TNM 20

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TNM n° 20 • GENNAIO - Febbraio 2013 • periodico mensile

www.tacticalnewsmagazine.it • € 6.00 “Poste Italiane SpA, Spedizione in Abbonamento Postale DL 353/2003 (convertito in legge 27/02/2004 n°46) art. 1 comma 1 LO/MI”

M I L I T A R Y • L A W ENFORCEMENT • SECURITY

HOT POINT africa in fiamme

FOCUS ON

Lo scudo di davide - il raid israeliano di entebbe

TEST BY TNM

MONKEY COMBAT ADMIN POUCH

A Q C 4 M O C NORIN

TEST TNM

IL BLACK RIFLE A L R O D N A M A I H CON GLI OCC focus on Maga l’arte del Krav

TEST BY TNM sfida il guanto della

Tactical Knife ONTARIO RTAK II


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EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIA

Recrudescenza

afri cana Mentre TNM va in stampa le notizie provenienti dal Mali si susseguono a ritmo serrato. In poche pagine abbiamo cercato d’inseguire gli eventi, tuttavia per una rivista mensile è sempre molto difficile, se non impossibile, restare sulla notizia fino all’ultimo secondo. Sembra che ancora una volta le forze francesi e alleate abbiano ottenuto una vittoria sugli jihadisti, ma quanto durerà? Quello che è accaduto nel Mali ha colto un po’ tutti di sorpresa e anche in questo caso qualcuno che “se lo immaginava”, è venuto fuori. In questo caso gli Stati Uniti avevano intravisto un possibile problema nella zona: Hillary Clinton aveva messo in guardia i francesi, ma nonostante tutto i terroristi hanno preso l’iniziativa e per alcuni giorni (senza contare quelli che stanno passando adesso) hanno messo in forte apprensione il mondo occidentale. Tutto ha un’origine - il nostro breve focus sul Mali lo spiega – la guerra in Libia, come del resto tutta la “Primavera araba” non ha dato al mondo occidentale i risultati sperati. Da una possibile fioritura di democrazia o libertà, gli stati colpiti dalla rivoluzione stanno scivolando verso una inevitabile sponda integralista, alla faccia dei molti ben pensanti che vagheggiavano chissà quale super potenza a dirigere i giochi. Il terrorismo internazionale ha la forma di una rete fittissima ove si intersecano diversi personaggi spesso inafferrabili e velocemente sostituibili; la lotta spesso è impari, anche se i mezzi a disposizione dei paesi occidentali sono superiori. Dopo la conquista di Gao le truppe francesi e maliane si stanno dirigendo verso la storica città di Timbuctu, la famosa città dell’oro o anche conosciuta come “la perla del deserto”. Proprio questa città, patrimonio storico dell’UNESCO, ha corso i pericoli maggiori: ancora una volta la furia distruttrice degli integralisti ha intaccato le radici storiche di un popolo, di una nazione e del mondo intero. Finirà mai questa guerra al terrore? Nel chiudere, il mio pensiero va a chi continua a sostenere che i nostri soldati in Afghanistan siano una “spesa inutile”, oppure a coloro che ritengono la carcerazione dei nostri due marò un sacrosanto diritto della legge indiana… per un attimo vorrei che queste sentinelle del mondo sparissero… e allora quante Timbuctu dovremo contare? Mirko Gargiulo (Direttore editoriale)


ALE EDITORIALE


INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE I

2 EDITORIALE 6 NEWS 20 HOT POINT 24 FOCUS ON human terrain system un assetto necessario

30 INTERVIew è un nostro connazionale l’unico Istruttore non israeliano che insegna Counter Terrorism in Israele

36 TEST BY TNM IL GUANTO DELLA SFIDA

42 FOCUS ON Lo scudo di Davide il raid israeliano di Entebbe

52 FOCUS ON La selezione

56 OPERATION REPORT OPERAZIONE FRESHMAN


INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDIc Military - Law Enforcement - Security n°20 - gennaio - febbraio 2013 - mensile www.tacticalnewsmagazine.it

58 TEST TNM NORINCO M4 CQ-A

68 ULTRA RUNNING ULTRA RUNNING GEAR ULTRA COMBAT GEAR

74 law area

Direttore responsabile Marco Alberini marco.alberini@tacticalnewsmagazine.eu Direttore editoriale Mirko Gargiulo mirko.gargiulo@tacticalnewsmagazine.it Capo redattore Paolo Palumbo redazionetnm@tacticalnewsmagazine.eu Direttore commerciale Giovanni Petretta giovanni.petretta@tacticalnewsmagazine.it

I reati connessi ai mezzi di pagamento elettronici

Art director Matteo Tamburrino tambetti@gmail.com facebook: mt@work

84 FOCUS ON

Impaginazione echocommunication.eu

l’arte del Krav Maga Difendersi, attaccando

Corrispondente dagli Stati Uniti Jae Gillentine

90 COMPANY PROFILE

Pubblicità redazione@tacticalnewsmagazine.eu

LAME MADE IN ITALY “EXTREMA RATIO”

Collaboratori Gianluca Favro, Gianluca Sciorilli, Fabio Rossi, Marco Sereno Bandioli, Giovanni Di Gregorio, Marco Strano, Mario Leone Piccinni, Marco Buschini, Michele Farinetti, Ovidio Di Gianfilippo, Sergio Giacoia, Alberto Saini, Lorenzo Prodan, Daniel Piga, Paolo Palumbo, Daniel Sharon, Norbert Ciano, Gogo della Luna, Luca Munareto, Davide Pisenti, Alessandro Zanin, Giuseppe Marino, Rocco Pacella, Bartosz Szolucha, Guns & Tactics, Jeremy Pagan, Giuliano Palazzo, Jacopo Guarino, Paolo Grandis

96 POLIZIA LOCALE Una realtà a serviziodella collettività «dai tempi dell’antica Roma impegnati nella sicurezza urbana»

104 TEST BY TNM MONKEY COMBAT ADMIN POUCH

108 Long Range Shooting 116 Tactical Knife Ontario RTAK II IL CAMP KNIVE disegnato da Jeff Randall e Mike Perrin

120 Tactical Training CPO - programmare una carriera. Il difficile orientamento tra le offerte formative nel settore sicurezza.

142 BOOK

Fotografie ISAF, Department of Defense, Stato Maggiore Esercito, U.S. Navy, NATO Multimedia, The National, Command Special Naval Warfare, Onu Media Press, Michele Farinetti, Marco Buschini, Marco Alberini, Norbert Ciano, Davide Pisenti, Bartosz Szolucha, Stickman Periodico mensile edito da: CORNO EDITORE Piazza della Repubblica n. 6 20090 Segrate - Milano - P.IVA 07132540969 Stampa Postel SpA Via Carlo Spinola, 11 - 00154 Roma Distributore Pieroni Distribuzione Srl Via Vittorio Veneto 28 - 20124 Milano Registrazione Tribunale di Milano n.509 del 27 settembre 2010 Iscrizione al ROC 20844 Partner:

Tutti i diritti di proprietà letteraria, artistica e fotografica sono riservati, ne è vietata dunque ogni duplicazione senza il consenso scritto della Corno Editore


AROUND THE WORLD

a cura di Marco Alberini

Navy SEALs puniti per aver rivelato informazioni segrete ai produttori del videogame “Medal of Honour: Warfighter”. Agli incursori della marina hanno bloccato lo stipendio è hanno ricevuto una lettera di richiamo per aver divulgato materiale “classified”. Alcuni componenti del segretissimo Seal Team VI, incluso un partecipante all’incursione contro Bin Laden, sono stati redarguiti e severamente puniti per aver diffuso informazioni segrete ai designer del gioco Medal Of Honor, in particolare relativamente ad alcuni pezzi dei loro equipaggiamenti, utilizzati esclusivamente dalla loro unità. Ad aggravare la situazione c’è il fatto che nessuno dei marinai aveva ottenuto alcun permesso dal loro comando per poter prendere parte a questo progetto. Tra i primi provvedimenti presi dal comando della marina c’è stata la sospensione dello stipendio e una formale lettera di richiamo. I Navy Seals, sia quelli in attività, sia coloro che si sono ritirati, detengono informazioni delicate circa le tattiche e l’equipaggiamento in uso le quali stanno alla base dei loro successi. Essi sono però obbligati a mantenere un assoluto riserbo per tutta la durata del loro servizio, ma anche una volta restituiti ad altri incarichi. Una fonte militare ha dichiarato che i militari hanno subito una punizione “non giudiziale” e che nell’inchiesta sarebbero coinvolti altri quattro Seal per reati similari. Il comandante del Naval Special Warfare Command, Rear Admiral Garry Bonelli, ha dichiarato che le punizioni “non giudiziarie” sono state comminate per cattiva condotta, ma non ha offerto ulteriori dettagli: “Non noi possiamo tollerare deviazioni su quella che è la nostra politica che governa quello che siamo e quello che facciamo come marinai nella Us Navy”. La punizione inoltre, ha ricordato il comandante, “richiama l’attenzione di tutti a mantenere un alto livello di responsabilità”. I Seal’s, ed in particolare coloro che hanno partecipato alle operazioni di Abbotabbad le quali hanno portato alla morte di Osama bin Laden, sono stati al centro di diversi eventi editoriali dell’anno appena trascorso. Matt Bissonette, che ha paretcipato all’operazione Neptune Spear, in Pakistan, e in seguito congedatosi dai Seal, ha scritto un resoconto di prima mano sotto lo pseudonimo di Mark Owen, ma prima di poter pubblicare (a settembre) ha dovuto attendere il verdetto del Pentagono il quale lo aveva accusato di rivelare dei particolari troppo riservati. La missione per uccidere Bin Laden, un successo completo, ha tuttavia avuto alcuni imprevisti tra i quali la caduta di un elicottero stealth il quale si è schiantato al suolo all’interno del compound che ospitava l’emiro del terrorismo. Lo stesso velivolo è stato poi totalmente distrutto dai membri del team della marina. Il capo dello Naval Special Warfare Command, Rear Admiral Sean Pybus, ha risposto che il libro di Bissonette, riportando certi dettagli, avrebbe messo a rischio la vita di molti famigliari dei Seal.

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Il Generale Giorgio Battisti e il personale del Nato Rapid Deployable Corps ITA (NRDC – ITA) in partenza per kabul Solbiate Olona, 10 gennaio 2013. Si è svolta, alla presenza del Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Biagio Abrate e del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale Claudio Graziano, la cerimonia di saluto al Generale Giorgio Battisti e al personale del Nato Rapid Deployable Corps ITA (NRDC – ITA) che, nei prossimi giorni, sarà impiegato a Kabul, in Afghanistan, nell’ambito della missione ISAF (International Security Assistance Force). Alla cerimonia hanno partecipato, tra gli altri, l’ammiraglio americano James Stavridis, Comandante di tutte le Forze Nato e Statunitensi in Europa (Supreme Allied Commander Europe – SACEUR), che nel suo intervento ha sottolineato come: “l’Italia possieda una profonda conoscenza delle operazioni “expeditionary””, comprendendo appieno l’importanza di possedere delle forze di proiezione da schierare in aree di crisi ed è per questo che ritengo assolutamente appropriato il fatto che il Comando NRDC si trovi proprio qui in Italia”. Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, dopo aver rivolto un doveroso pensiero ai caduti e feriti in operazione, ha ringraziato le autorità civili e militari intervenute, la cui presenza, ha sottolineato il Generale Graziano, “testimonia il forte legame tra le Istituzioni e l’Esercito”. Il Generale Graziano, ha poi indirizzato il suo saluto agli uomini e alle donne di NRDC ITA e, rivolgendosi al Generale Giorgi Battisti, che assumerà l’incarico di Capo di Stato Maggiore del Comando ISAF e di senior national representative per il personale italiano impegnato in Afghanistan, ha detto: “il Generale Battisti e tutto il personale del Comando NRDC si troveranno ad operare in una fase delicata, quella della transizione. Un momento cruciale dell’operazione ISAF che segnerà il punto di svolta dell’impegno internazionale nel 2014”. Il Generale Abrate, nel suo discorso, ha detto: “non dimenticate che il focus delle vostre attività ed il loro reale valore aggiunto si rifletterà sull’abilità delle Forze di Sicurezza Afghane di gestire ed assumere la piena responsabilità della sicurezza del loro Paese”. Il Comando del Corpo d’Armata di reazione rapida della NATO in Italia, costituito l’1 novembre 2001 a Solbiate Olona (VA), è uno dei sette comandi altamente proiettabili dell’Alleanza Atlantica e uno dei due comandi NATO ad alto profilo presenti in Italia. Costituito da personale di nazionalità italiana e da personale straniero proveniente da nazioni alleate quali Bulgaria, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Paesi Bassi, Portogallo, Polonia, Romania, Slovenia, Spagna, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti è impiegato come comando sempre disponibile per interventi multinazionali in aree di crisi in base a quanto stabilito dal Consiglio del Nord Atlantico (Nac-North Atlantic Council).

La Elbit System fornisce il Cardom Artillery System e un nuovo sistema di Osservazione a Lungo raggio al Ministero della Difesa israeliano La Elbit System Land e la C4I Ltd., filiali della Elbit System Ltd. (detta “la Compagnia), hanno recentemente sottoscritto un contratto con il Ministero della difesa israeliano per la fornitura del Cardom Artillery System (conosciuto in Israele come “Keshet”). Il contratto, della durata di sei anni, reso pubblico dalla “Compagnia” il 31 dicembre 2012, fa parte di un’operazione commerciale molto più ampia che prevede un investimento totale di circa 315 milioni di dollari per altri contratti in aree differenti. Uvi Vered, general manager della Elbit System Land e della divisione C4I ha così commentato: “il contratto sottoscritto con il ministero della difesa israeliano attesta la qualità e la maturità raggiunta dal sistema operativo Cardom, sia nell’esercito israeliano, sia nel mondo. Siamo testimoni di una crescita mondiale della domanda per la fortinura di sistemi di artiglieria avanzati e speriamo che nuovi clienti adottino la nostra soluzione”. Il sistema Cardom integra un mortatio da 120 mm con un innovativo controllo di fuoco, navigazione, brandeggio automatico e sistema propulsivo. Considerato uno dei sistema più avanzati al mondo, Il Cardom è operativo non solo presso le IDF, ma anche in diversi eserciti europei e negli Stati Uniti i quali lo hano già impiegato in zone di combattimento. La seconda fornitura riguarda un sistema operativo unico, leggero capace di performance ad alta qualità durante il giorno, la notte e in condizioni di bassa visibilità. La filiale della Elbit Ltd. che si occupana del settore ottico/elettronico, chiamata Elop (Elbit System Elecrto-Optics Elpo Ltd.) ha firmato un contratto con il ministero della difesa di Tel Aviv per la fornitura di un sistema di osservazione a lungo raggio e acquisizione obiettivi. Come per la fornitura del Cardom anche questa operazione è inclusa in un piano economico su vasta scala a diversi paesi e ai loro enti militari.


Israele, Netanyahu: «Allerta per Iran e Siria» Il premier: «Teheran nega la Shoah. Gli ebrei si difenderanno». Israele mantiene la massima vigilanza di fronte alle attività regionali dell’Iran e segue con attenzione la sorte «degli arsenali di armi mortali in Siria, un Paese che va spaccandosi». Lo ha affermato il premier Benyamin Netanyahu, aprendo la seduta settimanale del Consiglio dei ministri il 27 gennaio. «DOBBIAMO ESSERE VIGILI E FORTI». Netanyahu ha osservato che il «Medio Oriente non aspetta l’esito delle elezioni in Israele» e dunque mentre lo Stato ebraico è impegnato nella costituzione di un nuovo governo, nelle sue vicinanze continuano a svilupparsi processi potenzialmente pericolosi. «Dobbiamo essere vigili e forti», ha aggiunto. «Per questa ragione cercherò di costituire un governo il più ampio e più forte possibile». LA MINACCIA SIRIANA. Mercoledì 23 gennaio i responsabili israeliani alla sicurezza hanno tenuto una consultazione straordinaria dedicata alla situazione in Siria e al pericolo che gli arsenali di armi chimiche cadano in mani di organizzazioni islamiche radicali. Lo stesso Netanyahu, giorni fa, ha compiuto un sopralluogo sulle alture occupate del Golan.«L’ANTISEMITISMO NON È CAMBIATO». L’allarme del premier è giunto nel Giorno della Memoria. «L’antisemitismo non è scomparso e la volontà di distruggere Israele esiste ancora», ha ricordato. E, riferendosi a Teheran, ha fatto notare come «la negazione della Shoah» venga portata avanti con impegno da uno Stato, «e non più da elementi marginali. Da un popolo i cui leader si esprimono in quel senso sia alle Nazioni Unite sia altrove, evocando peraltro la fine dello Stato degli ebrei». «Costoro», ha detto ancora Netanyahu, «non cessano la corsa agli armamenti nell’intento di dotarsi di armi atomiche e con lo scopo di utilizzarle». Poi ha concluso assicurandoche il governo sventerà le minacce. «La volontà di sterminare il popolo ebraico non è cambiata. A cambiare», ha concluso, «è la capacità degli ebrei di difendersi: nessuno difenderà gli ebrei meglio di quanto possano fare essi stessi»

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Il Generale Graziano visita i reparti della brigata Pinerolo in Puglia. Roma, 15 gennaio 2013. Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale di Corpo d’Armata Claudio Graziano, ha completato oggi la sua visita ai reparti della brigata meccanizzata “Pinerolo” in Puglia. Accompagnato dal Generale di Corpo d’Armata Vincenzo Lops, Comandante del 2° Comando delle Forze di Difesa, il Generale Graziano ha visitato il Comando Brigata dove il Generale Carlo Lamanna, Comandante dell’Unità, ha illustrato le principali attività addestrative e operative in corso.

I tagli nell’esercito condannano il “Nizza Cavalleria”: il reggimento lascerà Pinerolo per Bellinzago, a rischio anche il gruppo elicotteri A.L.E. “Toro”. Il Generale Claudio Graziano, 57 anni, di Torino, tra i principali fautori nel 1993 del “nuovo modello di difesa” che ha condannato numerosi reparti storici all’oblio, ha deciso il trasferimento del Nizza Cavalleria dalla sua storica sede di Pinerolo a Bellinzago. Il celebre reparto, oggi inquadrato nella brigata alpina Taurinense, aveva già rischiato in passato di essere soppresso, in particolare quando proprio nel 1993 il generale Bonifazio Incisa di Camerana aveva decretato la fine della storica Brigata Cremona. Un reparto prestigioso che rischia di scomparire è quello di Venaria, il Gruppo Toro dell’Aviazione Leggera dell’Esercito, oltre alla chiusura della direzione di medicina legale militare ancora presente a Torino. “Il piano è già dettagliato” – hanno dihiarato allo Stato Maggiore – “ma non è definitivo. È finale per le unità da chiudere da qui al 2016, ma ci possono essere trasformazioni in corso d’opera”.

Al termine del briefing, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ha incontrato il personale militare e civile della Brigata e del dipendente Reparto Comando e Supporti Tattici al quale ha espresso parole di soddisfazione per le numerose attività condotte all’estero e sul territorio nazionale. Nel corso della visita, il Generale Graziano ha incontrato, al “Palazzo di Città”, il sindaco della città Bari, dott. Michele Emiliano, con il quale sono state discusse possibili ulteriori sinergie tra l’Esercito e la Città di Bari. Ad Altamura, il Generale Graziano, dopo aver salutato i bersaglieri del 7° reggimento e visitato le infrastrutture del reparto, ha assistito, presso il poligono di Tor di nebbia, a un’esercitazione condotta dal personale del reggimento che ha in dotazione il Veicolo Blindato Medio “Freccia”. La visita è poi proseguita a Foggia, dove sono di stanza il 21° reggimento artiglieria terrestre “Trieste” e l’11° reggimento genio guastatori e a Barletta, presso l’82° reggimento di fanteria “Torino” da poco rientrato dall’Afghanistan. La Brigata meccanizzata Pinerolo, rientrata recentemente dal Libano, è attualmente impegnata nell’Operazione “Strade Sicure” in Campania, con il 9° reggimento di fanteria “Bari” nelle città di Napoli e Caserta e in Afghanistan, dove opera una compagnia equipaggiata con i veicoli blindati “Freccia”.


Agenti del Mossad tre le unità di al-Qaida che hanno attaccato il campo di Yarmouk La battaglia infuriata il 9 dicembre nel campo profughi palestinese di Yarmouk (a sud di Damasco) ha rivelato nuove alleanze. L’obiettivo strategico era coinvolgere i palestinesi nella guerra in Siria, mobilitandoli su base confessionale (per lo più sunniti) contro il regime laico. Ma non diversamente del Libano nel 2007, quando i mercenari di Fatah al-Islam habbo cercato di mobilitare i palestinesi di Nahr al-Bared contro Hezbollah, i rifugiati non si sono lasciati manipolare. Elementi di Hamas, favorevoli a Khaled Meshaal, hanno lasciato entrare i combattenti del Fronte al-Nusra (ramo levantino di al-Qaida) nel campo, in cui si sono scontrati soprattutto con gli uomini del FPLP (nazionalisti e marxisti). Ora sembra che tra i combattenti di al-Qaida non ci fossero solo degli estremisti islamici, ma comprendessero anche agenti del Mossad israeliano. Avevano piani specifici per “sistemare” i leader delle altre fazioni palestinesi ed eliminarli. Non trovandoli, hanno lasciato che gli altri membri di al-Qaida saccheggiassero sistematicamente gli appartamenti vuoti di questi leader. Dopo una settimana di pesanti combattimenti, gli elementi di al-Qaida-Mossad si sono ritirati in buon ordine e il campo è stato dichiarato “zona neutra”. Dei 180000 abitanti, circa 120.000 sono fuggiti dal campo su richiesta delle autorità siriane, e sono stati trasferiti a Damasco. La maggior parte è tornata a casa.

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Egitto: Morsi proclama lo stato di emergenza in tre città 26 Gennaio 2013 - Il presidente egiziano Mohamed Morsi ha proclamato lo stato di emergenza a Port Said, Suez e Ismailiya dopo le violenze di questi giorni. Lo ha annunciato lo stesso Morsi nel corso di un discorso trasmetto in diretta dalla tv di Stato. Nelle città è in vigore un coprifuoco dalle 21 alle 60 “Avevo promesso di non prendere misure straordinarie a meno che non fossi stato costretto, e ora lo sto facendo ha detto Morsi apparendo in tv dopo quattro giorni di violenze - Dichiaro lo stato di emergenza nelle città di Ismailia, Suez e Port Said per trenta giorni” a partire dalla mezzanotte locale. “La protezione della nazione

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è responsabilità di tutti. Noi affronteremo ogni minaccia alla sua sicurezza con forza e fermezza, nel rispetto della legge”. Le proteste sono scattate durante i funerali delle 31 vittime delle violenze che si sono scatenate subito dopo la lettura della sentenza di condanna a morte di 21 imputati accusati di omicidio nel massacro che nello stadio della città il 2 febbraio dello scorso anno costò la vita a 73 supporter della squadra del Cairo el Ahly. Mentre il corteo funebre sfilava per le vie della città alcuni partecipanti hanno lanciato sassi contro un vicino commissariato.

Sono risuonati colpi di arma da fuoco secondo alcuni testimoni e la polizia ha lanciato gas lacrimogeni. In poco tempo per le strade di Port Said si sono riviste le scene di violenze urbane di ieri 26 gennaio, che si sono poi spostate davanti ad un altro commissariato e alle sedi dei club dell’esercito e della polizia che sono stati dati alle fiamme. Sette i morti di questi ultimi scontri mentre la città si è ritrovata unita nell’accompagnare le bare nel funerale. Decine di migliaia di persone sono scese in strada, solcate dal lungo corteo di bare scoperte,


Corea del Sud ordina 8 elicotteri AW159

secondo il costume islamico. Sono risuonati slogan contro i Fratelli musulmani e contro Morsi.

Il Governo della Repubblica di Corea (Corea del Sud) ha scelto l’elicottero militare AgustaWestland AW159 per soddisfare il requisito di un nuovo elicottero navale. Il programma, che prevede la fornitura di otto AW159 per la Marina Militare della Repubblica di Corea, insieme ad un completo pacchetto di supporto e addestramento, ha un valore complessivo pari a circa 560 milioni di dollari. Di tale importo, la quota di competenza di AgustaWestland ammonta a circa 270 milioni di euro.

Gli ultras del club locale di el Masri, le aquile verdi, hanno denunciato il silenzio ufficiale sulle morti di ieri, hanno chiesto una inchiesta immediata del ministero dell’Interno e minacciato di boicottare le prossime elezioni.

Le consegne dei velivoli inizieranno nel 2015 e si concluderanno nel 2016. Gli AW159 eseguiranno diversi tipi di missione, sia da terra sia in modalità imbarcata, quali operazioni antinave, antisottomarino, ricerca e soccorso, sicurezza e sorveglianza marittima. Si tratta della prima affermazione sul mercato dell’export per questo modello di elicottero di nuova generazione, che rappresenta l’ultima evoluzione della famiglia multiruolo Lynx. L’AW159 è stato già ordinato in 62 esemplari dal Ministero della Difesa del Regno Unito per il British Army e la Royal Navy.

Tafferugli con lancio di molotov e lacrimogeni si sono susseguiti per tutta la giornata anche nel centro del Cairo bloccando uno dei ponti che poi sfocia in piazza Tahrir, mentre scontri si sono rivisti anche a Suez attorno alla prigione della città e in serata nuovamente ad Alessandria.

“Questo successo – sottolinea Giuseppe Orsi, Presidente e Amministratore Delegato di Finmeccanica – in un Paese attento al ruolo della Difesa come la Corea del Sud, testimonia ancora una volta l’importanza della strategia di Finmeccanica volta ad effettuare continui investimenti per lo sviluppo di nuove tecnologie e nuovi prodotti in grado di soddisfare i più stringenti requisiti della clientela. Siamo certi che, grazie a questo significativo risultato conseguito in Corea del Sud, ulteriori opportunità potranno essere colte in futuro per questo modello di elicottero in altri mercati”.


only FOR GOOD GUYS

HK45 TACTICAL Nuovo modello per il 2013 Originalmente sviluppata al fine di fornire le forze armate USA di un’arma corta con caratteristiche di precisione e finiture proprie di una pistola da competizione di nuova generazione, la nuova HK45, versione Tactical, viene fornita di serie con una canna filettata in volata e un set di mire al trizio a tre dot di indubbia validità nel tiro, in condizioni di scarsa luminosità. La full size HK45 Tactical (HK45T) si caratterizza, come consuetudine ormai sulla gran parte delle moderne armi da fianco, per avere un fusto polimerico, peraltro disponibile in tre diverse colorazioni (nero, tan, verde) avente dorsalini intercambiabili e un grip fortemente ergonomico con incavi per le dita e superfici trattate con pattern anti scivolo. Le HK45T saranno prodotte in siti di produzione dislocati sul territorio statunitense impiegando componentistica proveniente esclusivamente dagli USA o dalla casa madre sita in Germania. Contestualmente allo sviluppo della nuova HK45T, la HK ha sviluppato un nuovo funzionale sistema di riduzione del rinculo, articolato sull’impiego in tandem di una molla di riarmo carrello ed un bushing polimerico. Il tutto nell’ottica di assorbire l’energia di rinculo derivante dallo sparo con beneficio, ovviamente, per l’operatore e l’arma stessa che, conseguentemente, risulterà più stabile anche in sequenze di fuoco celeri. Inoltre, grazie all’adozione di tale sistema di riduzione del rinculo disporrà verosimilmente di una vita operativa più lunga, in ragione della riduzione dello stress meccanico cui risulta soggetta. Completa la suite di innovazioni dell’arma, la presenza di un o-ring coassiale alla canna avente lo scopo di favorirne il perfetto centraggio col carrello in fase di chiusura in battuta dello stesso. Anche in questo caso una soluzione che contribuisce a migliorare il livello di precisione di tiro dell’arma. Si può concludere affermando che la HK45 T, grazie alle caratteristiche tecniche menzionate e alla possibilità di montare ben nove differenti tipologie di scatto, tra cui il ben noto LEM” (Law Enforcement Modification), risulta indubbiamente un’arma corta in grado di trovare applicazione pratica sia nel mondo militare e del law enforcement, sia in quello civile e addirittura sportivo.

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a cura di MIRKO GARGIULO

Luminox Recon Point Man - Nuova Serie Recon di Luminox Recon e l’abbreviazione di RICOGNIZIONE. Un termine comune usato dai militari per l’esplorazione osservazione e ricerca forze nemiche. La serie RECON di Luminox è stata progettata in collaborazione con Andrea Micheli, istruttore della Swiss Army Military Security Specializzato nella ricognizione. Gli orologi della Serie Recon sono caratterizzati da un quandrante con una seconda zona di colore. Ghiera girevole unidirezionale con riferimenti della bussola, vetro in cristallo di zaffiro antiriflesso e antigraffio, dispone inoltre di una scala tachimetrica in Km/orari. Come tutti i luminox ha il sistema di illuminazione al trizio sempre visibile. Gli orologi sono contenuti in un contenitore tattico MOLLE. L’orologio è denominato Point Man in quandrante.

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LA NUOVA GENERAZIONE DELLE ARMI DEL DOMANI: L’SRS-A1/ DESERT TACTICAL ARMS La Desert Tactical Arms, dopo lunga attesa, ha recentemente annunciato la disponibilità di una nuova release del ben noto SRS RIFLE SYSTEM. Nello specifico la nuova versione, denominata SRS-A1, risulta di fatto una ulteriore evoluzione tecnologica articolata sulla componentistica e soluzioni tecniche adottate sul sistema SRS, il tutto al fine di aumentare ulteriormente le già eccellenti performances operative e funzionali. Caratteristiche della versione A1 • poggia guancia realizzato in gomma morbida e resistente, regolabile agendo semplicemente su due viti a brugola; • calciolo con lunghezza modificabile a mezzo spessori modulari il cui montaggio e smontaggio avviene senza l’uso di alcun attrezzo, bensÏ sfruttando una interfaccia di montaggio specificamente realizzata. Il tutto con lo scopo di regolare agevolmente la lunghezza dell’arma secondo le esigenze del tiratore per il quale migliora il confort di tiro e la resa operativa; • calciolo realizzato in materiale idoneo al fine di assorbire www.deserttacticalarms.com buona parte del rinculo dell’arma e quindi una migliore gestione durante le fasi di tiro: un perfetto mantenimento della stessa in posizione permesso anche grazie all’adozione di una superficie posteriore del calciolo con pattern grippante; • sistema RIS modulare di nuova concezione il quale, sfruttando idonee predisposizioni distribuite per tutta la lunghezza dello chassis, consente all’operatore di posizionare le slitte weaver laterali ed inferiori laddove egli ritenga necessario, senza gravare l’arma di pesi aggiuntivi inutili. Come nelle precedenti versioni, anche nella versione A1 resta la presenza di una slitta a tutta lunghezza montata sulla parte superiore dell’arma.

SureFire M720 V Raid BK Ultimissima generazione di torcia tattica per arma Led 150 Lumes + IR 240 milliwat La M720 V raid Weapons Light è in assoluto la pù avanzata torcia tattica per arma. La torcia può funzionare sia come sistema di illuminazione classico grazie al Led da 150 lumens regolabile su tre livelli di potenza Hight 150 Lumens - Media 75 lumens Bassa 15 lumens, sia come sistema di illuminazione IR grazie al potente emettitore IR da 240 milliwat modificabile anche questo su tre livelli di potenza Highr 240 Milliwat, media 100 Milliwat, Low 6 Milliwat. L’autonomia di illuminazione è di 1,8 ore alla potenza massima. Usata come sistema IR l’autonomia è di 8 ore alla potenza massima. Costruita interamente in alluminio CNC forgiato dal pieno. Attacco arma integrato per slitta Rail Picatinny. Funziona con due batterie al litio tipo CR 123 Fornite in dotazione.

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uanti pensavano che l’offensiva islamista fosse ormai contenuta, oppure affievolita dalla scomparsa di numerosi suoi numeri uno, sbagliava di grosso. Al Qaeda ha solo spostato geograficamente i suoi obiettivi andando a infiammare una zona del mondo dove gli equilibri sono sempre stati molto fragili: l’Africa. Questi primi mesi del 2013 hanno raccolto già le prime vittime in Mali dove, da giorni, si è scatenata una feroce guerra tra gruppi islamisti supportati da al Qaeda e l’esercito del Mali appoggiato da un congruo numero di truppe francesi e africane (quest’ultime sotto l’egida dell’ONU). Per comprendere quanto stia succedendo occorre, tuttavia, fare qualche passo indietro in modo da fare chiarezza su una zona del mondo che viene spesso, erroneamente, dimenticata dai governi mondiali. La terra africana è sinonimo di tante cose: possibilità, investimenti, risorse minerarie, ma anche di

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disperazione, lotte tribali, violenza e corruzione. Analizzate tutte queste contraddizioni ne risulta un quadro abbastanza chiaro, soprattutto per chi trasforma le contrapposizioni di un paese in terreno fertile ove apporre il suo controllo: il terrorismo islamista non ha evidentemente perso tempo, ha comunque colmato un vuoto di potere lasciato da chi “non ha ritenuto importante occuparsi della questione”!

procurato alle frange estremiste jihadiste un sostanzioso numero di mezzi e armi. Le bande armate Tuareg si sono infine unite ai gruppi islamisti di Ansar al Din il quale ha forti legami nel Maghreb con il gruppo AQIM (al Qaeda in Maghreb) e MUJAO (Movement for Unity and Jihad in West Africa). Per alcuni esperti sembra che qualche infiltrazione si abbia anche da parte del gruppo nigeriano di Boko Haram, ma non è stato attualmente suffragato da prove La guerra sta mettendo concrete. La rete di informazioni e scambio di uomini che unisce in ginocchio la questi diversi gruppi terroristici popolazione africana è davvero fitta; J. Peter Adam, che già, prima del analista delle questioni africane per l’Atlantic Council di Washington, conflitto, viveva in ha recentemente svelato come, ad condizioni precarie esempio, il capo del gruppo MUJAO, Omar Ould Hamah, si sia trasferito dal gruppo AQIM per diventare L’origine dell’offensiva islamista portavoce di Ansar Dine e infine nel Mali è da ricercarsi nelle leader indiscusso del MUJAO”. vicende che hanno sconvolto la Un altro fatto che ha sorpreso Libia nel 2012: la guerra combattuta gli ufficiali francesi riguarda la contro il leader Ghedaffi ha, infatti, repentina trasformazione delle


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forze islamiste del Mali in una organizzata ed efficiente forza combattente. Secondo l’analista Bill Roggio, portavoce della Foundation for the Defense of Democracies di Washington, gli integralisti hanno tratto il massimo vantaggio dalla ribellione libica, inoltre sono stati capaci di accumulare un’ingente quantità di danaro dalle azioni di rapimento di stranieri (una fonte del New York Times ha stimato che il guadagno dei terroristi in questo settore è stato di circa 90 milioni di dollari) e dal traffico di stupefacenti. La loro unione e comunicazione – sempre secondo lo studioso americano – è inoltre rafforzata da alcuni legami parentali e da politiche matrimoniali tribali opportunamente studiate. A questi fattori decisivi dobbiamo aggiungere una certa instabilità dell’esercito del Mali e del governo: le forze islamiste sono riuscite, infatti, a porre sotto il loro controllo buona parte del paese, facilitati anche dall’indifferenza della politica occidentale. Già nell’estate del 2009 il Maghreb era stato oggetto di un preoccupante aumento di attentati e attacchi di al Qaeda sia agli occidentali, sia alle forze governative. Nel giro di un mese i gruppi islamisti avevano rivendicato la morte di un ostaggio britannico, l’uccisione di un operaio americano in Mauritania e di un ufficiale dell’esercito del Mali. I terroristi avevano, inoltre, attaccato una pattuglia dell’esercito maliano nel deserto del nord eliminando una dozzina di soldati e catturandone altri. Secondo il CTC (Combating Terrorism Center) di West Point i principali obiettivi di AQIM sono eliminare l’influenza occidentale in tutta la regione nordafricana, destituendo tutti i governi “infedeli” (Algeria, Libia, Mali, Mauritania, Marocco e Tunisia) per sostituirli con la rigida applicazione della Sharia islamica. L’espansione degli islamisti in nord Africa,

e particolarmente l’attacco nel Mali del 2012, ha messo in apprensione anche il governo americano il quale ha espresso viva preoccupazione per eventuali attacchi provenienti da quella particolare frangia di al Qaeda. Pochi giorni fa, con il numero di TNM ancora in lavorazione, e precisamente l’11 gennaio 2013, il governo francese ha optato per una risposta militare ai terroristi di Ansar al-Din; lo scopo principale è quello di assicurare l’equilibrio politico del settore e, non ultimo, salvaguardare la sicurezza di

circa 5.000 cittadini francesi che lì vivono da diverse generazioni. Il presidente François Hollande ha ordinato l’avvio dell’operazione Serval dove, nelle prime fasi, alcuni elicotteri dell’Armée de Terre – Gazelle HOT e Gazelle equipaggiati con cannonincini da 20 mm del 4° reggimento Elicotteri delle Forces Spéciales (4eme RHFS), hanno intercettato e distrutto alcuni autoveicoli nemici che si dirigevano vero Konna, non lontano dalla città di Mopti. Nella note tra l’11 e il 12 gennaio quattro Mirage 2000D del gruppo aereo “Epervier” TNM ••• 21


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hanno effettuato alcuni raid nel nord del paese atterrando poi all’aeroporto di N’Djamena dove si trovano attualmente anche due Mirage F1CR, sei Mirage 2000D, tre C135, un C130 e un Transall C160. Simultaneamente nel Ciad un raggruppamento di 200 soldati si preparavano a raggiungere Bamako; la forza di terra è composta da dei “marousin” (truppe anfibie) del 21° Reggimento di fanteria di marina e un plotone di legionari del 1° Reggimento straniero di cavalleria (1er REC). Ovviamente l’incursione aerea francese ha causato numerose vittime, tuttavia i risultati ottenuti non sono stati quelli sperati. Il tenente colonello maliano Diarran Kone ha riferito che numerosi civili e soldati del Mali sono stati uccisi, ma che anche i terroristi hanno sofferto pesanti perdite; fonti francesi hanno invece riportato la perdita di un pilota. L’Eliseo, per TNM ••• 22

voce dell’ammiraglio Guilaud, ha affermato che l’offensiva aerea non verrà fermata e che presto le forze speciali raggiungeranno l’esercito del Mali per fermare l’avanzata di AQIM verso Konna, una città importante che non deve essere assolutamente perduta. La reazione americana è stata molto prudente soprattutto quando si è vociferato di un’eventuale invio di soldati: il segretario della difesa Leon Panetta, da Lisbona, ha subito specificato che la Casa Bianca supporterà l’azione francese, ma che non ha alcuna intenzione di inviare reparti di terra in Africa, se non a sostegno logistico (il 23 gennaio, C-17 americani hanno, infatti, scaricato 140 tonnellate di materiali ed equipaggiamenti, più un’ottantina di uomini). L’opinione pubblica a Parigi parla già di una sorta di Afghanistan francese e, da come stanno evolvendo le cose, si intuisce che la situazione

è in peggioramento. La guerra sta mettendo in ginocchio la popolazione africana che già, prima del conflitto, viveva in condizioni precarie; gli sforzi per ottenere un cessate il fuoco fino adesso sono stati vani e i danni, compresi quelli alla città storica di Timbuktu, oramai non si contano più. Le ultime notizie diffuse da fonti ufficiali aprono, però, uno spiraglio di speranza poiché l’ala più moderata dei gruppi terroristici che occupa il Mali del nord ha lasciato intendere la disponibilità a trattare con i francesi. Il Movimento islamico dell’Azawad si è, infatti, staccato dal nucleo più estremo di Ansar al-Din, prendendo chiaramente le distanze da ogni forma di estremismo e chiedendo, inoltre, alle truppe francesi di non attaccare le città di Kidal e Menaka, località strategicamente importanti. Anche noi di TNM attendiamo gli eventi…


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un assetto necessario di Ferruccio Milanesi no degli strumenti che negli ultimi anni si è affiancato agli asssetti più tradizionali delle forze armate degli Stati Uniti nei teatri operativi iracheno ed afghano, è lo Human Terrain System (HTS). Il programma, sviluppato inizialmente dal Department of Defense (DoD) nel 2005 ed implementato a partire dal 2007, si inquadra perfettamente in quella che è la recente dottrina della Counter-Insurgency (COIN), come definita dal manuale FM 3-24 del 2006. Gli scenari di conflitto asimmetrico, che vedono spesso la presenza di gruppi di insorti con un rapporto fluido e dinamico con la popolazione locale, da cui eventualmente provengono ed all’interno della quale si mescolano o trovano riparo e supporto, impone allo strumento militare di dotarsi di nuovi obiettivi e strumenti. Alla distruzione di specifici elementi o assetti delle forze nemiche o al controllo su determinate aree strategiche, così si affianca (e in parte si sostituisce) la concezione della componente umana come centro di gravità che consente

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il raggiungimento degli obiettivi della missione. Lo scopo primario diviene disarticolare la connessione tra insorti e popolazione locale, facendo sì che sia proprio quest’ultima ad isolare gli elementi pericolosi o a combatterli attivamente. Ma l’ottenimento del supporto popolare è un concetto molto più sfuggente e non quantificabile nella pianificazione militare, come possono essere i numeri delle forze nemiche o la qualità e quantità dell’armamento di cui esse dispongono. Modificare o influenzare l’atteggiamento della popolazione locale impone dunque strumenti affatto differenti da quelli classici della dottrina militare, e in particolate la conoscenza della popolazione stessa, del suo nucleo di valori e delle sue specifiche caratteristiche di natura economica, sociale e culturale. In tal senso, l’apparato militare statunitense già dalla Seconda Guerra Mondiale aveva previsto l’implementazione di una “Military Anthropology”, con la collaborazione attiva di più o meno rinomati scienziati sociali per l’elaborazione

e la definizione della dottrina, la stesura e revisione di pubblicazioni, la formazione pre-deployment dei militari o per effettuare studi d’area legati a specifiche necessità strategiche. Più recentemente, però, data la mutazione dello scenario dei conflitti, tale rapporto si è intensificato tanto da prevedere il contributo attivo di due antropologi (David Kilcullen e Montgomery McFate) alla stesura del manuale COIN FM 3-24 e diversi sono gli studiosi che collaborano alla definizione dello Human Terrain System (diretto discendente dell’approccio COIN). All’interno dell’acronimo HTS, infatti, si comprime la novità di non impiegare gli scienziati sociali solo con compiti eseguibili in patria, come formatori o


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advisors, ma di inviarli direttamente nei teatri operativi, in attività che li vedano boots on the ground, con reale mobilità sul territorio e eventualmente anche inseriti in pattuglie. In genere gli assetti HTT (Human Terrain Team) sul terreno sono composti da cinque elementi: tre militari e due civili, embedded nelle unità militari presenti nei teatri operativi, soprattutto a livello brigata. Allo stesso tempo, unità HTAT (Human Terrain Analysis Team) sono invece impiegate a livello divisionale e si occupano di collazionare la mole di reports provenienti dai field teams e di analizzarla al fine di produrre testi di più ampio respiro volti a supportare il processo decisionale. La missione primaria, come definita dallo stesso Human Terrain Handbook, è

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di “condurre ricerca sociale opensource, operativamente rilevante, e fornire ai comandanti ed allo staff a livello di reggimento, brigata e divisione una capacità embedded di acquisire conoscenza, per stabilire un framework culturale analitico per la pianificazione operativa, l’attività decisionale, la valutazione”. Gli antropologi e sociologi sono impiegati pertanto in funzione di supporto alle forze sul terreno, nella loro specifica qualità di ricercatori sociali, per fornire quella necessaria conoscenza

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dell’ambiente in cui si opera e della cultura delle popolazioni locali (Cultural Awareness) al fine di poterla efficacemente integrare con le altre variabili nella valutazione dei rischi e nella pianificazione delle operazioni militari. Dal punto di vista pratico, le ricerche sociali ed etnografiche sul campo sono condotte utilizzando le diverse metodologie proprie delle scienze sociali (soprattutto interviste aperte o semi-strutturate, questionari ed osservazione partecipante). In tal senso, a puro titolo di esempio,

si possono collocare l’analisi nel dettaglio di questioni come la composizione religiosa di una specifica area, l’appartenenza etnica dei diversi gruppi presenti o coinvolti in un conflitto, la scolarizzazione, la percezione da parte della popolazione locale delle Coalition Forces o la loro preferenza nella fruizione dei media locali (se sono soliti affidarsi alla radio oppure alla carta stampata o ancora alla tv). Questi elementi, apparentemente non direttamente connessi ad una


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operazione militare di tipo classico, in un’ottica di Counter-Insurgency e di Comprehensive Approach sono identificati con topics altamente strategici, racchiusi nell’acronimo ASCOPE (Area, Struttura, Capacità, Organizzazioni, Persone, Eventi), che si combinano quindi all’interno di un’analisi più ampia per definire la mappatura completa dell’environment – la cosiddetta Cultural Preparation of the Environment (CPE). Il tutto per evitare gli errori che l’apparato militare americano ha sperimentato

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in passato e che hanno condotto ad ottenere risultati opposti a quelli sperati in termini di numero di morti civili, stabilità e sicurezza. Essendo presente sul campo, il team HT svolge per le altre truppe in azione il ruolo di “cultural advisors”, agendo come “mediatori culturali” in diverse situazioni potenzialmente esplosive, formando il personale sulle corrette procedure da mettere in opera nei diversi contesti e riducendo il rischio che con il turn-over si perda tutto il bagaglio acquisito di esperienze e relazioni. Ciò può partire dalla spiegazione delle basilari norme comportamentali dell’area in cui si opera, i DO AND DON’Ts quali: chi e come si deve salutare entrando in un villaggio, come entrare in una abitazione, i temi da evitare assolutamente durante una conversazione con i locali. Questioni non di secondaria importanza, se si pensa per esempio al teatro afghano, dove i concetti di rispetto, onore e vendetta propri della cultura Pashtun sono legati da una relazione così stretta che anche una (apparentemente) lieve mancanza di un singolo soldato (scendere dal mezzo per urinare senza notare se nelle vicinanze vi siano delle abitazioni o delle donne che potrebbero vederlo) potrebbe alla fine della giornata risolversi in un attacco alla pattuglia, come ritorsione per la violazione dell’onore delle donne del villaggio. Un ruolo quindi volto a smorzare le occasioni di conflitto, formando i grunts ma anche affiancando il quadro ufficiali, interfacciandosi personalmente con i leaders locali e cercando di mediare qualora vi sia il richio che un misunderstanding culturale stia per degenerare in tensione o scontro. In tal senso, un altro o scopo della presenza del team HT sul terreno è la riduzione del numero di azioni cinetiche (secondo alcuni si è già avuta addirittura del 60-70%), anche attraverso una attività di “modellazione del contesto” (shaping the environment) in cui si agisce. Un obiettivo cui

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si tende attraverso la costante interazione con la popolazione, con un atteggiamento amichevole ed empatico volto a stabilire un rapporto positivo basato su comprensione e fiducia, per “plasmare” il contesto a proprio favore. Un atteggiamento di apertura verso i locali che si affianca a quello di assetti Civil Affair (CIMIC in ambito NATO) e Psyops, con cui i team HT in molti casi hanno operato, soprattutto in concomitanza con i MEDCAP/VETCAP organizzati nei villaggi, per creare un effetto di ridondanza e rafforzare la percezione che le Coalition Forces siano realmente vicine ai locali e interessate ai loro bisogni e necessità. Se l’impiego di antropologi in ambito militare può essere teoricamente un valido supporto al comandante della missione, la reale capacità di determinare un successo risiede però, oltre che nella professionalità dello stesso team HT, nella possibilità di condurre ricerche che possano almeno minimamente definirsi scientifiche. Il limite, nei teatri operativi come quello afghano, è insito nella possibilità di operare outside the wire e di sviluppare un contatto proficuo con la popolazione: laddove il contesto è di aperto conflitto è quasi impossibile condurre ricerche sociali. Pertanto, e non solo in ambito HTT, la soluzione operata da alcuni teams può consistere nell’intervistare solo il personale locale che lavora all’interno delle basi, il quale ha già da tempo imparato cosa vogliono i militari e quali sono quindi le risposte che deve dare. In casi ancora più estremi, i ricercatori sono costretti a effettuare una “analisi dal parabrezza” (windshield analysis), limitandosi ad osservare ciò che avviene nei villaggi o nelle città stando rinchiusi all’interno dei veicoli blindati. In questo caso l’occhio esperto dell’antropologo, pur potendo rilevare alcuni pattern comportamentali, ruoli e dinamiche non facilmente individuabili da altre figure, non basta certo a colmare il gap informativo che si viene a creare. Un altro limite alla completa riuscita

dello HTT è il caso in cui il team lavori in uniforme, o sia accompagnato da altre squadre visibilmente armate: l’uniforme agisce sempre e comunque da filtro, orientando la percezione dell’intervistato e identificando automaticamente il ricercatore dell’HTT come un membro della forza di manovra. La possibilità che un’intervista sia percepita dai locali come un’interrogatorio o un modo “soft” per ottenere informazioni sensibili, risulta molto elevata. In tal senso va specificata la differenza tra Human Terrain System (HTS) e Human Intelligence (HUMINT). Sebbene anche l’HTS possa fornire dati utili per una analisi di tipo intelligence, e si collochi spesso anche fisicamente all’interno dei Fusion Center, l’attività dello Human Terrain (almeno in teoria) non è legata all’intelligence né deve esser così percepita dalla popolazione, pena il fallimento totale della sua funzione. La differenza principale consiste sia nell’oggetto, sia nel


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fine: lo Human Terrain non affronta tematiche legate specificamente alla sicurezza, non si addentra in “tactical questioning” (nominativi di insurgents e loro localizzazione, relazioni familiari ed etniche di questi ultimi, traffico e impiego di armi ed esplosivi etc.) né il suo fine è di produrre relazioni classificate che possano influire direttamente sul targeting degli insorti. Al contrario (sempre in teoria, perché nella pratica può dipendere da numerosi fattori, di tipo istituzionale o legati al passato del singolo antropologo coinvolto) lo Human Terrain deve condurre ricerche su fonti open-source o direttamente con la popolazione, ma per accrescere in maniera generale la conoscenza dei fattori culturali, sociali, religiosi, eliminando dai risultati ciò che contribuisca a identificare specifici individui o figure. Il fine è di produrre documenti che dovrebbero essere a loro volta non “classificati” e traducibili in raccomandazioni pratiche che influenzino il Course of

Action del comandante, migliorino il rapporto delle Coalition Forces con la popolazione e contribuiscano quindi al successo della missione. Inoltre, nello HTT il singolo scienziato svloge sia il lavoro di Collector che di Analista, ruoli teoricamente separati nel ciclo di Intelligence. Che poi la descrizione del contesto in cui operano i gruppi di insorti possa costituire una base per meglio comprendere dove questi potrebbero cercar rifugio, preparare attacchi o addestrarsi, questo è un discorso differente. Avendo avuto la possibilità di osservare il loro lavoro sul campo, posso affermare che gli assetti HT, nonostante le critiche (in ambito accademico e militare) hanno una capacità notevole in termini di analisi, avvalendosi di specialisti del settore e non di semplici militari con un corso di qualche settimana alle spalle. Al contempo, la libertà di movimento di un piccolo team il quale opera alla luce del sole, in abiti civili e slegato dai rigidi vincoli che limitano/regolano le uscite

dei mezzi militari, fa sì che essi possano svolgere ricerche mirate in tempi anche brevi, in luoghi a volte inaccessibili ai militari in divisa e con risultati più affidabili. È dunque un assetto che gioverebbe molto anche alle forze italiane, soprattutto considerando che non servirebbe attrezzare reggimenti specifici, ma solo implementare la funzione all’interno di alcuni di essi, utilizzando specialisti (in spe o riservisti) che abbiano un solido background di scienze sociali, ma che conoscano anche le questioni militari e soprattutto sappiano “stare sul terreno”. Dal momento che, sebbene i compiti siano diversi, i rischi sono gli stessi per tutti, come dimostrano i tre caduti del progetto HT: Michael Vinay Bhatia (ucciso da uno IED nel 2008 in Afghanistan), Nicole Suveges (uccisa dallo scoppio di una bomba in Iraq nel 2008) e Paula Loyd (morta nel gennaio 2009 dopo essere stata arsa viva in un villaggio afghano). TNM ••• 29


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è un nostro connazionale l’unico Istruttore non israeliano che insegna Counter Terrorism in Israele A CURA DELLA REDAZIONE

Abbiamo avuto la fortuna di intervistare Manrico Erriu, specialista di Counter Terrorism che vive ed esercita la sua professione in Medio Oriente e il Regno Unito. Nato in Italia nel 1974, inizia a viaggiare all’estero nel 2000, attività grazie alla quale sviluppa conoscenze personali internazionali, dapprima in Giappone poi in Spagna, nel Regno Unito, in Israele e in altri paesi. Lascia definitivamente l’Italia nel 2008 trasferendosi in Spagna. Costruisce nel tempo un curriculum ricco di esperienze formative e professionali di rilievo nel campo della Sicurezza Privata ricoprendo ruoli di responsabilità e collaborando con società internazionali del settore. Dopo aver sviluppato un network di collaboratori e partner tra gli USA, il Regno Unito e il Sud Africa si trasferisce in Israele. Sta facendo notizia il fatto che sia l’unico “non israeliano” che vive e insegna Counter Terrorism in Israele, presso la famosa ISA International Security Academy Israel.

in 25 anni di attività e operatività, l’Accademia ha addestrato, istruito e preparato più di 14.000 specialisti, tra i quali direttori della protezione, agenti dell’FBI, della CIA, delle Forze Speciali americane più una moltitudine di operatori civili e governativi di più di 80 paesi del mondo (USA, Afghanistan, Africa, Russia, Cina, Giappone, ecc.). Le attività di insegnamento sono impartite da ex-agenti dei Servizi Segreti israeliani Può descriverci in cosa consiste il suo lavoro e quali sono giubilati di recente, specializzati le caratteristiche salienti della ISA ISAREL? in materia di sicurezza interna, Tra le mie specializzazioni emergono la Protezione in anti-terrorismo e protezione (difesa). Per questo motivo Zone ad Alto/Altissimo Rischio, oggi conosciuta come le attività dell’Accademia sono riconosciute, autorizzate e PSD (Personal Security Details) o anche come Hostile supervisionate dallo Stato d’Israele. La qualità delle docenze Environments Close Protection Operations, ramo che è eccellente e l’intero staff è estremamente esigente: include una grande varietà di materie e competenze, tra ai corsisti vengono richieste prestazioni di altissimo le quali il Tactical Combat Shooting. La ISA ISRAEL è stata livello. Non a caso il 95% di quelli che hanno ottenuto la fondata nel 1987 da Mirza David attuale direttore generale, certificazione, superando tutte le prove e i test teoricoex appartenente ai Servizi Segreti Israeliani con alle spalle pratici, hanno migliorato il proprio status professionale esperienze nelle operazioni speciali, nell’anti terrorismo, nel settore della sicurezza. Questa è una delle ragioni per nell’Intelligence e nella protezione VIP. Attualmente la ISA è le quali i diplomati ISA ISRAEL sono tra i più riconosciuti, leader mondiale nella formazione di operatori specialisti in rispettati e ricercati dai consumatori e fornitori di Servizi di Protection & Counter Terrorism. Per darle qualche numero: Protezione di tutto il mondo.

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Quali training offre l’Accademia? I programmi formativi spaziano dalla VIP/ Close Protection, la Close Protection in High Risk Zones, la Maritime Protection (anti pirateria) fino alla Protection & Counter Terrorism Management. Come è arrivato a far parte di questa realtà, di questa organizzazione? Dopo aver inviato il mio curriculum, ricevetti una email da Mirza il quale diceva di essere interessato ad approfondire la nostra conoscenza. Da li iniziammo a collaborare, mi diede la carica di Coordinatore per tutto il territorio italiano e dopo alcuni mesi mi invitò in Israele per partecipare al corso intensivo della durata di 6 settimane. Riuscii ad ottenere il Diploma di Close Protection Team Leader. Fu un’esperienza sconvolgente, in senso positivo, scoprii metodi e procedure di prevenzione, risposta e contrasto al terrorismo estremamente efficaci e da li decisi di voler continuare privatamente il mio iter formativo presso l’Accademia e il risultato è l’oggetto di questa intervista. Chi sono gli altri istruttori/docenti dell’Accademia? Come le dicevo prima sono istruttori delle Unità Speciali dell’IDF ed ex-agenti dei Servizi Segreti israeliani, specializzatisi in materia di sicurezza interna, antiterrorismo e protezione. Per quale motivo la ISA ISRAEL ha scelto lei, o meglio perché attualmente è l’unico “non israeliano” a far parte del loro Team Istruttori? Faccio parte del loro team istruttori da poco, ho iniziato Manrico Erriu (il secondo da destra) insieme ad alcuni militari Israeliani


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Fasi di duro addestramento al’interno dell’accademia ISA International Security Academy Israel, supervisionate da Manrico Erriu come assistente, non consentono a nessun “esterno” di accedere al loro mondo. Ho dovuto faticare molto per arrivare a far parte del loro team. Sono stato sotto loro stretta osservazione per tre lunghi anni. Non smettono mai di metterti alla prova, mai! Qual è il segreto del successo di questa Accademia? Il segreto è una formula, un mix di vari fattori coesi tra loro, non posso esprimerlo a parole, bisogna testare personalmente sulla propria pelle quali siano i cambiamenti e gli sviluppi che tutti i corsisti vivono durante la pratica, durante l’esperienza. Questa formula vincente unisce ingredienti quali la forza interiore, la determinazione, il team work, la leadership e la propensione al successo che i docenti inculcano nei corsisti, sin dal primo momento, sin dai primi minuti di attività! Dalle sue parole si evince una gran passione e trasporto quando racconta della ISA. Si, ha ragione, è difficile spiegare perché questa Accademia è differente dalle altre, ma di questo mi piacerebbe parlarne successivamente, magari in un altro articolo. Vorrei, infatti, far capire concetti importanti che nessuno prende in considerazione, ma che sono di fondamentale importanza per coloro i quali cercano uno sbocco reale in questo contesto lavorativo. È una grande famiglia, sono persone speciali, mi hanno accolto, accettato e istruito, è stata un’enorme soddisfazione, dopo tanti sacrifici, essere arrivato a questo risultato. Da quando lavoro con loro ricevo continuamente proposte d’impiego in ambito di alto rischio. L’opinione comune è che la ISA offra soluzioni formative a costi proibitivi, soprattutto se consideriamo la crisi economica che il mondo sta affrontando. È esatto, la ISA propone soluzioni formative di altissima TNM ••• 32

qualità e i costi sono sicuramene proibitivi per la maggior parte degli interessati. Sono sul mercato da 25 anni e non hanno subito abbassamenti del loro volume d’affari. Questo gli permette di aumentare i prezzi di volta in volta incuranti della crisi economica internazionale. Non sono interessati alla quantità e oltre alle poche campagne di fidelizzazione fatte, non offrono sconti e/o agevolazioni a nessuno. Per quanto possa sembrare sbagliata, questa è la politica commerciale che perseguono da sempre. Qual è il suo status attuale, lavora solo per la ISA o anche per altre realtà? Collaboro anche con altre realtà operative (USA, Inghilterra, Africa, ecc.) e formative, ma molto gravita intorno alla ISA. Il prossimo contratto mi porterà in Medio Oriente per un grosso progetto, probabilmente per anni, allo stesso tempo in Africa, ma di questo ancora non ne posso parlare, sicuramente vi racconterò più avanti. La ISA tiene corsi anche in Italia? No, per il momento no, i direttori stanno decidendo di attivare alcune attività formative in Svizzera e forse in Germania, però è ancora tutto in fase organizzativa. Lei svolge attività formative in Italia? Si, in base al mio calendario lavorativo e quando riesco a ritagliare del “tempo libero” lavoro come consulente, operatore e istruttore per un grosso “Private Security Network” inglese che sta entrando ora sul mercato italiano con una vasta programmazione di attività. Per conto loro svolgerò alcuni servizi sul territorio italiano. Inoltre tengo corsi di Israeli Tactical Combat Shooting specifici per la Close Protection in ambienti medio/alto/altissimo rischio e per la Maritime Protection, posso attestare i primi attraverso certificazione inglese e gli altri con certificazione


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israeliana. Oltre alla ISA ISRAEL, faccio parte di una associazione israeliana che riunisce solo istruttori israeliani di counter terrorism, sono l’unico istruttore non israeliano a farne parte. A marzo formerò un team operativo estero in Italia in tattiche e procedure israeliane per la Close Protection in Hostile Environments. Ha una sua Company? No, al momento lavoro come “self employed”, questo mi da la possibilità di lavorare per più organizzazioni, di essere “contrattato” facilmente e di non entrare mai in concorrenza con nessuno. Avevo una mia Organizzazione, la SSTC Risk Mitigation Ltd. con base operativa a Londra, ma l’ho ceduta 6 mesi fa su “consiglio” della ISA ISRAEL. Ho un ufficio operativo (un vero e proprio Quartier Generale) a Londra dal quale dirigo tutte le attività in collaborazione con vari partner, tutti associati a diversi Network internazionali. Si tratta di una grande struttura che consta di uffici, sala riunioni, CCTV room, aule per le lezioni teoriche e per gli esami di ottenimento delle licenze SIA (Security Industry Authority), 40 posti letto per i corsisti, cucina, servizio di lavanderia, equipaggiamenti, auto e attrezzature varie. Altre strutture stanno nascendo in Svizzera, in Spagna e in Medio Oriente. Queste ultime verranno innaugurate a breve. Cosa consiglierebbe a coloro i quali volessero avvicinarsi alla professione di “Security Contractor” e lavorare nel settore della protezione? È una domanda che necessiterebbe di pagine intere per poter produrre una risposta esaustiva. Prima di tutto è bene sottolineare un concetto importante: non esistono scorciatoie! Consiglio sempre di intraprendere un percorso formativo serio che permetta al candidato di essere riconosciuto internazionalmente quale professionista di tale settore. Arrivare all’obiettivo è un’impresa molto ardua, non tutti riescono, comporta grossi sacrifici e il dispendio obbligato di energie, tempo e denaro, molto denaro. Questo settore necessita non soltanto di una formazione professionale eccellente ma di continui aggiornamenti. È un circolo vizioso, le società di sicurezza internazionali richiedono personale altamente qualificato, con CV e background importanti, esperienze operative pregresse e referenze di valore. Tutto questo deve poter essere verificato da chi prende visione delle informazioni prodotte e allo stesso tempo, i nuovi operatori, necessitano di maturare esperienza lavorativa per essere presi in considerazione. Appurata questa cruda realtà l’unico mezzo utile alla propria affermazione è quello di formarsi presso società internazionali riconosciute ed accreditate e nel contempo raccogliere esperienze operative iniziando da lavori non eccessivamente impegnativi fino ad arrivare a quelli più importanti e ambiti. Si tratta di intraprendere una vera e propria arrampicata che dev’essere fatta evitando errori, è molto facile rovinarsi la reputazione in questo settore, una volta persa la credibilità nessuno vi rinnoverebbe mai la fiducia. Per chi ha una buona conoscenza della lingua inglese, la prima tappa, quella che attraverso le consulenze consiglio sempre, consiste nel frequentare nel Regno Unito un corso di Close Protection accreditato dal SIA (Security Industry Authority). Il fine è ottenere la licenza inglese per mezzo della quale il candidato potrà inserirsi


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professionalmente nel mondo del lavoro e proporsi alle varie realtà operative. La licenza inglese è riconosciuta in tutto il mondo, sta entrando persino in America! Altro nota importante: “frequentate corsi formativi all’estero” e viaggiate il più possibile, non voglio screditare le scuole italiane, ma vi assicuro che senza le connessioni, i contatti e le amicizie che svilupperete all’estero con colleghi provenienti dai vari paesi del mondo, diventerebbe inutile avere anche mille certificazioni differenti, non arrivereste mai da nessuna parte senza, salvo rarissime eccezioni. Per chi non parla inglese? Per queste persone, un corso di inglese e qualche viaggio di studio nel Regno Unito si rendono non solo obbligatori e indiscutibilmente indispensabili. Tra le varie soluzioni che propongo a chi ancora non ha dimestichezza con la lingua inglese vi è quella di avviare la propria formazione con un corso, sul territorio italiano, di Close Protection Level 1 e subito dopo Level 2. Questi corsi danno la possibilità di apprendre in lingua italiana le stesse materie e procedure che si affronteranno nel Corso CP Level 3, in UK, per la Licenza SIA. I certificati rilasciati sul suolo nazionale possono essere utilizzati per ottenere un grosso sconto sul prezzo del Level 3 e la diminuzione dei giorni di formazione, da 16 giorni si potrebbe passare a 8/12 giorni al massimo. Ottenuta la licenza non resta che iniziare a contattare le aziende operative proseguendo nella formazione, aumentando i propri contatti personali, le proprie conoscenze tecniche e specializzandosi sempre di più.

Trai i vari corsi, quello di guida evasiva è sicuramente uno dei più tosti

Il 95% delle persone che hanno ottenuto la certificazione, hanno migliorato il proprio status professionale nel settore della sicurezza

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Alcuni italiani hanno avuto dei seri problemi con la licenza SIA, cosa può dirci a proposito? Si, ho avuto modo di leggere un articolo non recentissimo di un italiano che stava vivendo un’odissea nel tentativo di ottenere la licenza. Probabilmente non ha fornito la documentazione nel modo e nei tempi richiesti. Non conosco nei dettagli la sua storia, tuttavia posso assicurarvi che i nostri uffici, attraverso la nostra consulenza fanno in modo che la licenza vi venga recapitata a casa in massimo 30 giorni dall’avvenuta richiesta al SIA. Ovviamente dopo aver superato gli esami e i test. E’ difficile superare il test finale? È difficile per coloro che non si preparano adeguatamente: i frequentanti ricevono il materiale teorico che potranno studiare ancor prima di iniziare il corso. Potete immaginare un esame simile a quello della patente di guida, risposte multiple. Gli esami vengono fatti presso le nostre sedi. Potete offrire lavoro a chi supera i corsi? Questa è la prima domanda che mi rivolgono tutti. Abbiamo inserito in questo mondo molti dei nostri ex corsisti che ora stanno lavorando per conto nostro o per conto dei partner associati al network internazionale di cui facciamo parte: gli ultimi cinque corsisti formati prenderanno servizio attivo per l’Anti Piracy il mese prossimo. Il lavoro non manca, ma non tutti riescono ad affermarsi. Spesso diamo possibilità lavorative e altrettanto spesso le persone inserite vengono espulse perché non all’altezza del grado da ricoprire. Non è un lavoro semplice. L’ultimo episodio di questo genere è capitato due mesi fa: un operatore che non è stato in grado di gestire una particolare situazione è stato rimosso dal servizio dal cliente stesso e ora, come capita sempre, le altre agenzie non lo contatteranno più, persino i clienti che seguiva privatamente in passato non lo riconfermeranno. Dovrà cambiare lavoro! Qual è il percorso che consiglia ai candidati CPO che si rivolgono al suo ufficio? La procedura per realizzare i propri obiettivi è complessa, ma esiste. Bisogna munirsi di pazienza, grande determinazione e affidarsi a chi come noi può inserirvi all’interno dei Network internazionali. Consiglio di iniziare con un Close Protection Level 1 e Level 2 a chi non conosce la lingua inglese. A chi ha buone nozioni di inglese consiglio invece di iniziare direttamente con un CPL3 SIA LICENSE al quale è possibile aggiungere la licenza CP francese e le certificzioni israeliane, un HECPO (Hostile Environments Close Protection Operations) più una serie di attività specifiche che includono anche il Combat Shooting e il Close Combat Israeliani applicati alla CP. Tutto questo e molto altro ancora viene fornito dai miei uffici i quali offrono, ai nostri clienti, la possibilità di acquistare singoli moduli o di comporre un programma personalizzato, disegnato e progettato sulle esigenze del richiedente, attraverso una programmazione ricca di contenuti. La finalità è trasformare il cliente in uno Specialista della Close Protection. Mi rendo disponibile a dare chiarimenti a chi volesse approfondire il discorso contattandomi privatamente e, se lo ritenesse utile, organizzando un incontro con me o con i miei partner e collaboratori, in Italia o nel Regno Unito.


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di Jacopo Guarino & Paolo Grandis (Tadpoles Tactics) Fotografie di Pierangelo Timolina


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hi ha la fortuna di toccare con mano molti prodotti, siano armi da fuoco piuttosto che oggetti di complemento tecnico, ed è poi chiamato a darne una opinione, spesso si trova nella condizione di valutarne la qualità di assemblaggio, i materiali, le piccole differenze caratteristiche che li distinguono dai concorrenti, e spesso si sente dire che in questo settore è già stato fatto tutto: rarissimo è il trovarsi di fronte ad una innovazione. Questo però è il caso dei guanti tecnici prodotti dalla Line of Fire per l’utilizzo tattico con armi da fuoco, che integrano il sistema TEGS unitamente ad una eccellente fattura e scelta dei materiali. L’innovazione è tutta nel TEGS, concepito per aiutare l’operatore a mantenere una presa salda sull’arma in qualsiasi circostanza di utilizzo. Nelle esclusive foto, ingrandite, che abbiamo realizzato a corredo di questo articolo, è possibile notare la struttura della superficie rivestita dal sistema che, se accoppiata ad un altra simile, ottiene una chiusura a fortissimo attrito, ma dall’immediata libertà di separazione. A differenza del velcro, il sistema TEGS ottiene il massimo contrasto solo nello slittamento dei piani e non in separazione, escludendo qualsiasi sensazione di “aggancio” o di vincolo, e impedendo

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Il TEGS,a occhio nudo e al tatto si presenta solo come una superficie leggermente rugosa o setosa: le sue setole sono qui a voi visibili solo grazie all’ingrandimento fotografico.

soltanto lo scivolamento delle superfici a contatto. Tra le necessità primarie di chi dovrà indossare un guanto nell’utilizzo di armi da fuoco vi sono sicuramente la comodità e la sensibilità al tatto, caratteristiche imprescindibili richieste da tutti gli operatori con compiti di polizia e militari, ma a queste si deve aggiungere il “grip”, cioè la tenuta salda della mano sull’arma, fondamento alla base di un buon tiro, sia con arma lunga sia corta. Nella maggioranza dei casi il guanto compie solamente un’azione di protezione della mano, motivo per cui viene indossato

per questo test sono stati usati guanti della linea “Light Duty”, particolarmente adatti ad un uso da poligono o addestrativo. principalmente in contesti operativi, ma questo avviene a discapito della tenuta e della sensibilità, e ciò in maniera sempre più evidente all’aumentare dello spessore o della consistenza dei materiali: il sistema TEGS permette, invece, di riottenere un grip favorevole e consistente anche con guanti protettivi o “tattici”, ma non solo. Il sistema si combina di due componenti essenziali: il guanto, ovviamente, e un nastro adesivo (solitamente è compresa una dotazione di 36 pollici di lunghezza) da installare sul proprio sistema d’arma, in corrispondenza dei punti di contatto tra il palmo della mano, le dita, e la superficie delle impugnature. L’accoppiamento dei due componenti realizza il grip necessario all’operatore per un tiro preciso e sicuro, così come avrebbe potuto ottenerlo dall’utilizzo a mano nuda. L’utilizzabilità del sistema, e anche il suo grande punto di forza, sta nel fatto che, anche se una delle due componenti viene a mancare, l’operatore non ha nessuna difficoltà nell’utilizzo della propria arma: qualora un’arma preparata con l’adesivo TEGS venisse usata senza guanti, in emergenza o deliberatamente, nessun pregiudizio verrebbe creato dalla presenza di tale superficie, anzi verrebbe comunque garantito un maggior grip. Il TEGS, infatti, a occhio nudo e al tatto si presenta solo come una superficie leggermente rugosa o setosa: le sue setole sono qui a voi visibili solo grazie all’ingrandimento fotografico. L’utilizzo dei guanti Line of Fire su di un arma non precedentemente trattata o durante altri compiti quotidiani non comporta nessuno svantaggio, se non quello paragonabile all’utilizzo stesso di un comune paio di guanti, benché di ottima fattura e sensibilità. In particolare, per questo test sono stati usati guanti della linea “Light Duty”, livello di ingresso della linea Line of Fire e particolarmente TNM ••• 38


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adatti ad un uso da poligono o addestrativo. Tessuto microforato esterno sul dorso e inserti in pelle di capra per i punti maggiormente sollecitati (in combinazione con le sezioni dedicate al TEGS), oltre a comodi anelli per l’aggancio ai carabiners. Per la chiusura questa versione è dotata di elastico al polso e di un velcro ampio per la regolazione fine della misura. Nel corso della prova abbiamo potuto verificare anzitutto la comodità in sé del guanto Light Duty, dettaglio spesso sottovalutato, ma essenziale per un uso prolungato, oltre alla sua traspirabilità rispetto al sudore della mano. La sensazione sull’arma è di una tenuta salda e controllata, solida ma gestibile e con libertà di movimento. Le mani si muovono liberamente quando serve, nei cambi caricatore o nei riarmi così come nella risoluzione dei malfunzionamenti non si prova nessuna sensazione di rallentamento o di impaccio, e l’impugnatura si

riprende con facilità ripristinando immediatamente il grip garantito dal sistema TEGS. In un’arma polimerica con sicura sul grilletto, come nella nostra prova, la sensibilità del guanto si è rivelata ottima anche sui polpastrelli, fino a lasciar percepire il riarmo della catena di scatto. L’utilità di tale sistema è particolarmente evidente nel tiro con una mano sola, sia essa la forte che la debole, perché il grip garantito è davvero notevole. Ci siamo però voluti spingere oltre, visto che la nascita dei guanti della Line of Fire è legata principalmente alle richieste ed esigenze dei reparti speciali americani (primi fra tutti i Navy Seals). Per questo motivo abbiamo provato a ricreare una condizione operativa particolarmente svantaggiosa, ovvero l’ingaggio con guanti e arma bagnati: non contenti del semplice “effetto bagnato” abbiamo immerso completamente arma e guanto in acqua dolce, per poi procedere velocemente ad TNM ••• 39


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abbiamo ricreaTO una condizione operativa svantaggiosa, ovvero l’ingaggio con guanti e arma bagnati

una estrazione e ingaggio (don’t try this at home PERICOLO - test eseguito da istruttori professionisti in condizioni controllate, non replicare). Sia la simulazione di tiro tattico sia di tiro cadenzato hanno dato risultati più che soddisfacenti, in particolare a 7 metri è stato possibile ottenere una sagoma di risulta da tiro cadenzato sovrapponibile a quanto fattibile a mani nude in condizioni normali: difficilmente l’utilizzo di altri guanti, in particolare con le armi corte, può garantire tali risultati. A completamento di quanto sopra, e per dovere di cronaca, segnaliamo che il sistema TEGS, per la sua estrema duttilità di impiego, può essere utilizzato, e viene, infatti, oggi utilizzato in tal senso, anche per dotare veicoli, natanti, scale, strumenti o entry tools di vario genere, di una superficie di accoppiamento per i guanti indossati dagli operatori, cosicché gli stessi abbiano la massima utilità nell’utilizzo dei guanti anche a contatto con altre superfici oltre che alle proprie armi, estendendo a possibilità molteplici il vantaggio tattico garantito dal sistema TEGS. Abbiamo provato in questa occasione la linea Light Duty con armi corte, nei prossimi numeri potrete leggere anche delle versioni “Operator” e “Stryker” messe alla prova su fucili d’assalto. Tutti i guanti Line of Fire sono in vendita in Italia presso S.O.D. gear (Empoli). TNM ••• 40


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CONNECTING FORCES

WORLDWIDE NETWORK

GENI-AX nasce ufficialmente in UK nel 2012, ci piace descriverla come una neonata che vanta esperienze professionali di oltre 20 anni grazie all’apporto di conoscenza e competenza operative, formative, gestionali e manageriali delle figure coinvolte, tutte provenienti da vari ambiti operativi e formativi (Special Forces, PSC, PMC e Israeli Secret Services). All’inizio era solo un’idea del suo fondatore: “Creare un’organizzazione multiculturale…. che potesse offrire servizi di altissima qualità e professionalità…. rivolti all’esigente mercato globale della Sicurezza Privata….. Un network internazionale che fosse composto da selezionate Società e professionisti unite dalla stessa VISIONE…. orientate alla stessa MISSIONE”

A NEW APPROACH TO RISK MANAGEMENT

GENI-AX è ora una realtà…. Onestà, Rispetto, Discrezione, Etica, Affidabilità e Professionalità sono le caratteristiche che ci contraddistinguono… Grazie ai Partner ufficiali riportati sul fondo pagina, la GENI-AX sbarca in Italia con due divisioni, una operativa e una formativa con una vasta offerta di corsi e specializzazioni professionali. Il panorama formativo è vasto e completo, tra i training proposti in calendario vi sono Close Protection (Licenza SIA), Hostile Environments Close Protection Operations (può essere acquistato con l’aggiunta del precedente finalizzato alla Licenza SIA), Tactical Handgun (basic e advanced), Tactical Carbine (basic & advanced), Israeli Combat Shooting (Pistol, Carbine, Pistol&Carbine), Maritime Protection (Anti Piracy), Counter Terrorism Management, Tactical Combat Casualty Care. I programmi formativi rivolti al mercato italiano vengono svolti in UK nelle sedi di Londra e Manchester, in Italia nelle sedi di Roma e Tirano(SO), in Bulgaria e in Israele. Il personale docente della GENI-AX Training Division proviene dai più noti centri di formazione d'eccellenza anglo/americani nonchè da una delle migliori accademie israeliane. Questa prerogativa ci permette di tenere addestramenti e operatività uniformi nelle procedure, collaudate e sperimentate sul campo, dalle più grandi compagnie di sicurezza del mondo.

Risk Management, Protection & Counter Terrorism Emergency Response and Quick Reaction Force Executive / Close Protection and Mobile Security PSD / Protection in Hostile Environments Maritime Security and Anti-Piracy Static Security and Facility Protection / K9 Teams Ultimate Training Solutions Counter Terrorism Training in Hostile Locations

GENI-AX

United Kingdom +44 020 3239 8997 office@geni-ax.com www.geni-ax.com PARTNER UFFICIALI IN ITALIA:

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di Paolo Palumbo

Lo scudo di Davide il raid israeliano di Entebbe “Il vero problema è raggiungere gli ostaggi, liberarli a gran velocità e nel contempo uccidere i dirottatori: tra il salvataggio e il massacro ci sono soltanto una manciata di secondi” (Yehonatan “Yoni” Netanyahu).

Dall’atto che sancì la sua nascita, lo stato di Israele è stato costantemente minacciato dai paesi circonvicini i quali ne contestavano la legittimità. L’ostilità palesata da Siria, Libano, Egitto e Giordania avevano costretto Israele ad assumere un atteggiamento difensivo che, in alcuni casi, si era trasformato in aggressività preventiva. La prima guerra arabo-israeliana (1948) aveva messo in luce l’abilità militare dei comandanti israeliani i quali erano riusciti a sfruttare al meglio l’esiguo arsenale fornito da alcuni stati “amici” europei e dagli Stati Uniti. Nel 1956 il presidente egiziano Nasser lanciò una nuova sfida allo stato ebraico: in poco tempo le truppe TNM ••• 42

egiziane furono spazzate via dai carri armati e dall’intraprendenza dello stato maggiore israeliano guidato dal mitico Moshe Dayan. Pochi anni dopo, nel 1967, il copione si ripeté, tuttavia questa guerra fu scatenata dallo stesso Israele il quale – come già accennato – innescò una battaglia cautelativa capace di mettere in ginocchio Egitto, Siria e Giordania. Gli anni Settanta non si aprivano con prospettive di pace, giacché i paesi avversari elaborarono nuove strategie per distruggere l’odiato nemico; se sul campo lo “scudo di Davide” aveva respinto ogni tentativo di annientamento, la subdola guerra condotta dai terroristi avrebbe potuto sortire l’effetto desiderato.

Paura nei cieli: operazione “Isotope”, 8/9 maggio 1972 Sulla scia delle vittorie militari israeliane nacquero, simmetricamente, movimenti, organizzazioni e gruppi terroristici pronti a colpire Israele all’interno dei suoi confini e in tutto il mondo. Nel 1963, dopo la guerra dei Sei Giorni, dal Movimento dei Nazionalisti Arabi sorse l’ala più estrema della compagine araba, il Fronte Nazionale per la Liberazione della Palestina (FNLP) che, alla guida di George Habash, personificò tutti gli ideali rivoluzionari e anti ebraici di molti estremisti musulmani. L’FNLP visse ulteriori scissioni e accrescimenti, tuttavia questo non è il


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punto centrale; di maggiore importanza è piuttosto leggere con quali strumenti i terroristi arabi intendevano colpire al cuore l’occidente e il suo alleato mediorientale. Nel 1968 tra i membri del movimento palestinese emerse un nome particolarmente interessante, che richiamò su di sé l’attenzione dei servizi segreti di tutto il mondo, Wadie Haddad. Il 23 luglio 1968, tre palestinesi (appartenenti all’unità armata dell’FNLP Al Assifa – La Tempesta) salirono a bordo del volo El Al (Boeing 707) - LY426 che da Roma doveva raggiungere Tel Aviv; i tre uomini armati imposero al comandante di atterrare in Algeria, minacciando l’uccisione di tutti i passeggeri qualora

1200 dei loro compagni, detenuti nelle prigioni israeliane, non fossero stati immediatamente scarcerati. Una volta in territorio algerino i palestinesi procedettero alla liberazione di 26 ostaggi, trattenendo soltanto 22 israeliani più l’equipaggio al completo (che fu liberato 5 giorni dopo). Il dirottamento, il primo ai danni di Israele, durò 39 lunghi giorni e solo il 1° settembre tutti i passeggeri furono rilasciati grazie alla liberazione di soli 24 arabi. Dietro questo primo dirottamento c’era Haddad il quale, contrariamente alle direttive del Fronte palestinese che scoraggiava questo tipo di attentati, decise di agire per conto suo, sotto la super visione

del terrorista più famoso e ricercato al mondo, Ilich Ramirez Sànchez, meglio noto come “Carlos The Jackal”. Effettivamente il primo dirottamento di Haddad poteva dirsi un successo: malgrado tutte le richieste non fossero state accolte, il governo israeliano evitò qualsivoglia operazione di salvataggio accondiscendendo alle richieste dei terroristi palestinesi. Sull’onda del successo ottenuto da Haddad, l’8 maggio 1972 il gruppo armato di Settembre Nero, guidato da Ali Hassan Salameh, dirottò il volo 571 Vienna – Tel Aviv della compagnia aerea belga Sabena. Venti minuti dopo il decollo due uomini e due donne forzarono l’entrata della cabina di pilotaggio del capitano TNM ••• 43


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Reginald Levy, prendendo il controllo del velivolo: sotto la minaccia armata il capitano mantenne il sangue freddo realizzando i voleri dei palestinesi e cercando di conservare la calma tra l’equipaggio e i passeggeri. Dopo ore di terrore, il volo 571 toccò finalmente terra all’aeroporto di Lod, pochi chilometri fuori Tel Aviv. Come per il precedente sequestro, si aprirono le trattative tra i dirottatori e l’allora ministro della sicurezza nazionale Moshe Dayan. Seguendo lo stesso metodo dei precedenti dirottamenti, gli uomini di Hassan separarono gli ostaggi ebrei dai non ebrei relegandoli in coda all’aeroplano: anche le

meglio delle forze speciali: un team di 16 uomini del Sayeret Matkal, l’unità da ricognizione dello stato maggiore israeliano, al comando di Ehud Barak (futuro primo ministro). Il 9 maggio, intorno alle quattro pomeridiane alcuni commandos, travestiti da manutentori, si avvicinarono all’aereo belga: i terroristi caddero nella trappola di Dayan il quale li aveva convinti che l’aereo abbisognava di alcuni interventi tecnici. L’occasione era dunque propizia, non appena fu dato il segnale l’unità israeliana irruppe all’interno dell’aeroplano: i due terroristi di sesso maschile vennero fulminati da

l’ordine d’irruzione, entrambi i fratelli erano pronti a partecipare all’azione, tuttavia “Yoni” decise di rinunciare giacché voleva scongiurare che tutti e due i fratelli perissero nella stessa operazione: “Abbiamo già 14 uomini ingaggiati, se tutti e due moriamo chi lo dirà alla nostra famiglia?”. Yoni tentò fino all’ultimo di dissuadere il fratello, ma alla fine Benjamin si aggregò al gruppo d’assalto. Quando fece ritorno alla base, con una vistosa ferita al viso, Benjamin ricordò le parole del fratello: “Vedi – gli disse – ti avevo detto di non andare” e lo salutò, abbracciandolo.

richieste trasmesse alle autorità erano simili, vale a dire la liberazione di 315 palestinesi imprigionati dalle autorità ebraiche. Questa volta però le cose andarono diversamente: il presidente israeliano Zalman Shazar e la Knesset (il parlamento) deliberarono a favore di una risposta militare al problema, dando inizio all’operazione “Isotope”. L’azione fu affidata al

due proiettili, mentre le due donne catturate. Tutti i 90 passeggeri furono liberati, tre rimasero feriti e un quarto morì in seguito; tra i soldati uno riportò una lieve ferita al volto, probabilmente proveniente dalle armi dei suoi stessi compagni, si trattava di Benjamin Netanyahu il quale, insieme al fratello Yehonatan, apparteneva alla stessa unità. Prima che venisse impartito

Un vivido ricordo dell’azione e delle tecniche usate per impadronirsi del volo 571 è quello del maggiore generale Danny Yatom, al nel Sayeret Matkal: “Tra tutti i casi complessi ai quali non eravamo preparati, questo era davvero il più difficile e nessuno di noi era veramente pronto ad affrontarlo”. – ricorda Yatom – “Un aereo è un ambiente operativo difficile, davvero

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L’ aeroporto di Entebbe dell’omonima città ugandese

molto stretto: da zero fummo costretti a predisporre nuove tattiche e dottrine di combattimento. La mancanza di informazioni, tuttavia, non cambiava lo spirito di noi combattenti: nessuno di noi voleva cedere alle richieste dei terroristi, la nostra responsabilità era quella di preparare un’azione militare, condurla e possibilmente terminarla con successo; era questo a guidarci ed era per questo che eravamo stati addestrati”. Nella notte tra l’8 e il 9 maggio in un hangar isolato, lontano dall’obiettivo, i militari del Sayeret Matkal si preparavano all’azione: “Ci organizzammo per salire sulle ali dell’aeroplano grazie a una sorta di piramide umana, una fila di uomini sopra l’altra” – spiegò il maggiore israeliano – “all’interno dell’aereo decidemmo di usare pistole Beretta calibro 22, per limitare i danni e non far esplodere i serbatoi”. Il giorno dell’azione non andò tutto liscio; il primo militare a salire sulla parte anteriore dell’aereo venne ferito alla mano e scivolò giù per le scale così, proprio Yatom, si trovò ad essere il primo a varcare la soglia d’ingresso. Attraverso il finestrino Yatom vide uno dei terroristi muoversi: “Capì che era il momento giusto per aprire il fuoco, l’adrenalina faceva pulsare la mie tempie e tutti quanti volevamo entrare al più presto nell’aereo”. In meno di 90 secondi l’azione terminò con gli esiti che abbiamo visto: “Il morale era alle

Gli operatori del sayeret matkal sono tra i più qualificati operatori a disposizione di israele, il loro addestramento è costante e altamente professionale.

stelle” – continua Yatom nei suoi ricordi – “dopo un minuto e mezzo tutto era finito e con successo, ero pervaso da una sensazione di grande soddisfazione dopo momenti di incertezza. Tu sei pronto a rischiare la tua vita per salvare persone che stavano per essere uccise sol perché ebrei o israeliani”. Per Yatom la vera vittoria constava nella qualità del servizio reso: improvvisazione e capacità di azione maturata in un lasso di tempo davvero minimo. Una prontezza operativa

senza eguali. “Isotope” aveva segnato certamente uno spartiacque tra l’atteggiamento remissivo delle autorità e i nuovi metodi di risposta ad episodi di dirottamento: era sicuro che i terroristi non avrebbero più avuto vita facile. Ma chi erano questo uomini scelti, addestrati ad affrontare la morte in ogni situazione? Il Sayeret Matkal Il primo nucleo di truppe speciali dell’esercito ebraico (Haganah) nacque TNM ••• 45


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Il Fronte Nazionale per la Liberazione della Palestina (FNLP) , alla guida di George Habash, personificò tutti gli ideali rivoluzionari e anti ebraici di molti estremisti musulmani.

nel 1941 per mani di Yitzhak Sadeh, si chiamava Pal’mach (Compagnie d’assalto): questi avevano il compito di proteggere gli ebrei della Yishuv (comunità ebraica in Palestina) dalle vessazioni degli arabi. A guerra terminata, non appena lo stato ebraico ottenne l’indipendenza, furono organizzate tre brigate Pal’mach e furono suddivise secondo una competenza territoriale. Nel 1957 Avraham Arnan, ex combattente delle Pal’mach, con l’appoggio del generale David Elazar, fondò il Sayeret Matkal, l’unità da ricognizione dello stato maggiore dell’esercito. In un primo periodo l’unità (ancora oggi è nota come “The Unit” analogamente alla Delta americana) entrò a far parte dell’Aman (unità 154 – intelligence) che aveva tra i suoi scopi principali l’incursione in territori nemici e la raccolta di informazioni. Il Sayeret Matkal è compreso in quei reparti israeliani che operano in modalità “mista’aravim” (come il Duvdevan), vale a dire completamente integrati con le comunità arabe: tutti i membri parlano correntemente l’arabo come lingua madre, vestono come arabi e conoscono perfettamente la loro TNM ••• 46

cultura. Il primo comandante di questa unità fu Ehud Barak che, unitamente a Yitzhak Rabin rese indipendente il Sayeret Matkal: da semplice unità da ricognizione si trasformò in reparto combattente. La selezione per entrare nel Matkal era ed è durissima, non si conoscono molti dettagli circa il loro addestramento e non è facile scovare informazioni. Le poche cose note sono comuni a molti reparti speciali del mondo: corso di fanteria, di paracadutismo, scuola anti terrorismo, pattugliamenti, corso sommozzatori e così via. La cosa che però differenzia le forze speciali israeliane dai loro colleghi americani o europei è il fattore operativo, vale a dire l’essere costantemente sotto pressione e impegnati sul campo con il minimo preavviso. Normalmente un operatore dei Berretti Verdi o del SAS segue un iter addestrativo davvero intenso, seguito da una serie di missioni tipo le quali possono trasformarsi in operazioni reali qualora ve ne fosse bisogno. In Israele le cose vanno diversamente: non vi è molto spazio per lunghi periodi di formazione, giacché molto spesso questa avviene direttamente sul campo. L’operazione

“Isotope” – restando con l’obiettivo sui dirottamenti aerei – ha dimostrato l’estrema duttilità dei reparti speciali israeliane i quali, in mancanza di direttive precise o addestramenti specifici, sono obbligati ad organizzare e improvvisare, in poco tempo, un adeguata ed efficace risposta all’attacco subito. Se vogliamo, questo requisito accomuna molte delle unità speciali dello stato ebraico, ma non solo: le IDF (Israeli Defence Force) hanno certamente un livello di operatività superiore a qualsiasi altro esercito del mondo e, bene inteso, non è da considerarsi un dato positivo. L’esordio sul campo del Sayeret Matkal risale al 10/11 agosto 1963 (operazione Halutz) laddove furono impiegati per la prima volta a bordo di elicotteri Sikorsky 58: l’unità da ricognizione fu spinta in profondità nel deserto del Sinai al fine di scoprire le intenzioni delle truppe egiziane stazionate in quel settore. Il 4 e 5 marzo 1964 fu lo stesso Barak a guidare i suoi uomini nell’operazione “Shrakrak”, un’incursione che si rivelò fondamentale per la vittoria nella Guerra dei Sei giorni. Nel 1969 l’Unità fu coinvolta in tre diverse imprese


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militari contro l’Egitto: due assalti ad installazioni elettriche (operazione Orchard 22 e Orchard 37), la demolizione delle fortificazioni a Green Island nel Mar Rosso in cooperazione con il Shayetet 13, i SEAL israeliani, (operazione Balmus 6) e la distruzione di alcuni impianti radar (operazione Rooster 53). Infine, il 9 e 10 aprile 1973, il Sayeret Matkal fu infiltrato nel cuore di Beirut con l’obiettivo di uccidere tre terroristi di Settembre Nero, fautori dell’attentato agli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco: Mohammed Yousef Al-Najjar (Abu Yousef), Kamal Adwan e Kamal Nasser. Prima di Entebbe i commandos israeliani combatterono nella guerra dello Yom Kippur dove riconquistarono, insieme alla brigata del Golan, il monte Hermon controllato dalle forze speciali siriane. Tutti i corpi speciali del mondo hanno nella loro storia una giornata negativa, un segno nero che indica che qualcosa non è andato secondo i piani. Per l’Unità speciale di Barak quel giorno è il 15 maggio 1974: il massacro di Maalot. Il 13 maggio tre terroristi appartenenti al Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, travestiti da soldati israeliani e armati di AK 47, irruppero in una scuola della cittadina israeliana di Maalot, limitrofa al territorio libanese. In breve tempo fu il panico e tutti gli alunni della scuola furono minacciati di morte se le autorità di Tel Aviv non avessero immediatamente liberato 26 terroristi, incluso Kozo Okamoto, leader dell’Armata Rossa Giapponese e organizzatore di un sanguinoso attentato all’aeroporto di Lod. Dopo estenuanti negoziati, il 15 maggio, poco prima che scadesse l’ultimatum, il governo israeliano decise l’intervento delle sue truppe speciali, ma qualcosa andò storto. L’unità fu divisa in tre gruppi d’assalto: i primi due dovevano irrompere dall’ingresso principale mentre un terzo nucleo avrebbe dovuto salire su una scala ed entrare da una finestra posta sul lato nord del palazzo. Non appena fu dato il via, il primo operatore israeliano – il quale stringeva nella mano una granata fumogena – tentò di entrare nella scuola, tuttavia

Operatori del sayeret matkal

rimase ucciso sul colpo. Il fumogeno gli cadde, oscurando così il campo visivo al secondo gruppo di soldati che aveva come obiettivo il leader degli estremisti. Sfumato il fattore sorpresa il capo dei terroristi, tal Lini, vistosi in trappola, aprì il fuoco sugli studenti: alla fine della giornata rimasero uccisi 22 giovani ragazzi israeliani, altri 50 feriti. Malauguratamente questo episodio minava, in modo significativo, la reputazione delle forze armate israeliane. Il dirottamento del volo Air France 139 Esistono tre tipi di dirottamenti: il primo avviene all’interno del territorio nazionale dove le forze speciali e le autorità possono agire in tutta tranquillità, dando una risposta rapida e decisa; nel secondo caso il dirottamento ha luogo in un paese

amico, in questo caso la condotta del governo è ostile ai terroristi e dunque l’azione è relativamente semplice, quantomeno agevolata; nel terzo caso – maledettamente più complesso – l’aereo è costretto ad atterrare in uno stato dove l’esecutivo è connivente con l’operato dei terroristi, le possibilità di intervenire con successo sono ridotte al lumicino, tutto diventa difficile e un’impresa militare può trasformarsi in un atto di guerra vero e proprio. Quando il volo 139 dell’Air France scomparve dai radar israeliani nessuno immaginava cosa sarebbe accaduto: nessun membro del governo sognava di approntare un’operazione militare nella lontana Africa, allo stesso modo nessun uomo delle forze speciali israeliane era sfiorato dall’idea d’imbarcarsi su un C-130, volare fino in Uganda, verso l’ignoto, e affrontare non solo dei terroristi, ma un esercito TNM ••• 47


FOCUS ON FOCUS ON FOCUS ON FOCUS ON FOCUS ON FOCUS O La guerra del Kippur, anche conosciuta come del Ramadan,fu combattuta dal 6 ottobre al 24 ottobre 1973 tra Israele e una coalizione composta da Egitto e Siria

Yonatan Netanyahu, conosciuto come Yoni, è stato uno dei comandanti del Sayeret Matkal. Fu ucciso in azione durante l’Operazione Entebbe in Uganda.

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regolare; eppure tutto questo è quanto accadde nell’operazione Thunderbolt. All’imbarco dell’aeroporto di Atene un uomo e una donna, dai tratti somatici europei, attendevano con pazienza i controlli delle autorità greche, rinomate per una certa distrazione e scarsa competenza. Dal loro volto non traspariva nessuna emozione, erano tranquilli, come se dovessero partire per una vacanza: il signor Garcia e la signora Ortega non erano altro che Wilfred Böse e Brigitte Kuhlmann membri della “Cellula Rivoluzionaria”, una pericolosa organizzazione terrorista che operava in Germania. Ai due tedeschi si unirono tre palestinesi i quali, poco dopo che l’aereo francese si staccò da terra, seminarono il terrore a bordo del velivolo. Su tutta l’operazione aleggiava l’ombra di Wadi Haddad, già noto al Mossad per i suoi rapporti con il terrorismo internazionale e per essere il promotore di gran parte degli attentati commessi ai danni


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degli israeliani in tutto il mondo. La notizia del dirottamento fu subito comunicata al primo ministro Rabin il quale predispose un’unità di crisi composta da cinque membri del suo gabinetto; tra di loro anche il generale dei paracadutisti Mordechai Gur, uomo risoluto e propenso all’azione. Mentre lo stato maggiore israeliano stava riordinando le idee su quanto era accaduto e sul da farsi, i terroristi avevano preso il controllo dell’equipaggio al quale fu ordinato di fare il primo ed unico scalo all’aeroporto di Bengasi, in Libia, dove il regime di Ghedaffi avrebbe dato loro assistenza. Proprio sulla pista libica avvenne il primo errore commesso da Böse e i suoi compagni: il rilascio di una passeggera la quale aveva lasciato intendere di essere prossima al parto. La trentenne Patricia Heyman, con passaporto britannico, fu immediatamente presa in consegna

da Scotland Yard e divenne la fonte principale del governo di Tel Aviv. Dopo il breve scalo libico il volo dell’Air France puntò verso sud, in Uganda, dove ad attenderlo vi erano altri terroristi e un intero reparto di paracadutisti ugandesi schierati da Idi Amin Dada, il presidente. La notizia dell’arrivo nell’aeroporto di Entebbe aggravava notevolmente tutta la situazione; era impensabile che un capo di stato - poco tempo prima – non ostile a Israele fosse colluso con i terroristi e desse loro protezione. Da quando il volo 139 atterrò in Uganda, tutta l’attenzione si spostò su Idi Amin Dada: padre di 40 figli, marito di sette mogli, il presidente ugandese, famoso anche per le sue sfolgoranti uniformi che lo facevano somigliare a un sovrano “napoleonico”, era un pericoloso avversario. L’ambasciatore americano lo aveva definito un “brutale, razzista, imprevedibile, irrazionale, bellicoso, ridicolo e militarista”, ciò nondimeno per Israele non era un volto nuovo. I rapporti tra lo stato ebraico e l’Uganda di Idi Amin non erano pessimi: il governo israeliano aveva fornito aerei alla sua aviazione, ma soprattutto aveva istruito i suoi piloti e molti soldati. Lo stesso Amin sfoggiava sul petto il brevetto da paracadutista d’Israele. Ragioni politiche diverse incrinarono i rapporti tra i due governi, ma soprattutto fu il carattere irascibile e lunatico del presidente ugandese a porre fine ad ogni relazione cordiale. I trascorsi amichevoli tra Amin e Israele furono, tuttavia, da considerarsi la base del successo dell’operazione “Thunderbolt”: anni prima, infatti, proprio gli ingegneri israeliani aiutarono gli ugandesi nella costruzione del nuovo terminal aereo acquisendo così una perfetta conoscenza di Entebbe e dei suoi dintorni. Gli israeliani rintracciarono la ditta che aveva eseguito i lavori e le planimetrie degli edifici dove i terroristi rinchiudevano gli ostaggi; grazie a questi documenti gli uomini del Sayeret Matkal predisposero un piano d’attacco B, alternativo alle trattative diplomatiche.

Una “mini invasione”: il piano d’attacco israeliano Come condurre una forza d’attacco a oltre 5.000 km nel cuore profondo dell’Africa, armati di tutto punto, senza correre rischi di perdere qualche ostaggio? Questa impresa sembrava davvero troppo anche per un uomo come Dan Shomron, corpulento paracadutista il quale conosceva bene i rischi di un aviolancio notturno in territorio nemico. Probabilmente non era il caso di procedere con un aviolancio: forse sbarcare i commandos direttamente sulla pista d’atterraggio di Entebbe poteva essere più audace, ma anche più appropriato; certo che se questa rappresentava la soluzione con minor rischio, allora tutto sembrava davvero irrealizzabile. Quello che fu giudicato da molti “impossibile”, divenne il piano principale che avrebbe condotto alla liberazione dei prigionieri del volo 139. Unitamente alle truppe speciali del Sayeret Matkal vennero ingaggiati gli uomini del Sayeret Tzanhanim (ricognitori dei paracadutisti) e del Sayeret Golani (unità scelta della brigata di fanteria meccanizzata del Golan); nondimeno i veri protagonisti erano i piloti dei quattro C-130 che dovevano trasportare uomini e mezzi sulla pista del terminale di Entebbe. A loro spettava il difficile compito di atterrare in piena notte, eseguendo un lungo volo senza farsi identificare dai radar nemici! La sorpresa era l’elemento principale, se solo qualcuno avesse smascherato il piano israeliano, da una missione di salvataggio si sarebbe passati a una carneficina. La Task force aerea era composta da cinque C-130 (ribattezzati dagli aviatori israeliani “Rhino”) e da due Boeing 707 (uno usato come comando aereo, l’altro attrezzato come ospedale per i feriti più gravi). Il primo “Rhino” trasportava una Mercedes Benz nera, copia esatta della vettura presidenziale di Idi Amin (utile per ingannare le truppe di guardia all’aeroporto), due Land Rover, 29 uomini del Sayeret Matkal incluso Yoni Netanyahu, e 52 paracadutisti. Tra i parà 10 furono equipaggiati con torce elettriche per segnare la pista TNM ••• 49


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Le fonti Tra i libri più importanti sul dirottamento di Entebbe e tutte la fasi di preparazione e successive all’assalto è quello di William Stevenson, 90 minutes at Entebbe, pubblicato nel 1976. Importanti sono gli scritti di Iddo Netanyahu, Entebbe: the Jonathan Netanyahu Story (2003) e Yoni’s Last Battle: The rescue at Entebbe 1976 (2002). Altri spunti come interviste, pareri e i racconti sulla strage di Maalot sono tratti da siti israeliani.

ritardare l’arrivo di eventuali rinforzi ugandesi, mentre l’ultimo C-130 stava accostando verso l’edifico dove erano rinchiusi gli israeliani. agli aerei che seguivano qualora nel cercarono invano di rallentare il Mentre i passeggeri del volo Air terminal si fosse verificato un black-out convoglio: Yoni e il suo camerata France cominciarono ad assaporare con il conseguente oscuramento della Giora Zusman aprirono il fuoco con nuovamente il gusto della libertà, pista. Il secondo velivolo nascondeva le loro Beretta cal. 22. I due ugandesi un’equipe dell’aviazione israeliana nella carlinga due jeep M38A1C insieme caddero a terra, ma la loro morte aveva provvedeva al rifornimento agli uomini del Sayeret Golani e 17 allarmato il resto delle truppe di Amin degli aerei grazie al carburante paracadutisti che accompagnavano che cominciarono a vomitare fuoco sul gentilmente “offerto” da Idi Amin. una jeep equipaggiata di radio; l’ultima convoglio israeliano. L’unica cosa da Tutto era avvenuto in 99 minuti, parte delle unità speciali del Golan fare era aumentare la velocità verso un tempo relativamente breve, ma viaggiava a bordo del terzo C-130 l’obiettivo; Muki Betser – altro amico incredibilmente lungo per chi prese insieme ad un altro veicolo. Il quarto e commilitone di Yoin – ricordò quei parte all’azione. Qualcuno però non ed ultimo “Rhino” era pressoché vuoto drammatici momenti: “La tragedia di ce l’aveva fatta, un eroe di quella poiché serviva da alloggio agli ostaggi Maalot stava offuscando la mia mente, lunga notte mancava all’appello, liberati: unici mezzi caricati erano due la parola Maalot divenne un’ossessione non poteva rispondere all’adunata di furgoni Peugeot 404 provvisti di pompe nella mia testa, avevo paura che stesse vittoria: nella prima ondata d’assalto, di rifornimento e relativi tecnici, nel per accadere di nuovo”. Il comandante freddato alle spalle da un proiettile caso i distributori di carburante fossero della forza aerea ugandese, in partito dalla torre di controllo, stati messi fuori uso dagli ugandesi. osservazione al secondo piano del Yeonathan “Yoni” Netanyahu era terminal, aveva udito atterrare degli morto in terra straniera. Il bilancio In azione: aerei, seguiti poi dal frastuono dei era comunque positivo: solo due “arrivano i Bambini di Dio” veicoli in avvicinamento, aveva anche ostaggi morti e una donna, Dora Il rombo dei motori dei quattro C-130 udito i suoi uomini gridare in Swahili: Bloch, trasportata prima dell’assalto assordava le orecchie dei soldati “Forse sono arrivati i Bambini di in un ospedale ugandese, venne israeliani i quali, stipati nel ventre dei Dio!”, così erano soprannominati i successivamente uccisa. Viste le rispettivi aerei, ripassavano nella loro soldati israeliani. La battaglia era previsioni e la difficoltà dell’impresa mente cosa avrebbero dovuto fare una oramai iniziata e da quel momento era un risultato doloroso, ma volta atterrati ad Entebbe. Tra di loro in poi l’obiettivo principale diventava accettabile. Quello che riuscirono a anche Yoni Netanyahu che, insieme la liberazione degli ostaggi tra i fare gl’israeliani a Entebbe ha tutti i ad altri suoi compagni del Sayeret quali, ai primi colpi di mitra, si era connotati dell’impresa straordinaria, Matkal, faceva parte della prima ondata diffuso il panico. I paracadutisti, ma più che altro rende palese la d’attacco. Dopo una stretta virata il i fanti scelti della brigata del volontà di un popolo a difendere primo “Rinoceronte” toccò la pista Golan e il Matkal si affrettarono a i suoi diritti e la sua gente. Non è dell’aeroporto ugandese: la tensione svelare la loro identità gridando questo il luogo adatto per dibattere su era a mille, il motore della Mercedes, ai prigionieri, con un megafono, di questioni politiche o religiose lontane per precauzione, era già in moto e essere israeliani e di “tener giù la dalla nostra cultura, non possiamo a bordo Yoni era pronto ad aprire la testa”. Dopo la prima ondata, tutti e neanche esprimere giudizi affrettati strada a tutto il “piccolo” esercito di Tel tre i “Rhino” atterrarono sulla pista o erroneamente di parte su questioni Aviv. Non appena il portellone si aprì, liberando il loro carico micidiale: secolari che vede contrapposti i la macchina presidenziale, seguita da alle 23:08 tutta la forza impegnata palestinesi e il governo di Tel Aviv; due Land Rover, si diresse a velocità nell’operazione “Thunderbolt” era qui giudichiamo solamente la volontà sostenuta verso il vecchio terminal dispiegata per l’attacco finale. I del governo israeliano a non farsi dove erano sorvegliati gli israeliani del mezzi blindati misero sotto controllo sopraffare dal terrorismo e la provata volo 139. Due paracadutisti ugandesi le vie d’accesso all’aeroporto per abilità delle sue forze speciali. Idi Amin è stato un politico e militare ugandese. Il suo nome completo era Idi Oumee Amin Dadae fu presidente dell’Uganda dal 1971 al 1979.

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DI GIORGIO ANTONINI

La

sele zio ne ’incipit di questa collaborazione con la rivista Tactical News Magazine - è rivolto alla selezione in ambito militare. Partirò dunque dal significato del termine “selezione” fino a pervenire alle esperienze militari: tedesche, inglesi, americane e australiane, che hanno caratterizzato il reclutamento a cavallo tra la prima e seconda guerra

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mondiale. Molte aziende oggi - hanno preso come riferimento questi trascorsi militari pregressi, per realizzare un loro modello selettivo. “La selezione ha lo scopo di identificare il candidato che presenta i requisiti migliori per la posizione ricoperta”. Lo scopo di questo excursus sulla storia della “selezione” è quello di stimolare il nostro pensiero. L’aspetto storico deve servire alla

gerarchia e a chi riveste ruoli di responsabilità così da riflettere su quello che si sta facendo, oggi, all’interno delle organizzazioni militari. Quanto è stato fatto per migliorare la selezione in ambito militare? Nel mondo militari, sopravvive - forse - un sistema selettivo ortodosso, poco attinente agli scopi e obiettivi delle organizzazioni stesse? Queste strutture sono veramente interessate TNM ••• 53


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al processo di selezione e agli strumenti che vengono utilizzati? Scopriremo con piacere che prima del secondo conflitto mondiale gli eserciti operavano una scelta umana che potesse essere adattata ai compiti richiesti e quindi al ruolo ricoperto. Ci sono delle realtà dove gli sforzi sono indirizzati a migliorare la selezione interna, investendo in questo modo sulla risorsa umana futura e quindi sull’organizzazione stessa. In ambito civile, l’aspetto prevalente che caratterizza questo momento storico è quello di considerare le caratteristiche psicoattitudinali, come indizio primo per svolgere più compiti all’interno dello stesso ambito lavorativo: di quale posizione lavorativa ho bisogno, quanto tempo TNM ••• 54

rimarrà la persona in quel ruolo, quante possibilità ci sono che la stessa posizione si modifichi. In virtù di quanto esposto ritengo che l’aspetto selettivo rivesta un’importanza fondamentale giacché in grado di rivelare il potenziale di un individuo. Sicuramente non è facile impostare degli strumenti per la selezione del personale, ci sono molti compiti/ruoli da esplicare e anche molta eterogeneità nelle richieste. Quello che secondo me ogni organizzazione/ istituzione dovrebbe e deve fare (particolarmente nelle forze armate), è quello di creare un proprio modello selettivo, realizzando delle metodologie che siano rispondenti allo scopo e agli obiettivi del comparto stesso, senza seguire

pedissequamente modelli esterni rigenerati. Oggi si pensa che, il “lavoratore”, debba avere una duttilità totale sia a livello di capacità sia di competenze, in modo da assegnargli ruoli e compiti differenziati. Questo potrebbe essere “vero” per qualche azienda, ma le istituzioni militari necessitano di personale qualificato e specializzato che sappia esercitare determinati ruoli. “Tutti non possono fare tutto”. Bisogna utilizzare una “pulsione scopica” che sappia indicare i bisogni di ogni istituzione, senza eludere gli aspetti personali e motivazionali dei dipendenti stessi. La gerarchia o chi riveste ruoli di responsabilità, deve avere il coraggio di contemperare le esigenze private e istituzionali con

i bisogni dei dipendenti; valorizzare la risorsa umana significa anche rispettarne la sua dignità e “personalità”. Questa e una condizione necessaria per creare uno spirito di gruppo e senso di appartenenza, in modo che le persone possano trascorrere una parte della loro esistenza senza essere: alienati, stressati o depressi. Non si può pensare di migliorare l’addestramento, l’ambito operativo, le competenze o le capacità, prescindendo dall’aspetto affettivo ed emozionale dei soldati stessi. È necessario, quindi, pensare agli strumenti e alle modalità più congrue per selezionare il personale senza dimenticare che queste rappresenteranno il futuro del reparto stesso.


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di Giovanni Di Gregorio – Direttore Studi Strategici del CeSA - Geopolitica DI alberto dolci (anecdoteswwii.blogspot.it)

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FRESHMAN Nel 1985 a Fyljesdalen, Norvegia, quattro uomini della Royal Air Force (RAF) e uno storico dell’esercito Norvegese stavano osservando un piccolo capanno in compensato marino grigioverde. La scritta DP349 che, scrostata, si intravedeva in un angolo sporco di terra, fece brillare i loro occhi. L’avevano trovato! L’aliante Horsa, che nel 1942 aveva tentato di fermare la corsa nazista alla bomba atomica, era di fronte a loro. I poveri resti, marci e gonfi d’acqua, erano l’ultima testimonianza di un ardito tentativo atto a fermare la follia nazista. Tutto ebbe inizio il 22 giugno 1940, quando Sir Winston Churchill, visti i successi delle divisioni aerotrasportate tedesche nell’attacco al forte Eben-Emael, scrisse un memorandum al War office nel tentativo di dotare anche l’esercito britannico di un reparto alianti. Il 12 settembre 1941 il prototipo definitivo dell’aliante Airspeed Horsa prese il volo rispondendo alla specifica

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X.26/40 dell’Air Ministry: aziende che operavano nel campo degli allestimenti aerei si misero all’opera per costruire l’HS 51, questa era la designazione del modello. In meno di dieci mesi già 2.345 esemplari erano assemblati e pronti all’impiego. La notte del 19 novembre 1942 vi fu il battesimo del fuoco: un’operazione difficile e improba per questo nuovo strumento di guerra. Lo scopo del raid era distruggere l’impianto di acqua pesante a Rjukan, Norvegia (ndr: l’operazione contro questo impianto fu la base per il film Hollywoodiano “Gli eroi di Telemark”). Il piano prevedeva di utilizzare gli alianti i quali avrebbero portato in zona i Royal Engineers con le attrezzature necessarie per distruggere la fabbrica. Successivamente, come via di fuga, i militari inglesi avrebbero raggiunto la Svezia grazie all’aiuto dei partigiani norvegesi. Appena dopo l’occupazione tedesca della Norvegia, nel maggio 1940, l’Intelligence inglese apprese che l’impianto


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di Vermork aveva incrementato la fu necessario attendere l’autunno sua produzione di acqua pesante successivo per poter capitalizzare al a 3.000 libbre con una previsione di meglio le informazioni ottenute da 10.000 libbre per il gennaio 1942. Da Skinnarland. Nel frattempo, grazie questo dato preoccupante nacquero all’amicizia con il capo ingegnere le premesse per l’operazione. L’acqua dell’impianto, il norvegese fu in grado pesante, infatti, era assolutamente di aggiornare costantemente via radio necessaria al Reich per portare lo Special Operations Executive (SOE) avanti la produzione di plutonio. a Londra. L’operazione Freshman, Tutto ebbe inizio il 22 giugno 1940, quando Sir Winston Churchill, visti i successi delle Unitamente a questo, sei settimane condotta la notte del 19 novembre, divisioni aerotrasportate tedesche nell’attacco dopo l’occupazione, sei giovani vide protagonisti due alianti Horsa al forte Eben-Emael, scrisse un memorandum norvegesi rubarono un vaporetto con e due Handley Page Halifax come al War office nel tentativo di dotare anche l’esercito britannico di un reparto alianti il quale navigarono fino ad Aberdeen velivoli di traino. Ventotto Royal per unirsi ad una delle loro unità Engineers vennero assegnati “esiliate”. Fra di loro vi era Einar Skinnarland il quale, all’incarico. Precedentemente, in ottobre, quattro membri lavorando come ingegnere presso l’impianto di Vermork, norvegesi del SOE erano stati paracadutati con il compito diventò l’uomo chiave per fermare la produzione di plutonio di preparare il sito d’atterraggio per i due alianti e guidare tedesco e la relativa costruzione della bomba atomica. i Royal Engineers agli impianti da demolire. Questa fu La struttura dell’impianto era già conosciuta in Gran la prima operazione con gli Horsa da parte degli alleati: Bretagna, grazie alle informazioni ricevute dal professor sfortunatamente le pessime condizioni del tempo fecero Lief Tronstadt, uno scienziato fuggito prima dell’arrivo schiantare un Halifax ed entrambi gli alianti, il che causò della Whermacht. Skinnarland, però, riuscì ad aggiungere il fallimento dell’impresa. ventitré sopravvissuti furono dettagli indispensabili, quali il sistema di difesa di tutto lo giustiziati per ordine del generale tedesco Nickolaus von stabilimento. A questo proposito lo stesso Skinnarland fu Falkenhorst, in seguito incriminato per crimini di guerra da addestrato come guida per future ed eventuali operazioni parte del Regno Unito per aver contravvenuto gli accordi di sabotaggio. Dopo aver consegnato tutte le informazioni di Ginevra. Come già accennato, nel 1985 venne condotta in suo possesso, ed essersi addestrato all’uso del il un’operazione di recupero dei resti di questi gloriosi aerei. I paracadute, fu aviolanciato fra le montagne Hardanger pezzi ritrovati (circa 300) sono oggi conservati al memoriale Vidda, il 29 marzo 1942, da un aereo della RAF. Undici dall’Assault Glider Trust. giorni dopo la sua partenza per Aberdeen si ripresentò nuovamente al suo posto di lavoro nell’impianto di Vernork, Un rapporto ufficiale redatto della RAF nel 1942 e custodendo il segreto sulla missione. A causa del pessimo recentemente svincolato dal segreto militare è visibile qui: tempo norvegese e delle poche ore di luce disponibili www.stephen-stratford.co.uk/fman_report.htm

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Di FABIO ROSSI Foto di Michele FARINETTI

NORINCO M4 CQ-A IL BLACK RIFLE CON GLI OCCHI A MANDORLA

a carabina M4 è stata presentata per la prima volta al pubblico alla fiera delle armi di Abu Dhabi nel 1994, come variante alle versioni carabina dell’M16A2, derivate a loro volta dalla serie CAR-15. L’esperienza maturata sul campo e la volontà di avere un’arma più leggera e maneggevole espresse dalle Special Forces dell’US Army, hanno contribuito, in modo preponderante, al suo sviluppo. Il risultato ottenuto è un’arma il cui peso finale è di poco superiore alla metà di un M16A2, il che ha permesso all’operatore di poter trasportare, a parità di carico, più razioni viveri, munizioni ed equipaggiamento senza dover rinunciare alla potenza di fuoco di un fucile d’assalto. Negli ultimi anni, con l’aumento delle pesanti limitazioni all’esportazione dettate dalle politiche USA, il mercato internazionale ha visto il proliferare di aziende, più o meno blasonate, che si sono dedicate alla costruzione o all’assemblamento di questa tipologia di carabine. In Europa, in prima istanza, abbiamo visto la commercializzazione di prodotti dai prezzi non proprio popolari, come quelli di SABRE DEFENCE ed OBERLAND, poi miracolosamente sono comparsi i più economici ASTRA ed infine, dalla lontana Cina sono arrivati i NORINCO, dal prezzo veramente concorrenziale e decisamente a portata di un normale portafoglio. Alcune aziende attualmente importano il Norinco CQ-A in Italia, anche se con numeri ridotti, tra cui la TFC di

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Villa Carcina (BS) e la Nuova Jager di Basaluzzo (AL). L’AZIENDA NORINCO: acronimo di China North Industries Corporation non è altro che un gruppo di imprese che si occupa di studio, produzione, e commercializzazione di una miriade di prodotti a livello internazionale. Tra questi, prodotti per la difesa, l’estrazione di petrolio e minerali, prodotti optoelettronici, esplosivi civili e prodotti chimici, armi e veicoli militari. In quest’ultimo settore, la casa cinese, è saldamente impegnata nello sviluppo di prodotti high-tech, con importanti commesse per la difesa nazionale cinese, nello studio tecnologico dei sistemi di attacco di precisione, armi d’assalto anfibio, sistemi d’arma anti-aerei e antimissile, prodotti per la visione notturna, sistemi anti-terrorismo, anti-sommossa e armi leggere. LA STRUTTURA Il nostro Black Rifle viene venduto in una scatola di cartone, corredato di due caricatori ridotti a 5 colpi, una cinghia di trasporto in nylon di colore nero, una boccetta in plastica verde per olio lubrificante, un kit di pulizia ed il manuale d’istruzione. L’estetica ricalca fedelmente l’ormai nota piattaforma base M4. Nonostante accurate e lunghe ricerche sul web, non siamo riusciti a scoprire informazioni sugli acciai e sui materiali con cui Norinco assembla le proprie armi e cloni, anche se esistono tutti i presupposti per pensare che possano essere sicuramente di prima scelta. La sua lunghezza varia da 785 mm con calciolo chiuso ai 855 mm in completa apertura. Il peso si attesta poco al di sotto dei 3 kg. Il castello, in lega leggera, è ottenuto per lavorazione meccanica e le finiture sono realizzate con buona qualità sia internamente che esternamente. L’accoppiamento tra l’upper ed il lower-receiver è buono e le sezioni, accuratamente osservate, non presentano sgradevoli residui di lavorazione. La parte superiore TNM ••• 60

Guanto Mechanix M-PACT 3 Guanto di nuova produzione con nocche rinforzate in Kevlar modellato per aumentare la protezione della parte superiore. Caratteristiche: - dorso realizzato in Spandex Bi-direzionale, comodo e garantisce una perfetta vestibilità e durata. Polsino con velcro dalle dimensioni più lunghe del normale che permette un adattamento sicuro aumentando la protezione nell’area del polso. È inoltre presente una protezione aggiuntiva sulle dita con inserti in TIR iniettati direttamente, che preservano da impatti e abrasioni. Le nocche rivestite in duplice strato di gomma EVA che offre la massima protezione contro gli impatti, ponendo questo guanto tra i più sicuri nella sua categoria. Più grip su dita e pollice, il Clarino Zeus antiscivolo è usato su pollice, indice, medio ed anulare per aumentare presa e protezione. Protezione palmo in EVA riduce i danni da impatto e vibrazioni. Colore nero e coyote.


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dell’upper è percorsa per l’intera lunghezza da una slitta a norme standard Picatinny. Sulla stessa è assemblato il maniglione di trasporto, separabile per mezzo di due grandi viti zigrinate al quale è abbinata la tipica diottra militare. La finitura esterna è ottenuta per brunitura in colazione nero opaco. L’otturatore, dotato delle peculiari sette alette di chiusura, è accuratamente quotato e ben si abbina al porta otturatore, tanto da risultare, probabilmente, una delle parti con la maggiore intercambiabilità con la componentistica originale americana. La canna cal. 223 REM, di foggia militare, ha una lunghezza di 14,5” - 406mm -, è molto ben lavorata,

cromata internamente e presenta sei righe destrorse con un passo di 9”, il ché permette l’utilizzo di munizioni con palle di peso compreso tra 52 e 77 grani. L’allegato manuale d’istruzione riporta un valore della vita operativa di 6.000 colpi, chiaramente inferiore di circa il 50% rispetto a quello di un M4 militare, ma abbiamo la netta impressione che i costruttori abbiano voluto essere eccessivamente prudenti. È finita con una fosfatazione in colorazione grigio ed il vivo di volata termina con uno rompifiamma, avvitato alla canna con un passo identico a quello dei modelli originali. A copertura della prima parte della canna è fissata l’astina, ottenuta

dall’assemblamento di due semigusci in materiale plastico. Al termine di questa è fissato il dispositivo mirinopresa gas, ottenuto per stampo a microfusione e decisamente ben rifinito. La regolazione del mirino a palo si ottiene utilizzando l’idoneo attrezzo. Nella parte inferiore del gruppo sono presenti l’attacco per la baionetta e la maglietta per il passaggio della cinghia di trasporto. Del medesimo materiale plastico è anche il calciolo telescopico, regolabile su sei posizioni, che è abbinato ad un buffer-tube dal diametro “civile” e quindi leggermente maggiore di quelli originali mil-spec. Nell’appendice inferiore del calciolo TNM ••• 61


TEST BY TNM TEST BY TNM TEST BY TNM TEST BY TNM TE PLATE CARRIER TIER ONE WARFIGHTER Set Up The Warrior Spirit • Cordura 1000 DN • Cummerbund amovibile • Alloggiamento anteriore e posteriore compatibile con piastre SAPI • Maniglia d’estrazione posteriore • Pals pettorali velcrate • Passa cavi laterali • Multiregolazione tramite fasce in velcro e fastex YKK • Tasche laterali interne • Fodera interna traspirante 3D • Spallaci imbottiti antiscivolo con ampia superficie di appoggio per un migliore comfort a pieno carico Il Setup comprende oltre al Plate Carrier i seguenti accessori: • tasca Admin porta badge, Strobo light e cyalume • tasca Medica • tasca Utility • tasca interna velcrata 3 porta caricatori M4 • Tasca posteriore completa di sacca idrica antibatterica Source WXP da 3 lt Chest rig applicabile al vest tramite Fastex YKK e utilizzabile separatamente tramite gli appositi spallacci dedicati. Ha quattro tasche interne doppie regolabili in profondità idonee ad ospitare un totale di 8 caricatori M4 o 8 caricatori AK e/o radio. Sul retro del chest è disponibile una tasca porta documenti. Sono presenti inoltre 4 fori di drenaggio.

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è assicurata l’altra maglietta di fissaggio della cinghia. Il pacchetto di scatto, esclusivamente ad azione singola, utilizza un sistema di percussione a cane interno abbinato ad un percussore flottante. Le parti interessate non sono ottenute per microfusione, ma per lavorazione, non presentano residui tuttavia necessitano di un’attenta lucidatura per ottenere prestazioni maggiormente esaltanti. Su entrambi i lati del castello sono presenti il pulsante di svincolo del pacchetto

notevole, dettato soprattutto dalla convinzione sulla scarsa qualità dei prodotti cinesi, impressioni rafforzate anche dal prezzo popolare della carabina. A dir del vero i prodotti importati negli anni passati non eccellevano per qualità di rifinitura estetica e materiali. L’M4 CQ-A, oggetto della prova, è stato acquistato da circa un anno presso la TFC di Villa Carcina (BS). Effettuata la taratura dei congegni di puntamento, con l’arma in configurazione originale, sono stati effettuati tiri di prova su bersagli Norinco CQ-A

Il logo dell’azienda costruttrice e tutte le scritte identificative dell’arma sono realizzate, con l’utilizzo di un laser, sul lato sinistro del bocchettone del caricatore.

caricatore e la leva della sicura manuale, quest’ultima posizionabile solo sulle modalità SAFE o SEMI. Sul lato sinistro del bocchettone del caricatore, con l’utilizzo di un laser, è stato realizzato il logo dell’azienda costruttrice e tutte le scritte identificative dell’arma, compreso il numero di catalogo nazionale e la matricola. REPORT DELLE PROVE E CONSIDERAZIONI Si è già molto parlato di queste carabine “made in Cina”, sia su riviste specializzate nazionali sia internazionali e molti feedback sono rintracciabili anche nei vari forum di discussione. Il pregiudizio iniziale era

posizionati in un range compreso tra i 40 ai 100 metri. Sono state utilizzate unicamente munizioni commerciali, sia le più economiche Barnaul cal. 223 REM HP da 55 grs che le Fiocchi cal. 223 REM FMJ 5 5grs. Abbiamo cercato di alternare sessioni di tiro celere, con rapidi doppiaggi dei colpi, a più tranquille sedute, con arma in appoggio, caratterizzate dalla ricerca della precisione. La carabina si è comportata egregiamente; il sistema di alimentazione/sparo non ha dato origine ad alcun problema, l’espulsione è stata regolare e, dall’esame dei bossoli, le percussioni sono risultate decise e ben centrate. Unico neo lo scatto, duro e poco fluido, risultato al dinamometro

Costruttore: Norinco – China North Industries Corporation Tipo: carabina semiautomatica Calibro: 223 Remington Funzionamento: a presa di gas sistema Stoner Canna: lunga 371,5 mm; 6 righe destrorse con passo in 9” Percussione: indiretta, a mezzo cane interno con percussore flottante Alimentazione: caricatore bifilare ridotto a 5 colpi Scatto: ad azione singola Peso scatto: 3.000 g Estrattore: a gancio Congegni di puntamento: mirino regolabile in altezza, diottra regolabile in altezza e derivazione; slitta Picatinny per il fissaggio di congegni esterni Sicurezza: manuale con leve ambidestre Calcio: in materiale plastico con possibilità di regolazione in lunghezza Peso: 2850 g Dimensioni: lunghezza 785/855 mm, altezza 257 mm, spessore 69 mm Materiali: acciaio e lega leggera Finitura: brunitura nero opaca e fosfatazione grigio scuro

www.norinco.com.cn

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TEST BY TNM TEST BY TNM TEST BY TNM TEST BY TNM TE Sopra il compensatore prodotto dalla ADC Custom. Sotto il rompifiamma originale.

attestarsi a circa 3 kg, che necessita, come già detto in precedenza, di un’attenta lucidatura. La precisione, anche a distanza maggiore, si è rivelata contenuta nella media di questa tipologia di armi di derivazione militare e comunque racchiusa nei 2 MOA. Nei mesi successivi abbiamo “customizzato” il nostro Black Rifle con alcuni accessori FAB DEFENSE: il calciolo originale è stato sostituito con il modello GLR-16 Buttstock, l’impugnatura a pistola con il modello AG-43 Pistol Grip, l’astina plastica con l’ NFR Aluminum Quad Rail. Per l’installazione di quest’ultimo

abbiamo dovuto faticare parecchio, lavorando di lima con l’amico Paolo, ma alla fine siamo riusciti ad ottenere un ottimo accoppiamento. Al rail è stata poi aggiunta un’impugnatura anteriore angolata MAGPUL AFG2 ed un anello di aggancio per cinghia tattica RSA, sempre della stessa azienda. Abbiamo, inoltre, sostituito il buffer originale con uno più pesante ed abbinato una piastra Tactical Sling Adapter ambidestra al tubo di scorrimento del calciolo. Eliminato il maniglione di trasporto, sulla sottostante Picatinny rail, sono stati montati una diottra Magpul MBUS ed


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La dotazione di vendita comprendente due caricatori ridotti a 5 colpi, una cinghia di trasporto in nylon di colore nero, una boccetta in plastica verde per olio lubrificante, un kit di pulizia ed il manuale d’istruzione.


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un sistema di puntamento olografico tattico EO Tech 512. Ciliegina sulla torta, grazie all’amico Cristian Dallera di ADC Custom, abbiamo sostituito il rompifiamma originale con il compensatore di loro produzione; quest’ultimo permette una riduzione del rinculo pari al 65/70%, una diminuzione della torsione causata dal passo di rigatura della canna, una riduzione della fiammata di vampa ed è, infine, corredato di un sistema di “crash glass” mediante punte indurite tramite trattamento superficiale. Il risultato finale ha decisamente cambiato l’estetica dell’arma e, nelle successive prove a fuoco, nelle quali sono state esplose alcune centinaia di munizioni del tipo precedentemente menzionato, abbiamo anche ottenuto un’apprezzabile incrementato nelle prestazioni. L’ultima modifica, appena arrivata, è stata la sostituzione TNM ••• 66

dell’asta d’armamento standard con quella ambidestra della Hera Arms, per agevolarmi nell’impiego dell’arma dal lato sinistro. Per concludere, ci troviamo di fronte ad una carabina clone di buona qualità complessiva, con finiture non proprio perfette, ma accettabili per questa tipologia di prodotti e con tutta la minuteria metallica intercambiabile con l’originale. Le prove, il comportamento sul campo e lo scambio di impressioni con altri tiratori, possessori di M4 di aziende più blasonate e costose, hanno permesso di promuoverla e di consigliarla, non solo al cliente che ha intenzione di “contenere la spesa”. Nel nostro paese è stata inserita come “arma sportiva” al numero 18414 del Catalogo Nazionale ed il prezzo di vendita al pubblico si attesta intorno ai 1000 euro.

Si ringrazia: Didier PASTORINO di TACTICAL EQUIPMENT S.r.l. Per la fornitura di tutto l’abbigliamento e accessori Arc’teryx – The Warrior Spirit – Crispi – Mechanixwear utilizzati nel servizio fotografico. Via Nizza 167/169 R 17100 - Savona Tel/Fax 019 2054224 www.tacticalequipment.it L’amico Paolo DELFINO, esperto tiratore, paziente e competente customizzatore di carabine M4.


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ULTRA RUNNING ULTRA RUNNING ULTRA RUNNING ULTRA R

di Giuseppe Marino

ULTRA RUNNING GEAR

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RUNNING ULTRA RUNNING ULTRA RUNNING ULTRA RUNNING ULTR

LE ATTREZZATURE SPORTIVE DESTINATE AGLI ULTRA RUNNER, OGGI PROGETTUALMENTE E TECNOLOGICAMENTE AL TOP, POSSONO ESSERE UTILIZZATE COME “STARTING POINT” PER LO SVILUPPO DI EQUIPAGGIAMENTI LEGGERI E FUNZIONALI DESTINATI ALL’IMPIEGO DA PARTE DI OPERATORI SOF DURANTE OPERAZIONI IN CUI MOBILITÁ E VELOCITÁ ASSUMANO UN RUOLO CHIAVE. empre piú diffuse nell’ambito degli sport estremi sono oggi giorno le competizioni “ultra running”. Essenzialmente gare di corsa svolte su percorsi con caratteristiche del terreno ed orografia molto varia ed aventi lunghezza ben superiore ai circa 42 km della famosa Maratona. Si tratta, infatti, di gare, alle volte articolate in piú tappe successive, di 40 - 60 - km al giorno ciascuna, le quali vedono i concorrenti impegnati su percorsi con una lunghezza totale di oltre 200 - 250 km complessivi percorribili in una settimana di gara. Competizioni che possono dunque svolgersi secondo diversi format, piú o meno difficoltosi, nei piú disparati ambienti e varie condizioni climatiche: dal terreno pianeggiante, a quello collinare o montano, dal clima temperato a quello addirittura desertico o caratterizzato da temperature estremamente rigide. Un vero sport estremo in cui sovente, come accennato in precedenza, i concorrenti sono impegnati per piú giorni consecutivi nell’esecuzione di tappe, sia diurne che notturne, intervallate da brevi soste per dormire e rifocillarsi. Durante le pause, spesso organizzate in accampamenti fatti di tende e con ridottissime strutture logistiche, nelle competizioni piú “estreme”, i concorrenti possono reintegrare le energie spese consumando solo viveri e

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Garmin Fenix GPS Watch Appositamente costruito con funzioni per il GPS + ABC, il Fenix fornisce al runner tutte le informazioni necessarie circa la navigazione, comodamente indossate al polso. La lettura è affidabile semplice e non importa in quale posizione vi troviate. Il prezzo è di 400 dollari .

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ULTRA RUNNING ULTRA RUNNING ULTRA RUNNING ULTRA R Arc’teryx Incendo Jacket Giacca costruita con elementi minimali, il tessuto è impermeabile sul corpo e sulle maniche, ideale per le attività all’aperto ad alto rendimento.

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integratori opportunamente portati al seguito da ciascuno di essi durante tutto il percorso di gara (di solito fa eccezione l’acqua il cui approvvigionamento e fornitura é a cura dello staff di gara). Unitamente a quanto necessario per il reintegro energetico durante le soste, in alcune competizioni, specie quelle che si svolgono in ambienti desertici, non essendo il percorso di gara rigidamente definito, i corridori devono portare anche il necessario per la navigazione terrestre (bussole, GPS, etc.) nonché le attrezzature per lo spostamento e la sopravvivenza su terreni difficili. In ragione di quanto sopra ne consegue la necessitá da parte degli ultra corridori di disporre di equipaggiamenti specifici atti a consentire un comodo e agevole trasporto di quanto necessario per lo svolgimento delle competizioni. La leggerezza, vestibilitá, funzionalitá e comfort di tali dotazioni di trasporto risultano ovviamente tutti fattori chiave di cui tenere conto durante la progettazione e sviluppo di zaini, gilet e altre suite idonee a questo specifico scopo. Lo spunto di riflessione che si vuole offrire al lettore con questo breve articolo, si basa sul fatto che, vista la parziale comunanza di esigenze identificabili tra gli ultra corridori e gli operatori militari appartenenti alle forze speciali, quando impiegati in operazioni di ricognizione veloce su terreni impervi, le soluzioni di trasporto materiali in uso da parte dei primi potrebbero essere sfruttate come punto di partenza progettuale per sviluppare prodotti con caratteristiche simili da destinare all’impiego da parte dei militari. Attualmente, infatti, analizzando il panorama degli zaini e gibernaggi in genere destinati all’impiego militare, si ravvisa una sostanziale carenza in termini di soluzioni aventi la leggerezza, vestibilitá, funzionalitá e comfort caratterizzanti gli “ultra running gears”. Partendo da quanto di meglio offre il mercato sportivo dell’ultra running gear, la semplice adozione di materiali ad alta resistenza, l’implementazione di specifiche tasche o scomparti ottimizzati per componenti immancabili nell’equipaggiamento di un operatore SOF, la colorazione con pattern mimetici e l’upgrade con soluzioni specificamente adottate per lo svolgimento di operazioni militari, consentirebbero la progettazione e realizzazione di soluzioni innovative e, benché altamente specializzate per una determinata tipologia di operazioni (ricognizioni


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veloci in primis), notevolmente funzionali e performanti. Le caratteristiche precedentemente citate comuni alla maggior parte degli equipaggiamenti impiegati nelle competizioni di ultra running e possibilmente in campo militare, fisicamente si esplicano nella realizzazione di zaini e suite simili, aventi le seguenti peculiarità: profili avvolgenti e cinghiaggi anatomici elastici atti a mantenere la massima stabilitá durante la corsa e spostamenti rapidi, posizionamento di tasche con angolazioni e aperture tali da essere raggiungibili agevolmente anche in movimento, integrazione di sistemi di idratazione, impiego di materiali leggeri ed allo stesso tempo resistenti e impermeabili, implementazione di soluzioni volte a massimizzare la traspirabilitá nonché la capacitá di espansione toracica e, piú in generale, la mobilitá dell’operatore. È ben noto che alcune delle caratteristiche e soluzioni citate giá compaiono in alcuni prodotti destinati al mondo militare;

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la riflessione alla base del presente scritto é peró quella di stimare l’eventuale utilitá per lo sviluppo di una nuova gamma di prodotti destinata al trasporto di materiali nell’ambito di operazioni terrestri veloci la quale, fortemente ispirata dalle soluzioni adottate in campo sportivo, racchiuda in se tutte le caratteristiche menzionate in precedenza. Nelle foto riportate sono chiari alcuni esempi di ultra running gear da cui si potrebbe eventualmente trarre ispirazione allo scopo di assemblare prototipi che vadano incontro alle esigenze di “leggerezza” utili agli operatori SOF. TNM ••• 71


Il primo libro fotografico che racconta

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Inedite immagini dei sette mesi di missione della Folgore in Afghanistan, raccolte in questo straordinario libro fotografico con la prefazione del Generale Carmine Masiello. Ordina subito la tua copia: redazione@tacticalnewsmagazine.it


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Di T. Colonnello GdF Mario Leone PICCINNI E Brigadiere GdF Carmine De Cicco

I reati connessi ai mezzi di pagamento elettronici

quando carte di credito e bancomat diventano un affare allettante e remunerativo per le agguerrite consorterie criminali nazionali e le spregiudicate bande malavitose straniere.

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Dal denaro contante ai mezzi elettronici di pagamento: analisi di una lenta e difficoltosa transazione in atto. In un periodo in cui lo Stato italiano pone rigidi limiti all’utilizzo del denaro contante in nome di una maggiore tracciabilità delle transazioni per una lotta più incisiva all’evasione fiscale ed al riciclaggio di denaro, sono di estrema attualità le iniziative normative assunte dalla quasi totalità dei governi comunitari, di abbandonare progressivamente l’utilizzo del denaro contante, lasciando il posto ai più monitorabili pagamenti elettronici, i quali finiranno, in breve tempo, per costituire una percentuale importante e preponderante degli scambi monetari e finanziari a livello mondiale. Oggi le carte di pagamento elettroniche rappresentano una valida alternativa al denaro contante, dispositivi di uso comune e di facile utilizzo, sono strumenti mediante i quali è possibile fare acquisti in esercizi commerciali dislocati in qualsiasi parte del pianeta e prelevare denaro contante presso gli sportelli bancomat automatici ATM (Automated Teller Machine). Siamo comunque già in una fase in cui la diffusione del web a livello planetario e dell’e-commerce rispetto alla persa abitudine di fare acquisti in ambiente off line e presso le tradizionali attività commerciali di prossimità, rappresentano i veri fattori trainanti di una tecnologia che induce ad un utilizzo sempre più frequente delle carte di pagamento elettroniche per operazioni realizzabili a distanza attraverso internet: come la prenotazione di vacanze e viaggi, spesa online con consegna a domicilio, acquisti su portali web ed aste online. In realtà, il principale ostacolo ad una diffusione davvero capillare delle carte di pagamento è innegabilmente rappresentato dalla conosciuta scarsa sicurezza che caratterizza il loro impiego, con il pericolo clonazione ed il rischio utilizzo illecito in ambiente web da parte di terzi non autorizzati. Carte di credito, carte di debito (note come bancomat), carte prepagate e revolving, sono oggi un target allettante per tante consorterie criminali; un business che muove e vale milioni di euro e di valuta statunitense ed in grado di attirare le bramosie di gruppi criminali ben organizzati ma anche di bande malavitose al contrario poco o male organizzate, ma che sfruttano il fatto di poter compiere un reato “da remoto”, ovvero stando in un posto o in uno stato

Secondo stime recenti, sarebbero oltre 33 milioni le carte di credito in circolazione nel nostro Paese, per un totale di 570 milioni di transazioni annue effettuate e 56 miliardi di volume di affari


law area law area law area law area law area law a 300.000 ammontano le frodi registrate connesse ai pagamenti elettronici

differente da quello in cui si trova la vittima, con conseguente diminuzione dei rischi di poter essere facilmente individuati dalle forze di polizia. Secondo stime recenti, sarebbero oltre 33 milioni le carte di credito in circolazione nel nostro Paese, per un totale di 570 milioni di transazioni annue effettuate e 56 miliardi di volume di affari; sarebbero invece circa 300.000 le frodi registrate. Ad oggi le soluzioni tecniche della conservazione dei dati necessari al funzionamento di una carta di credito su banda magnetica o su microchip, pur se adottate da tutti i circuiti di pagamento, raffigurano oramai tecnologie unanimemente identificate come non idonee ad affrontare l’aumento del fenomeno delle frodi e delle clonazioni ed a rispondere efficacemente alla crescente necessità di sicurezza. Si intravedono due sole possibilità all’orizzonte per porre fine ai furti dei dati necessari all’utilizzo delle carte di credito ed alla loro clonazione, di seguito analizzate. Le carte di credito ad impronte digitali o biometriche che riconoscono il proprietario dalle impronte digitali e dal calore corporeo, sono carte di plastica che ospitano un dispositivo che incorpora uno schermo a cristalli liquidi e una serie di 128 sensori ottici in grado di riconoscere l’unico dito autorizzato a prelevare o a spostare denaro elettronicamente TNM ••• 76

e ad abilitare quindi la carta di credito all’operazione. Per quanto riguarda l’utilizzo della carta in ambiente internet, quando l’utente poggia il dito sul supporto attiva la carta che trasmette le informazioni alla banca e ne riceve in cambio un codice criptato che compare, in chiaro, sul mini display della carta stessa. Il titolare non deve fare altro che digitarlo sul computer per iniziare a operare nel web della sua banca. In caso di aggressione e qualora i banditi tentino di forzare il titolare della carta ad usarla, per esempio, per un prelievo a un bancomat, basandosi sulla previdenza dell’anatomia che non replica la stessa impronta nemmeno nelle dieci dita dello stesso individuo, i ricercatori hanno escogitato l’opzione “panic finger”, la vittima potrà attivare la carta di credito con un altro prestabilito polpastrello: i sensori comprenderanno la situazione, ma il sistema farà ingegnosamente finta di nulla, dando inizio alla normale procedura per l’erogazione della somma voluta e lanciando l’allarme alla banca, che lo girerà alle forze dell’ordine. Nel caso invece i criminali dovessero pensare di tagliare il dito della vittima per usarne la carta, non vi riuscirebbero comunque tenuto conto che i sensori per attivarsi hanno bisogno di rilevare anche la

temperatura corporea. Una soluzione alternativa ma ugualmente ingegnosa e potenzialmente sicura, consiste in una RFID card, una carta touchscreen ad identificazione biometrica (anch’essa con impronta digitale), dotata di un piccolo schermo sul quale l’utente può leggere molteplici informazioni. La RFID card può essere utilizzata oltre che come carta di pagamento, anche come carta di identità, patente e passaporto. Oltre che “non clonabile”, la tecnologia RFID permetterà all’utente di visualizzare in tempo reale sul piccolo monitor della card lo stato ed il saldo del proprio conto corrente. In ogni caso, è innegabile come la diffusione dei sistemi di pagamento elettronici abbia dilatato la casistica criminale connessa alla duplicazione, contraffazione e clonazione di bancomat e carte di credito, utilizzate spesso poco prudentemente da milioni di utenti.


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Dagli hacker alle bande che asportano le postazioni bancomat con l’esplosivo: evoluzione e diversificazione delle tecniche criminali. Una banda criminale composta da giovani ivoriani, nigeriani ed italiani operanti tra l’Italia e l’Inghilterra e con basi a Pisa, Milano, Brescia e Pavia, dedita alla clonazione di carte di credito, è stata sgominata dalle Forze di Polizia italiane. Utilizzando i codici delle carte di credito frodate on line ed acquisiti attraverso skimmer posizionati su pos e postazioni bancomat, i malavitosi acquistavano beni di elevato valore economico che poi rivendevano sul web su portali e-commerce. Il capitale accumulato dai criminali veniva quindi riciclato ed investito per l’acquisto di lussuose ville in Costa d’Avorio. Quello sopra citato è solo uno degli innumerevoli servizi di polizia giudiziaria portati a termine dalle Forze di Polizia italiane nei confronti di gruppi criminali dediti alle frodi sulle carte di pagamento elettroniche. I dati ufficiali riferiscono un crescente aumento nel nostro Paese di reati connessi all’illecito utilizzo ed al furto di carte di credito e bancomat. Il crescente utilizzo delle carte di credito, spinto dallo sviluppo incessante dell’e-commerce e dall’ascesa del web, è accompagnato da un incremento oltre che numerico, soprattutto qualitativo di reati in danno di istituti di credito ed utenti. Per pirati ed hacker, il bacino di potenziali utenti è oggi rappresentato dagli oltre 17 milioni di conti correnti gestiti attraverso la rete in Italia. Negli ultimi anni i reati informatici hanno conosciuto un incremento incessante, con giovani ed adolescenti che spesso in nome di una particolare cognizione tecnica-informatica, si rendono responsabili di azioni di hacking anche solo per dimostrare quello di cui sono capaci. Va sottolineato, però, come le fattispecie delittuose relative alle carte elettroniche hanno registrato una progressiva diversificazione dovuta all’entrata nell’illecito mercato di sodalizi criminali nigeriani e rumeni

ben organizzati, in grado di modulare le proprie strategie e le tecniche utilizzate, anche sulla base delle continue soluzioni di difesa utilizzate dagli istituti bancari. Nel 2011 i profitti realizzati dalle consorterie criminali con le frodi perpetrate nel territorio dell’Unione Europea sulle carte di

etnico” gestito da organizzati sodalizi criminali nigeriani e rumeni, in grado di diversificare le proprie tattiche ed il proprio modus operandi anche sulla base delle sempre rinnovate strategie di difesa progressivamente sperimentate ed adottate dalle società e dagli istituti bancari che rivestono

Per pirati ed hacker, il bacino di potenziali utenti è oggi rappresentato dagli oltre 17 milioni di conti correnti gestiti attraverso la rete in Italia

pagamento, ammonterebbero a circa 600 milioni di euro, con un aumento, rispetto all’anno precedente, di circa il 50%. Mentre il web si conferma l’ambiente di riferimento per lo sviluppo di tali attività illegali, in Italia, così come avviene per la maggior parte delle frodi informatiche e dei reati on line, anche per ciò che attiene i reati connessi alle carte di credito, è possibile parlare di un “oligopolio

parte attiva nel florido circuito delle carte di credito. Si tratta, nella quasi totalità dei casi, di gruppi criminali che operano su base transfrontaliera. Le scorribande di hacker romeni risalgono all’oramai lontano 1999, quando 4 ragazzi e 2 ragazze di Bucarest, riunitisi sotto il nome di Pentaguard, hanno attaccato e “bucato” le reti governative di Cina e Stati Uniti, distrutto il server delle Forze Armate USA di stanza in TNM ••• 77


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Corea e violato il sistema informatico del ministero della Difesa americana. In Romania si assiste da tempo ad una “riconversione” della criminalità che è passata in questi ultimi anni da reati come il traffico di autovetture rubate o il traffico di esseri umani e di sostanze stupefacenti, a reati ad alto

La strategia maggiormente utilizzata resta comunque quella dell’attacco ai pos ed agli sportelli bancomat, che può essere realizzata anche mediante la tecnica quasi paramilitare, utilizzata soprattutto da bande di slavi o albanesi o da bande affiliate alla criminalità organizzata

contenuto tecnologico ed informatico su mezzi elettronici di pagamento. Una mutazione spinta dalla possibilità che consente quest’ultima tipologia di crimine di realizzare profitti ingenti in tempi rapidissimi e con rischi relativamente ridottissimi e dalla prospettiva di un facile accesso alle TNM ••• 78

attrezzature informatiche moderne necessarie a commettere i reati. Così come emerge dalle investigazioni sviluppate in questi anni, i componenti delle bande criminali specializzatisi nella commissione di tali tipi di reato provengono in prevalenza dalle province rumene di Bacau, Dolj, Constanta, Valcea, Bihor, Brasov, Dimbovita, Iasi, Olt, Mehedinti, Hunedoara e Bucarest; i paesi ove invece poi i criminali rumeni si spostano per frodare utenti ed istituti bancari, sono, principalmente: Francia, Italia, Gran Bretagna, Germania, Belgio, Spagna, Olanda. Come anticipato, le frodi sui mezzi elettronici di pagamento costituiscono un business in grado di attirare l’interesse di gruppi criminali ben organizzati al fianco dei quali in Italia si trovano sempre più spesso ad operare sodalizi non parimenti organizzati nella fase successiva al furto del danaro che dovrebbe essere rappresentata dal riciclaggio ovvero dal reinvestimento dei capitali in ulteriori attività economiche speculative. In ragione di una strutturazione disarticolata ed “avventurosa”, dette consorterie malavitose si accontentano sovente di spendere quanto illecitamente sottratto operando acquisti presso centri commerciali e negozi di vario genere. L’entrata nel “mercato” di sodalizi criminali ben organizzati ha causato una progressiva diversificazione delle fattispecie delittuose relative ai mezzi elettronici di pagamento; i sistemi di frode spaziano dal semplice furto alla più complessa clonazione delle tessere magnetiche, dalla manomissione dei POS all’alterazione delle postazioni ATM, dalla falsificazione alla clonazione delle carte di credito. Una carta di credito falsificata o clonata che può consistere nella stampa e nella codificazione di una carta originale presa a modello, ovvero nell’alterazione di una carta regolarmente emessa, viene, il più delle volte, realizzata mediante la tecnica dello skimming. La carta frodata è utilizzabile dai criminali fino a che il titolare si accorge della truffa (magari viene avvisato da un

sms qualora abbia precedentemente attivato il servizio di allarme) e blocca l’operatività della propria carta, ovvero sino a quando non viene raggiunto il plafond di spesa relativo alla carta di credito illegalmente utilizzata e l’istituto di credito ne sospende la possibilità di impiego. È indubbio come la crescita del fenomeno relativo alle frodi commesse con carte di pagamento trovi motivazione anche nella relativa semplicità e nella possibilità di ottenerne in forma immediata il guadagno. A differenza di quanto avviene per il falsario di banconote false, all’hacker o al malvivente che opera nel settore della clonazione delle carte di credito non è richiesta alcuna specializzazione particolare. Le organizzazioni criminali commettono, di fatto, un tipo di reato che genera una percezione sociale del crimine relativamente bassa e per il quale, da un punto di vista normativo, non sono previste sanzioni eccessivamente severe. Da un punto di vista normativo, per fronteggiare il fenomeno legato all’uso illecito delle carte elettroniche o a qualsiasi altro analogo documento che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, il legislatore ha introdotto l’articolo 12 della Legge 197/91, intitolato Carte di credito, di pagamento e documenti che abilitano al prelievo di denaro contante, in virtù del quale: “…chiunque, al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire seicentomila a lire tre milioni. Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto per sè o per altri, falsifica o altera carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte


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o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonchè ordini di pagamento prodotti con essi…”. Vi è, infine, la consapevolezza per le consorterie malavitose di doversi contrapporre ad una law enforcement contraddistinta da tempi di reazione limitati e rallentati dalle difficoltà di coordinamento con le unità investigative degli altri Paesi con le quali spesso non c’è raccordo legislativo e strategico. Una carta falsificata può essere venduta dalle organizzazioni criminali che ne hanno fraudolentemente acquisito l’operatività, per una cifra intorno ai 500 euro; la vendita avviene su portali web e forum “chiusi” per accedere all’interno dei quali bisogna essere “presentati” ed accreditati in quanto frequentati solo da “addetti ai lavori”, ovvero da criminali interessati all’acquisto o alla vendita “in blocco” di dati necessari a rendere operative le preziose carte magnetiche. Da un punto di vista tecnico, vi sono diverse tecniche di acquisizione delle carte elettroniche di pagamento in ambiente internet ed off line: • tecnica tradizionale di acquisizione dei dati attraverso skimmer: una volta che l’utente paga con la propria carta di credito presso un’attività commerciale, la carta viene “strisciata” nel terminale POS all’interno del quale era stato precedentemente occultato un dispositivo detto skimmer, in grado di acquisire fraudolentemente i dati della carta. A tal punto, è possibile realizzare una carta “gemella” o rivendere ad altri criminali interessati i dati acquisiti che saranno poi utilizzati per la successiva codifica; • il carding matematico, tecnica che si realizza mediante la produzione di numeri di carte di credito verosimili mediante software che impiegano particolari algoritmi in grado di riprodurre la numerazione utilizzata dalle principali società che gestiscono carte di credito; • memorizzazione dei dati contenuti nella carte magnetiche attraverso

Attraverso un dispositivo montato nella fessura di inserimento della carta ed una piccola telecamera montata sul pannello di controllo, il criminale filma la digitazione del codice PIN da parte dell’utente.

bluetooth: negli ultimi tempi i sodalizi per l’effettuazione delle transazioni criminali che operano nel settore elettroniche. In tal modo i criminali delle carte di pagamento ricorrono entreranno in possesso di un numero sempre più frequentemente alla altissimo di dati relativi a carte di tecnologia bluetooth per giungere credito e bancomat già illecitamente alla clonazione delle cards. Si tratta, utilizzabili per acquisti e transazioni solitamente, di bande di giovani sul web ovvero per la realizzazione di gestite dalla criminalità rumena, supporti clone delle cards originali; altamente specializzate in reati • lo skimming (da “to skim”, della specie. I criminali, penetrano letteralmente “strisciare”) su ATM: all’interno di un centro commerciale, attraverso un dispositivo montato si nascondono nei bagni o in qualche nella fessura di inserimento della anfratto in attesa della chiusura carta ed una piccola telecamera serale; una volta che l’esercizio montata sul pannello di controllo, è chiuso e quindi deserto e non il criminale filma la digitazione del vigilato dall’interno, hanno tutto il codice PIN da parte dell’utente. tempo per oscurare le telecamere di Intanto lo skimmer” acquisisce sorveglianza, “schiumare” i sistemi e registra illecitamente al suo di allarme e soprattutto piazzare un interno i dati contenuti nelle carte minuscolo microchip all’interno dei di pagamento elettronico. Detta POS ubicati presso le varie casse. tecnica criminale, comunemente Una volta terminata tale procedura, denominata “skimming”, è attendono l’apertura sino alla quindi relativa ad azioni illecite mattina seguente ed dopo essersi compiute mediante la propedeutica mischiati tra la gente che affolla manomissione o sostituzione degli l’esercizio commerciale, si sistemano skimmer originali presenti nell’ATM, nei pressi della cassa o della con uno furtivamente installato per postazione manomessa e restano in leggere, acquisire e memorizzare i attesa dotati di un normale computer dati contenuti nella carte magnetiche portatile armonizzato sulle frequenze che vengono fatte “strisciare” al bluetooth del microchip illecitamente suo interno. Una volta recuperata installato, il quale provvederà in la videocamera che ha ripreso e automatico a trasmettere i dati di registrato i pin digitati e lo skimmer tutte le carte che vengono strisciate precedentemente installato, il TNM ••• 79


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Il criminale può acquisire il PIN del bancomat da clonare anche attraverso una falsa tastiera sovrapposta a quella originale dello sportello, in grado di acquisire e memorizzare il codice digitato dall’utente

criminale potrà estrarne i dati acquisiti ed utilizzarli per acquisti e transazioni on line ovvero per la realizzazione di supporti clone delle cards originali; • applicazione di una falsa tastiera sull’ATM: il criminale può acquisire il PIN del bancomat da clonare anche attraverso una falsa tastiera sovrapposta a quella originale dello sportello, in grado di acquisire e memorizzare il codice digitato dall’utente. Si tratta, comunque, di una tecnica ora efficacemente contrastata dalla gran parte dei distributori automatici degli istituti bancari ora dotati di una Pin Pad criptata; • il vishing, truffa nata dal più noto phishing e derivata da una sintesi tra i vocaboli phishing e VoIP, è un sistema che rende possibile effettuare chiamate telefoniche utilizzando una connessione internet in luogo di una linea telefonica tradizionale. Nel vishing i pirati informatici inviano mail che a differenza di quanto avveniva nel phishing, non contengono più link ai siti appositamente allestiti per TNM ••• 80

trarre in inganno l’utente, ma numeri di telefono che i destinatari sono invitati a contattare con la classica motivazione dell’esigenza di ottenere i dati per un aggiornamento del sistema o una verifica. Una volta contattato il numero indicato nella mail, la voce registrata di un fantomatico call center informa l’utente del fatto che si sono verificati problemi sul conto corrente bancario o sulla carta di credito ed al fine di risolverli consiglia di contattare un ulteriore utenza telefonica della quale viene fornito il numero. Una volta chiamato il numero indicato, una voce registrata all’apparenza professionale, invita l’utente a fornire i propri dati bancari riservati, che saranno utilizzati dai malviventi di lì a poco per svuotare il conto corrente del malcapitato; • lo “smishing”: anche in questo caso si tratta di una semplice ma ingegnosa diversificazione del classico phishing, dove l’utente non viene contattato via mail, ma semplicemente attraverso un SMS sulla propria utenza cellulare. L’industrioso stratagemma è

già stato utilizzato in Italia da un giovane della provincia di Varese, il quale è riuscito a carpire i dati sensibili delle carte di credito di 900 utenti. Il truffatore ha utilizzato un software facilmente reperibile on line, capace di dissimulare la provenienza dell’SMS da un numero di telefono riconducibile ad una fantomatica società che si indicava come mittente. Una volta ricevuto l’SMS, i clienti hanno ritenuto attendibile la comunicazione e fornito quindi il numeri e dati della propria carta. Le persone truffate hanno ricevuto sul proprio telefono cellulare un SMS intestato CartaSi il quale letteralmente recitava: “Attenzione, chiami il numero .... di Servizi Interbancari per verificare la transazione con la sua carta di credito, al fine di evitarne usi fraudolenti”. Una volta contattato il numero telefonico indicato nel messaggio di testo, una voce registrata richiedeva di digitare il codice della carta di credito e le tre cifre del codice di sicurezza CVV, e quindi di digitare sulla tastiera del telefono il “tasto 1” per essere


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messo in contatto con un operatore; sistematicamente, dopo aver digitato il numero, la voce portava a termine la truffa, invitando gentilmente il malcapitato a ritentare il giorno successivo considerato che in quel momento tutti gli operatori erano occupati in altre conversazioni; • il Lebanese Loop: si tratta di una tecnica di attacco a POS ed ATM basata su procedure di social engineering (ingegneria sociale). La tecnica si struttura sulla preventiva applicazione su uno sportello di prelievo automatico di un congegno in grado di “risucchiare” e trattenere la carta magnetica inserita dal cliente, in modo tale che il distributore non possa più espellerla e l’utente riprenderne possesso. Il cliente che entrerà successivamente all’applicazione del dispositivo da parte del malvivente non riuscirà ad estrarre la carta e quindi a terminare l’operazione. Fingendo di essere anch’egli un cliente della banca in attesa di utilizzare lo sportello bancomat, il criminale si offre di aiutare il malcapitato consigliandogli di digitare un’altra volta il PIN; in tale frangente il truffatore riesce a vedere e memorizzare la combinazione alfanumerica digitata dall’utente titolare della carta “bloccata”. Al termine di numerosi inutili tentativi, la vittima si allontana ripromettendosi di chiamare la banca o recarvisi personalmente in orari di apertura; a tal punto il malvivente può sbloccare il dispositivo, impadronirsi della carta ed adoperarla con il PIN di cui è precedentemente venuto a conoscenza, fino al momento in cui verrà disabilitata dall’istituto bancario emittente, allertato dal legittimo titolare. • il furto d’identità: nota tecnica utilizzata dai pirati del web che si sostanzia nell’acquisizione dell’identità di un’altra persona e si realizza “mediante l’appropriazione ed il successivo riutilizzo non autorizzato dei dati personali della vittima. La carta non viene sottratta o rubata fisicamente; il truffatore

si impossessa solo dei dati in essa • il boxing: tecnica di fraudolenta di contenuti per assumere l’identità acquisizione della carta elettronica del suo titolare”. La sottrazione nel momento in cui quest’ultima dei dati marchiati sulla card può viene recapitata al titolare, ovvero avvenire mediante tecniche differenti. di acquisizione dei dati delle carte Si tratta di una tecnica in continua mediante sottrazione dell’estratto crescita, (11 milioni i casi di furti di conto inviato via posta all’utente identità censiti nel solo anno 2009), (quando una carta di credito viene poiché si sostanzia in un sistema che rubata da una cassetta postale di un oggettivamente riduce il rischio di condominio o nel tragitto postale tra essere scoperti grazie al mancato l’emittente ed il titolare si parla di ricorso al furto fisico del supporto. frodi “mail not received”); Una volta acquisita la falsa identità, il • l’hacking: tecniche di hackeraggio malvivente richiede una nuova carta che si sostanziano in invasive oppure accede ad una preesistente violazioni di server e database di impersonificando il vero titolare; operatori commerciali e fornitori • il phishing: tecnica di acquisizione dei di servizi on line (hotel, siti dati attraverso false comunicazioni e-commerce, ecc) per acquisire inviate via posta elettronica con i numeri delle carte di credito ivi le quali il pirata finge di essere custoditi; un istituto di credito o un ente per • il trashing: in questo caso i criminali indurre l’utente target a fornire i acquisiscono dati bancari e dati dati della propria carta di credito. sulle carte di credito e bancomat Una volta acquisiti i dati, il phisher rovistando nei rifiuti. In gran può utilizzarli in modi differenti e parte della Penisola si effettua per diverso tempo, ovvero fino al il conferimento differenziato dei momento in cui il titolare non verifica rifiuti, separando la carta dal resto gli addebiti sull’estratto conto ed del materiale. In tale situazione, avvisa la propria banca della truffa risulta agevole per i pirati acquisire subita; le particolari informazioni ricercate. TNM ••• 81


law area law area law area law area law area law a I sistemi di frode spaziano dal semplice furto alla più complessa clonazione delle tessere magnetiche, dalla manomissione dei POS all’alterazione delle postazioni ATM, dalla falsificazione alla clonazione delle carte di credito

Lo stesso risultato viene raggiunto recuperando ricevute e scontrini delle carte di credito che talvolta i possessori gettano via dopo un acquisto. Anche in questo caso, i dati vengono successivamente utilizzati per effettuare transazioni ed acquisti attraverso canali remoti, all’interno dei quali non è necessario presentare fisicamente la carta per concludere l’acquisto (operazioni sul web, ordini telefonici o postali). • La strategia maggiormente utilizzata resta comunque quella dell’attacco ai POS ed agli sportelli bancomat, che può essere realizzata anche mediante la tecnica quasi paramilitare, utilizzata soprattutto da bande di slavi o albanesi o da bande affiliate alla criminalità organizzata, di estrarre ed asportare dal muro mediante l’impiego di ruspe o l’utilizzo di esplosivi l’intero sportello bancomat costituito da una cassaforte al cui interno è custodito il denaro destinato ai clienti del distributore elettronico. I dati parlano di attacchi fisici alle postazioni ATM e di bancomat nel mirino con riferimento alle frodi in ambiente off line, come reato particolarmente diffuso nel centronord della Penisola. Nel nostro Paese, TNM ••• 82

nel 2011, gli attacchi agli ATM sono stati 405, 209 quelli riusciti, con un bottino medio degli attacchi che vede una media di 43.000 euro per i bancomat a fronte di una media di 23.000 euro per le rapine in banca. In Emilia Romagna, la regione maggiormente interessata dal fenomeno, si sono registrati 91 attacchi tentati (42 dei quali riusciti), segue quindi il Veneto con 82 attacchi tentati (50 portati a termine), la Lombardia con 60, il Piemonte con 52, la Campania con 38 e la Toscana con 28. Le province più colpite sono quelle di Torino (30 attacchi tentati), Bologna (29), Milano (27), Napoli e Padova (23). Ciò dimostra come gli attacchi fisici rappresentino alla pari delle infrastrutture tecnologiche e dell’aspetto “logico”, il vero punto sensibile della sicurezza degli ATM, con i dati finanziari di clienti, banche ed istituzioni che costuiscono il vero bottino dei criminali. La lotta alle falsificazioni ed alle frodi sui mezzi elettronici di pagamento: metodologie di contrasto. Al fine di facilitare lo scambio informativo con finalità investigative, è stato istituita, presso il Ministero dell’Economia, una banca dati su mezzi di pagamento e carte di credito

adoperate in relazione alle quali siano verificate anomalie, direttamente amministrata dall’Ufficio Centrale Antifrode dei mezzi di pagamento (UCAMP). Per quanto attiene le attività di contrasto alle organizzazioni criminali che operano nel settore dei mezzi elettronici di pagamento, tenuto conto della “transnazionalità” delle condotte, sarebbe auspicabile una reale cooperazione tra le pubbliche autorità competenti ed i privati interessati, nell’ottica di uno scambio di esperienze ed informazioni. Dal punto di vista della prevenzion i consumatori andrebbero maggiormente informati sui rischi connessi all’impiego di strumenti di pagamento diversi dai contanti e sensibilizzati sull’opportunità di adottare comportamenti più adeguati. Andrebbero implementate le cosiddette flagging systems on line come il CIFAS inglese, strutture che permettono lo scambio di informazioni tra istituzioni finanziarie su casi di frode o tentativi di truffe; a dette informazioni dovrebbero avere accesso anche altri organi cointeressati come Europol ed Interpol. In definitiva, è compito delle autorità nazionali e dei Governi pensare le frodi nei pagamenti come un reato grave ed attribuire quindi priorità alla prevenzione a tutela dei singoli e del mercato.


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l 29 gennaio 1971 il capitano Meir Dagan, comandate del reparto speciale Rimon delle forze armate israeliane, si aggirava con i suoi uomini a nord della striscia di Gaza per dei controlli di normale routine. Tutti i militari indossavano la loro uniforme, un fatto certamente inusuale per un reparto addestrato ad operare “mista aravim”, come veri e propri arabi. Durante il tragitto, la jeep di Dagan incrociò casualmente un taxi che stava percorrendo la stessa strada: il veicolo israeliano rallentò un attimo, mentre Meir volse rapidamente lo sguardo verso il passeggero. Il mezzo dell’esercito israeliano fece una brusca frenata per bloccare il veicolo palestinese; dentro quel taxi stava comodamente seduto Abu Nimer, un nome che era in cima alla lista dei ricercati dal Mossad. Rapidamente gli israeliani scesero dalla jeep e circondarono l’auto, mentre Dagan, pistola in pugno, stava avvicinandosi alla portiera per intimare al palestinese di arrendersi. Abu Nimer, vistosi circondato, tentò il gesto estremo: scese dal taxi con una bomba in mano, minacciando di farsi esplodere e uccidere tutti. Senza esitare un attimo l’ufficiale israeliano si avventò contro il terrorista, con un’abile mossa lo inchiodò a terra e dopo avergli immobilizzato le braccia, riuscì a strappargli la granata dalla mano. Quello che seguì

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non è confortato da dati certi, tuttavia molti giurano di aver visto Dagan uccidere il terrorista a mani nude. La situazione di estremo pericolo e la reattività del comandate israeliano (futuro, leggendario comandante del Mossad) spiegano cosa sia il Krav Maga poiché proprio grazie a questa particolare disciplina, sviluppata in Israele, Abu Nimer fu messo a tacere per sempre (liberamente tratto da “Michael Bar-Zohar, Nissim Mishal, Mossad, Milano 2012). Una storia che viene da lontano Il 26 maggio 1910 in un piccolo quartiere di Budapest nasceva Imre Emerich Lichtenfeld il quale, in giovane età, si trasferì con tutta la sua famiglia nella capitale della Slovacchia, Bratislava. Il padre di Imre, noto con il diminutivo di Imi, era un circense, dal fisico prestante e con una passione innata per le attività sportive. Ovviamente il giovane figlio apprese molto dell’arte paterna e in breve tempo divenne un praticante di arti marziali e un valido boxeur. In pochi anni Imi Lichtenfeld salì molte volte le scalette del ring diventando un campione dal brillante futuro. Per cattiva sorte, nel 1939, l’Europa sprofondò nel secondo conflitto mondiale e per le famiglie di religione ebraica si apriva uno dei periodi più cupi di tutta la loro secolare storia. Nel 1933, Adolf Hitler diventava il


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l’arte del

Krav Maga

D i f e n d e r s i , at ta c c a n d o di Michele Farinetti e Paolo Palumbo – Foto di Michele Farinetti

capo indiscusso di tutta la Germania, nel 1936 vennero promulgate le leggi di Norimberga che condannavano gli ebrei ad essere una “razza inferiore”, responsabili di tutte le disgrazie del popolo tedesco e quindi oggetto di persecuzione. Per le strade di Bratislava molti cominciarono a sposare le farneticanti teorie naziste e molte volte lo stesso Imi fu coinvolto in risse e combattimenti con alcuni gruppetti di antisemiti. La durezza della vita di strada e la lotta per la sopravvivenza furono la base di partenza del Krav Maga. Nel 1940 dopo varie peripezie, Imi riuscì ad imbarcarsi sulla nave “Pentcho” una delle ultime a liberare gli ormeggi con la falsa destinazione del Paraguay; in verità l’imbarcazione era diretta verso la Palestina britannica. Il viaggio sulla “Pentcho” fu un vero incubo: le condizioni della nave (che in realtà era una barca da fiume) erano disastrose e il comandate un morfinomane. Non appena la nave giunse a largo della coste Rumene, sul mar Nero, le autorità negarono l’approdo; a quel punto la “Pentcho”, a corto di carburante, fece rotta verso le coste bulgare dove fu oggetto di alcuni colpi di avvertimento per farla allontanare. Incredibilmente la nave riuscì ad arrivare in Grecia, Imi sembrava arrivato in un luogo abbastanza sicuro, tuttavia la fortuna sembrava averlo abbandonato. Poco prima che il comandante raggiungesse il porto, una violenta esplosione nel reparto caldaie sconquassò i ponti della

sgangherata imbarcazione la quale cominciò ad affondare; i passeggeri saltarono in acqua e per molti il viaggio della speranza si trasformò in tragedia. Buona parte dei sopravvissuti al naufragio cadde nelle mani dell’esercito Italiano che trasferì i fuggitivi prima a Rodi e poi nel campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia nel cosentino. Imi Lichtenfeld (reduce da una grave infezione) riuscì comunque a fuggire su di una scialuppa di salvataggio e raggiungere le spiagge egiziane dove ad attenderlo c’erano le autorità britanniche. Al suo arrivo in terra egiziana Imi Lichtenfedl si aggregò alla Legione Ceca, un piccolo esercito formatosi a Cracovia, nel 1939, un anno dopo che le truppe tedesche avevano invaso la Cecoslovacchia. Nel maggio del 1941 l’unità ceca fu mandata nel deserto occidentale, poi, a fine mese, fu aggregata alla 23esima brigata inglese nel mandato britannico di Palestina. Lo stesso anno Lichtenfeld partecipò a diverse battaglie che portarono alla sconfitta l’Afrika Korps del generale Rommel. Finalmente nel 1942 Imi raggiunse Israele dove il clima non era assolutamente dei migliori: la minoranza ebraica in Palestina non era sufficientemente tutelata dagli inglesi, agli ebrei fu anche vietato di portare armi cosa che gli esponeva ai continui attacchi da parte degli arabi. Fu in quella circostanza che nacquero le prime unità paramilitari TNM ••• 85


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ebraiche e precisamente il Pal’mach e il Palyam (unità marittima). I reparti della “Stella di Davide” vennero affidati al comando di Yitzhak Sadeh il quale si rivolse subito ai suoi uomini migliori, tra cui Imi, per addestrare le sue truppe; a Lichtenfeld, visti i suoi trascorsi sportivi, fu affidata la preparazione al combattimento corpo a corpo (Kapap – Krav panim l’panim). Dopo la guerra, nel 1948, Israele diventava uno stato indipendente e il primo ministro, David Ben Gurion, optò per lo scioglimento di tutte le unità paramilitari per riunirle in un unico esercito: Israeli Defence Force (IDF). All’interno delle IDF, Imi, cominciò a costruire una lunga e fruttuosa carriera all’interno dell’esercito; egli addestrava gli uomini con nuove tecniche di combattimento, inusuali agli occhi degli europei abituati alle classiche arti marziali orientali o al pugilato. Il Krav Maga (combattimento a contatto) insegnato da Imi divenne la principale tecnica di auto difesa di ogni soldato israeliano: un coacervo di tecniche che prendevano le mosse da diverse arti marziali, ma che erano indirizzate ad un risultato più veloce, immediato, che non richiedesse lunghi anni di apprendimento. Quando nel 1963 l’ungherese lasciò le forze armate decise che quanto aveva insegnato ai soldati poteva essere anche divulgato alle persone comuni: egli aprì, dunque, due scuole di Krav Maga a Tel Aviv e a Netanya. Nel 1972 venne inaugurato il primo corso per civili di Krav Maga al Wingate Institute for Physical Education and Sports, l’ente di riferimento per le attività fisiche degli atleti israeliani. Il Krav Maga in Italia Abbiamo visto come gli israeliani svilupparono un metodo TNM ••• 86

meno complesso rispetto alle Arti Marziali tradizionali da insegnare ai soldati delle I.D.F. e proseguirono affinando e sviluppando tecniche semplici che possono essere assimilate rapidamente, applicando il concetto del “vai verso il pericolo” ovvero la migliore strategia per annientare la minaccia o l’attacco. Il sistema è sempre aperto ai miglioramenti, aggiungendo tecniche, tattiche e addestramenti, adattando metodi di allenamento quando richiesto ed eliminando invece le tecniche quando queste risultano inefficaci, difficilmente assimilabili o superate. Oltre che in Israele, il Krav Maga si è diffuso in paesi dove è forte la presenza delle comunità ebraiche o si sono sviluppati solidi canali di collaborazione in ambito militare e di intelligence, ecco perché negli anni ‘80 il Krav-Maga iniziò ad essere insegnato negli Stati Uniti ai Dipartimenti di Polizia. Successivamente venne importato in Europa, dove nei primi anni ’90, in particolare in Francia, ebbe una diffusione capillare e solo da alcuni anni 1999/2000 divulgato in Italia da pochi istruttori diplomati direttamente da esperti israeliani. “Facta Non Verba”: focus sul KRAV MAGA IDS (Israeli Defence Systems®) La Scuola IDS Italia si distingue sempre più nel panorama Nazionale con gli originali programmi di Krav Maga e di Military Close Combat riconosciuti come metodi altamente professionali per la formazione degli operatori della sicurezza e per gli aggiornamenti delle procedure difensive di Agenti dei Comandi delle Polizie Locali; inoltre sono “sperimentati” attualmente presso alcuni importanti


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Membri dei reparti israeliani durante fasi di addestramento

centri d’addestramento e Scuole Militari. Proprio per queste situazione (a piedi, in auto, in ambienti chiusi o aperti). referenze certificate possiamo far nostro il motto “Facta Non Quali sono le principali caratteristiche del Krav Maga? Verba”. I pochi e selezionati Insegnanti Tecnici abilitati dai Il Krav Maga, offre una preparazione comportamentale fondatori della scuola IDS Italia, Michele Farinetti e Alberto che mette nelle condizioni di evitare, non solo di affrontare, Costanzo, autorizzati alla divulgazione dei programmi sono situazioni pericolose. Coordinamento, riflessi e velocità sono un punto di riferimento per chi ricerca serietà e qualità alla base di questa disciplina. Una caratteristica importante nell’apprendimento dei concetti e delle tecniche di “made è quella di non insegnare solamente una serie di tecniche in Israel”. Nel continuo studio ed addestramento alla realtà d’autodifesa, fine a se stesse, ma i principi per arrivare a si avvalgono dei maggiori esperti a livello Internazionale queste; dopo si studiano le tecniche che dovranno essere e anche per questo giungerà assimilate in modo realistico per direttamente da Israele Sharir Richman Michele Farinetti renderle automatiche. per un particolare aggiornamento • Direttore Tecnico IDS Italia - Israeli Defence tecnico, di cui faremo puntuale report Quali benefici psico-fisici porta la Systems - Krav Maga - SRT® Close Combat • Responsabile settore Krav Maga per FIAM nel prossimo numero di TNM… pratica costante del Krav Maga? (Federazione Italiana Arti Marziali) Passiamo ora a rispondere a una serie Durante l’allenamento l’allievo • Operatore Professionista della Sicurezza di “domande poste frequentemente” svolge un’attività mista, in parte di (Security Advisor e collaboratore agenzia investigativa) da chi voglia intraprendere un percorso tipo aerobico in parte anaerobico, • Docente presso la Scuola Interregionale formativo di Krav Maga: in generale si sviluppa forza, Polizia Locale (Liguria/Toscana/Emilia equilibrio, agilità e coordinazione Romagna.) Il Krav Maga è una disciplina praticabile • Consulente di Close Combat per vari reparti neuromuscolare; I benefici più evidenti FF.AA / FF.OO da qualsiasi persona o ci sono risultano l’aumento della resistenza, • Consulente tecnico di “Sicurezza a bordo” per limitazioni legate all’età, al sesso, alla maggiore funzionalità dell’apparato Compagnie Aeree (Eurofly-Meridiana-Air Dolomiti) preparazione atletica? cardio-circolatorio, notevole aumento • Docente di tecniche operative presso Polo Anche il fondatore Imi Lichtenfeld, della capacità percettiva. Universitario di Sulmona (Master per Polizia adattò il Krav Maga a scopi civili per La pratica costante del Krav Maga, Locale) renderlo praticabile a chiunque, al fine oltre che allenare le risposte KRAV MAGA - IDS Italia di permettere a ogni persona e senza istintive ed i riflessi, permette uno www.ids-italia.com limitazioni legate alla corporatura straordinario sviluppo delle capacità di Segreteria Nazionale (Savona) (donne, uomini e ragazzi), di predisporsi +39-349/838.20.21 concentrazione e di autocontrollo. info@ids-italia.com all’autodifesa in qualsiasi luogo e Dal punto di vista psicologico, rende TNM ••• 87


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Michele Farinetti fondatore della IDS italia posa insieme ad alcuni operatori dello SWAT TEAM di Fourt Lauderdale ( Florida )

• la prima, con la fase di riscaldamento, potenziamento, fondamentali e tecniche base; • la seconda dove si studiano esclusivamente le tecniche di Difesa Personale; • la terza, dove si apprendono le tecniche di Close Combat, inoltre si effettuano simulazioni sotto stress indotto e si integra il tutto con il combattimento libero ed altri esercizi avanzati.

maggiormente consapevoli dei propri limiti: ne consegue una sicurezza in se stessi che si riflette positivamente nelle varie attività quotidiane (per i civili) ed una sicurezza operativa maggiore per gli operatori di Polizia. Come faccio a riconoscere un vero corso di Krav Maga? Le stesse tecniche, le tattiche ed i concetti del Krav Maga o Israeli Close Combat, sono la vera filosofia della disciplina. Sono gli elementi cardine che la contraddistinguono, infatti, solo seguendo il principio di efficacia e giusta aggressività, di corretta applicazione, possiamo parlare di Krav Maga Israeliano. I tre principi cardine, saranno il veloce apprendimento, la facile esecuzione e la provata efficacia; nessuna tecnica sarà coreografica o fine a se stessa; bella da vedersi, ma inapplicabile in un contesto di vera e reale aggressione. L’addestramento I.D.S. è basato su programmi originali israeliani, creati specificatamente per la difesa personale in situazioni di rischio imminente. Di quali esercizi si compone un allenamento tipo? Più che di allenamento parliamo di “addestramento ” in quanto prepariamo l’allievo sia mentalmente che fisicamente, integrando un intensivo esercizio cardiovascolare al combattimento, con l’addestramento ai metodi di self-defense più avanzati disponibili oggi. La lezione tipo di Krav Maga, è normalmente divisa in tre parti: TNM ••• 88

E vero che si insegna a disarmare? In ambito corsi civili è norma della nostra Scuola non fornisce false illusioni, quindi non divulghiamo le tecniche di disarmo da pistola o coltello che metterebbero in serio pericolo l’incolumità della persona poco addestrata. È già difficile gestire un reale aggressore! Diverso invece nei programmi professionali che IDS riserva alle Forze dell’Ordine/Militari, si studiano diverse strategie e procedure anche perché potrebbe capitare di trovarsi di fronte un’arma da fuoco o da taglio e molte volte non ci sono spazi di negoziazione. La consapevolezza di addestrare persone che, in caso di lotta per la propria incolumità o difesa a persone terze, faranno affidamento su quanto appreso durante la formazione che noi abbiamo fornito, ci vincola ad un altissimo senso di responsabilità e di serietà. Obiettivi futuri? “...studenti della realtà e non maestri dell’illusione...” Risponderei utilizzando il motto della Scuola IDS, ovvero continueremo sempre a studiare ed aggiornarci per fornire ai nostri allievi programmi seri ed efficaci, senza dimenticarci che le soluzioni di sicurezza personale devono essere reali e fruibili da tutti, altrimenti sarebbe solo “show business” . Gli obiettivi futuri ci vedranno impegnati nel divulgare sul territorio Italiano il programma SAFE Donna® (Sistema Autodifesa Femminile) ed il metodo SRT® (Special Response Tactics) specificatamente plasmato per le Forze dell’Ordine rispettosi della legislazione italiana ed ovviamente il Krav Maga IDS quando invece si necessita di altre regole d’ingaggio. Un ringraziamento a TNM che ci supporta in queste iniziative! “Facta Non Verba”


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Testo e foto di Ovidio Di Gianfilippo e Michele Farinetti

LAME MADE IN ITALY

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el 2002 ero in forza presso il 78° reggimento di fanteria “Lupi di toscana” dove un maresciallo mi mostrò un coltello di cui sapevo qualcosa solo attraverso le riviste specializzate; prima d’allora non avevo assolutamente idea di come fosse il prodotto. Si trattava di un DOBERMANN 2 con lama mimetica (tiger-camo) della Extrema Ratio e a prima vista mi accorsi che non si trattava del solito coltello di buona fattura: la linea, le finiture, gli spessori e i materiali con cui era fabbricato mi diedero subito l’impressione di avere tra le mani un utensile fuori dal comune, un oggetto destinato a professionisti, indistruttibile, cattivo nell’aspetto, concepito per recidere e bucare nel migliore dei modi. Grazie a TNM ho avuto la fortuna di entrare nel mondo Extrema Ratio: il personale, molto gentile e disponibile ha accompagnato me e l’amico Michele “dietro le quinte”, abbiamo fatto un giro direttamente in produzione e poi nello show room, quindi abbiamo potuto constatare con i nostri occhi l’alta qualità delle lame.

N

L’azienda La “Extrema Ratio” è una realtà Italiana apprezzata a livello Internazionale: nata a Prato nel 1997, attualmente è fornitrice ufficiale delle Forze Armate Italiane, inoltre progetta e crea in collaborazione con i reparti speciali, sia italiani, sia di altre Forze armate europee, coltelli e “prodotti ad hoc”. Una bella soddisfazione professionale per i due soci fondatori, Maurizio Castrati e Mauro Chiostri, entrambi appassionati studiosi di lame ed equipaggiamenti militari. Dietro al successo dei coltelli Extrema vi è un'officina meccanica di precisione, con moderne frese a controllo numerico, torni speciali e la grande flessibilità “made in Italy” della lavorazione, qualità che consente di soddisfare le disparate richieste di lame speciali. È vero, i coltelli Extrema Ratio hanno prezzi alti, tuttavia rendiamoci TNM ••• 91


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conto che ogni singolo pezzo riceve cure negli aggiustamenti meccanici, soprattutto nell'affilatura, eseguita completamente a mano. Inoltre i materiali sono i migliori disponibili sul mercato e tutto il ciclo di lavorazione è ancora “artigianale” sino alla finitura, il che contribuisce a conferire caratteristiche tecniche elevate al prodotto e il relativo successo nel mercato civile e militare. Fase produttiva La produzione di quello che poi diventerà un coltello ad alte prestazioni, inizia da un foglio di acciaio BOHLER N 690 arricchito di vanadio, cobalto tungsteno e cromo. L’N690 è un acciaio inossidabile ad alto tenore di carbonio che ne aumenta la martensite e la cementite, esso ha un’ottima omogeneità: un metallo che offre durezza ed elasticità adeguate all’uso che se ne deve fare. Da sempre gli standard militari hanno imposto alcuni parametri circa le caratteristiche che devono avere le lame: resistenza meccanica, elasticità, tenuta del filo e soprattutto facilità di raffilatura. Ebbene, l’N690 offre tutte queste qualità; l’obbiettivo quindi non è la lama perfetta, bensì un oggetto da taglio che offra ai professionisti la possibilità di risolvere una moltitudine di problemi generati da un uso in un teatro operativo. Da svariati anni, la Extrema Ratio utilizza l’acciaio N690, che racchiude in se tutte le specifiche sopra citate, fornendo innovazione e ridefinendo gli standard militari per la produzione e l’utilizzo delle lame in combattimento, nel presente e nel futuro. Il foglio di acciaio N690 viene inserito nella macchina da taglio al laser, grazie alla quale si ottengono le sagome volute. Una volta ottenute le stampe grezze, esse vengono inserite nella macchina a controllo numerico per ottenere i piani di molatura. Successivamente si ricorre all’intervento manuale per praticare i fori del codolo, ed eventuali smussi a seconda della forma del modello. Una volta acquisite le sagome pronte si inseriscono nel forno per la tempra, questo trattamento termico si ottiene sottovuoto, per aumentarne la qualità. Per quanto riguarda le finiture, le lame si bruniscono tramite un processo chiamato carbonitrurazione il quale conferisce al coltello una resistenza agli agenti esterni e all’ossidazione. Particolare è l’affilatura poiché su tutti i modelli TNM ••• 92

viene ottenuta manualmente, grazie all’esperienza di personale qualificato che lavora nel mondo della coltelleria da decenni; non a caso i coltelli Extrema Ratio possiedono un filo estremamente curato ed efficace. L’ impugnatura dei modelli a lama fissa è chiamata E.R.M.H. (Extrema Ratio Multipurpose Handle), sviluppata in collaborazione con la facoltà di scienze motorie dell’università di Perugia. Essa ha una morfologia che gli conferisce un particolare grip e maneggevolezza; caratteristica importante, vista la destinazione tecnico-tattica dei modelli, ciò nondimeno la sua ergonomia si adatta benissimo sia alle mani maschili sia a quelle femminili. L’impugnatura E.R.M.H. è fissata al codolo grazie ad una vite a brugola: ciò permette un facile e veloce smontaggio sul campo per la manutenzione (importante per ogni utensile di questo mondo). Il manico è ottenuto mediante iniezione di forprene, un elastomero che racchiude in se caratteristiche meccaniche davvero impressionanti; il forprene ha permesso il superamento dei test N.A.T.O. in cui lo shock termico è portato da (-40°C a + 120°C), davvero proibitivo per molti materiali presenti sul mercato. La casa produce le impugnature in forprene arricchite con alcuni elementi (fibra vetro oppure nylon) quando vi è necessità di modelli particolari, purché si adattino sempre agli standard N.A.T.O. I foderi dei modelli a lama fissa e delle baionette della


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Extrema Ratio sono in materiale sintetico ad alta resistenza; essi possiedono due sistemi di ritenzione, rappresentati da un meccanismo che blocca il coltello tramite pressione sulla parte dell’impugnatura prossima alla guardia. Questo metodo blocca il coltello evitando la fuoriuscita accidentale in caso di caduta,

rotolamento ed altre sollecitazioni. L’altro meccanismo di ritenzione è rappresentato da una cinghia alta due bottoni, che vincola il coltello intorno all’impugnatura mantenendola salda e aderente al corpo, evitando di impigliarsi accidentalmente con equipaggiamento, cinghie del fucile, vegetazione o peggio con imbracature TNM ••• 93


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Le anime

La lavorazione

La qualità e la passione

da arrampicata e funicelle del paracadute. Tutti i foderi presentano una feritoia nella parte inferiore, in prossimità della punta della lama, questa impedisce il ristagno di acqua e sporco, che nel tempo possono favorire processi di ossidazione dell’acciaio. Ogni fodero, facilità l’inserimento del coltello grazie alla parte superiore che risulta sfasata, accogliendo facilmente la lama anche in condizioni di visibilità limitata. I nuovi foderi sono sempre in materiale sintetico, ma rispetto ai modelli precedenti, sono ricoperti da cordura e nylon, rendendo più silenzioso l’inserimento del coltello, e in più fornendo una moltitudine di sistemi di applicazione di vari accessori e fissaggi all’equipaggiamento. Per quanto riguarda i chiudibili, la Extrema Ratio fabbrica vari modelli, dividendoli in: leggeri (vari della serie MF), medi (vari della serie BF), medio-pesanti (tipo Nemesis, M.P.C. fulcrum folder) e pesanti (185° R.A.O.). Per le lame, la casa utilizza il medesimo acciaio di quelli fissi, ovvero l’N690 al cobalto; per quanto riguarda le viti e le altre parti in acciaio, dove è necessaria una particolare durezza, si utilizza l’N690 oppure, per le parti dove si richiede una alta resistenza all’ossidazione, vengono impiegati acciai come l’AISI 303 e l’AISI 304. Ogni folder è provvisto di punta frangi cristalli che nella serie BF è prodotta utilizzando il VIDIA, materiale molto duro, oppure per la serie heavy folder (chiudibili pesanti), vi è una protuberanza in acciaio inox, fissata tramite due viti torx nella parte inferiore dell’impugnatura. I sistemi di blocco della lama utilizzati dalla Extrema Ratio sono di tipo liner-lock per i folder della serie BF ed MF, oppure di tipo buck-lock (detto blocco a pompa) per i chiudibili pesanti (Nemesis, M.P.C. ecc.), il materiale utilizzato per la costruzione delle molle dei sistemi di blocco è l’acciaio inossidabile. Per concludere, ogni coltello Extrema Ratio viene curato nei minimi dettagli, sia nella scelta dei materiali e nella relativa lavorazione, sia nella morfologia dei coltelli stessi. Ogni modello è disegnato in modo da garantire la massima efficacia ed affidabilità, ma anche la massima sicurezza di utilizzo, chiusura, rinfoderamento, porto ed occultamento e sicurezza di cui ogni utente ha diritto secondo le specifiche della casa Toscana. Il parere dei collaboratori di TNM Da sempre appassionati di coltelli, soprattutto quelli per uso tattico-militare e da combattimento, negli anni ne abbiamo avuti tanti tra le mani: pochi ci hanno colpito in maniera particolare come quelli della Extrema. Rispetto ad altri un coltello Extrema Ratio ha un impatto visivo davvero forte, colpisce come un pugno, non appena lo si prende in mano si percepisce una solidità unica, le finiture sono tirate in maniera eccezionale e la linea stessa del coltello è davvero accattivante, con un aspetto molto marziale!

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di Dott. Piero Pavone, Commissario Capo di Polizia Municipale

Una volta li chiamavano “Vigili Urbani”. Ora “Agenti di Polizia Locale” In Italia, fra Polizie Municipali e Polizie Provinciali sono circa sessantamila. Attualmente con la locuzione “Polizia Locale” si intende quel Corpo o servizio di Polizia fornito dagli Enti locali, ossia Province e Comuni. La polizia locale dei Comuni è chiamata Polizia Municipale, quella delle Province Polizia Provinciale. Un quadro quindi complesso e multiforme, che viene affrontato in funzione dell’organizzazione e dell’organico dei rispettivi Corpi, nel senso che per i Corpi numericamente più consistenti, come nelle grandi città, si può puntare su assetti organizzativi basati su articolazioni per singoli Nuclei o Reparti specializzati. Ecco che si parla di Nucleo Commercio, Nucleo Pronto Intervento; Nucleo Infortunistica Stradale. Sotto il profilo della consistenza organica, si osserva comunque che nel caso di Comuni con almeno sette addetti si parla di Corpo di Polizia Municipale, mentre per numeri inferiori a sette si parla di Servizio di Polizia Municipale. mata la tendenza ad eliminare la denominazione di polizia municipale o polizia provinciale, attribuita storicamente a questi Corpi e Servizi a seconda del tipo di Ente da cui dipendono, rispettivamente Comune o Provincia, introducendo per entrambe quella comune di “Polizia Locale” pur mantenendo diverse le competenze e le funzioni. Non va poi dimenticato che trattasi di realtà non riguardanti esclusivamente il nostro Paese, in quanto organizzazioni simili esistono anche all’estero, basti ricordare la “Police Municipale” Francese e la “Policia Local” in Spagna.

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Una realtà a servizio della collettività «dai tempi dell’antica Roma impegnati nella sicurezza urbana»

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Il presente contributo accentrerà l’attenzione sulla figura della Polizia Municipale, istituzione più antica rispetto alla Polizia Provinciale, che, basata originariamente sull’evoluzione e sul riassetto dei Servizi di Vigilanza Ittica e Venatoria delle Provincie, ha assunto nuove competenze, in materia di vigilanza ambientale ed anche di vigilanza sul rispetto del Codice della Strada. Aspetti storici Alcune ricerche storiche individuano i predecessori della Polizia Municipale nell’antica Roma e precisamente sotto il regno di Augusto. Esistevano, infatti, in quel tempo, le “coohortes vigilum” e le “coohortes urbanae”, reparti a carattere paramilitare insediati nella capitale, con lo specifico compito di vegliare sull’ordine cittadino e sull’incolumità dei suoi abitanti. I Vigili, in special modo, dovevano pattugliare la città in orario notturno svolgendo altresì funzioni di lotta agli incendi. Fra i comandanti di tali reparti figura anche Sebastiano, poi condannato a morte perché cristiano, sentenza eseguita in Campo Marzio nel 288 d.c. Oggi San Sebastiano è il Patrono delle Polizie Municipali d’Italia e la ricorrenza si celebra con varie

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durante i bombardamenti aerei dell’ultimo conflitto mondiale. Così, si può ricordare l’impegno degli agenti della Polizia Municipale di Bari i quali, armati di fucili mod. ’91 e di tanto coraggio, parteciparono il 9 settembre 1943 alla difesa del porto della Città contro le truppe tedesche intente a distruggere le attrezzature portuali. Pochi giorni dopo, il 12 settembre, nella vicina Barletta, 11 Vigili Urbani vengono catturati dalla truppe tedesche e fucilati, come rappresaglia per un’ imboscata ai danni di un reparto germanico ed in cui due soldati tedeschi erano rimasti uccisi. Ma ancor più recentemente vi sono state vicende tragiche per gli appartenenti alla Polizia Locale intenti a svolgere il loro dovere. cerimonie presso i vari Corpi il 20 Il 27 luglio 1993, a Milano, in pieno gennaio di ogni anno. Intorno all’anno centro, un agente di polizia municipale mille, mentre la società feudale perde la vita assieme a due vigili inizia a manifestare i primi sintomi di del fuoco, intervenendo a seguito decadenza, nasce il Comune, istituto della segnalazione di un’autovettura tipico dell’Italia settentrionale. Con trappolata che poco dopo esplode. Il il nascere dei Comuni si formano le 12 maggio 2005, a Savona, una giovane prime milizie cittadine che avevano il agente di polizia municipale perde la compito di difendere il territorio e far rispettare le leggi comunali. Per venire vita in un incidente stradale mentre sta disciplinando la viabilità per il a tempi più recenti, si possono citare, transito di un convoglio militare. fra i vari esempi, il Comune di Roma, Come non ricordare poi l’agente dove, subito dopo l’annessione della della Polizia Locale di Milano, morto Città al regno d’Italia, viene costituito, a Milano il 12 gennaio 2012, mentre, in data 15 ottobre 1870, un primo nell’espletamento del servizio di nucleo di guardie municipali, con un organico di 229 unità, mentre a Napoli istituto, stava svolgendo attività di già nel 1861 il Consiglio Comunale controllo del territorio. Dopo aver intimato l’alt ad un fuoristrada, provvedeva ad organizzare il Corpo il conducente del medesimo della Polizia Municipale stabilendone intenzionalmente lo investiva l’organico ed i regolamenti. Quindi causandone la morte. la Polizia Municipale costituisce una realtà antica ed insopprimibile, Il secondo dopoguerra connaturata con le comunità locali, al servizio delle stesse, nell’interesse Nel secondo dopoguerra, con il della cittadinanza e della collettività in boom economico, l’incremento generale. della motorizzazione, la diffusa urbanizzazione, si assiste ad un Un tributo di sangue sempre più intenso coinvolgimento Il fatto di essere sempre presenti della Polizia Municipale nella realtà sul territorio ed inseriti nel tessuto locale anche con particolare riguardo locale ha portato talvolta gli agenti alle mansioni di polizia stradale, in ad essere protagonisti in situazioni concomitanza con l’adozione di un belliche, oltre al ruolo già svolto nuovo Codice della Strada, avvenuta di collaborazione alla difesa civile nel giugno del 1959.


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L’assetto legislativo Attualmente la Polizia Municipale trova la sua principale disciplina legislativa nella Legge 7 marzo 1986 n. 65 denominata “Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale”. All’interno della stessa vengono previste le competenze e le qualifiche degli appartenenti ai Corpi, mentre per quanto riguarda l’armamento questo è disciplinato principalmente dal D.M. 145 del 1987. Peraltro tale assetto non può essere considerato esaustivo perché esistono poi anche le Leggi regionali (le regioni sono titolari di competenze in materia di polizia locale ai sensi dell’art. 6 della Legge n. 65 predetta) le quali dettano disposizioni in materia di gestione associata dei servizi, formazione ed aggiornamento professionale, caratteristiche delle uniformi, dei distintivi di grado, dei colori e dei contrassegni dei veicoli, dei mezzi di protezione ed autodifesa e degli strumenti operativi in genere eccetto che per le armi, soggette, come detto, a normativa ministeriale . Esistono poi ancora le singole specifiche discipline di dettaglio contenute nei Regolamenti Speciali di Corpo e di Armamento, adottati dai singoli comuni e contenenti disposizioni circa l’assetto organizzativo del Corpo, i singoli obblighi degli appartenenti al Corpo, il contegno da tenere, l’uso dell’uniforme e la cura delle medesima nonché le prescrizioni inerenti le armi di dotazione. Un panorama normativo tutt’altro che semplice, mentre in Parlamento si trova fermo un Disegno di Legge di riforma del comparto. Non va poi dimenticato che la legislazione vigente contiene talvolta imprecisioni terminologiche che, pur non arrecando problemi sotto il profilo sostanziale, denotano comunque una visione arcaica della Polizia Locale e della Polizia Municipale in special modo. E’ il caso del Codice di Procedura Penale il quale, nonostante la sua piuttosto recente adozione (risale infatti al 1988,

a differenza degli altri Codici, ben più antichi) all’art. 57, a proposito della qualifica di agente di polizia giudiziaria parla di “Guardie delle provincie e dei comuni” impiegando quindi vocaboli desueti ed ormai superati e, fra l’altro, dando segno di mancato coordinamento sistematico con la suddetta Legge-quadro n. 65 del 1986. A dispetto di questi termini antichi il

legislatore, come si vedrà più oltre, ha poi pensato di coinvolgere la Polizia Municipale in nuovi compiti, quali quello del controllo del territorio, in coordinamento con le Polizie dello Stato, permettendo quindi in sostanza allo Stato di attingere aliquote di personale della Polizia Locale impiegandole nell’ambito di tale attività.

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Competenze Le competenze sono molteplici e spaziano su un notevole e variegato ambito di materie. Trattasi di attribuzioni che sono legate, sotto il profilo dello spazio, al limite territoriale dell’ente di appartenenza (Comune) mentre talvolta, in caso di servizi svolti in modo associato e quindi articolati su più comuni, la competenza si estende al territorio di tutti i comuni coinvolti. Venendo alla sostanza e tralasciando, per motivi di spazio, i singoli riferimenti normativi fondanti le competenze, si possono delineare i seguenti ambiti operativi. Polizia stradale: compito classico, si potrebbe dire tradizionale, che costituisce in genere il profilo prevalente anche se non esclusivo dell’attività. Al riguardo non si tratta della solita visione semplicistica e riduttiva, che vede gli agenti intenti a mettere “bollette” sul parabrezza dei veicoli, ma si deve ricordare il rilevamento degli incidenti stradali, la scorta per la sicurezza del traffico, la disciplina del traffico, l’educazione stradale nelle scuole, la collaborazione al soccorso stradale, la prevenzione attuata con il presidio del territorio.

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Polizia Giudiziaria: trattasi di attività concernente l’ accertamento di reati. La competenza è limitata al territorio dell’Ente di appartenenza. A tale riguardo il personale riveste la qualifica di agente di polizia giudiziaria (riferita in genere agli operatori) mentre gli “addetti al coordinamento ed al controllo” ossia gli ufficiali, rivestono la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria. In alcune realtà, tipiche di città di medie o grandi dimensioni, vi sono addetti che fanno parte delle aliquote di polizia giudiziaria esistenti presso le Procure della Repubblica. Funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza: si ricorda che l’attività di pubblica sicurezza è quella destinata a prevenire situazioni di pericolo per le persone e per le cose e, a differenza da quella di polizia giudiziaria che si sviluppa dopo il compimento di un reato, quella di pubblica sicurezza è caratterizzata dall’esecuzione di attività preventive, quali controlli, limitazioni dell’accesso a determinate aree o località, vincoli per l’esercizio di particolari attività ritenute potenzialmente pericolose. Trattasi talvolta di attività operative svolte congiuntamente ai Vigili del Fuoco, allorché si tratta di delimitare

determinate zone impraticabili per rischio di crolli o durante incendi. Infatti, in tali occasioni si agisce nell’ambito della tutela della pubblica incolumità. A tal riguardo si specifica che la qualifica di pubblica sicurezza proviene a seguito di apposito provvedimento prefettizio, con cui il soggetto viene nominato “agente di pubblica sicurezza” ed essa è tale indistintamente per tutti gli appartenenti al Corpo, ossia indipendentemente dal grado e dal livello gerarchico. A differenza della Polizia di Stato e dei Carabinieri, quindi, gli Ufficiali della Polizia Locale non sono Ufficiali di Pubblica Sicurezza, bensì solo agenti di pubblica sicurezza. La nomina è subordinata al godimento dei diritti civili e politici, al fatto di non aver subito condanna a pena detentiva per delitto non colposo o non esser stato sottoposto a misura di prevenzione e non essere stato espulso dalle Forze Armate o dai corpi militarmente organizzati o destituito dai pubblici uffici. Polizia commerciale (anche detta polizia annonaria): concerne il controllo delle attività commerciali e dei pubblici esercizi (bar, ristoranti e simili) con riguardo fra l’altro, alla regolare esposizione dei prezzi e delle


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tariffe nonché al possesso dei titoli autorizzativi necessari per l’esercizio dell’attività commerciale. Polizia edilizia: concerne tutte le mansioni , anche di polizia giudiziaria, destinate all’accertamento ed alla repressione di illeciti riguardanti l’assetto del territorio, quindi costruzioni abusive, ampliamenti di volumi, lottizzazioni, ed altre irregolarità. Polizia ambientale: riguardante la tutela dall’inquinamento ed il controllo circa i divieti di abbandono di rifiuti, le discariche abusive. Accertamenti e attività informative in materia di anagrafe della popolazione (residenza, cittadinanza) e tributarie. Controllo circa il rispetto dei Regolamenti Comunali e delle ordinanze, riguardanti in genere situazioni di tutela dei rapporti di vicinato, di corretto uso dei beni pubblici e della civile convivenza. Trattasi di norme spesso poco conosciute, che possono ad esempio riguardare gli obblighi di non creare situazioni di disturbo per il vicinato, la corretta custodia di animali, la pulizia del suolo pubblico. Protezione civile: in tale ambito le Polizie Municipali partecipano alla varie attività di soccorso alla popolazione e molto spesso i vari Comandi sono anche centri di riferimento del volontariato della Protezione Civile, provvedendo al relativo coordinamento sul territorio, tenuto anche presente che presso molte Caserme della Polizia Municipale hanno sede centri operativi comunali di protezione civile, proprio nell’ottica di organizzazione e coordinamento operativo, ciò anche in base ai compiti di protezione civile locale spettanti ai sindaci secondo la specifica legislazione vigente. Collaborazione con le forze di polizia dello Stato nell’attività di controllo del territorio, laddove si esplicano mansioni ausiliarie di pubblica sicurezza come indicate dalla Legge quadro.

La partecipazione all’attività di controllo del territorio Il ruolo della Polizia Municipale nell’ambito dell’attività di pubblica sicurezza e di controllo del territorio e l’evoluzione di tale ruolo; preliminarmente va ricordato, come detto in precedenza, che in base alla Legge n. 65 del 1986 gli appartenenti alla Polizia Municipale possono essere nominati agenti di pubblica sicurezza con apposito provvedimento del Prefetto, a condizione che rivestano i requisiti previsti dalla legge stessa. La qualifica di agente di pubblica sicurezza implica l’esercizio delle relative mansioni, che la legge definisce “ausiliarie” e costituisce inoltre premessa giuridica per l’assegnazione

individuale dell’arma di ordinanza. Fatta tale dovuta premessa si può dire che in tale ambito si inserisce la partecipazione della Polizia Municipale all’attività di controllo del territorio. Per controllo del territorio, molto in breve, si può intendere quell’attività a contenuto tipicamente preventivo e che si sostanzia nella costante presenza delle unità operative nei vari luoghi ai fini di monitoraggio e di verifica della situazione inerente l’ordine e la sicurezza pubblica. In tali termini si può dire che si ottiene una conoscenza degli ambiti spaziali in cui si opera (strade, piazze, quartieri, edifici) conseguendo il pieno dominio degli stessi e mediante detta

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più ampio quadro partecipativo, che vede inserite altresì le Forze Armate nell’attività di controllo del territorio con l’impiego di unità delle medesime, generalmente con riguardo al presidio di obiettivi fissi e, in taluni casi, come a Genova, nella partecipazione a pattugliamenti congiunti con le Forze di Polizia. L’attività inerente l’infortunistica stradale, un aspetto di eccellenza Nell’ambito del rilevamento degli presenza si ottengono sia effetti si sono avuti altri sviluppi, sempre incidenti stradali le Polizie Municipali deterrenti sia adeguata reattività in sotto il profilo normativo. Con la Legge svolgono un’attività molto importante, caso di emergenza. Dopo siffatta pur 26/3/2001 n. 128 lo Stato adottava sia sotto il profilo qualitativo, sia abbozzata e semplicistica definizione, uno dei primi “pacchetti sicurezza” sotto quello quantitativo in quanto si può dire che, sotto il profilo cui poi sono seguiti, negli anni, altri pressoché la maggioranza dei sinistri normativo, tutto è iniziato nell’ormai atti legislativi simili. In tale ambito, stradali che avvengono in ambito lontano 1991, allorchè il legislatore all’art. 17 della medesima legge, si urbano sono rilevati dalle Unità si accorse di poter disporre di una parla nuovamente di Piani Coordinati Operative della Polizia Municipale. Le forza aggiuntiva, connotata da una di Controllo del Territorio da attuare specialità di Infortunistica Stradale dei radicata presenza nelle comunità con la partecipazione di contingenti vari Corpi hanno raggiunto alti livelli locali, con possibilità di impiego dei corpi o servizi di polizia municipale, di professionalità, tenuto presente operativo e generalmente armata, previa richiesta al sindaco o nell’ambito che i rapporti di incidente stradale da impiegare quindi a sostegno di specifiche intese con la predetta vengono molto spesso trattati poi delle Forze di Polizia dello Stato. Si autorità. Inoltre, a proposito della dall’Autorità Giudiziaria, sia quelle tratta della normativa riguardante composizione del Comitato Provinciale inquirente che quella giudicante. In “ Provvedimenti urgenti in tema di per l’ordine e la Sicurezza Pubblica tale contesto va inquadrata la lotta lotta alla criminalità organizzata e esistente presso ogni Prefettura e alla pirateria stradale, ossia i casi di trasparenza e buon andamento disciplinato dall’Art. 20 della L. 1/4/1981 di persone che, dopo aver causato dell’attività amministrativa”, mentre n. 121, a seguito di modifica apportata un incidente stradale si danno alla non va dimenticato che sotto il dalla suddetta legge 128 del 2001, viene fuga, omettendo il soccorso ai feriti profilo geopolitico in quel periodo prevista la facoltà per il Prefetto di ed evitando le loro responsabilità . In storico era in atto lo sfaldamento chiamare a partecipare alle sedute tale occasioni gli agenti della Polizia della Repubblica Jugoslava e quindi del Comitato anche i responsabili Municipale sviluppano tutta una era palpabile una situazione di della Polizia Municipale. Ancora serie di indagini volte non solo alla tensione vicino ai confini della Patria, più recentemente, l’orientamento è ricostruzione del sinistro ma anche coincidente con l’adozione del Piano stato ribadito con la Legge n. 125 del per ottenere elementi tali da poter “Testuggine” da parte delle nostre 24/7/2008 dove all’art. 7, a proposito risalire all’individuazione di soggetti Forze Armate dislocate nel triveneto. di piani coordinati di controllo del che tengono un comportamento così Ecco che con il D.L. 13/5/1991 n. 152, territorio, si stabilisce che gli stessi spregevole. E’ il caso, tanto per fare poi convertito nella Legge 12/7/1991 n. determinano i rapporti di reciproca qualche esempio, dell’Unità di Polizia 203, all’art. 12 comma 8°, si parlava collaborazione fra contingenti del Scientifica costituita presso il Nucleo di “piani coordinati di controllo del personale della polizia municipale e Radiomobile del Corpo di Polizia territorio da attuarsi a cura dei della polizia provinciale e gli organi di Locale di Milano, che nell’ambito competenti uffici della Polizia di Stato polizia dello stato, mentre si demanda dell’infortunistica stradale e della e dei Comandi Provinciali dell’Arma ad apposito decreto interministeriale omissione di soccorso si occupa di dei Carabinieri e della Guardia di di fissare le modalità di raccordo svolgere sopralluoghi sulla scena del Finanza, ai quali possono partecipare, operativo fra le Polizie Locali e quelle crimine, rilevando anche impronte previa richiesta al Sindaco, dello Stato. Sotto il profilo generale, e campionando DNA, oltre che contingenti dei Corpi o Servizi della si può dire che tale apporto delle curare la gestione di dati inerenti Polizia Municipale.” Successivamente polizie locali va visto nell’ambito di un tracce di pneumatici e componenti

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di veicoli, provvedendo inoltre alla formazione del personale con riguardo al primo intervento. Sempre sulla stessa tematica si può ricordare un fatto reale, molto drammatico, avvenuto a Torino nel dicembre 2011 e che si ritiene emblematico circa la professionalità acquisita nella difficile attività di indagine curata in tale specifica materia dalle Polizie Municipali. Nel tardo pomeriggio una famigliola sta tornando a casa dopo gli acquisti natalizi ed attraversa la strada utilizzando un apposito attraversamento pedonale. Sopraggiunge un’autovettura che investe le persone ed il conducente si dà alla fuga. Muore un bambino ed il padre finisce in coma all’ospedale. Era una Renault, ma nessuno aveva individuato con chiarezza il numero di targa. Sulla base della disponibilità dello scudo anteriore del veicolo, distaccatosi e rimasto sul posto a seguito dell’urto, la Polizia Municipale ha avviato le indagini e, dopo accurate ricerche, è riuscita ad individuare la vettura, in Aosta giungendosi quindi all’identificazione del proprietario del mezzo e poi del conducente colpevole, soggetto tossicodipendente. Le scuole di formazione La tendenza al raggiungimento di ottimi livelli di professionalità,

favorendo la formazione di base ma anche il necessario aggiornamento, è rappresentata dal coinvolgimento delle Regioni nella creazione di scuole di Polizia Locale. La competenza regionale è espressamente prevista nella Legge 7 marzo 1986 n. 65 dove , all’art. 6 comma 2° n. 2, viene sancito che le Regioni provvedono con legge regionale a promuovere servizi ed iniziative per la formazione e l’aggiornamento del personale. In tale contesto già da anni operano Scuole Regionali ed Interregionali svolgendo un ruolo di primaria importanza nell’ambito del raggiungimento di un’adeguata professionalità, trattando le consuete materie a contenuto normativo ma estendendo le tematiche anche ad altri argomenti, quali le tecniche operative, l’autodifesa professionale, l’uso delle armi, la gestione delle emergenze, le attività di protezione civile e di difesa civile, anche al fine di ottenere buoni livelli di sicurezza per chi opera giornalmente in un tessuto sociale complesso e pieno di situazioni incognite, articolate e talvolta dalla evoluzione non sempre prevedibile. Ottimo esempio la Scuola Interregionale della Polizia Locale (SIPL sita a Modena) che eroga la formazione congiunta alle regioni Liguria,Toscana,Emilia R.

La partecipazione alla Parata del 2 giugno, un riconoscimento a livello nazionale del ruolo svolto Nell’ambito della ricorrente parata del 2 giugno, recentemente caratterizzata da una progressiva estensione della partecipazione alle componenti civili, quali Pubbliche assistenze (Croce Rossa Civile), Protezione Civile, Vigili del Fuoco, oltre a quelle tipicamente militari della Forze Armate e delle Forze di Polizia dello Stato, ecco che, finalmente, il 2 giugno 2004, un nutrito reparto motomontato del G.I.T. (Gruppo Intervento Traffico) della Polizia Municipale di Roma Capitale, inquadrato in perfetta formazione, ha sfilato sulla via dei Fori Imperiali, quella Via dei Fori già percorsa, due millenni prima, dalle antenate coohrtes vigilum ed urbanae… Da quell’anno ogni due giugno la Polizia Municipale sfila sulla Via dei Fori Imperiali nella annuale parata per la Festa della Repubblica. Una conquista per la categoria, un’attestazione dell’attività svolta nell’intesse della collettività, di una presenza talvolta silenziosa e defilata, di persone che giornalmente svolgono la loro attività nell’interesse pubblico e per la tutela delle libere istituzioni.

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Di Alberto Tarchetti

MONKEY COMBAT ADMIN POUCH Ho cercato numerose Admin adatte al mio equipaggiamento, ne ho cambiate almeno tre di varie marche, ma finalmente ne ho trovata una che faceva proprio al caso mio, ossia la Monkey admin pouch del noto marchio statunitense Maxpedition, una casa produttrice nata con lo scopo di creare equipaggiamenti ad uso militare, resistenti e moderni, il cui mercato si è poi esteso anche ad uso dei corpi di polizia e in ambito civile. Il prodotto qui recensito è costituito in Nylon balistico, un materiale molto resistente, usato anche per le protezioni personali, inoltre è teflonato in modo da renderlo ancora più resistente alle intemperie. Le cuciture sono ottime e soprattutto molto precise , nei punti più “critici” sono addirittura doppie in modo da garantire una durabilità notevole. I velcri e gli elastici sono di ottima fattura, anch’essi cuciti impeccabilmente al prodotto. Questa Admin non è comune alle altre poiché non ha il solo scopo di portare una mappa, documenti, poche penne o una piccola chiavetta usb, ma grazie alle sue notevoli dimensioni in larghezza (5,5 cm a pieno carico consigliato) e la suddivisione in cinque vani interni, può portare di tutto in maniera ordinata come se fosse una piccola utility. La sua altezza e lunghezza sono esattamente le stesse di una comune admin pouch, ossia sedici centimetri per sedici che

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tradotto in file di pals ne occupa tre per tre, rendendo il prodotto anche facile da inserire in ogni vest, chest rig o body armor. Partendo dall’esterno la tasca ha due patte: la prima in alto che permette la chiusura del vano interno, la seconda, se tirata grazie ad una piccola fettuccia in nylon, fa accedere al porta mappa o documento, trasparente e impermeabile della grandezza di tredici centimetri per tredici. Cucite sopra le patte vi sono due file di velcri per l’affissione di numerose patch, anche di notevole grandezza. Nei lati ha due elastici i quali servono nel caso si voglia assicurare un oggetto facile da reperire senza occupare lo spazio interno, come per esempio un Cyalume. Sul retro vi sono i pals per l’eventuale inserimento dei Malice o tactie; sono disposti su quattro file da tre e in mezzo, a dividerle, è cucito il logo della Maxpedition in colorazione Foliage green. Nel fondo della tasca compare la classica valvoletta di sfogo per l’aria o eventuali liquidi. Internamente la Monkey Admin pouch è, come già detto, composta da cinque vani di diversa grandezza. Il primo - partendo dal fondo della tasca - è il più fine , ma anche il più lungo giacché segue le misure della tasca, perciò è adatto al porto di documenti o mappe. Il secondo è il vano più capiente perché ha ben due file di elastici di ritenzione per un totale di sei: si potrebbero addirittura inserire ben quattro caricatori Stanag per fucile d’assalto. Grazie anche agli elastici è possibile assicurare di tutto, dai multi tool, torce, coltellini e perfino granate da 40mm per lanciatori. Il terzo scomparto è chiuso a velcro nella parte superiore facilmente apribile grazie alle due fettucce in nylon: è adatto al porto di materiali abbastanza lunghi, ma non troppo spessi; io, ad esempio, ho inserito i trucchi mimetici richiudendo poi il velcro per guadagnare spazio e ordinare bene il contenuto. Il penultimo vano è simile al secondo, poiché possiede solo tre elastici al posto di sei. Infine, l’ultimo spazio è il più piccolo, alto solo cinque centimetri e senza elastici, adatto a parere mio per portare penne o cavetti. Per concludere, la Monkey Admin Pouch è una tasca davvero utile al mondo militare per via del tipo di suddivisione interna costituita da ottimi materiali. La Maxpedition ha sempre creato prodotti all’avanguardia e questo non è da meno, infatti è una delle tasche più ricercate e usate dai vari operatori occidentali. Il prezzo consigliato si aggira sui 35 / 38 euro ed è disponibile in Coyote tan, Black, OD, Foliage Green e Marpat. www.maxpedition.com


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Di Giuseppe Marino - Foto Marco Mazzini

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’impiego di operatori sniper nell’ambito della moderna dottrina di combattimento costituisce un’importante opzione a disposizione dei comandanti sul campo. Questi ultimi infatti, tenendo opportunamente in considerazione le cellule sniper a disposizione in fase di pianificazione di un’operazione, possono ottenere un sensibile e fattivo giovamento tattico. L’impiego di operatori sniper caratterizza sia le operazioni speciali che le operazioni condotte da personale non appartenente a forze speciali. Oggi infatti la maggior parte dei reparti terrestri dei moderni eserciti dispone immancabilmente di cellule sniper tra le proprie fila. Queste ultime, grazie ad uno specifico addestramento, ad equipaggiamenti altamente performanti ed ad un modus operandi del tutto unico, consentono l’assolvimento di mansioni sovente associate a risultati tatticamente importanti ed in altro modo difficilmente conseguibili. Limitando il campo di interesse al solo settore propriamente militare, tralasciando dunque gli impieghi in ambito law enforcement, si evidenzia come gli operatori sniper siano in grado di portare a termine differenti e variegati piú o meno complessi profili di missione tra i quali, ad esmpio: acquisizione di informazioni, eliminazione chirurgica di bersagli paganti, supporto di fuoco per distaccamenti operativi sul terreno, conduzione di operazioni antisniping, nonché partecipazione a dispositivi di liberazione ostaggi. Le peculiari funzioni operative citate traggono infatti forte giovamento dalla presenza di operatori sniper, in quanto sovente prevedono delle distanze di ingaggio/osservazione tali da presupporre l’impiego di specifici sistemi d’arma e strumenti di osservazione idonei alla medio-lunga distanza. Focalizzando l’attenzione sui sistemi d’arma impiegati, si osserva che se per distanze elevate, la scelta di idonei sistemi d’arma cade inevitabilmente su fucili bolt action in calibro 300 WM, 338 LM, e altri, quali il moderno 408 Cheytac o il ben noto 12,7, quando le distanze in gioco si riducono a range che vanno dai 100 ai 600 metri, il bolt action non risulta l’unica opzione possibile. Per distanze di ingaggio massime che si attestano approssimativamente intorno ai 500 metri infatti, valida alternativa al bolt action risultano

piattaforme semiauto quali, in primis, i ben noti ed “occidentalissimi” AR10 ed M14. Le stesse piattaforme semiauto risultano inoltre come non mai paganti in luogo dei bolt action, laddove si abbia l’esigenza di elevati e celeri volumi di fuoco nonché quando sia richiesta la capacitá di operare da bordo di vettori ad ala rotante o mezzi navali di varia tipologia e caratteristiche nautiche. Tale introduzione afferente il settore professionale, ha lo scopo di mettere in evidenza l’importanza e la contestuale sempre maggiore diffusione di personale “qualificato sniper” ed operante dunque come tale negli attuali teatri operativi. Contestualmente tale introduzione fornisce un primo accenno alle innumerevoli possibilitá di impiego “sniping/marksman” dei sistemi d’arma semiautomatici in specifici contesti operativi e relativi profili di missione. La progressiva crescita del numero di operatori sniper tra le fila dei moderni eserciti ha contribuito al diffondersi dell’attuale tendenza,

. i sistemi d arma semiautomatici ar10 ed m14. attrezzi professionali che trovano un possibile impiego nelle competizioni sniper. TNM ••• 110


e Shooting Long Range Shooting Long Range Shooting Lon

L’ Oberland di questo servizio è munito di un bipiede Harris BRM con pod lock e staffa sgancio rapido M14 natiOnal Match calibrO 308 con ottica US Optics ST-6, 6X

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L’ Oberland Oa10 da 20 pOllici in calibrO 308 con ottica Leupold Mark IV 6,5-20x50,

sviluppatasi originariamente negli USA, ed oggi giorno fortunatamente, di sempre maggiore diffusione anche nel “vecchio continente”, di organizzare degli eventi competitivi, aperti ad operatori sniper professionisti, articolati sullo svolgimento di numerosi esercizi ricalcanti alcuni dei più caratteristici e significativi profili di impiego operativo delle cellule sniper. Vista la connotazione professionale con la quale tali eventi sono usualmente organizzati, peraltro azione spesso condotta direttamente da sniper in servizio o ex operatori, di fatto queste competizioni si rivelano delle ottime occasioni di training e di condivisione know how. L’effettuazione infatti di esercizi altamente tecnici afferenti l’arte dello sniping, e la possibilitá di TNM ••• 112

confronto con professionisti appartenenti a diverse nazioni, rendono la partecipazione a tali competizioni un valido contributo al mantenimento e miglioramento delle skills di uno sniper. Le competizioni in parola, ovviamente ed auspicabilmente l’una diversa dall’altra, essenzialmente sono comunque organizzate sulla base di format di gara abbastanza simili tra loro. Sebbene dunque esse possano avere diverse durate, dal singolo giorno della svizzera Swiss Gallinago Trophy ad esempio, ai ben quattro giorni della Sniper Military World Cup della Repubblica Ceca, nonchè livelli di difficoltà ed impegno fisico mutevoli, essenzialmente tutte richiedono lo svolgimento di numerosi esercizi che, nel loro insieme, vanno a toccare la maggior


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parte delle skills di base che è auspicabile uno sniper possieda. Mimetismo; movimento occulto; tiro discriminato a corta, media e lunga distanza (600-700 metri); tecniche di osservazione e stima delle distanze; navigazione terrestre; tiro in differenti posizioni ed in condizioni di forte stress fisico e psicologico con tempi di esecuzione strettissimi; impiego dell’arma di back up, sono solo alcune delle principali tematiche degli esercizi di gara. Questi ultimi peraltro mai noti ai tiratori in anticipo, se non in occasione del briefing pre stage, ovvero solo immediatamente prima del segnale di “start”. In ragione di quanto sopra è possibile dunque definire a priori alcuni aspetti che dovrebbero caratterizzare l’equipaggiamento selezionato per la partecipazione a siffatte competizioni. Nel particolare, vista la complessitá dell’argomento, si ritiene opportuno in questa sede limitare tale analisi esclusivamente all’effettuazione di alcune considerazioni inerenti l’impiego in gara di un sistema d’arma semiautomatico, in luogo di un classicissimo e sicuramente valido bolt action. In un contesto reale, come peraltro asserito nella prima parte dell’articolo, sistemi d’arma semiautomatici, specie basati su piattaforma AR10 (calibro 7,62) ed M14, vengono usualmente destinati all’impiego sniper in particolari ambiti operativi, quali: operazioni in aree urbane, tiro da vettori ad ala rotante, fuoco di copertura durante operazioni di abbordaggio navale, ed altre situazioni che possano richiedere distanze di ingaggio a medio raggio, celeritá di tiro e volume di fuoco sostenuto. Sebbene tuttavia, ne il tiro in aree urbane ne, a maggior ragione, da bordo di un elicottero, siano tematiche usualmente proprie delle competizioni sniper (in alcune competizioni organizzate in USA ai tiratori si richiede anche il tiro da elicottero o piattaforme tali da simularne le caratteristiche di instabilitá ed altezza rispetto al bersaglio), alcune delle specifiche caratteristiche tecniche delle armi semiautomatiche ben si conciliano con le esigenze di gara. Prima di proseguire con l’analisi delle citate caratteristiche si vuole sottolineare il fatto che, vista l’occasionale possibilitá di partecipazione a tali competizioni, quando organizzate all’estero, anche da parte di operatori civili opportunamente qualificati, l’auspicio è che quanto segue possa costituire uno spunto di riflessione per coloro siano interessati ad una futura partecipazione. Se infatti operatori militari partecipanti ad una competizione sniper, verosimilmente impiegheranno in gara armi in dotazione di reparto, un operatore civile dovrá provvedere autonomamente ad equipaggiarsi, dovendo dunque attuare specifiche scelte. Si sono precedentemente elencate le principali skills richieste negli usuali esercizi di gara. Esse possono essere ora esplicitate nei seguenti auspicabili requisiti per il sistema d’arma primario selezionato, ovvero: ottima affidabilità e robustezza, sufficiente

Le armi ritratte in foto rappresentano due validissimi esempi di semiauto di fascia alta: una su piattaforma AR10 ed una M14. Entrambe risultano ottimamente configurate nell’ottica di un potenziale impiego sia professionale che nell’ambito di competizioni sniper. Di seguito si riportano dunque le schede tecniche di massima di questi due eccellenti fucili semiauto. Si ritiene opportuno segnalare che in alcune delle foto ritraenti potenziali situazioni operative tipiche, le armi sono state volutamente lasciate prive di mimetismo esclusivamente per consentirne una migliore visibilitá da parte dei lettori. Oberland OA10 20 pollici calibro 308 • ottica Leupold Mark IV 6,5-20x50, torrette M5, FFP TMR; • monta Sphur Cantilever; • RIS Knight Armaments con copri rail stessa marca; • bipiede Harris BRM con pod lock e staffa sgancio rapido; • attacco cinga sgancio rapido Daniel Defence; • manetta armamento maggiorata PRI. M14 National Match calibro 308 • calciatura VLTOR; • ottica US Optics ST-6, 6X • bipiede Harris BRM con pod lock.

manegevolezza ed agevole trasportabilità, buona precisione a distanze medio lunghe, buona velocitá di tiro e autonomia di fuoco. Di fatto dunque tutte caratteristiche che possono essere trovate in un’arma bolt action proveniente da una buona produzione di serie quale, ad esempio, quella della famosissima Remington e, nello specifico, di uno dei suoi modelli di maggiore diffusione: il 700 Police nelle sue varie versioni. Appurato dunque come un buon bolt action possa soddisfare al meglio le esigenze di gara, magari optando per una canna da 20 pollici ed una calciatura pieghevole dotata di alimentazione a serbatoio, elementi questi ultimi necessari per soddisfare rispettivamente ai requisiti di manegevolezza, trasportabilitá e autonomia di fuoco, si passa ad analizzare la potenziale efficacia di un sistema semiauto. In primis ovviamente il semiauto eccelle rispetto ai bolt action per quanto attiene celeritá ed autonomia di fuoco, entrambi requisiti che, in esercizi in cui i tempi di esecuzione ristretti sono una costante, possono fare senza dubbio la differenza. Quanto a manegevolezza e trasportabilitá, fissata la lunghezza di canna a 20 pollici, si può ritenere TNM ••• 113


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Oberland Oa10 20 pOllici calibrO 308 • ottica Leupold Mark IV 6,5-20x50, torrette M5, FFP TMR; • monta Sphur Cantilever; • RIS Knight Armaments con copri rail stessa marca; • bipiede Harris BRM con pod lock e staffa sgancio • attacco cinga sgancio rapido Daniel Defence

che sia i sistemi bolt action che quelli semiauto, specie su piattaforma AR, si equivalgano. Rimane dunque da prendere in considerazione il requisito di precisione e quello di affidabilitá. Le moderne carabine semiauto godono ormai, quando appartenenti ad una fascia medio alta del mercato, di requisiti di affidabilitá ottimi e contestualmente, quando dotate di canne da 20 pollici, di altrettanto ottime performance balistiche e di precisione. Sicuramente dunque più che sufficienti per la partecipazione a “competizioni sniper” in cui non è richiesta una precisione chirurgica. Da quanto fino ad ora scritto TNM ••• 114

si può trarre dunque la conclusione che, a condizione di accettare un’esborso economico maggiore, la scelta di una carabina AR10 o M14 opportunamente accessoriata, possa consentire di associare alle buone qualitá di precisione, trasportabilitá, manegevolezza ed affidabilitá comuni anche ai bolt action, anche celerità ed autonomia di fuoco maggiori e dunque determinanti nello svolgimento dei numerosi esercizi di tiro, immancabilmente caratterizzati da strettissimi tempi a disposizione per l’esecuzione. Il gravoso impiego di un’arma in situazioni proprie del profilo operativo di uno sniper e dunque, con le dovute limitazioni, anche in occasione delle competizioni in argomento, rende tuttavia un’arma semiauto, qualora oggetto di inceppamento o malfunzionamento, tale da richiedere verosimilmente un maggiore impegno e tempo per la risoluzione di un dato problema tecnico, rispetto ad uno simile verificatosi su un arma bolt action. Il tutto ovviamente con evidenti ripercussioni negative sull’andamento generale di gara. Un lungo esercizio di stalking ad esempio, tale da richiedere il trascinamento a terra dell’arma per lungo tempo, per quanto la stessa risulti opportunamente protetta, potrebbe determinare il depositarsi di fango e altro


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M14 natiOnal Match calibrO 308 • calciatura VLTOR; • ottica US Optics ST-6, 6X • bipiede Harris BRM con pod lock

sull’otturatore. Questo renderebbe dunque necessario un’intervento di pulizia prima dell’esplosione di un eventuale colpo, intervento sicuramente più impegnativo e lungo su un semiauto piuttosto che su un bolt action. Con riferimento alle armi ritratte nelle foto presenti sulle pagine di questo articolo si mette in evidenza il fatto che esse sono state configurate volutamente con due set up molto diversi tra loro. Sebbene diversi essi tuttavia potrebbero risultare efficacemente complementari, laddove impiegati da due operatori appartenenti ad uno stesso team in gara. Due operatori di una stessa cellula sniper equipaggiati con set up diversi sono infatti potenzialmente in grado di adattarsi a 360 gradi alle più svariate situazioni, ovvero tipologie di esercizio e relative differenti distanze di ingaggio. Una delle due armi infatti risulta dotata di un’ottica con 20 ingrandimenti, l’altra con un sistema ottico idoneo per tiro ravvicinato, ovvero avente solo 6 ingrandimenti e reticolo agevolmente impiegabile anche per ingaggi in un contesto CQB. Alla luce delle considerazioni fatte, si evince dunque come entrambi i sistemi d’arma, quanto meno nell’opinione dello scrivente, possano risultare valide scelte nell’ottica di affrontare una competizione

sniper. Quanto sopra ovviamente, a patto di accettare alcune limitazioni specifiche per la tipologia d’arma selezionata ed in precedenza giá illustrate nel dettaglio. Si ringrazia l’armeria Bernardini di Carrara per aver gentilmente messo a disposizione le armi e buona parte dei materiali fotografati. Sono sempre presenti infatti, nelle rastrelliere e sugli scaffali della dinamica armeria di Carrara, armi e accessori in grado di soddisfare i tiratori più esigenti, quali coloro si vogliano cimentare in una “competizione sniper” ad esempio. TNM ••• 115


Tactical Knife Tactical Knife Tactical Knife Tactica

II K RTA o Ontari

o t a n g e s i d E V I IL CAMP KN n rri e P e k i M e ll da Jeff Randa llini

Di Galdino Ga

l coltello che presentiamo oggi è ricco di fascino non solo per la sua essenziale funzionalità ma anche per il carisma delle due persone che lo hanno progettato. Jeff Randall e Mike Perrin sono due straordinari personaggi di origini statunitensi che, con grande coraggio, sono riusciti a realizzare il loro sogno ed a concretizzare il desiderio di avventura che li ossessionava fin dalla giovane età. Inizialmente la RAT (Randall Adventure and Training) era una agenzia di viaggi specializzata in

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escursioni nella giungla peruviana. Il grande salto avviene nel 1997, quando Jeff e Mike riescono a sottoscrivere un contratto di formazione per gli allievi della Air Force School peruviana. Il corso viene denominato ESEE ( Escuela de Supervivencia, Escape, Evasion ). Questo acronimo viene poi utilizzato anche nella sezione americana di addestramento alla sopravvivenza con il significato di “Education of Survival, Escape and Evasion”. I corsi richiamarono subito un nutrito numero di allievi provenienti dall’esercito e dalle forze di polizia,

operatori di sicurezza civili, personale per il soccorso e la protezione civile ed escursionisti desiderosi di apprendere le tecniche di sopravvivenza più efficienti. Durante i lunghi periodi di permanenza in quelle foreste impenetrabili i due istruttori hanno constatato che i machete, pur essendo tra gli strumenti più utili per l’attività di tutti i giorni, andavano spesso incontro a rottura e non erano pertanto affidabili. I coltelli da fianco invece non riuscivano a sopperire efficientemente alla mancanza del machete. Pertanto Jeff e Mike hanno dato il via


al Knife Tactical Knife Tactical Knife Tactical Knife Tac

Successivamente la sede fu spostata a Cadix, vicino a Franklinville, sempre nello stato di N.Y. Nel 1902 la sede fu spostata definitivamente a Franklinville dove risiede attualmente l’azienda. Nel 1904 la Ontario e la Empire State Cutlery Co. si unirono incrementando così in modo sostanzioso il giro di affari e la capacità produttiva. Per gestire meglio la crescente espansione commerciale vennero create delle aziende satellite. La prima fu la Old Hickory Kitchen Cutlery; successivamente nacque la Queen Cutlery, specializzata in coltelli chiudibili. Da anni questa azienda è una delle principali produttrici di coltelli per l’esercito statunitense. Tra i prodotti più conosciuti ci sono la baionetta M7, la baionetta M9 e l’attuale OKC-3S, il coltello da sopravvivenza per i piloti USAF Survival Knife e la versione rimodernata di quest’ultimo, il modello ASEK (Aircrew Survival Egress knife ). La Ontario ha sempre prodotto anche una vasta gamma di coltelli per il mercato civile; ed è tra i modelli commerciali con linea militare che si inserisce l’ RTAK II. Un esemplare ci è stato gentilmente messo a disposizione dalla Coltelleria Collini di Busto Arsizio ( Va ). Il modello RTAK II può esser considerato come un machete tozzo ed appesantito ma potrebbe anche essere utilizzato come coltello da fianco anche se le dimensioni sono veramente al limite. La lunghezza totale è 42,2 cm. La lama misura ben 26 cm. in lunghezza, 5,1 cm in altezza e 4,9 mm. di spessore. Nonostante l’aspetto massiccio ed imponente il peso è di soli un leggero restyling; nasce così il RTAK 610 gr. Sicuramente non è una piuma alla progettazione di un “camp knife” II. La Ontario Knife Co. è una delle più con caratteristiche dimensionali ma uno dei coltelli più leggeri nella antiche aziende produttrici di coltelli sovrapponibili a quelle di un machete sua categoria. La configurazione della d’America; la sede iniziale era situata corto ma utilizzabile anche come lama è drop point, priva di falso filo a Naples, nello Stato di New York. coltello da fianco. è così che è nato il superiore, con il filo quasi totalmente primo modello di RTAK. La produzione Naples era un piccolo centro urbano piano: solo 5 cm. in corrispondenza del di questo coltellone è stata inizialmente situato nella contea di Ontario ed è da tallone sono seghettati. E’ comunque qui che la fabbrica ha preso il nome. affidata alla Newt Livesay of Wicked disponibile anche una versione con Knife Co. In breve tempo questo coltello La produzione iniziale era abbastanza filo completamente piano. Le facce ha riscosso un discreto successo ridotta ed era destinata al bacino di laterali della lama sono piane, prive anche se ne sono stati prodotti meno clienti che viveva nelle zone limitrofe. di biselli, ed assicurano un’ottima di 400 esemplari. Nel 2002 Randall e All’epoca la lavorazione avveniva capacità di penetrazione e di taglio. A Perrin decidono di passare la licenza di tutta mediante l’uso di fucine per la livello del tallone c’è anche lo scasso produzione del RTAK alla Ontario Knife forgiatura dei grezzi e la finitura delle per posizionare il dito indice quando Company. Il coltello viene sottoposto ad lame veniva effettuata per molatura. si impugna il coltello in posizione TNM ••• 117


Tactical Knife Tactical Knife Tactical Knife Tactica

Jeff Randall il progettista dell’Ontario rtak ii

avanzata. Questo dimostra che l’intenzione di Jeff e Mike era quella di creare un coltello e non un machete. L’acciaio utilizzato è il 5160 Carbon steel, un acciaio ad alto tenore di carbonio che può raggiungere anche i 60 HRC di durezza, molto utilizzato dai forgiatori e particolarmente indicato per le lame pesanti che necessitano di un filo resistente all’uso. Contiene lo 0.8 % di Cromo, 0,8/0,9 % di Manganese, 0,3 % di Silicio e tracce di Fosforo e Zolfo. L’impugnatura è “full tang” cioè il codolo occupa l’intera sagoma dell’impugnatura. Il dorso leggermente incurvato offre un comodo posizionamento al palmo della TNM ••• 118

superfici dagli agenti ossidanti, infatti il 5160 è un acciaio non inossidabile pertanto, se non trattato, può essere intaccato dall’umidità, dall’acqua salata, ecc.. Il coltello dell’Ontario richiede comunque un minimo di manutenzione in quanto il filo della lama non è protetto dalla fosfatazione. Sul lato sinistro della lama c’è un grosso stemma che riporta il logo della Ontario Knife Co. e della Randall’s Adventure Training. A livello del tallone ci sono le scritte RTAK II ed Ontario. Il modello RTAK II viene fornito con un fodero in nylon che racchiude un guscio in plastica rigida per l’alloggiamento in sicurezza della lama. Sulla faccia anteriore c’è una capiente tasca a soffietto, profonda più di 12 cm. e larga quasi 6 cm. chiusa superiormente da una patella ed una fibbia. Il posto ideale per mano; il profilo inferiore presenta alloggiare la pietra affilatrice ma un massiccio rilievo anteriore che anche altri strumenti utili per le scongiura la possibilità di scivolamento escursioni. La parte superiore del in avanti della mano, un rilievo fodero presenta un comodo passante centrale in corrispondenza del terzo per la cintura ed una robusta fettuccia e quarto dito ed un rilievo posteriore in nylon con bottone automatico che impedisce la perdita della presa che, abbracciando l’impugnatura, quando il RTAK II viene usato come impedisce l’uscita involontaria machete. L’estremità posteriore del del coltello dal fodero. La parte codolo termina con un massiccio posteriore del fodero è accessoriata “skull cruscher” arrotondato; al con l’ormai indispensabile dotazione centro di quest’ultimo c’è il foro per di fettucce di nylon che permettono il laccio da polso. Le guancine sono di fissare il RTAK all’abbigliamento in canvas micarta, di colore verde tattico secondo il sistema molle. militare, sono finemente zigrinate L’estremità inferiore del fodero con gli spigoli ben arrotondati e sono presenta anche due fori ed un laccio raccordate con discreta precisione per il fissaggio alla coscia. Questo al codolo. E’ possibile smontarle “camp knife”, frutto dell’esperienza mediante la rimozione delle tre viti a di due grandi istruttori di tecniche di brugola di fissaggio. L’impugnatura sopravvivenza negli ambienti naturali è lunga ben 15 cm. ed è alta 41 ostili, è sicuramente un bell’oggetto mm. in corrispondenza del rilievo e, se una persona ha la fortuna di centrale. Lo spessore è 26 mm. La poter trascorrere dei periodi in luoghi finitura esterna della lama e del di quel genere, sicuramente potrà codolo è grigio scuro ed è ottenuta fare buon uso di questo attrezzo. mediante un trattamento antiruggine L’utilizzo di questo coltellone può al fosfato di zinco che, a contatto con trovare collocamento anche tra gli la superficie metallica, aderisce alle escursionisti nostrani. porosità e crea uno strato spesso Sicuramente, scegliere il RTAK II e cristallino capace di resistere come coltello da fianco mi sembra un alle sollecitazioni meccaniche più po’ eccessivo ma ognuno ha il diritto gravose. Questo trattamento assicura di scegliere i propri giocattoli in base anche una buona protezione delle ai propri gusti.


TTICO DA Tactical DIFESA TIRO TATTICO DA DIFESA TIRO TATTICO DA D al Knife Knife Tactical Knife Tactical Knife Tac

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TACTICAL TRAINING TACTICAL TRAINING TACTICAL TRAININ

DI Giuliano Palazzo e Andrea Goglio

CPO

programmare una carriera Il difficile orientamento tra le offerte formative nel settore sicurezza.

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NG TACTICAL TRAINING TACTICAL TRAINING TACTICAL TRAINING

l settore della sicurezza è animato da diversificate figure professionali. Ci piace la definizione mestiere della protezione, così come era chiamato mestiere delle armi quello dei soldati di ventura, forse perché espande sull’argomento un certo fascino mistico. In realtà, di misticismo in questo mestiere non c’è proprio nulla, è una professione seria, molto difficile, che richiede, per farla bene e per raggiungere la pensione sulle proprie gambe, dedizione, preparazione, metodo e ragionamento. Il fascino comunque resta. Assomiglia quasi al richiamo che fra la fine dell’800 e gli inizi del 900 portava tanti giovani ad arruolarsi nella Legione, spinti dallo spirito d’avventura e da un’alta remunerazione economica. In quest’epoca segnata dall’incertezza, a cavallo fra twitter e facebook, con le stesse motivazioni di allora molti

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giovani si rivolgono a settori ad alta specializzazione della sicurezza privata. Nell’immaginario, il tactical vest del moderno contractor ha sostituito il képi blanc. Attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, come i social network o i forum di settore, ma anche leggendo riviste dedicate ad argomenti tattico/militari, si è infatti riscoperto un notevole interesse per il mondo della sicurezza privata. Interesse che però è spesso viziato, alimentato da una serie di informazioni, lanciate sul mercato della sicurezza civile, non sempre corrette o funzionali e che non permettono di raggiungere una reale possibilità di crescita e uno sbocco lavorativo serio. Crediamo quindi sia corretto ed utile un tentativo per fare un minimo di ordine su questi imput e cercare di capire, insieme ai lettori di TNM, quali siano realmente le necessità e, successivamente, gli sbocchi professionali per chi si avvicina a questo mestiere che, in maniera sterile ed a volte impropria, viene definito (dai pragmatici e non dai sognatori come noi) impiego nel “Settore Security”. Prima di tutto stabiliamo che quando trattiamo la materia Security ci troviamo di fronte ad un mondo vastissimo, composto da professionalità completamente diverse, che partono dalla “door protection”, alle applicazioni tecnologiche per la videosorveglianza ed il controllo degli accessi, alle applicazioni di Intelligence (prevalentemente Business Intelligence), e si estendono fino alle ormai mitizzate figure di Close Protection Operator o PSD. Ci sembra in questo punto utile ricordare che nella Security, la minaccia è rappresentata dalle azioni consapevoli dell’uomo che presenta caratteristiche di antagonismo, dinamicità e relatività che impongono un approccio metodologico di contrasto caratterizzato, prima di tutto, dalla necessità di basare le decisioni sull’intelligence, piuttosto che sulla statistica o sullo studio della fallibilità dei sistemi, metodologie tipiche della protezione civile e della safety. Precisazione che non è

superflua in quanto, come emerge da molti commenti presenti su forum di settore, molti fanno ancora confusione con la Safety, dove la minaccia è rappresentata da caso, o dall’inosservanza di regole. In particolare, per quanto riguarda la figura che suscita più interesse e curiosità, quella del Close Protection Operator o PSD, se analizziamo il panorama delle offerte formative e professionali, tramite una ricerca su fonti aperte, troviamo migliaia di siti relativi a formazione tattica, firearms, tecniche militari, guida veloce e le più differenziate arti marziali e tecniche di combattimento a mani nude. Alcuni promettono fulminee carriere in Italia o all’estero, altri non forniscono notizie concrete sulla loro attività e rilasciano informazioni fumose sperando che attraverso il vedo non vedo, dico non dico, atteggiamento il più delle volte dovuto a mancanza di argomenti ed incapacità di dimostrare, possono sfruttare la formula: riservatezza = curiosità = + potenziali clienti. Come può il nostro aspirante PSD districarsi tra le varie offerte di mercato, senza rischi e con possibilità di apprendere veramente nozioni valide? Soprattutto, come evitare di trasformarsi da operatore potenziale a cliente spennato? La risposta è una sola, cercando di capire quali sono i prerequisiti e quali le materie realmente utili allo svolgimento delle attività lavorative. Da dove parte questa ricerca? Innanzitutto dall’esperienza di chi lavora sul campo e sulla selezione di materie che sono utili realmente per lo svolgimento delle attività giornaliere. Purtroppo nel nostro paese, troppo spesso si dimentica che far parte di un team di Close Protection, prevede delle competenze che vanno al di la del mondo tattico, e che quest’ultimo è forse quello meno considerato, durante la verifica di un Curriculum Vitae. Chi ha potuto osservare un gruppo di protezione all’opera, non sempre è riuscito a comprendere che per attuare un proficuo programma di protezione, occorrono capacità utili a prevenire piuttosto che a reagire, TNM ••• 121


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Se quindi da una parte occorre essere “Mentally and physically fit” e avere una buona capacità di utilizzo delle armi da fuoco, esiste un aspetto fondamentale, quello relativo all’applicazione delle procedure preventive che, molto spesso, viene tralasciato nei programmi di formazione italiani. Il candidato dovrà quindi definire delle priorità, individuare un percorso e analizzare quali sono, secondo le proprie caratteristiche e background, le figure professionali a cui si può aspirare. Come crearsi quindi questa lista di priorità? Innanzi tutto essendo onesti con se stessi. Osservando le proposte lavorative offerte dalle aziende del circuito, si capirà quali sono i nostri punti di forza e quali invece i lati deboli report giornalieri, la gestione degli termini di conoscenze teoriche e nella nostra preparazione. Solitamente, incident report, e documenti di abilità pratiche per la gestione del le inserzioni del mondo anglosassone project management. Soprattutto, la soccorso di emergenza-urgenza. sono molto ben definite e ci sarà conoscenza di procedure preventive - Battle drills e small arms handling. chiaro all’istante su cosa formarci di protezione – con particolare Naturalmente una buona conoscenza nel futuro. Le compagnie chiedono riguardo alle attività di Intelligence, del maneggio in sicurezza delle ad un espatriato (con il termine expat alla metodologia di raccolta, gestione armi e delle tecniche operative e di viene indicato tutto ciò che non è local, ed analisi delle informazioni relative reazione, ma soprattutto la capacità tipo driver iracheni, quindi noi italiani alla specifica attività, con particolare di cooperare secondo procedure rientriamo in questa categoria) delle riguardo ai dati provenienti da standard con gli operatori che ci determinate qualifiche o condizioni fonti aperte; procedure di controcircondano è importante e vitale. A per lavorare in un paese terzo (come sorveglianza e di contrasto all’attività queste basi possiamo poi associare Iraq o Afghanistan). Pertanto, ad un Intelligence avversaria; studio delle altre specializzazioni, ma lavorando espatriato vengono richiesti: fonti di Minaccia, di quelle che si e perfezionando queste materie - English speaker with effective sono evidenziate per l’attuazione si hanno tutte le basi necessarie communication skills. Ne consegue di attentati e di quelle attualmente per pensare di intraprendere una che se non conosciamo la lingua, più aggressive nel contesto di carriera nel complesso mondo della qualsiasi attività lavorativa ci verrà riferimento. close protection. preclusa. Un approfondito corso - Land navigation e VHF and HF di inglese diventa quindi la prima radio communications. Avere una Ora, stabilite a grandi linee quali sono priorità. Se già invece si conosce conoscenza professionale specifica, le conoscenze richieste per accedere l’inglese, in maniera fluida, la dettata dalle esigenze crescenti al mestiere delle armi in ambio conoscenza basica di una seconda di uso di dati georeferenziati è internazionale, proviamo ad esaltare lingua potrebbe essere un fattore importantissimo. Inoltre, sempre due problematiche importanti. differenziante. più spesso la capacità di comunicare La prima, riguarda un aspetto - Skills in Operations planning. Come correttamente e saper utilizzare tralasciato dall’ambiente della si organizza un team? Quali sono strumenti di navigazione sono ritenuti formazione italiana; la seconda, la i ruoli e come vengono distribuite fondamentali per l’accettazione dei personale valutazione delle capacità le mansioni? Come ci si muove sul CV per operatori sul campo. dell’aspirante CPO. Se osserviamo il terreno? Come si prepara un’analisi - Combat life saver skills. Una contenuto delle offerte formative in del rischio? Come applicare delle formazione che consenta di saper questo ambito, presenti in Italia, senza metodologie preventive? Tutte valutare e operare su lesioni o fatica possiamo rilevare la carenza domande alle quali, un buon corso infortuni è diventata importante degli insegnamenti che riguardano di close protection, dovrebbe dare e fondamentale. Un buon corso gli aspetti preventivi. Troviamo la delle risposte. A questo va aggiunta propone quindi un mix di tematiche ragione di questa mancanza, prima la capacità di saper redigere dei per sviluppare le competenze in di tutto, nella difficoltà che si può TNM ••• 122


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incontrare nell’insegnare questa materia senza le opportune basi di conoscenza dell’Intelligence e delle sue metodologie. È sicuramente difficile, insegnare una materia che non si conosce pienamente e, soprattutto, la cui utilità non convince, prima di tutto, il docente stesso. Secondariamente, riscontriamo che questa mancanza può essere imputata alla difficoltà di far accettare, ad un pubblico di allievi paganti, un corso caratterizzato da tanta aula, ragionamenti, esercitazioni di raccolta, collazione ed analisi dei dati.

adeguato programma di protezione, deve partire dall’enfatizzazione degli aspetti preventivi, in particolare, dal monitoraggio e dalla analisi aggiornata degli elementi di rischio. La cura degli aspetti preventivi rappresenta la prima barriera contro la Minaccia, impedendo il verificarsi dell’evento. Contrariamente a quanto generalmente si è portati a pensare, gli strumenti di security e le tecniche di reazione (come le tecniche di guida di disimpegno, il tiro e la difesa personale), rappresentano la seconda barriera di difesa. Sono utili a proteggere il Bene all’atto della reazione ad una Ma cosa intendiamo per metodologia di Minaccia attuale, servono quindi ad Intelligence, applicata a fini preventivi impedire le conseguenze dell’evento; nella protezione delle persone e dei rispondono all’aggressione verso beni? L’Intelligence va intesa come il Bene ma non diminuiscono, mezzo di conoscenza ottenuta dal nemmeno indirettamente, il rischio che prodotto della raccolta, dell’analisi, l’aggressione si verifichi. dell’integrazione e dell’interpretazione Per cambiare la normale prospettiva di tutte le informazioni necessarie per di coloro che si avvicinano all’attività conseguire un fine decisionale. di protezione, viziata da stereotipi Questo concetto è valido per molto commerciali ma non funzionali l’applicazione dell’Intelligence in tutti i nell’attività prefessionale, è necessaria settori, close protection compresa. un’azione incisiva. L’insegnamento Una Protezione efficace può essere assume quindi una valenza correttiva attuata solo attraverso l’applicazione e deve essere finalizzato alla di metodologie preventive, di sistemi comprensione di regole essenziali: di sicurezza e di tecniche operative. Un l’azione inizia prima che accada

qualche evento che possa mettere a repentaglio l’integrità del Bene (ad es. l’incolumità della persona protetta); non è possibile qualificare attività di protezione quella che, senza l’enfatizzazione dell’aspetto preventivo, si affida solamente alla preparazione della risposta all’aggressione. Se l’operatore accetta con convinzione, queste regole sarà in grado di combinare in maniera sinergica ed efficace, gli aspetti di reazione, ovvero le tecniche operative, di guida, di tiro e di difesa, l’uso di strumenti tecnici e di security e l’applicazione delle metodologie tipiche dell’Intelligence: analisi dei dati per la pianificazione costante ed efficace; analisi previsionali in continuo aggiornamento; ricerca sistematica delle informazioni per conoscere ed individuare il nemico da affrontare; contrasto all’attività informativa ostile. Si sottolinea l’importanza previsionale dell’Intelligence, come strumento che permette non di indovinare il futuro, ma di valutare, basandosi su criteri oggettivi, l’evolversi degli eventi in modo da permettere una pianificazione delle strategie. Fortunatamente, nella Protezione delle persone e dei beni, il ruolo dell’Intelligence sta prendendo


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sempre più spazio, rispetto alla cura degli aspetti di pura reazione. È un’applicazione del tutto particolare in quanto, per il fine della Protezione, vengono utilizzati contemporaneamente tutti gli strumenti classici dell’Intelligence: la raccolta e l’analisi dei dati sull’avversario e sull’obiettivo della protezione, attraverso le fonti umane, tecnologiche ed aperte; l’uso degli strumenti informatici per l’analisi dei dati e la relativa diffusione nel tempo; la difesa dall’attività informativa ostile. L’attività di prevenzione efficace, deve partire proprio dalla continua raccolta di dati utili sull’avversario e sull’obiettivo della protezione. L’analisi successiva dovrà essere in grado di concatenare questi dati in funzione di un’attività costante ed instancabile di pianificazione, relativa ai percorsi da seguire, agli appuntamenti della vita privata, ai piani finalizzati ad abbandonare incolumi un’area di crisi. Nello stesso tempo, l’obiettivo si focalizza sulla necessità, per gli operatori di sicurezza, di maturare la capacità di contrastare l’attività informativa svolta dall’avversario nei confronti dell’obiettivo protetto. È attuata attraverso la tutela della riservatezza e dei dati, l’applicazione delle tecniche di contro-sorveglianza, i controlli sul personale e le metodologie per tentare di confondere le idee all’avversario. Fatti recenti, compreso il caso Petraeus, consolidano la convinzione della necessità di focalizzare al massimo l’attenzione sulla guerra delle informazioni, intesa come metodologia di contrasto dell’attività intelligence avversaria, finalizzata alla preparazione delle azioni offensive. Necessità che si trasforma in imperativo improcrastinabile quando l’obiettivo della protezione è una persona con elevate necessità di riservatezza, in ambito istituzionale o aziendale. La seconda problematica da affrontare riguarda l’appello formulato nella prima parte e rivolto agli aspiranti CPO: essere onesti con se stessi. Il mestiere della protezione richiede delle caratteristiche personali che, TNM ••• 124

purtroppo, non possono essere esaltate con la formazione. Insomma, caro aspirante CPO: o le hai o non le hai. Questo mestiere non è per te se non sei portato alle relazioni umane, se ti trovi meglio in campo aperto, sferzato dal vento del deserto, piuttosto che in una sala affollata o a tavola, intento in una conversazione dove devi salvaguardare, al contempo, la riservatezza della tua funzione con la necessità di non far sfiguare la persona protetta. L’Operatore della Protezione, per assolvere la sua peculiare funzione deve possedere determinate caratteristiche umane e psicologiche: intelligenza con forte spirito di osservazione; capacità di mantenere a lungo l’attenzione selettiva; reattività; versatilità; determinazione; maturità ed equilibrio psicologico; disponibilità al lavoro di squadra; interesse nel lavoro di protezione; educazione; cultura e conoscenza delle lingue; spirito di sacrificio e senso del dovere. Deve anche possedere condizioni fisiche eccellenti, presenza fisica e fiducia nella propria forza. Contemporaneamente, deve avere l’abilità di confondersi con l’ambiente circostante, per evitare di essere individuato, evitando di adottare un atteggiamento conforme ad uno stereotipo. Se non ha un innato self control non riuscirà a gestire sensazioni, emozioni e sentimenti ed a controllare nervosismo ed anticipazione; per un operatore della protezione, la pazienza è una delle doti essenziali così come la capacità

mantenere comportamenti diversificati rispetto ai propri canoni psicologici, sociali ed educativi. Lontano dalla polvere della Ring Road afghana, serve il savoir-faire sociale che permette all’operatore di padroneggiare il proprio comportamento, la propria gestualità, l’espressione facciale e corporea al fine di accrescere la propria disinvoltura con gli altri, anche al fine di evitare situazioni di imbarazzo per la persona protetta. Per lo stesso fine è utile la capacita della conversazione, utile per gestire i rapporti con la persona protetta ed il suo ambiente sociale, mediante l’uso di un linguaggio consono. In conclusione, un’indicazione utile per rispondere al quesito iniziale, e non perdere la bussola nel mare delle offerte formative di settore. Chiedete approfondite delucidazioni e pretendete argomentazioni adeguate relative ai programmi offerti, confrontando i contenuti con le basi professionali che vengono richieste in ambito internazionale. Non vi fermate alle foto operative o alle promesse di certificazioni internazionalmente riconosciute. Ricordate che anche se non si ha l’aspirazione di svolgere questa attività nei teatri ad alto rischio, la necessità di approfondire la conoscenza sulle metodologie preventive, applicate alla protezione delle persone e dei beni, costituisce un bagaglio professionale elevatissimo e risponde alla reale necessità operativa, a qualsiasi latitudine si operi.


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Afghanistan solo andata. Storie dei soldati italiani caduti nel paese degli aquiloni

SAS and Elite Forces Guide Sniper Il tiratore scelto è un cacciatore solitario: diventare un cecchino delle forze speciali richiede concentrazione suprema ed estrema auto-disciplina. Il libro prende in esame le motivazioni, le caratteristiche fisiche e psicologiche che servono per poter diventare un tiratore scelto delle forze speciali. Per l’operatore è importante mettere a fuoco disciplina mentale e forma fisica, in modo di poter arrivare a sparare a livelli di precisione olimpica! deve diventare un esperto in tecniche di camuffamento e infiltrazione, familiarizzare con la natura e il tempo. Il libro prende in esame anche l’attitudine psicologica di un tiratore scelto, il tipo di formazione necessaria per diventare un tiratore esperto, e quali armi sono utilizzate dalle forze speciali. Il testo offre circa 300 illustrazioni, disegni e tabelle che mostrano armi, posizioni di tiro e camuffamento, situazioni operative ecc. AUTORE: Martin J. Dougherty è uno scrittore freelance specializzata in storia militare e Forze Armate. Nel suo lavoro si occupa di armi e armamenti, di autodifesa e sicurezza personale. È autore di diversi libri come: Warriors of the World. Ha scritto anche libri sulla difesa personale, tra cui Unarmed Combat ed Extreme Unarmed Combat. EDITORE: Amber Books (stampato nel 2012) INFO: Brosuura - 13 x 17,5 - 320 pagine con circa 300 illustrazioni. Lingua: inglese Prezzo: 24,00 euro Disponibile presso: www.ritteredizioni.com TNM ••• 126

Sono più di cinquanta i soldati italiani caduti in Afghanistan dall’inizio della missione Isaf nel 2004. Ma in realtà il primo dei nostri connazionali è morto nel 1998, quando la missione delle Nazioni Unite si chiamava Unsma e aveva il compito di “sorvegliare” i talebani. Dietro questa lunga teoria di nomi ci sono volti, desideri, ambizioni di giovani uomini, scelte di vita non sempre facili e scontate. A raccontarli è Gian Micalessin, inviato di guerra che conosce l’Afghanistan da trent’anni, che l’ha visto passare dal controllo sovietico a quello talebano fino alla situazione magmatica di oggi. E non potendo raccontarli tutti, ha raccolto otto storie esemplari, otto piccole biografie che tessono una trama comune, che consentono di capire chi sono i militari italiani impegnati nel Paese degli aquiloni, qual è la loro missione, perché hanno scelto il mestiere delle armi. AUTORE: Gian Micalessin è inviato di guerra (di quelli veri…), scrive per il giornale e altre testate. Oltre che in Afghanistan, sin dai tempi dell’invasione sovietica, è stato in Iraq, ex-Jugoslavia, Cecenia, Algeria, Ruanda. Segue inoltre delle vicende del conflitto israelopalestinese e l’Iran. Al suo attivo collaborazioni con molte testate televisive italiane ed estere. EDITORE: Cairo Editore (stampato nel 2012) INFO: Brossura – 15 x 21 – 254 pagine Lingua: italiano Prezzo: 15,00 euro Disponibile presso: www. ritteredizioni. com


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Manuale pratico di sopravvivenza Concepito per coloro che intendono scoprire i segreti della natura e le molteplici tecniche che permettono la sopravvivenza nel suo ambiente, questo volume si articola su due diversi livelli, per il neofita e per il veterano, nell’intento di venire incontro a differenti gradi di preparazione e competenza. L’escursionista occasionale vi troverà le indicazioni necessarie per l’equipaggiamento, nonché informazioni dettagliate e illustrazioni esplicative per la costruzione di rifugi, l’utilizzazione culinaria di diverse piante, l’approvvigionamento dell’acqua anche in luoghi sprovvisti di fonti naturali, l’orientamento in assenza di mappe o cartine. Il trapper veterano troverà di particolare utilità i capitoli specifici dedicati alla realizzazione di recipienti e stuoie di canne, tazze di terracotta, cordami vegetali e utensili ricavati da ossa e pietre. Infine una sezione dedicata al riconoscimento e allo studio delle orme degli animali, alle trappole e alla pesca.

More On. The Fabled Fal. A Companion to the Fal Rifle Questa nuova pubblicazione si propone di completare la trilogia sulle armi della famiglia FAL. Viene preso in considerazione nuovo materiale che concerne aspetti differenti del fucile. La prima parte del volume è una nuova retrospettiva sui prototipi e i successivi modelli costruiti dalla Fabrique Nationale seguendo un ordine cronologico, la seconda e più consistente parte è occupata dal manuale FAL OREA - completo manuale di assemblaggio, disassemblaggio e manutenzione. Il libro chiude con una autorevole retrospettiva sulla filettatura delle canne, l’intercambiabilità delle stesse e le istruzioni ufficiali per il C1/C1A1 canadese e il L1A1 inglese, le illustrazioni dei componenti e una bibliografia. AUTORE: R. Blake Stevens è un grande collezionista di armi della famiglia FAL prodotte dalla Fabrique Nationale (FN). E’ autore dei due precedenti volumi pubblicati sempre dalla Collector’s Grade canadese, la sua trilogia può essere considerata a ragione, l’opera omnia su questo tipo di arma. EDITORE: Collector’s Grade Publications (stampato nel 2011) INFO: Cartonato – 22,5 x 28,5 – 250 pagine con oltre 250 illustrazioni estremamente dettagliate. Lingua: inglese Prezzo: 69,00 euro Disponibile presso: www.ritteredizioni.com

AUTORE: Raymond Mears ha iniziato ad occuparsi di tecnica di sopravvivenza fin da giovanissimo. Questo suo libro fa seguito a numerosi articoli pubblicati su riviste americane specializzate come “World Magazine”, “Outdoor Action” e “Combat Survival”. EDITORE: Gremese Editore (stampato nel 2008) INFO: Brossura – 17 x 24 -199 pagine con circa un centinaio di illustrazioni. Lingua: italiano Prezzo: 18,00 euro Disponibile presso: www.ritteredizioni.com TNM ••• 127



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