Playbook 2016

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THE PLAYBOOK

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sommario / playbook 2016

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A DAY IN THE LIFE OF...

NICK KYRGIOS

WOMAN WE LOVE

OSCAR DEL TENNIS 2016

SPECIALE CORDE

Tommy Robredo. Una giornata intera passata insieme per scoprire come un giocatore dal talento definito "normale" sia diventato un campione. by Lorenzo Cazzaniga

Fa discutere per l'atteggiamento da sbruffone. Figlio della social generation, ha il talento per diventare n.1 del mondo e idolo dei ragazzini. by Federico Ferrero

Nel 2014 Eugenie Bouchard ha raggiunto la finale a Wimbledon e la WTA era pronta a trasformarla nella sua icona globale. Ora non vince pi첫, ma resta amatissima. Come mai?

I top negozianti specializzati hanno votato i migliori prodotti del mercato. Tante conferme, qualche sorpresa e due nuove categorie inserite: digital e accessori.

Siamo andati a WervicqSud, Francia, per vedere come Tecnifibre produce le migliori corde multifilo. E scoprire quanto sono (tecnicamente) superiori agli amati monofilamenti.


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THE STRINGER

BEAUTIFUL MINDS

IL MISTERO DI SAINT VINCENT

DUNLOP FORT: THE STORY

PORTFOLIO

Corde e servizio incordatura sono la base di una buona attrezzatura. Eppure non sempre ci si affida a veri esperti. Ecco come riconoscerli e perché è doveroso affidarsi a loro.

Gli anni Ottanta sono stati ricchi di grandi innovazioni, soprattutto grazie al genio di diversi ingegneri. Vi raccontiamo la loro (imperdibile) storia. by Raffaello Barbalonga

Pete Sampras voleva solo le Pro Staff Original prodotte nella fabbrica dell'isola caraibica. Ma perché è stata chiusa? Abbiamo rintracciato chi ci lavorava. by Corrado Erba

La palla da tennis più amata dagli italiani, da tempo ormai immemorabile. La storia di un prodotto che ancora adesso domina il mercato. by Riccardo Bisti

Un gruppo di fotografi sparsi per il mondo ha fotografato campi e club dove hanno cominciato a giocare alcuni top players: da Novak Djokovic a Andy Murray, dalle sorelle Williams a Kei Nishikori...


sommario / playbook 2016

EDITORIALE

10 BATTILEI

Tutto (o quasi) quello che abbiamo imprato dal mercato del tennis in un anno ricco di novità. by Lorenzo Cazzaniga

RUBRICHE

30 THE NEW CLAY

I campi Red Plus stanno vivendo un vero boom: dopo il Monte-Carlo Country Club, la terra battuta 2.0 è arrivata anche all'Accademia Mouratoglou. E in tanti club italiani.

38 WATCH TENNIS

Gli orologi sono una delle grandi passioni dei tennisti (e tra gli sponsor più presenti). Dal Capri Watch di Fognini al Rolex di Federer, dal Bovet di Ferrer al Richard Mille di Nadal: ecco i top della classe.

TECNICA

135 IL BACK DI ROVESCIO

Un colpo riscoperto, molto versatile, efficace tra i pro e che può diventare letale a livello di club. by Massimo Sartori

136 TIRO MANCINO

Giocare contro i mancini non è facile. Ma non deve diventare un inciubo. Ecco come affrontarli. by Brad Gilbert

142 IMPARA DA FERRER

Osservando i top players, si può imparare tanto. Basta guardare con gli occhi giusti e tanta attenzione.

TRAVEL

147 STARS ACADEMY

Il meraviglioso Forte Village Resort in Sardegna offre l'opportunità di giocare con grandi ex campioni. Con la novità della Annabel Croft Academy.

148 THE MOU WORLD

L'accademia Mouratoglou in Costa Azzurra, che ospita Serena Williams e Novak Djokovic, promette di diventare il top in Europa. Siamo andati a vederla.

«Il tennis è uno sport al 50% mentale, 45% fisico e 5% tecnico» Juan Carlos Ferrero

152 WELCOME TO SPAIN

Dall'Accademia di Nadal al Puente Romano di Marbella, fino al Belmond La Residencia di Deia: la Spagna non tradisce mai.



THE PLAYBOOK

Direzione e redazione via Bernabò Visconti 18 20153 Milano Direttore responsabile Lorenzo Cazzaniga lorenzo@tennisbest.com INSPIRED BY Colui che potrebbe diventare, un giorno, il più forte giocatore del mondo. E che è già un personaggio molto amato dalla giovane social generation

Caporedattore Riccardo Bisti info@tennisbest.com Hanno collaborato Raffaello Barbalonga, Marca Caldara, Corrado Erba, Arturo Di Maria, Federico Ferrero, Massimo Garlando, Marco Imarisio, Matto Terenghi Mirko Roveda, Matt Seeberg

INSPIRED BY Tommy Robredo, un giocatore molto sottovalutato in Italia ma che ha raggiunto traguardi straordinari

Pro Coach Brad Gilbert Massimo Sartori Photographer Pascal Mora, Sergey Ponomarev, Kieran Dodds, Laura Boushnak, Monica Almeida, Meredith Kohut, Samuel Aranda Photo Agency Getty Images Art director Der Prinz INSPIRED BY I campi dove hanno cominciato a giocare alcuni dei migliori giocatori e giocatrici del mondo, da Djokovic a Murray, da Nishikori alle sorelle Williams

Editore SPM SRL corso Garibaldi 49 20121 Milano Stampa Arti Grafiche Boccia via Tiberio Claudio Felice 7 84131 Salerno - tel. 089 303311 info@artigraficheboccia.it Distribuzione Gratuita presso 175 negozi specializzati di tennis in Italia Website www.tennisbest.com magazine.tennisbest.com playbook.tennisbest.com

INSPIRED BY Quello che (per molti) resta il più grande talento tecnico della storia: John Patrick McEnroe Junior


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MARCO IMARISIO Tra i più importanti inviati del Corriere della Sera (dove avviene una disgrazia, lui c'è!), tennis e basket sono le sue vere passioni. Per l'inserto sui 50 Anni della Sergio Tacchini, ha scritto il profilo del principale testimnial della storia del brand: John McEnroe.

ANDREAS SEPPI Attualmente numero 2 italiano, già numero 18 del mondo, titolare di Coppa Davis e vincitore di tre titoli ATP, da oltre un decennio gira il mondo per giocare i tornei del tour professionistico. Chi meglio di lui poteva indicarci a quali tornei vale la pena assistere come spettatori, a parte Slam e Masters 1000?

FEDERICO FERRERO Una delle migliori penne del panorama editoriale (non perdetevi i suoi pezzi su Pagina99), ci ha raccontato un personaggio controverso come Nick Kyrgios che sta diventando l'idolo dei ragazzini, anche grazie ad un atteggiamento da sbruffone. È quello che ci aspetta nei prossimi anni al vertice?

RAFFAELLO BARBALONGA Un maniaco della storia delle racchette ma anche degli ingegneri che hanno studiato (e realizzato) innovazioni che hanno cambiato il gioco. Ci ha raccontato la storia di Howard Head e Roland Sommer, Siegfried Kuebler e Warren Bosworth, con aneddotti e curiosità assolutamente da non perdere.

THE CONTRIBUTORS Una parte del nostro personalissimo Dream Team che ci ha permesso di realizzare la quarta edizione del PlayBook. Dai consigli tecnici di coach del calibro di Brad Gilbert e Massimo Sartori, ai ritratti scritti da fuoriclasse della penna come Federico Ferrero e Marco Imarisio, fino alle storie riscoperte da Raffaello Barbalonga e Corrado Erba e ai reportgae del Direktor. Oltre alla presenza della guest star, Andreas Seppi. Buona lettura!

BRAD GILBERT L'autore del bestseller Vincere Sporco (e già coach di fuoriclasse come Andre Agassi, Andy Roddick e Andy Murray) ci spiega come affrontare un avversario mancino, spesso un grande incubo. A meno di conoscere le giuste contromosse a livello tecnico e tattico.

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LORENZO CAZZANIGA Il Direktor si è fatto in quattro viaggiando non poco per conoscere meglio tante realtà: dalla nuova accademia di coach Mouratoglou alla produzione delle corde multifilo di Tecnifibre, fino alla giornata passata in bella compagnia, imbracciando la Coppa Davis (grazie, Tommy!).

MASSIMO SARTORI Coach (da sempre) di Andreas Seppi, cresciuto alla scuola di Riccardo Piatti fino a diventare tra i migliori allenatori del mondo, ci ha insegnato come sfruttare al meglio un colpo molto duttile e che, a livello di club, può fare dei veri disastri: il back di rovescio.

CORRADO ERBA Fanatico di attrezzatura, Gesti Bianchi e storie curiose, ha ritrovato su un forum qualche chiacchiera sulla mitica fabbrica di Wilson a Sain Vincent, dove si producevano le Pro Staff Original doc. Ed è riuscito a scovare chi ci lavorava per scoprire com'era e perché è stata dismessa.


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Editoriale DI LORENZO CAZZANIGA

COME OGNI ANNO, PER REALIZZARE IL NOSTRO PLAYBOOK MI SONO CONFRONTATO CON AZIENDE, DIRETTORI MARKETING E COMMERCIALI, NEGOZIANTI SPECIALIZZATI, INCORDATORI PROFESSIONISTI E ABUSIVI DI PROFESSIONE, INGEGNERI, MAESTRI, GIOCATORI PROFESSIONISTI E DI CLUB. ECCO QUELLO CHE HO IMPARATO. > Non ci credevo, ma ci speravo, che una corda multifilamento vincesse i nostri Oscar delle corde, votati da 57 negozianti specializzati. Per adesso invece, è solo un lento avvicinarsi alla vetta. Però, dopo aver visto, a casa Tecnifibre, come si producono i multifilamenti e poi i monofilamenti, non pagherei mai 20 euro per uno di questi ultimi (e starei zitto se me ne chiedessero 25 per un multi). > Le due trasferte più piacevoli: quella citata a Wervicq-Sud a casa Tecnifibre (a parte il furto a Parigi di computer e iPad!) e a Barcellona per tallonare un’intera giornata, Tommy Robredo. > A proposito: fossi la FIT investirei in... Robredo. Gli offrirei il dovuto compenso perché i nostri top junior o chi si sta affacciando al professionismo, possa trascorrere la pausa invernale con lui a Barcellona. Avrebbero da imparare parecchie cose. > Il tennis connesso è partito ma è lontano dal traguardo. I dati sono ancora incerti, l’utilizzo macchinoso. Infatti è apprezzato il Babolat POP proprio per la sua semplicità Il problema è che se esiste uno sport complesso, questo è proprio il tennis. > L’anno scorso abbiamo parlato dell’illuminazione Led tramite la società Careca. La quale mi avverte che sta lavorando tanto all’estero e, in proporzione, meno in Italia. Come al solito vogliamo giocare ad arrivare ultimi? > Di un aspetto sono fermamente convinto: guardando il tennis in tv, si imparano un sacco di cose, gesti tecnici che riesci (al tuo livello) a ripetere sul campo. Come il recupero arretrando con frustata di dritto di Fognini o l’uncinata lungolinea di Nadal. > Tre tornei ai quali vorrei assistere, a parte i soliti Monte Carlo, Roma, Wimbledon? Mmh... tornerei volentieri a Umag e pure a Stoccarda e Barcellona (e lo farò!). Però vorrei passare anche un’intera settimana in un torneo femminile: mai fatto nella mia vita! > Ladies and gentlemen, ricordarsi che quest’anno si festeggiano i 40 anni dalla vittoria di Adriano Panatta a Roland Garros. Ah, che bello immaginare la volée in tuffo con la quale annullò un match point a Hutka al primo turno e poi la lezione a Borg nei quarti. Post scriptum: sarebbero anche i 40 anni dalla sua vittoria al Foro Italico, ma ho come l’impressione che la FIT non abbia in programma alcun festeggiamento. > Le ricerche di mercato sono chiare: Head e Babolat continuano a rimanere appaiate in testa. Wilson arranca al terzo posto, mentre Yonex cresce e non poco. A Pro Kennex il ruolo di quinto Beatle. > Spero vivamente che l’amico Priuli voglia far tradurre e dare alla stampa la raccolta di articoli tennistici di David Foster Wallace, The String Theory, appena uscito negli States. > Aver appreso del mezzo aborto dell’Associazione Maestri mi ha fatto molto, molto male. Ma soprattutto scoprire che qualcuno sotterra il proprio orgoglio sotto 80 euro di iscrizione. > Entro la fine dell’anno, riusciremo finalmente a creare una sorta di TripAdvisor dei negozi specializzati di tennis, perché serva da guida nell’affidarsi a personale specializzato. E speriamo davvero che la FIT crei un albo degli incordatori professionisti. > A proposito di negozi specializzati, c’è grande fermento per la prossima apertura del negozio Tennis-Point a Milano (a cui farà seguito Roma e poi... chissà): tanti negozianti sono spaventati (300 metri quadri dove si troverà di tutto), ma per il mercato è una notizia super. TACCHINI cover.indd 24

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DA NON PERDERE 1. BEAUTIFUL MINDS Raffaello Barbalonga ha raccontato la storia degli ingegneri che negli anni 80 hanno cambiato il mondo del tennis. E, a seguire, Corrado Erba ha svelato il mistero della fabbrica delle Wilson Pro Staff a Saint Vincent. 2. TOMMY, NICK & GENIE La penna di Federico Ferrero ha raccontato due personaggi controversi ma molto amati dagli appassionati: Nick Kyrgios e Eugenie Bouchard. Mentre il Direktor è stato a Barcellona per scoprire i segreti degli allenamenti di uno stakanov come Robredo. 3. SPECIALE CORDE Continua il nostro viaggio nel mondo delle corde. Il Direktor è andato a Wervicq-Sud, nella Francia che confina col Belgio, per scoprire come Tecnifibre produce le corde multifilamento, che dovrebbero essere utilizzate dalla gran parte dei giocatori di club.


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WHO

Gaël Monfils

WHERE Melbourne Park, Melbourne, Australia

WHEN 25 gennaio 2016

WHY Per il gesto super spettacolare, dal punti di vista fisico e tecnico

WHAT Non diventerà mail n.1 del mondo. Non vincerà mai un titolo dello Slam. Ma che giochi sul centrale di Roland Garros o su un campo secondario, varrà sempre la pena spendere i soldi del biglietto per ammirare le evoluzioni di questo folle giocatore francese. Che ha vinto meno di quello che avrebbe potuto ma ci ha divertito più di quanto potessimo sperare. photo by Cameron Spencer / Getty Images

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WHO

Un... ehm... campo da... tennis?

WHERE Cebu, Filippine

WHEN 3 gennaio 2016

WHY Perché non sempre serve un campo in perfette condizioni per divertirsi

WHAT In Europa probabilmente inorridiremmo davanti all’idea di giocare a tennis su un campo del genere. Ma in una piccola cittadina delle Filippine, basta compattare bene del terriccio e sabbia, tirare col gesso qualche riga (anche senza seguire perfettamente le regole ITF) e metterci in mezzo una rete per organizzare un match, con tanto di arbitro, tribune e spettatori. Il Pardo Tennis Club non competerà con l’Alll England Lawn Tennis & Croquet Club di Church Road in termini di facilities, ma anche lui, a suo modo, è ricco di fascino.

photo by Tom Fullum / iStock

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WHO

Maria Sharapova

WHERE Turks and Caicos, Caraibi

WHEN febbraio 2006

WHY Per ricordarci ciò che rischiamo di perdere nei prossimi anni

WHAT La battuta vien facile: se il Meldonium fa questo effetto, non solo dovrebbe essere lecito, ma perfino obbligatorio per le giocatrici del tour. In realtà è il motivo che dovrebbe tenere a lungo lontano dal circuito Maria Sharapova, la più famosa e pagata tennista del mondo. Speriamo che, con più tempo libero a disposizione, abbia quantomeno più momenti da dedicare a shooting fotografici come questo.

photo by Walter Ioos Jr. / Getty Images

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Associazione Maestri di Tennis? L'Associazione che pensavamo potesse rivoluzionare il mondo dei maestri di tennis in Italia, sta miseramente naufragando, a causa di scarsa visione e 80 euro di iscrizione di Lorenzo Cazzaniga

Esattamente un anno fa, aprivamo con questa stessa foto, pensando di rendere omaggio ad una delle più importanti rivoluzioni nel mondo del tennis italiano. Grazie all'interesse di vari professionisti, capeggiati da Francesco Gambetti, direttore sportivo del CT Reggio Emilia, era nato un gruppo su Facebook che raccoglieva oltre un migliaio di maestri (e qualche appassionato infiltrato, va detto) che si sarebbe dovuto trasformare in breve tempo in una vera e propria Associazione, per far valere i diritti troppo spesso calpestati dei maestri e fornire adeguata assistenza su aspetti talvolta problematici di una professione che ancora lo Stato italiano sostanzialmente non digerisce. Vuoi mettere per un maestro avere a disposizione un consulente fiscale, legale, professionale, nel momen-

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to in cui se ne ha bisogno? Oppure far parte di un network che ti può aiutare a trovare una sistemazione quando sei rimasto a piedi? E ancora, che forza avrebbe un gruppo di qualche migliaio di professionisti che ogni giorno interagisce con decine di migliaia di allievi per uno sponsor, un'assicurazione, un qualsivoglia partner? E se poi c'è da discutere (per l'amor del cielo, in maniera del tutto costruttiva) con la nostra Federazione, non è meglio presentarsi uniti con un comitato esecutivo a far da portavoce? La risposta sembra chiara. E invece, a distanza di un anno esatto, non si hanno notizie di grandi novità. Anzi, credo che Gambetti si sia pure stufato di dedicare il suo tempo libero ad un progetto che peraltro lo riguarda parzialmente, visto che dal campo si è spostato dietro la

scrivania. E così, l'ennesimo tentativo di associazionismo nel tennis in Italia, pare stia naufragando, come già accaduto per le aziende di settore, per i circoli, per le squadre di Serie A. Motivo di tale situazione? È chiaro che una qualsiasi associazione, si costituisce e cresce grazie alle iscrizioni degli interessati. Ebbene, di quel migliaio e rotti di "amici" gratuiti su Facebook, pare che meno di un centinaio abbiano versato la stratosferica cifra di 80 euro l'anno (2-3 lezioni, a seconda del club) per consentire di attivare i vari servizi. Una mancanza di visione preoccupante, oltre che di un minimo di orgoglio personale. I valori e i diritti che si dovrebbero difendere oltre ogni modo, evidentemente per tanti maestri di tennis non valgono 80 euro all'anno.


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Caccia agli (incordatori) abusivi Pare che (finalmente) la FIT abbia in programma di creare un albo degli incordatori professionisti. Per liberarsi degli abusivi da circolo (e guadagnarci qualcosa) di Marco Caldara

Gli incordatori dei negozi specializzati italiani sono già in ginocchio, in trepida attesa che i rumours che arrivano dalla curva dell'Olimpico dove ormai ha sede la Federazione Italiana Tennis, diventino realtà. Ma qual è la novità tanto attesa e che potrebbe far svoltare quel settore di mercato che consente ancora ai negozi specializzati di alzare la serranda e portarsi a casa uno stipendio a fine mese? Che la FIT starebbe (finalmente) per dare un taglio netto ai cosiddetti incordatori da circolo, in gran parte abusivi e privi dei requisiti professionali necessari per svolgere tale lavoro (in sostanza, è un mestiere non dichiarato). La FIT vorrebbe (o quantomeno si spera che abbia voglia) di creare una sorta di albo degli incordatori professionisti, come esiste per i maestri di tennis, tanto per intenderci. Intanto, dovrebbero essere introdotte delle lezioni specifiche

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nel corso maestri, per educare almeno un po' la figura alla quale si rivolgono primariamente genitori e appassionati (e attualmente i nostri maestri sono un filo ignoranti in materia, con le dovute eccezioni); quindi (nostro suggerimento) la FIT potrebbe affidarsi all'ERSA, la European Racquet Stringers Association, il cui top manager in Italia è Marco Rossani, primo e fino adesso unico italiano tra gli incordatori di Wimbledon, per organizzare i corsi e formare gli incordatori professionisti, obbligando poi i circoli ad assumere un incordatore qualificato o affidarsi ad un negozio esterno i cui incordatori siano provvisti di tale qualifica. Troppo spesso, le racchette (anche dei ragazzini più promettenti) vengono trattate e incordate da un nonesperto, spesso un pensionato in cerca di passatempo o di arrotondamenti della pensione, che lavora su macchine

obsolete e con risultati spesso dannosi per il braccio e la salute dell'atleta. In cambio di un prezzaccio, of course. Ora che finalmente ci si è accorti che la corda è il vero motore della racchetta e che sbagliare il set-up può compromettere le prestazioni (forse per la prima volta i giocatori e le giocatrici azzurre potranno sfruttare agli Internazionali d'Italia Jambo Melis, l'incordatore ufficiale delle squadre di Coppa Davis e Fed Cup), allora la FIT pare essersi decisa a intervenire. Chiaro che, come sempre accade, desidererà ottenere una fetta della torta, con tanto di membership annuale da versare. Ma sarebbe una delle poche tasse che gli interessati pagherebbero volentieri pur di vedere il loro lavoro riconosciuto professionalmente e dopo aver debellato una delle piaghe tecniche peggiori del nostro tennis: gli incordatori abusivi da circolo.


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L'uomo da 137... pollici quadrati A 31 anni, l'americano Matt Seeberger è n.157 del mondo in doppio. Cosa c'è di strano? Che c'è arrivato usando, unico al mondo, la super racchettona Big Bubba da 137 pollici di ovale di Matt Seeberger

Ho fatto il coach per 6-7 anni e un giorno, di mia spontanea volontà, ho pensato di provare una racchetta dal piatto corde più grande. L’ho trovata e ho provato: una Gamma Big Bubba da 137 pollici di ovale! Ci gioco ormai da oltre due anni, dall’inizio del 2014. Sin dalla prima palla ho pensato che potesse essere interessante: le sensazioni erano incredibili, sembrava facesse tutto lei. E alla fine mi sono ritrovato a giocare perfino lo US Open di doppio con questo telaio e i produttori ne erano felicissimi. Quando ho iniziato a fare il professionista, ho pensato di giocare di nuovo con una racchetta tradizionale (prima utilizzavo soprattutto una Babolat Pure Drive), e così ho fatto per un paio di mesi, verso la fine del 2014, ma mi

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è subito mancata la mia racchettona. I vantaggi sono soprattutto nel servizio e a livello di potenza, ma bisogna abituarsi perché è un po’ più complicata da manovrare rispetto ad una racchetta "normale" e offre decisamente meno controllo. A livello di adattamento credo che la differenza principale stia nella lunghezza. Lo sweet spot (la zona ideale di racchetta dove colpire la palla) è cinque centimetri più lontano rispetto all’impugnatura, quindi bisogna abituarsi a colpire la palla in un punto totalmente diverso. E, di conseguenza, bisogna adattarsi anche a stare cinque centimetri più lontano dalla palla col corpo. Io ci ho messo un buon paio di mesi per trovare i giusti adattamenti, allenandomi però tutti i giorni. Ma è stato anche divertente.

La incordo con un Luxilon 4G, tensione 26 kg, e uso il Tourna Grip. Ho provato a utilizzarla anche in singolare, in qualche Futures, ma è necessario allenarsi di più e fare qualcosa di diverso. A ogni torneo capita che qualche giocatore mi chieda di provarla e chiunque mi abbia visto in campo ci ha giocato almeno cinque minuti, però mai nessuno ha pensato seriamente di usarla. L’hanno visto più come un gioco, una cosa divertente da provare e basta. Io li ho spinti a crederci, ma secondo gli altri giocatori professionisti è troppo differente dalle racchette tradizionali per pensare di cambiare le loro abitudini, sarebbe troppo impegnativo. Però penso che potrebbe aiutare tanti giocatori, anche se dipende dallo stile di gioco. I vantaggi (e gli svantaggi) cambierebbero da giocatore a giocatore.


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INFOGRAFICA

Top 50 Brand Ranking La visibilità dei testimonial è fondamentale per un brand di racchette. Ma chi ha conquistato la fiducia della maggior parte dei top 50 mondiali, tra circuito maschile e femminile?

TECNIFIBRE

1

WILSON 16

SRIXON 1

HEAD 13

PRO KENNEX 1

PRINCE 1 BABOLAT

12 PACIFIC 1 DUNLOP 1

NUMERO 1 Novak Djokovic, continua con la linea Speed della Head in versione Graphene

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TOP 10 Head ne ha sotto contratto ben 4, Babolat 3, Wilson 2, e Yonex 1

TOP 25 Primo posto per Head ( 8 giocatori); inseguono da vicino Babolat e Wilson (7)

YONEX 3

TOP 50 Wilson (16) e Head (13) superano Babolat (12). Ben dieci i marchi rappresentati

ITALIANI I nostri top 3 sono Fognini (Babolat), Seppi (Pro Kennex) e Lorenzi (Head)

GIOVANI Yonex ha il futuro assicurato con Kyrgios e Coric. Ma anche Head con Zverev...


MEN AND WOMEN.

I grafici mettono in evidenza come i vari brand si sono divisi le sponsorizzazioni dei top 50 mondiali, a livello maschile (pagina a fianco) e femminile. Tra gli uomini, rispetto all’anno scorso c’è stato il sorpasso di Wilson (16) nei confronti di Babolat (12) che si è vista scavalcare anche da Head (13), la quale ha il miglior parco giocatori a livello qualitativo perché è l’unico marchio a vantare quattro top 10 (che tra l’altro usano quattro linee diverse!). Yonex è il quarto marchio che ha più di un testimonial nella top 50. Tra gli altri che hanno un solo testimonial top 50, spicca Pro Kennex perché il suo è italiano: Andreas Seppi. In campo femminile, Wilson resta al comando con 21 giocatrici (anche se a breve perderà la nostra Pennetta), davanti a Babolat con 16 e, sorpresa, Yonex con 6, che sopravanza Head a quota 4 e con la Sharapova che potrebbe rimanere ferma a lungo. Solo altri due brand sono rappresentati nella top 50 WTA: Prince con due atlete e Srixon con una. Classifica ATP e WTA di fine marzo.

WILSON 20 PRO KENNEX 1 BABOLAT 16

DUNLOP 1

TECNIFIBRE

1 YONEX 6 SRIXON 1 PRINCE 2

NUMERO 1 Serena Williams è legata al marchio Wilson da quando era una ragazzina

TOP 10 Wilson ne ha sotto contratto il 50%, davanti a Babolat e Yonex (2) e Head (1)

TOP 25 Comanda Wilson (11) davanti a Babolat (7), Head (4) e Yoneex (3)

HEAD 4

TOP 50 Wilson primeggia con 20, seguono Babolat (16) e Yonex (6), davanti a Head (4)

ITALIA Babolat ha Errani, Giorgi e Knapp con tre modelli diversi; ma Head si è ripresa la Vinci

NEW BALLS Babolat spera in Muguruza, Yonex nella Bencic e Tecnifibre nella Kasatkina

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INFOGRAFICA

MADE IN ITALY. Se nelle pagine precedenti abbiamo verificato le sponsorizzazioni dei e delle top 50 ATP e WTA, qui ci soffermiamo sul panorama italiano, prendendo in esame la top 10 azzurra. Ebbene, in entrambi i casi comanda Babolat, con quattro giocatori in campo maschile (tra i quali il nostro number one, Fabio Fognini), seguita da... Pro Kennex, che in Italia sta agendo bene e ha affiancato ad Andreas Seppi, prima Andrea Arnaboldi, poi Luca Vanni. In campo femminile, Babolat è ancora più presente con ben 6 giocatrici della top 10, tra le quali la numero 2 (Errani), numero 3 (Giorgi), numero 4 (Knapp) e numero 5 (Schiavone). Avrebbe potuto completare la cinquina quando aveva messo una Babolat Pure Drive tra le mani di Roberta Vinci che però, verso metà della scorsa stagione, ha deciso di tornare alla sua Head Graphene XT Extreme. Qui sotto potete anche trovare i profili dei tre giocatori e delle tre giocatrici più promettenti: Donati e Mager utilizzano racchette Head, Quinzi una Babolat, mentre tra le ragazze la Pieri gioca con Prince, la Ferrando con Head e la Paolini con Yonex. Classifica ATP e WTA di fine marzo. SPERANZE AZZURRE BABOLAT 4

PRO KENNEX 3

MATTEO DONATI La nostra miglior speranza, che ha superato in termini di prospettiva Gianluigi Quinzi. Gioca un bel tennis ma il fisico non è mai stato il suo punto di forza e troppo spesso si infortuna. GIANLUIGI QUINZI Abbandonati i sogni di essere il nuovo Rafael Nadal, non può essere diventato un brocco che non passa due turni in un Futures. Se trova la sua strada, almeno nei top 100 potrebbe arrivare.

WILSON 1

GIANLUCA MAGER Svariati motivi personali l’hanno tenuto lontano dal tennis per un lungo periodo. Ora, due anni di cura Nargiso stanno dando un po’ di frutti. Gioca un gran tennis, ma deve migliorare fisico e psiche. Ma può puntare alla top 100 e anche di più.

HEAD 2

YONEX 1

HEAD 1

PRINCE 1

BABOLAT 6

WILSON 1

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JESSICA PIERI Classe 1997, giocatrice ordinata, una bella lottatrice, sicuramente intelligente in campo, grazie ai consigli del papà-maestro. Ha voglia di emergere ma deve crescere tanto di fisico e potenza per ambire a traguardi significativi. CRISTIANA FERRANDO Ha (giustamente) finito la maturità prima di dedicarsi completamente al tennis. La segue il papà e stanno lavorando per migliorare un buon tennis offensivo. I margini di miglioramento sono tanti JASMINE PAOLINI Gioca benino, è simpatica e ha un ottimo timing sulla palla, ma è davvero molto piccina e il gap fisico rischia di pagarlo dovesse arrivare a confrontarsi nel circuito maggiore.


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Distributori Unici Italia

STARBURN. Una gamma di corde da tennis completa ed innovativa, un servizio di consulenza per scegliere il prodotto più adatto alle esigenze di ogni giocatore. STARBURN è distribuito ed importato in Italia da Eiffel59TennisService SRL. STARBURN è presente anche su www.passionetennis.it, il più grande forum italiano di tennis Per informazioni: eiffel59ts@gmail.com Eiffel59TennisService | Casale Monferrato


TENNIS & SALUTE

LA FORMULA DEL BENESSERE Si chiama AC2 ma non è matematica. È più semplicemente il modello di solette Noene più utile, perché sostituisce quella della scarpa eliminando le vibrazioni e rendendo la corsa più confortevole

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di Gianluca Roveda

er diversi mesi, ci siamo soffermati soprattutto sulle solette SP-01, non a caso definite Invisible. Infatti, lo spessore contenuto in un solo millimetro, sembrava di non averle nemmeno ai piedi. Le infilavi la prima volta e amen, sparivano dalla tua testa. Te le ricordavi soltanto perché alla fine di due ore di allenamento, sentivi meno la fatica e quel tendine che di solito tirava un po', ora pareva essere perfettamente a posto. Insomma, faceva il suo dovere in maniera silenziosa. Infatti, per capire l'efficacia di questo piccolo quanto importante accorgimento, bastava giocare un paio di volte senza e subito si avvertivano le differenze in termini di comfort a legamenti e muscoli. Attenzione, la Invisible è utile perché comunque il materiale Noene cancella le vibrazioni ma serve soprattutto per limitare i problemi senza essere per nulla invasivi.

affaticando meno il piede (e se siete maestri o comunque giocatori da diverse ore alla settimana, il miglioramento fisico è evidente). L’inserto è in carbonio e kevlar (materiali molto resistenti che, sostenendo adeguatamente l’arco plantare, impediscono al piede di stancarsi eccessivamente con un effetto stimolante e defaticante nella zona degli elementi propriocettivi)) con la presenza del materiale Noene (che lo ripetiamo, cancella sostanzialmente tutte le vibrazioni da impatto col terreno), posto strategicamente nella zona tallonare e del metatarso, quelle maggiormente soggette agli urti da impatto col terreno.Inoltre, il sistema Airfoam ammortizza gli impatti grazie alla mousse PU a bidensità termocompressa, mentre il Drytech aiuta a mantenere una corretta sudorazione del piede, anche questa importante (in termini di igiene) al termine di dure battaglie sul campo.

Se però si vuole fare un passo in avanti deciso (e noi lo abbiamo fatto) meglio rivolgersi alla Ergonomic AC2, una vera e propria soletta che sostituisce quella che trovate inserita nella vostra calzatura (e che generalmente non garantisce il massimo delle prestazioni). Il comfort è esagerato, la protezione ancor più garantita e la prevenzione (probabilmente l’aspetto più sottovalutato e, al contempo, più significativo) assicurata. Il tutto nasce dalla combinazione di differenti materiali che aiutano a sostenere l’arco plantare,

Noi le abbiamo testate e abbiamo riscontrato un deciso passo avanti rispetto alle solette Invisible perché si avverte un maggior sostegno al piede e all’arco plantare, oltre al classico assorbimento delle vibrazioni che non rende “duro” l’impatto col terreno (soprattutto se giocate su cemento o superficie sintetica). Inoltre, in generale vi sarà un minor affaticamento di muscoli e tendini. Se qualcuno avesse dei dubbi, basta giocare un paio di settimane con e… un paio di settimane senza: la differenza si sentirà, eccome.

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SUPERFICI

TERRA BATTUTA 2.0 Migliorare la terra rossa sembrava una mission impossible. Invece Red Plus c'è riuscita pienamente. Dopo tanti circoli italiani e il Country Club di Monte Carlo, anche coach Mouratoglou ne ha voluti sei per la sua nuova accademia in Costa Azzurra. E non è finita qui

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di Lorenzo Cazzaniga

o conosciuto il maestro Michele Corsiero nel 1982, quando con pazienza ha cercato per un anno e mezzo di migliorare quella presa full western che avevo malamente appreso dal libro di Panatta, invertendo gli angoli di appoggio, come poteva capitare ad un ragazzotto che brillava in geometria. L'ho ritrovato tre anni fa, ad una fiera a Bologna dove si parlava soprattutto di edilizia. Un piccolo padiglione era dedicato allo sport, soprattutto al calcio, e Angelo Nobili di Mapei mi aveva invitato per mostrarmi un nuovo sistema di smaltimento dell'erba sintetica, ideale anche per il tennis e primo passo della multinazionale di Giorgio Squinzi nel mondo del tennis, al quale avrebbe fatto seguito l'ideazione di un nuovo prodotto per campi sintetici. Nobili, che subito intuì la mia curiosità per nuovi prodotti legati al nostro sport, mi indicò uno stand poco più avanti: «C'è un tizio che ha inventato la terra battuta» mi buttò lì, come se fosse la frase più insignificante per un trentennale praticante. Mi tuffai per scoprire l'arcano, fin quando non si palesò proprio il maestro Corsiero, che nel frattempo aveva smesso di allenare (da lui passò anche un 12enne Nahuel Fracassi che, si fosse lasciato gestire meglio, poteva diventare un campioncino) e si era dedicato alle costruzioni e manutenzioni, tennistiche e non, insieme ai due figli, Davide e Simone. Dopo aver immancabilmente sviscerato alcuni ricordi del passato, mi ha

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mostrato la sua nuova creatura. Pensavo che Nobili avesse approfittato oltremodo del Sangiovese, sempre un'ottima scelta da queste parti, quando invece mi viene presentato qualcosa di rivoluzionario. Talmente intelligente, nella sua semplicità, da far pensare che non poteva che aver successo. Si trattava (finalmente) di dare una scossa al mondo terraiolo, tanto più che la crisi economica sta spingendo i club a serrare sempre più le spese, quando si tratta di rifare i campi in terra rossa. Il mattone di miglior qualità viene scartato a priori e per i lavori viene spesso utilizzata manodopera poco specializzata. Così, in linea generale, la qualità media dei campi in terra in Italia è notevolmente scesa, soprattutto se paragonata a quella dei club francesi e spagnoli. Red Plus, questo il nome del prodotto rivoluzionario, era pensato proprio per questo. In sostanza, si parla di terra battuta rinforzata. Da cosa? Da erba sintetica. Il primo passo falso, è pensare che sia uno di quei tappeti colorati sul quale viene cosparsa una sostanza, generalmente quarzo, per far scivolare. Siete fuori strada. Qui si tratta di un vero e proprio campo in terra battuta, così omologato dalla federazione Internazionale. Perché il piede appoggia solo sul terriccio rosso e, senza scavare con una bella pala, mai si scoprirebbe che la terra rossa è stata intasata su un tappeto in erba sintetica, che serve solo a supporto ma non inficia ne devìa in nessun modo la prestazione.


Novelli Giuda, per crederci siamo andati a Bagnatica, due passi da Bergamo, dove il gestore aveva appena concluso una tragica edizione del torneo ITF femminile: «Una settimana di pioggia - urlò, insieme a qualcos'altro che non posso riportare - eppure la finale l'abbiamo disputata la domenica, come previsto. Grazie al drenaggio di questi campi». Per essere sicuro della bontà del prodotto, mi portai come sparring un over 50 dal tennis poco brillante, la palla spesso steccata, i movimenti dei piedi piuttosto incerti: «Se va bene a lui, è rivoluzione» pensai. In quarantacinque minuti di gioco, mai un cattivo rimbalzo, impatto sul terreno morbido, colore rosso fuoco. La trovammo solo un po' lenta, come è normale quando il campo è nuovo e deve ancora assestarsi. Da quell'istante ho sempre pensato che, avessi un circolo, sarei partito da un campo Red Plus. Se poi ne avessi avuto uno in cemento, l'avrei convertito il giorno stesso. I vantaggi erano enormi, logici e indubbi: nessun rifacimento annuale, nessuna possibilità di crepe e buche. Solo la manutenzione ordinaria, acqua e ancora acqua, e una manciata di terra rossa da aggiungere ogni anno, quella che il vento porta via. E niente più lamentele dei soci perché sul set point la palla ha rimbalzato male, il piede è scivolato, la terra ormai secca è diventata cemento puro. E tutti contenti di scendere in campo pochi minuti dopo uno scroscio, appassionati e maestri, senza dover attendere mezza giornata di sole. Insomma, si faticava a trovare un lato negativo. La conferma della bontà del prodotto è arrivata col tempo. In un paio di stagioni, i campi Red Plus in Italia hanno superato quota 115 e, al ritmo degli ultimi mesi, sono destinati a crescere in misura ancora maggiore. Ci hanno creduto club storici come l'Hanbury di Alassio e il Parioli di Roma, quelli chic come il Match Ball a Firenze (nella foto in basso a destra) e il Molinetto Country Club di Cernusco sul Naviglio, a due passi da Milano; e ancora tanti altri club, da Torino a Bari, passando per Voghera e Cecina. In Svizzera fanno a gara, al punto che non è facile star dietro alle richieste. E poi le due chicche assolute, arrivate dalla Francia, grazie alla partnership con Evolution Terre Battue Tradition, società leader nel settore grazie all'esperienza di Fréderic Lanvin, un tizio talmente abile a gestire le problematiche di un terreno in terra rossa, da essere chiamato da Ion Tiriac per occuparsi dei campi di Madrid. Ovviamente, Fred è anche nel team che si occupa dei courts di Roland Garros e ha convinto Michel Garcia,

responsabile dei campi del Country Club di Monte Carlo (i migliori della Costa Azzurra) a provarli. Poche settimane dopo arriva l'ordine: due campi in alto, generalmente utilizzati per gli allenamenti, devono diventare Red Plus. Detto, fatto. E quando al termine di un'ora e mezza di allenamento, abbiamo fermato Pierre-Hugues Herbert, top 100 in singolare e top 10 in doppio, e gli abbiamo chiesto che differenze avesse notato su questi campi, ci ha guardati come se questa volta avessimo noi abusato dello champagne. «Come sempre a Monte Carlo, sono tutti uguali, tutti perfetti» è stata la sua risposta. Una sentenza definitiva, a prova di Cassazione, per la bontà del prodotto. Una scelta, quella del Country Club, che in Costa Azzurra (la regione leader in fatto di terra battuta) non è passata inosservata. Altri club hanno seguito l'esempio, ma soprattutto l'ha scelta un tizio che punta sempre al top: Patrick Mouratoglou. Quest'anno ha completato un trasloco non indifferente: spostarsi dalla sua accademia fuori Parigi, ristrutturando e ampliando quella che già esisteva a SophiaAntipolis, due passi da Cannes e Antibes, una mezz'ora da Monte Carlo. Quando il 3 luglio verrà inaugurata, automaticamente si trasformerà nella più bella e imponente accademia di tennis in Europa, con i suoi trentaquattro campi tra terra rossa e GreenSet, otto perfino coperti (una rarità da queste parti), la sua Serena pronta a svernarci diverse settimane all'anno, in compagnia di Novak Djokovic che l'ha scelta come nuova sede dei suoi allenamenti. Ebbene, già sei dei campi in terra rossa sono stati realizzati con tecnologia Red Plus e altri quattro in cemento pare verranno presto convertiti. Un segnale importante quello che ci lanciano i francesi, solitamente restii ad accettare le evoluzioni italiane, ma che hanno capito di aver trovato qualcosa che può cambiare le sorti della superficie principe del tennis in Europa, almeno del Sud. Senza contare di cosa potrebbe accadere negli Stati Uniti, dove i tecnici continuano a spingere per avere più campi in terra rossa, i più adatti a creare giocatori completi nel gioco e nella voglia di soffrire, e per adesso si devono accontentare del loro har-tru, la terra verde, bella a vedersi ma non più utilizzata nei maggiori circuiti professionistici e giovanili. La sfida di mister Corsiero era far evolvere la superficie più amata dagli italiani (e non solo); un po' come provare a rendere più buona e virtuosa la Coca-Cola. A distanza di due anni possiamo tranquillamente affermare che la mission impossible è stata realizzata. E il bello, è che non è certo finita qui.

La sfida era far evolvere la superficie più amata dagli italiani. Missione compiuta. E ora anche coach Mouratoglou ha voluto Red Plus per la sua nuova super accademia

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PRO SHOP

A (TENNIS) STORE LIFE A due anni e mezzo dall'apertura del suo negozio a Casale Monferrato, Marco Gazziero ci spiega ciò che funziona e soprattutto non funziona nella gestione di un negozio di tennis. Senza pregiudizi

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intervista di Lorenzo Cazzaniga

oteva stare con le balle all'aria a Tenerife, a scalare il vulcano Teide o su qualche spiaggia ad ammirare l'Oceano, in buona compagnia. Alla fine, ha deciso di aiutare la moglie ad aprire uno studio da avvocato e lui, il più grande negozio di tennis d'Italia, oltre 300 metri quadri ricavati da una struttura prima affittata ad un elettrauto in odor di pensione, ora destinata alla vendita specializzata di articoli tennistici, compresa una porzione di campo da tennis con macchina lanciapalle per testare i prodotti. Marco Gazziero (insieme a Mario Parisio) ha dunque creato dal nulla una realtà tra le più apprezzate in Italia e, dopo due anni e mezzo, è pronto a spiegare cosa funziona e soprattutto non funziona nella gestione di un negozio di tennis. Dopo due anni e mezzo di attività, ha qualche rimpianto di non aver deciso di svernare a Tenerife? Scelte di vita. Certo, non ci fosse la passione che ci anima... Perché non c'è rapporto tra sforzo, impegno e professionalità che ci mettiamo e quello che si guadagna. Io mi porto a casa 1.200 euro al mese per lavorare sei giorni su sette. Non è una grande soddisfazione economica. E tutto questo nonostante stiamo crescendo di un 20% ogni anno. Qual è il problema principale che lo impedisce? Quello di tutte le società: le tasse. Se ci confrontiamo con altri

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paesi, è chiaro che a parità di fatturato, noi guadagniamo molto meno. Alle aziende non chiederei maggiori sconti ma un maggior controllo sui prezzi di vendita. Fin quando ci saranno siti Internet che abbassano questi prezzi di continuo, anche il nostro margine sarà sempre più ridotto. Potessimo vendere a prezzi più alti, una parte la si girerebbe sul cliente tramite uno sconto, ma l'altra potremmo tenerla ed essere tutti più contenti. Invece, una battaglia sul prezzo non fa bene a nessuno. Ma sa come fanno certe aziende a vendere di più? Spieghi. Per esempio aumentando il numero dei modelli di racchette. Vero che magari un negozio non le tiene tutte ma uno specializzato deve adeguarsi. Se poi a te restano sul groppone, alle aziende non interessa nulla. Mentre a me piacerebbe avere rapporti più stretti con loro: sarei disposto ad aumentare gli acquisti se qualcuno mi rendesse più partecipe, presentandomi in anteprima le novità, inserendomi nei loro test, creando eventi insieme. Mentre alle aziende interessa solo passare a ritirare un ordine. Mi piacerebbe anche vedere un direttore commerciale di un'azienda di tennis che sia davvero appassionato di questo sport. Vorrei sapere quanti di loro hanno giocato con gli attrezzi della concorrenza e li conoscono. Perché un prodotto di tennis lo si acquista col cuore, non è certo un bene di prima necessità, quindi bisogna far parte di quella comunità.


Eppure la maggior parte dei direttori commerciali afferma che il negoziante specializzato è al centro del loro business. Tutte parole. Se così fosse avremmo dei trattamenti di favore, riceveremmo prima le racchette, mentre il negozietto che ne ordina quattro le riceve insieme al sottoscritto che ne ordina 400. I brand più importanti dovrebbero essere presenti solo nei negozi specializzati top e lasciare a quelli piccoli i marchi di nicchia. Come nel settore macchine, dove non trovi la super BMW ovunque. Quindi come resta in piedi un negozio di tennis? Con il servizio incordatura, ma a circa 15 euro di guadagno ciascuna, hai voglia a far soldi. Però è il servizio migliore che può offrire un negozio e che invece Internet non può dare. Ma quanto conta l'incordatore? Tanto, anche nella preparazione. La macchina va tarata almeno una volta al mese perché talvolta impazzisce il software e si rischia di commettere errori già in partenza. Poi la manualità dell'incordatore fa la differenza perché vuol dire far bene i nodi, non avere perdite di tensione, non rovinare la corda. Ma l'aspetto più importante è saper consigliare a ciascun giocatore, tipo di telaio e tipo di corda.

Un settore che soffre pare quello dell'abbigliamento. Adidas e Nike non sono mai passati, ho sempre fatto tramite grossista. Lotto si è presentata quest'anno per la prima volta. In un negozio come il mio dovrebbero fare a gara per venire, invece tanta gente non l'ho mai vista. Un'associazione di negozianti potrebbe essere utile? Qualche volta ci incontriamo: siamo un gruppo di negozianti a cui piacerebbe potersi difendere da certe operazioni che le aziende fanno con la Tennis Warehouse di turno. Se fossimo uniti, potremmo pretendere le stesse condizioni. Ma a noi basterebbe vendere almeno vicino al prezzo di listino, in modo da guadagnare tutti, aziende produttrici comprese. Ritiene che attualmente una racchetta costi troppo poco? Beh, basta pensare a quanto costava la Prince Graphite 20 anni fa! Adesso una racchetta dovrebbe costare tra 200 e 300 euro, per marginarne almeno 100. Trenta euro per mille racchette fanno l'utile che invece manca.

«Un negozio specializzato di

tennis sta in piedi solo grazie al servizio incordatura. Ma a 15 euro di guadagno su ciascuna, hai voglia a far soldi»

Delle varie sigle di associazioni di incordatori con relativi corsi ed esami, cosa pensa? L'unica riconosciuta a livello mondiale è quella che in Europa chiamiamo ERSA. Però, per andare a incordare ad un torneo, è sufficiente avere le giuste conoscenze. La qualità del servizio offerto ai giocatori, spesso passa in secondo piano. È più difficile incordare in un torneo pro o in negozio? In negozio. Nei tornei serve avere tanta resistenza per fare 25-30 racchette al giorno, punto. In negozio ti arrivano appassionati con le richieste più strane e senza avere adeguate conoscenze. E allora devi intervenire nel consigliare la scelta giusta. E riguardo gli incordatori mezzi abusivi che si trovano ancora nei circoli? Ogni tanto qualche negoziante si arrabbia e gli manda la Guardia di Finanza. Quindi devono fare attenzione loro e i circoli che li ospitano, perché quando arriva la Finanza, inizia a controllare anche i club, che difficilmente sono totalmente in regola. Talvolta bisogna essere un po' cattivi per difendere il proprio territorio. Io ho pure la moglie avvocato...

Nelle scarpe i prezzi al pubblico sono aumentati ma non i margini, corretto? Vero, perché costano di più anche a noi. Su una calzatura guadagni 40 euro quando va bene, ma basta avanzarne qualcuna (e qualcuna avanza per forza), ti va bene se vai pari. Ma da qualche parte dovremo pur guadagnare, no? Qual è un'operazione che vorrebbe facessero le aziende? Racchette pro stock (quelle destinate ai professionisti n.d.r.) identiche a quelle che vengono consegnate ai top players da vendere a 500 euro solo tramite i top negozianti: il mercato ci sarebbe. Poi lo stesso telaio si dovrebbe declinarlo in altri pesi per i giocatori di club, ma con la stessa grafica e colori. Dove si vede da qui a due anni e mezzo? Anche l'anno scorso ho chiuso in pareggio, fra due anni spero di aver messo via due soldi! Mi faccio forza dicendo che se le cose vanno così ora che c'è crisi, quando l'economia girerà meglio... Lei si occupa anche delle corde Starburn: come va? Molto bene: fatturiamo 80-90.000 euro all'anno e facciamo 950 spedizioni. Per i grandi brand possono sembrare numeri piccoli, per noi è una bella soddisfazione, anche perché cresciamo sempre e ora anche tanti negozi ce le chiedono: hanno capito che possono avere delle belle corde ad un prezzo competitivo e spesso con un margine maggiore. Che si vuole di più?

STORE NEWS: TENNIS CORNER SBARCA A ROMA E SPORTMAXX DIVENTA OSA SPORT Non solo Tennis Point, il gigante dell'on-line, che aprirà il suo primo negoizio fisico in Italia a Milano e poi proseguirà su Roma. Ci sono altre novità, tra le quali Tennis Corner di Firenze di Adriana Bartolini (tenniscornershop.com) che ha raddoppiato la sua presenza a Firenze con un nuovo super store e ora ha acquistato quello che era Tennis Line a Roma. Considerando anche Tennis World di Mirko Di Giacomo (http://www.tennisworld.it, anche all'interno del gigantesco complesso del Forum), gli appassionati della capitale non possono davvero lamentarsi. Dopo oltre 15 anni invece, Massimiliano Marcon ha deciso di passare la mano (in famiglia) e quello che una volta era SportMaxx è ora diventato Osa Sport. Da notare anche la recente apertura di Affi Tennis (affitennis.it).

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TENNIS BOOK

THE STRING THEORY

Una nuova raccolta dedicata agli scritti tennistici di DAVID FOSTER WALLACE. Disponibile in inglese

PER ME RESTA MOLTO DIFFICILE riconciliare l’insulsaggine della mente narrativa di Austin, da una parte, con gli straordinari poteri mentali che sono richiesti nel tennis di livello mondiale dall’altra. Chiunque pensi che i grandi atleti sono ottusi dovrebbe dare un’occhiata da vicino agli schemi di gioco della Nfl, o al diagramma di una difesa a zona 3-2 di un allenatore di basket… o a un filmato di repertorio della sig.ra Tracy Austin che piazza ripetutamente la palla nell’angolo del campo ad alta velocità da 23,77 metri di distanza, con enormi somme di denaro in ballo e orde di persone che la guardano. Avete mai provato a concentrarvi su qualcosa di difficile con una folla di gente che vi guarda?… O peggio ancora, con una folla di spettatori che magari

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vocalizza le sue speranze che non ci riusciate così che la loro favorita vi batta? Nei miei match juniores di livello relativamente basso, davanti a un pubblico che di rado arrivava a due zeri, dovevo impiegare tutte le mie forze già solo per controllare lo sfintere. Mi portavo alla follia da solo: «Ma che succede se faccio un doppio fallo e perdo il game con tutta questa gente che mi guarda?… Non ci pensare… sì, però, scusa, se non ci penso coscientemente allora una parte di me deve pensarci per ricordarmi a cos’è che non devo pensare, giusto?… Chiudi il becco, piantala di pensarci e servi questa maledetta palla… sì, ma come faccio anche solo a parlare con me stesso del fatto di non pensarci se non sono consapevole di cos’è che sto dicendo che non devo pensare?» e così via. Mi sdoppiavo,

mi paralizzavo. Come la maggior parte degli atleti nongrandi. Ci immobilizziamo, smettiamo di respirare. Perdiamo la concentrazione. Ci imbarazziamo. Smettiamo di essere del tutto presenti alla nostra volontà e capacità di scelta e movimento. Non è un caso se spesso si dice che i grandi atleti hanno un talento «naturale», perché sono capaci, mentre giocano, di essere del tutto presenti: sono capaci di procedere per istinto e memoria muscolare e volontà automatica di modo che agente e azione siano una cosa sola. I grandi atleti riescono a farlo anche – e quelli davvero grandi come Borg e Bird e Nicklaus e Jordan e Austin, specialmente – quando sotto pressione. Riescono a tollerare forze di distrazione che sarebbero capaci di spezzare in due la mente di chi per inclinazione si lascia prendere dalla paura di com’è visto. Il vero segreto dietro il genio dei grandi atleti, quindi, potrebbe essere esoterico e ovvio e noioso e profondo come il silenzio spesso. La risposta vera, multivelata, alla domanda di cosa passa per la testa di un grande giocatore mentre se ne sta al centro dei rumori ostili della folla e prepara il tiro libero che deciderà l’esito della partita, potrebbe essere benissimo: «Niente di niente». Come fanno certi atleti a zittire la voce di Iago del sé? Come fanno a eludere la mente e agire in modo così semplice e superbo? Come fanno, nel momento critico, a invocare un cliché banale come «Una palla per volta» o «Qui mi devo concentrare», e pensarlo sul serio, e farlo? Forse è perché, per i grandi atleti, i cliché si presentano non come banali ma come veri, o forse neppure come espressioni dichiarative caratterizzate da profondità o banalità o falsità o verità ma come semplici imperativi che possono essere utili o no e che, se utili, vanno invocati, e non c’è altro da dire.

E se, quando Tracy Austin scrive che dopo l’incidente d’auto del 1889: «Accettai rapidamente il fatto che non potevo farci nulla», la frase non fosse solo vera ma esaurientemente descrittiva del suo intero percorso di accettazione? Una persona è forse stupida o superficiale perché dice a se stessa che non c’è niente che possa fare rispetto a una disgrazia e che quindi le conviene accettarla, e da lì in poi la accetta senza ulteriori lotte interne? O quella persona è in qualche modo istintivamente saggia e profonda, illuminata nel modo infantile in cui sono illuminati certi santi e monaci? È questo, per me, il vero mistero: se una persona del genere sia un’idiota o una mistica o entrambe e/o nessuna delle due. La sola certezza pare essere che una persona del genere non produce una bella autobiografia in prosa. Forse questo semplice fatto empirico è il modo migliore per spiegare come sia possibile che la vera storia di Tracy Austin sia così avvincente e rilevante e che il suo resoconto verbale di tale storia non sia nemmeno vivo. Questo potrebbe anche, nell’iniziare a trattare le differenze di comunicabilità fra pensiero e azione e fra azione ed essenza, fornire la chiave per capire come mai le autobiografie dei grandi atleti sono al tempo stesso così seducenti e così deludenti. Com’è spesso la procedura standard con la verità, c’è un paradosso crudele implicito. Potrebbe essere benissimo che noi spettatori, privi dei doni divini degli atleti, siamo gli unici a essere davvero in grado di vedere, esprimere e animare l’esperienza del dono a noi negato. E che coloro i quali ricevono e mettono in pratica il dono del genio atletico debbano, di necessità, essere ciechi e muti al riguardo, e non perché la cecità e il mutismo siano il prezzo di quel dono, ma perché ne sono l’essenza.

Tratto dal libro Considera l'aragosta, capitolo: Come Tracy Austin mi ha spezzato il cuore



THE NEXT GENERATION Djokovic minaccia di dominare a lungo con Murray e Wawrinka come vassalli. Ma Federer è ultratrentenne e Nadal in difficoltà, quindi ci si aspetta anche un cambio generazionale. Ecco chi abiterà presto nei quartieri alti del ranking mondiale

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NICK KYRGIOS / classe 1995 racchetta: Yonex; abbigliamento e scarpe: Nike Potrebbe già puntare ad uno Slam quest'anno, in particolare a Wimbledon: servizio e dritto sono micidiali e il rovescio è migliorato. La testa invece, potrebbe non farlo mai, e tenerlo lontano dai traguardi più prestigiosi. Però, che personaggio!

ALEX. ZVEREV / classe 1997

racchetta: Head abbigliamento e scarpe: Adidas Ha già dimostrato di essere pronto per chiudere la stagione nella top 20, se non più in alto. In molti addetti ai lavori lo danno sicuro Slammer e probabile n.1 nell'arco di 2-3 anni.

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ANDREY RUBLEV /classe 1997

racchetta: Wilson abbigliamento e scarpe: Nike Nei gesti ricorda Yevgeny Kafelnikov. Da fondo ti lascia spesso a due metri dalla palla, ma è totalmente folle, roba da affiancargli uno psicologo di quelli bravi. Ma se sfonda, ci farà divertire tanto.

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TAYLOR FRITZ / classe 1997

racchetta: Head abbigliamento e scarpe: Nike Se continua a crescere a questa velocità, diventa impressionante. La miglior speranza americana: solido sotto tutti i punti di vista, non ha la fantasia di John McEnroe, ecco.


HYDROGEN

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T. KOKKINAKIS / classe 1996

racchetta: Babolat abbigliamento e scarpe: Nike Fermo per infortunio, se rientra bello carico, ha già dimostrato di avere le stimmate del campione. Meno esplosivo del suo amico Kyrgios, pare più solido mentalmente e i colpi viaggiano che è una bellezza. E, a suo modo, è un personaggio glam e positivo.

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FRANCES TIAFOE / classe 1998

racchetta: Wilson abbigliamento e scarpe: Adidas Si giocasse con le racchette di legno, farebbe solo danni. I gesti non sono esteticamente canonici (soprattutto il dritto), però servizio e rovescio sono buoni e fisicamente è esplosivo. Ha molta pressione addosso perche un tennista top di colore farebbe la fortuna degli States.

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STEFAN KOZLOV / classe 1997

racchetta: Head abbigliamento e scarpe: Nike Un talento estremo per timing sulla palla, con un rovescio che è un vero gioiello. Però sta crescendo poco fisicamente e ancora fatica a livello professionistico. Se migliora quell'aspetto, vede il gioco come pochi e arriverà molto, molto in alto.

Nella nuova generazione ci sono personaggi folli come Nick Kyrgios e Andrey Rublev, talenti puri come Stefan Kozlov, macchine (quasi) perfette come Alexander Zverev, gladiatori come Borna Coric. E tutta la new wave americana. Ci sarà da divertirsi anche quando Federer and Co. andranno in pensione.

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BORNA CORIC / classe 1996

racchetta: Yonex abbigliamento e scarpe: Nike Denis Istomin (che ci aveva appena perso) disse che questo croato non lo impressionava per nulla. In effetti non ha tante soluzioni vincenti, ma che difensore e che lottatore!

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HYEON CHUNG / classe 1996

racchetta: Yonex abbigliamento: Le Coq Sportif scarpe: Adidas Non è "scarso" come si diceva quando perse la finale junior di Wimbledon con Quinzi. Ok, non sarà un fuoriclasse, ma è intelligente, e comunque da top 20-25.

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NOAH RUBIN / classe 1996

racchetta: Head abbigliamento: Under Armour scarpe: Nike Cresciuto nell'Accademia newyorchese di McEnroe, se ha rubacchiato un po' di quel talento... Solido, i coach americani dicono abbia una mentalità bella tosta.

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watch tennis tanti grandi campioni sono affascinati dal mondo degli orologi: da fabio fognini con capri watch a roger federer con rolex, passando per rafael nadal con richard mille, novak djokovic con seiko, david ferrer con bovet...

CAPRI WATCH / FABIO FOGNINI Per antonomasia, l'orologio del tennis azzurro. Non solo perché la liason con Fabio Fognini è sostanzialmente cominciata in uno dei momenti magici del tennis italiano, quando l'ItalDavis vinse (grazie ad un clamoroso successo di Fabio su Andy Murray) contro la Gran Bretagna, su quel magnifico campo in terra rossa costruito sul lungomare di Napoli. Ma anche perché da allora il binomio Capri Watch con Fabio Fognini è continuato, si è allargato con la presenza di Simone Bolelli e con il loro titolo dello Slam in Australia nel 2015 e poi è culminato con l'investitura dal 2016 di orologio ufficiale della Federazione Italiana Tennis. E, per far capire ancora meglio il legame che unisce Capri Watch e il tennis (oltre alla sponsorizzazione di uno dei più importanti tornei italiani, il Challenger di Napoli) ecco il modello 5318 Tennis Blue, una vera chicca per gli amanti del nostro sport, com cassa in acciaio, cinturino in silicone blue e resistenza all'acqua fino a 100 metri. Come può un appassionato lasciarsi sfuggire una simile occasione?

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ROLEX / ROGER FEDERER Il più celebre brand di orologi al mondo è da sempre legato al mondo del tennis. La sua presenza più significativa resta quella di Wimbledon, in particolare su quel Centre Court dove gli sponsor sono pressoché banditi ma l'ora (e sappiamo quanto amino essere precisi ai Championships) è da sempre scandita da un enorme orologio Rolex. Immaginiamo che Roger possieda una collezione completa di Rolex, ma per una gran serata consiglieremmo un modello della collezione Oyster, la cui cassa rappresenta una pietra miliare nella storia dell’orologeria contemporanea. Inventata da Rolex nel 1926, è stata la prima impermeabile per orologio da polso al mondo, grazie al sistema brevettato con lunetta, fondello e corona di carica avvitati sulla carrure. Elegante e robusto, come il tennis del fuoriclasse svizzero. rolex.com

SEIKO / NOVAK DJOKOVIC Si chiama Astron GPS Solar Dual-Time Novak Djokovic Limited Edition. Ne sono stati prodotti solamente tremila pezzi e i materiali utilizzati sono acciaio, oro e ceramica. Il diametro è di 44,6 millimetri, lo spessore di 13,30. Decisamente solido, resiste fino a 100 metri di profondità. L'aspetto riflette appieno le caratteristiche di gioco del numero uno del mondo: solido, preciso, regolare, efficiente, elegante ma senza eccessivi fronzoli. Se è vero che l'orologio rispecchia l'anima di chi lo porta, questo Seiko pare studiato su misura per Nole. E poi in collezione ci sono tanti altri modelli dedicati al fuoriclasse serbo. Assolutamente da non perdere.

seikowatches.com

RICHARD MILLE / RAFAEL NADAL Creare un orologio che diventasse per Rafael Nadal, un tizio piuttosto scaramantico e molto attento ai dettagli, una seconda pelle, è stata una sfida importante per gli ingegneri della Richard Mille. L'orologio sfrutta il carbonio per realizzare un modello resistente ma dal peso irrilevante (per non infastidire l'atleta quando gioca), senza tuttavia rinunciare alla consueta precisione e robustezza. Inoltre alla Richard Mille raccontano come un incubo il fatto di dover creare un movimento che fosse resistente alle sollecitazioni che può imprimere durante il gioco un fuoriclasse come Nadal. Per questo c'è voluto un team intero, ma alla fine il Tourbillon RM 27 - 02 è diventato realtà. Come sappiamo, il costo non è esattamente ordinario ma la certezza è di essere tra i pochi a possederlo, visto che è stata creata una limited edition di soli 50 pezzi. richardmille.com

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ROLEX / ANA IVANOVIC Rolex sinonimo di classe ed eleganza? Beh, allora non c'erano dubbi sulla scelta della testimonial ideale in campo tennistico femminile: Ana Ivanovic, la più bella del reame (che, ahinoi, ormai è pronta a convolare a nozze con Bastian Schweinsteiger, al quale va tutta la nostra invidia). Ideale da indossare in un'occasione speciale, il Rolex Lady-Datejust 28 ha la cassa Oyster (vedi RF), carrure monoblocco, fondello e corona entrambi a vite, un diametro di 28 millimetri con corona di carica a vite e doppio sistema di impermealizzazione (fino a 100 metri). Il materiale? Ovviamente platino, con vetro zaffiro antiscalfitture e lente di ingrandimento Cyclope sul datario. La bellissima Ana sarebbe affascinante in t-shirt e scarpe da running, ma immaginarla in abito da sera con un Lady-Datejust al polso... rolex.com

RADO / AGNIESZKA RADWANSKA Si chiama Hyperchrome, uno dei (tanti) modelli che piace alla Maga Aga (sempre più ricercata dagli sponsor), un cronografo automatico in ceramica hi-tech e acciaio, con cassa trasparente in zaffiro e cristallo con sistema anti-riflesso e una capacità di resistere fino a 100 metri di profondità. La Radwanska è l'ambassador principale, ma Rado è molto legato al mondo del tennis in generale: sponsorizza tanti tornei (Istanbul, Vienna, Eastbourne, Queen's, Birmingham e altri ancora), ha creato un'iniziativa YoungStars per aiutare alcune giovani promesse e altre sono già sotto contratto come Karen Khachanov, Jared Donaldson, Hyeon Chung. Insomma, dove c'è tennis, è molto probabile che ci sia anche Rado.

rado.com

BOVET / DAVID FERRER Si tratta di un legame di lunga data quello che unisce David Ferrer a Bovet 1822, e supponiamo anche molto stretto se il campione spagnolo porta il logo su entrambe le maniche della sua maglia da gioco. Un orologio dal look sportivo quanto esclusivo, tecnicamente appropriato e accurato, tende anche in questo caso a riflettere la personalità (anche sul campo) del suo testimonial. Vedremmo particolarmente bene David indossare il modello studiato in partnership con Pininfarina, per avere un tocco di moda italiano (dopotutto lui da anni veste Lotto). Questo modello è stato creato proprio per festeggiare le ottanta candeline di Pininfarina e l'edizione è estremamente limitata: solo 80 pezzi. O meglio, 79, perché uno è probabile che sia finito dalle parti di Valencia... bovet.com * I modelli indicati sono puramente indicativi. I testimonial potrebbero anche utilizzare un modello differente

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A DAY IN THE LIFE OF TOMMY ROBREDO

SE L’AMMAZZI FAI PARI perché un giocatore che i maligni chiamano boredo (noioso) e che in italia è definito di scarso talento, ha conquistato traguardi ai quali i nostri giocatori non si sono mai avvicinati negli ultimi trent’anni? lo abbiamo tallonato in una sua tipica giornata per scoprire l’intensità e la determinazione che mette in ogni singolo allenamento. anche ora che è alla soglia dei 34 anni. tra corse sul campo, esercizi in palestra, visite dal medico e sessioni di fisioterapia. senza tralasciare una stoccata ai tennisti italiani, «che trovano sempre una scusa per tutto: il campo, LE PALLE, il vento...»

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Tommy Robredo è nato a Hostalric, Spagna, il primo maggio 1982. In carriera ha vinto 12 titoli ATP, raggiunto 6 quarti di finale Slam, giocato un Masters, arrivato al n.5 ATP e guadagnato oltre 12 milioni di dollari in soli montepremi

dal nostro inviato a Barcellona, Lorenzo Cazzaniga reportage fotografico di David Aliaga

Ha vinto dodici tornei ATP e ha guadagnato la non non trascurabile cifra di dodici milioni, ottocentosettantasettemila e 526 dollari (va beh, lordi). In carriera ha raggiunto cinque volte i quarti di finale a Roland Garros e una allo US Open, rifilando tre set a zero a Roger Federer. Nel 2006 ha raggiunto il suo miglior ranking al numero 5 ATP ed è sbarcato nel Gotha del tennis mondiale qualificandosi per il Masters. Questa lunga serie di statistiche era doverosa per introdurre Tommy Robredo, un tizio che in Italia viene preso ad esempio sbagliato, come spesso accade nel nostro povero Paese, che ammira il talento ben più del sacrificio. «Se c’è riuscito Robredo ad arrivare fin lì, vuoi non ce la facciano anche i nostri migliori giocatori» hanno spesso ripetuto tanti addetti ai lavori, tra i quali (va riconosciuto) non quei giocatori che l’hanno affrontato sul campo. Il problema infatti, è che la storia racconta una vicenda diversa, perché, Adriano Panatta escluso, nell’Era Open nessun azzurro ha mai raggiunto risultati uguali, e solo Corrado Barazzutti avrebbe argomentazioni serie per un dibattito. Figuriamoci negli ultimi 30 anni, periodo nel quale nessun azzurro ha mai varcato la soglia della top 10 mondiale. Siamo dunque volati a Barcellona per capire cosa ha permesso ad un tizio che i maligni hanno definito Boredo (noioso) per il suo tennis non esattamente ricco di colpi di scena, di raggiungere risultati di questo spessore e mantenersi ad alti livelli per così tanti anni.

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Robredo ci accoglie mentre spreme una cassetta di arance, t-shirt dello sponsor di ordinanza e pantofole ai piedi. La casa non è esattamente una villa hollywoodiana e la piscina comune non ricorda quella di Beverly Hills 90210. Con me, ci sono David Aliaga, il fotografo che si è sobbarcato una levataccia da Valencia, e Cristina Clerici, manager dello sponsor Sergio Tacchini, che ha scelto Tommy come testimonial diversi anni fa, per dare nuova credibilità ad un brand storico, che negli ultimi anni ha vissuto vicende altalenanti. Siamo ad una ventina di minuti dal Barrio Gotico e dalla Catedral, in un quartiere tranquillo, lontano dal vociare delle Ramblas. Il luogo ideale dove rifugiarsi e quello dove parte il nostro stalking. Tommy è sorpreso dal fatto che ci incuriosisce la sua colazione. I comuni mortali infatti, pensano che qualsiasi azione della giornata di un campione di tennis sia inevitabilmente speciale, comunque diversa dalle nostre abitudini. Ridacchiando, Robredo ci mostra un classico succo d’arancia, un pane tostato intriso di marmellata e qualche carboidrato perché in mattinata non dovrà porgere le chiappe su una sedia davanti ad un computer per otto ore, ma muoverle veloci durante il suo allenamento, «contro un ragazzotto giovane, un russo, diventerà forte» ci preannuncia. È fiero del suo appartamento minimal, dove passa solo qualche settimana all’anno («Ma ora che invecchio tendo a saltare qualche lunga trasferta e godermi di più il piacere di stare a casa» dice con un principio di umanità) ed è il suo rifugio dove godersi le vittorie e riflettere sulle sconfitte. Ci accontenta quando gli chiediamo di vedere i suoi trofei: mi sorprende siano raccolti in una piccola stanza, messi sopra una mensola qualsiasi. Insomma, il sottoscritto vanta come highlights della sua carriera qualche titolo al Master della Brianza e ha sempre tenuto le sue coppe in bella vista, lui ne sembra quasi imbarazzato. Si lamenta solo del suo torneo di Barcellona che davanti ai reali mostra un trofeo gigantesco e poi al vincitore va una miniatura in scala 1:100. La Coppa Davis è messa nell’angolino, quasi si trattasse di un evento ormai passato, quasi dimenticabile. Ne conosco altri che la piazzerebbero a centro tavola e tutte le sere ci verserebbero dentro un paio di bottiglie di Cristal. Il tempo di una foto con l’Insalatiera (quale appassionato resisterebbe?) e parte la giornata-tipo di mister Robredo. Sacca pronta, la sua Peugeot parcheggiata fuori casa, un primo appuntamento

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mattutino col medico per verificare un piccolo problema fisico («Non c’è giocatore che non soffra di qualcosa: i giorni che ti alzi ed è tutto perfetto non sono così tanti e devi allenarti , giocare e lottare con quello che hai a disposizione quel dato giorno, senza troppe scuse» recita come fosse un mantra) e intanto noi lo precediamo al campo di allenamento. Niente super accademia, niente club glamour: finiamo a Gava, una piccola cittadina dall’altra parte di Barcellona. Una strada sterrata ci porta alla 4Slam Tennis Academy: il nome è figo, il luogo un filo meno. C’è una fila di campi in terra rossa, altrettanti in cemento, una palestra attrezzata Panatta Sport (giuro!), una sala di fisioterapia in cui ci stanno il lettino e il fisioterapista e una club house che ti raccomando. In questo club disperso da Dio, noto che i coach si chiamano Fernando Vicente (ex n.29 ATP) e Galo Blanco, ex n. 40 ATP, coach prima di Milos Raonic e ora di questo «ragazzotto giovane, russo, che diventerà forte”. E che all’anagrafe si chiama Karen Khachanov, ha 20 anni, è alto almeno un metro e 98 e l’aria di uno che vuole arrivare in alto. Ce lo conferma Oscar Serrano, il nuovo coach di Tommy. In Italia ce lo ricordiamo perché ha accompagnato Fognini nei primi anni da professionista. Poi ha rimesso una “vecchietta” come Lourdes Dominguez Lino (mai nome fu più appropriato visto il gioco che esprime la simpatica spagnola) tra le top 100 e ora è tornato nel circuito maschile: «Fra due anni tornerai in questo posto, ma per intervistare il ragazzotto» afferma sicuro Oscar. In ultimo, arriva il protagonista. Si infila in palestra dove il fisioterapista comincia a bendarlo ai piedi, un rituale costante, viste la precisione e la velocità con la quale viene eseguita l’operazione. Quindi parte il riscaldamento. Immaginavo non si trattasse dei classici 10 minuti di cyclette e cinque di stretching alla spalla,

Il rendimento in un torneo è figlio della sua preparazione: se ti alleni in maniera intensa, in partita giocherai in maniera intensa. Almeno, così succede per me. Poi forse Federer...

come accade al club, quando va bene e la tangenziale non ti ha fatto arrivare in ritardo. Qui, ogni specifica segue un programma preciso, compreso alzare un peso col braccio piegato, necessario perché il gomito non si infiammi e torni a far male. Passerà una mezz’ora abbondante prima di vedere Tommy uscire dalla palestra, racchette sotto braccio e cominciare a tirare qualche scambio. L’atmosfera è rilassata quanto concentrata: poco cazzeggio e tanta sostanza. Gli allenatori stanno al loro fianco e, di tanto in tanto, intervengono su qualche particolare. «Tommy non è un ragazzino ma anche alla sua età gli è utile confrontarsi con qualcun altro, sentire opinioni diverse, cercare nuove soluzioni. Aria fresca, insomma» sintetizza Serrano, che non deve cambiargli il movimento del servizio o del dritto ma mantenere viva l’attenzione e la voglia di un tizio che da oltre un decennio segue ogni giorno una routine precisa e ha guadagnato abbastanza da poter mollare tutto e vivere in piena serenità. Dall’altra parte, Galo Blanco ha un compito ben diverso, perché il ragazzotto picchia duro, fa male, ma è ancora figlio dell’incostanza giovanile e della tendenza russo-italiana, al lamento continuo: «Prova a giocare dieci minuti di fila senza dire un parola - lo invita con un certo piglio – e poi vediamo cosa succede». L’allenamento di Robredo è preparatorio al torneo di Dubai, dove si recherà la sera stessa, con il volo Emirates della notte. Il giorno dopo si troverà a seguire la stessa routine: succo d’arancia, pane tostato (anche se preparati da un hotel a cinque stelle), i piedi fasciati, il gomito da proteggere, l’allenamento da ripetere, solo a qualche migliaio di chilometri di distanza, sotto un caldo infernale e con la prospettiva di incontrare al primo turno il n.1 del mondo, Novak Djokovic. E per arrivare preparati quarantuno volte l’anno (cioè i match che Robredo ha giocato nelle ultime 52 settimane) bisogna che prima ciascun allenamento sia svolto con la medesima concentrazione: «Il segreto è questo – ci spiega, come se fosse la cosa più elementare della Terra - perché il tuo rendimento in torneo è figlio della sua preparazione. Non esiste un bottone che schiacci e di colpo ti trasforma. Se ti alleni in maniera poco intensa, finirai col giocare in maniera poco intensa. Almeno così succede per me. Forse Federer può permettersi qualcosa di diverso, ma se osservate un allenamento di Nadal, è come assistere ad un’esercitazione militare. Il tennis è uno sport onesto, perché ti restituisce quello


Alcune immagini di una tipica giornata di allenamento di Tommy Robredo: la colazione al mattino, la camera con i trofei vinti, compresa la Coppa Davis e i dodici titoli ATP, la preparazione prima di scendere in campo dove si è allenato alla 4Slam Tennis Academy nella piccola cittadina di Gava, quaranta minuti di auto dal centro di Barcellona insieme a Karen Khachanov, 20 anni a maggio, n.136 ATP. E poi ancora la seduta in plaestra, quella col fisioterapista e infine un po’ di relax a casa col computer.

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che gli hai dato. Per questo io mi alleno sempre con la massima concentrazione e serietà». Parole che andrebbero scritte sui campi delle nostre scuole tennis. A questo punto dovremmo ripescare Gilles Simon e la sua (corretta) teoria sul talento: «Prendiamo Feliciano Lopez: troppe persone confondono il talento con il cosiddetto bel gioco. E il bel gioco, non so perché, viene identificato col serve&volley. Quindi Lopez ha talento perché è un giocatore aggressivo al servizio e tocca molto bene la palla al volo. Anche se da fondo perde completamente il suo atteggiamento e diventa puramente difensivo: gioca solo il rovescio slice, arrota il dritto e di rimbalzo non fa mai un vincente. Smettiamola di dire che un giocatore ha o non ha talento. Ciascuno ha il suo». Quello di Tommy Robredo, suppongo, sta nella capacità di lottare su ogni punto. Non di ogni singolo match di ogni singolo torneo che gioca. Ma anche qui, a Gava, in una semplice sessione di allenamento contro un ragazzotto russo. Tra palleggi, schemi e un paio di set, si va avanti per un paio d’ore abbondanti. In un amen, Robredo si è levato l’uniforme da lavoro sui campi per infilarsi quella da palestra. Poche macchine («Quanto alzo di massimale? Nemmeno lo so, ma non granché. A tennis non si vince solo con la potenza»). Già, contano anche elasticità ed esplosività: per questo se ne sta seduto e comincia a tirar dritti e rovesci, solo che al posto di una palla gialla da 56 grammi, ne lancia una da un paio di chili verso il suo preparatore. E poi balzi, salti, allungamenti. Lo stesso streching finale, non è esattamente quello che si vede nei nostri club, che generalmente viene eseguito mentre si chatta con un amico o guardando le ragazze nelle pose di yoga più improbabili. Anche questo è portato all’estremo, pur se Robredo riesce a farlo passare come routine, e magari a discutere con l’allenatore da una posizione che a noi umani farebbe bruciare un muscolo. Non è che la sessione in palestra sia meno lunga di quella in campo, se ci aggiungiamo un po’ di tapis roulant per fare del fondo e qualche scatto all’aria aperta, di cui avrò ricordo ogni volta che gli vedrò raggiungere una smorzata, per quanto millimetrica. Terminata la fatica, si arrangia con quel che offre il ristorante della club house che, occhio e croce, non esibisce stelle Michelin. Una chiacchiera con coach Serrano, due battute con Vicente, un ragazzino che

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allunga un cappellino per l’autografo, e poi finisce sdraiato sul lettino del fisioterapista: «Ormai è una figura fondamentale – ci spiega -. In certi tornei è perfino più utile del coach! Certo, l’ATP ne mette sempre uno a disposizione, ma chi conosce bene il tuo corpo sa farlo lavorare al meglio». Ed ecco il fisio che spinge sulla coscia sinistra in quello che non appare esattamente il massaggio rilassante del venerdì pomeriggio. È solo allora, dopo un’altra oretta passata così, che vedo il viso di Tommy più rilassato, meno concentrato. Saluta la compagnia e il suo sparring (che a breve diventerà un vero avversario sul Tour perché nel frattempo è già salito alla posizione n.136 del ranking ATP), direzione casa. Lo ritroviamo sul divano, accanto a lui, la madre Dolores, che prova a coccolarselo un po’; la fidanzata l’avrebbe raggiunto più tardi, per un bacio prima di salutarlo per l’ennesima volta. È qui che lancia i messaggi più importanti, per i giovani ragazzi che si affacciano a questo sport: «Il tennis è una scuola di vita, devi imparare a lottare da solo e farti rispettare. Io per esempio, non avrei mai potuto giocare a calcio perché se fossi stato sotto 4 a 1 e Neymar mi avesse fatto tacco-e-sombrero, sicuro che l’azione dopo gli sarei andato duro sullo stinco». E proprio mentre ci lascia sulla porta, trova il tempo per dare una stoccatina a noi italiani: «I vostri giocatori sono forti. Prendi Fognini, è chiaro che ha più talento di me. Però i tennisti italiani hanno sempre una scusa per tutto: le palle, il campo, il vento. Anche Giorgio Di Palermo (membro del Board ATP), ogni volta che tira due scambi si lamenta di qualcosa. Pure lui! Credo sia questione di cultura sportiva». Ha ragione Tommy, che pure non credo abbia mai visto Palombella Rossa di Nanni Moretti quando diceva: «Così non ti vengono quelle spallucce vittimiste dei tennisti italiani, che perdono sempre per colpa dell’arbitro, del vento…». A me invece, resta impressa soprattutto una scena, durante l’allenamento sul campo. Khachanov serve una gran prima e comincia a tirar comodini (brutto

«I tennisti italiani hanno grande talento però trovano sempre una scusa per tutto: le palle, il campo, il vento...»

termine gergale, ma tant’è) a destra e sinistra. Tommy li rincorre come fosse la finale dello US Open; sbattuto tre metri fuori dal campo, alza l’ennesima palla in top spin e, all’ottava, nona, decima accelerazione, Khachanov la tira contro il telone di fondo, dove poco dopo finisce anche la sua racchetta. Galo Blanco scuote la testa. Dall’altra parte, Tommy sogghigna, pensando a quante volte gli è successo di tirar matto un avversario. E ti vien da pensare a quel pugile che arriva pesto all’angolo e chiede al suo secondo: «Come vado?». «Benissimo, se l’ammazzi fai pari!». Succede anche quando ti trovi a giocare cinque set contro Tommy Boredo.


Uno sguardo affettuoso tra Tommy e la madre Dolores. Il padre, Angel, lo ha chiamato cosÏ in onore di un album degli Who, pubblicato nel 1969. Robredo è cresciuto a Olot, nella provincia di Girona. E potrebbe tornare a vivere lÏ, al termine della carriera

THE STAFF Un giocatore professionista di un certo livello deve anche dotarsi di uno staff completo a livello tecnico, fisico e medico. Qui vediamo Tommy Robredo impegnato in una seduta col suo fisioterapista di fiducia Lluis Colomer e, a fianco, il sempre elegante coach Oscar Serrano, che lavora con Robredo dalla fine della scorsa stagione.

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A LEZIONE DA TOMMY ROBREDO

Inside In & Inside Out Quando ci si sposta a sinistra per colpire di dritto, è fondamentale il movimento delle gambe, che ci consenta di arrivare sulla palla in tempo utile per scegliere: inside in o inside out? by coach

OSCAR SERRANO

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ommy tende a spostarsi tanto dal lato sinistro per colpire di dritto. È il suo colpo migliore, quello che gli permette di muovere il gioco e tirare colpi vincenti. La stessa cosa accade spesso tra i giocatori di club, che generalmente hanno in questo colpo la loro arma più sicura. Quindi, più dritti riuscirete a colpire, più chance avrete di vincere. Però l’avversario potrebbe... non essere d’accordo! Per spostarvi a colpire di dritto dalla parte sinistra del campo, oltre a dover ricevere una palla non troppo veloce, dovrete essenzialmente essere rapidi con i piedi. Osservate lo spostamento laterale dei piedi di Tommy, soprattutto nelle immagini 6 e 7: spinge bene con l’avampiede per dare forza allo spostamento. Se le gambe non vi portano per tempo al punto ideale di esecuzione, il tutto diven-

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terà più complicato. Da notare che Tommy porta subito dietro e in alto la testa della racchetta (foto 4). Quindi, nella foto 10, osservate l’espressione del viso, quanto è pronto a tirar forte e nella foto 11 come mostra bene il tappo della racchetta, per dare una gran sferzata col polso e tirare forte con rotazione. Questo non riesce a tutti i giocatori di club, ma i ragazzini dovrebbero impararlo. Infine, in questo caso Tommy gioca un dirtto inside out (da sinistra verso destra): è il più utile perché ti apre il campo e finisce sul rovescio avversario. Ma quando l’avrete spostato fuori nel coriidoio e sarete arrivati bene con le gambe a colpire, potrete sempre decidere di cambiare direzione e chiudere con un dritto lungolinea da sinistra (inside in) che però dovrà essere definitivo, altrimenti sarà l’avversario a farvi correre al dritto verso destra. sequenza fotografica di David Aliaga



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NICK

HA IL TALENTO PER DIVENTARE UNO SLAMMER E PROBABILMENTE CI ARRIVERÀ. ANCHE SE PER ADESSO È CELEBRE SOPRATTUTTO PER IL SUO COMPORTAMENTO NON PROPRIAMENTE OXFORDIANO.

TRA LITI CON I COLLEGHI E FLIRT CON LE COLLEGHE, ECCO IL FENOMENO TANTO AMATO DAI RAGAZZINI CHE VUOLE SPEZZARE LE REGOLE DEL GIOCO. MA È DAVVERO LUI IL FUTURO DEL TENNIS?

DI FEDERICO FERRERO

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Niuck Kyrgios è nato il 27 aprile 1995 a Canberra (Australia) dove attualmente risiede. Ăˆ alto un metro e 93 centimetri per un pesoforma di 85 kg

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KYRGIOS

Un taglio di capelli e un dritto.

Prima di scoprire, insieme a tutto il mondo, che la chioma ossigenata di Andre Agassi nascondeva più che altro insicurezze e, soprattutto, il cranio di un campione, l’imperatore della sostanza Ivan Lendl era molto irritato. Detestava l’attenzione ossessiva che un giocatore dall’acconciatura punk suscitava pur avendo vinto, ai tempi, poco o nulla. E aveva scelto quella definizione, intrisa di disprezzo, per marcare una linea: nel tennis tu sei ciò che vinci, non ciò che metti in mostra ai fotografi. Altri tempi. Non che Connors e McEnroe non avessero sdoganato l’insulto, il gestaccio, la parolaccia e la volgarità greve nello sport nobile per eccellenza, per carità; ma identificare e vendere un giocatore come un brand non era ancora un concetto così ordinario fino alla rivoluzione estetica di AA, benché la società Img (International Management Group) avesse messo le mani sul Tour della racchetta dagli anni di Bjorn Borg, piegando pian piano il circo alla logica e alle esigenze del marketing selvaggio. Concetti che il colosso americano Nike, alla fine degli anni Ottanta, applicò in maniera fenomenale col (finto) punk Agassi e il suo completino giallo pappagallo, oggetto del desiderio per milioni di adolescenti. Proprio Agassi e la sua provocazione in senso opposto rispetto alla tesi del risultato-ugualefama («Image is everything», che poi in realtà era uno slogan che gli fu messo in bocca per un gioco di parole dai creativi della Canon in una pubblicità delle loro macchine fotografiche) hanno lanciato un concetto nuovo nello sport più reazionario dell’Occidente: tu puoi essere un numero uno a prescindere, anche molto prima di iniziare a vincere. Tu puoi diventare ciò che la gente vede in te: se piace, ciò che sembri diventa vero. E, soprattutto, si vende alla grande. Oggi si assiste a un fatto nuovo, simile alla rivoluzione agassiana; tutta un’altra storia, rispetto alle narrazioni contemporanee del classico Federer, del vitaminico Nadal, del robotico Djokovic: tre fenomeni mai visti nel tennis, le cui personalità e stili hanno fatturato centinaia di milioni di dollari, ma che sono rimaste sempre nel perimetro dell’ordinario. Anche se più che un fatto nuovo, si tratta del carisma di un ragazzo dal talento mostruoso: il tatuato, rasato, colorato, fluorescente australiano Nick Kyrgios.

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Ovviamente accasato Nike, Kyrgios nasce per essere tagliente, con dei lineamenti e un timbro vocale disegnati per attizzare l’attenzione, l’occhio a mezz’asta, le labbra piegate in giù, una smorfia naturale di noia mista a superiorità e disprezzo di ciò che sbircia dall’alto del suo metro e 93, ciò che esce modulato dal vocione si avverte come ancora più scorretto e provocatorio. La canotta con scaldamuscoli esibita a inizio 2016 (diciamolo chiaro: un incrocio mal riuscito tra una rivisitazione del look di Saranno Famosi, il telefilm anni Ottanta, e un occhiolino sommamente fuori luogo a un folkloristico corteo gender) ha trasceso il concetto di tamarro, che per il Garzanti è il «giovane di periferia che veste alla moda, ma in maniera volgare». Natura a parte, siccome la teoria di

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Lombroso è stata ampiamente smentita, Nick ci ha messo del suo anche nel resto: i capelli sconvolti da almeno dieci acconciature bizzarre, una serie di chincaglieria che forse neanche Rocco Pagliarulo in arte Hunt. E poi, la condotta: una breve carriera già zeppa di smargiassate da aitante buzzicone del rione disagiato. Kyrgios sta in campo come se il giudice glielo avesse imposto come pena sostitutiva al riformatorio. Si lamenta per qualsiasi sciocchezza, anzi, sembra cercarsi le grane. Ai cambi di campo, pare annoiarsi in attesa che il tennis diventi qualcosa di più divertente; tratta tutti come quello che è lì perché obbligato - e poi è troppo bravo ed esibizionista per non farsi piacere il fatto di essere ammirato - ma ci tiene a ribadire

il concetto: il tennis e le sue regole fanno schifo. Agassi lo confessò a carriera chiusa, che odiava il tennis, ma in campo abbandonò presto un vago atteggiamento giovanile di sufficienza per diventare l’atleta tra i più intensi che in quel decennio di suoi successi (approssimativamente il 1992-2002) si potesse ammirare. Il selvatico Nick, invece, non appena si è preso i primi scalpi clamorosi (Federer, Nadal) e si è guadagnato punti sul campo, ha preso a rendere parossistici quegli atteggiamenti di fastidio e di villania. Non lo ha mai nascosto, di vivere male la sua condizione: «Il tennis? Preferisco il basket. Non amo questo sport: sono stati i miei genitori a spingermi a praticarlo, anche se io andavo pazzo per la pallacanestro. E ancora oggi posso dire che non mi pia-


In carriera, Kyrgios ha (fino adesso) vinto un solo torneo ATP, lo scorso febbraio a Marsiglia e perso la finale all’Estoril nel 2015. Negli Slam, il miglior risultato sono i quarti di finale raggiunti a Wimbledon nel 2014 e all’Australian Open 2015. Ha già però sconfitto Rafael Nadal a Wimbledon e Roger Federer a Madrid. Il suo best ranking è al n.25 (giugno 2015)

ce granché». A priori, sembrerebbe un piano studiato per tenere lontani gli scocciatori. Alla prova della realtà, capita l’opposto: questo mix di indolenza, qualità di eccellenza e personalità trascina (verso il basso, ma tant’è) e provoca un effetto esplosivo sul mercato più ricettivo, quello dei giovani. I ragazzini possono apprezzare il rovescio lungolinea e pure certe intemperanze di Alex Zverev, possono restare perfino affascinati dalla maturità di Borna Coric ma, se impazziscono davvero, è per un altro. È per Nick Kyrgios. Lo adorano: guardano a lui come al capobranco della scuola, quello che sull’autobus fa scattare tutti in piedi e si sceglie il posto, quello che punta alla ragazza più carina della terza B e la annette mettendole un braccio (si spera) intorno alle spalle.

Il wild child di Canberra è un modello: ancor prima che giocare come lui, i ragazzi vogliono essere (come) lui. Come un rapper di successo, Kyrgios ha i suoi adepti: 172.000 seguaci su Twitter, presumibilmente non attratti dalla sua prosa. Lo idolatrano e sanno che, tra un primo piano della catenazza a 18 carati e un video del dritto sparato in corsa a 180 km/h, prima o poi leggeranno qualche bella web-scazzottata del loro idolo. Se il ribelle Andre Agassi, al massimo della foga, dava a Sampras della «scimmia appena scesa dalla pianta», ma in conferenza stampa e con fare ridanciano, al Master 1000 di Montreal del 2015 – sì, è quella storiaccia che tutti conoscono - l’australiano reagì a un set perso contro Wawrinka rivolgendosi così al microfono di bordocampo: «Kokkinakis si è fatto la tua ragazza, amico, mi spiace dirtelo». È un salto di qualità sociologicamente apprezzabile: dallo scherno alla Connors, che dava del testa di c**** all’avversario al cambio di campo, e dalle mattane di McEnroe e il suo «imbecille» al giudice di sedia, l’offesa 2.0 degli atleti nativi digitali torna a pescare nel repertorio delle commedie da quattro soldi: non lo scontro zotico (quantomeno, da pari a pari) ma il puro becerume sessista. Offendere la mamma, la moglie, la figlia. Wawrinka non è più un imbecille perché ti urla in faccia «Allez!» se fai doppio fallo: lo è perché ti ha vinto il primo set, e tu pensi bene di portare il match della volgarità al terzo, ricordando al mondo via microfono (ma dandogli le spalle) che non sta bene, per un trentenne sposato e padre di famiglia, farsi la storia con la diciannovenne, peraltro già passata per il letto del suo amico. Becero e attaccabrighe: se un giornalista social-compulsivo, per quanto altezzoso e francamente dimenticabile come il freelance del New York Times, Ben Rothenberg, scrive qualcosa di provocatorio non su di lui ma su Lleyton Hewitt, che pure si sa avere bocca e mani per rispondere da sé, la replica non richiesta di Kyrgios giunge rapida e accomodante, perché c’è materiale per accapigliarsi: «Rothenberg è il peggior giornalista di tennis in circolazione. Posa il c*** sulla sedia, amico». Su un elemento simile è ben comprensibile che gli sponsor, a caccia del miglior manichino su cui appendere

THE SOCIAL NICK

TWITTER 172.000 follower Il metodo che più gli piace per restare in contatto con i suoi fans. Dal suo account partono spesso frecciate non sempre educate e talvolta anche qualche chat che lascia intendere come le giocatrici (alcune piuttosto famose) non sembrino insensibili al suo fascino da bad boy

TWITTER 219.994 like Come tanti, è con il social più famoso e utilizzato al mondo che ha cominciato a parlare con tifosi e addetti ai lavori. Perché non si sottrae mai ad una discussione, tantomeno ad una polemica. Anche se adesso, per tutto ciò preferisce utilizzare i cinquettii.

INSTAGRAM 256.000 seguaci Il social che permette di postare soprattutto le immagini più significative. Con Kyrgios non si rimane delusi, come l’ultimo bellissimo servizio fotografico realizzato per Vogue, la più celebra rivista di moda del mondo, anche loro interessati al fenomeno NK.

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Kyrgios ha padre greco (Giorgos, imbianchino) e madre malaisiana (Norlaila, ingegnere, che ha perso il titolo di prncipessa una volta trasferitasi in Australia). È il terzo figlio (il fratello Christos è avvocato, la sorella Halimah un’attrice) e la sua grande passione è il basket: tifa Boston Celtics e i suoi giocatori preferiti sono Kevin Garnett e LeBron James, oltre al solito Michael Jordan.

la loro merce in giro per il mondo e in stadi sovrappopolati da telecamere, in vendita agli spettatori-clienti, si siano scatenati. Marketable, lo hanno bollato fin dalla pubertà: vendibile. Non terrà lezioni di bon ton ai liceali: chisseneimporta. E che il suo esserci, al di là del successo sportivo, potesse valere un sacco di soldi, glielo hanno fatto intendere chiaramente proprio alla Img, la società di un uomo d’affari, l’ex avvocato di Yale, Mark McCormack, che stravolse il tennis intuendo che le stelle della racchetta potevano diventare fonti di denaro clamorose, se trattate come i miti hollywoodiani e rese icone (tanto per capire che non sono chiacchiere, quando McCormack morì le sue azioni valevano 750 milioni di dollari). Ecco, Kyrgios non

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ha ancora avvicinato quei traguardi, eppure è già valutato 50 milioni nel giorno in cui, da presentare nel curriculum, ha il nulla anzi, il titolo appena vinto nell’ATP 250 di Marsiglia. Preveggenti, Nike e Yonex fecero firmare ai tutori legali della stellina bizzosa un contratto quando Nick aveva sì e no 16 anni e, tra i primi 100 al mondo, il suo nome non si era mai letto. Recentemente, Img ha preso quei contratti e li ha già fatti ritoccare e la rinegoziazione con Yonex è valsa più di quanto incassi Stan Wawrinka. Lui, i suoi due Slam e la quarta posizione nel ranking: perché Stan sarà anche The Man, ma fino all’Australian Open 2014 non vendeva nulla, e se vende lo fa perché vince e per nessun’altra ragione al mondo.

Se Kyrgios diventerà il simbolo del tennis, non cadrà il cielo né verremo invasi dagli alieni. Ma se il tennis aveva, o ha ancora, una riserva da difendere è proprio la sua anacronistica, finanche tenera volontà di rimanere aggrappato a tempi e a riti di secoli andati: il codice di abbigliamento, il linguaggio, le regole, i divieti. Chi arriva per innovare, spesso, passa per la strada della rottura. Ma la sua, finora, somiglia all’impresa del teppistello col secchiello di vernice da lanciare sul David. Non è arte, non è neanche ribellione. È soltanto immaturità, se si vuole rimanere indulgenti e non chiamarla col suo vero nome, che si potrebbe pescare agilmente dal vocabolario di Nick e lanciargliela contro.



WOMAN WE LOVE

MY GOD! Per popolarità e apprezzamento tra i giovani, è l’alter ego femminile di Nick Kyrgios. E pur senza essere il fenomeno che si credeva una volta raggiunta la finale di Wimbledon, Genie Bouchard resta la tennista più amata dagli appassionati. Why?

starring

Eugenie Bouchard testo

Federico Ferrero fotografie

Nike

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Eugenie Bouchard è nata a Montreal il 25 febbraio 1994. In carriera ha raggiunto la finale di Wimbledon e la semifinale a Roland Garros e US Open, tutto nel 2014, quando ha raggiunto la posizione n.5 del ranking WTA

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Simpatia, portami via.

Spostando in avanti l’accento, Eugenìa, si potrebbe continuare a comporre la filastrocca in rima e, perché no, ricordare più efficacemente che quel nome così sostenuto e curioso, sebbene affibbiato a una bambolona canadese di vent’anni e poco più, trova la sua radice nell’attico, il greco antico. Bella genìa, cioè nata bene, il significato. Ma fermiamoci qui. Anche perché, quando Eugenie Bouchard ha rifiutato di stringere la mano alla povera Alexandra Dulgheru, agli sgoccioli del sorteggio di un incontro di Fed Cup tra Canada e Romania, si è spezzato sul nascere il filone di narrazione della bella, brava e cortese donna rampante del circo WTA. Di più: chiamata a rendere conto del suo comportamento indubitabilmente villano, Genie ha ritenuto di spiegare quello sgarbo premeditato – era già successo l’anno prima, contro la Repubblica Ceca - con un ragionamento di logica piana: «Niente di personale con lei, è solo che non mi sembra il caso di augurare buona fortuna alla tua avversaria prima del match». Stringere una mano. Non servirebbe l’appoggio di una mente da Normale di Pisa per elaborare la differenza che corre tra tutela del fuoco dell’agonismo e una forma basilare di rispetto reciproco. Eppure. «Il posto giusto in cui cercare amici non è il tennis», ha chiosato la biondona: difficile, insomma, possa essere di interesse, per la graziosa Genie, un dibattito sulle forme dell’approccio tra appartenenti alla specie sapiens. Sicché converrà inquadrare la (ex?) primula del tennis sotto altri aspetti. Ricordate la diva che non vinse nulla? Anna Kournikova, cui la natura aveva regalato una bellezza mortificante (per tutte quelle che non la possedevano), veniva raccontata così: una fata che per hobby ed esibizionismo gioca quello sport fascinoso e sexy che è il tennis. La modella russa fu una tennista con la casella dei tornei vinti rimasta immacolata, senza che ciò le impedisse di conquistarsi la consacrazione a dea dello sport. Era tutto vero? Non proprio. Miss K, effettivamente, si ritirò nel 2007 con zero titoli. Ma

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un’indagine meno epidermica della sua carriera avrebbe mostrato altro: a sedici anni, si era qualificata per le semifinali di Wimbledon. A diciannove, aveva guadagnato punti sufficienti per diventare l’ottava giocatrice del mondo. Ebbene, nonostante le grazie di Eugenie Bouchard sembrino disegnate più da un cartoonist giapponese che non, come quelle della stellina russa, immaginate dallo sceneggiatore di James Bond, qualche paragone è lecito. La iperbionda canadese ha bruciato le tappe, incarnando la parte della campionessa-lolita che la stretta sulle regole del tennis minorile pareva aver cancellato per sempre. A 19 anni, semifinale in Australia; mesi dopo, semifinale a Parigi e finale ai

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Championships. Miglior ranking, numero 5. Quanti titoli? Non zero ma uno e, con ogni riguardo e deferenza, non proprio di quelli indimenticabili: l’International di Norimberga. Se il grosso della carriera di Genie sia stato già scritto a vent’anni o giù di lì, come capitò per Anna, è quesito che sarà meglio lasciare in sospeso; vero è che, quando Kournikova diventò un marchio, tutto sembrò macchinare per farle fiaccare le motivazioni per sudare e per vincere: contratti, spot, serate, vip, soldi. Si può paventare lo stesso pericolo per la graziosa Eugenia, benché tra l’annata 2014 e quella del rebound traumatico, il 2015 (con evidenti strascichi in questo 2016) ha fatto parlare di sé, più che altro, per

due questioni non propriamente tecniche. La prima è il notorio fattaccio di New York: inciampata negli spogliatoi di Flushing Meadows, si è procurata una commozione cerebrale le cui conseguenze hanno, in prima battuta, spinto Roberta Vinci ai quarti di finale e, nel lungo termine, rovinato quel poco che restava di una stagione già compromessa. Con un’iniziativa probabilmente legittima ma poco felice in termini di marketing, si è convinta a fare causa allo Slam americano. Anzi, alla federazione Usa come responsabile oggettiva. Ragione o torto che abbia, al pubblico del tennis è parsa più che altro una scusa per, mettiamola così, trovare un colpevole che raddrizzasse un anno penoso,


Eugenie Bouchard, seguita dai fedelissimi della Genie Army ovunque nel mondo, è anche la regina dei social (ora che Maria Sharapova è ferma ai box). Conta oltre un milione di “amici” su Facebook, 579.000 follower su Twitter e 855.000 seguaci che osservano da vicino le sue immagini su Instagram. Fuori dal campo, è una vera macchina da soldi

uno sfogo per spurgare gli insuccessi. Curando le ferite, magari, con quei milioni di dollari pretesi come indennizzo. La seconda questione è il malvezzo della sostituzione di coach alla maniera del cambio di abito. Come se, anche in questo caso, il problema abitasse sempre altrove, le colpe fossero sempre di qualcun altro. Fino al 2011, l’esperienza di Nick Saviano sembrava essere più che sufficiente. Invece no: in cerca di qualcosa di esotico, Eugenie decise di farsi seguire da tutt’altra figura, una ex finalista di Wimbledon non amata in patria, la francese Nathalie Tauziat, che le insegnò l’abc del gioco aggressivo. Alla separazione, tornò Saviano. Ma non durò, e venne sostituito da An-

tonio Van Grichen. Poi fu la volta di Sam Sumyk. Ora, tocca – fino a quando, non si sa – a Thomas Hogstedt. Passato fuori dalla portata dei radar, un fuggevole allenamento estivo con Jimmy Connors. In tanto caos, Bouchard sembra avere in pieno controllo la gestione del sé digitale. Indubbia fuoriclasse del web, Eugenie ha piena padronanza di ciò che oggi viene richiesto per amplificare successo e fatturato: bellezza, ricchezza, immagini accattivanti su Instagram con istantanee di vita di lusso alternate a qualche allenamento vagamente ammiccante, il primo piano su Facebook in compagnia della sua scarpina fluo che «ragazzi, cambierà il tennis» (e 17.000 e rotti fan, ci crediate o no, che hanno cliccato «mi piace» sulla fiducia). Come Anna K col piccolo Iglesias, Genie ha già sistemato l’asticella sopra i due metri: se potesse scegliere con chi uscire la sera, vorrebbe accompagnarsi con Justin Bieber, in una riedizione dell’indimenticabile «Una come me non te la puoi permettere», calato dalla Kournikova al massimo dello splendore. Dopo la firma con – manco a dirlo – Img, la ragazza è finita sotto contratto anche con Img Models, perché in lei hanno visto l’icona che trascende il risultato. «Sapranno massimizzare il valore del mio brand», ha commentato nell’occasione. Qualche iniziativa ha fatto flop: dopo aver firmato per la Coca-Cola, l’azienda aveva preparato una massiccia operazione pubblicitaria dedicata alle sue vittorie. In pieno filotto di primi turni, tutto il materiale preparato sfruttando la passione della Genie Army, il gruppo di seguaci più radicali, è stato ritirato. Genie si diverte a fotografarsi davanti al cartonato di se stessa nei centri commerciali, twitta azioni rallentate dei suoi colpi gagliardi, e pazienza se sul rettangolo non atterrano più dove vorrebbe; si presta per l’All Star Game di basket, regala viste mozzafiato dalle suite del Crown. Prima della disgrazia della squalifica, solo Maria Sharapova era stata così efficace e pervicace nel rendere se stessa una celebrità grazie al web. Nel frattempo, però, vinceva Slam e titoli WTA. Purtroppo per Eugenie, ormai neppure Saisai Zheng e Timea Babos si fanno impressionare dalle tonnellate di notorietà che hanno fatto di lei una popstar: paradossalmente, il perimetro del mondo in cui miss Bouchard è diventata più anonima è proprio quello del suo mestiere. E non basta un selfie ben riuscito per metterci una pezza.

THE SOCIAL GENIE

TWITTER 579.000 follower Come spesso piace ad una Very Important Person, cinguettare è il modo più facile per restare a contatto con i propri tifosi. Abbondano i selfie: pochi in allenamento, tanti alle feste o scattati dalle piscine degli hotel più esclusivi. Fino adesso ce ne ha regalati ben 2.422, per il piacere dei voyeur.

TWITTER 1.341.312 like Su Facebook cambia un po’ la strategia (già, è doveroso che Img abbia una strategia) e spuntano video in allenamento, spezzoni di partita, uno scambio feroce, le nuove scarpe Nike da presentare. Dopotutto, c’è un palcoscenico di oltre un milione di fan da accontentare. E a cui vendere qualcosa.

INSTAGRAM 855.000 seguaci Forse il social più cool tra quelli celebri, che permette di postare foto e video, e poche chiacchiere inutili. Qui c’è un mix di tutto: lo shooting offerto (o imposto) da Nike e foto di aerei privati, abiti da sera, uno scatto appena sveglia e, se Dio vuole, qualche amica.

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LIFE IS BIDI BADU


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1. Luna Tech Abiti 2. Luna Basic Reggiseni Sportivi 3. Luna Tech Pantaloni 4. Sylvie Tech Canottiere 5. Liza Tech Gonne 6. Bella Tech T-Shirt 7. Liza Tech Giacche 8. Kady Tech Pantaloncini 2 in 1

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BE BIDI BADU


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AND THE WINNER IS... Abbiamo chiesto a 57 dei migliori negozianti specializzati d’Italia di votare la loro top 5 nei settori racchette, scarpe, corde, palle, abbigliamento, digital, accessori, oltre al titolo di Brand of the Year. Tra conferme e sorprese, ecco i risultati finali. PER IL QUARTO ANNO CONSECUTIVO abbiamo realizzato la nostra indagine tra i migliori negozianti specializzati d'Italia, ai quali abbiamo chiesto di votare i top prodotti attualmente presenti sul mercato. L'importanza dei risultati di una votazione è direttamente proporzionale alla qualità della giuria, e chi può esprimere un parere più qualificato di chi ogni giorno alza la serranda e deve proporre agli appassionati racchette, scarpe, corde, palle, maglie, eccetera, eccetera? E difatti gli esiti sono sempre interessanti, uno specchio preciso di quanto sta accadendo sul mercato, delle sue tendenze, delle novità appena presentate. Quest'anno abbiamo anche, doverosamente, aggiunto due categorie: digital (visti gli innovativi prodotti appena usciti) e accessori. I risultati hanno offerto tante conferme perché alcuni prodotti sono rimasti al top del ranking come già negli anni precedenti, ma talvolta con delle gradite sorprese nelle posizioni immediatamente successive (pensiamo a Yonex che ha inserito due modelli nella top 10 delle racchette, con la EZONE DR 98 addirittura al quarto posto). Un settore, quello delle racchette, dove ha nuovamente trionfato la Babolat Pure Drive, il telaio simbolo degli anni 2000, davanti alla sorella Pure Aero, l'arma di Rafael Nadal. Così come grande conferma nel settore palle della Dunlop Fort All Court Select, con margini davvero ampi sulle inseguitrici. Nel settore corde, "purtroppo" comandano ancora i monofilamenti, laddove la maggior parte degli utenti (chiunque non sia un agonista di livello alto e molto ben allenato, che cambia le corde entro le 10 ore) dovrebbe utilizzare un multifilamento (come spieghiamo in un reportage svolto a casa Tecnifibre) oppure un ibrido, soluzione adottata dai top player ma evidentemente non troppo amata da negozianti e appassionati. In ogni caso, la RPM Blast è sempre padrona, con l'Alu Power di Luxilon in perenne inseguimento. Da notare la crescita, anche in termini di modelli proposti di Head e di alcuni brand meno conosciuti come Solinco e Starburn. Nel settore scarpe, la qualità dei modelli Asics è indubbia (seppur nell'ultimo periodo vi sono state strategie commerciali che non sono troppo piaciute ai negozianti italiani) e molto bene si sono comportate le due maggiori novità del settore: la Mizuno Wave Exceed e la Babolat Jet. Nel settore digital, c'è sostanziale parità tra Babolat POP e Sony Smart Sensor (ma ancora troppi negozianti hanno evitato la questione), mentre negli accessori, spicca il borsone di Nadal, ma va sottolineato il terzo posto di un prodotto tecnico come le Solette Noene. E mentre Nike continua a precedere tutti nel settore abbigliamento, il Brand of the Year 2016 è.... LA NOSTRA GIURIA Ecco l'elenco, in ordine alfabetico, dei 57 negozianti che hanno votato. Riteniamo che questa giuria sia quella in grado di offrire uno spaccato significativo del mercato del tennis in Italia. 15Zero (Sestu), Affi Tennis (Affi), A-Tennis (Lissone), L'Albero dello Sport (Lucrezia), Angelo Sport (Piacenza), Banny Sport (Moncalieri), Bartoni Tennis (Roma), Bassotto Sport (Cagliari), BT Sporting Shop (Caserta), Ca' Sport (Rivarolo Canavese), Cheli Sport (Lucca), Colombo Sport (Arluno), Danieli Sport (Foggia), Della Corte Sport (Torino), Dimensione Sport (Asti), Doctor Tennis (Milano), Doctor Tennis (Montecatini), Dolci Sport (Pescara), Eiffel59 Tennis Store (Casale Monferrato), Erreti (Siena), Frattini Sport (Carpi), Gazzotti Sport (Reggio Emilia),Gran Slam (Parma), Il Podio Sport (Cuneo), La Bottega del Tennis (Milano), La Griffe Tennis (Milano), LBJ Shop

(Cagliari), Linea Sport (Prato), Mauro Sport (Bergamo), Match Point (Cesena), Milano Tennis (Milano), Mirafiori Sport 2 (Pinerolo), Nake Sport (Milano), Nata Sport (Conegliano), New Match Point (Bassano del Grappa), New Tennis (Castellanza), Osa Sport (Cittadella), Punto Tennis (Canelli), Rapid String (Rivoli), Slalom Sport (Saluzzo), Sport Center (Lonate Pozzolo), Sport Margherita (Jesolo), Sport Time (Mantova), Tennis Corner (Firenze), Tennis Corner Club (Forte dei Marmi), Tennis Fun (Bologna), Tennis Land (San Giuliano Milanese), Tennis Mania (Nova Milanese), Tennis Player Program (Modena), Tennis Service (Torino), Tennis Warehouse Europe (www. tenniswarehouse-europe.com), Tennis-Point, Tennis World (Roma), Tennis World (Napoli), Top Tennis (Cremona), Tuttosport Banditella (Livorno), TuttoTennis (Musile di Piave).

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2014

2016

racchette OSCAR

BABOLAT Pure Drive

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er una volta, eravamo convinti che non ce l'avrebbe fatta, la Babolat Pure Drive. Pur rimanendo la racchetta simbolo del nuovo millennio, e dopo tre anni di dominio assoluto nei nostri Oscar, pensavamo che il fatto di non aver avuto un nuovo modello nel 2016 e che l'ultima versione ha in parte fatto discutere perché è apparsa meno facile, duttile e universale del solito, per spostarsi leggermente verso un pubblico più agonista, potesse far spazio a nuovi telai. In primis, ad un altro modello Babolat, la Pure Aero, l'arma di Rafael Nadal, un po' spuntata nelle mani dello spagnolo ma pur sempre di forte richiamo. Invece, nulla di fatto. Per il quarto anno consecutivo (su quattro anni che organizziamo le votazioni tramite i migliori negozi specializzati di tennis), la Pure Drive ha dominato il ranking finale con 236 punti, vale a dire il 23,1% dei voti totali assegnati. Quasi un quarto dei voti è dunque finito a questo telaio che non finisce di stupire e che, come dicono molti negozianti, «è quello che si vende da solo, con maggior facilità, meno rischi che possa non adattarsi al cliente e che in generale rende la vendita più elementare e meno impegnativa».

La sorpresa arriva però ai gradini del podio, al quarto posto, dove per la prima volta appare un modello che non fa parte dei Big Three: si tratta della Yonex EZONE DR 98, a conferma della qualità dei prodotti del brand giapponese che ormai da un paio di stagioni ha fatto un salto di qualità notevole in Italia. La conferma arriva anche dalla versione da 100 pollici (piuttosto interessante perché offre un modello dalle caratteristiche moderne, 100 pollici e 300 grammi di peso, con una sezione del profilo tradizionale e non tubolare) che si è piazzata nella top 10, precisamente al nono posto. La top 5 è chiusa invece da un altro telaio agonistico e di stampo classico, la Wilson Pro Staff 97, mentre appena dietro spiccano ben tre modelli Head, dal sesto all'ottavo posto: la Graphene XT Radical MP, la Graphene XT Speed MP e la Graphene XT Radical Pro. Head offre una lunga serie di linee (Radical, Speed, Extreme, Prestige, Instinct) e quindi è chiaro che votazioni e indice di gradimento vengono spalmati maggiormente. Una scelta comune con Wilson e ben diversa da Babolat, che invece vive di due linee principali (Drive e Aero) e che spera nel prossimo autunno di aggiungere quella Strike che al primo tentativo si è rivelata un mezzo flop. In generale comunque, volendo osservare la classifica per brand,

Per il quarto anno consecutivo, la Babolat Pure Drive ha dominato, raccogliendo quasi un quarto dei voti totali. Al secondo posto la nuova Pure Aero. Ma la vera sorpresa è la crescita dei modelli Yonex La novità, rispetto alla classifica dell'anno scorso, è che al secondo posto troviamo un'altra Babolat, appunto la Pure Aero. È ormai assodato che, quando esce il modello nuovo finisce con la medaglia d'argento, quando questo non accade, con quella di bronzo. Il distacco in punti non è nemmeno così esasperato e contenuto in un 5%, a dimostrazione che, pur con due sole linee, si può restare al vertice del mercato. Sull'ultimo gradino del podio, un grande classico, la Wilson Blade 98 (nella versione da 16x19). È incredibile come questo modello non sia nella top 20 mondiale delle vendite Wilson, e invece resti il bestseller in Italia, dove abbiamo ancora una grande fetta di mercato che ama i telai agonistici di stampo classico, dal profilo squadrato e non troppo allargato. Vale comunque la pena sottolineare come, ormai da alcuni anni, è stata decretata la fine degli schemi di incordatura 18x20, a favore del 16x19, che permette un'uscita di palla più veloce, maggior comfort all'impatto e una resa delle rotazioni indubbiamente ottimale.

Babolat raggiunge un confortante 43,3% dei voti totali, Head il 21,6% e Wilson il 18,7%. da notare come la sola Pure Drive abbia ottenuto più voti di tutti i modelli messi insieme di qualsiasi altro marchio. Per ben 38 volte su 57 infatti, un telaio Babolat è stato classificato al primo posto; la prima inseguitrice è Wilson con... 7. Va fatto notare anche che, nel calcolo generale di tutte le citazioni ricevute, indipendentemente dalla posizione in cui sono stati collocati i modelli, Babolat scende al 31,6% ma si mantiene al primo posto, davanti a Head (25%), Wilson (22,1%) e Yonex (13,3%). Se invece guardiamo al numero di modelli che sono stati votati per ciascun brand, al vertice della piramide c'è Head (9 modelli), quindi Wilson (8) e poi Babolat, Yonex e Pro Kennex (5). Quest'ultima si conferma anche come quinto marchio nazionale, su un livello di voti ricevuti del tutto simile a quello dell'anno scorso. Gli altri brand invece, sono pressoché inesistenti.

2015 / 1. BABOLAT PURE DRIVE GT 2. WILSON PRO STAFF 97 3. WILSON BLADE 98 2014 / 1. BABOLAT PURE DRIVE GT 2. BABOLAT AEROPRO DRIVE GT 3. WILSON BLX BLADE 98 2013 / 1. BABOLAT PURE DRIVE GT 2. HEAD YOUTEK GRAPHENE SPEED MP 3. BABOLAT AEROPRO DRIVE GT

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LA CLASSIFICA / TOP 10

01. BABOLAT Pure Drive GT

236 punti

02. BABOLAT Pure aero

190 punti

03. WILSON Blade 98

75 punti

04. YONEX EZONE DR 98

69 punti

05. WILSON Pro Staff 97

67 punti

06. HEAD Graphene XT Radical MP

57 punti

07. HEAD Graphene XT Speed MP

55 punti

08. HEAD Graphene XT Radical Pro

39 punti

09. YONEX EZONE DR 100

35 punti

10. WILSON Burn 100

29 punti

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2014

2016

palle OSCAR

DUNLOP Fort All Court Select

C

(peccato che in Italia si giochi poco sull'erba naturale!). Ma stiamo parlando comunque del 2,5% dei voti totali. Da notare che, subito dietro, ci sarebbe quello che abbiamo definito None, cioè nessuno, in quanto alcuni negozianti non sono arrivati a completare la top 5, in quanto ritengono che sia sufficiente un numero inferiore di modelli per accontentare la loro clientela.

E la Dunlop Fort raggiunge anche una quota record di 269 punti, superiore a quella della scorsa stagione (con due negozianti in più nella nostra giuria, va detto, il che rende il risultato sostanzialmente identico) e con un vantaggio piuttosto importante verso gli altri due modelli finiti sul podio: la Babolat Team (che si conferma seconda) con 182 punti e la Head ATP, terza con 158 punti. Sopra i 100 punti anche la Wilson US Open, mentre resta di un'unghia sotto la Dunlop Fort Clay, comunque in forte rialzo rispetto ai 64 punti raccolti la passata stagione. Un dominio dunque, quello di Dunlop, ampiamente previsto e che si conferma negli anni, senza che i competitor si avvicinino granché.

E in effetti, il mondo delle palle avrebbe bisogno di una rinfrescata, di un'idea nuova, se non proprio rivoluzionaria. Tuttavia, considerato che i margini di guadagno sono piuttosto ridotti (a guardare la catena azienda-negoziocircolo, l'unico che ci guadagna abbastanza è proprio... il circolo) è difficile pensare a grandi investimenti in termini di ricerca e sviluppo. Inoltre, le norme della federazione Internazionale sono piuttosto precise e diventa complicato anche per abili ingegneri, studiare qualche soluzione diversa. Riteniamo già importante che vi sia un maggior controllo di qualità in fase di produzione per evitare, come accaduto in passato, che troppi tubi di vari brand, presentassero al loro interno delle palle di qualità scadente. Un problema che per adesso pare non essere

ome per le racchette, grandi conferme anche nel settore palle, un risultato ancora più prevedibile in un settore dove da anni non si registrano grandi novità, con nuovi modelli che possono cercare di scalzare i leader. In assoluto, continua il dominio della Dunlop All Court Select, che conquista il primo posto per il quarto anno consecutivo, pareggiando quanto ottenuto dalla Babolat Pure Drive nel settore dei telai.

La Dunlop Fort All Court Select resta la palla preferita dagli appassionati italiani, ora che ha raggiunto standard qualitativi di primissimo livello. Inseguono Babolat Team e Head ATP, ma a debita distanza In generale, Dunlop ha raccolto il 35,9% dei voti totali, contro il 24,9% di Babolat (che ha visto incrementare l'indice di gradimento delle VS e può sempre contare sul modello Roland Garros che esprime un certo fascino col nome), il 17,9% di Wilson (che presenta tre modelli: US Open, Australian Open e Tour Clay) e il 15,5% di Head, che sostanzialmente si affida al modello ATP (a proposito, sapevate che nei Masters 1000, almeno quelli americani dove le palle Head sono ancora marchiate Penn, il modello destinato alle donne è leggermente più ridotto di diametro per renderle più veloci? Una scelta saggia e infatti a Miami si sono visti match femminili molto gradevoli e ricchi di colpi vincenti. Chissà che un giorno non si arrivi ad avere questa distinzione anche nella vendita al dettaglio). Il resto della truppa praticamente non esiste, visto che il quinto brand, con 24 voti, è Slazenger, col modello Wimbledon 2015 / 1. DUNLOP FORT ALL COURT 2. BABOLAT TEAM 3. HEAD ATP 2014 / 1. DUNLOP FORT ALL COURT 2. BABOLAT TEAM 3. HEAD ATP 2013 / 1. DUNLOP FORT ALL COURT 2. HEAD ATP 3. BABOLAT TEAM

74

più così grave ma che la delocalizzazione in Cina di certe produzioni potrebbe riportare alla luce. In ogni caso, per adesso la situazione sembra essersi assestata e con un solo brand al comando. Tornando ai nostri numeri, la palla Dunlop è stata votata al primo posto in ben 35 occasioni su 57, cioè oltre il 60% dei casi, una sorta di plebiscito. A inseguire, Babolat con 14 primi posti e Wilson con 4. Se invece allarghiamo la ricerca a tutte le citazioni, indipendentemente dalla posizione in cui il modello è stato collocato, allora la situazione cambia e per l'unica volta Dunlop (71 citazioni) si è vista avvicinare da Babolat (69) e Wilson (61), a conferma di quello che abbiamo detto prima: il mercato offre pochi marchi tra i quali scegliere. E difficilmente la situazione cambierà in qualche modo a breve termine.


LA CLASSIFICA / TOP 10

1. DUNLOP Fort All Court Select

269 punti

2. BABOLAT Team

182 punti

3. HEAD ATP

158 punti

4. WILSON US Open

134 punti

5. DUNLOP Fort Clay

99 punti

6. BABOLAT Roland Garros

43 punti

7. BABOLAT VS

30 punti

8. WILSON Australian Open

26 punti

9. SLAZENGER Wimbledon

24 punti

9. WILSON Tour Clay

24 punti

75


2016

scarpe OSCAR

ASICS Gel Solution Speed 3

C

ome negli anni scorsi, il dominio Asics resta incontrastato, con la conferma del sorpasso della Gel Solution Speed (giunta alla terza edizione) nei confronti della Gel Resolution (alla sesta edizione), come peraltro già accaduto un anno fa. Ma se la passata stagione si era trattato sostanzialmente di un pareggio in casa ( 259 punti a 253), quest'anno il divario è stato nettissimo, a favore della calzatura più leggera, fattore che indica una tendenza ormai consolidata perso le versioni light piuttosto che quelle più pesanti (anche se magari più protettive). Insomma, il comfort prima di tutto, soprattutto perché la scarpa viene scelta direttamente in negozio e la prima calzata è fondamentale nella scelta del prodotto. Da questo punto di vista, la Solution Speed non teme alcun confronto. Anzi. Va notato anche come il binomio made in Japan (anche se le calzature sono prodotte tra Cina, Vietnam e Indonesia e ancora non ci è perfettamente chiaro se escano perfettamente uguali da ciascuna fabbrica e comunque secondo diversi negozianti la calzata è leggermente cambiata, al punto che la possibilità di provarle diventa una scelta quasi obbligata) abbia quasi battuto tutto il resto della concorrenza messo insieme. Infatti, sommando i voti ricevuti da

ondata, visto che è rimasta nella top 5 generale, anche se qualcuno (forse troppo ottimisticamente) pensava potesse già avvicinare in maniera sostanziale i modelli Asics. Per quello c'è bisogno ancora di tempo. Per questo il titolo di sorpresa dell'anno non può che finire nelle mani di Babolat che con la sua superleggera Jet, con l'inserto in kevlar per la tomaia e tanti piccoli accorgimenti a favore di un comfort assoluto, si è classificata al quarto posto, per nulla lontana dalla "Federer". Considerando che i precedenti modelli Babolat non avevano esattamente entusiasmato (anche perché l'anno scorso era addirittura stato fatto un passo indietro con la Propulse, rispetto alla versione precedente), uscire con un nuovo prodotto e sistemarlo subito ai piedi del podio, è un grande successo. Soprattutto perché sono arrivate nei negozi da un paio di mesi scarsi e quindi non per tutti c'è stata la possibilità di verificare appieno il potenziale di questo prodotto, che sicuramente rappresenta il presente, ma soprattutto il futuro del marchio francese in questo settore. A seguire, l'Hypercourt di K-Swiss, una grande scarpa che

La Gel Solution Speed ha superato la sorella maggiore, la Resolution 6, ma è in generale che Asics domina con quote bulgare. Dietro sempre Nike, tallonata da Babolat. In attesa del... Boost di Adidas Solution e Resolution, si arriva al 47% del totale, una sorta di dominio assoluto, senza quasi avversari. A rincorrere, come già l'anno scorso, la Nike Zoom Vapor 9.5, in sintesi la calzatura indossata da un certo Roger Federer. Il gap è rimasto sostanzialmente quello, anche se quest'anno ha sfiorato la fatidica quota dei 100 punti. Il divario resta però incolmabile, visto che parliamo di meno della metà dei voti della seconda classificata e quasi un terzo rispetto alla prima. A seguire, le prime novità di un mercato che finalmente sta offrendo qualcosa di nuovo. C'era grande attesa soprattutto per le nuove Mizuno Wave Exceed, visto che parliamo di un brand specifico di scarpe e che nel settore running sta facendo piuttosto bene, essendo uno dei leader di mercato, soprattutto in termini qualitativi. Ebbene, non ci si può lamentare della prima

avrebbe bisogno di una maggior spinta perché siamo convinti che i margini di crescita sono ancora piuttosto ampi. Comunque precede un grande classico come le Yonex SHT Pro, che ormai sono sul mercato da diverso tempo ma evidentemente hanno incontrato i favori di negozianti e appassionati. Poi arrivano due modelli di Adidas, che ora ha un nuovo distributore per i negozi specializzati (la Advanced Distribution) e che sicuramente ci aspettiamo l'anno prossimo su livelli di classifica più alti. Nel frattempo comunque, piazza due modelli nella top 10: la classica Barricade e la nuova Ubersonic, in attesa che la tecnologia Boost faccia un vero... boom anche nel mondo del tennis. Le premesse tecniche ci sono, vedremo la reazione dei negozianti. Fa piacere notare come nella top 10, al nono posto, ci sia spazio anche per un brand italiano come Lotto, con la sua Stratosphere Speed.

2015 / 1. ASICS GEL SOLUTION SPEED 2 2. ASICS GEL RESOLUTION 6 3. NIKE VAPOR 9.5 TOUR 2014 / 1. ASICS GEL RESOLUTION 5 2. ASICS GEL SOLUTION SPEED 2 3. NIKE VAPOR 9.5 TOUR 2013 / 1. ASICS GEL RESOLUTION 5 2. ASICS GEL SOLUTION SPEED 3. NIKE VAPOR 9 TOUR

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LA CLASSIFICA / TOP 10

01. ASICS Gel Solution Speed 3

279 punti

02. ASICS Gel Resolution 6

211 punti

03. NIKE Zoom Vapor 9.5 Tour

99 punti

04. BABOLAT Jet

86 punti

05. MIZUNO Wave Exceed

75 punti

06. K-SWISS Hypercourt

36 punti

07. YONEX SHT Pro

35 punti

08. ADIDAS Barricade 2016

32 punti

09. LOTTO Stratosphere Speed

27 punti

10. ADIDAS Adizero Ubersonic

20 punti

77


2016

corde OSCAR

BABOLAT RPM Blast

L

leggermente diverse. Ma tant'è, poi anche il negoziante più preciso, preparato e paziente deve fare i conti con la volontà del cliente, e quindi eccoci ancora una volta a festeggiare la vittoria di due monofili, con il Babolat RPM Blast che ha staccato notevolmente l'Alu Power (anche se entrambi, parziale soddisfazione hanno perso qualche manciata di punti).

I monofilamenti, non ci stancheremo mai di ripeterlo, sono destinati ad un pubblico di agonisti, ben allenati e disposti a cambiare le corde (anche se non si sono rotte) ogni dieci ore circa, perché la perdita di tensione e, in generale, delle loro caratteristiche, è talmente rapida da influenzare negativamente la vostra prestazione, rispetto a quando sono state appena montate. Per questo motivo, i

A inseguire, i due migliori multifilamento del mercato, il Babolat Xcel e il Tecnifibre X-One Biphase, a testimonianza che qualcosa si sta muovendo in questo senso e che il gap, prima o poi, verrà colmato a dovere. In quinta posizione, la prima vera novità, la Head Lynx, che fa parte di quella nuova nicchia di mono-multi, come sono stati definiti in gergo, cioè monofilamenti più morbidi, che cercano di creare una via di mezzo fra le due categorie. È piaciuta fin da subito e ha scalato una posizione rispetto al ranking dell'anno scorso, scalzando la Tecnifibre Black Code che però, va ricordato, già di suo si è... spezzata in due creando la Black Code 4S. Mettessimo insieme i punti dei due modelli, sarebbe ancora nella top 5, a conferma che si sta comunque cercando di lavorare su nuove soluzioni (la nuova

o ammettiamo: speravamo in un risultato diverso. Niente contro la Babolat RPM Blast e la Luxilon Alu Power, che per il quarto anno consecutivo si classificano ai primi due posti del ranking, ma perché nella nostra battaglia anti-monofilamento, speravamo già in qualcosa di meglio. Anche se qualcosa si è mosso. Ora, non è nostra volontà demonizzare oltremodo i monofilamenti ma cercare di spiegare al meglio quale categoria di appassionati dovrebbe utilizzarli e quale invece evitarli come la peste (per questo stiamo preparando entro fine anno anche un poster-corde da visionare nei negozi specializzati per scegliere al meglio non marca e modello di corda, ma soprattutto la categoria.

Babolat RPM Blast e Luxilon Alu Power restano un bel passo davanti a tutti, anche se i multifili cominciano a farsi sentire. Presenti anche brand meno conosciuti ma molto performanti come Solinco e Starburn professionisti che guadagnano di più, cambiano telaio ad ogni cambio palla, qualcuno più parsimonioso alla fine di ciascun set. E comunque, ogni anno investono fior di quattrini tra corde e servizio incordature che, ricordiamo, nei tornei pro varia da 15 a 30 euro di uno Slam, e non dai 5 ai 10 come avviene nei nostri negozi, benché la professionalità sia spesso identica (perché alla fine anche nei tornei dello Slam vanno a incordare personaggi che... lavorano in negozio nel resto della stagione). Invece, troppo spesso le corde monofilamento finiscono per essere utilizzate da chi potrebbe e dovrebbe affidarsi ad armeggi più adatti al loro livello di gioco e alla forza del loro braccio. Soprattutto per quanto riguarda i ragazzini, negli Stati Uniti è quasi un divieto utilizzare dei monofili prima dei 12 anni, mentre in Italia talvolta devi insistere perché un bimbo vuole la corda di Nadal, benché le caratteristiche fisiche siano

Wax di Tecnifibre sarà un monofilamento più tenero nelle intenzioni e che è appena arrivato sul mercato) per trovare i giusti equilibri tra comfort, rotazioni, potenza, controllo. Perché la cosa più difficile è trovare il set-up giusto visto che le condizioni di gioco possono cambiare notevolmente (outdoor o indoor, con vento o senza, palle nuove o usate). Ogni tanto anche cambiare, oltre che a stimolare il divertimento, aiuta anche ad adattarsi alle varie situazioni. In ultimo va segnalato la presenza di brand specifici di corde, magari un po' meno conosciuti al grande pubblico ma che stanno performando piuttosto bene, come Solinco (ottimo il nuovo Hyper-G) e Starburn, che ha una gamma infinita di corde tra le quali scegliere. L'importante è avere ben chiaro le caratteristiche che desideriamo. E seguire i consigli degli esperti del settore.

2015 / 1. BABOLAT RPM BLAST 2. LUXILON ALU POWER 3. BABOLAT XCEL 2014 / 1. BABOLAT RPM BLAST 2. LUXILON ALU POWER 3. HEAD SONIC PRO 2013 / 1. BABOLAT RPM BLAST 2. LUXILON ALU POWER 3. LUXILON 4G

78


LA CLASSIFICA / TOP 10

01. BABOLAT RPM Blast

214 punti

02. LUXILON Alu Power

149 punti

03. BABOLAT Xcel

67 punti

05. TECNIFIBRE X-One Biphase

55 punti

05. HEAD Lynx

35 punti

06. LUXILON 4G

29 punti

06. TECNIFIBRE HDX Tour

29 punti

06. WILSON Revolve

29 punti

09. WILSON Sensation

26 punti

10. TECNIFIBRE Black Code

24 punti

79


2016 abbigliamento OSCAR

NIKE

T

utto uguale. Passano gli anni ma il ranking resta sempre quello, immutevole anche nella minima posizione, almeno per quanto riguarda il podio. Comanda sempre Nike, benché non tutti gli specializzati se la possono permettere. Ma quando hai come testimonial Roger Federer, Rafael Nadal e Serena Williams, difficile perdere in un settore dove l'aspetto fashion è ancora prioritario. E difatti il distacco sul resto del gruppo resta importante benché Adidas abbia rosicchiato una manciata di voti, grazie alla nuova distribuzione di Advanced Distribution nei punti vendita specializzati e, ne siamo convinti, il brand delle tre strisce ha margini notevoli di progresso, soprattutto dovesse ritrovare un super testimonial come erano Novak Djokovic e Andy Murray e come promette di diventare Alexander Zverev, il miglior prospetto giovane del circuito mondiale (e che non tarderà ad arrivare nelle posizioni alte del ranking mondiale).

monial, magari total look con il telaio. Chiude la top 5 un altro marchio made in Italy (e finalmente la nostra moda si fa sentire anche nel mondo del tennis) e si tratta di un marchio abbastanza nuovo e che nel corso degli ultimi anni ha fatto molto parlare di sé. Parliamo chiaramente di Hydrogen e del suo teschio, finito sul petto di Dustin Brown prima, di Simone Bolelli adesso e con la ferma intenzione di non fermarsi qui, soprattutto perché il mercato italiano (ed europeo) comincia ad andar stretto e c'è voglia (e possibilità) di testare mercati più ampi per i quali servono testimonial doc.

Sull'ultimo gradino del podio la prima sorpresa perché troviamo finalmente un marchio totalmente made in Italy come Australian, che magari non può avere testimonial

Nella seconda parte del ranking, due brand tipici di abbigliamento: Asics e Lotto. La prima non riesce a raggiungere nel settore apparel la qualità indubbia delle calzature,

Nel frattempo, ci fa piacere notare il balzo dalla nona posizione del 2015 alla quinta posizione del 2016, un salto in avanti per nulla scontato, considerando anche la politica commerciale che tende a selezionare con cura i negozi dove inserire il prodotto. Scelte accurate che evidentemente stanno pagando. Complimenti.

I completi di Roger Federer, Rafael Nadal e Maria Sharapova restano quelli maggiormente apprezzati. La piacevole novità è la presenza nella top 10 di un marchio giovane e accattivante: Hydrogen globali di un certo peso come in passato (vi ricordate Ivan Lendl e Petr Korda, tra gli altri?) ma che con scelte stilistiche che hanno ben mixato il classico con tenute più azzardate, è finalmente riuscita a salire sul podio del nostro ranking.

nonostante un testimonial che in tanti invidiano come Gaël Monfils, mentre Lotto resta più o meno stabile sulle sue posizioni, senza grandi acuti, né cadute, in attesa magari di sfornare qualcosa di particolare che possa colpire il pubblico italiano.

Australian ha scalzato (per la verità di mezza lunghezza, lo 0,5% sui voti totali), Babolat che comunque resiste (quasi inconsapevolmente) a rimanere nella top 5 generale: il marchio francese sfrutta la forza e la serietà della sua immagine, nonostante la collezione non sia super e manchino testimonial di prestigio. In questo caso, soprattutto essendo il quarto anno che si piazza in ottima posizione, dobbiamo necessariamente parlare di forza di un brand, riconosciuto in maniera molto positiva dagli specializzati. In attesa che si trovi uno sbocco anche a livello di testi-

Subito dietro Head e Under Armour (quest'ultimo un brand che sfrutta ben poco in Italia il suo enorme potenziale e un testimonial del calibro di Andy Murray, ma par di capire che il mondo del tennis non sia una priorità), mentre un trio chiude la top 10 a pari merito: Joma, che sta crescendo non poco, Wilson e Sergio Tacchini, che quest'anno festeggia i 50 anni dalla sua creazione per mano del Cavalier Sergio e che ha finalmente aggiunto la collezione donna. Una crescita costante e mirata quella di Sergio Tacchini che presenta ancora notevoli margini di progresso.

2015 / 1. NIKE 2. ADIDAS 3. BABOLAT 2014 / 1. NIKE 2. ADIDAS 3. BABOLAT 2013 / 1. NIKE 2. ADIDAS 3. BABOLAT

80


LA CLASSIFICA / TOP 10

01. NIKE

228 punti

02. ADIDAS

153 punti

03. AUSTRALIAN

108 punti

04. BABOLAT

104 punti

05. HYDROGEN

69 punti

06. ASICS

60 punti

07. LOTTO

46 punti

08. HEAD

45 punti

09. UNDER ARMOUR

41 punti

10. JOMA

31 punti

10. SERGIO TACCHINI

31 punti

10. WILSON

31 punti

81


2016 DIGITAL OSCAR

BABOLAT POP

È

una delle due nuove categorie che abbiamo inserito da quest'anno nei nostri Oscar (insieme agli accessori) e certamente quella che destava maggior curiosità. Parliamo del settore digital, che è letteralmente esploso quando Babolat ha presentato la prima racchetta connessa (la Play), a cui ha fatto seguito la risposta di (quasi) tutti i brand concorrenti che hanno sfruttato gli studi e l'omniscienza in questo settore della Sony per adattare i loro telai al Sony Tennis Smart Sensor. Da lì è cominciata la battaglia, con qualche altro brand che ha provato a far da terzo incomodo, senza peraltro riuscirci. Ora, al principio pareva che Sony dovesse fare un sol boccone delle scelte Babolat perché aveva degli indubbi vantaggi, in particolar modo quello di potersi adattare ad un gran numero di telai, di non essere obbligati ad acquistare insieme telaio e sensore e soprattutto di poter implementare un video nella propria applicazione, un'opportunità che in effetti può fare la differenza in termini di appeal nei confronti dell'appassionato. La Sony ha dunque creato qualcosa che sembrava dovesse mettere quasi in soffitta la Babolat Play, o quantomeno rivedere i piani strategici di monsieur Eric Babolat che aveva dichiarato che

quando si gioca) e agisce con qualsiasi racchetta si stia impugnando. Individua che tipo di colpo avete eseguito, la velocità dello swing, la rotazione della palla. Non presenta tutti i dettagli della Play (per esempio l'impact locator, cioè la zona del piatto corde dove si è colpito) ma è molto più semplice da utilizzare, immediato nella conoscenza delle piccole informazioni che servono per attivarlo e in generale più comodo. Perché se è vero che il video che offre il Sony Smart Sensor è un plus non indifferente, è altrettanto vero che ogni volta armarsi di iPad o videocamera per riprendersi, non è uno scherzo. L'immediatezza è dunque il vantaggio principale di questo Babolat POP (oltre ad un prezzo decisamente più contenuto, un aspetto che non va mai sottovalutato) che gli ha permesso di vincere il nostro Oscar 2016, anche se mai come in questa occasione dovremmo parlare di pari merito perché la differenza col secondo classificato, il Sony Smart Tennis Sensor, è davvero minima, inferiore addirittura all'1% sul totale dei voti. Ma, a conferma che ancora è un mondo nuovo dove gli aggiornamenti sono continui e ancora non vi è una chiarezza totale, anche la Babolat Play è rimasta incollata, distante meno del 4% dei voti totali rispetto al POP.

Il Digital Tennis diventerà una realtà importante del mercato. Per adesso i tre prodotti principali convincono (quasi) allo stesso modo, ma ancora troppi negozianti si sono astenuti da un giudizio tutti i modelli della sua azienda sarebbero stati connessi entro il 2020, seppur lo scetticismo non fosse del tutto assente. E in effetti i presupposti erano questi, anche perché il progetto Sony prevede un'espansione in tantissimi sport (il tennis sarebbe stato preso come disciplina pilota) e quindi ci si immagina anche che lo strumento possa compiere dei progressi importanti in tempi piuttosto brevi e che le prossime versioni proporranno dei tools incredibili. Dopotutto, se la mettiamo sul piano della tecnologia, chi potrà mai vincere tra un'azienda leader in quel settore e un'altra che invece si occupa sostanzialmente di racchette, palle, corde e scarpe da tennis? Ebbene, Babolat ha tirato fuori dal cilindro un coniglio niente male, che ha chiamato con un nome semplice da ricordare ma accattivante: POP. Un braccialetto (ormai dal lancio dell' iWatch vanno molto di moda) che si può tranquillamente infilare al polso (è molto leggero e non infastidisce minimamente CATEGORIA NON PRESENTE NEGLI ANNI SCORSI

82

Tuttavia, il dato forse più interessante (e per adesso preoccupante) è quel 21,8% di astensionismo, una percentuale davvero troppo alta e che sta a significare che ancora non tutti gli specializzati si sono resi conto delle possibilità che offrono queste nuove tecnologie (o non dispongono di ricarichi sufficienti, come qualcuno ha fatto notare, considerando il tempo che è necessario per spiegare il prodotto, spingerlo e promuoverlo). Chiaro che la tendenza, non solo nel tennis, ma nello sport e nella vita in generale, è quella di monitorare la propria attività, ma ancora il digital tennis non ha convinto appieno. Anche perché i dati che offrono questi sensori sono ancora abbastanza lontani dalla realtà: verificare un percorso di running è piuttosto semplice, riuscire a fare lo stesso con dei gesti che sono quasi sempre diversi, come accade nel tennis, è più complicato. E gli ingegneri dovranno davvero trovare soluzione geniali per venire a capo di questo problema.


LA CLASSIFICA / TOP 10

01. BABOLAT POP

235 punti

02. SONY SMART TENNIS SENSOR

228 punti

03. BABOLAT PLAY

204 punti

04. NESSUN VOTO

188 punti

83


2016 ACCESSORI OSCAR

BORSONE PURE AERO

È

la seconda novità, in termini di categoria di prodotto, di questi nostri Oscar 2016: gli accessori. Spesso poco considerati (quante volte, all'acquisto di un prodotto doc come una racchetta o una scarpa, vi viene regalato un overgrip, un anti-vibrante o qualcosa di ancora più costoso, quasi invece non avesse valore), noi abbiamo voluto restituire dignità a prodotti che in certi casi sono veramente accessori, ma che in altri hanno un valore tecnico per nulla indifferente e che aiutano a migliorare la prestazione in campo o comunque a rendere più confortevole e piacevole l'esperienza di gioco. Il primo posto se lo è aggiudicato il portaracchette Babolat Pure Aero, in sostanza quello di Rafael Nadal, che evidentemente, nonostante sia ben lontano dagli standard a cui ci aveva abituati, continua ad avere un seguito notevole tra gli appassionati. Va anche detto che generalmente si sceglie il portaracchette del telaio appena acquistato, e la Pure Aero è stata la grande novità del 2016. Naturale quindi che questo accessorio finisse col vincere la classifica. Non che sia stata una passeggiata come in altri settori.

permesso di creare un rapporto di stima e fiducia con i negozianti, situazione non semplice ma che sta alla base di una buona collocazione sul mercato. Funzionano bene le solette da un millimetro (le Invisible) ma ancora di più le AC2 che sostituiscono quella in dotazione con la scarpa, non sempre un prodotto top. A pari merito con le solette Noene, un altro portaracchette, questa volta abbinato a... Roger Federer. E non poteva essere altrimenti. Certo, la Pure Aero si vende in maniera maggiore rispetto al telaio di Federer, destinato solo ad un pubblico di grandi agonisti, ma i suoi tanti fans non vogliono rinunciare quantomeno... al borsone di RF. Un Federer che precede nella top 5 generale l'overgrip Tournagrip, un must per i veri appassionati. Usatissimo ancora a livello pro, è quello mitico azzurro che già Pete Sampras utilizzava negli anni 90. Le capacità di assorbimento sono notevolissime, il comfort assoluto: ha un solo difetto, cioè che non dura granché e bisogna sostituirlo con una certa frequenza. Se potete permettervelo, l'overgrip migliore del mondo.

Nadal batte Federer (almeno col portaracchette), ma soprattutto sul podio troviamo un prodotto tecnico come le solette Noene, in forte crescita. Altri due must nella top 10: grip Fairway e Tournagrip Non vicinissimo, ma nemmeno così lontano, un altro accessorio Babolat, l'overgrip Original, che piace perché lo usano i campioni e perché è sottilissimo e quindi non varia assolutamente lo spessore dell'impugnatura. Certo, non è tra quelli più resistenti e generalmente viene offerto in bianco (assorbe meglio il sudore ma inevitabilmente si sporca prima), ma intanto è uno dei prodotti top che offre il mercato in questo specifico settore. Ci fa piacere invece, notare che al terzo posto si sono classificate le solette Noene, un prodotto altamente tecnico che sta riscontrando sempre maggiori consensi, tra gli appassionati che soffrono di un qualche problema a muscoli e tendini, tra coloro che vogliono prevenirli e tra gli stessi negozianti specializzati, perché è un prodotto richiesto, che funziona e che lascia il cliente sempre molto soddisfatto. Inoltre, un'attenta politica commerciale ha CATEGORIA NON PRESENTE NEGLI ANNI SCORSI

84

Nella seconda parte della top 10, il grip Fairway, il cuoio vero, quello che una volta accompagnava tutte le racchette di legno top di gamma. I giocatori pro (e tanti agonisti di club) sostengono che l'impugnatura migliore è data dal grip Fairway sul quale viene avvolto un overgrip Tournagrip. Questo garantirebbe la miglior presa e assorbimento del sudore: provare per credere. Subito dietro, quello che abbiamo ribattezzato lo zainone Pro Kennex, cioè uno zaino di dimensioni XL che contiene appieno una racchetta, oltre alle scarpe, un cambio e accessori vari. In sostanza, sostituisce il portaracchette per chi non viaggia con tre-quattro telai e soprattutto si muove con lo scooter: il comfort è assicurato e l'idea indovinata, visto che tanti altri marchi l'hanno seguita. Da notare infine, al nono posto, il lead tape ATP di Tecnifibre, a dimostrazione che sono in tanti gli appassionati che amano customizzare il loro telaio.


LA CLASSIFICA / TOP 10

01. PORTARACCHETTE BABOLAT NADAL

175 punti

02. OVERGRIP BABOLAT ORIGINAL

145 punti

03. SOLETTE NOENE

140 punti

03. PORTARACCHETTE WILSON FEDERER

140 punti

05. OVERGRIP TOURNAGRIP

113 punti

06. GRIP FAIRWAY

31 punti

07. ZAINO XL PRO KENNEX

27 punti

07. GRIP HEAD HYDROSORB

8 punti

09. TECNIFIBRE LEAD TAPE ATP

8 punti

10. OVERGRIP HEAD XTREME SOFT

8 punti

85


2016 BRAND OF THE YEAR OSCAR

BABOLAT

D

iverse conferme ma anche qualche bella novità, nel titolo di Brand of the Year che abbiamo istituito l'anno scorso e in cui i negozianti specializzati sono chiamati a votare la loro top 5 dei marchi preferiti, quelli che non vorrebbero mai mancassero nel loro punto vendita. Come già l'anno scorso, nella prima edizione di questo titolo, ha vinto Babolat, che si conferma il brand più amato dai negozianti specializzati italiani (e di conseguenza anche degli appassionati perché spesso le due opinioni viaggiano in parallelo), ma almeno non ha stracciato gli avversari. In particolare, il 2016 segna il ritorno al secondo posto, dal quinto occupato nel 2015, di Nike, nonostante il dominio di Novak Djokovic (il quale peraltro può veder distribuiti i propri completi di gioco Uniqlo solo sul suo sito Internet o nei negozi monomarca del colosso giapponese che però in Italia non esistono) e l'appannamento di un testimonial come Rafael Nadal (senza contare la recente ammissione di aver fatto uso di sostanza dopante di Maria Sharapova, un vero traino nel settore femminile). Nike comunque continua ad avere i migliori testimonial (Roger Federer su

Anche l'anno scorso chiuse in questa posizione, ma ora si è decisamente avvicinata agli altri brand. Dovesse continuare così la sua crescita anche nei prossimi due-tre anni, dovrebbe allargare il discorso dai Big Three ai Big Four. E dopotutto, Yonex è l'unico brand che ha le potenzialità di prodotto ed economiche per arrivare (e superare) gli attuali top brand, se solo la casa madre volesse investire ulteriormente i suoi notevoli utili nel tennis in Europa. Intanto, testimonial come Wawrinka che vincono uno Slam europeo come Roland Garros, aiutano notevolmente la causa. Che poi il prodotto sia di primissimo livello, questo nessuno lo ha mai messo in dubbio. E i margini di crescita, anche in altri settori oltre a quello delle racchette, sono notevoli (soprattutto se assumessero un designer italiano per i completi...). Un bel passo in avanti l'ha compiuto invece un marchio totalmente made in Italy come Hydrogen. Già l'anno scorso aveva sorpreso inserendosi nella top 10, quest'anno è salito fino al numero sette, dimostrando che un prodotto di qualità, innovativo, fresco e abbinato ad una politica commerciale attenta e selezionata, alla fine sta dando ottimi frutti, pro-

Babolat si conferma il marchio più amato dagli italiani, ma questa volta al secondo posto ricompare Nike. Head resta davanti a Wilson, ma soprattutto Hydrogen irrompe al settimo posto assoluto tutti, ma anche l'irriverente Nick Kyrgios che tanto piace ai giovani e la bellissima Eugenie Bouchard, che il brand americano spera possa fare le veci della Sharapova) e un appeal come marchio che nessuno può vantare. Sull'ultimo gradino del podio, Asics, grazie alle migliori scarpe del mercato anche se, come abbiamo già detto, cresce un po' di malcontento tra i negozianti viste le ultime vicende legate ad alcune offerte di e-commerce che hanno lasciato stupefatti i negozianti specializzati. Comunque sia, il brand giapponese perde una posizione rispetto all'anno scorso ma si mantiene al vertice. Ma in realtà, dal terzo al sesto posto, sono tutti raggruppati in una manciata di punti. In particolare, Head riesce a stare davanti ad un competitor diretto come Wilson, seppur per soli quattro voti (94 a 90), ma sorprende in positivo il sesto posto a 86 voti da parte di Yonex, indubbiamente il brand di racchette che sta crescendo di più. 2015 /. 1. BABOLAT 2. ASICS 3. HEAD

86

babilmente superiori a quelli che ci si attendeva. Alle spalle, un altro trio di brand specifici di abbigliamento (alla fine sono sei su dieci, nonostante sia il settore che sta probabilmente vivendo il periodo più difficile): Adidas (che con la nuova distribuzione sicuramente farà meglio nel prossimo futuro), Under Armour e Australian, il brand legato alla Federazione Italiana Tennis e ai nostri Internazionali d'Italia che fa il debutto nella nostra top 10, da dove invece scivola fuori per mezza lunghezza Pro Kennex, che comunque si conferma quinta forza nel settore delle racchette. Va sottolineato come i primi dieci marchi rappresentino l'85,5% dei voti totali e in particolare i primi tre (Babolat, Nike e Asics) il 40,6%. Tuttavia, sono stati citati ben 18 brand diversi, a dimostrazione di un mercato che è ancora vivo e che può offrire spazi interessanti. Per chi ha idee nuove e innovative, of course.


LA CLASSIFICA / TOP 10

01. BABOLAT

184 punti

02. NIKE

131 punti

03. ASICS

101 punti

04. HEAD

94 punti

05. WILSON

90 punti

06. YONEX

86 punti

07. HYDROGEN

65 punti

08. ADIDAS

62 punti

09. UNDER ARMOUR

37 punti

10. AUSTRALIAN

28 punti

87


88


Continua il nostro viaggio nel mondo delle corde. Siamo andati a Wervick-Sud, nella Francia che confina col Belgio, per scoprire, a casa Tecnifibre, i migliori multifilamenti. Abbiamo poi aggiornato la tabella con le caratteristiche dei migliori modelli e parlato con incordatori professionisti per scoprire che...

89


BISOGNEREBBE SEGUIRE L’ESEMPIO DEGLI AMERICANI: CORDE MONOFILO VIETATE AGLI UNDER 12. E AI GIOCATORI NON AGONISTI

90


SIAMO ANDATI A WERVICQ-SUD, IN FRANCIA, PER VEDERE COME SI PRODUCONO LE CORDE CHE SI ADATTANO MEGLIO ALLA GRAN PARTE DEGLI APPASSIONATI

Parliamo delle corde multifilamento, sensibili, confortevoli, che aiutano una rapida uscita della palla e prevengono da eventuali disturbi al braccio. Vero, si spostano maggiormente, ma mantengono meglio la tensione. E probabilmente sono la vostra scelta ottimale

GOD SAVE THE

(MULTIFILAMENT) STRINGS

91


A WERVICQ-SUD, NELLA FRANCIA CHE CONFINA COL BELGIO, NON CI VAI PER CASO. NON BASTA L'OTTIMO BUFFALO GRILL PER SOBBARCARTI I 240 CHILOMETRI CHE TI SEPARANO DA PARIGI, A MENO DI NON ESSERE UN GRANDE APPASSIONATO DI TENNIS. E ALLORA, NE VALE LA PENA.

Il lavoro della macchina è impressionante: ogni filamento entra nella corretta posizione e si avvolge agli altri ad altissima velocità e con uno schema ben preciso e preordinato. Sullo sfondo, un enorme schermo indica le varie fasi di produzione di ciascuna corda. Quando si nota un bollino rosso, l’operaio deve controllare cosa non ha funzionato (in realtà, l’abbiamo visto accadere poche volte) ed eventualmente metterci una pezza. Così, ogni corda presenta scritto, a parte modello e calibro, anche un codice; fornendolo all’azienda, si è in grado di risalire a qualsiasi fase dell’operazione ed eventualmente verificare se qualcosa è andato storto.

Dunque, cosa ci ha spinto al Nord della Francia, vicino a quel Belgio che onestamente, in questo periodo, andrebbe evitato accuratamente? In buona sostanza l’ignoranza (non solo italiana) sulle corde ideali con le quali scendere in campo. In un mondo perfetto, l’80% dei giocatori si affiderebbe ai multifilamento, armeggi sensibili, che fanno uscire facile la palla, confortevoli per il braccio, con una perdita di tensione non esagerata e un impatto morbido. E’ vero, tendono a spostarsi, ma il gesto di riallineare le corde (che poi un giocatore di club sarebbe costretto a fare ogni chissà quanto) può diventare anche un vezzo per concentrarsi tra un punto e l’altro, come Fabio Fognini o Maria Sharapova insegnano. Invece, Cedric Desjacques, export manager di Tecnifibre, ci informa che il 40% del mercato mondiale è controllato da corde monofilamento in poliestere che dovrebbero essere utilizzate solo dai professionisti o da agonisti ben allenati. E ho il sospetto che la cifra sia per difetto. Quindi siamo andati a verificare di persona come, a distanza di poche centinaia di metri, vengono prodotte da Tecnifibre sia le corde multifilamento sia quelle mono, per capirne la differenza e aiutarvi a fare la scelta giusta.

A seguire tutte queste operazioni, c’è un gruppetto di tre operai, addobbati come dovessero entrare in una base Nasa. I due ragazzi si occupano di seguire l’intero processo produttivo, e possiamo immaginare che restare tutto il giorno a contatto con filamenti e poliuretano non deve essere il sogno di una vita. Ma comunque è sempre lavoro. La ragazza, chissà se per cavalleria, la troviamo invece chiusa in un laboratorio, se Dio vuole meno rumoroso. A lei il compito di testare dei campioni di corda per verificare che seguano le direttive dell’azienda ma anche i regolamenti ITF. Eccola dunque testare il grado di rottura, il peso, l’allungamento, eccetera eccetera: il responso finale non è tuttavia umano perché i dati vengono inseriti in un computer che sputa fuori la sentenza sotto forma di scontrino, tipo quello dei supermercati. E’ lì che sostanzialmente c’è scritto se tutto sta funzionando o se a Wervicq-Sud c’è un problema. L’aspetto sereno della ragazza, nonostante la nostra presenza a metterle pressione, mi convince che non accade spesso di dover interrompere una fase produttiva per un malfunzionamento.

Non serve un esperto per capire che la produzione di una corda multifilo è decisamente più complessa. Sono tre le figure principali: il responsabile della produzione, Patrice Chabrel e altre due figure chiave, il direttore della fabbrica (ed esperto di filamenti) Christophe Dujardin e il responsabile del settore ricerca e sviluppo, Frédéric Salomon. A questi, si unisce una serie di operai che ormai hanno una viva manualità nel trattare filamenti e poliuretano. Le fasi di produzioni sono molteplici, ma due hanno particolare rilevanza: "La scelta dei filamenti e la maniera in cui vengono intrecciati, perché danno forma e sostanza alla corda. E poi, le lissage, la lisciatura", in cui la corda diventa oleosa ma talmente liscia che puoi immaginarne la scorrevolezza quando una si intreccia con l’altra. Per far tutto ciò, il sistema non è per nulla automatizzato. O meglio, chiaramente ci sono macchinari essenziali per intrecciare i vari multifilamenti (parliamo di migliaia di fibre) ma ancora adesso c’è un gruppo di operai che deve eseguire manualmente varie operazioni e controlli perché tutto fili liscio. Soprattutto quando i filamenti vengono intrisi di poliuretano. Il calcolo della resina che viene applicata è fondamentale perché il calibro finale risulti perfetto.

92

3

il numero di corde multifilamento che si riescono a produrre in un'ora di lavoro nella fabbrica Tecnifibre di Wervicq-Sud, in Francia.

Terminata la fase principale della produzione, si passa ad ulteriori controlli di qualità, tra i quali il calibro, un aspetto determinante. Parliamo di differenze che variano da 1.25 a 1.40 millimetri, a seconda del modello, e anche il più piccolo errore, che potrebbe ritenersi insignificante, si moltiplica enormemente una volta che la corda viene montata sul telaio. Chiunque abbia un minimo di sensibilità tennistica avverte differenze di 0,10 millimetri, i fuoriclasse possono scendere ben sotto questo limite. Per questo il controllo è attentissimo, come quello legato al peso, che potrebbe far variare oltremodo quello della racchetta e il suo bilanciamento. Infine, la parte meno spettacolare, quella dell’imbustamento in confezioni rigide o di plastica. Differenze? "Per la corda nessuna - ci assicurano- che sia in plastica dura o morbida, in bustina semplice da 12 metri o in bobina da 200, il risultato è sempre uguale". Insomma, è abbastanza chiaro che dietro la produzione di una corda multifilamento c’è un lavoro di ricerca, di sviluppo e di controllo meccanico e umano piuttosto significativo e che offre un’idea precisa della qualità del prodotto che viene sputato fuori. Certo, non siamo ai livelli del budello naturale e della fabbrica Babolat

500

il numero di corde monofilamento che si riescono a produrre in un'ora di lavoro nella fabbrica Tecnifibre di Wervicq-Sud, in Francia.


Alcune fasi del processo di lavorazione di una corda multifilamento. Si parte dalla scelta dei filamenti e da questo punto di vista è fondamentale la figura del direttore della fabbrica (grande esperto di tessuti) Christophe Dujardin. Gli operai lavorano sulle macchine o in fase di controllo per verificare che i filamenti vengano intrecciati correttamente. Ad aiutarli, un grande schermo dove viene monitorata la bontà del lavoro. Le scritte rosse indicano che c'è bisogno di un intervento riparatore. Da notare poi (terza foto in senso orario, partendo da sinistra in alto), la fase del cosiddetto lissage, la lisciatura che, secondo Dujardin, è uno dei momenti chiave della produzione, insieme alla scelta e all'intreccio dei filamenti.. Sotto, una delle tanti fasi di controllo (in questo caso il peso) per assicurarsi che il prodotto finale sia conforme ai desideri.

57

grammi: il peso medio di una palla da tennis omologata dalla Federazione Internazionale.

5,7

chilogrammi: il peso che realmente avverte il braccio impattando una palla scagliata a 70 km/h

93


a Ploermel, vista la quale una corda di quel genere dovrebbe costare come un gioiello, ma non siamo così lontani. Ma per spiegare meglio l’importanza della scelta giusta, Cedric ci mostra alcune slide significative e che rendono perfettamente l’idea di quel che accade quando impattiamo una palla, a seconda della corda che usiamo. Partiamo col comprendere cosa accade quando impattiamo una palla da tennis: una palla scagliata a 70 km/h produce un impatto sulla racchetta pari a di 100G, un valore gravitazionale che corrisponde, più o meno, all’accelerazione della gravità sulla superficie terrestre. Tanto per diventare semplici, un impatto del genere è paragonabile ad una macchina di formula uno che va a sbattere contro un muretto. In buona sostanza, i 57 grammi di peso medio di una palla, al momento dell’impatto sono percepiti fino a quasi 6 chilogrammi! Detto ciò, un telaio che pesa meno di 300 grammi (generalmente le versioni Team da 280-290 grammi) genera una forza di impatto del 18% superiore rispetto ad un telaio che pesa 300 grammi. Una corda monofilamento in poliestere è il 38% più rigida e causa un affaticamento superiore del 22% rispetto ad un armeggio multifilamento in poliuretano. Non solo, anche il vostro corpo è un fattore: l’impatto passa attraverso il vostro avambraccio e, ipotizzando un colpo giocato alla stessa velocità, meno il vostro muscolo è sviluppato e maggiore sarà la sensazione di fatica che avvertirete all’impatto. Risultato finale? Se giocate con una racchetta più leggera di 300 grammi (donne, ragazzini, over), dovete optare per una corda in multifilamento; se invece il vostro braccio è sufficientemente allenato per sopportare l’impatto con una racchetta che pesa oltre 300 grammi, allora ci si può affidare ai monofilamenti in poliestere, per quanto incordati a tensioni basse (anche 19-20 kg) e che vanno tagliati possibilmente entro la decima ora di gioco, perché la loro perdita di tensione e di caratteristiche peculiari è ben più rapida che per una corda multifilamento. E cosa succede per chi usa un telaio che pesa proprio 300 grammi, visto che ormai sono i più diffusi del mercato? Si entra in effetti in una zona d’ombra, dove potrebbe trovare spazio il giusto equilibrio, quindi la soluzione ibrida, con il monofilo sulle verticali e il multifilo sulle orizzontali. Ma comunque, se il livello non è particolarmente agonistico e il braccio ben allenato, meglio optare per un multifilamento che offre miglior tenuta di tensione (in quanti di voi tagliano le corde entro le dieci ore di gioco?), maggior comfort e aiuta l’uscita di palla. Troppo spesso i giocatori di club si affidano al monofilo “perché non sbaglio mai”, senza accorgersi che questo avviene perché la loro palla difficilmente arriva a tre quarti campo!

<300g 94

il peso di una racchetta sulla quale sarebbe d'obbligo montare una corda multifilamento

Comunque, per toglierci ogni dubbio, ci spostiamo di qualche centinaio di metri e andiamo a visitare la fabbrica dei monofilamenti. Appena messo piede dentro, ci si accorge che qui stiamo parlando di vera e propria produzione industriale, dove l’aspetto umano è totalmente secondario. Intorno, migliaia di metri di fibre ottiche (altra produzione portata avanti a fianco di quella delle corde), nel mezzo, una lunga macchina che prende quelli che sono pezzi di plastica, gli sottrae l’acqua e li infila in un forno dove iniziano a prendere la forma di una corda da tennis grossolana. Questa viene arrotolata da varie ruote meccaniche che girano a velocità diverse, fino a ridurle al calibro desiderato (controllato prima che la produzione termini). Infine, il tutto si arrotola su gigantesche bobine da migliaia di metri di corda. A controllare che niente si interrompa, un cast di due operai, per tre turni ciascuno di otto ore, week-end compresi. Il loro compito, oltre ad accertarsi che la fabbrica non vada a fuoco, è quello di tagliare la corda ogni volta che la super bobina è satura (da una a due ore, a seconda del modello di corda) e sostituirla con una vuota.

9,5

kg, la tensione, utilizzata da Mikhail Kukushkin a Monte Carlo 2015, con una corda monofilo.


THE STRING SELECTOR

Gli operai impegnati nella produzione delle corde multifilamento, adeguatamente protetti visto l'utilizzo di sostanze plastiche e di poliuretano. Produrre una corda multifilamento è ancora un processo dove la componente umana è fondamentale

Tanto per rendere l’idea, in un’ora di lavoro si producono tre corde multifilamento e 500 monofilamento. Tre a cinquecento. L’industria contro la manualità, l’efficienza contro la qualità. Quindi, è indubbio che una corda multifilo abbia dei costi di produzione decisamente superiori, che poi si riflettono inevitabilmente sul prezzo finale al consumatore, benché le differenze non siano così consistenti come si potrebbe pensare dopo aver visto i due processi produttivi e aver valutato la qualità dei prodotti. Tali differenze, a seconda dei marchi, del negozio e delle offerte in atto, variano dai 6 ai 12 euro, una cifra che sarebbe doveroso spendere visto che permette di migliorare la prestazione in campo e salvaguardare la vostra salute. Ora, amici appassionati, prima di scegliere il vostro classico monofilo col quale tirerete piano e a metà campo, che vi costringerà al ghiaccio sul braccio alla fine di ogni match e che noterete perdere le sue peculiarità molto rapidamente, provate a fare un giro su un multifilamento, un TGV o un X-One Biphase. O se proprio cercate un compromesso con tendenza al multifilo, provate l’eccellente HDX Tour. E poi diteci se non vi abbiamo fatto un favore.

13,20

il costo di una matassina da 12m di monofilamento top come il Tecnifibre Black Code 4S su Tennis Point

La United States Racquet Stringers Association è la più importante associazione di incordatori al mondo che ha in Dave Bone il suo CEO. Ogni anno, realizzano un importante e quantomai utile String Locator, basato su un test che prevede un'incordatura a 28 kg di tensione (per tutte le corde), un momento di assestamento di 200 secondi e la simulazione di un impatto di cinque colpi a 190 km/h circa. Tutto questo si traduce poi in due dati molto significativi, cioè la rigidità della corda (più il valore è elevato, più la corda risulterà rigida) e la perdita di tensione, registrata ed espressa in libbre (una libbra equivale a 453 grammi). Gli associati poi, hanno la possibilità di visionare dei grafici e scegliere di conseguenza il tipo di corda che si desidera, in base ai risultati ottenuti nel loro test. L'associazione è diversi anni che realizza questo studio e ormai dispone dei dati di oltre 900 corde. In vari casi, si tratta di marchi e modelli che non sono disponibili in Italia ma offre uno spaccato di quanto sia variegato il mondo delle corde (e quindi anche molto complesso). I dati indicano in particolare come le corde in budello naturale e i multifilamenti abbiano un grado di rigidità notevolmente inferiore rispetto ai monofilamenti e quindi risultino decisamente più confortevoli per il braccio. Di seguito, l'ultima tabella riassuntiva disponibile con le corde più diffuse in Italia (mancano alcune ultime novità) ed elencate in base al grado di rigidità, dalla più morbida alla più rigida. I dati della tabella rappresentano

il nome della corda, la sua composizione, il calibro, la rigidità e la perdita di tensione (in libbre).

Babolat VS Team Babolat VS Touch Tecnifibre HDX Tour Babolat M7 Tecnifibre TGV Babolat XCel Luxilon Alu Power Soft Babolat Origin Head Hawk Touch Head Lynx Tecnifibre X-ONe Biphase Wilson Sensation Tecnifibre Duramix HD Luxilon 4G Soft Head Hawk Tecnifbre Black Code Babolat Pro Hurricane Wilson Rip Spin Luxilon Alu Power Rough Luxilon Alu Power Luxilon 4G Luxilon Original Babolat RPM Blast Tecnifibre Razor Code

budello budello elastyl / poliestere & SPL nylon nylon / poliuretano nylon poliestere poliammide poliestere poliestere nylon / poliuretano nylon nylon poliestere poliestere poliestere poliestere poliestere poliestere poliestere poliestere poliestere poliestere poliestere

24,50

1.25 1.30 1.30 1.25 1.30 1.30 1.25 1.25 1.25 1.25 1.30 1.25 1.30 1.25 1.30 1.25 1.25 1.30 1.25 1.25 1.25 1.30 1.25 1.30

102 107 148 157 175 176 185 188 189 191 192 197 205 214 224 225 226 235 240 242 249 249 273 278

8.45 8.31 10.56 15.01 14.60 9.66 18.7 14.00 15.59 20.68 10.08 11.91 15.50 13.85 18.46 18.03 16.83 20.18 18.98 17.13 13.3 17.11 17.13 18.59

il costo di una matassina da 12m di multifilamento top come il Tecnifibre X-One Biphase su Tennis Point

95


96

Rigidezza dinamica ai minimi possibili 100 - 105lb/inch (semidinamica 75-80 g/mm). Rigidezza statica media ma molto lineare 0,7 - 0,8kg/mm

DATO TECNICO

Tecnifibre HDX Tour

Head Velocity

Babolat M7

Babolat Xcel

Rigidezza dinamica bassa 185190lb/inch (semidinamica 150155 g/mm). Rigidezza statica medio bassa 0,65-0,8kg/mm.

Rigidezza dinamica molto bassa 150-155lb/inch (semidinamica 130-135 g/mm). Rigidezza statica media, che tende a salire con il salire del carico 0,650,85kg/mm.

Rigidezza dinamica di circa 175lb/inch (semidinamica 140g/ mm). Rigidezza statica : 0,700,85kg/mm crescente con il crescere della tensione (occhio a non esagerare!)

Rigidezza dinamica mediobassa compresa fra i 170-180lb/ inch (semidinamica 140-145g/ mm). Rigidezza statica crescente ma entro limiti medio-bassi

MULTIFILAMENTO

Babolat VS Touch

BUDELLO

CORDA

Una corda dalla costruzione complessa e sofisticata. Elastyl e poliuretano in fibre ricoperte da una guaina anti-abrasione fnalizzata a massimizzare la durata e limitare lo spostamento delle corde.

Corda dalla costruzione semplice ma decisamente efficace. Notevole la reattività e la resilienza accoppiate ad un comfort niente male. Una corda universale e molto versatile.

Costruzione ibrida che mixa la struttura multifilamento con la presenza di sette nuclei in poliestere. La corda è in tutto e per tutto un multifilamento ma con caratteristiche dinamiche intermedie fra un mono e un multi.

Costruzione in poliammide per una corda che nonostante non sia nuovissima rimane valida e attuale. Ottima linearità di comportamento e durata esemplare per un multi che rappresenta ancora oggi una validissima alternativa al budello.

Corda assolutamente unica e inarrivabile anche dal migiore multifilo. Resilienza da record e durata a rottura consentono di avere una corda che, a parte il calo di tensione iniziale, non irrigidisce con il tempo.

CARATTERISTICHE

Una reale alternativa al monofilo: un multifilo sofisticato in grado di combinare la reattività del monofilo e il comfort di una corda in poliammide-poliuretano. Una soluzione per limitare gli shock da impatto e avere comunque una corda dallo spirito agonistico.

A tutti coloro che vogliono una corda che riesca a mixare in modo intelligente potenza e controllo accoppiate ad un comfort molto elevato. Bella reattività e dinamicictà assicurano un'uscita di palla vivace e veloce.

A tutti coloro che vogliono una corda che riesca a mixare in modo intelligente potenza e controllo accoppiate ad un comfort molto elevato. Reattività e dinamicità assicurano un'uscita di palla vivace e veloce.

A chi cerca ottime doti di elasticità, resilienza, comfort e facilità di spinta. Possibili anche le combinazioni in ibrido come valida alternativa al budello.

A tutti i giocatori che non hanno problemi di rottura precoce. Astenersi dunque gli arrotini incalliti. Nonostante l’investimento iniziale, è ideale per chi soffre al gomito, non è giovanissimo o come metà di un ibrido.

A CHI LA CONSIGLIAMO

Possibile un utilizzo in fullbed per massimizzare le doti di comfort come pure in combinazione ibrida per dosare cattiveria e reattività, con comfort e spinta.

Ottima soluzione per tutti gli amanti dell'ibrido. Una corda dal grande valore con un prezzo accattivante. Di rilievo, se ncordata a dovere, anche la stabilità.

Ottima soluzione per tutti gli amanti delle incordature ibride. Una corda dal grande valore con un prezzo accattivante. Di rilievo, se incordata a dovere, anche la stabilità.

Date le caratteristiche di elasticità molto marcate conviene matenersi su tensioni medie, anche superiori di 2 kg rispetto quanto si è abituati a fare con monofili più nervosi.

Possibile l’utilizzo in tutte le salse: fullbed, ibrido tradizionale e reverse (montato sulle verticali), tutti con risultati ottimali in termini di comfort e prestazioni.

NOTE

Dal budello ai monofilamenti, multifilamenti e ibridi, ecco a nostro parere quali sono le migliori corde tra le quali scegliere. Con una guida per individuare la categoria di riferimento.

SCEGLI LA CORDA GIUSTA


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Rigidezza dinamica intermedia 200-210lb/inch (semidinamica 175-180 g/mm). Rigidezza statica medio bassa 0,60-0,80kg/ mm.

Rigidezza dinamica titpica da multifilamento 170-180lb/inch (semidinamica 135 - 145g/mm), Rigidezza statica compresa fra 0,7-0,9kg/mm in funzione della tensione di incordatura.

Tecnifibre Razor Code

Luxilon Element

Luxilon 4G Soft

Luxilon Alu Power

Babolat RPM Blast

Rigidezza dinamica elevata, 240-250lb/inch (215-225g/mm). Rigidezza statica elevata con valori che vanno da 0,9-1,1kg/ mm

Rigidezza dinamica intermedia ma a livello di un mono, di circa 225lb/inch (semidinamica 200g/mm). Rigidezza statica simile alla cugina alu: 0,801,00kg/mm

Rigidezza dinamica alta di circa 250-260lb/inch (semidinamica 210-220g/mm). Rigidezza statica molto elevata: 1,10-1,25kg/mm

Rigidezza dinamica alta di circa 140-150lb/inch (semidinamica 115-125g/mm) Rigidezza statica intermedia compresa fra 0,750,85kg/mm.

Rigidezza dinamica molto elevata 260-270lb/inc (semidinamica 220-230g/mm). Rigidezza statica elevata 1 - 1,2kg/mm

MONOFILAMENTO

Tecnifibre Duramix HD

Tecnifibre X-One Biphase

Corda in poliestere a sezione circolare evoluzione della pro red code, corda ancora valida ed attuale per consistenza, tenuta e qualità generale. Cattiva ma senza ruggire, da il meglio di se a tensioni basse.

Corda di tipo "ibrido" che ha come mission di mixare le caratteristiche del monofilo con quelle del multifilo Costruzione in poliestere con isole di poliammide per unire due mondi in un'unica soluzione.

Non si discosta dalla versione originale in termini di prestazioni assolute: la differenza è da ricercare in una risposta leggermente più morbida e meno nervosa rispetto alla 4G,la corda più severa e di controllo fra quelle agonistiche.

La regina fra le corde in monofilamento. Struttura in poliestere con fibre metalliche di alluminio. Disponibile anche in versione rough, ruvida-strutturata, leggermente più morbida all’impatto.

Costruzione in poliestere. Forma sagomata a quadrifoglio per incrementare le doti di tenuta e snap-back della corda.

Multifilamento di tipo "ibrido" di prima generazione che combina fibre di poliestere con fibre di poliammide (nylon) per unire doti di elasticità e resistenza.

Costruzione lunga e complessa sia dal punto di vista strutturale sia da quello dei trattamenti termici di stabilizzazione. Filamenti in elastomero vengono annegati in una matrice di poliuretano per un ottimo assorbimento degli shock. Corda da trattare con le pinze e da montare con cura. Utile un leggero pre-strech e una stabizzazione meccanica della corda per limitare il fisiologico calo di tensione successivo alle prime due ore.

Meglio scegliere calibri non sottilissimi a meno di non possedere una manina fatata e tocchi deliziosi e leggeri. Ottima in ibrido anche con monofilamenti cattivi e feroci.

E’ una corda molto tosta, controllosa e parca di spinta. Più adatta ad un gioco pulito di spinta che ad un amante delle rotazioni o del tocco. Agonistica di classe si adatta in calibro sottile anche a giocatori di livello intermedio ma a tensioni medio-basse.

A chi pretende una Luxilon ma non apprezzano la risposta rigida dell'Alu Power e 4G. Agli amatori e agonisti di livello intermedio anche con racchette di peso 280-300g che non vogliono rinunciare al monofilamento.

A chi ama le 4G ma risente della loro durezza. Ai giocatori agonisti che desiderano controllo ma che sanno toccare la palla e vogliono stemperare le punte di durezza di una corda severa e dal comportamento estremamente ruvido.

A chi cerca la prestaziuone senza compromessi. All’agonista indefesso che conosce i pregi e i difetti di una corda che rende al meglio nelle prime ore di gioco per poi perdere tensione e irrigidirsi in modo marcato.

Come tutte le tecnifibre, pochi fronzoli e molta sostanza. Da preferire in assoluto i calibri sottili e tensioni basse per non trovarsi alle prese con grande controllo ma spinta nulla.

Va considerata un monofilamento. La risposta Luxilon nel settore delle corde ibride ma il suo approccio è diametralmente opposto a quello di Tecnifibre HDX e Babolat M7.

Da provare anche in versione ibrida con multifilo o budello per esaltare al massimo la risposta del poliestere. Non è la sorella povera del 4G; al contrario, è una scelta più sofisticata e stilosa.

Ottima la soluzione in ibrido, sia con il budello sia con multifilamenti di razza. Disponibile anche un’ottima versione soft.

Al giocatore agonista che vuole una corda cattiva Possibile e consigliabile l’impiego in grado di rendere al top in termini di rotazioni in ibrido con budello come pure con e controllo in un arco di tempo di 2-4 ore. multifilamenti dalle marcate doti di resilienza e allungamento.

Una possibilità da prendere in considerazione per tutti coloro che giocano con racchette medio leggere. Per gli junior, per i giovani in fase di transizione e per i giocatori che vogliono una sensazione intermedia fra il confort del multifilamento e il controllo del mono.

Una validissima e ormai tradizionale alternativa di alto livello al budello. Ottima nella linearità, durata (a patto di non arrotare e spingere in modo forsennato), consistenza e tenuta. Come per tutti i monofilo non conviene salire troppo di tensione per evitare di trovarsi a gestire piatti corde granitici.


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DATO TECNICO

Il budello top di Babolat da unire con il monofilamento più utilizzato del marchio francese. Un signor ibrido. Due monofilamenti ma di diversa costruzione da unire insieme per sperimentare una nuova tipologia di incordatura ibrida.

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Babolat VS + RPM Blast Ibrido mono + mono

La corda utilizzata da Roger Federer, l'ibrido ideale formato da uno spezzone di corda in budello e uno di Luxilon Alu Power.

Struttura in alfa, olefine, etilene, composto alchenico inerte a struttura tridimensionale. Ottima facilità di gioco e comfort.

Un'estrusione in poliestere di grande qualità. Corda stabile e molto consistente che stempera le caratteristiche della sorella Tour Bite, declinando le sue peculiarità con un tono più blando. Ottima la presa delle rotazioni.

Estrusione in poliestere “soft” dalle marcate caratteristiche di morbidezza ma pure dalla elevata plasticizzazione.

Estrusione quadrata in poliestere . Un classico rivisitato che ha fatto scuola. Buona durata e plasticizzazione limitata. Una Black Code rinnovata nella forma ma non nella sostanza!

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Rigidità statica elevata con durata decisamente buona.

Rigidezza dinamica elevata, 240-250lb/inch (220-230g/mm) in funzione del calibro. Rigidezza statica elevata con valori che vanno da 1,0-1,1kg/mm in funzione del calibro adottato.

Rigidezza dinamica elevata, 230-235lb/inch (200-205g/mm). Rigidezza statica molto bassa per un poly con valori che vanno da 0,6-0,7kg/mm

Rigidezza dinamica elevata, 225-235lb/inch (180-190g/mm). Rigidezza statica elevata con valori che vanno da 0,9-1,1kg/ mm

CARATTERISTICHE

Wilson Champions Choice

IBRIDO

Starburn Vortex Turbo 6

Solinco Hyper-G

Head Lynx

Tecnifibre Black Code 4S

MONOFILAMENTO

CORDA

Potrebbe sembrare una follia, ma la soluzione monofilo sagomato (triangolare-pentagonale-esagonale) su monofilo tondo permette di imprimere forti rotazioni. Da provare!

Ibrido al top. Una soluzione di livello pari a quello classico VS+Luxilon Alu Power. Anche in questo caso la durata è limitata dalla plasticizzazione progressiva del poliestere.

A chi non bada a spese e non vuole scendere a compromessi. Il top del top dal punto di vista delle prestazioni e dell’appeal, ma con durata condizionata dalla plasticizzazione inevitabile del poliestere.

A chi cerca un monofilo col quale spingere forte dal fondo con buon controllo e una viva stabilità di tensione per questo tipo di corda.

A coloro che amano le corde monofilamento dal piglio agonistico ma che non amano la risposta ruvida e "scorbutica" delle Tour Bite. Una corda di classe nel settore delle agonistiche, senza sbavature o eccessi.

Corda versatile e piacevole destinata ad un pubblico molto ampio che va dall’amatore sino all’agonista che cerca comunque impatti pieni e non troppo “feroci”.

Corda che riprende il concetto alla quale ci aveva abituato Black Code. Corda di sostanza, onesta e sincera, dalla risposta un po' gommosa e sorda. Buona la reattività e la presa delle rotazioni.

A CHI LA CONSIGLIAMO

Della serie, lo famo srano? Però il bello con le corde (e con gli ibridi in particolare) è appunto quello di sperimentare.

Un'altra opzione di perfetto ibrido, che peraltro trovate già preparato nel sacchettino da incordatura singola. Niente da dire: super

Se amate gli ibridi, la scelta ideale, quella più performante. Ma non fate come Federer che mette il budello sulle verticali: è una scelta personale e da... Federer.

Possibilità di ottimo utilizzo come ibrido. Tensione consigliata: da 18 a 25 kg (ma più verso i 18 che i 25 con i monofili).

Meglio calibri sottili e tensioni medio basse per godere appieno delle doti di rotazione, reattività e controllo. In ibrido rischia di fare innamorare molti affezionati alla Tour Bite. E non solo!

Evoluzione della Sonic Pro, tanto piaciuta ai giocatori di livello intermedio in questi anni, la marcata plasticizzazione consiglia un prestrech anche in fase di montaggio.

Da consigliare a chi ha amato la Black Code pentagonale. Simile in tutto e per tutto, garantisce una resa degli spin ancora più costante nel tempo, grazie alle superfici di scorrimento maggiorate.

NOTE


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MONOFILAMENTO È la corda che si è imposta negli ultimi 15 anni e che ha portato a ridisegnare forme e pattern dei telai. Nata per i professionisti che necessitano di grande controllo, sostanzialmente è fatta di plastica, spesso con aggiunta di additivi: per questo è facile poterla lavorare e trovarla tonda, poligonale, twistata. Se usato con le dovute precauzioni, il monofilamento permette di avere grande controllo e rotazione, a scapito della sensibilità. Ma quali sono le precauzioni da adottare affinché il monofilamento non ci porti a soffrire al gomito? Innanzitutto la tensione deve essere almeno 2 kg inferiore al multifilamento e generalmente compresa, per un piatto da 100 pollici, tra i 18 ed i 22 kg. Poi il tempo di utilizzo, che non deve superare le 15 ore di gioco (se non si rompono, bisogna tagliarle) perché è il tempo limite in cui il monofilo perde la sua elasticità e la resa della corda diventa nulla. Ottima come metà di un ibrido con budello (o multifilo).Poi deve essere ad uso esclusivo dei giocatori agonisti di un certo livello e col braccio allenato e NON deve essere utilizzata da ragazzini sotto i 12 anni.

BUDELLO

Dal principio del secolo scorso agli anni Ottanta è stata sostanzialmente l'unica corda utilizzata. In termini qualitativi, resta la migliore in assoluto: subisce una perdita iniziale di tensione (per questo va tirato un paio di kg in più del solito), poi la mantiene fino a rottura (che purtroppo spesso avviene abbastanza rapidamente). Potente, sensibile, prende le rotazioni, è la corda per eccellenza. Il processo produttivo è molto complesso e questo comporta un prezzo che è circa il doppio rispetto alle altre corde (ma viste le varie produzioni dovrebbe costare cinque volte tanto!). Abbandonata dai giocatori professionisti in favore del monofilamento (che offre maggior controllo e che loro si possono permettere di cambiare anche ogni nove giochi) è stata riscoperta ultimamente (sia a livello pro, sia di club) come perfetta metà di un'incordatura ibrida. In particolare, se utilizzata sulle orizzontali, aiuta a rendere il piatto corde meno rigido, favorendo potenza e sensibilità. Il problema è che il monofilo tende a "segarla" piuttosto in fretta nello sfregamento tra le varie corde.

Sono le corde con le quali abbiamo quasi sempre giocato fino all'avvento dei monofilamenti, rispetto al quale sono più potenti e sensibili, ma offrono anche meno rotazione e soprattutto controllo. Qualche appassionato si lamenta perché tendono a spostarsi, ma i movimenti sono in realtà minimi. Spesso hanno lavorazioni e strutture talmente complesse da assomigliare al budello naturale in termini di giocabilità e non creano problemi alle articolazioni. La perdita di tensione è decisamente inferiore che nei monofilamenti e talvolta li si porta a rottura (comunque meglio tagliare dopo 20-25 ore o quando le si avverte allentate. In genere si tirano circa 2 kg in più rispetto al monofilo e il loro range di tensione su un piatto corde da 100 pollici va dai 22 ai 26 kg. Purtroppo sono demodè perché si tende a optare (erroneamente) a ciò che usano i professionisti, mentre i multifilamenti sono le corde che i ragazzini under 12 e i giocatori di club, dovrebbero usare più spesso.

MULTIFILAMENTO

Che sia una moda o la quadratura del cerchio, nessuno lo ha ancora capito. Va tenuto presente che con l’ibrido si va a modificare leggermente il comportamento della corda verticale, mettendo in orizzontale un prodotto differente. Esempio pratico: se con un’incordatura totalmente monofilamento vi trovate bene ma volete più spinta e sensibilità, potete mantenere la solita corda in verticale e montare sulle orizzontali un multifilo (o il budello naturale). Se al contrario di solito usate un’incordatura multifilamento e volete un po’ più di controllo e rotazione, allora potete montare sulle orizzontali un monofilo. Si parla di aggiustamenti minimi con gli ibridi: non pensate di stravolgere il comportamento del telaio, ma spesso certi dettagli fanno la differenza. Attenzione poi che in un’incordatura ibrida tra monofilo e multifilo, il multi tenderà ad essere "segato" dal monofilo: per sapere se tagliare, vale sempre il discorso riferito al tipo di corda montata in verticale.

IBRIDO

Il primo passo è individuare la categoria di riferimento nella scelta della corda ideale. Ecco una guida per trovare la strada giusta.

LE CATEGORIE DI CORDA


servizio incordatura

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Salve, vorrei montare la corda di Nadal, grazie! 5

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Mi scusi, ma lei per caso si chiama Rafael Nadal?

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Non basta scegliere la racchetta giusta, bisogna soprattutto trovare il corretto setup con le corde e rivolgersi a veri professionisti del settore. Senza affidarsi a dilettanti, spesso abusivi, che peggiorano solo la vostra prestazione. 0

di Lorenzo Cazzaniga

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Paolo Bandelli è appena entrato nel negozio di Eiffel a Casale Monferrato, un ex capannone diventato il PIù grande negozio di tennis in Italia. Scruta tra le decine di matasse appese, si volta e sentenzia: «Sono un buon giocatore, all'epoca C1 (chi non è stato almeno C1 nella vita? n.d.r.). Adesso mi alleno meno, ma il braccio è una favola» assicura mimando un improbabile diritto, tirato ancora con la Continental. Marco Gazziero, il titolare, annuisce e continua nella sua occupazione più piacevole: incordare. Ad un tratto, Bandelli cava fuori un armeggio Babolat e afferma sicuro: «Voglio montare la corda di Rafael Nadal!». A quel punto, pur a malincuore, Gazziero lo accompagna davanti ad uno specchio, lo sistema per bene, e poi gli chiede: «Mi scusi, una sola domanda: ma lei, è Rafael Nadal?».

Lo sketch si ripete più volte al giorno. Qualcuno accetta di capire, altri insistono che «non sono Nadal, ma ho un gioco simile». Gazziero prova, con tutta la sua bontà d'animo, a proporre un'altra corda, almeno un ibrido, se non proprio un multifilo. Poi, anche lui, talvolta deve arrendersi e accontentare il cliente, disposto a spendere una ventina e passa di euro per montare la corda sbagliata, che diventerà un avversario piuttosto che un supporto e che dovrebbe tagliare dopo poche ore di gioco perché perdita di tensione e di caratteristiche specifiche sono rapidissime Ma questo, Paolo Bandelli non lo sa. Se nei telai siamo tutti d'accordo che una buona percentuale di appassionati ne utilizza uno sbagliato rispetto alle proprie qualità di gioco, questa percentuale nelle corde aumenta non poco. Anche perché è un prodotto ancora più difficile da capire, se non si è avvezzi ai test e non si gode di una certa sensibilità.

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Ci sono varie qualifiche di incordatori a livello nazionale e internazionale. Ma certamente la più importante e selettiva resta la ERSA, guidata in Italia da Marco Rossani, unico incordatore italiano chiamato a Wimbledon

Da evitare sono soprattutto gli incordatori da circolo, spesso abusivi, che utilizzano macchine obsolete e non hanno la qualifica per svolgere questo mestiere. E finiscono col rovinare attrezzo e prestazione.

LA QUALIFICA ERSA Ma scegliere un corretto set-up telaio-corda, non è sufficiente, perché il montaggio è una fase delicata e la qualità della macchine e dell'incordatore sono fondamentali. Se vi accontentate del vecchietto al club, che in soffitta ha ritrovato una vecchia Scaglia ed è capace di lasciarvi la racchetta incordata a metà per andarsi a bere un caffè, stringe i nodi come capita e quando attacca la pinza morsica sempre bene la corda, è naturale che il risultato finale sia scadente. Figuriamoci che non succede solo con gli abusivi da club, ma anche in tornei professionistici di livello medio-basso, come ci racconta Jambo Melis, l'incordatore degli azzurri in Coppa

Davis e Fed Cup: «Quando mi arrivano le racchette di Lorenzi per esempio, sono spesso un disastro. Lui gioca ancora tanti tornei challenger dove i servizi non sono paragonabili a quelli di un Grand Slam o di un torneo del circuito maggiore, e ogni volta gliele devo sistemare, dopo aver visto passaggi di corda e nodi veramente improvvisati». Figuriamoci quel che accade nel piccolo club, col custode che lo usa come terzo lavoro o il maestro che prova a sostituire le lezioni perse in settimana, improvvisandosi incordatore. Per questo sarebbe fondamentale affidarsi ad un negoziante specializzato, che abbia una certa esperienza e, ancor meglio, se dotato di qualifica ERSA, la versione europea della mitica associazione americana degli incordatori. Il corso, teorico e pratico, non è assolutamente banale, e il passaggio del test, per nulla scontato. Quel che è certo, è che coloro che escono con quella qualifica, hanno le basi per incordare come si deve. Come ci conferma Paolo Rondini, uno dei pochissimi Pro Tour Stringer italiani, il massimo livello che si può raggiungere con l'ERSA e che permette di incordare nei tornei pro: «Io ho imparato tantissimo da quel corso; poi chiaramente conta l'esperienza che riesci a costruirti e la tua capacità di saper trasformare le sensazioni di un giocatore, professionista o di club, in una scelta tecnica corretta». Il responsabile ERSA in Italia è Marco Rossani, tra i titolari dello storico negozio di Milano, La Bottega del Tennis, e unico incordatore italiano ad aver ricevuto l'onore di entrare nello staff di stringer al torneo di Wimbledon. Accennato con lui dell'intenzione della Federazione di creare un albo degli incordatori professionisti e della possibilità di affidarsi all'ERSA per realizzare i corsi, non può che essere d'accordo: «Sarebbe una scelta molto intelligente da parte della Federazione perché si tratta di un'attività altamente professionale che va in qualche modo riconosciuta, come avviene per i maestri. Mi sono arrivate delle voci di questa intenzione e speriamo che si realizzi. L'ERSA sarebbe indubbiamente pronta a dare il suo contributo».


CORDA, MA QUALE CORDA? La scelta di un ottimo incordatore serve anche per decidere... quale corda utilizzare. E per offrire dei riscontri non solo soggettivi, ci sarebbe bisogno di testarle con delle tecniche all'avanguardia. In questo, uno degli "avanguardisti" è l'ingegner Gabriele Medri, capace di sviscerare da una matassina il minimo dettaglio e aiutare l'utente finale a capire meglio che cosa deve montare sul proprio telaio. Il tutto, grazie ai macchinari-test creati con la sua Pro-T-One: «La mia attività continua, soprattutto con quei brand che non dispongono di un settore specifico di ricerca e sviluppo ma vogliono conoscere meglio le caratteristiche dei loro prodotti. Per esempio, sto ultimando i test sulle corde Starburn, una gamma infinita di modelli, e il cui proprietario ha deciso di pubblicare i risultati sul loro sito: nessun segreto, solo pura informazione a disposizione dell'utente finale. E ci terrei a sottolineare un aspetto: il livello qualitativo medio delle corde si è alzato tantissimo: adesso trovare una corda veramente pessima, non è facile». I dati che emergono «sono già abbastanza attendibili da poter fare una fotografia sulla carta di quelle che saranno le caratteristiche della corda - assicura Medri -. In più, c'è un rinnovato interesse per il custom, quantomeno per rendere due telai identici o migliorarne le qualità. Sto collaborando con la FIT, del quale in buona sostanza sono diventato responsabile per quanto riguarda la parte di attrezzatura: seguo i Centri Periferici, controllo i telai, faccio i test con gli accelerometri e personalizzo gli attrezzi. Non è un lavoro semplicissimo ma cerco di accompagnare i migliori ragazzi di 16-17 anni sulla giusta

strada, fino ad arrivare ai vari Giannessi e Lorenzi quando sono al Centro Tecnico Nazionale di Tirrenia. Con Lorenzi il caso è stato emblematico: lo scorso inverno gli sono arrivate le Head Pro Stock PT57A, che sostanzialmente sono ancora le vecchie Pro Tour. Peso, bilanciamento e inerzia erano uguali a quelle precedenti, però lui le sentiva diverse. Abbiamo fatto un test col radar, che ti calcola la cilindrata del giocatore valutando la velocità di entrata e uscita della palla, ed è saltato fuori che con la racchetta nuova perdeva circa 5 km/h di velocità. IL COSTO DELL'INCORDATORE Un altro grosso problema è il costo della manodopoera per l'incordatura. L'utente finale è abituato a pagarla poco, Medri ne è sconcertato: «Un lavoro completo richiede circa trenta minuti e i prezzi variano dai 10 euro di Milano, agli 8 della Romagna, ai 5-6 del Sud Italia. Venti euro lordi all'ora come ricavo massimo per un servizio di manodopera, sono nulla. Negli Slam, i professionisti pagano fino a 25-30 euro a incordatura. Bisogna far capire alla gente che la corda, la macchina incordatrice e l'incordatore sono un aspetto prioritario e che va pagato di conseguenza. Se ci arriveremo, sarà un passo avanti per tutti: negozianti, aziende, professionisti del settore e utenti finali.

La qualità media delle corde si è notevolmente alzata e c'è un rinnovato interesse per il servizio custom, che può personalizzare l'attrezzo anche al giocatore di club

La figura dell'incordatore è ancora sottovalutata. E, soprattutto, sottopagata. Dieci euro di manodopera sarebbe il minimo sindacale, ma spesso si resta ben al di sotto, quando negli Slam, i professionisti pagano anche 25-30 euro a racchetta

ANDREA CANDUSSO E L'INCUBO KUKUSHKIN Con molto savoir-faire, Andrea Candusso lascia che appaia come normale routine. Ma incordare per il kazako Mikhail Kukushkin deve essere un vero incubo. Andrea, che è anche tecnico FIT e preparatore atletico, fa parte del PTO Team, insieme a Giancarlo Spada, Paolo Aramini e il giovane ingegnere Riccardo Valenti. Un team affiatato, che unisce varie competenze e in grado di sostenere dei test accurati su corde e racchette (hanno cominciato insieme all'ingegner Gabriele Medri, ora consulente FIT, col quale si sono divisi, pur rimanendo in ottimi rapporti) e di mettersi al servizio anche di top players. Come è successo con Kukushkin e il team di Davis del Kazakhstan. Come è cominciata questa avventura? «Nel 2014, prima della semifinale con la Svizzera. Per loro era un match importante e grazie alla presenza di Golubev erano finiti a Brà per svolgere la preparazione. Hanno chiesto di un incordatore ERSA, preparato e meticoloso ed è saltato fuori il mio nome. Da quel momento li seguo nelle trasferte più importanti, come in Serbia, dove quasi a Kukushkin riesce il miracolo contro Djokovic». Kukushkin sembra essere l'incubo degli incordatori? «È un tipo particolare, che mi faceva incordare i telai ai 100 grammi: 16.4, 15.7, 18.1. Poi da qualche settimana si allena con Guillermo Canas e insieme gli abbiamo spiegato due cose: che poteva variare anche di mezzo chilo in mezzo chilo («Nemmeno Federer si accorgerebbe della differenza di 100 grammi» gli ha detto Canas) e soprattutto che non poteva avere tutte racchette con tensioni diverse. Se scende in campo con sei, almeno due-tre devono essere uguali». Ma voi non avete lavorato solo con i kazaki. «Vero, ma anche con giocatori italiani. Abbiamo macchinari e accelerometri per customizzare l'attrezzo sul campo e svolgiamo test sulle corde in maniera precisa, con ambienti tenuti alla stessa temperatura e grado di umidità. I risultati parlano per noi: si è affidato al nostro lavoro Matteo Donati, la miglior promessa italiana, e un giocatore come Erik Crepaldi al quale abbiamo dovuto mezzo stravolgere il telaio ma, sarà una coincidenza, in poche settimane è passato da oltre il n.600 ATP al best ranking di n.262. Lei è anche tecnico nazionale: quanto sono preparati i maestri italiani sull'attrezzatura? «È una nota molto dolente: al corso maestri se ne sarà parlato per un quarto d'ora, mentre il maestro resta il primo interlocutore dell'allievo e dei suoi genitori. Ma ora sembra che anche in Federazione abbiano capito la necessità di formare del personale specializzato anche in questo settore. Lo spero tanto».

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MY WORK

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MY WORK

PRO TOUR STRINGER MANIACO DELLE CORDE, DELL'INCORDATURA E DELLA CUSTOMIZZAZIONE DEI TELAI, PAOLO RONDINI, HA DECISO DI FARNE UNA SECONDA PROFESSIONE. CON ALLE SPALLE IL TITOLO DI PRO TOUR STRINGER DI ERSA E TANTO STUDIO. «E LA DIFFERENZA SI SENTE ECCOME»

> Come è nata la passione di incordare? Non lo so. Capisco che tanti possano trovare questo mestiere alienante: sei solo tu, la corda e la macchina. Invece a me spesso rilassa. E poi sono maniaco dei dettagli: quando approfondisci questa materia, scopri un mondo incredibile. Incordavo per me e gli amici su una vecchia macchina Scaglia con contrappeso. Poi ho letto un articolo su Sam Chan, uno dei migliori incordatori del mondo, e sono finito da lui a Londra per una full immersion. Lì ho capito quanto dovevo perfezionare le mie conoscenze. Quindi ho conosciuto Marco Rossani (ERSA Italy Manager n.d.r.) e ho partecipato a tutti i corsi ed eventi possibili, compreso lo I.A.R.T. (International Alliance of Racquet Technicians) che per la conoscenza dei materiali e della customizzazione, è il top. > Nel 2013 ho aperto la mia attività: un laboratorio a Pavia, dove ho cercato di far capire la differenza tra un’incordatura casuale e

un tecnico che ti guida verso la scelta corretta. Dopo tre anni, posso dire che l’idea ha funzionato. In laboratorio, oltre alla macchina incordatrice (ora una Tecnifibre), dispongo dell'attrezzatura per la customizzazione: una Swing Weight Machine della Alpha per verificare l'inerzia, un balance board per il bilanciamento, una bilancia di precisione e tanta manualità: le macchine da sole non bastano.

> Spesso si usa un'attrezzatura sbagliata, soprattutto tra gli junior. Faccio l’esempio più banale: se usi una racchetta molto leggera ma

bilanciata in testa, vuol dire che quando colpisci la palla, la parte più leggera (il manico) prende vibrazioni e le trasmette al braccio (con evidenti conseguenze dannose), mentre un telaio un po’ più pesante risulta stabile. Senza considerare che troppi ragazzini usano i monofili: dovrebbero essere proibiti sotto i 12 anni, come sostengono negli States. E anche dopo, andrebbero sempre usati ad una tensione inferiore ai 21 kg. Al Foro Italico ho incordato per Volandri a 9,5 kg e in generale anche le tensioni dei pro si sono abbassate. Post scriptum: il lavoro, soprattutto nei tornei, è fisicamente dispendioso: un telaio si può incordare in 15-18 minuti ma al Foro Italico ho raggiunto il mio limite fisico, perché potevi cominciare alle 6 del mattino e finire alle 11 di sera. Ma cedono i polpacci, non le mani.

> Non si diventa incordatori per magia. Bisogna imparare tanti piccoli accorgimenti. Quando vedo i cali di tensione al momento di

fare il nodo, telai che prevedono quattro nodi e vengono incordati con due... Se poi c'è da montare un budello, non ti dico! Faccio circa 2.000 incordature l'anno e tante customizzazioni. Lavoro soprattutto per gli agonisti: di recente è venuto un 2.4 che usava una racchetta con un’inerzia bassissima, 304 punti. L'ho stravolta positivamente e, quando dai un valore aggiunto, il passaparola è immediato.

> Customizzare un telaio non è difficile, è saper cosa fare che lo è! Da un lato c’è il racquet matching, cioè rendere due racchette identiche perché spesso, pur acquistate nello stesso luogo e momento, due telai possono avere differenze considerevoli. Un altro ancora è prendere dei telai già uguali e trasformarli in qualcosa di più adatto alle esigenze del giocatore. Dei tre parametri principali (peso, bilanciamento e inerzia) l’aspetto prioritario è l’inerzia: deve sempre essere identica in tutto un set di racchette. Piuttosto, meglio una leggerissima differenza di peso. Un negozio specializzato dovrebbe avere gli strumenti per controllare i dati prima dell’acquisto.

> Quando si colpisce la palla, le corde si stirano e aumentano di tensione: se colpisci intorno ai 100 km/h, è stimato che un monofilo

montato a 23 kg, possa raggiungere una tensione all’impatto superiore anche di 20 kg. Col budello, solo di sette. Immaginate che differenza per il braccio impattare migliaia di colpi a 40 kg al posto che a 30… E poi il monofilo perde tensione in maniera impressionante. Già le nuove corde monofilo iniziano a offrire un buon compromesso, come la Tecnifibre HDX Tour o la Luxilon Element.

> A quelli che hanno sufficiente budget, consiglio sempre un ibrido con budello naturale sulle verticali e Luxilon Alu Power sulle orizzontali (il Champions Choice della Wilson n.d.r.) e comunque dispongo di un assortimento di 60 modelli diversi. La mia top 5? L'ibrido che ho appena citato, poi la Luxilon Element, la Solinco Hyper G, la Yonex Poly Tour e la Solinco Tour Bite. Però attenzione: sono un terza categoria che un multifilo come la Tecnifibre X-One la rompe ogni ora; ciò non vuol dire che per altri non sia una gran corda.

> Le corde miglioreranno perché offrono buoni margini e quindi ci sono altrettanti buoni investimenti nella ricerca. Si proverà a

creare materiali morbidi, che spingono tanto, con buona scorrevolezza e senza perdere troppa tensione, anche se non è facile perché la plastica tende proprio a rilasciare tensione. Bisognerebbe poi creare una netta distinzione tra la corda per il professionista che si può permettere di cambiarla ogni 9 game e quella per il giocatore di club. Questo sarebbe un aspetto fondamentale. Paolo Rondini è Master Racquet Technician e Pro Tour Stringer, la qualifica prevista per incordare nei tornei ATP e WTA. Info: prostringer.it

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THE story

Gli anni 80 hanno rappresentato il periodo più florido per le innovazioni tennistiche, grazie a menti come quelle di Howard Head, Roland Sommer, Siegfried Kuebler, Franz Völkl e Warren Bosworth. Ingegneri dalla spiccata vocazione commerciale unita ad una fantasia visionaria, che hanno saputo osare e coniugare la loro creatività con un’equivalente concretezza. Ecco la loro (straordinaria) storia

beautiful minds di Raffaello Barbalonga

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THE inventors

Nell'immagine ricostruita, una sorta di Mount Rushmore tennistico, con i visi di alcuni personaggi che hanno rivoluzionato il mondo del tennis. Da sinistra, Siegfried Kuebler, Howard Head, Roland Sommer, Renè Lacoste e Warren Bosworth.

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In principio era il legno, su un'area di quasi 69 square inches. In sandwich di fogli pressati di faggio, frassino, acero, bambù, noce, fino alla rosa, al sicomoro, al teak, al mogano. Il legno era lo scettro di ogni tennista, con la sua forma immutabile, eterna. Ma questa è una storia di uomini e gli uomini hanno la caratteristica di mutare la storia. Un assetto che cambia, un corso che devia, una consuetudine che si spezza, uomini che creano. Sono personaggi con caratteristiche comuni tra loro: ingegneri dalla spiccata vocazione commerciale unita ad una fantasia visionaria, che sanno osare e coniugare la loro creatività con un’equivalente concretezza. Nella prima metà degli anni 60 un ingegnere francese stava per compiere la prima vera rivoluzione. Renè Lacoste era testardo, caparbio ma soprattutto organizzato: «Per vincere mi servono soprattutto due cose che chiunque può procurarsi: una collezione completa di libri sul tennis e un muro in cemento che posso logorare a forza di giocarci e che devo far imbiancare ogni anno». Un uomo che appuntava ogni piccolo particolare, che studiava e che amava non sottovalutare i dettagli. Queste caratteristiche lo portarono a definire una vera architettura della preparazione dei match, dalla quale scaturirono anche uno dei primi esempi di macchina lanciapalle e la prima forma di video analisi. Terminata la carriera come tennista, nel 1933 con la sua petit piquet in jersey, stravolse la moda casual: 20 km di filo di cotone andavano a formare 230 grammi di un capo d'abbigliamento immortale. La sua vena creatrice unita ad un intuito commerciale cristallino, portarono Lacoste nel 1963 a lanciare la prima racchetta in materiale metallico. Il progetto era dettato da studi compiuti 30 anni prima. «Fu merito della mia carriera in aeronautica: la direzione e la fabbricazione degli equipaggiamenti per i Mirages, i Concorde e gli Airbus, mi permise di scegliere i tipi di metallo e di materia plastica per rimpiazzare con successo il legno». L'intento era quello di introdurre l'utilizzo di materiali avveniristici per ottimizzare l'aerodinamicità dell'attrezzo e migliorare la potenza dei colpi ottimizzando le masse. Ne scaturì un telaio davvero innovativo, di grande fascino e larga fruibilità, che conquistò immediatamente gli appassionati e fece sobbalzare le grandi aziende concorrenti. La struttura era costituita da un tubo di acciaio cromo molibdeno che andava a formare un cerchio quasi perfetto nel piatto corde e una serie di occhielli esterni a trattenere le corde senza indebolire la struttura con fori. La racchetta Lacoste però, non conquistò mai il mercato mondiale. Wilson si accaparrò i diritti e produsse l'attrezzo che divenne un simbolo del tennis moderno: la T2000, resa celebre soprattutto da Jimmy Connors. Siamo alla fine degli anni 60 e il mondo sta cambiando in tutti i sensi. La smania tecnologica corrobora l'umanità e l'epica conquista della Luna proietta le fantasie ad un futuro a portata di mano. L'incremento degli studi sui materiali sintetici è fortissimo e gli inizi degli anni 70 accelerano tutti i processi di sviluppo. Il tennis vive un momento speciale, si afferma il professionismo e crescono esponenzialmente i praticanti. Il mercato si spalanca sostenuto dalla congiuntura economica: è il boom. L'industria aerospaziale funge da precursore su tutta quella catena di studi che si traducono in applicazioni e infine in prodotti: dal design alla funzione e alla materia, tutto viene sottoposto a radicali trasformazioni. In ambito sportivo, lo sci è il primo sport a ricevere questo contributo tecnologico. Head e Fischer sono le aziende che impiegano

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per prime i nuovi materiali sintetici e mostrano la strada: il periodo del metallo sembra avere vita breve e il legno accusa la fatica di stare al passo con i richiesti incrementi di produzione. La disponibilità del legno deve infatti fare i conti con una necessaria stagionatura e i tempi brevi imposti dalle leggi di mercato sottopongono sempre più spesso i telai a subire deformazioni strutturali. Il 1972 segna una svolta nell'ambito della produzione di racchette. Da Straubing, nell'Alta Baviera, un'azienda principe nella produzione di sci, sviluppa dal 1962 prodotti in fibra di vetro. Franz Völkl crede nel prodotto di alta qualità ma soprattutto nella ricerca. Trasferisce quindi la tecnologia applicata allo sci nel tennis e crea Zebra, la prima racchetta interamente in fibra sintetica. Non si lavora solo su una forma rinnovata e futuristica dell'attrezzo, viene anche studiata la fisica e la funzionalità, introducendo la cosiddetta cassa di torsione, cioè una nuova sezione che implichi angoli supplementari con la funzione di limitare al massimo il fenomeno della torsione assiale. Sta prendendo vita il grande periodo tecnologico, un ventennio di incessanti innovazioni che influenzeranno, come mai prima, anche l'evoluzione stessa del tennis giocato. L'ingegnere che per l'ennesima volta mescola le carte si chiama Howard Head. Figlio di un dentista di Philadelphia, il piccolo Howard era convinto di avere grande talento nella scrittura. In casa, la sorella maggiore Hannah, aveva ottenuto un discreto successo con alcuni romanzi per riviste, ma la scuola presto gli indicò altre strade. Scoraggiato dai pessimi voti in lettere, scelse la strada scientifica e ingegneristica. Si laureò nel 1936 ad Harvard con ottimi voti, ma il desiderio di scrivere non lo abbandonò e terminata l'università lavorò come sceneggiatore per March of the Time, un giornale cinematografico. Tuttavia, la sua vocazione ingegneristica non poteva rimanere repressa e ciò gli fu chiaro quando cominciò a lavorare per la Martin Aircraft Company, un'azienda che progettava e costruiva aeroplani durante la Seconda Guerra Mondiale, risultando per sua stessa ammissione talmente bravo da sentirsi imbarazzato. «Finalmente ero a casa mia» disse Head. Non ci volle molto perché il suo talento venisse trapiantato dal fronte bellico all'industria e il 1947 segnò in tal senso la sua vita. Tornato da un'escursione sugli gli sci con alcuni amici, Head ripensò


Qui sopra, uno degli ingegneri che con le sue invenzioni ha stravolto maggiormente il mondo della racchetta: Howard Head mentre impugna un racchettone Prince, da lui ideato. Nella pagina accanto, due esemplari della stessa racchetta creata da Renè Lacoste e poi commercializzata (con grande successo) da Wilson col nome T-2000.

alla sua terribile performance sulla neve: lungi dal negare di essere un pessimo sciatore, pensò tuttavia che parte della colpa dei suoi fallimenti fosse da attribuire ai pesanti sci in legno con i quali si era dovuto cimentare. Si convinse dunque che con materiali come l'alluminio, la fibra di vetro e altri ancora, tutti mutuati dal campo dell'aeronautica, sarebbe stato in grado di dare vita ad un paio di sci migliori. Il prodotto dei suoi lunghi studi fu un compound lamellare a sandwich, che prima di concretizzarsi in un conclamato successo produttivo dovette passare oltre quaranta test: «Ogni volta che uno sci si rompeva, qualcosa dentro di me si frantumava con esso». Ma la cocciutaggine e la perseveranza di Head ebbero la meglio e alla fine del 1950 si contarono circa 200.000 paia di sci venduti. Verso la fine degli anni 60, Head Ski era la più grande azienda produttrice di sci al mondo. Nel 1969, a 55 anni, Head cedette il suo impero ad AMF per 16 milioni di dollari e andò a godersi la pensione nella sua villa in stile normanno a Baltimora. Come ogni ricco pensionato farebbe, Head aveva attrezzato la sua villa con tutti i comfort e i divertimenti del caso, tra i quali un meraviglioso campo da tennis immerso nel folto del giardino di querce. Il tennis divenne ben presto il suo passatempo preferito. Non riuscendo a migliorare attraverso l'infinita serie di lezioni private, pensò fosse giusto arrangiarsi in autonomia e acquistò una macchina lanciapalle da un'azienda di Princeton, nel New Jersey, che presto avrebbe fatto la storia: si chiamava, appunto, Prince. Incuriosito dal design semplice e dai difetti di funzionamento che aveva notato, tornò in New Jersey per dare a quelli di Prince «qualche consiglio». Nel 1971 Head acquistò il 25% delle azioni

di Prince, di cui divenne progettista-capo e presidente del consiglio di amministrazione. Nei due anni successivi Prince conquistò il 50% del mercato delle macchine lanciapalle. Per Head tuttavia non era ancora abbastanza e la sua ostinazione verso il miglioramento e la sperimentazione lo indussero a non fermarsi alla macchina lanciapalle. Pensando a come poter migliorare ulteriormente il suo tennis e quello di milioni di appassionati, intuì che il fulcro del problema era la capacità di resistenza torsionale del telaio, ovvero come impedire che la racchetta si girasse nella sua mano ad ogni impatto poco preciso. L'idea che immediatamente ne scaturì fu semplice e limpida: costruire telai dal piatto corde più grande! Il progetto funzionava: il conseguente aumento nelle dimensioni dello sweet spot portò ad un effettivo miglioramento del suo gioco. Nel 1975, dopo aver apportato gli ultimi perfezionamenti al design, lanciò l'idea al consiglio di amministrazione di Prince. Nacque la racchetta da tennis Oversize di Prince, della quale all'esordio nel 1976 vennero venduti oltre 100.000 modelli a 65$ (senza corde), con un incremento delle vendite del 50% nell'anno successivo, dovuto in gran parte anche al fortunato utilizzo del telaio da parte di numerosi giocatori professionisti. Secondo un articolo di Sports Illustrated, nel 1980 ben 700.000 tennisti, amatoriali e non, giocavano con una racchetta Prince, nonostante la consegna dell'articolo richiedesse in alcuni casi anche tre mesi. Un'equazione, dunque, praticamente infallibile quella che traduceva il brillante genio di Head in un automatico successo commerciale. E l'elemento costante, il termine noto di questa equazione, era sempre lo stesso: la sua fondamentale inadeguatezza sportiva. Come lui stesso spiegò: «Le persone che cercano di inventare qualcosa di fine

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a se stesso inciampano sui propri passi. Le migliori invenzioni arrivano da coloro che sono totalmente e profondamente coinvolti nel cercare la soluzione ad un problema». Se da una parte il Nuovo Mondo gridava al successo e all'innovazione, nel Vecchio Continente le menti non erano di certo rimaste ad oziare. Nel 1972 una racchetta da tennis in alluminio capitò in mano a Siegfried Kuebler, ingegnere tedesco incredibilmente eclettico e visionario che si decise a reinventarla. Quella di Kuebler era stata una vita di sofferenze. Siegfried nacque a Gerusalemme, la sua famiglia apparteneva alla Templar Society, una comunità religiosa che si distaccò dalla Chiesa luterana nella metà del 19° secolo. Minoranza oppressa in Germania, i Templari immigrarono in Palestina, dove fondarono comunità agricole fiorenti. Quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, il padre di Kuebler, Friedrich, fu portato in un campo di concentramento chiamato Akko, nei pressi di Haifa, e con lui poco dopo Siegfried, di otto anni, sua madre Paula e la sorella Gisela. «Ogni giorno ho sentito il moto delle onde lungo la costa. Non poter mai vedere l'acqua, né sentire il vento, questa è stata la cosa più terribile». Nel 1942 i Kuebler vennero rilasciati in cambio di prigionieri di guerra alleati, quindi trasferiti a Überlingen, dove avevano dei parenti. Quando la guerra finì, la povertà e la fame invasero la Germania meridionale. Siegfried divenne un bracciante. Per poco però. «Libertà non significa nulla se non hai soldi» pensava. Studente di talento, si iscrisse alla Institute of Technology di Costanza, in Germania, dove conseguì una laurea in ingegneria meccanica. Voleva un posto di lavoro nel settore dell'industria aerospaziale, ma non riusciva a trovarne uno, così entrò a far parte di un reparto di refrigerazione in una società svizzera e nel 1957 accettò un lavoro per la Canadian Ice-Machine Company di Toronto. Kuebler tornò in Germania Ovest solo nel 1960, dove trovò occupazione in un impianto idraulico fermo a Singen, per il quale progettava torri di raffreddamento per grandi edifici, quindi in un’azienda che progettava missili aria-aria. «Alla fine mi sono chiesto perché stavo facendo missili, che non sono un bene per nessuno». Il suo primo tentativo di ingegneria applicata al tennis fu la Mark 77, una racchetta dai manici intercambiabili di tre dimensioni e provvista di bande che, inserite in una scanalatura intorno alla testa, ne andavano a modificare il peso. Qualche anno dopo presentò la Plus 40, racchetta famosa per aver passato più tempo nei tribunali che sui campi da tennis; la distribuzione tedesca di Prince citò infatti Kuebler, affermando che la Plus 40 aveva violato il brevetto Oversize di Howard Head. Un tribunale civile di Monaco diede tuttavia ragione a Kuebler, appurando che il brevetto Prince non si estendeva alla Germania Ovest poiché Kurt Klemmer aveva pubblicamente esposto pochi anni prima, all'ISPO del 1972, la sua Bentley Fortissimo Largehead. Head e la sua Prince non ne furono certo entusiasti. Il Widebody, il modello di racchetta più celebre creata da Kuebler, fu il frutto di un'operazione al cuore che quest'ultimo non fece mai. Nel 1984, la notte prima di sottoporsi ad un intervento chirurgico, si nascose fuori dall'ospedale e tornò a casa per un paio di giorni, per poi prendere un volo per le Canarie. Una volta giunto a Fuerteventura si rintanò in un bungalow con una penna e un fascio di carta. «Doveva essere la carta bianca - racconta -. Carta pergamena bianca. E doveva essere una penna cinese con inchiostro nero. La penna sembrava graffiante sulla carta, ma per alcune oscure ragioni, l'inchiostro scorreva».

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Il risultato di tutto ciò fu Und Dann? (E poi?), una fantasia faustiana di un barbone appassionato di tennis che, sedotto da una tribù perduta di donne amazzoniche, assorbe allucinogeni attraverso un foro nel cranio e sviluppa un servizio micidiale con l'aiuto del suo allenatore, l'imperscrutabile Dr. Helmholz. Il barbone, Peter Grant, realizza il Grand Slam con una racchetta mostruosa, la Resonanz. «Quando ho scritto questo libro - dice Kuebler - non avevo in mente di fare una tale racchetta. Poi, qualche tempo più tardi, ero seduto nel mio ufficio e mi sono detto che poteva essere un’idea molto interessante. Perché non cominciare a buttare giù due calcoli?». Ne scaturì una racchetta in alto modulo con uno spessore tre volte più largo di un modello normale. Kuebler portò quindi la sua “creatura” nella sede centrale di Head Sports, a Kennelbach, in Austria. Era troppo grande, gli disse il responsabile, troppo ingombrante. Kuebler iniziò allora a sfornare prototipi autonomamente, in una piccola fabbrica a Singen. I primi erano troppo fragili e si rompevano velocemente. Poi finalmente vide la luce la mitica R-50. «Ho deciso di renderla bianca per farla apparire ancora più grande – continua Kuebler -. La gente andava pazza di quel colore bianco. Tutti volevano la grande racchetta bianca». Quando è stata introdotta nel mercato della Germania Ovest alla fine del 1985, l'R-50 veniva venduta per 300 marchi. «Ad ogni acquisto, con una spesa di 10 marchi veniva allegata una copia di Und Dann?. Non pensavo che la mia invenzione fosse così speciale, ma il romanzo lo era per me. Se qualcuno mi avesse dato 10 marchi per il libro, io gli avrei regalato la racchetta!». Ma qual era il concetto alla base di questo nuovo telaio? La risposta, come spiega Kuebler, risiede nel nome stesso della racchetta: «La frequenza di risonanza è il tempo che serve ad un telaio, flesso dopo un impatto, per riallinearsi. Prima della mia Resonanz 50, i telai erano ancora flessi quando la palla lasciava il piatto-corde. La mia racchetta, invece, è così rigida che la sua frequenza di risonanza è quasi la stessa del tempo di impatto tra palla e corde. Meno energia viene dispersa in flessione, più ottieni potenza». Kuebler aveva praticamente posto le basi del tennis moderno. Fu ancora una volta la Direzione Generale di Wilson ad accaparrarsi l’idea, assicurandosi nel 1986 i diritti di brevetto per la produzione in larga scala dei widebody di Kuebler. Venne così data alla luce la celebre linea Profile. Il 1988 fu la stagione dei widebody. Al MIAS di quell'anno cinque brand si presentarono con i motori caldi: Wilson con il brevetto


Qui sopra, un esempio di sistema Kinetic applicato ad una racchetta e, nella pagina accanto, il suo inventore, l'ingegnere tedesco Roland Sommer. Tutto è nato dall'esigenza di un amico pilota che, afflitto dal gomito del tennista, non voleva smettere di giocare a tennis, né voleva perdere il brevetto di volo. Ancora adesso, il sistema Kinetic (inserito in esclusiva nei telai Pro Kennex) resta il miglior sistema anti-vibrazioni mai inserito in una racchetta da tennis.

Profile, Maxima con la sua Profile a cui venne cambiato il nome in Profiline proprio per questioni legali con Wilson; e ancora, Völkl con le splendide T9, e Donnay, che come Maxima dovrà cambiare il nome della Profile Apollo in Revolutive Apollo. Le differenze tra un telaio e un altro consistevano nella misura degli spessori e nelle rastremature. Donnay, Maxima e Völkl scelsero di adottare una rastrematura semplice (massimo spessore in testa per diventare gradualmente più sottili nei pressi del manico), Kuebler e Wilson si orientarono sulla doppia rastrematura (massimo spessore al cuore che degrada sulla testa e sul manico). Ma all'inizio degli anni 90, Kuebler finì per ritrovarsi in mezzo all'ennesima disputa legale tra Head e Wilson, sempre su una questione di brevetti, questa volta per uno riguardante la redistribuzione delle masse nei telai, il cosiddetto progetto Genesis. Sebbene le royalties avessero reso Kuebler ricco, come lui stesso afferma, la maggior parte di quei soldi se sono andati tra parcelle e spese legali. Oggi, ultraottantenne, Kuebler può vantare di aver scritto più di 15 libri, possiede numerosi brevetti a suo nome ed è praticamente da considerarsi come l'uomo che negli anni 80 ha salvato Wilson dalla bancarotta permettendogli di commercializzare la Profile. Dal 1971 ha accumulato una collezione di oltre 5.000 racchette, delle quali un migliaio sono conservate sotto teca in quello straordinario museo che è casa sua. In definitiva sarebbe molto facile raccontare come il signor Kuebler che, con sua moglie Barbara viveva modestamente in una bianca casetta a Überlingen, sul Lago di Costanza, un giorno si svegliò e inventò la racchetta che faceva giocare bene anche chi non sapeva farlo. Ma la verità è che Siegfried non amava troppo

improvvisare. Preferiva studiare e testare. Per questo tutte le sue invenzioni, che hanno stravolto il mondo dell'attrezzatura tennistica, sono state il frutto di ricerche e sperimentazioni accurate. Tuttavia nella storia recente della racchetta, lo spirito pionieristico e il senso dell'innovazione non hanno sempre alloggiato in menti dalla formazione matematica e ingegneristica. Da dove infatti provenisse il genio meccanico che rese Warren M. Bosworth uno dei tecnici più influenti e significativi nella storia del tennis, è tuttora difficile a dirsi. Forse dal nonno, che per primo inventò le punte di plastica apposte all'estremità dei lacci da scarpe per facilitarne l'inserimento nelle asole; oppure, come sostiene tutt'oggi il figlio Jay Bosworth, che gli è succeduto alla guida della Bosworth Tennis dopo la sua dipartita nel 2010, dalla sua irriducibile natura inquisitoria, che lo portava costantemente a chiedersi: «Perché?». Fatto sta che il background professionale di Bosworth Jr, nato a Providence in Rhode Island il 5 gennaio del 1935, non lasciava certo intendere che quell'uomo avrebbe rivoluzionato il mondo dell'attrezzo principe del tennis, la racchetta, introducendo il concetto di customizzazione. Conclusi infatti i suoi studi alla New England Institute of Anatomy, Bosworth lavorò per qualche tempo come imbalsamatore per la ditta del padre, la Bosworth Funeral House, per poi svolgere nei 16 anni successivi il mestiere di agente di cambio presso una banca. La prima volta che Bosworth si accostò professionalmente al mondo del tennis fu nei primi anni 70, quando cominciò

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ad occuparsi della manutenzione delle superfici sui campi, e in particolare nel 1972. In quell'anno Bosworth acquistò e riadattò alle sue esigenze una macchina incordatrice. Fu allora che la Ektelon Corp., azienda che produceva equipaggiamenti per lo squash, gli commissionò la progettazione di una nuova macchina incordatrice. Da quel momento in poi, cominciò a lavorare per l'Aetna World Cup Tournament ad Hartford, in Connecticut, dove viveva con la moglie Barbara e i tre figli. La sua abilità di incordatore e istruttore professionista gli valse una fama tale da consentirgli, nel 1975, di abbandonare il lavoro come agente di cambio per diventare a tutti gli effetti un incordatore a tempo pieno: fondò la Bosworth Racket Clinic, con la quale cominciò a viaggiare fornendo i propri servizi in ogni tappa del circuito. A 40 anni compiuti, Bosworth decise insomma di dedicarsi anima e corpo al tennis. E con riscontri assolutamente di prim'ordine: da anonimo agente di cambio Bosworth divenne in poco tempo l'incordatore delle stelle, universalmente riconosciuto come «l'unico in grado di fare quello che lui faceva». Già, ma cosa faceva esattamente di così straordinario? Innanzitutto era capace di capire il bizzarro linguaggio utilizzato dai professionisti per descrivere le proprie sensazioni durante le fasi di gioco: i giocatori di quel livello erano infatti sensibili alle più sottili variazioni tra le racchette, ma erano in grado di esprimerle unicamente attraverso espressioni criptiche come «pastosa» o «frizzante». Ebbene Bosworth era in grado di decifrare in maniera infallibile lo sconfinato vocabolario di percezioni che i giocatori tentavano di spiegare; non solo, ma ovviamente era anche capace di tradurre operativamente queste sensazioni in modifiche concrete che, apportate ai telai degli atleti, ne miglioravano effettivamente la performance sul campo. L'opera di customizzazione da lui effettuata su ogni racchetta consisteva nel fornire al cliente un attrezzo unico, specificamente concepito per le sue esigenze e per il suo stile di gioco. Osservando, ascoltando ed allenando, Bosworth arrivò alla conclusione che la racchetta rappresentava molto di più di un semplice attrezzo, e che le corde erano una sorta di estensione della fiducia dell'atleta; capì che, scovando il modo di accrescere la confidenza del giocatore con il proprio equipaggiamento, sarebbe riuscito a creare «tennisti migliori». Bosworth inaugurò questo straordinario tipo di lavoro con Kenneth Rosewall, la leggenda australiana, allora n.1 al mondo, perché come lui stesso diceva: «Se è vero che da qualche parte devi cominciare, allora comincia dal top», filosofia che contraddistinse il suo lavoro per i 35 anni a seguire. Il Mago di Boz, come venne soprannominato dai suoi assistiti, si rivelò un autentico drago nell'aiutare i giocatori a risolvere come per incanto i dilemmi con le proprie racchette. Nessuna magia però, Bosworth assolveva di volta in volta la propria missione con maniacale scientificità, approntando una serie di test metodici su dozzine di telai calibrati con differenti pesi, bilanciamenti e tensioni. Di ogni cliente conservava una moltitudine impressionante di documenti e video, in modo che potessero venirgli in aiuto le (non rare) volte che si trovava a diagnosticare telefonicamente il problema di un giocatore. Il suo studio ad Hartford, non lontano da casa, era situato

in uno spazioso locale senza finestre dentro ad un moderno edificio di mattoni che condivideva con un distributore di parti elettriche. L'interno si presentava come una distesa di strumenti di precisione e macchinari esotici che potevano ricordare il laboratorio di una sorta di Dr. Frankenstein in versione fantascientifica; un'intera parete era coperta da un vero e proprio alveare di cubicoli, ognuno dei quali pieno di racchette prive di corde. Nonostante l'assenza di finestre non vi era pericolo di sudare, dal momento che la temperatura era volutamente mantenuta a 16 gradi, in modo tale da preservare la resilienza dei 10.000$ di budello naturale conservati all'interno di un armadio ermetico progettato per strumenti chirurgici. Così, quando nel pieno di una notte del 1981 Bosworth venne svegliato dall'inconfondibile accento slavo di un Ivan Lendl disperatamente bisognoso di un nuovo carico di racchette, altro non fece che alzarsi e recarsi solertemente a quello studio, munito solamente di una registrazione delle note che il campione gli aveva "suonato" dalla sua stanza a Vienna, picchiettando la cornetta del telefono sul piatto corde dell’unica racchetta sopravvissuta, e che già cominciava ad avvertire come «un po' allentata». Una volta arrivato allo studio selezionò una dozzina di telai Adidas GXT dal compartimento di Lendl e dopo aver consultato le specifiche preventivamente stabilite come ottimali per il giocatore, tolse i grip in cuoio e pose le racchette, una per volta, su una serie di bilance ultra-sensibili e barre di bilanciamento. Se il telaio esaminato risultava troppo leggero, allora aggiungeva nastro piombato in punti strategici, se era troppo pesante creava minuscoli fori sul fondo del manico, il tutto per raggiungere con assoluta precisione quei 371,5 grammi di peso e 321 millimetri di bilanciamento precedentemente concordati con Lendl, al momento dei test. Quindi misurò ogni singolo manico con un calibro a disco e utilizzò un blocco da levigatura per dare all'impugnatura quella forma ottagonale prediletta dal giocatore. Dopo aver controllato la larghezza e l'uniformità dei grip in cuoio e averli abilmente avvolti intorno al manico, assicurò gli stessi con un collante a presa rapida e il consueto nastro nero alla fine. Una volta ispezionati i grommets per assicurarsi che non presentassero crepe nemmeno dello spessore di un capello, le racchette venivano poste sulla macchina incordatrice da lui stesso progettata, pronte per l'ultimo step. Per decidere la tensione aveva bisogno di convertire le note "suonate" alla cornetta da Lendl in chilogrammi di tensione e per fare ciò Bosworth inserì un analizzatore di frequenze nel suo registratore, arrivando a stabilire che la tensione alla quale il giocatore avrebbe smesso di avvertire le corde come «un po' allentate» era esattamente di 72 libbre (32,6 kg). Dopo 90 minuti di customizzazione per ogni telaio, ivi compresa l'apposizione del celebre stencil a trifoglio sulle corde, le racchette erano pronte per la spedizione. Bosworth le imballò e, nemmeno a dirlo, si occupò personalmente della loro spedizione, come d'altronde accadeva per ogni suo cliente. Il lunedì mattina Lendl, fresco della vittoria nella finale di Vienna, trovò le racchette ad aspettarlo nella sua stanza d'hotel a Colonia, arrivate a bordo di un volo Lufthansa giusto in tempo per l'inizio del torneo. «Warren is a wizard - dichiarò Lendl a proposito -. I don't

Osservando, ascoltando e allenando, Warren Bosworth arrivò alla conclusione che la racchetta rappresentava molto più di un semplice attrezzo e che le corde erano una sorta di estensione della fiducia dell'atleta. 112


La resonanz, racchetta widebody dal profilo molto allargato, creata da Siegfried Kubler, un ingegnere che con questa sua invenzione fu di fatto l'artefice del power tennis moderno. Si trattava di racchette molto rigide perché, come diceva lui stesso, meno energia viene dispersa in flessione, più potenza si può ottenere.

know how he does it». Da quel momento, Lendl inanellò una serie di 121 vittorie in 129 partite, guadagnando 1,9 milioni di dollari in montepremi. E per sua stessa ammissione, buona parte del merito di quella incredibile serie positiva fu del lavoro di Bosworth stesso. Il suo vero talento non risiedeva soltanto nella capacità di dare forma alla racchetta definitiva, ma anche in quella di riuscire ad abbattere le barriere comunicative con le star del tennis e il loro gigantesco ego, coniugando la loro arte con la scienza dell'industria. Fu per esempio in grado di sconcertare letteralmente lo staff di quello che era allora lo sponsor tecnico di Brian Gottfried, dal momento che nessun ingegnere era riuscito, prima di lui, a rendergli la racchetta esattamente flessibile come la desiderava. Solo lui riuscì a capire che in realtà ciò che Gottfried desiderava era una racchetta più rigida. «Non conosco una parola esatta per definirlo: professore? Tecnico? Per Warren, nulla è mai perfetto» disse di lui. Queste sono solo due voci in un coro unanime di stelle del tennis che per anni hanno decantato le imprese di Bosworth. Lendl e Gottfried sono stati preceduti e seguiti da un’autentica parata di campioni, tutti accomunati dalla improrogabile necessità di affidarsi all'infallibile intuito di Bosworth. Tra questi, Roscoe Tanner, Rod Laver, Stan Smith, Jimmy Connors, John Newcombe, Andre Agassi, Pete Sampras, Boris Becker, Monica Seles, Martina Navratilova. Ciò che immediatamente stregava la maggior parte di questi giocatori era la capacità di Bosworth di metterli in perfetta sintonia con il loro attrezzo, lasciandoli liberi di esprimere il proprio gioco al massimo delle potenzialità. «La T-2000 è come un'estensione del mio braccio - disse una volta Connors -. Warren mi aiuta ad aggiungervi un muscolo in più». Se

fino a quel momento i professionisti avevano dovuto giocare "per" la racchetta, alterando i propri colpi per compensare le differenze tra i vari telai, dall'avvento di Bosworth ciò non fu più necessario, e solo grazie a lui tutt'oggi non lo è. Lo capirono anche alla Snauwaert, azienda che fortemente lo volle come capo-consulente tecnico. In definitiva, per quanto il settaggio e l'incordatura possano risultare importanti, la vittoria o la sconfitta sono certamente determinate dall'uomo prima ancora che dalla racchetta. E forse è vero che un grande campione potrebbe essere in grado di vincere anche giocando con una padella. Forse. Ma come risponderebbe Gottfried: «Chi, potendo avvalersi dei servizi di uno come Boz, sarebbe disposto a correre il rischio?». Gli anni 80, attraverso le invenzioni di Head, Bosworth e Kuebler, sono stati senz’altro il motore più performante della fantasia ingegneristica applicata al mondo del tennis. L’industria sostenne fortemente l’innovazione e la bolla economica permise la commercializzazione rapida e trionfalistica dei prodotti. Un patchwork di aziende da tutto il mondo incrementarono la ricerca nell'infinita rincorsa tecnologica per ottenere attrezzi sempre più evoluti. Le architetture dei telai furono ancora più innovative, dallo studio delle racchette isometriche fino alla poligonalità della sezione, passando per il piatto ergonomico e quello “a goccia”. I materiali impiegati furono i più disparati: Silicon Carbide, Boron, Aramide, Graphite HM, Titanio, Noryl, Nicalon, Dyneema, Noene, Technora, FRP, Vectran, Quartzel e tanti altri. In una ricerca di questo genere, un'importanza speciale venne affidata alla progettazione mirata alla salvaguardia del comfort. Con

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l'incremento della rigidità delle racchette, sempre più tennisti venivano afflitti da epicondilite o epitrocleite. All'inizio del 1992 avvenne una svolta clamorosa, geniale e inizialmente molto contrastata. Un ingegnere tedesco, Roland Sommer, ne fu l'artefice. Impegnato nel campo dell'aviazione e amante del volo, è stato fautore di sofisticati accorgimenti tecnici che implementarono le funzionalità degli elicotteri Apache nella guerra del Golfo, ma fu soprattutto considerato un mago nel campo dell'aeromodellistica di precisione. E proprio costruendo supermodelli di aliante, i Rowing, gli venne in mente di sfruttare le sue competenze per ideare un sistema di assorbimento dell'urto da impatto attraverso masse mobili incapsulate, esattamente come nelle ali dei velivoli. Il suo impegno scaturì proprio dalle richieste di un amico pilota che, a causa di una fastidiosa epicondilite, lo incalzò per trovare una soluzione che gli permettesse di superare il test medico da aviatore senza dover rinunciare al tennis. Sommer costruì da solo, nel suo laboratorio, il primo prototipo di Kinetic. «Mi sono reso conto che il problema del gomito del tennista era lontano da una risoluzione nel momento in cui ho visto arrivare al mio laboratorio tennisti disposti a spendere qualsiasi cifra pur di comprare una racchetta attrezzata con il Kinetic System. Per comprendere cosa significhi la riduzione di un contraccolpo, prendete una palla da tennis, praticate un taglio, inserite all'interno la giusta quantità di sabbia prima di richiudere la fessura. Provate a far rimbalzare la palla e vi accorgerete che il contraccolpo che provoca il rimbalzo viene assorbito dalla sabbia inserita e la palla si blocca senza rimbalzare. Questo è ciò che ho cercato di realizzare sulla racchetta, quantificandolo matematicamente con formule esatte». Ci vollero due anni e mezzo perché la prima Pro Kennex Kinetic potesse entrare nel mercato. Kunnan Lo, che da grande patron aveva visto giusto ancora una volta, si dovette scontrare con le rigide direttive della Federazione Internazionale. I movimenti delle microsfere vennero infatti interpretati come un'infrazione del regolamento, che ne impedì l'immediata omologazione. Finalmente, nell'agosto del 1994, superati i cavilli, il primo esemplare di Pro Kennex Kinetic venne presentato alla 41° edizione dell'Ispo di Monaco di Baviera. Verso la fine del 1995 il tennis era ancora alla costante ricerca di qualcosa di magico, che compisse l'ennesimo miracolo commerciale. Stava tramontando l'epoca dei grandi widebodies di Kuebler, delle doppie o triple rastremature e le racchette tornavano ad assumere forme più tradizionali, seguendo l'esempio del mondo dei professionisti che avevano mal digerito l'eccesso di potenza derivato da questi telai. Come un palloncino portato alla massima dilatazione e poi sgonfiato, i profili non erano propriamente tornati quelli di un tempo, ma proprio verso la fine di quell'anno ebbe luogo un'altra piccola rivoluzione. Una rivoluzione che probabilmente anche oggi risulta pericoloso rievocare per le grandi aziende: filament winding sono le parole chiave. Il famigerato FW era qualcosa di talmente tecnologico che, a vedere come vengono costruite le racchette oggi, sopraggiunge un po' di sconforto. In cosa consisteva questo processo? In buona sostanza sappiamo che per produrre un telaio si usano "scampoli" di tessuto

grafilitico tenuto sotto cella frigorifera. Questi fogli tagliati a strisce (prepregs) vengono arrotolati a mano, come quando si fanno gli involtini. Il prodotto che ne esce, viene rinforzato in alcuni punti con altre strisce, ad inclinazioni differenti, infine adagiato dentro lo stampo. Facile immaginare che se il tecnico che compie questa operazione sposta anche solo di pochi millimetri l'inclinazione di un prepreg, si ottiene un risultato differente in termini di masse e rigidità. Ecco uno dei motivi che fa della customizzazione un processo fondamentale per ottenere il perfetto accoppiamento dei telai. Il concetto alla base del filament winding era proprio annullare queste problematiche facendo in modo che il singolo filamento di grafite si attorcigliasse elettronicamente attorno ad un mandrino e seguisse schemi di intreccio predeterminati al computer. In questo modo le inclinazioni delle fibre e il mix tra grafite e altri componenti risultavano assolutamente identici per tutti i telai determinando così il binomio perfetto: uniformità di progettazione e di risultato. Tra l'altro, con ottimi risultati anche sul versante dell'economia di gestione perché si eliminavano tutti gli scarti di produzione generati dal taglio dei prepregs. Le racchette risultavano pressoché identiche, mentre le difformità venivano relegate agli accessori (grip, grommets, buttcaps). Insomma, il risultato era perfettamente in linea con i migliori auspici. Sulla base di questa tecnologia costruttiva alla fine del 1995 uscirono sul mercato alcune delle racchette dal più alto potenziale mai realizzate: l’eccellente Miller Dynaspot, la famosa Wilson Sledgehammer Spin 5.8 dal mini profilo di 14 millimetri, le Donnay International e Limited MS FWT e la spettacolare Major FW Tour da 16 millimetri. Di queste solo le Wilson ebbero un discreto successo, senza mai generare eredi. La storia della racchette è disseminata di grandi scoperte e di grandi flop, ma i motivi del rapido abbandono del filament winding non sono chiari ancora oggi. Durante la seconda metà degli anni 90, la crisi del settore investì fortemente i mercati e solo le grandi aziende riuscirono a mantenere trend economici accettabili. Gradualmente i piccoli e medi costruttori si sono ritirati dalla piazza e con essi quell'apporto in termini di idee, innovazione e competenza che avevano permeato lo sviluppo tecnologico degli anni 80 e 90. Meno idee, meno competitività, meno progetti. Il know how è rimasto nelle mani delle major, che progressivamente hanno delocalizzato gli stabilimenti produttivi in Asia, riducendo fortemente i costi. Le dimensioni e le forme dei telai si sono gradualmente uniformati in due grandi categorie di mold: ellittico e box. Anche i profili raramente si discostano da misure standardizzate. I piatti corde e le rigidità aumentate sono invece l’emblema di una crescente necessità di potenza del tennis moderno. Le racchette insomma sono divenute diligenti, funzionali, razionali. Ma ancora oggi, se vi dovesse capitare di raccogliere tra i vecchi cimeli nell’angolo buio di una soffitta, una Kneissl White Star Aero, provate a osservarne la visionaria architettura, lo studio e la creatività progettuale che le hanno permesso di mantenere immutato il suo fascino. Soffiatele via quella polvere ingrata e riportatela su un campo. Forse potrebbe emozionarvi e sorprendervi più di quanto possiate immaginare.

«Mi sono reso conto che il problema del gomito del tennista era lontano da una risoluzione quando ho visto tennisti disposti a spendere qualsiasi cifra pur di comprare una racchetta attrezzata con il Kinetic System» Roland Sommer 114


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THE STORY

IL MISTERO DELLA FABBRICA ST. VINCENT

CORRADO ERBA

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E

sistono molte racchette che hanno fatto la storia del gioco, partendo da quei due fragili legni inseriti nelle casse dello Sphairistike da Sir Clopton Wingfield, ma nessuna possiede l’aura magica e un po’ misteriosa di quel telaio nero opaco, ma reso vivacissimo dalle due sottili linee rosse e gialle, pesante 360 grammi ma maneggevolissimo, rigido nelle sua grafite, ma pastoso come non mai. L’hanno chiamata Pro Staff, dalla casa madre Wilson. Un telaio di per sé leggendario, perché impugnato da Pete Sampras e Stefan Edberg, da Jimmy Connors e Chris Evert, da Roger Federer e Jim Courier, che pur con quattro Slam in saccoccia rimane quello scarso del mazzo. Un telaio che da mitico è diventato magico, poiché ne esiste una particolare versione, la cui genesi e sviluppo è una via di mezzo tra la narrazione di Lost e quella dell’Isola del Tesoro di Stevenson.

COME RICONOSCERE UNA ST. VINCENT Online è possibile (ma non facile) trovare una St. Vincent, spesso in condizioni ottimali, dato che i proprietari le custodiscono gelosamente. I costi variano dai 250 euro di un telaio discreto fino ad arrivare ai 500/600 euro per uno ancora intonso. Ma come riconoscere una vera Wilson Pro Staff St. Vincent? Ecco alcuni punti fondamentali. 1 Il fondello deve essere tassativamente bianco con la W rossa. Nelle prime versioni manca la R di trademark vicino alla W. Inoltre dovrebbe esserci un adesivo con la scritta Vincent. W.I. (ma essendo adesivo è possibile che si sia staccato). 2 Fondamentale il codice di tre lettere posto sul fondello, il codice termina con la lettera Q, solo raramente con la lettera A. 3 Sui fianchi del telaio c’è solo la scritta Midsize. In alcune versioni, da un lato rimane la scritta Midsize, sull’altro «80% braided graphite/20% kevlar». 4 Sulla gola della racchetta vi è uno sticker: «recommended tension 55/65 lbs», tensione poi abbassata fino a 50/60 libbre (22,5/27 kg). 5 Non c’è il bumper su gran parte delle versioni, mentre il manico è rigorosamente in cuoio Fairway. 6 Per fare un’ultima e definitiva prova, grattate leggermente la vernice nera opaca: se trovate una sottovernice color rosso bruno, allora sarete sicuri di avere tra le mani una vera Wilson Pro Staff St. Vincent.

Il plot comprende: un’isola misteriosa, un sito produttivo inaccessibile, un telaio costruito per pochi e imperdibili anni, delle informazioni vaghe e frammentarie. Non è stato facile aprire l’X-File a nome Pro Staff St. Vincent. Sono state hackerate caselle mail, presi appuntamenti telefonici notturni e misteriosi, assolte pratiche bizzarre, ma alla fine abbiamo rintracciato David Price e Ken Sherman, due degli ingegneri responsabili della misteriosa fabbrica di St. Vincent e ci siamo fatti raccontare la storia. «Quello che posso dire è che il motivo primario che ci spinse a creare un sito produttivo così particolare - ci racconta Price – è che volevamo fare un prodotto nuovo e innovativo, e se fossimo andati come tanti altri a Taiwan o in Cina, dove gli ingegneri cambiavano continuamente datore di lavoro correndo dietro al miglior offerente, il segreto della Pro Staff sarebbe durato ben poco. Così un gruppo di manager partì da Chicago guidato da Sherman e iniziò a fare scouting di luoghi produttivi, finendo sull’isola caraibica di St. Vincent, alle Grenadine». Ora, va detto che al tempo Wilson era posseduta dal colosso Pepsi Cola, che aveva notevoli interessi in quell’area dei Caraibi e vide con favore la possibilità di iniziare un’attività manifatturiera sul sito, anche perché le tasse dell’import-export erano molto basse. Importare materiali grezzi come la grafite ed esportare telai finiti, era estremamente vantaggioso, rispetto a molti altri luoghi. Fu individuata una fabbrica già attiva, dove venivano prodotti reggiseni sportivi e guanti e venne deciso di impiantare le linee di produzione dei nuovi modelli. Eravamo al principio degli anni Ottanta e le prime midsize di graphite iniziavano a soppiantare i vecchi modelli di legno; la casa americana aveva ottenuto buoni successi con i modelli Sting (quelli con il doppio ponte invertito, qualcuno ricorderà) e Ultra, quindi decise di produrre un nuovo rivoluzionario modello, prendendo il nome in prestito dalla vecchia linea Pro Staff. La cosa curiosa è che dal punto di vista del marketing, Wilson riteneva che i modelli da 110 e 125 pollici quadrati fossero quelli di punta, mentre la 85 pollici venne aggiunta in seguito e divenne un bestseller. «Inizialmente ero responsabile della linea 110 - racconta Sherman - e dato che il layup costruttivo era del tutto simile, quando fu deciso di costruire un modello dalla testa più piccola, lo sviluppo fu semplice e per nulla complicato». Assunti i primi addetti, questi diventarono talmente abili e precisi nella produzione che la percentuale di telai da scartare si avvicinava allo zero, cosa mai ripetutasi dopo nell’industria manifatturiera del tennis. «Non saprei dire esattamente cosa rese particolare quel modello di Pro Staff – continua Price -. Diciamo che la costruzione dei telai venne fatta in maniera particolare, con quella che fu definita braided costruction, ovvero fibre di grafite e kevlar intrecciate una con l’altra, costituendo un unicum nella struttura del telaio. La braided costruction costituiva una grande novità, in quanto generalmente i telai venivano prodotti in maniera unidirezionale, la cui modalità prevedeva dei fogli di fibra di carbonio uniti uno con l’altro e piegati per fornire flessibilità e rigidità desiderati, ma che non creavano una struttura unica, in quanto ogni foglio era lungo al massimo otto centimetri. Inoltre va ricordato come il kevlar, un materiale innovativo in quegli anni, aiutasse a smorzare le vibrazioni e gli urti, creando quel feeling rigido, ma allo stesso tempo pastoso, cosi peculiare della Pro Staff St. Vincent».

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A questo proposito valga l’opinione di Nate Ferguson, il mitico incordatore di Pete Sampras: «Pete voleva sempre e solo giocare con racchette prodotte a St. Vincent, perché avevano davvero qualcosa di diverso, delle differenze impercettibili per un giocatore di club, ma che Pete avvertiva eccome – afferma ancora Price -. Diceva che le St. Vincent avevano un feeling differente, più rigida in un modo che io ho definito con la parola harshest (la traduzione corretta è «più dura»). Le altre versioni erano invece più confortevoli, leggermente più morbide, anche se a livello di potenza non c’era molta differenza. Ma a Pete piaceva la risposta di quel telaio, che aveva un controllo incredibile. Quando la produzione finì, Pete e Jim (Courier n.d.r.) ne comprarono casse intere, che stoccavano in garage». A questo proposito, la leggenda (mai confermata da Wilson) vuole che le St. Vincent fossero un millimetro più spesse rispetto alle altre versioni, mentre Courier attribuiva all’umidità generata dall’isola vulcanica, la loro maggior reattività. Rich Janes, un altro ex collega di Price, raccontò che gli stampi utilizzati erano abbastanza primitivi e si erano usurati velocemente: «Facevano fatica a chiudersi e dunque il profilo probabilmente era più spesso». Nonostante ciò, Price rimarca come la qualità della costruzione fosse di altissimo livello: «Oltre ad eccellenti operai, avevamo un controllo qualità impeccabile. Più di venti controlli dei vari passaggi costruttivi, che partivano dal materiale grezzo fino all’assemblaggio finale: il risultato finale era assolutamente superbo». La fabbrica raggiunse il suo massimo splendore all’inizio degli anni Novanta: le versioni 125 e 110 pollici vennero tolte dalla produzione, rispettivamente nel 1986 e nel 1991, quando venne deciso di chiudere la fabbrica, piuttosto improvvisamente.

In alto, tra i più celebri utenti St. Vincent, Pete Sampras (da notare quante strisce di piombo applicava al telaio che raggiungeva quasi i 4 etti). Sotto, una visione ai raggi X della Wilson Pro Staff St. Vincent.

Tuttavia, a togliere ogni aura di mistero contribuisce Price. «Ritengo che la decisione venne presa quando Wilson venne comprata da Amer Sports, azienda finlandese che non aveva altri interessi ad operare nel bacino dei Caraibi. Probabilmente divenne meno dispendioso andare a produrre totalmente in Asia. Inoltre era difficile e costoso assumere ingegneri occidentali disposti a trasferirsi a St. Vincent, dove le condizioni di vita non erano così facili all’epoca. Dopo qualche mese dall’acquisizione, la Amer chiuse l’impianto e la fabbrica cadde nell’oblio». Passarono solo quattro mesi dalla chiusura e Wilson iniziò a costruire le Pro Staff a Taiwan, seguendo la tecnica della costruzione unidirezionale, ma non funzionava. Cosi, dopo una dozzina di prove, tornarono a costruirle in braided construction, anche se lontano da St. Vincent qualcosa era cambiato. Saranno stati gli stampi o la particolare umidità caraibica, ma molti giocatori professionisti, come Pete Sampras, non vollero mai giocare con telai prodotti altrove, rinfocolando il mito che la St. Vincent avesse qualcosa di particolare, se non proprio di stregonesco.

«Pete voleva giocare solo con racchette prodotte a St. Vincent: avevano differenze impercettibili che lui avvertiva. Quando la produzione finì, ne comprò casse intere, che stoccava in garage» David Price, ingegnere Wilson a St. Vincent

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La Dunlop Fort è di gran lunga la palla da tennis più amata dagli appassionati italiani. Ecco la sua storia e una lunga serie di numeri che spiegano l'egemonia del brand in questo specifico settore

QUESTIONE DI

PALLE di Riccardo Bisti

S

uppongo che il nostro Raffaello Barbalonga, nell'elencare gli ingegneri che negli anni 80 hanno stravolto il mondo del tennis, avrebbe sicuramente inserito il nome di John Boyd Dunlop, se dal settore delle racchette avesse allargato il suo studio a quello delle palle da tennis. Chiaro che il fondatore del marchio che ha preso il suo nome, nel 1888 non avesse esattamente in testa le palle da tennis, benché il torneo di Wimbledon avesse già organizzato l’anno precedente la sua prima edizione. In realtà, Dunlop si fermò ad osservare il figlio incerto sul suo triciclo e pensò ad una soluzione che rendesse quel mezzo più stabile e veloce. Fu in quel momento che ricoprì le ruote del triciclo con della gomma e gonfiò il tutto con una pompa che si usava per i palloni da calcio. Fu così che venne creato il primo air cushioning system della storia, le fondamenta per il primo pneumatico che avrebbe visto la luce l’anno successivo e che avrebbe poi trasportato su ruota (due o quattro che fossero) milioni di persone, al punto che il logo Dunlop è ancora

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Una scena tipica nei nostri negozi specializzati: un magazzino pieno di Dunlop Fort. Si tratta in effetti della palla più richiesta dagli appassionati e che detiene, sia in termini di volume sia di valore, una percentuale di mercato ben superiore al 40% adesso tra i più riconosciuti al mondo, in bella compagnia di Apple, Microsoft e Coca-Cola. Il nome Fort invece, deriva proprio da quello che noi definiremmo un forte, quindi un luogo magari di limitate dimensioni ma che diventa inaccessibile, come nascondesse un grande segreto. Tale nome fu dato quando il quartier generale di Dunlop si spostò dalla base di Dublino a Coventry, in Inghilterra e quindi nel 1902 a Birmingham. Fort Dunlop poi, piantò la sua bandiera in Malaysia, dove acquistò 500 acri di piantagione dalla quale ricavare gomma, quindi in Giappone, a Kobe, dove fondò la sua fabbrica nel 1913. In vent’anni rivoluzionò quel mercato fino a diventare una vera e propria multinazionale. Con l’arrivo della Seconda Guerra Mondiale, Dunlop ampliò la sua gamma di prodotti e ai pneumatici associò anche lo sport, prima il golf, poi il tennis e gli altri sport di racchetta. La Dunlop Sports Company fu ufficialmente istituita nel 1928 e da allora, i successi Dunlop sono stati molteplici. Entrato nel mondo delle racchette, con la Maxply ha trionfato ovunque e creato uno dei modelli più importanti e significativi della storia, anche se fa piacere ricordare soprattutto il primo successo Slam, nel 1936, con Helen Jacobs e proprio sui prati di Wimbledon, dove oltre il 50% degli iscritti giocava con una racchetta Dunlop. Nel corso dei decenni, sport e motori hanno preso strade diverse, con alleanze strategiche che hanno suddiviso i mercati. In quel che ci riguarda, Dunlop Tennis è finita nelle ricche mani di Sports Direct, che ha nei suoi super negozi su vasta scala il core business che l’ha fatta volare anche alla Borsa di Londra. Tuttavia, pur non essendo lo snodo principale dei suoi affari, le palle Dunlop continuano

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a essere le più apprezzate a livello europeo, con quote nazionali (per quanto riguarda l’Italia), quasi imbarazzanti. Vale la pena dare qualche numero per spiegare l’attuale dominio di Dunlop nel settore palle da tennis. Cominciamo: in Italia, il mercato totale è fatto di 495.218 dozzine (già, per le palle da tennis si ragiona sempre in dozzine), un trend in crescita dolo dello 0,2% (ma in questo momento in Italia, qualsiasi mercato che cresce è il benvenuto) per un valore totale di 4.637.800 euro. Di tutto ciò, Dunlop detiene il 45,4% in termini di volumi e il 46,9 in termini di valore economico, il dato certamente più interessante perché tiene conto dei prezzi di vendita. Senza considerare le circa 5.000 dozzine di palle Slazenger, marchio che fa sempre parte del gruppo, che non porta grandi ricavi ma che comunque serve per godere dell’immagine di Wimbledon, visto che ancora adesso ai Championships si usa questo brand. Insieme, si arriva ad un fatturato di 2.100.000 euro, che permette di rimanere nel limbo tra una manciata di euro di utile (se si riescono a diminuire gli insoluti, tanto cari a certi negozianti) e la scarsa perdita. Certo, il paragone con altri paesi è imbarazzante: se in Italia il mercato è dunque fatto da 495.218 dozzine, in Germania si arriva ad 1.236.878 (con una crescita dell’11,2% ma una perdita in valore del 6,7%) e in Francia da 1.377.613 dozzine, con una crescita del 2,6%, per un totale in Europa di 6.812.392 dozzine e una crescita del 3,6% in volume per un valore globale di 69.440.000 euro, che rappresenta un calo del 3,2%. Pensare di raggiungere paesi come Francia e Germania è pressoché impossibile, ma il fatto di non aver subito una perdita (in un momento economicamente difficile) e senza contare che tutto ciò che passa dai grandi siti Internet (Tennis-Point,


«Ball change!» grida il giudice di sedia dopo i primi sette giochi e poi di nove in nove. Un momento tipico di una partita professionistica e un rituale che si svolge a memoria sui prati di Wimbledon dove Dunlop Slazenger è presente fin dal principio Tennis Warehouse Europe) pur arrivando in Italia, viene conteggiato solo da casa madre, la situazione non può essere definita deludente. Deludente al massimo sono i ricarichi che si riescono a ottenere. Lo stesso Daniel Beswick, direttore della filiale italiana, è sempre più chiaro nella sua dinamica: «Ci sono due modi per ottenere un buon prezzo sulle nostre Dunlop Fort, partendo dal presupposto che sono le più richieste del mercato: pagamento anticipato per ovviare al problema degli insoluti, che infatti sono drasticamente calati, e l’acquisto di corde e accessori, prodotti sui quali si hanno ricarichi decisamente superiori». Il discorso non fa una piega a livello puramente commerciale perché è ormai chiaro che dalla filiera azienda-negozio-circolo per la quale bisogna passare per la vendita di palle, l’unico a guadagnarci è proprio il circolo. Per gli altri, il margine è davvero ridotto e servono quantità notevoli per rendere positivo il business. Anche perché la concorrenza è spesso spietata ed è disposta a sfruttare un mercato poco redditizio per acquisire circoli e consensi. Però, lo dimostrano anche le votazioni dei nostri Oscar del Tennis (la cui giuria è data proprio da 57 top negozianti che, messi insieme, varranno il 75-80% del fatturato totale dei negozianti specializzati di tennis) dove la Dunlop Fort All Court domina da quattro anni consecutivi, e solo perché i nostri Oscar sono cominciati quattro anni fa! Le percentuali sono addirittura bulgare e non si vede all'orizzonte come la situazione possa cambiare, visto che di novità non se ne vedono arrivare e l'ultima (ormai datata qualche anno), la Wilson Tour Clay, alla fine ha fatto il solletico alla Fort. Se i margini del mercato non aiutano lo sviluppo

e la ricerca di nuove soluzioni, dall'altro lato, Beswick è addirittura spaventato dall'ipotesi che Dunlop voglia cambiare una formula che appare perfetta: «Se mi chiamassero dicendomi che vogliono cambiare qualcosa nella Fort, impazzirei perché gli appassionati sono degli abitudinari e ora che hanno trovato un prodotto che gli piace, perché mai dovremmo cambiarlo?». Tutto vero, soprattutto nelle ultime stagioni, quando sono stati risolti alcuni difetti che avevano minato il buon nome del brand. Ora tutto è tornato alla normalità e Dunlop rimane tranquillamente davanti a tutti, «anche perché indubbiamente si propone col prodotto migliore. La stessa All Court, un tempo troppo dura appena stappata, ora è perfetta fin dal principio. Non scappa via come altri modelli, né si arruffa dopo poche ore; anzi, una mezz'ora di assestamente e diventa un vero gioiello. Anche se di ancor maggior fortuna dovrebbe godere la versione Clay, visto che in Italia si gioca prevalentemente sulla terra battuta. E se infatti uniamo insieme i due prodotti, il resto della truppa potrebbe anche letteralmente sparire. Non è un caso che i Masters 1000 sul rosso usino proprio le Dunlop, alla quale è sfuggito Roland Garros più per motivi nazionalisti: monsieur Chauvin è di quelle parti, e ai dirigenti di Roland Garros non deve esser dispiaciuto sostituire un marchio inglese con uno francese (Babolat). Meno contenti i giocatori che si ritrovano a giocare Monte Carlo, Roma e Madrid con una palla e Parigi con un'altra. Ma alla fine, quel che più conta per Dunlop, è che resti la palla più amata dagli appassionati, che non tengono conto di business e contratti ma solo ed esclusivamente della bontà del prodotto. E in queso caso, come direbbe Dan Peterson: «Dunlop, per me, numero uno».

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Il talento di Roger Federer è stato svezzato dalla maestra Madeleine Barlocher all'Old Boys Tennis Club di Basilea, un piccolo circolo con una club house dove campeggiano alcune foto di Roger, ma con spogliatoi e facilities piuttosto misere. In più, è piazzato in un quartiere non esattamente alla moda. Ora un campo (almeno quello) è stato intitolato al loro allievo più famoso.

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first court i grandi campioni hanno spesso cominciato in piccoli club, talvolta piuttosto malconci. come dimostrano i casi di novak djokovic, serena williams...

Reportage fotografico: da Basilea (Svizzera), Pascal Mora; da Sochi (Russia), Sergey Ponomarev; da Dunblane (Scozia), Kieran Dodds; da Kopaonik (Serbia), Laura Boushnak; da Compton (Stati Uniti), Monica Almeida; da Guarenas (Venezuela), Meredith Kohut; da Manacor (Spagna), Samuel Aranda.

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Qui sotto, ragazzini giocano sui campi di Dunblane (Scozia) dove Andy e Jamie Murray hanno cominciato a tirare i primi colpi, insieme alla mamma Judie, che faceva la volounteer coach. Abitavano a 300 metri dal club. Nella pagina accanto, i campi di Sochi, graziosa cittadina sulle rive del Mar Nero, che hanno ospitato l'avvio della carriera di Maria Sharapova. Ancora adesso Vitali Golikov, assistente del primo maestro di Maria, ricorda bene quella ragazzina dagli occhi vispi e intelligenti.

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La famiglia Djokovic gestiva una pizzeria a Kopaonik, una località sciistica vicino al confine col Kosovo. Non esattamente la nuova Cortina, per intenderci. Djokovic si presentò alla sua prima maestra, Jelena Gencic, dicendole che sarebbe diventato... il n.1 del mondo. Questo era il suo muro di palleggio, o ciò che ne è rimasto.

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Qui sotto, una ragazza sta per tuffarsi nella piccola piscina del centro sportivo a Guarenas, in Venezuela, dove Garbine Muguruza ha cominciato a giocare all’età di tre anni, col suo primo maestro, Rene Fajardo. Nella pagina accanto, una coppia (non esattamente in abbigliamento tennistico) chiacchiera sui campi di Compton, uno dei quartieri piÚ pericolosi di Los Angeles, dove hanno mosso i primi passi Serena e Venus Williams, con le pallottole che viaggiavano vicine (molto vicine).

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Nadal ha cominciato a giocare sui campi del Tenis Club di Manacor (dove si è sempre allenato, anche se ora sta ultimando la sua accademia a Palma di Maiorca). Lui vive(va) in un bel palazzo del centro di proprietà della famiglia, il circolo era distante poche centinaia di metri e suo zio Antonio insegnava lÏ. Ora tanti ragazzini cercano di imitarne le gesta.

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TUTTO COMINCIÒ COSÌ...

U

di Massimo Garlando

n bambino colpisce una palla con una racchetta, quasi più grande di lui, e si volta verso il maestro con lo sguardo di chi cerca approvazione, conforto, elogio, incoraggiamento. Una scena vista mille volte, entrando in un circolo di tennis e buttando lo sguardo sui campi, una scena che è certamente stata interpretata nel ruolo di protagonista dai grandi campioni di ieri e di oggi. Perché anche loro sono stati bambini e sono scesi in campo, probabilmente con i brividi lungo la schiena, per la loro prima lezione. Una manciata di fotografi hanno realizzato per il New York Times Magazine un reportage dai luoghi dove alcuni tra i top player del momento hanno mosso i primi passi del viaggio verso la gloria e la fama, una sorta di ‘come tutto ebbe inizio’, con le testimonianze di chi ha avuto la fortuna di vederli giocare a tennis da piccoli, principalmente parenti o maestri. Quello che ne viene fuori è un ritratto da un punto di vista particolare, agiografico il giusto e ricco di spunti interessanti. Uno su mille ce la fa, per scomodare Gianni Morandi, ed è singolare notare come alcuni di questi ragazzi, bravi e fortunati ad arrivare, abbiano seguito percorsi più lineari e classici, a fronte di altri decisamente più curiosi, quando non addirittura bizzarri. Roger Federer fa parte certamente del primo gruppo. Un solido circolo di Basilea, l’Old Boys Tennis Club, che ancora oggi attira iscritti grazie al nome dell’illustre socio (e, in parte, del grande amico Marco Chiudinelli). Madaleine Barlocher, la prima maestra di Roger, lo ricorda come un ragazzino divertente, amante degli scherzi. Al quale non piaceva per nulla perdere, citando una sconfitta seguita da un pianto ininterrotto sotto la sedia dell’arbitro. Chi lo avrebbe mai detto? Anche la personalità forte di Maria Sharapova emerge dalle parole di Vitali Golikov, assistente del suo primo allenatore a Sochi, sul Mar Nero, dove la sua famiglia si era infine trasferita dopo gli spostamenti dalla Bielorussia alla Siberia. «Gli occhi sono lo specchio dell’anima», dice, e gli occhi della piccola raccontavano un carattere reattivo e desideroso di imparare. Sarebbe interessante chiedere a Vitali un parere sugli occhi di Maria, nella conferenza stampa di qualche giorno fa. L’infanzia di Andy (e Jamie) Murray è stata quella di una piccola famiglia di una piccola città della Scozia, Dunblane, dove il tennis non era certo lo sport principale. Lo ricorda mamma Judy, che nel circolo locale insegnava e ha visto crescere i figli. E che, oggi, perde per un attimo il carattere forte e quasi si commuove, pensando a dove sono arrivati i suoi ragazzi. Non ne parla, ma è evidente un implicito collegamento con le tragiche vicende della scuola della città, che Andy non ha mai dimenticato di ricordare, specialmente nei momenti più belli della sua carriera. E poi, cosa c’è di più canonico dell’infanzia di Kei Nishikori? Il nostro Virgilio è Masaki Kashiwai, uno dei suoi primi coach, che ne traccia quasi l’immagine di un eroe da cartone animato giapponese, un piccolo samurai, timido fuori dal campo ma testardo e indomito dentro, che chiede di poter giocare anche quando sta male. Ma, dicevamo, gli dèi del tennis amano anche divertirsi, raccontando trame inaspettate, percorsi inconsueti, storie stravaganti. Per esempio quella di Richard Williams, un anonimo esponente della middle class afro-americana, che un bel giorno ha deciso che la sua famiglia sarebbe diventata miliardaria grazie al tennis. E, dopo la nascita delle prime tre figlie (una di loro, Isha, è la nostra guida in questo viaggio tra i ricordi) aveva scelto per questo gravoso compito la quarta, Venus, e la quinta, Serena. Quindi, per rafforzarne la personalità e farle crescere senza paura (missione obiettivamente compiuta, giudicando a posteriori), aveva individuato il posto ideale per due bambine di quattro e tre anni nei campi da tennis dell’East Rancho Dominguez Park di Compton, in California, dove una gang faceva il bello e il cattivo tempo, un ambientino tipo i peggiori bar di Caracas. E, non a Caracas ma comunque in Venezuela, precisamente a Guarenas, sul campo numero 5, quello più lontano dal pubblico, dove era più facile concentrarsi per i bambini e che ora è stato trasformato in una piscina, ha mosso i primi passi Garbine Muguruza, prima di trasferirsi in Spagna a dieci anni. Il suo primo allenatore, Rene Fajardo, ne traccia un’immagine deliziosa, ricordandola impeccabile nel suo vestitino da tennista, mentre lo chiama a gran voce per andare in campo, dopo aver posato il suo animaletto di pezza, dal quale non si staccava mai. L’infanzia tennistica di Sania Mirza è stata decisamente più prosaica, sui campi di Hyderabad, una città indiana con oltre sette milioni di abitanti. La ricorda papà Imran, che prova anche ad addentrarsi in un’analisi tecnica dei campi di sterco di vacca (avete letto bene) su cui è cresciuta la figlia, definendo la superficie come una sorta di mix tra la terra rossa e il cemento. Con una certa dose di ironia, la stessa che probabilmente usa con chi, all’epoca, lo ridicolizzava, dicendo che una ragazzina di Hyderabad non sarebbe mai arrivata a Wimbledon. La ragazzina c’è arrivata eccome, e lo ha pure vinto, il torneo di Wimbledon (in doppio). E poi c’è la storia di Novak Djokovic, riassunta dalla foto del muro del campo di allenamento della stazione sciistica di Kopaonik, in Serbia, in mezzo alle sterpaglie, con i segni ancora evidenti della guerra che ha insanguinato l’ex Jugoslavia e delle bombe della Nato. La famiglia di Nole gestiva una pizzeria, con un negozio di attrezzatura per lo sci e per il tennis e il piccolo ha iniziato proprio sul campo del resort a cercare di emulare le gesta del suo idolo: Pete Sampras. Lo zio Goran, oltre a lodare il carattere serio e volitivo del nipote, ipotizza che l’altitudine del posto, con conseguente maggiore velocità delle palle per la rarefazione dell’aria, abbia avuto una qualche importanza nello sviluppo delle sue doti di resistenza. A proposito di zii e di nipoti, ci sarebbe anche la vicenda di Rafael Nadal. A Manacor, e lo sappiamo già, sotto la guida dello zio Toni, e sappiamo pure questo. Come pure è ovvio che il piccolo Rafa, parente di una leggenda del Barcellona, fino a 12 anni abbia preferito giocare a calcio piuttosto che a tennis. Niente di nuovo, quindi, dal passato del piccolo Nadal. Prevedibile, per chi è diventato campione poco più che bambino.

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PER MOLTI NON LA VITA ATTIVA POSSIAMO TERMINA TROPPO PRESTO ACCETTARLO

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TECNICA

SPEZZA IL RITMO CON IL BACK Funziona tanto tra i pro, può far gravi danni tra i giocatori di club. Il back di rovescio è un colpo che si può utilizzare in varie occasioni: 1. Per bloccare una risposta su un servizio veloce o angolato (soprattutto contro i mancini) 2. Come colpo d’approccio alla rete perché la palla resta bassa e obbliga l’avversario a giocare un passante ascendente. 3. Per spezzare il ritmo allo scambio. Quasi tutti sono abituati a giocare botta-su-botta e appena arriva una palla diversa per velocità, rimbalzo e rotazione vanno in crisi. Roberta Vinci è maestra in questo, ma lo usa benissimo anche Roger e pure Steve Johnson (con meno classe). Fatelo anche voi, ne sarete soddisfatti. (Massimo Sartori)

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TECNICA

TIRO MANCINO GIOCARE CONTRO UN MANCINO PUÒ ESSERE UN INFERNO (SOPRATTUTTO SE SI CHIAMA JOHN MCENROE). PERÒ CI SONO ALCUNE SOLUZIONI CHE POSSONO RENDERE L’ESPERIENZA DECISAMENTE MENO TRAUMATICA

DI BRAD GILBERT *

* EX N.4 DEL MONDO, COACH DI ANDRE AGASSI, ANDY RODDICK E ANDY MURRAY

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I

TECNICA

Il mancino ha due vantaggi, se tu sei destrorso. Uno è nella tua testa e l’altro è sul campo. Parliamo prima del vantaggio che ha sul campo: un mancino normalmente serve meglio dalla parte sinistra e da quella posizione è più facile per lui giocare sul tuo rovescio e se sono in grado di trovare l’angolo giusto, possono buttarti completamente fuori dal campo. Per un destrorso, invece, la situazione migliore contro un mancino è quando serve dalla parte destra. Perché, specularmente, è più facile da quella posizione trovare il loro rovescio. Quindi le due cose si annullano a vicenda, no? Il problema per il giocatore destrorso è questo: ci sono molte più situazioni di vantaggio che vengono giocate a sinistra che non a destra. Di conseguenza, in ogni match, il mancino può buttare il giocatore destro fuori dal campo in occasione dei punti più importanti. Per un giocatore destrorso è molto più difficile buttare il giocatore mancino fuori dal campo quando serve da sinistra. Se provi a fare una cosa del genere, sei costretto a tentare un servizio molto più complicato (meno campo, rete più alta e angoli più difficili). E anche se ci riesci, la risposta il mancino potrà rispondere col dritto, presumibilmente il suo colpo migliore. Se invece provi a cercare il loro rovescio, devi servire verso la T, trascinando il tuo avversario in mezzo al campo, che non è l’opzione migliore se vuoi prendere il controllo del punto. Ancora una volta, dovrai cercare di togliere al tuo avversario il vantaggio di essere mancino, minimizzando questo suo punto di forza. Ecco come fare. IMPARA A CONOSCERE IL CORRIDOIO

Se giochi contro un mancino che riesce regolarmente a buttarti fuori dal campo servendo da sinistra sul tuo rovescio, devi tentare di imbrogliarlo. Voglio dire che è necessario andare incontro alla traiettoria del servizio esterno spostandosi verso il corridoio di sinistra. In questo modo l’area utile da colpire per il battitore si ridurrà tremendamente. Avvicinati al corridoio (e fai alcuni passi in avanti) quando sei in attesa della risposta. Proverò a spiegarmi meglio. A seconda di dove ci si posiziona in fase di risposta, si offrono parti di campo all’avversario. Un po’ come i “grafici a torta”, che si vedono quando vengono mo-

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strati i risultati delle elezioni. Se ti metti esattamente al centro della tua riga di fondo, l’avversario avrà come obiettivo possibile due “pezzi di torta” uguali, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra. Se ti sposti a destra, cosa accade? La parte sinistra della torta diventa più grande. Viceversa se ti muovi a sinistra. Di conseguenza, quando affronti il servizio di un mancino dalla parte sinistra, muoviti verso il corridoio lasciandogli solo una fettina di torta sul tuo rovescio e un pezzo molto più grande sul tuo dritto. In questo modo hai reso molto più difficile per lui servirti sul tuo rovescio e buttarti fuori dal campo. Lasciando libera una maggiore area di campo sul tuo dritto, lo costringerai a servire una battuta più difficile, piatta sulla T. Questo adattamento viene comunque naturale nella maggior parte dei casi. Il mio suggerimento è solamente di esagerare l’adattamento: deve essere evidente. Non spostarti semplicemente di un passettino, fallo in maniera palese. Fai capire al tuo avversario che vuoi eliminare il loro vantaggio. Costringilo a servire sul tuo dritto e a servire al centro da sinistra, soprattutto quando sei in vantaggio nel punteggio. Sullo 0-40, mettiti direttamente in corridoio (o addirittura fuori dal campo di doppio). Osserva la loro reazione: non resterai deluso. Se il tuo avversario però riesce a farti male servendo al centro, non esagerare. Cerca di trovare una posizione di risposta che gli renda difficile giocare lo slice esterno e allo stesso tempo ti consenta di poter rispondere con il dritto sui servizi centrali: insomma, cerca un buon equilibrio. Così facendo disturberai la loro routine. Avrai eliminato la loro soluzione preferita costringendoli a ripiegare su un’alternativa e la possibilità che giochino il loro colpo migliore sul tuo colpo peggiore. Li hai costretti a giocare un servizio più difficile sul tuo lato più forte. Ed è esattamente quello che volevi accadesse. E adesso come mi devo comportare? Mi farà ace sulla linea centrale? Certamente. Ma sfidalo a cercare quella soluzione. Nel vedere tutto quel campo aperto, quella enorme fetta di torta che gli hai concesso, il tuo avversario mancino inizierà a cambiare il suo gioco. Inizialmente cercheranno di farti ace sulla linea centrale per darti una lezione. «Non riuscirai a nascondermi il tuo rovescio!». Ricordati che così facendo lo hai sfidato. Disturbato. Testato. Se non ti fanno un ace, la palla terminerà fuori, oppure arriverà sul tuo colpo migliore e allora potrai colpirla con forza. Il mancino potrebbe anche decidere di cercare il tuo rovescio anche se gli hai lasciato solo una piccola fetta di torta a disposizione. Dopo un paio di palle out, tornerà a servire verso il centro. Se in quella giornata il tuo avversario riesce a colpire molto bene i bersagli che si prefigge, dovrai rassegnarti a concedere un po’ di spazio sulla tua sinistra per coprire meglio la zona centrale del campo. Ma nella maggior parte dei casi, vedrai che gli errori arrivaranno numerosi. Sarai riuscito a fargli cambiare gioco da uno che funziona bene, ad un altro che non è altrettanto efficace. Funziona sempre? No, ma funziona abbastanza spesso da essere un fattore di disturbo che modifica il loro piano di gioco, specialmente se continui ad effettuare piccoli aggiustamenti. Ricordati di cambiare spesso la posizione in modo tale che il tuo avversario debba reagire a quello che stai facendo e non viceversa. Continua a modificare il “grafico a torta”: prima concedi una grossa fetta sul tuo dritto, e poi una più piccola. Un’altra volta spostati quando sei sicuro che lui ti veda e la volta seguente muoviti dopo che ha lanciato la palla in modo tale che non ti possa vedere. Cerca di attirare la loro attenzione spostandola dalla palla che stanno colpendo al loro avversario.


COME AFFRONTARE (E BATTERE) UN GIOCATORE MANCINO PEZZI DI TORTA

THINK POSITIVE!

TUTTO AL ROVESCIO

USA LA TESTA

Il mancino ama servire da sinistra esterno verso il vostro rovescio: voi sfidatelo, mettetevi con i piedi (almeno uno e mezzo) oltre la riga del corridoio lasciando decisamente più spazio al centro (verso il vostro colpo più forte: il dritto). Sarà costretto a cambiare direzione rispetto alla sua preferita. Se poi riuscirà comunque a servire bene anche al centro, dovrete coprire meglio quella zona... e fategli i complimenti!

Spesso si entra in campo con un atteggiamento troppo preoccupato quando si affronta un mancino (dovuto sostanzialmente alla scarsa abitudine), mentre dovete ricordarvi che potete restituirgli gli stessi problemi: lui vi serve esterno da sinistra verso il vostro rovescio? Bene, voi potete fare lo stesso quando servite da destra. E se gli eliminate quel vantaggio, mentalmente diventerete voi i più forti.

Il problema di tanti destrorsi quando affrontano un mancino è che ... se ne accorgono troppo tardi! E continuano a giocare nelle direzioni a cui sono abituati. La difficoltà è proprio quella di ribaltare tali abitudini e cominciare a giocare più spesso nel lato destro (sul rovescio) di alzare un lob da quella parte (per far giocare una volée alta e non uno smash) e così via. Aggiungere un mancino ai vostri soliti avversari vi aiuterà ad abituarvi più in fretta.

Contro un mancino che serve piuttosto bene, dovete usare... la testa e togliere i punti di riferimento. Cambiate spesso posizione in fase di risposta, qualche volta facendolo notare prima che lanci la palla, qualche volta quando non può più vedervi. Una volta state tre passi più avanti, un’altra tre passi più indietro rispetto al solito. Tutto ciò serve ad obbligare l’avversario ad adatarsi a situazioni sempre diverse. E a d essere meno preciso. Funziona, garantito!

NON DAR CREDITO AD UN MANCINO

Il mancino ha quindi un vantaggio col quale devi fare i conti. E il vantaggio psicologico che abbiamo menzionato in precedenza? Il secondo vantaggio è più sottile, ma altrettanto comune. Sia i giocatori di club sia i professionisti tendono a essere destabilizzati dall’idea di incontrare un mancino. Io stesso mi preoccupavo molto di questa cosa. Pensavo che McEnroe e Connors fossero già talmente forti che aggiungere alle loro qualità il fatto di essere mancini, fosse quasi ingiusto. E mentre Connors non massimizzava il suo vantaggio al servizio, McEnroe invece ne sfruttava tutti i vantaggi. Il suo servizio a uncino era un inferno: schizzava via, rimbalzava basso e ti sbatteva a rispondere in prima fila. Prova a giocare un vincente mentre sei seduto nei palchi di tribuna e lui è ben piazzato a rete!. Ciò che ho dovuto fare è stato convincermi che il vantaggio del mancino poteva essere in qualche modo limitato, che potevo ridurre l’efficacia dei suoi migliori servizi posizionandomi nella maniera corretta. Da quel momento, sono sempre sceso in campo pensando che il mancino e io giocassimo ad armi pari e che una volta riuscito a entrare nello scambio, ce la giocavamo alla pari. Ho smesso di ripetermi che il mancino avesse un vantaggio così grande, perché sapevo che aveva un simile svantaggio quando io servivo dalla parte destra. Il modo migliore per neutralizzare il vantaggio psicologico è giocare molto spesso con i mancini. Abituarti a capire che quando giochi un dritto sulla parte destra, la palla sbatterà contro il loro colpo più debole. Abituarti al fatto che un lob lungolinea dalla parte sinistra li costringerà ad una volée alta di rovescio anziché uno smash. Le tue solite tattiche andranno tutte rovesciate ma se ti abituerai ad affrontarli, il vantaggio improvvisamente si dissolverà. METTERLO IN PRATICA CONTRO MCENROE

Ti ricordi il mio match al Masters del 1986 contro McEnroe al Madison Square Garden? Si ritirò per sei mesi dopo aver perso. Il motivo per cui vinsi fu che misi in pratica la strategia che ho appena spiegato. Avevo giocato e perso con lui qualche mese

prima, ma la partita era stata molto combattuta. Avevo perso solo 6-4 al terzo e per la prima volta avevo avuto la sensazione di poterlo battere. Quel pensiero mi aveva accompagnato fino all’ingresso in campo per il match al Garden. Nel preparare la tattica, decisi che avrei fatto esattamente ciò che ti ho appena raccontato: avrei risposto dal corridoio del doppio nei punti da sinistra. Inoltre, volevo fare un passo avanti e scendere a rete ogni qualvolta ne avessi avuta l’occasione sulla sua seconda. Sapevo che il semplice fatto di fare un passo avanti mi avrebbe reso più aggressivo. E questa è una cosa positiva. Se McEnroe sentiva che non eri sicuro di ciò che stavi per fare, come uno squalo fiutava l’odore del sangue e approfittava della tua indecisione. In quella partita avevo due obiettivi: riuscire a mettere sempre la racchetta sul suo servizio esterno da sinistra ed essere più aggressivo. Cosa accadde? Verso la fine del secondo set, il suo servizio aveva iniziato ad essere meno incisivo. Provava sempre più spesso a forzarlo verso il centro del campo (dove gli concedevo il pezzo di torta più grosso) e iniziava a fare sempre più errori. Non tantissimi, ma pur sempre più del solito. Lo stavo sfidando in maniera così evidente che sulla sua prima di servizio stavo quasi in mezzo al corridoio del doppio, invitandolo a cercare la T in mezzo al campo. E quel giorno non riusciva a farlo abbastanza da farmi male. Dal canto mio, cercavo di alternare le risposte: una volta forte e secca, un’altra più controllata. E questa cosa gli provocava incertezza. Ero riuscito a minimizzare l’efficacia della sua arma più importante, forzandolo a provare a battermi con qualcos’altro. Nella maggior parte dei casi, Mac si sarebbe adattato. Ma non quella sera al Madison di New York. Se ha funzionato contro di lui, funzionerà anche contro il mancino che devi incontrare tu. IL BOMBARDIERE

Il bombardiere. La bomba. Il servizio potentissimo. A livello professionistico, i servizi vanno sempre più veloci e i nuovi materiali rendono le palle veloci come missili. Ad un certo

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TECNICA

punto, il gioco su erba era diventato ridicolo. Durante la finale di Wimbledon 1991 tra Becker e Stich la durata media del punto è stata inferiore ai tre secondi! Quando mi capitava di affrontare un avversario con una gran battuta e in giornata di grazia, non c’era molto da fare. Per rispondere ad un servizio, bisogna prima vederlo! E quando la palla arriva sulla linea centrale a oltre 210 km/h, è già passata prima di riuscire a battere le ciglia. È come la storia del cowboy che sosteneva di essere la pistola più veloce del West. Qualcuno al bar gli disse: «Dimostramelo, fammi vedere la pistola più veloce del West». Il cowboy allora si alzò, mise la mano sulla sua pistola e rimase lì, immobile. Cinque secondi dopo chiese: «Vuoi rivederlo?». Giocare contro un bombardiere come Pete Sampras era più o meno la stessa cosa. «Vuoi rivederlo?». La mia risposta è… «No!». È improbabile che ti troverai mai nella situazione di dover rispondere ad una battuta che supera la barriera del suono, ma sicuramente incontrerai dei servizi abbastanza violenti da metterti sulla difensiva, costringendoti a sbagliare o a rimandare risposte molto deboli. In quella situazione ci sono un paio di tattiche da tenere a mente e da utilizzare quando necessario. FAI TRE PASSI INDIETRO

Quando qualcuno ti sta martellando con un particolare colpo o stile di gioco, è importante fare qualcosa di diverso, presentare all’avversario che sta navigando con il pilota automatico, un problema diverso da affrontare. Quando incontri qualcuno con un servizio che non riesci a controllare, cambia la tua posizione in campo in fase di risposta. Innanzitutto, arretra. Non cadere nella trappola rappresentata dall’atteggiamento macho di quello che dice: «Non m’importa quanto tira forte il servizio, non arretrerò dalla mia solita posizione». Non essere orgoglioso, indietreggia, magari un metro o due. La distanza extra ti darà il tempo necessario per reagire e colpire la palla. FAI TRE PASSI AVANTI

Successivamente, portati più avanti. Avvicinati alla linea di servizio più di quanto fai di solito. Prova a bloccare la palla, a colpirla più avanti e sempre davanti al corpo. Il principio, naturalmente, è quello di disturbare la tranquilla passeggiata in cui il tuo avversario sta trasformando la partita. E credimi, avanzare sulla sua battuta sortirà l’effetto desiderato. Quando un battitore ti vede aspettare la palla vicino alla linea di fondo, il risultato è abbastanza prevedibile: proverà a colpire ancora più forte. E quando invece indietreggi due metri, proverà a sfruttare gli angoli lasciati aperti, servendo esterno. In entrambe le situazioni, vedi cosa è successo? Lo hai costretto a cambiare tattica. Sembra fin troppo semplice, non è vero? Però funziona, eccome. A Wimbledon, Bjorn Borg stava quattro metri dietro la linea di fondo quando rispondeva e ha vinto i Championships per cinque anni di fila. Michael Chang (lo ricorderete bene) una volta si posizionò quasi sulla linea del servizio a causa dei crampi e costrinse Ivan Lendl a fare doppio fallo sul match point a Roland Garros. Con quella mossa Michael destabilizzò Lendl in maniera clamorosa. Sì, funziona. DIMEZZA IL TUO MOVIMENTO

Quando vieni mitragliato da servizi molto violenti, accorcia il tuo movimento di risposta. Prova a dimezzare il gesto e se nemmeno quello funziona, prova semplicemente a bloccare la palla. Durante la sua prima vittoria a Wimbledon, in finale contro Ivanisevic, Agassi riuscì a giocare una risposta vincen-

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te bloccata più di una volta. Usa la forza della battuta e preoccupati soltanto del contatto con la palla. È una tecnica efficace a tutti i livelli e solitamente ignorata dai giocatori amatoriali. Colpire la palla con violenza riveste un fascino molto maggiore: ecco perché si vedono tanti colpi centrati male, colpiti in ritardo o sbagliati. GIOCARE DI TESTA

Se riesci a diminuire l’efficacia del servizio avversario, le chance di vincere la partita aumenteranno considerevolmente. Se è un mancino con un buon servizio esterno, spostati nel corridoio e costringilo a provare la battuta centrale. Se giochi contro un destrorso che non ha problemi a picchiare piatto centrale da destra, allora spostati sulla tua sinistra e lasciagli solamente una piccola fetta della torta per trovare il tuo rovescio. E cambia tattica, di tanto in tanto. Se il servizio del tuo avversario continua comunque a crearti problemi, gioca di testa, cerca di farlo innervosire e perdere i punti di riferimento. Spostati in risposta quando ti può vedere (ma prima che inizi il movimento della battuta), poi muoviti quando non ti può vedere, dopo che ha lanciato la palla. Esagera il tuo spostamento in modo da costringerlo a giocare i suoi colpi meno sicuri. Non è un comportamento sportivo saltellare con il solo scopo di distrarlo, ma è legittimo muoversi per assumere una nuova posizione: interrompe il suo ritmo, il suo flusso mentale. Invece di distruggerti con un particolare colpo, lo costringi a farlo con un altro. Quando guardi una partita in televisione, cerca di capire cosa pensa il ribattitore. Guarda la posizione che assume per costringere l’avversario a non servire secondo le sue direzioni preferite. E fallo anche tu. VINCERE SPORCO Finalmente tradotto in italiano, edito da Priuli & Verlucca, Winning Ugly di Brad Gilbert ha subito riscosso l’interesse degli appassionati perché aiuta a... vincere più partite!. Sfruttando tutti gli elementi possibili (concessi dal regolamento).


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PLAY BETTER TENNIS

TOP PLAYER Dalla sua Accademia di Javea, Spagna, DAVID FERRER (e i coach che ci lavorano) ci offrono alcuni insegnamenti tecnico-tattici per migliorare il nostro tennis sulla terra battuta. Con alcuni esercizi che potete svolgere sul campo e che vi aiuteranno ad essere più pronti anche sul piano atletico. Non diventerete un top 10 come David, ma sicuramente farete dei progressi notevoli

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SOPRENDERE CON LA SMORZATA

La smorzata è molto utile a livello pro dove si gioca contro degli sprinter pazzeschi, figuriamoci quanto può essere determinante tra i giocatori di club, soprattutto sulla terra rossa quando spesso si gioca lontano dalla riga di fondo e la superficie restituisce meno il rimbalzo rispetto al cemento. L'aspetto fondamentale è giocarla con i piedi dentro il campo e magari dopo aver spinto l'avversario lontano dalla riga di fondo (in questo modo dovrà percorrere più metri in un minor tempo). Ferrer la allena anche al cesto con il coach che gli fa giocare un dritto e un rovescio che può indirizzare dove meglio crede e il terzo colpo deve essere una smorzata lungolinea di dritto. Poi si esegue lo stesso esercizio col rovescio. Mettete dei bersagli entro i quali la palla deve rimbalzare in base al vostro livello di gioco.

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RISPOSTA AGGRESSIVA

Si parla tanto di quanto sia importante il servizio nel tennis odierno ma la risposta lo è allo stesso modo. E a livello di club, forse ancora di più. Ecco come David Ferrer allena i riflessi sulla risposta al servizio. Se non puoi avere John Isner come sparring partner, allora il tuo compagno di allenamenti dovrà servire dalla riga di metà campo, in modo da darti un tempo di reazione minore e abituarti a essere sempre reattivo. Cercate di rispondere sempre d'incontro e colpendo la palla davanti al corpo. L'esercizio prosegue con il compagno che segue a rete il servizio e ci si gioca un punto in libertà.

LEGENDA

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TATTICA

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ALLENA LO SMASH

Può sembrare un colpo banale ma sbagliarlo ha degli effetti psicologici negativi. Allenatevi così: il vostro compagno vi alza un lob e voi dovete fermarlo con la mano; quindi lanciatevi voi stessi la palla e colpite. Oppure, dopo averlo fermato con la mano, sarà il vostro compagno ad alzare un altro lob simile che questa volta colpirete. Se imparerete ad afferrare la palla con la mano, vorrà dire che la posizione è corretta e lo smash diventerà semplice.

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DALLA DIFESA ALL'ATTACCO

Una delle situazioni più importanti nel tennis moderno è riuscire a trasformare una fase difensiva in una offensiva. Sempre al cesto, il vostro compagno (o allenatore) vi lancerà delle palle piuttosto angolate sulle quali dovrete correre e giocare sia di dritto sia di rovescio in direzione incrociata, con la palla che deve passare ben sopra la rete e possibilmente atterrare lunga. Correre al dritto, come si dice in gergo, è un elemento fondamentale, perché è la zona che si tende a lasciare più libera ma dalla quale, pur in corsa e in fase apparentemente difensiva, potete tirare abbastanza forte e profondo da obbligare l'avversario ad accorciare. A quel punto, mettete i piedi in campo e giocate una accelerazione lungolinea che deve essere pressoché definitiva. Alternative: 1. provateci anche col rovescio, ma è più complicato, 2. al posto di giocare alto e profondo, potete provare il cross stretto. Se il lungolinea è efficace ma non definitivo, potete scendere a rete a chiudere lo scambio. A

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VOLÉE + SMASH

Spesso lo smash viene giocato in seguito ad una buona volée, che ha messo abbastanza in difficoltà l'avversario da obbligarlo a giocare un lob difensivo. Allenate entrambi i colpi: partite da un metro dentro la linea di metà campo, col vostro compagnoallenatore che sta col cesto sulla metà campo avversaria. Giocate prima una volée lungolinea, quindi uno smash incrociato, da ambo i lati. Sono le direzioni in cui è preferibile giocare questi colpi.

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MASSIMA RESISTENZA

Il tennis su terra rossa è dispendioso a livello fisico perché gli scambi durano tanto. E non c'è modo di accorciarli perché la superficie rallenta la palla. A livello di club si assistono a scambi infiniti e voi dovrete essere abituati a colpire anche 10 colpi a scambio, magari per due-tre punti consecutivi. Ebbene, dovete essere allenati per riuscire a farlo. Dopotutto, sulla terra rossa in particolare, non si vive di colpi vincenti, ma di errori forzati dell'avversario. Quindi palleggiate ad un ritmo sostenuto, ma senza cercare eccessivi angoli o rischi, allungando gli scambi sempre fino ad almeno 8-10 colpi. E senza pause. Un grande allenamento tecnico e fisico. Alla fine giocate dei match agli 11 punti, anche senza servizio ma rimettendo la palla dal basso.


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MANOVRA COL DRITTO

DENTRO E FUORI

A meno di non avere un rovescio alla Wawrinka, sulla terra battuta bisogna muovere il gioco (e chiudere i punti) col dritto, sicuramente il colpo che ci permette di essere più aggressivi. La lentezza della superficie consente di spostarci più facilmente per colpire di dritto anche dal lato sinistro (dove solitamente si colpisce di rovescio), e in generale è con questo colpo che si riesce a tirare un vincente. Nonostante sulla terra si giochi soprattutto in direzione incrociata (e con la palla che passa ben al di sopra della rete perché si usa più top spin), quando si vuole accelerare bisogna andare lungolinea. Ecco un buon drill di allenamento: prima si gioca un dritto lungolinea dalla parte destra (verso il rovescio avversario); da quella posizione, l'avversario si difenderà con un colpo incrociato (ma presumibilmente lento) e voi dovrete essere rapidi nello spostarvi ancora sul dritto ma non giocare il solito sventaglio bensì ancora in lungolinea dalla parte sinistra (il cosiddetto inside-in). Questo colpo deve essere molto incisivo (per non dire definitivo) perché se l'avversario ci arriva può giocarvi un dritto in corsa incrociato col campo piuttosto aperto. A A A

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Sulla terra rossa, succede spesso di doversi muovere appena dentro o fuori la riga di fondo, di rispondere ad una palla più lunga e poi ad una più corta. Allenarsi è semplice: il vostro compagno si mette a due metri da voi che dovrete restare sulla riga di fondo. Quindi vi lancerà una prima palla più lunga che vi costringerà ad arretrare e colpire riportando avanti il peso del corpo, quindi una più corta da aggredire. Spostatevi sempre con un movimento laterale dei piedi. Pochi minuti di questo esercizio possono piegare le gambe e aiutano per le fatiche sul rosso.

VOLÉE SMORZATA

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PASSING VS. VOLLEY

Un buon esercizio per allenarvi fisicamente e tecnicamente è quello di stare un giocatore a rete e uno a fondocampo. Eseguitelo con il giocatore a fondo che resta fisso su un lato (che poi cambierete dopo qualche minuto). Non dovete cercare di chiudere il punto ma di tenere la palla in gioco, chiaramente ad una certa intensità. Il giocatore a rete si abitua che sul rosso non si chiude alla prima volée e deve lavorare molto con le gambe; il giocatore a fondo dovrà essere rapido con i riflessi perché la palla torna sempre prima. Non più veloce, ma prima, il che obbliga a rimettersi in posizione e trovare una buona esecuzione in un tempo minore.

Vale in parte lo stesso discorso fatto per la smorzata: sul rosso, con la superficie che restituisce poco il rimbalzo, è una bella soluzione. Non cercate però la volée smorzata come primo colpo di volo (troppo complicato), ma giocatene una bella lunga e, quando sarete più vicini alla rete, basterà un piccolo tocco per chiudere il punto. Allenatevi a giocare una o due volée lunghe e poi una volée smorzata.

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FORTE VILLAGE STARS ACADEMY. Ogni anno il Forte Village (il più bel resort d’Italia, e non solo) propone nuove opportunità ma un punto fisso restano le Stars Academy (head coach della parte tennis è Rocco Loccisano, già coach di Pat Cash). Sui 12 campi (oltre a quello da paddle) si alterneranno ex campioni come Karel Novacek e Paul Haarhuis (nella foto), Magnus Larsson e Dominik Hrbaty, e perfino la leggenda Ilie Nastase. Si comincia da metà giugno fino alla fine di agosto. In più, la novità dell’Annabel Croft Academy e gli stage GoTennis che raddoppiano: dal 19 al 25 giugno e dal 28 agosto al 3 settembre. E, sempre da settembre, ricominciano anche i tornei ITF Futures. Info: fortevillage.com

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Patrick Mouratoglou, coach di Serena Williams, ha aperto la sua nuova, avveniristica accademia in Costa Azzurra. Che promette di diventare il top assoluto in Europa

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MOU

dal nostro inviato a Sophia-Antipolis

Lorenzo Cazzaniga

Mouratoglou Academy La location è uno degli aspetti piÚ significativi, oltre a quello tecnico, dell'Accademia Mouratoglou. Soprattutto per gli italiani, visto che si trova in piena Costa Azzurra, a tre ore e mezza da Milano e poco distante dall'aeroporto internazionale di Nizza. Una posizione davvero invidiabile. Info: www.mouratoglou.com

Sophia-Antipolis

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S

uccede come per le donne più belle, che dal vivo sono ancor più affascinanti che al cinema o su una passerella. I rendering della nuova accademia di Patrick Mouratoglou, coach di Serena Williams, in quel di Sophia-Antipolis, in piena Costa Azzurra, a due passi da Antibes, non lasciavano dubbi sul fatto che fosse destinato a diventare uno dei luoghi-simbolo per chi ha la ferma volontà di diventare un professionista di tennis. O anche solo raggiungere i suoi limiti e trasformarli comunque in un mestiere. Mouratoglou aveva già dimostrato le sue qualità nell'accademia appena fuori Parigi (ora rimasta di sua proprietà ma che svolge una semplice attività di club) dove ha cresciuto, tra gli altri, un finalista Slam come Marcos Baghdatis e «diversi numeri uno del mondo juniores, come Gilles Muller e Daria Gavrilova» racconta mentre mi accompagna nella visita della sua nuova creatura. Settantacinque milioni di euro di investimento (avete letto bene), compreso l'acquisto dell'hotel alle porte dell'accademia, tre file di palazzine per i giocatori full-time, 34 campi da tennis in terra rossa e GreenSet (destinati a crescere), una struttura coperta per otto campi per difendersi dai (rari) piovaschi della CÔte d'Azur, tre piscine, una zona fitness targata Technogym con attrezzi di ultima generazione e, last but not least, una sezione medica, con fisioterapia e l'ormai immancabile crioterapia, ultima frontiera del recupero immediato dopo le fatiche di un lungo allenamento o di cinque set tirati. Ovviamente, non poteva mancare PlaySight, il sistema per vivisezionare ogni esecuzione balistica creato da una società israeliana (e ahimé ancora non utilizzato in Italia, dove sull'aspetto tecnologico siamo lontani anni luce) e tanti altri piccoli dettagli utili per convincere la sua Serena a passare quanto più tempo possibile in questo centro e Novak Djokovic a scordarsi l'affascinante ma meno efficiente Country Club di Monte Carlo. Con coach Mou, siamo sbarcati nell'Accademia 2.0 dove tutti gli aspetti sono curati nei minimi dettagli (almeno a partire dalla data di inaugurazione, il 3 luglio, a seguito di un mese e mezzo di test necessari per verificare che tutto funzioni al meglio). Il centro può arrivare ad ospitare fin quasi 200 ragazzi full-time, volendo stringersi un po'. Centocinquanta sono già presenti, di oltre 30 nazionalità, compreso alcune delle migliori promesse mondiali. Studiano qui, alla scuola internazionale più che in quella francese, visto che i nostri cugini rappresentano solo un terzo dei presenti. Il tutto in attesa dell'orda di richieste che pioveranno per i corsi estivi, le settimane di preparazione, perfino i corsi adulti, perché club, facilities e hotel si adattano anche al semplice giocatore di club che vuole passare una settimana tra tennis, mare e la vita glamour della Costa Azzurra, con la passerella di Cannes lontana una decina di minuti. Come ricordo del passato, la piscina a forma di racchetta, perché il centro di Sophia-Antipolis già ospitava una struttura importante, che aveva bisogno di un investitore visionario che avesse voglia (e risorse) per trasformarla da una delle tante accademie europee, nella migliore in senso assoluto. Perché questo è l'obiettivo di Mouratoglou: «Motivi per venire da noi? Perché le strutture sono all'avanguardia, i coach sono preparati secondo il mio metodo e i risultati parlano

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QUANDO MOU PARLA ITALIANO C'è anche un pezzo (significativo) d'Italia nella nuova Accademia Mouratoglou. Già, perché 6 campi sono stati costruiti in Red Plus (e altri sono in programma a breve). Dopotutto era prevedibile: Mouratoglou è sempre attento alle novità di settore che possono rendere più performanti l'attività e i campi Red Plus sembrano studiati apposta per queste esigenze. In sostanza, si tratta di veri campi in terra battuta (così omologati dalla Federazione Internazionale) in cui la terra rossa è intasata in un supporto di erba sintetica (che viene posto sotto, non si vede e soprattutto non si calpesta: per questo si parla esclusivamente di campo in terra battuta). Un po' come avviene, con l'erba, per il campo di San Siro. I vantaggi sono molteplici: nessun rifacimento annuale (solo una piccola aggiunta di terra), rimbalzo super regolare, drenaggio rapidissimo, possibilità di giocarvi tutto l'anno. La qualità di gioco è dunque superiore con sensazioni classiche da terra rossa (solo al principio risultano un filo più lenti, in attesa di assestarsi). Ne hanno voluti un paio anche al Country Club di Monte Carlo, perché anche questa superficie vive (finalmente) un'evoluzione importante. Che, almeno questa volta, anche in Italia pare sia stata pienamente compresa. Info: www.mouratoglou.com

chiaro: ci siamo spostati da Parigi perché servivano strutture ancora più ampie, ancora più moderne. Per avere un clima favorevole tutto l'anno perché a tennis si gioca soprattutto all'aperto. Abbiamo un aeroporto internazionale a due passi per i ragazzi e le bellezze della Costa Azzurra per gli adulti. E se anche Serena e Djokovic hanno deciso di allenarsi qui, un motivo ci sarà pure». Chiarissimo, al punto che Mouratoglou ha pensato anche al minimo particolare per accontentare i due numeri uno del mondo: una palestra privata, tre vasche di recupero fisico, un percorso che possa permettergli di spostarsi per l'Accademia senza essere assaliti da ragazzi e fans, benché la possibilità di vederli allenare sia un must che nessun altro può offrire. Un altro aspetto, per nulla singolare, è la possibilità di guadagnare un free scolarship negli Stati Uniti: «Siamo coscienti che solo una piccola percentuale degli allievi diventerà un giocatore professionista. Ma oltre l'80% degli altri ragazzi ha comunque ottenuto una borsa di studio per un'università americana, potendo continuare a inseguire il sogno di diventare pro ma al contempo costruendosi un'istruzione che gli permetterà di sfondare in altri settori». Chapeau. A fine visita, con i lavori che fervono, ecco comparire anche un campo centrale in terra rossa, bello raccolto, da 500 posti a sedere circa. Dopo la metà di settembre, a seguire l'esibizione che disputeranno a Milano e forse (per Djokovic) la semifinale di Coppa Davis che potrebbe portarlo in Italia due volte a distanza di pochi giorni (incrociamo le dita), saranno proprio Serena e Nole a inaugurare il personale centre court di coach Mou, di fatto avviando l'operazione tennistica più importante messa in piedi negli ultimi vent'anni nel Vecchio Continente. E speriamo che l'Italia non voglia chiudersi a riccio nel proprio orticello ma che sfrutti l'occasione.


Sopra, la struttura coperta (per la pioggia, non certo per il clima) che comprende otto campi e, qui sotto, una parte della palestra con attrezzi all'avanguardia. L'accademia Mouratoglou dispone anche di un efficiente centro medico, di fisioterapia, di crioterapia e di recupero

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TORNEI

BY

ANDREAS SEPPI

DA NON PERDERE Consigliati da un grande esperto

10 LOS CABOS messico, 8-14 agosto

Non solo Slam e Masters 1000: come ogni anno ecco la nostra guida per assistere ai tornei più belli, divertenti e affascinanti del circuito, dove abbinare tennis e vacanza. Questa volta, ci siamo fatti accompagnare in questo viaggio da un vero esperto del settore, che gira il Pro Tour da oltre dieci anni e ne conosce tutti i segreti. 152

Ok, cominciamo da dove... non sono mai stato! O meglio, non c'è mai stato nessuno, almeno per giocare un torneo del circuito maggiore dell'ATP, visto che si tratta della prima edizione. E purtroppo dovrò mancare all'inaugurazione perché spero proprio di essere protagonista alle Olimpiadi di Rio de Janeiro che si disputano nella stessa settimana. Però, in futuro, chissà. L'organizzazione è quella del torneo di Acapulco, che tanti miei colleghi mi dicono essere nella loro personale top 5 della stagione, e credo che quest'altro evento non farà fatica a raggiungere lo stesso status. Basta chiedere a certi giocatori americani o anche solo farsi un giretto su Internet per capire che Los Cabos è uno di quei luoghi paradisiaci dai quali non vorresti mai scappare via. Oceano, spiaggia, tantissimi campi da golf per chi ama questo sport e dei resort da mille e una notte dove ti rigenerano la vita. Va beh, se non riesco ad andarci per il torneo, chissà che... non ci vada davvero in vacanza!


9 DOHA

qatar, 2-8 gennaio qatartennis.org

Dopo un paio di mesi passati al freddo tra la fine della stagione europea e la preparazione invernale, ricominciare la stagione al caldo (almeno fin quando il sole tramonta) è sempre piacevole. Come città, Doha è cambiata tantissimo nel corso degli anni e adesso è davvero splendida, almeno per chi apprezza l'architettura moderna. I giocatori sono trattati al top e si possono trovare accomodation di primissimo livello. Certo, non c'è la Jumeirah Beach di Dubai ma le facilities di hotel e torneo sono di primissima qualità. E, soprattutto, continuano a migliorare, anno dopo anno.

7 KITZBUHEL

germania, 17-23 luglio generaliopen.com/en/

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STOCCARDA germania, 4-12 giugno mercedescup.de

L'anno scorso è stata la grande novità perché si è giocato sull'erba. Io ho giocato piuttosto male ma il torneo mi è parso molto ben organizzato. I campi devono un po' assestarsi ma giocare sull'erba mi piace e i campi secondari sono uno spettacolo: gradoni di pietra e tanto verde intorno. Si gioca dentro un club, quindi l'atmosfera è molto familiare. Il clima va e viene: un giorno c'erano trenta gradi, quello dopo 15... Però in generale lo consiglio, anche solo per visitare il museo della Mercedes: ne vale la pena!

Vi piacciono il tennis e la montagna d'estate? Beh, avete trovato il torneo e la località ideale. Per il tennis, un buon torneo con un contorno glamour che magari non ci si aspetta da un torneo austriaco. Invece ci si diverte molto, con eventi pensati sia per i giocatori sia per gli spettatori, che vengono trattati con un certo riguardo, soprattutto gli italiani che arrivano numerosi visto che Kitz non è lontana dai nostri confini. E poi c'è la montagna: a parte la mitica Streif, si respira ovunque aria buona, si possono fare meravigliose passeggiate da abbinare ad un match di tennis, magari in un resort sportivo (ce ne sono diversi). C'è un pochino l'incognita del tempo perché certe edizioni sono state disturbate dalla pioggia. Ma se il clima assiste, vien fuori una settimana di vacanza, tennis e sport, niente male.

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BARCELLONA spagna, 16-24 aprile

barcelonaopenbancsabadell.com

Per varie ragioni non ci ho giocato spesso ma la location è incredibile. Come a Monte Carlo (e a differenza di tanti altri tornei) si gioca in un vero e proprio club, storico, elegante, di grande fascino. La club house e gli spogliatoi sono stupendi e la città... va beh... nemmeno devo dirvelo. Di questo posto potrebbe raccontarvi tutti i segreti Fabio (Fognini n.d.r.) visto che vive a Barcellona e si allena spesso al Real Club che si trova in un bel quartiere residenziale, servito anche dalla metropolitana, per gli appassionati che non possono godere della transportation come noi giocatori :))). Ovviamente l'attrazione principale è sempre Rafael Nadal che cerca di non mancare mai un appuntamento nel suo Paese. Il centrale è bellino, ma il campo 1, infossato rispetto alle tribune, è ancora meglio per gli spettatori. Visto il periodo, è facile che ci sia anche un match di calcio, campionato o Champions League che sia, e una serata al Camp Nou, che dista poche centinaia di metri, è quasi un obbligo.

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HALLE

germania, 11-19 giugno

gerryweber-open.de/gwo_en

La città non sarà affascinante come Berlino, Monaco di Baviera o Amburgo, ma il centro dove si disputa il torneo è super, col campo centrale col tetto retrattile e delle ottime infrastrutture, anche per gli appassionati. È il tipico torneo tedesco, ben organizzato, con tanto cibo, tennis e un clima ideale perché non fa eccessivamente caldo e si può stare sugli spalti tante ore senza soffrire. E poi lo gioca sempre anche un certo Roger Federer e vederlo sull'erba è un'esperienza unica. Anche se l'anno scorso quasi quasi...

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AMBURGO

germania, 9-17 luglio

german-open-hamburg.de/en/

Si gioca in condizioni che mi piacciono molto e difatti anche l'anno scorso ho giocato piuttosto bene, arrivando in semifinale. Il centro non è nuovissimo e avrebbe bisogno di un po' di restyling (anche nella zona giocatori), ma il campo centrale è bello, col tetto che si può chiudere e garantisce che ci sia sempre tennis. La città è molto bella (e spesso sottovalutata da questo punto di vista: se volete giocare andate all'Aspria Harbour Club). Unico problema: anche a luglio può fare freddo!


3 DUBAI

emirati arabi, 22-27 febbraio

dubaidutyfreetennischampionships.com

Difficile resistere al fascino di Dubai, dove ogni anno hanno costruito qualche nuova meraviglia. Il torneo è super organizzato, giocatori e fans trattati al meglio, e non a caso sono sempre presenti tutti i top players. Se poi Federer ci ha pure preso casa, ci sarà un motivo! Di giorno può fare molto caldo, la sera invece rinfresca non poco, ma in generale il clima è meraviglioso. Unica pecca: il centro dove si gioca il torneo è abbastanza lontano dalla spiaggia di Jumeirah, circa 40 minuti di auto. Ma valgono la pena per passare una giornata al mare (per chi è in vacanza!) o anche solo per un drink alla Vela.

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OLIMPIADI

Rio, Brasile, 6-14 agosto rio2016.com

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UMAG

Croazia, 15-24 luglio croatiaopen.hr/eng/

Nei primi anni di carriera sceglievo Gstaad perché sono cresciuto vicino alle montagne. Poi un anno ho accettato di giocare a Umago e... son sempre tornato qui! Il luogo è splendido, si gioca a due passi dal mare, il ristorante è praticamente sull'acqua. Si gioca dalle 5 del pomeriggio, il campo centrale è bellissimo, ma sul n.1, più raccolto, si crea un'atmosfera particolare. Umag dista una trentina di chilometri dal confine italiano quindi è sempre pieno di nostri tifosi. Che amano tanto anche le feste che cominciano appena finiti i match...

Sarà che è l'unico torneo di tennis che si gioca ogni quattro anni; sarà che quest'anno si gioca a Rio de Janeiro che non è esattamente il posto più brutto del mondo (personalmente non ho mai partecipato alla Gira Sudamericana di febbraio ma tanti me ne hanno parlato benissimo); sarà che... non è solo un torneo di tennis ma una festa dell'intero movimento sportivo. Ho già vissuto l'esperienza olimpica a Pechino e Londra e solo la cerimonia di inaugurazione vale la partecipazione: entrare con tutti gli atleti azzurri è un'emozione pazzesca. E poi la possibilità di incrociare i fenomeni di tutti gli altri sport. Insomma, una goduria. Poi si deve anche provare a vincere una medaglia, ma è dura perché partecipano tutti i top players: una medaglia equivale ad arrivare in semifinale in uno Slam, non proprio una passeggiata.

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travel

La Spagna è una delle grandi culle europee del tennis, tra meravigliosi resort, club e accademie super efficienti. E adesso anche Rafael Nadal...

¡Vamos! di Arturo Di Maria

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Belmond La Residencia Da sempre questo meraviglioso borgo sull'isola di Maiorca è una località molto glamour. Shayne Tabb ci è arrivato dalla lontana Australia come maestro fidato di Mr. Virgin, Richard Branson (che ora ha pure chiamato Deia l'ultima figlia!), e non si è più allontanato. Dirige lui i lavori tecnici nei due bellissimi campi, vista Tramuntana Mountain, circondati da olivi. I ragazzini andranno all'Accademia del loro idolo Rafa, ma gli adulti che vogliono vivere un'esperienza speciale... www.belmond.com/it/la-residencia-mallorca/

Deia, Isola di Maiorca

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Rafael Nadal Academy Nella sua Manacor, Rafael Nadal ha lanciato la sua super academy con 26 campi e tutte le strutture necessarie per crescere nuovi campioncini. Seguendo il metodo che ha permesso a zio Toni di forgiare uno dei piÚ grandi fuoriclasse della storia. Non funzionerà con tutti ma è un'esperienza da non perdere. www.rafanadalacademy.com

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Hotel Puente Romano All'inaugurazione del Tennis Centre nel 1979 c'era pure Bjorn Borg che gestiva il centro. Hotel di lusso, davanti al mare, dispone di 8 campi in terra e 2 in Plexiplave, con un centrale da 2.500 spettatori, oltre a 4 campi da paddle. I maestri sono tutti qualificati e ospita anche diverse tappe del circuito internazionale veterani. Un must da non perdere. www.puenteromano.com


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Abama Hotel Resort Sette campi (tutti illuminati) in stile US Open con vista da una parte dell'Oceano Atlantico e, dall'altra, del vulcano del Teide National Park: uno scenario niente male. Oltre alle varie facilities di un resort di lusso (e 4 campi da paddle) la scuola/accademia è diretta dall'ottimo maestro Alvaro Vaquero www.abamahotelresort.com

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La Manga Resort Il Tennis Centre, che ha ospitato match di Davis e Fed Cup ed è la sede invernale dalla federazione britannica, offre 20 campi in terra, quattro in cemento e altrettanti in erba sintetica (oltre a campi di paddle e squash). Se poi decidete di andarci con un gruppo di amici, il campo centrale dispone di 1.200 posti a sedere... www.lamangaclub.com/sports-leisure/tennis.html


The End

IMPARA A PERDERE Per essere un tennista migliore devi perdere. Come diceva Vic Braden, il mio primo coach, ogni giorno metà delle persone che giocano una partita di tennis finiscono deluse. E in ogni torneo, tutti i partecipanti hanno la chance di vincere, ma solo uno ci riesce. Perdere può essere doloroso, soprattutto per i ragazzini, ma la buona notizia è che c'è molto da imparare dalle sconfitte by Tracy Austin *

A

nessuno piace perdere e ognuno vive le sconfitte a modo suo. A volte anche i grandi professionisti sono dei pessimi perdenti. Per i ragazzini, una sconfitta a tennis è particolarmente dura perché a volte la loro autostima è legata al gioco e non sono abbastanza maturi per gestire forti emozioni. E tutto ciò può essere difficile anche per un genitore. Il mio consiglio, prima di tutto, è di assicurarsi il controllo dell'unico aspetto della sconfitta che è sempre nelle vostre mani: voi stessi. Troppe volte ho visto genitori arrabbiati per le sconfitte dei figli nei tornei giovanili, pronunciando frasi del tipo: «Oggi sei stato terribile» oppure «Non ci hai nemmeno provato». Possono essere sinceramente convinti che sia la frase più giusta da dire, ma in realtà non stanno facendo nulla per aiutare i loro figli a recuperare da una mazzata psicologica e farli giocare meglio la volta successiva. Invece, siate positivi dopo le sconfitte dei vostri figli. E se proprio non ci riuscite, parlate d'altro. Lasciate scorrere via la sconfitta: potrebbe aiutare vostro figlio a fare lo stesso. L'ultima cosa di cui i bambini hanno bisogno è accorgersi che le sconfitte cambiano il parere dei genitori nei loro confronti. Per i genitori può essere molto complicato capire a fondo come i ragazzini vivono le sconfitte: alcuni junior non sono così competitivi e le sconfitte non hanno conseguenze. Altri invece odiano perdere, ma la sconfitta li spinge ad allenarsi di più. E poi ci sono quelli che prendono le sconfitte sul piano personale fino a perdere la loro autostima. Quando ero giovane, odiavo perdere al punto da distruggermi sul piano emotivo. Se incassavo una brutta sconfitta, passavo diverse notti senza dormire. Ma ero così inquadrata, che le sconfitte mi facevano lavorare più duramente. Ringrazio Dio per la presenza di mia madre: mi aiutava a capire le ragioni delle mie sconfitte e in cosa avrei dovuto migliorare. Ma ha pure imparato che i suoi consigli non avrebbero funzionato se mi avesse parlato subito dopo la partita e così aspettava che mi calmassi. Forse lo stesso approccio può funzionare anche per voi. O forse vostro figlio non vuole parlarne con voi, ma solo col maestro. È qualcosa che dovete capire e accettare. Quando i ragazzini perdono una partita, hanno bisogno di riprendersi. Voi non potete farlo al posto loro, per quanto vi piacerebbe. Ma potete comunque essere un grande aiuto se siete disposti a seguire i loro segnali. Potete anche stabilire alcuni modelli di sconfitte. I miei giocatori preferiti sono quelli competitivi, determinati e che odiano perdere. Ma quando succede, si complimentano con l'avversario e riflettono sulla sconfitta nel modo giusto. Per loro è un'opportunità per capire cosa non funziona nel loro gioco, tornano sul campo di allenamento e non vedono l'ora di avere un'altra chance. Perdere fa male, ma non è la fine del mondo. E ad un certo punto dovrete imparare a disconnettervi dalle sconfitte e ricordavi che il domani porterà nuove opportunità. * Tracy Austin, 53 anni, è stata n.1 del mondo nel 1980 e ha vinto due volte lo US Open

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Rifugiatevi in un‘oasi in cittĂ

Immerso in una meravigliosa oasi di 7 ettari, Aspria Harbour Club Milano è un luogo perfetto dove sport e relax convivono in straordinaria armonia, a 15 minuti dal centro di Milano in zona San Siro. Scoprite un mondo di sport e benessere per Voi e la Vostra famiglia.

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