TNM 8

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S.I.A.S.

Servizio per interventi e operazioni speciali polizia rumena

“Poste Italiane SpA, Spedizione in Abbonamento Postale DL 353/2003 (convertito in legge 27/02/2004 n°46) art. 1 comma 1 LO/MI”

TNM n°8 • AGoSTO 2011 • periodico mensile

www.tacticalnewsmagazine.it • € 5.00

M I L I T A R Y • L A W ENFORCEMENT • SECURITY

FIRE TEST

Sites Resolver 380 ACP Ruger Redhawk cal 44 magnum

SPECIAL REPORT

1º Reggimento carabinieri paracadutisti “Tuscania”

HOT POINT

L’evoluzione delle pmc-psc

COLTELLI TATTICI

Spyderco Endura Lightweight 4

TEST BY TNM

FAB Defense KPOS




EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE

Milano, 05/08/2011 Fino a al sesto numero di TNM, in qualità di Direttore editoriale e fondatore di questa rivista, ho sempre scritto personalmente l’editoriale.Ciò nonostante nell’editoriale di luglio, mi sembrava doveroso passare il testimone ad Antonello Tiracchia, nostro collaboratore e attualmente corrispondente dall’Afghanistan per TNM. Ho cercato di fare lo stesso per il numero di Agosto, ho provato a contattare Antonello, con il quale intrattengo quotidianamente comunicazioni tramite posta elettronica o telefono satellitare, ma purtoppo non riesco a metterti in contato con lui in nessun modo, Antonello poche ore fa’ stava partendo per documentare un operiazione miliatare del XXI Paracadutisti Guastatori e immagino che a questa ora sia oramai in “silenzio radio”. Purtoppo le nostre tempistiche editoriali non mi permettono di attendere oltre la giornata di oggi per chiudere il file di stampa di agosto e quindi non posso aspettare il suo ritorno dall’operazione , ma ho pensato “cavolo... ma io l’editoriale di Antonello già c’è l’ho “... l’altro ieri mi ha inviato il solito rapporto quotidiano delle attività giornalistiche che sta svolgendo per TNM in Afghanistan e in chiusura alla sua email ha scritto questo: “Caro Mirko vorrei essere li personalmente per ringraziare tutti quanti i nostri lettori che ineragiscono sulla fan page di facebook... Ogni giorno io e Giuseppe Lami ( fotografo ndr ) cerchiamo di fare il possibile per tenervi documentati tramite i post che pubblichiamo sulla fanpage... ringrazio tutti loro per i commenti e l’attenzione che ci dedicano e che ti assicuro sono per noi un motivo in più per giustificare la nostra presenza in questo paese martoriato dalla violenza frutto della miseria e dall’ignoranza. Tutti i soldati italiani e i membri dei corpi militarizzati dello Stato che abbiamo incontrato qui in Afghanistan, sono veramente in gamba, equilibrati e professionali. Ecco perché il nostro vero “salario” sono i commenti dei lettori di TNM, che ci spingono a lavorare sempre con maggiore impegno per divulgare le storie e le esperienze degli italiani in uniforme. Stamane Mirko, ho conosciuto gli amici e il comandante del paracadutista Roberto Marchini, guastatore dellla XXI compagnia dell’8°rgt paracadutisti di Legnago che qui a Bakwa, il 12 luglio scorso perdeva la sua giovane vita durante un operazione militare, Il dolore non ferma i paracdutisti guastatori della XXI e il ricordo di Roberto è ancora vivissimo e ha coinvolto emotivamente anche me e Giuseppe. Questa poesia che ti mando l’ha scritta il Sergente Carmine Bianco in sua memoria... tra poche ore io e Giuseppe partiremo con loro per documentare un operazione militare... a presto.

A Roberto Marchini “HAVANA” “12 Luglio, una giornata come tante qui in Afghanistan… Sudore, fatica, orgoglio di servire la nostra Patria in una terra così lontana. Roberto Marchini, guastatore paracadutista dell’8° Reggimento genio guastatori “Folgore” di Legnago, dona la propria vita per la difesa dei diritti umani, per ridare il sorriso ai bambini di questo Paese, la serenità di crescere in un mondo migliore. Un altro angelo della Folgore che vola negli infiniti spazi, Havana è il suo nome di battaglia come si suol dire. Alto, biondo, massiccio… cosi ci definiamo noi ragazzi della Folgore , un valoroso soldato, pura espressione di uno che credeva nei veri valori , professionista di non comune calibro. Queste frasi echeggiano ridondanti ogni momento della giornata, Roberto è uno di noi… Roberto è tutto. La coesione è il profondo senso di appartenenza che ci unisce come il cordone ombelicale che unisce un neonato alla sua mamma. Non ci sono aggettivi per definire il dolore che si prova… ma queste emozioni e questi sentimenti ci accomunano e ci danno la forza di continuare la nostra missione per coloro che ci hanno preceduto, donando la propria vita. Di una cosa siamo certi… Havana è con noi, ci veglia e guida dall’alto in ogni nostra azione quotidiana. L’ultimo salto di Roberto nella vastità dei cieli, sarà per sempre un contributo allo sviluppo di questa terra, arida, scontrosa che ha sete di giustizia , per quelle vili menti che ostacolano giornalmente il suo progresso storico sociale.” (Sergente Carmine Bianco) Mirko Gargiulo



INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE INDICE

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EDITORIALE TACTICAL NEWS MAGAZINE Military - Law Enforcement - Security n°8 - agosto 2011 - mensile

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NEWS

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078

Direttore editoriale: Mirko Gargiulo mirko.gargiulo@tacticalnewsmagazine.it

L’EVOLUZIONE DEL FENOMENO DELLE COMPAGNIE PRIVATE MILITARI E DI SICUREZZA

IL CORSO

Direttore commerciale: Giovanni Petretta giovanni.petretta@tacticalnewsmagazine.it

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Direttore responsabile: Giuseppe Morabito

HOT POINT

BERETTA DEFENCE SHOOTING ACADEMY

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SPECIAL REPORT

REPORT FROM

QUELLI DEL TUSCANIA

Art director: Matteo Tamburrino

Validazione Aviation Battalion

Impaginazione: echocommunication.eu

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SPECIAL REPORT

Collaboratori: Davide Pane, Gianluca Favro, Gianluca Sciorilli, Pasquale Camuso, Gianluca H., Fabio Rossi, Max Scudeler, Galdino Gallini, Riccardo Braccini, Marco Sereno Bandioli, Carlo Biffani, Giovanni Di Gregorio, Roberto Galbignani, Zoran Milosevic, Gabriele Da Casto, Marco Strano, T. Col. GdF Mario Leone Piccinni, Antonello Tiracchia, Proteus, Marco Buschini Fotografie: ISAF, Department of Defense, Stato Maggiore Esercito, U.S. Navy, LosTempos.com, NATO Multimedia, The National, Command Special Naval Warfare Command, Onu Media Press, Zoran Milosevic, Getty Images, Michele Farinetti, Giuseppe Lami, il Secolo XXI, Marco Buschini Ufficio stampa: Marcello Melca marcello.melca@tacticalnewsmagazine.it ufficio.stampa@tacticalnewsmagazine.it Redazione: redazione@tacticalnewsmagazine.it Periodico mensile edito da: CORNO EDITORE Piazza della Repubblica n. 6 20090 Segrate - Milano - P.IVA 07132540969

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FOCUS ON

IN AZIONE CON IL TUSCANIA

LIBIA - LA GUERRA UMANITARIA DELL’EUROPA DIS-UNITA

098

042

il cybercrime

FIRE TEST

BACK UP ALL’ITALIANA

048

INSIDE S.I.A.S

060

tactical fitness

law area

104

FOCUS ON

RUGER - Redhawk 4” calibro .44 magnum

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POLICE FORCE COMBAT PSYCHOLOGY

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Distorsioni percettive e alterazioni della memoria negli operatori di polizia durante un conflitto a fuoco

FAB Defense KPOS Glock Tactical Exoskeleton

FATTORE UMANO

Tactical Fitness & Combat Bootcamp

TEST BY TNM

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INDAGINI L’IMPORTANZA DEL FATTORE UMANO

Stampa: Reggiani Spa Via C. Rovera 40, 21026 Gavirate (VA)

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Distributore: Pieroni Distribuzione s.r.l. Viale Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano

Spyderco Endura Lightweight

Registrazione Tribunale di Milano n.509 del 27 settembre 2010 Iscrizione al ROC 20844 Tutti i diritti di proprietà letteraria, artistica e fotografica sono riservati, ne è vietata dunque ogni duplicazione senza il consenso scritto della Corno Editore

COLTELLI TATTICI

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Situation Reports

Corea del Nord la guerra fredda infinita


CE


AROUND THE WORLD ISAF Regional Command West - Afghanistan 1000 PALLETS AVIOLANCIATI A SUPPORTO DELLA POPOLAZIONE E DELLE BASI AVANZATE HERAT, Afghanistan (20 luglio 2011) - Un C-130J dell’aeronautica militare italiana ha aviolanciato il millesimo pallet contenente viveri e beni di prima necessita’ per supportare la popolazione afgana. Acqua, quaderni, penne e indumenti rappresentano solo il primo passo per la ricostruzione, soprattutto nelle aree piu’ isolate e povere del paese. 111 i voli effettuati dall’ 8 luglio del 2009, data del primo lancio ad oggi. Grazie agli aviolanci le forze sul terreno hanno ricevuto sostegno logistico e hanno potuto integrare l’azione operativa con l’attivita’ di supporto umanitario, attività fondamentale per completare ed espandere il processo di transizione in atto. I risultati raggiunti fino ad ora sono stati possibili anche grazie allo sforzo della Joint Air Task Force, esempio di sinergie tra personale della compagnia aviorifornitori della Brigata paracadutisti “Folgore” e personale dell’ aeronautica militare con velivoli C130J e C27J della 46^ Brigata Aerea di Pisa.

COMMERCIALI

SCOPERTA FABBRICA DI IED E 2 DEPOSITI DI ARMI ED ESPLOSIVI GRAZIE ALLA POPOLAZIONE E ALLE CAPACITA’ INVESTIGATIVE DELLA POLIZIA AFGANA HERAT, Afghanistan (24 luglio 2011) - Grazie ad una segnalazione della popolazione locale, le forze di sicurezza afghane con il supporto delle forze ISAF attive nell’ area di Shindand, hanno sequestrato, nelle vicinanze del villaggio di Showz, un ingente quantitativo di razzi ed esplosivi in ottimo stato di conservazione e pronti per essere usati dagli insurgents per la realizzazione di IED e per condurre attacchi contro le forze di sicurezza. Quasi contemporaneamente 130 militati tra forze di ISAF e unità speciali della polizia afghana, coordinate dal procuratore del distretto di Farah hanno scovato, nel distretto di Bala Balouk, 80 chilometri a nord di Farah, una fabbrica di IED.L’ operazione si è sviluppata grazie all’attività di raccolta di informazioni delle forze afgane effettuate sotto l’egida ed il coordinamento del sistema giudiziario locale di cui il procuratore è il massimo esponente a livello distrettuale. 5 persone, risultate positive al test del maneggio di esplosivi e trovate in possesso di IED già confezionati, materiale esplosivo, elettrico e numerose armi sono state arrestate della polizia afgana a Bala Balouk. Questi ennesimi arresti e ritrovamenti, oltre a testimoniare nuovamente l’efficienza e l’ efficacia raggiunta dalle Forze di sicurezza afghane, sono il segno tangibile di quanto il pacifico popolo afghano, stanco di rimanere sempre più spesso coinvolto nell’esplosione dei famigerati ordigni esplosivi posizionati dagli insurgents in maniera indiscriminata lungo le strade afghane, confidi sempre più nell’operato e nelle capacità delle sue forze di sicurezza coordinate da un sistema giudiziario sempre più efficace e attivo che ha partecipato alle operazioni e si occuperà di seguire le indagini. TNM ••• 06


Due pericolosi catturandi arrestati dai Carabinieri Due pericolosi malviventi affiliati ad un sodalizio criminale dedito al traffico internazionale dello spaccio degli stupefacenti, omicidio e sequestro di persona, avvalendosi del metodo intimidatorio mafioso, riconducibile allo storico Clan Senese, il 3 di agosto sono stati arrestati dai Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Castel Gandolfo, coadiuvati dai militari della Tenenza di Ciampino e della Stazione di Santa Maria delle Mole, in via di Settebagni, a Roma.I due erano riusciti a sottrarsi all’arresto il 3 Maggio scorso durante una vasta operazione anticrime condotta nella Capitale e su tutto il territorio nazionale dai Carabinieri del R.O.S. e del Comando Provinciale di Roma, denominata Orfeo, che aveva consentito di disarticolare l’intero sodalizio arrestando 34 persone e denunciandone altre 43.I Carabinieri di Castel Gandolfo avevano già da qualche tempo maturato il sospetto che i due frequentassero un locale notturno proprio in via di Settebagni e avevano pertanto organizzato mirati servizi per individuarli. Quando la mattina del 3 di agosto , i Carabinieri hanno visto arrivare una fiammante, quanto sospetta, Audi Q5 con targa tedesca. Ai militari è bastato il tempo di sbirciare nell’abitacolo del SUV per rendersi conto che si trattava proprio delle due primule rosse, anche se rispetto alle foto segnaletiche avevano i capelli tinti di biondo platino. E’ così scattato il blitz: ai due, ormai accerchiati e senza possibilità di fuga, non è restato che arrendersi ai Carabinieri che li hanno associati al carcere di Regina Coeli.

DROGA:OPERAZIONE POLIZIA BOLOGNA, ARRESTI IN ITALIA E ALL’ ESTERO La Polizia di Stato di Bologna ha eseguito una dozzina di provvedimenti restrittivi, a conclusione di una indagine, denominata “Due Torri Connection” e durata un anno. Le indagini, eseguite dalla Squadra Mobile di Bologna, coordinate dal Servizio Centrale Operativo e dalla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, hanno dimostrato l’esistenza a Bologna di un radicamento di uomini della cosca Mancuso, dediti alla conclusione di trattative per l’acquisto di ingenti partite di cocaina con i narcotrafficanti colombiani, operanti in Spagna e in Colombia. I servizi tecnici posti in essere dagli uomini della Polizia di Stato hanno accertato che tutte le riunioni si tenevano in una sontuosa villa di proprietà di uomini della ‘ndrina calabrese e sita nel Comune di Bentivoglio, in provincia di Bologna. Secondo il progetto criminale, fallito grazie alle indagini della Polizia, la cocaina avrebbe “viaggiato” occultata in scatoloni a bordo di aerei privati decollati dall’aeroporto di Quito (Equador) oppure all’interno di container stivati su motonavi provenienti dal Sud America e nascosta all’interno di “finti” carichi leciti. Gli arresti e le perquisizioni, ancora in corso in varie regioni italiane e all’estero, sono state effettuate dalla Squadra Mobile di Bologna, in stretta collaborazione con le Squadre Mobili delle Questure di Catanzaro, Teramo, Vicenza e Vibo Valentia.

Esercito: gli “Info team” arrivano in spiaggia Fino al 15 settembre nei litorali di tutta Italia sarà presente il tour promozionale estivo 2011 dell’Esercito. Indossano una polo verde, pantaloncini blu, un capellino color sabbia e hanno un compito ben preciso: promuovere il mondo delle stellette tra i giovani. Dallo scorso 15 giugno, infatti, nelle maggiori località turistiche italiane sono arrivati gli “Info team” del tour promozionale estivo 2011 per fornire ai ragazzi e ragazze tutte le informazioni relative all’arruolamento di volontari in ferma prefissata di un anno (VFP1), ai vari concorsi nell’Esercito Italiano e all’iniziativa “Vivi le Forze Armate. Militare per tre settimane”. Il tour, che toccherà oltre cento tappe dell’intero stivale, si concluderà il 15 settembre.L’iniziativa è partita già da qualche anno con il nome Rap Camp, acronimo di Campagna di Reclutamento ed Attività Promozionali, ed ha sempre riscosso grande successo.Nel 2010, ad esempio, sono stati registrati 3.500 contatti di persone interessate a ricevere informazioni sui reclutamenti e delle iniziative delle Forze Armate. TNM ••• 07


L’Onu non osa condannare la Siria Proseguono le violenze in Siria, dove altre tre persone sono state uccise e dove il 2 di agosto sera i soldati hanno aperto il fuoco contro i dimostranti anti-Assad dopo la preghiera serale del Ramadan, mentre il Consiglio di sicurezza dell’Onu, riunito per la seconda volta in due giorni, sembra ancora lontano dall’adozione di una risoluzione. Anche la terza riunione è stata sospesa. L’Italia, invece, accelera, e richiama il proprio ambasciatore. Il nuovo testo proposto all’Onu dai Paesi europei ha raccolto il no di Russia e India. Sergei Verchinine, capo del dipartimento per il Medio Oriente e l’Africa del Nord del ministero degli Esteri russo, hanno invitato la comunità internazionale a non ripetere lo scenario della Libia, evitando una risoluzione flessibile che «non aiuta a trovare una soluzione e complica la situazione sul terreno». E mentre un gruppo di dissidenti siriani ha recapitato a Washington un appello indirizzato al presidente Barack Obama perché faccia pressioni su Assad per lasciare «immediatamente» il potere, il segretario generale delle Nazioni unite, Ban Ki-moon ha dichiarato che Assad «ormai ha perso ogni umanità». Di quanto sta avvenendo nel Paese, ha proseguito Ban kimoon, dovrà rispondere «davanti al diritto internazionale». Diverse novità sul fronte europeo. Bruxelles ha votato nuove sanzioni contro Damasco che colpiranno cinque uomini forti del regime, compreso lo zio di Assad, e il ministero degli Esteri italiano ha annunciato di voler richiamare l’ambasciatore Achille Amerio, invitando gli altri Paesi Ue a fare la stessa cosa. Ma il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, ha risposto che per il momento «il capo della delegazione dell’Ue resterà a Damasco a sorvegliare la situazione». Intanto in Siria proseguono le violenze. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, altri tre civili sono stati uccisi ad Hama, nel centro del Paese, dove il palazzo di giustizia è stato assaltato e diversi uffici pubblici dati alle fiamme. E il 2 di agosto dopo la preghiera del Ramdan i soldati hanno lanciato un’altra offensiva contro i dimostranti, bersaglio degli spari delle forze di sicurezza siriane nel quartiere periferico di Muadhamiya, nell’ovest di Damasco, nella città nord-occidentale di Hasaka e nella città portuale di Latakia.

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IL C-27J DELL’AERONAUTICA MILITARE VINCE DUE IMPORTANTI PREMI AL ROYAL INTERNATIONAL AIR TATTOO (RIAT 2011) DI FAIRFORD (INGHILTERRA) Testimonial nel mondo di uno stile tutto italiano, fatto di velivoli prodotti dall’industria nazionale, capacità tecniche e umane. La 40^ edizione del Royal International Air Tattoo (RIAT), conclusasi domenica 17 Luglio, ha visto la partecipazione del Reparto Sperimentale Volo dell’Aeronautica Militare con i velivoli Tornado IDS (Interdiction Strike) e C-27J che hanno affiancato l’immancabile e sempre emozionante dimostrazione della Pattuglia Acrobatica Nazionale ‘Frecce Tricolori’. Il ‘Tattoo’, come viene affezionatamente chiamato dagli appassionati del settore, rappresenta il più importante air show militare a livello mondiale, dove le migliori esibizioni in volo e l’impressionante mostra statica fanno da cornice ad un contesto tutto incentrato sulla solidarietà, unica finalità dell’evento. L’equipaggio del velivolo C-27J ha ricevuto ben 2 trofei su 5, come solo pochi hanno ottenuto in passato, vincendo il ‘The Sir Douglas Bader Trophy’ come miglior presentazione solista, già vinto nel 1989 e nel 1997, ed il ‘As the Crow Flies Trophy’, presentato dall’associazione ‘Friends of RIAT’ per la migliore presentazione in volo della manifestazione, vinto per la prima volta da un equipaggio italiano. L’equipaggio era composto dai Maggiori Severino De Luca e Francesco Ferreri ed il Primo Maresciallo Ugo Sabeni. Le presentazioni in volo dei velivoli della Forza Armata, già effettuate nel corso del 2011, dal Reparto Sperimentale di Volo, hanno evidenziato come il sistema Paese possa essere un efficace testimonial nel mondo di uno stile tutto italiano, fatto di velivoli prodotti dall’industria nazionale, capacità tecniche e umane. La vittoria di questo premio assume poi un significato ancora più intenso ed evocativo, in considerazione che accade proprio nel 2011, a corollario delle celebrazioni per il 150º anniversario dell’unità d’Italia. Il salone è stato organizzato dal Royal Air Force Charitable Trust Enterprises (RAFCTE), con il supporto del MoD inglese tramite la RAF, il cui scopo principale è promuovere attività benefiche quali la raccolta fondi per iniziative volte ai più bisognosi oltre all’accrescimento nelle giovani generazioni del senso della Patria e della difesa nazionale e, non ultimo, rafforzare lo spirito di cooperazione ed amicizia, ad ogni livello, tra i partecipanti delle varie Nazioni. Questo spirito di collaborazione viene ulteriormente esaltato dalla ‘sana e professionale’ competizione che vede i vari velivoli delle Nazioni partecipanti ‘sfidarsi’ in emozionanti ed avvincenti esibizioni in volo, sempre nel massimo rispetto della sicurezza e delle regole internazionali, che culmina nell’assegnazione di diversi trofei.


Primo lancio da catapulta per l’F-35C L’F-35C ha effettuato il primo lancio con catapulta a vapore su pista in previsione delle prime prove in mare programmate nel 2013. Il test, effettuato presso la base della Marina di LakeHurst, nel New Jersey, ha coinvolto l’esemplare CF-3 assegnato alla Naval Air Station Patuxent River, utilizzato per le prove di idoneità in vista della futura transizione a bordo delle portaerei americane e inglesi. La catapulta di prova utilizzata è una TC-13 Mod 2 a vapore, rappresentativa della tecnologia dell’attuale flotta, che cederà il passo alle catapulte elettromagnetiche che verranno introdotte sulla prossima classe Ford.La catapulta ha accelerato l’aereo, con pieno carico di carburante e peso aggiuntivo rappresentativo dell’armamento standard, fino alla velocità di decollo trasmettendo lungo i 91 metri di corsa 113.400 kg/forza di spinta attraverso il sistema di aggancio al carrello anteriore.Oltre ai lanci a vari livelli di potenza, il team di collaudo eseguirà un programma di prove di tre settimane utilizzando anche i deflettori idraulici e configurazioni della catapulta degradate al fine di misurare gli effetti dell’ingestione del vapore nelle prese d’aria del velivolo.La variante C del Joint Strike Fighter si distingue dalle altre due per le grandi superfici alari ripiegabili, il gancio di coda, per il carrello di atterraggio e altri componenti strutturali rinforzati per consentire lanci e atterraggi a bassa velocità e per resistere alle sollecitazioni meccaniche associate con gli impatti con il ponte della portaerei. Anche il rivestimento stealth è modificato per resistere alle dure condizioni dell’ambiente marino. Il primo gruppo di volo basato su F-35C dovrebbe fare la comparsa nel 2016. Ogni portaerei sarà dotata di 4 gruppi d’attacco per complessivi 44 velivoli, 2 basati su F/A-18E/F e due su F-35C, un quarto dei quali apparterrà ai Marines, che attualmente impiegano F/A-18C/D, e AV8B sulle LHA, i quali utilizzeranno invece sulle loro unità la versione STOVL del JSF.I 40 gruppi d’attacco totali imbarcati sulle portaerei della Marina saranno quindi ripartiti in 35 forniti dalla US Navy (basati su F-35C, F/A-18E/F) e 5 dall’USMC (F-35C a rotazione).

LIBIA - Operazione “Unified Protector” Le missioni degli aerei italiani nell’ultima settimana. Emergenza immigrazione Continuano le attività della Difesa Gli assetti aerei e navali italiani messi a disposizione della NATO per l’operazione “Unified Protector” continuano le missioni assegnate per l’imposizione della “No Fly Zone” e dell’“Embargo Navale”. Nelle ultime settimane sono state effettuate 31 missioni aeree. Gli assetti impiegati sono stati Tornado, F16 Falcon, AMX più gli aerorifornitori KC 130 J, KC 767 e B767, in organico all’Aeronautica Militare. Gli AMX, che dal giorno 25 luglio partecipano alle operazioni, sono del 32° Stormo di Amendola. Il dispositivo della Marina Militare impegnato nell’operazione di Embargo Navale è assicurato dalla LPD San Giusto, che dal 26 luglio ha sostituito la portaeromobili Giuseppe Garibaldi, e dalla fregata Euro.Per quanto riguarda “l’emergenza immigrazione”, in applicazione dell’intesa italo – tunisina, la corvetta Sfinge e il pattugliatore Comandante Foscari nonché un aereo Atlantic, continuano la sorveglianza in prossimità delle acque tunisine. TNM ••• 09


COMMERCIALI iPhone 4 Titanium Cover dalla Snow Peak

“CIACK SI GIRA”

Sicuri della passione tecnologica dei nostri lettori e della cura che prestano ai loro materiali ed equipaggiamenti abbiamo pensato di presentare questa nuova cover in titanio per iPhone 4. Questo guscio resistente protegge il vostro telefono senza sacrificare la portabilità o lo stile. E’ realizzata in un unico pezzo di titanio che conferisce un’estetica elegante sfruttando l’alta resistenza e proprietà anticorrosive del materiale. Il logo esterno è inciso al laser e l’interno è rivestito con un materiale antigraffio. Il prodotto è commercializzato dall’azienda americana Snow Peak, specializzata in equipaggiamenti tecnici per il camping e l’outdoor, al prezzo di $119.95 e sarà disponibile dalla fine del mese di luglio 2011. www.snowpeak.com

La LumenCam è un Professional DVF o torcia elettrica con videocamera digitale. Il corpo principale è impermeabile e contiene un LED da 180 lumen con possibilità di allargare o restringere il cono di luce. La sua caratteristica principale consiste nella possibilità di poter registrare fino a 4 GB di audio e video. La parte posteriore del manico è rimovibile e da accesso ad una porta una USB con preinstallato tutto il software che consente un facile scaricamento dei filmati da qualsiasi computer. La LumenCam è alimentata da una batteria ricaricabile da 2000 mAh Gli accessori disponibili includono una custodia in nylon balistico con supporto da cintura girevole, batterie addizionali con caricatore per auto e adattatori per muro, un cavo mini-USB e una custodia rigida per il trasporto. Caratteristiche principali • Registra contemporaneamente Video and Audio • Waterproof IP65 • Risoluzione 640x480 • Batterie lunga durata - 2,000 mAh • 4GB video / audio • 180 Lumen LED super luminoso www.lumencam.com

Rispettiamo i nostri gomiti Pads di protezione dei gomiti costruite in materiale espanso ad alta densità rivestito in NYLON 600 Denier e con un guscio esterno in poliuretano. Il fi ssaggio avviene tramite due fasce di ritegno con allacciatura in velcro. www.defcon5italy.com

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Blood-Type Markers HAZARD4 ha recentemente introdotto una nuova linea di piastrine riportanti il gruppo sanguigno, nata dalle sempre più continue esigenze e dalle richieste del personale operante. Vengono stampati in gomma ad iniezione con tecnologia 3D, non si usurano e non diventano proiettili secondari in un evento IED, come quelle costruite in metallo. Possono essere applicate ai lacci degli anfibi ma anche essere utilizzate come bracciali tramite un paracord o come tira zip. Disponibili in colorazione Black / Grey, Coyote, OD Green, e Glow-in-dark (fosforescenti). Le dimensioni sono 7 x 2.5 x 0.2cm. Vengono vendute in copia con moschettone al prezzo di $ 8.88 ($ 8.99 per colorazione glow-in-dark). www.hazard4.com TNM ••• 011


Il braccio “armato” della Legge… L’inventore David Brown ha inventato questo dispositivo di protezione personale che a prima vista ricorda “Robocop” o “Iron Man”, la differenza è che questo prodotto non è stato sviluppato per le scene di un film, ma piuttosto per salvare vite umane ed è ora disponibile per l’acquisto. Il design dell’invenzione ha attratto John Bunnell, della serie TV “Cops” e l’attore Kevin Costner, ora partner e co-proprietario in Armstar. E’ un sistema che può essere indossato per la protezione personale, comprende una varietà di moduli adatti a soddisfare le esigenze delle forze di Polizia o Militari. Il dispositivo infatti include un deterrente elettronico modulabile (Stun Device), che emette suoni ad alta frequenza oppure una scossa elettrica ad alto voltaggio ma con un bassissimo valore di amper. La società Americana ArmStar ha perfezionato quello che in futuro potrà essere l’evoluzione della difesa personale, sotto forma di “less than letal device” (dispositivo meno che letale), assolutamente performante, che lascia all’operatore le mani libere ed integra un sistema elettronico capace di mettere fuori combattimento l’aggressore. Inoltre può essere equipaggiato anche con altri strumenti quali una torcia tattica ed una microtelecamera, quest’ultima potrà permettere di raccogliere eventuali prove audio-video a favore dell’operatore di Polizia, circa il corretto impiego del dispositivo, oltre che a dissuadere il malintenzionato e quindi disinnescare potenziali minacce. www.armstar.net

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Condor A-TACS La nota azienda Condor ha appena annunciato il lancio di prodotti nella nuova colorazione A-TACS. L’azienda è presente con oltre 1.000 rivenditori in tutti gli Stati Uniti e Canada assicurando un sicuro vantaggio per coloro che cercano di acquistare questa tipologia di prodotti. L’offerta iniziale comprenderà: • un plate carrier modulare con spalline staccabili, una tasca frontale porta mappa con chiusura a scatto, velcro e comparti per protezioni balistiche (anteriore, posteriore e due laterali). • uno zainetto tattico 3days a grande capacità di carico, una tasca per contenere fino a due 3 vesciche d’idratazione, cinturino sterno e cintura in vita, due doppie cerniere sul vano principale di facile accesso. • Porta caricatori di varie tipologie. • Fondina cosciale in nylon per largepistol con chiusura flap regolabile. • Cinghia tattica single-point modello Cobra. www.condoroutdoor.com

Per “scampagnate” tattiche RAPTOR-05 BACK PACK Costruito in NYLON da 1000 Denier, lo zaino ha una capacità di circa 60 litri. Il guscio esterno è rivestito da passanti MOLLE ed ha una maniglia di trasporto ed evacuazione. La parte dorsale è preformata per dare il massimo confort all’operatore, gli spallacci sono imbottiti, regolabili in altezza tramite cinghie e fi bbie a scorrimento e nella zona lombare tramite cinghie e fi bbie fastex e sono inoltre dotati di quattro anelli D-RING per l’ancoraggio rapido di accessori e di una cinghia elastica pettorale con fi bbia fastex. La fascia lombare è imbottita ed è regolabile tramite cinghie e fi bbie a scorrimento e fastex. Lo zaino è composto da un comparto principale completamente apribile tramite cerniera silenziata con tiretto in cordino. Sullo schienale del comparto principale è inserita una tasca a scomparsa adatta all’inserimento di sacche di idratazione personale e vi sono quattro cinghie con fi bbia fastex. Sulla parte interna della patta è posizionata una tasca a scomparsa. Sulla patta principale è inoltre posizionata la tasca secondaria. In una parte della tasca è posizionata una tasca a pattina e nell’altra parte è posizionata una tasca a scomparsa ed un inserto trasparente per la targhetta di identifi cazione personale. La base dello zaino è accessoriata con quattro asole con due cinghie di compressione. Ogni tasca è accessoriata da fori di drenaggio e nella tasca principale tre aperture garantiscono l’uscita di antenne, cavi radio e tubi di idratazione personale e due fettucce a velcro per la ritenzione di accessori. Il corpo dello zaino è comprimibile tramite quattro cinghie e fi bbie fastex. Nella parte frontale dello zaino è applicata una banda a velcro per l’applicazione di targhette identifi cative. www.defcon5italy.com TNM ••• 013


L’arte della perfezione Leatherman MUT EOD (Explosive Ordnance Disposal) Leatherman è un marchio conosciuto da milioni di persone che utilizzano i suoi fantastici multi-tool in vari contesti ma pochi sanno che parte delle sue proposte sono legate al settore militare. Il modello in esame è l’ EOD ( Explosive Ordinance Disposal) facente parte dell’ omonima collezione MUT (acronimo di Military Utility Tool) ed espressamente dedicato agli artificeri che devono occuparsi di esplosivi di ogni sorta e, in contesto delle attuali aree di impiego, spesso auto-costruiti. La struttura ricorda solo vagamente le classiche pinze multiuso Leatherman dedicate al mercato civile e il tutto si presenta come un tool davvero a specifica militare e con un colore tendenzialmente brunito con trattamento anti-riflesso.Numerosi, come sempre gli accessori dedicati, con varie tipologie di utilizzo.La lama principale, con punta Tanto style, è realizzata con Acciaio 420 HC, la seconda ha il seghetto combinato; si entra nello specifico con la pinza a becco e normale per arrivare al Crimp, atto all’ innesco delle cariche esplosive C4 e con relativo punzone. Si passa successivamente al tagliafili in Acciaio 154 CM (sostituibile) e poi al martello nella parte inferiore, al gancio, al punzone per l’eventuale smontaggio dell’arma tipo Colt M16/M4/AR15. In quest’ ultimo caso, e per nostra esperienza diretta, abbiamo constatato che tale strumento può sostituire quelli solitamente utilizzati per lo smontaggio dell’ arma e alla regolazione degli organi di mira. Non mancano la lima in Acciaio al Carbonio, punte per avvitatore standard Philips e non poteva mancare un classico, e utile, apribottiglia. Il corpo dell’ intero MUT EOD è in ottimo Acciaio Inox e il tutto per un peso complessivo di soli 317 gr.. Il fodero, adeguatissimo per la sua specifica tipologia di utilizzo, è realizzato in Cordura e Nylon e configurato per l’aggancio tipo M.O.L.L.E. anche se il nostro MUT EOD si può tranquillamente portare alla cintura grazie all’ apposita clip. www.coltelleriacollini.it TNM ••• 014


Leggero e traspirante MAGNUM ELITE SPIDER 8” Costruito in pelle primo fi ore, suola EVA Midsole Vibram® microsaldata anti-corrosione, antiscivolo e autopulente, ha una struttura Non-Metallic 3D2 Max Comfort a cellule con mescola ultraleggera e traspirante. Infatti lo SPIDER con i suoi 500 grammi, risulta essere l’anfi bio più leggero al momento disponibile in commercio. È attualmente disponibile in colore Nero e Tan. Certifi cazione ISO EN 20347. www.forzespeciali.it


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Nuova Jager

IL PAESE DEI BALOCCHI

L’appuntamento di questo mese è con la NUOVA JAGER sita in Basaluzzo (AL) una nota azienda del settore armiero, che ha fatto e farà ancora parlare molto di sé ..sicuramente alcuni lettori esclameranno come fece Don Abbondio nei Promessi Sposi, “Carneade?... chi era costui?”.... e quindi TNM vi condurrà in una veloce ed interessante visita a questa eccellenza tutta italiana. Iniziamo con un breve cenno sulla storia dell’azienda che risale all’inizio nel 1949 quando Armando PISCETTA, appassionato di armi e grande cacciatore, decise di fondare la JAGER ed affrontare il settore delle armi in maniera non convenzionale, creando TNM ••• 016

un’azienda in grado di adattarsi alle esigenze del mercato quando ancora l’economia italiana faceva fatica a partire. Le sue prime “creature” furono una carabina di taglio economico denominata AP51, seguita a breve dalle semiauto AP55 e AP61. Poi con il boom industriale degli anni Sessanta iniziò la realizzazione di repliche e da grande appassionato di film Western, realizzò quella del famoso revolver Colt Frontier: la sua creazione da quel giorno fu ampiamente utilizzata negli Spaghetti Western. Nel 1974, in seguito all’entrata in vigore delle normative antiterrorismo e della nuova legge sulle armi (Legge 18 aprile 1975, n. 110 - Norme


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integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), che poneva pesanti limiti ai tipi di armi e ai calibri, Armando PiISCETTA non si demoralizzò, anzi realizzò una serie di repliche di armi militari camerate per il calibro .22 Long Rifle, come l’AP74, copia dell’M16 americano, prodotto in migliaia di pezzi, esportato in tutto il mondo ed ufficialmente adottato da alcuni eserciti come arma destinata al training. Nei successivi anni Ottanta l’azienda iniziò a produrre e sostituire le canne, dei calibri vietati delle armi militari, con canne in calibri civili e consentite, permettendo cosi al mondo degli “oplologi” e dei tiratori, di utilizzare armi che sino ad allora erano proibite, diventando in breve leader del settore nel panorama italiano. Agli inizi degli anni Novanta convertì il primo AK47 per il calibro 6 PPC ed in seguito l’AK74 nel calibro .222 Remington, “sdoganando” questo tipo di arma nei confronti della legge italiana. Contestualmente iniziò lo sviluppo di una nuova cartuccia per armi corte in alternativa al 9 Parabellum, che a tutt’oggi è ancora vietato al pubblico civile. Le armi, che in questo periodo erano nate per camerare il calibro 9 Parabellum, venivano generalmente riconvertite nel calibro .30 Luger, perdendo le loro peculiarità di potenzialità e balistica. PISCETTA, quindi, prima realizzò il 9 Jager, partendo dal 9 Steyr, il cui bossolo veniva accorciato di 2 mm e, subito dopo, realizzò il 9x21 allungando di 2 mm il bossolo del 9 Parabellum. Innovazione, tecnica e competenza tutta Italiana, peccato che l’israeliana IMI, avuta notizia del progetto, non esitò a metterlo in produzione prima ancora che le armi fossero catalogate. Questa munizione è ancora oggi la più diffusa sul mercato nazionale. Gli anni novanta consolidarono la produzione nel settore della riconversione delle armi da guerra, attraverso l’acquisto di “pezzi d’arma” in giro per il mondo ed il loro successivo assemblaggio e completamento in armi semiautomatiche; tra i best seller rimangono l’AK47, l’M16, l’italianissimo BM59, ma in officina sono passate armi di tutti i tipi dallo STG44 ai Browning BAR, dai Thompson 1928 alla serie completa dei MAB 38, tutti riconvertiti per funzionare in semiautomatico, con ciclo di funzionamento ad otturatore chiuso, senza visibili interventi esterni ma solo modificando “ad arte” la meccanica interna. In contemporanea si aprì il mondo delle armi destinate ad uso scenico e l’azienda diventò in breve tempo leader del settore. Nel 2001, dopo aver ceduto alla UBERTI il ramo aziendale che produceva le ottime canne, la ragione sociale venne cambiata in NUOVA JAGER e la produzione si concentrò sulla demilitarizzazione e trasformazione per il mercato civile di armi militari. La svolta si ebbe nel luglio del 2009 quando l’azienda cambiò proprietà e la gestione passò al nuovo Amministratore Unico Massimiliano LOCCI, collezionista e grande conoscitore di armi, titolare di un notevole know-how, avendo ricoperto il ruolo di responsabile vendite per una nota azienda del settore. Ed è proprio lui che ci accoglie al nostro arrivo. Appena entrati siamo “investiti” dall’acre odore dell’olio industriale e dei tipici lavorati in metallo… come inizio non è male!!! LOCCI in poche parole ci fornisce il quadro esatto della nuova gestione dell’azienda, ci illustra le motivazioni che ne hanno portato all’acquisto e che possono concretizzarsi nella convinzione delle potenzialità commerciali della struttura, le quali amalgamate e gestite sapientemente saranno in grado di consolidare la Nuova Jager ai vertici delle imprese del


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settore. L’azienda, in questo iniziale periodo, è stata sottoposta ad un radicale restyling e potenziamento delle risorse, sia dal punto di vista finanziario che dei fattori umani; il primo passo è stato un sostanziale incremento del capitale sociale, seguito a ruota dall’intera informatizzazione di tutta l’azienda accompagnato, infine, dall’aumento del personale amministrativo e produttivo, quest’ultimo accuratamente selezionato ed estremamente qualificato. Tutti questi sforzi sono stati esclusivamente indirizzati al raggiungimento della massima soddisfazione del cliente, armeria prima e acquirente finale poi. Clienti che possono anche usufruire di un valido sito internet, costantemente aggiornato, nel quale è possibile trovare tutti le armi e gli articoli commercializzati, corredati di foto e caratteristiche tecniche, compresi quelli di libera vendita, in quanto esenti dalle normative di P.S in materia di armi. Di quest’ultima categoria fanno parte gli accessori della CAA Tactical, alcuni tipi di ricambi ed una cospicua sezione dedicata ai caricatori. Questi ultimi non sono più considerati parti essenziali di arma e quindi vendibili e detenibili liberamente senza denuncia, in ottemperanza al decreto legge del 26 ottobre 2010 n. 204. L’attuale “core business” della NUOVA JAGER si può riassumere nella distribuzione di armi ex ordinanza da collezione o da tiro, nella trasformazione di armi militari in armi civili, oppure disattivate, nella realizzazione di armi per uso scenico, nonché nella distribuzione di armi nuove. A tutto questo si affianca la creazione della “Law Enforcement e Military Division” e il conseguente l’ingresso nel mercato per la manutenzione e la fornitura di prodotti del marchio SAN Swiss Arms, destinati unicamente al mondo delle FF.AA. e di Polizia, con cui sono stati stipulati importanti accordi commerciali. Per ultimo, ma non certo in ordine di importanza e attuale fiore all’occhiello, troviamo la fase, di studio e futuro ampliamento, della produzione in proprio di “Black Rifle” AR15, alcuni già catalogati ed altri ancora in fase di prototipo ed in attesa di catalogazione. Tutti i modelli verranno ricavati partendo da “lower e upper” receiver forgiati o realizzati dal pieno e che saranno il principale step differenziale dei costi, ma che potranno essere “rifiniti” a scelta del cliente, customizzati con accessori della Leapers, come primo prezzo, o della CAA

Tactical in caso di specifiche esigenze professionali. Saranno equipaggiati con canne classiche o pesanti in cal. 223rem., di lunghezze variabili tra i 7.5inch, 10,5inch, 14,5inch, 16,75inch, 20 e 24inch, sia di produzione Nuova Jager, sia Lothar Walter che CZ. E’ prevista per il prossimo mese di settembre la presentazione delle versioni camerate per il calibro 308W. A questo punto per finire in bellezza, con somma gioia per i nostri ed i vostri occhi, si sono aperte le porte del “paese dei balocchi”… le camere blindate colme di rastrelliere su cui riposano quelle armi, corte e lunghe, che hanno fatto la storia, equipaggiando gli eserciti dell’intero mondo. Armi affiancate ad altre, che invece stanno scrivendo la storia contemporanea, e che a loro volta faranno sicuramente, a breve, parte delle collezioni degli appassionati. NUOVA JAGER srl via vecchia Novi 21, 15060 Basaluzzo (AL) tel. +39 0143 489 969 fax: +39 0143 489 707 www.nuovajager.it info@nuovajager.it TNM ••• 019


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Di CARLO BIFFANI

L’EVOLUZIONE DEL FENOMENO DELLE COMPAGNIE PRIVATE MILITARI E DI SICUREZZA Negli ultimi mesi, numerose rivelazioni di stampa, alcune delle quali in relazione alla vicenda Wikileaks, hanno confermato l’utilizzo da parte del governo degli Stati Uniti nei due principali teatri operativi della nostra storia contemporanea, ovvero l’Iraq e l’Afghanistan, di società private militari e di sicurezza in attività per le quali si è sempre immaginato fossero impiegate unicamente aliquote appartenenti agli apparati ufficiali della Difesa. Era infatti da tempo noto a tutti l’utilizzo di aliquote private nelle TNM ••• 020

attività di protezione ravvicinata di personale diplomatico o di imprenditori, oltre che nel training a favore delle forze armate e di polizia dei due martoriati paesi, ed ancora l’uso di PM&SC in attività di protezione di strutture di importanza strategica quali le istallazioni petrolifere, ma dell’utilizzo delle stesse anche in attività prettamente “combat” quali la ricerca, la cattura o l’annientamento di unità d’insorti dentro e fuori dai confini dei due paesi, oppure nell’acquisizione sul terreno d’informazioni utili all’intelligence governativa, si


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era solo vociferato e raramente si erano avute prove provate della partecipazione a tali attività da parte di realtà reperite sul libero mercato. Per i lettori di TNM, rappresentati in larga parte da persone molto ben informate sulle tematiche che affrontiamo in quest’appuntamento, la consapevolezza dell’impiego di risorse private, in una dinamica statuale, nel comparto sicurezza ed intelligence, non rappresenta certo una novità, ma vorrei comunque proporre una serie di ragionamenti sulle origini e sull’evoluzione dello scenario riguardante questi temi. I presupposti che hanno consentito che tutto questo si verificasse, traggono certamente origine, da un lato da un passaggio storico ovvero della caduta del Muro e dall’altro dalla necessità, da parte degli apparati di governo, di utilizzare sempre più frequentemente strumenti dotati di grande duttilità e di provata efficacia, ma non direttamente collegabili alle strutture ufficiali di uno stato, oltretutto a costi decisamente più sostenibili di quelli ascrivibili all’impiego di aliquote di uomini in divisa. Per quanto sta al primo punto, venendo meno il sistema dei blocchi contrapposti ed avendo dovuto, molti degli stati satellite, rinunciare alla messe di aiuti militari di addestramento e di armi che arrivavano loro dai due schieramenti, molti dei governanti di quei paesi si sono dovuti adattare alla nuova situazione rivolgendosi al mercato. Ed il mercato è sempre stato prodigo di compagini che, più o meno ufficialmente, proponevano già una trentina d’anni or sono, servizi in ambito sicurezza ed addestramento “on demand”. A saper dove cercare, non era difficile poi trovare anche chi potesse essere di grande aiuto nel tentativo di rovesciare un governo, nell’eliminare un nemico politico o nell’addestrare milizie locali, quindi, se non si poteva più contare sui munifici finanziamenti ed aiuti da parte degli stati amici, ci si sarebbe organizzati in altro modo. Questo passaggio appare come irrinunciabile per comprendere chiaramente cosa sia accaduto al mondo della sicurezza privata e delle attività militari date in outsourcing. Se a questo incremento di domanda commerciale, dettato da sconvolgimenti geopolitici, aggiungiamo nel tempo, la violenza di una crisi economica che da un lato ha costretto a tagliare i bilanci pubblici, compresi quelli della Difesa e che dall’altro ha reso sempre più importante la salvaguardia della stabilità dei paesi e dei siti nei quali vengono estratti gli idrocarburi e le risorse primarie più in generale, ci apparirà più chiaro il motivo per il quale si è assistito in questi ultimi 15 anni ad una crescita esponenziale sia del fatturato che delle capacità d’impiego delle Private Military Companies e delle Private Security Companies. Ora, avendo ben chiaro l’immane sforzo economico che gli stati debbono sobbarcarsi per affrontare le tre fasi di un conflitto moderno, ovvero quella della guerra propriamente detta, quella del peace-keeping e poi quella del peace-enforcing, così come comprendendo l’importanza strategica che ha per un paese moderno, difendere gli interessi delle proprie aziende che fanno affari in aree di crisi, impegnate nel settore energetico come in quello della tecnologia delle costruzioni e delle ricostruzioni, non sarà difficile comprendere come, anche a causa delle ristrettezze di bilancio che impongono il dogma della non ridondanza a tutti gli apparati messi in campo dai governi, si ponga come primaria ed irrinunciabile

la necessità di utilizzare risorse più snelle, meno costose e comunque altamente performanti anche nel comparto della sicurezza, della difesa e dell’intelligence. Secondo quest’esigenza, legata al risparmio, alla sostenibilità degli investimenti ed all’ottimizzazione delle risorse, la proposta commerciale delle PMC e delle PSC moderne, calza a pennello con la necessità di economizzare e di mettere sul terreno forze adeguatamente preparate e delle quali, cosa non di poco conto, non si ha la responsabilità diretta rispetto al loro operato, quando le cose dovessero purtroppo mettersi al peggio. Intelligence privata? Siamo tutti pienamente consapevoli di come l’intelligence trovi la sua ragion d’essere tanto in tempo di guerra che in tempo di pace e le motivazioni sono, come accennato, legate in tempo di conflitti, alla difesa del proprio contingente sul terreno ed in tempo di pace alla necessità di “sapere”. Queste due esigenze primarie ed irrinunciabili, sempre più spesso vengono esaudite dai governi occidentali anche grazie all’utilizzo di realtà private. Basti pensare all’impiego di tecnologie del ramo difesa costruite e gestite da aziende private, oppure alla difesa di basi militari appaltata a compagnie militari anch’esse private. Nei due casi indicati, i vantaggi per i governi sono rappresentati dal fatto che, nel primo esempio, intervenendo con una ricerca sul libero mercato, si acquisirà il materiale migliore al prezzo più conveniente, mentre nel secondo si libereranno da impegni di seconda o terza linea, forze che potranno così essere impegnate nel combattimento vero e proprio, come nel caso del personale civile delle PMC utilizzato al controllo degli accessi delle basi in Iraq ed Afghanistan. Questi due esempi rappresentano le più classiche e conosciute delle interazioni possibili fra pubblico e privato nel mondo della sicurezza, della difesa e dell’intelligence. Vi sono però altre modalità di collaborazione fra realtà statuali e private, se vogliamo meno conosciute, ma certamente altrettanto interessanti. Torniamo quindi all’esempio utilizzato all’inizio di quest’approfondimento, ovvero alle unità “commerciali” da combattimento che hanno operato nei più recenti conflitti. Questo passaggio, rappresenta il vero uovo di Colombo rispetto alla necessità di risparmio e la scelta di far svolgere, talvolta ai privati, attività di ricerca e cattura di unità terroristiche fuori dai confini nazionali, sembra sia sempre più affermandosi a diverse latitudini. Per quale altro motivo infatti, un paese moderno come quello degli Stai Uniti d’America, avrebbe preferito avvalersi di commandos privati in attività peculiarmente svolte sinora dalle loro forze speciali? Una ragione potrebbe essere individuata nella necessità di utilizzare un numero quanto più vasto possibile di “dispositivi” sul terreno. In un conflitto asimmetrico come quelli cui accenniamo, i territori e gli schieramenti da controllare, sono vastissimi e dai contorni fumosi. In questo caso potrebbe quindi prevalere il principio del”più si è, meglio è”. Una seconda importantissima ragione, è invece quella legata alla necessità di non inviare, in paesi non ufficialmente coinvolti nel conflitto, ma i cui confini sono continuamente attraversati da gruppi di combattenti nemici, unità di forze speciali per così dire di bandiera, la TNM ••• 021


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cui eventuale cattura potrebbe rappresentare un problema sotto molti aspetti. Un’ulteriore ottima ragione potrebbe poi essere quella della sostenibilità. Addestrare un soldato delle forze speciali ha costi altissimi per un governo. Perderli in un’azione ha risvolti, oltre che umanamente drammatici, economicamente rilevanti. Ben venga quindi la possibilità di rivolgersi a chi possa garantire altissimi standard d’efficienza, senza che un’eventuale perdita di risorse ricada direttamente sulla Forza Armata. Le possibilità d’interazione fra risorse pubbliche e private, nel campo dell’intelligence ed in quello militare e della sicurezza, offre quindi scenari in continua evoluzione. Senza spingerci troppo verso interazioni che rappresentano ancora oggi l’interpretazione estrema del concetto di privatizzazione delle attività di difesa, ci si può riferire alle esigenze legate alla prevenzione e mitigazione dei rischi per le aziende che inviano tecnici in aree non di guerra, ma di crisi, oppure al supporto offerto dalle moderne PMC e PSC alle Organizzazioni non governative, che operano in territori martoriati a supporto di chi soffre. Tutte attività, queste, non di diretta competenza degli eserciti, ma svolte quotidianamente da realtà private. Vi è poi un altro fondamentale scenario legato alle possibili interazioni fra pubblico e privato, ovvero quello del reperimento e della raccolta d’informazioni. A mio parere, nonostante l’enorme impulso dato negli ultimi anni alle attività d’intelligence, svolte grazie all’utilizzo di risorse tecnologiche, l’unico risultato che sembra sia stato ottenuto è quello di sancire in maniera sempre più netta l’irrinunciabilità della risorsa Humint, ovvero dell’intelligence raccolta sul terreno dagli operatori. Allora mi chiedo, perché uno stato non dovrebbe avvalersi delle informazioni che ogni giorno vengono raccolte sul terreno da centinaia di operatori, come è ad esempio nel caso delle compagnie militari e di sicurezza americane od inglesi? Proviamo ad immaginare, a tale proposito, quale TNM ••• 022

sia la mole di notizie ed informazioni che sono in grado di raccogliere gli operatori dislocati sul terreno dalle PMC e PSC e ci si renderà immediatamente conto del fatto che una simile quantità di dati non possa, in nessun modo, essere sottovalutata, ma debba anzi essere tenuta, da parte di un governo, nella giusta considerazione. Una cosa è infatti avere sul terreno “unicamente” i dispositivi d’intelligence propriamente detti, ed altra è poter attingere notizie da fonti diversificate, composte in ogni caso da personale il cui standard riferito ai temi relativi alla sicurezza ed all’intelligence è su livelli d’eccellenza e che ha esperienze dirette nel settore specifico. Un governo che abbia saputo sviluppare processi d’interazione con realtà private operanti in questo settore, si troverà a gestire un patrimonio di dati ben più consistente di quelli che potrebbero arrivargli unicamente dagli operativi dei servizi di sicurezza propriamente detti. Anche alla luce di queste possibilità d’espansione delle possibili sinergie fra pubblico e privato, mi augurerei che nel nostro Paese si pensi di tenere nella dovuta considerazione l’ipotesi di creare giuridicamente i presupposti affinché le PSC possano aspirare a nuove possibilità d’impiego ed utilizzo negli scenari internazionali. Per quanto tempo ancora dovremo, altrimenti, assistere all’utilizzo da parte di compagini governative quali quelle correlate alla nostra rappresentanza diplomatica, che preferiscono avvalersi di fornitori di servizi di sicurezza anglosassoni, anziché utilizzare realtà nazionali? In conclusione, vorrei che tutti noi riflettessimo su quali potranno essere le conseguenze in termini d’opportunità commerciali, della scelta operata negli ultimi giorni, dall’amministrazione americana in materia di difesa. Come pensiamo infatti che si ripercuoterà, sul mercato della sicurezza privata e dei servizi proposti dalle PSC e PMC, la decisione annunciata nello scorso mese di luglio dal presidente Obama di ridurre i costi della difesa?


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Gianluca Hermann

Validazione Aviation Battalion

Monte Romano 18/29 Luglio 2011 TNM ••• 024


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Piove forte e le raffiche di vento scuotono la pista di decollo, l’AB412 ci attende impaziente sotto questo strano tempo non consono per Luglio. Decolliamo in direzione del Poligono Militare di Monte Romano in perfetto orario. Monte Romano è oggi considerato dalla Forza Armata un polo d’eccellenza per la formazione del proprio personale e viene adoperato per molteplici attività. Nei giorni precedenti, le truppe in attività per questa Validazione sono state sottoposte ad una serie di esercizi dalla complessità via via sempre più crescente, esercitandosi in volo nel Poligono friulano di Casarsa. Lo scopo dell’esercitazione è di addestrare e validare l’Aviation Battalion , su base 5° Reggimento “RIGEL” e nello specifico alle seguenti operazioni:

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•nella soluzione di problemi operativi - nell’apprezzamento di situazioni in tempo reale. •nella reazione ad imprevisti generati dalla simulazione di eventi che richiedono rapidità decisionale. •nel perfezionamento della organizzazione interna del PC e dei flussi di comunicazione e procedurali. •nell’implementazione delle procedure standardizzate operative (TTP) in volo da parte delle pattuglie del TG. •consentire l’incremento delle capacità operative degli equipaggi EES mediante l’impiego del simulatore di missione CMS A-129.

anche il personale del 66° Reggimento Fanteria Aeromobile “TRIESTE”, all’elitrasporto operativo avanzato per esigenze di Quick Reaction Force in Teatro Operativo.

Inoltre l’attività svolta consentirà di validare operativamente il 5° Reggimento AVES “RIGEL” quale Aviation Battalion e contestualmente validare

L’attività di “validazione” è stata sinergicamente sviluppata dal Comando Aviazione Esercito e dalla Brigata Aeromobile “Friuli”. Il fine dell’attività è

TEMA DELL’ESERCITAZIONE L’ Aviation Battalion in ambiente PSO nella condotta delle seguenti attività operative: •RESUPPLY; •Attività tecnico-operativa e manutentiva •COMBAT RECOVERY; •FORWARD MEDEVAC; •QRF/QRA; •TROOP IN CONTACT (TIC)


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sopra Alcuni ragazzi e ragazze del progetto “Vivi le Forze Armate” sotto Un plotone di VFP1

stato perseguito simulando due settimane di attività continuativa, simulando quanto accade nel teatro operativo afghano, attraverso la programmazione di una scaletta degli eventi e attivazioni che, presi singolarmente, hanno rappresentato gran parte dello spettro di attività che l’Aviation Battalion può svolgere durante il normale impiego all’estero. L’attività si è sviluppata su due settimane dal 18 al 28 luglio. La prima settimana, nella base Militare di Casarsa e la seconda in parte a Casarsa e in parte a Monte Romano. Monte Romano 18/29 Luglio 2011 Oggi siamo attenti osservatori della parte conclusiva dell’Aviation Battalion che si svolge per l’appunto a a Monte Romano. Dopo un esauriente briefing tenuto dal Generale di Corpo d’Armata Enzo Stefanini con tutti i suoi ufficiali di comando e collegamento, si è tenuto a ribadire il concetto che la formazione del personale deve svolgersi sempre nelle stesse condizioni del Teatro Operativo dove andranno ad operare nei prossimi mesi gli operatori della Brigata “Friuli”. Questo a fatto si che i plotoni (TIC) venissero sganciati dai CH47 dopo due ore di volo notturno, tempo molto simile per distanza di volo, dalla base di Herat al punto di contatto con gli Insurgents, La validazione prevedeva appunto, come metro di valutazione, un possibile contatto con attività ostili. La validazione si è svolta in due fasi: u na fase diurna e una notturna dove si sono testati gli Assetti disponibili:

•Due A129 armati di 4 TOW, 500 r. x 20mm •Due CH47 armati di 1500 r. x 7,62mm •Due Plotoni Fucilieri Aeromobili armati con armi SCP in calibro 5.56 e MG 7,62, PzFaust e mortaio da 60mm •Due AB205 MEP FW-MedEvac AMed •Un AB205 comando armato di 500 r. x 7,62mm Il meccanismo perfettamente in sincrono tra le macchine a

pala rotante e le truppe di terra è sempre un elemento pieno d’insidie, varie incognite possono verificarsi durante lo svolgimento della missione, la meticolosità della validazione risiede proprio in questo , cercare un assetto ed un equilibrio che sia il più fluido possibile, perché in Teatro Operativo non esiste mai una seconda volta… Il colore dei traccianti fendono la notte scura dove il crepitio delle armi da fuoco è attutito solamente

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dalle pale dei CH, i plotoni fucilieri prendono posizione. Avanzamento in formazione serrata fino al punto di contatto, due A129 effettuano la copertura delle truppe terresti. L’utilizzo moderato delle munizioni è una regola prestabilita, il fuoco si concentra su sagome movibili, gli uomini avanzano, ottima la risposta fuoco sulle sagome, oramai è abitudine vedere centrate le sagome dal personale della Forza Armata, quindi sfatato TNM ••• 028

ogni pregiudizio sulla validità dei nostri fucilieri…l’obiettivo è centrato, si passa al recupero. Nell’oscurità il CH si avverte solo per il rumore delle pale e dalla luce verde degli intensificatori di luce dei piloti, la professionalità dei piloti è una certezza per il personale a terra, e senza farsi troppo desiderare arrivano precisi per il recupero del plotone.. rientro veloce e decollo immediato. Osservando il cielo stellato, mi

rendevo conto che nel Teatro Operativo il Combat Recovery è una procedura altamente pericolosa, sempre soggetta a minacce di qualsiasi genere, solo la continua formazione del personale può essere una garanzia di successo per questo tipo di Operazioni. La pioggia cessa di battere con feroce insistenza sulle nostre teste e l’oscurità comincia a calare su Monte Romano, gli uomini e i mezzi rientrano, la Validazione è


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Generale di Corpo d’Armata

Enzo Stefanini

Comandante dell’Aviazione dell’Esercito

Nato a Selci (RI) il 22 aprile 1952, ha frequentato nel biennio 1972-1974 il 154° Cor so presso l’Accademia Militare di Modena e nel settembre del 1974 è stato nominato Sottote nente di Artiglieria. Ha frequentato il corso per Ufficial i di Artiglieria presso la Scuola di Applicazione di Torino, è stato assegnato, con il grado di Tenente al 19° gruppo di Sequals (PN) dove ha svolto i periodi di comando quale Sottoco mandante e Comandante di Batteria dal 1977 al 1982.

terminata con successo. Presenti all’evento un plotone di VFP1 e alcuni ragazzi e ragazze del progetto “Vivi le Forze Armate”, segno evidente e tangibile che la Forza Armata è attenta osservatrice delle nuove generazioni, personalmente ho potuto osservare i volti di questi ragazzi e ho notato che nella notte stellata un’ammirevole luce di entusiasmo, brillava nelle loro pupille… Avanti Italia.

Ha frequentato il 13° Corso Piloti presso l’Aereonautica Militare e succes sivamente presso il Centro Aviazione dell’Ese rcito in Viterbo. Brevettato Pilota Osserva tore, ha prestato servizio dal 1984 al 1986 presso il 51° Gruppo Squadroni Elicotteri del 1° Reggimento ANTARES e successivamente pre sso il centro Aviazione dell’Esercito quale Pilo ta Istruttore di Volo e Specialità. Ha frequentato il 111° Corso di Stato Maggiore 1986-1987 e il 111° corso Superiore di Stato Maggiore 198 9-1990 presso la Scuola di Guerra di Civitavecchia conseguendo il titolo di Scuola di Guerra. Qua le Ufficiale di Stato Maggiore, ha prestato servizi o presso l’Ufficio Impiego del Personale del 1° Reparto dello Stato Maggiore dell’Esercit o espletando gli incarichi di Ufficiale Addetto, Capo Sezione e da ultimo, per oltre quattro anni, quello di Capo Ufficio Impiego del Personale.

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LIBIA Di Antonello Tiracchia

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LA GUERRA UMANITARIA DELL’EUROPA DIS-UNITA

Le Forze Armate, il cui Comandante Supremo è il Presidente della Repubblica, attuano senza discutere o criticare le scelte che vengono predisposte dal Governo e dal Parlamento. Naturalmente questo è successo e succede anche per il nostro coinvolgimento nei bombardamenti umanitari contro la Libia! Ci saranno certamente delle motivazioni complesse e riservate che hanno spinto anche il nostro Parlamento ad entrare in questa che sembra un’avventura più complessa e confusa del previsto, ma in qualsiasi modo vengano interpretate queste scelte, mi sembra quantomeno superficiale accettare l’idea che la Libia venga bombardata per ragioni umanitarie! Non mi sembra sia mai stato bombardato, per puro esempio, il Sudan di Al Bashir che in quanto ad animatore di crimini contro l’umanità è da vari anni un vero campione, essendo l’artefice delle troppo presto dimenticate tragedie e catastrofi del Darfur e del Sud Sudan, con un gran bel numero di morti ammazzati, di stupri di massa e di profughi disperati. Quest’osservazione potrebbe essere riferita ad altri governi, come per puro esempio lo Yemen, la Corea del Nord, la Siria, l’Iran, la Birmania e la stessa Cina che quotidianamente violano apertamente anche più elementari diritti civili e utilizzano la violenza con una disinvoltura aberrante. Questa guerra contro la Libia, a me, sembra piuttosto un epitaffio per l’Unione Europea dove ognuna delle nazioni fondanti va per la propria strada, infischiandosene apertamente degli interessi comuni. All’improvviso Gheddafi è diventato il principe del male, non solo per quegli stessi Stati europei che per decenni hanno fatto lucrosi affari con il suo regime, ma anche per molti maestri del pensiero anti-occidentale. In Italia poi la questione assume un aspetto ancora più confuso perché una parte dell’opinione pubblica, la stessa che ha pesantemente criticato l’intervento occidentale in Iraq, ha sostenuto e sostiene apertamente i bombardamenti, immaginandosi di colpire, per una contorta forma di traslazione mentale, Silvio Berlusconi che con Mu’ammar Gheddafi ha stretto rapporti economici e personali. Per quanto mi riguarda, questo mio commento sulla Libia, inizia

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una notte del mese di luglio del 1970 mentre ero sottotenente presso la Brigata Paracadutisti Folgore e fui svegliato in piena notte per la solita esercitazione d’allarme chiamata Drowsy Dog. Ma quella notte l’allarme non era un’esercitazione e poche ore dopo mi ritrovai come comandante di una squadra di armi a tiro teso armato ed affardellato di munizioni e razioni K, pronto per decollare con i nostri ansimanti C119 verso la Libia ed essere quindi lanciato sull’aeroporto di Tripoli per prenderne il controllo. In Libia, infatti, un aitante e risoluto colonnello di nome Mu’ammar Gheddafi stava sbattendo fuori gli italiani e gli ebrei tripolini, tenendosi però ben stretto i loro beni. Dopo lunghissime ore d’attesa, nascosti dentro un rovente hangar di lamiera dell’aeroporto di Pisa per non essere visti dai passeggeri della contigua aerostazione, non se ne fece nulla e tornammo in caserma più delusi che stanchi. Il confronto era tornato nelle mani della politica e della diplomazia, anche se fu allertata la Marina Militare ed un nutrito contingente della Folgore stazionò in Sicilia per un paio di mesi, senza però poter impedire che oltre 20 mila italiani, molti nativi o residenti in Libia da generazioni, perdessero tutto TNM ••• 034

quello che avevano in nome di una rinnovata dignità nazionale libica. La sinistra dell’epoca cantò vittoria: il Colonnello Gheddafi, l’uomo che aveva posto fine ad una corrotta ed incapace monarchia indossando i panni del liberatore aveva vinto il suo primo round contro la tracotanza capitalista e coloniale ormai al declino! Alcune settimane dopo, durante una licenza a Roma, incontrai un’amica d’università, diventata attivista di spicco della sinistra che, senza mezzi termini, mi disse che dovevo vergognarmi d’avere partecipato a quel tentativo d’invasione di una nazione rivoluzionaria e libertaria, di indossare la divisa e soprattutto quel basco rosso. Dovevo ravvedermi ed accettare il fatto che il destino del nuovo mondo libero era ormai nelle mani di rivoluzionari belli e puri come Gheddafi! In diversi media liberal, nelle scorse settimane, su quest’aperto atteggiamento di disponibilità verso Gheddafi della sinistra intellettuale dell’epoca, sono usciti diversi articoli di autocritica, scritti proprio da alcune esponenti della sinistra radical-chic che, come la mia compagna dell’università, sognavano un passionale amplesso sessuale con il bel colonnello visto come un nuovo Che Guevara. Dal 1970 ad oggi


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sono cambiate molte cose. La mia amica d’università, per esempio, ha sostituito la lettura de Il Manifesto con quella de Il Giornale e del Sole 24 Ore e raggiunge il suo casale in Maremma con una Porsche Cayenne, mentre l’Italia e la Libia hanno trascorso quest’arco di tempo con fasi d’amore ed odio a corrente alternata, condite da grandi scambi economici ma anche da roboanti minacce della Libia verso l’Italia, come quando Gheddafi dichiarò tra il comico ed il tragico di voler occupare le Isole Tremiti! Altre volte Gheddafi non ha solo minacciato, ma ha acceso e non solo metaforicamente la miccia di numerosi e sanguinosi episodi di terrorismo. Nonostante le sue mise da operetta, che lo rendevano ai nostri occhi una figura patetica, Gheddafi era additato dagli Stati uniti ed in genere dalla NATO come un terrorista e di fatto era ed è un dittatore della peggior specie! Ma l’Europa, Italia compresa, in tutti questi anni, non sembra ci abbia fatto troppo caso, del resto è risaputo che pecunia non olet! Forse per questo motivo sono stati occultati o camuffati alcuni capitoli dei complessi rapporti tra l’Italia e la Libia che sono quanto meno curiosi.

Nel 1973 ci fu il primo attentato all’aeroporto di Fiumicino, ad opera di un gruppo di terroristi palestinesi che, si scoprì in seguito, erano stati addestrati e finanziati dalla Libia, che aveva incominciato a sostenere ed istruire vari gruppi terroristici attivi contro l’occidente. Mu’ammar Gheddafi divenne così un evidente bersaglio per l’intelligence americana, ma l’Italia e altre nazioni europee, da una parte e dall’altra della Cortina di Ferro, continuarono a farci affari, vendendo alla Libia di tutto ma soprattutto equipaggiamenti militari. Alla fine degli anni ‘70 la Libia acquistò 240 aerei da addestramento basico SF 260 della SIAI Marchetti, un’azienda dell’Agusta a sua volta controllata dalla finanziaria di Stato Efim. All’epoca per esportare una semplice automobile dipinta di grigioverde, come la Fiat Campagnola, era necessaria, scusate l’iperbole che però rende bene l’idea, la “benedizione” del segretario del PCI ed il “bene placet” del papa, ma questo non valeva per la Libia. Di questa specifica fornitura, la cosa più incedibile, è che per addestrare i piloti libici venne fondata, con grande anticipo sui tempi, una società di servizi aerei denominata A.L.I. (Aero Leasing Italiana) SpA che prese in carico i circa duecento piloti che, per molti anni, istruirono i colleghi libici che, tra l’altro, utilizzarono il piccolo aereo italiano per compiere azioni di mitragliamento in Ciad. Tutti gli istruttori di volo italiani che hanno operato in Libia provenivano dalle fila dell’Aeronautica Militare! Secondo alcune dichiarazioni e testimonianze anche membri dell’esercito e della marina svolsero il ruolo d’istruttori militari per le forze armate della Libia, che comprava armi a tutto andare. Ma la cosa ancora più straordinaria è che l’aeronautica libica avrebbe utilizzato, in termini mai chiariti perché coperti dal segreto di Stato, la pista italiana di San Pancrazio Salentino, nei pressi di Brindisi, come uscì fuori da un’inchiesta parlamentare del 1989 in cui il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare Franco Pisano dovette ammettere, suo malgrado, che si trattava di una “pista custodita” ma all’epoca non risultava evidenziata in nessuna mappa aeronautica! TNM ••• 035


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Alle 10:25 del 2 agosto 1980, nella sala d’aspetto di 2ª classe della Stazione di Bologna, affollata di turisti e di persone in partenza o di ritorno dalle vacanze, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, esplose, causando il crollo dell’ala ovest dell’edificio.

In altre occasioni, per superare l’embargo imposto dagli Stati Uniti, più di una volta, l’industria militare italiana dovette creare apposite versioni dei mezzi destinati alla Libia, come per esempio, sempre alla fine degli anni ’70, l’allora Aeritalia per vendere 20 aerei da trasporto tattico G222 dovette sostituire i motori statunitensi General Electric T64 con i Rolls Royce Tyne. Nel 1980 un DC9 dell’Itavia precipitò in mare per cause tuttora controverse ed oscure. Si dice che aerei dell’US Navy erano decollati per intercettare l’aereo su cui volava Gheddafi che, secondo il suo piano di volo originario, era diretto a Varsavia seguendo l’aerovia Ambra 13 ma che, ad un certo punto, deviò all’improvviso verso Malta ed arrivò a Varsavia sorvolando i Balcani. Durante la commissione d’inchiesta sulla strage di Ustica si disse che Gheddafi sfuggì all’agguato perché era stato avvisato dai servizi italiani che qualcuno lo aspettava per abbatterlo. Secondo questa versione il DC9 si TNM ••• 036

trovò per puro e tragico caso al centro di una battaglia aerea in cui, si dice, fossero coinvolti aerei occidentali e fu colpito da un missile vagante che, come riferì nel 1990 l’Ammiraglio Fulvio Martini, Capo del SISMI, alla Commissione Parlamentare Stragi che indagava su Ustica «…se fu un missile ad abbattere il DC9 dell’Itavia, questo missile non poteva che essere lanciato da un aereo americano, inglese o francese…». L’unica cosa certa di questa brutta storia (mai chiarita) è che sono morte 81 persone innocenti. Ma la storia delle relazioni tra l’Italia e la Libia è piena di stranezze ed ambiguità, come evidenzia quest’articolo, tratto da un quotidiano calabrese: “Il 18 luglio del 1980, una telefonata allertò i carabinieri di Caccuri, in provincia di Crotone, della presenza dei resti di un aereo tra le montagne di Castelsilano. Scattò l’allarme. In poche ore confluirono in località Timpa delle Magare carabinieri, poliziotti, reparti dell’Esercito e dell’Aereonautica; ma secondo alcuni, già dalla fine di giugno, militari di leva arrivati da fuori perlustravano e presidiavano tutta la zona! Dopo il 18 luglio l’intera area interessata dalle operazioni di recupero venne inibita all’accesso di curiosi e giornalisti. Nello spazio di cinque chilometri intorno al velivolo nessun civile poté mettere piede. Cominciò così un “giallo” infarcito di contraddizioni, errori di valutazione e risposte mancate. Pressato dall’opinione pubblica, il Ministero della Difesa, diffuse dopo poche ore un comunicato ufficiale. Nel documento si riferiva che era stata ritrovata «la carcassa di un MiG 23 monoposto di fabbricazione sovietica, sprovvisto d’armamento e serbatoi supplementari, in dotazione alle forze aree libiche. Nella cabina è stato rinvenuto il cadavere di un pilota, di carnagione scura e dell’apparente età di trent’anni». Mu’ammar Gheddafi, dall’altra parte del Mediterraneo, rispose con un


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comunicato ufficiale del suo governo. «Il nostro pilota era in volo d’addestramento ed a causa di un improvviso collasso ha perso il controllo dell’aereo, precipitando». Furono in molti a pensare che, per tutta una serie di circostanze mai chiarite, il MiG 23 fosse precipitato li proprio il 27 di giugno, il giorno della tragedia di Ustica, ma chi provò timidamente a sostenerlo con prove argomentate scomparve dalla scena o le sue testimonianze furono ignorate. Rimane il mistero di cosa ci facesse lì a 800 chilometri dalla Libia un aereo senza serbatoi ausiliari e comunque, se pur li avesse avuti, senza la possibilità di compiere il suo volo a ritroso. La storia dell’aeroporto segreto di San Pancrazio Salentino fu accomunata così al misterioso volo ed alla ancor più misteriosa fine del MiG 23 libico, del suo pilota ed alla sospetta scomparsa ed al silenzio di alcuni testimoni. Meno di due mesi dopo questa storia, già piena di domande senza risposte, ci fu l’attentato alla stazione di Bologna; secondo qualcuno, immediatamente messo a tacere, questi tre avvenimenti sono tasselli di uno stesso puzzle, che vede la Libia di Gheddafi come elemento passivo nei primi due episodi ed elemento ben attivo in un’azione vendicativa e di monito nel terzo. Questa la cruda sintesi del fatto: “Alle 10:25 del 2 agosto 1980, nella sala d’aspetto di 2ª classe della Stazione di Bologna, affollata di turisti e di persone in partenza o di ritorno dalle vacanze, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, esplose, causando il crollo dell’ala ovest dell’edificio. L’esplosivo, di fabbricazione militare, era posto nella valigia, sistemata a circa 50 centimetri d’altezza su di un tavolino portabagagli sotto il muro portante dell’ala ovest, allo scopo di aumentarne l’effetto; l’onda d’urto, insieme ai detriti provocati dallo scoppio, investì anche il treno AnconaChiasso, che al momento si trovava in sosta sul primo binario, distruggendo circa 30 metri di pensilina, ed il parcheggio dei taxi antistante l’edificio. L’esplosione causò la morte di 85 persone ed il ferimento o la mutilazione di oltre 200.” Stranamente le indagini sulla strage di Bologna abbandonarono immediatamente la pista libica e nonostante le perplessità di autorevoli membri della Commissione Stragi del PCI, furono condannati due estremisti di destra già carichi d’ergastoli e quindi spendibili. Così, nonostante i sospetti immediatamente soppressi, Gheddafi, deriso per le sue mise, temuto per la sua spietata risolutezza e rispettato per la sua capacità di manovrare il denaro, continuò ad essere un interlocutore importante per la nostra economia ma anche per una parte dei nostri servizi d’intelligence come risultò da varie indagini e commissioni d’inchiesta ormai dimenticate. Sempre in quest’atmosfera d’alleanze e tradimenti, per onorare la figura di Omar al-Mukhtar (l’eroe nazionale libico), Gheddafi finanziò il film Il Leone del deserto, diretto

dal regista siro-statunitense Mustapha Akkad. Il film fu censurato in Italia per vilipendio alle Forze Armate, per iniziativa dell’allora Primo Ministro Giulio Andreotti, ma alcuni attori italiani si dichiararono felici di aver potuto denunciare i misfatti del fascismo, denigrando l’Italia, gratificati da un bel pacchetto di dollari elargiti da Gheddafi, sempre indicato dall’intellighenzia di sinistra come un paladino della libertà per tutta l’Africa e sostenuto da varie realtà istituzionali italiane, segrete, ufficiali o deviate che fossero. A dimostrazione di come la storia viva di cicli ripetitivi ed il potere ne voglia sempre incidere il percorso, è interessante ricordare che durante il processo ad Omar al-Mukhtar, nell’estate del 1931, Mussolini inviò un telegramma ai giudici, incoraggiandoli a concluderlo con una pena esemplare ed in questo clima di giustizia sommaria fu arrestato il capitano Roberto Lontano, con l’accusa d’avere interpretato con eccessivo zelo il suo ruolo di difensore d’ufficio! Tornando ai giorni nostri vediamo I 2000 frammenti che formano il DC9 Itavia, si trovano a Bologna presso l’ex magazzino delle tramvie cittadine


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Un bombardamento errato da parte della NATO. Un malfunzionamento del sistema di guida di un missile ha causato una strage.

come, nell’elenco delle tragiche e fumose vicende libiche, dodici anni dopo la prima strage di Fiumicino, esattamente il 27 dicembre del 1985, un altro commando palestinese compie un attentato a Fiumicino ed uno a Vienna, evidenziando l’attuazione di un progetto terroristico, frutto di un attento e coordinato lavoro d’intelligence. “L’evento noto come strage di Fiumicino del 1985 è un duplice attentato terroristico, organizzato da un gruppo palestinese che, alla stessa ora, circa le 9 del mattino, assaltò sia l’aeroporto di Fiumicino che TNM ••• 038

quello di Vienna, uccidendo un totale di 16 persone e ferendone oltre 100. Nell’assalto furono uccisi quattro terroristi. La regia del duplice attentato venne attribuita al militante e leader politico palestinese Abu Nidal, dietro al quale c’erano i servizi libici. Secondo quanto riferisce l’Ammiraglio Fulvio Martini, già direttore del SISMI, nella sua autobiografia Nome in codice “Ulisse”, i servizi italiani erano stati avvertiti fin dal 10 dicembre, dai servizi di un paese arabo amico, della possibilità di un attentato all’aeroporto di Fiumicino. Gli stessi israeliani, dopo quest’avvertimento, fecero appostare diversi tiratori scelti in difesa della postazione della compagnia El Al e furono poi tra i primi ad aprire il fuoco sugli attentatori. Tuttavia, sempre secondo l’ammiraglio Martini, qualcosa non funzionò nella gestione delle forze dell’ordine italiane e nonostante le informazioni ottenute con più di una settimana di anticipo, l’azione dei terroristi non venne fermata in tempo”. Altri gruppi di terroristi, non solo palestinesi, addestrati e sostenuti da Gheddafi, colpirono ripetutamente l’Europa, sino a quando, il 5 aprile 1986, agenti dei servizi segreti libici realizzarono un attentato alla discoteca «La Belle» di Berlino, piena di militari americani in libera uscita, dove morirono tre persone ed oltre 200 rimasero ferite. Il presidente Ronald Reagan decise che la misura era colma e pochi giorni dopo, nella notte tra il 14 ed il 15 aprile, decise di lanciare un raid aereo contro la Libia per eliminare fisicamente Gheddafi, definito dallo stesso presidente Ronald Reagan un patetico pagliaccio. Un raid aereo decollò in segreto dall’Inghilterra e da portaerei nel Mediterraneo per


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Ribelle libico alle porte di Misurata

colpire la residenza di Gheddafi, guardandosi bene dal sorvolare lo spazio aereo italiano ed avvisare, nel dettaglio, il nostro Governo, di cui i servizi americani non si fidavano. Infatti Bettino Craxi, coerente con i suoi sentimenti anti-americani e di simpatia verso i despoti africani, venuto comunque a sapere del raid, avvisò Gheddafi dell’imminente bombardamento, salvandogli così la vita. I brani che seguono sono tratti da una corrispondenza del 30 ottobre 2008 del giornalista inglese Nick Squire del Telegraph.uk e non sono mai stati smentiti. “…il Ministro degli Affari Esteri libico, Mohammed Abdel-Rahman, sostiene che l’allora Presidente del Consiglio italiano, Bettino Craxi, gli avrebbe mandato un messaggio “uno o due giorni” prima del bombardamento americano. «Il presidente Craxi mi mandò un messaggio tramite un amico comune per dirmi… che ci sarebbe stata un’incursione americana contro la Libia» ha dichiarato a Roma Abdel-Rahman, a quel tempo ambasciatore della Libia in Italia. «Era difficile conoscere momento e luogo esatti dell’attacco» ha dichiarato «ma alla fine la soffiata salvò la vita del Colonnello Gheddafi». Le sue rivendicazioni sono state confermate da Giulio Andreotti, allora Ministro degli Esteri italiano: «L’incursione americana fu una misura completamente inappropriata, un errore enorme!». Alla domanda se la versione dei fatti esposta dalla Libia fosse corretta, Andreotti ha affermato: «Sì, direi di sì».” L’incursione americana su Tripoli e Bengasi del 15 aprile 1986 uccise circa 40 persone. La Thatcher fu l’unico leader europeo a dare il permesso alla forze americane di utilizzare le basi aeree per l’attacco di rappresaglia, che durò 12 minuti e colpì sia basi militari e caserme sia la residenza del Colonnello Gheddafi, dove morirono alcuni suoi famigliari tra cui una bimba di 15 mesi. Il Ministro degli Esteri libico, Abdel-Rahman, quando ha rilasciato queste dichiarazioni, nel 2008, era a Roma per una conferenza stampa sull’accordo d’amicizia del valore di 5 miliardi di dollari, inteso come accordo risolutivo delle controversie legate all’occupazione coloniale della Libia da parte dell’Italia. Il Ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, in quell’occasione invitò ufficialmente il Colonnello Gheddafi a visitare l’Italia, dove ha detto che sarebbe stato accolto «come un amico». Frattini definì la Libia «un paese affidabile, riconosciuto come tale dalla comunità internazionale». Ma non c’è da stupirsi, all’epoca di Craxi gran parte dei nostri servizi segreti era sul libro paga di Gheddafi e proteggeva, in termini quanto meno ambigui, esponenti del terrorismo mediorientale, mentre la Fiat degli Agnelli usciva da una delle sue cicliche crisi finanziarie grazie ad una bella iniezione di petroldollari libici. E’ comunque interessante ricordare che Gheddafi ringraziò, a modo

suo, Craxi, sparando due missili Scud su Lampedusa, che ospitava una stazione LORAN americana, ma che fortunatamente non raggiunsero l’isola; ma anche questo episodio, come tutto ciò che ha avuto a che fare con la Libia, è avvolto nel mistero del depistaggio. Secondo il generale Basilio Cottone, capo di Stato maggiore dell’Aeronautica Militare dal 1983 al 1986, i missili non furono mai lanciati ed il boato che sentirono gli abitanti di Lampedusa furono i bang sonici di alcuni F104 italiani. Nel 2008, durante lo stesso incontro italo libico alla Farnesina, a cui fa riferimento il giornalista Nick Squire, è emerso che dopo questo ipotetico lancio di missili, Craxi, voleva attivare una rappresaglia aero marittima contro la Libia! Confusione, depistaggi, mezze verità, sono questi gli elementi chiave dei rapporti italo-libici in questi ultimi 40 anni. Rimane il fatto che, il 21 dicembre del 1988, dopo una lunga serie di attentati di minor importanza in tutta Europa, i servizi libici si vendicarono del bombardamento americano con un colpo grosso, facendo precipitare un 747 della Pan Am a Lockerbie in Scozia, uccidendo 270 persone. I resti dei corpi di molti di questi sventurati passeggeri furono trovati sparsi per chilometri dopo essere precipitati nel vuoto da 9 mila metri per almeno due minuti! Nel 2011 il ministro libico della giustizia, Mustafa Moahamed Abud Al Jelei, intervistato dal quotidiano svedese Expressen, ha ammesso le responsabilità dirette di Gheddafi nell’ordinare l’attentato. Negli ultimi dieci anni, nonostante queste premesse, i rapporti con l’Italia sono diventati sempre più forti sotto il profilo dell’interscambio economico e delle forniture militari ed industriali e sicuramente l’Italia ha avuto un ruolo di mediazione nel compenso che la Libia ha destinato alle vittime dell’attentato di Lockerbie, che in qualche modo ha ripulito l’immagine politica della Libia di Gheddafi. Rimane per me il mistero di come sia possibile che, per quaranta anni, quando la Libia era uno stato canaglia, l’Italia ci ha trafficato alla grande, TNM ••• 039


FOCUS ON FOCUS ON FOCUS ON FOCUS ON FOCUS ON FOCUS ON Due caccia libici Mirage dell’ aviazione libica atterrati a Malta il 21 febbraio scorso. I due apparecchi facevano parte di uno squadrone di stanza fuori Tripoli, ai quali era stato ordinato di colpire la folla dei manifestanti in rivolta a Bengasi. Durante il loro debriefing, i due ufficiali, dopo aver chiesto asilo politico, hanno fornito alle autorità maltesi dettagli classificati sui piani del regime per stroncare la rivolta. (foto TNM)

al punto tale da diventarne un riferimento politico di primaria importanza. Poi l’Italia, negli ultimi anni, forte di questa sua lunga frequentazione, contribuisce a portare Gheddafi sulla giusta via, tant’è che il colonnello riconosce gli errori del suo passato di fiancheggiatore del terrorismo internazionale e ne compensa le vittime con miliardi di dollari, quindi sottoscrive un trattato d’amicizia con l’Italia, che pone fine alla diatriba dei danni del colonialismo e crea i presupposti per lucrosi affari e partnership a livello industriale ed economico e noi… la bombardiamo! Alla data d’inizio dei recenti bombardamenti, oltre un quarto delle nostre forniture d’idrocarburi provenivano dalla Libia, grazie ad accordi siglati in questi ultimi anni in controversi e grotteschi incontri tra Berlusconi e Gheddafi, accordi comunque sempre positivi per la nostra economia e comunque grotteschi come quelli tra lo stesso Gheddafi e Sarkozy. Il seguito di questo nutrito, seppure parziale, elenco di vicende è cronaca. La Francia del traballante governo Sarkozy decide di attaccare la Libia, adducendo la difesa dei ribelli oppositori del regime di Gheddafi, per l’occasione definito come un despota sanguinario e coinvolgendo nella sua decisione prima l’ONU e poi la NATO. Non sappiamo come veniva definito Gheddafi quando la stessa Francia che, mentre combatteva la Libia in Ciad, le vendeva i suoi Mirage, insieme ad altre armi in cambio del suo petrolio. Non appena è scoppiata la crisi libica sono emersi strani episodi che hanno coinvolto agenti speciali inglesi, francesi ed olandesi e subito dopo, la Francia, ha deciso di bombardare la Libia, anticipando le decisioni del Consiglio di Sicurezza, seguita a ruota dall’Inghilterra dell’hung parliament dell’inconsistente David Cameron e da altre nazioni, tra cui la stessa Italia che, da questa storia, esce comunque malconcia e come spesso accade ed è accaduto con un’immagine internazionale oscurata da ambigui comportamenti politici se non da tradimenti. Tra l’Italia e la Libia, come abbiamo visto, c’era infatti un trattato che è stato letteralmente stracciato. Non sappiamo che cosa accadrà dei nostri investimenti in Libia quando la fase dei bombardamenti umanitari, meno breve del previsto, avrà termine. Non sappiamo TNM ••• 040

Tornado italiano della missione Unified Protector

se le forniture d’idrocarburi continueranno ed a quali condizioni. Non sappiamo quale sarà l’assetto politico dell’intera regione mediorientale e che ruolo giocherà il fondamentalismo islamico. Sappiamo che siamo letteralmente invasi da migliaia di disperati che provengono da quei territori. Sappiamo che l’Europa, che fa decollare i suoi aerei dalle nostre basi, non è disposta ad aiutarci per risolvere il problema di queste migrazioni di massa. Sappiamo che Francia, Inghilterra, Germania e Stati Uniti si sono ripetutamente incontrate sulla questione libica senza neppure avvisarci. Adesso gli Stati Uniti incominciano a dire che i bombardamenti aerei non sono risolutori del conflitto, ma sono la necessaria fase propedeutica per mettere the boots on the ground! Ma chi metterà gli scarponi dei propri soldati in Libia dove è oltretutto assai probabile che ci sarà una recrudescenza del fondamentalismo islamico? E se questo avverrà, quale sarà il tornaconto dell’Italia? I bombardamenti in Libia sono, a mio avviso, l’ulteriore conferma che l’Europa è una grande realtà bancaria, in mano a pochi Stati, ma sotto il profilo politico e militare è, nel suo insieme, una nullità totale, come dimostrano numerose domande senza risposta e questo mi spinge ad esprimere una provocazione: e se a proposito dell’inutilità, per l’Italia, di stare in Europa avesse ragione il Ministro Roberto Maroni?


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BACK UP ALL’ITALIANA Di OVIDIO DI GIANFILIPPO


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Qualche anno fa (circa 17-18 anni fa, quindi 1993-1994) avevo 13-14 anni e la mia passione per le armi già si era manifestata da tempo. Mio zio, il fratello di mio padre, mi permetteva spesso di stare con lui ed ammirare i suoi “giocattoli” (essendo cacciatore e collezionista d’armi ne possedeva un discreto numero). Un giorno mi chiamò dicendomi che aveva fatto un nuovo acquisto e quando arrivai a casa sua, rimasi molto impressionato e sorpreso. Mio zio di armi ne aveva tante, ma come questa non ne avevo mai viste, si trattava di una piccola e sottile pistola in acciaio inox (per la verità la più sottile che io avessi mai visto). La prima osservazione (da ragazzino adolescente ancora poco esperto) fu: SI TRATTA DI UNA QUALCHE

VERSIONE COMPATTA DELLA IMI JERICHO? Mio zio mi riprese immediatamente: MA QUALE IMI JERICHO? QUESTA E’ UNA SITES RESOLVER CALIBRO 9 CORTO, E’ UNA PISTOLA TUTTA ITALIANA!!! Me ne innamorai! Da quel giorno sono passati svariati anni, ma da allora ho sempre desiderato possedere una SITES. Purtroppo la ditta SITES fallì e chiuse i battenti e le mie speranze di trovare un pezzo nuovo si abbassarono notevolmente. Finché un paio di anni fa, durante una visita presso un’armeria di L’Aquila, la mia attenzione fu catturata da una scatola di plastica chiusa all’interno del vetro blindato della rastrelliera, dove sono esposte le armi lunghe. Sulla scatola di colore nero vidi una scritta di color viola (per la verità color Magenta) a me molto

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familiare. Chiesi subito all’armiere se poteva farmi vedere di cosa si trattava! L’armiere aprì la vetrina e prese la scatola, c’era una scritta (RESOLVER M380, MADE IN ITALY); la mia eccitazione si fece sentire, aprendo la scatola e vedendone il contenuto, in un attimo tornai mentalmente a quel giorno di molti anni fa a casa di mio zio. Era lei, la SITES modello Resolver, calibro 9mm short (9x17), la prima domanda rivolta all’armiere fu: QUANTO COSTA? L’armiere mi disse il prezzo (che non rivelo per motivi di correttezza), dico solo che fu un vero affare, avevo qualche risparmio in banca e decisi di pagarla con il bancomat! Dissi immediatamente: LA PRENDO!!! Ma la cosa più bella è che l’arma era praticamente nuova, intonsa, corredata anche di caricatore di riserva, tenuta in collezione da un privato e restituita all’armeria.

Resolver è dotata di un’azione comunque abbastanza lunga, garantendo una relativa sicurezza di maneggio. E’, inoltre, assente anche la sicura automatica al percussore, particolare che la penalizza leggermente, ma che non costituisce grande problema dato che comunque si parla di un’arma da back up. Essendo sprovvista di sicure e quindi di comandi esterni che ne costituiscono l’attivazione, la Resolver è sprovvista anche di leva old open (classica leva che tiene il carrello-otturatore in posizione aperta ad esaurimento cartucce). Gli organi di mira della SITES Resolver si presentano di basso profilo e sono costruiti in acciaio al carbonio con finitura nera, ottenuta tramite brunitura. Essi consistono in: tacca di mira posteriore a lamina, innestata a coda di rondine e tacca anteriore a rampa, fissata al carrello-otturatore tramite spinatura. L’asta guidamolla è in acciaio e vi trovano sede due molle di ASPETTI TECNICI diverso libraggio, innestate l’una dentro l’altra e bloccate in maniera solidale all’asta tramite un pistoncino. La canna, La SITES Resolver è una pistola semiautomatica che camera anch’essa in acciaio inossidabile sabbiata, presenta rigatura la cartuccia calibro 9x17 short, compattissima e poco di tipo sinusoidale, ovvero una rigatura simile ad una di tipo meno sottile di un pacchetto da 10 di sigarette. Costruita poligonale ma senza spigoli vivi. Il carrello-otturatore della completamente in acciaio inox e finita per sabbiatura, Resolver scorre su delle guide ricavate tramite fresatura, particolare che gli conferisce un aspetto aggressivo, oltre poste all’interno del fusto (invece che all’esterno), questa che una funzionale superficie antiriflesso. Ospita caricatori caratteristica contribuisce a rendere l’arma ancora più metallici a profilo monofilare aventi capacità di 7 cartucce. compatta. Il detto sistema non è prerogativa assoluta della Uno degli elementi particolari della SITES Resolver Resolver, infatti lo ritroviamo anche nelle pistole fabbricate è quello di avere un sistema di funzionamento di tipo da CZ, TANFOGLIO, I.M.I. ed altre ancora. Altra caratteristica D.A.O. (Double Action Only) quindi solo doppia azione. saliente dell’arma in questione è quella di avere il cane L’arma è completamente sprovvista di sicura azionabile interno, elemento che non costituisce problemi, dato che, manualmente, ma essendo solo in doppia azione, la come abbiamo già detto, la Resolver spara solo in doppia TNM •••\ 044


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azione. Lo smontaggio da campo risulta essere estremamente semplice e s’effettua tramite azione su leva posta appena sotto il grilletto. Questa leva, quando sollecitata tramite pressione, abbassa un pistoncino a forma cilindrica che svincola tutto il blocco canna-asta guida molla- carrello. PROVE A FUOCO Com’è ormai mia abitudine, per svariati motivi, per le prove a fuoco, mi sono recato presso il campo di tiro dell’A.M.T.D.S. (Associazione Marsicana Tiro Dinamico Sportivo), con sede in Trasacco (AQ). La giornata delle prove a fuoco è stata piovosa, ma alla fine, l’unico ad avere qualche problema per via dell’umidità, sono stato io: l’arma non ha avuto problemi essendo realizzata in inox. Ho sparato, da distanze comprese tra i 6-7 metri fino a 12-13 metri, un totale di 100 cartucce marca MAGTECH con palla in piombo nudo di tipo LRN (ovvero a profilo ogivale) da 95 grs, fornite dall’armeria Calvisi Rachele con sede in Trasacco (AQ). La SITES resolver, durante le prove a fuoco, si è comportata egregiamente, mostrando una notevole precisione (dato importante considerando che stiamo parlando di un’arma da back up), oltre ad una notevole comodità d’impiego dovuta alla sua ottima ergonomia ed all’angolazione dell’impugnatura che si adatta perfettamente anche a mani medio-grandi. Il comportamento a fuoco è piacevole, genera un


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rinculo fluido e progressivo, caratteristica dovuta alla relativa leggerezza delle palle sparate dal 9x17, ma anche dalla durezza della molla, vista la tipologia di chiusura dell’arma che è di tipo labile, ovvero a canna fissa. Come mia personale consuetudine, per le prove a fuoco, ritengo sempre opportuno effettuare qualche estrazione dalla fondina o anche semplicemente dalla cintola dei pantaloni (cosa che il mio istruttore di tiro operativo mi vieta sempre categoricamente) e qualche cambio caricatore con varie tecniche di procedimento, cosa in cui la SITES ha mostrato notevole rapidità e funzionalità tattica, data dalla sua linea pulita e senza fronzoli. La funzionalità tattica è dovuta anche al pulsante di sgancio caricatore a profilo cilindrico, posto sul lato sinistro dell’impugnatura, alla base del ponticello del grilletto, che è di dimensioni piacevolmente maggiorate rispetto alla massa complessiva dell’arma, ma sempre comunque adatte ad un’arma da difesa personale. IN SINTESI La SITES resolver è una pistola in cui si sposano elementi di compattezza, ergonomia ed efficacia balistica (dato che è una super-compatta che camera un 9mm). Proprio per le sue ridotte dimensioni e per la sua linea pulita e senza fronzoli, la Resolver è una delle armi più adatte alla difesa ed al porto occulto che il mondo delle armi abbia mai generato, per tutto il resto lascio il giudizio a voi lettori ed appassionati di armi. TNM ••• 046

COSTRUTTORE: Sites S.p.A. MODELLO: Resolver M380 (non più in produzione) TIPOLOGIA: Pistola semiautomatica CALIBRO: 9x17 (9 corto) CARICATORE: Monofilare CAPACITA’: 7+1 LUNGHEZZA CANNA: 86 mm LUNGHEZZA TOTALE: 154 mm SCATTO: D.A.O. (double action only) FUNZIONAMENTO: Chiusura labile SICURE: Assenti MATERIALI: Acciaio inox PESO: 550 gr. PREZZO: 350-450 euro


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SIAS

Di ZORAN MILOSEVIC

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Serviciul pentru Interventii si Actiuni Speciale (servizio per gli interventi e le azioni speciali )


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Serviciul pentru Interventii si Actiuni Speciale“ (servizio per gli interventi e le azioni speciali) è una formazione d’elite speciale, nata inizialmente per l’esecuzione di interventi altamente a rischio delle forze di polizia rumena su tutto il territorio nazionale, responsabile del coordinamento di tutte le operazioni di intervento speciale. Con la caduta del regime comunista di Chausesku alla fine degli anni 80’ in Romania sono avvenuti grandi cambiamenti sulla scena politica nazionale. Il governo rumeno appena fondato si pose come priorità, la necessità di avvicinarsi ai paesi occidentali e agli Stati Uniti, i quali poi hanno avuto un ruolo di primo piano nell’inserimento della Romania nell’ unione militare euroatlantica della NATO e successivamente nell’’Unione Europea. Tuttavia, al fine di avvicinare i paesi ricchi dell’Europa occidentale dell’UE, è stato necessario attuare un programma di modernizzazione di tutte le istituzioni statali e delle infrastrutture, compresi le forze militari e polizia. L’avvicinamento della Romania

agli standard occidentali e al capitalismo, che si apriva ad ovest della Romania, come fu il caso della maggior parte dei paesi ex comunisti, ha avuto comunque alcuni effetti negativi sul paese. Tali effetti sono stati principalmente riscontrati nella politica sociale e nella pubblica sicurezza ossia nel sostanziale aumento della criminalità e nella nascita di nuovi gruppi criminali organizzati che risultavano maggiormente organizzati e pericolosi rispetto al passato. L’intensivo incremento della criminalità è stato il principale motivo che ha spinto il Ministero degli Interni rumeno nel 1993 a fondare un nucleo specifico per gli interventi speciali, lotta alla criminalità organizzata e sequestro di persona. Tale modello è stato creato sulla base al GIPN francese. Una volta fondata, l’unità entra nella Brigata della lotta contro il crimine organizzato ed ottiene incarichi definiti come: missioni pianificate, che guidando ed eseguendo tutti i tipi di interventi di sicurezza pubblica che non possono essere svolti dai corpi di polizia regolari o da altri corpi di polizia TNM ••• 051


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non specializzati; in realtà, i suoi compiti si sono concentrati sulla soluzione di situazioni di crisi, interventi con metodi e procedure specifiche per l’arresto o la neutralizzazione di pericolosi criminali armati ed il rilascio degli ostaggi. Il17 giugno 1995 l’unità, divenuta completamente operativa, viene esclusa dal gruppo della Brigata diventando cosi un corpo indipendente per la lotta contro la criminalità organizzata. Tale data oggi è celebrata come il giorno dell’ “unità.” Oltre a questa unità, la Romania ne aveva già avuto un altra di questo tipo, nata tramite la cooperazione tra il Ministero della difesa e gli affari interni che era in realtà fondata sul modello della Gendarmeria “Batalionul antiterorist al Jandarmeriei”-Battaglione di Gendarmeria Antiterrorismo. Da aprile 2007 il SIAS diventa membro permanente del gruppo d’elite della polizia speciale per gli interventi dei paesi dell’UE, vale a dire “ATLAS “, fondata dopo il tragico attentato terroristico in America dell’11 settembre 2001. A quel tempo l’ unità aveva, oltre alla sede di comando, altri TNM ••• 052


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tre gruppi per compiti specifici. Un gruppo per la preparazione e la logistica e due per gli interventi. Ognuno di questi gruppi contava 20 operatori, 4 dei quali erano tiratori scelti. Dopo essere entrato a far parte del ATLAS, il SIAS è stato immediatamente sottomesso al processo di riorganizzazione e compatibilità con analoghe strutture dell’Unione Europea. ORGANIZZAZIONE E COMPITI: Situato nel centro di Bucarest, nelle vicinanze del Ministero degli Affari Interni, il SIAS è stato, sulla base delle regole di organizzazione e di funzionamento, la principale struttura di formazione della polizia per l’esecuzione di interventi ad alto rischio sul territorio nazionale con i seguenti incarichi: • interventi, con metodi e procedure specifiche, per liberare ostaggi, persone sequestrate. • interventi per scovare e trattenere persone che si

oppongono a misure legali con la violenza, l’uso di armi da fuoco, esplosivi, sostanze tossiche o pericolose o qualsiasi altro mezzo di distruzione. • interventi mirati a svolgere attività di supporto, orientamento e attività di controllo per tutte le Unità di intervento rapido della polizia rumena (Serviciilor de Interventie Rapida). • interventi per la protezione e scorta di ingenti somme di denaro o testimoni importanti coinvolti in processi. • interventi di protezione a personalità politiche rumene o altri funzionari stranieri durante importanti riunioni, visite ufficiali o altre attività internazionali che si svolgono in Romania. • interventi e operazioni speciali di ricerca e salvataggio delle vittime nelle situazioni di calamità naturali e catastrofi (esplosioni, incendi, terremoti, inondazioni, ecc) L’unità è comandata dal commissario capo della polizia Teodor Stanca, e il personale dell’unità è TNM ••• 053


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diviso, fatta eccezione per la divisione di comando, in tre divisioni di combattimento - squadre contrassegnate come “Detasementul 1, 2 e 3” ciascuno con 15 persone: gruppo tiratori scelti sezione per il supporto logistico- sezione per le questioni amministrative-sezione per la formazione. Le divisioni di combattimento sono divisi in tre squadre , ognuno con un ufficiale come comandante, mentre il gruppo tiratori scelti conta otto membri armati di fucili SIG-3000. Dobbiamo ricordare che l’unità dispone di 17 ufficiali di polizia che hanno ottenuto il certificato per la guida veloce, inoltre dispone di 15 subacquei equipaggiati e addestrati per l’esecuzione di attività speciali ed azioni in acque territoriali rumene. In ogni sezione per la formazione ci sono istruttori per le varie specialità: istruttore di paracadutismo, immersioni, sci, alpinismo, guida veloce, manipolazione di esplosivi, armi e munizioni, arti marziali. Durante gli interventi, il SIAS può contare su gli altri 32 agenti di polizia ordinaria , ben addestrati sulle procedure operative e sulle tecniche utilizzate anche da SIAS. In pratica, questa è una unità locale di tipo SWAT che potrebbe essere chiamata in causa al fine di aiutare l’unità SIAS in determinate azioni, con il compito di assicurare il perimetro intorno alla zona di intervento. Questa

unità, chiamata “Servicul Speciale de Politie Pentru Interventie Rapida” abbreviata in “SSPIR”, nata nel 1999 e ha sede a Bucarest. Precisiamo che questo gruppo non entra nella struttura interna del SIAS, ma è collegato al SIAS solo per alcune specifiche missioni e solo durante lo svolgimento delle azioni. Il SIAS mantiene ottimi contatti con l’unità GIPN francese i cui istruttori fanno ancora parte del team di formazione degli antiterroristi rumeni. Oltre che con il GIPN, il SIAS ha buoni rapporti anche con le altre unità, soprattutto con l’unità tedesca SEK, la svizzera SWAT, l’unità ungherese TESZ , l’unità speciale antiterrorismo SAJ della Serbia (vedi TNM n2), della Slovenia Specialna Enota, così come con alcune squadre americane della SWAT e l’HRT dell’ FBI. Formazione Duro allenamento, durissimo lavoro , grandi sacrifici personali, privazioni nella sfera sociale, ambizione enorme, stupefacente tecnica e capacità di reazione in situazioni estreme sono alcuni dei tratti che caratterizzano i membri del SIAS. 5 Il SIAS seleziona uomini e donne di età compresa tra 27 tra le file della polizia ordinaria con 5 di anni di esperienza. TNM ••• 055


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Sistema di selezione e di formazione è strutturato sulla base degli elevati criteri codificati dall’’ATLAS’. Poiché lo status numerico del gruppo è relativamente piccolo ( per scelta del SIAS ) , circa 60 operatori, i nuovi membri sono accettati a causa del verificarsi di queste 3 possibilità: • uccisione di un membro del team • licenziamento o abbandono del team da parte di un operatore ( possibilità molto remota ) • sopraggiunta anzianità di un operatore Il reclutamento di un nuovo candidato è un processo lungo e difficile ed è condotta da un gruppo di esperti ufficiali istruttori che hanno il compito di individuare tra agenti di polizia ordinaria, possibili candidati. Una volta selezionato, il candidato deve superare le seguenti prove “ eliminatorie “: • Test psicologico per Unità Speciali • Esami medici • Severissimi test fisici specifici • Test di abilità di utilizzo di un’arma da fuoco utilizzate dal SIAS • Test finale con gli ufficiali e il comandante dell’unità. Questo test finale serve ad ottenere istruzioni con le conoscenze teoriche dei candidati (legge, tattiche e procedure specifiche, motivazione, ecc) I candidati che superano questi esami sono imbarcati per il corso di formazione di base, della durata di sei mesi, che è in realtà una fase “ operativa “ dell’addestramento, poi che i candidati possono essere impiegati durante le fasi di vere e proprie operazione... “ la strada è la migliore maestra”. Dopo aver completato il cosi detto periodo di osservazione, i nuovi specialisti sono sottoposti a un test finale di acquisizione delle conoscenze generali in modo da garantire il reale apprendimento di tutte le procedure operative del SIAS. Dopo questo ultimo ostacolo i candidati che passano il severo test finale, vengono immediatamente integrati in squadre operative . Ma i membri del SIAS devono sempre essere efficienti, poiché una volta accettati in questa unità c’è ancora il rischio di essere espulsi, per questo motivo una volta all’anno ciascun operatore viene sottoposto ad una serie di test psico-fisici al fine di verificare la loro piena operatività. Un novo membro del SIAS è comunque tenuto “ sotto controllo “ per i successivi sei mesi della sua entrata ufficiale. In questi sei mesi il nuovo operatore non parteciperà mai ad azioni dirette, gli sarà concesse la partecipazione solo in qualità di osservatore. Alla fine di questi sei mesi TNM ••• 056


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sarà ancora a discrezione dei formatori, decidere se inserirlo nell’organico o rispedirlo alla sua vecchia unità. Negli ultimi 15 anni, il SIAS ha partecipato a più di 3000 operazione ad alto rischio .L’unità rumena ha effettuato l’arresto dei criminali più famosi e di molti membri di gruppi della criminalità organizzata. Il SIAS ha inoltre partecipato alla cattura di Bancsa Francisc, ex legionario francese accusato di svariate rapine sanguinarie ai danni molte banche in Belgio. Nel corso della storia dell’unità solo due operatori sono stati uccisi durante una missione , gli agenti di polizia Catalin Teodor Georgescu e Poenariu Nicusorsono. Armi ed equipaggiamenti Come nella maggior parte delle forze speciali di polizia dei Paesi dell’Est Europa, le armi e le

attrezzature sono di origine mista, una parte fu acquistata nel mercato locale. Inizialmente il bilancio dell’unità era piuttosto piccola, così i membri del SIAS dirottavano le loro scelte verso il mercato domestico. La pistola rumena Carpati 7,62 mm, una delle migliori pistole al mondo di questa classe , era una di queste.I tempi sono cambiati, il budget a disposizione è aumentato e per conformarsi a pari unità di altri paesi, il SIAS ha dovuto acquistare nuove forniture. Attualmente il SIAS utilizzala la pistola israeliana JERICHO 941 o in alternativa la GLOCK-17 calibro 9mm. Gli operatori del SIAS hanno anche a disposizione il revolver Colt Python .357 Magnum. è possibile allegare laser marcatore bersaglio sulla Glock o una lampada batteria. Per quanto riguarda le SMG, il SIAS come molte altre unità si è affidata all’ Heckler & Koch MP-5 in diverse versioni, a partire da un modello MP-A5, fino ad arrivare alla versione TNM ••• 057


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più corta MP-5K o alla versione con silenziatore integrato MP-5SD.Le ottiche utilizzate sono svariate e comprendono EOTECH e Aimpoint. Per le azioni che richiedono elevati volumi di fuoco, i membri possono contare sul Kalasnikov di produzione rumena. Per gli ingaggi a brevi distanze vengono utilizzati i calibri 12 Mossberg Maverick mod 88 e il Benelli M4. I tiratori scelti hanno a dsiposizzione i SIG SAUER SG3000 7,62 mm (.308 Winchester) e gli HK PSG-1 in calibro 7,62 x51. Il SIAS di fatto, a differenza del passato, è oggi equipaggiato con attrezzature moderne e simili a quelle di ogni moderna unità antiterrorismo: Il SIAS utilizza sia uniformi ACU in MULTICAM ACU che tute nere con in NOMEX. Il gilet tattico utilizzato, è di colore nero, di fabbricazione rumena e comprende diverse tasche. Le teste degli operatori sono protette da caschi in kevlar PASGT TTG tipo (Tech Tactical Gear) o da caschi di plastica Pro Tec. Il resto dell’equipaggiamento comprende: attrezzature d’immersione, attrezzature per l’alpinismo, attrezzatura da arrampicata, fumogeni e flash-bang, gas lacrimogeni,sofisticati dispositivi di TNM ••• 058

comunicazione, attrezzature per la visione notturna e osservazione. I mezzi di trasporto includono furgoni Mercedes Vito e auto BMW serie 7 o WV Passat e se necessario possono usare elicotteri del Mil Mi-17-1V tipo Hip, o Mi-8P Hop e Eurocopter EC-135P2 del Reggimento Speciale Avionico “Unitatea Speciala de Aviatie” della Polizia rumena.


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Tactical Fitness & Combat Bootcamp Di Decimo Alcatraz

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Atteggiamento operativo: mobilità e movimento. Dopo tanto scrivere, il 9/10 luglio ci siamo dati appuntamento ad Antey Sant Andrè, pochi chilometri prima di Cervinia. Eravamo 15 amici, provenienti da 4 paesi diversi: Italia, Israele, Svizzera e Regno Unito. Alcuni di noi con un solido background nel combat reality based, sia di stampo militare sia nella difesa personale, altri che per la prima volta si cimentavano in un training operativo. Tutti intenzionati, comunque, a mettersi alla prova per testare i sistemi di condizionamento psicofisico, che normalmente utilizziamo, e poi applicare i loro principi all’allenamento tecnico e al combat pratico. Non ho intenzione di propinarvi una cronaca della due giorni, che rischia sempre di risentire dell’entusiasmo adrenalinico proprio del post allenamento. Trovo più utile, visti gli interessi professionali di chi legge TNM, cercare di sintetizzare gli “hot points”, che si sono evidenziati e che possono rappresentare uno spunto di riflessione, per chi è impegnato in maniera continuativa negli scenari operativi oggi attivi. Arik Goldenberg, direttore del dipartimento combat e self defence presso la LOTAR ( l’accademia antiterrorismo dell’Israeli Defence Force ) , Vik Hothi ( master nel combat reality based con bastone e coltello) e Alberto Gallazzi ( rappresentante unico per l’Italia del Dennis JuJItsu Survival, oltre che CST e TACFIT® Europe Director ) si sono trovati d’accordo nel basare ogni momento del bootcamp su un concetto unico e fondamentale: mobilità e movimento sono la chiave per sopravvivere in un combat reale e tutto il condizionamento mentale, fisico, tecnico e operativo deve essere improntato su queste due variabili, che solo superficialmente possono apparire sinonimi. Prediamo la corsa: un classico dell’addestramento militare e delle prove di selezione di molti tra i corpi speciali d’elite, dal SAS alla Legione Straniera Francese. Pensare che un militare contemporaneo, con tutta la buffetteria, l’armamento e la dotazione operativa di scenario, possa correre sfruttando il gesto atletico del running sportivo, è

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quanto meno ridicolo. Lo diventa meno, se si pensa che con questo approccio gli infortuni fisici e gli incidenti operativi possono condizionare o limitare la presenza di molti operatori, costretti a recuperare in infermeria o al corpo, invece di essere parte del contingente attivo sul campo. L’atteggiamento tattico che la corsa operativa richiede, sia su distanze medio-lunghe quindi con passo regolare seppure sostenuto, sia su scatti improvvisi per bruciare le distanze tra un riparo e l’altro, necessita di una forte trazione da parte delle anche, in modo da garantire stabilità, grip a terra e capacità di muovere senza sforzo eccessivo un peso superiore a quello del proprio corpo e soprattutto distribuito in maniera disomogenea, che deve essere compensata ad ogni passo. Perché questo movimento risulti naturale, fluido e potente è necessario lavorare sulla massima mobilità di bassa schiena, anche, ginocchia e caviglie, più che sulla costruzione di una massa muscolare delle gambe,

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capace di sopportare dislivelli, peso e fatica. A questo fine il TACFIT® provvede con alcuni degli esercizi inseriti nei suoi vari protocolli a mobilizzare in maniera opportuna le articolazioni coinvolte nella corsa: gli swing con i kettlebell e i mills con i clubbell , ad esempio, che nulla hanno a che vedere con il movimento della corsa: Questi esercizi hanno invece la capacità di replicare e allenare la mobilità delle anche, anche al fine descritto. Ed ecco che ritroviamo i nostri due termini iniziali non utilizzati come sinonimi, ma piuttosto come complementari. Lezione numero 1 del bootcamp: per condizionare il corpo ad uno specifico movimento non è necessario replicarlo, ma è indispensabile scomporlo nei suoi componenti, per poi allenarli in maniera funzionale all’utilizzo che devono assolvere. Un insegnamento simile è venuto anche dal combat reality based utilizzando bastone e coltello. In realtà, master Vik Hothi non sarebbe


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d’accordo con questa definizione semplicistica e per certi versi errata. Coltello e bastone sono, in ultima analisi, strumenti, utilizzati dalla vera arma che si attiva in caso di combat: ossia l’uomo. Il coinvolgimento è totale, la coordinazione e il sincronismo di ogni parte del corpo, atta a colpire o a innescare il colpo, deve essere massima, e risulta appropriata, quanto più le varie parti del corpo sono mobili e l’intera figura è in grado di muoversi intorno e verso l’avversario. L’impatto che il bastone scaturisce ai danni del bersaglio, deriva dalle ginocchia, la cui stabilità è garantita dalla mobilità delle caviglie. L’esplosività nel momento dell’attacco su bersaglio è direttamente proporzionale alla mobilità del polso e alla capacità di trasferire pressione sul bastone grazie ad un cambio della presa dato dallo scarico della forza dal mignolo all’indice. Sono consapevole che all’apparenza questi dettagli possano apparire sofisticherie da artisti

marziali, ma…provate! Quando per un semplice cambio di impugnatura durante la dinamica del movimento, il vostro impatto risulterà quasi raddoppiare, forse cambierete idea! Come allenarlo per farlo diventare un movimento istintivo? Niente è meglio dei clubbell, dove la presa selettiva distribuisce la forza tra le dita, a seconda della posizione in cui il clubbell si trova, e contemporaneamente rilascia la tensione, che naturalmente interessa l’avambraccio nella gestione di un peso eccentrico, mosso in maniera balistica, rendendolo capace di resistere per un tempo più lungo allo sforzo e di reggere un peso via via più alto. Shield Cast e Gama Cast sono gli esercizi, che maggiormente aiutano in questo processo, per chi vuole diventare micidiale in ogni colpo sferrato con il bastone. Per quanto riguarda il combat armato

con coltello, il discorso non è dissimile: stessa tecnica, stesso movimento ma…diversa energia. Dovuta alla diversa distanza e alla particolarità dell’arma, che richiede quindi un’attivazione fisico neurale differente. Richiede quindi un allenamento similare ma più specifico. In questo caso è il BODY FLOW a “ prestare “ ai protocolli TACFIT®, i movimenti specifici per la mobilità opportuna: shoulder roll, harms chest waves e swinging plank, permettono alle spalle, alla cassa toracica e alle anche di esplodere in maniera fluida, così da accompagnare il filo della lama, che trova spazi stretti e linee di penetrazione sia in slide che in pick. Minimum Movement, Maximum Result. E’ questo il motto del più moderno krav maga, insegnato ai corpi speciali di mezzo mondo, che quotidianamente si recano alla LOTAR, per approfondire le conoscenze del combat corpo a corpo, per sopravvivere nelle

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situazioni di massimo coinvolgimento e rischio. Arik Goldenberg insegna loro il segreto del combattimento in ambienti ristretti: massima mobilità articolare per il minimo movimento necessario a uscire dalla linea dei colpi, chiudere la distanza sull’aggressore e demolirlo. “Block and Punch” o “block and Kick” E’ quasi una nenia mistica la voce di Arik e di Alberto, che tuonano il principio base dello Stay Safe Kravmaga come dell’Hisardut, nel pieno del combat sotto massimo stress, che vede un membro della pattuglia subire gli assalti di almeno 8 aggressori, lungo un percorso in salita di 400 metri. Se il corpo non possiede una mobilità perfetta, il cervello è incapace di ordinargli il minimo movimento in una situazione critica, in cui la fatica e l’adrenalina bruciano il poco ossigeno disponibile ad

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attivarlo. Ed ecco ancora una volta ritornare il TACFIT® con i suoi diversi sistemi di lavoro, capaci di impegnare sistemi energetici ogni volta differenti, in modo da impedire all’organismo di abituarsi al tipo di sforzo profuso e costringerlo ad elaborare un sistema di recupero in tempi estremamente contenuti. Il continuo lavoro sotto stress e la prova finale del combat, abbinato alla corsa in salita e alle aggressioni multiple, hanno contraddistinto e

coronato il bootcamp, lasciando in tutti noi partecipanti il senso di una necessità forse fino a lì percepita, ma che solo in quei giorni è stata assolutamente dimostrata: chi è mobile vince, chi si muove sopravvive, chi recupera prima resta in piedi. Dopo aver laasciato il bootcamp… è questo che cercheremo di trasferire alle persone, ai professionisti, ai battaglioni e ai reggimenti con cui lavoreremo nei prossimi mesi.


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Di FABIO ROSSI - Foto di Michele FARINETTI

FAB Defense KPOS

Glock Tactical Exoskeleton Il KPOS della FAB Defense, come altri similari prodotti in commercio, è un dispositivo, classificabile come una specie di “esoscheletro”, destinato a contenere al suo interno una pistola. Lo scopo che ci si prefigge è quello di rendere l’arma maggiormente stabile nel tiro e di poter permettere, all’operatore che la utilizza, di impiegare la vasta gamma di dispositivi aggiuntivi di puntamento ed illuminazione presenti sul mercato. L’AZIENDA FAB Defense è stata creata nel 1961 ed è probabilmente l’azienda capostipite nella produzione di accessori, appositamente studiati e realizzati per venire in contro alle sempre più pressanti esigenze tattiche delle unità speciali militari e di polizia. L’azienda da 45 anni collabora a stretto contatto con le Special Forces israeliane e gli SWAT team e riflette i feedback, che provengono da questi professionisti, nella progettazione e nella continua ricerca di perfezionamento dei suoi prodotti; sforzi diretti ad incrementarne l’ergonomia, la funzionalità e la durata. I prodotti, sono totalmente compatibili con gli standard militari e, all’interno del loro vasto catalogo, trovano posto supporti per torce tattiche, bipiedi, accoppiatori e accessori per caricatori, sling tattiche, impugnature anteriori e posteriori, sistemi rail-Picatinny, butt stock collassabili e fissi, poggia guancia, realizzati per poter essere applicati a vari sistemi d’arma, come ad esempio, M16/M4, HK MP5 e G3, AK, Galil, Uzi, Remington 870, Mossberg 500, Glock, Colt 1911. E’ presente anche un supporto “stand alone” con calciolo ribaltabile, impugnatura anatomica e due railPicatinny da applicare al diffusissimo lanciagranate M-203. TNM ••• 067


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LA STRUTTURA Il KPOS è interamente realizzato, in un unico blocco, utilizzando alluminio aeronautico 6061-T6, lavorato ad alta precisione e rifinito con un processo di anodizzazione elettrochimica dura, consistente nell’applicazione di un film protettivo di ossido di alluminio dello spessore di 40-45 Micron. La parte anteriore termina con un tubo rompi fiamma di circa 4 cm di diametro, solcato nella parte superiore da quattro incisioni longitudinali aventi un’inclinazione di circa 45 gradi. La struttura portante presenta, una feritoia inferiore dalla quale viene inserita e trova alloggiamento la pistola, una finestra di espulsione per i bossoli collocata sul lato destro, il perno di aggancio del calcio nella parte posteriore ed in ultimo, una finestra più piccola sul lato sinistro per l’inserimento e lo scorrimento della manetta di armamento. Il calcio “a stampella”, costituito da un tubolare in alluminio ad alta resistenza, è ripiegabile sulla parte destra del KPOS e termina con un poggia spalla in gomma dura. Sotto al perno di svincolo è collocato un anello al quale può essere agganciata una sling tattica, che viene fornita di serie nella confezione. Sulla superficie esterna sono avvitati cinque rail-Picatinny - MilStd 1913, due lunghi applicati sulla parte superiore e tre, di più piccole dimensioni, collocati rispettivamente nei laterali e nella parte inferiore in prossimità del rompifiamma. A quest’ultimo abbiamo abbinato un’impugnatura pieghevole telescopica denominata “Safety”, in polimero speciale ad alta resistenza, anch’essa fornita di serie, con sistema di sicura paragrilletto che, nella posizione di massima estensione, chiude completamente il trigger guard, impedendo


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l’inserimento del dito indice. Il KPOS viene prodotto nella sola colorazione nera, ha un peso a vuoto di circa 760 gr ed una lunghezza in apertura di circa 53 cm. E’ disponibile per i modelli Glock C, Glock 17/17L/19/22/23/34/35, Glock 18, Glock 21, Sig 226, Sig 2022 Pro. PROCEDURA DI ASSEMBLAGGIO Con l’ausilio di un piccolo cacciavite a taglio estrarre, dalla parte posteriore della pistola Glock, la “slide cover plate”, e sostituirla con quella in dotazione al kit di assemblaggio. A questo punto svincolare la spina posizionata nella parte posteriore del KPOS, procedere alla chiusura del calcio ed estrarre la placca metallica di fissaggio contenuta nella struttura. Attraverso l’apertura inferiore inserire l’arma nell’apposito alloggiamento all’interno del guscio; a questo punto, dopo aver accertato il perfetto assemblaggio, ricollocare la placca metallica nella parte posteriore, aprire il calcio e reinserire la spina nella sua sede. Procedere poi alla chiusura del cricchetto di blocco, posizionato sul lato destro, appena sopra l’impugnatura anteriore, che dovrà combaciare con il solco del rail della

Glock. Ricollocare la placca metallica nella parte posteriore, aprire il calcio e reinserire la spina nella sua sede. Ultima operazione… incastrare la manetta di armamento nel suo alloggiamento ricavato nella nuova “slide cover plate”. TNM ••• 071


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REPORT DELLE PROVE E CONCLUSIONI

della canna dell’arma, in quanto il diametro del rompifiamma è di dimensioni superiori. La prova a Il dispositivo impiegato è risultato di ottima fattura, fuoco è stata realizzata presso le strutture del Campo la struttura portante non presenta sbavature di di Tiro del Brixia Shooting Team, messo a disposizione lavorazione e le varie azioni di approntamento sono dall’amico Angelo Cerotti, utilizzando due diverse risultate fluide e precise, permettendo, come risultato tipologie di congegni di mira: un red dot DDAB 1x finale, un ottimo assemblaggio del prodotto finale. montato su staffa laterale a 45 gradi, entrambi della Anche in questo caso, come per i prodotti concorrenti, NC Star ed un Tactical Scope 4x32 della AIM Sport. Il la pistola viene inserita e bloccata all’interno senza set-up è stato completato, applicando al rail anteriore apportare alcun tipo di modifica o alterazione della sinistro, una torcia tattica compatta a luce rossa da 150 meccanica. Ricordiamo ai lettori che con questo lumens, sempre della AIM Sport. Dopo aver proceduto prodotto non vengono potenziate le caratteristiche alla taratura delle ottiche, in quanto nuove di fabbrica, dell’arma sia per facilitarne il porto o la dissimulazione il nostro KPOS ha cominciato a regalare il meglio delle sue qualità, permettendo l’esecuzione di ottimi ingaggi e, soprattutto, non viene modificata la lunghezza TNM ••• 073


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sia alle corte distanze – range 20-25 mt – che a quelle lunghe - 50 metri – semplicemente alternando l’utilizzo dei due dispositivi, come è possibile notare nel servizio fotografico. La struttura molto compatta, praticamente spalmata attorno all’arma e l’ottima stabilità, che risulta dalla precisa “fusione” delle parti, hanno anche permesso di poter procedere a sequenze di tiro caratterizzate da rapidi doppiaggi dei colpi su bersagli multipli, qualità peculiare di questa tipologia di prodotti. L’azienda costruttrice afferma che possono anche essere utilizzate le mire metalliche dell’arma inserita all’interno; questa operazione, attuabile traguardando attraverso la struttura, è stata provata sul campo, e, a giudizio dello scrivente, risulta fattibile ma estremamente scomoda e di non facile e rapida acquisizione: diciamo extrema ratio!!! Abbiamo utilizzato complessivamente 200 colpi Fiocchi 9x21

con palla ogivale ramata - Top Target - da 124 gr. e non abbiamo riscontrato alcun tipo di problematica nell’espulsione dei bossoli che anzi è risultata sempre netta e decisa anche con l’arma inclinata di 45 gradi. La fase di armamento della Glock, utilizzando l’apposita manetta di armamento, posizionata sul lato sinistro, è risultata semplice anche per l’operatore mancino, come il sottoscritto. Ottimo anche l’apporto del rompifiamma che ha contribuito notevolmente a contenere il rilevamento dell’arma e quindi alla realizzazione degli ottimi risultati nelle sessioni di tiro. Le conclusioni e le considerazioni permettono, quindi, di promuovere il prodotto, nella speranza che, in un prossimo futuro, l’azienda produttrice consideri la possibilità di annoverare ulteriori modelli di armi corte, come ad esempio la Beretta 92FS, l’HK USP e la Colt 1911 e relativi cloni, armi diffuse sia in ambito professionale che civile. TNM ••• 075


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Abbiamo utilizzato complessivamente 200 colpi Fiocchi 9x21 con palla ogivale ramata - Top Target - da 124 gr. e non abbiamo riscontrato alcun tipo di problematica nell’espulsione dei bossoli che anzi è risultata sempre netta e decisa anche con l’arma inclinata di 45 gradi. La prova a fuoco è stata realizzata presso le strutture del Campo di Tiro del Brixia Shooting Team, messo a disposizione dall’amico Angelo Cerotti, utilizzando due diverse tipologie di congegni di mira: un red dot DDAB 1x montato su staffa laterale a 45 gradi, entrambi della NC Star ed un Tactical Scope 4x32 della AIM Sport.1

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AIM Sports 4X32 Dual ill. scope w/fiber optic • Illuminazione verde/rosso – 5 gradazioni di intensità per ogni colore • Mire classiche superiori con fibra ottica • Finitura nero opaco • Exit pupil (inch): 8 • eye relief (inch): 3.5 • fov degree: 7 • field of view (feet@100 yards): 36.6 • Peso: 15.9 onces • 2 rail Picatinny/weaver applicate lateralmente • Reticolo: Rapid Ranging Reticle www.aimspotdinc.com distribuito da TFC

Si ringrazia: L’azienda T.F.C. S.r.l. Via G. Marconi 118/b 25069 Villa Carcina (BS), importatore della FAB Defense per aver messo a disposizione il KPOS e tutti gli accessori/ottiche della NC Star e AIM Sport. www.tfc.it Il sig. Angelo CEROTTI, titolare dell’ Armeria Brixia Shooting Store di Brescia, per l’utilizzo delle strutture del Campo di Tiro del Brixia Shooting Team. Il sig. Cristian BONOMI, responsabile commerciale dell’azienda Ghost International di Bovezzo (BS) per il materiale di buffetteria e per le preziose consulenze tecniche. Il sig. Davide GIRIBALDI, titolare della Special Equipment di Genova per l’utilizzo dell’ ICV Combat Vest. TNM ••• 077


DEFENCE SHOOTING ACADEMY Di MARCO BUSCHINI

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Nell’ambito della nuova realtà, nata dalla stretta e fattiva collaborazione tra la più antica fabbrica di armi del mondo, la pluri blasonata “Beretta” e la “A.S.O.” (Accademia di Sicurezza Operativa), anch’essa divenuta a pieno titolo una pietra miliare nel panorama degli enti di formazione italiani, i così detti “eventi Beretta” (ovvero un folto calendario di corsi di tiro operativo da difesa diffusi su tutto il territorio nazionale) rappresentano la punta di diamante di quello che è, al momento, il fulcro di questa prestigiosa entità formativa italiana, ovvero la “Beretta Defence Shooting Accademy”. Anche la casa costruttrice di Gardone Val Trompia si è finalmente dotata della sua scuola ufficiale di formazione, così come le altre grandi del settore armiero internazionale. Un’innovazione

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fondamentale, ispirata dalla consapevolezza che, insieme al prodotto tipico d’alta qualità ed affidabilità che tutti gli addetti ai lavori ben conoscono, bisognava offrire agli utenti anche un settore tecnico di formazione, sia rivolto agli utilizzatori del settore Military and Law Enforcement, che ai cosiddetti “civili”, che hanno l’esigenza di avere un’arma da difesa al fianco. La filosofia di quest’importante novità del nostro panorama accademico è che un buon prodotto viene ancor più ottimizzato ed apprezzato se chi lo usa è ben preparato a farlo, in primo luogo per ciò che concerne la sicurezza nell’uso e maneggio delle armi e nelle sue manipolazioni ed in secondo luogo nelle tecniche di tiro più attuali che il panorama internazionale offre. E’ importante precisare che i corsi sono tenuti dai formatori della “Beretta Defence TNM ••• 079


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Shooting Accademy” che, oltre al noto Istruttore e Direttore dell’Accademia Beretta Marco Buschini (di cui si è parlato nel numero di luglio di TNM), annoverano tra loro istruttori di tiro operativo tatticodifensivo già appartenenti ad unità d’elite delle FF.OO. italiane e pertanto di chiara fama referenziata (d’altro canto la più grande holding mondiale delle armi non si “metterebbe in casa” il primo arrivato), docenti che sono stati discepoli attenti del mai abbastanza compianto Maestro di Tiro Marte Zanette. I metodi e le tecniche che vengono trasmessi non sono altro che i famosi insegnamenti del più grande istruttore

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di tiro operativo vivente, Chuk Taylor, titolare della “American Small Arms Academy” negli U.S.A., a sua volta allievo del mitico Jeff Cooper, il fondatore del moderno tiro operativo, che il buon Marte Zanette aveva “importato” direttamente dagli Stati Uniti. Il calendario completo degli eventi si può facilmente reperire sul sito ufficiale della “Beretta” e su quello dell’”A.S.O.”, nonché sui cataloghi dei prodotti “Beretta”, reperibili tra l’altro in tutte le armerie del Paese. Questi corsi sono aperti a tutti coloro che, a vario titolo, sono acquirenti od utilizzatori di armi “Beretta”, pertanto anche ai detentori di pistola per

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difesa personale o per uso sportivo che vogliono conoscere anche il settore delle tecniche da difesa. Resta inteso che si può partecipare anche con armi corte prodotte da altre aziende, come a dire che la “Beretta” non teme concorrenza. A tal proposito è opportuno dare ai futuri utenti di tali corsi, nonché ai lettori di TNM, una rapida panoramica dei contenuti e dello svolgimento tipico degli eventi. Si tratta di una fusione brillante tra tecniche di tiro da difesa ed atteggiamento mentale (“mind set”), nonché attenzione assoluta ai comportamenti di sicurezza (cosa abbastanza approssimativa in molti poligoni nostrani), il tutto basato sulle reali statistiche,

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inerenti la delicata materia, sviluppate dall’ “F.B.I. research academy” in continui studi attualizzati sui conflitti a fuoco avvenuti negli ultimi 50 anni in 80 paesi progrediti, tra cui l’Italia. Il corso, della durata di otto ore, che si tiene in una giornata, tende a sintetizzare una serie di argomenti di tiro da difesa ed inizia proprio con una puntuale disamina delle norme di sicurezza fondamentali nell’uso e maneggio delle armi da fuoco, premessa indispensabile per ogni attività che comporta l’uso delle armi. Successivamente si studiano le statistiche, di cui parlavamo, immergendole poi nel giusto atteggiamento mentale che deve avere il portatore, a vario titolo, di un’arma da fianco. Ovviamente, essendo il tempo a disposizione tiranno, vengono insegnate le tecniche fondamentali del tiro tattico-difensivo (un corso completo di tiro operativo richiederebbe molti giorni d’intensa attività) ma nonostante tutto si riescono a fornire gli strumenti e gli input su cui poi lavorare autonomamente per ottenere, con il tempo e la dedizione, discreti risultati in termini di capacità operative difensive. Le corrette manipolazioni di carico e scarico dell’arma in sicurezza, la risoluzione dei principali malfunzionamenti dell’arma, i cambi caricatore d’emergenza e le tecniche di tiro di pronta risposta, in varie situazioni reali difensive, sono solo alcuni dei contenuti a cui mira la formazione che si tende a trasmette in queste otto ore vissute ad alta intensità, dove “l’allievo” viene gettato in una realtà nuova e messo di fronte alle problematiche, talvolta anche brutali, del tiro finalizzato alla sopravvivenza di se stesso, dei propri cari, dei colleghi o del cittadino, come nel caso degli operatori della sicurezza. Al momento in cui scriviamo, una parte del calendario “eventi Beretta” del 2011, è già stato effettuato con buon successo di frequentatori, i quali, sia civili che appartenenti ai corpi armati dello Stato, hanno seguito con attenzione e voglia di apprendere le lezioni di tiro impartite dallo staff di docenti messi in campo dall’Accademia. L’atteggiamento generale dei frequentatori, a fine giornata, è stato quello di coloro i quali, pur avendo già frequentato numerosi corsi e pur avendo già buona conoscenza ed addestramento nel settore, hanno con meraviglia scoperto un “mondo nuovo”, un “mondo” che arriva direttamente dagli insegnamenti di Marte Zanette e dalle più famose accademie di tiro statunitensi, la “A.S.A.A.” di C. Taylor in prima fila, attraverso lo staff dei formatori della “Beretta Defence Shooting Academy” capitanato da Marco Buschini. TNM ••• 081


SPECIAL REPORT SPECIAL REPORT SPECIAL REPORT SPECIAL In queste foto e nelle immagini seguenti, varie fasi di addestramento del 1° Reggimento Paracadutisti Tuscania

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DI Antonello Tiracchia

QUELLI DEL

TUSCANIA

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La storia di quello che è oggi 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania” inizia in una di quelle diatribe tipicamente italiane. Nella seconda metà degli anni trenta, gli stati maggiori delle più potenti nazioni dell’epoca, cercavano di organizzare reparti di truppe paracadutiste che rispecchiassero per dotazioni, armi e dottrine d’impiego i nuovi concetti di guerra di movimento, fatta di velocità ed audacia. In Italia, nonostante l’importante contributo, dato alla tecnica lancistica, dal Generale Alessandro Guidoni (a cui sono intitolati la città e l’aeroporto di Guidonia) e dal capitano Prospero Freri, lo Stato Maggiore della Regia Aeronautica e del Regio Esercito discutevano tra di loro per decidere chi avrebbe avuto l’onore di assumere in carico un reparto paracadutista! A risolvere il problema fu Italo Balbo, sicuramente una delle figure più interessanti ed affascinanti degli anni precedenti la 2° Guerra Mondiale, che secondo il suo modo di fare risoluto e pragmatico superò la diatriba di Palazzo costituendo di sua iniziativa, nel 1938 in Libia, il 1° Reggimento “Fanti dell’Aria“, composto da truppe di nazionalità libica oltre ad ufficiali e sottufficiali dell’esercito e dell’aeronautica. Nello stesso anno, probabilmente spronato proprio dall’intraprendenza quasi irrispettosa di Italo Balbo, il Ministero della Guerra autorizzò finalmente la fondazione della Regia Scuola Paracadutisti di Tarquinia dove, a partire dai primi mesi del 1940, incominciarono ad addestrarsi i volontari provenienti praticamente da tutte le armi. Il comando della Scuola venne affidato ad un bersagliere, il Colonnello pilota paracadutista Giuseppe Baudoin de Gillette (una mitica figura di uomo, di soldato e di organizzatore) che di fatto è il padre spirituale di tutti i paracadutisti italiani. Contemporaneamente, il Generale Riccardo Moizo, Comandante Generale dei Carabinieri Reali, intuì che un reparto speciale come quello dei paracadutisti aveva necessità di essere affiancato da un altrettanto speciale reparto di polizia militare e così riuscì a concentrare nella caserma Podgora di Roma circa 400 volontari, costituiti da carabinieri di tutti i gradi e provenienti da varie specialità dell’Arma.Il 1° luglio del 1940 venne così ufficialmente costituito, al comando del maggiore Bruto Bixio Bersanetti il 1º Battaglione Carabinieri Reali Paracadutisti (di fatto il primo

reparto paracadutista italiano) basato su tre compagnie, con la funzione d’affiancare le nascenti divisioni di paracadutisti del Regio Esercito con un reparto di Polizia Militare, animato dallo stesso particolare temperamento. Le nascenti Grandi Unità del Regio Esercito, come la Folgore, erano state infatti concepite per condurre rapide invasioni di vasta portata, come quella mai realizzata dell’isola di Malta e di conseguenza era indispensabile poter disporre di un reparto di polizia militare altrettanto deciso e risoluto che fosse in grado di gestire la legalità sin dalle fasi critiche, immediatamente successive all’invasione stessa.

Come avvenne per i loro cugini della Folgore, anche i Reali Carabinieri Paracadutisti ebbero però una sorte diversa da ciò per cui erano stati costituiti e per cui si erano addestrati. Nato come reparto di polizia militare d’élite, venne infatti speso per un’azione di guerra, più adatta ad un reparto di pionieri d’arresto che a soldati addestrati a fare della velocità e dell’intraprendenza operativa la loro vera forza. I carabinieri paracadutisti erano infatti dei veri atleti, equipaggiati con armi leggere come il Moschetto Automatico Beretta calibro 9 e con bombe a mano d’assalto, addestrati a combattimenti ravvicinati ed in ambienti chiusi come quelli urbani e boschivi e non TNM ••• 085


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certo alla costituzione di capisaldi d’arresto su vaste aree aperte. A meno di un anno dalla sua costituzione, per un caso imprevedibile del destino, il Battaglione iniziò a scrivere la sua breve e gloriosa pagina di storia e come accadrà un anno dopo per i cugini della Folgore, in una situazione totalmente diversa da quella per cui erano stati costituiti e per la quale si erano addestrati. L’8 di giugno 1941 il Battaglione, passato al comando del maggiore Edoardo Alessi, ricevette l’ordine inaspettato di trasferirsi in tempi TNM ••• 086

brevissimi in Africa Settentrionale con compiti non ben definiti. I carabinieri accolsero questa notizia con entusiasmo, quasi fosse un regalo per la Festa dell’Arma, che cade il 5 di giugno. In realtà quest’inaspettata decisione venne probabilmente presa per punire in modo indiretto alcuni ufficiali che avevano avuto un atteggiamento irrispettoso nei confronti del regime. In particolare l’O.V.R.A. la polizia politica fascista aveva già segnalato che nel battaglione vi erano diffusi sentimenti antifascisti, sospetto che venne avvalorato da una comica

imitazione di Mussolini da parte di un sottotenente dei carabinieri paracadutisti di nome Ragnini che proprio il 5 giugno, durante il pranzo per commemorare la Festa dell’Arma aveva suscitato l’ilarità di tutti gli ufficiali del reparto presenti e degli altri invitati, compreso lo stesso comandante della Scuola di Tarquinia, il Colonnello Baudoin. Fatti quindi i bagagli di gran carriera e dopo essere sbarcato a Tripoli, il Battaglione, si trasferì in pieno agosto, con una lunga marcia a piedi, a Suani ben Adencon, nel deserto di Zavia, con il compito di prevenire e


ECIAL REPORT SPECIAL REPORT SPECIAL REPORT SPECIAL REPORT S Colonnello Paolo Nardone, Comandante del 1° Reggimento Paracadutisti Tuscania

combattimento ebbero la loro prima vittima. Per puro caso i carabinieri paracadutisti iniziarono così la loro attività bellica, con il compito di interdizione ed antiguerriglia, che è una delle funzioni più importanti dell’attuale “Tuscania”. Dopo i primi positivi risultati contro le incursioni dei commandos di Popsky, il battaglione, venne messo alle dipendenze del Corpo d’Armata di Manovra (C.A.M.), con l’ordine di trasferirsi nel Gebel Cirenaico, dove c’era la sede del Comando Superiore Forze Armate dell’Africa Settentrionale, con il compito di svolgere attività d’interdizione lungo un tratto di costa contro le ripetute incursioni dei commandos inglesi, alcuni dei quali vennero presi prigionieri dai carabinieri di Alessi, insieme a numerosi guerriglieri libici. L’8 di dicembre del 1941, l’Afrika Korps, fu costretta ad una rapida ed imprevista ritirata sotto la pressione delle truppe corazzate dell’8° Armata del generale inglese Claude Auchinleck, mentre dalle strade laterali e secondarie della via Balbia, i temibili incursori motorizzati inglesi, facevano rapide puntate, attaccando i convogli italo-tedeschi in ritirata. Ancora una volta fu richiesto l’intervento dei carabinieri paracadutisti ma con un ordine diretto e personale del Feld Maresciallo Erwin Rommel, Comandante in capo dell’Afrika Korps, al maggiore Edoardo Alessi. Il 14 dicembre l’intero Battaglione, costituito da circa 400 uomini, si schierò sulla via Balbia presso il bivio di Eluet El Asel per costituire un caposaldo per una difesa ad oltranza dell’arteria stradale e rallentare così l’avanzata inglese, permettendo alle truppe italo-tedesche dell’Afrika-Korps di completare il loro deflusso e di potersi quindi riorganizzare per una controffensiva. Il compito affidato al maggiore Alessi aveva già qualche cosa d’estremo nell’ordine: resistere ad neutralizzare le attività di un reparto un manipolo di fedelissimi ed audaci oltranza, con armi leggere, a truppe d’incursori inglesi che, come si saprà a incursori, in compagnia dei quali si motorizzate e corazzate! Il reparto venne guerra finita, era il Popski’s Private Army, muoveva nel deserto con relativa facilità, pertanto rinforzato con 6 cannoni un’unità irregolare delle Forze Armate utilizzando speciali camionette a quattro controcarro da 47/32, gli stessi cannoni Britanniche, creata e comandata da un ruote motrici, modificate secondo le che la Folgore userà ad El Alamein, coinvolgente ed estroso avventuriero di direttive dello stesso Peniakoff ed armate trainati e movimentati a forza di gambe e nome Vladimir Peniakoff (detto Popski), di mitragliatrici pesanti Browing da di braccia! I cannoni ed i cannonieri un belga di origini russe che fu mezzo pollice. Con questi mezzi provenivano dalla 9° Compagnia dell’8° naturalizzato inglese solo a guerra finita, effettuava veloci puntate a lungo raggio, Bersaglieri al comando del tenente proprio per le coraggiose azioni dei sabotando le linee di comunicazione e gli Alberto Coglitore, il cui plotone a sua commandos del suo esercito privato ai aeroporti italiani, compreso quello volta fu rinforzato da un piccolo drappello danni di molti obiettivi militari italiani. principale di Castel Benito dove, durante di venti paracadutisti libici dei Fanti Popsky, dotato di grande carisma ed un’incursione, venne intercettato proprio dell’Aria. Il reparto disponeva però di amante dell’avventura, aveva costituito dai reali carabinieri paracadutisti che nel circa 70 armi automatiche tra fucili TNM ••• 087


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mitragliatori e mitragliatrici Breda, era quindi dotato di un potere di fuoco che, se confrontato con il normale armamento di un reparto di fanteria italiano dell’epoca, costituiva un fatto straordinario. Il distaccamento disponeva inoltre di bombe (a mano) controcarro chiamate granate Passaglia, il cui uso richiedeva una non indifferente dote di vera follia, perché veniva usata affrontando fisicamente il mezzo blindato. Questa è una corrispondenza dell’epoca che ne descrive l’uso: “Ci vuole arte e fegato per usare le Passaglia. Bisogna correre verso il tank sferragliante, che distribuisce morte tutt’intorno, evitare di finire sotto i suoi cingoli, lanciare la bomba sul vano motore e buttarsi a terra. Quando l’ordigno penetra dentro il carro, succede l’ira di Dio: le fiamme divampano, il liquido idraulico schizza rovente per ogni dove e le munizioni saltano. Se ci arrivi!!!”. La battaglia di Eluet El Asel iniziò il 19 dicembre quando una grossa pattuglia esplorante e di presa contatto della 5a Brigata della IV Divisione di Fanteria Indiana, costituito da cinque camionette cingolate, cominciò ad avanzare verso il caposaldo italiano dei carabinieri paracadutisti per saggiarne la consistenza ma venne praticamente decimata con pochi colpi di cannone dai bersaglieri del tenente Coglitore. Subito dopo, come da tradizione britannica, gli inglesi attivarono un pesante fuoco d’artiglieria per coprire l’avanzata di due TNM ••• 088

compagnie che tentavano un ampio movimento a tenaglia per accerchiare il caposaldo italiano. Le truppe inglesi non avevano però fatto i conti con l’audacia e l’intraprendenza dei carabinieri paracadutisti che, incuranti dei tiri d’artiglieria e coperti dal terreno sassoso, avanzarono a loro volta incontro agli inglesi, intercettando la manovra di progressione ed investendoli con un violento ed imprevisto contrattacco, impegnandoli così anche in combattimenti ravvicinati, condotti con raffiche di MAB e lanci di bombe a mano, capovolgendo così la situazione e trasformando gli inglesi da attaccanti in attaccati. La ritirata degli inglesi permise al maggiore Alessi d’iniziare la manovra di sganciamento, lasciando sul posto 40 carabinieri paracadutisti al comando del tenente Enrico Mollo, con l’ordine di tenere il caposaldo sino alla notte per ingannare gli inglesi, simulando la presenza dell’intero reparto; così fu fatto! ..ma di questi eroici carabinieri paracadutisti solo 23 riuscirono a salvarsi e quantunque isolati ed appiedati rifiutarono di arrendersi. Mentre si trasferivano a piedi verso il villaggio agricolo Luigi Di Savoia, aggregarono con loro dei soldati sbandati e con questi al seguito, non essendo riusciti a congiungersi con il battaglione, si diedero alla macchia per quasi due mesi, sino alla controffensiva di Rommel. In questo lasso di tempo, divisi in piccoli gruppi e

sostenuti dalla popolazione civile italiana rimasta nei territori occupati dagli inglesi, questi carabinieri veramente indomiti, compirono azioni di guerriglia e di protezione dei coloni italiani che erano continuamente attaccati da bande di guerriglieri libici che cercavano di impossessarsi dei beni e delle fattorie italiane, attentando anche alla vita degli stessi coloni e dei loro lavoratori. La colonna del maggiore Alessi, che si era invece mossa su autocarri e precedeva di quasi due giorni i movimenti del reparto appiedato del tenente Mollo, fu più volte bloccata presso Lamluda da alcuni posti di blocco volanti attivati dai veloci reparti motorizzati inglesi che vennero superati dopo furiosi combattimenti. Al termine dei combattimenti di Eluet El Asel, il maggiore Edoardo Alessi con 9 ufficiali, 4 sottufficiali e 30 carabinieri, riuscirono a raggiungere Agedabia e poi Sirte; il battaglione aveva avuto 31 caduti, 37 feriti e 251 dispersi! Gli stessi nemici, in una trasmissione del 28 dicembre di Radio Londra, ammisero con palese rispetto: “..i carabinieri paracadutisti si sono battuti come leoni, i reparti britannici non avevano mai incontrato una così accanita resistenza!”. Dopo la vittoriosa controffensiva di Rommel, i superstiti del 1° Battaglione Reali Carabinieri Paracadutisti furono rimpatriati all’inizio del 1942 ed il 6 marzo dello stesso anno parteciparono alla triste cerimonia


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dello scioglimento ufficiale del reparto nella sede della Legione Territoriale di Roma. In questa bellissima storia di uomini, di soldati e di coraggio c’è una domanda a cui io personalmente non so dare risposta, il perché l’eroismo ed il sacrificio di questi carabinieri venne ufficialmente riconosciuto solo dopo molti anni, quando il 14 giugno del 1964 fu consegnata all’Arma dei Carabinieri la Medaglia d’Argento alla Bandiera di quello che era stato il 1° Battaglione Reali Carabinieri Paracadutisti, insieme a 5 Medaglie d’Argento al VM, 6 Medaglie di Bronzo e 4 croci di Guerra. Erano ormai passati 23 anni dall’epica Battaglia d’Eluet El Asel! IL NUOVO CORSO: NASCE IL TUSCANIA Per alcuni anni dopo la fine della guerra, in alcune zone della Pianura Padana ed al confine con la neonata Jugoslavia, si susseguirono numerosissimi delitti, spesso attuati con fredda ferocia, attribuiti a bande che, dopo avere combattuto contro i nazisti, non avevano deposto le armi e perseguivano, in modo criminale, scopi non in linea con il nuovo assetto istituzionale e con le alleanze internazionali della giovane Repubblica Italiana. Così, ancora una volta, si evidenziò la necessità di affiancare, quando necessario, i carabinieri della Territoriale con un reparto di polizia di pronto impiego e con una maggiore vocazione militare, posto alle dirette dipendenze del Comando Generale dell’Arma. Nel 1951 venne così costituito il Reparto Carabinieri Paracadutisti, di fatto l’equivalente di una compagnia di fanteria paracadutisti della rinata Folgore, con cui condivideva attrezzature ed addestramento oltre che la sede presso il Centro Militare di Paracadutismo, all’epoca ubicato a Viterbo. Nel 1957 il reparto venne rischierato a Pisa e dal 1° gennaio 1963 venne finalmente trasferito a Livorno, all’interno della Caserma Vannucci, nel quartiere dell’Ardenza, dove ancora si trova, integrato nell’organico della Brigata Paracadutisti Folgore, ed assunse il nome di Compagnia Carabinieri Paracadutisti. L’integrazione con la Brigata migliorò l’addestramento dei carabinieri nel combattimento individuale e nelle tecniche dei colpi di mano, anche se in chiave opposta rispetto a quella del Reggimento: infatti il compito primario dei carabinieri paracadutisti era quello d’interdizione e di controguerriglia. Un

tipico addestramento congiunto con i cugini della Folgore che si chiamava condotta evasiva e che si è tenuto sino alla fine degli anni ‘90 prevedeva che i paracadutisti della Folgore cercassero di raggiungere le linee amiche dopo avere condotto un’azione in territorio nemico, mentre i carabinieri paracadutisti cercavano d’impedirlo. La condotta evasiva si svolgeva nei mesi invernali e durava un’intera settimana, durante la quale le parti in lotta percorrevano un centinaio di chilometri a piedi, dormendo all’addiaccio e con l’ordine tassativo di evitare accuratamente il contatto fisico, perché entrambi gli schieramenti erano soliti immedesimarsi nelle rispettive parti oltre il puro concetto addestrativo! A pochi anni dalla sua rifondazione, il reparto, si trovò ad affrontare un

problema grave quanto inaspettato e che avrebbe condizionato il suo sviluppo negli anni successivi. Nel 1956 venne fondato, in Alto Adige, da Sepp Kershbaumer, il Comitato per la Liberazione del Sudtirolo (in tedesco BAS: Befreiungsausschuss Südtirol), un’organizzazione terroristica con il dichiarato scopo di riunire il Sud Tirolo, per noi Alto Adige, all’Austria. Dopo un’iniziale attività di propaganda e di sensibilizzazione della popolazione di lingua tedesca sul problema della secessione, i membri di questa organizzazione iniziarono azioni dinamitarde contro simboli istituzionali italiani o che facevano preciso riferimento all’Italia ed al processo di italianizzazione dell’Alto Adige, messo in atto durante il ventennio fascista. In breve, ci fù una progressione degli attentati e di azioni TNM ••• 089


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ed all’uso di armi e materiali speciali, successivamente, continuando l’attività lancistica, prenderanno il Brevetto di Paracadutista Militare. Il corso è CHE COSA FANNO caratterizzato da numerose valutazioni intermedie, ognuna delle quali, se non Il “Tuscania” rappresenta, nel variegato viene superata, impedisce l’accesso mondo delle truppe speciali, una alla valutazione successiva. Per questo peculiarità italiana. I suoi membri sono motivo, solo un terzo di coloro che a tutti gli effetti carabinieri e come tali, hanno iniziato il corso indosserà il basco sono agenti di polizia giudiziaria, con amaranto con la fiamma ed avrà la tutte le prerogative di un corpo di polizia dello Stato, ma sono anche un reparto di qualifica di carabiniere paracadutista esploratore. Questo è un obiettivo finale fanteria leggera specializzato in attività soltanto per la propria autostima, vista la di interdizione, di controguerriglia ed durezza delle selezioni e del corso, ma in genere addestrati ad interventi ad sotto il profilo professionale è la base di alto rischio dove, di fronte a particolari un ulteriore iter formativo, sempre più scenari operativi, un piccolo nucleo di qualificante e specialistico, che prevede, uomini particolarmente addestrati e tra le altre cose, addestramenti al tiro motivati può fare la differenza. con qualunque tipo di arma, attività Chi ha la possibilità, ma io direi la di demolizioni con uso di esplosivi, fortuna o il privilegio, di visitare il 1° incursioni con elicotteri, anche usando Reggimento Carabinieri Paracadutisti il fast-rope, incursioni dal mare, “Tuscania”, rimane colpito da due combattimenti ravvicinati in centri cose: durante l’Alzabandiera, che il contro obiettivi simbolici, i terroristi abitati, intrusioni per la liberazione reggimento condivide con i cugini della iniziarono a colpire tralicci elettrici e poi d’ostaggi, lanci tattici in caduta libera, Brigata Folgore, nota che nessuna delle civili ed esponenti delle forze dell’ordine compagnie operative è a ranghi completi anche notturni, scorta e protezione di che, in pochi anni, ebbero ben 15 personalità in zone a rischio. e che una quarta compagnia non ha il vittime. In questo contesto, i carabinieri Le attività operative si possono basco amaranto ma nero. Queste che paracadutisti, ebbero un ruolo di prima equiparare a grandi linee a quelle dei vari sembrano due anomalie, sono in realtà linea partecipando alle numerosissime reparti dei reggimenti paracadutisti della la sintesi del reparto, composto da circa attività d’interdizione, di polizia giudiziaria 550 uomini, di cui una parte consistente Brigata Folgore, con cui il Reggimento e d’intelligence, anche inseriti all’interno è in missione perenne da qualche parte condivide l’urlo di guerra, parte del Reparto Scelto Interforze, una dell’addestramento, la scelta di certi dell’Italia o del Mondo ed un’altra (quelli speciale unità operativa attivata per la materiali e naturalmente le esperienze con il basco nero) è in addestramento prima volta per affrontare lo specifico lancistiche. La grande differenza è per cercare di farne parte! L’accesso al problema altoatesino. Le esperienze data dal fatto che questi uomini sono Reggimento è estremamente selettivo operative in Alto Adige e quelle acquisite ed è riservato ai carabinieri di tutti i un mix di polizia giudiziaria, di squadre durante i successivi anni di piombo speciali e d’incursori. Pur collaborando gradi che hanno già positive esperienze del terrorismo politico, ampliarono le strettamente con il CAP di Pisa, il 1° di servizio nei vari reparti dell’Arma, dimensioni ed identificarono sempre Reggimento Carabinieri Paracadutisti dove hanno avuto l’opportunità di meglio la missione operativa del reparto, dimostrare di avere quelle doti di “Tuscania”, è supportato anche da che nel 1975 prese la denominazione di un proprio Centro di Paracadutismo equilibrio psicofisico e di autodisciplina 1º Battaglione Carabinieri Paracadutisti indispensabili per far parte di un reparto Sportivo, posto alle dirette dipendenze con l’aggiunta del nome “Tuscania”, in del Comando Generale dell’Arma, che di truppe speciali. Una volta accolta la onore della Tuscia, dove nacque la storica domanda d’ammissione al corso, questi ha vinto numerosi titoli mondiali nella Scuola di Paracadutismo del colonnello aspiranti, devono affrontare alcune prove varie specialità lancistiche e questo non Badouin e della città di Viterbo, dove atletiche, di forza muscolare e resistenza deve stupire, perché il paracadutismo, venne rifondato il reparto nel dopoguerra. fisica, superate le quali, in base ad una oltre ad un significato tattico-militare, è Da allora, gli uomini del reparto, valutazione oggettiva, poco meno di cento una grande disciplina sportiva altamente diventato nel frattempo il 1° Reggimento elementi andranno a Livorno per seguire formativa per il carattere, l’equilibrio Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”, psicofisico e l’autostima: qualità alla base un corso della durata complessiva di hanno partecipato a tutte le azioni di ogni appartenente ad un reparto di nove mesi, diviso in due fasi principali. fuori area delle nostre Forze Armate, truppe speciali. Inoltre, tutti i carabinieri La prima delle quali coincide con operando in Libano, Namibia, Somalia, del Tuscania, anche a seconda delle loro il corso per prendere il brevetto di Cisgiordania, Bosnia, Kosovo, Afghanistan paracadutista e che si svolge in parte a attitudini, prendono ulteriori brevetti ed Iraq, conquistandosi sul campo la ed abilitazioni per attività acquatiche Pisa, presso il Centro Addestramento stima e l’ammirazione di tutti coloro e montane, senza dimenticare lo Paracadutisti dell’Esercito ed in parte che hanno avuto occasione di lavorare studio delle lingue straniere e di altre a Livorno nella sede del reggimento. con loro. In particolare, recentemente, specifiche materie in campo giuridico, Acquisita l’abilitazione al lancio con in Afghanistan, sia il generale Stanley amministrativo e tecnico. In Italia, gli il paracadute, nella seconda fase, McChrystal che il suo successore uomini del reparto, sono a disposizione vengono addestrati alle tecniche di David Petraeus, hanno più volte, del Comando Generale dell’Arma, combattimento di pattuglia e di plotone pubblicamente, lodato i carabinieri ed in particolare quelli del Tuscania.

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che li utilizza in attività di supporto alla Territoriale o per completare iter addestrativi di altri reparti speciali, come per esempio i Carabinieri Cacciatori Elitrasportati di Calabria e di Sardegna. Le attività fuori area con compiti di formazione di personale straniero, di polizia militare, di difesa di aree sensibili e la scorta a personalità civili e militari sono coordinate dal Comando Operazioni Internazionali (COI) o dal Ministero Affari Esteri, che può chiedere l’intervento del Tuscania per la sicurezza delle sedi diplomatiche in nazioni ad alto rischio come il Libano, l’Iraq o l’Afghanistan. Anche l’equipaggiamento e le armi in dotazione seguono criteri di scelta tipici delle truppe speciali. L’armamento individuale standard è costituito dalla pistola Beretta 92FS, da un pugnale da combattimento e dal fucile d’assalto Beretta SCP 70/90, anche in versione accorciata (denominata SCS 70/90). Per le missioni fuori area, quelli del Tuscania, utilizzano invece la carabina d’assalto americana M16A2 Bushmaster M4. In realtà, se si ha l’opportunità (ma per gli appassionati sarebbe una vera goduria!) di visitare le armerie del 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”, c’è da restare stupiti per la varietà di armi a disposizione e dalle quali è possibile intuire le attività speciali, che sono, di volta in volta, chiamati a compiere questi poliziotti-militari-paracdutisti-incursori. Un esperto e simpatico armaiolo, veterano del reparto, a cui esprimevo il

mio compiacimento per la varietà di armi presenti nella sua ordinatissima armeria, mi ha detto sorridendo e con evidente soddisfazione: “…qui c’è tutto quello che serve e se per qualche ipotetica missione dovesse servire anche una pistola ad acqua, ci sarebbe anche quella!” Mi limito a fare un rapido elenco, sicuramente incompleto, delle armi che ho visto esposte nell’armeria del reggimento o utilizzate in attività di tiro, oltre a quelle individuali già indicate, lasciando a voi il lavoro di fantasia per l’accoppiamento con le ipotetiche missioni. Pistola mitragliatrice Beretta PM S2 e H&K MP5, anche nella varianti SD6 (silenziata) e Kurtz; fucili di precisione Mauser 66 SP e Accuracy International AWP, con vari sistemi di mira e puntamento; mitragliatrice leggera FN Minimi, anche in versione TP, MG 42/59 e mitragliatrice pesante Browning 12,7; lanciagranate automatico da 40 mm; fucili ad anima liscia Franchi SPAS 15 Mil e Benelli M3; pistola semiautomatica Glock; fucile automatico d’assalto AK 47. Il reparto si addestra continuamente al tiro sui numerosi poligoni a disposizione, anche coperti e prima d’ogni missione, il nucleo che ne farà parte, decide che tipo di armi impiegare e se ci sono i tempi, farà una simulazione a fuoco dell’intervento. Quando si parla di truppe speciali è facile cadere nella retorica e nell’esaltazione di aspetti che invece negli stessi reparti vengono spesso ridimensionati o totalmente ignorati.

Per quanto riguarda la mia personale esperienza professionale ed umana, per descrivere quelli del Tuscania in un mio recente video, ho cercato di calibrare gli aggettivi e soprattutto l’enfasi e la simpatia che spesso, durante il mio lavoro, nascono in modo naturale per ciò che ho occasione di vedere, vivere e provare. Questo, vi assicuro, almeno per quanto mi riguarda, è molto più difficile di quanto non si possa pensare, perché la molla che mi spinge a svolgere quest’attività, oltretutto ad un’età in cui gran parte degli uomini sogna una pensione in pantofole davanti alla televisione, è sicuramente di carattere emozionale. Ho deciso così di riferirvi il giudizio di una bella donna, di cui non menzionerò il nome il nome perché, essendo adesso in Afghanistan, ho problemi a contattarla per chiederle il permesso. Questa bella donna è una giornalista brava, intelligente e preparata e pur interessandosi ad altri argomenti, ha una certa conoscenza sulle cose militari, che va ben oltre la media dei sui colleghi e colleghe. Durante una cerimonia, dopo avere visto sfilare quelli del Tuscania, si è guardata intorno con lo sguardo pieno d’ammirazione ed ha esclamato: “..ma sono anche tutti belli!” dove il valore del giudizio è, a mio avviso, proprio nel termine “anche”, che sintetizza il fascino e l’immagine di coloro che hanno avuto il coraggio di fare delle scelte difficili ma sicuramente appaganti. TNM ••• 091


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DI Antonello Tiracchia - foto Giuseppe Lami

IN AZIONE CON

IL TUSCANIA TNM ••• 092


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Gennaio 2011 Afghanistan-Herat: il Tenente Colonello Claudio Cappello (1°Reggimento Carabinieri Paracadutisti ‘Tuscania’)

Carabinieri Paracadutisti “Tuscania” a Livorno; il ten. Col. Capello era il mentore del generale Saydagha Sareb il comandante in capo della polizia afghana della provincia di Herat, la più ricca dell’intero Afghanistan, il suo vice era il tenente Rolando Tommasini, sempre del Tuscania, un giovane di 27 anni a sua volta mentore del vicecomandante della Provincia di Herat, il colonnello Delaware Delawarshan. La sicurezza dei POMLT è affidata da sempre ai carabinieri paracadutisti del Tuscania, con loro abbiamo partecipato ad Herat, gennaio 2011 alcune attività. Accompagnati dal tenente colonnello Claudio Cappello Si chiamano POMLT (Police - un siciliano doc che sprizza energia Operational Mentoring Liaison da ogni gesto e con la voce ed i Team) sono i carabinieri che ad modi di fare coinvolgenti e diretti Herat, ma non solo li, addestrano i - siamo andati a visitare a piedi il loro omologhi della Polizia Afghana, laboratorio delle ceramiche della affiancandoli nella loro quotidianità Moschea Blu di Herat, il cuore del attraverso un’attività definita di cuore dei fedeli musulmani di questa mentorizzazione. Sono carabinieri provincia. Qui i carabinieri sono con grande esperienza operativa e conosciuti ed accolti come amici e professionale che provengono dalla grazie a loro il responsabile di quella territoriale, dalle scuole o da altri reparti investigativi e/o amministrativi che a tutti gli effetti è una fabbrica di restauro sacro, ci fa entrare dell’Arma. Tutti parlano l’inglese con la telecamera e la macchina e alcuni anche il farsi che è la fotografica nei vari laboratori in cui lingua ufficiale di questa provincia maestranze specializzate operano dell’Afghanistan. Il loro comandante nel gennaio del 2011 qui ad Herat, era secondo tecniche secolari sotto gli il tenente colonnello Claudio Cappello, occhi di vecchi maestri, silenziosi in Italia responsabile dell’attività ed autorevoli. Sempre a piedi, addestrativa del 1° Reggimento accompagnati dai PMOLT e scortati

da quelli del Tuscania siamo andati a piedi in una pasticceria tipica afghana, semplice e pulita con gli inservienti tutti dotati di guanti; si capisce che il tenente colonnello Claudio Capello e gli altri carabinieri sono qui clienti di riguardo ed il titolare ed i suoi figli ci propongono come benvenuto la degustazione di alcuni dolci buonissimi. La violenza, gli attentati sembrano storie di un altro mondo. Qualche giorno dopo, in una mattina freddissima ( Herat è a circa 1000 metri di quota ) ho avuto la possibilità di accompagnare la scorta effettuata ad una personalità italiana ad una “visita di cortesia” richiesta da un potente personaggio della provincia. E’ un’attività insolita, ma un invito diretto richiesto da un simile personaggio non si può rifiutare a priori. Potrebbe essere una trappola ma anche un’occasione per intavolare un dialogo con frange non allineate ma che capiscono i cambiamenti in atto nell’intera provincia, sempre più attiva e desiderosa di una vita normale. L’intelligence da il suo ok ed il nucleo del Tuscania ha il compito di scortare questa personalità. Ricevuto l’ordine il reparto mette in moto un meccanismo complesso e collaudato che coinvolge ogni minimo aspetto della missione. Il dispositivo si muove a bordo dei Lince, uno è dotato di un lanciagranate automatico TNM ••• 093


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da 40 mm, due con la Browning e gli altri con l’MG 42/59. La personalità ed il suo assistente si spostano a sua volta con una Toyota bianca blindata, senza targa, accompagnata da altre vetture uguali. Il dispiegamento di forze serve per creare le condizioni per resistere ad un eventuale agguato, il carico di munizioni nelle giberne dei carabinieri paracadutisti è notevolmente oltre lo standard, i mezzi praticamente straripano di armi e munizioni. Gli spostamenti avvengono con i jammer su on, nessuno lo ha detto ma forse un Predator sorvola da ore la zona, invisibile e silenzioso nel cielo terso di gennaio. Il motivo di un simile dispiegamento di forze è anche psicologico, serve a far capire al potente afghano che ha chiesto l’incontro con chi ha a che fare; in una nazione dove la violenza e l’uso della forza sono espressioni del potere questa ostentazione di efficienza militare è un biglietto da visita importante, la risposta italiana a questo invito è chiara e va intesa così: abbiamo accolto il tuo invito,

anche se posto per vie informali, sappiamo chi sei ed abbiamo deciso di venire lo stesso, ma guarda bene con chi hai a che fare e soprattutto attento a ciò che ci dirai! A pochi distanza dal luogo dell’appuntamento i veicoli si dispiegano secondo procedure consolidate, è evidente che la scorta ha studiato le immagini del Predator o, ancora meglio, quelle ad alta risoluzione dei degli AMX dei BlackCats. Alcuni carabinieri paracadutisti con lo zaino da cui fuoriesce una specie di tubo dentro un contenitore mimetico si allontanano velocemente e altrettanto velocemente spariscono. Sono i tiratori scelti di cui non riesco a vedere il tipo di fucile di precisione. Altri carabinieri del Tuscania prendono posizione nei punti da loro considerati strategici ed è sempre più chiaro che ogni aspetto è stato studiato nei minimi particolari. La personalità viene accompagnato dal capo scorta, che non sembra protetto da un corpetto balistico, ha giacca e cravatta, so che è armato di Glock perché l’ho visto mentre la occultava,

credo che abbia con se abbastanza colpi per fondere la sua arma. I suoi uomini che invece lo seguono potrebbero far fronte ad un assalto di compagnia per come sono armati ed equipaggiati, pistola Beretta, M4 con almeno 320 colpi, flash bang, granate e chi sa cosa altro. Alcuni sono dei giovani altri uomini maturi, solo a vederli capisci che è meglio non litigarci. Io aspetto all’interno del mio Lince, al caldo, in ralla la Browning 12.7 è puntata verso l’imbocco di una strada a qualche centinaio di metri. Il motore ronza sornione e mentre azioniamo il riscaldamento, il pilota segue tutti i movimenti via radio. Mi tolgo l’elmetto e sgancio le cinture, una trasgressione, è vero, ma intorno a me respiro una grande aria di sicurezza in questo angolo di Afghanistan e non è di certo solo per le piastre di kevlar che avvolgono il Lince. (*) - Per motivi di sicurezza ed impegni presi alcuni particolari sono stati omessi o potrebbero essere stati modificati.

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Di Tenente Colonnello GdF Mario Leone Piccinni

Le nuove frontiere della criminalità transnazionale

il cybercrime dati ufficiali, le cronache nazionali e quelle internazionali testimoniano come negli ultimi anni si sia registrato un incessante incremento di condotte criminali strettamente legate all’uso delle tecnologie informatiche, principalmente in ambiente internet. La crescente informatizzazione è il risultato del progresso scientifico ed il più evidente indicatore di una società in costante evoluzione, sempre più intenta nella ricerca di strumenti capaci di facilitare e semplificare il proprio modo di vivere. Ma tale mutazione ed evoluzione tecnologica comportano il parallelo moltiplicarsi di nuove metodologie per la realizzazione di crimini e la nascita di nuove fattispecie delittuose. La forte dilatazione del numero e della tipologia dei reati e delle condotte illegali commesse on line è quindi la naturale conseguenza del sempre più diffuso impiego di strumenti informatici, da parte di cittadini ed utenti, nel soddisfacimento dei bisogni quotidiani, come acquisti on line, utilizzo dell’e-commerce, dell’home banking e dei pagamenti on line mediante carte di credito. Crimini come la diffusione d’immagini pedopornografiche, il warddriving, le frodi telematiche, il phishing, il farming, i furti d’identità telematica, la sottrazione con fini fraudolenti di credenziali d’accesso a sistemi informatici o di numeri di carte elettroniche di pagamento, sono oramai reati considerati comuni e che hanno assunto una dimensione quantitativa e qualitativa di portata planetaria. La rete, quindi, rappresenta un ambiente ad elevato rischio adescamento da parte di truffatori, hacker, cracker, pedofili, i quali si muovono agevolmente su quelli che sono i terreni maggiormente familiari ed utilizzati dai web surfer on line: i servizi d’instant messaging,

i siti di social network, i portali d’aste on line e di commercio elettronico, i forum, le piattaforme di condivisione dati (peer to peer) e le chat. I portali di social network come Facebook e le chat rooms come Badoo, ad esempio, sono luoghi di “caccia” ambiti e fortemente frequentati dai pedofili, i quali si muovono on line utilizzando la tecnica del grooming 1,tentando di conquistare le proprie giovani prede con le cosiddette “caramelle telematiche”, come ricariche telefoniche e regalie varie. Per quanto riguarda la pedofilia, i video e le foto che circolano su internet possono essere di produzione professionale o di tipo amatoriale, si tratta, in ogni caso, di un crimine aberrante ma dagli importanti profili economici ed estremamente redditizia per le organizzazioni che vi si dedicano. Le operazioni in materia, condotte negli ultimi anni dalle polizie di tutto il mondo ed in ogni parte del pianeta, testimoniano come sul web sia oramai possibile trovare agevolmente siti che offrono cataloghi di bambini in vendita o in “affitto” con foto che li ritraggono mentre patiscono brutalità d’ogni genere. In tale contesto, degni di particolare nota sono, per la loro crudezza e ferocia, i cosiddetti snuff-movies, video sempre più diffusi in ambiente web ove bambini vengono prima stuprati e torturati e quindi uccisi; le investigazioni hanno messo in evidenza come tali orrendi filmati provengano maggiormente da aree del globo ove è molto diffusa la povertà, come Africa, Sudamerica, sud est asiatico. Il cybercrime è divenuto oramai un business appannaggio di organizzazioni criminali aventi ramificazioni anche internazionali, sovente sodalizi strutturati in forma apicale, in grado d‘impiegare specialisti informatici, spesso assoldati in paesi dell’est Europa, Romania soprattutto, tra i molti giovani formati da istituti universitari locali, i quali, al termine del ciclo di


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studi, non trovano occupazioni professionali lecite e tali da soddisfare le proprie legittime aspettative.Un ampio bacino di potenziali cyber criminali, nel quale molto astutamente le organizzazioni dedite all’illegale web business pescano con la certezza di riscuotere dal loro utilizzo considerevoli somme di danaro da riciclare in affari economici similmente vantaggiosi2. Stime ufficiali3 parlano di 50.000 computer infettati ogni giorno da malware nel mondo, di un utente su due che perde per sempre i propri dati a causa di attacchi esterni da parte di hacker e cracker, di oltre un milione di nuove minacce alla sicurezza informatica nel solo 2010, di identità digitali rubate al ritmo di una ogni tre secondi, di un giro d’affari per le organizzazioni criminali stimabile come di gran lunga superiore a quello del narcotraffico. Nei primi mesi del 2011 sono stati numerosi gli attacchi condotti ad Istituzioni o società commerciali da parte di gruppi criminali specializzati nei computer crimes. Il portale web inglese del colosso giapponese dei videogames Sega è stato attaccato da hacker che sono riusciti ad impossessarsi di dati personali di oltre un milione di utenti registrati; oltre a Sega erano rimaste vittime di attacchi informatici Nintendo, Escapist, Network PlayStation Sony. Tra i maggiori indiziati, i gruppi hacker Lulzsec ed Anonymous. Quest’ultimo è un gruppo cyber anarchico particolarmente attivo, che in virtù della spiccata connotazione individualista e refrattarietà alla gerarchia, riunisce i propri membri e si coordina esclusivamente per portare a termine determinate azioni, rendendo, in tal modo, ancora più arduo il compito di polizia ed agenzie di sicurezza a realizzare un’efficace azione di contrasto; la cellula italiana degli hacker senza volto di Anonymous, conta un centinaio di attivisti sul territorio nazionale e circa 800 simpatizzanti sui social network. Con l’operazione denominata “Payback”, gli hacker affiliati ad Anonymuos, mettono fuori uso portali web ritenuti essere nemici del noto Wikileaks (tra questi i siti internet di holding come Mastercard e Visa); il 13 febbraio 2011, Anonymous scaglia una violenta offensiva telematica, battezzata dagli hacker “Operation Italy part 2”, contro i principali siti governativi italiani. I target dell’attacco: il portale della Camera (www.camera.it) e del Senato (www. senato.it), il sito del Governo (www.governo.it) e quello di Mediaset (www.mediaset.it); agli attacchi, condotti mediante la tecnica DDos (Distributed Denial of Service), avrebbe visto la contemporanea partecipazione di oltre 400 hacker attivisti. Il Gruppo Anonymous, si è reso inoltre protagonista di coraggiosi attacchi ai siti ufficiali della polizia nazionale spagnola e della Polizia Postale e delle Telecomunicazioni italiana: in entrambi i casi una ritorsione

a seguito dell’arresto, avvenuto poco tempo prima, in Italia ed in Spagna, di giovani sospettati di appartenere proprio all’anonimo gruppo di hacker. Il 25 luglio, gli hacker dei gruppi LulzSec ed Anonymous, dopo aver attaccato il sito del Cnaipic, il “Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche” della Polizia di Stato, vittima di uno smacco tecnologico senza precedenti, hanno pubblicato e reso pubblici documenti riservati. “I guardiani della rete beffati dall’attacco pirata”, titolava uno dei più autorevoli quotidiani italiani all’indomani dell’offensiva telematica. E’ quindi in atto una “cyber sfida”, una guerra informatica senza confini e senza regole; difficile inquadrare il nemico, le Istituzioni sono trascinate sul terreno della “cyberguerriglia”. Un recente attacco, probabilmente scagliato a meri fini dimostrativi, ha colpito i sistemi informatici di 18 tra le principali Università italiane e si è concluso con l’illecita acquisizione, da parte di un sedicente gruppo denominato LulzStorm, di dati riservati di migliaia di professori e studenti (indirizzi anagrafici, indirizzi di posta elettronica, username e password per accedere a servizi offerti dagli atenei). Quella generata dalle organizzazioni criminali con il cybercrime rappresenta, di fatto, una vera e propria economia parallela, un mercato all’interno


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del quale criminali telematici vendono o si procurano informazioni personali su utenti e consumatori o programmi per realizzare attacchi mirati a sistemi informatici. Nel solo biennio 2007-2008, sono state carpite informazioni personali di oltre 7 milioni di utenti. La Cina è la nazione i cui cittadini contano la percentuale più alta d’attacchi informatici basati su malware, social engineering ed hacking (83%); seguono India e Brasile con il 76% e quindi Stati Uniti con il 73%. Le perdite economiche causate alle sole imprese dalla criminalità informatica, sono quantificabili in circa 750 miliardi di euro all’anno 4. Il business principale per i cyber criminali è rappresentato dal mercato illegale dei numeri delle carte di credito, che ammonta al 32% del materiale manipolato dalle organizzazioni malavitose che operano nel mondo del web. Sul mercato nero, i dati necessari a poter adoperare illecitamente una carta di credito trafugata on line, arrivano a costare sino a circa 50 euro. A seguire, con il 19% delle transazioni illecite, grande mercato hanno i dati dei depositi bancari, trafugati sul web mediante la tecnica del phishing 5;le informazioni necessarie a movimentare denaro da un conto corrente attraverso l’home banking, possono essere venduti sul mercato nero anche per più di 1.000 euro. Per ciò che attiene il mercato dei dati trafugati, una recente ricerca6 evidenzia l’esistenza di un vero e proprio “listino prezzi” on line: 800 dollari per un passaporto dell’Unione Europea, 500 dollari per una patente del Regno Unito. Il furto di dati rappresenta quindi il cardine del crimine informatico ed è relativo a ben il 90% delle minacce che si annidano in rete. Utilizzando una tecnica definita scareware, una banda di cracker ha trafugato circa 180 milioni di dollari in un solo anno attraverso la contaminazione di pc attraverso un software antivirus falso; i pirati facevano credere agli utenti vittime di avere i computer infetti, in tal modo, questi ultimi fornivano i propri dati personali ed i codici TNM ••• 100

della carta di credito, essendo convinti d’acquistare un programma in grado di annientare il malware e sbloccare il computer. Lo scareware ed il phishing rappresentano solo alcune varianti dei cosiddetti malware, programmi per computer che vengono eseguiti all’insaputa dell’utente e che sono in grado di cagionare danni significativi in termini di riservatezza, integrità e disponibilità delle informazioni trattate sul computer “infettato”. Nei primi sei mesi del 2010, si è registrato un aumento di ben il 50% di nuovi virus informatici; i programmi di sabotaggio ideati ed utilizzati da bande di cracker al soldo di articolati sodalizi criminali, hanno raggiunto la cifra record di 1.017.208 unità 7. Il fenomeno dei virus, oltre che il mondo dei computer, interessa e coinvolge oggi anche quello della telefonia mobile; la diffusione planetaria di smartphone e palmari connessi on line, con telefonini delle ultime generazioni che assomigliano sempre più a dei computer, ha trasformato detti terminali in target allettanti ed estremamente semplici da colpire per le organizzazioni di cybercriminali. Sono ben 514 le varianti di famiglie di virus per palmari, cellulari e smartphone, principalmente veicolati e trasmessi mediante sms da inviare al terminale bersaglio che il pirata intende contaminare. Si contano oltre 150.000 tipologie di malware in circolazione: nella classifica dei malware, con una percentuale del 42,6% il virus trojan occupa il primo posto, seguito con il 20,4% dai downloader and dropper; lo spyware, con una percentuale pari al 12,8%, viene largamente utilizzato dai criminali informatici per impossessarsi di dati di accesso ai social network. Tra i virus più contagiosi il noto “I love you” (45 milioni gli utenti infettati), “Conficker” (oltre 9 milioni di contagi), “Storm” (oltre 1 milione i pc contaminati). Tra i malware che hanno causato maggiori danni economici, “MyDoom” (danni per 38,5 miliardi di dollari), “SiBig” (danni quantificati in 37,1 miliardi di dollari). In Italia, 1.000 computer vengono infettati


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ogni giorno. Secondo il produttore antivirus Panda, in Italia, quasi il 50% dei pc è stato attinto da virus; 1 mail su 286 è invece infettata da un agente informatico malevolo. Gli hacker che manipolano software antivirus, mediamente realizzano guadagni per circa 4.300 euro al giorno 8. I cyber criminali hanno preso di mira soprattutto le piattaforme di socializzazione come Twitter e Facebook per l’elevato numero d’iscritti e le note falle di sicurezza insite nei relativi sistemi. Secondo un rapporto sul cybercrime realizzato dalla softwarehouse Microsoft 9,nell’ultimo periodo del 2010, gli attacchi di phishing attraverso i social network sono aumentati dell’84,5%; d’altra parte, i media sociali sono divenuti il terreno di caccia preferito dai cybercriminali, in quanto in tali ambienti virtuali, la viralità ed il contagio sono più facili da realizzare grazie alle connessioni con altri utenti-contatti 10. Internet è ormai lo strumento più sfruttato dai cyber criminali professionisti per carpire segreti industriali, trafugare documenti governativi, rubare informazioni personali degli utenti da rivendere poi al miglior offerente. Ma la rete è anche lo strumento utilizzato da criminali non professionisti per vendere materiale piratato, contraffatto o proveniente da furti, condividere o commercializzare materiale a contenuto illegale o pedopornografico. Oggi il target medio dei pirati informatici si è notevolmente abbassato e per assurdo, è sempre più difficile trovare hacker preparati. Accade spesso che utenti s’improvvisino pirati informatici, rendendosi autori di condotte illecite che poi risulta abbastanza semplice rapportare al reale responsabile 11. Gran parte di coloro che si rendono responsabili di violazioni e crimini sul web, non possono essere intesi nel senso classico del termine, ma sovente si tratta di utenti che, in virtù della distanza fisica che le separano dalla cosiddetta scena criminis, non avvertono la gravità delle azioni che stanno compiendo; è il caso di colui che rifila delle truffe on line

attraverso il portale marketplace eBay, o di colui che scarica musica e film da internet per poi realizzare dei cd o dvd e rivenderli sul posto di lavoro o sullo stesso portale di annunci americano. Con lo sviluppo del web si moltiplicano e proliferano on line le community di hackers. L’hacker segue un’etica ben precisa, una sorta di codice cavalleresco, che identifica le azioni informatiche come semplice sfida pratica d’intelligenza, ma al contempo sancisce il divieto assoluto di provocare danneggiamenti, defraudare e farsi scoprire. Gli hacker amano le sfide, ma non causano danni e non diffondono malware o distruggono i pc di altri utenti. Il vero hacker accede in siti web per divertirsi, esplorare, valutarne e testare la sicurezza del portale, tenta di baypassare i sistemi d’intrusione, forza divieti e password, individua i bug e li segnala all’amministratore. Il termine “hacker” non deve quindi essere confuso o assimilato all’espressione “cracker”, espressione con la quale s’identifica il vero pirata informatico, un criminale dalle elevate competenze telematiche, talvolta mosso da intenti distruttivi ed in grado di carpire fraudolentemente numeri di carte di credito e forzare sistemi di sicurezza di siti web e banche dati. Nell’ambito di una più ampia strategia di tranquillità all’interno degli spazi dell’UE rispetto al pericolo cybercrime, la Comunità ha previsto nuovi strumenti per elevare i livelli di sicurezza on line: l’istituzione di un sistema europeo di condivisione delle informazioni e d’allarme (EISAS), la creazione di un centro UE per la criminalità informatica, la nascita di una rete di squadre di pronto intervento informatico per azioni di pattugliamento online e maggiore collaborazione tra forze di polizia degli Stati della Comunità. La battaglia al cyber crime sarà quindi resa più incisiva mediante la maggiore collaborazione nel contrasto del fenomeno tra polizia e settore privato, la creazione di cyber pattuglie,cui spetterà il compito di condurre azioni di ricerca da remoto, monitorare online i cybercriminali, condurre investigazioni congiunte con i colleghi delle altre polizia europee. Auspicabile nel breve periodo la realizzazione di una piattaforma database delle segnalazioni su cui reperire informazioni sui reati commessi online, ad uso principalmente dell’organo di raccordo delle polizie europee istituzionalmente preposto, quale è l’Europol e per la cui realizzazione, la Commissione ha già stanziato 300.000 euro. In Italia, la Polizia di Stato ha recentemente creato un’articolazione denominata CNAIPIC (Centro nazionale anticrimine informatico), avente il compito di combattere e prevenire gli attacchi alle strutture critiche nazionali. Secondo un recente documento stilato dal Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), in Italia mancherebbe un centro di coordinamento per la lotta al cybercrime; secondo il Copasir, il fatto che ad occuparsi del contrasto ai crimini informatici sia una pluralità di soggetti, può rappresentare un limite per la sicurezza della Nazione, per tale motivo la regia della lotta ai computer crimes in Italia andrebbe assegnata al DIS (Dipartimento informazioni e sicurezza) TNM ••• 101


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che lavora sulla sicurezza delle comunicazioni classificate e delle strutture che gestiscono informazioni riservate. Lo stesso documento, infine, oltre a specificare che “le prossime guerre tra Stati... saranno concentrate su un massiccio utilizzo d’attacchi informatici”, cita altre strutture dei Servizi di sicurezza e informazione deputate al contrasto ai crimini informatici, (Divisione Infosec dell’Aise e la Sezione controingerenza telematica dell’Aisi) e chiede al Governo che l’Italia si faccia promotrice, nelle previste sedi internazionali, di un “Trattato per il contrasto alle minacce cibernetiche statuali”. Tutto ciò, ovviamente, non può prescindere dal fatto che la lotta al cybercrimine richiede impegni armonizzati da parte di tutte le parti coinvolte, ma al contempo esige la presenza di attori che siano dotati di competenze tecniche di elevato livello. Esiste già, a livello comunitario, una proficua cooperazione tra gli Stati membri attraverso regolari scambi d’opinione sulle politiche da adottare che si realizzano nell’ambito di un forum europeo

costituito nel 2009. In tale ottica, lo scorso 30 settembre 2010, la Commissione ha adottato la proposta IP/10/1239, volta a fortificare e rimodernare l’Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione (ENISA). Per contrastare i sempre più crescenti attacchi mirati alle cosiddette infrastrutture critiche, è infine nata la International Cyber Security Protection Alliance (ICSPA), un programma d’iniziative specifiche che raggruppa imprese, governi e forze di polizia di tutto il pianeta; la struttura si pone il precipuo obbiettivo di realizzare un sistema efficace per la lotta al cybercrime, attraverso la realizzazione di una rete globale di formazione e scambio di competenze tra forze di polizia degli Stati maggiormente attinti da organizzazioni criminali dedite al fenomeno, dotando loro di informazioni e strumenti. In tale ottica, i rappresentanti di Europa e Stati Uniti, nell’ambito di un summit tenutosi recentemente a Gödöllo, Ungheria, hanno rafforzato la cooperazione contro le minacce alle infrastrutture digitali, TNM ••• 102

cercando di sensibilizzare il settore privato, da cui innegabilmente deriva la sicurezza delle reti e la stabilità delle infrastrutture. Nel corso della riunione, presieduta dal Commissario dell’Unione Europea Neelie Kroes e dal Segretario USA per la sicurezza interna Janet Napolitano, sono stati definiti i temi che dovranno essere trattati dal Gruppo di lavoro Eu-Usa sulla cybersicurezza ed il cybercrime, fondato a novembre 2010. In Italia la legislazione penale vigente in materia di reati informatici è la legge 23 dicembre n. 547 del 1993, intitolata “Modificazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di criminalità informatica”; un intervento legislativo volto a regolamentare e sanzionare condotte socialmente nocive o pericolose connesse al rapido avvento della rete e delle nuove tecnologie. La norma ha introdotto importanti varianti al Codice Penale, al Codice di Procedura Penale, al Codice della Privacy ed al Dlgs nr. 231/2001. Con la successiva ratifica della Convenzione di Budapest sul crimine informatico, il legislatore ha poi introdotto nel sistema normativo nazionale sanzioni più severe per i crimini informatici, stabilendo precetti forti nel contrasto alla pedopornografia on line e sanzioni anche a carico di enti e società. Altro caposaldo emerso dalla ratifica, sono le misure di collaborazione e cooperazione tra le forze di polizia. La Convenzione rappresenta, di fatto, il primo accordo internazionale in materia di crimini commessi attraverso il web o altre reti informatiche che si pone l’obiettivo primario di realizzare una politica comune, fra gli Stati membri, mediante l’adozione di una normativa adeguata, che renda realizzabile un’efficace e coordinata opera di contrasto al crimine informatico. Dal punto di vista pratico, l’armonizzazione delle normative nazionali dovrebbe concretizzarsi in una più stretta e rapida cooperazione giudiziaria a livello internazionale, con la conseguente auspicabile accelerazione dei tempi necessari ad esperire rogatorie internazionali e la possibilità per le varie forze di polizia che svolgono indagini finalizzate al perseguimento dei crimini correlati all’area informatica, di “parlare” lo stesso linguaggio tecnico-giuridico. Particolare importanza riveste la questione della data retention. Nell’ambito di determinate finalità di “investigazioni preventive”, il nuovo impianto normativo apporta modifiche di rilievo alle misure di sicurezza ed ai tempi di conservazione dei dati del traffico telematico, prevedendo, di fatto, un’estensione del potere delle forze di polizia nel reperimento dei dati presso gli operatori. Dal punto di vista delle indagini, la Legge di ratifica della Convenzione comporta soprattutto l’adozione di nuovi metodi investigativi sulle digital evidence. Tra le più importanti innovazioni introdotte rientrano, senza dubbio, quelle riguardanti le ispezioni ed il sequestro di dati informatici che hanno chiarito determinate procedure utilizzate in tema di investigazioni telematiche e portato disciplina in un settore da sempre regolato dalla mera “prassi investigativa”. Viene inoltre estesa alle perquisizioni in ambito informatico la possibilità per la polizia giudiziaria di procedere ugualmente all’acquisizione delle prove violando le misure di sicurezza, qualora essa non sia in possesso delle password. Infine, di estrema importanza risulta la disposizione normativa la quale prevede che le


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indagini in materia di reati informatici e di pedopornografia debbano essere affidate agli uffici del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello; una novità che rende auspicabile la creazione di appositi “pool” di magistrati inquirenti specializzati. La condizione basilare nella lotta ad un tipo di reato che riveste natura transnazionale, ove quasi sempre chi truffa gli utenti sui portali d’aste on line o divulga o condivide materiale pedopornografico si trova in paesi del sud est asiatico, Asia, Africa o est Europa è quindi rappresentata dalla collaborazione tra organi inquirenti e magistrature dei paesi interessati. Con i computer crime, l’universo criminale è cambiato e con esso anche l’attività di chi deve prevenire e contrastare detti reati. La complicata identificazione dell’autore del crimine informatico, rende i reati commessi on line perseguibili con grandissima difficoltà. Ma a differenza di quanto avviene nel mondo reale, sul web, qualsiasi azione venga compiuta lascia una traccia indelebile: invio di file, navigazioni, e-mail, qualsiasi attività intrapresa sul web viene tracciata dall’internet service provider o dal gestore del sito web; si tratta di informazioni agevolmente rilevabili poi da chi conduce le investigazioni. La successiva analisi delle tracce informatiche lasciate dal cybercriminale, permette di giungere alla constatazione del reato od alla riconducibilità dell’attacco informatico ad un determinato utente. La possibilità di perseguire i responsabili di un potenziale reato, diviene più difficile qualora il luogo di connessione venga individuato in uno Stato con il quale non esistono, da parte delle autorità nazionali, forme di collaborazione e di acquisizione dei dati necessari; in tal caso, le autorità inquirenti nazionali devono comunque ottenere permessi, chiedere rogatorie ed estradizioni, ottenere la necessaria collaborazione di altri Paesi, imbattendosi con le relative questioni processuali. Una lotta efficace al cybercrime internazionale, connotato da minacce informatiche sempre più sofisticate ed innovative, non può, in definitiva, prescindere da una stretta collaborazione tra gli ordinamenti nazionali e dall’adozione di metodologie univoche tra i vari organi deputati alle specifiche investigazioni. La finalità è quella di evitare che aree del pianeta non ancora investite dal problema, diventino pericolosi “paradisi informatici”. NOTE 1 “…sostanzialmente, le tecniche utilizzate dai pedofili on line per tentare d’adescare un minore sono riconducibili a pochi e conosciuti step: • la fase d’approccio inizia con il tentativo di instaurare una conversazione con il minore e creare con quest’ultimo un rapporto di fiducia ed amicizia. Solitamente la presentazione avviene proponendosi come coetaneo dell’altro sesso; • una volta conquistata la fiducia dell’adolescente, il pedofilo inizia a parlare, se pur gradualmente, di argomenti riguardanti il sesso. Spesso il criminale lo fa utilizzando la pornografia infantile per convincere la vittima che tutti i bambini sono in modo naturale impegnati in queste pratiche; il malintenzionato tenta di stimolare la curiosità sessuale dell’adolescente rivolgendogli delle lusinghe (frasi del tipo: “scommetto che sei davvero carina...”) o mostrandosi disponibile a dare informazioni su argomenti proibiti che solitamente è difficile ottenere dagli adulti (quasi sempre si tratta di discorsi riguardanti il sesso); • il criminale pone alla vittima delle domande, sempre più esplicite. Assegna al minore dei compiti, come compiere determinati atti sessuali o vestire un determinato capo di biancheria intima, fino a giungere ad

ottenere la possibilità di comunicare telefonicamente o scambiare, sms, mms, fotografie o filmati di sesso esplicito; • l’adescamento trova la conclusione con il tentativo di combinare un incontro di persona con la potenziale vittima…”. Tratto da “I pericoli del web”, di Mario Leone Piccinni, Editrice San Marco, 2009. 2 Così Mario Leone Piccinni in “I pericoli del web”, Editrice San Marco, 2009. 3 Studio elaborato da Symantec. 4 Fonte: McAfee. 5 “…coniato nel 1996, il termine phishing deriva dal verbo anglosassone to fish (pescare) e dal termine phreaking; il vocabolo fa riferimento a frodi telematiche perpetrate mediante tecniche di social engineering e finalizzate al “furto di identità elettroniche”, attraverso l’utilizzo di messaggi di posta elettronica con i quali vengono ottenute credenziali di autenticazione a servizi di natura finanziaria in danno di utenti della rete. …celando la propria identità e fingendo di essere una persona diversa da quella che è in realtà, il social engineer riesce ad attingere dati ed informazioni che non sarebbe in grado di accaparrarsi agendo con la sua identità reale…i phishers organizzano i propri attacchi su larga scala adottando la tecnica dello spamming, attraverso la quale i messaggi via e-mail vengono inviati a migliaia di utenti alla volta (cosiddetto “invio a pioggia”) ottenendo un tasso di risposta stimato in una percentuale pari a circa il 5%…”. Tratto da “Computer crimes. Casi pratici e metodologie investigative dei reati informatici.”, di Mario Leone Piccinni e Giuseppe Vaciago, Moretti & Vitali Editori, 2008. 6 Indagine della società specializzata Trend Micro. 7 Dati emersi da una ricerca di “G Data SecurityLabs”. 8 Dati Symantec. 9 Decima edizione del semestrale “Security Intelligence Report”, ricerca a livello mondiale che analizza gli aspetti fondamentali della sicurezza del web. 10 “…hacker e pirati informatici hanno individuato nel social networking un target interessante da cui poter ottenere illeciti profitti in danno degli utenti meno esperti ed avveduti registrati sui portali sociali, ambienti virtuali ove è naturale sentirsi al sicuro ed abbassare la guardia… L’esperienza dimostra come lo stesso Facebook, il più diffuso ed utilizzato tra i media sociali, venga sovente utilizzato come canale di contagio e veicolazione di malware di vario genere. Secondo quanto emergerebbe da numerose indagini, Facebook sarebbe difatti diventato un importante strumento utilizzato dagli hacher per diffondere codici malevoli; l’infezione avverrebbe anche attraverso la diffusione di email a tutti gli amici dei contatti di un account precedentemente acquisito dai pirati attraverso tecniche di phishing. I malintenzionati che intendono diffondere malware attraverso portali di social networking, ottengono il massimo rendimento facendo leva sul clima di sicurezza ed amicizia che tale gamma di spazi virtuali genera nei propri iscritti; qualunque email ricevuta, difatti, viene ritenuta “amica”, inducendo eventuali destinatari ad abbassare la guardia per ciò che attiene possibili minacce che invece il messaggio potrebbe veicolare. I messaggi maligni spesso racchiudono link capaci di indirizzare l’utente su pagine o maschere in grado di stimolare l’interesse della potenziale vittima, ma che in realtà si rivelano dei cavalli di troia, avente il solo fine di insinuare nel pc della vittima un codice malevolo. La tecnica più semplice e diffusa consiste nell’indurre l’utente bersaglio a scaricare un falso codec indispensabile per poter visualizzare un video. La ricezione di frasi del tipo “scopri chi è...” o “qualcuno pensa che tu sia speciale. Vedi di chi si tratta…” nella posta di Facebook proveniente da utenti estranei o da amici già raggirati, induce il destinatario a cliccare sul link ricevuto che lo conduce direttamente su siti esterni a Facebook ove gli verrà richiesto di scaricare un file con estensione “.exe”, il quale altro non è che un trojan che esegue un worm in grado di replicarsi, denominato W32.Koobface…”. Tratto da “Social Generation”, di Mario Leone Piccinni e Giuseppe Dezzani, Hoepli Editore, 2011. 11 “…tradizionalmente è possibile operare una distinzione tra tre differenti tipologie di criminali informatici: l’incidental cyber criminal (che compie l’atto criminale con l’oggettiva volontà di determinare un danno alle proprie vittime), l’accidental cyber criminal (che si ritrova coinvolto in un’azione di cybercrime incidentalmente o inconsciamente) ed il situational cyber criminal (che realizza la condotta illecita solo in virtù di una particolare situazione contingente)…”. Tratto da “I pericoli del web”, di Mario Leone Piccinni, Editrice San Marco, 2009.

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Di Galdino Gallini - Foto Max Maxala

Potenza e Robustezza Made in U.S.A... Redhawk 4” calibro .44 magnum TNM ••• 104


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La Sturm, Ruger & Company è un’azienda che non ha origini antiche come la Colt, la Smith & Wesson e tutte le altre fabbriche d’armi nate all’epoca della conquista del West, ma in 62 anni di attività, grazie al genio del suo fondatore, è riuscita ad affermarsi in maniera molto più solida rispetto alle concorrenti più datate. William Bill Ruger è nato nel 1916 ed ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza a Brooklyn (New York). Il suo interesse per la lavorazione meccanica si è subito manifestato in maniera prepotente. Invece di giocare con i suoi coetanei, William, preferiva trascorrere i suoi pomeriggi nelle officine, dove ha assimilato i primi rudimenti sulle tecniche di lavorazione dei metalli, maturando contemporaneamente una sviscerata passione per le armi da fuoco. A 23 anni abbandona gli studi artistici e parte per il New England, lo Stato in cui risiedono la maggior parte delle industrie armiere americane, con la speranza di trovare un lavoro nel campo che tanto ama. Ha già iniziato a progettare una mitragliatrice leggera ed, utilizzando questa sua opera ancora incompleta come biglietto da visita, cerca d’introdursi nelle aziende più in vista di questo settore. Tra le caratteristiche salienti del giovane W. Bill Ruger c’è la caparbietà. Inizialmente riceve una raffica di due di picche che avrebbe mandato in depressione chiunque. Lui, invece, TNM ••• 106

insiste e trova temporaneamente lavoro in Massachussets, presso gli uffici di progettazione d’armi da guerra della Springfield Armory. Per motivi economici decide di trasferirsi a Bridgestone, nel Connecticut. Siamo nel 1940 e la seconda guerra mondiale sta entrando nella sua fase più cruenta. Anche per questo l’Auto Ordnance Corporation dimostra un vivo interesse per la mitragliatrice che Bill Ruger sta progettando. La fine del conflitto giunge prima della realizzazione dell’arma ed il buon Bill si ritrova nuovamente disoccupato. Ciò nonostante non si perde d’animo ed apre un negozietto artigianale a Southport, sempre nel Connecticut, in cui si cimenta, senza successo, nella produzione di componenti meccaniche di vario tipo. Ovviamente la fine della guerra induce il giovane progettista ad abbandonare i suoi studi inerenti la mitragliatrice leggera ed a spostare il suo interesse nel settore delle armi sportive per il mercato civile. Il suo laboratorio artigianale fallisce anche questa volta, ma finalmente arriva un colpo di fortuna: Bill Ruger incontra Alexander Sturm, un giovane proveniente da una famiglia facoltosa, anch’esso appassionato d’armi, che decide di dare fiducia e fondi a questo tenace progettista. E’ così che, nel 1949, nasce la Sturm Ruger Company. Nel giro di un anno il loro primo


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prodotto viene lanciato sul mercato: una pistola semiautomatica in 22 Long Rifle con una struttura meccanica estremamente semplice ma dotata di grande precisione. La sua caratteristica vincente è il prezzo. Costa il 20 % meno di una Colt Woodsmann e spara altrettanto bene. La linea, ispirata alla Luger tedesca ed alla Nambu giapponese, è molto gradevole e la meccanica semplice ed affidabile conquista subito il favore della stampa specializzata e del pubblico. L’arma, successivamente denominata “Standard Model” è tutt’ora in produzione con la sigla MK III. Le modifiche apportate nel corso degli anni sono minime. La linea e la meccanica sono quasi invariate rispetto al progetto iniziale. Ancora oggi è una delle pistole più utilizzate per il tiro non competitivo, il plinking e dove permesso, per la piccola caccia. Grazie a questo riuscito progetto, l’azienda dei Signori Ruger e Sturm, ha cominciato una scalata inarrestabile; negli anni successivi la linea di produzione si è arricchita di svariati prodotti di successo e l’emergente fabbrica d’armi di Southport è riuscita a passare indenne attraverso le varie crisi del settore armiero americano. La più pesante è stata la crisi degli anni 80’. In quegli anni sono state introdotte pesanti restrizioni. Anche l’attentato al Presidente Reagan e

l’uccisione di John Lennon hanno influito sulle nuove leggi restrittive. Tutte le Case costruttrici di questo settore hanno rischiato il fallimento totale ed hanno dovuto ricorrere all’aiuto di finanziatori esterni che, forti dei loro capitali, hanno preso possesso di queste aziende storiche, modificando in modo irreversibile la loro conduzione. L’unica fabbrica che è riuscita a mantenere la propria identità manageriale è stata la Sturm, Ruger. Prima della sua dipartita, avvenuta nel 2002, William Bill Ruger Senior è stato insignito di numerose onorificenze dalle associazioni degli industriali d’America. Con la morte del fondatore, la conduzione dell’azienda è passata al Figlio William Bill Ruger Junior. Tutto questo successo è stato riscosso grazie anche alle scelte inerenti i prodotti. I loro target principali sono sempre stati il tiratore sportivo ed il cacciatore; pertanto i prodotti Ruger non sono mai stati penalizzati dalle leggi restrittive che hanno colpito principalmente le armi di tipo militare o sfacciatamente destinate alla difesa. Agli inizi degli anni 50 fu introdotta il Single Six, un revolver “single action” cal. 22 L. R., con una meccanica molto semplificata, da cui sono successivamente derivati tutti i modelli di grosso calibro centerfire della famiglia denominata Blackhawk. Anche questi revolver sono tra i prodotti più caratteristici della Ruger e rappresentano un vero mito per i cacciatori ed i tiratori alle silhouette metalliche. Nel 60’ venne presentata la prima carabina della Casa di Southport: una semiautomatica in calibro 44 magnum, molto compatta. E’ uscita di produzione da pochi anni ma riscuote ancora molto successo, anche da noi, tra i cacciatori di cinghiali. Col passare degli anni il catalogo si è arricchito di carabine semiautomatiche, monocolpo e bolt action, sovrapposti a canna liscia, ecc. Negli anni 90, per adeguarsi alla tendenza del mercato, la Ruger ha introdotto anche una completa linea di pistole semiautomatiche di grosso calibro per difesa personale e per le forze di polizia. Ma un’altra pietra miliare, nella storia delle armi corte americane, sono i revolver Sturm, Ruger ad azione mista, della serie Security Six e Speed Six, che hanno fatto la loro prima apparizione nel 1969. Queste rivoltelle hanno riscosso molto successo sia in America che nei Paesi stranieri. La caratteristica saliente di tutti i revolver Ruger è il castello, ottenuto mediante un procedimento molto più economico rispetto alla forgiatura: la microfusione (investment casting). Se si osservano le due facce laterali del revolver, si nota la mancanza della cartella laterale che copre il meccanismo di scatto, presente in quasi tutte le armi a tamburo concorrenti. Grazie a questa geniale soluzione il castello dei Ruger non è solo più economico, ma anche più solido. In base alle prove forzate, i “torture test” e le testimonianze dei tiratori, i revolver Sturm, Ruger risultano essere tre volte più robusti di quelli delle marche concorrenti. La stessa Manhurin francese, considerata una delle fabbriche più pregiate nella produzione di rivoltelle e seconda solo alla Korth tedesca, ha deciso di produrre un modello destinato alle forze di polizia ed al mercato civile dotato di castello e meccanica di produzione Ruger. Infatti, la seconda carta vincente di questo progetto, è la semplicità TNM ••• 107


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dell’organizzazione meccanica, che permette uno smontaggio per la manutenzione ordinaria estremamente facile e veloce, come si addice ad un arma di moderna concezione. Nel 1985 il progetto Security/Speed Six è stato sottoposto ad una serie di migliorie da cui è derivato il modello GP 100 attualmente in catalogo. Partendo sempre dal modello S/S Six, nel 1979, i tecnici della Casa di Southport hanno creato uno dei più robusti revolver in doppia azione, camerato per l’intramontabile cartuccia “44 Magnum”: Il Redhawk. Prima d’avventurarci nella descrizione dell’arma, ritengo obbligatorio dedicare, con meritata riverenza, un omaggio a questa meravigliosa cartuccia che è diventata famosa anche tra i non addetti ai lavori grazie alle sue numerose comparizioni cinematografiche e letterarie. Il padre di quest’esuberante creatura è il grande Elmer Keith, un vero guru nella storia delle armi corte ed importante collaboratore della Smith &Wesson. Nei primi anni 50’ Mr. Keith decise di studiare una cartuccia con una potenza adeguata alle esigenze venatorie per l’abbattimento di animali di grossa taglia. Anche allora molti cacciatori consideravano estremamente noioso e poco sportivo abbattere alci, orsi, puma, ecc. utilizzando carabine con ottica da lunga distanza. L’idea di avvicinarsi al selvatico a distanze inferiori ai 100 metri ed ingaggiare il bersaglio con un’arma corta era molto più emozionante. Bisognava però avere la certezza dell’effettiva efficacia del proiettile. Con quest’intento, partendo dalla cartuccia 44 Special, Elmer Keith ha ultimato una combinazione vincente di propellente e proiettile, che permetteva d’ottenere una potenza iniziale di circa 1500 Joule ed una traiettoria sufficientemente tesa per effettuare tiri efficaci entro i 100 metri. La prima cartuccia di questo calibro fu ottenuta allungando il bossolo del 44 Spl. a 32,6 mm., utilizzando una polvere a combustione progressiva ed una palla da 240 grains (16 grammi). La ditta che iniziò la produzione del 44 mg. fu la Remington, infatti la denominazione ufficiale di questo munizionamento è “44 Remington Magnum”. Nel 1955 la Smith & Wesson, utilizzando il castello N dei suoi revolver di grosso calibro, realizzò il famoso modello 29. L’arma fu subito accolta con entusiasmo dai cacciatori e divenne successivamente famosa in tutto il mondo grazie ai film sull’Ispettore Callaghan, magistralmente interpretato da Clint Eastwood, Taxi Driver con Robert De Niro, ecc... Anche la Sturm, Ruger riuscì ad imporsi tempestivamente sul mercato con una versione della sua Single Action denominata Super Blackhawk camerata per questa cartuccia. Nel 1979 i tecnici della Ruger decisero di completare la loro linea produttiva con un revolver in 44 Mg. ad azione mista, realizzato partendo dall’affidabile meccanica della Security-Speed Six. Il massiccio castello è dotato di tacca di mira regolabile nelle due direzioni. Il tamburo bascula sul lato sinistro dell’arma ed il pulsante di sgancio è a pressione ed è situato al centro dell’orecchia sinistra del castello stesso. Il sistema di chiusura del tamburo agisce in due punti: il primo vincolo è dato dal classico perno alloggiato all’interno dell’alberino dell’estrattore che, spinto da una molla, fuoriesce dal centro TNM ••• 108

della stella e s’inserisce in un foro, posto al centro della tavola del castello, retrostante al tamburo. Il secondo vincolo consiste in un dente lamellare, anch’esso spinto da una molla, che protrude dal margine anteriore del giogo del tamburo e s’infila in un apposito scasso della parte anteriore del castello. Premendo il pulsante per il basculamento laterale del tamburo si provoca l’arretramento ed il conseguente disimpegno di tutt’e due i vincoli. Il tamburo ha un diametro di 45 mm., presenta sei camere e ruota in senso antiorario. Lo spessore delle pareti, anche nel punto di maggior sottigliezza, è di ben 3 mm. Questo consente l’utilizzo di munizionamento a carica massima, senza alcun rischio di usurare precocemente l’arma. La stella del tamburo, l’alberino per la rotazione ed il dente di timing, sono volutamente sovradimensionati, per assicurare un bloccaggio molto rigido durante lo sparo. Il Redhawk ha lo scatto ad azione mista. Pertanto il tiratore può decidere di sparare in “singola azione” (armando manualmente il cane) o in “doppia azione” (la prima parte della corsa retrograda del grilletto induce l’armamento del cane ed al termine del suo arretramento, ne provoca la caduta). Lo scatto in singola azione ha un peso di 2,5 Kgr. Non è certo uno scatto da tiro, ma è abbastanza netto e privo di grattamenti e di collasso di retroscatto; il peso della doppia azione supera abbondantemente i 3 Kgr; la corsa è abbastanza fluida e si sente nettamente quando il dente di timing blocca il tamburo. Tutto il meccanismo di leveraggio del sistema di scatto è alloggiato nella parte inferiore del castello, è vincolato alla base del ponticello paragrilletto ed è organizzato in un blocco unico facilmente estraibile. La semplicità dell’organizzazione meccanica di questo revolver è assolutamente geniale. Una sola molla a spirale aziona l’abbattimento del cane ed il ritorno del grilletto. Per effettuare lo smontaggio bisogna togliere le guancine, arretrare il cane ed inserire la spina, fornita insieme all’arma ed alloggiata all’interno dell’impugnatura, nel foro del guidamolla, bloccando così la molla principale in posizione compressa. A questo punto si sfila il perno del cane, si estraggono il cane e la molla principale con il suo guidamolla. Arretrando un pistoncino, sito all’interno del telaio dell’impugnatura, si estrae il pacchetto di scatto. Infine si sfila anteriormente il giogo del tamburo e lo smontaggio ordinario è ultimato. Il Redhawk ha un sistema di sicura automatica molto semplice, che impedisce lo sparo accidentale anche se l’arma carica cade picchiando direttamente con la cresta del cane. Il percussore flottante, alloggiato nel castello, può essere azionato dalla caduta del cane solo se la “transfer bar”si va ad interporre tra la parte anteriore del cane ed il percussore stesso e questo avviene solo quando il grilletto è arretrato fino a fondo corsa. Questo sistema di sicurezza automatica è caratteristico di tutti i revolver Sturm, Ruger, anche dei modelli in azione singola. La transfer bar è stata introdotta nei primi anni 70 e da allora, l’azienda offre la modifica gratuita di tutti i revolver privi di questa sicura. Ovviamente oggi nessuno oserebbe alterare un Blackhawk costruito prima del 1970 annullando così il valore collezionistico dell’oggetto. Inizialmente il


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Redhawk era disponibile con due lunghezze di canna: 5,5 e 7,5 pollici. Da poco tempo è stata introdotta anche la versione con canna da 4,2 pollici. Quest’ultima lunghezza è stata scelta per aggirare le leggi canadesi che considerano sportivi tutti i revolver con canna superiore ai 4 pollici. Tutte le lunghezze di canna hanno una bindella superiore con zigrinatura longitudinale antiriflesso e la versione con canna da 7,5 pollici presenta anche due fresature per il fissaggio degli anelli per l’attacco dell’ottica. La rigatura è a sei righe destrorse ed il passo è 1:20. Il vivo di volata è leggermente rientrante, grazie ad una fresatura che lo protegge da ammaccature che comprometterebbero la precisione. L’arma è in acciaio inossidabile con finitura spazzolata. La versione con canna da 5,5 pollici è disponibile anche in acciaio brunito. L’arma è stata prodotta in diversi calibri: 357 Mg., 41 Mg., 44 Mg. e 45 Long Colt. La versione con canna da 4’ è disponibile solo in 44 Mg e 45 Long Colt. L’impugnatura presenta un telaio scheletrato del tipo squadrato (square butt). La versione in 44 viene fornita con guancine Hogue Bantam in gomma che avvolgono la parte anteriore del calcio, ma non la parte posteriore. Quella in 45 L. C. prevede invece delle eleganti guancine in legno, uguali a quelle montate sulla versione con canna da 5,5 pollici. Le tacca di mira è in acciaio brunito, è regolabile in altezza e derivazione e presenta un contorno bianco per le condizioni di scarsa luminosità. Il mirino a rampa con inserto rosso è facilmente sostituibile grazie ad un pistoncino a molla che lo fissa nella sua sede. Pare che negli anni 80 in alcuni esemplari si sia verificato lo svitamento della canna dal fusto. In un primo momento nessuno è riuscito a capire le cause di questo difetto e la Sturm, Ruger ha subito introdotto una variante con il

castello prolungato in avanti per circa 6 cm. così da offrire una filettatura d’ancoraggio per la canna molto più esteso. Questa soluzione ha permesso di posizionare le fresature per gli anelli d’attacco dell’ottica sul castello invece che sulla bindella della canna. Le cause di quest’inconveniente sono poi state svelate: un lubrificante utilizzato durante la lavorazione ha contrastato l’azione delle colle epossidiche di fissaggio. Ma ormai la versione rinforzata era entrata nella linea di produzione. Quest’indistruttibile modello, denominato “ Super Redhawk” è tutt’ora disponibile ed è molto apprezzato dai ricaricatori che utilizzano munizionamento particolarmente esasperato. La richiesta di una versione del Redhawk con canna da 4 pollici è sempre stata abbastanza pressante. Molti tiratori avevano soddisfatto il proprio desiderio rivolgendosi ai preparatori e facendo accorciare la canna originale o sostituendola con una custom. Infatti il Redhawk con canna da 4 pollici è un revolver ideale per i cacciatori che desiderano portare con se un’arma corta di pronto impiego, da utilizzare in quelle situazioni in cui non ci sono le condizioni per imbracciare l’arma lunga. Nonostante il peso elevato (1,33 Kgr.), questo revolver, è una buona scelta anche per gli escursionisti che si avventurano in zone popolate da animali selvatici aggressivi di media e grossa taglia. L’arma pesante è sicuramente scomoda ma è molto più controllabile, specie con cariche sostenute. Inoltre il Ruger Redhawk permette all’utilizzatore di allenarsi senza porsi limiti nella quantità di colpi, in quanto, un’arma così concepita, anche se sottoposta ad uso frequente, non si deteriora. Durante la prova a fuoco abbiamo constatato le buone doti di precisione di questo prodotto. Nella fase iniziale abbiamo utilizzato munizioni Fiocchi con palla in piombo teflonato TNM ••• 109


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SWC da 200 grains e ricariche ottenute con palla in lega di piombo grassata SWC da 240 grains spinta da 7,0 grains di polvere Sipe. Queste due cartucce hanno una potenza intermedia tra il 44 Mg. ed il 44 Spl. Sono molto gradevoli da sparare e grazie al rinculo moderato, non stressano il tiratore. Sono l’ideale per l’utilizzo dell’arma in doppia azione. Poi siamo passati all’artiglieria pesante. Abbiamo trovato delle meravigliose cartucce Norma con palla da 240 grs. Semi Jacketed Soft Point, Winchester con palla in piombo ramato SWC da 240 grains e CCI con palla da 240 SJSP. Abbiamo anche preparato delle ricariche classiche con palla Fiocchi SJSP da 240 grs. spinta da 24 grs. di polvere Winchester 296. Nonostante l’esperienza accumulata negli anni, sparare il 44 Mg. a piena carica è sempre emozionante. Grazie anche al peso di questo revolver, il rilevamento non è per nulla punitivo e si riesce a godere pienamente l’esuberanza di queste cariche. Anche la deflagrazione concorre a completare la coreografia. La prova a fuoco è stata eseguita all’aperto e questo ha reso il boato meno fastidioso, ma è facilmente intuibile quale può essere l’effetto di una tale detonazione in un ambiente chiuso, senza protezione per le orecchie. I propellenti a combustione progressiva del 44 Mg. possono dare anche una violenta vampa di bocca, che si manifesta maggiormente nei revolver a canna corta; questa, sparando in un ambiente scarsamente illuminato, può avere un effetto abbagliante per l’utilizzatore. La vampa, unitamente al boato ed all’eccessiva potenza, rendono sconsigliabile l’uso per difesa abitativa del 44 Mg. a piena carica. La precisione è stata valutata su bersagli cartacei, posizionati a 15 e 25 metri di distanza. I gruppi ottenuti sparando in doppia azione, a 15 metri, con una cadenza non eccessivamente veloce, sono grossi come un pugno. Le cartucce a carica ridotta hanno dato risultati leggermente migliori, attribuibili solo al minore stress da sparo. A 25 metri, mirando con calma, con i gomiti appoggiati al cofano del mio fuoristrada, abbiamo ottenuto rosate di sei colpi con un diametro massimo di 5-6 cm e molti colpi sono stati doppiati. Ci siamo infine divertiti a devastare alcuni estintori scaduti. Abbiamo anche utilizzato, come bersagli, dei dischi d’acciaio con diametro di 25 cm., spessi più di 1 cm., appesi con dei moschettoni per il loro apice superiore. Il munizionamento a piena carica ha sempre forato in modo netto la parete anteriore dell’estintore, ammaccando anche quella posteriore. Alcuni colpi sono riusciti a trapassare entrambe le pareti. Alcune volte l’impatto sui dischi metallici e stato talmente violento da far fare quasi un giro completo al disco stesso. L’esasperazione delle prestazioni balistiche e la ricerca di cartucce sempre più performanti, è una vera scienza ed è particolarmente sentita in America. L’elaborazione di nuovi munizionamenti definiti “wild cat” è stata sicuramente importante ed ha contribuito fortemente alla nascita dei moderni calibri da tiro, da caccia e per uso militare. Basta ricordare personaggi come Lee Jurras, John Linebaugh, ecc. Specialmente nell’ultimo decennio, c’è stata una vera gara tra le grandi aziende armiere americane per raggiungere la supremazia sul mercato con i propri calibri. TNM ••• 110

La Smith & Wesson ha da poco introdotto il 460 ed il 500 S.& W., La Ruger ha cercato di contrastare il 454 Casull con il 480 Ruger. La Dan Wesson, ormai fallita, aveva introdotto il 445 Dan Wesson Super Magnum. Non dimentichiamo il 327 Federal, elaborato nel 2008 dalla Ruger, che ha surclassato le prestazioni del 32 Harrington & Richardson Mg. Ma nonostante la comparsa di tutti questi calibri supermoderni, superperformanti e super.., i vecchi magnum (357, 41 e 44) continuano ad affascinare le vecchie e le nuove generazioni di tiratori. Pertanto, il Ruger Redhawk calibro 44 Mg. con canna da 4,2 pollici, è sicuramente un’ottima scelta per chi desidera una robustissima arma da escursionista, da back up nella caccia, per il tiro sportivo ed utilizzando munizioni con carica ridotta, per difesa abitativa. Ringraziamo sentitamente la Bignami SpA di Ora (BZ), importatrice e distributrice, in Italia, di tutti i prodotti Ruger, per averci gentilmente fornito l’arma utilizzata in questa prova.

Produttore: Sturm, Ruger & company,Inc, Southport, Connecticut, Stati Uniti www.ruger.com Importatore: Bignami spa, via Lahn 1, 39040 Ora (Bz), tel. 0471.80.30.00, fax 0471.81.08.99 www.bignami.it Modello: Redhawk Tipo: revolver Calibro: .44 magnum (.44 special) Meccanica: telaio chiuso monopezzo; gruppo di scatto montato sul sottoguardia fissato al telaio a incastro Scatto: ad Azione mista Canna: lunga 4” (101,6 mm) con rigatura destrorsa a 6 principi e passo 1:20” Mire: tacca micrometrica regolabile a click in altezza e derivazione con contorno bianco del traguardo; mirino nero a rampa, spinato, con rigatura antiriflesso e inserto arancione Lunghezza totale: 241 mm Lunghezza di mira: lunga 147 mm Peso: 1.332 grammi (scarico) Numero di catalogo nazionale: 16.968 (arma sportiva) Prezzo: 850 euro circa

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POLICE FORCE COMBAT PSYCHOLOGY POLICE FORCE COMBAT P Marco Strano è Direttore Tecnico Capo (Psicologo) della Polizia di Stato, Dirigente nazionale della CONSAP e Direttore Scientifico dell’ICAA (www.criminologia.org)

Distorsioni percettive e alterazioni della memoria negli operatori di polizia durante un conflitto a fuoco.

di Marco Strano La paura è un’emozione che attiva una risposta istintiva preziosa per sopravvivere, una primordiale reazione che abbiamo in comune con altre specie. Spesso alla paura segue una nostra reazione psico-fisica “salutare” che ci prepara all’azione, probabilmente una capacità residuale dell’uomo arcaico che per sopravvivere doveva fuggire o combattere con mani e piedi. Ma attualmente chi combatte utilizza strumenti che necessitano di calma e buona manualità. La condizione di stress acuto che si manifesta nel corso di un conflitto a fuoco comporta sovente delle alterazioni percettive (es. tunnel vision, visione rallentata, ipoacusia, ecc.) ed a carico dei processi di memoria (es. anomalia di fissazione e amnesia) che possono avere delle intuibili ricadute sul piano dell’incolumità dell’operatore e del target ma anche nella successiva fase del procedimento penale relativo a tale accadimento. L’Autore del presente articolo ha condotto ricerche sui principali meccanismi distorsivi connessi all’uso delle armi per l’azione del sistema limbico e sui possibili interventi psicologici attuabili sia in ambito di training preventivo che per ciò che riguarda le problematiche peritali sul ricordo in fase processuale. Introduzione L’ipotesi di un impiego operativo delle armi rimane per gli operatori di polizia e della security un evento statisticamente molto raro. La maggior parte di loro passa l’intera carriera utilizzando le armi da fuoco esclusivamente in addestramento. Alcuni di loro però sono coinvolti in sparatorie e devono impiegare l’arma per difendere se stessi o altri. In tali circostanze il soggetto armato che subisce un’aggressione deve prendere decisioni in una frazione di secondo e scegliere le reazioni adeguate al tipo di minaccia. Le sparatorie hanno infatti il potere di attivare una reazione nervosa come risposta dell’organismo allo stress acuto. L’evento “conflitto a fuoco” avviene infatti in condizione di forte stress psicologico da paura (normalmente solo i killer professionisti sparano senza essere minacciati) che può anche generare nell’immediato delle alterazioni percettive e mnemoniche e, contemporaneamente, in un trauma emotivo che può sfociare iin seguito nel DPTS (Disturbo Post Traumatico da Stress). E’ quindi necessario approfondire gli studi in tale ambito che, per evidenti ragioni operative e di opportunità, possono essere condotte prevalentemente da gruppi di ricerca che hanno uno stretto contatto con le forze di polizia. L’ICAA (International Crime Analysis Association), da qualche anno da qualche anno ha attivato un progetto di ricerca denominato “Police Force Combat Psychology” un cui filone è dedicato TNM ••• 112


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proprio a raccogliere testimonianze di operatori di polizia • suggerisce il “provare per credere” anziché esigere una e della security che hanno avuto conflitti a fuoco e nel giustificazione tramite la logica e l’evidenza. contempo vengono condotti esperimenti sulla fisiologia della paura attrverso sofisticate stumentazioni. Epstein sottolinea inoltre come in gran parte dei casi, l’elaborazione automatica del sistema empirico è dominante Alterazioni del modo di pensare quando si prova rispetto al sistema razionale perché è meno impegnativo e una paura intensa più efficace e, di conseguenza, è “l’opzione di default” della Le ricerche di Seymour Epstein (1994) hanno evidenziato due mente umana in casi di stress acuto. L’avvento di una fase di modi nettamente diversi da parte dell’uomo di elaborare le “pensiero empirico” nel funzionamento della mente umana informazioni. Il primo modo, detto del pensiero razionale, può essere correlato ad una serie di distorsioni percettive si verifica in condizioni di bassa stimolazione emotiva e e mnemoniche dovute proprio all’attivazione di canali interessa prevalentemente aree corticali del cervello percettivi “di emergenza”. (neocorteccia). Il pensiero razionale si attiva solitamente in situazioni in cui il soggetto non è sottoposto a situazioni Le modificazioni neurofisiologiche tipiche di particolare stress o di paura improvvisa. Il secondo dell’attivazione da paura: modo, detto del pensiero empirico (o emotivo) si ha di La “sindrome da attacco/fuga” è un termine che descrive solito in condizioni di particolare stress o tensione emotiva, la forma più estrema di body-alarm reaction nei confronti tipicamente quando il soggetto prova una improvvisa di una minaccia percepita in cui il corpo si prepara da e forte paura (ad esempio durante un’aggressione da un punto di vista fisiologico a combattere o a fuggire parte di un individuo armato). In fase di pensiero emotivo per proteggere la propria sopravvivenza: elevato ritmo le aree cerebrali interessate sono quelle del sistema cardiaco, elevato ritmo di respirazione e calo della limbico e in particolare dell’amigdala che fornisce risposte produzione ormonale. Raramente si verifica una condizione comportamentali immediate e semicoscienti (bypassando di “freezing” (letteralmente di congelamento). Si tratta la neocorteccia) oltre che “disporre” una generale di una risposta fisiologica complessa e quasi istantanea condizione sensoriale (di ipervigilanza). Il pensiero empirico nei confronti di un forte stress (come la percezione di o emotivo, che agevola reazioni rapide e automatiche (di un pericolo molto grave per la propria incolumità). Tale solito attraverso la sindrome fuggi o combatti) presenta, a risposta include una vasocostrizione indotta dall’adrenalina differenza del pensiero razionale, le seguenti caratteristiche: e dal cortisolo che comprime i vasi sanguigni e convoglia il • è formato da ricordi frammentari anziché da un racconto flusso sanguigno dalle estremità verso i gruppi principali intero. di muscoli e gli organi interni riducendo così la destrezza • si basa su esperienze simili passate anziché su analisi e compromettendo le abilità motorie più complesse, così razionali. come la produzione di epinefrina e norepinefrina da parte • è istintivo ed olistico anziché analitico e logico. delle ghiandole del surrene, che rispettivamente aumentano • è orientato verso l’azione immediata anziché verso la la forza muscolare e l’insensibilità al dolore per preparare ponderazione e l’azione ritardata. l’organismo (il corpo) a combattere o a fuggire dal pericolo. • provoca una elaborazione cognitiva molto efficiente e Altri aspetti legati alla body-alarm reaction includono rapida in luogo di un pensiero lento e cosciente. una tensione generalizzata dei muscoli, il digrignare i • mantiene l’individuo “preda delle emozioni” anziché “nel denti e il serrare i pugni; una riduzione della capacità di pieno controllo dei propri pensieri”. ragionamento di tipo analitico e di decision making. TNM ••• 114


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Alterazioni biomeccaniche da paura intensa La vasocostrizione è un evento di rilevanza tattica per un utilizzo sicuro ed efficace di un’arma da fuoco perché, quando essa convoglia il flusso sanguigno dalle estremità verso i gruppi principali di muscoli e gli organi interni, essa causa un deterioramento sia a carico dell’abilità/destrezza che del senso del tatto, associate al tremore/tremito che frequentemente accompagna la paura ed il nervosismo. Questa perdita di destrezza a carico degli arti superiori è inoltre accompagnata da un aumento della forza fisica (soprattutto i gruppi principali di muscoli); la combinazione di questi due fattori compromette il controllo motorio superiore, particolarmente nel caso del controllo del grilletto dove i muscoli flessori (che premono il grilletto di un’arma da fuoco) sono normalmente più forti dei muscoli estensori (che alzano o tengono il dito lontano dal grilletto). Legata ad una forte paura può inoltre avvenire una contrazione muscolare involontaria nella mano che impugna l’arma che può essere causata, oltre cha da una risposta inter-articolare e da fattori di movimento (perdita dell’equilibrio o improvvisa alterazione posturale), anche da una “presa simpatica” legata proprio alla iperproduzione di prodotti biochimici specifici secreti dalle ghiandole del surrene. Le distorsioni percettive durante le sparatorie Ma sotto paura intensa anche i meccanismi di percezione e di elaborazione cognitiva vengono compromessi. Alcuni stimoli sensoriali (acustici e visivi) si amplificano, altri si attenuano. Gli effetti o aberrazioni della percezione corticale o della body-alarm reaction, in grado di compromettere l’uso sicuro delle armi durante una reazione ad un’aggressione e di alterare il proprio ricordo (dell’evento) o la propria performance/affidabilità come testimone, sono: Amaurosis fugax: Un “white out” del campo visivo che (così come il “black out”) provoca una temporanea cecità probabilmente causata dal rifiuto mentale/psicologico di percepire un evento traumatico terribile. Esclusione/occlusione uditiva: Si tratta di una distorsione a carico dei processi uditivi, come l’esclusione o la diminuzione della soglia percettiva per mezzo di cui la mente, concentrata sulla minaccia, esclude tutte le informazioni che non hanno a che fare con la minaccia. Sebbene la mente sia in grado di registrare tutti i dati (che potrebbero essere rievocati con tecniche psicologiche di recupero) la propria memoria uditiva può essere distorta, imprecisa, inesatta. Risposta di rifiuto & dissonanza cognitiva: La percezione corticale elabora alcuni eventi traumatici o dettagli al di fuori del ricordo conscio, provocando il “rifiuto” di certi eventi o dettagli che sono in conflitto con ciò che una persona desidera credere. Ciò può causare una percezione selettiva e una memoria imprecisa e alterata. Psychological splitting & dissociation: L’esperienza di guardare se stessi reagire come se ci fossero due di noi

(un attore ed un osservatore passivo) o noi (l’osservatore) e un’altra persona (l’attore) è una delle sensazioni descritte dagli agenti coinvolti in una sparatoria. In tale scenario percettivo l’operatore sta reagendo molto velocemente sotto stress, ma si percepisce come se si muovesse al rallentatore. In effetti l’”occhio della mente” sta elaborando le percezioni e le decisioni a velocità normale mentre l’individuo sta reagendo in maniera immediata. Così si viene a creare una sensazione di dissociazione tra i propri pensieri e le proprie azioni. Euphoria da sopravvivenza: Essa può indurre sentimenti, comportamenti e dichiarazioni che possono sembrare cinici ed insensibili e gettano una “luce sinistra” sull’individuo. Tachypsychia: Quando parliamo della cosiddetta “Speed of the mind” o “velocizzazione della mente”, si tatta di una distorsione della percezione del tempo, come se si percepissero gli eventi al rallentatore. Tunnel vision: Si tratta di un’attenzione selettiva ed intensa (ad esempio nei confronti di una minaccia) che ha come risultato la perdita della visione periferica e spesso la distorsione della dimensione (gli oggetti appaiono più grandi) e della distanza (che sembra più ravvicinata rispetto a quanto non sia realmente). Alterazioni mnemoniche correlate ai conflitti a fuoco Le aberrazioni percettive che sul piano strettamente teorico potrebbero essere funzionali da un punto di vista adattivo perché intensificano i processi dell’attenzione e le reazioni corporee nei confronti della minaccia percepita, compromettono spesso però l’accurata percezione TNM ••• 115


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spazio-temporale e i meccanismi di fissazione della traccia mnestica e, di conseguenza, la capacità nel riportare/descrivere/riferire l’evento minaccioso. Una tipica conseguenza è ad esempio l’incapacità di contare con esattezza i propri colpi esplosi e in generale di mantenere una traccia mentale della sequenza degli eventi nell’ordine esatto in cui hanno avuto luogo. Intuitivamente tali fattori ingeriscono pesantemente sull’attendibilità in fase testimoniale dell’operatore di polizia coinvolto in un procedimento penale (atto dovuto) connesso ad un conflitto a fuoco. Ricerche sull’insorgenza statistica delle distorsioni percettive Alcune ricerche soprattutto statunitensi si sono concentrate a partire dalla fine degli anni 80’ sulla quantificazione e sulla percentuale di insorgenza distorsioni percettive e mnemoniche che possono manifestarsi su colui che si trova in condizione di grosso stress dovuto al fatto di essere oggetto di un’aggressione. Tale condizione è particolarmente interessante nel momento in cui colui che subisce tali alterazioni percettive è armato ed è quindi nella possibilità di usare un’arma per difendersi da tale aggressione. Alcuni risultati di un’indagine sulle alterazioni percettive in fase di stress acuto subito da soggetti armati (prima e durante un conflitto a fuoco), (Artwol, 1997) hanno ad esempio evidenziato alcune distorsioni tipiche, alcune opposte tra loro: • 88%: udito ridotto • 81%: visione tubolare (tunnel vision) rappresentata da una riduzione del campo visivo periferico • 78%: sensazione di “pilota automatico” in cui il soggetto si sente guidato nell’azione senza potersi opporre • 64%: percezione del tempo rallentato TNM ••• 116

• 66%: aumentata nitidezza visiva e rilevazione di particolari insignificanti • 63%: perdita di memoria per alcune parti dell’evento • 58%: perdita di memoria per alcune delle proprie azioni • 49%: dissociazione, distacco • 34%: pensieri invadenti non attinenti (esempio i propri cari o altri pensieri di questioni personali) • 21% distorsione mnemonica (si ricordano cose non accadute realmente) • 15%: suoni amplificati • 15%: percezione del tempo accelerato • 12%: paralisi temporanea Un esperimento dell’ICAA sull’ipoacusia da stress acuto Due guardie giurate, allertate dalla loro centrale operativa, giungono sul luogo teatro di una rapina in banca. Uno dei due, giunto sul posto, si lancia all’inseguimento di una persona che crede essere uno dei malviventi, intimandogli, arma in pugno, di fermarsi, non accorgendosi che il collega gli grida a più riprese di lasciar perdere. Purtroppo, la prima guardia giurata che stava inseguendo il malvivente, nel tentativo di fermarsi, si gira rivolgendo un braccio contro il compagno, che (nell’oscurità) non lo riconosce e gli spara uccidendolo. In questo evento realmente accaduto qualche anno fa in Italia, si è manifestata probabilmente una classica reazione da stress acuto: l’ipoacusia. La situazione viene in effetti confermata dal soggetto che ha sparato e ha ucciso il collega. “Ero a pochi metri e gridavo di fermarsi, ma lui continuava a correre...” Le implicazioni operative e giuridiche di tale modifica percettiva per gli operatori di polizia e in generale per coloro che svolgono un’attività di security sono intuibili: la difficoltà a recepire un ordine in una fase di combattimento, la non percezione di un suono


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di pericolo (es. un treno in arrivo, dei colpi d’arma da fuoco) possono costituire un fattore di altissimo rischio in uno scenario operativo. Da diversi anni l’autore del presente articolo, in collaborazione con un Medico della Polizia di Stato (Vito Borraccia) sta conducendo degli esperimenti per tentare di offrire una soluzione al problema. In laboratorio si cerca di riprodurre artificialmente delle situazioni di breve e intensa paura in un campione di soggetti volontari attraverso ad esempio la somministrazione con uno speciale casco per la visione 3D di improvvise immagini terrorizzanti (stimoli terrorizzanti visivi - STV) inserite in un filmato neutro. Ulteriori sperimentazioni sono state condotte in un contesto esterno, durante il percorso delle “montagne russe” e nel corso della fase iniziale del lancio con il paracadute in tandem (di soggetti non praticanti tale sport). I primi risultati hanno evidenziato effettivamente l’insorgenza di alterazioni uditive in un congruo numero di individui. Nel corso degli esperimenti (nel momento di intensa paura), i soggetti volontari ricevono attraverso una cuffia alcuni stimoli acustici (sequenze di numeri e frasi dal significato opposto ma dal suono simile tipo: “smetti di sparare” e “mettiti a sparare”) che poi devono essere riportate ai ricercatori. L’obiettivo però non è solo quello di misurare il fenomeno, quanto quello di trovare delle soluzioni addestrative e tecnologiche al problema. Ad esempio l’utilizzo in contesti operativi di strumentazione digitale in grado di produrre comunicazioni con un range di frequenze e un livello di guadagno (volume) in grado di contrastare l’insorgenza di una eventuale l’occlusione uditiva. Alcuni reparti speciali statunitensi impiegano a tal proposito un sistema radio di comunicazione tattica (auricolare e trasmittente ad attivazione vocale) che modifica il suono e lo fornisce all’operatore con delle frequenze più udibili. il sistema “SWAT EARS” consiste in un kit auricolare per gli operatori impegnati in potenziali conflitti a fuoco, ma che necessitano contemporaneamente di sentire meglio rumori altrimenti inudibili. Il sofisticato circuito delle SWAT EARS permette l’immediato taglio di rumori pericolosi come uno sparo, mentre amplifica notevolmente la gamma di frequenza del parlato. Possibilità di intervento psicologico Le attuali attività di intervento psicologico sull’individuo che ha a che fare con l’uso delle armi da fuoco si limitano di solito semplicemente alla fase di selezione del personale che può ad esempio portare all’esclusione di un aspirante a seguito della diagnosi di condizioni psicopatologiche o legate ad abuso di sostanze psicoattive che possono interagire significativamente su tale utilizzo. Lo sviluppo delle scienze mediche e psicologiche degli ultimi anni offre però maggiori strumenti conoscitivi sulle varie dimensioni dello stress acuto da aggressione armata e può fornire degli strumenti di intervento maggiormente sofisticati. Tali strumenti riguardano i normali meccanismi adattivi della specie umana e possono offrire strategie di prevenzione maggiormente sofisticate nonché correttivi e miglioramenti attraverso interventi formativi mirati. Sul piano dell’intervento “post-evento” appare invece indispensabile la formazione di specialisti di area medica-psicologica con

esperienza sulle alterazioni psicologiche, bio-meccaniche e mnemoniche da stress acuto al fine di poter offrire se necessario una consulenza/assistenza specialistica peritale nel corso dell’iter processuale per gli operatori coinvolti in conflitti a fuoco. In particolare le tecniche psicologiche per facilitare il recupero del ricordo possono essere di grande aiuto per contrastare le amnesie da stress. Training tattico mirato I reparti speciali di polizia già effettuano training mirato per ridurre le alterazioni percettive e biomeccaniche. L’addestramento in condizioni di stress simulato è ad esempio una delle tecniche utilizzate dai reparti d’elìte, per imparare ad anticipare e gestire gli effetti “sconvenienti” che la body-alarm reaction può esercitare nei confronti di un uso sicuro ed efficace di un arma, della valutazione tattica e di altre abilità nel gestire le minacce. Sarebbe opportuno in tal senso allargare tale training specialistico a tutti gli operatori di polizia e della security armati. Respirazione tattica Il respiro è notevolmente correlato all’efficacia del tiro con armi da fuoco corte e lunghe. Il movimento delle braccia (che impugnano l’arma) è infatti direttamente influenzato da quello della gabbia toracica. In fase di paura intensa e improvvisa il ritmo respiratorio normalmente aumenta e con esso il movimento degli arti superiori (e quindi la possibilità di sbagliare il colpo specie nelle medie/lunghe distanze di tiro. I combattenti apprendono l’uso della “respirazione tattica” che normalmente prevede questa sequenza di azioni: inspira-espira-inspira-trattieni il respiro-spara. La capacità di controllare il respiro è quindi una delle basi dell’addestramento contro lo stress acuto da combattimento. Scanning vision Una tecnica di addestramento per la compensazione della visione a tunnel (riduzione del campo visivo) consiste nell’effettuare una scansione laterale continua dell’area operativa. Il combattente muovendo la testa alternativamente a destra e a sinistra e continuando a tenere gli occhi puntati sul possibile bersaglio aumenta il suo campo visivo. In pratica sfrutta meglio lo spazio centrale di visione rimasto ancora efficace. Tecniche di estrazione e di impugnatura operativa L’utilizzo di fondine speciali e il mantenimento di condizioni di sicurezza fino a un attimo prima dell’azione di fuoco rappresentano alcune strategie per contrastare la possibilità di insorgenza di azioni biomeccaniche pericolose. La più elementare delle contromisure in tal senso è il mantenimento del dito fuori dal ponticello della pistola durante le fasi di avvicinamento al target e di predisposizione al combattimento. Tale condizione, che dovrebbe diventare un automatismo, pur se in teoria riduce di qualche frazione di secondo la reazione a fuoco, rappresenta un sistema di sicurezza molto valido ed è adottato dai reparti speciali di tutto il mondo. TNM ••• 117


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INDAGINI L’IMPORTANZA di F.M. - ProteUS

DEL FATTORE UMANO

Quotidianamente, assistiamo ad un bombardamento mediatico rivolto esclusivamente ad esaltare le sofisticate tecniche d’indagine che gli Organi di Polizia Giudiziaria, nostrani o esteri, impiegano per la soluzione dei casi. Oggi, il fatto che una traccia biologica da cui poter estrarre il DNA consente di addivenire all’individuazione dell’autore di un reato, è noto a chiunque. La scienza trova risposte e risolve i casi. Purtroppo non è così, o meglio, ciò è vero solo in parte. L’indagine scientifica costituisce, senza ombra di dubbio, un veicolo insostituibile per ricercare una fonte di prova o compendiare un quadro probatorio in maniera assolutamente premiante. In Italia, inoltre, il settore è felicemente rappresentato dai servizi specifici delle varie FF.PP. che vantano, nel panorama mondiale, una posizione di assoluta eccellenza. Sostengo tuttavia, che il vero elemento determinante, nell’ambito di una indagine di Polizia Giudiziaria, di una operazione di security o di un servizio di vigilanza, sia sempre e comunque l’uomo. Chi trova, infatti, l’infinitesima traccia di sostanza biologica utile, magari neanche visibile ma solo supposta perché volutamente asportata dall’autore del crimine, depositata su un supporto non immediatamente visibile? Chi percepisce una minaccia portata anche in modo subdolo? Chi può porre in campo la propria professionalità TNM ••• 118

per prevenire nell’immediatezza un evento dannoso o tragico? E’ l’uomo, l’operatore, con la sua curiosità, la sua intelligenza, il suo intuito, la sua bravura, la sua passione per il lavoro, il suo background professionale, la sua caparbietà e anche la sua fortuna, a fare ciò e ad essere risolutivo in qualunque indagine o attività professionale sia a lui affidata; la scienza, di cui senz’altro non può farsi a meno, è solo in grado di estrapolare riscontri dal materiale fornito dall’operatore ed acquisito con gli strumenti di cui sopra. LE ARTI… Nella formazione professionale dell’operatore di Polizia o della Sicurezza in genere, ci sono materie che personalmente qualifico come arti, per le quali non esistono testi. Esse sono fondamentali. Sono l’OSSERVAZIONE e la DEDUZIONE. Queste devono essere poi supportate dalla MEMORIA. La prima è necessariamente propedeutica alla seconda. La seconda costruisce l’architettura dell’inchiesta. La terza fissa i risultati. Tutte vanno necessariamente allenate e coltivate. Poiché per l’arte di osservare, e trarre elementi significativi dalle inezie, è necessaria una apposita trattazione che analizzi, per ogni indicatore,


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che tipo di informazioni si possano trarre, mi riservo di esplicare in un altro scritto questo tipo di ricerca specifica. Tutti, infatti, diffondiamo quotidianamente, volontariamente o meno, in modo verbale e non verbale, informazioni sulla nostra persona. Anche gli oggetti con cui veniamo a contatto o che abitualmente trattiamo parlano di noi. La sola presenza fisica, l’aspetto esteriore che noi offriamo al prossimo senza necessariamente con questo interagire, genera dati che possono essere facilmente percepiti e catalogati con un elevato grado di attendibilità. Questi dati, poi, possono essere acquisiti, analizzati e proficuamente utilizzati da chi è in grado di rilevarli conoscendone il valore. In questa sede mi soffermo, tuttavia, per supportare quanto si qui detto, a mostrare l’efficacia del processo di deduzione come frutto di una osservazione mirata, attingendo dalla letteratura poliziesca. Bersaglio dell’osservazione e della conseguente deduzione è, naturalmente, la figura umana. LA DEDUZIONE Concetto: PROCEDIMENTO RAZIONALE CHE FA DERIVARE UNA CERTA CONCLUSIONE DA PREMESSE PIÙ GENERICHE. Sir Arthur Conan Doyle, creatore di Sherlock Holmes, il detective per eccellenza, re della deduzione, si basò per la costruzione del suo personaggio, su un soggetto realmente esistito, più precisamente un suo insegnante allorquando frequentava la facoltà di medicina, tale Dottor Joseph Bell. Quest’ultimo era in grado di effettuare le diagnosi dei propri pazienti basandosi spesso, e con precisione, semplicemente sull’acuta osservazione di chi gli stava di fronte. Non solo, il suo acume gli consentiva di collocare immediatamente i suoi pazienti in una determinata categoria professionale; emblematico, descrisse Conan Doyle, il riconoscimento di un ciabattino dalla consunzione dei pantaloni all’interno del ginocchio, punto ove tali lavoranti usavano appoggiare la pietra dura su cui lavoravano il cuoio. Il Dottor Bell, vero e proprio cultore della sua arte, descrisse in diverse pubblicazioni dell’epoca i propri metodi che così brevemente riassunse: “Saper individuare e valutare in maniera precisa e intelligente le differenze più minute è il fattore veramente essenziale in tutte le diagnosi mediche di successo…Occhi e orecchie per vedere ed ascoltare, memoria per ricordare subito e per richiamare alla mente al momento opportuno le impressioni sensoriali, un’immaginazione capace di imbastire una teoria o di rimettere insieme gli anelli di una catena spezzata o di districare un filo impigliato: questi gli strumenti di lavoro di un diagnostico di successo”.1 Ed ancora Conan Doyle, nello “Studio in rosso”, prima

opera in cui compare l’investigatore inglese, fa dire al suo personaggio: “Incontrando un suo simile, impari a dedurne a prima vista la storia e il mestiere o la professione che esercita. Per quanto possa sembrar puerile, questo esercizio acuisce lo spirito di osservazione e insegna dove si deve guardare e che cosa si deve cercare. Dalle unghie di un uomo, dalle maniche della sua giacca, dalle scarpe, dalle ginocchia dei calzoni, dalle callosità, dalle dita, dall’espressione, dai polsini della camicia… da ognuna di queste cose si può avere la rivelazione del mestiere di un uomo. Che tutte queste cose messe assieme, poi, possano mancar di illuminare l’indagatore che sa il fatto suo, è virtualmente inconcepibile”. Va fatto un distinguo in tale attività. Se suddividiamo il genere umano in maschi e femmine, gli indicatori da cui possono essere tratti dati oggettivi sostanzialmente differiranno per i due generi. E’ poi vero che ciò che visivamente offriamo e può percepirsi non è vincolante ai fini di una corretta valutazione da parte di chi ci osserva, ciò perché le persone sovente TNM ••• 119


FATTORE UMANO FATTORE UMANO FATTORE UMANO FATTORE LA MEMORIA La memoria pronta e fedele è fondamentale per chi conduce una indagine; deve essere però allenata come le gambe di un calciatore in prossimità di un campionato del mondo. Nel vasto magazzino che è il nostro cervello, ogni minuteria accantonata, per quanto nascosta, può essere all’uopo recuperata, a costo però di comportarci appunto come buoni magazzinieri, valutando la merce da immagazzinare, scartando quella inutile e catalogando secondo un ordine logico quella che ci servirà. Le nozioni sono la merce, le nozioni inutili sono il prodotto scartabile, ciò che può servirci è la materia preziosa, da accantonare ma spolverare quotidianamente perché non diventi obsoleta o peggio si disperda. Nessun database di tipo relazionale, installato su una macchina, può funzionare altrettanto bene perché la macchina stessa non può tenere conto delle emozioni e dell’intuito, ne’ beneficiare di tutti quegli altri strumenti che solo la mente umana può mettere in campo. La memoria deve attingere ad un serbatoio che va costantemente riempito e manutenzionato per scongiurare eventuali perdite.

non rispondono a canoni comportamentali rigorosi e pertanto potrebbero presentare incongruenze estetiche che falserebbero l’osservazione. Dovrà ricorrersi quindi alla regola, da applicarsi comunque con una certa flessibilità, lasciando spazio ad alternative valide, che ciò che appare è ciò che è (i.e. l’abito fa il monaco) e d’altronde, sempre facendo parlare Sherlock Holmes nel romanzo sopra richiamato: “La simulazione è una cosa impossibile al cospetto di una persona abituata all’osservazione ed all’analisi”. Nell’universo maschile l’osservazione della persona restituisce immediatamente alcuni dati potenzialmente veritieri; faccio riferimento a quelli che io chiamo “indicatori”. Il termine fa riferimento a quegli elementi la cui forma, qualità, quantità, costo ed altro sono in linea di massima associabili a determinate categorie di persone e che in parametro con altri dati, ottenuti mediante altre analoghe attività analitiche, restituiscono un risultato altamente attendibile. Come vedremo l’obbiettivo sarà l’aggiunta di tanti tasselli per la realizzazione dell’intero puzzle che è, in primo luogo, il profilo immediato del soggetto di interesse, per capire chi abbiamo di fronte in sostanza, e questo senza presuntuose aspirazioni da psicologi, quindi, se bravi e fortunati, la sua biografia. Distinguo quindi, quali visivamente immediati indicatori (escludo per il momento, volutamente, tutti i dati apprendibili interagendo personalmente con il bersaglio): l’aspetto esteriore nella sua interezza (il portamento, la cura della persona, lo stato di salute apparente), i contrassegni (tatuaggi, cicatrici), gli abiti e gli accessori fra cui cravatta, orologio, scarpe etc.), altri indicatori (vizi etc.), l’autovettura. E’ incredibile quante informazioni del proprietario, ancorchè assente, possiamo trarre dall’osservazione esterna della sua autovettura. TNM ••• 120

CONCLUSIONI Sebbene osservare, dedurre e fissare non restituisca, sempre, un risultato matematico, è pur vero che l’operatore abbisogna di un input informativo da ricevere, con immediatezza e sufficiente attendibilità, dalle emozioni intuitive scaturite da queste “arti”, da integrare e compendiare senz’altro mediante le risorse tecniche che la sua struttura di riferimento gli mette a disposizione. L’operatore di Polizia, di Security o semplicemente l’addetto alla sorveglianza, deve quindi privilegiare lo sviluppo di queste facoltà. E’ fondamentale inoltre, lo studio, l’apprendimento e l’aggiornamento continuo di ogni materia che possa essere utile al lavoro sul campo. Anche la conoscenza di materie insignificanti potrà, in futuro, tornare utile. Allorquando poi ci si imbatta in un argomento che non si conosca affatto ma che si ritenga di futura utilità, lo si sviluppi immediatamente tentando di esaurire almeno il livello minimo di conoscenza. Se in un libro di mille pagine avremo trovato una sola frase , una nozione oppure una sola parola che ci avrà colpito e che riterremo utile accantonare, allora sarà valsa la pena di leggere.


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Di Galdino Gallini e Antonio Merendoni - Foto di Max Masala

Spyderco Endura

Lightweight

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La Spyderco è nata nel 1976 come produttrice di utensili per l’affilatura degli attrezzi da taglio la sede è a Golden, Colorado, la sua entrata ufficiale nel settore della coltelleria avvenne nel 1981 con l’introduzione del C01 Worker, un coltello chiudibile che gettò un vero scompiglio nel mondo dei “folder knives”. Le linee e le geniali soluzioni tecniche di questa azienda si rivelarono estremamente innovative già in questa fase iniziale. Il foro per l’apertura veloce ad una mano è la caratteristica saliente di questi coltelli ma pare che si debba alla Spyderco anche l’introduzione della clip da tasca sul lato dell’impugnatura e il tipico filo seghettato della lama ( Spyder edge ). Il modello Endura e la sua versione compatta denominata Delica, furono introdotti nel 1990 e sono considerati due capostipiti nella storia dei coltelli pieghevoli leggeri. Il successo fu sorprendente e


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tutt’oggi, nonostante la grande varietà di modelli alternativi, sono tra i prodotti più richiesti dell’intera linea Spyderco. Dal 90 ad oggi sono state apportate diverse modifiche migliorative al design, alla struttura ed ai materiali ma la conformazione generale è rimasta abbastanza invariata. L’elevata qualità di questo prodotto la si apprezza a pieno solo con l’utilizzo. Inizialmente si rimane affascinati per la sua leggerezza e l’ergonomia, ma quello che stupisce, a lungo termine, è la robustezza. L’Endura non è un coltello artigianale, fatto a mano con materiali pregiati e finiture artistiche. E’ un prodotto industriale con un prezzo abbastanza abbordabile, facilmente reperibile sul mercato che non crea patemi in caso di smarrimento o rottura. Pertanto l’utente tende ad adoperarlo senza tante cure e non presta eccessiva attenzione alla salvaguardia dell’oggetto.

Ma, anche se sottoposto a maltrattamenti, l’Endura difficilmente si danneggia. La lama tende a mantenere il filo in modo esemplare. I giochi tra le varie componenti tendono a non formarsi mai. Basta una passata sulla pietra affilatrice ed il coltello è di nuovo pronto a svolgere il suo dovere in modo impeccabile per lungo tempo. Questo prodotto ha quindi delle caratteristiche di affidabilità che non sono facilmente riscontrabili nei prodotti industriali in vasta scala. Vediamo ora di analizzare dettagliatamente la struttura di questo coltello. La lama è lunga 96 mm. ed ha una conformazione “drop point” . Lo spessore è 3 mm. e la sezione è “hollow grind” cioè le superfici comprese tra il filo ed i due piani paralleli del dorso della lama sono leggermente concave. La parte prossimale del dorso della lama si solleva per accogliere il tipico foro per l’apertura veloce ad una mano e si raccorda all’impugnatura con un fitto zigrino per l’appoggio del dito pollice. L’acciaio utilizzato è il VG-10. Un lega d’acciaio ad alto tenore di carbonio, resistente all’ossidazione grazie ad un 15 % di cromo. Le altre componenti sono manganese, molibdeno, cobalto, fosforo, silicio e vanadio. La durezza sulla scala Rockwell è circa 58 HRC. Per chi desidera una lama con filo ultraresistente all’uso i tecnici della Spyderco hanno ultimato una versione di Endura / Delica con lama in ZDP-189. Questa lega contiene una quantità quasi tripla di carbonio ed un 20% di cromo. Pertanto oltre ad una elevata resistenza all’ossidazione la durezza è di gran lunga superiore. La lama di questo modello è però meno flessibile e si può spezzare più facilmente se sottoposta a flessione. L’Endura ed il Delica sono disponibili con tre tipi di affilatura: Serrated ( con la tipica seghettatura Spyderco ); Plain ( filo completamente piano ); Combo Edge ( la metà distale ha il filo piano, la metà prossimale è seghettata ). Come abbiamo detto, la lama è lunga 96 mm, la parte affilata misura 88 mm. e si congiunge con l’impugnatura mediante un tallone abbastanza rilevato. La finitura superficiale è molto sobria in quanto non è lucidata a specchio ma è sufficientemente liscia. Si intuisce ancora la fine increspatura dell’ultimo passaggio di lavorazione come si conviene ad un coltello nato per essere usato e non per trascorrere la sua esistenza esposto in una vetrinetta. Il catalogo della Spyderco propone anche una versione con lama nera-opaca non riflettente resistente alle graffiature grazie ad un trattamento con carbonitrato di titanio, per soddisfare le esigenze militari. Esiste infine una versione disegnata dal grande Emerson in cui la lama, in prossimità del foro per l’apertura, presenta uno sperone rivolto in avanti che permette di aprire il coltello sfruttando il bordo della tasca dei calzoni… secondo me questa conformazione è molto utile per aprire le bottiglie di birra. Comunque l’apertura a compasso degli Spyderco è molto comoda, non richiede forza ed è priva di impuntamenti grazie a due fini rondelle di bronzo fosforato che separano lo snodo della lama dalle sottoguance evitando ogni attrito. L’impugnatura dell’ultima versione di Endura è in FRN ( Fiberglass Reinforced Nylon ) cioè una amalgama di nylon in cui viene mescolata fibra di vetro. Ne deriva una struttura molto stabile alle alte e basse temperature, resistente agli urti e dotata di una grande elasticità. La struttura TNM ••• 123


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delle guancine in FRN viene ulteriormente rinforzata da due sottoguance in acciaio inossidabile che irrigidiscono l’impugnatura durante le torsioni. Il modello base ha le guancette di colore nero ma vengono proposte anche in verde militare ( Foliage Green ) con la stessa tonalità delle mimetiche attualmente in dotazione all’esercito. Le precedenti versioni erano assemblate mediante rivetti passanti. Adesso l’Endura utilizza solo viti a brugola che permettono all’operatore di smontare completamente il coltello per effettuare una pulizia accurata o sostituire eventuali parti danneggiate. L’Endura viene proposto anche con impugnatura in materiali differenti dal FRN: il gettonatissimo G-10, ottenuto mediante fibra di vetro annegata in amalgama epossidica. Pare che il comportamento del G-10 alle temperature estreme ed agli insulti meccanici e chimici sia imbattibile. Il colore scelto per questa variante è sempre il green foliage e la superficie è finemente ed omogeneamente zigrinata antiscivolo. Non poteva mancare la versione con impugnatura in acciaio inossidabile spazzolato. I coltelli chiudibili della Spyderco sono nati con questa conformazione che ha raggiunto l’apice del consenso del pubblico con il TNM ••• 124

modello Police. Le varianti che abbiamo descritto hanno però pesi differenti. Gli Endura con guancine in FRN pesano 103 grammi. La versione in G-10 pesa 124 grammi e quella con impugnatura in acciaio inossidabile arriva a 161 grammi. La Spyderco ha sempre privilegiato il blocco della lama in apertura in posizione dorsale (lock back). Il catalogo è ricco di modelli con blocco “liner lock” ma traspare una leggera preferenza per il sistema lock back ed i modelli Endura e Delica utilizzano quest’ultimo tipo di meccanismo. Le facce laterali dell’impugnatura in FRN sono zigrinate con una caratteristica quadrettatura a cerchi concentrici. Al centro c’è il logo dell’Azienda con il nome del modello. Anche il dorso dell’impugnatura ha una serie di solchi per aumentare la grippabilità mentre la parte inferiore presenta un rest anteriore per evitare scivolamenti della mano in avanti; segue un incavo per il dito indice ed il medio; un secondo incavo per l’anulare ed un terzo per il mignolo. L’impugnabilità di questo coltello, nonostante lo spessore molto ridotto (10 mm.), è buona. La presa è salda e sicura anche durante l’uso forzato. E’ ovvio che un maggiore spessore offrirebbe un maggior confort ma questo coltello privilegia la portabilità. Il peso molto contenuto e la sua sottigliezza fanno si che, a volte, l’utilizzatore non si accorga nemmeno di averlo agganciato alla tasca. Capita spesso di andare a controllare con la mano pensando di averlo perso. L’Endura è infatti dotato di una efficientissima clip da tasca in acciaio inossidabile brunita che, mediante tre vitine, può essere posizionata alle quattro estremità dell’impugnatura a seconda delle preferenze dell’utilizzatore. Questo coltello e la maggior parte della produzione Spyderco viene prodotto dagli stabilimenti di Seki, in Giappone. Molti considerano questa scelta poco felice ma i veri intenditori sanno che i controlli di qualità nelle industrie giapponesi sono insuperabili. Inoltre i tecnici di Golden effettuano dei severissimi controlli a campione ed impongono delle specifiche molto severe che devono essere tassativamente rispettate. I modelli prodotti in Colorado sono pochi e, tra i Paesi che fabbricano per questo marchio, ci sono anche Taiwan, Cina ed Italia. In ogni caso tutta la linea di produzione Spyderco è caratterizzata da una elevatissima qualità. La dimostrazione del successo di questa Azienda è l’elevato numero di collezionisti statunitensi che si contendono avidamente i vari esemplari. Le cifre raggiunte dai modelli fuori produzione creano veramente stupore. Vedere un americano disposto a pagare centinaia di dollari per un coltello industriale prodotto in un Paese straniero è veramente incredibile. In ogni caso l’Endura merita pienamente il successo fino ad ora riscosso. Le sue dimensioni ( 22,4 cm. aperto e 12,7 cm. chiuso ) lo rendono idoneo ad ogni tipo di impiego da parte di utenti civili, militari ed operatori di sicurezza. Il suo peso contenuto e lo spessore ridotto non comportano un aggravio ponderale e la sua robustezza è una garanzia di affidabilità. Ringrazio sentitamente la Coltelleria Collini di Busto Arsizio per averci messo a disposizione un esemplare che è stato esaminato, fotografato e sottoposto ad una prova pratica di utilizzo.


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Corea del Nord la guerra fredda infinita

di Giovanni Di Gregorio – Direttore Studi Strategici del CeSA - Geopolitica Se qualcuno ha pensato che la guerra fredda fosse finita con la caduta del muro di Berlino e con la caduta del Potere Russo, si è sbagliato pienamente. Quello che è accaduto negli ultimi anni è lo schieramento di questa guerra invisibile e logorante su altri fronti. Infatti, mentre la maggior parte delle vicende delle più famose spy story si accentravano in Europa, adesso, sempre di più, vediamo l’acuirsi delle tensioni che si manifestano nelle regioni dell’estremo oriente. Ultimi baluardi del comunismo stalinista ed antagonista viene esagitato in particolare in Cina e nella Corea del Nord. Mentre nel territorio cinese, il nuovo comunismo è diventato più democratico con visioni ad Occidente, in Corea del Nord si è sviluppato un vero sentore autarchico e di chiusura, rimanendo sempre ad un’anacronistica ideologia che si pone come unica verità politica per la propria popolazione. Una verità che porta ad impedire elezioni libere e la formazione di altri partiti, nonché allo sviluppo economico con l’estero. Gli USA, che già nel 1948 appoggiarono la Guerra in Corea, guardano sempre con sospetto qualsiasi tipo di manovra militare e scientifica del Governo di Pyongyang. In particolare, la dittatura di Kim-Jong-, Il figlio del defunto e più famoso Kim-Il-Sung, ha portato avanti una politica militare indirizzata pericolosamente al nucleare, tanto che già dal 2003 ha scelto d’uscire dal Trattato di non Proliferazione. Ricordiamo i test atomici, propagandistici, eseguiti in modo palese dal 2005 al 2009 e le numerose simulazioni d’attacco nucleare degli ultimi anni, tenute segrete ma svelati dalle Agenzie d’Intelligence occidentali. Proprio la segretezza dello sviluppo nucleare fa preoccupare la NATO, che in risposta, anche per contrastare un eventuale sviluppo dell’atomica bellica in Iran, alleato indiscutibile della dittatura coreana, ha contemplato la possibilità di creare un sistema di difesa missilistico per proteggere l’Europa in particolare. Naturalmente questa scelta di difesa è stata vista, dal Governo di Pyongyang, come un tentativo da parte TNM ••• 126

di Washington d’imporre la propria egemonia nucleare a livello globale. Da ciò s’intuisce che vi sia un certo legame scientifico-nucleare tra Iran e Corea del Nord, che con l’ausilio segreto della tecnologia cinese e russa, cercano di portare avanti quella che ormai viene definita la nuova “politica del rasoio”. Una situazione sull’orlo della crisi geopolitica tra antagonisti d’una certa levatura ideologica. Da un lato l’Iran, che geograficamente si pone al centro di uno scacchiere caldo, con Israele a due passi e l’Europa a qualche miglio di distanza e dall’altro la Corea del Nord che controbilancia la posizione dell’emisfero con la sua vicinanza alla Corea del Sud ed ai pozzi petroliferi dell’Alaska, vero salvadanaio economico degli Stati Uniti. Una posizione scomoda per gli USA, che intendono monitorare le mosse politiche di Kim-Jong-Il. Ed ecco che la diplomazia statunitense allenta la tensione con la Cina, per chiedere aiuto ed intervenire positivamente sull’alleato coreano, affinché abbandoni questa linea politico-strategica. La leadership cinese, di conseguenza, ha ripetutamente chiesto all’esecutivo statunitense di riaprire le trattative con l’alleato nordcoreano, ma dalla Casa Bianca è giunto un netto rifiuto. Tornare a dialogare con il regime di Pyongyang costituirebbe, agli occhi dell’elettorato statunitense, un premio inutile ad una leadership resasi colpevole di atti destabilizzanti per l’intera regione. Al momento la Cina sembra essere intenzionata a rimanere al fianco dell’alleato storico, anche se sempre più ingombrante, a costo di dover sfidare le posizioni del resto della comunità internazionale. Tanto da appoggiare, in sede di Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, eventuali ritorsioni contro l’impianto d’arricchimento per l’uranio nordcoreano, spacciandolo per uso civile. Kim-Jong-Il, consapevole di trovarsi in una posizione di vantaggio sul tavolo diplomatico, non tende a cambiare idea sulla linea adottata, facendo pesare al Mondo intero la sua volontà strategica. A causa di questa situazione di tensione internazionale, vengono rafforzati e creati nuovi


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legami politici d’interscambio commerciale ed economico. La nuova Russia “putiniana” e “medvediana” si lega alla Corea del Nord ma anche alla Corea del Sud. Come si suol dire, la Russia sta dando un colpo al cerchio ed uno alla botte, ovvero, sta lavorando su due fronti politici per il proprio equilibrio. Mantenere un legame ideologicoeconomico-politico con Cina e Corea del Nord ma anche mezzo di dissuasione diplomatica con la NATO e gli USA. Dal canto suo, Pyongyang, sa di poter dettare legge su argomentazioni d’equilibrio geopolitico nello scacchiere internazionale e continua con la sua idea di proliferazione nucleare. A questa bisogna aggiungere una chiusura con l’esterno, impedendo la libertà di stampa e di opinione. Come ogni dittatura, la propaganda veneristica del proprio Capo di Stato diventa culto ed unica verità terrena, non curandosi delle reali necessità d’un popolo oppresso. L’abbiamo visto anche in occasione delle passate calamità naturali, che hanno messo in ginocchio la nazione nordcoreana, dove nonostante la difficoltà oggettiva, il Governo, rifiutò gli aiuti stranieri, anche quelli degli alleati. Naturalmente, in quel frangente, anche gli USA offrirono appoggio con uomini e mezzi di soccorso, ma Pyongyang fece sapere alla Casa Bianca che nessun statunitense sarebbe stato gradito in territorio nordcoreano. S’intuì benissimo che la decisione del Governo di Pyongyang fu dettata dalla paura d’infiltrazioni di potenziali agenti segreti della CIA, che potevano liberamente spiare quanto da loro tenuto segretato fino ad allora. In special modo, in una situazione di caos come una calamità naturale, la Corea non poteva aver modo di controllare eventuali infiltrazioni nemiche o fughe di notizie. Che le scelte politiche della dinastia Kim, risultassero fuori da ogni concezione politica moderna è assodato. Infatti in un’economia prettamente agricola, la scelta di convogliare buona parte degli sforzi monetari sugli armamenti di natura nucleare, sta a ribadire l’incapacità soggettiva d’amministrare una Nazione. Bisogna

ricordare che a seguito delle alluvioni che colpirono il Paese ed in una politica di distensione, definita Sunshine Policy, la Corea del Sud inviò aiuti umanitari a favore della popolazione affamata, ma la stessa, dovette interrompere l’invio delle derrate alimentari con l’acuirsi delle tensioni causate dai test missilistici effettuati a poche miglia dal 38° parallelo. La scelta autarchica di sviluppare la propria tecnologia, ha spinto Pyongyang a creare internamente anche i personal computer ed acquistare la poca tecnologia necessaria dall’alleato cinese. E’ interessante sapere che Pechino abbia fornito anche consulenza di Business Intelligence per la costruzione di sistemi informatici all’avanguardia, pari all’ultimo ritrovato occidentale. Ma come in ogni occasione diplomatica, la Cina smentisce aspramente d’aver copiato schede elettroniche di quella natura. Ma guarda caso, le stesse tecnologie informatiche, con il marchio Made in China, sono apparse nei territori iraniani, tramite canali russi. In pratica la Corea ha la spavalderia di tenere in scacco la comunità internazionale intera con richieste che, per quanto abbiano un fondo di legittimità, non potranno essere accettate senza garanzie precise di non proliferazione nucleare ed attività bellicose. Il risultato positivo, nella risoluzione di tale situazione di crisi, si potrebbe calmierare solo con il coinvolgimento della Cina, che sembra però ostica su questo tema, lasciando inoltre dubbi e perplessità per un futuro sereno dell’area. Difficile ora poter uscire da pericolose situazioni di stallo come quelle verificatesi con Pyongyang, doveroso però sottolineare che sembra esserci un ritorno preoccupante verso quella politica d’appeasement che ha caratterizzato la politica internazionale nel periodo precedente alla divisione della penisola coreana. Certo è che le leadership delle varie nazioni democratiche devono impegnarsi a scongiurare l’intervento militare atomico ed al contempo a non tollerare le bizzarrie di regimi capaci di porre in essere attacchi imprevedibili. TNM ••• 127





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