TNM n°6 • GIUGNO 2011 • periodico mensile
www.tacticalnewsmagazine.it • € 5.00 “Poste Italiane SpA, Spedizione in Abbonamento Postale DL 353/2003 (convertito in legge 27/02/2004 n°46) art. 1 comma 1 LO/MI”
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EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE
Giuseppe Lami è un fotoreporter freelance collaboratore dell’Agenzia ANSA, Antonello Tiracchia è un regista di documentari, collabora con Repubblica TV ed è l’autore del format multimediale Professione Difesa. Questa fotografia è stata scattata il 26 dicembre 2010 a Farah e mostra i nostri due nuovi collaboratori embedded nei Lagunari del Reggimento Serenissima prima di partire per un’operazione tattica. Giuseppe Lami è al centro senza elmetto, Antonello Tiracchia alla sua sinistra con la telecamera.
L’Afghanistan è costituito al 99% da montagne. La maestosa catena dell’Hindu Kusch, le cui vette raggiungono oltre 7.500 metri d’altezza, svela paesaggi sontuosi, solcati da profonde valli alimentate da torrenti vertiginosi. A nord dell’ Hindu Kush ci sono le pianure del Turkestan Afgano e il confine segnato dall’AmuDary. A sud invece si estende l’arido e polveroso Dasht-i-Margo detto anche “il deserto della morte”. L’Afghanistan, spesso chiamato il “crocevia dell’Asia centrale”, si trova in un punto di connessione davvero unico, nel quale numerose civiltà eurasiatiche hanno interagito e spesso combattuto e che fu un importante teatro delle prime attività della storia. Attraverso le epoche, la regione oggi nota come Afghanistan è stata invasa da numerose potenze, tra cui gli Indoariani, i Medi, i Persiani, i Greci, i Maurya, l’Impero Kushan, gli Unni Bianchi, i Sasanidi, gli Arabi, i Mongoli, i Turchi, i Britannici, i Sovietici e più recentemente gli Stati Uniti. Raramente però queste potenze sono riuscite a esercitare il completo controllo della regione. In altre occasioni, entità statali originarie dell’Afghanistan hanno invaso le regioni circostanti creando dei propri imperi. Fin dal 1900, undici governanti sono stati deposti con mezzi non democratici: 1919 (assassinio), 1929 (abdicazione), 1929 (esecuzione), 1933 (assassinio), 1973 (deposizione), 1978 (esecuzione), 1979 (esecuzione), 1979 (esecuzione), 1987 (rimozione), 1992 (rovesciamento), 1996 (rovesciamento) e 2001 (rovesciamento).L’ultimo periodo di stabilità dell’Afghanistan si colloca tra il 1933 e il 1973, quando la nazione era sotto il governo di Re Zahir Shah. Nel luglio 1973, però, il cognato di Zahir Sardar Mohammed Daoud lanciò un colpo di stato incruento a seguito del quale il re fu cacciato e venne proclamata la repubblica. Daoud e tutta la sua famiglia vennero assassinati nel 1978, quando il Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan (comunista), prese il potere con un colpo di stato (27 aprile). All’interno del partito si aprì subito un forte contrasto tra la fazione Khalq (la più radicale) e quella Parcham. In una prima fase fu la prima fazione a prevalere con il leader Hafizullah Amin. Il 24 dicembre 1979 l’Unione Sovietica intervenne militarmente contro il governo di Amin, considerato vicino agli USA (vedi: invasione sovietica dell’Afghanistan). Contrastata da una montante pressione internazionale e con perdite di circa 15.000 soldati sovietici, per mano dell’opposizione dei mujaheddin addestrati da Stati Uniti, Pakistan, e da altri governi stranieri, l’URSS si ritirò dieci anni dopo, nel 1989. I combattimenti proseguirono, questa volta tra le differenti fazioni dei mujaheddin. Questo diede vita ad una spartizione del controllo della nazione tra i signori della guerra, dalla quale sorsero i Talebani. La più seria di queste lotte avvenne nel 1994, quando 40.000 persone rimasero uccise negli scontri tra fazioni nell’area urbana di Kabul e la città fu distrutta dal tiro delle artiglierie. Appoggiati dal Pakistan come alleato strategico, i Talebani si svilupparono come forza politico/religiosa e alla fine presero il potere nel 1996. Successivamente furono in grado di conquistare il 90% della nazione, ad eccezione delle roccaforti dell’Alleanza del Nord nel nord-est del paese. I Talebani cercarono di imporre una stretta interpretazione della Sharia islamica. La follia degli uomini
non ha risparmiato neppure i pregiatissimi budda del Bamiyan. Scolpita nella montagna nel terzo e quinto secolo, questa grande eredità culturale non ha resistito all’assalto dei talebani. Il 7 ottobre 2001 subisce l’intervento militare degli Stati Uniti e dei loro alleati, in reazione agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 e motivato dalla guerra al terrorismo (e più specificatamente dall’intento di catturare Osama bin Laden). Il regime talebano è rovesciato. Come nel vicino Iraq, anche in Afghanistan il conflitto in atto continua a provocare danni e vittime senza che si riesca a favorire un minimo processo di pace. Il governo ha un ben limitato campo d’azione (Kabul e dintorni), e i talebani stanno progressivamente riacquistando influenza nel paese. Chi conosce l’Afghanistan, conosce bene anche la Ring Road, un anello di tremila chilometri che si ricongiunge alla capitale passando, in senso anti-orario, da Mazar-iSharif ed Herat: I talebani corrono veloci e indisturbati sul nastro d’asfalto che doveva rappresentare il fiore all’occhiello della ricostruzione, l’arteria vitale per avvicinare a Kabul etnie prigioniere di gole inaccessibili e ferree tradizioni tribali: il 60% degli afghani vive nel raggio di 50 chilometri dal grande anello. La Ring Road è una delle speranze deluse di un paese dove dieci milioni campano con meno di un dollaro al giorno. La strada era stata costruita dagli americani e dai sovietici negli anni 60, una curiosa cooperazione in piena guerra fredda voluta dalla monarchia di Zahir Shah nel tentativo, poi naufragato, di mantenere l’equidistanza tra i blocchi: il suo percorso circolare è un viaggio quasi metaforico nella storia dell’Afghanistan, dei suoi problemi, diventati da qualche tempo anche i nostri. Mentre questo numero di Tactical News Magazine va in edicola, i nostri collaboratori Giuseppe Lami e AntonelloTiracchia sono tornati in Afghanistan. E’ la seconda volta negli ultimi 6 mesi e la loro missione questa volta sarà quello di raccontare la storia di un reparto della Folgore impegnato in una delle zone più rischiose del Regional Comand – West. TNM pubblicherà in esclusiva il diario di questa esperienza. Mirko Gargiulo
RIALE EDITORIALE
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EDITORIALE
TACTICAL NEWS MAGAZINE Military - Law Enforcement - Security n°6 - giugno 2011 - mensile Direttore responsabile: Giuseppe Morabito Direttore editoriale: Mirko Gargiulo mirko.gargiulo@tacticalnewsmagazine.it
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Forensics e digital forensics in teatro di operazioni
Direttore commerciale: Giovanni Petretta giovanni.petretta@tacticalnewsmagazine.it
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Art director: Matteo Tamburrino
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B.O.A. - Ufficio Operazioni Antiterrorismo
Collaboratori: Davide Pane, Vincenzo Cotroneo, Gianluca Favro, Gianluca Sciorilli, Pasquale Camuso, Danilo Siragusa, Gianluca H., Fabio Rossi, Max Scudeler, Galdino Gallini, Lorenzo Prodan, Riccardo Braccini, Marco Sereno Bandioli, Carlo Biffani, Giovanni Di Gregorio, Roberto Galbignani, Zoran Milosevic, Denis Frati, Gabriele Da Casto Fotografie: Mirko Gargiulo, ISAF, Department of Defense, Stato Maggiore Esercito, OMG, U.S. Navy, LosTempos.com, NATO Multimedia, The National, Command Special Naval Warfare Command, Onu Media Press, Zoran Milosevic, USAF (United State Airforce), Michele Farinetti, Giuseppe Lami
ARMI MILITARI
Dangerous Zone
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DIVIETO DI ATTACCARE CHI SI ARRENDE
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REPORT FROM
60° Anniversario Aviazione Esercito
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INSIDE
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TEST BY TNM
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Il “Gruppo Operativo Speciale” della Polizia di Stato
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training report
STAGE ISRAELI CLOSE COMBAT - KRAV MAGA IDS
Ufficio stampa: Marcello Melca marcello.melca@tacticalnewsmagazine.it ufficio.stampa@tacticalnewsmagazine.it
4 SUPER CATTIVI A CONFRONTO
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Redazione: redazione@tacticalnewsmagazine.it
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S.E.R.E.
TASK FORCE GRIFO
Periodico mensile edito da: CORNO EDITORE Piazza della Repubblica n. 6 20090 Segrate - Milano - P.IVA 07132540969 Stampa: Reggiani Spa Via C. Rovera 40, 21026 Gavirate (VA) Distributore: Pieroni Distribuzione s.r.l. Viale Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano Registrazione Tribunale di Milano n.509 del 27 settembre 2010 Iscrizione al ROC 20844 Tutti i diritti di proprietà letteraria, artistica e fotografica sono riservati, ne è vietata dunque ogni duplicazione senza il consenso scritto della Corno Editore
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AROUND THE WORLD Usa-Gb, Obama: pace in Afghanistan. Cameron: possiamo sconfiggere al Qaeda “Possiamo sconfiggere al Qaeda”. A dirsene convinto è stato il premier britannico David Cameron nel suo intervento in apertura della conferenza stampa congiunta con il presidente americano Barack Obama. E, ha aggiunto a proposito della lotta al terrorismo, “dobbiamo continuare a lavorare con il Pakistan”. I due leader hanno parlato anche della situazione in Nord Africa e Medio Oriente. Quanto all’Afghanistan, ha detto Obama, “è necessario arrivare ad una pacificazione, un processo che deve essere guidato dagli afgani”. Nel corso della conferenza stampa Obama ha poi ribadito che Washington e Londra “riaffermano l’importanza di una transizione in Afghanistan”, che inizi quest’anno e si completi nel 2014. Gli Usa, ha proseguito, accolgono con favore le sanzioni dell’Unione europea nei confronti del regime siriano. A proposito della Libia, Obama ha ribadito lo stesso concetto espresso da Cameron (‘’impossibile immaginare un futuro in Libia con Gheddafi’’). Il raìs, ha detto il leader americano, “deve ritirarsi dal potere”. Obama ha sottolineato che la coalizione internazionale impegnata nelle operazioni militari in Libia ha agito “sotto l’egida dell’Onu” e che grazie all’intervento “abbiamo salvato delle vite”. Gheddafi e il suo regime, ha detto ancora il presidente Usa, devono capire che “la pressione non si allenterà”. Sintonia anche su un altro punto. “Con David Cameron concordiamo sul fatto che non possiamo mandare truppe di terra in Libia”, ha detto il presidente Usa. “Dal momento in cui si esclude il ricorso alle forze di terra, e vi sono limiti agli attacchi dal cielo, questo significa che le forze di terra dell’opposizione libica dovranno assumersi le proprie responsabilità”, ha aggiunto Obama. Esiste - ha continuato - “una falsa percezione” che gli Stati Uniti abbiano “mezzi aerei supersegreti parcheggiati da qualche parte” per risolvere rapidamente il conflitto. Il presidente ha però promesso progressi “lenti ma continui”.
COMMERCIALI
TNM ••• 06
UK: Inizia la costruzione della portaerei Prince of Wales La costruzione della HMS Prince of Wales, la seconda portaerei classe Queen Elizabeth (QE) della Royal Navy, è iniziata presso il cantiere di Govan di proprietà di BAE Systems sul fiume Clyde. Dipendenti e ospiti si sono riuniti presso il cantiere inglese con il Segretario di Stato alla Difesa Liam Fox, il quale ha premuto il pulsante della torcia al plasma che ha tagliato la prima lastra d’acciaio della nave. Secondo i piani di ridimensionamento delineati dall’ultima Strategic Defence and Security Review la HMS Price of Wales, terminata la costruzione, verrà messa subito in stato di “extended readiness”, ovvero sostanzialmente non operativa ma pronta ad entrare in azione a seconda delle necessità. La decisione se tenerla o venderla verrà presa nel 2015. Le nuove unità, HMS Queen Elizabeth e HMS Prince of Wales, avranno un dislocamento di 65.000 tonnellate e potranno operare fino a 40 velivoli ad ala fissa e rotante (F-35C Lightning II, piattaforme Airborne Early Warning, Chinook e Apache). I costi complessivi di acquisizione sono saliti da 5.7 miliardi di euro a circa 8 miliardi di euro (£7bn). BAE Systems è membro della Aircraft Carrier Alliance, consorzio industriale incaricato della produzione delle due QE, che comprende Babcock, Thales e il Ministero della Difesa britannico. I lavori sulla HMS Queen Elizabeth sono a buon punto con la costruzione dei componenti principali in corso presso sei cantieri in tutto il Regno Unito, tra cui quelli BAE Systems di Glasgow e Portsmouth, così come nei cantieri degli altri membri della ACA, Appledore, Merseyside, Newcastle e Rosyth, dove avrà luogo l’assemblaggio finale. A Govan si lavora sulla sezione mediana e su quella superiore di poppa, mentre a Portsmouth su quella anteriore e inferiore di poppa. I lavori sulle due isole, che ospitano le strutture di comando e controllo del traffico, cominceranno verso fine anno. La HMS Queen Elizabeth entrerà in servizio nel 2020, in coincidenza con l’arrivo dei primi F-35C JCA. (difesanews.it)
Libano: dopo 5 mesi un nuovo governo con Hezbollah Libano - cinque mesi di difficili trattative per partorire un governo con Hezbollah, nato già zoppo. A qualche ora dalla presentazione al presidente Michel Suleiman del nuovo esecutivo di Najib Miqati, il druso Talal Arslan si è dimesso. Non avrebbe gradito il ministero senza portafoglio a lui assegnato da Miqati. Del resto, è stata proprio la spartizione dei dicasteri a bloccare così a lungo i negoziati per il nuovo esecutivo, dopo la caduta del governo di unità nazionale di Saad Hariri. “Siamo riusciti tramite una leale cooperazione tra le parti interessate, e in primis con il presidente della repubblica, a risolvere tutti ostacoli che impedivano la formazione di un governo“ha dichiarato Miqati, “Ci auguriamo di poter meritare la vostra per poter iniziare a lavorare immediatamente”. Hezbollah e i suoi alleati, che avrebbero il sostegno di Siria e Iran, portano a casa 19 portafogli su 30, tra cui Giustizia e Difesa. Il resto va a uomini del presidente, del primo ministro e del leader druso Walid Jumblatt.
Al-Zawahiri succede a Bin Laden, il dottore nuovo leader al-Qaeda
10 C-17 per l’India Il Ministero della Difesa indiano ha siglato un accordo con il governo degli Stati Uniti per l’acquisto di 10 aerei da trasporto Boeing C-17 Globemaster III. L’atto di Foreign Military Sale è stato approvato dal Congresso degli Stati Uniti nel maggio 2010, e questo definitivo contratto fa dell’India il più grande cliente internazionale del C-17. L’India beneficierà anche di ricadute industriali pari al 30% del valore dell’accordo. La linea di produzione del C-17 a Long Beach, California, la cui chiusura in mancanza di nuovi ordini era programmata per il 2012, rimarrà aperta ora almeno fino al 2014. “Il C-17 aumenterà la leadership dell’India nella regione”, ha dichiarato Dinesh Keskar, Presidente di Boeing India. “Con le sue capacità tattiche e strategiche, il C-17 soddisfa le esigenze indiane di trasporto aereo militare e umanitario”. “Questo accordo è un riflesso della stretta collaborazione fra il Ministero della Difesa indiano e la US Air Force, che ha lavorato molto duramente per aiutare l’India a rafforzare la propria capacità di trasporto aereo con il C-17”, ha affermato Jean Chamberlin, Vice Presidente e General Manager di Boeing Mobility. “La capacità del velivolo di trasportare carichi di grandi dimensioni su lunghe distanze, atterrare su piste corte e semipreparate, e operare in climi estremamente caldi o freddi lo rende ideale per la regione”. Durante le prove di valutazione effettuate dall’Aeronautica indiana nel giugno 2010, il C-17 ha soddisfatto tutti i requisiti richiesti. Il C-17 può compiere missioni di trasporto truppe, cargo, umanitarie fino a 4.400 km con un carico di 75 tonnellate ed atterrare su piste semipreparate di lunghezza inferiore ai 1.000 metri. Attualmente sono stati consegnati nel mondo 232 C-17, 210 in servizio presso la U.S. Air Force (compresa Guardia Nazionale e reparti della Riserva), 7 nella RAF, 4 presso le Forze Armate Canadesi, 4 nella Royal Australian Air Force, tre riservati alla Strategic Airlift Capability in ambito NATO, 2 negli Emirati Arabi Uniti (che saliranno a 6 entro la fine del 2012) e 2 nelle forze armate del Qatar. L’India potrà beneficiare a livello logistico della rete internazionale di supporto GSP dedicata al C-17 Globemaster III. La GSP garantisce la prontezza operativa dei velivoli fornendo a tutti i clienti del C-17 l’accesso a parti di ricambio e componenti disponibili a livello internazionale riducendo così i costi di mantenimento tramite economie di scala. Secondo l’accordo, l’India prenderà in consegna i suoi C-17 nel 2013 e 2014. (difesanews.it)
Il Cairo, 16 giu. - Il medico egiziano Ayman al-Zawahiri è stato nominato nuovo leader di al-Qaeda. Lo riferisce l’emittente ‘al-Arabiya’. Al-Zawahiri era il numero due dell’organizzazione che faceva capo a Osama Bin Laden, ucciso il 2 maggio in un blitz dei Navy Seals americani non lontano da Islamabad. In un comunicato firmato dai vertici di al-Qaeda si “annuncia che lo Sheikh Ayman al-Zawahiri, possa Allah guidarlo, è stato designato emiro dell’organizzazione”. L’egiziano è ritenuto una delle ‘menti’ che ha pianificato gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Usa. La nomina di al-Zawahiri non è una sorpesa. Molti esperti, infatti, guardavano a lui come il più probabile successore dello ‘sceicco del terrore’. Cinquantanove anni, nato in una famiglia di magistrati e medici egiziani, il ‘dottore’, numero due dell’organizzazione Bin Laden, fa parte di al-Qaeda da oltre un decennio, da quando, in nome della comune lotta contro “gli ebrei e i crociati”, l’ala egiziana del jihad si unì a quella che faceva capo al miliardario saudita
TNM ••• 07
Yemen/ Scontri al sud soldati-miliziani al Qaeda, 6 morti Sei militari yemeniti, incluso un colonnello, sono rimasti uccisi, domenica 19 giugno, durante scontri con miliziani della rete locale di al Qaeda nei pressi della citta’ meridionale di Zinjibar. A confermare la notizia e’ stato un ufficiale della 119esima brigata artiglieria che ha riferito di “violenti scontri domenica notte con miliziani di Ansar al-Sharia legati ad al Qaeda”. Fra le sei vittime c’e’ anche “il colonnello Jamal al-Jaafi”, mentre 8 soldati sono rimasti feriti, ha precisato la fonte, sottolineando che anche i militanti hanno sofferto perdite. E’ stato necessario l’intervento delle forze aeree, che hanno bombardato diverse zone sotto il controllo degli estremisti. Il 29 maggio, la citta’ di Zinjibar e’ stata conquistata da forze affiliate ad al Qaeda. Da allora, si susseguono gli scontri che hanno gia’ fatto oltre 140 morti. L’ultimo baluardo governativo in citta’ e’ la base della 25esima brigata meccanizzata, stretta d’assedio dai miliziani.
Rangers accusati di omicidio Karachi 18 Giugno - Uno dei casi più clamorosi di violazione dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza pakistane è giunto davanti alla corte speciale antiterrorismo in Pakistan ed è la prima volta. 6 Rangers (forza di polizia paramilitare) pakistani sono accusati dell’uccisione a sangue freddo di un ragazzo. Il video da Karachi, che è stato ampiamente trasmesso sulla televisione pakistana, è inquietante da vedere. Mostra un giovane in maglietta nera che viene trascinato per i capelli in un parco pubblico da un uomo in borghese. E’spinto verso un gruppo di Rangers Sindh, armati e in uniforme. Il giovane, che non sembra essere armato, implora per la sua vita mentre uno dei Rangers gli punta una pistola al collo. Il Ranger poi gli spara due volte a distanza ravvicinata, colpendolo alla coscia. Il giovane si contorce a terra, sanguinante chiede aiuto,ma non viene soccorso e muore dissanguato. I Rangers hanno affermato che il giovane era stato catturato mentre cercava derubare Lega Araba: cessate il fuoco in Libia qualcuno. La famiglia nega. Non è chiaro chi abbia girato il video,alcuni rapporti suggeriscono che il cameraman si sia nascosto per timore di vendette. L’intervento militare non è una soluzione in Libia. L’incidente ha scatenato una levata di scudi di alcuni Il Segretario generale uscente della Lega Araba politici contro i Rangers coinvolti e fornisce la prova ha criticato gli attacchi verso il regime di Gheddafi, eppure in precedenza la Lega araba aveva approvato la agghiacciante della pratica del grilletto facile dei soluzione militare. Amr Moussa, attualmente candidato militari Pakistani. alla presidenza dell’Egitto, ha rilasciato un’intervista esclusiva ad Euronews nei nuovi uffici di Bruxelles. “Le operazioni militari in Libia, indipendentemente da quanto dureranno- ha detto – non risolveranno i problemi. La soluzione resta politica. Si deve cominciare con un cessate il fuoco per un breve periodo transitorio, per arrivare ad avere una nuova Libia. Riguardo alla Siria, ci sono delle divergenze tra i paesi arabi ma c‘è una comune preoccupazione sulla situazione in particolare per l’aumento del numero delle vittime e dei rifugiati nei paesi vicini”. Amr Moussa resterà in carica fino alla fine del mese. Il nuovo Segretario generale della Lega araba sarà Nabil Elaraby, attuale ministro degli Esteri egiziano. TNM ••• 08
CINA, tensione sulle acque contese La Cina ha inviato uno dei suoi pattugliatori grandi attraverso il Mar Cinese Meridionale, per l’accresciuta tensione sulle acque contese. L’ Haixun-31 è salpato Mercoledì scorso col compito di controllare il traffico navale e “proteggere la sicurezza marittima” nel suo cammino verso Singapore. Un portavoce del ministero degli Esteri cinese ha descritto il viaggio come di routine. Diverse nazioni asiatiche si contendono come acque territoriali quel del Mar cinese. Meridionale poiché oltre alle rotte mercantili si ritiene vi siano petrolio e gas. Le Filippine e Vietnam hanno recentemente accusato vascelli cinesi di azioni aggressive nel Mar Cinese Meridionale. Lunedi ‘il Vietnam ha organizzato esercitazioni navali nella zona che i media statali cinesi hanno denunciato come una dimostrazione di forza. Le 3.000 tonnellate Haixun-31, gestito dall’Amministrazione cinese per la sicurezza marittima, passerà vicino al Paracel e gruppi di isole Spratly. hanno detto i funzionari. Le isole sono al centro delle dispute territoriali con gli altri governi che si affacciano sul mare. Il giornale ufficiale Beijing Daily ha affermato che la nave - che ha un elicottero e può rimanere in mare per fino a 40 giorni – monitorerà il traffico navale, effettuerà rilevamenti, e ricerca di pozzi di petrolio e avrà il compito di “proteggere la sicurezza marittima”. All’inizio di questa settimana, Pechino ha detto che non ricorrere all’uso della forza per risolvere le sue controversie sui confini marittimi. Vietnam, Cina, Filippine, Taiwan, Brunei e Malesia hanno concorrenti pretese al Spratlys mentre Pechino e Hanoi sono in disputa per le Paracel. Hanoi, che ha presieduto il raggruppamento regionale Asean lo scorso anno, ha promosso attivamente una soluzione multilaterale. Tuttavia, la Cina dice che preferisce negoziare con i singoli stati separatamente.
Falkland, la Gran Bretagna rifiuta di negoziare Il presidente dell’Argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, ha definito la Gran Bretagna “arrogante” per aver rifiutato di negoziare sulle Falkland. Parlava il giorno dopo che il primo ministro britannico David Cameron ha detto che la questione della sovranità non era negoziabile. Il presidente Fernandez chiamato il suo rifiuto di tenere colloqui sulla sovranità delle Falkland o Malvinas, arrogante e confinante con la stupidità. La Gran Bretagna ha sconfitto l’invasione argentina delle isole nel 1982. Le Falkland sono al centro di una disputa territoriale che risale al 19esimo secolo. L’Argentina ha chiesto ripetutamente colloqui sulla futura sovranità delle isole, ma la maggior parte abitanti delle isole Falkland vuole mantenere la sovranità britannica e il 14 giugno è segnato come il giorno della Liberazione della capitale, Port Stanley. Alla Camera dei Comuni il Mercoledì David Cameron ha detto che “finché le isole Falkland vogliono essere un sovrano territorio britannico,tali devono rimanere. Il presidente Fernandez descritto i suoi commenti come “espressione di mediocrità, e quasi di stupidità”. Ha detto che il Regno Unito “continua ad essere una potenza coloniale in declino greggio”. Il parlamentare conservatore Andrew Rosindell ha esortato Cameron di ricordare al Presidente Barack Obama che “il governo britannico non potrà mai accettare nessun tipo di negoziato sull’acipelago del Sud Atlantico”. All’inizio di questa settimana un britannico delle Falkland è divenuto il primo isolano a scegliere la cittadinanza argentina. A James Peck è stato consegnata la sua carta d’identità dal presidente Fernandez, nel corso di una cerimonia per celebrare il 29 ° anniversario della fine della guerra delle Falkland. Il padre di Mr Peck,Terry era un membro della Falkland Defence Force ed è morto durante il conflitto. Sandy Woodward, l’ammiraglio in pensione che guidò la task force che salpò per le Falkland, nel 1982, ha detto a un giornale all’inizio di questa settimana che teme che le isole siano “ormai pericolosamente vicine ad essere indifendibili”. Ha detto al Daily Mail: “Ventinove anni fa, abbiamo ri-ha affermato che le Falklands fossero britanniche in una delle campagne più importanti dopo la seconda guerra mondiale. “La semplice verità è senza portaerei e senza gli americani, non avremmo alcuna speranza di fare lo stesso anche oggi.” TNM ••• 09
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Un coltello... per missioni speciali Extrema Ratio, Landing Force Titanio Coltello multiuruolo amagnetico, sviluppato ed ufficialmente acquisito dalle truppe da sbarco dell’Esercito Italiano. Lama e codolo totalmente in titanio rendono il coltello particolarmente resistente all’ossidazione ed utilizzabile per la ricerca di ordigni interrati all’innesco magnetico (mine probing).
• Destinazione d’uso: Tattico/Anfibio • Tipo di produzione: Industriale • Produzione Lama: Italia • Lama: in Titanio Beta 40HRC • Trattamento Lama: Testudo • Manicatura: Forprene • Lunghezza lama: 180mm. • Spessore lama: 6.3mm. • Lunghezza totale: 310mm. • Fodero: Nylon desert, con guscio rigido in ABS; cinghie cosciali ed attacchi di tipo M.O.L.L.E. • Confezione: Scatola di cartone, certificati, manuali www.coltelleriacollini.it
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Pinza multiuso con trattamento superficiale Black Oxide; utilizza il sistema brevettato di leveraggi SOG che permette di moltiplicare la forza impressa sulle tenaglie che, all’occorrenza, possono anche essere utilizzate per divaricare. DATI TECNICI • Lunghezza da chiuso: 10.2 cm • Lunghezza da aperto: 15.2 cm • Peso: 156 g • Pinza: a becco • Acciaio: inox • Finitura: Black Oxide • Fodero: Nylon UTENSILI • Lama parzialmente seghettata • Lima a tre facce • Cacciavite Phillips • Punteruolo/Alesatore • Apriscatole • Cacciavite Piccolo • Cacciavite Medio • Apribottiglie • Tagliacavi www.coltelleriacollini.it
JETBeam Corona in acciaio frangi cristalli Le torcie JETBeam oramai non hanno più bisogno di presentazioni, sono prodotti di elevata qualità e l’azienda si è da tempo collocata tra i leader mondiali. Per sirtuazioni di “ emmergenza “ JETBeam propone questa corona proteggi parabola in acciaio inossidabile, la quale dotata di lunghi spuntoni, è cosi in grado di salvaguardare la testa della torcia da impatti frontali e laterali e può fungere, inoltre, da frangivetri. Utilizzabile sui modelli JETBeam Jet-III M e TCR Titanium.
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SIMON granata DA FUCILE Il sistema SIMON è una granata, creata dall’azienda israeliana Rafael, che può essere lanciata con un fucile utilizzando il munizionamento convenzionale da 5.56 mm. E’ stata studiata per effettuare lo sfondamento di porte in acciaio o in legno ed il suo raggio di azione varia, a seconda del modello impiegato (SIMON 120 – SIMON 150), dai 15 a 30 metri. Il vantaggio di utilizzare munizionamento convenzionale permette al tiratore di poter immediatamente ingaggiare a fuoco reale le minacce all’interno della edificio. Il SIMON può essere montato su molti modelli di fucili d’assalto senza apportare alcuna modifica particolare, in alcuni casi è necessario un adattatore. I maggiori benefit attribuibili al SIMON sono la facilità di utilizzo, il basso rinculo dell’arma, l’eliminazione dei rischio per l’operatore che deve procedere all’abbattimento della porta e quindi, di conseguenza, la riduzione delle lesioni al personale e minimizzazione dei danni collaterali. www.rafael.co.il
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CAT OS Line per Glock Si tratta di un innovativo dispositivo laser di puntamento interamente realizzato in polimero, che viene applicato alla pistola Glock con un assemblaggio semi-permanente. Questo viene realizzato con quattro semplici operazioni avendo cura di seguire attentamente le istruzioni di installazione. L’unità laser ad alta potenza (in condizioni ottimali visibile sino ad 800 yards) utilizza una batteria standard al litio da 3,0 volt modello 2032, che può essere facilmente reperibile in qualsiasi negozio di elettronica o hardware. Il dispositivo è completamente regolabile in deriva ed alzo ed è testato a resistere alle cadute accidentali. Il basso profilo ed il posizionamento nella parte posteriore del carrello permettono di poter trasportare l’arma in qualsiasi tipo di fondina; il sistema di accensione è ambidestro. DATI TECNICI • Potenza di uscita: 5,5 mW • Lunghezza d’onda: 635 a 650 nm • Dispersione: circa 1 pollice (2,54 cm) a 99 yards (90 mt) • Range: 800 yards ( 730 mt) • Batterie: 1 Lithium 3 V (2032) - 160 minuti di utilizzo continuo • Disponibile per: Glock: tutti i modelli • Prezzo al pubblico: $164,99 www.catsrl.com.ar
FAB DEFENSE... vince per la qualità dei suoi prodotti Per 45 anni la FAB DEFENSE ha lavorato a stretto contatto con le forze speciali israeliane, grazie a questa stretta collaborazione, l’azienda Israeliana è riuscita negli anni ha consolidare il proprio marchio creando sempre eccelenti prodotti per uso professionale. In Italia i prodotti della FAB DEFENSE sono importati e distribuiti dalla TFC una storica azienda Italiana sempre in grado misurare il valore dei prodotti che distribuisce attraverso la costante soddisfazione di tutti i suoi clienti perche’ e’ solo simbolo di qualita’... nel passato, nel presente e nel futuro. www.tfc.it CALCIO ANTI-RINCULO M4 • Costruito in polimero speciale ad alta resistenza • Sistema di ammortizzazione antirinculo • Collassabile con sistema brevettato privo di giochi e rumori • Calciolo in gomma speciale adatto a qualsiasi Vest
CALCIO ANTI-RINCULO POGGIAGUANCIA M4 • Costruito in polimero speciale ad alta resistenza • Sistema di ammortizzazione antirinculo • Collassabile con sistema brevettato privo di giochi e rumori • Calciolo in gomma speciale adatto a qualsiasi Vest • Poggia-guancia regolabile
CALCIO M4 • Costruito in polimero speciale ad alta resistenza • Calciolo ribaltabile con vano porta-pile • Collassabile con sistema brevettato privo di giochi e rumori • Calciolo in gomma speciale adatto a qualsiasi Vest
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GHOST TACTICAL BOOTS Il nuovo Scarponcino Tattico di Ghost è nato da anni di esperienza nel settore del Law Enforment e del Tiro Sportivo e dopo una lunga ricercastudio dei materiali più tecnici e resistenti disponibili. E’ completamente impermeabile! Il design anatomico garantisce un confort in tutte le situazioni sia per l’operatore di Polizia Urban sia per il tiratore che deve affrontare i campi di tiro. Il G.T.B è molto flessibile e leggero appropriato per un utilizzo quotidiano prolungato senza creare problemi al piede, la suola studiata specifica sull’anatomia del piede evita dopo l’uso prolungato ‘indesiderato mal di schiena. Il G.T.B è completamente prodotto e assemblato in Italia con materiali certificati. www.ghostinternational.com
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ICV, Integrated Combat Vest Sviluppato su specifiche e in collaborazione con la seconda brigata mobile dei carabinieri e’ compatibile con i pannelli balistici in dotazione al comando generale dell’arma Modello Sg1. Struttura principale in cordura 1000D, fodera interna in rete tridimensionale traspirante. L’ICV può essere fornito di kit balistico IIIA secondo normativa N.I.J. con tecnologia balistica G25(100% Goldflex). Sistema di ancoraggio B.C.M. compatibile con sistema MOLLE su tutta la superficie. Tasca frontale e dorsale per il trasporto di piastre classe III, IV. N.I.J. Sistema di regolazione su spalle e fianchi. Anelli frontali per l’ancoraggio di una piastra pelvica. Maniglia di estrazione d’orsale. www.specialequipment.eu
La prima ed unica Flashbang realmente Less Lethal al mondo! Il dispositivo Baffled Advantage Device (BAD®) è una rivoluzione nel mercato mondiale del Law Enforcement ed è stato brevettato, dopo anni di studi e sviluppi, da CenturioGroup®, produttore leader a livello mondiale di Tactical Assault Strobe Light. Negli ultimi anni, le unità tattiche di intervento di tutto il mondo hanno utilizzato un notevole numero di flashbangs in diverse situazioni, riportando in alcuni casi l’accidentale ferimento del sospetto o del personale operante. Qual è lo scopo di utilizzare in un intervento una granata accecante/assordante? E’ unicamente quello di confondere e disorientare il sospetto e di utilizzare il momento di shock indotto per procedere alla sua neutralizzazione e cattura. L’uso del BAD® potrà essere utile per eliminare tutte le lesioni che potrebbero verificarsi in seguito all’utilizzo delle flashbangs tradizionali, che contengono anche una piccola quantità di esplosivo. Ma soprattutto essere utilizzate in locali o appartamenti dove possono essere stoccati materiali sensibili o pericolosi e per sedare disordini all’interno di istituti di detenzione. Caratteristiche del prodotto • il dispositivo produce luce stroboscopica attraverso 18 LED della Cree, ognuno della potenza di 140 lumen (in totale circa. 2.529 lumen) ed emette un suono assordante attraverso uno speaker con una potenza di ca. 135 ~ 175dB, con possibilità di due livelli sonori • il tubo contenitore è in alluminio aeronautico (6061-T6) • diametro tubo: 55mm • la lunghezza: 120mm • un anello di gomma avvolge il corpo metallico ed ingloba i led • l’alimentazione è fornita da 2 batterie al litio RCR123A • impermeabilità garantita fino a 1 metro www.centuriogroup.com
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EXECUTIVE SECURITY & INVESTIGATIONS MANAGEMENT supporto MEDEVAC • servizi di accompagnamento ed assistenza VIP e Diplomatici • IT - cyber security e protezione dei dati • Studio, progettazione e installazione di sistemi di sicurezza e videosorveglianza. • sicurezza a tutela di marchi e brevetti • servizi a tutela della privacy • assistenza executive (servizi & logistica) • analisi, valutazione, e gestione dei rischi • business intelligence • sicurezza aziendale & business continuity • sicurezza familiare • servizi tecnici ausiliari di P.G. • corsi professionali di formazione sulla sicurezza e procedure operative per operatori, enti ed istituzioni • sicurezza elettronica • bonifiche ambientali ESIM, oltre alle licenze governative per l’attività investigativa, è in possesso di codice NATO (NCAGE) essendo registrata ESIM Executive Security & Investigation Management, è nel CCR (Central Contractor Registration USA) e al una dinamica società che fornisce servizi investigativi in Ministero della Difesa Italiano come fornitore di servizi e ambito civile e penale, servizi, consulenze e soluzioni di prodotti per il Governo degli Stati Uniti d’America e delle sicurezza in ambito nazionale ed internazionale e corsi di Amministrazioni della Difesa dei Paesi della NATO - OTAN. formazione aggiornamento professionale per operatori. ESIM è in grado di svolgere incarichi nel mondo, grazie alla ESIM nasce da una esperienza ventennale in ambito partnership con H3 High Security Solutions, LLC. (USA), internazionale nei settori della sicurezza, intelligence e che ESIM rappresenta in via esclusiva in Italia, Spagna training dei suoi soci fondatori Gianluca Sciorilli e Carlo ed America Latina. H3 High Security Solutions LLC. ha la Ponzo. La missione di ESIM è quella di fornire ai propri sua sede centrale a Los Angeles CA, (USA).con uffici di clienti una gamma completa di servizi, soluzioni e prodotti supporto in Italia, Spagna, Inghilterra, Polonia, Taiwan, Cile, al vertice della qualità al fine di rispondere con la massima Brasile, Germania, Svizzera, Emirati Arabi Uniti, Portogallo, professionalità, tempestività ed efficacia a qualsiasi esigenza Afghanistan, Canada, Australia, Singapore e Argentina, e di sicurezza. I servizi che ESIM è in grado di fornire sono i dispone di istruttori, operatori e specialisti provenienti dai più seguenti : prestigiosi dipartimenti federali USA, unità militari e di polizia sia USA che internazionali. H3 è una corporate che opera a • Investigazioni in ambito civile e penale (art. 134 e 222 360° nell’ambito della sicurezza fornendo prodotti e servizi a TULPS) governi, imprese e personaggi di spicco a livello mondiale. • consulenze sulla sicurezza, risk assessment e Per ulteriori informazioni si prega di visitare: GroupH3.com realizzazione di protocolli di sicurezza per aziende, sedi ESIM ed H3 operano in sintonia per il raggiungimento diplomatiche, impianti industriali e siti strategici (Italia ed degli obiettivi prefissati e mantenere un elevato livello di estero) professionalità. garantendo ai nostri clienti la massima • sicurezza dei trasporti navali aerei e terrestri qualità ed efficienza, in tutto il mondo . • consulenze e servizi di sicurezza in aree ad elevato rischio • servizi a supporto delle operazioni di peacekeeping e D: Come è nata l’idea di aprire una società che fornisce humanitarian relief investigazioni e sicurezza a 360° in Italia ed all’estero? • estrazione ed evacuazione da zone a rischio anche con R: L’idea è nata principalmente dall’esperienza e dal TNM ••• 016
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vissuto personale, che ci ha convinto del fatto che oggi anche in Italia stia finalmente crescendo la domanda e l’esigenza di sicurezza da parte della società civile. Nel termine “società civile” includo naturalmente i cittadini tutti, ma anche le aziende nazionali e multinazionali, i siti strategici, gli enti e gli impianti industriali primari. La delocalizzazione ed il mercato globale sono il motivo per il quale ESIM si propone anche per fornire i propri servizi anche all’estero, avendo risorse umane e competenze specifiche in grado di supportare e svolgere tali attività con assoluta efficacia. D: Ma ESIM è anche un Istituto di investigazioni oltre che una Security Consulting. Quanto e come l’attività investigativa può oggi giocare un ruolo nell’ambito della sicurezza? R: L’attività investigativa non è solo riconducibile alle infedeltà coniugali o alle scene del crimine. Il mondo è cambiato, e la raccolta di dati e informazioni sono alla base del concetto stesso di “Intelligence”. La raccolta ed analisi di informazioni sono sempre il punto di partenza su cui costruire qualsiasi servizio, strategia o attività inerente alla sicurezza. Per esempio: Quanto la “fuga di informazioni o dati sensibili” potrebbero costare ad una azienda o ad un ente sia in termini economici che di sicurezza? Nel nostro tempo la quantità di informazioni e la loro diffusione e’ velocissima (oserei dire istantanea), e con un “click” puo’ raggiungere milioni di persone. Questo nel bene e nel male, pertanto l’attività investigativa e informativa è essenziale ai fini della sicurezza . D: In che modo ESIM svolge attività di consulenza e servizio anche all’estero? R: Le attività che noi proponiamo all’estero, sono molteplici e vengono svolte in collaborazione con H3 High Security Solutions USA, sempre in osservanza delle leggi vigenti nel Paese ove si opera e qualora previsto, con tutte le autorizzazioni del caso. Esse sono esclusivamente finalizzate alla sicurezza dei beni, delle strutture e del personale del committente, (indipendentemente dal fatto che si tratti di aziende, ONG o governi) ,sia per quanto concerne le attività di consulenza, pianificazione e progettazione, che per le attività di servizio. Questo esclude in partenza qualsiasi “cattivo pensiero “ e riferimento ad attività di tipo “bellico” o “paramilitare”, che noi non svolgiamo in quanto contrarie al nostro codice etico. D: Per quanto riguarda la sicurezza in Italia come vi proponete? R: ESIM si propone come una società in grado di fornire sicurezza a 360°, mettendo a disposizione dei suoi clienti il know-how di cui dispone, per fornire consulenze, soluzioni, training e servizi ai massimi livelli. Grazie a tanti anni di lavoro e studio, alla ottima reputazione, ed a importanti contatti a livello internazionale, abbiamo costruito un network che, in ciascun settore, vanta operatori, tecnici e consulenti altamente specializzati, n grado di soddisfare qualsiasi esigenza inerente alla sicurezza con la massima professionalità e competenza.
D: Quanto rappresenta la tecnologia per ESIM? R: Questi sono tempi dove la tecnologia oltre a rappresentare un grande vantaggio ed una grande opportunità nasconde anche molte minacce per la sicurezza, per questo abbiamo costituito tre divisioni altamente specializzate. La prima è dedicata alla IT Cyber Security, la seconda è dedicata alle tecnologie di sicurezza e videosorveglianza, e la terza ai servizi tecnici ausiliari a supporto delle indagini di Polizia Giudiziaria. Le prime due divisioni sono fortemente improntate alla sicurezza di grandi aziende, sedi diplomatiche e siti strategici. Per arrivare a questo punto abbiamo lavorato molto duramente, ma ne è valsa la pena. D: Riguardo la sicurezza VIP cosa propone ESIM? R: Per quanto riguarda la sicurezza Executive o VIP, disponiamo di operatori, assistenti, interpreti, autisti e collaboratori da noi selezionati e formati, per garantire con la massima discrezione e riservatezza, un servizio efficace e sempre adeguato alle aspettative ed al livello dei nostri clienti. Anche in questo caso siamo in grado di fornire i nostri servizi anche in ambito internazionale. D: ESIM è nota anche per le attività di formazione e training visto che Gianluca Sciorilli, è un suo fondatore… R: Sì, effettivamente la mia esperienza di istruttore di tiro tattico, sicurezza e procedure operative, è stata trasferita completamente in ESIM H3 Italy. Il training è una delle attività che svolgiamo sempre con il massimo impegno, forti di una didattica collaudata e sempre aggiornata, anche grazie alla partnership ed alle attività congiunte svolte con H3 High Security Solutions, che in 20 anni ha fatto training ad oltre 2500 tra agenzie federali, unità militari e di polizia negli USA e nel mondo. D: Cosa vi auspicate per il futuro della sicurezza privata in Italia? R: Francamente riteniamo e ci auspichiamo che nel “villaggio globale” (che piaccia o meno) i privati e le istituzioni debbano e possano sempre di più lavorare ed operare in sinergia, talvolta su fronti distinti ma sempre nell’interesse comune, poiché pensiamo che le dinamiche macroeconomiche attuali e le conseguenti grandi mutazioni a livello geopolitico, superino i vetusti concetti della Pubblica Amministrazione, che separavano con una linea netta tutto cio’ che era “civile” o “statale / militare” persone comprese. Lo Stato siamo tutti noi, e chiunque contribuisca al suo mantenimento ed al suo sviluppo con onestà e spirito di abnegazione è parte di esso, e quindi il concetto stesso di statalismo, che accentra tutto in modo entropico all’interno di organismi istituzionali è largamente superato. Sarebbe auspicabile sia in termini economici che pratici, che anche in Italia, come negli USA o UK, lo Stato ed i suoi organismi possano avvalersi delle esperienze e di risorse umane esterne. Sembra che lentamente questa “nuova” concezione stia finalmente arrivando anche da noi, ma purtroppo gli ostacoli da superare sono ancora molti. Diciamo che qualcosa è stato fatto ma tuttavia in modo troppo blando e poco deciso. Sarebbe opportuna una vera riforma del TULPS, che vada a rimuovere e sostituire le norme vecchie di un secolo, che in Italia ancora impediscono un corretto e coerente sviluppo del comparto sicurezza, per potere pienamente rispondere alla domanda di sicurezza interna e competere sul mercato globale del terzo millennio. TNM ••• 017
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Di CARLO BIFFANI - foto giuseppe lami
Distanze Ho preso spunto dalla pagina che TNM dedica alle Medaglie d’oro, ai nostri Caduti nelle missioni all’estero, per sviluppare una riflessione sul tema dell’ipocrisia e della riluttanza che il nostro Paese e la nostra opinione pubblica, hanno nei confronti del mestiere delle armi e dei motivi che spingono migliaia di giovani a dedicarsi con entusiasmo a questo lavoro. In primis salta all’occhio la distanza che separa chi opera sul campo, ogni giorno, da chi dovrebbe appoggiare, sostenere e condividere, il suo lavoro. La prima cosa che salta agli occhi è, secondo il mio parere, la differenziazione che viene fatta, fra loro, ovvero i nostri uomini e donne in uniforme, e gli altri. Quasi che a voler portare la divisa fossero uomini e donne provenienti da un altro pianeta. Come se la scelta di mettersi alla prova in una professione così complessa e piena di privazioni, li facesse apparire agli occhi dei più, come curiosamente diversi, incasellati troppo spesso in un giudizio sospeso fra la meraviglia ed il biasimo. Le drammatiche vicende che determinano la morte di un soldato, come l’ultima in ordine cronologico, ovvero quella del nostro Matteo Miotto e gli TNM ••• 018
sviluppi conseguenti riguardanti la successione degli eventi che l’avrebbero generata, impongono a mio avviso una riflessione profonda sul nostro modo di intendere la verità, sul mestiere delle armi, sul senso dell’impegno e del dovere e su quello dell’onore. Già, il tanto vituperato mestiere del soldato. Non so certamente dire che cosa abbia spinto il nostro Matteo a scegliere la divisa ma, ammesso che possa interessare, posso raccontare cosa ha spinto me verso la strada che percorro tuttora e che è, passatemela, simile a quella di tanti altri uomini e donne di ieri e di oggi. Ricordo perfettamente quando è stato. Avevo ancora 17 anni, era il 16 marzo 1978. Del giorno del rapimento del Presidente della DC, ho un ricordo netto, indelebile. Nelle centinaia di immagini riguardanti l’azione delle BR, documentari, servizi dei telegiornali, reportage, una mi colpi con la forza di un maglio, ed ha avuto la capacità di accompagnarmi in tutti questi anni divenendo sia un lascito da parte dell’involontario protagonista, sia un semino capace di far germogliare la pianta, l’albero adulto nel quale mi sono trasformato. Questa la scena che porto sempre con me: Uno
HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT HOT POINT Una colonna di lince del Reggimento Lagunari Serenissima mentre pattuglia una zona contigua alla Ring Road nei pressi di Farah. Durante le pattuglie ed i trasferimenti le procedure di sicurezza sono molto complesse ed applicate in modo quasi maniacale. ANSA/GIUSEPPE LAMI
degli agenti della scorta del presidente Moro sul lato destro dell’autovettura, ancora con gli sportelli aperti, sdraiato a terra a braccia aperte come un Cristo rinascimentale caduto dalla Croce, coperto da un telo bianco troppo piccolo per contenere le braccia allargate. Accanto al corpo, in un cerchio di gesso bianco, a delimitare lo spazio nel quale è caduto, un bossolo e poco distante dalla sua mano destra, la sua Beretta bifilare, segno distintivo di appartenenza ad una piccola elite (allora le nostre Forze dell’Ordine erano ancora dotate in larga maggioranza delle vecchie Beretta 34 in calibro 9 corto) l’unica delle armi del team di protezione del presidente Moro che abbia sparato un solo colpo quel giorno, appartenuta all’unico agente di scorta che è morto combattendo in quella giornata di quasi primavera. Ricordo di aver pensato: “ecco, se dovessi mai fare in futuro un mestiere di quel tipo e dovesse capitarmi qualcosa di tanto terribile, vorrei che andasse così. Vorrei poter avere la fortuna, la forza ed il coraggio di non restare seduto in macchina ma di giocarmela e se ineluttabilmente previsto, di cadere combattendo”. Questa, l’idea di cadere
combattendo, è l’essenza, a mio giudizio, del pensiero di chi svolge il mestiere delle armi. Ed in questo mondo che per certi aspetti va alla rovescia, neppure più ai “guerrieri” è dato l’onore di giocarsela. Si lascia tutto, si muore, in un attimo pieno di luce, di calore e polvere, per colpa di un gesto vigliacco che ti toglie anche la possibilità di reagire, di giocare a carte scoperte e vedere se in fondo puoi davvero provare a capire di che cosa sei fatto. Ho fatto quel lavoro e per certi versi continuo a farlo, anche se non più con l’uniforme addosso (ma sono convinto del fatto che la si porti soprattutto“dentro”) e credo che si rischi di mancare forse di rispetto ai Caduti , ammantandoli con la rapidità che ci è consueta ai tempi d’oggi, del titolo di Eroi. Certo che in un mondo privo dei vili, sarebbe data loro la possibilità di giocarsela e non di sparire in una nuvola di fumo e detriti che lascia solo dolore. Che poi, di questo ho la presunzione di potermi dire certo, è tutto quello che ci avrebbero chiesto i ragazzi che negli ultimi anni abbiamo accompagnato nei loro funerali solenni. Non credo però che avrebbero accettato di sentirsi chiamare Eroi, sono convinto del fatto che se potessimo chiederglielo, ci risponderebbero”ma io stavo solo facendo il mio lavoro, stavo solo compiendo una delle missioni che ogni giorni ci vengono assegnate e guardi che non ho fatto proprio nulla d’eccezionale”. Ricordo bene, a questo proposito, cosa mi raccontò mio padre su di un certo episodio che lo riguardava. Era da poco scoppiata la guerra e si trovava con altri suoi colleghi del 4° Stormo caccia, in Africa. Una mattina, dopo già numerose azioni, il suo comandante di Stormo, alla fine del briefing, gli chiese di rimanere. Quando tutti furono usciti, gli disse: ”Biffi, ti volevo comunicare che ti ho segnalato a Roma per la medaglia d’argento” e mio padre, di rimando: “Comandante, ma.. perché io. E gli altri?” Passano i decenni, ma credo che questo senso di appartenenza e di modestia, siano ancora la malta che lega gli uomini in divisa. L’idea che non ci sia troppo spazio per il se, che si considerino piuttosto come ordinarie, perché condivise, le azioni straordinarie che quotidianamente si svolgono, mi affascina e mi commuove. Ma veniamo all’aspetto ipocrisia, all’imbarazzo con il quale taluni, devono destreggiarsi all’indomani di ogni tragedia. E torniamo all’esempio del povero Matteo Miotto, tragedia questa, che seppur accaduta mesi or sono, racchiude in se tutte le caratteristiche più odiose di una gestione quantomeno discutibile dal punto di vista della TNM ••• 019
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Missione Multinazionale Isaf, colonna mezzi Lince e Dardo. ANSA/GIUSEPPE LAMI
comunicazione nel rincorrersi di versioni e di smentite che riescono a rendere se non grottesca, quanto meno inadeguata, l’immagine che ne vien fuori di alcuni dei coprotagonisti. Raccontare che un Soldato è morto mentre svolgeva il suo servizio di guardia, pur se in un contesto ed in un teatro complesso come quello afghano, colpito in maniera infame, da distanza considerevole da un cecchino, soggetto che per definizione non si palesa e spara da una posizione ed una distanza che non lasciano margini di difesa, è una cosa. Non raccontare che quel Soldato, è morto invece combattendo, in un’azione a fuoco, attività questa che nonostante si faccia di tutto per non associarla più alle peculiarità del Soldato, rappresenta la vera essenza del Mestiere delle Armi, è un’offesa al Caduto ed al Suo senso dell’Onore. Perché se per una ragione qualsiasi si preferisce dire che è caduto inerme, mentre vigilava sull’altrui sicurezza, anziché raccontare che è morto combattendo, sparando e forse infliggendo perdite al nemico, si è costretti ad ammettere che non si è lì solo per vaccinare bambini, costruire scuole, innalzare ponti, ma anche e soprattutto per combattere la barbarie, armi in pugno. Non riesco ad immaginare offesa più grande arrecabile al senso dell’Onore, vituperatissimo sentimento buono solo per definire qualcosa che appartiene ormai alla preistoria delle umane capacità, o relegato ad albergare nel cuore di pseudo- tifosi, non vi può essere offesa più grande dicevo, di quella che considera come qualcosa da nascondere, il fatto di morire combattendo. Il Paese sarà meno preoccupato se raccontiamo la favola bella di un ennesimo povero ragazzo che, pur non facendo male a nessuno, è stato falciato dal tiro TNM ••• 020
isolato di un “insorgente” altro fantastico neologismo creato per rendere più digeribile la definizione di nemico. Perché mi chiedo, se di questi ragazzi non dobbiamo neppure più sapere che sono pronti a combattere ed eventualmente morire per rendere onore all’impegno preso, con quale altra moneta pensiamo di ripagare il loro onere ed il loro sacrificio? Fateci caso: delle gesta delle nostre Forze Speciali che ogni giorno se le danno di santa ragione con i talebani, veniamo a sapere solo dal racconto di un generale americano, in un’intervista rilasciata mesi or sono a Davide Frattini del Corsera. Dei 40 minuti di scontro a fuoco sostenuto dal distaccamento di incursori del 9° Rgt, comandato dal compianto Capitano Romani, si sente dire solo in determinate stanze. Della morte di un nostro Soldato che stava combattendo contro i talebani, ci hanno raccontato che sarebbe accaduta, con modalità “politicamente corrette” e quindi accettabili dalla pubblica opinione. Solo di una tipologia d’attacchi si sa sempre tutto, ovvero di quelli subiti a causa degli IED, ordigni di circostanza che esplodono lungo la strada al passaggio di truppe inermi. “Noi ci stavamo muovendo da qui a li, e nonostante non fossimo una minaccia per nessuno siamo stati attaccati..” Se per descrivere la scomparsa di un Soldato, siamo giunti al punto di dover raccontare una mezza verità (per non dire, una tracotante bugia) perché allora, anziché chiedergli ancora di essere pronti a sacrificarsi per una cosa che non può più essere raccontata, non ce li riportiamo invece tutti a casa? Se l’opinione pubblica non deve sapere che lì siamo pronti a combattere e che lo stiamo facendo, cosa ci stiamo ancora a fare?
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RES GESTAE RES GESTAE RES GESTAE RES GESTAE RES GESTAE Data di nascita: Messina Data di decesso: 12 Novembre 2003 Età: 39 anni Causa: attentato terroristico Località: Nassiriya (Iraq) Grado: Maresciallo Capo Corpo. Carabinieri (Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche)
Alfio Ragazzi Il Ministero della Difesa, su proposta del Comandante del Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche, ha conferito al Maresciallo Capo Alfio Ragazzi la promozione straordinaria per benemerenze di istituto al grado di Maresciallo Aiutante Sostituto Ufficiale di P.S. con la seguente motivazione: “Maresciallo capo Alfio Ragazzi, effettivo al contingente multinazionale impiegato in missione umanitaria in Iraq dava prova di eccezionale senso del dovere, vivissimo attaccamento al servizio e all’istituzione. Lo stesso partecipava effettivamente e personalmente alle rilevanti operazioni di servizio condotte dalle forze armate italiane, contribuendo al loro compimento evidenziando in tal modo spiccate qualità professionali e militari. Nel corso di vile attentato terroristico rimaneva tragicamente ucciso immolando in tal modo la sua vita ai più sacri valori dell’amor di patria”
“Guardo il mare, tanto amato da Alfio”… il mare dell’infanzia del suo uomo che non è tornato. “Io amo profondamente la mia Sicilia, come amo tutto il mio Paese. Il mare per me e i miei figli significa molto: memoria, distensione anche nella pena, significa recuperare il passato. Nassiriya è laggiù, oltre quei mari, oltre quella linea dell’orizzonte”. Tiziana Montalto vedova del carabiniere
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Di Livio nobile
Il Kriss “Vector” o Super V, il cui nome deriva dalla celebre daga indonesiana,da alcuni anni è diventato il prodotto di punta dell’industria statunitense T.D.I. (Trasformational Defense Industries).La progettazione di quest’arma totalmente innovativa nasce dalla necessità di ottenere una pistola mitragliatrice con una formidabile precisione anche in Full-Auto ed un elevato potere d’arresto (garantito dal potente munizionamento .45 ACP) in una piattaforma d’arma che consenta spazi di ingombro ridottissimi ed una semplicità strutturale tale da renderla affidabile e facile da smontare, anche senza l’ausilio di attrezzi. Ciò che rende veramente unico il Kriss è che rispetto a SMG di progettazione classica,la reazione allo sparo riesce ad essere talmente gestibile da renderne possibile, in caso di necessità, l’utilizzo anche con una mano sola, mantenendo comunque una precisione invidiabile per un arma con cadenza di fuoco superiore ai 900 colpi al minuto. Il nome “Vector” non è casuale, infatti è proprio grazie allo studio delle forze vettoriali al momento dello sparo, che gli ingegneri della T.D.I. misero a punto il K.S.V.S. (Kriss Super V System) che basa la sua efficacia su due punti in particolare. Uno riguarda la posizione della canna che risulta spostata piu in basso rispetto alle armi convenzionali così che la
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ARMI MILITARI ARMI MILITARI ARMI MILITARI ARMI MILITARI
Kriss Vector
SMG (ONLY MILITARY )
Calibro
.45ACP
Funzionamento
ritardo di apertura/spara ad otturatore chiuso
Peso a vuoto
2,18 kg
Lunghezza
406/635 mm (calcio collassabile)
Lunghezza canna
5,5”
Alimentazione
caricatori Glock da 13 o 30 colpi
Note
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spalla e la mano forte del tiratore si trovino in linea con la canna stessa. L’altro riguarda il gruppo otturatore, davvero unico nel suo genere, infatti a differenza degli altri sistemi d’arma in cui l’otturatore arretra in linea retta dirigendo le forze del rinculo verso la spalla, nel Kriss invece queste forze sono in gran parte portate verso il basso. La deviazione di tali forze è garantita dall’aggiunta di un peso che scorre all’interno dell’alloggiamento polimerico davanti all’impugnatura. L’otturatore è agganciato a questo blocco scorrevole mediante una guida ad angolo scorrevole ricavata nel peso stesso. Al momento dello sparo il ritardo di apertura (necessario per le pressioni sviluppate dal .45 ACP) è dato dallo scorrimento,inizialmente rallentato, dell’otturatore nella guida, che successivamente continuando ad arretrare porta il peso verso il basso lungo l’asta guida molla inclinata di circa 75° rispetto all’asse della canna.La combinazione di queste due innovazione nel KSVS porta ad una riduzione del rinculo percepito dal tiratore del 60% ed una diminuzione del rilevamento dell’arma pari al 95%. Una volta completato il ciclo la molla di ritorno riporta il peso in alto e l’otturatore in chiusura. Osservando poi la piattaforma nel suo complesso si nota la presenza di due diversi selettori. Il primo è il comando di sicura (SAFE/ FIRE) comodamente azionabile col pollice della mano forte del tiratore, mentre il secondo è il selettore di fuoco che presenta tre diverse posizioni : colpo singolo ; raffica di due colpi ; full-auto.La maniglia d’armamento è situata sul lato sinistro dell’arma per permetterne l’azionamento senza allontanare la mano forte dai comandi di scatto .Un ultimo dettaglio progettuale degno di nota è costituito dalla possibilità di utilizzare sull’arma i caricatori standard da tredici colpi della Glock 21 (o quelli maggiorati da trenta). Essendo le Glock molto diffuse nei corpi di polizia e nel Law Enforcement, la possibilità di avere completa intercambiabilità dei caricatori con la pistola d’ordinanza potrebbe costituire un punto di forza davvero importante per un utilizzo pratico dell’arma. L’insieme di tutte queste caratteristiche unite ad un ottima modularità rendono il Kriss Super V una pistola-mitragliatrice davvero innovativa e molto interessante per un impiego in teatri operativi tipo “Close Quartier Combact”. Negli USA Il Vector è venduto anche in 3 configurazioni per il mercato civile nella tabella i dati principali della piattaforma militare e confrontata con le tre pensate per il pubblico :
TARI ARMI MILITARI ARMI MILITARI ARMI MILITARI ARMI MILITARI A
Le seguenti munizioni sono state testate e garantite dalla KRISS Firearms durante severi test effettuati sul KRISS VECTOR • Federal American Eagle .45 ACP, 230gr. FMJ • Federal BallistiClean .45 Auto, 165 gr, Close Quarters Training • Fiocchi, 45 AUTO, 230GRS. FMJ • Remington .45 ACP, 230gr. FMJ • Remington .45 ACP, 230gr. Golden Saber HPJ • Speer Lawman 45 Auto, 230 gr TMJ • US Government MILSPEC .45 ACP, 230gr. FMJ (Olin Corp) • Winchester Ranger 45 Automatic, 230 gr SXT
Kriss Vector
CRB/SO (Carbine/Special Operation)
SBR/SO (Short Barrel Rifle/ SO)
SDP (Special Duty Pistol)
Calibro
.45ACP / 9 Parabellum / .40 S&W
.45ACP / 9 Parabellum / .40 S&W
.45ACP / 9 Parabellum / .40 S&W
Funzionamento
ritardo di apertura
ritardo di apertura
ritardo di apertura
spara ad otturatore chiuso
spara ad otturatore chiuso
spara ad otturatore chiuso
Peso a vuoto
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5,5”
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Lunghezza canna Alimentazione Note
16” Solo semiautomatica
Solo semiautomatica
Solo semiautomatica/senza calcio
Si ringrazia particolarmente Christophe Guignard, sales e marketing manager della KRISS Firearms, per la gentile disponibilità dimostrata alla redazione di TNM e per le immagini gentilmente forniteci. TNM ••• 027
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NUoVa PiattaFoRma aDDestRatiVa PRo-taRGet RaNGe
Via Valsesia, 12 - 00141 - Rome - italy Tel. +39 6 8100568 - Fax +39 6 8104712 - www.delcon-poligoni.com - Cod. NATO: A8681 TNM ••• 029
Dangerous Zone Dangerous Zone Dangerous Zone Dange Di carlo biffani
Dangerous
Zone Affrontiamo in questo numero, le questioni relative al rischio connesso alla presenza in aree di crisi di cittadini italiani e lo facciamo partendo da un dato. Mentre preparo il nuovo approfondimento per TNM, sono ancora nelle mani dei loro rapitori, undici nostri connazionali in Somalia, una nostra concittadina in Algeria ed uno in Nigeria. La storia recente ci ha poi raccontato frequentemente di episodi riguardanti alcuni nostri giornalisti, operatori umanitari e semplici turisti, finiti nelle mani di gruppi criminali o terroristici per periodi più o meno lunghi e liberati solo dopo il pagamento di cospicui riscatti. Accantonando in questa circostanza la vicenda dei nostri marittimi catturati dai pirati somali, problematica più volte affrontata sulle pagine della nostra rivista, vorrei questa volta concentrarmi sull’aspetto riguardante il rischio rapimento riferito al personale
TNM ••• 030
cooperante ed ai turisti che, ovviamente per motivi diversi, possono incorrere in questo problema. Lo faccio perché desidero proporre alcune considerazioni che potrebbero essere di qualche utilità sia a chi si deve occupare di prevenzione in termini di attività statuale, sia per chi invece deve occuparsene in termini di iniziativa privata. Alla base della contrazione del rischio rapimento, vi è la necessità di massimizzare l’aspetto informativo, procedurale e di security applicata, ed è per questo che, girando il mondo, ho frequentemente visto procedere a braccetto le organizzazioni non governative o le grandi agenzie di stampa e le più affermate Private Security Company. Un differente approccio culturale, unito alla efficienza ed alle capacità di molte delle PSC che operano in teatri di crisi, ha fatto si che negli anni si sia andata sempre
Dangerous Zone Dangerous Zone Dangerous Zone Dangerous Z Attentato a un convoglio della stampa nel pieno centro di Bagdad
ONG e sicurezza. Proposte per il contenimento del rischio
più affermando la sinergia fra queste due componenti dello scenario internazionale, ognuna delle quali necessaria ed insostituibile. Per quello che riguarda il nostro paese, siamo ancora gli albori in termini di collaborazione fra ONG, grandi agenzie turistiche, media e società di security, ma confido nel fatto che il continuo impiego in scenari internazionali da parte delle realtà nazionali appena citate, possa un poco alla volta, favorire lo sviluppo di una politica della sicurezza scevra da ipocrisie e pregiudizi. Nel frattempo, mi sono divertito ad immaginare una serie di passaggi la cui realizzazione, potrebbe ritengo, gettare davvero le basi di una nuova politica della sicurezza per ONG, turisti e giornalisti e conseguentemente aprire, nel nostro paese, nuove possibilità di impiego per il comparto della sicurezza privata.
Occorrerebbe verificare la effettiva formazione, sulla base di standard qualitativi certificati, dei componenti, responsabili e volontari delle ONG che operano nelle principali aree di crisi. La formazione potrebbe essere garantita in parte attraverso l’autofinanziamento, in parte attraverso il contributo pubblico. Nel Regno Unito, ad esempio, la mancanza di questa “certificazione di qualità” rispetto alla formazione in materia di rischi e sicurezza implica la immediata esclusione dal finanziamento attraverso i fondi della cooperazione allo sviluppo. Nel caso di operazioni di aiuto allo sviluppo, volontariato, assistenza e/o emergenza umanitaria in aree esposte a rischi particolarmente gravi, sarebbe il caso di imporre l’obbligo di supporto da parte di un servizio di sicurezza specializzato, ovvero di società che svolgono correntemente tale servizio; come avviene già per molte altre nazioni occidentali. Sarebbe necessario sviluppare al meglio la collaborazione tra strutture di assistenza/ volontariato e quelle diplomatiche e consolari, attraverso un doppio canale di informazioni, oggi quasi inesistente. Da parte delle Ambasciate, un’attività, forse, meno burocratica di acquisizione di informazioni sulle crisi effettive ed emergenti nel Paese ove operano, e da parte delle ONG, un’attività di reporting costante ai funzionari d’Ambasciata sulle effettive emergenze riscontrate sul territorio. Sarebbe auspicabile sensibilizzare la presenza di autorità ufficiali (personale diplomatico) nelle riunioni di coordinamento periodicamente organizzate dalle strutture internazionali (PAM, ONU, FAO, WFP). Molte ONG disertano i cosiddetti “security briefing” che obbligatoriamente le strutture dell’ONU devono indire e coordinare sul territorio. Sarebbe auspicabile che vi fosse maggiore circolazione delle informazioni assunte in queste occasioni dai rappresentanti delle ONG verso le ambasciate e che a tale attività di reporting, tali soggetti fossero in qualche misura ”obbligati”. Personalmente ho partecipato, in particolar modo in una esperienza in Sudan Darfur, a numerose di queste riunioni e ritengo che la partecipazione di personale diplomatico o di loro incaricati, avrebbe potuto portare linfa vitale alla circolazione di informazioni riguardanti lo stato della sicurezza nel paese e le minacce esistenti. Se le ONG TNM ••• 031
Dangerous Zone Dangerous Zone Dangerous Zone Dange Giornalisti della Fox News e del New York Times (Afghanistan 2009)
fossero dotate di una struttura di security consolidata, il personale incaricato di tale compito avrebbe come priorità quella di essere presente a queste riunioni, evitando che vi partecipino soggetti che, pur se mossi da grande spirito di collaborazione ed impegno, potrebbero per formazione professionale e per incapacità, non avere le caratteristiche adatte a cogliere ogni aspetto o sfumatura di quanto viene esposto. Il sottoscritto ha visto frequentemente partecipare ad alcuni di questi incontri, infermieri, piuttosto che responsabili della logistica che, distratti dal loro incarico, vi prendevano parte senza che avessero la sensibilità professionale necessaria a raccogliere tutti i dati e le informazioni utili. Ovvio che tutte queste considerazioni debbano essere però inquadrate in un progetto di riforma organica della cooperazione italiana allo sviluppo, e del comparto sicurezza privata categoria quest’ultima che vive ancora in una sorta di limbo, dal quale sembra stenti a decollare esprimendo tutte le potenzialità di cui è certamente capace. TNM ••• 032
Turisti e sicurezza. Una contraddizione in termini? Troppo spesso negli ultimi 10 anni si è assistito al fenomeno di rapimenti subiti da parte di avventurosi turisti amanti di paesi e paesaggi da brivido come nel caso dello Yemen, dell’Africa del nord o di quella sub sahariana. Ritengo che con pochi ma essenziali accorgimenti, sarebbe possibile ridurre questo rischio ed aprire alla possibilità di impiego delle PSC nazionali, con indubbi vantaggi sia per il turismo, che per l’industria della sicurezza privata, oltre che per il nostro governo, che non si troverebbe periodicamente a dover gestire crisi delicatissime generate dall’ignoranza, dall’incuria e dalla superficialità. Tanto per iniziare ritengo sarebbe necessario che il nostro governo implementasse la qualità e la diffusione delle informazioni contenute nel sito viaggiaresicuri.it Il sito ha attualmente pochi contatti rispetto al tema ed alle informazioni che è in grado di proporre, informazioni per altro non sempre aggiornate e non direttamente fruibili. Occorrerebbe diffonderne la conoscenza attraverso una campagna di sensibilizzazione
Dangerous Zone Dangerous Zone Dangerous Zone Dangerous Z Spesso i giornalisti o i membri delle ONG vengono scortate dalla Private Security Company
ad hoc e basterebbero pochi accorgimenti tecnici; fra tutti, correggere il fatto che il sito non possa essere linkato dalle pagine, ad esempio, dei tour operator o delle stesse società di security o di gestione del rischio, che hanno vocazione internazionale. I tour operator dovrebbero poi garantire una formazione seria al personale impiegato in loco, basata sui principi base di tipo paramedico, tattico e sulla sicurezza. I tour operator dovrebbero poi dotarsi di strumenti per la localizzazione satellitare per le comunicazioni sicure ed apprenderne in maniera professionale il loro utilizzo. In caso di sequestro o minaccia, qualsiasi anomalia nei protocolli stabiliti per la localizzazione satellitare e per la trasmissione della propria posizione può rappresentare già un segnale di pericolo; tale procedura consentirebbe di guadagnare tempo, conoscere la zona nella quale si potrebbe essere verificato il problema individuandone con anticipo i responsabili territoriali, e di risparmiare denaro. Tali dotazioni ed addestramento dovrebbero essere necessarie per ottenere la licenza commerciale. Sono certo che noterete quali e quante possibilità di impiego e di sinergia si proporrebbero per le realtà che si occupano di sicurezza, contenimento e gestione del rischio, società che troppo spesso non tengono conto dell’importanza e delle possibilità di sviluppo che deriverebbero anche solo da una maggiore espansione del comparto formativo. Ma andiamo avanti con le riflessioni ed i suggerimenti. Attualmente, la registrazione dei cittadini, dei gruppi turistici organizzati o degli operatori economici presso l’Ambasciata è solo un’opzione facoltativa. Essa andrebbe invece resa obbligatoria ed a carico dei tour operator. Tale semplice norma sarebbe una garanzia di tracciabilità di tutti i cittadini presenti in un determinato territorio. In molti casi di tentativo di sequestro o di disastri terroristici o
naturali, le nostre ambasciate, sono costrette ad un lavoro forsennato, per riuscire a comprendere chi vi sia e dove. Nell’esempio proposto invece, sapere con certezza quanti cittadini si trovano in una determinata area, consentirebbe di porre in essere più snelle, rapide ed adeguate procedure di evacuazione. In caso di sequestro di cittadini o di personale specializzato, alcuni fra ii governi occidentali hanno assunto una linea chiara: essi forniscono il know how ed il personale di negoziazione con i sequestratori, tramite le strutture di intelligence, ma richiedono il rimborso delle spese di logistica ed operative ai tour operator, in caso di palese negligenza o superficialità rispetto alle informazioni fornite dal Ministero degli Esteri. Il caso “border line” è quello britannico, nel quale la negligenza personale è addirittura sanzionata con il sequestro cautelativo dei beni personali e l’eventuale pignoramento per risarcimento alla collettività. Ecco perché molte strutture turistiche si dotano di polizza assicurativa internazionale, prassi già consolidata peraltro nel mondo delle grandi aziende multinazionali. Peraltro, la prassi del “rimborso” è già sviluppata in altri contesti ad elevato rischio, basti ricordare il caso degli escursionisti dispersi qualche anno fa sul K2 e messi in salvo dalla nostra Protezione Civile, che ha poi ottenuto il rimborso delle spese sostenute. In conclusione, ritengo che lo svilupparsi di una discussione in merito a regole, standard e procedure atte a circoscrivere il rischio per chi si reca per svago o per lavoro in aree di crisi, possa servire a far si che si creino oltre che i presupposti di una maggiore sicurezza per i nostri concittadini, anche nuove possibilità di impiego per le società di security che sapranno evolversi e rendere il ventaglio delle loro possibilità di impiego, più adeguato rispetto alle esigenze correnti. TNM ••• 033
AL DECALO GO
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REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO R
Di Vincenzo Cotroneo
Regola nr.4
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DIVIETO
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SOLD ATO
DI ATTACCARE CHI SI ARRENDE; OBBLIGO DI DISARMO E DI CONSEGNA Nel corso di un conflitto armato internazionale i combattenti nemici che si arrendono hanno diritto allo status di Prigioniero di Guerra. Viceversa, gli individui arrestati nel corso di un’operazione di pace vengono generalmente considerati detenuti. La ragione della distinzione sta nel fatto che quando si prende parte ad un’operazione di pace, non si è giuridicamente in una situazione di conflitto armato internazionale. Coloro che si arrendono, o che non costituiscono più una minaccia, devono essere protetti e trattati umanamente. La lotta senza quartiere è proibita. In altre parole, è vietato rifiutare l’accettazione della resa ovvero ordinare di non fare prigionieri o arresti. E’ anche vietato minacciare di non prendere prigionieri.
La perquisizione e disarmo Coloro che si sono arresi, devono essere trattati con cautela, fino a quando non sono stati disarmati e non costituiscono più una minaccia. Disarmare significa anche ricercare e sequestrare equipaggiamenti e documenti di valore militare (per esempio armi, munizioni, carte, ordini, codici, bussole, binocoli etc.).
Le intenzioni di resa
Devono invece essere lasciati ai prigionieri: • documenti d’identificazione; • vestiario, oggetti di uso personale o necessari per l’alimentazione; • oggetti per la protezione personale (elmetti, maschere antigas, giubbotti antiproiettili, etc.).
Chiunque intenda arrendersi deve manifestare chiaramente l’intenzione di non combattere più (per esempio alzando le braccia, gettando le armi, inalberando una bandiera bianca o in altro modo idoneo). Mostrare una bandiera bianca non significa necessariamente manifestare l’intenzione di arrendersi e non riguarda necessariamente tutte le forze avversarie presenti nell’area: la bandiera bianca può anche significare che il nemico desidera temporaneamente e localmente cessare le ostilità per parlamentare.
L’evacuazione dei Prigionieri di Guerra e dei detenuti dev’essere organizzata ed avviata non appena la situazione tattica lo consente. In attesa della loro evacuazione essi devono essere protetti per quanto possibile dai danni del combattimento, non devono essere costretti a svolgere attività aventi caratteristiche o scopi militari, devono essere protetti da atti di violenza, insulti ed intimidazioni e godranno del diritto di ricevere le cure mediche necessarie.
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GIO REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO
REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO R
RIFERIMENTI NORMATIVI • IV Convenzione dell’Aja (1907) – Regolamento Art. 23. • III Convenzione di Ginevra (1949) - Art. 18. • I Prot. Add. Conv. di Ginevra (1977) – Artt. 40, 41, 44. • Legge italiana di guerra – Artt. 55, 67-73, 99-108. III Convenzione di Ginevra – Agosto 1949 ARTICOLO 12
Il dubbio Negli anni recenti, la natura dei conflitti armati e delle operazioni di pace è cambiata e non sempre coloro che si oppongono alle unità delle nostre forze armate indossano l’uniforme o fanno parte di un gruppo organizzato. Tuttavia anche in questi casi il trattamento delle persone detenute a qualsiasi titolo deve essere analogo a quello previsto per i prigionieri di guerra. Mezzi e metodi per la Sicurezza Dispositivi d’immobilizzazione come manette, ceppi, legacci, etc., potranno essere utilizzati di volta in volta, quando gli individui trattenuti possano costituire una minaccia immediata. Tali dispositivi devono essere rimossi non appena possibile, appena cessata la minaccia. In particolari circostanze, i prigionieri potranno essere bendati per motivi di sicurezza e solo per lo stretto tempo necessario. Il diritto dei conflitti armati ammette l’uso delle armi per impedire la fuga di un prigioniero di guerra. Nel caso dei detenuti invece l’uso delle armi per impedirne la fuga è possibile solo se è previsto dalle Regole d’Ingaggio. TNM ••• 036
I prigionieri di guerra sono in potere della Potenza nemica, ma non degli individui o dei corpi di truppa che li hanno catturati. Indipendentemente dalle responsabilità individuali che possono esistere, la Potenza detentrice è responsabile del trattamento loro applicato. I prigionieri di guerra possono essere trasferiti, dalla Potenza detentrice, soltanto ad una Potenza che è Parte della Convenzione e quando la Potenza detentrice si sia accertata che la Potenza di cui si tratta abbia la volontà e sia in grado di applicare la Convenzione. Nel caso in cui i prigionieri di guerra fossero, in tal modo trasferiti, la responsabilità della applicazione della Convenzione incomberà alla Potenza che ha accettato di accoglierli durante il tempo in cui le saranno affidati. Nondimeno, qualora questa Potenza mancasse ai suoi obblighi di eseguire le disposizioni della Convenzione su qualsiasi punto importante, la Potenza che ha preceduto al trasferimento dei prigionieri di guerra dovrà, in seguito a notifica da parte della Potenza protettrice, prendere misure efficaci per rimediare alla situazione, o chiedere che i prigionieri di guerra le siano rinviati. Questa richiesta dovrà essere accolta. ARTICOLO 13 I prigionieri di guerra devono essere trattati sempre con umanità. Ogni atto od omissione illecita da parte della Potenza detentrice, che provochi la morte o metta gravemente in pericolo la salute di un prigioniero di guerra in suo potere, è proibito e sarà considerato come un’infrazione grave alla presente Convenzione. In particolare, nessun prigioniero di guerra potrà essere sottoposto ad una mutilazione fisica o ad un esperimento medico o scientifico di qualsiasi natura, che non sia giustificato dalla cura medica del prigioniero interessato e che non sia nel suo interesse. I prigionieri di guerra devono parimenti essere sempre protetti specialmente contro gli atti di violenza o d’intimidazione, contro gli insulti e pubblica curiosità. Le misure di rappresaglia nei loro confronti sono proibite.
GIO REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO REGOLE D’INGAGGIO
REPORT FROM REPORT FROM REPORT FROM REPORT FROM RE
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OM REPORT FROM REPORT FROM REPORT FROM REPORT FROM REPOR
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Di GIANLUCA HERMAN - Foto marco maria d’ottavi
Anniversario Aviazione Esercito Roma, Martedi 10 maggio 2011 siamo invitati alla festa dei 60 anni dell’AVES; imbarco e decollo ore 9,00 presso Il Reggimento Lancieri di Montebello. Decolliamo in perfetto orario con un CH47, destinazione Viterbo, tempo ottimo, visibilità eccellente. Atterraggio all’AVES dopo 35 minuti di volo. Una grande storia di Uomini e Mezzi precede questa ricorrenza; eredi dei primi reparti Volo della Grande Guerra, si riorganizzano nel 1951, per assumere l’attuale composizione, in una nuova realtà dinamica e polifunzionale, con un livello standard di operatività certificato dalle innumerevoli missioni internazionali e il plauso della NATO. L’AVES ha partecipato a tutte le missioni internazionali dal dopoguerra ad oggi, subendo varie perdite umane, questo ha fatto si che gli uomini che la compongono, Specialisti e Piloti,
Fase di atterraggio CH47, presso l’AVES
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REPORT FROM REPORT FROM REPORT FROM REPORT FROM REPO
L’arrivo maestoso dell’NH90 pronto per un Fast Rope, con a bordo Operatori del 9° Reggimento
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REPORT FROM REPORT FROM REPORT FROM REPORT FROM REPORT F
formino una sinergia e una coesione tale da rappresentare a pieno titolo un un’eccellenza nel patrimonio della Forza Armata. A “ Sigillo di garanzia” , ospite della Festa il 9°Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin”.E’ da molto tempo che tra le due unità vige un grande rapporto Umano e Professionale. Alle ore 10,30 inizia lo schieramento dei Reparti in armi,formali e cadenzati. Assunzione del comando da parte del Comandante dello Schieramento; Onori agli Stendardi dei Reparti AVES. La ricorrenza quest’anno è particolarmente sentita per via dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, il particolare e unico stato emotivo viene esibito da tutti i partecipanti, ne è grande dimostrazione l’Inno d’Italia cantato con Orgoglio e Passione da tutti i Reparti schierati, eloquente esibizione di coesione tra gli uomini e le donne che compongono l’AVES. Aprono la Kermesse tre Aerei Dornier 228 del 28° Gruppo squadroni Tucano, con un volo radente, seguiti da due elicotteri A129 della Brigata Aeromobile “Friuli”, che creano una zona di sicurezza necessaria per lo svolgimento delle operazioni terrestri. Continua la Kermesse con l’arrivo maestoso dell’NH90 pronto per un Fast Rope, con a bordo Operatori del 9° Reggimento; il “canapone” è una tecnica utilizzata esclusivamente da reparti operativi o FS in zone di elevata pericolosità o poco accessibili, più gli operatori sono veloci nello scendere la fune e più si hanno possibilità di riuscita in un contesto operativo. Ancora per una volta abbiamo constato con rinnovata emozione, che il NONO non è secondo a nessuno.Il massimo grado di Operatività rende questo Gloriosa Unità dinnanzi il mondo intero un fulgido esempio da eguagliare come standard operativo. Le loro esibizioni sono sempre un evento… Pochi minuti dopo, sulla linea dell’orizzonte appaiono due NH90 che sganciano in poco tempo sul terreno una squadra mortai del 66° Reggimento “Trieste”, equipaggiati con mortai da 120 mm Thomson, il loro posizionamento è impeccabile, come la capacità offensiva dell’arma curva, precisa e potente, aviolanciabile ed elitrasportabile, armamento indispensabile ancora oggi per una moderna Unità Terrestre. La velocità di discesa del velivolo a pala rotante e la velocità nello schierare il pezzo,è impressionante, e il tutto si svolge con un perfetto e fluido meccanismo, questo denota un costante utilizzo dell’elicottero e un continuo addestramento da parte dell’Unità terrestre. Come già parlato in un precedente articolo, particolare attenzione va data all’AB412 MEDEVAC, mezzo sempre schierato e sempre al seguito di
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REPORT FROM REPORT FROM REPORT FROM REPORT FROM REPO
truppe in zone di combattimento. Questo tipo di supporto sanitario, indispensabile per un teatro operativo come l’Afghanistan viene denominato dalle procedure ISAF: Forward Aeromedical Evacuation, e l’AVES ha raggiunto con questo mezzo specifico uno standard di livello altissimo, grazie alla sua capacità di sfruttare risorse tecniche e umane disponibili nella Forza Armata. Il personale medico ha seguito vari corsi internazionali per ottenere questa denominazione NATO,ottenendo il massimo del punteggio. Molto coinvolgente è stao anche
A129 in arrivo per un Buddy Rescue, i piloti abbattuti segnalano all’equipaggio dell’A129 la loro posizione, predisponendosi per il recupero
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l’arrivo di un A129 per un Buddy Rescue; i piloti abbattuti segnalano all’equipaggio dell’A129 la loro posizione, predisponendosi per il recupero, a questo punto rimango un po’ basito nel vedere come un A129 possa trasportare due piloti… La tecnica è la seguente: i piloti a terra salgono rapidamente sulla gamba del carrello sedendosi sulla ruota, allacciano la loro imbragatura alla fusoliera e decollano a tutta velocità. Uno spettacolare passaggio in formazione tattica segna la conclusione della festa dell’AVES, dimostrando pienamente le loro capacità operative. Una cerimonia sentita da tutto il personale presente, coinvolgente per il numeroso pubblico presente anche il gonfalone della città di Viterbo era li a testimoniare l’affetto e la vicinanza della città agli uomini e donne dell’AVES. Merita una nota particolare il Team del 9º Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin”, la loro presenza genera sempre timore e rispetto.
REPORT FROM REPORT FROM REPORT FROM REPORT FROM REPORT F Il gonfalone della città di Viterbo era li a testimoniare l’affetto e la vicinanza della città agli uomini e donne dell’AVES
Alti ufficiali presenti al 60° anniversario dell’AVES
AB412 MEDEVAC, mezzo sempre schierato e sempre al seguito di truppe in zone di combattimento
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SUPER CATTIVI A CONFRONTO
Di Gianfilippo Ovidio e Palma Luigi
Da sempre lo shotgun è stato considerato una delle armi più terrificanti e devastanti su brevi distanze. Nell’immaginario collettivo, infatti, un fucile calibro 12 caricato a pallettoni è stato sempre associato all’idea di un’arma con la quale appena si preme il grilletto e si fa fuoco contro un corpo, brandelli di quel corpo schizzano via in un macabro turbinio, ed è per questo quindi che quando vediamo nei film il fatidico “fucile a pompa” non possiamo fare a meno di accorpargli potenza e cattiveria. Quando da ragazzini si giocava a fare la guerra o ci s’immedesimava nel poliziotto di turno visto nei telefilm, si fantasticava di avere uno scontro a fuoco e di possedere un fucile a pompa. Il nome shotgun, comunque, viene usato per classificare tutte quelle armi ad anima liscia che sono in grado di rilasciare un grande volume di fuoco su corte distanze, esse sono genericamente utilizzate nel comune ed efficace calibro 12. In questo articolo trattiamo in particolare quattro modelli diversi di shotgun, due a pompa e due semiautomatici, nel dettaglio: BENELLI NOVA TACTICAL, MAVERIK mod. 88, BENELLI M-1 SUPER 90 e BENELLI M-4, mettendo a confronto le loro caratteristiche di funzionamento. Iniziando con quelli con funzionamento a pompa, analizziamo subito i modelli: abbiamo a che fare con un BENELLI modello nova tactical cal. 12 capace di camerare anche munizionamento super magnum ed un MAVERIK modello 88 cal. 12 magnum.
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RE TEST FIRE TEST FIRE TEST FIRE TEST FIRE TEST FIRE TEST FIRE
BENELLI nova tactical Il BENELLI nova tactical viene concepito dalla casa di Urbino alla fine del 1990, ha calciatura e cassa in unico blocco monolitico, costruita completamente in tecnopolimero, è dotato di canna di cm 47 con brunitura fosfatata antiriflesso, ha un serbatoio tubolare standard che può contenere 4 cartucce cal. 12 e può montare una prolunga che porta la capacità a 6 cartucce cal. 12, 5 cartucce cal. 12 magnum e 5 cartucce cal. 12 super magnum. Possiede una meccanica con funzionamento a pompa molto fluido grazie alla sua lunga corsa che porta l’astina a sovrastare la cassa, è dotato di otturatore a testina rotante a due alette, classico del BENELLI SYSTEM per il ritardo di apertura. E’ un’arma che grazie alla sua struttura, completamente polimerica, è in grado di reggere e attutire le micidiali sollecitazioni delle cartucce calibro 12 super magnum. Il BENELLI nova tactical monta mire ghost-ring, è dotato di rail picatinny posto sulla cassa, in modo da permettere il montaggio di vari sistemi di puntamento ausiliari. Come tutti i fucili con funzionamento a pompa, il BENELLI nova, ha il classico pulsante di svincolo otturatore che permette di togliere la cartuccia dalla camera senza fare fuoco, ma come particolarità questo fucile ha anche il MAG-STOP, un altro pulsante che, se tenuto premuto in contemporanea con il pulsante di svincolo otturatore menzionato prima, permette di togliere la cartuccia in canna, evitando di ricamerare una nuova cartuccia dal serbatoio.
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MAVERIK modello 88 Il secondo shotgun in esame ha anch’esso il funzionamento a pompa, si tratta del MAVERIK modello 88, fabbricato dalla famosa casa statunitense MOSSBERG. Il MAVERIK è un fucile estremamente semplice e leggero, affidabile come pochi, proprio perché è costruito con pochi pezzi, scelto per l’appunto da molti distretti di polizia americani per la sua affidabilità e per il suo costo bassissimo. Analizzando la meccanica di questo “sputafuoco” si nota l’otturatore a testa piatta con estrattore laterale, l’astina è dotata di doppia lamina di armamento, innestata nell’otturatore, in modo tale da garantire un sicuro riarmamento anche in condizioni di eccessivo accumulo di residui carboniosi, facendo sì che le sollecitazioni dovute all’azione di riarmo siano distribuite in entrambi i lati dell’otturatore. Altra particolarità è data dalla leva di alimentazione che ha un profilo alleggerito che durante la fase di chiusura otturatore, resta in posizione sollevata, non costituendo nessun tipo di intralcio e permettendo così al tiratore di alimentare il serbatoio con estrema semplicità e velocità. Vicino al ponticello del grilletto, posto in una piccola feritoia ricavata sotto la cassa, si trova il pulsante a lamina che disimpegna l’otturatore in caso si voglia scaricare l’arma togliendo la cartuccia dalla camera di TNM ••• 46
scoppio senza fare fuoco e posto proprio lateralmente al detto ponticello ha sede la sicura manuale a cilindro, con la sua classica colorazione rossa, indicante l’arma pronta a fare fuoco. Il comportamento a fuoco del MAVERIK è violento e secco, dato il suo poco peso, ma sopportabile, data l’ottima angolazione del calcio di serie, che scarica bene il rinculo sulla spalla. Un calciolo in gomma, di serie, posto dietro al calcio, rende ancora più sopportabile l’intero processo di fuoco, anche se il modello su cui abbiamo effettuato le prove è dotato di calcio a pistola, montato per l’occasione, come si vede nelle foto. I materiali con cui è costruito il MAVERIK sono: polimero per quanto riguarda ponticello del grilletto, calcio e astina, ergal con anodizzazione nera per quanto riguarda la cassa ed acciaio per meccanica e canna. Quest’ultima è caratterizzata da una piacevole ed intensa brunitura. Il MAVERIK modello 88 è catalogato in Italia come arma per uso caccia, anche se si presta ottimamente per utilizzo di difesa abitativa. Per quest’utilizzo si consiglia di prendere la detta arma in esame con uno dei seguenti allestimenti: con serbatoio avente capacità di 5 cartucce e lunghezza canna di 47 cm oppure avente capacità di 6 cartucce e lunghezza canna di 50 cm. Altri allestimenti, più ingombranti nelle dimensioni, sono più consigliati per utilizzo venatorio.
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BENELLI M-1 Il terzo fucile che si inserisce nel confronto è un semiautomatico della casa BENELLI, il modello più venduto, stiamo parlando dell’ormai blasonato M-1 super 90, modello che va a ruba da anni anche tra i praticanti di sport venatori. Arma definita di geniale concezione per il suo sistema di recupero a blocco inerziale. Estremamente affidabile e robusto il BENELLI M-1 è costruito con massima cura anche nei particolari, camera cartucce calibro 12 ma ha camera 76mm quindi in grado di sparare anche cartucce con carica magnum. La meccanica dell’arma è caratterizzata appunto dal suddetto sistema di recupero inerziale, dotato di otturatore a testina rotante a due alette di chiusura, che permette il ritardo di apertura. La sicura manuale è azionata tramite pulsante posto lateralmente al ponticello del grilletto. L’M-1 ha calciatura sintetica in tecnopolimero, ha cassa in ergal e la canna brunita e fosfatata antiriflesso, che conferisce all’arma un aspetto molto marziale. Il comportamento a fuoco è piacevole, poco punitivo anche dopo sessioni di tiro prolungate, si allinea bene anche su tiro rapido, confortevole e piacevole, dà la sensazione di estremo agio in tutte le posizioni di tiro, l’alimentazione del serbatoio è fluida e non dà impacci di sorta. Il modello provato per l’articolo è di mia proprietà ed è allestito con accessori supplementari per un utilizzo più di carattere difensivo, quali portacartucce innestato lateralmente alla cassa e torcia della
WALTER in alluminio con cavo di funzionamento remoto, che ne permette l’accensione al momento del puntamento, premendo il sensore posto sotto l’astina con la mano debole (il sensore è posto sotto l’astina esclusivamente per di mia scelta personale). TNM ••• 47
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BENELLI M-4 Come ultima arma abbiamo provato il cattivo semiauto BENELLI M-4, adottato da non molto dai MARINES statunitensi. L’M-4 è un semiauto dotato anch’esso di otturatore a testina rotante a due alette, come gli altri della casa, ma con il particolare di essere a recupero di gas. A rendere questo sistema d’arma super efficiente ed affidabile è il doppio sistema argo, ovvero l’istallazione di organico recupero gas completamente raddoppiato. Il BENELLI M-4 ha canna di 47 cm, anch’essa brunita e fosfatata, serbatoio con capacità di 6 cartucce, ha impugnatura a pistola e calcio telescopico a 3 posizioni, che permette di imbracciare l’arma anche in condizioni di abbigliamento appesantito per via del freddo o con jacket da combattimento completi. Monta mire GHOST-RING ed è provvisto di rail picatinny sulla cassa, la sicura manuale è anche essa a cilindro posta lateralmente al ponticello del grilletto. TNM ••• 48
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PROVE A FUOCO Per le prove a fuoco ci siamo recati al campo di tiro dell’A.M.T.D.S. (associazione marsicana tiro dinamico sportivo) con sede in Trasacco (AQ), testando i 4 fucili in varie modalità, sparando con 4 differenti tipi di cartucce forniteci dall’armeria CALVISI RACHELE con sede in Trasacco (AQ): • Mirage clever tipo copper 11/0 a pallettoni ramati con borra in plastica 34 gr di piombo; • Mirage clever 11/0 a pallettoni normali con borra in plastica 34 gr di piombo; • Saga buck shot a pallettoni normali con borra in plastica 33 gr di piombo; • Winchester double X super magnum con 66 gr di piombo n° 5. Sulla sagoma in fotografia si nota una rosata ottenuta sparando con BENELLI M-1 super 90, n°5 cartucce MIRAGE clever copper 11/0 a pallettoni ramati, con tiro rapido su distanza di 15 metri, da notare in alto il danno provocato dalla borra di plastica. Rispetto ai BENELLI, il MAVERIK 88 presenta una facilità di ria-limentazione superiore, come già detto in precedenza, in quanto ha il cucchiaio di elevazione che rimane sollevato ed aderente alla parte inferiore del porta-otturatore fino a quando non si tira l’astina di armamento indietro, prerogativa che evita intralci durante la fase di inserimento delle cartucce nel serbatoio. Per il resto abbiamo constatato l’ottima affidabilità dei 4 shotgun con tutti i tipi di munizionamento sopraelencati, non riscontrando
anomalie di alcun tipo durante tutta la sessione di tiro, sparando un totale di 100 cartucce ad arma. sosteniamo quindi che la scelta da parte dell’utenza di una delle 4 armi è puramente influenzata dal gusto e dalle aspettative personali (e dal portafogli ovviamente). TNM ••• 49
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scape E d n a e c n a t is es vasiodindiR ioni militari SurvivalonE tto delle operaz ri o rt pe Es eo di Vincenzo Cotr
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Evasion Resistance and Escape Survival Evasion Resistance
Fase dell’addestramento SERE dell’USAF (United State Air Force)
Vi siete mai chiesti quale sia la condotta integrante di un reato punito più severamente dal codice penale italiano? Se avete risposto: “l’omicidio”, beh cari amici lettori, vi sbagliate. La condotta penale più severamente punita, è quella relativa al reato di sequestro di persona. Questo mi ha fatto pensare a qualche vecchio discorso fatto davanti ad un paio di birre, con amici delle nostre forze speciali o con vecchi amici professionisti della security in Paesi ad alto rischio. Tutti erano d’accordo su una cosa: “Enzo, vedila così... se non sai tirarti fuori dai guai da solo, è meglio che stai a casa. I tuoi non ti lasceranno mai indietro, ma tu, se puoi, non devi nemmeno stare li fermo ad aspettare”. Abbiamo approfondito la questione, ed abbracciato nei dettagli la preparazione che un militare, od un qualsiasi PSD, dovrebbe affrontare prima di preparare i bagagli per qualche missione o contratto. Il discorso, una volta finito sul S.E.R.E. ha tenuto banco per alcune ore, (poi il tasso alcolico ha fatto il suo lavoro e si è passati a parlare di donne). Ho contattato questi amici, al fine di dettagliare per i lettori di TNM un profilo di questo programma di Sopravvivenza, Evasione, Resistenza e Fuga, elaborato oltreoceano, codificato a Fort Bragg, ed oggi applicato alla Naval Air Station di Brunswick.
COS’è IL SERE E’ un programma, una parte integrante e fondamentale della formazione di un buon professionista delle ff.aa. o della sicurezza privata, tanto quanto le attività di tiro o di medicina tattica. La possibilità di essere catturati e sottoposti a prigionia più o meno prolungata, va messa in conto nel caso di missioni od attività in zone calde del mondo. Il programma a Brunswick dura circa 40 giorni, durante i quali gli allievi vengono formati ad ogni singola fase del SERE. Nessuno di loro sarà mandato in missione se prima non avrà superato con successo il corso. E’ importante che ognuno sia in grado di affrontare questo genere di situazioni limite, con la lucidità e con la competenza che si richiede ad ogni professionista della sicurezza. Il programma SERE, insegna a come gestire e sopravvivere nelle varie fasi della prigionia, a come organizzare e pianificare il tentativo d’evasione, a come resistere nella delicata fase della fuga, fino a rientrare nelle proprie linee e rivedere quei brutti grugni dei propri colleghi. TNM ••• 053
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SURVIVAL OK. Siete caduti nelle mani dei vostri nemici piuttosto che nelle mani delle cellule criminali operanti nella zona di vostra competenza operativa. Cosa fare? Prima di tutto, DECIDETE DI SOPRAVVIVERE. La motivazione, l’istinto di sopravvivenza, la voglia di tornare alle vostre case, dovranno essere la molla che farà in modo di tenere lucida la mente, riprendersi dalle inevitabili fasi di shock iniziale e cominciare a leggere i dati che l’ambiente circostante fornisce, per elaborare due elementi primari: Dove sono, con chi sono. Il SERE Student Handbook dello US Navy and Marine Corps suggerisce saggiamente di processare i dati iniziali immediati e PENSARE PRIMA DI AGIRE. I dati primari da valutare; Superato lo shock della cattura, bisogna prima di ogni altra cosa valutare l’attuale situazione psico fisica nella quale ci si trova. I miei muscoli sono ancora “attivi?” Rispondono agli stimoli nonostante qualche calcio preso o sballottamento subito? Il mio cervello è attivato? Ho pieno possesso delle mie facoltà mentali e mi rendo conto della situazione in modo tale da poter affrontare le prossime ore e mettere in pratica ciò che mi hanno trasmesso gli istruttori al maledetto corso SERE tenuto qualche mese fa? Inoltre, si dovrà pure affrontare il momento delicato della conoscenza con i “nuovi vicini”. Non tarderanno a farsi apprezzare per la loro assoluta mancanza d’ogni umana debolezza o senso di pietà. Sia chiaro fin da subito. Comandano loro, e ve lo faranno capire.. in un modo o nell’altro. Solitamente non hanno uno spiccato senso dell’umorismo e la pazienza esercitata da noi latini, in tanti anni di civiltà greco-romana, non è una loro virtù. Imporranno subito (o tenteranno di farlo) un clima di assoluta sudditanza, psicologica ed ovviamente fisica. Dipenderete in tutto e per tutto da loro e dalle loro decisioni. La vostra cella sarà una spoglia stanza priva di tutto. Niente finestre, niente letti, nulla. Se vi è andata bene c’è un bagno senza porta. Al contrario, ci sarà qualche badilata di sabbia dove dovrete abituarvi a fare i vostri bisogni, senza farvi condizionare dagli sguardi dei compagni di prigionia o dei carcerieri. Non vi preoccupate degli odori. Dopo poco tempo vi saranno incollati addosso e non ci farete più caso. Siete soli. Forse. Dipende dagli spazi disponibili e dalle volontà dei rapitori. Ricordate che la segregazione in solitaria, accelera i processi di perdita delle cognizioni temporali, dei cicli di sonno e di alimentazione. Conservate la fiducia in voi stessi. Dovete voler tornare liberi. Sfruttate i vostri sensi per cercare di capire se sia notte o giorno, (tastate le pareti per capire se una di queste sia esposta al sole), cercate di capire che tipo di turnazione effettuino le guardie e che armamento utilizzino. Se siete in compagnia di altri prigionieri, suddividevi i turni di veglia e di sonno, affinché uno sia sempre sveglio e possa raccogliere informazioni sui movimenti che si sentono al di fuori della cella, sulle voci che si alternano al di la della porta, dei rumori che arrivano dalle strade vicino al luogo destinato a prigionia. TNM ••• 054
In poche parole, cercate di organizzare una raccolta d’informazioni che possano tornarvi utili nel momento in cui tenterete l’evasione e dovrete darvi alla fuga. Mangiate! Se vi è data la possibilità di consumare qualcosa che possa fornirvi anche una sola miseria caloria, fatelo! Ricordate che avete l’obbligo di mantenere quanto più possibile elevato il livello delle energie che dovrete utilizzare al momento deciso per l’evasione. Non vi sarà data una seconda possibilità; Mangiate tutto e subito. Se non siete soli in cella e viene dato del cibo solamente a voi, non fatevi scrupoli di natura consociativa. Mangiate anche se gli altri hanno fame e vi guardano. E’ bene che anche uno solo del gruppo sia in grado di mettere a disposizione la propria energia residua a favore degli altri. Non fatevi trovare tutti affamati e non in grado di muovere i passi decisivi per fuggire. Chi è più in forze, potrà aiutare il resto della compagnia. Non conservate il cibo o peggio, non nascondetelo poiché se scoperto, vi sarà definitivamente sottratto dalle guardie. Ricordate sempre che il primo obiettivo dei carcerieri è mantenere le energie dei prigionieri al minimo, cosi che a nessuno venga in mente di attuare alcun piano di
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Fase dell’addestramento SERE dell’USAF (United State Air Force)
evasione e fuga. Tenderanno a dare da mangiare poco e male. Consumate tutto ugualmente. Le posizioni di stress saranno le vostre compagne di prigionia. Accosciati, in ginocchio, in piedi, appoggiati ad un muro in posizione obliqua, costretti a terra in posizione fetale, coricati per svariate ore sullo stesso fianco e chi più ha fantasia più se ne inventi.. Servono a sfibrare i tessuti, sviluppare acido lattico nei muscoli, logorare tendini e cartilagini. In poche parole servono a tenervi inchiodati nella vostra cella, incapaci a muovervi per dolori articolari e per la ridotta capacità di trasporto di ossigeno da parte del flusso sanguigno. Non c’è molto da fare, se non prepararvi adeguatamente attraverso un training fisico severo durante i mesi di preparazione all’attività estera. Le stress position fanno parte del bouquet offerto dalla direzione della prigionia e servono anche a dare una ulteriore spallata psico-fisica al prigioniero già indebolito dalla fame e dalla mancanza di sonno, in vista dell’interrogatorio. Il sonno vi sarà concesso per poche ore e mai quando ne sentirete il bisogno. Lo sanno anche i carcerieri che il sonno favorisce il recupero dell’organismo, quindi
la sua mancanza stordisce al punto di rendere lenti i movimenti, tardive le reazioni, cedevoli anche gli spiriti più adamantini. Luci fortissime indirizzate contro il vostro viso sono una forma di tortura efficace per impedirvi di dormire, come anche musica assordante sparata a tutto volume nella cella. Approfittate delle ore di sonno concesse per assopirvi senza dare pensiero alla situazione. Dormite profondamente e cercate di riprendere energia e forza. Al risveglio potrete ricominciare a progettare la vostra evasione. L’interrogatorio è il momento culmine della prigionia. L’incaricato, ovvero l’inquisitore, cercherà di dimostrarsi il più delle volte come colui che ha la possibilità di vita e di morte su di voi, giocando sulla psicologia della sudditanza in cattività. Probabilmente si mostrerà amichevole nei vostri confronti, promettendo libertà e rientri presso le vostre famiglie in cambio di informazioni. Non si mostrerà mai da solo, ma sempre circondato da una nutrita schiera di uomini ben armati. Sulla su scrivania ci sarà la sua pistola o il suo fucile, i vostri documenti (sottratti all’atto del rapimento) e probabilmente qualche pacchetto di sigarette ed un TNM ••• 055
Survival Evasion Resistance and Escape Survival Evas Istruttore dell’United States Navy mentre spiega le tecniche base del corso SERE ai membri del Navy Seals Team
paio di bottiglie d’acqua. L’offerta di sigaretta o di acqua sarà un modo di approcciarvi, di mettervi a vostro agio per quanto possibile e tentare di rompere il ghiaccio con voi. Se siete dei militari sapete già cosa dire in caso d’interrogatorio. Declinate nome, cognome, numero di matricola e forza armata d’appartenenza, appellandovi alla Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra. Vi do una notizia. Ai vostri carcerieri della Convenzione di Ginevra non importa un beneamato. Anzi, la risposta ad una richiesta del genere potrebbe essere una sonora risata (se vi va bene) o un calcione tale da sbattervi giù dalla sedia. I conflitti asimmetrici comportano anche comportamenti asimmetrici. Se non siete soldati declinate nome, cognome, cittadinanza ed impiego. Seguiranno le classiche domande su chi siete in realtà e cosa fate in quel dato Paese, che non è il vostro! Guadagnate tempo. Parlate. Offrite un’opzione valida, concertate un’ipotizzabile e plausibile storia che non sia in contraddizione con le circostanze nelle quali siete stati rapiti (non dite che siete di una ONG per i bambini se vi hanno preso armati di tutto punto mentre scortavate un ricco petroliere). Cercate di guadagnare tempo e di rendervi fittiziamente disponibili a collaborare con loro. Probabilmente vi uccideranno nello stesso momento in cui non avranno bisogno di voi, per cui cercate di “barare” mostrando di essere a conoscenza di più informazioni rispetto a quelle che in realtà avete. MAI, e lo ripeto, MAI, entrare in competizione con i vostri inquisitori. Otterrete solo problemi. Ostinarvi a non rispondere, ad offrire silenzi glaciali o peggio.. rispondere con qualche bel “fuck you”, vi porterà a subire violenze fisiche, pestaggi (tentate di muovervi i meno possibile e cercate di parare i colpi che potete) e con molta probabilità anche qualche tortura (alle quali è inutile resistere stoicamente, urlate quanto potete) fino alle pratiche d’umiliazione corporale in pubblico. Se volete evitare questi veri e propri sistemi d’annullamento della personalità, che abbattono il morale quanto il fisico, cercate di intavolare una sorta di dialogo, fin tanto che è possibile. Non firmate fogli in bianco o dichiarazioni già pronte. Anche se in Patria saranno giustamente interpretate come estorte e quindi non veritiere, saranno delle bandiere da sventolare per i carcerieri, che potranno avvantaggiarsi sulla popolazione locale, facendosi scudo e ragione delle vostre pseudodichiarazioni. I carcerieri però sono uomini. Il vostro obiettivo, dal momento della cattura fino all’evasione, è resistere. In questo caso, torna utile l’individuazione dell’elemento debole all’interno della catena umana che formano i carcerieri intorno a voi. Lavorate di finezza (fate un dannato corso di Humint e di Psy-Ops) e cercate di trascinare l’elemento individuato dalla vostra parte. Fategli promesse di ricompense da parte dei vostri Comandi o dei vostri superiori, una volta fuori. Se ben invogliato, riuscirete ad ottenere più cibo, informazioni rilevanti sui movimenti o sulle decisioni prese dai capi della cellula che vi tiene prigionieri, ed in ultima analisi, potrà aiutarvi ad evadere. TNM ••• 056
EVASIONE Flessibilità è la parola d’ordine. Ogni momento è buono, se l’occasione è propizia. Non avete margini per poter valutare il quando ed il come, o pianificare una nuova strategia. Le prime 24-36 ore sono fondamentali. Se riuscite ad escogitare un piano d’evasione e fuga, cercate di attuarlo entro questo arco temporale. I motivi sono semplici: siete ancora “freschi” e riposati. Calcolate se l’evasione la sosterrete da soli o con l’ausilio di altri compagni. Trovate un leader che sappia dividere gli incarichi e gestire le fasi successive all’evasione. Se nessuno si offre, fatelo voi. L’importante è uscire dalla vostra prigione. Non avete avuto il tempo di prendere troppe percosse da parte dei carcerieri, non avete ancora la debolezza indotta dalla fame. (Se dovrete lottare contro un carceriere, avrete le forze per affrontarlo, eliminarlo ed armarvi della sua pistola o del suo fucile). Inoltre l’organizzazione dei turni dei carcerieri non sarà ancora un meccanismo di precisione, non sarete stati trasportati in un luogo molto distante da dove siete stati catturati e con molta probabilità, l’eccitazione dovuta alla buona riuscita del rapimento ha di fatto abbassato un poco la guardia all’organizzazione che vi tiene relegati. Prima che vi trasferiscano in luoghi più lontani e più sicuri (per loro) e sconosciuti a voi e prima che il clan si organizzi e strutturi la prigionia vera e propria, dovete cercare di approfittare. Ma ricordate bene una cosa. NON DOVETE FARVI RIPRENDERE. Una volta evasi, datevi alla macchia
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per un raggio di oltre dieci chilometri rispetto alla vostra sede di prigionia. Se vi riprendono la vostra fine è quasi scontata. Fosse solo per dare un esempio d’inflessibilità ad altri prigionieri. Scappate, correte lontano, tenendovi alla larga da strade, sentieri battuti, e pascoli con animali (i cani da guardi vi fiutano ed il loro abbaiare richiamerà persone). Non utilizzate le strade più semplici, ma costruitevi un sentiero attraverso la macchia non battuta. Utilizzate le tecniche di mimetismo secondo la natura circostante e muovetevi nell’oscurità. RESISTENZA E FUGA Correte. Avete coperto una distanza di circa 10 chilometri. Bene. A seconda del Paese dove vi trovate, decidete se muovervi di giorno o di notte. Calcolate il tasso d’umidità, il calore e la conseguente perdita di energia. Procuratevi una qualsiasi arma o fabbricatela con mezzi di fortuna. Procuratevi del cibo e dell’acqua. Cercate un punto geografico che possa aiutarvi ad orientarvi. (Prima di partire dalla vostra base, sarebbe cosa buona e giusta disegnare, all’interno della stoffa dei vostri pantaloni, una piccola mappa della zona di competenza, con evidenziate le curve di livello se in area montana, o con i punti di riferimento di sicurezza (basi militari, chek-point, confini) a distanza fissa da punto conosciuto. Dopodiché, date libero sfogo ai ricordi dell’ultimo corso di sopravvivenza in territorio ostile che avete sostenuto. Credo che sia imperativo, per chi si avventura in determinati contesti,
conoscere territori, corsi fluviali, geografia locale; saper riconoscere piante che possano aiutare la vostra permanenza all’interno di una boscaglia o i frutti che possono essere tossici od indigesti se consumati, ma benefici se utilizzati come disinfettante od antibatterico su qualche ferita o lacerazione. Conoscere le tecniche di sopravvivenza, in un deserto, aiuta a non morire letteralmente per via del calore, cosi come a scavar un riparo per la notte, a trovare l’acqua in un’oasi od in una foresta all’interno di una strana pianta cava. Siate pronti a consumare cibo di circostanza, quindi anche insetti (che hanno molte proteine) o i serpenti, eliminando testa e coda. Potete funzionare senza cibo fino ad una ventina di giorni. La mancanza d’acqua vi ucciderà in poco più di tre. Ergo, dovete sapere dove cercare. Sappiate costruirvi un rifugio di circostanza utilizzando rovi, rami, pietre e fogliame. Anche in fuga, un minimo di riposo potrebbe giovare, oltre che potrebbe ripararvi da eventuali intemperie improvvise. Alla fine, entro due giorni dovrete essere in grado di individuare le strade di collegamento tra le zone di fuga e le città vicino. Trovate un mezzo, rubatelo (pardon, prendetelo in prestito) e fate in modo di arrivare al più vicino centro abitato. Cambiatevi gli abiti, prendete qualche cosa di locale per non dare subito nell’occhio e recatevi in un punto di sicurezza pubblica. La vostra Odissea è arrivata al termine. Bentornati. Parafrasando il buon vecchio sgt. Gunny… improvvisate, adattatevi, raggiungerete il vostro scopo, riuscirete a tornare a casa! TNM ••• 057
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Di GALDINO GALLINI Foto max masala
Gold Match II calibro 45 ACP. TNM ••• 58
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L’intramontabile pistola Colt modello 1911 è sicuramente uno dei progetti più riusciti del grande John Moses Browning ed è stata al fianco dei militari americani per più di ottanta anni per essere poi sostituita dalla Beretta modello 92. Attualmente i numerosi cloni della 1911 continuano ad essere le pistole preferite dalla maggior parte dei tiratori sia americani che dei Paesi occidentali e sono numerosi i corpi di polizia e le forze speciali che continuano ad utilizzare l’arma corta con meccanica Colt come dotazione dei propri agenti operativi. Uno dei fattori che hanno determinato il successo di questo progetto è sicuramente la cartuccia: il 45 ACP ( Automatic Colt Pistol ) anch’essa progettata da J. M. Browning nel 1905 ed adottata nel 1911 dall’Ordnance Department degli Stati Uniti assieme all’arma. Il proiettile ha un diametro di 0,451 pollici cioè circa 12 mm. e, nella versione utilizzata dall’esercito americano, pesa ben 230 grains, corrispondenti a quasi 15 grammi. La palla militare ( FMJ ) è in piombo ricoperto da un mantello di ottone che
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ottimizza lo scorrimento in canna favorendo un salda presa sulle rigature e garantisce una buona penetrazione sul bersaglio. La velocità iniziale, misurata su un’arma con canna da 5 pollici, si aggira attorno ai 230/ 250 metri/ sec. a seconda del propellente utilizzato. Tutti gli esperti in balistica terminale concordano sulla indiscutibile efficacia di questa cartuccia sul bersaglio umano. I dibattiti sulla conformazione ideale del proiettile, sul peso, ecc. non finiranno mai; ma l’imbattibilità dello “stopping power”del 45 ACP è fuori discussione. In commercio sono disponibili svariate tipologie di munizionamento ed i pesi di palla più comuni vanno dai 180 ai 230 grains. E’ disponibile una vasta gamma di conformazioni del proiettile a seconda dell’utilizzo a cui è destinato. I tiratori sportivi privilegiano la palla semiwad cutter da 200 grs. mentre il personale operativo si divide tra le palle leggere hollow point e quelle pesanti round nose o tronco coniche, ma l’efficacia della vecchia Hardball 230 grs FMJ resta sempre la
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scelta più sicura. Infatti la conformazione dell’ogiva e la consistente mantellatura garantiscono la massima sicurezza di funzionamento e scongiurano la possibilità di inceppamento in fase di alimentazione. Il diametro della palla abbinato alla velocità elevata ma non eccessiva non lascia alcun dubbio sull’efficacia balistica. L’arma che ci è stata gentilmente affidata per questa prova è la Kimber modello Gold Match II in calibro 45 ACP. La Kimber ha sede a Yonkers, nello Stato di New York ed è attualmente una delle fabbriche più apprezzate dai fans della 1911. Le origini di questa fabbrica d’armi risalgono al 1979, anno in cui Greg e Jack Warne decisero di dare inizio alla produzione di carabine in 22 L.R. La prima sede venne fondata in Oregon e le fasi iniziali della Kimber furono molto travagliate: ci furono diverse crisi finanziarie e diverbi tra i finanziatori della società che portarono anche al fallimento dell’azienda. Grazie ai capitali di Les Edelman, la Kimber resuscitò dalle sue ceneri ma la sua sede venne spostata a Yonkers. Ci
furono ancora una serie di alti e bassi finanziari che, nel corso di qualche anno, vennero appianati definitivamente dando così il via ad una attività produttiva serena e proficua. Attualmente la Kimber produce la più completa gamma di pistole modello 1911 del mondo. Il suo catalogo prevede ben 14 modelli. Ogni modello è disponibile in tre versioni: full size, pro-carry ( compatta ) ed ultra-carry ( super compatta ). Alcuni modelli sono disponibili in calibro 45 ACP, 40 SW, 38 Super Auto, 9 mm. e 22 L.R. Le armi vengono proposte in acciaio brunito lucido od opaco, in acciaio inox, versione bicolore e con fusto in lega d’alluminio. A seconda della destinazione d’uso sono disponibili organi di mira sia fissi che regolabili, riferimenti al trizio e laser integrati nelle guancine. Pertanto ce n’è per tutti i gusti. Ma il vero fiore all’occhiello della produzione Kimber è la qualità del prodotto. La vecchia 1911 Government model era diventata famosa per il bassissimo numero di inceppamenti verificatosi durante le prove di valutazione militari. Infatti si era guadagnata il soprannome di “Old Releable”. La mancanza di inceppamenti era però dovuta alla presenza di “giochi” tra le componenti dell’arma che non avevano alcuna influenza negativa su uno strumento destinato ad un uso militare ma penalizzavano pesantemente la precisione balistica quando la pistola veniva utilizzata da tiratori di precisione. Pertanto chi decideva di utilizzare una 1911 per tiro agonistico doveva per forza sottoporre l’arma ad una accuratizzazione per incrementare il serraggio delle componenti. Per rendere più precisa una 1911 di vecchia produzione è fondamentale intervenire sulle guide di scorrimento del carrello e del fusto. La boccola o bushing deve calzare perfettamente sulla bocca del carrello ed il foro deve corrispondere con massima precisione al diametro esterno della canna. Vanno inoltre messi a punto la misura della bielletta e lo zoccolino in cui essa si inserisce. Effettuando un riporto di materiale mediante saldatura si eliminano i giochi tra l’estremità posteriore della canna e la culatta. Molto importante è l’accuratizzazione dello scatto intesa come riduzione del peso ed eliminazione dei grattamenti e del collasso di retroscatto. La maggior parte degli armaioli divenne in grado, nel corso degli anni, di soddisfare le esigenze di ogni singolo tiratore approntando delle armi letteralmente” su misura” del cliente. L’aggiustaggio di queste armi divenne la prima fonte di guadagno della maggior parte dei “gunsmith” americani. Alcuni preparatori sono tutt’oggi considerati dei veri artisti per la qualità dei loro interventi. Sta di fatto che la crescente richiesta di “Government model” accuratizzate ha dato il via ad una produzione in vasta scala di armi che uscivano dalla fabbrica con meccanica e finiture di elevata qualità così da non necessitare ulteriori interventi di aggiustaggio da far eseguire successivamente all’acquisto. Ed è sulla scia di questa politica industriale che la Kimber ha impostato la sua linea di produzione. Come abbiamo accennato il modello che ci è stato
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messo a disposizione è il Gold Match II. Questa versione è particolarmente interessante per i tiratori italiani in quanto è stata catalogata come “arma sportiva”. Per chi non è informato sulle forche caudine che caratterizzano la legge sulle armi in Italia preciso che un privato cittadino può possedere tre pistole per difesa personale. Se desidera altre pistole deve chiedere il rilascio della “licenza di collezione di armi comuni da sparo” ma le armi in collezione sono vincolate alla sola detenzione abitativa e non possono uscire dal luogo in cui sono detenute. Per fortuna, da qualche anno, alcuni modelli di pistola compatibili con le varie discipline di tiro sportivo, sono stati catalogati come “arma sportiva”. Queste possono essere trasportate ( scariche e con le munizioni imballate in opportuni contenitori ) da coloro che detengono una licenza di porto d’armi ed essere utilizzate nei poligoni di tiro. Ogni tiratore ha diritto a possedere fino a sei armi sportive. La Gold Match è disponibile in acciaio brunito o in acciaio inossidabile. Le superfici laterali del fusto e del carrello sono lucidate a specchio mentre la parte superiore e posteriore del carrello sono sabbiate antiriflesso. Anche la parte anteriore dell’impugnatura è sabbiata per rendere la presa meno
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scivolosa. La tacca di mira, tipo Wichita, è regolabile in altezza e derivazione e la foglia ha una fitta zigrinatura antiriflesso. Il mirino, di generose dimensioni, è a rampa leggermente inclinata, anch’esso zigrinato. La sua base si inserisce in uno scasso a coda di rondine del carrello. Pertanto può essere agevolmente sostituito in caso di ammaccatura o per montarne uno con caratteristiche differenti: ad esempio con riferimenti al trizio. Sono disponibili anche foglie della tacca di mira con riferimenti luminosi per ambienti con scarsa luminosità. Le facce laterali del carrello sono dotate di solchi per la presa sia anteriori che posteriori. L’estrattore è stato modificato. Quello delle 1911 classiche è una molla lunga e piatta che si inserisce in un foro parallelo al percussore e rimane per tutta la sua lunghezza all’interno del carrello. La Gold Match utilizza un estrattore esterno ad unghia caricato da una molla ed un pistoncino ed è ben visibile sul lato destro in corrispondenza della finestra d’espulsione. La decisione di utilizzare questo tipo di estrattore, molto più robusto, deriva dall’esperienza dei tiratori americani che avevano spesso rotture dell’unghia estrattrice. La canna, in acciaio inossidabile, è del tipo non rampato con bushing anteriore; la rigatura è quella classica a spigoli vivi e presenta sei righe destrorse. La molla di recupero per il ciclo di sparo si avvale di un guidamolla lungo che rende più rettilinea la sua compressione ed il suo rilascio. Il fusto non presenta zigrinature o finger grooves particolari per incrementare l’impugnabilità. E’ un classico fusto 1911 A1 su cui sono stati montati il dorsalino dritto, la sicura dorsale maggiorata per evitare l’Hammer biting; un cane match ( con cresta arrotondata, alleggerito mediante traforatura ); un grilletto in alluminio anch’esso traforato, maggiorato in lunghezza per incrementare il trigger reach e dotato di vitina a brugola per l’azzeramento del collasso di retro scatto ed un pulsante di sgancio caricatore leggermente più rilevato. La sicura manuale è su entrambi i lati e la leva è sovradimensionata solo in lunghezza così da poter essere inserita e disinserita agevolmente ma senza incrementare l’ingombro laterale dell’arma. La leva di sicura manuale della Kimber è anche un comodo appoggia pollice. Infatti le scuole di tiro americane insegnano che la Government si porta in “condition one” cioè colpo in canna e sicura manuale inserita. Nel momento in cui si estrae l’arma dalla fondina il pollice va ad ingaggiare la sicura manuale disinserendole appena prima dell’allineamento delle mire sul bersaglio e si spara con il pollice appoggiato sulla leva di sicura. Il caricatore in dotazione ha una capacità di otto colpi e presenta il logo della Kimber sul fondello. L’arma è compatibile con l’uso di tutti i caricatori per 1911 ed ogni tiratore potrà decidere quali utilizzare per il tiro o la difesa personale. Durante la prova a fuoco abbiamo utilizzato sia cartucce di fabbrica con la classica palla da 230 grs. FMJ sia cartucce ricaricate con palle in lega grassata da 230 grs. round nose e 200 grs. semi wad cutter. Non abbiamo avuto inceppamenti di alcun genere e la precisione a 25 metri è consona ad un’arma
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destinata al tiro. Ci siamo anche sbizzarriti in diverse sequenze di tiro rapido su sagome IPDA e riteniamo che sia questa la sua la principale destinazione di utilizzo. Sparare il 45 Auto è sempre un gran piacere. Il suo rinculo deciso ma controllabile non stufa mai; impegna ma non stanca. Ritengo che non esista un altro calibro per arma corta così affascinante. Lo smontaggio è il punto dolens della 1911. Tutte le pistole dell’ultima generazione sono state progettate in modo tale da poter effettuare lo smontaggio per la pulizia ordinaria in pochi secondi. Smontare la Government è leggermente più complesso e laborioso. Per prima cosa bisogna scaricare la molla di recupero. Per farlo bisogna far arretrare la boccola della predetta molla di due millimetri e, contemporaneamente, ruotare il bushing fino a permettere l’uscita della boccola dal carrello. E meglio munirsi dell’apposita chiave che inserendosi sul bushing fa anche arretrare la boccola della molla di recupero. Durante questa operazione bisogna stare molto attenti in quanto la molla è compressa nella sua sede e una volta ruotato il bushing, essa può lanciare la sua boccola come un proiettile e colpire persone ed oggetti circostanti. Una volta scaricata la molla si arretra il carrello e si estrae il traversino. A questo punto si sfila il complesso culatta, canna, molla e guidamolla dal fusto, si separa la canna dalla culatta e si procede
alla manutenzione ordinaria. E’ sempre importante ricordare di rimuovere il caricatore e controllare la camera di scoppio prima di procedere allo smontaggio di qualsiasi arma. Pertanto la Gold Match II della Kimber è una pistola che si presta sia al tiro mirato che ad un utilizzo nelle gare di tiro pratico e la sua configurazione strutturale, che non differisce da quella dei modelli da difesa, la rende compatibile con l’allenamento al tiro operativo. L’arma è realizzata con grande cura e non ha quasi nulla da invidiare alle 1911 customizzate da preparatori blasonati. Tra i suoi pregi va sottolineata la sobrietà della conformazione generale. L’arma ha tutto quello che serve. Le mire regolabili, lo scatto non eccessivamente alleggerito ma netto e privo di grattamenti è compatibile sia con il tiro mirato che con l’uso operativo. Le leve ed i pulsanti appena maggiorati facilitano l’uso dell’arma ma non alterano l’estetica. La Kimber G.M. pur essendo una pistola modificata per le esigenze di tiro, permette al tiratore di godere la meravigliosa sensazione che si prova usando la vecchia 1911. Si ringrazia sentitamente la DBG Import di Alpignano (to) distributrice dei prodotti Kimber per averci gentilmente messo a disposizione l’arma in oggetto. Grazie alla Loro cortesia è stato possibile effettuare le prove riportate in questo articolo.
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Di Dennis Frati
Forensics e digital forensics in teatro di operazioni I recenti fatti legati all’uccisione di Osama Bin Laden durante il raid dei Navy Seals hanno visto le forze speciali attardarsi sull’obbiettivo alla ricerca di computer e dispositivi di memoria di massa di vario genere. Perché è avvenuto questo? Dobbiamo considerarlo un nuovo iter operativo o un’eccezionalità dettata dall’importanza del target umano primario? L’evolversi della tecnologia, la miniaturizzazione di componenti e dispositivi ed una sempre più spinta necessità della società di essere costantemente in comunicazione, in contatto, ci porta con sempre maggior frequenza a circondarci di strumenti digitali capaci di trattenere informazioni relative alle nostre attività, ai nostri contatti, a quanto facciamo ed a dove lo facciamo. Tutto ciò esula dal campo di battaglia? Dal teatro operativo delle missioni internazionali? L’avversario, sia che si tratti di insorti, nell’ambito di conflitti intestini, nei quali intervengono coalizioni internazionali, sia che si tratti della figura classica del nemico, nell’ambito di conflitti tra nazioni, ha la necessità di comunicare, di trasmettere e gestire informazioni, quali ordini, organigrammi, coordinate, richieste logistiche. Inoltre le forze contrapposte rappresentano pur sempre uno spaccato della società, sono riflesso delle abitudini e delle necessità della persona. In tale panorama il dato digitale è quindi presente nella forma di dispositivi che fanno da corredo al combattente per uso personale e che vengono utilizzati per coordinare e gestire l’azione militare o insurrezionalista. Sulle scene del crimine che sempre più spesso vengono portate alla ribalta delle cronache, assistiamo all’operato di appartenenti alle forze di polizia specializzati nella ricerca, raccolta, gestione ed interpretazione degli indizi in forma di bit e byte. Le metodiche e le procedure attuate rientrano nella disciplina della digital forensic, volta a trattare l’ “indizio” digitale. I bit che gli operatori delle forze di polizia possono rinvenire sulla scena del crimine, risentono, per la natura dei supporti su cui sono memorizzati e per la complessità del dato strutturato (file, data-base, informazione), di un’intrinseca fragilità, la dove un’erronea gestione del supporto, del sistema operativo o del dispositivo, può causare la perdita o l’alterazione del TNM ••• 066
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dato e quindi dell’informazione. Nonostante la complessità delle indagini e la difficoltà di individuare e gestire il dato digitale, l’azione investigativa non può esulare dall’imperativo di mantenere inalterato il dato, non solo al fine di interpretarne correttamente il significato, ma anche e soprattutto di mantenerne inalterato il valore probatorio, affinché possa essere utilizzato nell’aula di tribunale e divenire prova, con la P maiuscola, ossia base per il convincimento del giudice relativamente alla ricostruzione dell’evento criminoso e dei suoi responsabili. Queste esigenze permangono se trasformiamo la scena del crimine in teatro di combattimento? n generale le forze militari stanno modificando il loro approccio alla raccolta ed analisi d’informazioni, slegandosi dello stereotipo spionistico, dell’agente segreto da film, per avvicinarsi sempre più ad una metodica di raccolta, analisi ed interpretazione delle informazioni anche di tipo
investigativo e scientifico investigativo. Questo non solo per rispondere ad esigenze di intelligence legate all’attività militare, a vitale supporto di quella di combattimento, ma anche perché, in scenari di conflitto e contrasto che sempre più spesso vedono coinvolti civili di cui non sempre è chiara l’estraneità a movimenti combattenti irregolari, può esservi l’esigenza di dimostrare a magistratura, forze politiche ed opinione pubblica, che determinati eventi drammatici sono conseguenza di azioni/reazioni intraprese, in risposta ad aggressioni, nel pieno rispetto delle ROE (rule of engagement) stabilite a livelli di missione/coalizione e delle CAVEAT nazionali. L’esigenza d’indagine tecnicoscientifiche in teatro di operazioni è tanto sentita che nell’ambito degli organismi della difesa statunitensi si parla di Battlefield Forensic. Sul portale del Dipartimento della Difesa statunitense la “forensics” viene definita come l’applicazione di procedure scientifiche multidisciplinari volte a stabilire i fatti1. L’esercito statunitense sente la
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necessità di avere, sul campo di battaglia, combattenti in possesso delle skill necessarie ad individuare, preservare e valutare gli elementi di prova2. Le nostre Forze Armate non stanno a guardare. In tale contesto, in un Teatro Operativo, possono operare sia assetti specializzati di polizia interforze, inseriti e/o in concorso nella/alla PM (Polizia Militare), sia team del genio specializzati nello svolgimento di rilievi definibili di “polizia scientifica”. Ad esempio, in contesto pratico, a seguito di un attentato effettuato con un IED (Improvised Explosive Device), elementare o complesso (cioè inserito in un imboscata), ripristinato il controllo della situazione, si avrà un’immediata cinturazione del luogo del contatto, finalizzata non solo a garantire la sicurezza nelle operazioni di soccorso, ma anche a limitare l’alterazione dello stato dei luoghi e delle cose (al fine di ricercare informazioni utili a ricostruire le tecniche avversarie [TTPs]), limitare l’attività informativa e limitare lo sfruttamento mediatico dello scenario da parte delle forze opposte. Quindi, il personale specializzato, raggiunto il luogo dell’IED, provvederà ad eseguire i rilievi del caso, estesi su una superficie molto ampia, con fotografie, riprese video, perquisizione dei corpi, raccolta di frammenti e di dichiarazioni del personale coinvolto ed eventuali testimoni, che possano consentire la ricostruzione dei fatti. Questi elementi di informazioni raccolti non solo nell’ambito dei rilievi tecnico-scientifici, ma anche durante l’attività operativa quotidiana possono essere considerati parte dell’attività informativa offensiva che, come definito nel Manuale del Combattente3, è finalizzata ad acquisire dati informativi sul nemico e sull’ambiente naturale in cui agisce. Ampliando tale definizione a supporto ed TNM ••• 068
aderenza alle attività svolte nelle missioni internazionali che non vedono la figura classica del nemico e del fronte di combattimento tradizionale, ma che vengono svolte in contesti socio politici dinamici ed in perenne evoluzione, potremmo definire tra i compiti dell’attività informativa offensiva anche l’acquisizione di informazioni a carattere socio-politico-economico sull’ambiente in cui il nemico o gli insorti muovono, vivono, combattono. Gli elementi di informazione raccolti dal militare nell’arco delle attività operative vengono quindi trasmessi agli assetti d’intelligence presenti nei comandi dei vari livelli ordinativi (S2 livello di reggimento di manovra e G2 livello di Grande Unità) che provvedono ad elaborarli mediante strutture dedicate alla raccolta ed analisi, per restituire ai comandi delle forze operative, informazioni per aggiornare costantemente il quadro della situazione. In tale quadro vengono definite le azioni delle forze sul terreno, operazioni e missioni e vengono diramati ai reparti sul terreno i “warnings” sulle attività ostili/nemiche, naturalmente l’attività operativa nel corso del suo sviluppo fornirà nuove informazioni, innescando un perpetuo alimentarsi nel ciclo che vede le operazioni sul terreno restituire informazioni la cui interpretazione consente di definire un quadro della situazione in base al quale verrà definita l’esecuzione di nuove operazioni. E’ importante considerare quale può essere l’apporto dato dalle moderne tecniche d’investigazione scientifica in situazioni di conflitto, nelle quali oltre a non avere un fronte tradizionale ed un nemico definito si ha una sua alimentazione, sia in termini economici, che di combattenti e formazione, globale, che spazia attraverso le nazioni, con truppe dormienti, fondi ed
s digital forensics digital forensics digital forensics digita addestratori che risiedono e muovono talvolta negli stessi paesi che fronteggiano le forze di cui essi fanno parte. In tali contesti, in cui una delle parti importa risorse dell’esterno del teatro di operazioni ed è al contempo in grado di esportare azioni violente, le informazioni raccolte dai soldati sul terreno ed interpretate dagli analisti dell’intelligence, possono consentire di ricostruire i contatti, i collegamenti, le vie di approvvigionamento (fondi, armi, uomini, know-how), i progetti della forza avversa. Nell’epoca dell’informazione globale, in cui tutti comunicano attraverso Internet con cellulari, palmari, computer, tablet, l’individuazione e ricerca in teatro operativo di indizi, evidence digitali, che saranno poi interpretati dagli organi di intelligence attraverso procedure, metodiche, strumenti propri della digital forensics, rappresenta un’eventualità ed esigenza alla quale il soldato moderno deve essere preparato. Non si deve quindi cadere nell’errore di pensare che la ricerca dei media informatici che ad Abbottabad ha impegnato minuti preziosi dei Navy Seals, dopo l’uccisione di Osama Bin Laden, rappresenti una novità dell’ultimo minuto. La Joint Special Operation University, organo di documentazione e formazione per la comunità delle forze speciali USA, nel giugno 2009 ha pubblicato un paper dal titolo “Information Warfare: Assuring Digital Intelligence Collection”4 nel quale definisce in modo molto pratico e codificato le procedure di individuazione e gestione delle possibili evidence digitali durante l’intervento delle forze speciali. Ma quali sono queste metodiche, così particolari da dover essere codificate? Non è sufficiente spegnere il portatile rinvenuto ed infilarlo nello zaino, estrarre l’hard disk dal case del computer desktop e portarselo via? Premettendo che il fine di questo articolo non è quello di spiegare nel dettaglio tali procedure, è doveroso ammettere che nulla è semplice nella gestione dell’evidence digitale. Le problematiche possono essere molto diverse ed infatti il documento della JSOU evidenzia chiaramente che “ogni situazione è differente”. Durante l’attività di polizia, per esempio durante una perquisizione alla ricerca di elementi di prova a carico di una persona accusata di aver trafficato materiale pedo-pornografico on-line o di pirateria informatica, gli specialisti della Polizia Postale, o dei RIS, dovranno valutare se il computer è acceso, in stand-by, se vi sono connessioni attive verso host remoti, se sono attivi sul computer sistemi di cifratura dei dati, o di wiping (cancellazione sicura), comportandosi di conseguenza al fine di impedire la perdita di dati di rilievo e la modifica degli stessi. Tuttavia l’attività investigativa tecnicoscientifica sul luogo del reato ed in teatro di operazioni non può svolgersi con le stesse modalità. L’individuazione di un volume criptato aperto sul computer dell’indagato impone usualmente l’immediata copia dei dati in esso memorizzati, che a seguito dello spegnimento, nell’eventualità di avere a che fare con un indagato non collaborativo, non disposto a rivelare la password di sblocco, rimarrebbero inaccessibili. Tali operazioni, dipendono dalle dimensioni del volume cifrato, possono richiedere pochi minuti (per un piccolo volume della dimensione di qualche centinaio di MegaByte o di pochi GigaBytes) o addirittura ore. Appare evidente come questo
risulti incompatibile con le tempistiche di un’azione militare, sia che si tratti di un colpo di mano delle forze speciali della durata di pochi minuti, sia che si tratti della bonifica di un abitato, con tanto di cinturazione da parte di contingenti di sicurezza. Allo stesso modo appare inapplicabile la possibilità per unità impegnate ad esfiltrare a piedi, su terreni dalla morfologia complessa, sino al punto di raccolta da parte degli aeromobili, l’ipotesi di andare ad aggiungere al peso degli zaini e degli armamenti quello di computer ed hard disk. L’unità operante sul terreno mirerà quindi a cogliere gli obbiettivi assegnatigli, applicando nei ristretti tempi a disposizione metodiche definite di “Battlefield Triage Forensics5” per definire l’importanza delle evidence individuate e TNM ••• 069
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le modalità di trattamento in rigorosa osservazione delle priorità dettate dal compito ricevuto. Al rientro in sede l’unità provvederà alla compilazione della “scheda di cattura”, relativamente a cosa è stato acquisito, quando, dove, da chi e a chi è stato sottratto. Materiale e documentazione passerà quindi agli organi d’intelligence. I computer forensic expert facenti capo alla struttura informativa provvederanno quindi, attraverso idonei software o strumenti hardware, a realizzare e validare copia dei dati contenuti sui supporti di memoria. Sulle copie, e solo su esse, verranno eseguiti gli accertamenti, onde evitare anche l’alterazione accidentale dei dati. Attraverso strumenti software specifici, capaci di leggere le diverse tipologie di file system contenuti nelle partizioni dei supporti, in cui individuare file attivi e cancellati, i diversi log generati da strumenti e software di rete, gli innumerevoli diversi formati di file, gli analisti forensi si dedicheranno all’individuazione di: • file attivi, cancellati e non allocati • dati nascosti o crittografati • contatti mail e di chat • risorse web accedute • password L’attività di ricerca non è usualmente standardizzabile in quanto strettamente correlata, nel suo dipanarsi, ai quesiti ai quali deve dare risposta. è inoltre importante considerare la difficoltà linguistica con la quale può scontrarsi l’analista la dove la documentazione rinvenuta sia in lingua differente dalla propria, o comunque in una lingua poco diffusa, che richieda quindi l’opera di interpreti. Se tutto ciò può apparire avulso dal teatro operativo, dall’area di combattimento, occorre forse fare riferimento ai drammatici eventi succedutesi nell’arco
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degli anni in aree di guerra e sul luogo di attentati: • i telefoni cellulari sono notoriamente utilizzati quali innesco per gli ordigni esplosivi improvvisati; • terroristi ed insorti possono utilizzare i telefoni cellulari per coordinare le azioni violente, come avvenuto nel 2008 a Mumbai6 in India; • gli ostaggi in mano ad insorti e rivoltosi sono spesso presentati ai media attraverso video ed immagini pubblicati sul web ed editati con programmi di fotoritocco o video editing; • la pulizia etnica è stata in passato gestita attraverso l’utilizzo di data base contenenti i dati dagli appartenenti alle diverse etnie; • gli abusi su civili sono stati video filmati e memorizzati su personal computer; • gli attentatori ricevono formazione ed istruzioni attraverso il web; • molti dispositivi (apparati radio, orologi, macchine fotografie digitali) inglobano terminali gps in grado di svelare punti di passaggio e percorsi. Senza scordarsi degli assetti di guerra elettronica (EW), nella quale operano unità ad-hoc con il compiti di intercettare, identificare, analizzare i contenuti delle emissioni avversarie, disturbarne le trasmissioni, ecc.. A fronte del progresso tecnologico che ormai da anni sta pervadendo anche Il campo di battaglia e le aree in cui si combattono conflitti non tradizionali, il soldato non può più solo essere inteso nella funzione di operatore che, arma alla mano, assolve un compito di combattimento, ma deve essere visto come unità minima della cellula informativa in teatro, capace di rilevare le informazioni fino a qualche anno fa inesistenti.
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Di ZORAN MILOSEVIC - traduzione di denis frati
Biuro Opearcji Antyterrorystycznych Ufficio Operazioni Antiterrorismo Le unita polacche per le attività antiterrorismo sono inserite all’interno delle forze di polizia, del servizio di frontiera e del servizio di sicurezza interna. Il compito principale, comune a tutti questi organismi, è la lotta al terrorismo in tutte le sue forme, tuttavia solo uno, il Biura Operacji Antyterrorystycnych KGP (BOA-KGP), ha la giurisdizione su tutto il territorio nazionale. La storia dell’unità Il 22 Febbraio 1976, a fronte della grande escalation dell’attività terroristica, il ministero degli Affari Interni Polacco -“Ministerstwo Spraw Wewnetrznych”- decise di istituire, basandosi sul modello di alcuni paesi europei, nell’ambito del Comando della Milizia Metropolita di Varsavia -’ Komenda Stoleczna Milicji Obywatelskiej w Warszawie ‘(unico del suo genere in Polonia)- una unità dedicata alle sole attività di antiterrorismo. In Polonia la prima unità moderna di questo tipo, con finalità di antiterrorismo, fu creata nel Maggio dello stesso anno sotto il nome di “Wydziaęu Zabezpieczenia Stołecznego Urzędu Spraw Wewnętrznych” - Dipartimento Protezione dell’Uffici degli Affari Internied i suoi compiti erano: • Prevenzione e lotta contro ogni forma di terrorismo; • Risoluzione di situazioni ad alto rischio che rappresentano una minaccia per l’ordine la sicurezza pubblica a Varsavia ed in tutto il paese. Questa unità, fatta eccezione per l’unità sovietica ALFA (gruppo A del KGB sovietico) la cui esistenza è stata resa nota al pubblico solo molti anni dopo, è stata la prima unità antiterrorismo costituita nei paesi dell’ ex blocco sovietico. Il reparto era stato creato sul modello dell’unità finlandese Osasto Karhu, presentata alla delegazione polacca del Moia (Ministero degli Affari Interni) durante la visita effettuata ad Helsinki dai funzionari polacchi. Il fondatore e primo comandante dell’unità fu Edward Misztal, precedentemente sergente presso la sesta divisione di assalto aereo “Pomorskiej Dywizji Powietrznodesantowej”. I primi 400 candidati furono raccolti tra la truppa e gli ufficiali della milizia di Varsavia, dal plotone paracadutisti della milizia ZOMO e dall’unità speciale per la lotta contro i dirottamenti aerei creata nei primi anni 70, che aveva operato per prevenire le azioni contro la compagnia aerea di bandiera PLL-LOTTO, sciolta nel 1975. Degli iniziali 400 candidati, dopo una serie di test e controlli, solo 47 sono furono prescelti per diventare il nucleo della neonata unità di lotta al terrorismo, venendo suddivisi in cinque gruppi. L’unità prese immediatamente il nome di Tiger Brigade - Brygada Tygrysów- o più semplicemente “brigata antiterrorismo” - brygada antyterrorystyczna-. TNM ••• 073
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I membri del B.O.A. impegnati in esercitazioni di rescue hostage, presso la loro struttura nei pressi di Varsavia (in questa foto e nelle immagini sucessive)
Con l’aiuto di questa unità furono costituiti altri sette plotoni anti sommossa Zmotoryzowane Odwody Milicji Obywatelskiej (ZOMO) ed altri due furono creati nel 1985. Agli inizi degli anni ‘80, a causa della complicata situazione politico-sociale in Polonia, si ebbero venti tentativi di dirottamento aereo finalizzati a fuggire nei paesi occidentali dove cercare asilo polito. Otto di questi furono portati a compimento contro compagnie aeree nazionali. Questi dirottamenti costituirono la ragione principale che agli inizi del 1982 condusse il Ministero degli Affari Interni, con l’emanazione del decreto no.0127/82, ad aumentare l’organico dell’unità sino a 237 operatori. Oltre alle componenti comando, amministrazione e combattimento (che consisteva in diverse sezioni: volo, tecnica e logistica) era presenta anche il LOT wing – Squadra di Sicurezza Aerea- (divisa in due sezioni LOT) alla cui formazione furono destinati 140 nuovi agenti di polizia. TNM ••• 074
La LOT fondamentalmente aveva lo stesso compito delle unità ZOMO, fornendo pattuglie da imbarcare sui voli della compagnia aerea nazionale “LOT”. In queste pattuglie erano usualmente presenti due o tre operatori armati, il cui compito era quello di impedire il dirottamento delle aeromobili. Tuttavia, il compito principale dell’unità rimaneva la lotta al terrorismo ed alle organizzazioni criminali, l’arresto dei criminali pericolosi, la ricerca e soccorso di dispersi in acqua, lo svolgimento di esplorazioni subacquee di particolare importanza nello svolgimento di indagini e la ricerca di esplosivi. Successivamente i compiti dell’unità furono ampliati includendo: protezione dei VIP, scorta di criminali pericolosi catturati, conduzione di convogli con preziosi o carichi sensibili, controllo e repressione di rivolte o ribellioni nei carceri ed anche la lotta al tifo violento negli stadi. Nel 1990, con l’introduzione di nuovi passaporti e l’abolizione dei visti per i polacchi, i
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dirottamenti aerei subirono un sostanziale calo, portando in breve allo scioglimento del Security Office SUSW. L’unità fu privata dello staff gestionale ed il suo nominativo fu cambiato in “Wydział Antyterrorystyczny Komendy Stołecznej Policji”- Divisione Antiterrorismo della Polizia Metropolitana. I 202 membri dell’unità erano suddivisi in sezioni: comando, combattimento, esperti di esplosivi, plotone di sostegno. Successivamente la sezione tecnica venne integrata all’unità trasporto e l’ equipe medica venne ampliata. Ulteriori cambiamenti si ebbero nel 1992, quando all’interno della Squadra d’Assalto fu creata, con istruttori esperti, la sezione addestramento, si diede cosi vita alla nuova sezione per la negoziazione, costituita da personale specificamente preparato in psicologia, inoltre la sezione Esplosivi venne ampliata a dieci unità, portando l’organico complessivo a 207 operatori e due civili. Negli ultimi dieci anni del ventesimo secolo la società Polacca fu segnata da grandi
cambiamenti socio-politici. Così il 6 aprile il termine Milizia fu cambiato in Polizia e quello Settore Sicurezza divenne Dipartimento Antiterrorismo KSP, mentre i “plotoni speciali locali” furono rinominati Compagnie Antiterrorismo -Kompanie Antyterrorystyczne. All’interno dell’unità di Varsavia si ebbero grandi cambiamenti organizzativi, venne introdotta la squadra logistica, mentre alle restanti sezioni da combattimento furono aggiunti i team di specialisti in esplosivi, con il compito di trovare e disattivare eventuali ordigni. Dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica e la fuoriuscita della Polonia dal Patto di Varsavia, la leadership politica polacca cominciò a stringere contatti con le diplomazie occidentali, fu in tal modo possibile per gli ufficiali polacchi seguire corsi di formazione e addestramento presso gli enti del Law Enforcement di Stati Uniti ed Israele. I membri dell’unità antiterrorismo poterono così partecipare ai programmi di supporto dell’Ufficio Lotta Antiterrorismo statunitense, a corsi specialistici organizzati a Baton Rouge e presso l’US Marshals SOG Training Center, a Camp Beauregard in Lousiana. Al fine di acquisire competenze ed esperienze relative ad addestramento, organizzazione, equipaggiamenti, gli appartenenti a questa unità hanno visitato molte unità simili alla loro da tempo impegnate nella lotta al terrorismo, come le tedesche GSG-9 e SEK, la francese GIPN, la ceca URNA. Negli anni successivi venne sviluppata una sezione specializzata nello svolgimento di negoziati e nel 2000 venne creata una squadra antiterrorismo indipendente -Samodzielny Pluton Antyterrorystyczny Komisariatu Policji- presso l’aeroporto Okecie di Varsavia. Lo stesso anno, in ottemperanza all’editto n °14 del Capo della Polizia, presso tutte le unità di polizia furono create le Compagnie Antiterrorismo -Kompanie Antyterrorystyczne-, così come Divisioni Antiterrorsimo (Wydział Antyterrorystyczny Komendy Stołecznej) inserite all’interno dei Dipartimenti di Polizia regionali. L’unità antiterrorismo della polizia di Varsavia prese il nome Samodzielny Pododdział Antyterrorystyczny Policji (SPAP), nome identificante le TNM ••• 075
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squadre antiterrorismo indipendenti della polizia. Pertanto, SPAP KSP pur essendo situate nella capitale, rimanevano meglio attrezzate ed organizzate, rispetto alle restanti nove unità antiterrorismo locali della polizia polacca. I tragici eventi dell’11 Settembre 2001 a New York e del 23 Ottobre 2002 con l’attacco dei ribelli ceceni al teatro di Mosca hanno ricordato al mondo intero che il terrorismo rappresentava ancora una delle più pericolose minacce alla pace e alla sicurezza. Questi attacchi sono stati uno sprone per tutti i paesi affinché venissero rafforzate, riorganizzate e modernizzate le loro forze antiterrorismo, investendo nuove risorse in addestramento ed attrezzature. Uno dei paesi che prese molto seriamente la riorganizzazione delle sue unità antiterrorismo fu la Polonia che immediatamente creò una nuova unità centrale per la lotta la terrorismo. Lo start up si ebbe nel 2001, durante la celebrazione del 25 ° anniversario della costituzione dell’KSP. I responsabili del reparto, colpiti dagli eventi statunitensi, suggerirono la creazione di una nuova unità antiterrorismo di altissimo livello. Nella seconda metà del 2002, sulla base di questa idea e in accordo con la legislazione, venne stabilito che la nuova unità fosse realizzata partendo dall’ SPAP KSP. Appariva infatti assolutamente insensato procedere alla creazione di un unità ex-novo, sia per le difficoltà finanziarie da affrontare, sia per l’impossibilità di ottenere una prontezza operativa in tempi brevi. L’unità fu denominata Zarzad Operacji Antyterrorystycznych (ZOA) ed andò a succedere alla precedente unità Wydzialu Antyterrorystycznego Komendy Stolecznej Policji (KSP) impiegata per le operazioni antiterrorismo della polizia metropolitana e che precedentemente aveva la competenza su tutto il territorio nazionale. Sebbene questa unità si distinguesse in diversi modi dalle restanti nove unità locali antiterrorismo -Samodzielnymi Pododdział ami Antyterrorystycznymi Policji (SPAP)aventi sedi nelle più grandi città del paese, essa venne comunque gestita come queste, differentemente a quanto accade a unità europee con finalità analoghe (ad esempio le francesi GIGN e RAID, le belga ESI e POSA, le spagnole GEO e GOES, ecc...), che avendo competenza su tutto il territorio nazionale dispongono di maggiori libertà e privilegi rispetto alle realtà locali. A seguito della sua creazione l’unità venne spostata dalla Polizia di Varsavia al Komendzie Polizia Głównej Policji, il Comando Generale del Capo della Polizia (KGP), e si ebbe la creazione di due nuovi uffici: il Zarząd Bojowy (Combat Bureau) ed il Zarząd Wsparcia Bojowego w ramach Centralnego Biura Sledczego, l’ufficio per il supporto al combattimento inserito all’interno del Central Bureau of Investigation. Nel 2003 l’unità venne inglobata nella realizzazione del Centralnego Biura Sledczego (CBS) - Central Bureau of Investigation - dipendente dalla Zarząd Bojowy CBS - Combat Unit CBS. La CBS è una struttura parallela alla polizia locale, dalla quale risulta però indipendente, essendo subordinata direttamente al Comando Generale ed è stata costituita nel 2000 all’interno dell’ufficio per la lotta contro la criminalità organizzata ed il narcotraffico. TNM ••• 076
La sezione artificieri dell’ SPAP KSP rimase inserita nella struttura del Dipartimento di Polizia di Varsavia, mentre il plotone di “sceriffi dell’aria” dell’aeroporto di Okecie fu nuovamente trasferito presso la Polizia Aeroportuale. Nel periodo seguente venne programmata una ulteriore riorganizzazione, ma prima che questa potesse aver luogo, il 6 marzo 2003, l’unità fu protagonista di una tragica, quanto mal eseguita, operazioni antiterrorismo a Magdalenka, nella quale morirono due agenti di polizia ed altri diciassette rimasero feriti. A seguito di ciò l’assetto delle squadre antiterrorismo polacche sarebbe cambiato per sempre. Biuro Operacji Antyterrorystycznych Il 15 Giugno 2003 l’unità Zarząd Bojowy fù esclusa dalla Combat Unit CBS, vedendosi assegnare il medesimo status di similari strutture inserite all’interno dei locali Comandi Generali di Polizia (KGP), transitando nella Zarząd Wsparcia Bojowego e divenendo l’ uffico per
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le operazioni antiterrorismo del Comando Generale di Polizia - Biura Operacji AntyterrorystycznychKomendy Głównej Policji-, direttamente subordinato al capo della polizia. A capo dell’unità fu assegnato il dr. Waldemar Zubrzycki. In questo periodo il BOA contava circa 170 membri e rappresentava la principale unità antiterrorismo competente per l’area della capitale e per tutto il territorio nazionale. Oltre a queste incombenze l’unità aveva tra i suoi compiti la formazione ed il monitoraggio delle unità locali Samodzielne Pododdziały Antyterrorystyczne Policji (SPAP) e collaborò alla creazione di sei nuove sezioni antiterrorismo regionali Sekcje Antyterrorystyczne (SAT), con il fine di migliorare il livello formativo e di creare tattiche comuni. Zarząd Operacji Antyterrorystycznych Il BOA esisteva da solo un anno quando l’ennesima ristrutturazione del KGP polacco declasso l’unità che venne sciolta nell’Aprile 2004. Il 31 Maggio 2004 il Capo
della Polizia decretò che l’unità venisse rinominata Zarząd Operacji Antyterrorystycznych (ZOA) Głównego Sztabu Komendy Głównej Policji, ossia Direzione per le Operazioni Antiterrorismo del Comando della Polizia Nazionale e fosse funzionalmente subordinata al Comando della Polizia Nazionale, unitamente ai reparti elicotteristi Zarządem Lotnictwa Policyjnego, Biura Główny Sztab Policji. Sebbene si trattasse di una struttura di polizia del tutto nuova, i compiti rimasero sostanzialmente quelli del BOA. Il reparto subi’un incremento degli operatori, divenuti 200 e divisi nelle componenti: comando, combattimento, supporto al combattimento e servizi logistici. La componente da combattimento venne suddivisa in due team che comprendeva i tiratori scelti ed un’aliquota di 10 istruttori per team specialisti per la formazione nei vari campi, aventi tuttavia anche incarichi di combattimento. La cellula operativa minima era costituita da un team di sei membri, ulteriori dettagli furono mantenuti segreti. TNM ••• 077
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Durante l’ultima riorganizzazione fatta nel maggio 2008, il Biura Operacji Antyterrorystycznych è stato nuovamente attivato dalla dirigenza della Polizia Polacca, divenendo ancora una volta la principale unità polacca antiterrorismo, mantenendo tuttavia inalterati organizzazione e compiti. Compiti ed Organizzazione Il BOA, nella sua veste di unità centrale antiterrorismo partecipa in sede Europea al gruppo di lavoro ATLAS, al quale aderiscono le unità antiterrorismo dei paesi dell’Unione. Il reparto svolge la funzione di unità per interventi speciali, come stabilito dalle componenti legislative polacche relativamente alla cooperazione tra le unità speciali antiterrorismo europee (Annuncio ufficiale dell’Unione europea L. 210, agosto 200b 6, pagina 73). Gli operatori partecipano ad azioni di estrema pericolosità, come la liberazioni di ostaggi, nelle quali la loro vita e spesso messa a rischio e devono essere pronti ad agire in ogni condizione, anche di notte, sotto forte stress psico-fisico, a prescindere dalle condizioni climatiche ed ambientali. Il compito principale del BOA KGP è la lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata. L’unità è inoltre chiamata in causa per l’organizzazione ed il coordinamento e controllo delle TNM ••• 078
forze di polizia in attività tra cui: • combattimento, individuazione ed eliminazione degli attacchi terroristici, nonché le prevenzione di incidenti particolarmente complessi quali la protezione di ambienti esposti a minacce batteriologiche, chimiche, esplosive e nucleari; • compiti che richiedano forze con addestramento specifico e specialistico per l’esecuzione di tattiche particolari; • protezione di testimoni e personalità sotto protezione; • supporto alle attività di polizia standard nel caso di minacce specifiche che richiedono personale con qualifiche ed addestramento speciale; • coordinamento nella preparazione delle forze di polizia per l’esecuzione di operazioni di combattimento, bonifica e disattivazione ordigni esplosivi e negoziazione; • analisi dei diversi aspetti della lotta al terrorismo finalizzata ad influenzare la corretta esecuzione dei compiti di polizia. • cooperazione con organizzazione nazionali e straniere impegnate nella lotta al terrorismo. Uno dei compiti del BOA è quello di monitorare la trasformazione delle altre forze di polizia al fine di modificare tempestivamente approcci, tattiche,
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equipaggiamenti e per poter rispondere al meglio alle minacce in trasformazione. Questo avviene principalmente attraverso la partecipazione ad attività di addestramento comuni, rendendo così possibile lo scambio di esperienze, ed organizzando training per istruttori provenienti da unità SPAP e SAT al fine di uniformare tecniche e tattiche. Accade infatti non di rado che alcune unità locali presentino livelli di esperienza ed addestramento disomogenei, non allineati con quelli dell’unità centrale, problema che però non si riscontra per quanto riguarda equipaggiamenti ed armi. Ufficiali di polizia del BOA cooperano con le migliori unità di elitè del mondo ed il loro addestramento e la loro professionalità sono ampiamente apprezzate. Gli istruttori del BOA usualmente partecipano alle maggiori esercitazioni per militari e forze di polizia che si svolgono in Polonia, inoltre l’unità ha stretti rapporti con forze speciali analoghe, quali l’Agenzia per la Sicurezza Interna (Agencji Bezpieczenstwa Wewnętrznego) ed il Servizio di Frontiera e Dogana (Straży Granicznej). L’unità fruisce inoltre delle esperienze nella protezione alle personalità, maturate dall’ufficio addetto alla protezione dei membri del governo (Biura Ochrony Rządu) ed i suoi istruttori partecipano anche all’addestramento del Central Bureau Investigation (Centralnego Biura Śledczego). Il BOA intrattiene inoltre ottimi contatti con le forze antiterrorismo di molti paesi stranieri, in particolare con l’unità lituana ARAS, l’ungherese TESZ e la spagnola UEI. Attualmente il dirigente del reparto ,il Senior Inspector Artur Skwarczyński, ed il suo vice, Jaroslaw Figarski, si occupano di circa 200 operatori suddivisi in: • Comando-BOA, comprendente l’ufficio del dirigente; • Vice-Direttore addetto alle Operazioni d’Assalto con: • team di sorveglianza e tiratori scelti; • unità da Combattimento; • unità tattica e di addestramento; • team di coordinamento nazionale ed internazionale; • sezione negoziatori; • Unità di Supporto Tecnico; • Sezione personale; • una persona civile per la consulenza e servizi; Formazione Nel mondo di oggi c’è un grande bisogno di unità antiterrorismo altamente addestrate ed i loro membri devono essere in stato di costante allerta e prontezza operativa. Per quanto riguarda la formazione il BOA dispone di uno staff di elevata professionalità, si vocifera che siano i migliori di tutta la Polonia e certamente tra i migliori in Europa. I candidati intenzionati ad entrare nel gruppo devono avere i seguenti requisiti: età compresa tra i 24 a i 30 anni, eccellente forma fisica e psicologica, buona salute, grande stabilità mentale, grande resistenza allo stress, capacità di adeguarsi rapidamente alle nuove condizioni, capacità di lavorare in squadra ed essere in possesso della patente di guida. I futuri membri dell’unità possono provenire sia dalle forze di polizia che dal mondo civile, ma questi ultimi per unirsi al reparto
devono prima frequentare il corso base di polizia. Dopo la brutta esperienza di Magadlenka i quadri dell’unità hanno modificato completamente l’approccio all’azione, ponendo come pre- requisito la valutazione dei differenti scenari possibili, ipotizzando in particolare i casi peggiori. Gli operatori dell’antiterrorismo si addestrano costantemente per migliorare le proprie capacità e competenze ed i loro superiori si attengono al principio ‘più sudore sul campo di addestramento meno sangue in combattimento’. Coloro che si candidano a raggiungere il BOA vengono fatti passare attraverso un duro percorso di valutazione psico-fisica che verrà superato con successo solo dal 10-15 % di essi, i quali verranno poi inviati a partecipare al corso di formazione di base della durata di nove mesi. Durante questo corso selettivo, i candidati devono superare il cosiddetto test di Cooper, che include prove quali: • correre per 3-3,5 km in meno di 12 minuti ; • attraversare lo speciale percorso ad ostacoli ZOA; • arrampicarsi lungo una corda di 5 metri di altezza senza l’utilizzo delle gambe almeno una volta, preferibilmente per due volte di seguito; • su panchina piana sollevare l’equivalente della propria massa corporea, si riceve un punto in più ogni 10 chili aggiunti; • eseguire minimo 25 trazioni alla sbarra; • eseguire minimo 30 flessioni sulle braccia; • nuotare per 200 metri in 4 minuti; • nuotare in immersione sulla distanza di 25 metri; • saltare in acqua dalla torre di 10 metri; Durante i primi giorni di formazione viene effettuata una marcia di 48 ore in montagna, durante la quale i candidati sono tenuti a svolgere diversi esercizi stabiliti dal comandante. Durante il corso di formazione di base i candidati non svolgono azioni di combattimento, ma trattano unicamente le tattiche e tecniche della lotta contro il terrorismo sotto il controllo di istruttori esperti che valutano il loro lavoro ed impegno, decidendo quale candidato è idoneo a raggiungere le squadre operative. TNM ••• 079
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Coloro che non rispondono agli standard stabiliti vengono inviati alle unità di provenienza o tornano alla vita civile. Quando i prescelti vengono inseriti nelle squadre operative viene organizzato un esame di valutazione coinvolgendo anche i colleghi più anziani, finalizzato a testare la loro idoneità fisica e la loro reattività. Al termine di questa fase giunge solo il 15% dei candidati iniziali. Nel BOA l’addestramento è continuo, eseguito giornalmente all’interno della base dell’unità dove sono disponibili poligoni, percorsi ad ostacoli, killing-house dove fare pratica di tiro e di irruzione nei locali con munizioni a fuoco, una palestra di roccia artificiale ed una torre, per praticare le tecniche di arrampicata e discesa, auto, autobus e fusoliera di aereo in cui esercitarsi alle irruzioni ed alla liberazione di ostaggi. Vengono inoltre utilizzate aree, nelle vicinanze di Varsavia, per addestrarsi ai lanci con il paracadute, all’uso di elicotteri ed alla tecnica del fast-rope, agli elisbarchi. Il BOA usufruisce inoltre dei poligoni e delle strutture di addestramento militari, come il centro per il combattimento in aree urbane presso la città di Novi Zid Vedrzin. Non viene tralasciato neanche l’addestramento nei luoghi pubblici più frequentati, che potrebbero rappresentare obbiettivi paganti per i terroristi, come la metropolitana, Il Palazzo della Cultura e della Scienza, i principali alberghi e uffici commerciali di Varsavia. Il BOA dispone anche di operatori addestrati ad operare in acqua, come sommozzatori e conduttori di piccole imbarcazioni. I suoi sommozzatori sono principalmente utilizzati per il recupero di persone annegate, armi o evidence TNM ••• 080
investigative. Tuttavia i sommozzatori sono addestrati principalmente per le azioni antiterrorismo correlate ad ambienti acquatici. Fino a poco tempo fa le azioni di antiterrorismo in ambienti fluviali, lacustri o marini erano svolti dall’unità militare GROM, unità speciale del Dipartimento Navale della Polizia di Frontiera e da incursori di Marina dell’unità FORMOZA. Al BOA hanno dedicato particolare attenzione anche alla formazione dei paramedici. Ogni squadra operativa ha in organico un paramedico dotato della necessaria attrezzatura medica di base per dare il primo soccorso in azione. I paramedici del BOA hanno ricevuto uno specifico addestramento da istruttori israeliani , frequentando il corso di soccorso avanzato sul campo di battaglia della Polizia di Frontiera e facendo pratica nel soccorso civili come parte dei team medici a bordo delle ambulanze. Una prova di resistenza psicologica. In caso di allarme l’intero BOA è pronto a muovere in un’ora, mentre la squadra di pronto intervento è in grado di lasciare la base, che si trova a Szczęśliwice un sobborgo di Varsavia, in 10-15 minuti. Se la responsabilità sul campo è del KSP, il permesso di entrare l’azione è dato dall’Ufficiale Comandante del BOA e se l’azione si svolge sul territorio polacco al di fuori del comprensorio di Varsavia l’autorizzazione all’azione è di competenza del Comandante Capo della Polizia. Questa situazione può verificarsi allorquando la locale squadra di intervento SPAP non sia in grado di far fronte alla situazione. La maggior parte delle azioni condotte dal BOA è tenuta segreta, ma è noto che con frequenza almeno mensile i commandos del BOA intervengono
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per la liberazione di ostaggi, in azioni inerenti crimini di particolare gravità, o nella scorta di personalità e convogli. Armi ed equipaggiamenti Negli ultimi anni sono stati fatti ingenti investimenti al fine di dotare le forze antiterrorismo di armi ed equipaggiamenti moderni. Le armi corte in dotazione ai membri BOA sono le pistole Glock, nei modelli 17 e 19, e Walther P-99, tutte in calibro 9 e fabbricate localmente dalla polacca Łucznik Arms Factory. Sono comunque disponibili altri tipi di pistole semiautomatiche e revolver. Per le operazioni di CQB, dove i combattimenti si svolgono in spazi ristretti, i membri BOA usano l’MKEK, versione turca del famoso MP-5 della tedesca Heckler & Koch. L’arma è in dotazione nelle versioni A3 e A5, con il calcio retrattile ed SD6 con silenziatore integrato. Nell’arsenale del BOA sono inoltre disponibili le nuove UMP 9mm della H&K e le pistole mitragliatrici di produzione locale PM-84P/98 Glauberyt. L’arma lunga in dotazione è l’eccellente fucile d’assalto tedesco G-36 disponibile nelle versioni G-36KA1, con canna lunga con ottica x1.5 e caricatore Beta-Mag C da 100 colpi, e G-36C, entrambi in calibro 5,56 NATO. Sugli scaffali dell’armeria è inoltre presente il nuovo fucile d’assalto tedesco HK-416, sempre in 5,56x45. Tutte le armi dispongono di slitte “Piccatiny” a cui è possibile attaccare torce tattiche Surefire modello 628 o Insight UTL Mark II, puntatori olografici HWS EOTECH mod. 552, laser a punta rosso, puntatori Aimpoint Comp M4. I fucili d’assalto AKMS rimangono in uso a fini addestrativi. Quando è richiesta una grande potenza di fuoco, come nelle irruzioni in fabbricati, dove può essere necessario irrompere attraverso porte e finestre, vengono utilizzati i fucili a pompa Mossberg 500 ATP6 Cruiser e Benelli M3DT Super 90, entrambi in calibro 12. Grande attenzione è stata posta nell’armamento dei tiratori scelti, così il BOA dispone degli eccellenti SAKO TRG-21 7,62 mm NATO, TRG-22 .308 Winchester e TRG-42 .338 Lapua Magnum, tutti a caricamento manuale ‘bolt action’, senza dimenticare il russo Dragunov SVD. Nell’arsenale del BOA sono inoltre presenti il lanciatore granate tedesco HK69A1 da 40 mm, con calcio telescopico ed in grado di sparare vari tipi di munizioni, la mitragliatrice PKM in calibro 7,62 x54R, le granate “flash bang” e molto altro. I membri del BOA dispongono di diversi tipi di uniformi, dalle digitali americane (mod. ACU) con pattern UCP, impiegate per le attività antiterrorismo in aree urbane, alle Multicam per le aree rurali. Oltre a questi due tipi di uniformi, gli operatori posso indossare in azione tute in Nomex di coloro verde oliva o nero realizzate dalla polacca KAMA, particolarmente indicate per le irruzioni. Usualmente l’uniforme si compone anche di un passamontagna per proteggere l’identità degli operatori, di guanti di protezione Hatch SOG L-100 (in Nomex) o Fury Blackhawk (in kevlar), occhiali balistici Bolle XT800 Tactical e ESS NVG, gomitiere e ginocchiere Alta Tactical Superflex, scarponi di diversi modelli (Bates Falcon, HAIX Airpower P9 da deserto, H.R.T. Urban della 5.11 Tactical o
scarponi militari polacchi Protector) e casco di protezione in fibra di vetro Pro-Tec A-Alpha di colore verde. Tutte l’equipaggiamento viene distribuito su un gilet tattico modulare prodotto dall’azienda norvegese NFM, utilizzato nei modelli TRYM QRS, JACKAL o Wolverine, o su gilet tattici prodotti dalla polacca MIWA. Per le protezioni balistiche i membri del BOA si affidano ai giubbotti antiproiettili della società polacca Moratex e della norvegese NFM HUGIN, la cui leggerezza consente di indossarli sotto le uniformi standard garantendo un maggior grado di mobilità. Per la protezione del capo è in dotazione l’elmetto Moratex BK4/M Piorun II, al momento in fase di sostituzione con i nuovi elmetti israeliani RABINTEX RBH 303 AUS LW (equivalenti agli europei MSA TC 3002). La fondina in dotazione è l’americana Safairland mod. 6004, sebbene alla cintura tattica della norvegese NFM compaia la fondina di produzione locale Ivo-Hest che si accompagna con la borsa tattica (sempre produzione NFM) contenente la maschera anti-gas AVON M-53. Il trasporto sul luogo delle operazioni avviene solitamente a bordo di Land Rover Defender, o furgoni Ford Transit e Toyota pesantemente corazzati. Non mancano nella dotazione due veicoli blindati AMZ-Kutno della ltd Dzik, spesso utilizzati negli assalti agli edifici per garantire la protezione delle squadre in avvicinamento. Se il BOA ha bisogno di spostare operatori con rapidità su lunghe distanze, vengono impiegati gli elicotteri Mil Mi-8, Kania e PZL PZL W-3 Sokol assegnati all’unità aerea della Polizia. Completano le dotazioni del BOA sistemi di comunicazione Motorola ed MSA Sordin, scudi balistici pesanti (mod TK/P/S 04) e leggeri (mod. TK/P 03) prodotti dalla polacca Moratex, dispositivi meccanici ed idraulici per forzare, distruggere e abbattere le porte (Blackhawk, Hallagan Tools, Holmarto), apparati per la visone notturna e la sorveglianza di produzione statunitense e granate quali le NICO 9. TNM ••• 081
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5.11
Di FABIO ROSSI - Foto di Michele FARINETTI
Undercover Light Tactical Vest mento spariscE
E per magia l’equipaggia
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Questo tactical vest è stato appositamente creato per essere indossato sotto gli abiti civili, come giubbotti o giacche, permettendo all’operatore di poter facilmente trasportare tutte quelle attrezzature tattiche ed elettroniche, indispensabili per l’espletamento del servizio in cui è impegnato. E’ attualmente in dotazione presso alcune Agenzie di Polizia ed Enti Governativi negli USA ed in Europa. L’AZIENDA 5.11 Inc. è un azienda americana che si occupa, da quasi due decenni, dello sviluppo e commercializzazione di prodotti tattici destinati all’impiego e all’equipaggiamento di operatori del Law Enforcement, Military e Security. Questi prodotti, progettati e testati da esperti del settore, vengono confezionati attraverso la ricerca di materiali che siano in grado di garantirne elevate qualità di affidabilità, prestazioni e durata nel tempo. Infatti la filosofia dell’azienda si racchiude perfettamente nel l’acronimo 5.11, utilizzato come marchio, che rappresenta uno dei livelli di difficoltà nell’arrampicata in roccia secondo il sistema di misurazione Yosemite; i livelli di difficoltà vanno da 5.0 – facile – a 5.10 – difficile – dove il 5.11 è ancora più difficoltoso ed impegnativo tanto da essere giudicato “impossibile”… ma saltuariamente qualcuno
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riesce nell’impresa. Il voluminoso catalogo dell’azienda contiene abbigliamento tattico professionale sia di taglio esplicito che a basso profilo, fondine in tecnopolimero e buffetteria, occhiali ed orologi, borse e zaini per il trasporto di equipaggiamento ed armi, scarpe e boots tattici e recentemente sono stati inseriti anche alcuni modelli di coltelli professionali e tactical lights ad alta potenza e ricarica rapida. STRUTTURA La struttura portante dell’articolo da noi esaminato è costituita principalmente da una rete tridimensionale ad alta resistenza di colore nero, le cui superfici esterne sono state ricoperte, con la parte pelosa detta “asola”, di tessuto Velcro®. La porzione anteriore ed i laterali servono da supporto per l’applicazione dei vari moduli di trasporto dell’equipaggiamento e quella posteriore per la regolazione dell’attagliamento. Il vest viene venduto corredato di alcuni accessori in Cordura®: un porta radio universale, un doppio porta caricatore per pistola, un porta spray urticante, un porta baton estensibile ed un porta manette che, nella loro superficie posteriore, hanno applicata la parte uncinata del tessuto Velcro®. Sono inoltre presenti due tasche interne portadocumenti, accessibili anche dall’esterno tramite due piccole aperture e, nella parte posteriore del colletto, due piccole asole “passacavi” per il fissaggio di eventuali auricolari collegati all’apparato radio.
ATTAGLIAMENTO Il vest viene commercializzato in una misura unica, ha un peso, completo di tasche, di circa 600 gr. e la perfetta regolazione si ottiene operando sui tre nastri velcrati posizionati, come già detto, nella parte posteriore. Conclusa questa operazione, per ottenere una maggiore e stabile aderenza al corpo di chi lo indossa, deve essere assicurato tramite tre nastri corredati di chiusura a scatto Fastex® collocati nella parte anteriore; due posizionati verticalmente, che usano come supporto la cintura dei pantaloni ed uno orizzontale che viene bloccato all’altezza del petto. Quest’ultimo può anche essere rimosso per rendere il prodotto maggiormente occultabile alla vista di chi osserva. REPORT DELLE PROVE L’ Undercover Light Tactical Vest è un prodotto veramente unico nel suo genere, che si differenzia, dalle altre soluzioni reperibili in commercio, per la sua leggerezza ed il basso profilo di impatto visivo che si riesce ad ottenere dopo averlo indossato. Caratteristiche che lo rendono adatto a tutte quelle operazioni di appostamento e pedinamento, tipiche di chi lavora in abiti civili e che possono prolungarsi per molto tempo. Operatori che, per ovvi motivi, devono necessariamente mantenere un “low profile”, senza dover rinunciare ad avere al seguito l’equipaggiamento TNM ••• 085
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e le attrezzature indispensabili o, cosa peggiore, doverli trasportare all’interno di evidenti ed antiestetici marsupi o disseminati nelle tasche di un giubbotto. Un prodotto sicuramente adatto anche per appartenenti delle FF.PP ed Investigatori Privati che effettuano servizi di accompagnamento e tutela i quali, per ragioni di immagine, devono indossare “giacca e cravatta”. Il vest è stato utilizzato, “sul campo”, per più di due anni, è stato impiegato sia per servizi investigativi che di scorta/tutela, rivelando un ‘ottima gestibilità dei materiali trasportati. Non ha fatto registrare alcun tipo di problematica dopo molte ore di stazionamento o viaggio all’interno di autovetture, sia “sotto copertura” che “protette”. Il report non ha evidenziato criticità neppure quando il manufatto è stato indossato in abbinamento a corpetti per la protezione balistica ma, anzi, è stata particolarmente apprezzata la sua struttura in rete tridimensionale che ha assicurato un’ ottimo confort in qualsiasi condizione climatica di utilizzo. E’ inoltre disponibile, sempre commercializzato dalla stessa 5.11, un kit di accessori aggiuntivi denominato Back-Up Belt System™ che contiene, tra l’altro, anche una fondina ambidestra per pistole di piccole dimensioni ed un porta torcia tattica. Il consiglio è comunque quello di portare l’arma corta all’interno di una valida fondina da fianco, non essendo la struttura portante del vest in grado di sostenere il peso di una pistola full-size. Ovviamente il prodotto lascia ampio margine di personalizzazione in base alle esigenze operative, attuabile modificando qualsiasi tipologia di tasca reperibile in commercio, avendo cura di applicare, sulla superficie posteriore, l’apposito tessuto Velcro® per il fissaggio. In Italia viene importato e venduto dalla nota azienda Bignami, completo di accessori, ad un prezzo, veramente contenuto, di circa 60 euro.
5.11, Inc. 4300 Spyres Way Modesto CA 95356 www.511tactical.com
Bignami S.p.A. Via Lahn 1 39040 Ora (BZ) tel.: 0471 803000 fax: 0471 810899 www.bignami.it
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ASP Agent Baton 16” Recentissimo prodotto dell’americana ASP l’Agent,Baton è stato esclusivamente progettato per il porto occulto ed un rapido utilizzo. L’Agent impiega il più recente sistema ASP denominato LeverLoc® che ne permette la chiusura senza doverlo urtare violentemente, con direzione verticale, contro una superficie dura. Le sue caratteristiche lo rendono particolarmente adatto per tutti gli operatori che lavorano “undercover” o effettuano attività operative di scorta/tutela di personalità. L’impugnatura è rifinita con una zigrinatura che ne aumenta il grip. Quest’ultima e la parte centrale del baton sono realizzati in alluminio 7075 T6, mentre la parte terminale è in acciaio 4140 ad alto tenore di carbonio; questo rende l’Agent estremamente leggero. Può facilmente essere occultato all’interno di una tasca, o fissato ad una cintura tramite l’esclusiva clip, regolabile su più posizioni, applicata all’impugnatura. Il tactical baton è disponibile nelle colorazioni Nichel o Black Chrome. Mad Max Co. - Via degli Olmetti 44/A B5 00060 Formello (Roma) - www.madmaxco.com Ghost International Civilian Holster Fondina termoformata in materiale plastico di colore nero, che grazie al ridotto spessore, al peso praticamente inesistente ed al “low profile”, è particolarmente apprezzata per il porto occulto in abiti civili. Il fissaggio alla cintura (range 3,5-5cm) avviene per mezzo di un Paddle o con un attacco fisso High Ride. Disponibile per pistole Glock, Smith & Wesson, Caracal, Beretta, Tanfoglio, Cz, Colt 1911 e cloni, oltreché revolver tipo Rhino. GHost International - Via C. Battisti, 43 25073 Bovezzo (BS)- www.ghostinternational.com TNM ••• 088
Ricetrasmittente Midland G9 Il Midland G9 è una ricetrasmittente concepita per essere utilizzata in condizioni lavorative “difficili”. E‘ robusta, compatta e permette di comunicare in PMR446 ad una distanza sino a di 5 km in campo aperto. E’ resistente all’acqua ed all’umidità. In caso d’emergenza, premendo il tasto rosso “EMG” tutte le ricetrasmittenti localizzate nel raggio di 5 KM riceveranno la vostra chiamata d’emergenza, anche se posizionate su di canale differente. La Midland G9 è, inoltre, fornita di un sistema che vi consente di poter rispondere anche se un altro apparato è in trasmissione in modalità VOX e, quindi, non necessita di dover attendere che l’altro interlocutore abbia terminato di comunicare. • PMR 446MHz • 8 canali, 38 sotto canali • Portata fino a 5 Km • Tasto emergenza integrato • Funzione Vox con Talkback • Utilizzo vivavoce • Resistente all’acqua IPX5 • Funzione “fuori portata” • Modalità Dual watch (doppio ascolto) • Funzione Scan • Funzione Vibrazione • Schermo LCD retroilluminato • Antenna di 12 cm per massimizzare la portata • Roger Beep • Blocco tastiera • Squelch automatico • Presa per accessori: 2 pins • Batteria NiMH 1800mAh o 4 pile AAA LR3 • Peso: 114g senza batterie • Dimensioni: 110 x 58 x 32 mm Green Zone - via XX Settembre 123r - 17100 Savona www.greenzonesoftair.com
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SPECIAL REPORT SPECIAL REPORT SPECIAL REPORT SPECIAL
A CURA DELLA REDAZIONE DI TNM
Il “Gruppo Operativo Speciale” della Polizia di Stato
UNA SPINA NEL FIANCO DELLA CRIMINALITà TNM ••• 090
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dal nulla come “fantasmi notturni”, occultati “dietro ogni filo d’erba” che la campagna offriva; il bos fu preso alla sprovvista, non si era accorto del silenzioso “nodo scorsoio” che si stava lentamente chiudendo intorno a lui. A cose fatte non poté che complimentarsi con gli Addestramento al tiro uomini in mimetica e mephisto: “…ma da dove siete sbucati.. complimenti, non mi ero accorto di niente..” ebbe a dire molto sorpreso. Questo reparto, a rigor del vero, già operava (soprattutto in Calabria) dal 2000, aveva portato a compimento brillanti operazioni anticrimine di particolare difficoltà esecutiva, conquistandosi la fiducia e divenendo, a pieno titolo, il “braccio” tattico-operativo di molte delle squadre investigative delle Questure calabresi, in particolar modo della nota “Sezione Catturandi” della Squadra Mobile di Reggio Calabria e dei “detective” del Commissariato di P. S. di Palmi (RC). Ma è con la cattura di Saverio Sanatiti (l’anno prima, il GOS aveva anche catturato, più o meno con le stesse modalità, l’ancor più terribile suo fratello Gaetano Santaiti, considerato, per il suo modus operandi, l’ultimo dei “briganti” calabresi) che il grande pubblico venne a conoscenza dell’esistenza del GOS. Il GOS, in qualità di reparto sperimentale, nasce ufficialmente nel gennaio del 2000 per volontà dell’allora Prefetto, Vice Capo della Polizia, Direttore della Polizia Criminale. Il responsabile generale del GOS era il carismatico dr. Antonio Pignataro, istruttore di difesa personale, e attualmente Primo Dirigente della Polizia di Stato Dirige il Commissariato P. S. Romanina di Roma. L’illuminata idea, da più parti da tempo caldeggiata, era di sperimentare anche in Italia quello che esisteva già da tempo in tutte le Polizie dei paesi progrediti e cioè delle squadre operative, tatticamente addestrate, dislocate su tutto il territorio nazionale, ed in tal senso non un “doppione” del N.O.C.S., ma delle unità di prontissimo impiego a disposizione quotidiana della locali Squadre Mobili delle Questure e delle squadre di Polizia Giudiziaria dei Commissariati di Pubblica Sicurezza, al fine di operare in sinergia con queste per compiere operazioni di polizia a rischio o che presentino evidenti difficoltà per l’operatore “medio”. Oppure con Una mattina d’agosto del 2002 l’A.N.S.A. diramò la notizia che uno dei più pericolosi ed imprendibili latitanti il compito di effettuare un primo intervento “tampone”, dell‘ndrangheta, protagonista tra l’altro della nota “faida in caso di grandi eventi criminosi o terroristici, in attesa di Seminara”, Saverio Rocco Santaiti, capo incontrastato dell’arrivo del N.O.C.S. (l’arcinoto e blasonato reparto dell’omonima cosca, era stato catturato nelle campagne speciale di punta della Polizia di Stato) e per dare ad esso un supporto più professionale e pronto di quello in località Sant’Elia, in provincia di Reggio Calabria. che gli operatori ordinari avrebbero potuto dare in questi Ad eseguire l’arresto era stato un “nuovo” reparto speciale della Polizia di Stato, il suo nome era “GRUPPO casi. Dall’idea si passò ai fatti e venne messo in piedi, con non poche difficoltà logistico-organizzative, un OPERATIVO SPECIALE”. L’ormai leggendario, per alcuni reparto che, al suo apice, poteva contare su una forza e famigerato per altri, “G.O.S.”. Ci volle quasi un mese di circa 40 uomini, provenienti (molti di loro ancora di continui appiattamenti e monitoraggi di varie zone ne fanno parte) dai Reparti Prevenzione Crimine della extraurbane, seguendo le attente e puntuali indicazioni Polizia di Stato (una sorta di “task force” disponibile degli investigatori del Commissariato di Palmi, per immediatamente su richiesta delle Questure per giungere a questa difficile cattura, infatti fu eseguita attività straordinarie di prevenzione e controllo del in una zona di aperta campagna e non in un preciso obiettivo chiuso. Quando la squadra GOS ebbe la certezza territorio). Gli operatori da destinare al GOS venivano scelti tra i migliori appartenenti a questi Reparti, che il soggetto era l’inafferrabile Saverio, spuntarono TNM ••• 091
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requisito fondamentale era il possesso della qualifica di “operatore di squadriglia antisequestri con impiego di elicottero”, qualifica che veniva rilasciata presso il Centro Addestramento ed Istruzione Professionale di Abbasanta (OR) della Polizia di Stato. Successivamente i “candidati”, venivano inviati in Calabria, presso il Reparto Prevenzione Crimine “Calabria”, ove il GOS fu logisticamente “appoggiato” durante la sua fase sperimentale, per frequentare un duro ciclo addestrativo di base, che non aveva nulla da invidiare ai “basici” dei corpi scelti più famosi. Se l’operatore superava “a pieni voti” questo ciclo addestrativo (che oscillava tra i quattro e i sei mesi) veniva inserito nei team operativi per un periodo di prova, a conclusione del quale, se ritenuto idoneo, diveniva effettivo al gruppo. All’interno del GOS vi erano operatori che, oltre all’addestramento specifico sviluppato per le esigenze operative del gruppo, erano in possesso delle più prestigiose qualifiche professionali rilasciate dalla Polizia di Stato: erano infatti presenti all’interno del GOS: 12 “istruttori di tiro”, 7 “istruttori di tecniche operative”, 1 “istruttore di scorte e sicurezza”, TNM ••• 092
ECIAL REPORT SPECIAL REPORT SPECIAL REPORT SPECIAL REPORT S Discesa con il canapone
Fase pre operazione
2 “istruttori di difesa personale”, 3 “istruttori di guida operativa”, 7 “alpinisti”, 21 “esperti in manovre di corda”, 1 “artificiere ordinario” e 2 “pionieri”, questi ultimi qualificatisi al noto corso presso l’Esercito Italiano, che fino a quel momento aveva accettato dalla Polizia solo operatori del N.O.C.S., ma il dato rilevante fu che uno di quei due operatori GOS che parteciparono al corso era una donna, la prima donna a “conquistare” questa qualifica (un primato che spetta al GOS!). Oltre allo staff di istruttori interno, venivano periodicamente inviati dal Ministero istruttori esterni al fine d’incrementare al massimo le capacità e l’aggiornamento degli operatori GOS. Si alternarono i maestri d’alpinismo e manovre di corda del famoso Centro Addestramento Alpino della Polizia di Stato di Moena (TN), gli istruttori del Centro Attività Operative (l’allora struttura che formava gli istruttori di tecniche operative della Polizia di Stato) di Nettuno (Roma), istruttori esperti del Centro Nautico e Subacqueo della Polizia di Stato di La Spezia (dove il GOS frequentò periodi addestrativi per le incursioni per via acquatica ed abbordaggio navigli), esperti e blasonati
atleti delle Fiamme Oro per la preparazione atletica. Una nota da segnalare fu il fatto che il GOS, grazie alla lungimiranza di alcuni funzionari ministeriali, divenne la prima forza speciale in Italia a sperimentare l’ormai noto, ma allora quasi sconosciuto, metodo di autodifesa denominato “Krav Maga”. Infatti fu inviato più volte in missione addestrativa uno degli istruttori di Krav Maga più noti e che fu tra i primi a portare questa disciplina in Italia. Insegnò tecniche di lotta corpo a corpo, sia a mani nude che con l’impiego delle armi in dotazione, nonché particolari tecniche operative nel campo delle scorte, delle perquisizioni, ecc. E’ opportuno precisare che il personale operativo continuava ad appartenere al Reparto Prevenzione Crimine di provenienza e veniva “aggregato” presso le squadre GOS periodicamente. Si creò così una rotazione di personale che garantiva la presenza costante di almeno 15/20 uomini, che in via ordinaria, giornalmente, svolgevano attività addestrative, sia tecniche che atletiche, secondo dei protocolli messi a punto dallo staff istruttori e concordati con il Servizio Controllo del Territorio della Criminalpol e che, TNM ••• 093
SPECIAL REPORT SPECIAL REPORT SPECIAL REPORT SPECIAL Fase addestramento del GOS
contemporaneamente, era in costante pronto impiego; all’occorrenza, in caso di necessità di uomini, questi venivano inviati immediatamente dai loro Reparti sul posto. Essendo il GOS ubicato logisticamente in Calabria, la maggior parte degli impieghi si estrinsecò in questa regione, flagellata dalla criminalità organizzata, ma molte furono le richieste e gli interventi in altre regioni italiane, dove le locali strutture investigative poterono apprezzare questo snello strumento operativo messo a loro disposizione. Con il tempo si sarebbe dovuto passare dalla fase sperimentale all’istituzione, per decreto, dei gruppi per le operazioni speciali dislocati in tutte le principali regioni presso i Reparti Prevenzione Crimine, in modo da realizzare un supporto operativo specializzato e di pronto impiego, diffuso abbastanza capillarmente su tutto il territorio nazionale. I compiti che vennero affidati al GOS possono così essere sintetizzati: • Avvicinamento, irruzione e bonifica di luoghi dove vi siano in atto o si presume vi siano attività criminali; • Esecuzioni di ordini di carcerazione di soggetti ritenuti pericolosi o che potrebbero fare resistenza all’arresto; • Attività operative, in genere di polizia, giudicate di particolare difficoltà e pericolo per gli agenti operanti; • Inseguimento e fermo di veicoli sospetti in ambito di operazioni programmate; • Interventi in aree urbane volti alla ricerca di soggetti pericolosi, latitanti o criminali in genere, segnalati in quartieri e zone ostili; • Attività di ricognizione, perlustrazione, rastrellamento, appiattamento ed osservazione, da eseguire in zone impervie montane e forestali o in ambiente extraurbano in generale, con finalità di prevenzione e controllo del territorio, conoscenza e monitoraggio delle zone rurali, della ricerca di fonti di prove e corpi di reato, di soccorso, di ricerca di persone smarrite, nonché della ricerca e cattura di criminali fuggitivi; • Operazioni di polizia elitrasportate; • Operazioni con avvicinamento anfibio ed abbordaggio d’imbarcazioni sospette. Ma l’attività principale nella quale il GOS spese la TNM ••• 094
grande maggioranza del suo impegno operativo fu la ricerca e la cattura di latitanti. Questo, fu fatto in strettissima e quotidiana collaborazione sinergica con gli investigatori locali, ai quali fu affiancato un apprezzato strumento tattico operativo che a loro mancava e che gli permetteva finalmente di occuparsi a tempo pieno del settore info-investigativo. Una divisione dei compiti che risultò vincente sollevando, da più parti, l’entusiasmo per i brillanti risultati ottenuti con questo “sistema”. Non si contano le lettere d’elogio e compiacimento rivolti al GOS che giunsero, in quei tempi, al Servizio Controllo del Territorio (l’organo ministeriale che coordinava il gruppo) da parte di tanti Questori, capi di Squadre mobili e dirigenti della Polizia di Stato. Quante volte era capitato che, anni di indagini ben eseguite e portate avanti con dispendio di preziose energie, venissero vanificate all’atto dell’operazione finale per l’imperizia degli operatori che, pur essendo bravi investigatori, non potevano avere uno specifico addestramento ed una capacità professionale tatticooperativa adeguata alle circostanze. Per gli appassionati del settore riportiamo in sintesi le dotazioni che furono affidate al GOS. Per quanto concerne le armi, oltre alle note armi da fianco e di reparto, tipiche delle FF.OO. italiane, cioè la Beretta 92FS e la Beretta PM 12S, vi erano in dotazione: pistole mitragliatrici Socimi cal. 9, fucili d’assalto Beretta SC70 cal. 5,56, Bernardelli “Galil” cal. 5,56, H. & K. G3 SG1 camerati in 7,62 nato, H. & K. G41 cal. 5,56, fucili a pompa cal 12 Benelli M3 TC. Inoltre erano disponibili puntamenti laser e torce tattiche con i relativi attacchi. Erano in dotazione anche pistole lanciarazzi e varie tipologie di razzi illuminanti e da segnalazione. Le comunicazioni radio erano affidate alle Motorola GP340. Non vi erano in dotazione granate “flash-bang”. Dopo varie ricerche e sperimentazioni di materiali, il Ministero, autorizzò l’acquisto delle uniformi del GOS: per l’ambiente urbano fu ufficialmente adottata una tuta intera con doppia cerniera centrale di colore nero, mentre per l’extraurbano, sia per esigenze di distinzione con gli altri reparti che per la perfetta mimetizzazione riscontrata nell’ambiente
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aspromontano, si optò per l’adozione della mitica colorazione “Tiger Stripes” (quella delle special forces USA in Vietnam). L’unico reparto della storia in Italia ad adottare ufficialmente questo mimetismo. Per quanto concerne la buffetteria furono adottati Combat vest della Black Hawk e fondine Safariland in colorazione nero e verde. Come mezzi di trasporto furono assegnati fuoristrada Land Rover Discovery e Mitsubishi Pajero, tutti con colori di serie, moto enduro Aprilia con colori di serie, oltre a vari mezzi con i colori d’istituto. Non mancavano in dotazioni numerosi strumenti atti alla creazione di “varchi”, scale tattiche, nonché materiali d’alpinismo. Il gruppo aveva infatti creato una forte sinergia anche con il V Reparto Volo della Polizia di Stato di Reggio Calabria, presso il quale si effettuarono numerosi e periodici addestramenti sia di elitrasporto con discesa in “overing”, che di discesa con uso di corde e con il “canapone” (fast rope), spesso con la presenza degli istruttori inviati appositamente dal Centro Addestramento Alpino della Polizia di Stato di Moena (TN). Vi furono anche addestramenti ed attività operative antirapina svolte in Sardegna con il Reparto Volo di Abbasanta (OR) della Polizia di Stato. Nei circa quattro anni d’esistenza e sperimentazione, le squadre GOS, furono chiamate ad intervenire innumerevoli volte, con una cadenza praticamente settimanale. Operazioni mirate, ma anche lunghi periodi di servizi fuori sede per le più svariate tipologie d’interventi operativi, videro impegnati gli uomini del GOS. La forza di questo strumento operativo fu proprio questa, ovvero la continua verifica diretta sul campo di quanto studiato e provato in addestramento. L’impegno quasi quotidiano sul terreno permise agli operatori di acquisire un bagaglio notevole di esperienza pratica e reale d’intervento. Non comune per i corpi d’elite italiani. Un’esperienza che veniva poi confrontata costantemente con i metodi e le tecniche operative precedentemente oggetto di addestramento, le quali venivano così riviste e messe a punto, a seconda delle realtà e delle esperienze pratiche riscontrate durante l’attività. A tal proposito, possiamo elencare alcune delle operazioni più note
che il gruppo eseguì dal gennaio del 2000 (data di inizio attività) al dicembre del 2003 (data di sospensione dell’attività): • agosto 2000, sull’Aspromonte viene rintracciato e consegnato al Commissariato di Taurianova (RC) il pluri-pregiudicato GATTELLARI Mario, latitante volontario sospettato di omicidio; • nell’autunno 2000 per due mesi il gruppo viene messo a disposizione in Sardegna dei Commissariati di Olbia e di Ozieri per attività di squadriglia in territori extraurbani, monitoraggio zone impervie controlli ai casolari ed ovili ed operazioni di polizia; • da marzo a luglio del 2001 il GOS viene messo a disposizione della Squadra Mobile di Reggio Calabria in supporto alle attività investigative mirate alla cattura del noto latitante Morabito Giuseppe alias U’ Tiradritto. • il 19 maggio del 2001, personale del GOS, unitamente a personale della Sezione Catturandi della Squadra Mobile di RC, cattura in località aspromontana Gaetano Santaiti, ritenuto boss di spicco e superlatitante inserito nei primi trenta ricercati in ambito nazionale, dopo nove anni di latitanza, colpito da cinque ordini di custodia cautelare ed un ordine definitivo di carcerazione a 24 anni e 7 mesi; • il 6 luglio 2001 viene assicurato alla giustizia il latitante Vincenzo Laurendi, inserito nella lista dei 500 ricercati in ambito nazionale, l’operazione viene eseguita nella città di Reggio Calabria con il personale investigativo della Questura; • 28 luglio 2001, sempre con la Sezione Catturandi di RC, il GOS cattura due importanti latitanti a Melito Porto Salvo (RC), Pasquale e Carmelo Dieni, anch’essi inseriti nell’elenco dei 500 latitanti più pericolosi; • il 29 novembre del 2001 in collaborazione con la Squadra Mobile di Cosenza, vengono arrestati i cugini Francesco e Giovanni Intorno, responsabili di svariate rapine e trovati in possesso di un arsenale d’armi; • l’8 dicembre del 2001, unitamente alla Sezione Criminalità Organizzata della Squadra Mobile di Reggio Calabria, nella periferia della città dello stretto viene rintracciato ed arrestato il notissimo latitante Carmine TNM ••• 095
SPECIAL REPORT SPECIAL REPORT SPECIAL REPORT SPECIAL Fase addestramento in ambiente urbano
De Stefano, riconosciuto boss dell’omonima cosca, superlatitante da circa otto anni, inserito dal Ministero dell’Interno nell’elenco dei primi 30 ricercati in ambito nazionale. • Tra l’aprile ed il maggio del 2002, il gruppo venne incaricato di scortare un’imprenditrice di Bari che da risultanze investigative sarebbe potuta divenire oggetto di un sequestro di persona a scopo di estorsione; • nei mesi di maggio e giugno 2002, il GOS viene impiegato a disposizione dell’U.C.I.G.O.S. della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, per effettuare un servizio di scorta e tutela, in strettissima collaborazione con il N.O.C.S., volto alla tutela antiterrorismo di alcuni elementi palestinesi in custodia alle autorità italiane; • il 2 agosto 2002, dopo estenuanti settimane di appiattimenti il personale GOS, seguendo le indicazioni degli uomini del Commissariato di Palmi, tendono una vera e propria imboscata, in località S. Elia agro di Bagnara (RC), al superlatitante Saverio Rocco Santaiti, catturando così un boss di spicco della ‘ndrangheta calabrese; • il 14 agosto 2002, in Vibo Valentia, in sinergia con lo Squadrone Eliportato “Cacciatori d’Aspromonte” dell’Arma dei Carabinieri, il GOS, in seguito ad un rocambolesco inseguimento tra i tetti, cattura Leone Soriano, noto pluri-pregiudicato da tempo latitante, personaggio di rilievo del traffico di droga; • il 20 novembre 2002, unitamente a personale del S.I.S.D.E. e del Commissariato di Gioia Tauro (RC), il gruppo arresta il noto latitante Antonio Zagari nel Comune di Rosarno (RC); • nel dicembre del 2002 una squadra GOS viene inviata a Ventimiglia a disposizione del locale Commissariato per servizi mirati anticrimine, anti racket; • tra il gennaio e l’aprile del 2003, più volte vengono inviate squadre GOS presso il Commissariato di Ventimiglia per servizi vari anticrimine, in questo ambito venne catturata una nota latitante internazionale; • nell’ottobre del 2003 vengono aggregate presso la Questura di Bari squadre GOS per l’esecuzione di perquisizioni e servizi anticrimine volti alla repressione del fenomeno denominato “Sacra Corona Unita”. Quelli sopra citati sono solo alcuni tra i servizi di maggior rilievo espletati dal GOS, non sono state qui inserite le partecipazioni a numerose operazioni, su tutto il territorio nazionale, d’esecuzione di ordini di custodia cautelare in TNM ••• 096
carcere per motivi di spazio. Nell’ambito delle operazioni d’esecuzione degli ordini di custodia cautelare al GOS venivano affidati quegli arresti che comportavano delle oggettive difficoltà, sia per quanto riguardava il livello criminale e di pericolosità del soggetto, sia per le difficoltà materiale nel raggiungere gli obiettivi, oppure se questi erano ubicati in zone ed ambienti ostili alle FF. OO. In conclusione, si può affermare senza timore di smentita, che il gruppo nacque in seguito ad un ben preciso e delineato progetto, ideato e posto in essere dalla Direzione Centrale della Polizia Criminale; fu gestito, portato avanti e coordinato direttamente dal Servizio Controllo del Territorio, allora inserito in quella Direzione Centrale, da funzionari ministeriali altamente motivati ed esperti. Gli operatori che ebbero il privilegio di farne parte furono selezionati tra i
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migliori elementi a disposizione dei Reparti Prevenzione Crimine d’Italia, essi furono affidati a funzionari, sott’ufficiali ed istruttori, seri, motivati e professionalmente preparati. Un’esperienza professionale ed umana più unica che rara per la storia della Polizia di Stato, che si andò costruendo giorno per giorno attraverso l’abnegazione e lo spirito di servizio di poliziotti, altamente motivati, che dal nulla seppero creare un vero e proprio reparto d’elite. Questi uomini però, nonostante il loro quotidiano impegno, non riuscirono mai a vedere il progetto evolversi naturalmente in quello che avrebbero dovuto essere le prime “SWAT” italiane o “NOCS regionali”, come alcuni vollero dire. Infatti, con una decisione del Dipartimento della P. S., rimasta, ancor oggi, misteriosa ed incomprensibile, nonché in controtendenza con il resto del mondo, si volle cancellare
il “G. O. S.”. Da un giorno all’altro, quattro anni di sacrifici, impegno, successi operativi, esperienze acquisite sul campo, un notevole bagaglio di conoscenze, nonché ingenti spese di denaro pubblico, furono eliminati con un “colpo di spugna”. Siamo nel dicembre del 2003, non mancò un coro di proteste a vari livelli: politici, sindacali e giornalistici. Vi furono interrogazioni parlamentari, interviste televisive di disappunto, articoli indignati sui principali quotidiani locali, iniziative e proteste sindacali miranti alla riapertura dell’unità. Niente ebbe effetto. In quel Dicembre del 2003 alla criminalità organizzata, alla ‘ndrangheta, ai vari ricercati latitanti fu fatto trovare sotto l’albero un bellissimo ed apprezzato regalo di Natale: il “Gruppo Operativo Speciale” della Polizia di Stato, che tanto li aveva perseguitati in quegli anni, era stato smantellato per mai più ritornare! TNM ••• 097
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ripristinare il G.O.S.
Nel 2004 con un incomprensibile e alquanto immotivata decisione, il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, tutte le attività del GOS vengono sospese a data indefinita. E’ veramente incomprensibile come un gruppo che abbia riscosso grande apprezzamento tra tutti gli uffici territoriali della Polizia di Stato formato esclusivamente da seri professionisti dediti ai sacrifici più estremi e con un “ palmares “ invidiabile dalle polizie di mezzo mondo ( dal 2000 al 2003, sono stati eseguiti dal GOS ben 556 arresti, 11 dei quali latitanti, di cui 3 inseriti tra i primi 30 ricercati in ambito nazionale e 8 dei quali inseriti tra i primi 500 ) venga dalla sera al mattino cancellato con un poderoso colpo di spugna come se nulla fosse. Il GOS trovava il suo principio operativo nelle squadre S.W.A.T americane e prevedeva la costituzione di gruppi di intervento dislocati su tutto il territorio nazionale, costituendo in sostanza una validissima via di mezzo, tra le strutture di Polizia Ordinaria e i reparti antiterrorismo di punta italiani ( NOCS e GIS ), con la piena consapevolezza e senza la minima presunzione di sostituirli. Il G.O.S. rappresentava perciò, non un gruppo speculare al NOCS o al GIS (e, come tale, non sarebbe stato in grado di sostituirli), ma piuttosto un’unità a questi complementare, destinata alla cattura di soggetti pericolosi, per lo più in ambienti extraurbani TNM ••• 098
e impervi (fulgido esempio la Calabria, in cui il N.A.P.S. prima e il G.O.S. dopo, hanno positivamente lavorato) e a situazioni operative abbastanza complesse ma non drastiche però da dovere necessariamente impegnare il N.O.C.S. o il G.I.S, ivi di rado utilizzati. Alla luce di queste considerazioni, Sarebbe auspicabile ripristinare un’unità simile al GOS, un unità che possa cosi dare supporto tattico-operativo agli Uffici investigativi della Polizia di Stato che, sopratutto negli impieghi extraurbani (frequenti nel territorio calabrese). Ripristinare il GOS... per far fronte ad alcune esigenze operative in primis la cattura di soggetti “a rischio” come latitanti e/o pericolosi criminali d’arrestare, supporto in ordinanze di custodia cautelare, perlustrazione di territori rurali e montani sia per operazioni di p.g. che per soccorso pubblico, rintraccio di piantagioni di canapa indiana (della quale tra l’altro le montagne calabresi detengono il record europeo – fonte rivista MINERVA del marzo 2006 )...Ripristinare il GOS perchè non esiste un solo motivo realmente valido del perché sia stato sciolto. Passo e chiudo. Una piccola curiosità: quando il GOS fu sospeso , le più vibranti proteste, interrogazioni parlamentari e articoli di stampa, vennero dalla sinistra, anche la cosiddetta radicale e dalla CGIL.
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S ID A G A M V A R K T A B M O C E STAGE ISRAELI CLOS
‌ ero z a o n n sta Le chiacchiere Di Mirko Gargiulo
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Fedeli al motto “sempre in prima linea” TNM ha seguito da vicino il seminario di difesa personale che TNM stessa insieme alla ditta MadMax Co di Formello (Roma) ha sponsorizzato e patrocinato. Il corso riservato esclusivamente a professionisti si è svolto a Roma nel mese di maggio, più precisamente a Cesano Romano, presso le strutture del centro sportivo FIDIA. I due giorni di stage full-immersion, riservati esclusivamente ad appartenenti delle Forze dell’Ordine in servizio attivo, avevano come docenti il Direttore Tecnico di IDS Michele Farinetti e l’Istruttore Fabio R. La full immersion è stato organizzato da IDS Italia nella capitale per meglio rispondere alle richieste di tutti quegli operatori che, per motivi di lavoro e di tempo, non hanno la possibilità di recarsi alla sede principale di Savona. La mattina del primo giorno, dopo le presentazioni iniziali e un veloce briefing, nel quale sono stati illustrati il programma e gli obiettivi da conseguire al termine delle due giornate, è iniziato, diretto da Michele e Fabio, un veloce riscaldamento articolare, seguito poi dagli esercizi basilari di spostamento o footwork, che hanno preceduto l’addestramento vero e proprio. A seguire gli istruttori hanno preso in esame tutto
il lavoro inerente alle “Tattiche e Tecniche di Difesa Personale Professionale a mani nude sotto stress indotto, mirate alla sopravvivenza dell’operatore” (a cui TNM darà approfondito spazio in un prossimo report). Il programma denominato SRT® (Special Response Tactics) ha, quindi, iniziato a delinearsi con evidente soddisfazione degli “allievi”, tutti con esperienza operativa nel proprio settore e provenienti, per la maggior parte, dall’Arma dei Carabinieri e rappresentanti di altre Istituzioni come la Guardia di Finanza, la Polizia di Stato e anche un’aliquota femminile appartenente alla Polizia Municipale di Roma. L’intero seminario, intenso e ricco di concetti fondamentali per gli operatori della sicurezza, ha curato in modo particolare il giusto approccio psicologico alla difesa personale professionale, non tralasciando però i vari argomenti teorici, quali: gli stati di allerta/attenzione e relativo codice colore, il linguaggio del corpo ed il concetto di distanza operativa. La parte pratica ha posto enfasi su tematiche quali: le posture difensive, da usare nel pre-conflitto, l’uso delle nostre armi “naturali” (palmo, avambraccio, ginocchio, piede) da utilizzare nel conflitto, tecniche
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training report training report training report trai Michele Farinetti uno dei docenti del corso e direttore tecnico dell’IDS Italia
di atterramento e immobilizzazione nella fase di postconflitto. Ogni argomento affrontato è sempre stato suddiviso in due parti, all’inizio la fase di lavoro a coppie, con una logica progressione di tecniche a distanza ravvicinata, da eseguire prima lentamente per capire il meccanismo e poi a velocità reale. La seconda parte, invece, è stata caratterizzata dal vero e proprio lavoro sotto stress indotto, con i partecipanti portati a turno in condizioni di difficoltà psicofisica e a dover affrontare improvvisamente due aggressori; esercizi questi, che servono ad automatizzare gli schemi e le tecniche di risposta rapida. Il secondo giorno, iniziato con un rapido ripasso dei concetti e delle tecniche studiate il giorno precedente, ha visto gli allievi protagonisti di “simulazioni realistiche”, nuovamente affrontate sotto stress indotto; in questa fase gli operatori hanno lavorato le tecniche indossando il loro equipaggiamento e sono state ricreate varie situazioni ad hoc, dove l’addestramento al Krav Maga IDS e le sue fasi (pre conflitto - conflitto - post conflitto) è stato spostato nelle varie location che la struttura metteva a disposizione. Durante le pause abbiamo notato che la soddisfazione tra gli operatori derivava dal fatto che tutti erano riusciti a gestire “i circuiti” a cui erano stati sottoposti, dopo essere stati portati in condizione di stress con relativa perdita di lucidità, incluso il complicato problema della difesa da terra.
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Ecco le impressioni di alcuni corsisti che abbiamo raccolto a “caldo” durante le meritate pause di recupero: D.L: In qualità di Operatore professionista, posso dire che questo tipo di addestramento è molto utile in caso d’intervento su persone ostili. Ritengo che tali conoscenze, composte da poche ma efficaci tecniche sono applicabili in svariate situazioni operative, dovrebbero essere materia Adi studio in reparti di Istruzione. A.R: Il corso è stato perfettamente bilanciato in ogni sua parte, attraverso passaggi chiari e semplici. Si è capito cosa vuol dire addestrarsi nella Krav Maga e il vero concetto delle tecniche Israeliane. M.L: Che dire, ero ignaro di ciò che mi aspettava…ma sono contento di aver trovato finalmente la realtà! Ovviamente sono un neofita di questo sistema, però gli istruttori mi hanno fatto capire qual è il giusto approccio mentale, ho provato su me stesso, che in una situazione di pericolo anche quando pensi di non aver più risorse, invece riesci a tirar fuori ancora quell’energia che sicuramente farà la differenza... grandi… e splendido gruppo! F.U: Il corso è molto efficace, evitando l’eccesso di tecniche e gettando delle solide basi per delle risposte automatiche, abbiamo ricreato situazioni e condizioni di forte stress psicofisico.
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R.M: Tanta roba… diretto, immediato, utile, efficace… un plauso agli istruttori, che ci hanno fornito in poco tempo quelle tattiche e gli elementi essenziali, utili alla difesa personale, sia diretta sia a terze persone, certamente da organizzare un nuovo incontro. C.S: Sono d’accordo con R.M, stage molto interessante, istruttori seri e professionali, tecniche realmente utili per gli appartenenti alle FF.OO, sicuramente da approfondire C.G: E’ un’esperienza molto efficace, soprattutto costruttiva, gli insegnanti sono riusciti a coinvolgere il gruppo in maniera perfetta. Hanno ampliato ulteriormente il mio bagaglio professionale. R.C: Finalmente un corso composto di poche tecniche efficacissime, calibrate alla perfezione per operatori Law Enforcement. R.C: Impressioni su questo corso? Mi aspettavo il “solito stage” tanta teoria e poi tecniche impossibili da applicare nella realtà; Invece mi è piaciuto tutto, veramente, pochi concetti, molta pratica, tecniche di semplice acquisizione! L.S.: Era ora! Dopo anni ho finalmente scoperto quello che mi serviva; Tecniche reali, semplici ed efficaci, grazie…
migliori tecniche della scuola IDS Italia - Israeli Defence Systems e dalle metodologie di addestramento della Protect Israel del noto istruttore Itay Gil www.protectusa.com , infatti a Gerusalemme, nel suo Training Center, ogni anno si recano centinaia di operatori, provenienti anche dai più importanti enti governativi americani e molti militari dei reparti d’elite europei. TNM: Per concludere due domande agli istruttori, “perché uno stage di questo tipo?” Fabio R: Con iniziative di questo tipo cerchiamo di offrire ai partecipanti, sia per etica professionale che per osservanza legislativa dell’art 53 del C.P. – Uso legittimo delle armi e dei mezzi di coazione fisica - delle soluzioni pratiche, accessibili e reali, che in situazioni critiche possano fare la differenza e non fornire illusioni molto pericolose. Avendo l’onore di collaborare anche con il M° Itay Gil, cerchiamo di divulgare al maggior numero di operatori la giusta mentalità con le tecniche corrette ed usufruendo della sua grande esperienza professionale di evitare gli errori più comuni.
TNM: L’ultima domanda “Perché le Arti Marziali non Su questa ultima impressione raccolta ( quella di L.S ), gli sono idonee in contesti professionali? ” istruttori ci spiegano che le procedure e le tecniche SRT® Michele Farinetti: Se parliamo di autodifesa per civili nascono da uno studio e conseguente adattamento delle
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sicuramente aiutano, ma non sono la panacea, infatti le Arti Marziali per come le conosciamo noi oggi, cercano di rendere istintiva una reazione molto complessa, non naturale, solo dopo un costante addestramento si avranno dei risultati. A maggior ragione se parliamo di tecniche idonee per i professionisti che sono “obbligati a non cambiare scenario” la risposta diventa complicata, perché la difesa personale professionale per l’operatore della sicurezza dovrà tenere in considerazione numerosi fattori e variabili. Inoltre un problema oggettivo è che l’operatore di Polizia o Militare, salvo che non sia un cultore, non avrà a disposizione anni per allenarsi e, non me ne vogliano i Maestri, ma pensare, per esempio, che si possa addirittura disarmare un soggetto ostile solo con la tecnica giapponese, cinese o altre, significa illudere la gente. In realtà se l’aggressione è “vera” è già un buon risultato limitare i danni, mentre se l’attacco è portato con un coltello, il sopravvivere è l’obiettivo primario, per questo scopo sono nati altri sistemi, con tecniche e addestramenti specifici. Le nostre impressioni In definitiva possiamo dire che il corso è stato incentrato su tecniche semplici, le caratteristiche del seminario sono state la praticità, l’efficacia e la
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rapida acquisizione dei concetti e delle tecniche da parte di ogni operatore. A nostro giudizio, per quello che abbiamo visto, le tecniche SRT® sono il giusto compromesso per gli operatori delle FF.PP/FF.OO che lavorano in Italia, in questo caso quindi… “le chiacchiere stanno a zero…” Si ringrazia: Centro Sportivo A.S. Fidia – Via A. di Loreto,50 – CESANO (Roma) è posizionato strategicamente a nord est della Capitale, a 3 km dalla via Cassia bis e ad 8 dal lago di Bracciano. www.fidiaroma.it Michele Farinetti - Direttore Tecnico IDS Italia Israeli Defence Systems - Krav Maga - SRT® Close Combat, responsabile settore Krav Maga per FIAM (Federazione Italiana Arti Marziali), operatore Professionista della Sicurezza (Security Advisor e collaboratore agenzia investigativa), accreditato docente presso Scuola Interregionale Polizia Locale (Liguria/Toscana/Emilia Romagna.), consulente di Close Combat per vari reparti FF.AA / FF.OO, consulente tecnico di “Sicurezza a bordo” per Compagnie Aeree (Eurofly-Meridiana-Air Dolomiti). www.ids-italia.com
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Di Antonello tiracchia - fo
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FORCE TASK FORCE shooting TASK FORCE TASK FORCE TASK FORCE TASK FORCE GRIFO 10 Herat Il tenente colonnello Armando Ceci con il suo staff. ANSA/GIUSEPPE LAMI
Ora andrò lontano su al Nord, a giocare al Grande Gioco… (Rudyard Kipling, Kim, 1901)
GRIFO
Il tracciato della Ring Road sta li praticamente da sempre. È stato percorso e battuto da asini, muli, cavalli e cammelli carichi delle salmerie delle truppe al seguito di Alessandro Magno o di Tamerlano, oppure da carovane che trasportavano merci e spezie attraverso l’immensa estensione dell’Asia centrale, lontana dai traffici marittimi come la terra dal cielo e di cui l’Afghanistan è tuttora il crocevia geografico. Nel XVIII secolo il tracciato della Ring Road è stato percorso dai coraggiosi soldati e agenti inglesi della Compagnia delle Indie, abilmente camuffati da mercanti di cavalli o straccioni e dai loro antagonisti, gli altrettanto coraggiosi e determinati agenti degli Zar, in quella grande epopea durata oltre un secolo che ha visto l’Inghilterra e la Russia confrontarsi per ottenere il dominio dell’Asia centrale e che Rudyard Kipling ha chiamato il “Grande Gioco”. Una storia solo apparentemente lontana invece attualissima ed indispensabile per capire questa terra e questa gente, una storia magistralmente descritta nel libro di Peter Hopkirk che si intitola proprio “Il Grande Gioco” e che praticamente tutti i comandanti della coalizione ISAF prima o poi leggono ed a volte alcuni di quelli che lo hanno fatto dopo si rammaricano per non averlo fatto prima! Sulla Ring Road l’Afghanistan ha scritto la sua storia o, forse più precisamente, è stata la strada stessa a farlo in un flusso millenario di commerci, di imboscate, di raggiri, di tragedie e di guerre che ha attraversato il suo percorso senza soluzione di continuità per migliaia di anni, sino al 1949 quando, con l’ultima carovana proveniente dall’India attraverso i passi del Karakorum, si è chiusa un’epopea millenaria. Tra la fine del 2010 e l’inizio dell’anno durante una mia permanenza in Afghanistan mi ero portato con me una copia del libro di Hopkirk che ho continuato a leggere in attesa degli scomodi spostamenti sui mezzi militari o nelle soste in basi avanzate verso il Gulistan. Insieme al fotoreporter Giuseppe Lami, anche lui attratto dalla storia di queste terre piene di fascino ed in grado di suscitare profonde emozioni, durante i trasferimenti in elicottero cercavamo di identificare i numerosissimi
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TASK FORCE TASK FORCE shooting TASK FORCE TASK FORCE TASK FORCE GRIFO 10 - Herat Fasi dell’addestramento per creare un posto di blocco con relativa perquisizione dell’auto ed arresto dei due presunti trafficanti di droga. ANSA/GIUSEPPE LAMI
sentieri millenari che da sperduti villaggi conducono, attraverso una consolidata ramificazione di percorsi, alla Ring Road ed ai numerosi caravanserragli che segnavano il percorso di questa strada le cui tracce antiche sono ormai diventate elementi naturali incastonati nel terreno. In Afghanistan per il momento non ci sono ferrovie - l’unica in progetto potrebbe essere finanziata e costruita dalla Cina in cambio di sfruttamenti minerari di rame e di litio - e si capisce pertanto come ancora oggi il controllo dei 3300 chilometri della Ring Road sia essenziale per i rifornimenti, il commercio e la governance dell’Afghanistan. Non è certo per caso se il suo ripristino, non ancora completato soprattutto nel nord e la sua messa in sicurezza sono stati e sono obiettivi strategici primari dei contingenti Enduring Freedom ed ISAF. La Ring Road virtualmente si dirama da Kabul, a sua volta collegato a sud con il Pakistan attraverso il Khyber Pass e salendo verso nord raggiunge, TNM ••• 110
attraversando l’Hindu Kush, la città di Masar-i-Sharif. Costeggiando i confini settentrionali dell’Aghanistan con il Tajkistan, l’Uzbekistan e il Turkmenistan conduce a Herat da cui ridiscende verso sud lasciando alla sua destra il confine iraniano. Ancora più a sud attraversa Delaram e quindi Kandhar che a sua volta è collegata al Pakistan attraverso la strada che unisce Spin Boldak a Chaman. In questo tratto di strada risalgono dal porto pakistano di Karachi i lunghi convogli di camion carichi di carburante, materiale edile, macchinari, merci e derrate alimentari indispensabili per la logistica della coalizione ISAF e per la sopravvivenza dello stesso Afghanistan. Nonostante un formidabile sistema di sorveglianza e di controllo molti di questi convogli vengono attaccati o sottoposti dietro minaccia delle armi al pagamento di pedaggi da parte degli insurgens e molti camion vengono distrutti o fatti letteralmente sparire. Il tratto che chiude l’anello unendo Kandahar a Kabul confina a sud-sud est con i territori delle FATA
FORCE TASK FORCE shooting TASK FORCE TASK FORCE TASK FORCE TASK FORCE GRIFO 10 - Herat - Fasi dell’addestramento per creare un posto di blocco con relativa perquisizione dell’auto ed arresto dei due presunti trafficanti di droga. ANSA/GIUSEPPE LAMI
(acronimo che sta per Federally Administered Tribal Areas) in pratica vastissimi territori isolati ed impervi, solo virtualmente sotto il dominio pakistano ma di fatto impenetrabili a chiunque e governati dalle diverse tribù pashtu che li abitano; territori di cui nessuno occidentale parla perché nessun occidentale li visita da anni e quelli che hanno provato a farlo non sono mai tornati indietro a raccontare cosa avevano visto. Questa introduzione ci aiuta a capire come l’orografia e la posizione geografica abbiano segnato in modo deciso le sorti dell’Afghanistan e dei suoi abitanti, ancora divisi tra di loro da pregiudizi tribali e concetti di casta, ma soprattutto può aiutare a comprendere l’entità dello sforzo economico ed organizzativo che stanno compiendo le 48 nazioni - sulle 201 che costituiscono il Pianeta - che operano all’interno della coalizione ISAF della NATO sia con forze militari che attraverso organizzazioni umanitarie. Perché, è bene ricordarlo, il compito che si è prefisso la comunità internazionale una volta abbattuta la teocrazia talebana è quello della ricostruzione di una nazione totalmente priva di qualsiasi struttura amministrativa, civile, sanitaria, scolastica e sociale. Per esempio non è ancora possibile conoscere con esattezza il numero
degli abitanti dell’Afghanistan perché non esiste di fatto un archivio anagrafico del paese e solo una minima percentuale valutata intorno al 5% è scolarizzata e un’altra minima parte è in grado di leggere e scrivere. Eppure nonostante le situazioni di estrema povertà e di disagio civile e sociale causate da trenta anni di guerra è un paese in cui è possibile respirare l’aria della speranza che anima un’elite formata da donne e uomini intelligenti e preparati sotto il profilo professionale e per niente disposti a sottomettersi ancora una volta alle imposizioni e alle angherie dell’integralismo islamico e della shari’a. La neonata Repubblica Islamica dell’Afghanistan nonostante la sua volontà di cambiamento si trova di fronte un nemico subdolo e determinato, feroce e privo d scrupoli, motivato e coraggioso che ha nel proprio DNA i geni della guerra e che è praticamente mimetizzato nella normale anormalità di questa nazione. In questo scenario il controllo dei confini, delle arterie di comunicazione e dei passi rappresenta una delle cause del dramma afghano. Infatti se la sicurezza dei traffici è l’obiettivo primario del governo di Kabul si deve considerare il fatto che questo è esattamente l’opposto di ciò che vogliono i talebani, i TNM ••• 111
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signori della guerra, i signori della droga e almeno un’altra dozzina di realtà armate, spesso in lotta tra di loro o episodicamente tra loro alleate. ISAF definisce genericamente queste bande armate insorgenti perché è praticamente impossibile identificarle secondo schemi comuni e farne un censimento preciso e attendibile. Il loro obiettivo principale è conservare e possibilmente ampliare lo stato di insicurezza ed il controllo del territorio al di fuori di qualsiasi forma di governance che non sia la loro, non solo perché così ricavano lucrose ed illegittime esazioni ma grazie a questa dimostrazione di forza e di potere ricattano ed assoggettano le popolazioni rurali ai loro voleri. Esattamente come fanno le organizzazioni criminali e mafiose. Herat è situata sulla Ring Road vicino al confine con l’Iran da cui è collegata a ovest dall’importante passo di Islam Kara e a nord con il Turkmenistan, con cui è collegata tramite il punto di frontiera di Kara Tepe. La città di Herat per il clima e soprattutto per la sua posizione geografica è da sempre la più ricca dell’Afghanistan e TNM ••• 112
da quando si è insediato il Regional Comand West (RC-W) nella città è sorta un’area produttiva dove si sono inserite centinaia di nuove attività industriali che a loro volta trainano un caotico ma vitale sviluppo commerciale. A Herat la Cooperazione italiana e il PRT (Provincial Reconstruction Team) hanno costruito scuole, ospedali, strade, ponti, rinnovato il carcere femminile, finanziato il restauro della Moschea Blu, aperto alle donne l’attività giornalistica e universitaria. Per questo motivo gli italiani ad Herat sono un obiettivo dei talebani! A pochi chilometri dalla città c’è l’aeroporto civile inglobato all’interno di quello militare e della vastissima base di Camp Arena, dove ha sede il RC-W che oltre quella di Herat include le province di Baghdis, Farah e Ghor. Il compito primario del RC-W attualmente sotto il comando della Brigata Folgore è quello di provvedere alla sicurezza di un territorio grande come l’Italia del nord per permettere la costruzione di nuove opere pubbliche e garantire una vita amministrativa, economica e sociale in relativa sicurezza. Tutte le operazioni militari sono
FORCE TASK FORCE shooting TASK FORCE TASK FORCE TASK FORCE ASK FORCE GRIFO 10 – Herat Alcuni dei manuali redatti e stampati dalla Guardia Di Finanza per il corso di formazione dell’Afghanistan Border Police. ANSA/GIUSEPPE LAMI
sempre condotte da reparti afghani affiancati da reparti ISAF pronti ad entrare in azione se necessario, essendo il loro obiettivo quello di rendere quanto prima efficiente ed autonomo sia l’esercito che la polizia afghana. In questo percorso verso l’autonomia militare e amministrativa è determinante il compito degli OMLT (Operational Mentoring and Liason Teams), che sono particolari reparti NATO a cui è affidata la formazione e l’istruzione dell’ANA (Afghanistan National Army) affiancando i reparti in consegna sino al combattimento. La polizia viene invece istruita ed affiancata dai POMLT (Police Operational Mentoring and Liason Teams) che nel caso della provincia di Herat sono costituiti da carabinieri. Per spiegare in modo sintetico l’attività di mentoring si potrebbe dire che in questo caso il concetto “armiamoci e partite” viene sostituito da “armiamoci e partiamo”. Infatti i mentors si affiancano ai loro omologhi afghani in tutte le attività formative ed operative e li seguono e supportano sino all’eventuale combattimento. Tra queste due realtà tipicamente militari ne esiste un’altra portata avanti ormai dal 2006 da uno speciale reparto della Guardia Di Finanza italiana denominato Task Force Grifo. Il compito principale di questo reparto è quello di addestrare i poliziotti dell’ ABP (Afghan Border Police) di fatto un reparto di polizia tributaria e doganale nato in questi ultimi anni ed ispirato ad analoghe realtà europee. Il compito dei finanzieri della Grifo non è
TASK FORCE GRIFO 10 - Herat lezione in aula. ANSA/GIUSEPPE LAMI
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sopra: TASK FORCE GRIFO 10 - Herat - Fasi dell’addestramento per creare un posto di blocco con relativa perquisiz ione dell’auto ed arresto dei due presunti trafficanti di droga. ANS A/GIUSEPPE LAMI
quindi quello di migliorare un iter formativo già esistente ma di creare radicalmente un nuovo nucleo di polizia che sia in grado di assumere il controllo e la gestione dei traffici doganali che costituiscono per il momento l’unica entrata economica per il Governo della Provincia di Herat; tra l’altro come abbiamo visto questa entrata economica è di fatto contesa con gli insorgenti. Quello della Grifo è pertanto un obiettivo ambizioso frutto di un trattato bilaterale tra l’Italia e il Governo afghano e che dal 2006 ad oggi ha permesso la formazione e l’istruzione di più di 700 tra agenti dell’Afghan Border Police e funzionari delle Dogane afghane. Alcuni di questi agenti sono donne e questo è un segnale di cambiamento molto forte in una società arcaica e maschilista guidata da un’applicazione radicale e repressiva della religione. Task Force Grifo è composta da un comandante, di solito un tenente colonnello, un ufficiale addetto e 14 finanzieri tra marescialli e graduati. Il reparto è totalmente autonomo per quanto riguarda l’attività didattica e la mobilità operativa mentre è di fatto inserito nella struttura logistica ed organizzativa della base di Camp Arena gestita dall’Esercito. Ogni 6 mesi, secondo il ciclo di ricambio comune a tutti i reparti militari italiani che operano in Afghanistan, i finanzieri della Grifo vengono sostituiti. Probabilmente un ciclo di permanenza più lungo permetterebbe di capitalizzarne meglio i risultati ma è anche vero che non sono pochi 6 mesi passati lontano dagli affetti famigliari, vissuti in
FORCE TASK FORCE shooting TASK FORCE TASK FORCE TASK FORCE TASK FORCE GRIFO 10 - Herat - Fasi dell’addestramento per creare un posto di blocco con relativa perquisizione dell’auto ed arresto dei due presunti trafficanti di droga. ANSA/GIUSEPPE LAMI
TASK FORCE GRIFO 10 – Herat - I ‘’metodi molto coinvolgenti’’ del Cap. Alessandro Alberioli Vice Com. Task Force GRIFO 10, per superare la barriera della lingua. ANSA/GIUSEPPE LAMI
condizioni di disagio secondo il ritmo dei pesanti turni operativi di teatro perché per i militari in missione, di fatto attivi 24 ore su 24, il concetto delle “8 ore lavorative cinque giorni alla settimana” non riesce a trovare un’applicazione reale. Questa esperienza afghana lunga, complessa ed impegnativa oltre ad incidere in modo notevole sull’evoluzione delle nostre Forze Armate è per i singoli soldati di qualsiasi grado e ruolo una forte esperienza professionale ed umana. Così anche molti finanzieri quando possono compiono più di una missione aumentando sia il bagaglio di esperienze che l’efficacia del loro intervento in teatro, come ci ha detto il tenente colonnello Armando Ceci, comandante di Task Force Grifo 10 che abbiamo incontrato i primi di gennaio ad Herat e che era alla sua seconda missione in Afghanistan. Gli agenti afghani della ABP che partecipano ai corsi della Grifo vengono precedentemente reclutati e formati militarmente da un’apposita struttura afghana pertanto quelli che arrivano a frequentare il corso hanno già passato una selezione operata da poliziotti più esperti. Alcuni funzionari ed ufficiali della Afghanistan Border Police dotati dei necessari requisiti culturali e professionali praticano un corso ben più lungo e impegnativo presso il centro di formazione e specializzazione della Guardia di Finanza di Orvieto. Gli argomenti trattati dai formatori della Task Force Grifo durante i corsi sono coordinati con le autorità afghane e durano normalmente quattro
TASK FORCE GRIFO 10 – Herat Scene del centro di addestramento della Task Gorce Grifo 10. ANSA/GIUSEPPE LAMI
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Tagikistan
Turkmenistan
Iran
Herat
Andkhoy Maimana Qaisar Gormach Bala Murghab Leman
Cina
Kabul
Afghanistan Kandahar Strada Tratti incompleti
Pakistan settimane durante le quali esercitazioni sul campo si alternano ad un’intensa attività didattica in aula. Si studiano materie come elementi di diritto penale, normative doganali, i limiti dei poteri di polizia, nozioni di diritto internazionale e di cultura civica. I volumi tecnici – tra cui il Codice Penale e la Costituzione afghana - che vengono utilizzati durante il corso sono stati redatti da personale della Guardia di Finanza che ne ha poi curato la stampa nella lingua ufficiale afghana e in inglese. Il tenente colonnello Armando Ceci quando ce li mostra è visibilmente soddisfatto e noi crediamo di individuare nel suo sguardo anche un pizzico di orgoglio. Infatti è la prima volta che accade che una nazione ISAF si sia fatta carico di un progetto così impegnativo e ci tiene inoltre a sottolineare, cosa che credo ignori la totalità degli italiani, che il Codice Penale e la Costituzione della Repubblica Islamica dell’Afghanistan sono ispirati agli analoghi testi iraniani a loro volta fortemente influenzati (si potrebbe dire ricalcati) da quelli italiani. Una parte del corso teorico è rivolto a sensibilizzare gli allievi sui problemi che derivano dalla corruzione dei pubblici ufficiali ed a riguardo è interessante questa intervista informale ad un ufficiale italiano della Guardia di Finanza che a Kabul fa parte del sistema Europol, costituito da TNM ••• 116
funzionari di polizia di varie nazioni europee, con il preciso compito di ridimensionare ed arginare il diffusissimo fenomeno della corruzione dei pubblici ufficiali. La testimonianza è stata raccolta dalla giornalista Anna Rolli e diffusa da Agenzia Radicale. “Appena giunto a Kabul, un colonnello afgano con cui condividevo l’ufficio mi chiese di raccontargli come avevo fatto carriera in Italia e come ero riuscito a raggiungere il grado di maggiore. Io, ovviamente, ho risposto che mi ero molto applicato nello studio, facendo di tutto per farmi stimare e apprezzare per il mio impegno e così un po’ alla volta ero stato ricompensato. Il colonnello mi ha ascoltato con attenzione e poi mi ha raccontato la sua storia. Quando era un semplice soldato si dedicava alle estorsioni, prendeva mazzette dai civili in ogni occasione, però non le teneva per sé ma le divideva con tutti i suoi comandanti; grazie a questo comportamento di “lealtà” i suoi capi lo avevano promosso e di grado in grado era arrivato a quelli più elevati. Il colonnello me lo ha raccontato per spiegarmi qual era il problema principale che dovevamo affrontare: l’attività investigativa sulla corruzione dei poliziotti. Siamo molto impegnati nella lotta alla corruzione e il governo afgano è cosciente
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Missione Multinazionale Isaf, colonna mezzi Lince e Dardo. ANSA/GIUSEPPE LAMI
del problema. Con i colleghi tedeschi, rumeni, americani, spesso saltano fuori delle differenze tra gli ordinamenti. Gli afgani lavorano con il codice di procedura penale introdotto nel 2004 come transitorio e in attesa di approvazione definitiva, è copiato da quello iraniano, copiato a sua volta da quello italiano, di fatto lo abbiamo scritto noi italiani e quindi lo capiamo bene. Purtroppo però, nelle corti, i loro magistrati a volte non hanno basi culturali adeguate e spesso sono soltanto analfabeti che applicano la shari’a.” Uno dei problemi che devono affrontare i finanzieri della Grifo durante le loro lezioni è quello della lingua. Gli interpreti che conoscono l’italiano sono pochissimi per cui le lezioni vengono tenute in inglese e tradotte poi in pashtu e certamente questo non aiuta a trasferire quelle accortezze linguistiche che contribuiscono a creare il necessario coinvolgimento tra docente ed allievi. Le attività pratiche sul campo comprendono il maneggio delle armi in azioni di polizia e di ordine pubblico, tiro, controllo della folla, individuazione e segnalazione degli IED, attività tattiche e di polizia come posti di blocco, perquisizioni personali e di automezzi e fasi di arresto. In varie occasioni sono state addestrate le squadre di agenti dell’ABP destinate ad operare all’aeroporto civile di Herat il cui traffico, proprio grazie al miglioramento della sicurezza e della situazione economica, aumenta continuamente. Tutte le attività con le armi, escluso naturalmente il poligono, vengono effettuate con simulacri e questo non solo per non usurare
inutilmente le armi reali. Da quando la fase di arruolamento nell’esercito e nella polizia ha incominciato fare presa su molti giovani afghani gli insorgenti hanno inserito tra questi molti infiltrati che di solito non vengono scoperti sino a quando non è troppo tardi. Inoltre gli insorgenti quando con la loro organizzata rete di informatori individuano qualche elemento rispettoso delle leggi coraniche, dotato di carisma e particolarmente capace lo blandiscono offrendogli il doppio della sua paga di soldato o di poliziotto oppure minacciando in modo sempre più diretto esponenti della sua famiglia. Ad un osservatore attento risulta quindi chiara la disposizione ed il ruolo che assumono i finanzieri durante le lezioni sia in aula che sul campo. Alcuni elementi sono sempre defilati ma in posizioni che permettono il controllo della situazione e con la mano sempre casualmente appoggiata alla Beretta, pronti ad intervenire. Solo questo aspetto basterebbe a spiegare la complessità del lavoro che viene svolto dai finanzieri della Task Force Grifo qui a Herat e di cui in Italia non se ne parla mai. Ma del resto si parla poco e spesso a sproposito anche di tutte le altre attività svolte dai nostri militari del Regional Coman West. Prima di natale Daud Saba, il governatore di Herat, ha visitato Camp Arena e nel suo discorso di ringraziamento ha tenuto a precisare ai reparti schierati a “Piazza Italia 150” che il 95% delle entrate fiscali della provincia di Herat derivano dalle attività doganali. Probabilmente il più gratificante e meritato riconoscimento che hanno ricevuto i finanzieri della Task Force Grifo 10 in missione ad Herat! TNM ••• 117
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GUARDIA DI FINANZA La Guardia di Finanza è il più antico corpo militare delle Stato. Fu infatti fondato nel 1774 da Vittorio Amedeo III duca di Savoia, Piemonte e Aosta e re di Sardegna con il compito di controllo delle frontiere e con il nome di Legione Truppe Leggere. Nel corso degli anni con le mutate esigenze organizzative del regno Sabaudo e poi del neonato regno d’Italia il reparto ha visto cambiare i ruoli ed i campi di intervento diventando un reparto di polizia doganale con mansioni anche amministrative per contrastare il contrabbando e per sopperire all’inefficienza della riscossione dei dazi doganali affidata sino ad allora ad agenti privati. Nel 1881 con l’istituzione delle intendenze di finanza che inglobavano le attività delle dogane il reparto prese il nome di Corpo della Regia Guardia di Finanza per diventare nel 1907 un reparto militare a tutti gli effetti caratterizzato dalle mostrine gialle Generale della Guardia di Finanza con inserita le stellette, Nino Di Paolo simbolo dei corpi militari, e dal colore grigioverde dell’uniforme che entro il 2012 sarà sostituito con il grigio. Come l’Arma dei Carabinieri anche la Guardia di Finanza rappresenta una realtà tipicamente italiana che non uguali in altre nazioni svolgendo un mix di funzioni di polizia, di controlli fiscali ed amministrativi, di compiti militari e di intelligence. Pur potendo di fatto operare a tutto campo come corpo di polizia giudiziaria la Guardia di Finanza è specializzata in quei reati contro il patrimonio come l’evasione fiscale, il contrabbando, il riciclaggio, le truffe finanziarie, il contrasto al traffico di droghe e al traffico internazionale di armi facendo ricorso ad elementi selezionati inseriti in reparti speciali le cui sigle (come per esempio lo SCICO, il GICO, il GOA e l’ATPI) ricorrono continuamente nella cronaca giudiziaria e che visiteremo quanto prima per dedicargli l’attenzione che si meritano. La peculiarità della Guardia di Finanza è data dal fatto che pur essendo a tutti gli effetti un corpo militare di Polizia dello Stato a sua volta integrato nelle Forze Armate dipende dal Ministro dell’Economia e delle Finanze e questo fatto concede al Corpo notevoli libertà ed autonomie operative. Attualmente la Guardia di Finanza
ha un organico di 68 mila uomini che hanno una presenza capillare nelle regioni e nelle province; formalmente recluta i propri dipendenti in due contingenti, il cosiddetto ramo terra, che annovera la maggioranza dei finanzieri, compreso il Servizio Aereo della Guardia di Finanza dotato di elicotteri e velivoli ad ala fissa ed il ramo mare che inquadra il personale impiegato nel Servizio Navale della Guardia di Finanza dotato di motoscafi e vedette veloci. La struttura organizzativa e operativa del Corpo è molto complessa ed in genere è formata da personale specializzato che svolge ruoli estremamente variegati che spaziano dal soccorso alpino a vere e proprie attività di humint (human intelligence) anche all’estero. Dal 1959 esiste l’Accademia della Guardia di Finanza, che dopo qualche anno è stata trasferita da Roma a Bergamo. Da questa vera e propria università di eccellenze escono gli ufficiali ed i dirigenti del corpo anche se, proprio per rimarcare la sua estrazione e dipendenza militare, sino al 2010 il Comandante Generale della Guardia di Finanza è sempre stato un Generale di Corpo d’Armata dell’Esercito Italiano. Il 3 giugno 2010 infatti con un’apposita legge dello Stato, sviluppata dalla commissione Difesa e da quella delle Finanze, è stato stabilito che anche i membri della Guardia di Finanza potessero ricoprire il ruolo di Comandante Generale, creando però notevoli critiche tra molti esponenti della sinistra e tra i radicali perché, a loro giudizio, aumenterebbe l’indipendenza ed il già notevole potere del Corpo nei confronti dell’apparato istituzionale. Attualmente il comandante generale della Guardia di Finanza è dal 23 giugno 2010 il Generale di Corpo d’Armata Nino Di Paolo, di fatto il primo finanziere ad ottenere questo incarico. La Guardia di Finanza ha una lunga storia di agonismo sportivo con agenti atleti anche olimpionici che inquadrati nel Centro Sportivo Fiamme Gialle primeggiano a livello internazionale in moltissime discipline. Oltre alle armi usuali delle nostre Forze Armate come la pistola Beretta 92 FS, la pistola mitragliatrice PM12 S2 ed il fucile d’assalto SC70/90 i reparti speciali del Corpo utilizzano il fucile a pompa Franchi SPAS-12 ed i fucili di precisione Mauser SP86 e H&K PSG-1, la pistola mitragliatrice H&K MP5 anche in versione silenziata ed il lanciagranate da 40 mm M-203PI. Naturalmente per azioni speciali e sotto copertura utilizzano armi altrettanto speciali e “riservate”. La Guardia di finanza è il corpo di Polizia dello Stato con il maggior numero di decorazione, la sua festa è il 21 giugno, giorno di San Matteo. Nello stemma araldico della Guardia di Finanza è presente il grifone da qui il nome della Task Force Grifo. TNM ••• 119
COLTELLI TATTICI COLTELLI TATTICI COLTELLI TATTICI COLTELL
Sua Robustezza:
Il Fulcrum Folder II T Di Galdino Gallini e Antonio Merendoni - Foto di Max Masala Il coltello è uno strumento basilare ed indispensabile per coloro devono affrontare una situazione operativa per motivi lavorativi o ludici. Durante la scelta dell’equipaggiamento ci i trova a dover scegliere tra un coltello a lama fissa, generalmente robusto ma ingombrante, o un chiudibile, più facile da occultare ma meno affidabile se usato in condizioni gravose. La resistenza del prodotto anche alle sollecitazioni più rovinose è sempre stato il traguardo più ambito dai progettisti dell’Extrema Ratio e quando, alla fine degli anni ’90, una unità antiterrorismo italiana ha richiesto un coltello a lama chiudibile con struttura solida ed affidabile al pari di un buon lama fissa i tecnici della Casa di Prato hanno accettato la sfida ed hanno creato il Fulcrum Folder. Inoltre il coltello doveva avere delle dimensioni tali da poter essere contenuto in una giberna porta caricatore della Beretta 92. Il Fulcrum soddisfò pienamente le aspettative del personale operativo ma, nel 2005, il coltello TNM ••• 120
venne sottoposto ad un leggero restiling che ne migliorò sia la funzionalità che l’estetica. Il nuovo modello, ancora oggi in produzione, venne denominato Fulcrum II ed è disponibile con lama in conformazione “Tanto” ( Fulcrum II T ) o con lama “Drop Point” ( Fulcrum II D ). L’impatto visivo è molto impressionante: ci si rende subito conto della robustezza di questo strumento da taglio. La linea è molto moderna ed aggressiva e la finitura nera opaca non lascia dubbi sulla sua destinazione d’uso. La lama è lunga 95 mm. Lo spessore è più di 6 mm. e l’altezza massima è 26 mm. La punta della versione tanto riesce ad essere abbastanza acuminata grazie alla pronunciata inclinazione della parte distale del dorso. Questa parte è smussata in modo tale da formare un filo dorsale non affilato ( falso filo ) che concorre anch’esso ad incrementare le capacità di perforazione di questa lama. Comunque l’angolo formato dal taglio della punta ed il dorso della lama non è eccessivamente
COLTELLI TATTICI COLTELLI TATTICI COLTELLI TATTICI COLTELLI TATT
acuminato, così da offrire una buona resistenza in caso di torsione, leva forzata o caduta accidentale. Il filo è misto: la metà prossimale all’impugnatura è seghettata mentre la metà distale è piana. Il dorso della lama, nel punto in cui si raccorda con l’impugnatura, offre un comodo e funzionale punto di arresto per il dito pollice e presenta anche un nottolino bilaterale per l’apertura ad una mano della lama. Nel caso in cui l’utilizzatore preferisca una lama priva di asperità, il nottolino può essere rimosso svitando la brugola che lo fissa nella sua sede. L’impugnatura è in lega di alluminio ed è nera opaca antiriflesso grazie ad un processo di sabbiatura ed anodizzazione. L’estremità antero-inferiore presenta un rilievo molto accentuato che scongiura la possibilità di scivolamento in avanti della mano. Seguono due incavi che facilitano il raggiungimento del nottolino per l’apertura della lama. L’estremità posteriore termina con uno “skull crasher” o “frangi
cristalli” nel quale è stato praticato un foro per il laccio da polso. Il Fulcrum è un Lock Back folder. Pertanto sul dorso dell’impugnatura c’e la leva zigrinata che comanda lo sgancio della lama. L’Extrema Ratio ha studiato anche un sistema per trasformare questo chiudibile in un lama fissa: la leva di sgancio può essere bloccata mediante un piccolo pulsante trasversale che impedisce la chiusura involontaria della lama durante l’utilizzo forzato. Questo sistema non è gradito da tutti in quanto bloccare la lama in posizione di apertura può essere sicuramente utile ma il pulsante può anche bloccare la lama in posizione di chiusura. In questo caso, se si tenta inavvertitamente di aprire il coltello, si danneggia inevitabilmente il meccanismo. Va però precisato che anche il pulsante trasversale può essere rimosso mediante una vite a brugola. Infatti il Fulcrum Folder è completamente smontabile e tutte le sue parti sono assemblate mediante una serie di viti facilmente rimovibili. Questo rende possibile una pulizia accurata e l’eventuale sostituzione delle componenti danneggiate. Tutte le componenti possono essere richieste direttamente alla Fabbrica o, in alternativa, il coltello può essere spedito alla Casa produttrice per una revisione tenendo presente che ogni prodotto è coperto da garanzia. Il Fulcrum è anche dotato di una robusta clip reversibile sui due lati. L’acciaio utilizzato per la lama è l’N690 e raggiunge una durezza di 58 HRC. L’affilatura è eseguita manualmente e l’angolo del filo, unitamente all’angolo dei biselli, gli conferisce una capacità di taglio non eccessiva ma sufficiente per svolgere lavori fini. Pertanto questo coltello è sicuramente un’ottima scelta per chi necessita un attrezzo adeguato alle condizioni d’uso più estreme. Come abbiamo detto, la lama è lunga 95 mm. e la lunghezza del coltello aperto è 223 mm. Quando è chiuso misura 130 mm e lo spessore è 16 mm. se si esclude l’ingombro della clip e 20 mm. compresa la clip. Il coltello, grazie alla lega d’alluminio utilizzata per l’impugnatura, pesa 200 grammi. Non è poco ma non è possibile scendere sotto questo valore mantenendo le stesse caratteristiche di solidità. Il Fulcrum II è disponibile anche con lama drop point. In questa versione il filo della lama è completamente piano e si presta maggiormente ad un utilizzo venatorio. In ogni caso questo coltello taglia quasi come un rasoio, è forte come uno scalpello ed averlo in dotazione è sicuramente motivo di tranquillità e sicurezza. (Si ringrazia Rudy della Coltelleria Collini). TNM ••• 121
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YOGA Di Decimo Alcatraz
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FORZA, MOBILITà, CONCENTRAZIONE Ciò che serve per non rimanere a terra
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Fate un test: pensate ad uno spec ops team ed abbinate degli esercizi per il suo condizionamento fisico. Quelli tra voi che hanno risposto corsa, flessioni, trazioni sono gli “Hollywood Victims”: siete la maggior parte, non temete, siete quelli che associano le immagini di Full Metal Jacket, di Soldato Jane o di Ufficiale e Gentiluomo. Se avete risposto kettlebell, clubbell e bodyweight entrate di diritto nell’evoluto gruppo dei “Tactical Fitness Adopters”: siete pronti per un boot camp di moderno military fitness. Ma se c’è qualcuno tra voi che, pensando ai Navy Seals che piombano come falchi su Osama, ha abbinato la parola yoga, allora siete nel novero dei pazzi, dei visionari o... dei precursori! Ci sono termini e concetti che a prima vista paiono in assoluta contraddizione: militare e yoga appartengono a questa categoria. Suonano con frequenze troppo diverse, creano un’evidente dissonanza cognitiva, che infastidisce, disturba e altera la percezione. Eppure lo yoga è entrato a pieno diritto nei protocolli di condizionamento psicofisico di alcuni dei più titolati gruppi speciali al mondo e tutto lascia intendere che il contagio si espanderà presto a molti altri. Gli ambiti in cui lo yoga si adatta e risolve alcune delle principali esigenze del mondo militare sono fondamentalmente 3: • acquisizione di maggior forza resistente per i muscoli, incremento della mobilità articolare, aumento della capacità respiratoria, in fase di addestramento durante la formazione prima dell’impiego operativo;
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• riduzione dei tempi di recupero dallo stress fisico e psicologico durante la fase di ingaggio in contesto; • gestione della possibile fase post traumatica al rientro dal campo di battaglia. Per meglio comprendere cosa e come lo yoga possa integrare e completare la fase di condizionamento fisico e mentale, funzionale alla miglior preparazione di un operatore delle forze speciali, è necessario sgombrare la propria testa dagli stereotipi. Lo yoga non è quella disciplina contemplativa e meditativa che immediatamente si abbina alla posizione del loto, a gambe incrociate ed all’emissione di un ritmato mantra in stile Omm! O meglio: non è solo questo! Lo yoga è una complessa disciplina che abbina corpo, mente ed anima e si struttura su 8 stadi: i due più conosciuti in occidente sono Asana, le posizioni o posture, e Pranayama, incentrata sulla respirazione. Nel corso degli ultimi anni, per meglio rispondere al concetto occidentale di fitness, si è sviluppato un particolare genere di yoga, conosciuto come Power Yoga: una disciplina che utilizza il controllo respiratorio per “tenere” una serie di posizioni isometriche, che implementano la resistenza e la tonicità muscolare. Ha un grande successo commerciale nelle palestre USA ed in molti centri fitness europei ed italiani di alto livello, ma non è quello che interessa a noi. Gli operatori dei Seals ricorrono ad una variante conosciuta come Warrior Yoga: la sua
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14 modi
in cui il Prasara Yoga può cambiare la tua vita
origine viene dalla preparazione sportiva di alcune star del football, della pallacanestro e del baseball. Se vi interessa l’argomento e ne volete sapere qualcosa di più: books.google.com, cercate “Real Men Do Yoga”, ne troverete un estratto di circa 70 pagine. L’esperienza diretta che meglio posso illustrarvi è quella legata al Prasara Yoga, approvato ed introdotto presso i corpi scelti dei Marines. In sanscrito Prasara significa “fluidità oltre il pensiero”: è un complesso di 181 movimenti, che coniugano forza, resistenza e mobilità con l’obiettivo di conferire stabilità fisica e psichica a chi li pratica. Il Prasara era il sistema di compensazione, di cooldown dei lottatori indiani e persiani ed è un sistema millenario, attraverso la cui pratica quotidiana anche solo per pochi minuti si possono ottenere importanti e verificabili risultati. L’inserimento presso lo US Army è avvenuto quasi come elemento terapeutico per gli operatori sottoposti a trattamenti PTSD: Post Traumatic Stress Disorder, la più comune e più terribile risultanza a cui soccombono anche e soprattutto i militari più preparati, dopo un conflitto violento. La crisi post traumatica affligge il 17% delle truppe USA coinvolte in Afghanistan ed in Iraq, con un costo per l’amministrazione di 35 milioni di dollari in cure psicologiche, farmacologiche e sussidi a sostegno degli operatori e delle loro famiglie. Purtroppo il prezzo più alto a volte è la perdita di un operatore super addestrato, la cui competenza tecnica ed esperienza vengono a mancare, esponendo altri commilitoni a gravi conseguenze. Le ricerche medico scientifiche ed i continui monitoraggi hanno evidenziato che lo yoga è il migliore dei sistemi non tradizionali, che pongono l’uomo al centro del proprio processo di recupero, che diminuisce drasticamente la produzione da parte dell’organismo dell’ormone dello stress, il cortisolo. Dalle stesse ricerche è emerso che la capacità di gestione dello stress non copre solamente l’ambito psicologico ma anche quello fisico ed il rendimento operativo in contesto. Provate a pensare a tutte quelle volte che, nel corso di una delle vostre giornate di lavoro o durante la turnazione di servizio, vi è sembrato di dover trasportare un peso terribile sulle spalle, una specie di masso che vi grava addosso. Pensate a come
• Fine dei dolori. Gli indolenzimenti della corsa, dei pesi e del lavoro aerobico spariranno come mai prima d’ora. • Perdita di peso. Aumento del livello della “fornace metabolica” e diminuzione del grasso corporeo. • Forza e mobilità vengono sviluppate contemporaneamente senza bisogno di doppio programma e doppio tempo di allenamento. • Sviluppo di una muscolatura funzionale e non di una struttura ipertrofica, che impedisce il movimento e incrementa i rischi di infortunio • Incremento della resistenza in 28 giorni • Solo 14 minuti di allenamento: corpo e cervello acquisiscono una reattività eccellente • Miglioramento della fluidità di movimento e della mobilità generale • Arresto dell’orologio metabolico: miglior condizione, miglior forza, salute più forte • Sonno più profondo • Maggior capacità di recupero, fino a 6 volte migliore • Più tempo libero a propria disposizione per la diminuzione dei tempi di allenamento • Maggiore autostima e confidenza in se stessi • Più concentrazione, capacità di problem solving e focalizzazione sugli obiettivi • Nessun bisogno di palestra e di attrezzi: ognuno è il laboratorio di se stesso. questa stanchezza fisica e psicologica ha inciso sulla vostra forma ed ha condizionato il vostro corpo: tensioni al collo e alla schiena, irrigidimento degli arti. Questo è ciò che accade nella quotidianità a chi è costantemente costretto ad un livello di allerta e di coinvolgimento psicofisico ai massimi livelli. Il Prasara yoga aiuta a rilasciare queste tensioni muscolari e ad acquisire un alto livello di concentrazione e focalizzazione dei propri obiettivi. Recuperare la calma e gestire i possibili falldown mentali duranti l’ingaggio, grazie a tecniche di rilassamento muscolare e mentale diventa un tool indispensabile nel bagaglio di condizionamento di un operatore specializzato che deve potersi muovere in scenario con fluidità, mantenendo la stabilità necessaria a reggere un equipaggiamento, di solito impegnativo per peso e limitazione dei range di movimento. Pensiamo solo ad una banale accosciata compiuta con vest antiproiettile, buffetteria e affardellamento tattico.. La chiara coscienza delle esigenze tattiche in scenario, la mente sgombra da pregiudizi, l’atteggiamento vigile e pronto a recepire i migliori sistemi e strumenti in qualsiasi parte del mondo, fanno sì che oggi lo Yoga sia la nuova frontiera per integrare con efficienza e funzionalità la preparazione fisica e psicologica dei militari più preparati al mondo. Con un obiettivo semplice ed una strategia chiara: non restare a terra grazie al recupero più veloce possibile. Fisico, mentale, cardiovascolare.
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GIUSTIZIA è stata FATTA GIUSTIZIA è stata FATTA GIUSTIZ
di Giovanni Di Gregorio – Direttore Studi Strategici del CeSA - Geopolitica
BIN LADEN
LA FINE DEL TERRORE? La notizia si è diffusa in Italia nelle primissime ore del 2 maggio, poco prima dell’alba: il Presidente Barack Obama, su reti unificate, si rivolge al popolo americano ed al mondo per annunciare che “GIUSTIZIA è stata FATTA!”. Il nemico numero 1 degli Stati Uniti, il pericolo pubblico dell’Occidente, un eroe per i fondamentalisti, un mito per scrittori e studiosi del fenomeno terroristico, Osama Bin Laden muore davvero dopo i molteplici “falsi allarmi” di questi anni. Ucciso dalle forze speciali dei Navy Seals. Dopo una lunga attività di SIGINT e HUMINT da parte dell’intelligence, il capo di Al Qaeda viene scoperto in una cittadina a 70km da Islamabad. La scelta della località non è casuale e diversamente da come si pensava, la strategia di “mimetizzazione” era riuscita benissimo, fino a quando un suo corriere fu intercettato e pedinato. Osama Bin Laden si nascondeva ad Abbottabad, in un compound con i propri familiari ed alcuni stretti collaboratori, in una casa priva di telefono e connessione ad internet, riuscendo ad emanare comunque i suoi proclami ed i suoi ordini grazie ad una fitta rete di corrieri. E’ proprio in quel compound che le forze speciali americane individuano il leader terrorista e lo uccidono con un colpo alla testa. Il Presidente Obama aveva promesso che si sarebbe impegnato per la cattura di Bin Laden, a qualsiasi costo e cosi ha fatto. Naturalmente i seguaci di Al Qaeda hanno inizialmente smentito la notizia della morte del loro capo ideologico, ma hanno dovuto ammettere la realtà dei fatti, come del resto dovranno anche accettare il fatto che una buona parte del mondo islamico si sta ribellando, urlando in piazza per una più ampia democrazia e contro le anacronistiche regole della Shaaria. Si sta confermando, in maniera sempre più evidente, il fatto che il progetto politico di Al Qaeda è fallimentare, in quanto riesce a far sentire la sua voce solo attraverso bombe ed attentati terroristici. Osama Bin Laden, nato nel marzo del 1957, 17° di 52 figli del più ricco costruttore dell’Arabia Saudita, rimane folgorato dai luoghi santi islamici della Mecca e di Medina. Si laurea in ingegneria all’università di Jedda. Si unisce alla milizia della resistenza afghana, i Mujahidin, per combattere le truppe sovietiche che occupano i territori l’Afghanistan. Nel 1980 inizia a prendere parte della Jihad afghana contro l’unione sovietica, trasformandosi in un eroe della regione e di conseguenza il suo odio contro l’America si radicalizza. I servizi segreti americani ed i governi di mezzo mondo, lo considerano il centro di una multinazionale del terrore islamista, con alleati nel mondo arabo, nel corno d’africa, in una buona parte del maghreb ed affiliati sparsi in Occidente, sotto sembianze di studenti, Imam, professori, semplici operai, pronti a farsi saltare in aria ed a colpire al suo minimo gesto: un dito indice della mano destra alzato, una parola, un cenno del capo. Nel 1997, in un’esclusiva intervista rilasciata alla CNN, ha ammesso che ad uccidere 18 marines americani in Somalia sono stati i suoi seguaci. Nell’agosto del 1998, l’esplosione di alcune autobombe distrussero le ambasciate Americane in Kenia ed in Tanzania, ma Bin Laden smentisce che dietro questi attentati ci sia la sua organizzazione terroristica. Ciò che accadde dal 2000 in avanti, il mondo lo ricorda bene. L’attacco alle Torri Gemelle di New York sarà l’inizio di una caccia stremata, che condusse le Forze Speciali Americane sulle TNM ••• 126
montagne del Pakistan. Da allora, in diverse occasioni, Osama Bin Laden ha fatto sentire la sua voce. Ha minacciato, ha lanciato anatemi, parlando anche della povertà nel mondo e dei cambiamenti climatici, tutta opera dei “Potenti del corrotto Occidente”. L’ultima minaccia risale al Gennaio scorso, quando accusò il Presidente Francese Sarkozì, di essere uno schiavo degli Stati Uniti. Sarkozì, che a febbraio di quest’anno si fece Capo della coalizione europea a favore della rivolta del popolo libico contro Gheddafi. Con la morte di Bin Laden è stato inferto un duro colpo a tutta la sua organizzazione che, attualmente, si trova a decidere sulle sorti di un futuro incerto. Di sicuro sono già state sviluppate diverse ipotesi sulla continuazione ideologica di Al Qaeda e basandosi sul significato del proprio nome, “alla base”, essa cercherà di colmare il vuoto lasciato dalla perdita di un capo. Dall’atro
USTIZIA è stata FATTA GIUSTIZIA è stata FATTA GIUSTIZIA è stata
lato, proprio a causa della mancanza di un riferimento ideologico ed ispiratore, qual’è stato Bin Laden, invece si potrebbe delineare una sorta di ripiegamento di tanti jihadisti mussulmani di nazionalità cecena ed uzbeka, presenti in maniera consistente nell’area geografica dell’Afghanistan. Resta il fatto che in questa situazione di caos verticistico, la mancanza di controllo potrebbe innescare una serie di atti terroristici da parte di cellule impazzite e pronte all’emulazione, inneggiando ad Allah. Ma dopo una catastrofe di questa natura per tutta l’organizzazione, si sente il bisogno di un nuovo simbolo. Secondo fonti d’intelligence, membri di Al Qaeda, si stanno già adoperando per colmare questo vuoto, a loro duramente inferto. Nelle zone tribali tra il Pakistan e l’Afghanistan si sono svolte diverse riunioni tra i leaders locali, dalle quali è emerso, in comune accordo e come diffuso da un loro comunicato apparso su internet, che la morte di Bin Laden li ha rafforzati e temprati e che sono pronti a combattere ancora più aspramente. In particolare Al Dashibullah, capo operativo di Al Qaeda, ha affermato che quanto accaduto, non avrà influenza sulle scelte politiche dell’organizzazione ed ha minacciato di “scatenare l’inferno sul mondo infedele”. In un comunicato audio diffuso su internet, membri di Al Qaeda, promettono vendetta per la morte del loro leader. Mantenendo questa “promessa”, i talebani, nella regione di Kandhar, hanno effettuato una contro offensiva nei confronti dell’esercito governativo ed una serie di attentati dinamitardi per tutto l’Afghanistan. Ma la preoccupazione di tutti è la possibilità di attentanti fuori dall’Afghanistan. Secondo molti governi occidentali, la lotta internazionale al terrore non finisce con la morte di Bin Laden, anzi bisogna concentrare le forze ed approfittare di questa situazione per far sì che la democrazia raggiunga anche quei popoli dove, fino ad oggi, era vietata. Contrariamente, secondo i “Fratelli Mussulmani Egiziani”, la morte dello sceicco del terrore dovrebbe indurre la comunità internazionale a terminare le missioni
militari occidentali. Infatti l’invitano a ritirare le truppe straniere dall’Afghanistan e dall’Iraq per mettere fine ad un’occupazione che per troppo tempo, dicono, ha danneggiato i mussulmani. L’intelligence statunitense, tra tutti i documenti ritrovati nel compound di Bin Laden, ha scoperto che Al Qaeda stava pianificando un atto terroristico in grande stile, da eseguirsi entro settembre prossimo, per festeggiare il 10° anniversario dell’attacco alle torri gemelle dell’11 SETTEMBRE 2001. Il piano consisteva nel colpire la rete ferroviaria degli Stati Uniti, in punti di snodo importanti ed in luoghi e ponti simbolo. In questo caos d’informazioni, un aspetto importante di cui tener presente, sul piano geopolitico e degli affari internazionali, è il ruolo del Pakistan. Infatti pare, secondo alcuni analisti, che il Governo di Islamabad fosse in qualche modo connivente con la presenza dei membri di Al Qaeda sul loro
territorio, tanto da dar protezione a Bin Laden utilizzando il proprio esercito. Non a caso, la villa fatiscente dello sceicco del terrore era distante meno di 500 metri da una delle più importanti accademie per ufficiali dell’esercito pakistano. Impossibile, quindi, non essere a conoscenza di chi abitasse nell’ormai famoso compound. Un compound protetto e sorvegliato proprio da guardie ed agenti delle forze dell’ordine, tanto da far pensare ai vari testimoni ed abitanti di Abbottabad, che quella speciale abitazione, così blindata, con alte mura e filo spinato, fosse una costruzione delle forze armate pakistane. Come del resto, la scelta da parte del governo statunitense di non avvisare il Pakistan dell’imminente blitz dei Navy Seals, era ponderata proprio sulla certezza che questi ultimi avrebbero avvisato il capo di Al Qaeda spingendolo alla fuga, facendo così fallire la missione segreta. Naturalmente, il presidente Zardari e tutto il suo esecutivo, nega ogni coinvolgimento politico con l’organizzazione terroristica e di contro manifesta sdegno per l’azione delle forze speciali americane, svolte sul territorio pakistano a sua insaputa. Quest’ondata di sdegno nei confronti degli Stati Uniti è stata immediatamente “cavalcata” dalle organizzazioni mussulmane pakistane e dai partiti islamisti di tutto il mondo arabo, tanto da scendere in massa nelle piazze d’Islamabad e Peshawar fino ad arrivare ad Il Cairo, per manifestare ed inneggiare le loro grida ad Allah, piangendo sulle sorti di Bin Laden. Un Bin Laden definito “il vero simbolo della guerra santa”, una guerra che lui stesso iniziò con l’11 settembre 2001 e che tutti sperano possa terminare con la vittoria della democrazia. TNM ••• 127