Finis Terrae
Rivista Mensile del Progetto “Finis Terrae”
Dicembre 2012 - III
Un Natale di solidarietà In questo numero: Intervista alla Responsabile di Teatri di Pace Il contributo di Giuseppe Cifarelli Speciale Natale
Editoriale di Vitandrea Marzano
FINIS TERRAE Rivista mensile del Progetto “Finis Terrae”
Autorizzazione del Tribunale di Bari n. 2131/2012 del 24.09.2012
Direttore Responsabile: Vitandrea Marzano Vicedirettore Responsabile don Giuseppe Ruppi Coordinatrice di Redazione Alessandra Rizzi Gruppo di Redazione: Aron Pacucci Mariapia Locaputo Simona Gelao
Hanno collaborato in questo numero Michele Lucarelli Rossana Mazzeo Giuseppe Cifarelli
Editing e ufficio grafico don Andrea Tripaldi
L’imprescindibile valore della solidarietà
Il mondo nel quale viviamo è caratterizzato dall’abbattimento dei confini spazio-temporali. Ma nonostante questo rituale abbia promesso da tempo un processo di liberazione collettiva, ci accorgiamo che non tutti gli uomini vivono allo stesso modo e i mutamenti che per alcuni rappresentano opportunità di miglioramento delle proprie condizioni, per altri costituiscono la quasi inevitabile fine delle medesime speranze. La solidarietà diffusa, sulla quale si era costruito il welfare del secolo scorso non sembra più essere una virtù comunitaria, una di quelle virtù condivise dalla totalità o quasi dei cittadini di una società; appare piuttosto come una sorta di input morale lasciato alla libera iniziativa di mercato, considerato ancora come il più adeguato meccanismo di cui la società dispone per assicurare l’allocazione ottimale delle risorse materiali e immateriali disponibili. Il bisogno di ri-comprendere in profondità il senso della solidarietà in una società contraddistinta da epifenomeni disgreganti, si rivela con più forza in un momento storico di crisi come quello attuale e in occasione delle feste di Natale. Solidus è variante di solitus, participio del verbo solere. L’essere o il fare il solito, e la solidità, a ben guardare, rimanda ad una stessa idea: ‘fermezza’, ‘densità’, ‘compattezza’. E’ questo il senso della radice indeuropea sol-, da cui anche il greco hólos, ‘tutto intero’, e il latino salus, con il suo ampio ventaglio semantico: ‘salute’, ‘solidità’, ‘sicurezza’, ‘benessere’, ‘salvezza’, ‘saluto’. Non dunque un tutto come ‘somma delle parti’, ma il rinvio ad una originaria integrità, interezza, stabilità. Il concetto di solidarietà, se pur di origine antica, ha attraversato nei secoli numerose declinazioni storiche ed etico-sociali: si pensi al solidarismo attivo settecentesco francese (fraternità) o a quello morale e politico ottocentesco (coesione solidale), fino alle attualizzazioni contemporanee delle letture egalitarie della dottrina anglo-americana che leggono il significato della solidarietà in stretta connessione con la giustizia economica e sociale. La complessità contemporanea e i profondi mutamenti culturali e sociali intervenuti a
seguito del rapidissimo cambiamento dei modi produttivi, ridefiniscono dunque il campo di azione della solidarietà e ne interpretano il senso profondo alla luce degli avvenimenti storici e delle correnti di pensiero pur senza incidere realmente sulla prescindibilità in sé del valore. La solidarietà è infatti assunzione personale e collettiva di responsabilità reciproche per il conseguimento del bene comune che scaturisce dal vivere insieme riconoscendo l’altro che ci è di fronte. Un imprescindibile sentire e partecipare la vita degli altri e la nostra come unico destino e valore. E non a caso, per la sua ricchezza semantica e il portato valoriale che assume, la solidarietà risulta ancora tra i termini più indagati dalla ricerca sociale e storica contemporanea. Ma se è vero dunque che una categoria così scivolosa eppur sì presente andrebbe indagata nel proprio contesto storico-sociale, è pur vero che ciascuno di noi dovrebbe chiedersi in che modo contribuisce attivamente a questa rilettura, proponendo modelli di solidarietà che possano segnare il senso del nostro presente. Accoglienza, ospitalità, volontarismo, appartenenza? Come nominare questo importante sentire e come esercitarlo nella propria quotidianità? La categoria di solidarietà merita un protagonismo maggiore nel dibattito collettivo e nelle nostre riflessioni per i prossimi anni.
Linee, Attori e Risorse di Alessandra Rizzi
Finis Terrae: tra Teatro e Intercultura Nuovo anno, nuove idee e nuove azioni. Con il 2013 prendono forma alcune delle attività che caratterizzano l’identità più profonda di Finis Terrae, il suo rivolgersi prevalentemente ai minori, alle donne, ai più deboli, ai migranti. Si inizia con un laboratorio di teatro dell’oppresso organizzato, presso l’Istituto Redentore, da Teatri di pace e rivolto a 20 giovani (o nel migliore dei sogni 20 tra genitori e figli) che tenteranno di trovare una risposta al bisogno di pacificazione dei conflitti sociali con cui quotidianamente devono confrontarsi. Teatro come strumento pedagogico e di trasformazione dei conflitti sociali in opportunità di riscatto, quindi. Ma teatro anche come strumento di formazione personale e professionale, come opportunità di crescita: è del Granteatrino Casa di Pulcinella, infatti, il proposito di avviare un corso di formazione per giovani burattinai, coordinato da Paolo Comentale, rivolto ai giovani dai 18 ai 30 anni (di cui la metà donne e con priorità per i residenti nella VIII Circoscrizione). Un corso di 4 mesi che permetterà di acquisire conoscenze e professionalità sulle tecniche di realizzazione di burattini e marionette e sulla messa in scena di piccoli grandi spettacoli teatrali. Il 15 gennaio è la data ultima per candidarsi. Poi i migranti, e i servizi a loro dedicati. Con la Scuola dei colori, a cura della coop. CAPS, si avvieranno con i ragazzi di alcune scuole medie primarie e secondarie della
Circoscrizione una serie di iniziative volte a favorire l’intercultura e l’integrazione dei ragazzi stranieri con i quali quotidianamente si confrontano. Infine il CNA metterà in piedi uno sportello di servizi alla persona rivolto essenzialmente ai migranti e un corso di formazione professionale per acquisire competenze e professionalità attualmente
molto richieste, (per esempio, il lavoro come badante). Tra pedagogia del teatro e promozione dell’intercultura, Finis Terrae muove i primi passi per rafforzare la coesione sociale, per valorizzare le differenze, per suggerire reali opportunità di crescita e riscatto sociale.
L’intervista di Michele Lucarelli e Rossanna Mazzeo
L’Associazione Teatri di Pace e la non violenza L’intervista ad Alessandra Lanzillotti ropei per i giovani under 25. Stiamo organizzando nel breve-lungo periodo anche un corso di formazione per organizzatori teatrali nella speranza di offrire un percorso formativo efficace per una figura professionale essenziale nel settore dello spettacolo.
Alessandra Lanzillotti
Teatri di Pace. Chi è e cosa fa? Teatri di Pace è un’associazione di promozione sociale nata nel 2008 che tra i suoi obiettivi principali si propone la promozione del dialogo interculturale, la gestione non violenta dei conflitti e la tutela dei diritti umani, utilizzando quale canale privilegiato di riflessione e comunicazione l’arte ed in particolare il teatro. Quali sono i servizi che Teatri di pace offre nel territorio? Attualmente ci occupiamo di formazione alla gestione non violenta dei conflitti, attraverso laboratori e corsi che abbiamo realizzato in diverse scuole e realtà su tutto il territorio pugliese; inoltre, anche attraverso un lavoro di sinergia con altre realtà locali, promuoviamo e implementeremo nel corso del 2013 scambi culturali eu-
Il teatro dell’oppresso come strumento pedagogico e di trasformazione dei conflitti sociali. Il Teatro dell’oppresso nel corso delle esperienze maturate in zone di conflitto (Israele, Libano, Palestina), ma anche con minori a rischio o nel disagio mentale, è uno strumento estremamente efficace di “coscientizzazione”, come direbbe Augusto Boal, il fondatore di questo “metodo”, ossia di riflessione e di azione dal basso, rispetto a tematiche di carattere sociale e culturale in cui si sperimenta una situazione di oppressione. Attraverso il teatro e la partecipazione attiva dello spettatore, chiamato ad essere parte del percorso performativo, abbiamo potuto sperimentare il potere del coinvolgimento e la naturale propensione di qualsiasi essere umano ad essere creativo e a mettersi in gioco. Questo almeno per noi il senso del fare teatro sociale oggi, senza mezzi, per la strada, nelle piazze o dovunque ci sia l’esigenza di raccontare una storia, di denunciare un’oppressione.
L’VIII Circoscrizione è la più popolosa, giovane e multietnica della città di Bari. E’ un punto di forza o di debolezza? Credo che per il lavoro di chi opera nel sociale le differenze siano sempre una risorsa, in particolare per noi che lavoriamo in teatro sono essenziali, essenziali perché senza i conflitti, che spesso si generano quando ci sono punti di vista e storie molto diverse, non ci sarebbe azione teatrale, avremmo una realtà omologata e nessuna storia da raccontarci. Cosa fa Teatri di pace nel progetto Finis Terrae? Teatri di Pace nel progetto Finis Terrae si occupa di teatro, partiranno a breve diversi laboratori alcuni nelle scuole presenti nell’VIII Circoscrizione, sul bullismo e sulla genitorialità, e diverse attività invece in uno spazio presso l’Istituto Salesiano; percorsi rivolti ai giovani e alle famiglie dei ragazzi che frequentano l’oratorio, ma non solo. L’obiettivo ambizioso, vorrebbe essere quello di creare un’accademia permanente che guarda al teatro anche da un punto di vista pedagogico e di formazione personale, oltre che di qualità performativa.
Contributi di Giuseppe Cifarelli, Responsabile Ufficio Stampa Salesiani Redentore
Giuseppe Cifarelli e un futuro nel cassetto Il quartiere Libertà di Bari, è il quartiere più grande del capoluogo pugliese e il più giovane. Il progetto “Finis Terrae” si sta impegnando a dare un volto nuovo al quartiere e alla circoscrizione VIII. Simboli del quartiere Libertà di Bari sono certamente l’ex manifattura dei tabacchi che sorge un po’ fatiscente tra via Libertà e parte di via Crisanzio e Nicolai, l’oratorio Salesiano Redentore, cuore pulsante del quartiere ed infine il Tribunale e il palazzo della Procura di via Nazariantz. Il mio sogno? vedere questo quartiere rinascere… sotto tanti aspetti. Nel cassetto ci sono due sogni, il primo sarebbe quello di valorizzare l’ex manifattura dei Tabacchi. L’ex manifattura dei tabacchi, venduta all’Università di Bari per la facoltà di Scienze della Formazione, torna al centro di alcune proposte che vedono il trasferimento della Procura della Repubblica, del Tribunale penale, dei giudici di pace e della giustizia minorile all’interno della Manifattura. Una proposta che risulta essere
molto interessante. L’altro sogno è vedere l’Oratorio Redentore terminato. I Salesiani all’interno del quartiere Libertà sono l’unica struttura che ospitano ogni giorno ragazze e ragazzi, l’Oratorio ogni giorno toglie dalla strada centinaia di Ragazzi, l’Oratorio ogni giorno è costretto a fare affidamento sulle proprie forze senza un riconoscimento.
Le nostre amministrazioni ancora oggi non riconoscono la funzione sociale degli Oratori, mentre la Regione Campania è la prima al sud Italia ad aver legiferato in materia. Il Presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, ha dichiarato: “La legge sugli oratori era attesa da tempo, ci dà la possibilità di rispondere alle parrocchie, alla chiesa che lavora sul territorio. È un sostegno di tipo normativo ed anche finanziario perché parte di queste risorse viene da quelli comunemente ricordati come costi della politica. Con la riduzione di questi trasferimenti verrà finanziata la legge.” In Puglia... stiamo aspettando che qualcosa si muova a favore degli oratori, e delle attività a favore ragazzi più bisognosi Mi auguro che con il nuovo anno (il 2013), possa essere l’anno della svolta per gli enti no profit come l’Oratorio e che la Regione Puglia possa seguire l’esempio virtuoso della Regione Campania. Buon Natale e buone feste a tutti
Speciale Natale di Maria Pia Locaputo, Direttrice Operativa Progetto Finis Terrae
Il senso del Natale ...un pò di storia non guasta Natale è festa misteriosa e magica. È misteriosa perché esprime il mistero di Dio che si fa bambino, condividendo la nostra umanità più povera e indifesa e per questo ci salva! È magica perché reca in sé il senso della festa gioiosa, del dono gratuito, della fantasia, della memoria, con tutti i corollari commerciali e consumistici. Ma è anche la più sacra e insieme la più profana delle feste. La maggior parte delle persone pensa che il “Natale” sia la festa che secondo la tradizione religiosa cristiana si celebra il 25 dicembre e ricorda la nascita di Gesù Cristo. Questo è vero ma solo da un certo momento della storia in poi. In realtà essa è stata istituita durante il regno dell’imperatore Costantino per contrapporre una celebrazione cristiana a quella pagana del solstizio d’inverno, la festa mithraica del “dies natalis Solis Invicti” (giorno natalizio dell’invincibile Sole). La festa pagana del solstizio d’inverno era una ricorrenza importante per gli antichi romani, che in quel giorno celebravano la festa del dio Sole. Durante queste feste, che
andavano dal 17 al 21 di dicembre (“I Saturnali”) e la festa vera e propria del Sol Invictus del 25, si usavano i simboli dell’eterna giovinezza di Dioniso: mirto, lauro, edera... Il greco Dioniso veniva considerato come il divino bambino nato in maniera miracolosa da una vergine celeste. Dioniso era stato latinizzato col nome di Mithra di cui in oriente si celebrava la festa la sera del 24 dicembre. Era il dio iraniano dei misteri, il dio solare dell’amicizia e dell’ordine cosmico, nato dalla pietra e portatore della nuova luce “Genitor luminis”. In quella sera i fedeli a questo dio accendevano dei fuochi per aiutare il sole a salire più in alto sopra l’orizzonte. La chiesa cristiana scelse la data del 25 dicembre come giorno di nascita del Cristo per cristianizzare una festa pagana molto sentita dalle masse popolari. E così l’imperatore Costantino (280-337) riunì il culto del sole, di cui egli era il figlio protetto, e il culto al dio Mithra con il cristianesimo. E’ sotto il suo regno che apparve la festa del Natale. Ma è solo sotto l’imperatore Giustiniano (527- 565 d.C.) che il Natale
viene riconosciuto come festa legale per l’Occidente. A tale tradizione quindi la celebrazione del Natale ha voluto collegarsi per indicare l’avvento della Luce del Mondo, che giunge a squarciare le Tenebre. È il Bambino, che venendo al mondo, inaugura una nuova vita, e porta la Luce a tutti gli uomini. Così la Festa del Natale reca in sé storicamente una dimensione profana (e pagana) e una dimensione sacra e religiosa. Ma il senso del Natale non cambia. Vivere il Natale, non significa semplicemente fare memoria di un evento sia pur fondante della propria esistenza (semplicemente la nascita alla vita o più ancora la rinascita a nuova vita in Gesù, Figlio di Dio fatto uomo), ma celebrare la vita che si fa dono per gli altri in ogni tempo e in ogni luogo. Significa riconoscersi deboli come un bambino che nasce, eppure portatori di luce nel mondo, portatori di cambiamento, di crescita, di amore. Perché in fondo, il Natale è la festa dell’amore e dove regna l’amore tutto il resto non conta. Allora Buon Natale a tutti.
Etica sociale di don Giuseppe Ruppi
Ma quale è il significato del Natale? Arriva … ecco, è Natale! Come ogni anno, la magia delle luminarie, degli alberi colorati e dei presepi si rinnova, sebbene la crisi economica non faccia presagire un Natale spendaccione. Ma del resto non guasta ricordare che il Natale prima di tutto è la festa della natività e dunque della venuta al mondo del Salvatore, per cui un maggiore intimismo e una maggiore spiritualità non sono certo cose da buttar via. “Il Natale rischia di essere vissuto come una festa solo esteriore”, lo ha detto lo stesso Papa, invitando a “vivere in maniera essenziale” questa festa, senza lasciarsi sopraffare dal consumismo. «Nella società dei consumi, in cui si è tentati di cercare la gioia nelle cose ha aggiunto - il Battista ci insegna a vivere in maniera essenziale, affinché il Natale sia vissuto non solo come una festa esteriore, ma come la festa del Figlio di Dio che è venuto a portare agli uomini la pace, la vita e la gioia vera». Benedetto XVI ha quindi esortato a vivere l’avvento «con gli occhi della fede» e cercare nella «grotta di Betlemme la salvezza di Dio». Intendiamoci: non che questi siano del tutto scomparsi dalla faccia della Terra. Tutt’altro. Purtroppo, però, l’uomo spesso li dimentica, tanto è dominato dall’invidia, dalla lussuria, dall’avarizia, dall’accidia, dalla gelosia, dalla superbia e dall’ira. Soprattutto, la superbia da cui discende l’arroganza dell’umanità
di ergersi a dea del creato, con tutti i pericoli che ne conseguono. Perché è l’arroganza che induce l’essere umano a mettere in discussione le leggi della natura e a tentare di piegarle a suo vantaggio, prescindendo superbamente dalle implicazioni etiche sottese a queste leggi, quasi che egli non abbia di esse più bisogno, laddove così non è: il progresso tecnologico e scientifico sono e sempre saranno attività po-
sitive, ma l’uomo deve perseguire sia l’uno che l’altro, tenendo conto delle fondamentali regole della vita che certo non possono essere sovvertite e stravolte a suo piacimento. Eppure, tornando al Natale, nell’uomo esiste anche l’esigenza di riscoprire la propria identità sociale, l’essenza stessa del bene e della bontà.
E questo, malgrado in un’epoca come la nostra, votata al materialismo esasperato e al relativismo etico, il Natale – simbolo per eccellenza della bontà d’animo – sia piuttosto un appuntamento commerciale, un periodo invernale per fare baldoria e basta. Da qui i Babbi Natali paciocconi e vestiti di rosso che ricordano la famosa bibita americana. Da qui l’uso dei doni, sempre più costosi e sempre più il risultato di esigenze superflue piuttosto che della spontanea necessità di simboleggiare, attraverso essi, lo scambio di un affetto che dovrebbe informare con la sua profondità non solo il momento della festa, ma ogni momento della nostra vita. Il Natale certamente deve essere anche divertimento (l’ho detto!). E’ giusto che gli uomini ritrovino in questa festività la gioia di vivere, la speranza e la spensieratezza. Ma è altrettanto certo che il Natale non deve essere solo questo. Nella sua portentosa universalità, la natività deve essere capace di riportare la nostra attenzione su coloro che sono più sfortunati di noi, sui diseredati e su tutte quelle persone a cui la vita ha dato poco o nulla. Un piccolo pensiero che non costa certo quanto una playstation “?”, ma che, sicuramente, per molti potrebbe fare la differenza tra un Natale di lacrime e un Natale di sorrisi appesi all’albero come fossero tante palline colorate.
“Il compito del teatro è ricreare la gente” Bertolt Brecht