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L’unicorno
Da Battuta di caccia
L’unicorno
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Fu tutto piuttosto normale: scrollandomi forte la testa e frugando fra i loro capelli, trovai dei frammenti del nostro coraggio (un possibile slancio) e senza una strana trovata, così, ne assemblai una granata. – Intanto sentivo qualcosa da fuori, che urgeva, per noi raggiungibile, sì: proiettati: spostai l’attenzione scagliando la bomba. Il muro non resse. Si vide la strada.
(Prima. – la stanza un grigiore –Lui, sul divano, le gambe incrociate e tutto macchiato, oscillava tra «Forse è da fare.» e «Ormai è troppo tardi, lasciamoci stare…» Lei lo acchiappava dai polsi, faceva «Dobbiamo provare!». Ma glielo diceva col viso di un misto screziato, e lui a testa bassa un fulcro sfumato. Lì mi credevo un baleno, ma ero uno squasso di vuoto tonale, perché pensavamo alla vita diversa che avremmo voluto e che forse sfuggiva. Sentii solo allora un odore di bestia.)
(Poi. – un bagliore –Noi tre ci accalcammo alla breccia. Non lo diedi scontato, ma logico sì, che in fondo ci fosse, di là, l'unicorno. Lì per lì ne rimasi confuso perché non trovavo un buon modo di porci: se, in minore, accostarci già a lui
o se, in attesa di lui, lo eravamo in potenza. Riscosso da questo pensiero lo vidi com'era: non molto, soltanto un cavallo bianco, col corno, col crine arricciato, un po’ sporco di terra, una bestia che sfugge, alla gente sicuro per nulla abituata, destriero a nessuno, un nulla di che. L'unicorno ci era: figura di noi un po' più in là, ma di poco, ancora incompleti: corretti in postura, andamento e chiarezza. Esercizio meccanico pur sempre inesatto. Una vaga stranezza.)