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TNM n°18 • SETTEMBRE 2012 • periodico mensile

www.tacticalnewsmagazine.it • € 6.00 “Poste Italiane SpA, Spedizione in Abbonamento Postale DL 353/2003 (convertito in legge 27/02/2004 n°46) art. 1 comma 1 LO/MI”

M I L I T A R Y • L A W ENFORCEMENT • SECURITY

FOCUS ON

i Berretti Verdi in Vietnam

tactical gear VertX Smock

REPORT FROM

95° Commemorazione Arditi

FIRE TEST

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EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE

Io sono cattolico, cristiano e credente, e ho ben presente davanti ai miei occhi l’innumerevole serie di film, racconti, novelle, canzoni e tantissime altre forme artistiche le quali hanno messo in discussione l’esistenza di Dio, di suo figlio e dello Spirito Santo. So anche che in diversi paesi del mondo l’esposizione della croce, simbolo per eccellenza della religione da me professata, è costata la vita a molte persone, e non solo sacerdoti. Eppure non per tutte le religioni è la stessa cosa. Io aborro qualsiasi forma di estremismo sia politico, sia religioso; quando una forte passione conduce alla violenza di cui siamo spettatori in questi giorni, significa che qualcosa non va. Il mondo islamico è insorto, usando metodi discutibili, contro la pubblicazione, avvenuta su YouTube, di un filmato che profanava la vita del profeta Maometto: la furia dei rivoltosi è costata la vita a diversi uomini tra cui un ambasciatore americano. Altri focolai di protesta si sono diffusi a macchia di leopardo in diverse parti del mondo, anche dove le comunità islamiche sono in netta minoranza; era da diverso tempo che non sentivo parlare di “chiusura di ambasciate” o di “ritiro di diplomatici”. La storia mi insegna che quando un paese ritirava il suo ambasciatore da un altro stato, era prossimo alla guerra. Ma siamo davvero sull’orlo di una guerra? La potremo chiamare la guerra delle “vignette” o dei “filmini” visto che a causarla sarebbe la mancata censura da parte di uno stato libero, l’America, sull’opinione di altre perso-

Il prezzo della libertà ne che islamiche non sono. Una cosa è sicura: i video pubblicati sono di pessimo gusto, tutta l’operazione mediatica messa in piedi da questo losco regista urla vendetta, tuttavia gli Stati Uniti hanno fatto quello che fanno da diversi secoli, garantiscono la libertà di espressione dei propri cittadini. Dobbiamo forse creare in ogni paese un “ufficio censura” per tutte le cose che riguardano le religione islamica? E perché non farlo anche per la religione cristiana o ebraica? Il fatto è che in un momento come questo è difficile prendere qualsiasi decisione, non a caso è stata palese una certa difficoltà dell’amministrazione Obama nel gestire l’intera vicenda. Non dimentichiamo poi, che nel giro di poco l’FBI aveva già messo le mani sul sedicente regista Sam Bacile per tradurlo in qualche buia cella e metterlo sotto torchio. È allo stesso modo evidente come dietro questa protesta – condannabile per la violenza, ma nei principi legittima – si nascondano i soliti movimenti islamisti (vedi al-Qaeda) i quali, con l’Islam inteso come religione professata, hanno ben poco da condividere. Noi occidentali siamo disgraziatamente assuefatti ad ogni tipo di profanazione, non ci scandalizziamo più di nulla; offendiamo tutto e tutti, la stessa vita umana e la nostra religione. L’insurrezione islamica ha dimostrato che non è così in tutto il mondo, ma non per questo sono meno liberi di noi. Il concetto di libertà molte volte viene confuso con la possibilità di offendere qualcun altro restando impunito, questa è una distorsione tipicamente occidentale. Molte volte la libertà e solo questione di rispetto…ma questa regola deve assolutamente valere per tutti, di qualunque idea o credo religioso. È vero, noi occidentali abbiamo trascurato sicuramente qualcosa, ma anche gli altri sembrano avere continui vuoti di memoria…

Mirko Gargiulo (Direttore editoriale)


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INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE

Military - Law Enforcement - Security n°18 - settembre 2012 - mensile www.tacticalnewsmagazine.it Direttore responsabile Marco Alberini marco.alberini@tacticalnewsmagazine.eu Direttore editoriale Mirko Gargiulo mirko.gargiulo@tacticalnewsmagazine.it

EDITORIALE 2 NEWS

Direttore commerciale Giovanni Petretta giovanni.petretta@tacticalnewsmagazine.it

HOT POINT 20

Art director Matteo Tamburrino tambetti@gmail.com facebook: mt@work

ARMI MILITARI 30

Corrispondente dagli Stati Uniti Jae Gillentine

FOCUS ON 40

Impaginazione echocommunication.eu

BLACK DOSSIER L’HSBC E IL FINANZIAMENTO DEL TERRORISMO DILLON AERO M134 GATLING GUN DE OPPRESSO LIBER: I BERRETTI VERDI IN VIETNAM

COLTELLI TATTICI 49 LE ORIGINI DEI COMBAT FOLDERS

REPORT FROM 52

SWISS GALLINAGO TROPHY EDIZIONE 2012

FIRE TEST 62

CUSTOM MADE IN USA

REPORT FROM 72

PER ASPERA AD ASTRA

POINT OF VIEW 82

INTEROPERABILITÀ ED IL MODERNO STRUMENTO MILITARE

COLTELLI TATTICI 86 TOMAHAWK LA SCURE DA COMBATTIMENTO

TACTICAL GEAR 92 UNA SMOCK JACKET TECNOLOGICA

AFGHANISTAN 2011 FOLGORE 98 TEST TNM 108 PROVA SUL CAMPO BINOCOLO LEUPOLD MARK 4 TACTICAL

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Pubblicità redazione@tacticalnewsmagazine.eu Collaboratori Gianluca Favro, Gianluca Sciorilli, Fabio Rossi, Marco Sereno Bandioli, Giovanni Di Gregorio, Zoran Milosevic, Gabriele Da Casto, Marco Strano, Mario Leone Piccinni, Marco Buschini, Michele Farinetti, Ovidio Di Gianfilippo, Sergio Giacoia, Alberto Saini, Lorenzo Prodan, Daniel Piga, Paolo Palumbo, Daniel Sharon, Norbert Ciano, Gogo della Luna, Luca Munareto, Davide Pisenti, Alessandro Zanin, Giuseppe Marino, Rocco Pacella, Bartosz Szolucha, Alessandro De Santis, Guns & Tactics, Jeremy Pagan Fotografie ISAF, Department of Defense, Stato Maggiore Esercito, U.S. Navy, NATO Multimedia, The National, Command Special Naval Warfare, Onu Media Press, Zoran Milosevic, Michele Farinetti, Marco Buschini, Marco Alberini, Norbert Ciano, Davide Pisenti, Marco Antonio Garaventa, Bartosz Szolucha, Alessandro De Santis, Stickman Periodico mensile edito da: CORNO EDITORE Piazza della Repubblica n. 6 20090 Segrate - Milano - P.IVA 07132540969 Stampa Reggiani Spa Via C. Rovera 40, 21026 Gavirate (VA) Distributore Pieroni Distribuzione s.r.l. Viale Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano Registrazione Tribunale di Milano n.509 del 27 settembre 2010 Iscrizione al ROC 20844 Partner:

95° COMMEMORAZIONE ARDITI

TACTICAL GADGET 114 BOOK 142

Tutti i diritti di proprietà letteraria, artistica e fotografica sono riservati, ne è vietata dunque ogni duplicazione senza il consenso scritto della Corno Editore


CE


AROUND THE WORLD

A CURA DI MARCO ALBERINI

ATTACCO AL CONSOLATO USA A BENGASI, UCCISO L’AMBASCIATORE STEVENS L’ambasciatore americano Chris Stevens è stato ucciso a Bengasi martedì 11 settembre insieme ad altri funzionari statunitensi ed alcuni marines, durante un attacco effettuato nella notte alla sede diplomatica USA. Chris Stevens era un esperto e profondo conoscitore del mondo arabo, considerato “l’uomo del dialogo”, inviato speciale presso il Consiglio nazionale libico transitorio durante la rivolta contro Muammar Gheddafi, poi recentemente nominato ambasciatore americano a Bengasi. Stevens era nato in California, dove la sua famiglia ancora vive, e si era laureato a Berkeley. È il quinto ambasciatore americano ucciso nell’ultimo secolo. In questa vicenda tutto si è “mischiato”. Durante la settimana erano già in atto proteste con e senza violenza in vari paesi arabi, in cui si manifestava di fronte alle ambasciate americane per un film considerato “blasfemo” sulla vita Maometto, prodotto da un gruppo di egiziani copti residenti negli Stati Uniti. Il trailer della pellicola Innocence of Muslims (Innocenza dei musulmani) è stata diffuso su Youtube da Morris Sadek, un egiziano di religione cristiana, che risiede negli Stati Uniti ed è conosciuto per le sue posizioni contro l’Islam. Lo sceneggiatore del filmato è Nakoula Basseley Nakoula, 55 anni, cristiano copto d’origine egiziana, che utilizzava il nome di Sam Bacile solo come pseudonimo. Nel trailer di 14 minuti, Maometto viene dipinto come un personaggio folle, imbroglione e donnaiolo che considera accettabili gli abusi sessuali sui bambini. Non mancano numerosi episodi in cui il profeta viene preso in giro. Nakoul lavora come agente immobiliare in California, e ha spiegato che a suo parere il suo film aiuterà Israele, perché fa vedere al mondo le imperfezioni dell’Islam. L’uomo si sta nascondendo da quando sono scoppiate le proteste. “L’Islam è un tumore, punto”, ha ripetuto

più volte durante un’intervista. “Il problema principale è che sono stato il primo ad aver presentato Maometto sullo schermo e questo li ha fatti impazzire. Ma dobbiamo aprire questa porta: dopo l’11 settembre tutti dovrebbero essere portati davanti a un giudice, perfino Gesù e Maometto”. Il regista ha ammesso che non si aspettava una reazione così furiosa. Bacile ha spiegato che per il momento ha respinto le offerte di distribuzione del filmato: “Il mio piano è di produrre una serie di 200 ore”. Ma ad essere ritenuta offensiva e non è solo la diffusione del trailer provocatorio su Youtube. C’è stato anche un altro episodio che ha acceso “il rogo”: la presentazione dello spezzone di Innocence of Muslims da parte del pastore Terry Jones, predicatore della Florida, che già in passato

only FOR GOOD GUYS

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Il Consulato di Benghazi mentre brucia. (Reuters)

aveva sfidato l’Islam bruciando in pubblico i libri del Corano. Nel suo discorso il pastore ha organizzato un “processo” ai danni del Profeta. Le proteste erano iniziate da qualche ora di fronte al consolato americano di Bengasi quando ad un certo punto è scattata quella che può sembrare un’operazione premeditata: un gruppo di uomini si è staccato dai manifestanti ed ha attaccato la sede diplomatica con l’ausilio di armi da fuoco e granate. Il consolato si trova in compound abbastanza grande ed è in una zona della città abbastanza centrale, a pochi metri da ristoranti e caffè. Tanto che i clienti dei locali hanno assistito alla scena. “Si è sentito prima un botto forte” hanno raccontato testimoni “poi si è visto del fumo e si sono sentiti dei colpi di arma da fuoco. Le strade vicine sono state


chiuse rapidamente e quasi subito sono stati formati anche dei blocchi stradali nella zona” Nello scontro a fuoco e nelle violenze seguite a questa prima fase sono morti due marines, mentre l’ambasciatore Stevens è rimasto soffocato dai fumi dell’incendio divampato all’interno del consolato. Intorno alle 5 del mattino, mentre da Tripoli arrivava un aereo per evacuare lo staff diplomatico americano, le forze libiche sono riuscite a trasferire il personale in un luogo giudicato più sicuro; ma i manifestanti libici sono riusciti comunque a individuarlo e lo hanno assaltato, uccidendo altri due funzionari e ferendo altre 14 persone. Ma c’è un’importante considerazione da fare in preambolo a questi eventi: l’11 settembre stesso,iI leader di al Qaeda Ayman al-Zawahiri ha confermato in un video la morte di Abu Yahya al-Libi, considerato il numero due dell’organizzazione terroristica. Gli Stati Uniti avevano diffuso la notizia della morte di Abu Yahya al-Libi già a giugno, dopo che un drone aveva attaccato alcuni obiettivi in Pakistan, nella zona del Waziristan; da allora il gruppo terroristico non aveva mai ne smentito ne confermato la versione americana e Al Zawahiri non era mai apparso in video in tutti questi mesi per tranquillizzare i seguaci. Lo ha fatto appunto l’11 settembre, dopo tre mesi, diffondendo in rete un video di oltre quaranta minuti in cui ha confermato quanto dichiarato da Washington, definendo la morte di Abu Yahya al-Libi (il Leone di Libia) come un martirio di cui i talebani di Al Qaeda devono andare orgogliosi. Da molti considerato quasi il figlio spirituale di Osama Bin Laden, Abu Yahya al-Libi aveva proseguito nel lavoro del suo mentore affiancando Al Zawahiri nella battaglia contro gli Stati Uniti e, in generale, contro i “nemici di Allah”. Nel video che è stato ripreso da numerosi siti islamici, Al Zawahiri ribadisce come questa morte non possa portare a una disgregazione del gruppo terroristico o a un suo indebolimento, anzi, contribuisce a legare ancora di più gli appartenenti e in generale il popolo islamico, nella prosecuzione di quanto iniziato da Abu Yahya al-Libi sotto la guida di Allah. Dunque le manifestazioni di piazza contro il filmato “blasfemo” sono state un ottimo diversivo ed un “amplificatore di rabbia”, ma tutto da intendere che l’obiettivo primario fosse appunto quello di vendicare in patria l’uccisione di Abu Yahya al-Libi.

DUE POLIZIOTTI UCCISI A LONDRA, PER QUANTO ANCORA DISARMATI? “When guns are outlawed, only outlaws will have guns”. Se le armi fossero fuorilegge, solo i fuorilegge avrebbero le armi, recita motto tipico delle battaglie americane a difesa del “Secondo emendamento”. In un paese come il Regno Unito che ha leggi molto restrittive a riguardo il possesso di armi da parte dei cittadini , anche i cosidetti “bobbies”, i poliziotti che vigilano sulla quiete pubblica, sono completamente disarmati. La Gran Bretagna è uno dei pochi paesi al mondo ad avere questa “consuetudine” legislativa. Davanti alle minacce del terrorismo internazionale, dopo l’11 settembre 2001, anche a Londra si vedono spesso poliziotti con dotazioni balistiche antiproiettile ed MP5: la capitale ne era piena durante le recenti Olimpiadi. Ma sono reparti stanziati per missioni o circostanze particolari, come il reparto stanziato a difesa e controllo delle centrali atomiche britanniche. Il poliziotto in giro di pattuglia nel quartiere, a piedi o in auto, il poliziotto che ferma un’auto per un controllo, perquisisce un passante o un’abitazione, va a compiere un arresto, è abitualmente senza pistola o altre armi da fuoco. Come dotazione ordinaria può portare con se soltanto le manette, un piccolo manganello, una torcia e la ricetrasmittente. In casi particolari, per esempio se deve inseguire un sospetto, richiede l’intervento di agenti armati. Nell’esercizio quotidiano del suo mestiere, tuttavia, il poliziotto inglese è assolutamente privo di armi da fuoco. La normativa inglese in tale senso è costata cara a due poliziotti , due donne, Nicola Hughes, 23 anni, e Fiona Bone, 32 che il 18 settembre sono state uccise a Tameside, periferia di Manchester, attirate con un tranello in un casa in cui si era rifugiato un uomo ricercato per duplice omicidio. Le due donne sono state freddate a colpi di pistola e nello “scontro” sono state fatte oggetto anche di una esplosione dovuta ad una granata offensiva. “Il loro sacrificio ci ricorda quanto è importante il lavoro delle forze dell’ordine”, ha dichiarato il primo ministro David Cameron. E molti si chiedono: è giusto mandare in giro poliziotti senza armi? Lo sdegno, il rammarico, la rabbia per quanto è accaduto a queste due giovani difensori dell’ordine, è enorme.


CONVALIDATE LE CONDANNE AI 23 AGENTI AMERICANI DELLA CIA IL RAPIMENTO DI ABU OMAR CASSAZIONE: “PROCESSO DA RIFARE” La Corte ha giudicato inammissibile l’apposizione del segreto di Stato per i fatti inerenti il rapimento dell’ex imam egiziano e ha disposto un nuovo processo di appello per gli ex vertici del Sismi Marco Mancini e Niccolò Pollari. Quest’ultimo, ex direttore dei Servizi segreti militari, si è detto “sorpreso” spiegando di aver opposto il segreto perché due governi “gli ordinarono così”. Il rapimento dell’ex imam egiziano della moschea di Milano, Abu Omar, è stato un atto illegale, che ha violato la sovranità territoriale e delle leggi italiane, compiuto da 23 agenti della Cia - per i quali è scattata la condanna definitiva in contumacia - con la complicità dei vertici del Sismi, Nicolò Pollari e Marco Mancini, che devono essere riprocessati perché era troppo lunga, e dunque almeno in parte illegittima, la ‘coperta’ dell’immunità loro concessa in nome del segreto di Stato su sollecitazione del governo Prodi e Berlusconi. Lo ha deciso la Cassazione con un verdetto che dà ragione, in pieno, alla linea sempre sostenuta dalla Procura di Milano. “La sentenza è importante e confortante ha commentato Armando Spataro che condusse le indagini con Fernando Pomarici - perché la verità storica dei fatti, come ricostruita nell’inchiesta, è definitivamente accertata. E poi la Corte conferma che il segreto di Stato non può costituire una causa di impunità generale e che i giudici possono valutare, caso per caso, quali sono le prove utilizzabili”. In poco più di sette ore di camera di consiglio,la Quinta sezione penale della Suprema Corte - presieduta da Gaetanino Zecca - ha fatto carta straccia del ‘Patriot act’ con il quale la ‘Casa bianca’ di Bush aveva autorizzato le ‘extraordinary rendition’ per colpire il terrorismo islamico dopo l’11 settembre, e ha ridimensionato la portata di due interventi della Consulta sul segreto di Stato annullando il salvacondotto della non processabilità fornito agli ‘007’ nostrani. Da fonti dell’alta Corte si evidenzia come sia da condividere quanto sostenuto dal sostituto procuratore generale della Cassazione Oscar Cedrangolo che aveva detto che c’erano responsabilità del Sismi che non potevano godere del segreto. Oltre a Pollari e Mancini, anche i capiarea del Sismi Giuseppe Ciorra, Raffaele Di Troia e Luciano Gregorio torneranno innanzi alla Corte di Appello di Milano dopo l’annullamento con rinvio del verdetto del 15 dicembre 2010. Sconfitta totale TNM ••• 8

e immediata, invece, per i ricorsi del funzionario Luciano Seno e per Pio Pompa, il responsabile dell’archivio del Sismi: è definitiva la loro condanna a due anni e otto mesi. La decisione della Cassazione è stata una doccia fredda per Mancini, l’ex numero due del Sismi che per tutta la giornata del 19 settembre scorso - insieme a Seno - ha atteso al ‘Palazzaccio’ la decisione dei giudici con l’ermellino. Da quanto si è appreso dai legali, infatti, il rischio prescrizione non sarebbe affatto alle porte in quanto la scadenza del 17 febbraio 2013 - indicata sul ruolo di udienza - dovrebbe dilatarsi di almeno altri due anni per via del congelamento dei termini dovuto ai ricorsi alla Corte Costituzionale. E gli ‘007’, ex e in servizio, hanno paura di dover pagare anche i danni morali ad Abu Omar e a sua moglie. Circa un milione e cinquecentomila euro finora messi in conto solo agli uomini Cia - che sono latitanti e non pagheranno mai - e che adesso graveranno anche sugli imputati italiani in accoglimento di quanto chiesto dalla difesa dell’ex imam. Nonostante ciò, Titta Madia, legale di Pollari fa sapere che il suo cliente attende “serenamente” il nuovo processo. Abu Omar si trova in Egitto e non può lasciare il suo paese perché

le autorità di polizia non gli danno il passaporto. Dopo essere stato rapito venne imbarcato su un volo partito dalla base di Aviano e poi torturato e portato a Il Cairo, dove venne incarcerato e sottoposto nuovamente a sevizie. Adesso ha una buona cambiale da iniziare a riscuotere anche se i suoi legali forse non ci credevano: sono stati gli unici ad aderire allo sciopero degli avvocati e non sono venuti in Cassazione. Demoralizzato anche l’entourage degli uomini della Cia. Il passaggio in giudicato della condanna, sette anni di reclusione per tutti gli agenti e nove anni per il ‘capo’ Robert Seldon Lady, al quale la magistratura italiana ha anche messo sotto sequestro la villa sul lago che aveva comperato nel nostro Paese, metterà in imbarazzo il Guardasigilli Paola Severino. Il ministro, infatti, per effetto della decisione della Suprema Corte, si troverà costretta a chiedere all’amministrazione Obama l’estradizione dei 23 americani, con risvolti diplomatici. Anche la Farnesina, per le implicazioni della vicenda, ha seguito molto da vicino l’epilogo di questa giornata. Entro tre mesi sarà depositata la sentenza affidata alla penna del consigliere Gennaro Marasca.


ISRAELE LANCIA A SORPRESA ESERCITAZIONI MILITARI SU GOLAN Tel Aviv, 19 set. Israele ha lanciato a sorpresa una serie di esercitazioni militari sulle Alture del Golan spostando alcune unita’ sull’altipiano che sovrasta Siria e Libano senza fornire preavviso. La mossa giunge a seguito delle speculazioni riguardo alla possibile rappresaglia dei libanesi sciiti di Hezbollah contro Israele in caso di un attacco contro le installazioni nucleari in Iran. L’esercito israeliano ha commentato la decisione spiegando che si tratta di una esercitazione di routine “precedentemente pianificata” e non ha nulla a che vedere con le tensioni con Damasco”, spiegano i vertici dell’Israel Defense Forces. Tuttavia, una fonte dell’esercito ha detto al quotidiano israeliano Haaretz che quest’ultima esercitazione “è più di una coincidenza”: in agosto Bashar al-Assadavrebbe dato l’ok per testare armi chimiche da utilizzare contro i suoi oppositori. Il piano sarebbe stato confermato da un generale siriano disertore, Adnan Sillu, in un’intervista pubblicata ieri sul quotidiano britannico Times. Sillu racconta di aver deciso di abbandonare Assad dopo aver partecipato tre mesi fa a una riunione ai massimi livelli militari nella quale si è deciso il ricorso alle armi chimiche contro i ribelli e contro la popolazione. “Abbiamo avuto un’accesa discussione sull’uso delle armi chimiche, su come utilizzarle e in quali zone (…) Ne abbiamo parlato come ‘ultima chance’, come ad esempio nel caso della perdita di territori chiave come Aleppo”. Sillu ha aggiunto che, “almeno per il momento”, Assad vorrebbe trasferire queste armi a Hezbollah, suo alleato. Il gruppo sciita libanese dovrebbe limitarsi a custodirle. L’esercitazione sulle alture Golan arriva una settimana dopo quella in Galilea, ancora più massiccia, al confine con il Libano. In più occasioni i funzionari israeliani hanno lasciato intendere di voler evitare “ad ogni costo” l’utilizzo di armi proibite. Lo stesso presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha definito “linea rossa” l’ingresso delle armi chimiche nel conflitto siriano.

I TALEBANI USANO FACEBOOK PER SPIARE I MILITARI OCCIDENTALI A dispetto dell’etichetta che abitualmente siamo pronti ad affibbiare ai talebani afghani, cioè quella di rustici combattenti armati solo di vecchi Mauser persiani, kalashnikov arrugginiti e dediti al confezionamento di bombe artigianali sembra che questi siano invece anche abili nello sfruttare con maestria i vizi e difetti del moderno combattente occidentale. Sono stati resi noti i risultati di uno studio commissionato dal Governo australiano, effettuato a partire dal marzo scorso. Questo studio ha analizzato anche l’impiego di Facebook da parte dei circa 1.500 militarti australiani schierati in Afghanistan, dimostrando nei risultati che i talebani usano falsi profili Facebook per ottenere “l’amicizia” dei soldati schierati nella provincia meridionale di Oruzgan e raccogliere preziose informazioni di carattere militare. I talebani, secondo lo studio adottano diversificate in questa sorta di cyberwar contro le truppe internazionali. In alcuni casi si spacciano per “donne attraenti” che intendono stringere amicizia con i militari. In altri casi sono riusciti anche ad impossessarsi dei profili virtuali di amici e parenti dei soldati al fronte, carpendo così utili informazioni tramite “innocenti” domande dirette. Attraverso il servizio di geotagging i talebani avrebbero in alcuni casi individuato la posizione dei vari reparti militari sul territorio afghano. Una tecnica comunque purtroppo non nuova e già adottata nel 2007 a spese dei militari statunitensi in Iraq. Lo studio australiano contiene anche un sondaggio effettuato tra 1.577 militari dal quale emerge che il 58 per cento degli utenti dei social network non è comunque consapevole dei rischi legati al loro utilizzo e non ha ricevuto alcuna formazione specifica in merito. È naturale comprendere che i talebani utilizzano sicuramente le stesse tecniche per spiare o contattare i militari di altri contingenti schierati sul territorio afghano, così come è evidente che la minaccia alla sicurezza delle informazioni militari attraverso i social network non proviene solo dai jihadisti afghani. Come sempre vale il vecchio manifesto: “Silenzio ! Il nemico ascolta…”


Defence industry

VEICOLI HUMMER PER LE IDF ISRAELIANE In linea con il forte rapporto di collaborazione ed interscambio esistente tra lo US Army e le forze armate israeliane (IDF - Israel Defence Forces), a breve queste ultime inizieranno col ricevere le prime unità di una dotazione complessiva ammontante a ben 2000 veicoli Hummer. I veicoli, che verranno progressivamente messi in linea da parte dell’esercito israeliano nell’ottica di rinforzare la componente mobile, provengono dalle fila dello US Army. Essi sono appartenenti alla versione A0 ed A1, e nei prossimi tre anni, periodo in cui la fornitura in parola dovrebbe essere finalizzata, essi verranno man mano ceduti dall’esercito statunitense, revisionati e rimessi in linea sul territorio israeliano sotto i colori dell’IDF. Ovviamente prima di essere dislocati operativamente sul campo, i veicoli, in linea con le esigenze tattiche dei reparti di assegnazione, verranno opportunamente modificati per soddisfare ai differenti requisiti operativi. La maggior parte dei veicoli verranno comunque, almeno inizialmente, tenuti in stand by come riserva strategica di veicoli leggeri. Tale stand by sarà comunque opportunamente tecnicamente e logisticamente organizzato in modo da garantire una prontezza al 100% dei veicoli. Quelli immediatamente dispiegati invece saranno utilizzati principalmente come mezzi multiruolo o per operazioni di acquisizione informazioni. La fornitura dei veicoli inizierà nei primi mesi del 2013 con un ritmo di circa 100 veicoli consegnati al mese. Nell’arco di circa due anni dunque la fornitura dovrebbe essere ultimata. TNM ••• 10

A CURA DI GIUSEPPE MARINO

BAE SYSTEMS FORNISCE IL “TRIGR” ALLO US ARMY Lo US Army ha recentemente siglato con BAE Systems un contratto da ben 23 milioni di dollari per la fornitura di un nuovo avanzato sistema portatile di tracciamento bersagli. Esso risulta basato, come di consuetudine ormai, su tecnologia IR e laser. Il sistema in questione, denominato TRIGR (Target Reconnaissance Infrared Geolocating Rangefinder), come desumibile dalla denominazione stessa, risulta essere un sistema portatile per l’individuazione, identificazione e geolocalizzazione di bersagli. Le informazioni acquisite col TRIGR, vista la notevole affidabilità e precisione offerta, potranno essere utilizzate con i più disparati scopi, quali, ad esempio, la guida di un bombardamento e la valorizzazione dal punto di vista intelligence dei dati acquisiti. Sistemi in grado di offrire le potenzialità del TRIGR sono già disponibili, la


ROBOT-SNAKE COME COMBAT LIFE SAVER

peculiarità del nuovo prodotto di BAE System consta nella portabilità. Esso infatti, concepito elettivamente per dotare il personale dispiegato sul campo di un sistema facilmente trasportabile ed altamente performante, pesa circa solo 2,5 Kg ed è frutto di un processo di progettazione che, oltre alle performances in termini di capacità di acquisizione bersagli, ha avuto come punto cardine quello della robustezza ed affidabilità. Un sistema altamente tecnologico concepito quindi, come ormai continuamente accade nel campo delle tecnologie applicate in campo bellico, con una connotazione “rugged”. Tale caratteristica costruttiva mette dunque gli operatori in condizione di poter disporre con totale affidabilità di un sistema altamente performante impiegabile in ogni condizione operativa ed ambientale. Il sistema TRIGR integra al suo interno: un’ottica infrarosso di ultima generazione, un dispositivo di acquisizione ottico con fattore di ingrandimento 7x, un telemetro laser, una bussola digitale e magnetica, un sistema GPS. Ovviamente tutti i componenti del sistema sono tra loro interfacciati e a loro volta poi interfacciabili con l’esterno. La varietà di sensori di cui il sistema dispone, consente l’impiego dello stesso da parte di operatori militari aventi mansioni, e conseguentemente profili di missione anche molto differenti e variegati. Vista tuttavia la qualità e versatilità del sistema, sicuramente destinatari elettivi del TRIGR saranno in primis operatori delle forze speciali, cellule snipers, operatori recon e scout. Un potenziale scenario di impiego del sistema TRIGR potrebbe vedere impegnato, ad esempio, un distaccamento di forze speciali che, inviato su un obiettivo per operare un’eliminazione chirurgica di un soggetto ostile, rileva un sito di interesse per il quale si ritenga necessario richiedere un bombardamento aereo. Gli operatori sniper del distaccamento potrebbero dunque utilizzare le funzionalità ottiche e di telemetro del TRIGR per identificare il bersaglio con relativa posizione e distanza, procedendo poi all’eliminazione. Successivamente lo stesso TRIGR potrebbe essere impiegato per “l’illuminazione laser” del sito identificato come ostile al fine di favorirne il centraggio da parte di un successivo bombardamento aereo. Si ritiene opportuno segnalare come il TRIGR sia solo l’ennesimo sistema di acquisizione bersagli portatile sviluppato per gli operatori militari. L’europea Vectronix, ad esempio, ha in catalogo numerosissimi sistemi analoghi a quello in analisi, altamente performanti e funzionali.

Per quanto attiene il personale che subisce ferite in combattimento, statisticamente si sono definiti i primi 30 minuti successivi al ferimento, come quelli determinanti per riuscire a stabilizzare il ferito e successivamente dunque salvarne la vita. Ne segue dunque che le azioni a carattere medico e di soccorso attuate nella prima mezz’ora post ferimento possono fare la differenza tra la vita e la morte. E’ fondamentale dunque agire in questo breve tempo in modo efficace, competente e veloce. Spesso purtroppo però tale determinante breve lasso di tempo post ferimento viene impiegato per individuare il ferito, eventualmente estrarlo da un’area a rischio o mezzo incidentato e, solo successivamente, per prestargli i primi soccorsi a carattere medico. L’azione puramente medica sul ferito dunque difficilmente ha inizio nell’immediato e ciò contribuisce a ridurre sensibilmente le possibilitá di sopravvivenza. Fortunatamente tuttavia, gli attuali considerevoli progressi registrati in campo tecnologico, e più nel particolare nel campo della robotica, trovano applicazione anche nello sviluppo di nuove tecnologie applicate al soccorso ed alla medicina sul campo di battaglia. Nello specifico infatti sono già stati sviluppate e trovano giá in alcuni casi applicazione sperimentale sul campo, delle nuove tipologie di robot comandati a distanza, in grado di localizzare un eventuale operatore ferito e grazie ad una suite di sensori e strumenti disponibili, prestare i primi soccorsi, contribuendo altresì alle eventuali fasi di estrazione da area a rischio. I robot in questione infatti, proprio per ovviare ad una delle problematiche testè citate, ovvero la sovente difficoltá / impossibilitá di raggiungere nell’immediato un ferito, sono stati sviluppati con fattezze “serpentiformi”, ovvero tali da consentire l’inserimento in contesti caratterizzati da spazi ridotti quali, ad esempio, quelli tipicamente riscontrabili in occasione di un incidente interessante un veicolo colpito e/o un velivolo precipitato. Anche le dimensioni di tali robot, vista l’esigenza di trasporto di suite sensoriali avanzate ed articolate, ricalcano in tutto e per tutto le dimensioni di un grosso serpente. La complessitá delle articolazioni di tali robot non consentirebbe un agevole azione di controllo dei movimenti da parte di un operatore in controllo remoto, pertanto specifici software di controllo sono stati sviluppati. L’operatore al comando del robot, agendo dunque a distanza su un joystic, riuscirá con relativa semplicitá a governare il movimento del robotsnake portandolo, grazie all’impiego di sensori ottici e termici, fino nelle immediate vicinanze del ferito. Una volta raggiunto il ferito, tramite versioni miniaturizzate e remotizzate dei normali strumenti oggi impiegati in campo medico, sará possibile rilevare i principali parametri vitali del paziente nonché individuare eventuali patologie occorse, quali emorragie e fratture. Versioni prototipali avanzate prevedono anche la possibilitá di far seguire alla diagnosi anche l’intervento effettivo sul paziente garantendo quanto meno la stabilizzazione del ferito in attesa di successiva assistenza da parte di operatori medici.


ROBOT CON POTENZIALITA’ “CAMALEONTICHE” ALLO STUDIO DELLA D.A.R.P.A. La ben nota statunitense D.A.R.P.A. (Defense Advanced Research Projects Agency), lavora senza soluzione di continuità allo scopo di sviluppare nuove tecnologie per soddisfare alle sempre più pressanti esigenze delle forze armate statunitensi. Nello specifico, per quanto attiene l‘esigenza di queste ultime di disporre di sempre più numerosi, sofisticati, diversificati e performanti robot, atti a svolgere le più disparate mansioni, sia in contesti di combattimento che di supporto allo stesso, ha recentemente condotto studi finalizzati allo sviluppo di nuove e rivoluzionarie tecnologie di mimetismo attive da applicare ai nuovi robot. Ovvero sono al momento allo studio degli avanzatissimi prototipi di mimetismo attivo destinati all’implementazione sui robot, di fatto traenti ispirazione dal mondo naturale e più nello specifico, come facilmente immaginabile in tema di mimetismo, dalle capacità di mimetismo dei camaleonti. Il funzionamento dei prototipi fino al momento sviluppati, aventi ridotte dimensioni e realizzati prevalentemente con materiali siliconici, si basa sullo sfruttamento di speciali liquidi che, in soli 30 secondi, sono in grado di adeguarsi ai colori dell’ambiente circostante riproducendone alla perfezione

caratteristiche le cromatiche. Sebbene la tecnologia alla base di tale funzionamento sia ovviamente molto complessa e tuttora in fase di sviluppo ed affinamento, il concetto di base su cui si fonda il sistema di funzionamento viene di seguito descritto. Essenzialmente, i liquidi utilizzati risultano essere foto e termo sensibili. Venendo dunque opportunamente incanalati in reti di sottilissimi micro tubazioni distribuite sotto tutta la superficie esterna dei robot, essi consentono, grazie appunto alle proprie proprietà intrinseche, di adeguare la colorazione complessiva del robot ai colori dell’ambiente circostante. Oltre alle proprietà intrinseche dei liquidi, indispensabile per il funzionamento di tale sistema di mimetismo, è il disporre di una suite sensoriale implementata nello stesso al fine di percepire attivamente le caratteristiche cromatiche ambientali. Il tutto in modo di disporre di un modello dinamico dell’ambiente, impiegabile per emulazione e confronto. Al momento ciò che è allo studio è la tecnologia di mimetismo, pertanto i prototipi ad oggi sviluppati non presentano performance di movimento o sensoriali particolari. Tali aspetti progettuali non preoccupano infatti al momento gli ingegneri e studiosi della D.A.R.P.A. che, con relativa facilità, una volta messo a punto il sistema di mimetismo, si dedicheranno allo sviluppo dei differenti sistemi robotici con esso equipaggiati.

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ROYAL NAVY - UNITA’ MULTIRUOLO TYPE 26 Approssimativamente nel 2020 dovrebbero entrare in servizio tra le fila della Royal Navy le prime unità della classe Type 26. Nuove unità multiruolo di modernissima concezione, delle quali il MOD britannico ha recentemente reso noti i principali requisiti operativi ed alcuni dettagli tecnici. In linea con l’esigenza di ottimizzazione delle risorse economiche disponibili, nonché nell’ottica di un adeguamento dello strumento militare all’attuale quadro geopolitico, le unità in questione avranno una connotazione estremamente modulare. Tale caratteristica, peraltro perfettamente in linea con le nuove tendenze progettuali in campo navale, consentirà dunque di impiegare le nuove unità navali in diversi contesti operativi: dal contrasto alla pirateria, ad operazioni di peace keeping e/o peace enforcing, per concludere con impieghi a carattere umanitario. Il tutto senza ovviamente escludere operazioni navali di carattere convenzionale e mantenendo la possibilità di agire sia indipendentemente che come parte di coalizioni interforze e multinazionali estremamente articolate. Le unità classe Type 26, già in fase di studio da parte del MOD e BAE Systems dal 2010, avranno una lunghezza di circa 150 metri ed un dislocamento approssimativo di 5500 tonnellate. A tali caratteristiche dimensionali verranno associate le seguenti performance operative: • possibilità di lancio di diversi vettori missilistici sfruttando silos verticali; • cannone anti-nave e per tiri contro costa di medio calibro; • hangar in grado di ospitare velivoli ad ala rotante quali i Merlin o i Wildcat; • spazi idonei all’imbarco di suite modulari atte a consentire l’operatività di mezzi aerei e subacquei senza pilota; • suite di sensori al top tecnologico.


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ZEPHYR GTX MID... ORA DISPONIBILI ANCHE IN NERO Modello di grande successo in casa LOWA, ora disponibile anche in nero. Le caratteristiche rimangono invariate, e sono sempre al topo della gamma: pelle scamosciata, fodera Gore-tex, suola in gomma Lowa, allacciatura tramite occhielli e 3 ganci chiusi. Ricordiamo come già detto altre volte che Lowa non utilizza forme standard fornite dalle fabbriche Asiatiche come invece avviene per la maggior parte della produzione in questo segmento di mercato. Nella primavera del 2009, LOWA è diventata l’unica azienda produttrice di calzature da trekking al mondo cui sia stato concesso il certificato ISO 9001 per l’eccellenza nei processi gestionali e gli elevati livelli di qualità nella propria produzione.

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MASSIMA ADERENZA SU TUTTE LE SUPERFICI OPERATOR GLOVES BY SOD GEAR Il sistema Operator è un guanto corto multiuso prodotto al 100% in Nomex, pelle di bue e pelle di capra digitale, tali caratteristiche rendono questo guanto sia resistente al fuoco che estremamente ergonomico. Il cinturino in velcro, inoltre, assicura una vestibilità sicura e confortevole.

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IPHONE HOLSTER BLADE TECH REVOLUTION SERIES

PRODOTTI SEMPRE AL TOP IN CASA SOD - SPECTRE MOLLE CHEST RIG Piattaforma MOLLE ideale per qualsiasi configurazione anche pesante. Può essere indossato tranquillamente sopra gli attuali Body Armour oppure come piattaforma Combat Recon Stand Alone.Gli spallacci sono rivestiti internamente di Airnet garantendo comfort e traspirazione. Presenti un numero di ritenzioni elastiche interne ed esterne per bloccare i vari cablaggi e cavetterie radio.La superficie frontale può alloggiare un gran numero di tasche nelle varie forme e dimensioni a seconda della configurazione richiesta.Presente una tasca porta piastra d’emergenza.Alloggio per materiali di backup.Presenti 2 tasche laterali con funzione di fondina e porta radio. Al centro della struttura una tasca admin standard con tutti gli alloggi previsti da ruoli di gestione.Totalmente compatibile col sistema di interfaccia universale per gli zainetti d’assalto. Costruito in Cordura 1000D

E’ innegabile che uno degli smartphone oggi giorno più diffusi sia il conosciutissimo ed americanissimo IPhone. E’ altresì innegabile che i possessori di IPhone aventi a che fare col mondo militare, della sicurezza e dell’avventura in genere, abbiano la necessità di proteggere il proprio prezioso smartphone con idonee custodie atte ad impermeabilizzarlo e salvaguardarlo da eventuali urti, polvere, acqua e sabbia. Tutti agenti esterni comunissimi nell’ambito di uno stile di vita all’insegna del movimento, dinamismo e di un contesto operativo in generale. Proliferano dunque oggi sul mercato specifiche custodie per lo smartphone della “mela”, e per i suoi diretti concorrenti, aventi caratteristiche “rugged” atte a soddisfare i requisiti di protezione e contestuale robustezza testè citati. Se le custodie comunque non mancano, fino ad oggi non erano ancora state introdotte specifiche “fondine” porta “smartphone ruggherizzato”. La statunitense Blade Tech ha comunque recentemente colmato questa lacuna introducendo sul mercato un nuovo prodotto: la “IPhone Holsters Revolution Series”. Realizzata sfruttando i materiali e la consueta ed efficace tecnologia tipica delle fondine per pistola Blade Tech, la nuova fondina per IPhone, dotata dell’immancabile attacco cintura a sgancio rapido Tek-Lok, viene realizzata in diverse versioni tali da consentire la compatibilità con le più comuni custodie rugged per IPhone presenti sul mercato: Otterbox, Magpul, etc. In tal modo il proprio smartphone sarà sempre, oltre che protetto, immediatamente disponibile alla cintura mantenendo contestualmente una ottima sicurezza di trasporto e protezione dello stesso. In un mondo in cui lo smartphone assume sempre maggiore utilità, spesso anche in campo professionale, grazie alle migliaia di applicazioni sviluppate, la Blade Tech centra nel segno con il suo nuovo prodotto, peraltro avente un prezzo accessibilissimo. I prodotti Blade Tech risultano già abbondantemente presenti sul mercato italiano, è auspicabile dunque che a breve termine anche le “fondine” per smartphone lo siano.

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ANGLE SIGHT BY ACCUTACT. THE “COMBAT-LIFESAVER”

STRIKE INDUSTRIES COBRA TACTICAL FORE GRIP La statunitense Strike Industries ha recentemente introdotto sul mercato una nuova speciale impugnatura destinata all’installazione sui diffusissimi R.I.S., oggi giorno ormai immancabili sulle moderne armi lunghe destinate ad impiego tattico/sportivo. Si sta parlando della Cobra Foregrip. E’ evidentissima la somiglianza della Cobra Foregrip alla ormai notissima AFG (Angle Fore Grip) della Magpul. La destinazione d’uso risulta infatti la medesima. Tuttavia, ed ovviamente, è possibile riscontrare alcune differenze tra i due modelli e nello specifico alcuni evidenti aspetti innovativi. La Cobra Foregrip infatti, realizzata peraltro anche sulla base dei feedback di operatori professionisti, presenta una accentuata appendice frontale zigrinata anteriormente finalizzata peraltro anche ad impedire lo scivolamento della mano in avanti, nonchè uno specifico incavo realizzato nella parte posteriore. Entrambi gli accorgimenti risultano ottimizzati per consentire diverse possibilità di posizionamento della mano da parte dell’operatore e dunque differenti tecniche di tiro. Ovviamente realizzata in robusto materiale polimerico, disponibile in colorazione nera e tan, ha un prezzo di mercato leggermente inferiore rispetto alla AFG di Magpul per la quale si configura dunque come un diretto ed “agguerrito” concorrente sul mercato.

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Da tempo ormai in commercio sul mercato USA, ancora ha fatto solo sporadiche apparizioni in Italia, sia sui campi di tiro che installato sulle armi di operatori professionisti. Si sta parlando dell’Angle Sight, innovativo, semplice e geniale accessorio per il proprio sistema di puntamento che consente, sfruttando il principio della riflessione, di acquisire il sistema di puntamento di un’arma lunga senza che la stessa risulti imbracciata convenzionalmente. Installando un Angle Sight di fatto si frappone tra l’occhio dell’operatore ed il sistema di mira dell’arma impiegata uno speciale supporto contenente al suo interno dei cristalli trasparenti/ riflettenti orientabili tali da consentire l’acquisizione del sistema di mira da posizione defilata. Ciò consente dunque di poter mirare e fare fuoco mantenendo ad esempio un eccellente livello di copertura, facendo sporgere nella “hot zone” esclusivamente una piccola porzione dell’arma impiegata e dunque del corpo dell’operatore. Progettato e realizzato dalla statunitense Accutact, esso risulta disponibile in diverse colorazioni nonchè con diversi sistemi di fissaggio alle diffusissime slitte weaver. Il tutto in linea con le tendenze attuali nel campo della accessoristica militare e più in generale specifica per sistemi d’arma. E’ sufficiente dunque installare l’Angle Sight sulla stessa slitta weaver su cui risulta montato un sistema di mira ottico, sia esso a punto rosso, olografico o di altro genere, e sarà possibile, tramite i cristalli dell’Angle Sight, acquisire “mirino” e bersaglio da posizione disassata rispetto all’arma e dunque da posizione verosimilmente sicura. L’assenza di esigenza di settaggio, unitamente alla grande versatilità e flessibilità del sistema, legata alla possibilità di rotazione a 360° dei cristalli, nonchè infine il mantenimento della possibilità di tiro in modalità convenzionale, rendono l’Angle Sight un utilissimo strumento: versatile, efficace ed innovativo. La speranza è quella di poterlo quanto prima vedere in distribuzione anche in Italia.

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HARD POINT TACTICAL INTEGRA SLING Nella ricchissima gamma di cinghie per impiego tattico aventi le più svariate caratteristiche tecniche, nonchè realizzate con i più disparati materiali ed adottando soluzioni innovative, si colloca, distinguendosi per innovazione ed originalità, la “Hard Point Tactical Integra Sling” (H.P.T.I.S.). Essa di fatto risulta costituita da una robusta fettuccia elastica dotata alle due estremità di due opportuni ganci ottimizzati al fine di poter essere agevolmente fissati agli spallacci di un vest tattico, immancabile componente dell’equipaggiamento degli operatori professionisti. La H.P.T.I.S. di fatto, quando installata, forma una sorta di “U” sul fronte del chest rig o plate carier utilizzato e nell’estremità inferiore di detta “U” si colloca un attacco a sgancio rapido di tipo convenzionale QD. A quest ultimo è possibile dunque fissare un’arma lunga dotata di attacco cinghia baricentrico, ovvero di tipo ottimale per collegameto a cinghiaggi a punto singolo ideali per operazioni CQB. La fettuccia elastica costituente il “core” del sistema, grazie alle fattezze testè descritte ed alla innovativa tipologia di fissaggio, consente di scaricare il peso dell’arma sulle spalle dell’operatore e non sul collo, come accade utilizzando cinghie tattiche di tipo convenzionale. Inoltre, il totale svincolo della H.P.T.I.S. dal collo dell’operatore consente agevolissimi cambi della spalla di appoggio per l’arma lunga, come noto procedura indispensabile nell’ottica di ottimizzare lo sfruttamento di coperture. La taratura della elasticità della H.P.T.I.S. è studiata ed ottimizzata al fine di consentire una agevole e rapida movimentazione dell’arma, specie in fasi di transizione arma corta arma lunga. L’arma fissata alla H.P.T.I.S., quando non utilizzata, rimane infatti con il calcio posizionato di fatto al centro del petto dell’operatore, in posizione molto elevata, in pratica all’altezza dello sterno. Una posizione dell’arma dunque molto utile in contesto CQB ma di fatto non ottimale in altri contesti operativi. La H.P.T.I.S. si configura dunque come un prodotto originale e funzionale il cui impiego ideale risulta però limitato a ben determinati contesti operativi.

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IL TROLLEY MULTIUSO SECONDO PEZT CO.

Trolley espressamente concepito per impieghi militari. La struttura esterna è realizzata in nylon balistico da 1680 denari per i punti sottoposti a maggior usura e nylon ripstop (antistrappo) da 420 denari per le altre parti. L’intero trolley presenta pareti imbottite, per consentire anche lo stivaggio di attrezzature delicate. Il fondo rigido presenta due longheroni esterni di rinforzo in materiale plastico, che svolgono anche la funzione di punti d’appoggio. Le maniglie superiori sono conformate appositamente per consentire di portare il trolley come uno zaino. Ulteriori maniglie sono collocate su entrambi i lati corti. L’interno è separabile in due compartimenti, grazie ad un divisorio mobile con fissaggio a strappo; sempre all’interno trova posto una tasca con struttura in rete. Un’altra tasca si trova all’esterno del lato corto superiore, mentre sul lato lungo di destra è presente una tasca asportabile da 40x20x6cm, dotata di organizer e portadocumenti. La zip del comparto principale è predisposta per la chiusura mediante lucchetto. Grazie alle tre ruote di generose dimensioni, dotate anche di battistrada scolpito, è possibile trascinare il trolley anche su superfici sconnesse.

MADE IN USA PER PROFESSIONISTI - ACCUTACT COMMANDER SCOPE CS8X - 8X42 In esclusiva per il rivenditore Top Equipment di roma, questo strumento 8X42 rappresenta un ottima alternativa ai binocoli correnti usati dal personale militare e di pubblica sicurezza. Il COMMANDER SCOPE è leggero facilmente trasportabile con una sacchetta (in dotazione) e presenta un fissaggio MOLLE. Può essere impiegato rapidamente dal soldato per identificare rapidamente le distanze dall’obiettivo. Il COMMANDER SCOPE è in grado di eliminare l’immagine doppia, problema di molti binocoli presenti sul mercato, Il suo grande obiettivo è stato progettato per trasmettere una grande luminosità anche in condizioni di scarsa visibilità in più è presente un reticolo per il calcolo accurato della distanza dotato di bussola interna per acquisire facilmente le misure di azimut dell’obiettivo. Il COMMANDER SCOPE è impermeabile fino a 1,5 metri di profondità. Articolo professionale Made in USA

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FOCUS ON TALEBANI GLI STUDENTI GUERRIERI

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ECOMAFIE, LA DARK ECONOMY

TIRO TATTICO DA DIFESA IL PORTO DELL’ARMA IN CONDIZIONE OPERATIVA

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PREVIEW BERETTA NANO

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BLACK DOSSIER

L’HSBC E IL FINANZIAMENTO al TERRORISMO È dura essere la seconda maggiore banca del mondo. HSBC, il gigante multinazionale dei servizi bancari e finanziari di base a Londra, opera in 85 paesi, con 7,200 uffici sparsi nel mondo e con un valore di più di 2.6 trilioni di dollari statunitensi. È anche coinvolta in una serie di scandali: il pasticcio del fixing del tasso Libor, gravi accuse di riciclaggio di denaro collegato alla droga e sospetti che funzionari della banca abbiano avuto contatti con finanziatori del La terrorismo. La HSBC fu fondata nel 1865 quando la Corona Britannica, al termine della Prima Guerra dell’Oppio colonizzò Hong Kong. I trafficanti inglesi, avevano bisogno di una banca che gestisse il losco traffico di sostanze illegali e per questo costituirono la Hong Kong and Shanghai Banking Company Limited, rinominata poi, nel 1991, “HSBC”. Gli affari della banca

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si moltiplicarono velocemente dopo la caduta del Muro di Berlino. Se per qualcuno questa può definirsi una storia di successo, fulgido esempio di alta finanza in tempi di economie in crisi, dovrebbe invece più adeguatamente prendere in prestito un termine mafioso per descrivere la posizione dominante delle istituzioni corrotte nel pantheon capitalista: juiced. Oggi, la “Guerra alla droga” contende la scena alla “Guerra al terrore” sullo fondo dell’ipocrisia globale. Abbondano le equivalenze morali: dopo tutto, quando i servizi segreti americani manipolano i flussi di droga o conducono azioni per attaccare nemici terroristi, non è proprio la stessa cosa che combattere il terrore e il crimine. Un nuovo rapporto della Sottocommissione Permanente del Senato americano sulle Investigazioni ha accusato HSBC di “esporre il sistema finanziario statunitense a una vasta gamma d’illeciti come riciclaggi di denaro, traffico di droga e rischi di finanziamento terroristico causati da scarse misure anti-riciclaggio (AML).” Il rapporto “Vulnerabilità degli Stati Uniti al riciclaggio di denaro, droga e terrorismo finanziario: il caso dell’HSBC”, venne pubblicato al termine di un’indagine del Senato durata un anno sull’affiliata americana HSBC Bank USA, meglio nota come HBUS. Scavando nei documenti, sono venuti a conoscenza che tra i “servizi” offerti dalle filiali e dalle banche corrispondenti di HSBC, c’erano affari d’oro con enti finanziari collegati al terrorismo. Il trasporto aereo o con macchine blindate, di miliardi di dollari in contanti attraverso la loro divisione di Londra, la compensazione di traveller cheque numerati in sequenza attraverso le solite Isole Cayman per conto di trafficanti di droga messicani e mafiosi russi. Dalle costose suites di Canary Wharf di Londra, i “ragazzi più furbi del mondo” consegnavano a criminali e gangsters quello che gli occorreva per organizzare le loro attività. Soltanto nel 2008 il Senato ha rivelato che la filiale della banca

alle Isole Cayman gestiva circa 50.000 conti bancari (tutti senza benefit di uffici o personale alle Grand Cayman), eppure riusciva a trasportare qualcosa come 7 miliardi di dollari americani (10,9 miliardi di sterline) in contanti dal Messico fino agli Stati Uniti. Questa sì che è finanza creativa! Eludendo palesemente le regole bancarie statunitensi, il Presidente della Sottocommissione Carl Levin, ha detto che “sfruttando gli scarsi controlli antiriciclaggio della banca, HBUS ha esposto gli Stati Uniti al traffico di droga messicano, ad assegni sospetti, società fantasma e a illegalità varie.” “Un modo di operare gravemente inquinato protrattosi per lungo tempo” ha detto Levin “non basteranno solo le parole, affinché la banca cambi rotta”. Eppure, dai vertici della banca americana, ancora prima che iniziasse l’indagine del Senato, sono arrivate inutili parole e vergognose giustificazioni. Il portavoce della banca, Robert Sherman, in un documento inviato via mail, dichiarò: “Dovremo riconoscere che, in passato non siamo stati in grado di soddisfare le esigenze dei revisori e dei clienti; per questo chiederemo scusa, riconosceremo i nostri errori, rispondendo delle nostre azioni e impegnandoci a riparare quello che è andato storto”. E tanto per essere coerenti, il garante della conformità della banca, David Bagley, è crollato durante le audizioni dando le dimissioni: una performance

notevole, anche secondo i rozzi standard di Washington. Mostrandosi contrito, Bagley ha confessato alla commissione che: “Nonostante i migliori sforzi e le migliori intenzioni di tanti professionisti, l’HSBC non è stata all’altezza delle nostre aspettative e dei nostri revisori; raccomando al gruppo che questo è il momento giusto, per me e per la banca, che venga qualcun altro a coprire la carica di garante della conformità”. In tutto questo non fu fatto alcun cenno alla milionaria fuoriuscita destinata a Bagley, però una cosa è certa: non passerà neanche un giorno in carcere, come non lo farà Lord Stephen Green, ex Presidente e Amministratore Delegato della HSBC. Tra il 2003 e il 2010, Lord Green è stato al timone di diverse operazioni che vedevano coinvolte The Bank of Bermuda Ltd., HSBC Mexico, SA, HSBC Private Banking Holdings (Suisse) SA e HSBC North American Holdings Inc.; tutti attori importanti degli scandali citati. Avendo avuto il presentimento che il gioco stesse per finire, l’anno scorso è entrato nel governo Conservatore di David Cameron come Ministro per il Commercio e gli Investimenti. Diversamente da Bush padre, il quale dichiarò essere “fuori dal giro” ai tempi dell’affare IranContra (armi in cambio di droga), Green è stato invece accusato di piena responsabilità per le illegalità citate e il Senato ha pubblicato le TNM ••• 21


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corrispondenze che lo dimostrano. In modo sfacciato, mentre vedeva cadere i suoi sottoposti, Green ha fatto la seguente dichiarazione al The Daily Telegraph: “Io non credo che debba rispondere di azioni particolari se non del fatto che, in qualità di presidente e amministratore della società, sono responsabile di ciò che la società fa; la HSBC ha espresso rammarico per i fallimenti, e io condivido questo disappunto”. Il Telegraph ha inoltre rilevato che Green non ha minimamente considerato di dimettersi dal Governo Cameron, dichiarando di essere molto impegnato nel ruolo che gli è stato assegnato. Tutti i riflettori ora puntano su Stuart Gulliver il quale, prima che riesca a dire le parole “ci dispiace”, ha già ammonito i dipendenti, invitandoli a “fare meglio”, esprimendo, inoltre, il suo rimorso sul comportamento inaccettabile della sua azienda. Poco importa se prima di salire al trono, Gulliver era direttore della HBUS, della HSBC Latin American Holdings Ltd., e della HSBC Bank Middle East Ltd., filiali che hanno fatto abbastanza aggrottare le ciglia agli inquirenti della Sottocommissione del Senato. Tanto per arricchire di toni clauneschi la lacrimosa performance di Bagley è arrivata poi Irene Dorner, Presidente e Amministratore Delegato di HBUS la quale ha comunicato al Senato: “Siamo profondamente rammaricati e chiediamo scusa che la HSBC non ha soddisfatto l’attesa dei nostri revisori, dei nostri clienti, dei dipendenti e del pubblico in generale”. L’andamento della conformità in HSBC, come esaminata oggi, è assurda. Abbiamo lavorato sodo per promuovere una nuova cultura che valorizzi e premi una reale conformità, la quale non può che nascere dal vertice”. Sentimentalismo a parte, era un modo gentile per dire “Andiamo avanti e torniamo a occuparci dei nostri affari che ci riempiono le tasche; dopo tutto, è quello che sappiamo fare meglio”. Il passato non muore mai. Non è neanche passato Anni prima che degli aerei di linea TNM ••• 22

si abbattessero sulle Torri Gemelle del WTO e sul Pentagono, uccidendo quasi 3.000 persone, i servizi segreti americani iniziarono a sfruttare i fraterni collegamenti tra i database usa-e-getta afgano-arabi di Osama Bin Laden, in altre parole, tra al Qaeda, e importanti enti finanziari. Nel suo libro del 1999, Dollars for Terror,

facile riuscire a versare il “vecchio” vino imperialista in bottiglie nuove con l’etichetta: “intervento umanitario” e “una responsabilità da proteggere”. Un copione brillante. In un batter d’occhio i nostri maghi dei media riescono a “promuovere le democrazie” e “riformare mercati”, trasformando magicamente risorse

il giornalista Richard Labévière riportava le parole di un ex analista della CIA: “La politica di guidare la rivoluzione dell’Islam e aiutare gli islamici contro i nostri avversari funzionò meravigliosamente in Afghanistan contro l’Armata Rossa. Le stesse tecniche potrebbero essere ancora usate per destabilizzare ciò che resta del potere Russo e soprattutto per contenere l’influenza della Cina nell’Asia Centrale”. Era forse l’alba di una nuova Guerra Fredda? No, infatti, era la stessa Guerra Fredda. Solo che questa volta era elegantemente camuffata da think-thank occidentali e ONG neocostituite. In un’era caratterizzata da continui flussi d’informazioni, è

pubbliche in beni privati controllati dalle banche! L’argomento che i terroristi fungano da tappetino consentendo di affondare le unghie nei forzieri della sovranità nazionale, non è considerato adeguato in una conversazione civile. Labévière si è chiesto se “le nuove forme di terrorismo non nascondano il più alto stadio del capitalismo”. Così è, e gli “spaventapasseri” degli affiliati all’organizzazione di Bin Laden sono stati ben accolti dai legali societari a Wall Street e delle Bahamas, dai grandi manager di Ginevra, Zurigo e Lugano e negli ovattati saloni della City londinese. Non è strano, in fondo, che “la privatizzazione della violenza e dell’economia siano divenute


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paradigmatiche”. “Lasciando da parte qualsiasi motivazione religiosa” ha scritto Labévière, “la Jihad si sta evolvendo in un’attività di lucro. Si è trasformata in un’organizzazione mafiosa che sfocia nel puro banditismo. In molti casi, l’ideologia islamica viene usata da impiegati modello che lavorano alacremente per sviluppare la delinquenza in tutte le sue forme”. Bin Laden come il capo di tutti i capi? Sicuramente è un racconto di macchinazioni geopolitiche. Arruolati senza esitazione dalle banche saudite e del Golfo, con il consenso malcelato dei loro vecchi amici CIA e Pentagono, gli attuali condottieri di Green sono di nuovo in marcia, seminando distruzione e caos con particolare attenzione per quei paesi additati come nemici ufficiali del Padrino Globale: l’Iraq, la Libia e la Siria. Mentre il rapporto del Senato ha rivelato come l’HSBC abbia chiuso un occhio sulla finanza terrorista tra le banche corrispondenti, una fra tutte la Al Rajhi Bank di Riyadh, la più grande istituzione finanziaria privata saudita: operazioni come queste è difficile che nascano dal nulla. Con un patrimonio di circa 59 miliardi di dollari , la famiglia Al Rajhi è tra le più ricche del Regno Saudita. Gli investigatori hanno scoperto che dopo l’11 settembre “emersero prove che la Al Rajhi Bank e alcuni dei suoi proprietari avessero legami con organizzazioni associate al finanziamento del terrorismo e anche che uno dei fondatori della banca era stato in passato un benefattore finanziario di al Qaeda”. Mentre la famiglia Al Rajhi nega qualsiasi ruolo nella finanza terrorista, si è ben guardata dal rispondere apertamente alle accuse rivoltegli dall’intelligence americana e da altre sedi giudiziarie competenti, facendo appello al diritto di riservatezza dei loro clienti. Il giornalista Glenn R. Simpson diffuse che secondo un rapporto della CIA del 2003, un anno dopo il settembre del 2001, riguardante gli enti di beneficienza Islamici, il signor Al Rajhi ordinò al Consiglio d’amministrazione

della Al Rajhi Bank di “esplorare strumenti finanziari che consentissero ai contributi di beneficienza della banca di evitare lo scrutinio ufficiale del governo saudita”. “Poche settimane prima” riportò il Journal, l’Agenzia disse che “Al Rajhi aveva trasferito 1.1 miliardi di dollari in conti offshore – attraverso compensazioni commerciali e due banche libanesi – senza celare la sua preoccupazione che gli Stati Uniti e le autorità saudite potessero congelare i suoi beni”. Questo rapporto fu chiamato “Al Rajhi Bank: condotta da estremismo finanziario”. Anche se la magistratura e l’intelligence statunitensi riconoscevano la possibilità che gli estremisti usassero le filiali remote

della banca e servizi di trasferimento di denaro senza che la banca stessa ne fosse a conoscenza, il Journal riportava che analisti della CIA erano arrivati a conclusione che membri anziani della famiglia Al Rajhi da tempo sostenevano estremisti islamici e molto probabilmente sapevano che i terroristi usassero la banca”. È anche vero che bisogna sempre accostarsi ai rapporti della CIA con una buona dose di scetticismo, soprattutto alla luce della nota abitudine dell’Agenzia di utilizzare gli emarginati estremisti di al Qaeda come fossero i loro stessi artigli. Rapporti come questi lasciano nella loro scia briciole che i politici possono sfruttare oppure, il più delle volte, ignorare. Il fatto che le TNM ••• 23


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amministrazioni Bush e Obama non abbiano utilizzato queste informazioni, tralasciando che gli enti regolatori responsabili dell’attuazioni delle leggi antiriciclaggio non abbiano fatto il loro dovere, equivale a concorso in corruzione. È la classica natura bipartisan della politica americana. È da escludere anche che Lord Green o I funzionari dell’organismo di conformità della HSBC non fossero informati delle accuse della CIA o che il braccio estero dell’intelligence britannica, l’MI6, non avesse ammonito i vertici della Banca sui rischi implicati. Infatti, come vedremo, documenti interni della stessa HSBC dimostrano proprio il contrario. La Catena d’Oro di Osama C’erano tante bandierine rosse a mettere in guardia i funzionari della banca. Nel marzo 2002 fu scoperta la lista dei sostenitori finanziari di al Qaeda, a seguito del sequestro dei computer dalla sede di Sarajevo della Benevolence International Foundation, “un’organizzazione no profit Saudita che il Dipartimento del Tesoro USA poi definì come organizzazione terrorista”. Osama TNM ••• 24

bin Laden, titolare di un passaporto bosniaco emesso dal governo separatista capitanato dal “liberale interventista” Alija Izetbegovic, tanto caro all’occidente, durante lo smembramento dell’ex Jugoslavia socialista da parte della Nato, era un sostenitore della Divisione Handschar delle SS naziste durante la seconda guerra mondiale. Bin Laden chiamava questo gruppo di angeli finanziari la sua “Catena d’Oro”. Nel 2002 emersero nuove prove durante l’Operazione Green Quest: un tentativo del Dipartimento del Tesoro USA per “eliminare il finanziamento al terrorismo negli Stati Uniti”. Nel marzo di quell’anno funzionari della Giustizia fecero irruzione a Herndon, gli uffici in Virginia della SAAR Foundation “un organismo collegato ad Al Rajhi.” Difatti il nome “SAAR” era un acronimo del fondatore dell’organizzazione Sulaiman Abdul Aziz Al Rajhi, azionista di controllo della Al Rajhi Bank. Gli investigatori della Sottocommissione riferirono che “uno dei venti nomi scritti nel documento della Catena d’Oro la quale identificava i primi sostenitori

finanziari di al Qaeda, era Sulaiman bin Abdul Aziz Al Rajhi, uno dei primi fondatori e più anziani dirigenti della Al Rajhi Bank.” I mandati di perquisizione elencavano numerosi collegamenti tra gli organismi osservati, i membri della famiglia Al Rajhi e società collegate. I documenti dimostravano che oltre 100 società d’affari e no profit attive ed estinte in Virginia facevano parte del cosiddetto Safa Group, che gli Stati Uniti definivano “organismi impegnati in tecniche di riciclaggio di denaro, architettate in modo tale da non far trasparire in alcun modo il loro fine di supporto al terrorismo”. Gli investigatori della Green Quest erano particolarmente bravi a palesare i legami tra la SAAR Foundation e la Swiss Al Taqwa Bank, società costituita alle Bahamas nel 1988 per finalità “tributarie”. Fondata dal simpatizzante nazista e convertito all’Islam, Albert Armand (Achmed) Huber, che non nascondeva la sua ammirazione sia per Adolf Hitler sia per Osama bin Laden, la banca fu accusata da funzionari statunitensi di aiutare al Qaeda a riciclare denaro sporco. Anche se il Dipartimento del Tesoro USA ha congelato i suoi beni nel 2011, l’inchiesta fu archiviata dall’Amministrazione Bush prima ancora che fossero scoperti legami più profondi. Nel 2011, fu sporta denuncia dal gigante delle assicurazioni Lloyd’s di Londra contro l’Arabia Saudita che cercava di recuperare denaro destinato alle vittime dell’attentato dell’11/9. La denuncia riportava: “che due individui ex funzionari della Bank al Taqwa, Ibrahim Hassabella and Samir Salah, erano associati alla SAAR Foundation.” In quei giorni, The Independent pubblicò che la querela conteneva prove certe circa gli accusati i quali erano pienamente consci di fornire risorse e finanziamenti ad al Qaeda negli anni precedenti l’attacco e incoraggiavano un sentimento anti-occidente a favore del gruppo terroristico”. Secondo alcuni documenti processuali


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“in assenza di sponsorizzazioni da parte di personaggi tra cui appunto gli accusati, al Qaeda non avrebbe in alcun modo potuto concepire, pianificare ed eseguire gli attacchi dell’11 settembre. Il successo dei piani di al Qaeda, inclusi quelli dell’11 settembre, è stato possibile grazie ai generosi contributi finanziari ricevuti da sostenitori già da un decennio prima dell’11 settembre. Inquirenti del Senato, citando i casi Green Quest e Lloyd’s, riportarono che “il signor Hassabella era un ex Segretario della al Taqwa Bank ed azionista della SAAR Foundation Inc., e che il signor Saleh era un ex direttore e tesoriere della filiale alle Bahamas della al Taqwa Bank, nonché presidente della Piedmont Trading Corporation, appartenente della rete SAARk. Il Dipartimento di Stato americano ha dichiarato: “il gruppo al Taqwa da tempo opera come consulente finanziario di al Qaeda, con uffici in Svizzera, Liechtenstein, Italia e ai Caraibi.” Riguardo alla Akida Bank, l’accusa sosteneva che “Sulaiman bin Abdul Aziz Al Rajhi era membro del consiglio di amministrazione della Akida Bank alle Bahamas” e che “l’ Akida Bank era comandata da Youssef Nada, un noto finanziatore di terroristi”. Il rapporto palesava anche che “la HSBC era pienamente informata dei sospetti sulla Al Rajhi Bank e che i suoi proprietari fossero associati a operazioni di finanziamento di atti terroristici, facilmente rilevabile, inoltre, dai profili-cliente della Al Rajhi Bank”. Ciliegina sulla torta: uno studio pubblicato nel 2007 dal Servizio Ricerche del Congresso (CRS) rivelò che individui sauditi e altri finanziatori associati alla Catena d’Oro, permisero a Bin Laden e Al Qaeda di compensare perdite finanziarie subite e stabilire una base in Afghanistan a seguito dell’improvvisa fuga dal Sudan nel 1996. Denaro che, posso aggiungere tranquillamente, fu usato per assoldare gli autori degli attacchi dell’11 settembre.

Ben intenzionati a mantenere i rapporti Il sospetto di legami tra HSBC e la Al Rajhi Bank non si esaurì con le informazioni scoperte nei file “Catena d’Oro”; difatti queste non erano che la punta dell’iceberg. Dopo il 9/11 l’FBI scoprì che tre dei dirottatori, Hani Hanjour, Nawaf Alhazmi and Abdulaziz Alomari incassarono migliaia di dollari in traveller cheque e ricevettero trasferimenti di denaro da un individuo non nominato che attingeva ai fondi della Al Rajhi Bank. Come ci ha spiegato il ricercatore Kevin Fenton in Disconnecting the Dots, i legami tra la maggior parte dei dirottatori furono scoperti seguendo le loro transazioni bancarie. “In questa situazione” ha scritto Fenton “è utile notare che Global Objectives, una società di revisione bancaria Britannica, prima ancora degli attentati, identificò quindici dei diciannove dirottatori segnalandoli come individui ad alto rischio e preparò dei database sui loro profili”. La lista delle persone ad alto rischio della Global Objectives fu resa nota a dozzine di altre banche tra le quali, presumibilmente, anche la HSBC. Se da una parte non vi sono prove che la HSBC e, in questo caso, la Rajhi Bank, fosse a conoscenza delle atrocità pianificate per il 2001, la totale indifferenza mostrata da queste istituzioni riguardo alla violazione delle leggi KYC (KnowYour-Client) che regolano le transazioni finanziarie, rivela un disprezzo totale verso le norme più elementari, mentre continuavano a gonfiare i loro bilanci senza ritegno. Informazioni riservate tra i dirigenti più anziani svelarono che erano ben coscienti dei problemi e dei rischi in ballo, ma fecero poco o niente per evitarli, continuando imperterriti la loro lobby affinché HSBC persistesse nelle sue manovre con la Rajhi Bank. I sospetti erano tali che gli alti dirigenti della HSBC avevano “classificato la Al Rajhi Bank come CCS (Cliente di Categoria Speciale), la categoria a più alto contenuto di rischio”. “Questo perché”, spiegarono

gli inquirenti, “il Regno Saudita era considerato un paese “ad alto rischio” e anche perché il maggior azionista della Al Rajhi, Sulaiman bin Abdul Aziz Al Rajhi, era considerato una Persona Politicamente Esposta (PPE)”. Documenti interni della HSBC rivelarono che nel 2002, cioè dopo il 9/11, “il Dipartimento Banche Private Internazionali chiese di trasferire diversi conti al Dipartimento Banche Istituzionali della HSBC (nel Delaware) che aveva maggiori possibilità di controllare da vicino le attività dei conti”. In realtà, il trasferimento dei conti di Al Rajhi alla divisione in Delaware avrebbe avuto l’effetto opposto e i funzionari della banca lo sapevano bene. Come ha scritto il giornalista Nicholas Shaxson in un suo articolo dedicato alle banche offshore-Treasure Islands, “il Delaware è lo stato che consente il più alto livello di riservatezza alle società offshore”. Shaxson fece notare che la Corte Suprema del Delaware (Chancery Court) prevedeva una norma giuridica riguardo le attività economiche secondo cui nelle sedi giudiziarie non si possono fare “congetture” sui dirigenti delle società,” quindi “garantendo ai capi delle aziende una sconfinata libertà da fastidiosi azionisti, controlli giudiziari e interessamenti dall’opinione pubblica”. Questo non risponde per nulla alle “maggiori possibilità di controllare da vicino le attività dei conti”. Joseph Harpster della HBUS scrisse un e-mail, dove evidenziava come: “Le maggiori preoccupazioni sono nate quando sono stati compiuti tre trasferimenti di denaro di piccole somme a favore di persone con nomi che assomigliavano molto a quelli dei terroristi implicati negli atti dell’11 settembre al WTO”. Il conto principale mostrava un raddoppio dei suoi trasferimenti di denaro dal 1° settembre, un gran numero di traveller cheque, ma di valore molto ridotto, e alcuni depositi di contanti e assegni. Secondo il funzionario responsabile del conto, “il traffico sullo stesso era aumentato perché avevano deciso di mandarci più TNM ••• 25


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risorse a seguito dei loro rapporti con la Saudi British Bank e il rafforzamento della HBC nei confronti della Repubblica”. Conservare gli affari sotto questo nome fu caldamente suggerito da David Hodghinson (della Saudi British Bank) e da Andre Dixon, Vice Presidente della HSBC Bank Middle East. Dello stesso avviso erano Niall Booker ed Alba Khoury di HBUS. Tralasciando l’avversa pubblicità, il “basso valore” delle transazioni non sembrava aver minimamente preoccupato Harpster o i suoi associati. Dopo tutto, il costo “totale” dell’uccisione di 3.000 esseri umani era certamente più basso se comparato al prezzo di una vacanza di famiglia agli Hamptons o di una nuova Maserati. Preoccupati che potesse esserci un maggiore controllo da parte dei regolatori (non c’era pericolo), la mail di Harpster fu inviata da Douglas Stolberg, capo del Dipartimento Bancario Commerciale ed Istituzionale ad Alexander Flockhart, allora dirigente anziano della sezione Bancaria Dettaglio e Commerciale di HBUS. Stolberg disse: “Come detto in precedenza, quelli della conformità hanno sollevato dubbi riguardo alla gestione attuale del conto del gruppo Al Rajhi.” Inviò quindi raccomandazioni su come condurre questo conto: “Dobbiamo considerare il Dipartimento Bancario Privato Internazionale come il domicilio del rapporto per scopi di continuità, poiché siamo a conoscenza di un interesse futuro nel nuovo sviluppo di affari con i membri della famiglia. Domiciliate quindi il computo nel Delaware dove i meccanismi di controllo sui conti sono ai massimi livelli(!?). “Meccanismi di controllo” eludibili grazie alle rigide norme sulla segretezza bancaria. Stolberg disse anche: “Questa è diventata una situazione ad alto profilo”. Le preoccupazioni da parte di quelli della conformità si riferiscono alla possibilità che il conto di Al Rajhi’s possa essere usato dai terroristi. Se questo fosse vero, potrebbe esporre HBUS a un’indagine pubblica e/o a misure regolamentari. Quelli della TNM ••• 26

La sede centrale di Hong Kong dell HSBC

SABB [Saudi British Bank] sono ovviamente ben disposti a continuare il rapporto. Poiché questo riguarda in primo luogo rischi di conformità e di reputazione, pensiamo sia giusto per il SMC (Comitato Dirigenti Senior) ricevere un’adeguata informativa in modo che possano opinare o meno sull’accettabilità del piano. Restiamo in attesa di conoscere il vostro pensiero su come procedere. Secondo ambienti del Senato, una settimana dopo Harpster disse che il signor Flockhart aveva deciso di trasferire i conti alla HBUS negli uffici del Delaware. Ma la HSBC non era la sola a sperare di assicurarsi I favori del Regno. Un rapporto del

2009 del Government Accountability Office (GAO) poneva l’accento circa il fatto che “alcuni standard di performance stabiliti dal Dipartimento di Stato si erano abbassati nel 2009; ne fu esempio la costituzione di una Commissione Saudita sulle operazioni di beneficienza che controllasse quelle estere, eseguite da enti di beneficienza sauditi e alcune norme sui corrieri di denaro contante”. Nonostante il GAO avesse raccomandato che gli Stati Uniti reintroducessero gli standard di performance per impedire il flusso di fondi dall’Arabia Saudita “attraverso meccanismi come i corrieri di contanti destinati a terroristi ed estremisti al di


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fuori del Regno Saudita, il più recente rapporto annuale internazionale sulle strategie di controllo sul traffico dei narcotici, a cura del Dipartimento di Stato, non faceva alcun cenno alle misure adottate contro il riciclaggio di denaro o il finanziamento di atti terroristici da parte dell’Arabia Saudita”. Una ragione per cui il rapporto del Dipartimento di Stato non include alcuna informazione potrebbe essere semplicemente l’appoggio da parte della politica dell’amministrazione Obama dei terroristi Salafi sostenuti dai sauditi, manifestatasi ben presto in Libia ed in Siria, finanziata attraverso “Enti sauditi esteri di beneficienza” o, più direttamente attraverso i “corrieri di contanti”. Un sacco di soldi Il Senato ha rivelato che la HSBC “ha fornito alla Al Rajhi Bank una vasta gamma di servizi bancari, compresi trasferimenti online, valuta estera, finanziamenti commerciali e servizi di gestione patrimoniale. Negli Stati Uniti, hanno poi saputo gli inquirenti, “un servizio speciale stava fornendo alla Al Rajhi Bank grosse somme di dollari statunitensi, attraverso il Dipartimento Banconote dell’americana HBUS”. La consegna dei dollari alla Al Rajhi Bank veniva effettuata principalmente attraverso la filiale londinese della HBUS, spesso chiamata dagli addetti “Banconote Londra”. Documenti della HBUS mostrano che l’ufficio Banconote di Londra aveva fornito dollari statunitensi alla Al Rajhi Bank da più di 25 anni. Oltre alla sede di Londra, nel gennaio del 2001, il quartier generale di New York della HBUS aprì un conto-banconote per la Al Rajhi Bank: i dollari venivano fisicamente consegnati alla Al Rajhi Bank in Arabia. In un’occasione, nel 2008, riferirono “persone del Senato” che il capo del Dipartimento Globale Banconote della HSBC avrebbe detto ad un collega: “In caso non lo sapessi, nessun’altra controparte/ banconote ha ricevuto negli ultimi otto anni così tanta attenzione come

Al Rajhi. Secondo i termini del profilo cliente KYC, nonostante tutta una serie di accuse, la HSBC ha scelto di fornire alla Al Rajhi bank servizi bancari su scala mondiale.” Anche se la Al Rajhi Bank “non era stata indagata, dichiarata ufficialmente finanziatrice del terrorismo o sanzionata, la sezione Conformità di Gruppo della HSBC raccomandò alle affiliate di tagliare ogni legame. Dopo un primo momento d’indecisione, però, le affiliate HSBC ignorarono la raccomandazione e continuarono a fare affari con la banca, mentre altri posero fine a ogni rapporto pur protestando contro la decisione e sollecitando un ritorno alla situazione precedente. Proseguirono le lamentele da parte del personale di più basso livello, ignorate ai livelli più alti, anche se nel febbraio del 2005 fu emesso un mandato d’arresto negli Stati Uniti contro due individui “accusati tra l’altro di aver incassato 130.000 dollari in traveller cheque statunitensi presso la Al Rajhi Bank in Arabia Saudita” per poi trasferire il contante a terroristi appoggiati dalla CIA in Cecenia. Nonostante i documenti interni della banca esibivano che diversi funzionari avessero deciso di tagliare ogni legame con l’istituto finanziario saudita, cambiarono subito opinione dopo aver ricevuto pesanti pressioni da funzionari della Al Rajhi. Secondo gli investigatori, tra il 2006 e il 2010, la Al Rajhi ha ricevuto più di 1 miliardo di dollari in denaro contante attraverso le redditizie operazioni di banconote effettuate con l’affiliata statunitense della HSBC. Funzionari della banca saudita “avevano minacciato di annullare ogni loro rapporto d’affari con la HSBC se non fossero riprese le operazioni con banconote USA”. Uomini del Senato riferirono, il 4 gennaio del 2005, che “il capo della Conformità alla HBUS AML, la signorina Pesce, inviò un’email a Daniel Jack, funzionario della Conformità HBUS AML che spesso interagiva con l’ufficio Banconote di Londra, dandogli istruzioni. Nel testo lo pregava di “comunicare se

la Conformità di Gruppo sosterrà di porre termine ai rapporti con la Al Rajhi”. Il Sig Jack chiedeva quando era prevista l’uscita di questa raccomandazione, lei rispose: “ho saputo da lei che la HBME [HSBC Bank Middle East] non condivide la decisione della Conformità e non ha nessuna intenzione di porre termine ai rapporti d’affari in Medio Oriente, ma è auspicabile (da Susan Wright e da David Beagley) che, in seguito all’indagine americana, del particolare momento e nel rispetto delle leggi, con gli USA si debba troncare ogni rapporto”. A quel tempo Susan Wright era Funzionario Capo del Controllo Anti Riciclaggio di tutto il gruppo HSBC, e rispondeva a David Beagley, Capo del Dipartimento Conformità di tutto il Gruppo HSBC. Gli investigatori del Senato rilevarono che “I documenti non spiegavano il motivo per cui la HSBC Middle East dissentisse dalla decisione o perché gli fu permesso di continuare i rapporti con la Al Rajhi Bank, dopo che la Conformità del Gruppo HSBC aveva deciso chiaramente di tagliare ogni rapporto d’affari con la banca saudita a causa dei gravi sospetti di finanziamento al terrorismo”. Fu presto chiaro però, che “la Conformità di HSBC iniziò a restringere il suo campo d’azione”. Poco dopo un agente del dipartimento Banconote scrisse, “da noi il lavoro non è cambiato per niente”. Alan Ketley, funzionaria della Conformità alla HBUS AML, commentò il provvedimento di non includere Al Rajhi Trading nella decisione di interrompere qualsiasi rapporto: “Sembra che gli vada bene se continuiamo a trattare con Al Rajhi, è chiaro che faranno un sacco di soldi”. Nel frattempo, riferì il Senato, dalla Al Rajhi Bank arrivò la minaccia di annullare ogni nuovo legame d’affari con la HSBC a meno che non avesse ricevuto una spiegazione soddisfacente sul motivo per cui la HSBC aveva interrotto la fornitura di dollari statunitensi attraverso i funzionari addetti”. In breve, tutto continuava come prima. Nonostante TNM ••• 27


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le continue accuse di finanziamento al terrorismo che aleggiavano intorno alla Al Rajhi Bank, HBUS “continuò a fornire, attraverso la filiale di Londra, centinaia di milioni di dollari USA alla Al Rajhi Bank in Arabia Saudita. Inoltre, su richiesta della stessa banca saudita, nel gennaio del 2009, HBUS ampliò ulteriormente i rapporti, autorizzando la sua filiale di Hong Kong a fornire alla Al Rajhi Bank valute non statunitensi, come il bat Thailandese, le rupie indiane e il dollaro di Hong Kong”. Quando sorsero nuovamente preoccupazioni all’interno, Christopher Lok, capo del Dipartimento Globale Banconote della HSBC di New York, rispose bruscamente: “Questo dibattito non finirà mai, la mia posizione resterà la stessa finché non sarà dimostrato che non è possibile basarsi soltanto sulle dichiarazioni del Wall Street Journal e su accuse non confermate, prima di punire il cliente”. Non c’è bisogno neanche di dirlo: “l’accordo” di Hong Kong

con Al Rajhi andò avanti. Sebbene le “informazioni preoccupanti” che avrebbero dovuto far uscire velocemente la HSBC dal mercato delle banconote, il Senato dichiarò che “la HBUS continuava a fornire dollari statunitensi alla banca, e si era addirittura espansa in questo mercato, questo fino al 2010, quando la HSBC decise, su scala globale, di abbandonare il business delle banconote americane”. Per finire, non occorre essere un appassionato di cospirazioni per cogliere il nesso tra HSBC e Al Rajhi al fine di trasferire contante nel Medio Oriente a sostegno di una moltitudine di operazioni denominate “cambio di regime” sostenute dagli Usa e dall’Arabia Saudita; politiche che funzionarono a meraviglia in Afghanistan contro l’Armata Rossa. Come ha evidenziato sul The Observer, il giornalista investigativo Ed Vulliamy, i fatti in questione vanno oltre il semplice riciclaggio di denaro legato al traffico di stupefacenti o di

finanziamento al terrorismo. “Qui parliamo di banche, dove i funzionari giudiziari e i regolatori – e la politica e la società in genere – hanno intenzione di tracciare la linea che separa le economie criminali e quelle definite legali’”. Interpretando lo scandalo HSBC, Robert Mazur, ex funzionario della Dogana, autore del libro “The Infiltrator” che riuscì a penetrare i segreti delle operazioni di riciclaggio del cartello monetario di Medellin durante il processo e il crollo della BCCI nel 1991, ha detto al The Observer che “la sola cosa che può seriamente mettere in guardia le banche su quello che potrebbe accadere, è soltanto il rumore delle manette nelle sale dei consigli d’amministrazione”. “La dura verità è”, ha scritto Vulliamy, “che il concetto che esista davvero una chiara linea di demarcazione tra economia legale e economia criminale è pura fantasia. Anzi, peggio, è una bugia. Sono inscindibili, reciprocamente interdipendenti, una cosa sola”.

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canne rotanti in 7.62 da 3000 colpi al minuto

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di Giuseppe MARIN


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La Dillon Aero Inc. ( azienda americana con sede in Arizona ) progetta, sviluppa e costruisce la famosissima mitragliatrice a canne rotanti M134 Gatling Gun, nonché una vasta gamma di accessori di supporto che rendono la famosissima arma un componente a larghissima diffusione e di rinomata efficacia ed efficienza. La Dillon Aero Inc. iniziò ad operare fornendo servizi di manutenzione e assistenza alla prima mitragliatrice a canne rotanti dell’epoca moderna impiegata dall’esercito americano, ovvero la General Electric GAU-2 Minigun, entrata in servizio negli anni Sessanta e denominata M134. Il sistema d’arma, tuttavia soffriva di alcuni difetti progettuali e costruttivi, pertanto non riuscì mai ad acquisire quel successo che ha oggi ottenuto la M134 prodotta dalla Dillon Aero. Infatti, non appena la Dillon Aero ha iniziato, oltre che a occuparsi della manutenzione alle M134 di G.E., anche a produrle, reingegnerizzandone opportunamente la componentistica e processi di funzionamento, la GAU-2 di General Electric è stata progressivamente dismessa venendo sostituita dalle mitragliatrici Dillon Aero denominate M134D. Attualmente la M134D ha assunto il ruolo standard nel campo delle armi per fuoco difensivo e di soppressione in piccolo calibro ed è, infatti, installata su innumerevoli vettori aerei, navali e terrestri. L’M134D, nella sua versione standard è una mitragliatrice a 6 canne rotanti camerate in calibro 7,62 NATO. La rotazione delle canne, che avviene grazie ad un motore elettrico, consente all’arma di disporre di una cadenza di tiro pari a circa 3000 colpi al minuto. Un volume di fuoco impressionante che richiede dunque un opportuno dimensionamento anche dei serbatoi di munizioni associati all’arma, i quali usualmente, sia su vettori aerei sia terrestri, sono in grado di contenere almeno 3000-4000 colpi. La mitragliatrice della Dillon deve il suo successo, oltre che al notevole volume di fuoco erogato, anche all’affidabilità del sistema. Il funzionamento a canne rotanti permette, infatti, di ridurre le sollecitazioni termiche e meccaniche di ciascuna canna le quali, in un minuto di fuoco continuo, correlato all’esplosione totale di 3000 colpi, sarà interessata da “solo” un sesto degli stessi, ovvero 500 colpi. L’alternarsi delle canne consente un relativo raffreddamento tra l’esplosione di un colpo e il successivo, permettendo così all’M134D di mantenere ritmi sostenuti per periodi sufficientemente prolungati. L’arma viene fornita con un intervallo di inceppamento previsto pari a 30.000 colpi ed una “vita utile” per ciascun gruppo canne pari a 200.000 colpi in totale. Come precedentemente accennato, la Dillon Aero M134 trova applicazione su una notevole varietà di vettori, operanti in diversi ambienti e contesti operativi. Inoltre, allo scopo di soddisfare esigenze di installazioni su velivoli, o comunque su altri mezzi che necessitino un contenimento dei pesi, è stata sviluppata una versione alleggerita della mitragliatrice denominata TNM ••• 33


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M134T. La “T” indica appunto la selezione del titanio come materiale preferenziale utilizzato per la realizzazione di questa versione più leggera dell’arma. La M134 T grazie alla riprogettazione del sistema, con lo scopo di impiegare il leggero e resistente titanio al posto dell’acciaio, nonché all’adozione di soluzioni strutturali scheletrizzate, ha subito una riduzione di peso del 20% rispetto alla versione standard. Il tutto, ovviamente, mantenendo invariate le performance circa il volume di fuoco erogabile e l’affidabilità complessiva del sistema. L’impiego di strutture alleggerite, tuttavia, sul lungo periodo, evidenzia le differenze in termini di vita complessiva del sistema d’arma che, per una versione “T”, si attesta intorno ai 300.000 colpi esplosi. Al fine di coniugare volume di fuoco, affidabilità, leggerezza e vita dell’arma, la Dillon Aero ha recentemente immesso sul mercato un nuovo modello: la M134H. Tale versione cui viene associato l’aggettivo “Hybrid” - ibrido - deve tale connotazione al fatto che in essa sono state fuse le caratteristiche costruttive sia del sistema “D” sia di quello “T”. Ovvero nella versione ibrida della M134 continuano ad essere utilizzati il titanio, abbinato a soluzioni strutturali scheletrizzate, pur conservando l’impiego dell’acciaio per quei componenti più soggetti ad usura. Il tutto ha creato un sistema d’arma il quale, a fronte di pesi contenuti, solo di poco superiori alla versione interamente in titanio, assicura una durata operativa pari a ben 1.000.000 di colpi esplosi. Come anticipato, la Dillon Aero produce anche una vasta gamma di accessori per le proprie mitragliatrici. Dai serbatoi munizioni con diverse capacità, dimensioni ed interfaccia, a seconda del vettore su cui l’arma verrà installata, a innumerevoli TNM ••• 34

supporti per l’installazione dell’arma su veicoli fuori strada, blindati, elicotteri, mezzi navali veloci, ecc. La M134, nelle sue molteplici versioni, oltre alla mitragliatrice vera e propria, per l’implementazione operativa su un dato vettore, necessita di alcuni componenti quali, in primis, il sistema di puntamento, serbatoio munizioni ed interfaccia di installazione. Al fine di velocizzare, semplificare e rendere modulare la mitragliatrice, è stato recentemente sviluppato un “Gun Pod”, ovvero un modulo contenente tutto il sistema d’arma nella sua interezza. Detto modulo, peraltro, contenente la versione M134D dell’arma, è dotato di un’interfaccia di collegamento standardizzata che consente dunque un rapido ed agevole montaggio del sistema d’arma su un qualsiasi vettore che fornisca i requisiti tecnici necessari al funzionamento del Gun Pod (alimentazione elettrica, supporto strutturale, ecc.). Dal punto di vista operativo, l’adozione massiva della M134 nelle sue differenti versioni, sia da parte delle forze armate statunitensi, sia di molti paesi NATO, ha notevolmente accresciuto la potenza di fuoco di interdizione a medio raggio dei principali veicoli di trasporto impiegati. Specie se destinati all’uso in operazioni speciali, tali vettori, quando dotati della mitragliatrice a canne rotanti, assumono un’importante ruolo dal punto di vista tattico. I velivoli, veicoli o natanti che precedentemente assolvevano solo mansioni di trasporto, oggi possono fungere efficacemente anche da supporto di fuoco, configurandosi come importanti pedine nello scacchiere tattico/operativo. Tutto ciò è reso possibile grazie all’eccezionale pacchetto prestazionale offerto dalle moderne mitragliatici a canne rotanti by Dillon Aero.


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DI PAOLO PALUMBO

La crisi indocinese scoppiò nell’immediato dopoguerra coinvolgendo la Francia coloniale; il Vietnam pose fine alla sua dominazione grazie alla vittoria del generale Giap nella battaglia di Dien Bien Phu nel 1953.

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In una calda e umida notte di febbraio il colonnello dell’esercito francese Christian de Castries non riusciva a dormire: nella sua testa balenavano mille pensieri che, insieme al caldo soffocante della giungla vietnamita, gl’impedivano di chiudere gli occhi, anche per un solo istante. All’interno del campo francese di Dien Bien Phu da alcuni mesi serpeggiava il malumore: molti soldati, soprattutto legionari, ritenevano che il colonnello non fosse all’altezza della situazione e con i Viet Minh c’era poco da scherzare. L’operazione “Castore”, avviata mesi prima (novembre 1953) non aveva dato i frutti sperati e ora l’esercito francese rischiava il collasso. A prendere in mano la situazione fu un colonnello dei paracadutisti, Pierre Langlais, il quale mise a fatto compiuto de Castries esautorandolo dal comando. Questo avvicendamento non servì a nulla e malgrado il morale dei transalpini fosse di nuovo alto, la pressione esercitata dalle truppe del generale Giap costrinse alla resa i valorosi legionari. Era la fine di un’epoca, ma non la fine della guerra; i Viet Minh avevano sconfitto sul campo


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Le prime unità americane ad arrivare in Vietnam furono le forze speciali del 1° Special Forces Group poi sostituite dal 5° Special Forces Group – Vietnam. Il piano d’addestramento degli indigeni abitanti gli altipiani centrali (Programma CIDG) spezzò la supremazia del nemico in quel settore.

i francesi, ma soprattutto il loro colonialismo così la parola passava alla politica. Con la conferenza di Ginevra e la divisione del Vietnam in due stati si apriva un nuovo scenario dove a recitare la parte del protagonista sarebbero stati gli Stati Uniti. I DUE VIETNAM E LA POLITICA AMERICANA: IL MAAG Il 7 maggio 1954 si aprivano le porte dei palazzi governativi di Ginevra dove, al tavolo delle trattative, si sedettero i principali protagonisti della prima guerra d’Indocina: la Francia e il Vietnam del Nord. Washington non si era mai voluta immischiare nelle faccende coloniali riguardanti la Francia e l’Inghilterra: semmai il presidente Truman aveva sempre preso le distanze da un tipo di guerra che non aveva alcun legame con la cultura degli Stati Uniti, anch’essi ex colonia. L’attenzione americana cominciò a farsi più vivace quando la Casa Bianca comprese che dietro la ribellione dei Viet Minh covavano gl’interessi del blocco cinese e sovietico. A quel punto non rimaneva che stringere con la Francia un patto di mutua assistenza che portò alla formazione del primo organismo americano addetto alle questioni indocinesi (inclusi quindi Laos e Cambogia), il MAAG (Military Assistence Advisory Group). Dopo la sconfitta della Francia appariva chiaro che il blocco occidentale aveva fallito la sua missione di contenimento dei rivoluzionari comunisti: alla fine del conflitto il Vietnam del Nord, costituitosi in Repubblica Democratica su modello marxista leninista, aveva dimostrato un’energia superiore e prodotto una classe dirigente più ferma e meno corrotta. A sud gli americani e i francesi favorirono l’ascesa dell’imperatore “fantoccio” Bao Dai, a capo di un governo debole, il quale riusciva a malapena ad esercitare il suo potere nei sobborghi di Saigon.

Le cose cambiarono nel 1954 quando Ngo Dinh Diem fu eletto primo ministro; Diem impresse immediatamente un nuovo vigore alla politica del suo paese anche se, come vedremo, con metodi che non presagivano nulla di buono. Il primo passo concreto compiuto dal MAAG fu aiutare il Vietnam di Diem a ricostituire le forze armate e similmente addestrare i soldati del vicino Laos e Cambogia. Grazie agli ingenti finanziamenti americani il primo ministro Diem riuscì a riordinare l’esercito e nell’ottobre del 1955 esautorò l’imperatore Bao Dai facendosi eleggere presidente della Repubblica del Vietnam. Nello stesso anno, visto le contingenze concentrate su Saigon, il MAAG si fece carico della sola responsabilità sul Vietnam del Sud, lasciando al proprio destino gli altri due stati

indipendenti di Laos e Cambogia. Il primo sparuto contingente americano ad occuparsi in loco delle questioni vietnamite contava appena 342 unità dirette dapprima dal generale John W. “Iron Mike” O’Daniel (fino al novembre 1955) e poi del tenente generale Samuel T. Williams, il quale detenne la carica fino al 1960 (nel frattempo le unità del MAAG erano salite a 685 uomini). L’esercito di Diem inquadrava circa 150.000 uomini suddivisi in sette divisioni di fanteria strutturate sul modello americano della Seconda guerra mondiale; quattro battaglioni corazzati, una brigata aviotrasportata, un gruppo da sbarco e uno squadrone di elicotteri; inoltre i sud vietnamiti disponevano di una modesta forza aerea e una piccola marina da guerra. Il supporto americano e TNM ••• 37


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gli sforzi per migliorare le forze armate erano però vanificati dalle diffidenze di Diem il quale vedeva nello stato maggiore del suo rinato esercito un possibile avversario e concorrente alla guida del paese. I suoi timori, per alcuni aspetti paranoici, portarono a una frammentazione dei poteri con un’attenta e voluta penalizzazione di tutto il corpo ufficiali. Questa disgregazione e mancanza di unità di comando creò problemi di dialogo tra consulenti americani e ufficiali indigeni; era evidente che i timori palesati da Diem avrebbero minato tutti i progetti per la fondazione di un esercito efficiente e organizzato. La stessa circospezione guidò il presidente vietnamita a trattare l’annosa questione delle popolazioni stanziate nell’ampia zona degli Altipiani centrali, a ridosso del confine con il Nord. Qui vivevano i “montagnard”, un insieme di tribù le quali non avendo simpatia verso il regime di Saigon diventavano facile preda della propaganda comunista. All’impaccio dimostrato dall’establishment sud vietnamita faceva da contraltare l’efficienza organizzativa di Ho Chi Min capo della Repubblica Democratica del Vietnam del Nord il quale beneficiava dell’appoggio di Cina e Unione Sovietica che continuavano a rifornirlo di armi e beni di prima necessità. Il malcontento e l’insoddisfazione delle popolazioni rurali nei confronti di Diem avvantaggiava l’infiltrazione rivoluzionaria sia negli Altipiani Centrali, sia attraverso il Delta del Mekong: i due settori più “scoperti” del Vietnam del Sud. Inoltre, la guerriglia comunista – i vietcong – disponeva di una vitale arteria di collegamento la quale permetteva la penetrazione di uomini e armi su tutta la linea occidentale del confine, usufruendo in particolar modo di molti percorsi laotiani: il “sentiero di Ho Chi Min”. In tutto il Vietnam del Nord prese corpo l’idea di combattere una nuova guerra per riunire il paese e fronteggiare

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Il presidente J.F. Kennedy mostrò un vivo interesse verso l’operato delle forze speciali incrementandone l’effettivo e i compiti. Fu il presidente americano a dare una nuova interpretazione al modo di combattere in Vietnam comprendendo quanto l’appoggio alle popolazioni locali fosse determinante per la vittoria finale.

Diem e i suoi nuovi alleati; di conseguenza ad Hanoi fu riattivato l’Ufficio Centrale per il Vietnam del Sud (COSVN – Central Office for South Vietnam) una branca del Comitato Centrale che si era disciolta nel 1954 al termine dell’invasione francese, mentre i guerriglieri si radunarono sotto la People’s Liberation Armed Force (PLAF), che proprio Diem ribattezzò Vietcong. LA PRESIDENZA DI J.F. KENNEDY: IL MACV E LE SPECIAL FORCES Nella sala Ovale della Casa Bianca

la questione Vietnamita occupava sempre di più le riunioni del presidente John F. Kennedy il quale aveva compreso l’importanza dello scacchiere asiatico nell’ottica della Guerra Fredda. Il problema del presidente americano era come affrontare questo nuovo tipo di nemico il quale sfuggiva alla vista dei soldati, si nascondeva e sapeva sfruttare il terreno circostante. Occorreva in primo luogo capire ed entrare, con misura, nel tessuto sociale vietnamita, ma soprattutto aiutare il governo del sud a


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Il programma CIDG (Civilian Irregular Defence Group) coinvolse numerose tribù degli altipiani centrali le quali furono addestrare a difendere i loro villaggi dalle incursioni veitcong.

e prima di tutto andava variata la struttura di comando. A questo proposito Kennedy concluse che il MAAG era ormai obsoleto, quanto meno poteva essere solo di supporto ad un comando speciale appositamente creato per il Vietnam. Fu così allestito il MACV – Military Assistance Command Vietnam – il quale però non aveva ancora giurisdizione sull’operato delle Forze Speciali. Alla direzione del MACV fu nominato il generale Paul Harkins.

FORZE SPECIALI NEGLI ALTOPIANI CENTRALI: IL PROGRAMMA CIDG Il presidente Eisenhower fu il primo a inviare un piccolo nucleo di militari delle Forze Speciali in aiuto del Vietnam del Sud: il 24 giugno 1954 il 1° Special Forces Group si stabilì ad Okinawa per poi, dopo qualche tempo, trasferirsi a Nha Trang con l’incarico di addestrare 58 uomini dell’esercito vietnamita che sarebbero diventati il primo nucleo delle Forze Speciali Vietnamite. La politica perseguita da Kennedy e la strategia suggerita dal consigliere Rostow per arginare l’espansione comunista nel Sud portò alla creazione, nel 1961, del 5° Special Forces Group – Vietnam rafforzare la sue posizioni non tanto Casa Bianca e il generale Maxwell Taylor. I due consiglieri di Kennedy (a Fort Bragg). La missione con le popolazioni urbane, quanto misero in pratica la direttiva principale degli uomini del 5° con quelle periferiche. I piccoli NSAM 52 (National Security Action era indirizzata ad addestrare e villaggi disseminati negli Altopiani sostenere le popolazioni indigene Centrali o tra il terreno paludoso del Memorandum 52) la quale recitava che l’obiettivo principale per il degli Altopiani Centrali – la tribù Mekong dovevano fidarsi di Diem e dei Rhade, i montagnard che dei suoi alleati, così da costituire un Vietnam del Sud era: “scongiurare vivevano nella provincia del Darlac importante baluardo all’infiltrazione la dominazione comunista, agevolare la creazione di una – procurare loro il necessario per vietcong. A dimostrazione del società democratica attraverso la sopravvivenza, ma soprattutto fatto che il presidente Kennedy una serie di concrete azioni di fornire assistenza medica. Come fosse realmente interessato a una nuova politica militare in supporto”, tra cui l’invio di 400 unità descritto in precedenza, la condotta Vietnam, fu l’istituzione di un nuovo delle Forze Speciali con l’incarico del presidente Diem verso queste di istruire la popolazione locale e ufficio incaricato di occuparsi genti era discriminante: il loro organizzare adeguate difese contro i allontanamento dagli interessi espressamente delle attività vietcong. Le richieste presentate dal di Saigon gli stava mandando speciali e di “counterinsurgency”: generale Taylor andavano ben oltre direttamente tra le braccia dei il SACSA (Special Assistant for quanto stabilito dalla Casa Bianca: vietcong i quali si proponevano Counterinsurgency and Special egli chiedeva, infatti, l’immediato come una valida alternativa al Activities). Le guide “spirituali” schieramento di una forza militare dispotismo del Sud. Se le tribù del di questo nuovo impianto furono di almeno 8.000 uomini, ma i Darlac si fossero schierate con Ho Walt Rostow, assistente speciale Chi Min per il Sud sarebbe stato della National Security Affairs della tempi non erano ancora maturi

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I “cidgees” operavano in appoggio alle forze speciali vietnamite e a quelle americane; le pattuglie erano miste anche se, nei fatti, gli operatori del 5° svolgevano il ruolo maggiore sia nel comando, sia nella effettiva direzione dell’addestramento.

un problema gravissimo. Il primo approccio delle Special Forces americane fu molto cauto, ma soprattutto non fu di tipo militare, ma medico: le cure prestate dai dottori americani nei piccoli villaggi valsero più di ogni altro impiego di armi o tattiche speciali. Inoltre la presenza dei militari statunitensi doveva essere discreta: loro erano semplici “consiglieri” poiché – è bene ricordarlo – il comando spettava alle Forze Speciali Vietnamite (LLDB Luc Luong Dac Biet) le quali avevano effettivamente la direzione del programma CIDG (Civilian Irregular Defence Group). Nei primi anni, il 5° Special Forces Group (Airborne) schierato in Vietnam annoverava un quartier generale, tre compagnie di operatori speciali, una compagnia trasmissioni e un reparto aereo. Un tenente colonnello comandava le compagnie operative le quali avevano un distaccamento amministrativo e uno operativo denominato C a sua volta responsabile dei reparti siglati B; i distaccamenti B soprintendevano le operazioni dei celebri distaccamenti A, gli A-team, di dodici uomini ciascuno. I primi “montagnard” a ricevere l’addestramento fu la tribù dei Rhade, nel villaggio di Buon Enao (di circa 400 abitanti). Se escludiamo gli ottimi risultati conseguiti dal personale medico, i Berretti Verdi non avevano ancora consolidato alcuna tattica d’impiego e quindi, inizialmente, procedettero a tentoni attraverso d’insegnamento alquanto empirici. Senza contare che le popolazioni indigene diffidavano, non tanto degli americani, quanto le forze speciali vietnamite avvertite come la longa manu di Saigon. Per prima cosa gli operatori del 5°, in minoranza confronto i comandanti vietnamiti, cercarono di istruire i capo villaggi a organizzare una valida difesa contro le incursioni vietcong. Un campo fortificato significava un baluardo notevole, oltreché un

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Il progetto Delta (B-52) rese maggiormente operativi gli uomini del 5° Special Forces Group i quali iniziarono a preparare le truppe indigene a operazioni offensive. Grazie al progetto Delta si intensificarono, infatti, le imboscate contro i vietcong.

punto di controllo privilegiato sulle possibili vie di comunicazione dei comunisti; se poi gli indigeni avessero anche imparato a usare le armi, i nuclei “Cidgees” sarebbero diventati la vera spina nel fianco di Ho Chi Minh. Il banco di prova di Buon Enao fu un completo successo: in poche settimane i montagnard impiantarono apprezzabili istallazioni difensive in tutti i villaggi circostanti, ma il risultato migliore fu ottenuto grazie all’addestramento di piccoli gruppi antiguerriglia formati da squadre variabili da otto a quattordici indigeni. I Berretti Verdi si limitavano ad accompagnare le pattuglie in qualità di osservatori e consiglieri; il comando era sempre appannaggio delle unità speciali vietnamite. L’espansione del progetto CIDG portò ad un forzato incremento dell’effettivo del 5° Special Forces Group (nell’ottobre 1962 da 12 si passò a 24 distaccamenti): i villaggi da proteggere aumentavano e di conseguenza occorrevano più uomini. Nel 1962 avvenne un importante cambiamento nella linea di comando americana: con la fine del MAAG, il MACV prese sotto la sua tutela il programma CIDG e quindi anche il controllo sull’operato delle Forze Speciali (operazione “Switchback”). Molti ufficiali superiori dei Berretti Verdi non videro di buon occhio questo avvicendamento poiché presentivano che l’intromissione dell’alto comando dell’esercito, avrebbe causato la perdita di gran parte della loro autonomia, che poi era alla base dei loro successi. Il quartier generale dei Berretti Verdi venne trasferito da Saigon a Nha Trang, una città strategica, localizzata al centro del paese, con la possibilità di ricevere rifornimenti via mare, da Okinawa. Gli alti ufficiali del MACV, in accordo con le decisioni prese a Washington, aspiravano a trasferire, in tempi ragionevoli,

l’intera responsabilità della difesa del paese all’esercito regolare di Diem. Questo però non avvenne mai totalmente: per prima cosa perché i vietnamiti non volevano assumersi la responsabilità totale dell’addestramento e poi, concretamente, gli indigeni del programma CIDG faticavano ad ammettere l’autorità di Saigon. Questa somma di fattori creò un pericoloso deterioramento nelle relazioni tra militari americani e sud vietnamiti, proprio nel momento in cui la strategia stava mutando da prettamente difensiva a offensiva. LO SCONTRO CON I VIETCONG: IL PROGETTO DELTA (B-52) Un documento stilato dallo stato maggiore del MACV datato 1965 tratteggiava così la tattica seguita dal guerriglieri vietcong: “i piani d’attacco dei vietcong vengono preparati in maniera meticolosa, qualora sia possibile provati nei dettagli, e si caratterizzano per l’effetto sorpresa, iniziativa, movimento e mobilità (a piedi). Essi attaccano solo quando sono certi del successo ed eseguono gli attacchi in maniera fulminea seguiti da una repentina ritirata”. Gli americani si trovavano di fronte a guerrieri eccezionali che avevano fatto propri gli insegnamenti di Mao,

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oltre ad un’esperienza sul campo che durava da tempo memorabile. In questa prospettiva difendere i villaggi, ma nel complesso perseguire una strategia attendista, non appagava certo le aspettative delle Forze Speciali le quali, per attitudine, dovevano vincere aggredendo. Su questi presupposti il quartier generale di Nha Trang avviò un progetto per preparare le truppe CIDG sulle tattiche basilari

“reaction force” formate – per il progetto Delta esclusivamente – da unità d’élite Ranger (91° Airborne Ranger Battalion poi 81° Ranger) dell’esercito vietnamita (le altre unità usavano personale CIDG). Nel medesimo periodo gli americani avevano stabilito una forza di reazione rapida mobile, la “Eagle Flight”, schierata nel settore del II Corps Tactical Zone: questi erano i precursori delle Mobile

di infiltrazione e pattugliamento a lungo raggio (long-range reconnaissance patrol), nome in codice: “Leaping Lena”. Nel mesi di giungo del 1964 l’iniziativa passò al MACV e da “Leaping Lena” l’intera operazione si trasformò nel “Progetto Delta” il quale implicava non solo missioni a lungo raggio, ma anche un vasto lavoro di intelligence preliminare all’uscita delle pattuglie. Inizialmente vennero convolti circa 600 elementi tra personale americano e vietnamita, più un distaccamento B che accorpava dei “consiglieri”. I gruppi da ricognizione contavano otto pattuglie composte da quattro indigeni ciascuna e sedici team da ricognizione con due operatori delle Special Forces e quattro elementi CIDG in ogni gruppo. I team esploranti facevano capo a un battaglione di tre compagnie

LE MIKE FORCE E LE PATTUGLIE A LUNGO RAGGIO La strategia del presidente Johnson in Vietnam non stava portando i risultati sperati; le truppe americane accrebbero considerevolmente la loro presenza sul territorio, lasciandosi coinvolgere in un tipo di guerra che avrebbe segnato un’intera generazione. L’opinione pubblica negli Stati Uniti cominciava a snervarsi nel vedere i propri Strike Forces, altrimenti note come giovani tornare a casa avvolti in “Mike Forces”. Nel gennaio del una bandiera Stelle e Strisce, 1965 il comando generale del 5° inoltre per chi rientrava in patria Special Forces Group (Airborne) – non senza qualche mutilazione di Nha Trang indirizzò una lettera – l’accoglienza riservata non era a tutti i distaccamenti operativi sempre quella da eroe. Questi sul territorio nella quale venivano ragazzi subivano un tipo di guerra specificate le nuove regole dello diversa, lontana dalle battaglie Special Forces Counterinsurgency combattute sulle spiagge della Program: distruggere le cellule Normandia o in Corea dai loro vietcong e assicurare le zone genitori o nonni; gli unici reparti circostanti, salvaguardare il che riuscivano a interpretare le controllo governativo sulla regole della giungla e stavano popolazione e coinvolgere gli infliggendo una dura lezione ai abitanti in tutti i provvedimenti presi guerriglieri erano gli appartenenti a Saigon e nella difesa del paese. In alle Forze Speciali. I ragazzi del questa fase divenne fondamentale 5° Special Forces Group, ormai in la sorveglianza sui confini che non sintonia con la fitta boscaglia che doveva essere un mero controllo li circondava, ricevettero dal MACV dei movimenti avversari, ma una nuove pericolose missioni dietro vera e propria caccia al nemico. le linee nemiche e oltre confine. Una ricerca pericolosa che spinse Le pattuglie di montagnard, più di una volta le truppe americane dunque, non si limitavano più a e vietnamite ad oltrepassare il intercettare “charlie” sui sentieri

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confine e a compiere incursioni segrete nel Laos. Il 1965 fu anche l’anno della svolta e l’inizio dell’escalation americana in Vietnam: il neo presidente Lyndon B. Johnson cambiò il volto della guerra, affrontandola con un grande dispiegamento di mezzi, come una guerra convenzionale. L’arrivo in massa dei soldati americani ebbe ovvie ripercussioni sul progetto Delta, soprattutto sulle truppe indigene CIDG le quali, in diverse occasioni, furono smembrate per fornire appoggio alla fanteria e sprecate in operazioni convenzionali.


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Il braccio operativo delle forze speciali erano le Mike Force, compagnie specialmente addestrate a trascorrere lunghi periodi nella giungla a caccia di “charlie”. Gli americani ottennero risultati importanti, ma soprattutto trasformarono i “cidgees” in combattenti eccezionali.

o a difendere qualche villaggio: adesso dovevano scovarlo dai suoi nascondigli e attaccarlo senza pietà. Analogamente alle pattuglie a lungo raggio del progetto Delta, le Special Forces radunarono due gruppi scelti: l’Apache Force e gli Eagle Scouts. L’Apache Force, composta da soldati vietnamiti, forniva guide alle grandi unità dell’esercito americano che percorrevano i sentieri in territorio nemico, una specie di scorte locali con compiti di intercettazione e intelligence. Gli Eagle Scouts erano anch’essi tutti indigeni e oltre ai compiti svolti dalle Apache Force, avevano la possibilità di spostarsi con gli elicotteri. Queste due unità diventarono la base per le compagnie Mobile Strike Forces (Mike Force). Ogni compagnia includeva tre plotoni di fanteria, un plotone armi pesanti e un plotone da ricognizione, per un totale di 198 uomini, e a ogni Mike Force fu assegnato un distaccamento A delle Special Forces di Fort Bragg. Questi uomini diventarono presto l’ossatura principale attorno alla quale ruotavano tutte le operazioni speciali nel Vietnam: nel 1968 le compagnie della Mobile Strike Force raggiunsero circa 11.000 effettivi. Tra le tante iniziative in cui vennero coinvolte le Mike Force ricordiamo l’operazione “Blackjack 41C” (maggio 1967) nella quale tre compagnie provenienti dal quartier generale di Nha Trang furono paracadutate da un’altezza di 700 metri nella regione delle Sette Montagne (di competenza del IV Corpo). Neanche un giorno dell’intera missione trascorse senza almeno un combattimento contro i vietcong: alla fine sul campo rimasero 40 “charlie” morti e 12 feriti, mentre da parte americana 9 morti e 35 feriti tra cui 9 uomini del 5° Special Forces. In effetti la tecnica di combattimento seguita dalle Mike Force, ricalcava i metodi vietcong e proprio per questo aveva pieno successo:

infiltrazione, ricognizione tattica e imboscate sembravano l’unica ricetta per arginare l’offensiva nord vietnamita. Le azioni delle Mike Force erano, tuttavia, una goccia nel mare: le truppe regolari nord vietnamite e i guerriglieri vietcong stavano dilagando da ogni parte del paese e presto avrebbero

raggiunto la vittoria finale. Durante l’offensiva del Tet (30 – 31 gennaio 1968) il generale Giap inflisse una dura lezione al generale William Westmoreland il quale intravide lo spettro dei francesi caduti a Dien Bien Phu. La spinta delle truppe nord vietnamite verso i centri urbani mise alla prova anche i

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Il volto delle Special Forces in Vietnam: viso cammuffato e Tiger Stirpes.

“Cidgees” i quali furono chiamati a difendere – con sfoggio di grandi capacità e coraggio – non solo i loro campi, ma anche le vie cittadine di Nha Trang, Kontum, Dalat, ecc.

durata variabile – seguivano schemi flessibili, ma puntuali e nulla doveva essere lasciato al caso. Era, inoltre, importante che ciascun team rispettasse rigorosamente la tabella di marcia OMEGA, SIGMA E LE OPERAZIONI sia per raggiungere il target, sia NON CONVENZIONALI per la possibile via di fuga. La I buoni risultati conseguiti dal riuscita di un’operazione speciale progetto Delta spinsero il comando di questo tipo dipendeva in larga generale delle Special Forces ad parte dal fattore sorpresa e in attivare programmi analoghi: il Vietnam non era una cosa facile progetto Omega (B-50) e Sigma perché all’interno di molti campi (B-56). La differenza tra queste tre CIDG i vietcong riuscivano a sezioni stava nel ruolo ricoperto insinuare delle spie. Per le forze alternativamente dagli americani speciali, il metodo d’infiltrazione e dai vietnamiti: ad esempio più consueto avveniva tramite il progetto Delta dipendeva elicottero (solitamente tre unità, totalmente dal MACV ed era due in appoggio e una con la sotto la responsabilità congiunta squadra); i piloti volavano basso delle Special Forces americane e fino alla LZ (Landing Zone), vietnamite le quali avevano come eseguendo delle manovre molto unità d’appoggio, o “reaction veloci e azzardate giacché tutto force”, il 91° Ranger (vietnamita). doveva avvenire in pochi secondi, I progetti Sigma e Omega pena l’essere individuati. Gli poggiavano sempre sul comando stessi pericoli accadevano delle Special Forces statunitensi, durante l’esfiltrazione: uno dei tuttavia erano a disposizione momenti più delicati dell’intera esclusivamente della I e II Field missione. In questo caso le Force vietnamite e avevano come direttive seguite dai piloti erano unità operative i “Cidgees”. Sia diverse, tuttavia – soprattutto gli uomini del Delta, sia quelli del nelle situazioni più ardue – la Sigma e Omega avevano compiti scelta ricadeva sul “McGuire Rig”, di pattugliamento a lungo raggio e sviluppato dal sergente maggiore incursioni in territorio nemico; ma delle SF Charles T. McGuire (del come venivano preparate queste progetto Delta). Questo sistema azioni non-convenzionali? consentiva ai militari di agganciarsi Tutto iniziava con l’assegnazione all’elicottero grazie a delle della squadra a un’area operativa corde robuste opportunamente la quale era scandagliata dal punto calate, senza che questo toccasse di vista morfologico e tattico; era, terra: in pochi secondi il pilota infatti, importante conoscere in prendeva quota, sollevando il anticipo di quante forze disponesse carico umano. Le missioni in se il nemico in quella zona, se aveva erano prevalentemente imboscate fortificazioni sotterranee o altri condotte contro i vietcong o unità tipi di riparo. Una volta arrivate regolari nordvietnamite, oltre a le informazioni necessarie, il operazioni di recupero prigionieri gruppo speciale partiva alla volta le quali, però, non ebbero molto di una base avanzata, prossima successo. Il fallimento era all’obiettivo. Qui si procedeva con determinato dal fatto che i vietcong il controllo dell’equipaggiamento cambiavano assiduamente il e a un briefing con gli ufficiali in luogo di detenzione dei prigionieri comando: le istruzioni impartite e le Special Forces riuscivano per una missione dietro le linee raramente ad intuirne gli nemiche – che poteva avere spostamenti.

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L’operato degli uomini di Fort Bragg non riuscì a cambiare l’andamento della guerra la quale veniva sempre più gestita sui tavoli della politica. Le forze speciali americane trassero dal Vietnam delle lezioni fondamentali che mutarono per sempre il loro addestramento e il modo di operare.

VIETNAMIZZAZIONE E DISIMPEGNO A parte i buoni risultati ottenuti dalle operazioni speciali (ignote a gran parte dell’opinione pubblica nazionale), la guerra in Vietnam stava causando un terremoto politico negli Stati Uniti. Il presidente Johnson terminò il suo mandato sotto i peggiori auspici lasciando la pesante eredità a Richard Nixon il quale aveva promesso al popolo un rapido disimpegno dal pantano indocinese. La nuova strategia era quella di “vietnamizzare” il conflitto, in altre parole spingere il governo sud vietnamita verso un totale controllo politico e militare sulla conduzione della guerra. Era di vitale importanza che le truppe americane cominciassero un lento ritiro così da evitare una palese e drammatica sconfitta. Sul destino delle Special Forces, la Casa Bianca non fece differenza emanando l’ordine di “stand down”, una sorta di cessate il fuoco che toccava le sole unità americane. In questo periodo, tra l’agosto e dicembre 1970, tutti i campi CIDG furono assorbiti nelle file dell’esercito regolare sud vietnamita; le incuriosi e le imboscate si ridussero sensibilmente e di conseguenza, essendo più esposti, molti accampamenti subirono lunghi assedi. Il 31 dicembre 1970 cessò ufficialmente l’impegno del 5° Special Forces Group nel programma CIDG e gli ultimi Berretti Verdi salirono a bordo dei CH-45 per lasciare Saigon al proprio destino. Insieme al 5° Special Forces abbandonavano il Vietnam anche tutte le altre unità speciali che avevano dato un contributo fondamentale alle operazioni americane; reparti come il SOG (Studies and Observation Group) o i Navy SEALS nati volutamente per fronteggiare quel tipo di guerra. Gli americani avevano perso la guerra, tuttavia potevano vantare

diversi successi che avrebbero pesato sulle future strategie dall’alto comando dell’esercito. In particolare, il programma CIDG e i progetti Delta, Sigma e Omega plasmarono un nuovo tipo di soldati, trasformando per sempre i programmi d’insegnamento a Fort Bragg. Le intuizioni del presidente Kennedy e l’interesse dimostrato nei confronti delle operazioni speciali, avevano dato uno stimolo decisivo alla modernizzazione dei reparti speciali americani e all’affinamento di nuove tattiche che, ancora oggi, sono in uso sui campi dell’Afghanistan. LE FONTI In questo articolo ho preferito non dilungarmi troppo sulle missioni in se la cui bibliografia è davvero vasta. Il punto di

partenza fondamentale per la stesura di quanto sopra riportato è il libro del colonnello Francis J. Kelly, U.S. Army Special Forces 1961 – 1971, (Washington, 1985), forse il più completo resoconto sull’operato dei Berretti Verdi in Indocina. Di grande utilità, sono stati i due poderosi tomi dedicati alla storia del MACV, scritti da Graham A. Cosmas, MACV: the Joint Command in the years of escalation 1961 – 1967 (Washington, 2006) e la seconda parte, MACV: the Joint Command in the years of withdrawal 1968 – 1973 (Washington, 2006). Per quanto concerne le operazioni sul campo di estremo interesse è il libro di John L. Plaster, Secret Commandos: Behind Enemy Lines with the Elite Warriors of SOG (New York, 1974).

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LE GRANDI COLLANE IN DVD E BLU RAY VIETNAM in HD Durata: 260’

Non è la guerra che conoscete. È la guerra che hanno combattuto. Il conflitto più discusso e controverso del XX secolo non è mai stato riproposto in modo tanto vivido. Le voci di donne e uomini che vissero in prima persona la tragica esperienza del Vietnam calano lo spettatore nell’orrore della guerra, giorno per giorno. Riprese inedite restaurate e selezionate tra centinaia di ore di repertorio, spesso con l’audio registrato in presa diretta e sequenze girate in super8 dagli stessi soldati, fanno di questa produzione la più realistica e drammatica sul Vietnam. Oltre 4 ore di filmati che raccontano il conflitto, senza trascurare le reazioni dell’opinione pubblica americana e lo sfondo politico. Dall’arrivo delle forze statunitensi nel Sudest Asiatico, alle battaglie di Ia Drang e Dak To, all’Offensiva del Tet, ad “Hamburger Hill” e all’Operazione Lam Son 719, fino al travagliato ritorno in patria delle truppe americane.

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Negli ultimi 250 anni vi sono state battaglie che hanno segnato il corso della storia: conflitti dalle cui sorti sono dipesi i destini del mondo. Ma quali sono state le ragioni che hanno permesso a un esercito di prevalere? Quali le mosse decisive per l’esito della battaglia? Questa produzione ricostruisce, attraverso immagini di repertorio e animazioni in computer grafica, le fasi cruciali di 16 grandi battaglie, da Balaclava a Waterloo, da El Alamein alla Guerra del Golfo. Un’opera grandiosa, raccolta in 4 DVD in grado di soddisfare la sete di curiosità e di sapere degli appassionati di storia militare. Contiene il libro di 128 pagine “LE GRANDI BATTAGLIE DELLA II GUERRA MONDIALE”. Cofanetto 4 DVD Codice: COF 7048 Prezzo speciale € anziché € 39,90

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Quest’opera descrive la drammatica ascesa e caduta del Terzo Reich attraverso le testimonianze più significative di coloro che vissero in prima persona l’epoca del regime nazista. Il cofanetto è composto da due DVD, realizzati grazie a un’accurata ricerca di documenti video, in gran parte a colori, reperiti negli archivi ufficiali e in quelli privati di videoamatori dell’epoca. Accanto ai film di propaganda e alle scene delle adunate oceaniche, compaiono filmati familiari, di vacanze e compleanni, che rivelano un altro volto della Germania nazista: i milioni di uomini e donne travolti dal carisma di Adolf Hitler. Estratti di cinegiornali d’epoca, sequenze di guerra e inediti documenti di repertorio ritraggono gli orrori delle persecuzioni contro gli ebrei e dei campi di sterminio. A commento di tante immagini che hanno drammaticamente fatto la storia, i ricordi, le lettere, le speranze e le paure della gente comune che visse sotto il Führer. Un’opera che svela come un uomo determinato a far risorgere la Germania, sia riuscito a creare un enorme consenso e a realizzare i suoi piani, portando alla rovina il popolo tedesco. Cofanetto 2 DVD Codice: COF 7060

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ll caccia bimotore P38 è considerato uno dei migliori aerei mai costruiti: il suo progetto rivoluzionario contribuì alla sconfitta giapponese durante la II Guerra Mondiale. Conosciuto come il “diavolo a due code” il P38 è diventato una leggenda.

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Nel luglio 1944, un nuovo caccia Progettato nel 1935, il Supermarine tedesco apparve sulla scena. Era il Spitfire rappresentò un duro avversario Messerschmitt 262, il primo caccia per i tedeschi in un momento storico operativo con propulsione a getto. cruciale. Questo DVD è un viaggio nelUtilizzando ricostruzioni a colori e in- la storia di un aereo leggendario che, terviste, questo DVD rievoca il mondo grazie al coraggio dei suoi piloti, ebbe della gara per il primato nei cieli. ragione dell’allora invincibile Luftwaffe.

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LE ORIGINI DEI

COMBAT FOLDERS di Alessandro Zanin

Continuando il nostro percorso nella storia dei Fighting Knives più famosi, non possiamo dimenticare gli anni ’80, periodo in cui si è cominciato a parlare di coltelli pieghevoli da portare al fianco del combattente, più comodi da dissimulare e più rapidi nell’utilizzazione poiché sempre a portata di mano. Rendere una lama pieghevole, dentro un manico “guscio”, forte e robusto come una lama fissa in barra unica, non è cosa da poco. La meccanica di un folders è assai complessa e le quote da rispettare sono al millimetro al fine di garantirne un movimento,

un blocco e sblocco pulito, una buona resistenza ai lavori duri cui un operativo è sottoposto durante una missione. Il precursore che ha aperto la strada ai moderni coltelli tattici pieghevoli è stato AL MAR, famoso costruttore ormai compianto dal lontano 1992 il quale, col suo S.E.R.E., ha elaborato uno dei più bei coltelli in assoluto; un attrezzo pensato a tavolino e realizzato da due famosi combattenti delle forze speciali americane. Mi riferisco ad Al Mar, ex berretto verde, istruttore di arti marziali e armi da fuoco, celebrato fin dagli albori della sua TNM ••• 49


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carriera militare nel 1° Special Forces Group di Okinawa e al compianto tenente colonnello James Nick Rowe suo compagno d’armi, e creatore del Survival Evasion Resistance Escape Course a Fort Bragg. Quest’ultimo, inoltre, ha fornito importanti elementi di studio sull’argomento sopravvivenza: rimanendo prigioniero cinque anni nelle mani dei vietcong, spostato da un campo all’altro, riuscì a evadere grazie a un diversivo e al TNM ••• 50

passaggio a bassa quota di un elicottero UH-1, proprio vicino al suo ca Tornato in America, James N. Rowe ha avviato un percorso di formazione per i neo berretti verdi nel survival estremo, con tecniche di evasione e fuga da lui stesso praticate sul campo: di tutto questo rimane una chiara traccia nel suo libro di memorie “Five Years Before Freedom”. Il loro folder fu studiato nei minimi particolari, cercando il massimo

profitto nei materiali utilizzati e nelle forme dell’insieme lama/ impugnatura, sfruttabile al 90% per il survival e al 10% per il combat (citazione da catalogo). Il brevetto d’apertura/ chiusura è firmato FRONT LOCK da AL MAR che ha concepito uno dei pochi sistemi che dà alla lama la stessa robustezza in apertura di una lama fissa. Provare per credere! Oggi un coltello Al Mar è merce assai rara e dai costi proibitivi: poiché

si può parlare di coltelli semi-custom, che negli anni ’80 hanno lanciato un ponte fra il coltello industriale e quello artigianale, portando a nuovi standard di qualità. Il coltello originale è stato diversificato in tre diverse misure, utilizzando i migliori materiali disponibili all’epoca, con lunghezze di lama e manici differenti; dissimile anche il materiale usato per le guancette, che variava tra la micarta e il neoprene; anche per i foderi si


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ricercava il meglio, dalle produzioni in cuoio della TEX SHOEMAKER & SON di San Dimas in California, alla prestigiosa cordura balistica della EAGLE INDUSTRIES U.S.A. Non esisteva allora, per l’apertura a una sola mano, nessun sistema o brevetto: il foro di Spyderco è arrivato in seguito, ci si affidava allora all’impronta per l’unghia ricavata sulla lama. In quegli anni possiamo parlare di un terremoto commerciale, poiché

inizialmente era stato deciso di produrlo solo per i militari in numeri limitati e non per il mercato civile. Quando è stata annunciata la probabile messa in vendita del coltello al pubblico, è iniziata una campagna pubblicitaria di pre-vendita con le specifiche tattiche del coltello, ed è stato il primo folder a superare la fatidica quota di 100 dollari per una lama pieghevole semiindustriale. Era un costo notevole, visti i prezzi di un coltello custom degli anni ’80; merito della fama di cui già AL MAR godeva allora nei circoli militari e law enforcement. Tutto il resto è storia, fino ai giorni nostri. Col tempo, la forma e le linee di questo fenomeno di culto, sono variate e molti costruttori hanno raffinato i disegni curandone la riduzione del peso, aggiungendo brevetti per il one hand opening e talvolta inserendo una molla per

agganciare il coltello alla buffetteria; pensate che Les des Asis, CEO della Benchmade, amico di AL MAR, ha creato con lui un S.E.R.E. con apertura automatica della lama a pulsante, ribattezzandolo A.F.O. Armed Forced Only, ad uso esclusivo delle Forze dell’ordine; uno dei primi “automatici” della storia. L’unico appunto da fare è che proseguendo il nostro cammino attraverso la storia dei tactical knives, ci accorgiamo di quanto l’influenza e il carisma dei personaggi menzionati continuino a condizionare la produzione attuale, dando ancora oggi, nei disegni e nelle forme, idee e stili già collaudati e visti nel tempo. La cosa che affascina è che si parla d’idee di trent’anni fa, ma terribilmente attuali. Produttori moderni, sia industriali, sia semi-custom, continuano a beneficiarne,

modificando e rettificando linee e disegni. Non dimentichiamoci che il S.E.R.E. di AL MAR è stato concepito anche come modello a lama fissa disegnato sullo schema del folder, curato in modo eccezionale. Ricorda vagamente, anche se modificato, alcune moderne lame famose come: il “GREEN BERET” di HARSEY in collaborazione con Chris Reeve; oppure il “TRIDENT” di HARSEY in collaborazione con James Patches Watson per la GERBER. Se li mettete vicino salteranno agli occhi le somiglianze. Lo stesso Bill Harsey aveva collaborato con AL MAR negli anni ’80 a importanti progetti (“SHIVA”,”SMATCHET”, ”APPLEGATEFAIRBAIRN”), ma questa è un’altra storia e ne parleremo in seguito. TNM ••• 51


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di Giuseppe MARINO - Foto Giuseppe MARINO e Marco MAZZINI

SWISS GALLINAGO TROPHY EDIZIONE 2012

LA COMPETIZIONE SVIZZERA PER OPERATORI SNIPER ARRIVA ALLA DECIMA EDIZIONE. REPORTAGE DAL CAMPO DI GARA.


m Report From Report From Report From Report From Report Vista d’insieme delle strutture logistiche del campo di tiro. E’ possibile apprezzare la consistenza di tali strutture nonché avere parziale indicazione della notevole estensione degli spazi disponibili, qui visibili solo in ridottissima parte.

’esercizio impegnato in un Tiratore svizzero, rma impiegata, L’a . za tan dis di tiro a corta ulta me evidente, ris in calibro 308, co orio è ss ce ac e tal di zzo silenziata. L’utili rsone in in Svizzera per pe infatti consentito autorizzazioni. he ific ec sp di possesso

Esercizio di tiro in ginocchio. Evidente la diversa interpretazione da parte dei tiratori ritratti in foto.

iano Tiratore del team ital è in gara. L’arma in foto lo del mo tom cus ile fuc un . Wolverine


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L’11 agosto 2012 si è tenuta in Svizzera, nelle vicinanze della cittadina di Rothenthurm, l’edizione 2012 della famosa competizione per snipers denominata “Swiss Gallinago Trophy”. Come consuetudine l’evento è stato organizzato impeccabilmente dalla Dachs, un’associazione d’arma svizzera la quale riunisce sottufficiali che si dedicano sia ad attività militari, sia sportive. Le strutture e gli spazi sono stati quelli dell’attrezzatissimo campo di tiro militare “Shooting Range Altmatt”. La Swiss Gallinago Trophy, ormai alla decima edizione, è una competizione per cellule sniper mirante a testare abilità di tiro a corta, media e specialmente lunga distanza, preparazione teorica, preparazione fisica, capacità di lavoro in team, impiego di tecniche di osservazione, mimetismo e stalking di operatori militari, di polizia e civili con specifiche competenze tecniche nell’arte dello “sniping”. La sfida si caratterizza per l’elevato contenuto tecnico degli esercizi e per il considerevole sforzo fisico richiesto ai tiratori in gara che gareggiano in coppia per circa 12 ore consecutive. Per l’intera durata della gara essi devono risultare completamente autosufficienti, portando al seguito tutto l’equipaggiamento necessario per terminare TNM ••• 54

le prove. In considerazione di questo ultimo aspetto e della consuetudinaria struttura della brochure di gara, estremamente sintetica e a carattere generale, già la selezione dei materiali da portare al seguito, sia in termini qualitativi che quantitativi, risulta di fondamentale importanza ed estremamente appassionante. I tiratori in gara devono, infatti, necessariamente pianificare con accuratezza la partecipazione alla competizione, analizzandone preventivamente ogni aspetto noto e valutando tutte le possibili eventualità. Uno studio in perfetto stile militare, come militari sono, peraltro, la maggior parte dei partecipanti. L’edizione 2012 della Swiss Gallinago Trophy, fortunatamente, è stata caratterizzata da un eccezionale bel tempo, con temperature variabili dai 12-15 gradi del mattino ai 25-27 delle ore centrali della giornata. L’aria tersa e le temperature miti hanno favorito i tiratori nell’ingaggio, individuazione, riconoscimento e stima della distanza dei bersagli. Tuttavia non sono mancate difficoltà dovute al sole basso nelle ore mattinali, che di fatto abbagliava i tiratori impegnati in alcuni esercizi, nonché un vento sostenuto che ha soffiato nelle ore pomeridiane, dando dunque del filo da torcere ai tiratori


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Attrezzatura di uno dei tiratori del team italiano. Attrezzatura al top descritta nel dettaglio in uno dei riquadri di approfondimento.

BROCHURE DI GARA Di seguito si riporta un estratto significativo della brochure di gara dell’edizione 2012 della Swiss Gallinago Trophy. È possibile ricavare con facilità come le indicazioni fornite ai tiratori siano volutamente molto ridotte, in modo che i partecipanti alla competizione si presentino sul campo di gara “pronti a tutto”. Tale scelta di indirizzo è finalizzata a simulare con il massimo realismo un potenziale impiego in contesto operativo di una cellula sniper. Significativi a tale scopo, ovvero per meglio comprendere quale sia il “target” della competizione, sono gli ultimi punti della brochure, nei quali, in poche righe, si sintetizza come sarà strutturata la gara e quali “skills” dovranno essere in possesso dei tiratori affinché possano risultare competitivi.

impiegati negli ingaggi a lunga distanza. Il bel tempo non solo ha caratterizzato la giornata di gara, ma anche i giorni precedenti: ciò ha consentito di beneficiare di un terreno in buone condizioni. La maggior parte della superficie del campo di tiro è ricoperta di un fitto manto erboso: se lo stesso fosse stato bagnato da abbondanti piogge, sarebbe risultato molto insidioso per gli spostamenti dei concorrenti. La Swiss Gallinago Trophy, anche quest’anno, si è svolta, come accennato all’inizio, sul campo di tiro militare Shooting Range Altmatt sito nelle vicinanze della cittadina di Rothenthurm. Il poligono originariamente aveva un’estensione che interessava l’intera vallata in cui è sito. Tali caratteristiche ne consentivano quindi l’impiego anche per l’effettuazione di esercitazioni con veicoli corazzati. Oggi, molto ridimensionato negli spazi, pur mantenendo comunque un’estensione invidiabile, il poligono di Rothenthurm viene impiegato per esercitazioni di tiro con armi leggere sia da parte di militari che civili che ne abbiano titolo secondo la normativa svizzera. Il campo è dotato di installazioni logistiche eccellenti: moduli abitativi, strade asfaltate che lo percorrono in lungo e in largo, facilitando notevolmente gli spostamenti e dunque

• Organizzazione: DACHS • Luogo: Shooting Range Altmatt / Rothenthurm • Data: 11 Augusto 2012 • Esercizi: liberi • Briefing: 06.45 a.m. per tutti i partecipanti • Lingua ufficiale: tedesco con traduzioni in inglese ed italiano • Durata competizione: senza interruzione dal briefing alle 18.00 pm • Pasti e sosta: a cura concorrenti, non prevista sosta • Munizioni: 120 colpi fucile, 50 colpi pistola minimo per ogni partecipante • Partecipanti: militari, personale appartenente a forze di polizia e civili qualificati • Numero partecipanti: massimo 20 team • Fucili: entrambi i membri del team devono avere un fucile in calibro massimo 8,6 mm a ripetizione manuale o semiautomatico • Costo partecipazione: 350 franchi svizzeri per team (compresa cena fine competizione) • Abbigliamento ed equipaggiamento: mimetismo ed equipaggiamento individuale • Descrizione della competizione: per consentire la massima di partecipazione per tutti i tiratori non saranno forniti dettagli sulla competizione in anticipo. • Intenzioni: lo scopo della competizione è quello di testare e comparare le abilità di operatori sniper militari e appartenenti a forze di polizia dando peraltro occasione di confronto e scambio esperienze e conoscenze tra gli operatori. • La competizione può prevedere: stima delle distanze con e senza apparecchiature di ausilio, mimetismo, osservazione ed individuazione di bersagli occultati/ mimetizzati, ingaggio bersagli statici ed in movimento fino a circa 650 metri di distanza, lavoro di squadra, tiro in condizioni di stress fisico ed in tempi limitati.

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tutte le attività di supporto al tiro, stage per tiro con arma corta e tiro CQB, aree destinate al tiro a lunga distanza attrezzate con bersagli reattivi e con distanze massime prossime ai 700 metri, piazzole per tiro di precisione al coperto dotate di video per visualizzazione immagini delle telecamere puntate sui bersagli. Per quanto concerne le caratteristiche del terreno, il campo di tiro presenta un’orografia collinare molto variabile, la prevalenza del terreno è ricoperta da splendidi prati verdi nei quali, a spot, compaiono gruppi di conifere. Piccole aree con arbusti bassi e alcuni splendidi ruscelli completano il territorio il quale mette a dura prova la resistenza dei tiratori partecipanti alla Swiss Gallinago Trophy, chiamati a percorrere diverse volte il campo in tutta la sua estensione con tutto l’equipaggiamento al seguito. Le foto su queste pagine danno comunque chiara indicazione al lettore di quali siano le caratteristiche del campo di tiro. I posti previsti per la partecipazione all’edizione 2012 della Swiss Gallinago Trophy erano 20, ovvero 20 coppie in gara per un totale di 40 tiratori. I team effettivamente presenti sono stati 19, provenienti principalmente dai vari cantoni Svizzeri, Germania, Austria oltre ad un unico team italiano. Tra i presenti la maggior parte erano militari o personale in servizio presso reparti di polizia, alcuni con curriculum di tutto rispetto. Per l’Italia era presente un solo team composto da tiratori civili, già alla loro seconda partecipazione alla gara svizzera. Il team italiano, “Gac Tactical Shooting Team”, composto da Davide Pisenti e

Per l’intera durata della gara bisogna ente risultare completam autosufficienti, portando al seguito ento tutto l’equipaggiam necessario per terminare le prove

Dario Rubat Ciagnus, ha ottenuto un piazzamento come squadra al quattordicesimo posto, mentre Pisenti, nel ranking individuale, si è collocato esattamente a metà classifica, ovvero al 19° posto su 38 tiratori in gara. Alla fine della competizione, infatti, oltre alla classifica delle coppie, viene resa nota una graduatoria individuale. La competizione quest’anno è stata vinta da una coppia di svizzeri istruttori sniper per un reparto di polizia nazionale, due professionisti dunque. Elemento caratterizzante comune a tutti gli stages di gara è stato, senza dubbio, oltre che la complessità e varietà, la grande libertà di interpretazione lasciata ai tiratori. Il briefing di ciascun esercizio delineava l’obiettivo e alcuni vincoli procedurali; stava poi ai tiratori interpretare l’esercizio nel migliore dei modi sfruttando i propri equipaggiamenti e le specifiche attitudini fisiche e nel tiro. Essenzialmente gli esercizi erano scissi in due tipologie, peraltro proposte ai tiratori in due momenti distinti della giornata: di tipo statico, miranti a testare le capacità di tiro in diverse posizioni a bersagli di piccolissime dimensioni posti a distanze variabili tra circa 250 e 150 metri, ed esercizi più dinamici, in cui si richiedevano ai tiratori le più disparate attività ed abilità. Tra queste: difficoltosi spostamenti seguiti da ingaggi a cortissima e lunga distanza, colpendo bersagli reattivi e non, sparando in posizioni non convenzionali e operando il più delle volte in team. Completavano poi il quadro alcuni esercizi miranti a testare le capacità di osservazione dei concorrenti e alcune conoscenze teoriche, ritenute


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Gruppo di tiratori in stand by, in attesa di briefing pre stage. E’ possibile osservare in primo piano numerosi fucili e zaini testimonianti la grande varietà di attrezzature e set up impiegati in gara.

PERCHè “SWISS GALLINAGO TROPHY”?

dall’organizzazione, indispensabili nel bagaglio culturale di uno sniper militare o di polizia. I tiratori, a inizio gara, sono stati divisi in due gruppi: dopo un briefing in tedesco (sintetizzato poi in italiano a beneficio del team recante i nostri colori), iniziato con puntualità svizzera alle ore 06.45 del mattino, un gruppo ha dedicato la mattina all’effettuazione degli esercizi statici, mentre l’altro a quelli dinamici. Nel pomeriggio poi i ruoli si sono invertiti con una “pausa pranzo” occupata da un magnifico esercizio di osservazione effettuato simultaneamente da tutti i tiratori in gara: l’esercizio richiedeva il tracciamento di una sniper range card di una vasta area all’interno della quale erano abilmente occultati 6 operatori sniper dello staff di gara. Si ritiene opportuno segnalare a questo punto come tutti gli esercizi debbano essere effettuati in tempi estremamente stretti, il cui mancato rispetto comporta inevitabilmente il totale annullamento della prova. Contestualmente i punti assegnati negli esercizi non hanno “mezze misure”, ovvero, in linea con un’interpretazione molto rigida, se l’esercizio viene eseguito perfettamente da diritto a punti, altrimenti viene considerato nullo. Tempistiche al limite, procedure assegnazione punti molto rigide, esercizi molto tecnici e difficoltosi, rendono dunque estremamente difficile riuscire a totalizzare qualcosa e fanno si che, a volte, a causa di piccoli ritardi o imprecisioni, tiratori validi non riescano ad ottenere buoni posizionamenti in classifica. Come prepararsi alla Swiss Gallinago Trophy Come già più volte asserito nell’articolo, la Swiss Gallinago Trophy è una competizione di altissimo livello, pertanto molto impegnativa sia fisicamente che tecnicamente. L’impegno è dunque indubbiamente molto elevato sia per gli uomini in gara, sia per le attrezzature da

La competizione svizzera, della cui edizione 2012 si è riportata una breve analisi su queste pagine, ha un particolare nome della cui origine si vuole dare brevemente una spiegazione. Nello specifico il nome “Gallinago” non è altro che una denominazione scientifica del Beccaccino. volatile di medie dimensioni che, in forza del suo stile di volo molto irregolare e del suo mimetismo efficace, è sempre stato un difficilissimo bersaglio per i cacciatori che lo volessero cacciare. Come si associa dunque il nome di un volatile ad una competizione di tiro sniper? La risposta risiede nel fatto che il nome angolosassone del Gallinago è “snipe”. La caccia allo “snipe”, viste le caratteristiche di volo e mimetismo precedentemente accennate, risultava una vera e propria arte tanto da determinare la coniazione del termine “sniping” per identificare tale tipologia di caccia. Nel Novecento poi, il termine “sniping” venne esteso anche al tiro di precisione militare portando così ad identificare come “sniper” coloro che effettuavano un tiro di precisione. Da quanto sopra si comprende come il Gallinago sia associato al tiro di precisione e dunque come la denominazione Swiss Gallinago Trophy per una gara destinata ad operatori sniper sia perfettamente azzeccata.

questi impiegate. Tutto quello che viene utilizzato nella competizione è preferibile che sia dunque “combat proven”, sia per incrementare la certezza di disporre di un idoneo livello di efficienza dei materiali in uso, sia per fare in modo che gli stessi resistano alle possibili condizioni di stress verificabili sul campo di gara, quali polvere, pioggia e urti. Si vuole a tal punto incentrare l’attenzione sul possibile iter di preparazione teorico-tecnico che sarebbe opportuno seguire in vista di una futura possibile partecipazione ad una edizione della Swiss Gallinago Trophy. Preparazione fisica La Swiss Gallinago Trophy prevede che i tiratori in gara stiano sul campo dalla mattina presto fino al tardo pomeriggio, operando senza soluzione di continuità in numerosi esercizi portando sempre al seguito tutto l’equipaggiamento necessario per lo svolgimento dell’intera gara e spostandosi a piedi lungo tutto il grande campo di gara caratterizzato da una orografia collinare TNM ••• 57


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dimensioni bersagli, tiro con angolo di sito, navigazione terrestre, ecc. È opportuno avere un background di nozioni inerenti la teoria di cui è auspicabile che uno sniper professionista sia in possesso.

Tiratori impegnati in uno spostamento rapido, richiesto nell’ambito dello svolgimento di un esercizio che prevedeva l’esplosione di alcuni colpi dopo essersi spostati con tutto l’equipaggiamento al seguito. Una costante per gli esercizi della gara svizzera in cui lo stress fisico risulta componente immancabile.

Preparazione tecnica di tiro Le capacità di tiro la sono al centro della competizione svizzera interessando, infatti, la maggior parte degli esercizi di gara, richiedendo di volta in volta specifiche abilità di sparo. Risultando dunque troppo lunga la disamina di tutte le competenze richieste durante la competizione, ci si limita ad elencare di seguito solo le principali e ricorrenti, identificando nelle stesse quelle che dovrebbero essere le tematiche di allenamento al tiro nell’ottica di prepararsi alla Swiss Gallinago Trophy. Nello specifico dunque è opportuno allenarsi nel: • tiro a lunga distanza, fino ad 800 metri; • tiro a corta e media distanza su bersagli multipli; • tiro discriminato; • tiro in differenti posizioni (sdraiato, seduto, ginocchio, in appoggio, etc.) • tiro operativo con pistola In tutti gli esercizi di preparazione è opportuno poi, operare in coppia, così come durante la gara, affinando contestualmente un codice di comunicazione di team semplice ed efficace. Aggiungere sempre una componente di stress fisico, un tempo limite, e cercare di operare in condizioni di carico ed equipaggiamento analoghe a quelle che si avranno in gara.

molto varia. Si evince dunque come una preparazione fisica idonea debba prevedere, oltre che sessioni di corsa e potenziamento muscolare in genere, lunghe marce affardellate su terreni collinari in modo da abituare il fisico al tipo di stress muscolare tipico della gara svizzera. È opportuno altresì, quantomeno nelle ultime sessioni di allenamento fisico pre gara, effettuare marce con al seguito l’equipaggiamento selezionato per la partecipazione alla competizione: ciò consentirà di abituarsi al peso dello stesso nonché a ottimizzarne la distribuzione nel sistema scelto per il trasporto. Preparazione teorica Sebbene non in numero elevato, la Swiss Gallinago Trophy, in tutte le sue edizioni, prevede sempre anche degli esercizi puramente teorici, da svolgere con “carta e penna”. Tali esercizi vertono di solito (cambiano, infatti, da edizione ad edizione) su calcoli inerenti stime distanze, TNM ••• 58

“Lessons learned” e selezione equipaggiamento Scopo del seguente paragrafo è quello di condensare in breve alcune delle principali “lessons learned” raccolte sia in prima persona, partecipando come osservatore all’edizione 2012 della Swiss Gallinago Trophy, che intervistando alcuni dei team in gara e lo stesso ideatore e coordinatore della competizione. Nello specifico si vogliono di seguito fornire alcune indicazioni di massima su quelle che potrebbero essere delle scelte paganti nella selezione dell’equipaggiamento. Il tutto ovviamente sulla base di quanto “visto” sul campo di gara. Armi Molti i modelli di fucili impiegati in gara. I bolt action sono risultati assolutamente prevalenti, anche se sicuramente non è da disdegnare l’impiego di un .308 semiauto, magari su meccanica AR 10. Ad ogni modo le azioni prevalenti sono state le diffusissime Remington montate sulle più disparate calciature tra cui non mancavano Accuracy e McMillan. Erano poi presenti armi CZ, anche silenziate, Brugger e Thomet, SIG, Robar, PGM, HTR, per concludere, infine, con un bullpup della Desert Tactical Arms. Per quanto riguarda le ottiche ce n’erano una grandissima varietà, ciò che si ritiene opportuno evidenziare è il fatto che disporre di un’ottica che arrivi ad almeno 16-


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18 ingrandimenti può risultare quasi indispensabile per ottenere risultati efficaci negli esercizi di tiro discriminato su piccoli bersagli, altrimenti difficilmente identificabili. Avere altresì un reticolo dotato di idonei riferimenti e posto sul primo piano focale consentirà all’occorrenza l’effettuazione di stime di distanze/dimensioni bersagli. Per quanto riguarda le armi corte spopolavano le Glock, camerate prevalentemente in calibro 9 mm. Sicuramente scelta ottimale viste le caratteristiche della gara; queste ultime risultano infatti armi robuste, affidabili e leggere, dunque agevolmente trasportabili per tutta la durata della competizione. La cameratura in calibro 9 mm, infatti, consente di ridurre al minimo il peso delle munizioni al seguito. Per concludere, si ritiene indispensabile dotare l’arma lunga di una cinghia di trasporto, un bipiede e possibilmente un inclinometro. Zaino o buffetteria

L’elevato quantitativo di materiali da portare al seguito per essere pronti ad effettuare la più svariata tipologia di esercizi richiede un’idonea modalità di trasporto. Essi devono risultare infatti, oltre che all’occorrenza agevolmente impiegabili, anche adeguatamente distribuiti in termini di peso, vista l’esigenza di accollarseli per una intera giornata su un terreno difficile. Una importante scelta interessa dunque l’adozione di un idoneo sistema di trasporto, sia esso una buffetteria, uno zaino o un sistema ibrido. Come spesso accade, l’ultima soluzione, ovvero quella intermedia, risulta probabilmente quella ottimale ed infatti la più utilizzata dai tiratori in gara. Disporre infatti di un capiente ed ergonomico zaino in cui riporre gli equipaggiamenti più ingombranti, ed associarvi alcune tasche fissate all’esterno dello stesso, consente un trasporto ottimale del materiale. Uno dei membri del team italiano ha adottato con successo tale soluzione descritta

L’EQUIPAGGIAMENTO DEL TEAM ITALIANO Nelle tasche laterali dello zaino e fissato all’esterno dello stesso: • borraccia con acqua; • treppiede supporto fucile o spotting scope; • bean bag Triad tactical. All’interno dello zaino: • ghillie suite della Tactical Nello specifico nelle 4 tasche fissate Concealment modello Cobra sui supporti lombari sono stati inseriti ROID con guanti e rete per degli equipaggiamenti di pronto nascondere viso; impiego quali: • fascette per legare vegetazione, • telemetro Vectronix PLRF 10C; paracord e kit di manutenzione/ • computer rugged portatile Nomad pulizia arma; LE 800 con modulo GPS e software • 80 colpi per fucile in calibro balistico FFS Delta V; .308; • stazione meteo portatile Kestrel • pistola con munizioni; 4500 BT; • spotting scope Leupold Mark IV ; • Fucile GAC Wolverine (custom • cavo seriale per collegare telemetro • loog book con alcune range card; Grande Armeria Camuna al palmare; • field sketch; assemblato con azione Stiller su • stumento analogico di back up per • bussola Silva da navigazione. calciatura XLR) calibro 308, canna density altitude; 20 pollici con ottica S&B 5-25 x 56 • spotting scope Vortex tactical 10x; Nella BDU marca SOD: MTT, dotato di bipiede Long Range • 50 colpi calibro 45 ACP e 4 caricatori • notes e penna; Accuracy, angle indicator, bolla per pistola; • bussola e tabelle balistiche di back anti cant ed imbottitura inferiore • tasca doppia porta caricatori up; saddle padded della SOTECH. Il per fucile. • 40 colpi fucile calibro .308; tutto trasportato a mezzo di copri • multi tool della Gerber; • 2 barrette energetiche. Il team italiano in gara nell’edizione 2012 della Swiss Galinago Trophy, costituito da Davide Pisenti e Dario Rubat Ciagnus, oltre ad essersi distinto per competenza e performance, sicuramente si è messo in evidenza per l’eccezionale equipaggiamento di cui disponeva. Un equipaggiamento al top da un punto di vista tecnologico nonché dal set up ottimizzato nel minimo dettaglio. Riporto in seguito una breve descrizione dell’equipaggiamento di uno dei due membri del team, sicuramente di possibile ispirazione per coloro i quali vogliano impostare un proprio set up per una futura partecipazione alla gara.

ottica con maniglia di trasporto o, alternativamente, con cinghia di trasporto. • Zaino 3 day assault BVS della Mystery Ranch sul quale risultavano attaccato tasche esterne della TYR Tactical, della HSGI e della Mystery Ranch stessa.

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Report From Report From Report From Report From Rep Tiratori impegnati in esercizio di tiro discriminato da posizione prona a distanza di 150 metri dai bersagli. In questo caso i tiratori dovevano acquisire il bersaglio assegnato e rimanere in punteria fino alla ricezione dell’ordine di fuoco che per ciascuno veniva dato di volta in volta, all’improvviso, da parte di un arbitro.

nel dettaglio in uno dei riquadri di approfondimento presenti sulle pagine di questo articolo. Selezione equipaggiamento Definita la modalità di trasporto dei materiali, si ritiene opportuno fornirne un elenco, almeno limitatamente a quelli strettamente indispensabili. Tale elenco è stato stilato sulla base dell’esperienza e deduzioni dello scrivente, nonché sulla base dei pareri in merito espressi da alcuni tiratori in gara sia nell’edizione 2011 che 2012: • fucile calibro massimo 8.6 con cannocchiale con almeno 12 ingrandimenti; • pistola semiauto di qualsiasi tipo e calibro; • materiale per scrivere e calcolare, anche in condi-meteo avverse; • almeno uno spotting scope per coppia di tiratori con almeno 30 ingrandimenti (meglio averne uno a testa); • almeno un reticolo per misurare/stimare le distanze (nel cannocchiale o nello spotting scope); • ghillie suite che copra almeno le spalle; • materiale mascheramento arma (juta o simili, sunshade mimetico per cannocchiale o riduttore di diametro); • materiale da taglio (consigliati cesoie e/o seghetti pieghevoli); • anti appannante per ottiche; • materiale per improvvisare appoggi (trepiedi, paracord, viti a gancio o asola, beanbag); • tabelle balistiche dai 25 m ai 700 m; • barometro e termometro; • bussola; • telemetro; • 100 colpi fucile; • 50 colpi pistola; • 2 litri acqua minimo; • barrette energetiche e/o cibo facilmente assimilabile in movimento. Si ritiene opportuno, a questo punto, fare la seguente considerazione: durante la Swiss Gallinago Trophy i TNM ••• 60

tiratori sono sul campo dall’alba fino alla sera, dovendo risultare totalmente autosufficienti in tutto e per tutto, ed ovviamente dovendo avere al seguito i materiali necessari per portare a termine i diversi possibili stages di gara. Se da un lato avere materiali di ogni genere può risultare pagante in termini di svolgimento esercizi, dall’altro troppa attrezzatura, e dunque un considerevole aumento di peso, può comportare un eccessivo affaticamento del tiratore e una conseguente minore resa in termini di efficacia sul campo di gara. Un giusto compromesso è la chiave di volta per risultare vincenti. Il tutto in grande analogia con quanto occorrerebbe fare nell’ottica di preparare ed effettuare una reale operazione militare. Considerazioni conclusive Grazie alla partecipazione del team italiano alla Swiss Gallinago Trophy, sia nel 2011 che nel 2012, avendo potuto intervistare i tiratori che lo compongono, è possibile effettuare un confronto tra gli esercizi delle due edizioni traendo alcune importanti conclusioni utili per eventuali partecipazioni future. Anziché fare comunque un “confronto punto punto” tra tutti gli esercizi dell’una e dell’altra edizione, ritengo opportuno evidenziarne solo alcuni, ritenuti di maggior rilievo. Nell’edizione 2011, ai concorrenti è stato richiesto di mimetizzarsi e dalla condizione di totale occultamento, riuscire ad individuare le caratteristiche di alcuni target. Un esercizio del genere richiedeva un idoneo materiale per mimetismo, in primis una ghille suite per coprire capo e spalle. Un esercizio di stalking che quest’anno, nell’edizione 2012, è stato effettuato, ma “al contrario”. Era il personale dello staff, infatti, a doversi occultare, mentre le coppie in gara dovevano individuarlo, stazionando in un punto di osservazione preposto, tracciando una sniper range card dell’area di osservazione assegnata, completa


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dunque della posizione degli snipers nascosti con relative distanze, angoli di rilevamento e quant’altro. Se dunque nell’edizione 2011 una ghille suite, del peso di 2,5 kg circa, risultava indispensabile, nell’edizione 2012 questo accessorio, peraltro portato al seguito da tutti i concorrenti in gara, non ha avuto alcuna utilità. Fondamentale invece è stato disporre di uno spotting scope per ciascuno dei membri del team. L’esercizio di tracciamento della sniper range card difatti è stato svolto singolarmente da ciascun tiratore, senza alcuna possibilità di collaborazione nell’ambito del team. L’esempio riportato fornisce chiara indicazione di come sia difficile valutare a priori quale equipaggiamento possa essere necessario o meno e come sia necessario avere al seguito tutti i possibili materiali ed equipaggiamenti necessari ad una cellula sniper per operare sul campo. Una componente ripetuta nelle differenti edizioni della competizione è quella del tiro a media distanza ingaggiando, discriminatamente, in un tempo limitato ed in differenti posizioni, bersagli “fotografici” ritraenti i più disparati soggetti. Una tipologia di esercizio alla quale occorre assuefarsi in allenamento per poter essere efficaci in gara. Altro aspetto ricorrente, che è necessario valorizzare opportunamente con una idonea predisposizione mentale, è la particolare struttura dei briefing degli esercizi. Essi spesso, oltre a descrivere l’esercizio da svolgere, forniscono pochissimi vincoli ai tiratori i quali sono liberi di “interpretare” l’esercizio nel modo ad essi più favorevole. Alcuni semplici esempi possono meglio chiarire questo aspetto. Nell’esercizio denominato “Back up”, da effettuare con l’arma corta, nel briefing non veniva specificata la condizione di partenza dell’arma, se in fondina, in mano, o in altra condizione, stava dunque al tiratore scegliere la condizione più vantaggiosa, ovvero con arma già in mano. Se un esercizio pone il vincolo di tirare con un ginocchio appoggiato a terra, ciò non vuol dire che non si possa usare un treppiede per appoggiare l’arma o altro supporto. Quando nel briefing si dice che il manichino rappresentante il ferito deve essere trasportato fino alla piazzola di tiro, sebbene venga messa a disposizione una barella, non significa che essa debba essere usata obbligatoriamente, un team potrebbe valutare, ad esempio, di portare il manichino a spalla o altra soluzione. Tutto questo semplicemente per dare qualche esempio di come l’interpretazione degli esercizi sia libera ed in quanto tale possa fortemente condizionare l’esito della competizione. In conclusione. Competizione entusiasmante, all’insegna della efficientissima organizzazione “Swiss Made”. Chiaro indice di tale efficienza risulta un rapporto di circa 1 a 1 tra tiratori e personale dello staff di gara. Una gara sicuramente molto tecnica, alla portata di personale esperto con una preparazione a 360° nell’arte dello “sniping” . L’auspicio è quello di riuscire, in un futuro non molto lontano, a vedere una manifestazione del genere svolgersi sul territorio italiano, a beneficio, quanto meno, di personale militare. Senza dubbio occasioni del genere,

SWISS GALLINAGO TROPHY IN ITALIA La competizione descritta su queste pagine ha sicuramente caratteristiche molto particolari, pertanto, vista la legislazione italiana, sul nostro territorio un evento strutturato come la gara svizzera potrebbe essere aperto alla partecipazione di solo personale militare e/o appartenente alle forze di polizia. Sicuramente comunque, qualora una competizione analoga alla Swiss Gallinago fosse organizzata in Italia, essa potrebbe fornire una validissima occasione di addestramento e scambio know how tra i nostri connazionali che del tiro sniper hanno fatto una professione, prestando servizio nelle diverse forze armate. Al momento in Italia esiste una realtà ufficialmente riconosciuta che avrebbe disponibili i mezzi, gli uomini e l’esperienza per organizzare una siffatta manifestazione, ovvero la FITLD (Federazione Italiana Tiro Lunga Distanza). Le persone infatti che hanno fondato e fatto crescere la FITLD hanno ormai maturato un’idonea esperienza nel campo dell’organizzazione di manifestazioni sportive sia di tiro a lunga distanza tradizionale che orientate verso un’impostazione “dinamica” e “tecnica” quale quella della Swiss Gallinago. Già nel 2009 infatti, l’attuale staff della FITLD, non ancora organizzatosi come Federazione, ha organizzato con successo una prima competizione pilota di tiro a lunga distanza dinamico sul territorio nazionale. La competizione svolta, denominata 1st Precision Valley, è stata organizzata con una struttura molto simile a quella della competizione svizzera, evitando comunque ogni riferimento al tiro sniper, cosa evidentemente non possibile vista la partecipazione di personale civile. E’ attualmente al vaglio l’organizzazione di una nuova edizione della Precision Valley organizzata e strutturata in un’accezione prettamente militare, ed in quanto tale, aperta solo a personale professionista. Sicuramente non mancheranno aggiornamenti a riguardo non appena risulteranno disponibili.

oltre ad avere un’ottima valenza addestrativa, offrono una validissima occasione di confronto tra professionisti e un accrescimento reciproco. La prossima edizione della competizione svizzera per coppie di sniper si terrà in agosto 2013. Anche per la prossima edizione il format di gara sarà il medesimo. Mi auguro di vedere in gara un maggior numero di coppie di tiratori italiani, militari e civili, magari stimolati proprio da questo breve articolo che potrebbe aver acceso in alcuni lettori il desiderio di parteciparvi. TNM ••• 61


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Di Guns & Tactics e Jeremy Pagan FOTO DI Stickman

Pochi acronimi riportano alla mente immagini potenti quanto uno in particolare: SWAT. Questi gruppi rappresentano l'elite delle forze dell'ordine Americane, utilizzati in situazioni che vanno ben oltre le capacitĂ dei normali agenti di pattuglia. Dotati di giubbotti antiproiettile, delle migliori armi, granate stordenti, veicoli corazzati e una miriade di altri attrezzi specializzati, questi uomini e donne altamente qualificati portano la loro esperienza in campo, contro tutti coloro che minacciano la pace pubblica. Sebbene il loro obbiettivo primario sia porre pacificamente fine a tutti i conflitti, quando giunge il momento, ogni ufficiale SWAT deve poter contare sulla sua arma principale, il fucile, che deve funzionare senza problemi e ininterrottamente. Negli anni '70 e '80 gli SWAT usavano principalmente submachine gun con ovviamente calibri da pistola, specie la Heckler & Koch MP5, rese famose dai SAS nell'incursione all'Ambasciata Iraniana del 1980. Tuttavia, dopo la sparatoria di North Hollywood nel 1994, che coinvolse due uomini pesantemente armati, fu necessario un cambiamento di tendenza. Anche se efficaci contro avversari senza giubbotto antiproiettile, armi in calibro da pistola non risultano adeguate contro bersagli protetti; e quando sempre piĂš criminali hanno iniziato ad usare il giubbotto antiproiettile, le forze dell'ordine si sono ispirate al loro fratello maggiore, l'esercito, nel cui arsenale hanno trovato l'arma di cui avevano bisogno: la carabina. I fucili M16, adottati inizialmente, si sono dimostrati efficienti contro i giubbotti anti proiettile ma erano progettatati per combattere in campo a medio e lungo raggio.


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Le squadre SWAT, al contrario, operavano in un ambiente molto diverso, il mondo del CQC (Close Quarters Combact). Le ingombranti canne da 20” apparvero subito come un ostacolo, e perfino quelle più corte da 14.5” della carabina M4 erano troppo lunghe per l'uso in corridoi angusti e nelle entrate. Le squadre speciali si rivolsero quindi ad un modello molto speciale di carabina: il modello SBR (Short Barrelled Rifle). Originariamente l'arma preferita dalle Forze Speciali, questa offriva le dimensioni compatte di una pistola mitragliatrice ma con la balistica di una carabina, dimostrandosi il miglior compromesso per maneggevolezza e letalità in operazioni in ambienti ristretti. Abbiamo avuto l'occasione di incontrare Darrion Holiwell, un veterano appartenente agli SWAT da 12 anni, in uno dei suoi giorni di allenamento e dare un'occhiata alla sua arma d'ordinanza. Con 18 anni di esperienza nella Law Enforcement, è caposquadra e capo istruttore d'armi da fuoco per il più grande dipartimento di Sceriffi nello stato di Washington. A causa della natura del suo lavoro, ha bisogno di un fucile costruito per situazioni che sono estremamente veloci/sbrigative durante operazioni ad alto rischio con bersagli ostili; un fucile configurato per essere sempre affidabile, indipendentemente dall'ambiente in cui viene usato. Il cuore della carabina è costituito dal gruppo upper receiver della Centurion Arms. La canna, fatta su rotomartellatura ha la lunghezza di 11,5” con un twist barrel di 1 in 7”, camerata in 5.56x45mm NATO. La canne sono ricavate e profilate da barrel blank solitamente utilizzate per le machine guns M249, su queste sono stati effettuati controlli approfonditi sia per le alte pressioni che per le sollecitazioni meccaniche per garantire una costruzione impeccabile. Le rampe di alimentazione sono tipo M4, con rivestimento cromato maggiorato e fosfatatura mil-spec, questa canna è costruita per soddisfare e perfino superare ogni specifica militare TNM ••• 64

degli Stati Uniti, fornendo il triplo della vita tipica di quelle usate nel servizio standard. Grazie al processo di forgiatura a rotomartellatura, è eccezionalmente accurata nonostante sia corta e non ha alcun problema di raggruppamento nel tipico 1MOA richiesto alla distanza di 100 iarde con munizioni di qualità. Una prestazione eccezionale e la durata nel tempo sono diventate il segno distintivo delle Centurion Arms, e questa canna non fa eccezione. Alla fine della canna troviamo un freno di bocca della Advanced Armament Company (AAC) tipo Blackout. Seppure acusticamente aggressivo, questo muzzle brake impedisce il rinculo verticale, aiutando Darrion ad effettuare accurate e precise raffiche multiple in brevissimo tempo. Come bonus aggiuntivo, questo freno è compatibile con il soppressore di suono, consentendo a Darrion di attaccare qualsiasi soppressore della serie AAC 51. Seppure progettato in primo luogo per attutire il suono, i soppressori eliminano anche la vampa di bocca, una considerazione importante quando si violano complessi criminali


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quali i laboratori di metanfetamina, che possono essere pieni di gas infiammabili. Ad alimentare il fucile è un bolt carrier group della Centurion Arms che è stato meticolosamente lavorato, rivestito con fosfatazione mil-spec per garantire una totale affidabilità. Darrion ha sparato più di 10.000 colpi con il suo fucile, con un tasso di arresto minore del 0,1%, un dato eccezionale sotto qualsiasi punto di vista. Riveste la canna un quad rail CenturionArms modello C4 della lunghezza di 10”. Progettata per essere montata su barrel nut AR, questa guida è leggera eppure molto resistente grazie alla costruzione in alluminio 6061 T6 e al suo rivestimento type 3 indurito e anodizzato con specifiche mil-spec Il rail molto esteso che quasi completa la lunghezza della canna da la possibilità di un lungo supporto con il braccio di posizione, permettendo di afferrare l'estremità dell'arma ed esercitare il

massimo controllo sull'orientamento della bocca da fuoco. Il rail dotato di ampio spazio lineare, ha più spazio di quanto Darrion necessiti per montare qualsiasi accessorio aggiuntivo. Darrion opera primariamente in situazioni “close quarters”e di conseguenza ha scelto un'ottica senza ingramdimenti e delle iron sight che gli offrano il meglio in tale ambiente. Scegliendo un Aimpoint red dot T-1 Micro da 4 moa come mira principale, ne valuta il profilo minimalista, la leggerezza, la durata della batteria (50.000 ore dichiarate) e la sua leggendaria rusticità all’utilizzo. Grazie alla misura contenuta di questa ottica, Darrion può quindi mantenere buona parte della vista periferica, una considerazione importante in ambienti visivamente costretti. L'ottica è installata su una monta GG&G, ed è dotata di coperchi sganciabili, una caratteristica rara per i T-1. Nonostante questi appaiano come

una caratteristica superflua in alcuni casi, è in realtà divenuta importante durante le lunghe attese all'aperto tipiche di alcuni appostamenti, per la loro capacità di mantenere sempre e comunque l'ottica pulita, al riparo da polvere ed umidità, potendo però sempre essere rimossi all’istante. La monta è abbastanza alta in modo da fornire a Darrion una vista ottimale anche se indossa una maschera a gas, e dispone di una leva di sgancio rapido. La monta della GG&G è inoltre progettata per mantenere l’azzeramento e Darrion ne conferma la totale efficienza a proposito. Nel caso la sua ottica dovesse avere problemi, Darrion utilizza un mira metallica di backup modello MBUS della Magpul. Questa è stata scelta in quanto leggerissima, di fattura solida e facile da alzare tramite il meccanismo a molla anche se si usano guanti tattici. L'identificazione del bersaglio è fondamentale per uno SWAT officer, specialmente in situazioni che coinvolgano ostaggi. A garantire un'illuminazione tattica c'è una torcia Surefire modello M600 Scout, fissata con un supporto a vite e attivata da un interruttore remoto SR07, corpo macchinato CNC con alluminio aereonautico mil-spec e con anodizzazione ad alta resistenza. La torcia è completamente impermeabile e rinforzata per resistere ad un uso estremo. La luce è talmente potente che nonostante sia vicina all'esplosione aggressiva del freno di bocca, funziona senza pecca alcuna. Con 200 lumen di illuminazione, questa luce tattica non è solo abbastanza luminosa per identificare un obiettivo dalla distanza dieci metri, ma permette anche di accecare e disorientare, favorendo l'effetto shock e le tattiche intimidatorie impiegate da Darrion e la sua squadra SWAT. Un receiver della Lewis Machine Tool (LMT) modello Defender 2000 costituisce la base dell'estremità inferiore della carabina in oggetto ed è stato scelto grazie alla sua reputazione, affidabilità e all'eccellente servizio clienti fornito dalla LMT. La carabina è dotata di TNM ••• 67


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uno scatto LMT tipo due tempi che permette spari precisi quando ce ne sia il bisogno e un reset veloce quando fosse necessaria una cadenza di sparo più veloce. Mentre molti SWAT officer impiegano armi automatiche, Darrion preferisce una semi automatica. Un tiratore del suo calibro può comunque manipolare il grilletto molto velocemente, mettendo sette colpi in “center mass” su di un bersaglio a 25 iarde, sparati in meno di un secondo, sempre mantenendo però un rigoroso controllo del numero di colpi sparati. Di particolare rilievo è la configurazione ambidestra di questa carabina in quanto Darrion è un tiratore mancino. Ad adempiere al rilascio del caricatore ci pensa infatti uno sgancio ambidestro della Knight's Armament Company TNM ••• 68

(KAC). Darrion afferma di aver provato molti altri modelli di leve di sgancio drop-in ma solo il modello della KAC offre controlli facilmente accessibili, mantenendo una sensazione tattile precisa e quindi differenziandolo dal bolt release. Una sicura di fuoco LMT, anch'essa ambidestra, completa i suoi fire controls. Come leva di armamento della sua arma, Darrion ha selezionato la nuova charging handle ambidestra della Rainier Arms modello Raptor. Costruita con resistentissimo alluminio 7075, con anodizzazione mil-spec, questa leva di armamento è un design unico prodotto da AXTS Weapon System. Il modello Raptor utilizza un innovativo tipo di interlocking latch che garantisce di poter tirare la leva uniformemente con una sola mano,

sia che venga usato con la mano destra che con la sinistra. Finisce la carabina una calciatura polimerica della Magpul Industries. Darrion ha scelto il modello STR stock per la sua resistenza costruttiva, per il poggiaspalla ampio e la capacità di contenere delle batterie. Infine l'impugnatura a pistola MIAD che ha possibilità modulari, permettendogli di adattarne le dimensioni in modo che calzi perfettamente tra le sue


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Il cuore della ito dal carabina è costitu iver ce re gruppo upper s. La m Ar della Centurion a di zz he canna ha la lung el rr ba ist 11,5” con un tw in a at er di 1 in 7”, cam . 5.56x45mm NATO

mani, e il MOE trigger guard che migliora il comfort offrendo anche lo spazio necessario, nell'area dello scatto, per operazioni che richiedono l'utilizzo di guanti. Una presa anteriore (fore grip) AFG2 è montata all'estremità del rail Centurion Arms, adattandosi allo stile di tiro di Darrion, fornendo così un facile punto di presa ripetibile con una maggiore ergonomia. Poiché Darrion opera spesso in spazi angusti, preferisce un setup con cinghia tipo single-point, usando una Magpul MS3, collegata ad un ASAP sling plate. Quando una missione richiede l'utilizzo di ambe le mani, come in operazioni marittime o in corda doppia, Darrion aggiunge un RSA sling plate che gli permette di convertire la cinghia in un modello tipo two-point, facendo scivolare il suo fucile in modo che non ingombri. Per mantenere il suo fucile carico, Darrion indossa un Fight Light Plate Carrier della Tactical Tailor, con un pannello triplo per munizioni, pieno di E-Mags Magpul. Facente parte di una categoria sempre più emergente, questo plate carriers, è un modello minimalista costruito per essere il più leggero possibile pur fornendo la possibilità di protezione in pannelli di ceramica SAPI. Il plate Carrier della Tactical Tailor, è realizzato in cordura 500 denari, foderato con stoffa ignifuga, sono presenti intercapedini per la circolazione di aria e imbottiture per attutire i punti di pressione. E’ un capo fondamentalmente di altissima qualità realizzato per essere comodo ma allo stesso tempo resistente. Considerando che azioni ed equipaggiamento dei criminali, sono evoluti, così sono migliorate le tattiche e le attrezzature degli SWAT officer. Centurion Arms, LMT e molti altri produttori hanno dato la possibilità alle forze dell’ordine statunitensi, con gli elementi prodotti, di assemblare un SBR con prestazioni eccezionali e con un ottimo pedigree.


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ASPERA AD ASTRA Di GOGO DELLA LUNA

«Devi lasciarti tutto dietro. Paura, dubbio, scetticismo. Sgombra la tua mente» Impossibile dimenticare le parole di Morpheus nel film Matrix, fondamentale capirne l’essenza se si vuole compiere il lungo viaggio che porta alla realizzazione dei sogni. Quella che Giuseppe Genovali ha intrapreso dal 1° al 22 agosto è stata una spedizione fuori e dentro di sé, ha oltrepassato le Colonne d’Ercole che solcano il confine tra il solito e l’ignoto, ha trasvolato TNM ••• 72

entra in un altro mondo ed è assolutamente necessario dimenticare tutto ciò che riguarda quello da cui si proviene e perfino la propria essenza, ma paradossalmente se ne uscirà cambiati, forgiati, con la mente fissa sul bersaglio e una l’oceano Atlantico per consapevolezza nuova dei vivere volontariamente propri limiti. Chi ha un un incubo e poter poi sogno, a volte deve vivere tornare, rinato dalle ceneri un incubo per poterlo di un’esperienza unica, e realizzare. Paure, dubbi, portare a termine quella scetticismo, ricordi, personale missione per cui abitudini e capi saldi vive. La Seal Academy di della vita quotidiana non San Diego non è un parco devono oltrepassare la divertimenti, ma neanche linea di confine. Vestiti la sede d’invasati che si come tutti gli altri con sottopongono a un training pantaloni neri, anfibi e fisico e mentale forzato una maglietta bianca ci si come troppo spesso spersonalizza per andare viene erroneamente a prendere il più profondo immaginato. Sì, è vero, si ‘Io’. Tutto cambia, il


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Giuseppe Genovali


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bioritmo personale viene velocemente cancellato così come la percezione della fatica e del dolore che raggiunge livelli mai provati perché si credevano insuperabili. Ventuno giorni di allenamento psico-fisico basato su binomi che sembrano annullarsi: l’omologazione per arrivare all’unicità, lo sfaldamento sistematico del gruppo per spiegare la debolezza del singolo individuo, l’incoraggiare un abbandono prematuro per preparare all’ostinazione. Tutto viene stravolto, anche quelle che appaiono umiliazioni sono in realtà incoraggiamenti travestiti: un jet d’acqua gelata che colpisce il volto nascosto da un sacchetto di iuta si rivelerà essere un nuovo battesimo. La Seal Academy offre corsi di Sealfit Training per civili, ma addestra anche militari dei Reparti Speciali, il credo alla base dell’insegnamento è unico. Giuseppe Genovali ha vissuto entrambi e mentre racconta l’inferno, il suo sguardo ha la serenità di quelli che hanno trovato un pezzetto di paradiso su questa terra. Domenica 26 agosto, all’Adventure Park, parla della sua esperienza, un sacrificio di cui ancora porta i segni, e del progetto che sta realizzando: fondare il primo distaccamento della Seal Academy in Europa. “Voglio iniziare a raccontarvi la mia esperienza in America usando solo due vocali: UA!!! (Hooyah) So che vi sembra ridicolo perché all’inizio ho provato la TNM ••• 74

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stessa sensazione, ma è proprio questo dittongo urlato con vigore che mi ha fatto capire la filosofia alla base del Sealfit Training. Alla fine di ogni esercizio era questo suono che usciva dalle nostre bocche e non è un atteggiamento da invasati, ma un modo di incitare se stessi e gli altri elementi del gruppo. Hooyah, e non OK, perché mentre si fa una cosa speciale bisogna usare modi e atteggiamenti che esulano dalla vita

quotidiana, per questo un OK non funzionerebbe. Alla base di questo tipo di allenamento c’è un binomio importantissimo: il gruppo e il singolo partecipante. Vorrei che mi ascoltaste con molta attenzione ora perché questo sarà il cambiamento principale che apporterò alla mia attività. Sebbene l’Accademia sia di impostazione militare, possono partecipare anche i civili e ce ne

sono di ogni tipo: giovani, vecchi, uomini, donne, neofiti ed esperti. Non sono divisi in gruppi dello stesso livello o con simili caratteristiche, ma s’integrano immediatamente perché mossi dallo stesso desiderio: allenarsi con determinazione per capire il proprio limite e scavalcarlo. Allora gli esercizi vengono fatti all’unisono, vengono contati con una voce unica e il “Hooyah” finale è un


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coro. L’istruttore non ha bisogno di chiedere l’attenzione o ripetere la stessa cosa tre volte, non deve ricordare all’infinito i nomi degli stessi esercizi, non deve chiedere silenzio. Queste sono cose scontate, un comportamento del tutto spontaneo dall’inizio alla fine della lezione. Dopo, certo, si parla e si ride ma durante la preparazione tutti sono veramente concentrati in quello che stanno facendo e fanno

per se stessi, perché ci credono. In questo modo i risultati si vedono, i limiti si superano, i goal sono raggiunti. Un gruppo coeso ma con individui autonomi, questo è il segreto. E il rispetto che viene anch’esso spontaneo: non ho visto alcun cartello con scritto “per favore rimettere a posto gli attrezzi dopo l’uso”, non ho visto neanche allievi distrarre gli altri parlando. Tutti erano concentrati, seri

foto1: BALANCE LOG (US Navy SEALs Obstacle Course) foto2: INCLINE WALL (US Navy SEALs Obstacle Course) foto3: SPIDER WALL (US Navy SEALs Obstacle Course)

e l’istruttore era quindi messo nelle condizioni di lavorare al meglio e fare il proprio lavoro, ovvero a correggere, incitare e spiegare e non a passare gli attrezzi. In questo modo si riesce a gestire gruppi di dieci persone e più e questo non è uno svantaggio per i partecipanti, bensì l’esatto contrario. Il gruppo, con questa filosofia, diventa un corpo unico e compatto. Quello che mi ha molto colpito è il rispetto con cui la gente ci guardava quando ci allenavamo per strada; questo rispetto scaturiva dall’osservare con quanta convinzione noi stavamo facendo una cosa che da fuori può sembrare strana o estrema. Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, le lezioni di Sealfit durano 90 minuti in quanto comprendono anche esercizi di concentrazione, allungamento e tecniche di concentrazione. Per coloro che non hanno disponibilità di tempo, metterò la stessa metodologia in un’ora. Dal punto di vista personale, ho vissuto un’esperienza unica che mi ha forgiato anima e corpo. Ho imparato molte cose nuove che voglio insegnarvi, ma questo richiede un cambio di forma mentis, voglio che chi viene ad allenarsi qui ci creda con tutto se stesso. Solo così cresceremo e miglioreremo. E non c’è alcun limite al processo di crescita, vi lascio, infatti, con una toccante poesia scritta dal Capo Apache Scout ‘Shadow Walker’ all’età di 91 anni: in lui c’è l’entusiasmo di chi pensa che ogni giorno di vita sia TNM ••• 75


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il primo. Hooyah!” Signore di tutti gli Scout, insegnami ad essere gli occhi della mia gente. Insegnami a muovermi come l’ombra, permettimi di diventare il vento, le rocce, i terreni e la forza vitale in tutte le sue forme. Permettimi di soffrire per la mia gente e portare via il loro dolore. Onorami permettendomi di morire per la mia gente perché io amo la mia gente più di me stesso e sacrificherò tutto per la mia gente, per la mia terra e per te. Mettimi alla prova oltre ogni sacrificio e dolore. Creami come forgeresti un attrezzo e se credi che io ne sia degno, allora benedicimi come tuo servitore, tuo Scout. Qualche giorno più tardi ho intervistato quest’uomo apparentemente ermetico il quale si accende quando parla delle motivazioni che lo spingono a credere fortemente in ciò che vuole creare. L’entusiasmo TNM ••• 76

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del suo racconto è velato dall’amarezza di chi non si sente appoggiato e deve far fede esclusivamente sulle proprie forze e l’aiuto di pochi fedeli sostenitori. Dalle sue labbra esce un nome e gli occhi si riempiono di emozione: Teseo Tesei. Maggiore del Genio navale della

foto4: TIRE FLIP foto5: CARGO NET (US Navy SEALs Obstacle Course)

Regia Marina, brevettato palombaro, prestò servizio come operatore della X Flottiglia MAS durante la seconda guerra mondiale venendo decorato con la medaglia d’oro al valore. Ma c’è molto di più dietro questa definizione da enciclopedia: quest’uomo aveva, oltre a un raro coraggio, il genio creativo che gli permise di progettare il Siluro a Lenta Corsa, conosciuto come “Maiale”. All’epoca nessuno credeva in quello che aveva tutte le carte in regola per essere considerato il sogno di un pazzo visionario. Eppure, Tesei non si è arreso né allo scherno altrui né alla mancanza di aiuto morale e pratico; con la sua caparbia ha cambiato la storia militare, ha lasciato un’eredità immortale. Giuseppe Genovali è troppo modesto per paragonarsi ad un eroe che il 26 Luglio 1941, in un’azione congiunta di due SLC e sei barchini esplosivi, tentò di forzare la base inglese di La Valletta a Malta e per non compromettere l’esito della missione decise di “spolettare a zero”, rinunciando così ad allontanarsi dall’arma prima che esplodesse sotto l’obiettivo, perendo in azione. Genovali prende spunto dalla vita di quest’uomo quasi dimenticato per sottolineare che nel nostro paese troppo spesso non si rischia per crescere e migliorare, si preferisce rimanere in una sorta di limbo conosciuto piuttosto che avventurarsi


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in mondi sconosciuti. Ha attraversato l’oceano per provare sulla sua pelle un training che negli USA è fornito già da tempo, ma che qui sarà assolutamente innovativo. Come la ciurma sperduta nell’Odissea e come Neo vagabondo in Matrix, anche lui ha avuto il suo Ulisse e il suo Morpheus: Lance Cummings, ufficiale della Marina Militare USA e ora trainer presso la Sealfit Academy. Questo mentore è stato cruciale durante l’esperienza di Giuseppe Genovali, tra di loro è nata immediatamente un’intesa fondamentale per chi si prefigge di spostare i propri limiti. Il rapporto tra allenatore e allievo è alla base in ogni disciplina ed è una strada a doppia corsia: entrambi danno e ricevono, arricchendo -seppure in maniera diversa - se stessi; è questa una fusione basata sulla fiducia incondizionata, anche quando si affronta un allenamento di 48 ore in condizioni proibitive. Giuseppe racconta e trasmette l’incubo di quei giorni vissuti con tenacia mista a sconforto, giorni in cui la figura del mentore si è dovuta vestire quasi d’ostilità per spingerlo al limite, per indurlo a mollare, ma che poi ha gioito del suo successo. Questo è il sogno che un uomo comune e speciale allo stesso tempo vuole realizzare: mettere a disposizione di tutti un luogo bellissimo dove allenarsi secondo parametri per ora qui

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sconosciuti. Il progetto è ambizioso, ma l’obiettivo già centrato: all’Adventure Park si può fare uno sport per mente e corpo mirato alla crescita armonica del ‘dentro e fuori’. La collaborazione con la Sealfit Academy permetterà che istruttori certificati vengano regolarmente in Italia a esaminare chiunque voglia essere preparato da Giuseppe Genovali per ottenere un Diploma. Come i CLS di Teseo Tesei, questa è una novità assoluta degna di attenzione e supporto. L’Obstacle Course di

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prossima costruzione presso l’Adventure Park è la quintessenza del programma d’allenamento proposto: con devozione,

foto6: ROPE SWING (US Navy SEALsObstacle Course) foto7: TIBETAN BRIDGE

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foto8: ACADEMY TEAM foto9: CORSA INFERNALE A BULAN BEACH foto10: ACADEMY TEAM

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sacrificio, rispetto, costanza e fiducia in se stessi, si può andare oltre le proprie paure ed i propri limiti, si può scalare senza sicurezza il ‘Cargo Net’ mentale che ognuno di noi si porta

dentro, che è molto più alto di 14 metri. Allo stesso modo è importante avere un mentore che ci segue fianco a fianco, così è indispensabile avere una fonte inesauribile di forza. Per Giuseppe Genovali il motore emotivo è il ricordo del padre, le cui ultime parole furono: “Fai ammodo!”, un’espressione toscana che in questo caso incita non solo a fare le cose per bene, ma secondo la propria legge interiore. Il sogno da realizzare, il viaggio fatto, l’inferno attraversato sono un tributo a lui. Attraverso le asperità, alle stelle. Tutti possono raggiungerle, bisogna solo tenere la testa bassa e allo stesso tempo guardare in alto.


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O N R E D O M L I ED STRUMENTO MILITARE TNM ••• 82

Il termine “interoperabilità” definisce la capacità di operare in sinergia nell’esecuzione dei compiti assegnati e risulta associato a un concetto universalmente valido per tutti i settori della quotidianità. Nel prosieguo della trattazione l’interoperabilità viene


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Di Giuseppe MARINO analizzata e riferita essenzialmente all’ambito militare, settore in cui, prendendo in considerazione la NATO, essa viene identificata come “la capacità delle forze dell’Alleanza, e, ove applicabile, delle forze dei Paesi partner e di altri Paesi, di addestrarsi, esercitarsi ed operare efficacemente assieme nell’esecuzione di missioni e di compiti assegnati”. L’interoperabilità tra le Forze Armate, quindi, costituisce ormai l’irrinunciabile prerogativa del moderno Strumento militare per un impiego ottimale nell’assolvere i compiti istituzionali ad esso demandati, oggi fortemente mutati rispetto al recente passato. Il concetto di interoperabilità è opportuno che venga esaminato a fronte dei seguenti fattori condizionanti: • contesto geo-politico che l’attuale momento storico prefigura; • quadro economicofinanziario; • nuovo concetto strategico e nuova struttura e organizzazione del moderno strumento militare.

Il terrorismo internazionale, il proliferare delle armi di distruzione di massa, i persistenti stati di crisi a livello locale e regionale, caratterizzano, purtroppo in senso

concretizzarsi in strutture e organismi multinazionali (NATO e UE) operanti in sinergia sulla base delle “Guide Lines” tracciate dalle Nazioni Unite. L’allocazione delle risorse economico-

quantitativi e qualitativi dello strumento militare, sia in modo tale da mettere quest’ultimo, nel presente, in condizioni di efficienza, prontezza e adeguatezza tali da rispondere adeguatamente

Il Capo di Stato Maggiore della Difesa, il Generale Biagio Abrate durante una visita ai contingenti italiani in Afghanistan.

fortemente negativo, l’attuale momento storico, costituendo di fatto continue e latenti minacce per l’intera umanità. La risposta più valida non può essere demandata ai singoli Stati, né condotta nell’ambito dei confini nazionali, essa deve assumere altresì dimensioni internazionali e

finanziarie deve essere opportunamente e dinamicamente calibrata alle mutevoli esigenze di gestione dello Strumento Militare. Tale allocazione deve risultare coerente e commisurata opportunamente sia con la necessità di operare, in proiezione futura, la trasformazione in termini

alla crescente intensità di intervento nei diversi e numerosi teatri di crisi sempre più a caratterizzazione planetaria. Il tutto tenendo conto di una generale situazione di innegabile diffusa crisi economica che rende dunque necessario l’impiego oculato, intelligente e TNM ••• 83


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con il massimo rapporto costo efficacia, delle sempre minori risorse disponibili. In ragione del contesto geopolitico testè brevemente descritto, caratterizzato dalla ormai universalmente nota minaccia asimmetrica, associata essenzialmente al modus operandi del terrorismo di matrice islamica, le nuove linee guida strategiche devono senza dubbio privilegiare le capacità di intervento rapido nel variegato spettro di missioni, configurando una struttura armonica, bilanciata nelle varie componenti (comando, controllo, comunicazioni, intelligence, operativa, logistica), esaltandone le doti di flessibilità, rapidità di approntamento, TNM ••• 84

riconfigurabilità a seconda del profilo di missione, e proiezione, anche a grande distanza dal territorio nazionale, il tutto nell’ambito di operazioni condotte da parte di moderni schieramenti multinazionali. Al fine di soddisfare il requisito strategico in parola, le forze armate delle grandi potenze occidentali, che così come risultavano configurate a fine millennio, presentavano un grosso gap capacitivo in termini di adeguamento strutturale, organizzativo e procedurale alla insorgente nuova minaccia preponderante, hanno dovuto attuare un sostanziale ed epocale cambiamento. L’interoperabilità deve dunque, in estrema

sintesi, costituire quella connotazione, in termini di quantità e qualità, che consenta allo strumento militare, e con esso all’Italia di: • svolgere in campo internazionale attualmente ed ancor più in futuro, un ruolo di primo piano, operando validamente in un contesto multinazionale; • fronteggiare adeguatamente in ambito nazionale le molteplici e variegate minacce (terrorismo, armi di distruzione di massa, ordine pubblico, calamità naturali); • soddisfare le esigenze di controllo degli spazi aerei e marittimi; • contribuire alla progressiva crescita e

sviluppo, tecnologico ed economico, delle industrie nazionali. L’interoperabilità dunque costituisce un importante tassello nell’ottica di realizzare operativamente quel salto di qualità in termini di difesa e sicurezza che la società italiana postula. Quanto fin’ora detto mira a inquadrare, a livello generale, il contesto geo polito, strategico ed economico in cui, oggi giorno, lo strumento militare nazionale si trova ad operare. Tuttavia, come già accennato in precedenza, il concetto di interoperabilità si attua fattivamente in diverse sfere di interesse, afferenti a diversi settori tra loro reciprocamente e fortemente correlati.


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COLTELLI TATTICI COLTELLI TATTICI COLTELLI TATTICI COLT

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la scure da co


COLTELLI TATTICI COLTELLI TATTICI COLTELLI TATTICI COLTELLI T Vietnam Hawk, carabina M1A Springfield con calcio Promag Archangel (Custom painting by Cenci Fulvio) e coltello SOG V Special Forces.

hawk

ombattimento FOTO E TESTO DI AlessandrA DE SANTIS


COLTELLI TATTICI COLTELLI TATTICI COLTELLI TATTICI COLT

Le asce da combattimento furono utilizzate fin dalla preistoria, per poi evolversi in svariate forme e dimensioni (distinte in base all’utilizzo a cui erano destinate) nelle varie culture di tutto il mondo. Tra le varie tipologie di ascia, il tomahawk trae le sue origini dai Nativi Americani; il nome è inglese, ma deriva dalla lingua algonchina “tamahak, tamahakan o otomahuk” (abbattere), la cui traslitterazione ha portato al termine oggi in uso. Originariamente la testa del tomahawk indiano era realizzato in pietra saponaria, le cui lavorazioni, dimensioni e forme variavano a seconda della tribù; ve ne erano di molto simili alle comuni accette, altri a forma di sciabola, con la lama arrotondata a guisa di sfera e sulla porzione più convessa era presente una punta acuminata. In seguito all’avvento degli Europei, e quindi agli scambi commerciali, le lame furono realizzate in ferro o ottone dagli artigiani europei o dai coloni. Anche in questo caso la forma della testa era diversa in funzione della provenienza dei coloni: nelle zone colonizzate dagli inglesi la forma dell’ascia, che risaliva alle invasioni dei Vichinghi, era quella in uso sulle imbarcazioni della Royal Navy; nei territori colonizzati dai francesi, invece, i tomahawk assunsero una forma simile all’ascia francisca, TNM ••• 88

tradizionalmente legata al popolo dei Franchi. Quest’arma, sviluppata ed ampiamente utilizzata dai Germani, divenne nota del Mediterraneo a partire dal IV secolo, quando le popolazioni germaniche si riversarono all’interno dei confini dell’Impero Romano. Nella Storia delle guerre, lo storico bizantino Procopio di Cesarea (490-565), descrive accuratamente la procedura d'utilizzo della francisca: «... ogni uomo porta una spada, uno scudo ed una scure. Ora, la testa in ferro di quest'arma era estremamente solida e resistente su ambo i lati, mentre il manico era corto, e loro sono soliti lanciare sempre queste scuri ad un segnale [convenuto] durante la prima carica, al fine di infrangere gli scudi del nemico ed uccidere i soldati. » (Procopio di Cesarea (ca. VI secolo), Storia delle guerre : la guerra gotica, v. 2., II, 25.) I coloni non impiegarono molto a convincere gli indiani che i loro prodotti in ferro erano migliori, data la loro maggiore resistenza, affidabilità, efficacia, senza contare che si realizzavano strumenti più leggeri e bilanciati. Il tomahawk veniva usato come arma leggera in combattimento, sia per colpire a fendenti l’avversario sia per essere lanciato contro di esso. Ogni guerriero ne possedeva uno e, considerandolo oggetto sacro, lo decorava incidendone il manico, solitamente


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Grazie i alla resistenza de i, materiali utilizzat in il Trench Hawk è li ag e grado di resister l stress provocati da lancio

Trench Hawk con carabina Armalite M15 A4 – Trijicon tripower TX30 e moltiplicatore 3x.

lungo meno di 60 cm e realizzato in legno di Carya. In alcuni casi veniva utilizzato anche come una pipa dopo aver scavato la parte opposta alla lama e dopo aver forato il manico che fungeva da cannello e da bocchino. Talvolta il tomahawk era adorno di scalpi umani. Riutilizzata dall’esercito americano durante la guerra nel Vietnam per la sua praticità nell’aprire varchi nella giungla e la facilità nello squarciare lamiere, nonché per il combattimento corpo a corpo, quest’arma ha acquisito da quel momento in poi sempre più popolarità nel combattimento tattico. Oggi in commercio sono disponibili svariate marche che producono, oltre a coltelli, asce di ogni tipo. Tra i prodotti con migliore qualità/prezzo troviamo i tomahawks della American Tomahawk Company, una divisione della Cold Steel Inc. Tali prodotti sono realizzati in acciaio al carbonio 1055 forgiato al maglio, che senza dubbio conferisce un’ ottima resistenza all’impatto. Il metodo di lavorazione utilizzato durante il processo di forgiatura, fa sì che la struttura dei grani metallici sia uniforme, minimizzando la presenza di sacche di gas o altre imperfezioni che possono generare punti di rottura. Le asce subiscono inoltre un trattamento termico differenziato, in modo tale da ottenere il tagliente

e la coda (che può essere a martello, a punta, ecc.) più resistenti e dure, mentre l’anima deve restare relativamente più morbida per assorbire gli urti. VIETNAM HAWK Esatta replica dell’arma storica, il Vietnam Hawk è uno strumento leggero ed affidabile che può essere trasportato a lungo senza causare eccessivo affaticamento. Tale leggerezza si traduce, in fase di combattimento, in velocità dei fendenti e rapidi cambi di direzione. Il prodotto non ha delle finiture particolarmente ben realizzate, ma è comprensibile trattandosi di uno strumento da lavoro. Il tagliente, di circa 7 cm, è realizzato in modo tale da impartire una grande efficacia di taglio, oltre che a possedere una sezione tale da consentire, durante il lancio, una buona penetrazione sul bersaglio; questa è facilitata anche dalla presenza di un tagliente secondario ricurvo, posto nella parte inferiore della testa dell’ascia, che nel prodotto nuovo di fabbrica è solo parzialmente affilato. Viene fornito completo di fodero in cuoio nel colore originale sangue di bue. L’impugnatura è in Hickory, noce americano. TNM ••• 89


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IL TRENCH HAWK Dal design più accattivante di tutta la linea di asce della Cold Steel, il Trench Hawk possiede tutte le caratteristiche per essere un ottimo strumento da combattimento. Il tagliente dell’ascia, di circa 8,9 cm , è ricurvo e la parte terminale va a coprire parzialmente la mano, quando posizionata sotto la testa dell’ascia per eseguire alcune tecniche di combattimento; in tale punto sono presenti i finger grooves per garantire una presa migliore. Lo spike, di dimesioni maggiori rispetto a quello del Vietnam Hawk, ha una struttura a punta di diamante, tale da garantire un’efficace penetrazione anche su materiali più resistenti, anche a seguito di un lancio. La lunghezza complessiva dell’ascia è maggiore rispetto a quella del Vietnam Hawk, consentendone l’utilizzo per tecniche di difesa (in maggiore sicurezza) per parare, bloccare ed agganciare un fendente in entrata, questo però a discapito della facilità di maneggio e di lancio, che richiedono una forza maggiore (specie nella presa della mano). La sezione della lama è superiore rispetto a quella del Vietnam Hawk, e la penetrazione in fase di lancio non è soddisfacente su tutti i materiali (è necessario utilizzare un bersaglio in legno dolce), inoltre è necessario rifinire meglio il filo per garantire una maggiore efficacia. Grazie alla resistenza dei materiali utilizzati, il Trench Hawk è in grado di resistere agli stress provocati dal lancio; l’impugnatura in polipropilene garantisce una maggiore resistenza agli impatti rispetto all’Hickory. Ovviamente qualunque materiale sottoposto ad impatti ripetuti prima o poi tenderà a cedere; in tal caso sono reperibili sul mercato le impugnature di ricambio, facilmente sostituibili mediante due viti a brugola. Il fodero, in polipropilene, protegge accuratamente la testa dell’ascia e lo spike, grazie al brevetto Secure-ExTM . TNM ••• 90

Scheda tecnica VIETNAM HAWK Peso: circa 560 g Lunghezza tagliente: circa 7 cm Lunghezza dell’ascia: 21, 6 cm Lunghezza complessiva: 34,3 cm Acciaio al carbonio 1055: forgiato al maglio Impugnatura: in Hickory americano Fodero: in cuoio

Scheda tecnica TRENCH HAWK Peso: 680,4 g Lunghezza tagliente: 8,9 cm Lunghezza dell’ascia: 22,3 cm Lunghezza complessiva: 48,3 cm Acciaio al carbonio 1055: forgiato al maglio Impugnatura: in polipropilene Fodero: in polipropilene con Secure-ExTM


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AL GEAR TACTICAL GEAR TACTICAL GEAR TACTICAL GEAR TACTICAL

UNA SMOCK TECNOLOGICA TESTO E FOTO DI BARTOSZ SZOLUCHA

La Smock Jacket è uno dei capi di abbigliamento più famosi usualmente associati alle forze armate del Regno Unito. Sebbene sia una giacca da combattimento che viene indossata dalle forze speciali e dall’aviazione inglese fin dal periodo della II Guerra Mondiale, e sebbene i tessuti impiegati ed il mimetismo utilizzato siano spesso cambiati nel tempo, il taglio non ha mai subito variazioni importanti. Le fattezze che lo contraddistinguono sono note a tutti coloro appartengano alla comunità militare o si interessino di militaria. Nello specifico dunque: modello parka con cappuccio e molte tasche che permettono di portare agevolmente numerosi equipaggiamenti, tra cui ad esempio un completo kit di sopravvivenza. Le Smock Jackets sono sempre state il simbolo delle forze d’élite, in primis infatti in uso da parte di reparti quali il SAS ed i Royal Marines. Benché capi d’abbigliamento di ottima fattura, spesso le Smoke Jackets fornite in dotazione ai reparti, dunque provenienti da grandi produzioni di serie, non sempre hanno soddisfatto a pieno le aspettative degli utenti. Come conseguenza quindi il mercato ha sviluppato numerosi derivati delle Smock aventi caratteristiche di resistenza e, più in generale, di qualità, sicuramente superiori e pertanto più appetibili da parte di un utente professionista. Tali realizzazioni, specie inizialmente, sono accreditabili a blasonate ditte quali, ad esempio: Arktis o SASS. In concomitanza con l’introduzione dei pattern mimetici MTP inglese (Multi-Terrain Pattern) e Personal Clothing System (PCS), ovvero grosso modo nei primi mesi de 2011, le Smock Jackets sono diventate un componente immancabile del corredo distribuito a ogni soldato britannico. La versione aggiornata, distribuita appunto nel 2011, include molte nuove caratteristiche tecniche afferenti, sia i materiali impiegati, che alcune specifiche soluzioni progettuali e realizzative. In altre nazioni, quali nello specifico: Francia, Germania e paesi Scandinavi, le Smock sono molto popolari tra le unità da ricognizione e le truppe specializzate nelle operazioni di montagna. Negli ultimi anni inoltre, il tipico “taglio” delle Smock Jackets si è progressivamente sensibilmente diffuso anche negli Stati Uniti, area geografica in cui le ottime caratteristiche di tale indumento sono state TNM ••• 93


TACTICAL GEAR TACTICAL GEAR TACTICAL GEAR TACTICAL GE Sotto: la VertX Smock ha un taglio ampio il quale, se necessario, può essere stretto al centro e in basso con una corda elastica A destra in alto: vista laterale della Smock Jacket A destra in basso: cappuccio removibile, con la falda corta, che può essere allacciato grazie a tre bottoni a intaglio in stile canadese

apprezzate e sicuramente, sotto alcuni punti di vista, anche sensibilmente ulteriormente migliorate, specie per quanto attiene i materiali impiegati. Nell’ambito di tali innovazioni tecniche d’oltre Oceano spicca il prodotto del marchio VertX: brillante società di design apprezzata ovunque per gli ottimi e ben noti pantaloni tattici low-profile. Durante lo Shot Show 2011 infatti, la ditta in parola ha presentato un vero e proprio nuovo “concetto di Smock”, ovvero la così detta “go-bag”. CARATTERISTICHE La Smock by VertX, denominata per l’appunto VertX Smock, ha un taglio ampio che, se necessario, può essere stretto al centro e in basso con un cordino elastico. Essa è dotata di ben dieci tasche. La cerniera principale è una solida two-way YKK nascosta da una patta che fornisce protezione contro vento, pioggia o neve. Entrambe le maniche sono a soffietto e articolate, particolare che permette la massima libertà di movimento. Sotto le braccia, in corrispondenza delle ascelle, sono presenti due cerniere che consentono, all’occorrenza, l’apertura di vie di ventilazione supplementari, utili in occasione di elevato affaticamento fisico. Il colletto è molto alto per facilitare la protezione in condizioni climatiche caratterizzate da temperature molto basse e forte vento. La dotazione prevede anche un cappuccio removibile a falda corta che può essere all’occorrenza allacciato tramite tre bottoni a intaglio di stile canadese. Tale cappuccio, che qualora non venga usato, può essere ripiegato e riposto in una delle tasche della giacca, ha l’interno foderato con tessuto pile, TNM ••• 94


AL GEAR TACTICAL GEAR TACTICAL GEAR TACTICAL GEAR TACTICAL All’altezza dei lombari ci sono altri due scomparti cargo, a volte chiamate “poucher”, con ingresso obliquo. All’interno sono posizionati dei vani per caricatori, come negli scomparti sul petto.


TACTICAL GEAR TACTICAL GEAR TACTICAL GEAR TACTICAL GE in alto: due tasche aggiuntive con apertura zip, sono cucite sulle maniche in mezzo: tasca in stile Napoleonico, con cerniere verticali a scomparsa sotto: su entrambe le braccia ci sono grandi strisce di velcro per i “patch” d’identificazione.

ottimo dunque per fornire calore in presenza di basse temperature. Come accennato in precedenza, la giacca VertX Smock è dotata di dieci tasche delle quali di seguito si analizzano le fattezze ed il posizionamento. Due tasche molto grandi sono posizionate sul petto. Esse sono in stile napoleonico e risultano dotate di cerniere verticali a scomparsa e di soffietti laterali e sul fondo che offrono una maggiore capacità di carico. All’interno di ogni tasca frontale è presente inoltre un piccolo scomparto idoneo al contenimento di componenti di equipaggiamento o eventualmente anche un caricatore per M4/M16 da trenta colpi. Altre due tasche cargo, posizionate sui lati bassi della giacca, sono dotate di patte e bottoni a intaglio, sempre in stile canadese. Esse risultano foderate in pile per essere all’occorrenza utilizzate come scaldamani. Anche tali tasche sono a soffietto per offrire maggiore capacità. Due tasche aggiuntive, anch’esse molto grandi e dotate di apertura zip, sono cucite sulle maniche all’altezza dei bicipiti. Esse misurano 24cm x 18 cm e sono dunque in grado di contenere ad esempio garze per primo soccorso di tipo Olaes. All’altezza dei lombari ci sono altri due scomparti, denominati anche “poucher”, ed aventi apertura obliqua. All’interno sono posizionati dei vani per caricatori analoghi a quelli presenti nelle tasche posizionate sul petto. Le tasche aventi maggiore particolarità sono quelle cucite tra quelle anteriori e posteriori e posizionate nella porzione inferiore della giacca. Esse sono in pratica dei porta caricatori interni muniti di patta con velcro e possono contenere un caricatore M4/M16. Su entrambe le braccia sono posizionate delle generose strisce di velcro idonee al fissaggio di “patch” d’identificazione e simili. TESSUTI La Smock by VertX è realizzata con un tessuto 2-way estremamente avanzato, laminato, elasticizzato e molto morbido, denominato Delta 40D. Tale tessuto viene fornito dalla Schneider Mills e stampato in Cyre Precision Multicam dalla Duro Industries. Si tratta, in pratica, di un micro-ripstop 40D in nylon, ambi elasticizzato, superficialmente trattato per abbassare la segnatura IR. Internamente il capo d’abbigliamento è laminato con una formula antibatterica e anti umidità che permette di rimanere confortevolmente asciutti. Per essere più specifici, questo tessuto fa sì che i batteri crescano fino ad un certo livello che viene poi mantenuto costante. L’esterno del tessuto Delta è trattato con Schoeller NanoSphere: il rivestimento NanoSphere DWR è idrorepellente e liscio al tatto, anche se in realtà strutturato. Eventuali gocce d’acqua rimangono dunque in superficie e la giacca non si impregna neanche se immersa per lunghi periodi. Le nanoparticelle nella rifinitura NanoSphere formano una struttura estremamente fine sulla superficie tessile. Acqua o sostanze come olio TNM ••• 96


AL GEAR TACTICAL GEAR TACTICAL GEAR TACTICAL GEAR TACTICAL Acqua o sostanze come olio o della densità del ketchup scivolano sulla superficie NanoSphere la quale è autopulente ed ogni eventuale residuo può essere rimosso con un pò d’acqua.

scivolano sulla superficie NanoSphereche che risulta dunque in linea di massima completamente autopulente. Eventuali residui di sporco possono comunque essere agevolmente rimossi con acqua. Il rivestimento NanoSphere ha un elevato livello di resistenza all’abrasione e la funzione protettiva viene mantenuta anche se l’indumento viene usato in condizioni estreme. In ragione di quanto sopra, ovvero del particolare trattamento cui viene sottoposto il tessuto con cui viene realizzata la giacca by VertX, quest’ultima richiede lavaggi poco frequenti ed effettuati a basse temperature (le caratteristiche tecniche resistono fino a 100 lavaggi). Non bisogna assolutamente usare ammorbidenti ne gli appositi fogli di carta cattura umidità per asciugatori elettrici. Il Delta 40D è un tessuto quasi completamente anti vento, tuttavia questo lo rende meno permeabile anche all’aria. Consultando il resoconto sul test per il tessuto Delta (disponibile online), la permeabilità all’aria risulta infatti pari a zero, il che

significa che è completamente anti vento. Il tessuto è stato progettato per offrire un alto rapporto calore/peso ovvero esso è realizzato in modo tale da intrappolare il calore corporeo. Per queste ragioni esso risulta più adatto ad un uso preferibile in presenza di temperature basse e non in operazioni caratterizzate da aree operative con climi caldo umidi. I gomiti sono rinforzati con toppe di Cordura 330D, anch’esse in Cyre Precision Multicam, ed aventi un’ottima resistenza all’usura. Attualmente VertX sta lavorando su due versioni in tinta unica: una nera e l’altra in Ambush, ovvero un colore molto simile al più noto Coyote Brown. Il tessuto principale di questi indumenti sarà diverso: avrà quasi la stessa struttura e prestazione dell’altro, ma costerà meno. Ora il prezzo delle VertX Smock è molto alto a causa del taglio e del tessuto utilizzato, ciò nondimeno è un capo d’abbigliamento estremamente tecnico e dunque preferibile per operatore professionisti che operino secondo profili di missione altamente gravosi. TNM ••• 97


AfghanISTAN 2011 FOLGORE AfghanISTAN 2011 FOLGORE Afg Membro della Task Force Viktor, in attivitĂ operativa


E AfghanISTAN 2011 FOLGORE AghanISTAN 2011 FOLGORE AfghanIS

FOTO e testo tratti dal libro fotografico “folgore afghanistan 2011” edito dalla corno editore

come folgore dal cielo... come nembo di tempesta


AfghanISTAN 2011 FOLGORE AfghanISTAN 2011 FOLGORE Afg

Questo libro è dedicato a Voi. A Voi che avete operato quotidianamente, in silenzio e con straordinaria professionalità in questa terra indomita e bellissima, per riportare la speranza ed un sorriso ad un popolo martoriato da anni di guerre e di soprusi. A Voi genitori, mogli, mariti, fidanzate, figli, parenti ed amici di questi uomini e donne straordinari che hanno scelto di servire, in uniforme, un ideale e quei valori che hanno reso grande l’Italia nel mondo. A Voi, che avete la forza per sopportare e condividere in silenzio i tanti momenti di difficoltà e di apprensione. Ed è dedicato soprattutto a Voi, a Voi che non tornerete più a casa, ma che in realtà vivrete per sempre, perchè vivrete nei nostri cuori.

FOLGORE! Generale di Brigata Carmine MASIELLO


E AfghanISTAN 2011 FOLGORE AghanISTAN 2011 FOLGORE AfghanIS Membri della Task Force Viktor, in attivitĂ operativa


AfghanISTAN 2011 FOLGORE AfghanISTAN 2011 FOLGORE Afg

militari italiani, statunitensi e afgani in attivitĂ


E AfghanISTAN 2011 FOLGORE AghanISTAN 2011 FOLGORE AfghanIS

Farah, pattuglia


AfghanISTAN 2011 FOLGORE AfghanISTAN 2011 FOLGORE Afg

Il comandante della pattuglia del 187째 Reggimento si incontra con il comandante della pattuglia del 186째 Reggimento tra Bakwa e Farah

Paracadutisti italiani attivano un sistema di comunicazione


E AfghanISTAN 2011 FOLGORE AghanISTAN 2011 FOLGORE AfghanIS

Paracadutista italiano scruta l'orrizonte


Il primo libro fotografico che racconta

i soldati della Folgore in missione in Afghanistan

Inedite immagini dei sette mesi di missione della Folgore in Afghanistan, raccolte in questo straordinario libro fotografico con la prefazione del Generale Carmine Masiello. Ordina subito la tua copia: redazione@tacticalnewsmagazine.it


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Di Giuseppe MARINO - FOTO Giuseppe MARINO e Marco MAZZINI

PROVA SUL CAMPO

LEUPOLD MARK 4

La partecipazione dello scrivente come osservatore all’edizione 2012 della competizione svizzera per cellule sniper Swiss Gallinago Trophy, tenutasi lo scorso agosto, è servita da contorno per un test di impiego dei binocoli Leupold Mark 4 Tactical. La competizione, infatti, grazie alla suggestiva ambientazione del campo di tiro militare di Rothenthurm, alle notevoli distanze di tiro previste, TNM ••• 108


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Primo piano delle lenti da 50 mm. E’ possibile altresì apprezzare le fattezze del rivestimento rugged in gomma anti urto.


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Il binocolo nella versione senza reticolo. Evidente la presenza di una ghiera di colore nero solo sull’oculare destro, ovvero la ghiera destinata alla messa a fuoco.

Binocolo con tracolla e tappi anteriori e posteriori di serie.

idoneo alla ricognizione, facilitata inoltre dall’ottima qualità delle lenti, aventi uno specifico trattamento anti riflesso multistrato che contribuisce a fornire delle immagini nitide e luminosissime. Il binocolo ha una lunghezza focale di 18 mm e al suo interno ha dei prismi trattati all’alluminio con sistema di inversione a tetto. La messa a fuoco centrale avviene tramite ghiera posizionata sull’oculare destro. Il binocolo Mark 4 Tactical si caratterizza, in linea con la connotazione militare che la Leupold ha voluto dare al suo prodotto, per robustezza e versatilità di impiego in ogni condizione atmosferica e ambientale. Esso risulta “rugged” essendo completamente impermeabilizzato nonché rivestito interamente con un guscio in robusta gomma anti urto. Tale rivestimento, che peraltro, in linea con le tendenze attuali nel nonché, nello specifico, ad un tecnico ed entusiasmante settore degli equipaggiamenti destinati all’impiego in campo tattico, risulta di un colore marrone “coyote”, esercizio di osservazione e tracciamento di una conferisce al binocolo una eccellente “grippabilitá”, sniper range card, ha fornito ottime occasioni di massimizzata inoltre dalle ottime linee ergonomiche. prova per il binocolo descritto su queste pagine. Il tutto, al fine di consentire un’agevole utilizzo dello Rimandando dunque all’articolo dedicato alla Swiss strumento anche con mani bagnate e per periodi Gallinago Trophy, procederò con la descrizione ed prolungati, eventualmente anche indossando occhiali, analisi del binocolo tattico della statunitense Leupold. sia tattici che non, per l’uso dei quali il binocolo risulta Il Mark 4 Tactical è un binocolo di elevata qualità specificatamente progettato e ottimizzato. con caratteristica ottica 10x50, ovvero un fattore di ingrandimento fisso pari a 10, associato a delle I binocoli oggetto della prova sono stati due. Essi lenti di uscita di diametro pari a 50 mm. Entrambi valori dunque ricorrenti per la tipologia di binocolo differiscono tra loro esclusivamente per il fatto che uno dei due risulta dotato, all’interno dell’oculare in analisi, elettivamente destinato all’utilizzo da sinistro, di un utilissimo reticolo Mil-Dot orientabile parte di operatori militari e/o di polizia, impegnati in (disponibile anche una versione con reticolo TMR). azioni tali da richiedere rapide ed accurate scansioni Quest’ultimo, come sicuramente ben noto ai lettori ottiche di ampi settori, usufruendo peraltro di un buon più esperti in campo di tiro a lunga distanza di tipo livello di accuratezza. Il fattore 10 di ingrandimento, militare, è utilissimo ai fini della stima delle distanze infatti, associato alle opportune dimensioni delle dei bersagli osservati o, viceversa, delle dimensioni lenti di uscita, fornisce al binocolo un campo visivo TNM ••• 110


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degli stessi se nota la distanza di osservazione. Tale reticolo inserito nell’oculare sinistro, risulta ruotabile a discrezione dell’osservatore. Egli potrà dunque adeguarne opportunamente l’orientamento in funzione della propria struttura corporea, posizione e caratteristiche del bersaglio osservato così da ottenere un posizionamento idoneo all’effettuazione delle stime dimensionali precedentemente citate. La rotazione del reticolo avviene agendo su una ghiera coassiale all’oculare sinistro. Come accennato nell’introduzione dell’articolo, la prova sul campo dei binocoli è avvenuta nel poligono di tiro svizzero in cui si è svolta la decima edizione della competizione per sniper Swiss Gallinago Trophy. Di fatto i binocoli sono stati utilizzati per seguire passo passo la gara, osservando i bersagli e il vasto paesaggio, in linea con quanto richiesto ai tiratori in gara. L’esercizio che ha dato modo di testarli al meglio è stato lo stage in cui si richiedeva il tracciamento di una “sniper

range card” dettagliata, relativa a un’ampia area di osservazione. In essa risultavano peraltro celati, perfettamente mimetizzati, alcuni operatori dello staff di organizzazione gara, che recitavano il ruolo di sniper in fase di stalking. Mentre i tiratori in gara si cimentavano nello svolgimento dell’esercizio, sfruttando le proprie ottiche di osservazione per individuare i dettagli dell’area osservata e, nello specifico, gli sniper ivi nascosti, anche lo scrivente, insieme al fotografo, ha scansionato la zona assegnata sfruttando i binocoli Leupold. Il processo di osservazione è stato agevole, usufruendo di un perfetto campo visivo e un sufficiente livello di ingrandimento all’altezza di individuare “bersagli” di dimensioni umane. Alle caratteristiche citate si associano poi l’ottima qualità delle lenti e condizioni di luce ideali che hanno permesso, unitamente all’applicazione di alcune specifiche tecniche di osservazione, di riconoscere tre su sei sniper nascosti. Un risultato superiore rispetto TNM ••• 111


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Il binocolo nella versione con reticolo. E’ riconoscibile dall’esterno in quanto entrambi gli oculari presentano una ghiera di colore nero. Quella sull’oculare destro, destinata alla messa a fuoco, quella sul sinistro, alla rotazione del reticolo interno.

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Esempio di tracciamento sniper range card da parte di un tiratore impegnato nella competizione svizzera che ha fatto da contorno alla prova sul campo dei binocoli tattici Leupold.

a quello ottenuto da alcuni tiratori in gara che, tuttavia, si trovavano ad operare singolarmente, anziché in coppia come lo scrivente, e gravati dallo stress fisico ed emotivo di gara. Oltre all’individuazione dei “target”, lo sfruttamento del reticolo di cui uno dei due binocoli impiegati era dotato, ha permesso l’effettuazione di alcune stime delle distanze dei soggetti osservati. Peraltro anche questo dato richiesto ai tiratori in gara. Purtroppo, non disponendo di un solido appoggio, quale un treppiede o altro supporto, la stima delle distanze è stata solo indicativa, rendendo dunque necessario lo sfruttamento di altri elementi per giungere a delle stime consolidate e sufficientemente corrette. I binocoli Leupold vengono forniti al cliente con delle ottime custodie in cordura dotate di imbottitura, piccola tasca porta accessori interna, tracolla e sistema MOLLE per un eventuale fissaggio su zaini e/o buffetterie. Completano la dotazione: una tracolla imbottita destinata al binocolo, degli ottimi tappi per gli oculari, agevolmente fissabili con apposite asole alla tracolla, nonché dei tappi per le lenti di uscita. Vista la leggerezza e precarietà di mantenimento in posizione di questi ultimi tappi, si consiglia la sostituzione degli stessi con dei tappi flip up prodotti dalla famosissima Butler Creek. Questi ultimi infatti, oltre a fornire una valida protezione delle lenti, vista la connotazione flip up, eliminano ogni rischio di smarrimento e inoltre conferiscono al binocolo un aspetto ancora più “tattico” e accattivante. È sufficiente dunque acquistare due tappi Butler Creek con misura “40 OBJ”, equivalente ad un diametro di 57,2 mm. Si ringrazia l’Armeria Bernardini di Carrara che ha gentilmente messo

a disposizione i binocoli oggetto della prova e che, grazie alla passione del suo gestore, e alla costante collaborazione di un team di consulenti, sempre attenti alle novità di settore, riesce oggi a offrire un vasto assortimento di prodotti di altissima qualità e livello tecnico, sia per quanto concerne il settore armi, sia quello dell’accessoristica, entrambi interpretati e trattati sia in accezione “tattica” sia rivolta al mondo sportivo e della caccia. I binocoli Leupold Mark 4 sono commercializzati ad un prezzo al pubblico di circa 600 euro nella versione senza reticolo e 800 euro con reticolo.

CARATTERISTICHE TECNICHE Fattore ingrandimento 10X Diametro lente uscita 50 mm Campo visivo angolare pari a 5 gradi Campo visivo lineare a 1000 metri pari ad 87 metri Peso 729 grammi Lunghezza corpo binocolo 17 cm Pupilla di uscita 5 mm Distanza inter pupillare 60-70 mm Distanza minima messa a fuoco 3,2 metri

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ALPHA 22 ALPHA 22 ALPHA 22 ALPHA 22 ALPHA 22 ALPHA 22

CORSI ALPHA 22

BASIC LONG RANGE COURSE I tiri vengono eseguiti sia in posizione da seduto che a terra, in modo da far provare al tiratore le differenze di impostazione nel tiro e mantenere la precisione al variare delle situazioni.

Si è svolto finalmente ad Albettone (VI) il primo corso Basico di Tiro Long Range, suddiviso in due giornate contraddistinte da esaurienti lezioni teoriche alternate a sessioni di tiro lungo le linee attrezzate fino a 300 yards (274 metri circa) che hanno toccato tutte le tematiche salienti per la formazione a livello basico di un tiratore di precisione. Le lezioni, svolte all’interno dell’aula didattica polifunzionale di Alpha 22, hanno trattato il corretto set-up dell’arma e la sua cura e manutenzione, TNM ••• 114

i fondamentali del tiro e gli elementi di balistica esterna che devono essere valutati dal tiratore per poter raggiungere il suo obiettivo: fare centro. Dopo aver impostato correttamente il sistema otticaarma per l’esecuzione dei tiri, il corso si è portato presso le contigue linee di tiro dove sono iniziati i primi esercizi di tiro alla distanza di 100 metri per prendere confidenza con la posizione e i fondamentali della tecnica di tiro, terminati i quali si è proceduto


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Fase pratica del corso Basic Long Range sotto la guida dell’istruttore.

all’azzaramento dei fucili per la successiva giornata che prevedeva unicamente sessioni di tiro pratiche per perfezionare la tecnica acquisita nelle prime lezioni e “spingersi” a distanze superiori. Gli esercizi svolti consistevano in tiri fino alla distanza di 300 yards in determinate finestre di tempo per “costringere” il tiratore a concentrarsi sulla tecnica sotto stress ma senza far degradare la precisione dei colpi, e su bersagli sempre più piccoli, cambiando inoltre la posizione

di tiro. Infine, sono stati introdotti i software balistici e il corretto modo di impiegarli al massimo del loro potenziale; si è proceduto quindi, alla corretta tecnica di pulizia delle armi per preservarne le caratteristiche metallurgiche senza deteriorarne la precisione anche dopo lunghi periodi di inattività. Infine durante gli ultimi esercizi di tiro l’istruttore ha rilevato con un apposito cronografo la velocità alla bocca delle armi utilizzate nel corso dai tiratori e ne ha ricavato, sfruttando il


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Un bel “grouping” di 10 colpi (10 cm circa, pari a 1 MoA) alla distanza di 300 yards eseguito dal tiratore seguendo i fondamentali insegnati ad Alpha22, per lui era la terza volta che utilizzava il sistema d’arma di sua proprietà.

Dopo i tiri al poligono, il corso ritornava in aula per il debriefing sull’attività svolta, individuando di volta in volta gli elementi da correggere e migliorare nella sessione di tiri successiva.

coefficiente balistico relativo, una tabella balistica personalizzata per il tiratore, oltre che ad un bersaglio “di fede” da impiegare per verificare il corretto azzeramento dell’arma anche a distanze molto brevi senza dover sprecare colpi a distanze maggiori per confermarlo. Tutte le tecniche acquisite nel corso basico verranno ulteriormente perfezionate e messe alla prova nel successivo corso avanzato dove le distanze raggiungeranno i 1000 metri e oltre e il terreno non sarà più rettilineo ma irregolare e caratterizzato da forti venti e pendenze notevoli. Nel frattempo, Alpha 22 ha tenuto un successivo Corso Basico Long Range nei giorni 22 e 23 Settembre per formare un’ulteriore classe di tiratori. TNM ••• 116

Nell’aula polifunzionale di Alpha22 sono stati trattati argomenti importanti a livello teorico e pratico come anche la corretta pulizia e manutenzione del sistema d’arma.

CONTATTI: via Forni n° 20 - Albettone (VI) Orario d’apertura: da Lunedì a Domenica (escluso il martedì) dalle 09:00 alle 19:00. Mob. +39.339.6433720 Mail: info@alpha22shootingclub.com


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DI FABIO ROSSI FOTO DI MICHELE FARINETTI

EBERLESTOCK

G4 OPERATOR BACKPACK LO ZAINO TRANSFORMER CHE EQUIPAGGIA

GLI SCOUT-SNIPER DELL’US MARINE CORPS

La Eberlestock è una affermata azienda americana, a conduzione familiare, sul mercato dal 2005 e ancora gestita dal fondatore Glen Eberle, in passato campione olimpico americano di biathlon. Le prime esperienze aziendali sono maturate con la progettazione di zaini destinati ai cacciatori americani che dovevano percorrere grandi distanze, trasportando al seguito l’equipaggiamento, i viveri, ma soprattutto, l’arma lunga con il relativo munizionamento e i sistemi di puntamento. Da questa esperienza, puramente ludica, Eberlestock ha fatto un notevole salto di qualità, con il progetto e la sperimentazione di prodotti professionali TNM ••• 119


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destinati agli Scout-Sniper dell’USMC. Il notevole risultato ha portato, attualmente, alla fornitura per molti SWAT Team delle varie agenzie di Polizia americane. Struttura Non è facile descrivere uno zaino con queste caratteristiche. Per semplice definizione potrebbe essere raffigurato come una sacca in pelle o tessuto, destinata ad essere caricata sulle spalle, assicurata attraverso due fasce che si appoggiano sulle spalle stesse e passano sotto le ascelle. Questo permette di poter trasportare carichi, anche di peso importante, lasciando libere le braccia. Il prodotto che abbiamo testato è costituito da una “miscela strategica” di tessuto in nylon 500 e 1000 denari. Ha un peso a vuoto di circa 4 chilogrammi ed un volume di carico complessivo di circa 82 litri. Lo zaino è caratterizzato da una sacca centrale, accessibile sia dall’alto, tramite l’apertura a pozzetto, sia dal pannello frontale, attraverso due distinte aperture, posizionate ad altezze diverse. A ciascuna di queste ultime è applicata una tasca con chiusura a zip. Sulle fasce laterali sono state collocate due ulteriori lunghe tasche gemelle, con chiusura tramite fibbia tipo fastex. Entrambe possono essere rimosse in caso di inutilizzo o per rendere più slim il prodotto. La parte superiore del pozzetto è chiusa tramite una copertura in nylon impermeabile con laccetto e successivamente con un “cappello” fissato da due lacci con fibbia fastex. Quest’ultimo integra due tasche con chiusura zip, una con accesso anteriore e l’altra TNM ••• 120

posteriore. Numerose sono le tasche di piccole dimensioni disseminate sia all’interno, sia all’esterno della struttura, come molte sono le fasce di contenimento che permettono di compattare lo zaino a pieno carico. L’imbracatura di trasporto è costituita da uno schienale rinforzato e strutturato tramite due barre sagomate in alluminio, contenute in appositi vani alle sue estremità. Le due fasce


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Lo zaino è una caratterizzato da cessacca centrale, ac che sibile sia dall’alto le, dal pannello fronta te in attraverso due dist ate aperture, posizion ad altezze diverse.


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a sinistra: vista della parte esterna dello zaino sopra: vista della parte interna dello zaino

spalleggiabili sono imbottite per aumentare il confort e possono essere regolate in altezza sullo schienale grazie a dieci differenti asole. Per lo stesso motivo anche la parte di schienale che appoggia sul dorso dell’operatore è imbottita con otto cuscinetti cuciti in senso verticale. La stabilità dello zaino è ulteriormente rafforzata dal cummerbund di notevole spessore, imbottito e regolabile tramite una cintura con chiusura fastex. Quest’ultimo è corredato da un cuscinetto quadrato, posizionato posteriormente all’altezza

della zona di contatto con la parte lombare la quale scarica il peso delle spalle all’altezza del bacino. Sono presenti tre maniglie di trasporto, utili per la movimentazione a pieno carico: una nella parte superiore adiacente al “cappello” di chiusura che permette il trasporto senza l’arma lunga inserita; due posizionate lateralmente studiate per trasportare il G4 in posizione orizzontale con l’arma inserita. Ulteriore chicca è il sacco in nylon idrorepellente ed elasticizzato, contenuto in una tasca TNM ••• 123


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a sinistra: particolare delle asole di regolazione dell’imbracatura sotto: il sacco in nylon idrorepellente utile in caso di pioggia

nella parte inferiore, che permette di poter fasciare l’intero zaino in caso di pioggia. Molte delle superfici esterne sono corredate di impianto pals di fissaggio M.O.L.L.E. e tutte le cerniere a zip sono di grandi dimensioni. È disponibile nelle colorazioni Multicam, Dry Earth e Coyote Brown. Il porta fucile La caratteristica che rende unico e interessante dal punto di vista operativo il G4 Operator è di essere costruito attorno ed in funzione di un fodero porta fucile. Questo è suddiviso in due parti e permette di poter trasportare un’arma lunga in posizione verticale, con il vivo di volata rivolto verso il basso. Le due sezioni sono contenute all’interno di un’intercapedine che divide la sacca centrale dall’imbracatura di trasporto. La parte inferiore, di forma triangolare è rifasciata con materiale gommoso imbottito antiabrasione ed è fissata nella parte interna tramite una fibbia fastex. La parte superiore in nylon, che serve da eventuale copertura della calciatura dell’arma, è amovibile e può essere assicurata alla struttura tramite quattro lacci, sempre con fibbia fastex.

l’intercapedine che contiene il portafucile in caso di inutilizzo

Report delle prove Ho utilizzato lo zaino per alcune escursioni estive, mediamente impegnative, con carichi volutamente vicini ai 20 kg., e sono state soddisfatte tutte le aspettative che un prodotto di questa qualità portava in dote. Gli equipaggiamenti possono essere stivati all’interno con notevole facilità, contando sulla semplicità di accesso agli stessi tramite le varie aperture posizionate sulla sua lunghezza, che permettono di non doverlo svuotare

sequenza di apertura della parte

inferiore della sacca per arma lung

a


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interamente. Di notevole capienza le due tasche laterali che possono contenere anche delle sacche di idratazione, elevando notevolmente l’autonomia dell’operatore. Ho inoltre notato la presenza, nella parte superiore di due fori di grandi dimensioni, celati con una piccola patelletta velcrata, utili per il passaggio di un eventuale cablaggio di fili o per la fuoriuscita di un’antenna radio. Sono rimasto particolarmente colpito dall’attenzione che è stata messa alla cura dei dettagli ed alla lavorazione eseguita con ottima qualità, sia dei materiali che delle cuciture. Ogni sforzo è stato fatto per ottimizzare la sua funzionalità e l’interoperabilità con altre apparecchiature che possono fare parte della dotazione dell’operatore, infatti, il G4 è ugualmente stabile con l’arma lunga inserita nel suo vano di trasporto, tanto da poter permettere movimenti veloci in ambienti boschivi e impervi. Lo stesso zaino può essere utilizzato quale base di appoggio per la stabilizzazione del tiro a lunga distanza e per lo stoccaggio del munizionamento. I report di utilizzo da parte di operatori professionisti sono più che positivi e la notevole mole di immagini del prodotto nelle varie aree di conflitto sono una sicura garanzia. Un prodotto quindi che possiamo consigliare anche ad un pubblico civile, quale possono essere i cacciatori di alto livello. Il prezzo di 399,00 euro è sicuramente adeguato alla elevata qualità del prodotto. In Italia è distribuito da S.O.D. Gear www.sodgear.com

UTILIZZA IL TUO SMARTPHONE PER VISIONARE IL FILMATO OPPURE COLLEGATI AL SITO: WWW.EBERLESTOCK.COM

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assemblaggio della parte superiore della sacca per arma lunga l’apertura che permette l’accesso alla parte inferiore dello zaino

la tasca principale aperta


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HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT

La regista Kathryn Bigelow durante le riprese del film Zero Dark Thirty

OPSEC VIOLATA

Intelligence e comunità militare contro il Presidente Obama, mentre continua la fuga di notizie classificate. Il fenomeno ha avuto inzio con il raid per eliminare Osama Bin Laden, ed è continuato assumendo proporzioni tali da mettere a repentaglio i rapporti con nazioni alleate e costringere parte della comunita’ militare USA a “sfiduciare” pubblicamente il loro comandante in capo. Stiamo parlando della divulgazione di notizie classificate da parte dell’ufficio stampa della Casa Bianca. TNM ••• 128

ZERO DARK THIRTY Da diversi mesi lo staff della Casa Bianca, nel tentativo di risollevare la popolarità in declino del presidente, ha avviato una politica di fin troppo aperta di collaborazione con giornalisti e produttori cinematografici. Dettagli classificati dell’operazione “Neptune Spear”, sarebbero finiti nelle mani della produzione di “Zero Dark Thirty”,


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L’ufficio stampa della Casa Bianca ha recentemente comunicato che e’ lo stesso presidente Obama a designare i bersagli per le eliminazioni

film diretto da Kathryn Bigelow sull’eliminazione di Osama Bin Laden. Anche il Los Angeles Times, normalmente schierato a favore di Obama, ammette che la produzione del film ha avuto un accesso “non usuale” a personale della C.I.A. e a documenti classificati. A rigurado, l’11 Dicembre 2011 il Pentagono ha emanato una nota nella quale si dichiara che “l’uffico dell’ispettore generale, indaghera’ in merito al rilascio di informazioni da parte di personale del Department of Defense a favore di produttori cinematografici”. Le divulgazione ai media di informazioni classificate ha portato a conseguenze serie anche per alcuni degli operativi coinvolti in “Neptune Spear”. Dopo la rivelazione alla stampa della notizia che si sarebbe arrivati all’ identificazione del profilo genetico degli occupanti la villa di Abbottabad grazie ad una finta campagna di vaccinazione avviata da un medico pakistano, Shakil Afridi, il medico in questione è stato arrestato e condannato a 33 anni di prigione. Appare evidente come, alla luce della propensione a “bruciare” i propri agenti da parte dell’ amministrazione Obama, nell’immediato futuro saròà molto difficile arruolare personale civile per simili operazioni di intelligence. LA “KILL LIST” DI OBAMA Fin dai tempi di George W. Bush, l’intelligence USA si è profusa nell’eliminare diverse personalita’ terroriste. L’amministrazione Obama La mappa è le coordinate dell’operazione Neptune Spear dove ha perso la vita Osam Bin Laden e’ pero’ andata oltre. L’ufficio stampa della Casa RELAZIONI COMPROMESSE Bianca ha infatti comunicato che e’ ora lo stesso Ma l’episodio più grave resta senza alcun dubbio la presidente Obama a designare i bersagli per divulgazione di informazioni, avvenuta nell’Aprile le eliminazioni. Secondo alcuni commentatori, 2012, su di un’operazione antiterrorismo condotta questa decisione sarebbe dovuta alla necessita’ congiuntamente da USA, Gran Bretagna ed Arabia di far apparire Obama come “uomo forte” nella Saudita. Risulta che C.I.A. ed M.I.6, con l’ausilio guerra al terrorismo. La C.I.A. avrebbe dal canto dell’ intelligence saudita, fossero finalmente suo preferito mantenere l’esistenza della lista riusciti a pentrare A.Q.A.P. (Al Qaeda in the Arab segreta, non così i responsabili pubbliche relazioni Peninsula). Dopo aver fornito falsi documneti del presidente. La situazione è talmente seria, da britannici ad un agente saudita, questo era riuscito essere stata portata all’ attenzione del comitato nel penetrare l’organizzazione e a trasmettere intelligence del Senato USA, che ha convocato il preziose informazioni inerenti imminenti attacchi National Intelligence Director James Clapper per terroristici. Uno di questi attacchi sarebbe dovuto riferire sull’accaduto. Secondo diverse fonti, C.I.A. essere effettuato impegando un nuovo tipo di ed N.S.A. sarebbero profondamente preoccupate ordigno, ideato niente di meno che dal famigerato dalle azioni del presidente. Con le elezioni in esperto di esplosivi Ibrahim Hassan (sua dirittura d’ arrivo, sono in molti a credere che l’ideazione della bomba trasportata all’ interno Obama abbia posto la proprie ambizioni elettorali di indumenti intimi dal terrorista Umar Farouk dinnanzi alla sicurezza nazionale. TNM ••• 129


HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT Pakistan - Abbottabad, il compound dove si rifugiava Osama Bin Laden

Abdulmutallab su di un volo per Detroit nel Natale 2009). La nuova bomba avrebbe generato un’esplosione per mezzo di una reazione chimica e sarebbe stata virtulamente impossibile da rilevare nel corso dei controlli di sicurezza aeroportuali. L’attentato è pianificato per il 2 Maggio, secondo anniversario dell’eliminazione di Bin Laden. L’M.I.6 ordina all’agente di offrirsi volontario per l’operazione, ottenendo cosi’ il congegno esplosivo ed informazioni sull’ ubicazione di Fahd al Quso, leader di A.Q.A.P., che viene successivamente eliminato in Yemen grazie ad un drone Predator. Quella che sarebbe potuto essere l’inizio di un’importante offensiva contro Al Qaeda in Yemen, viene però compromessa dall’ ufficio stampa della Casa Bianca, che divulga i dettagli dell’ operazione ai media, provocando la reazione infuriata di britannici e sauditi e compromettendo altri infiltrati. La divulgazione di dettagli su come si sia arrivati a penetrare Al Qaeda, renderà il compimento di future simili operazioni molto arduo e rischioso. In questo caso, sarebbe stato sufficiente informare i media in merito al complotto terroristico sventato ed all’ eliminazione di al Quso, senza fornire ulteriori dettagli.

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DISONOHORABLE DISCLOSURES Dinnanzi all’operato irresponsabile dell’amministrazione Obama, non tutti sono rimasti a guardare. Un gruppo di operatori delle forze speciali e dei servizi di sicurezza in pensione ed in servizio attivo, ha realizzato “Dishonorable disclosure”, un documentario di una ventina di minuti nel quale viene enfatizzata l’importanza della raccolta di informazioni sul campo e la necessità di mantenerle riservate, il tutto al fine di garantire il successo delle operazioni e salvaguardare la vita degli uomini e delle donne chiamati a compierle. Il concetto, del tutto condivisibile, è che l’OP.SEC. (Operational Security) e la vita del personale non possa essere sacrificata per il tornaconto personale di un politico. Vi invitiamo a visionare con attenzione il filmato e a trarre le vostre conclusioni.

UTILIZZA IL TUO SMARTPHONE PER VISIONARE IL FILMATO OPPURE COLLEGATI AL SITO: WWW.DISHONORABLEDISCLOSURE.COM


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ingresso del labaro nazionale della F.N.A.I. - Federazione Nazionale Arditi d’Italia -decorato di 120 medaglie al Valore Militare.


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DI MASSIMILIANO URSINI FOTO LAURA RUSGNACH NEMAZ

Il 28 e 29 luglio 2012 si sono svolte le celebrazioni del 95° anniversario della fondazione dei Reparti d’Assalto nella località di Capriva (Gorizia) e Sdricca di Manzano (Udine). Le stesse hanno avuto inizio sabato 28 luglio presso “l’Ara degli Arditi d’Italia” di Capriva con l’Alzabandiera, la S. Messa, gli Onori ai Caduti e lo scoprimento della nuova targa celebrativa marmorea installata per quest’occasione dalla F.N.A.I. di Trieste. La mattinata è proseguita in un ristorante di Borgnano per la presentazione del libro “l’Ara degli Arditi d’Italia” prodotta dalla stessa Federazione triestina e un brindisi augurale con un “vin de honneur”. Nella serata, presso la trattoria “al Vecjo Ospedal” di Manzano, nel cortile dell’originale e suggestivo antico edificio, sede dell’ospedale chirurgico della Grande Guerra, si è svolta la recita a monologo dell’attore Umberto Fabi “Oratorio per Fiume” (schegge e frammenti dell’Impresa fiumana del poeta soldato Gabriele D’Annunzio). Organizzatrice del programma celebrativo la F.N.A.I. (Federazione Nazionale Arditi d’Italia) sezione di Trieste, in fede alla continuità ideale che questa Federazione persegue dal 1919. La domenica del 29 luglio, esattamente novantacinque anni dopo, l’Alzabandiera presso il casale degli Arditi di Sdricca di Manzano, sanciva l’inizio delle celebrazioni previste. Oltre alle diverse Associazioni d’arma, erano presenti nello schieramento, anche una rappresentanza del 9° Reggimento Incursori Paracadutisti d’Assalto “Col Moschin” (il 29 luglio è anche la festa del Reparto), TNM ••• 133


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“O Sdricca di Manzano sui campi di battaglia - i primi manipoli di Fiamme Nere alla gloria, alla vittoria-hai consacrato - nel nome eterno d’Italia - A te - con i loro morti immortali - in comunione di spiriti infrangibile - gli assaltatori superstiti dedicano XXX Settembre MCMXXIII” (Lapide murata sulla facciata del municipio di Manzano il 30 settembre 1923 per iniziativa della Federazione Nazionale Arditi d’Italia)

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attuali degni eredi delle “fiamme nere”. Oltre a questi, era presente l’inossidabile reduce, Umberto Schiavon, marò del battaglione ”BARBARIGO” della Decima MAS. La commemorazione è proseguita con la deposizione di una corona ai Caduti, accompagnata dalle note del trombettiere e una breve locuzione finale. Nella seconda parte della giornata celebrativa del 29 luglio, i ricostruttori storici del “Plotone Arditi” tra i quali alcuni congedati della Folgore, hanno allestito sul terreno di Sdricca, un piccolo accampamento di “fiamme nere” illustrando agli astanti i materiali presenti e in dotazione agli Arditi quali le uniformi complete e la dotazione, composta di una tenda per quattro persone modello “Bucciantini”, gli elmetti, l’equipaggiamento vario personale, la

maschera antigas, i simulacri di armi inerti come il moschetto Carcano modello novantuno da Cavalleria (cal.6,5), la replica di un moschetto automatico sperimentale modello O.V.P. (Officine Villar Perosa) in cal. 9 Glisenti collaudato dagli Arditi nel 1918, una fedele copia della mitragliatrice Fiat Revelli modello ’14 (cal. 6,5) ed un lanciafiamme italiano modello D.L.F. La dimostrazione è proseguita con l’esposizione delle tattiche e dell’addestramento. Momento più realistico del pomeriggio di “storia vivente” la lotta corpo a corpo e il combattimento con il pugnale (arma prediletta ed utensile inseparabile degli Arditi) eseguito da due maestri “speciali” per l’occasione: in uniforme austroungarica da “Landschutzen” un ex alpino paracadutista della Cp. AL. Par. “Monte Cervino” oggi


M REPORT FROM REPORT FROM REPORT FROM REPORT FROM REPORT tre momenti di combattimento stretto con pugnale del “plotone Arditi” della F.N.A.I. di Trieste durante la dimostrazione sul campo di Sdricca.

4° Rgt. Ranger “Monte Cervino” contrapposto al rappresentante del 9° Rgt. d’assalto incursori paracadutisti “Col Moschin” in uniforme da aiutante di battaglia degli Arditi. Durante la Grande Guerra, dal 29 luglio al 28 ottobre 1917, Il casale degli Arditi e la sua estesa valle cinta da una serie di colline da una parte e dal fiume Natisone dall’altra, ospitarono migliaia di volontari che affluirono da vari reggimenti del Regio Esercito nelle fila della nuova specialità degli Arditi per intraprendere un duro e selettivo nuovo percorso tecnico addestrativo creato dal suo ideatore Maggiore Bassi. Nella scuola degli Arditi di Sdricca essi furono selezionati prima per le motivazioni morali e poi per quelle fisiche, addestrati all’utilizzo di tutti gli armamenti, si lanciavano sulle erte colline trincerate, moltiplicando i veloci assalti in situazioni realistiche di combattimento, con l’ausilio di artiglierie in appoggio e sotto il micidiale fuoco di mitragliatrici austriache con lo scopo di simulare realisticamente le situazioni di assalto. Nel combattimento a corpo a corpo furono insegnate anche nuove tecniche di lotta orientali, oltre alla lotta della scuola italiana di pugilato e all’uso del pugnale, codificato nei suoi colpi base in una piccola “libretta” distribuita dallo Stato Maggiore presso le scuole degli Arditi. In merito all’importanza sull’uso del pugnale, così scriveva il tenente Ardito Salvatore FARINA nel suo libro ”Le Truppe d’Assalto Italiane” – 1938: “...il pugnale, rispetto alla baionetta impiegata disgiunta dal fucile, possedeva requisiti superiori, che si richiedono ad una arma bianca offensiva: maggior potenza di penetrazione, dipendente dalla posizione del centro di gravità e della forma dell’impugnatura; maggior raggio di azione per il modo in cui poteva essere impiegato. Ed un requisito psicologico: la suggestione che sarebbe entrata in gioco a favore dell’assaltatore e a sfavore dell’avversario, il pugnale, arma bianca nuova, il cui addestramento

avrebbe dimostrato la grande efficacia della lotta nel corpo a corpo, suggestionò l’assaltatore nella convinzione di una grande fiducia in se stesso. La sorpresa nell’impiego di un’arma nuova, che portava l’urto al contatto materiale, il che vuol

dire desiderio di arrivare al corpo a corpo, la sicurezza nello scontro, la fama di essere maestri nell’uso del pugnale, costituirono gli elementi suggestivi perturbatori del nemico”. Furono istituite le innovative “coppie tattiche” affiancando i fratelli, amici, TNM ••• 135


REPORT FROM REPORT FROM REPORT FROM REPORT FROM REP targa lapidea commemorativa posta dagli Arditi reduci sul vecchio casale del comando a Sdricca di Manzano nel 1939.

Alzabandiera e deposizione della corona sotto la targa commemorativa del casale degli Arditi di Sdricca di Manzano.

o compaesani che crearono tra loro una intesa e completa sintonia nell’assalto e nel combattimento . Ancora il tenente Farina dal suo libro: ”una società di due persone possiede degli elementi che non esistono in nessuno dei due che la compongono e che nascono e si sprigionano quali scintille TNM ••• 136

psicologiche, solo in momenti in cui i due individui, unendosi danno vita ad una società”. Le nuove solide e addestrate coppie di soldati, moltiplicate per squadre, plotoni e compagnie, crearono alla fine, reparti di 800 uomini, veloci, risoluti e vincenti che sbalordirono da subito sia i Comandi militari

italiani sia quelli nemici. Gli Arditi furono esonerati dai logoranti turni di trincea e trasportati con i camion nelle immediate vicinanze delle prime linee per compiere l’assalto. Conclusa l’azione, erano dislocati con gli stessi automezzi agli accampamenti di origine presso le retrovie. Oltre che all’esenzione dalla dotazione dello zaino, l’equipaggiamento standard personale del nuovo Ardito fu notevolmente ridotto di peso: moschetto corto novantuno da Cavalleria, due giberne per i caricatori, pugnale corto e tascapane con circa ventidue petardi offensivi Thevenot. Questo era una bomba (petardo) offensiva di forma cilindrica simile ad un barattolo di sottile spessore metallico del peso di 400gr. composto di esplosivo ad alto potenziale (echo), due sistemi di sicurezza ed un raggio di azione di 7-8 metri. Le piccole schegge metalliche producevano pochi danni fisici ma la forte esplosione generava un grande stordimento nel nemico. Nell’addestramento il soldato era istruito a lanciare velocemente i petardi contro l’obiettivo per poi scagliarsi in corsa a testa bassa, per evitare le schegge, verso il punto dell’esplosione. Il pugnale fu prodotto dal riutilizzo della vecchia e obsoleta lunga baionetta per il fucile Vetterli ancora in uso solo alla Milizia Territoriale del Regio Esercito. Tagliata a metà la lama, fu creato un pugnale e una baionetta “di emergenza” per il fucile Carcano novantuno, modello lungo. Una seconda versione del pugnale da Ardito, prodotta sempre con la stessa lama, venne chiamata “a manico di lima” per l’impugnatura simile a quella dell’utensile. L’uniforme per i nuovi assaltatori si dotò della più comoda giacca da bersagliere ciclista con collo aperto, il maglione a collo alto, e al bavero le fiamme nere, nuovo simbolismo degli Arditi. Fu il Maggiore Bassi a scegliere anche il colore nero come emblema di continuità ideale, di patriottismo e di


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il par. Massimiliano Ursini, presidente della F.N.A.I. di Trieste nell’“ARA DEGLI ARDITI D’ITALIA” di Capriva (Go). L’ara votiva venne eretta dalla F. N.A.I. nel 1967 in memoria di tutti gli Arditi Caduti in tutte le guerre. Dal 2012, l’edificio sacro, incluso i sei cannoni presenti (nella foto un anticarro 47/32) sono stati completamente restaurati a cura dei volontari della F.N.A.I. Giuliana.casale del comando a Sdricca di Manzano nel 1939.

libertà, ispirato dalla storia del suo stretto parente, il martire trucidato dagli austriaci a Belfiore, Pietro Fortunato Calvi, che durante i motti risorgimentali d’inizio ottocento, usava, portare al collo una cravatta

petardo offensivo “Thevenot” protagonista negli assalti degli Arditi della Grande Guerra.

nera, distintivo rivoluzionario di libertà, comune riconoscimento tra le milizie di carbonari veneziani che combatterono contro l’Impero austriaco a Venezia e nel Cadore. Alla fine, la “Scuola del Coraggio” di Sdricca li preparò moralmente

e tecnicamente a compiere i mille assalti che li videro eroici e vittoriosi protagonisti: dal Carso della Bainsizza al Montello sul Piave, dall’Altipiano di Asiago al Massiccio del Grappa, fino alla battaglia risolutiva del Piave, al prezzo di molte vite umane. Lo storico casale di Manzano rimane una delle poche testimonianze storiche degli Arditi ed è sopravvissuta in una zona rimasta morfologicamente quasi immutata, anche se la sua struttura murale è adesso in pessime e critiche condizioni. A odierna testimonianza della loro presenza rimane oggi una targa lapidea posta nel 1938 sulla facciata del casale dagli Arditi reduci. La F.N.A.I. di Trieste si sta adoperando

da anni per far conoscere questa realtà nell’attesa delle prossime e importanti celebrazioni del Centesimo della Grande Guerra. Questa Federazione è impegnata a promuovere le iniziative che abbiano come obiettivo: il suo restauro conservativo, la rivalutazione della sua importanza storica e la posizione definitiva in un futuro percorso storico-turistico regionale e nazionale nel quale la “Scuola degli Arditi”, abbia finalmente l’importanza, la visibilità ed il riconoscimento che meritano a testimonianza dell’eterno rispetto per le migliaia di Arditi di tutta l’Italia Caduti per la nostra Patria. F.N.A.I. Federazione Nazionale Arditi d’Italia Sezione provinciale di Trieste “Casa del Combattente” via Ventiquattro Maggio n°4 34133 – TRIESTE fnai_trieste@libero.it TNM ••• 137


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Di G. M. - FOTO Gabriele GIORGINO

Sia che si tratti di professionisti del settore security, sia operatori militari, il veicolo fuoristrada, o quantomeno un ottimo SUV, completa spesso le dotazioni di mobilità di un operatore o di un intero team. Data per scontata l’idoneità tecnico-prestazionale dell’uno o dell’altro veicolo, valutata in ragione della destinazione operativa dello stesso e in relazione all’incarico assegnato agli operatori a bordo, è possibile incrementare opportunamente la funzionalità dei veicoli con l’adozione di alcuni specifici accessori, strumenti e gadget. La possibilità di scelta per quanto attiene tali oggetti è elevatissima e comprende materiali di diverso genere aventi i più svariati impieghi: da utensili che possono risultare quasi indispensabili in un contesto operativo, a semplici gadget con un discreto ritorno funzionale/pratico. Purtroppo, con particolare riferimento al mercato di settore italiano, ravvisiamo oggi una ridottissima possibilità di scelta per chi fosse interessato alla gamma di accessori che si potrebbero definire elettivamente di tipo “tattico”. Sebbene abbondino, infatti, gli accessori di tipo “fuoristrada”, scarseggiano quelli che potrebbero trovare

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Visor cover installato sul lato guidatore. Poiché si vede anche il volante dell’auto, si riesce a comprendere la grande accessibilità agli oggetti posizionati nei PALS del visor cover. Parasole sono in posizione chiusa. È possibile osservare come l’ingombro aggiuntivo dovuto ai visor cover sia indubbiamente di piccola entità. È possibile osservare come sulla porzione visibile del visor cover siano fissati un taglia cinghie di emergenza e una luce a led. Quest’ultima grazie alla possibilità di erogazione a scelta di luce bianca o rossa, consente, all’occorrenza, una illuminazione dell’abitacolo alternativa, supplementare o idonea (luce rossa) quando occorre non alterare la capacità di visibilità notturna dell’utilizzatore.

un’applicazione su veicoli destinati all’impiego da parte di operatori militari e di security. Unico modo per sopperire a tale carenza, come accade sempre più spesso, è quello di rivolgersi ai fornitori esteri e nello specifico al ricco mercato statunitense. In ogni caso, alcuni oggetti appartenenti al settore di interesse stanno iniziando ad avere una prima diffusione anche in Italia e questo articolo viene appunto incentrato su uno di questi affascinanti strumenti. Nello specifico un semplicissimo accessorio oggi facilmente reperibile sul mercato nazionale; il tutto con la riserva di scrivere in futuro ulteriori articoli dedicati ad altri materiali e equipaggiamenti destinati all’installazione/uso su veicoli e che, auspichiamo, possano essere sempre più “tecnici” nonché facilmente reperibili direttamente anche in Italia. Riteniamo opportuno sottolineare, a questo punto, come l’introduzione testé fatta sia assolutamente generale e possa forse sembrare eccessiva rapportata alla semplicità dell’oggetto che qui viene presentato. Nello specifico infatti, venendo al “core theme” dell’articolo, vogliamo spendere alcune semplici considerazioni circa il vehicle visor cover realizzato dalla statunitense SOE. Un’inezia nel settore degli accessori interni per veicoli fuori strada, ma un punto di partenza se rapportato allo scarno mercato di settore nazionale. La SOE è un’azienda che opera per lo sviluppo e produzione di equipaggiamenti realizzati in cordura e destinati all’impiego da parte di professionisti o semplici appassionati. Nell’ambito del proprio catalogo di prodotti, sempre in continuo aumento in termini di oggetti disponibili, la SOE ha inserito anche alcuni gadget destinati ad essere installati all’interno dell’abitacolo di veicoli fuoristrada allo scopo di migliorarne la funzionalità. Il vehicle visor cover della SOE, sfruttando ampie superfici velcrate, dotate inoltre del diffusissimo sistema MOLLE, consente di rivestire stabilmente con robusta cordura i parasole del veicolo al fine di renderli idonei all’alloggiamento di piccoli accessori utili nelle più


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In questa foto viene ritratto il vehicle visor cover nella sua totalità, steso su un ripiano. È possibile dunque desumere la semplicità dell’accessorio il quale altro non è che un semplice rettangolo in cordura dotato di: superfici velcrate e fettucce tipiche del sistema MOLLE.

Un possibile set up del vehicle visor cover potrebbe prevedere il posizionamento sullo stesso degli oggetti di seguito elencati. La descrizione, peraltro, coincide con quanto ritratto in alcune delle foto presenti sulle pagine di questo articolo. Elenco utensili

svariate situazioni. Materiali che, viste le generose dimensioni dei parasole usualmente installati sui fuoristrada, e in conseguenza anche dell’accessorio SOE, possono essere svariati e relativamente numerosi. In pratica, infatti, com’è possibile osservare nelle foto, lo spazio a disposizione che si ottiene installando l’elemento in analisi, è tale da consentire l’agevole posizionamento, ad esempio, dei dispositivi che comunemente costituiscono un kit da sopravvivenza di tipo basico. A tali oggetti potrebbero essere aggiunti alcuni altri piccoli accessori utili su un veicolo, come ad esempio, un taglia cinghie e/o un rompivetro. La funzionalità del sistema è migliorata, inoltre, con l’adozione di fettucce costituenti il sistema MOLLE sia di tipo tradizionale, sia elastiche e dunque adatte a consentire un agevole collocazione di piccoli gadget privi di clips di fissaggio. I “visor cover” si adattano alle misure dei parasole presenti sui diversi veicoli grazie a delle fettucce velcrate che permettono un ideale fissaggio e adattamento dimensionale. Il prodotto viene realizzato in colorazione coyote, verde, nero, khaki e multicam, dunque in grado di soddisfare le esigenze di carattere estetico di ogni possibile utilizzatore. Nelle foto è possibile vedere l’accessorio, dapprima in condizione stand alone, e successivamente alloggiato sui

parasole di un veicolo fuoristrada Land Rover. In pratica notiamo come il prodotto della SOE sia costituito di fatto da un rettangolo di cordura opportunamente sagomato e rinforzato sui bordi, dotato di sistema MOLLE, ampie superfici velcrate e fettucce di regolazione sempre con il velcro. Un prezzo sicuramente accessibile, di poco superiore ai 50 euro, a fronte di una buona funzionalità e comodità, giustifica l’eventuale acquisto. Il tutto nell’ottica di avere sempre a portata di mano, anche quando al volante, alcuni piccoli oggetti di uso comune o utili alla risoluzione di emergenze più o meno gravi. Così come si farebbe con una “bail out bag” poggiata sul sedile del veicolo, il semplice fissaggio del prodotto SOE ottenuto a mezzo di fettucce velcrate, agevola eventualmente, anche un rapido prelievo da parte dell’operatore che si debba allontanare velocemente dal veicolo. In tal modo con pochi semplici gesti è possibile svincolare il vehicle visor cover, portarlo al seguito per poi disporre degli oggetti in esso riposti. Si conclude dunque questa breve e semplice analisi di un prodotto che – speriamo – possa essere solo la “punta dell’iceberg” del futuro mercato italiano di settore il quale dovrebbe presentare un’offerta sempre più assortita e tecnicamente valida, tale da soddisfare gli operatori nazionali divenuti sempre più esigenti e allineati agli standard internazionali. Per esempio la produzione di pannelli

• penna idonea per scrivere anche su superfici bagnate; • star light; • micro torcia a led; • taglia cinghie emergenza; • rompi vetro; • accendino; • piccola bussola; • utensile multiuso; • piccolo coltello da sopravvivenza; • fischietto per segnalazione emergenza; • fascette elettricista; • luce a led colore rosso per illuminazione interna abitacolo. Come facilmente desumibile dalla tipologia degli articoli citati, la scelta fatta è quella di disporre di un semplice e generico kit di sopravvivenza costituito da oggetti piccoli, funzionali e di buona qualità, tali da conciliare un ridotto ingombro ad una sufficiente funzionalità ed affidabilità, qualora se ne renda necessario l’effettivo impiego.

MOLLE adeguatamente dimensionati e sagomati per il fissaggio dietro i sedili anteriori o per il posizionamento all’interno del vano porta bagagli, potrebbero essere due semplici tipologie di prodotti che troverebbero sicuro interesse tra gli operatori di settore e semplici appassionati italiani. Peraltro ovviamente materiali già diffusi tra i possessori di veicoli off road di oltre oceano. TNM ••• 141


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Emergency war surgery Il chirurgo militare può giocare un ruolo fondamentale nell’ambito della medicina in ambito militare, dalla preparazione di una squadra in un ambiente estremamente mutevole al trattamento rapido di una ferita da combattimento, dall’evacuazione dei feriti alla riduzione di fratture al trattamento di vittime di attacchi chimici. Questo tascabile, risultato della collaborazione tra il Borden Institut dell’Esercito U.S.A. e il Dipartimento Medico Militare, ristampato e rivisto in occasione delle guerre in Iraq e Afghanistan, è un indispensabile manuale per il trattamento e la cura di traumi da combattimento. Più di 200 accurate illustrazioni mostrano passo a passo le pratiche di pronto soccorso, così come utilizzate da tutti gli ospedali da campo in tutto il mondo. AUTORE: Department of the Army

The german sniper badge 1944-1945 Libro interamente dedicato al distintivo dei tiratori scelti tedeschi, creato da Hitler il 20 agosto 1944, per motivare e incentivare i soldati nel tiro di preisione. D’altra parte i tedeschi assieme ai sovietici e ai finnici furono i maggiori utilizzatori di questa pratica nella Seconda Guerra Mondiale. In questo saggio, la storia del distintivo così come le operazioni dei tiratori tedeschi, vengono esaminate anche attraverso le fotografie a colori degli stessi, delle armi, delle onorificenze, dei documenti dei soldati e delle fotografie del tempo di guerra. AUTORE: Rolf Michaelis è un prolifico autore tedesco che ha scritto decine di libri inerenti le Forze Armate Tedesche nella Seconda Guerra Mondiale, è anche editore degli stessi nella casa editrice che porta il suo nome. Molti dei suoi libri sono pubblicati anche in inglese dalla casa editrice Schiffer. EDITORE: Schiffer (stampato nel 2012) INFO: Rilegato - 18,5 X 25 – 58 pagine - alcune decine di illustrazioni in b/n e a colori Lingua: inglese Prezzo: 29,00 euro Disponibile presso: www.ritteredizioni.com TNM ••• 142

EDITORE: Skyhorse (stampato nel 2012) INFO: Brossura – 14 X 21 – 448 pagine - interamente illustrato Lingua: inglese Prezzo: 20,00 euro Disponibile presso: www.ritteredizioni.com


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Codice delle armI e degli esplosivi Il volume si articola in due parti: nella prima sono contenute oltre 150 voci, che trattano tutti gli argomenti concernenti le armi e gli esplosivi, alla luce sia di un chiaro ed esauriente commento di taglio prettamente operativo, sia della giurisprudenza più recente e significativa. Nella seconda parte vengono pubblicate le versioni aggiornate della normativa e della prassi in materia. Fra le voci riportate, si segnalano: alterazione di arma; arma clandestina; arma da guerra; arma impropria; bottiglia incendiaria; collezione di armi; commercio di armi; detenzione illegale di armi; esportazione di armi; fabbricazione di esplosivi; legittima difesa; limiti al porto di armi; munizioni; tiro a segno; trasporto di armi; trasporto di esplosivi; uso legittimo di armi; vendita di esplosivi; vendita di munizioni a privati. Questo volume si rivolge a: avvocati, magistrati, componenti delle Forze dell’ordine.

Histoire, armes et techniques des snipers français Quest’opera traccia la storia dei tiratori scelti francesi a partire dai franco-arcieri di epoca medievale per arrivare ai commando delle forze speciali dei nostri giorni e offre informazioni su armi e tecniche utilizzate da questi soldati. Nell’ambito civile la tradizione delle milizie di archibugieri viene mantenuta dai tiratori della Bella Epoque e ai nostri giorni, dai campioni olimpici. Dalla fine del secolo scorso poi le forze dell’ordine, la polizia e la gendarmeria hanno rivisitato l’arte del tiro di precisione per rispondere a nuove problematiche, ovviamente il libro è dedicato per la maggior parte al periodo moderno. Il volume, completamente illustrato a colori, è completato da testimonianze e affronta anche l’argomento delle armi future frutto della più alta tecnologia. AUTORE: Daniel Casanova EDITORE: E.T.A.I. (stampato nel 2012) INFO: Rilegato – 22 X 28,5 – interamente illustrato Lingua: francese Prezzo: 40,00 euro Disponibile presso: www.ritteredizioni.com

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Argomenti trattati:

Marco Buschini nasce in Veneto nel 1965. All’età di 9 anni inizia a praticare assiduamente le arti marziali, ottenendo riconoscimenti agonistici a livello internazionale. Studia in Italia, Giappone e Stati Uniti. A 18 anni si arruola nella Polizia di Stato. A 30 anni entra a far parte, in qualità di istruttore, del GOS (Gruppo Operativo Speciale) della Polizia di Stato.L’8 settembre 2002, durante un’operazione di Polizia, viene gravemente ferito, portando comunque a termine con successo l’operazione, tanto da essere insignito di gradi per meriti straordinari e medaglia d’oro alle vittime del dovere. Nel 2004, in seguito alle lesioni riportate viene posto in quiescenza e fonda l’A.S.O., l’Accademia di Sicurezza Operativa, insieme al suo maestro di tiro, collega e amico, Marte Zanette. Attualmente l’A.S.O. è una delle più importanti scuole in Italia per la formazione professionale degli addetti alla sicurezza pubblica e privata. Marco Buschini si è allenato presso maestri o istruttori in molti paesi stranieri, tra i quali Francia, Svizzera, Israele, Stati Uniti e Giappone.



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