di criminali vari e terroristi), non ha mai preso parte ad operazioni di hostage rescue. L’unica tale operazione ha avuto luogo nella città di Kaplna nel 2003, quando il LINX in collaborazione con l’unità PPU dalla città di Trnava, ha arrestato un noto e pericoloso criminale, salvando tutti e quattro gli ostaggi, da lui presi durante un tentativo di fuga. Formazione dell’Unità Il LINX affonda le proprie radici nelle varie strutture impegnate nel campo dell’antiterrorismo della ex Cecoslovacchia fino ad arrivare all’ attuale URNA, l’Unità Anti Terrorismo della Polizia Ceca. Durante il dominio dei socialisti, che hanno governato la Cecoslovacchia per molti anni, è stato deciso che lo Stato avrebbe dovuto avere una propria unità di polizia d’elite, fatta di agenti appositamente addestrati ed equipaggiati in modo da essere in grado di combattere con successo tutte le minacce criminali. È così è stata costituita URNA nel 1980, la quale divenne membro del Corpo di Polizia denominata Direzione 13 °, Il suo compito era quello di lottare contro tutte le forme di criminalità esistenti. Dall’altra parte, alla fine degli anni 1980 e all’inizio del 1990, principalmente a causa della crescita accelerata della criminalità organizzata sul territorio slovacco, fu presa la decisione di creare dei TEAM di pronto impiego tipo SWAT . A questo proposito venne costituita l’ Unità di Polizia “ Rapid Response “ (Pohotovostný Policajný útvar) nata a Bratislava il 1 ° febbraio 1991. Il comandante dell’unità a quel tempo era il colonnello Jozef Majtan (1991 - 1999). Egli fù in seguito sostituito dal Tenente Igor Matiašovský, ex comandante della PPU NITRA. Dopo la rottura della Cecoslovacchia e la fondazione del nuovo stato della Slovacchia, il 1 ° gennaio 1993, l’ unità di pronto intervento di Bratislava ha assunto i compiti dell’ unità URNA, non diventando però un unità anti-terrorismo, ma rimanendo il “ Pronto Soccorso” di tipo SWAT. La struttura iniziale del gruppo, nel periodo tra il 1991 e il 1996, comprende i seguenti elementi: • Comandante e Vice Comandante • Uità di analisi e di addestramento • Unità logistica • Unità emergenza SWAT di pronto impiego Appena formata, l’unità ebbe “ fortuna “ di essere immediatamente impiegata in una delicata operazione. Nel 1993 diverse persone furono prese in ostaggio e tenute segregate per molti giorni in una fabbrica di mobili a Bratislava. Questa situazione è stata risolta TNM ••• 094
mediante estenuanti negoziati, ma gli operatori dell’ UOU erano sul posto e pronti a intervenire. Un’altra situazione delicata si è verificata nel 1995, nelle vicinanze della città di Dunajska Luzna, quando uno squilibrato apparentemente munito di esplosivo e detonatore, prese in ostaggio i passeggeri di un autobus di linea. Dopo lunghissime trattative, si è stabilito che la persona non aveva in realtà con se nessun tipo di esplosivo e la situazione è stata quindi risolta in modo pacifico. Dato che il tasso di criminalità era fortemente in crescita e le minacce come il terrorismo internazionale o quello politico iniziavano a farsi strada prepotentemente, la Polizia Slovacca diede
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il via ad una generale riorganizzazione strutturale nel 1996. La nuova struttura includeva, un’ unità di comando, un’unità logistica ed un’ unità operativa. L’unità logistica venne affidata al vice comandante della PPU e includeva un Analysis Team una Squadra Speciale di guidatori e una sezione Amministrativa . Dall’altro lato, il comando dell’ unità operativa venne affidato a un capitano della Polizia il quale divenne il comandante dell’ Unità CT. L’Unità CT era divisa in quattro Team: • CT Team 1 – 2 -3 -4 denominato JOU (Jednotky Osobitného Určenia) • (Unità Special Purpose) • Un unità di formazione TNM ••• 095
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• il Team K-9 • e un team di documentazione e analisi. Ognuno dei quattro Team CT comprendeva due squadre di sei membri ciascuna; una squadra d’assalto assalto e una squadra di supporto. Ogni membro del team era in grado di svolgere tutte le funzioni all’interno del team stesso, al fine di consentire la massima flessibilità operativa. Ogni Team CT era composto da: un Comandante, un Vice Comandante, 1 operatore subacqueo, un tiratore scelto e due assaltatori. “Útvar Osobitného urCenia”… meglio noto come Commando LINX La Trasformazione dell’ unità è stata accompagnata anche dal cambiamento del nome e il 1 ° maggio 1997, il Police Rapid Response Unit è stato rinominato “Útvar Osobitného určenia”, conosciuto anche come “Commando LYNX”. Il comandante dell’unità è il Colonnello Ján Rejdae e conta circa 100 elementi sotto il suo comando, compreso il personale delle squadre operative e di logistica. Una squadra all’interno dell’unità è sempre in “stand-by” ed è pronta a lasciare la base dell’UOU in 30 minuti. Tutte le attrezzature e gli equipaggiamenti, sia individuali che comuni, vengono immediatamente caricati sui mezzi che trasportano gli operativi sul posto dell’azione. Nel caso in cui il TNM ••• 096
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personale di questa prima squadra di intervento rapido non sia sufficiente per la missione, un altro team operativo può essere pronto per l’azione nel giro di un ora. Per ultimo, in caso di ulteriore necessità, Il terzo team è pronto ad entrare in azione in meno di 24 ore, insieme al resto della componente operativa, ossia la quarta squadra. Per questo motivo, la maggior parte dei membri del gruppo vivono nelle caserme o nelle sue vicinanze. Le squadre vengono ruotate ogni 14 giorni. Un Team dell’ UOU è attualmente attivo in Iraq, a presidio dell’ambasciata della Slovacchia. I COMPITI del LINX Il “LYNX” è stato formato e progettato come unità di Polizia Speciale indipendente. Il Reparto può essere impiegato rapidamente e in qualsiasi momento, su tutto il territorio della Slovacchia e nei paesi esteri dove siano in pericoli gli interessi della Slovacchia. L’Unità ha la responsabilità e il compito di proteggere la sicurezza pubblica dei propri connazionali dovunque e secondo la legge in vigore, il, Commando LINX entra in azione solo quando tale ordine viene emesso direttamente dal Presidente della Presidenza della Polizia (Prezidia Policajného zboru). I compiti principali del gruppo sono i seguenti: • Intervento contro i terroristi e rapitori di alto profilo
• reati gravi perpetrati dalla criminalità organizzata L’unità può anche essere impegnato nelle seguenti attività: • Pianificazione e analisi dei rischi rivolti a risolvere situazioni critiche di possibili attacchi terroristici contro strutture speciali (centrali nucleari, dighe, impianti industria chimica, edifici governativi, ecc) • Gravi incidenti industriali • Grandi disastri naturali • Grandi incidenti stradali • Servizio Scorte per conto del Servizio Nazionale di Sicurezza durante le visite di alti funzionari governativi provenienti dall’estero. • Organizzare corsi di formazione e cooperazione con le altre Unità Speciali dell’ Unione Europea e degli stati della NATO sul territorio della Repubblica Slovacca. • Partecipazione e collaborazione con i membri stranieri delle unità speciali sul territorio della Slovacchia. • Aiuto nella preparazione dei nuovi agenti di polizia per le missioni di pace. • Scorte particolari per i Trasferimenti di denaro per conto della Banca Nazionale Slovacca • Missioni di sicurezza per proteggere il personale diplomatico slovacco e installazioni Slovacche di proprietà all’estero Inoltre l’ Unità Útvar Osobitného Určenia è la più TNM ••• 097
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utilizzata nelle azioni di lotta contro l’emigrazione illegale e la tratta degli esseri umani (prostituzione), traffico di sostanze stupefacenti e veicoli rubati. Questi tipi di reati sono apparsi per la prima volta sul territorio della Slovacchia dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 e sono in rapidissimo aumento. Altri grandi minacce per la Slovacchia sono anche le organizzazioni mafiose dai territori dell’Europa dell’Est e dei Balcani: Russia, Cecenia, Albania e Kosovo. Formazione Per consentire al personale di acquisire competenze per l’esecuzione e il necessario successo di tutti i compiti previsti, gli aspiranti devono completare un
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addestramento molto difficile e duro. La formazione è, prima di tutto, orientata verso la selezione dei migliori e dei più abili candidati. I candidati che intendono frequentare il corso di selezione devono soddisfare le condizioni di base, cioè, devono essere volontari, non avere più di 23 anni e avere minimo tre anni di servizio svolto perfettamente nella la Polizia Nazionale o in alternativa cinque anni di servizio perfetto con le Forze Armate Slovacche . I richiedenti devono essere in servizio attivo. Appena nato, il Commando LINX accettava come candidati tempo solo i membri della polizia mentre oggi l’unità accetta anche i membri delle Forze Armate , soprattutto quelli provenienti dalle Forze Speciali Zilìny 5.PSU. I candidati non devono assolutamente essere stati oggetto di
sanzioni disciplinari in tutti gli anni di servizio svolti precedentemente. Devono inoltre saper dimostrare di avere ottime caratteristiche psico-fisiche, quali la stabilità emotiva, una corporatura robusta e sana e senso per il lavoro di squadra. Tutti i candidati devono essere diplomati, saper nuotare ed avere buone doti da guidatore. Devono ovviamente essere in condizioni di ottima salute, e avere completato la formazione di base della polizia speciale o quella prevista dall’ addestramento nelle unità militari. Durante la fase di preselezione, i risultati che i candidati hanno raggiunto nei precedenti Corpi di appartenenza, vengono esaminati con molta attenzione. Le domande di ammissione al gruppo vengono direttamente inviate all’Unità, dove vengono attentamente controllate al fine di individuare i potenziali candidati per poi essere selezionati e invitati a partecipare al corso di selezione che viene organizzato due volte l’anno e si articola in quattro fasi. Il primo passo che i candidati devono superare nel corso di selezione è il colloquio con l’Ufficiale Responsabile della formazione dei candidati. Lo scopo del colloquio è quello di mostrare chiaramente la personalità dei candidati e permette anche la valutazione delle loro motivazioni per diventare membri del Corpo. Proprio come in altre unità simili, la motivazione è uno degli aspetti chiave per l’ammissione all’Unità. Sulla base dei risultati, i futuri potenziali operatori dell’ UOU vengono inviati presso le strutture adeguate per speciali visite mediche utili a verificare il loro stato di salute, la velocità di risposta, la forza fisica e la resistenza. Nella seconda fase della formazione, i candidati devono superare varie prove fisiche come il nuoto,la corsa breve e a lunga distanza ed altri test fisici, più o meno difficili . Questi test fisici sono molto impegnativi e i candidati devono dimostrare un’ eccellente forma fisica per superarli. Durante questa fase di formazione, i candidati devono eseguire la distanza di 100 metri in meno di 13 secondi, la distanza di 1.000 metri in meno di 3,5 minuti e la distanza di 3.600 metri in meno di 12 minuti, salire cinque metri di corda in meno di 7 secondi, utilizzando solo le mani, fare il salto in lungo coprendo una distanza di almeno 4,2 metri e nuotare per 100 metri in meno di 2 minuti. TNM ••• 099
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La terza fase di selezione include test psicologici sulla reale capacità mentale di ogni singolo candidato L’ultima quarta fase del percorso di selezione denominata “Hell Week”, dura una settimana ed è un periodo di prova estremamente impegnativo caratterizzato da controlli quali: • deficit del sonno, • sforzi fisici prolungati e intensi sia di giorno che di notte. • valutazione sulla capacità di lavoro di squadra • Valutazione e prove di capacità psicologiche e mentali in condizioni di forte stress psicologico e di tempo. • capacità di sopravvivenza e di orientamento in terreno sconosciuto. Durante questa settimana, i candidati hanno il permesso di dormire solo 30 ore e in intervalli che variano tra i 15 minuti e le 3 ore, in modo da valutare le loro reazioni sotto stress e la resistenza alla fatica. E ‘importante ricordare che i controlli e le valutazioni negli ultimi due giorni sono svolte in gruppi con cinque elementi ciascuno, il che significa che ogni candidato di un gruppo dovrà riuscire a superare il test, perché diversamente l’intero gruppo viene eliminato in caso di valutazioni negative anche di un solo canditato. Pertanto, se uno dei candidati vuole lasciare il gruppo durante questi ultimi due giorni, o semplicemente non ha la forza di completare la formazione, i suoi colleghi del gruppo devono cercare di aiutarlo ad andare avanti e sopportare ( in questo TNM ••• 100
modo si forma in maniera straordinaria un forte spirito di squadra) . I candidati che superano con successo la fase di selezione, una bassissima percentuale, vengono successivamente inviati alla seconda fase della formazione, cioè, al corso di formazione di base all’interno del team di formazione, simpaticamente sopranominato “Baby Company”. La formazione di base dura circa 6 mesi. Durante questa fase di formazione, i candidati riprendono il loro allenamento fisico ed iniziano ad imparare le tattiche particolari per le operazioni; varie forme di tiro (ad alta precisione, istintivo, selettivo, ecc), alpinismo e arrampicata, tecniche di combattimento CQB , arti marziali, come utilizzare esplosivi, tecniche di assalto, nuoto avanzat, tuffi, paracadutismo, topografia, comunicazione, come utilizzare le varie attrezzature speciali dell’arsenale dell’Unità, corsi ad alta velocità di guida, psicologia e altri argomenti importanti, il cui scopo è solo quello di preparare il personale per l’ammissione finale ai team operativi . Missioni di volo non sono tra quelli primarie dell’Unità, ma nonostante ciò, tutti i membri sono addestrati a paracadutarsi .Il corso di Paracadutismo dura sette giorni ed è organizzato nella base del 5 ° reggimento �ilina Speciali (5. Pluku špeciálneho určenia-5.PSU) dell’Unità delle Special Force dell’esercito Slovacco. Durante questa formazione di base, gli istruttori possono decidere in qualsiasi momento se il candidato dimostra le qualità giuste per diventare un membro del Commando e in qualsiasi momento decidere se è il caso di farlo
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proseguire o meno. Quelli che vengono rispediti alla loro unità iniziale, perdono per sempre il diritto di partecipare di nuovo alle prove di ammissione al UOU.. nessuna seconda chance, solo cosi tutti i candidati riescono effettivamente a dare il meglio di sé durante le selezioni con la consapevolezza che non esiste una seconda opportunità. I candidati che completano con successo la formazione di base (circa il 25% di tutti i candidati che hanno iniziato la formazione) vengono subito inseriti nell’Unità, ma questo non significa che essi siano ancora membri effettivi. Vengono inseriti nelle squadre operative al fine di acquisire familiarità con il lavoro dell’Unità durante gli esercizi dei Team CT. Tutta questa fase avviene sempre sotto la scrupolosa supervisione dei loro colleghi più anziani. In un primo momento, i nuovi membri dell’Unità prendono parte alle azioni solo in qualità di OSSERVATORI o come eventuale supporto alla squadra d’assalto. Dopo un po’ di tempo, gradualmente, iniziano a partecipare alle azioni dirette diventando cosi a pieno titolo “Combat Ready”. Nonostante la qualifica di “Combat Ready” per i successivi tre anni, i nuovi membri della UOU devono sostenere opportune prove, due volte l’anno, mirate a verificare le loro qualità psico-fisiche e i risultati sono cruciali per la loro permanenza presso il Commando LINX. Durante il loro servizio presso l’unità, i nuovi membri continuano la propria formazione frequentando diversi corsi di specializzazione, in modo che ogni individuo riesca nel tempo a ricoprire una funzione specifica e altamente specializzata,
all’interno del Team. Si allenano quindi a diventare membri del team di K-9 (unità cinofila), tiratori scelti (frequentando il corso di tre settimane da sniper), subacquei (le due settimane di formazione subacquea vengono organizzate in un piccolo lago nei pressi di Bratislava) corso per esperti di armi ed esplosivi, infine negoziatori e autisti specializzati. L’Unità dedica grande attenzione al livello della formazione dei propri membri. Tutti i membri dell’ unità si allenano nelle proprie specializzazioni più volte alla settimana, mentre i tiratori scelti lo fanno ogni giorno. Ci sono due snipers per ogni squadra, ma ogni membro delle squadre di emergenza deve completare l’addestramento da tiratore scelto, in caso si verificasse l’eliminazione dei primi due durante un operazione. COOPERAZIONI Oltre alle attività operative e alle attività di formazione regolare, il Commando LINX dedica il resto del tempo al mantenimento delle buone relazioni con le altre unità simili, con l’obiettivo di scambiare esperienze con loro e di organizzare e migliorare nuove tecniche operative. L’Unità è membro dell’ ATLAS, ossia un gruppo di lavoro composto da un unità antiterrorismo del settore forze dell’ordine che operano a livello nazionale e comunitario. L’obiettivo del gruppo di lavoro dell’ATLAS è il più alto a livello di cooperazione internazionale nella lotta contro il terrorismo. In circostanze ben definite il “LYNX” TNM ••• 101
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può essere sostenuto a livello internazionale dai membri ATLAS, mentre a livello nazionale dalle squadre SWAT regionali, dalle Forze Armate e in particolar modo dal 5° Reggimento Forze Speciali. L’elevato livello di formazione del personale e l’adozione di sempre nuove tattiche operative sono praticamente impossibili da immaginare senza la cooperazione reciproca con unità simili. ARMI ED EQUIPAGGIAMENTI I membri del Commando Lynx sono equipaggiati con armamenti moderni, proprio come tutte le unità simili occidentali. Il LINX utilizza come arma di back up l’ormai collaudata SIG SAUER P-226 e l’ austriaca Glock 17 entrambe in 9 mm, così come pistole CZ-75 e CZ-85 sempre nello stesso calibro. In aggiunta a queste pistole, i membri possono contare anche sul revolver Smith & Wesson in 308. Durante le azioni d’assalto, gli agenti UOU utilizzano i sempre eccellenti MP5 della tedesca Heckler und Koch, in varie versioni come la MP-5A5 e o l’SD-6 con silenziatore integrato. Ultimamente sono state acquistati alcuni lotti della pistola mitragliatrice FN P90 della belga FN HERSTAL nel rivoluzionario 5,7 millimetri. Nel corso degli ultimi anni, un certo numero di fucili d’assalto SIG Sauer 551 SWAT e HK G-36K, in 5,56 millimetri è stato acquistato per le esigenze dell’unità, cosi come i lanciagranate MM AG-36 i quali possono essere montati sui medesimi fucili. L’Unità ha inoltre in dotazione i VZ 58V in 7,62 mm di produzione Ceca, quest’ arma è raramente utilizzata se non durante la formazione o in quei casi operativi in cui la situazione richiede l’uso delle armi con potenza di fuoco maggiore. I tiratori scelti del Commando LINX hanno in dotazione lo svizzero SIG Sauer SSG 3000 in 308 Winchester (7,62 x 51 NATO) con dispositivo di caricamento manuale ( Bolt Action ) , o in alternativa utilizzano il collaudatissimo semi-automatico SVD Dragunov in 7.62x54R. E’ importante sottolineare che, durante l’addestramento sniper, i tiratori sono addestrati a colpire obiettivi di piccole dimensioni (testa) con il loro primo colpo. Ottiche Hensoldt 1,56x42 BL o SIMRAD con visore notture Optronics KN200 di produzione norvegese è di solito montato sui SIG SAUER SSG 300. Per le operazioni che richiedono l’uso della potenza di un calibro maggiore, gli snipers del Commando Linx possono contare sull’ eccellente British Accuracy International AS50 BMG. L’arsenale prevede anche lanciagranate GP HK-69, fucili Benelli Nova e Winchester Defender 1300 in calibro 12. Durante gli assalti , l’unità utilizza esplosivi al plastico di produzione domestica e vari tipi di detonatori, flashbang, granate P1 e P2. Per le esigenze di trasporto, l’unità utilizza vari tipi di veicoli, quali Volkswagen, Skoda, Opel Campo (utilizzato dagli operatori EOD),
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i fuoristrada in dotazione sono della Mercedes-Benz e più precisamente l’ ML320 ( due in dotazione ) l’HUMMER H1 4WD ( uno in dotazione ) e per finire dispongono di sei Land Rover Discovery 2.7 TD V6. Per gli assalti dal cielo , i membri UOU utilizzano gli elicotteri Mil Mi-2, Mil Mi-8/171 del Corpo di polizia slovacca con sede a Bratislava. Per quanto riguarda l’equipaggiamento tattico individuale, vengono utilizzate le mimetiche Vz 97 e le tute in colorazione nera della VEP Comfort Bojnice prodotte con una combinazione di Nomex e Gore-Tex, che le rende impermeabili e consente una facile traspirazione; vari tipi di anfibi, tra cui diversi modelli: quelli di produzione locale della OBUV-SPECIAL, quelli di produzione americana della HI-TEC Magnum prodotti con mix di canvas e pelle, o il tedesco HAIX GSG-9 con suola “silenziosa”. Gli occhiali di sicurezza sono della nota Bolle mentre la protezione dei gomiti e delle ginocchia viene affidate ai prodotti della Hatch. Il vest utilizzato dal Commando LINX è un prodotto dell’azienda Slovacca VEP Bojnice, il modello utilizzato è l’ STV (standard Tattica Vesta) con la scritta ‘Policia’ stampata sul retro. Le cinture sono sempre della VEP, modello 50 VZOR 2 e le pistole vengono “custodite” in fondine sempre dello stesso produttore. Per la protezione NBC, Il personale utilizza la maschera a gas degli Stati Uniti M-95. La protezione balistica dei singoli operatori è affidata all’ azienda tedesca che fornisce il Mehler Vario System GmbH con 3A livello di protezione. Il livello di protezione è di 3 centimetri con due piastre aggiuntive in ceramica
30x25. La testa è invece protetta da caschi in titanio modello Ulbrichts AM95 con auricolari integrati. In aggiunta a questo casco, i membri del LINX utilizzano spesso i caschi della BELL senza protezione balistica. Per le esigenze subacquee l’unità utilizza il sistema americano RAPID DIVER. I paracadutisti utilizzano l’OVP-68/76A, l’OVP-80A e l’ M 330/330Z. TNM ••• 103
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Beretta CX4 Storm
Tactical Semiauto Carbine Di FABIO ROSSI - Foto di Michele FARINETTI
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L’arma si presenta esteticamente priva di spigoli vivi, per evitare il rischio di accidentali impigliamenti
Durante il nostro recente soggiorno parigino, interamente dedicato alla visita ed al reportage del Milipol 2011 (vedi numero 11 di TNM), abbiamo avuto modo di poter visionare, presso la stand della Beretta, la nuova pistola mitragliatrice MX4 Storm, nata per soddisfare le esigenze del settore law enforcement e military ed attualmente in fase di distribuzione, in oltre 40mila pezzi, al governo dell’India. Prendendo spunto da questo “incontro” abbiamo voluto provare e valutare l’arma progenitore di questo modello, il cui debutto risale al 2003 ed il cui design è stato commissionato ad un vero guru del settore, Giorgetto Giugiaro. L’AZIENDA Mastro Bartolomeo Beretta da Gardone (1490 – 1565/68) nell’anno 1526 consegnava all’Arsenale di Venezia 185 canne d’archibugio, ricevendo in pagamento 296 ducati. Beretta era, dunque, in piena attività già agli inizi del ‘500 ed i suoi prodotti erano stati scelti addirittura dalla Serenissima, a testimonianza della loro eccellenza. I quasi cinquecento anni di incessante attività lavorativa TNM ••• 106
hanno arricchito l’azienda di un’enorme esperienza, consentendole di sviluppare una elevata e specifica tecnologia nell’ambito della meccanica di precisione. Con il passare del tempo la fabbrica ha assunto dimensioni sempre maggiori e l’attuale stabilimento vanta oggi una superficie coperta di oltre 108.000 metri quadrati. I reparti di produzione sono strutturati su centri di lavoro robotizzati, ma anche sulla presenza importante del fattore umano, quale condizione necessaria per ottenere i livelli di precisione e di qualità previsti a progetto. L’attuale produzione Beretta è di circa 1.500 armi al giorno e copre quasi tutta la gamma delle armi portatili: sovrapposti e paralleli da caccia e tiro in diversi calibri e differenti livelli di finitura, fucili semiautomatici, carabine, fucili express, pistole semiautomatiche (dal cal. .22 short al cal. .45 Auto) e non ultimo le armi destinate ai settori militari e di polizia. Il fatturato netto di Fabbrica d’Armi Pietro Beretta S.p.A. nel 2009 è stato pari a 144 milioni di Euro. LA STRUTTURA L’arma si presenta completamente priva di spigoli vivi,
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accorgimento utile per evitare il rischio di accidentali ed involontari impigliamenti, sia nell’ambiente che nell’equipaggiamento dell’operatore. Il guscio esterno è realizzato in tecnopolimero ad alta resistenza, con possibilità di essere colorato in azzurro navy o nero semi-mat. E’ costituito da due componenti principali: il calcio, pressofuso in un unico pezzo incorporando l’impugnatura a pistola - lower receiver - e la carcassa, che include la canna e l’astina destinata per supportare la presa della mano debole – upper receiver -. Il gruppo di scatto, molto simile strutturalmente a quello della pistola Beretta serie 92FS, trova alloggiamento all’interno dell’impugnatura ed un supporto metallico ne determina il preciso fissaggio all’interno del castello. Sul lato sinistro di quest’ultimo è collocata la leva dell’hold open, mentre il pulsante di sgancio del caricatore ed il pulsante della sicura sono reversibili, in modo tale da poter configurare l’arma per l’utilizzo da parte di tiratori mancini. Il calciolo ed il poggia guancia, realizzati in gomma ed assemblati alla carcassa per incastro, contribuiscono, in modo efficace, a contrastare l’energia del rinculo. Per andare incontro alle varie
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esigenze dell’utilizzatore, tramite l’asportazione di una vite, possono essere inseriti dei distanziatori tra il calcio ed il calciolo, portando la lunghezza da 337 a 382 mm; con questa operazione può anche essere sostituito il poggia guancia con altri di altezza diversa. L’arma spara ad otturatore chiuso ed utilizza una chiusura labile, tipo blowback con massa avanzata. L’otturatore, che è il vero gioiello tecnologico dell’arma, può vantare estrattore, espulsore e manetta di armamento perfettamente reversibili, consentendo l’impiego da parte di operatori mancini, senza dover procedere alla sostituzione dell’ l’otturatore stesso. La canna è in acciaio ad alta resistenza Ni-Cr-Mo con lunghezza di 422,5 mm, forgiata per martellatura a freddo - rigatura compresa – ed è cromata internamente, in modo tale da garantire un elevato standard di precisione. La canna ha sei rigature destrorse con passo di 250mmm, 400mmm e 406mm a seconda del calibro. La scelta dei calibri è stata indirizzata tra quelli più comuni da pistola; 9 parabellum, 9x21 IMI, 40 S&W e 45 ACP, che permettono alla carabina Beretta Cx4 Storm di essere sicuramente un’arma adatta a svolgere molteplici impieghi. La linea di mira dell’arma è lunga 327 mm ed i congegni di puntamento consistono in: un mirino a “palo”, con possibilità di essere abbattuto e regolato in elevazione e deriva ed una diottra con struttura ad “L”, ribaltabile ed avente riferimenti pretarati a 50 e 100 metri, rispettivamente contrassegnati dalle sigle S.R (Short Range) e L.R (Long Range). L’interspazio tra i predetti congegni è interamente percorso da una slitta Picatinny – MIL STD 1913 o STANAG 2324 - che permette di poter montare qualsiasi sistema di puntamento ottico. Altre rail Picatinny sono state assemblate ai lati e sotto l’astina e possono essere utilizzate per connettere torce tattiche, sistemi laser o vertical grips. Un’ulteriore slitta a scomparsa è inserita sotto la canna in modo tale da risultare nascosta se non utilizzata.
La scelta dei calibri è stata indirizzata tra quelli più comuni da pistola: 9 parabellum, 9x21 IMI, 40 S&W e 45 ACP
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Vista dell’arma con bipiede Fab Defense T-pod e ottica Burris Speedot
LE SICURE L’arma è dotata di quattro dispositivi di sicurezza, uno manuale su cui interagisce l’operatore e tre automatici: 1. sicura manuale sul fusto, inseribile mediante pulsante/ traversino, anche con il cane disarmato e con otturatore aperto o chiuso; 2. sicura automatica di blocco del percussore, sempre attiva che si svincola solo quando il grilletto e’ premuto a fondo; 3. sicura automatica sul cane che ne impedisce lo sganciamento accidentale; TNM ••• 110
4. sicura automatica che blocca la corsa dell’otturatore in caso di urto violento dovuto alla caduta dell’arma. Al fine di rendere la CX4 utilizzabile in condizioni d’emergenza, anche di perdita o fuoriuscita accidentale del caricatore, non è stata inserita una sicura al caricatore stesso, permettendo così all’operatore di esplodere l’eventuale colpo contenuto in camera di cartuccia. SMONTAGGIO La carabina è stata studiata per essere disassemblata con estrema facilità e con economia di movimenti: dopo aver
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A. culatta e canna B. carcassa con impugnatura e calcio C. gruppo otturatore D. caricatore da 10 colpi modificato per il mercato italiano E. traversino di smontaggio F. appiglio di armamento
rimosso il caricatore, accertandosi dell’assenza di colpi all’interno della camera di cartuccia, bisogna sfilare, da uno dei due lati, la spina di ritegno e si procede, quindi, alla separazione della culatta dalla carcassa. A questo punto, può essere sfilata dalla sua sede la manetta di armamento e successivamente l’otturatore dalla canna. Procedendo a sollevare la molla ad arco, si svincolano l’estrattore, l’espulsore e la molla di riarmo completa di ammortizzatore. Per procedere al riassemblamento dell’arma bisogna effettuare a ritroso tutte le precedenti procedure. REPORT DELLE PROVE La Beretta Cx4 Storm, abbinata ad un ottica a punto rosso Burris Speedot e ad un grip/bipiede della Fab Defense modello T-Pod, è stata provata in linea di tiro su range variabili tra i 15 ed i 50 metri. Sono state effettuate più riprese, utilizzando 500 colpi Fiocchi 9x21 con palla ogivale ramata - Top Target - da 124 gr., cercando di alternare sessioni di tiro di precisione in appoggio ad altre più celeri con rapidi doppiaggi dei colpi. I risultati ottenuti, come è possibile evidenziare dalle foto delle rosate, sono state eccellenti ed hanno evidenziato la reale inesistenza di rinculo. Risultati che si possono sicuramente attribuire al funzionamento ad otturatore chiuso con sparo in sola singola azione ed alla chiusura blowback con massa avanzata. Da non trascurare l’ottimo utilizzo dei materiali polimerici che ha permesso di contenere il peso dell’arma a soli 2,570 kg. In conclusione la carabina CX4 è un’arma dal design essenziale e futuristico. Caratterizzata da un aspetto particolarmente accattivante e che è stata appositamente progettata per il tiro e la difesa personale, ma anche ideale per l’impiego professionale da parte degli organi di polizia. Le sue linee eleganti ed ergonomiche, i suoi profili arrotondati e la totale mancanza di spigoli vivi
Il meccanismo di sparo Inceppamento in esplulsione dovuto all’errato assemblaggio dell’estrattore
TEST BY TNM TEST BY TNM TEST BY TNM TEST BY TNM TES Rosata 10 colpi distanza 25mt. in posizione eretta con ottica Burris Speedot
Rosata 10 colpi distranza 50mt. posizione in ginocchio con bipiede e ottica Burris Speedot
ne facilitano il maneggio, consentendo all’operatore la massima rapidità di brandeggio e velocità di puntamento in situazioni tattiche, anche con un minimo di training. Queste sue peculiarità pratiche e le sue dimensioni ne consigliano, quindi, anche un utilizzo in ambiente urbano o all’interno di spazi estremamente ristretti come le auto. L’unico inconveniente riscontrato è risultato una mancata espulsione del bossolo sparato (vedi foto) dopo aver rimontato l’arma per l’utilizzo da parte di tiratore mancino ed aver errato la procedura; inconveniente prontamente individuato e risolto. In Italia è stata catalogata al numero 14032 classe C7 del Catalogo Nazionale come arma comune da sparo e può essere impiegata unicamente con caricatori da 10/8 colpi, a seconda del calibro, appositamente modificati in modo tale da non essere intercambiabili con altri, aventi maggiore capacità, già in produzione per altre tipologie di armi. Viene venduta al pubblico al prezzo di circa 1.120 euro. Si ringrazia: Tactical Equipment di Severino Roberto Piazza dello Scalo sn Genova – Mercatino di Shangai – per l’equipaggiamento fornito. Il Tiro a Segno Nazionale Via Volontari del Soccorso snc Saluzzo (CN), nella persona del Presidente sig. Pierfelice CUNIBERTI, per l’utilizzo delle strutture. Giancarlo Patti Amico e cultore di armi, per l’uso del Beretta CX4 Storm.
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Produttore: Pietro Beretta Spa, via Pietro Beretta 18 25063 Gardone Val Trompia (Bs) www.beretta.it Modello: Cx4 Storm Tipo: carabina semiautomatica Calibro: 9 Parabellum, 9x21, .40 S&W, .45 ACP Funzionamento: chiusura labile con otturatore a massa avanzata Alimentazione: caricatori bifilari a presentazione singola della cartuccia, intercambiabili con quelli delle pistole Beretta serie 92 e 8000 – modificati per il mercato italiano Numero colpi: 10 - 8 in .45 Acp Mire: tacca di mira a diottra con fogliette tarate a 50 e 100 metri, regolabile in deriva; mirino a palo regolabile in altezza e deriva; predisposizioni per inserimento di slitte Picatinny Scatto: Singola azione Percussione: cane interno Sicura: manuale a traversino al grilletto, blocco automatico dell’otturatore in caso cadute accidentali o urti Canna: lunghezza 422,5 mm, con passo di sei righe ad andamento destrorso Lunghezza totale: da 755 mm a 810 mm Spessore: 63 mm Altezza: 190 mm Peso: 2.570 grammi scarica
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Il corso per il conseguimento della qualifica di
Istruttore di Tiro Tattico-Difensivo della “Beretta Defence Shooting Accademy” Il Direttore Tecnico dell’Accademia Marco Buschini (attuale capo istruttore dei formatori della Beretta)
In Italia, solo nell’ambito dei corpi armati dello Stato è possibile conseguire, frequentando gli appositi corsi di formazione, la qualifica professionale di “istruttore di tiro”. Prima fra tutte le amministrazioni dello Stato, fu la Polizia, a dotarsi, sulla scorta dell’esperienza della Polizia Nazionale francese, di una scuola di tiro centralizzata (Centro Nazionale di Specializzazione e Perfezionamento nel Tiro) dove ancora oggi viene qualificato il personale che dovrà svolgere il delicato compito d’istruttore di tiro. Successivamente gli altri corpi di polizia italiani crearono le loro strutture analoghe (quasi tutti qualificarono i loro primi istruttori presso il C.N.S.P.T. della Polizia di Stato di Nettuno). In effetti, nell’ambito delle forze di polizia italiane, la scuola più avanzata nel settore è certamente quella della Polizia di Stato, non a caso, uno dei pionieri del C.N.S.P.T. di Nettuno fu il mitico Maestro di Tiro Marte Zanette. L’altro ente pubblico che attualmente rilascia attestati da istruttore di tiro (qualifica denominata “istruttore di tiro
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istituzionale”), previa frequenza di un corso di circa tre giorni, è l’Unione Italiana Tiro a Segno. Nell’ambito, invece, del cosiddetto “settore privato” l’unica realtà impegnata, tra le altre cose, nel settore della formazione di istruttori di tiro (prima denominati “istruttori di tiro operativo di polizia” ora “istruttori di tiro tattico – difensivo”) è storicamente l’“Accademia di Sicurezza Operativa” di Padova, che da circa un anno è divenuta, a pieno titolo, l’accademia ufficiale della Beretta Holding s.p.a.: Beretta Defence Shooting Academy. Molte sono le scuole di formazione che “vendono” corsi di tiro operativo in ambito nazionale, ma nessuna offre la possibilità di conseguire la qualifica d’istruttore di tiro, forse temendo la “concorrenza” dei futuri istruttori o temendo di non essere più gli unici depositari del “verbo”. La “Beretta Defence Shooting Academy”, nel suo inconfondibile stile, non avendo timore di alcun tipo di concorrenza, ne tanto meno di divulgare la “conoscenza”, offre invece tale possibilità. Prima la frequenza era riservata
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agli appartenenti ai corpi armati dello Stato ed alle Guardie Giurate Particolari, ora la Beretta ha deciso di aprire anche ai civili che sentono l’esigenza di entrare in un settore dove la professionalità è messa al primo posto. Sia chi detiene l’arma a titolo sportivo, ma ancor più chi la detiene per difesa personale o abitativa può giustamente aspirare ad un livello alto di preparazione, che non si può raggiungere con normali, se pur validi, corsi. All’origine, l’idea di aprire un settore dell’A.S.O. dedicato alla qualificazione d’istruttori di tiro, ma anche d’istruttori di tecniche operative, nacque dal bisogno dei comandi di polizia locale (Polizia Municipale e Polizia Provinciale) di dotarsi d’istruttori di tiro operativo al loro interno. Quest’esigenza, molto sentita dai comandanti che non avevano la possibilità di creare questo tipo di figura professionale all’interno della propria struttura, venne raccolta dall’Accademia che cominciò, nel 2005, ad organizzare dei corsi ad hoc affidandoli al mai abbastanza compianto Marte Zanette (all’epoca e fino alla sua morte, capo istruttore dell’Accademia). Lo stesso, avvalendosi di validi collaboratori, tutti suoi “discepoli”, provenienti dai corpi scelti delle FF. PP., ed insieme al Direttore Tecnico dell’Accademia Marco Buschini (attuale capo istruttore dei formatori della Beretta), creò una struttura interna all’A.S.O. deputata a questo delicato compito. L’iniziativa ebbe un buon successo di frequentatori, soprattutto provenienti dai vari comandi di Polizia Locale, i quali così, in questi ultimi anni, si sono dotati di validi istruttori di tiro operativo, interni al comando stesso. E’ tuttavia opportuno precisare che hanno conseguito questa qualifica anche molti tra gli appartenenti ai vari corpi armati dello Stato. Dal 2005 al 2011 si sono svolti 8 corsi (l’ottavo si è concluso il 28 ottobre
2011) che hanno qualificato una sessantina d’istruttori. Non tutti gli aspiranti sono riusciti a superare gli esami finali, in ogni caso, chi non dovesse risultare idoneo, a fine corso può ripeterlo per una volta, senza costi aggiuntivi. Ultimamente si sta verificando, sempre più spesso, il fenomeno della frequenza del corso da parte di “istruttori di tiro istituzionale” dell’U.I.T.S., che a ragion veduta ritengono di dover allargare il loro “bagaglio culturale” in questo settore specifico, sintomo significativo, che lascia intendere come anche negli ambienti del tiro “accademico” si comincia a capire da che parte bisogna rivolgersi per avere un bagaglio esaustivo e pregnante di conoscenze in materia di tiro da “sopravvivenza”. In effetti, come di consuetudine, grazie all’eredità di Marte Zanette, proseguita validamente da Marco Buschini e dallo staff dei formatori, Beretta offre il meglio di quello che si può avere in termini di formazione, di attualità ed aggiornamento delle tecniche di tiro e didattiche che il panorama mondiale del settore può offrire. I formatori di Beretta studiano e sperimentano sul campo e sono in costante contatto con le realtà statunitensi del tiro da difesa, provvedendo ad aggiornare il bagaglio d’informazioni e conoscenze tecniche. Il “metodo Taylor” (Chuck Taylor, ex ufficiale dei Rangers, è il fondatore dell’A.S.A.A., una delle più importanti e storiche fu fondata negli anni ’70 - accademie di tiro americane) è il loro punto di riferimento, metodo che trova la sua diretta origine dal “Modern technique of pistol” del famoso Jeff Cooper, ex ufficiale dell’U.S. Marines Corp, fondatore del “Gunsite”, scuola dove si è sviluppato il moderno tiro da operativo. Tutto quello che viene insegnato nei corsi per istruttori svolti da Beretta viene precedentemente analizzato e valutato, affinché possa risultare consono alle esigenze
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Prima i corsi erano aperti solo per i componenti dei Corpi Armati dello Stato, ora la Beretta ha deciso di aprire anche ai civili che sentono l’esigenza di entrare in un settore dove la professionalità è messa al primo posto.
degli utenti, delle varie realtà e scenari operativi nostrani, sia per quel che concerne il mondo della sicurezza in senso lato, che quello della difesa personale ed abitativa, tipologia d’esigenza sentita sempre più dagli utenti civili. Ad ogni modo basta seguire il sito dell’A.S.O. (HYPERLINK http://www. accademiadisicurezza.it) per essere continuamente aggiornati sulle date in cui verranno implementati i corsi ed i programmi contenuti in essi, sui costi e sulla logistica; anche sul sito ufficiale della Beretta s.p.a. si possono trovare notizie in merito. Il prossimo corso per istruttori di tiro dovrebbe essere attivato nell’aprile e maggio 2012 e sarà aperto a tutti coloro che, a vario titolo, utilizzano le armi da fuoco portatili. Nella fattispecie, il corso è articolato in due settimane separate ed intervallate da circa un mese.
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Questa scelta è stata favorita per permettere ai corsisti di assimilare meglio le varie nozioni che si apprendono nella prima fase, dando la possibilità ai frequentatori di esercitarsi nel periodo d’intervallo tra il primo ed il secondo periodo. Questa scelta è stata dettata anche dall’esigenza di non gravare sugli impegni privati o di lavoro, con una frequenza troppo prolungata, in una sola soluzione. Siamo di fronte ad un corso “full-immersion”, dove si è impegnati dal mattino alla sera, con la sola pausa pranzo, talvolta si resta in poligono anche oltre l’imbrunire, al fine di potersi addestrare in condizioni reali di scarsa visibilità. Gli aspiranti istruttori di tiro vengono posti di fronte ad un’incalzante serie di lezioni teoriche e pratiche, nel corso delle quali gli stessi vengono sottoposti a vari livelli di verifica
di quanto appreso e sono tenuti a tenere lezioni di tiro, su argomenti richiesti dei docenti, già durante la fase corsuale. Fondamentalmente si tratta di apprendere le tecniche di tiro tattico difensivo più avanzate disponibili al momento, la risoluzione dei malfunzionamenti dell’arma, le migliori soluzioni tattiche da adottare in base ai vari scenari operativi, ecc.., il tutto, considerando la condizione psichica data dallo stress da combattimento in cui si viene a trovare chi fosse coinvolto in uno scontro armato. Si tratta di una fusione brillante tra tecniche di tiro da difesa ed atteggiamento mentale (“mind set”), basato sulle statistiche, inerenti la delicata materia, sviluppate dall’”F.B.I. research academy” in analisi e studi in merito alle dinamiche dei conflitti a fuoco avvenuti negli ultimi 50 anni, in 80
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paesi progrediti, tra cui l’Italia. Altra parte del corso è dedicata all’apprendimento delle tecniche d’insegnamento che devono necessariamente essere punto di forza di ogni corso teso alla formazione di docenti. Ma quello che più viene inculcato nelle menti dei corsisti, con un vero e proprio “lavaggio del cervello”, sono i comportamenti e le norme di sicurezza nell’uso e maneggio delle armi. Un professionista dell’insegnamento del settore lo si riconosce dal suo atteggiamento nell’uso e maneggio in sicurezza dell’arma. In troppi poligoni ed in troppe realtà quotidiane si possono trovare personaggi che assolutamente non adottano i giusti comportamenti di sicurezza nel maneggiare le armi, con le conseguenze che spesso leggiamo sui quotidiani, vuoi per imperizia, vuoi per eccesso di confidenza e superficialità o solo per ignoranza. Un docente del tiro, essendo un modello per i propri allievi, non può trasmettere comportamenti errati! La violazione di una norma di sicurezza equivale all’immediato allontanamento, del frequentatore, dal corso istruttori. A fine corso è richiesta una prova d’esame, molto selettiva, che consiste nell’esecuzione di una lezione, inerente un argomento a scelta della commissione esaminatrice, un’interrogazione orale sui vari argomenti tecnico-teorici, oggetto del corso, ed infine, una prova pratica in poligono, dove viene richiesto di dimostrare le varie tecniche apprese durante la frequenza del corso stesso. Gli aspiranti istruttori vengono valutati non solo in base alle loro capacità di tiratori, che comunque devono essere eccellenti, ma anche in base alla loro capacità di trasmettere ciò che sanno, ovvero “saper fare e saper far fare”. Solo chi dimostra di essere potenzialmente un bravo istruttore
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Durante il corso vengono provate anche le tecniche di tiro con arma lunga con le carabine Beretta CX4 A fine corso è richiesta una prova d’esame, molto selettiva, che consiste nell’esecuzione di una lezione, inerente un argomento a scelta della commissione esaminatrice, un’interrogazione orale sui vari argomenti tecnico-teorici, oggetto del corso
avrà il “brevetto” dalla “Beretta Defence Shooting Accademy”, d’altro canto, una realtà blasonata come la Beretta - A.S.O. non può permettersi di mandare “in giro” degli istruttori non all’altezza del nome dell’Accademia. Successivamente al conseguimento della qualifica, il nuovo istruttore di tiro, è tenuto a frequentare un corso d’aggiornamento annuale tenuto dall’Accademia Beretta (uno per il centro-sud ed un altro per l’area nord), esigenza prioritaria di ogni
istituto di formazione che si rispetti, nonché di ogni docente che tiene alla propria formazione culturale. Il compito affidato a un istruttore di tiro tattico/difensivo è, di fatto, una delicata missione ricca di significati etici, cioè insegnare a chi ne ha bisogno a salvare se stesso, i propri familiari o i colleghi da un’aggressione criminale armata.. la missione è: insegnare a sopravvivere! Info: Segreteria BDSA 041.432.946
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La realizzazione è stata affidata a Renzo Fantoni, un prestigioso personaggio che da anni si occupa della lavorazione di acciai speciali per componenti industriali.
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Il coltello del forum di Collini
Di Galdino Gallini e Antonio Merendoni - Foto di Max Masala
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La coltelleria Collini di Busto Arsizio (Va), in virtù della grande esperienza nel mondo della coltelleria, è da anni un importante punto di riferimento per tutti gli appassionati del settore. La crescente affluenza di cultori del coltello ha portato, nel giugno del 2002, alla nascita del primo forum in Italia dedicato alla coltelleria ed ha permesso a tutti coloro che vi hanno preso parte di conoscersi, scambiarsi informazioni e consigli e dialogare in modo comodo e gratuito su tutto quello che è inerente il settore delle lame. L’idea di creare un coltello è nata all’incirca un anno fa, nel dicembre del 2010, sulla scia di altri forum stranieri. Durante una delle tante disquisizioni sulle caratteristiche del coltello ideale per fini escursionistici in ambito nazionale si è giunti alla decisione di mettere insieme le idee e le preferenze di tutti i membri della comunità del forum per delineare un attrezzo da portare al fianco che fosse in grado di soddisfare le esigenze di tutti gli “outdoorsmen” che gironzolano e campeggiano nel nostro territorio. Durante il mese di luglio 2011, dopo innumerevoli e divertenti discussioni e battute goliardiche, l’agognata meta è stata raggiunta. Forma, dimensioni, tipo d’acciaio e materiale per l’impugnatura. La realizzazione del prodotto è stata affidata a Renzo Fantoni, un prestigioso personaggio che da anni si occupa della lavorazione di acciai speciali per componenti industriali. Tra i prodotti più importanti dell’attività industriale di questa azienda con sede a Maniago ci sono le pale per le turbine delle centrali termiche ma la coltelleria è comunque una parte fondamentale della sua produzione: coltelli per uso professionale, coltelli da casa con raffinato design e coltelli sportivi sia chiudibili che a lama fissa alla cui realizzazione hanno collaborato personaggi importantissimi come Bob Loweless, Chriss Reeve e William Harsey. L’azienda di Renzo Fantoni si occupa anche di ricerca e sperimentazione di nuovi acciai per conto di due importanti aziende: Sandvik e Crucible. La produzione del coltello che stiamo per analizzare è avvenuta sotto la supervisione della Famiglia Collini che si sta occupando della sua vendita sul mercato nazionale ed estero sia tramite il proprio negozio che via internet. Il coltello del Forum è estremamente semplice e lineare; la lama è “drop point”; il dorso presenta una zigrinatura di ben 4 cm. per l’appoggio del pollice ed un falso filo, in corrispondenza della punta, di 35 mm. Lo spessore della lama è di 3,5 mm e l’altezza a livello del tallone è di 33 mm. I i biselli sono piani. L’affilatura, ben eseguita, grazie all’angolatura intermedia non troppo acuta, conferisce una buona capacità di taglio ma anche una maggior durata del tagliente come si addice ad un coltello da utilizzare per ogni tipo di lavoro. L’acciaio utilizzato è il Sandvik 13C26, che grazie alle sue componenti ( carbonio 0,68, cromo 12,9, silicio 0,40 e manganese 0,60 ) offre una elevata resistenza all’ossidazione ed una durezza ideale per le esigenza di una lama di questo tipo ( HRC 59/60 ). La finitura delle superfici è pallinata (stone washed) ed TNM ••• 120
ha una ottima resa estetica. Una lucidatura a specchio facilita la pulizia e non crea quei problemi di incrostazioni di materiale che potrebbero dare contaminazioni se utilizzato successivamente per tagliare del cibo. Questo tipo di finitura è però delicato ed i graffi che si formano con l’utilizzo saltano subito all’occhio. La finitura scelta per questo coltello è ugualmente gradevole e maschera più efficacemente le eventuali abrasioni da uso. Sul lato sinistro della lama c’è la scritta FANTONI e lo stemma dell’azienda. Sul lato destro, contenuta in un ovale, è stata riportata la scritta “Coltelleria Collini”, Italy, coltello del forum ed il numero di serie: il nostro esemplare è il numero 45 dei 100 prodotti. L’impugnatura è formata dal codulo “full tang” ricoperto da due guancine simmetriche in micarta ruvida (green canvas micarta), molto panciute che aderiscono perfettamente alla cavità del palmo della mano e sono estremamente confortevoli sia per i destrimani che per i mancini. Le guancine sono fissate al codulo mediante due viti a brugola e possono essere agevolmente rimosse sia per la pulizia che per l’eventuale sostituzione. Il dorso dell’impugnatura è dritto. Il margine inferiore è convesso e termina anteriormente con uno sperone che impedisce lo scivolamento della mano in avanti. La parte posteriore del manico ha un’altezza di 31 mm. e presenta un foro rettangolare di generose dimensioni per il laccio da polso ed una zigrinatura della sua parte estrema che offre un ottimo “grip” al pollice quando si impugna il coltello in posizione rovesciata. Il fodero in cuoio rigido, spesso oltre 2 mm. e formato a caldo è estremamente semplice ma molto gradevole e ben realizzato. La doppia cucitura e la sua forma richiamano i foderi dei coltelli “Loweless style” e fa venir voglia di metterselo in cintura ed andare a fare una gita. Questa custodia trattiene il coltello con la giusta forza e solo 5 cm. del manico sporgono dal suo margine superiore, così da consentire ugualmente una agevole estrazione ma assicurando al tempo stesso una buona protezione da urti ed abrasioni durante il porto. La presa risoluta ma non eccessiva esercitata dal cuoio sul coltello scongiura il pericolo di perdita accidentale, infatti questo fodero non presenta sistemi di ancoraggio del coltello di alcun tipo. L’elegante marchio della Fantoni è impresso anche sul fodero. Il passante consente l’utilizzo di cinture con altezza fino a 55 mm. Pertanto il coltello del Forum è un coltello estremamente semplice ed essenziale, di dimensioni sufficienti ad assicurare una buona impugnabilità, con una maneggevolezza indiscutibile e la possibilità di effettuare sia tagli fini che lavori più grossolani. Il suo peso contenuto di soli 186 grammi lo rende un coltello ideale da portare a spasso in tutte le occasioni. Questo prodotto è quindi una scelta ideale per cacciatori, escursionisti, campeggiatori, guardie venatorie ed agenti della G. Forestale. Grazie all’ottimo livello di finitura ed alla sobria eleganza della linea il Fantoni Bushcraft merita anche un posto negli espositori dei collezionisti.
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WZCR–Type1 Di FABIO ROSSI - Foto di Michele FARINETTI
L’AZIENDA FROG.PRO - Fighting Reinforced Operational Gear – nasce dalla passione verso gli equipaggiamenti militari ed è maturata nel corso di dieci anni con continui test e prove sul campo. Il marchio ideato da Fabio CASALI, la cui azienda familiare ha un’esperienza pluriennale nel campo delle confezioni tessili, significa “equipaggiamento rinforzato per operazioni e combattimento” ed i suoi prodotti sono dedicati ai professionisti del settore. Il Chest Rig recensito nasce da una collaborazione tra la stessa FROG.PRO ed il negozio WARRIORZONE, di recente inaugurazione nella città di Trento, basata sulla richiesta di una linea di equipaggiamenti personalizzata con esclusiva di commercializzazione e vendita. LA STRUTTURA Il prodotto si presenta caratterizzato da un design abbastanza classico ed è costituito da tre componenti principali: un pannello frontale denominato WZCR-Type1, un’imbracatura posteriore X-HarnessTNM ••• 122
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Abbiamo provato a inserire l’arma di back up nel porta caricatore, nonostante non sia il suo vero e proprio alloggiamento, l’estrazione dell’arma è risulta facile e veloce.
Type1 ed una fascia lombare. Il Chest Rig è interamente assemblato con tessuto Cordura® Dupont 1000 denari in colorazione MJK - Matt Johnson Khaki, spalmato con poliuretano trattato DWR - Durable Water Repellent. E’ rifinito con fettucce - mil-w-17337; mil-w-43668; mil-t-5038 -, con velcri ed elastici MILSPEC e tutte le cuciture sono realizzate con filo di nylon ad alta tenacità #69. La parte frontale è costituita da una base rettangolare a doppio pannello, che ha permesso di realizzare una tasca interna a basso profilo, che ne sfrutta l’intera lunghezza ed è accessibile dall’alto tramite un’apertura con chiusura in velcro. Il TNM ••• 124
setup approntato, cucito alla base, è costituito, nella parte centrale, da tre tasche “mag pouch” destinate a contenere ciascuna un caricatore per arma lunga. Sono state denominate Multi-1-ROT: Multi in quanto sono multi calibro e possono, quindi, alloggiare diverse tipologie di serbatoi, 1 perché in questa versione possono contenere un solo serbatoio per tasca e ROT - Revolution Open Top - per la tipologia di apertura facilitata affidata ad un nastro velcrato con caratteristiche MILSPEC. Esternamente a queste, invece, si trovano due tasche utility, di generose dimensioni, con chiusura a cerniera e con laccetti per
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Abbiamo anche verificato la tenuta della maniglia di trasporto che, grazie al buon fissaggio con nastro passante sulla larghezza dello schienale, permette di poter trascinare un operatore, completamente equipaggiato senza incontrare alcuna difficoltà.
Design classico, costituito da tre componenti principali: un pannello frontale, un’imbracatura posteriore ed una fascia lombare
6mm. Anche in questo caso, sia gli spallacci che il pannello posteriore, sono ricoperti da set di nastri PALS – M.O.L.L.E. System. E’ presente, inoltre, una maniglia di trasporto, collocata nella parte dorsale superiore, rivolta a facilitare le operazioni di recupero dell’operatore in difficoltà. Il prodotto è confezionato in taglia unica ed il perfetto attagliamento si ottiene operando sulla regolazione dei quattro nastri dell’imbracatura posteriore e su quelli della fascia lombare. L’eventuale avanzo di nastro può essere arrotolato e fissato con fasce elastiche. REPORT DELLE PROVE
Il Chest Rig è stato provato durante una sessione di addestramento in cava. La sua struttura “slim” permette una buona movimentazione ed una buona agevolarne l’apertura. La parte esterna di tutte le tasche gestibilità dei materiali trasportati. Buono il comfort, è ricoperta da un set di nastri PALS – M.O.L.L.E. System anche grazie allo spallaccio che, con il suo disegno ad X, permette di scaricare il peso in maniera ideale su tutta – per l’eventuale fissaggio di ulteriori equipaggiamenti; nella parte inferiore, è stato inserito un anello metallico la parte alta del dorso, sui trapezi e in parte sui muscoli pettorali. Il posizionamento centrale delle tasche per favorire il drenaggio. Alla struttura portante sono favorisce rapidità nei movimenti ed anche velocità cucite sei fibbie Fastex®, prodotte dalla ITW NEXUS in nell’estrazione dei serbatoi. Abbiamo anche verificato materiale GhillieTex non riflettenti gli IR, che servono la tenuta della maniglia di trasporto che, grazie al buon per il fissaggio alla fascia lombare e allo schienale fissaggio con nastro passante sulla larghezza dello X-Harness-Type1, quest’ultimo, caratterizzato da un schienale, permette di poter trascinare un operatore, design molto confortevole, è rivestito, nella parte completamente equipaggiato, senza incontrare interna di contatto con l’abbigliamento dell’operatore, difficoltà. Il prodotto, ad avviso dello scrivente, per da tessuto traspirante 3D Air-Mesh dello spessore TNM ••• 125
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ovvie necessità operative e di sicurezza, deve essere necessariamente abbinato ad una protezione balistica. Per concludere, ritengo di avere tra le mani un articolo avente un buon rapporto qualità/prezzo, prodotto da una seria azienda nazionale, alla ricerca di affermazione in un mercato sempre in continua evoluzione e caratterizzato dalle pressanti esigenze dei professionisti di avere prodotti personalizzati e “customizzabili”. Il prezzo al pubblico di questa configurazione è di 220 euro. azienda FROG.PRO - www.frogpro.it - info@frogpro.it Store di vendita in esclusiva WARRIORZONE - via di Melta 13, 38121 Trento, Italia
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Situation Reports Situation Reports Situation Report
di Giovanni di Gregorio
Bosnia tra mafia ed
europeizzazione Ad anni di distanza dalla grave guerra che ha insanguinato l’ex Yugoslavia, la Bosnia, stenta a decollare come Paese democratico. Martoriato da anni di guerra, divenuto in seguito crogiolo d’accentramento terroristico di natura islamica e territorio di guerra santa per tanti mussulmani, negli ultimi anni, ha cercato di svincolarsi da questa brutta nomea ed ha cercato in tutti i modi di avvicinarsi all’Europa, che chiede garanzie di legittimità e legalità. Ma naturalmente è facile parlare! In Bosnia bisogna combattere, innanzitutto con un retaggio culturale ormai secolare ed addentrato nel sistema sociale, difficile da estirpare e di conseguenza una mancata e reale integrazione con il tessuto sociale europeo libero. A questo bisogna aggiungere che, con la caduta del vecchio regime e la fine della guerra, si è sviluppato uno dei più grossi fenomeni mafiosi al mondo. Infatti, la mafia bosniaca, negli ultimi anni è cresciuta in modo esponenziale tessendo una rete internazionale per mezzo della quale TNM ••• 128
Il 21.11.1995 venne firmato a Dayton (Ohio), nella base militare di Paterson, l’accordo che mise fine alla guerra del 1992-1995 in Bosnia Erzegovina, una guerra senza vinti, né vincitori.
può contare sull’appoggio della sanguinosa mafia messicana, atta al commercio della droga negli Stati Uniti, ai cartelli colombiani, fino ad arrivare alla `ndrangheta calabrese per il commercio di armi. L’Italia, anche in questo caso, sia per una caratteristica geografica che per interesse delle cosche, diventa suolo di approdo criminale, prova ne sia la brillante operazione dei Carabinieri,
in particolare quelli di Calcio (BG), contro il commercio d’armi che qualche settimana fa è stata effettuata con grande professionalità della nostra Forza di Polizia, che ha sgominato una grandissima organizzazione che vendeva non solo AK47, ma anche sistemi missilistici terra-aria. Possiamo affermare, con dovizia di cronaca, che fu proprio la guerra a
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sviluppare, a livello internazionale, la mafia bosniaca. Infatti, molti piccoli criminali che tentavano la fuga dagli orrori della guerra, cercavano asilo in altre nazioni dove venivano accolti senza tante domande, non pensando che si sviluppassero in vere e potenti organizzazioni, magari con l’aiuto dell’entità illegali già presenti sul territorio. Ma uno Stato, che non è proprio uno Stato, potrebbe sopravvivere senza l’aiuto economico dell’Unione Europea? Direi proprio di no! Suo malgrado, l’esecutivo bosniaco, pur riconoscendo in parte l’esistenza di problemi di diversa natura, si atteggia da Nazione libera, democratica e secolare. Il Governo bosniaco tenta, in tutto e per tutto, di mitigare alla vista del mondo che non ha le capacità organizzative ed esecutive per far fronte alla criminalità dilagante ed alle richieste dell’UE per poterne far parte. Nonostante l’accettazione dei principi del Saa (Accordo di Associazione e Stabilizzazione) con l’UE, firmato con grande euforia lo scorso 4 dicembre, la Bosnia-Erzegovina è in piena crisi. I tanto celebrati Accordi
di Pace di Dayton del 1995 sono una zavorra che ha solo garantito la continuazione della permanenza al potere di una classe politica che non si è certo preoccupata troppo della creazione di uno stato democratico unitario. Il compromesso di Dayton ebbe sicuramente il merito di fermare il conflitto, ma al tempo stesso ha generato una fragile architettura di State Building, istituendo un debolissimo Stato centrale, costituito da due “Entità”: quella della Repubblica Serba (con il 49% del territorio) e quella della Federazione croato-musulmana (con il 51%), seguendo in sostanza la suddivisione per linee etniche tra i gruppi maggioritari nel paese e soddisfacendo, in tal modo, le richieste dei “signori della guerra” presenti al tavolo della pace. In particolare, la legislazione prodotta dagli Accordi di Dayton, si è basata sul (devastante) principio della sovranità etnica come principio fondante del nuovo stato di BosniaErzegovina. La conseguenza è stata che, la Costituzione stessa, è diventata la base politico-legale per
incessanti conflitti fra le nazionalità e per far prevalere gli interessi delle due Entità rispetto a quelli dello Stato unitario. Il principio etnico pervade tutte le istituzioni, dalla Presidenza al Parlamento, alle due Assemblee delle Entità e viene ovviamente utilizzato in funzione bloccante da ciascuna tre componenti etniche appena di sentono minacciate da qualche norma o legge ritenuta ingiusta o limitante. Solo la Corte Costituzionale, l’unica istituzione immune dal dogma etnico perché integrata da una componente internazionale, si oppone alla strumentalizzazione che ne fanno le elite politiche bosniache. Il tutto è aggravato dai troppi livelli di governo: ad oggi lo Stato di Bosnia-Erzegovina conta due Entità, dieci cantoni ed un distretto, il che equivale a ben quattordici governi, tredici costituzioni ed oltre cento ministri: un vero mostro burocratico che divora le magre casse statali e che ha prodotto in questi dodici anni un profondo TNM ••• 129
Situation Reports Situation Reports Situation Report
Milorad Dodik in serbo cirillico, (Laktaši, 12 marzo 1959) è un politico bosniaco di etnia serba, e attuale Presidente della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina.
arretramento economico e sociale. Il mandato internazionale, coordinato dallo slovacco Miroslav Lajcak, previsto dagli Accordi di Dayton, è stato prorogato di un anno per fronteggiare questa pericolosa situazione. Il motivo di questa clamorosa inversione va trovato nei risultati dell’ultima campagna elettorale, che ha condotto al voto del primo ottobre 2006. Una campagna caratterizzata da toni TNM ••• 130
di una violenza inedita dai tempi della guerra. E da tempo, due delle tre componenti etniche, agiscono sempre più nella direzione opposta ai desideri dell’UE. Milorad Dodik, il vero padrone della Republika Srpska (Rs), ribadisce a più riprese: «Per la polizia della Republika Srpska cambiamo l’Europa». Minaccia la secessione per impedire la cruciale riforma della polizia, vero nerbo del controllo del territorio. Tra le
due Entità la Republika Srprska è quella messa meglio, avendo il vantaggio dell’omogeneità etnica. Ha un livello d’efficienza di governo superiore a quello della vicina federazione croato-musulmana che, invece, è sempre più spaccata al suo interno per i contrasti tra le due etnie principali. Il premier Dodik ha dichiarato che intende modificare almeno una cinquantina di leggi e normative emesse dalla comunità
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internazionale e non smette di ripetere che i serbo-bosniaci sono «la parte migliore della BosniaErzegovina». Dall’altro lato, i politici croati della BiH, premono per la creazione di un “canale tv croato” nel sistema delle emittenti tv pubbliche della repubblica bosniaca. Inesorabilmente, i nodi irrisolti di Dayton, stanno venendo al pettine. Uno scenario sempre più da incubo è l’instaurarsi della relazione tra
il Kosovo, che potrebbe anche a breve dichiarare in modo unilaterale l’indipendenza, ed il futuro della Republika Srprska (Rs). Cosa potrebbero fare la Rs e la Serbia? Secondo molti osservatori, la Rs, sulla scorta del referendum del Montenegro, potrebbe indirne uno simile e lasciarsi poi le mani libere di poter decidere se diventare uno stato indipendente, riconosciuto a livello internazionale, oppure unirsi
alla Serbia. Questa tentativo di scambio Kosovo – Republika Srprska è uno scenario molto plausibile, che piace sia a Belgrado che a Mosca. Lo scambio, in special modo se le cose precipitassero, potrebbe diventare un’opzione apprezzabile per molte Cancellerie europee, al fine di conciliare i contrasti con Belgrado, che inevitabilmente sorgerebbero da un’eventuale dichiarazione d’indipendenza unilaterale del Kosovo. In ogni caso, anni d’immobilismo e recessione economico-sociale, sono una punizione assurda per tutti i cittadini bosniaci, che da cittadini europei rischiano invece di diventare cittadini di un “failed state” nel cuore dell’Europa: la Bosnia-Erzegovina. Non dimentichiamo l’impossibilità oggettiva d’integrazione dei mussulmani in un’Europa per lo più cristiana. Infatti, altro elemento da considerare su un piano più operativo, è l’eccezionale crescita demografica di tutte le popolazioni musulmane dei Balcani. La “bomba demografica” musulmana nella regione è sicuramente l’elemento, di medio-lungo periodo, che ha il potenziale destabilizzante più notevole, se non oggettivamente, sicuramente agli occhi degli altri attori, che è quel che conta. I dati per l’ex Jugoslavia, indicativi di una realtà comune anche al resto della regione, evidenziano la vera e propria catastrofe demografica delle popolazioni slave-cristiane rispetto a quelle musulmane o in prevalenza musulmane. Questo rafforza sempre più un’idea di fondamentalismo della regione che potrebbe causare fenomeni di dissesto e disequilibri sociali all’interno del “Sistema Europa”, gia provato per conto suo da problemi economici disgreganti tra gli stessi Paesi Membri e le attività criminali all’interno di esso. L’apertura a nuove frontiere slave comporterebbe una più alta diffusione d’illegalità e del fondamentalismo integralista islamico, per una vera e definitiva diffusione nell’occidente libero. TNM ••• 131
Situation Reports Situation Reports Situation Report
Il primo libro fotografico che racconta
i soldati della Folgore in missione in Afghanistan
Inedite immagini dei sette mesi di missione della Folgore in Afghanistan, raccolte in questo straordinario libro fotografico con la prefazione del Generale Carmine Masiello. Ordina subito la tua copia: redazione@tacticalnewsmagazine.it TNM ••• 132
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Di Decimo Alcatraz
TACTICAL GYMNASTIC: L’ARTE DEL MOVIMENT0, LA SCIENZA DELLA FLUIDITà.
“Essere al servizio di chi è al nostro servizio e proteggere chi ci protegge: l’approccio è semplice, ma le sue conseguenze comportano una grande responsabilità”.
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Il punto di vista di Alberto Gallazzi, nuovo Military Chief da immediati cambiamenti di direzione e da improvvise Division TACFIT, è chiaro e senza scuse. Mettere a destabilizzazioni dell’intera struttura; disposizione, di quanti nel mondo intero sono impegnati • crescita dell’agilità e della mobilità nel compiere qualsiasi nei teatri operativi più rischiosi e caldi, un sistema di attività correlata al lavoro ed al tempo libero; condizionamento fisico il più performante possibile, significa • miglioramento dell’energia disponibile, capace essere in grado di garantire: d’influenzare lo stato d’animo, l’approccio all’attività • incremento della capacità motoria del corpo operativa e le aspettative di risultato; nell’esprimere potenza, diminuendo lo sforzo necessario • eliminazione/diminuzione progressiva dei dolori cronici, per farlo; che influenzano la quotidianità e le capacità tattico• recupero estremamente rapido della stabilità richiesta operative; • prevenzione degli incidenti, che troppo spesso colpiscono il tessuto connettivo e le articolazioni; • sviluppo di una sensibilità immediata nella conoscenza “meccanica” del proprio corpo e dei suoi range e capacità di movimento; • aumento della resistenza cardio-vascolare, della flessibilità, dell’agilità, della tenuta dell’intero organismo sottoposto ad uno sforzo psico-fisico intenso. A tutto questo provvede la Tactical Gymnastic, il perfetto completamento del TACFIT e della mobilità articolare, per modulare un allenamento che preveda un’onda continua, basata su di un ciclo di 4 giorni: 1 a media intensità, 1 ad alta, 1 no intensity ed 1 a bassa intensità. Qui TACGYM può coprire le esigenze di media e/o bassa intensità, a seconda del livello di preparazione del singolo o del gruppo impegnato nel training. Per darvi il senso di cosa s’intende nel Tactical Fitness con media e bassa intensità, qui di seguito vi presento lo Spartan Challenge, un perfetto esempio di TACGYM per militari, professionisti della pubblica sicurezza e della protezione civile, utile al condizionamento della fluidità di movimento e della resistenza cardio-vascolare. La premessa necessaria è comprendere il reale significato del termine fluidità: nulla a che fare con definizioni eteree e nebulose sui flussi energetici, ma piuttosto la scienza
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concreta e misurabile della qualità del movimento, libero da dolori, restrizioni e forzature. La preparazione atletica operativa Oggi, la gran parte del condizionamento fisico per il combattimento e l’operatività in scenario, è incentrata sulla velocità di esecuzione: sono i cosiddetti allenamenti AFAP, “as fast as possibile”. Ciò non significa che bisogna tralasciare la corsa, interrompere le serie di situps, flessioni e trazioni: ma la potenza – lavoro in relazione al tempo – non è l’obiettivo primario della Tactical Gymnastic. Gli ingaggi reali non avvengono con un ritmo continuo, quanto piuttosto con scontri ripetuti, intervallati da brevi momenti di recupero e di riorganizzazione psicofisica. E’ una specie di “loop” che alcuni accreditati osservatori ed esperti dell’esercito americano hanno definito come Valutazione del pericolo, Individuazione di un’opportunità, Decisione di che cosa utilizzare per sfruttare l’opportunità, Attivazione di una strategia vincente. Se si vuole davvero essere “fit” per il “tac”.. allora bisogna includere nel training dei protocolli che siano focalizzati a: • sostenere onde di intensità che da 100km/h piombino a zero per ritornare immediatamente a 100; • muovere il corpo in maniera multiplanare; • recuperare più velocemente e completamente possibile negli intervalli brevi; • visualizzare chiaramente l’obiettivo prima e durante la performance. Il Tempo è il fattore critico principale: come mantenere ad alto livello una performance ripetuta più e più volte? Il tempo è al vertice della piramide delle priorità, perché riduce progressivamente il serbatoio energetico per lo svolgimento delle attività. Nella Tactical Gymnastic è necessario affrontare una prova ad alta intensità, recuperare rapidamente per poi passare subito ad un’altra prova ad alta intensità. Dopo che abbiamo affrontato il fattore tempo, allora possiamo selezionare gli skill per migliorare gli aspetti meccanici e solo allora potremo scegliere gli strumenti più adatti per accrescerli: la tensione elastica, creata dal lavoro sinergico di articolazioni, legamenti e muscoli ed il tipo di strumenti che le danno origine. Per lo Spartan Challenge, il protocollo temporale scelto, è “each minute on the minute”: venti serie di una routine di movimenti, che deve essere compiuta nel tempo massimo di un minuto. Anzi di 40/50 secondi, per garantire il necessario tempo di recupero tra una serie e la successiva. Prima di vedere da vicino la routine ed i movimenti che la compongono, è necessario richiamare che cosa s’intende per recupero, tema già trattato ampiamente in uno dei precedenti articoli proprio qui su TNM. Tutti i miglioramenti, la crescita ed i risultati più importanti, si conseguono durante i periodi di recupero, all’interno del workout, mai durante il workout stesso. TNM ••• 136
Ogni volta che ci si allena senza recupero, si distruggono il corpo e le sue capacità, non le s’incrementa. Recupero significa ripristino delle migliori condizioni nel mezzo degli “assalti”: round, set, ripetizioni ed anche all’interno dell’esercizio stesso, quando una parte del corpo deve recuperare mentre altre continuano a lavorare attraverso movimenti e tensioni diverse. Reintegrare le proprie capacità fisiche vuole dire cambiare l’attivazione del sistema neurale, da quello simpatico, che funge da acceleratore, a quello parasimpatico, che funge da freno. Alcuni consigli per recuperare il più rapidamente possibile: • non andate in giro con le mani sui fianchi, inspirando come mantici e ripiegando il tronco verso le gambe! • state fermi, ben bilanciati sui piedi, rilassate il corpo, “vibrate” partendo dai piedi, dalle ginocchia, su per le gambe ed il tronco, scuotete le braccia come se aveste in mano due barattoli. Questo vi libererà velocemente dalle tensioni residue, accumulate durante l’esercizio; • trovate il vostro battito cardiaco ed utilizzate un orologio: dovete creare un ponte tra ciò che è controllabile (sistema neurale volontario) e ciò che è incontrollabile (sistema neurale autonomo). In altre parole: potete controllare il respiro, non il battito cardiaco; • respirate lentamente, profondamente, esalate l’aria dalla bocca ma svuotate di aria l’addome, non la cassa toracica. Più lentamente il cuore batte, più velocemente si recuperano tutti i motor skill e le loro funzionalità. Ricordate: chi recupera prima, vince! Non quanto siete grossi, forti o veloci – sono attributi importanti, certo – ma quanto velocemente recuperate: questo fa la differenza durante un combattimento, un ingaggio, un assalto. Protocollo di workout Tactical Gymnastic. Lo Spartan Challenge utilizza “each minute on the minute”, uno dei sei sistemi di lavoro che compongono l’Onda Metabolica del TACFIT, che coinvolge tutti i sistemi energetici, così da massimizzare le capacità di recupero. Considera che ogni fattore interno ed esterno cercherà di distrarti da questa maratona: quando devi fare un lavoro come questo, hai bisogno di tutta la resistenza mentale e fisica di cui sei capace. Tutto dipenderà dal ritmo che sarai capace di trovare. Cerca di completare almeno le prime dieci serie in circa 40 secondi, senza forzare troppo, così da avere un minimo di venti secondi per recuperare, prima del round successivo. Non prenderti altro tempo oltre il minuto: pochi secondi qua e là non garantiscono qualità al recupero. Non risparmiarti, mantieni la forma e la tecnica. Dovrai affrontare tre sfide: il Drive Roll, il Base Switch ed il Tadpole Sprawl. Se vedi che è troppo impegnativo, non diminuire il numero delle serie, non compromettere l’esecuzione: passa al Piano B (!!!), Craw Roll, Birddog e Monutain Climber. Conta le serie che completi entro i 60 secondi. Se non riesci
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a chiudere tutte le ripetizioni entro il minuto, prendi un po’ di tempo nella serie successiva. Ma se “buchi” 2 round consecutivi, allora prenditi 60 secondi di break, recupera: mettiti in piedi, conta i battiti. Riparti al round successivo al tuo stop. Sii onesto con te stesso e segna sempre il livello più basso: se per esempio completi 2/2 reps di Dive Rolls, 2/2 reps di Base Switch, ma solo 2 reps di Mountain Climbers e non le ripetizioni complete di Tadpole Sprawl, non puoi considerare di aver compiuto la missione Spartan Challenge, 10 ripetizioni al massimo livello di complessità. Questa sarà la tua sfida per la prossima seduta d’allenamento, via via migliorerai la concentrazione, l’esecuzione tecnica, il tempo di lavoro e la capacità di recupero. E sarai pronto per la versione “Defeat the Beast”: 30 punti in 30 minuti al massimo livello di complessità! Non ci resta che vedere nel dettaglio le tecniche e provare, dopo aver svolto una buona sessione di warm-up ed aver pianificato un tempo di training che comprenda anche l’indispensabile cooldown, per rilasciare le tensioni che il workout genererà. Dive Roll Step 1: Parti in piedi, sposta il peso sull’avampiede ed allungati quanto più ti è possibile; Step 2: Rotola su una spalla, usala come se fosse un nastro trasportatore, così da proteggere testa e collo. Tieni gomito e mano sulla stessa linea perpendicolare rispetto al movimento del corpo. Entrambi i piedi e le mani si staccheranno da terra, in modo che ci sia un effettivo allungamento e non il rotolamento a terra su di un lato del corpo; Step 3: Sposta la testa a lato del palmo della mano che poggi a terra. Appena rotoli, spingi con la spalla su cui stai ruotando (il pollice punta all’interno e ruota all’insù); Step 4: Espira quando ingaggi il terreno con il centro della schiena: devi poggiare prima la spalla e poi la scapola ed evitare urti al tuo collo. Porta le ginocchia al petto appena completi il rotolamento e riporta la colonna vertebrale in linea, drizzando il tronco; Step 5: piega la gamba che all’inizio era sotto, fino a che lo stinco è piatto, rimettiti in piedi e parti con un’altra ripetizione sulla spalla opposta. Base Switch Step 1: Parti dalla posizione in quad. Peso equamente ripartito tra braccia e gambe, gomiti e ginocchia leggermente flessi, talloni che convergono; Step 2: Solleva un braccio e portalo in posizione di guardia, mentre distendi la gamba opposta; Step 3: Espira e lascia passare tutta la gamba; Step 4: Spingi il bacino verso l’alto, poggia la mano a terra – parallela all’altra – ed assumi una posizione a tavolino, tecnicamente definita “crab position”; Step 5: Solleva la mano opposta e fai passare l’altra gamba, tornando in avanti, nella posizione di partenza,
Dive Roll Step 1
Dive Roll Step 2
Dive Roll Step 3
Dive Roll Step 4
TNM ••• 137 Dive Roll Step 5
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Tadpole Sprawl Step 1 Base Switch Step 1
Tadpole Sprawl Step 2 Base Switch Step 2
Tadpole Sprawl Step 3 Base Switch Step 3
Tadpole Sprawl Step 4 Base Switch Step 4
Tadpole Sprawl Step 5 Base Switch Step 5
con il peso bilanciato tra braccia e gambe. Tadpole Sprawl Step 1: Da uno squat completo, con tutta la pianta del piede poggiata a terra, espira, poggia a terra le mani e tieni le ginocchia larghe, fuori dalla linea dei gomiti; Step 2: Espira e slancia i piedi all’indietro, mentre tieni i gomiti ben stretti lungo i fianchi ed i glutei contratti; Step 3: Spingi con il petto verso terra e sposta tutto il peso in avanti, liberando piedi e gambe. Inizia a ruotare i piedi verso l’interno; Step 4: Butta fuori l’aria appena tocchi il pavimento con il petto, le anche e la parte interna dei piedi. Spingi il
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corpo verso l’alto e tieni ben aderenti a terra ginocchia e talloni. Non incurvare la bassa schiena; Step 5: Disegna con le ginocchia un cerchio – come se nuotassi a rana – e torna alla posizione iniziale di squat, con la pianta dei piedi interamente poggiata a terra. Solo quando hai recuperato questa posizione, rimettiti dritto e riparti con una ripetizione identica alla precedente. Se vuoi vedere il trailer dello Spartan Challenge e verificare la corretta esecuzione dei movimenti, guarda il video su: www.cst-italy.it Buon allenamento. Ricorda: la mobilità è l’arte per la sopravvivenza in combattimento, la fluidità è la scienza esatta che permette il miglior recupero.
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Nasce l’European Drone Pilots Association
MINI DRONI PER OPERAZIONI TATTICHE L’impiego di piccoli velivoli radiocomandati per operazioni speciali di vario genere, si sta diffondendo in tutto il mondo. I primi UAV (Ummanned Aerial Veichle) sono stati introdotti negli scenari di guerra intorno agli anni 90, veri e propri aerei ricognitori guidati da terra da specialisti e in grado di raggiungere zone ostili senza rischi per il pilota. A questa categoria appartiene il famoso predator, velivolo in dotazione anche all’Aeronautica Militare italiana. Poi, intorno alla metà dell’anno 2000 hanno cominciato ad essere impiegati piccoli elicotteri spia anche nell’ambito delle forze di polizia. Inizialmente per il controllo dell’ordine pubblico durante le manifestazioni e gli eventi sportivi. Strumenti raffinati e costosi capaci di sorvolare un’area specifica, fornendo importanti informazioni in tempo reale. L’impiego dei droni nella ripresa aerea I droni dell’ultima generazione consentono servizi di ripresa aerea a bassissimo costo finalizzati all’ispezione di luoghi inaccessibili o pericolosi, all’osservazione, alla TNM ••• 140
documentazione video e fotografica, e al supporto tattico di attività investigative e di security. Interessanti applicazioni dei microvelivoli radiocomandati possono essere individuate ad esempio nel supporto all’investigazione criminale, come il sorvolo e la fotografia, dalla scena di un crimine alla ricerca di tracce. Questi strumenti possono essere impiegati anche per la ricerca di persone scomparse in luoghi inaccessibili ma anche per sopralluoghi ad alto rischio in caso di catastrofi naturali o per interventi su incendi ed esplosioni. Nel settore della security professionale i droni possono trovare applicazione nel monitoraggio di eventi pubblici e nel controllo di stabilimenti industriali. Insomma un occhio discreto e sicuro dall’alto per innumerevoli professioni. La tecnologia UAV Questi strumenti possono volare con diverse condizioni meteo ed effettuare riprese a diverse centinaia di metri di quota. I droni sono piccoli e discreti e particolarmente adatti quindi a operazioni riservate. Hanno motorizzazioni
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diverse in base allo scopo. Quelli per attività di intelligence in ambiente urbano normalmente sono dotati di silenziosi motori elettrici. Per operazioni in ambiente di campagna ad alta quota vengono utilizzati velivoli con motore a scoppio e addirittura a turbina. Montano a bordo sensori ed apparati di ripresa, e attraverso un sistema di comunicazione radio, l’operatore può vedere a grande distanza ciò che viene sorvolato e manovrare da terra gli apparati. L’autonomia di questi velivoli varia da 12 minuti a 60 minuti in base al carico portato e all’impiego e raggiungono velocità molto elevate. I piloti dei droni devono essere appositamente addestrati per poter garantire le operazioni in assoluta sicurezza. European Drone Pilots Association - EDPA Recentemente in Italia è stata fondata una organizzazione che raccoglie e certifica piloti professionali di mini-droni. L’Associazione Europea dei Piloti di Drone raccoglie vari professionisti che impiegano velivoli UAV (Unmanned Aerial Veichle) in diversi settori operativi. Obiettivo del sodalizio è quello di diffondere informazioni tecniche sui droni e promuovere ricerche e studi sul loro pilotaggio e sul loro impiego operativo. I Soci Fondatori (COMMITEE) provengono da diverse esperienze militari e civili e rappresentano garanzia di serietà e di sviluppo dell’Associazione. Il Colonnello dell’Aeronautica Armando Stavole è il Presidente e vanta una lunga esperienza nelle tecnologie aeronautiche. Sono stati chiamati nel comitato scientifico dell’EDPA diversi personaggi che vantano specifiche competenze, a partire dal Colonnello Giancarlo Saporito (esperto di telerilevamento militare), da Marco Strano (esperto di intelligence e di investigazione criminale), Andrea Pastori della ditta tecnospy (che produce minidroni), Marcello Barbieri (investigatore privato), Franco Borasio e Stefano Grilli (piloti di elicotteri “veri “ ) e infine Alessandro Di Rocco, studente di ingegneria elettronica e pilota acrobatico di aeromodelli. L’Iscrizione all’EDPA è gratuita e si effettua contestualmente alla frequenza di uno dei corsi di pilotaggio organizzati dall’Associazione.
le missioni effettuate e le specializzazioni ottenute, una patche identificativa e il diploma. L’EDPA oltre a formare e certificare i piloti di drone, fornisce su richiesta i contatti dei suoi iscritti per eventuali committenti pubblici e privati di operazioni con tali strumenti.
Il parco velivoli dell’EDPA L’European Drone Pilots Association dispone inoltre di un valido parco velivoli (EDPA HANGAR) per utilizzo didattico e per le missioni operative. Due raffinati esacotteri professionali dotati di tecnologie di videoripresa diurna e notturna e di un sistema gps di navigazione, 8 droni scuola quadricotteri e diversi droni aerei, compreso un jet ad altissime prestazioni. Tra le ultime sperimentazioni in corso da parte del team EDPA c’è la realizzazione di uno speciale Corsi di pilotaggio per l’impiego tattico dei droni UAV di ridotte dimensioni come dotazione individuale del Pilotare uno dei droni allestiti dal team EDPA è soldato/poliziotto del futuro. Il sistema, sufficientemente relativamente accessibile a tutti. Questi strumenti leggero e alloggiato in uno speciale zainetto, consente possiedono un’avionica sofisticata e sistemi elettronici all’operatore di sfruttare il vantaggio tattico di una visione di “aiuto” al volo. I Droni eletrici multielica (quadricotteri dall’alto dello scenario in cui sta operando e la possibilità ed esacotteri) si stabilizzano autonomamente e la loro quindi di osservare ad esempio i movimenti di soggetti rotta può essere anche programmata con un computer. ostili mantenendosi a distanza e riducendo al minimo i Ovviamente per pilotare in uno scenario tattico questi micro- pericoli per l’incolumità personale. Il drone impiegato velivoli è necessaria comunque una idonea formazione e per nella sperimentazione è assolutamente silenzioso e dotato questo l’EDPA sta organizzando degli appositi training con il di telecamera normale e all’infrarosso. Viene guidato rilascio di brevetti di volo. L’Associazione EDPA organizzerà attraverso un monitor fino sull’obiettivo e ha un’autonomia infatti, a partire dalla primavera 2012, corsi di pilotaggio di volo di circa 20 minuti. L’operatore può osservare dall’alto operativo a Roma e a Milano rilasciando brevetti per lo scenario operativo e acquisire informazioni fondamentali l’impiego professionale dei droni. I piloti certificati (EDPA per la riuscita della missione. Il sistema verrà presentato CERTIFIED PILOTS) saranno in grado di svolgere missioni al prossimo convegno internazionale della Police Futurist diurne e notturne in vari scenari operativi e saranno quindi Association, il sodalizio statunitense che raccoglie le impiegabili per diversi incarichi professionali di aereoinnovazioni tecnologiche in ambito investigativo. ripresa DSO (drone special operations). Ai piloti brevettati viene consegnato un libretto di volo dove vengono segnate Per informazioni: www.dronepilots.weebly.com TNM ••• 141
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Le guerre della Federazione Russa
COMBAT PSICOLOGY Psicologia umana rappresenta la prima e la più efficace arma del soldato moderno. La professionalità di chi opera nell’ambito delle Forze Armate necessita infatti di un buon controllo delle emozioni e degli impulsi, della capacità di lavorare in team e in generale di un profilo di personalità funzionale a tali compiti. Questo manuale tattico contiene informazioni e guideline che possono essere molto utili per coloro che svolgono attività professionale nell’ambito delle Forze Armate, delle Forze di Polizia e in generale della security ma può trovare applicazione per tutti coloro che svolgono un lavoro dinamico che necessita di un buon controllo del proprio sé.
SOCIAL GENERATION
Il libro fornisce indicazioni, tecniche e giuridiche, su come riconoscere e difendersi dalle minacce che popolano Facebook e gli altri media sociali. Il libro, scritto da un noto esperto informatico e da uno dei più quotati investigatori digitali italiani, è ricco di AUTORE: utili indicazioni su quelle che sono le Marco Strano - l’autore vanta un’esperienza trentennale nell’ambito criticità connesse all’utilizzo dei nuovi media sociali, dalla fase di iscrizione a dell’intelligence e dell’investigazione criminale e ha racchiuso in questo libro quella della fuoriuscita o cancellazione, e fornisce istruzioni su quali soluzioni indicazioni pratiche che scaturiscono adottare per poter continuare a vivere da studi di settore ma soprattutto da le nuove forme di comunicazione esperienze operative vissute in prima virtuale in modo sicuro e nel rispetto persona. delle Leggi. EDITORE: Corno Editore AUTORI: PREZZO: euro 15,00 Giuseppe Dezzani -informatico forense, www.cornoeditore.it da anni collabora come consulente MARCO STRANO tecnico con le principali Procure della Repubblica Italiana . Mario Leone Piccinini - Ufficiale della Guardia di Finanza, al comando di importanti reparti in aree del territorio nazionale, ha maturato una profonda esperienza nel campo delle investigazioni, nella lotta alla criminalità e al computer crime.
Questo libro ricostruisce tutte le fasi dei conflitti e degli atti terroristici, analizzando con l’ausilio di cartine dettagliate lo sviluppo delle varie campagne militari e sottolineando come le operazioni delle Forze Armate russe offrano un punto di vista privilegiato per osservare il ruolo attuale dello Strumento Militare nelle aree di crisi. AUTORI: Errico De Gaetano - dopo il diploma di maturità scientifica presso la Scuola Militare Nunziatella, si è laureato in Scienze politiche. Collabora con le riviste «Tecnologia & Difesa» e «Aeronautica & Difesa» e con il Centro Militare Studi Strategici, per il quale ha pubblicato uno studio sulle guerre del futuro. Andrea Lopreiato - laureato in Scienze politiche con indirizzo economico internazionale, collabora con le riviste «Tecnologia & Difesa», «Panorama Difesa», «Uniformi & Armi» e «Rivista Militare», per cui scrive articoli di carattere tecnico-militare e aeronautico. EDITORE: Ugo Mursia Editore PREZZO: 18,00 www.mursia.com
Editore: Hoepli PREZZO: euro 19,90 www.hoepli.it
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