Magazine Finis Terrae | N. 7/2013

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Finis Terrae

Rivista Mensile del Progetto “Finis Terrae”

Aprile 2013 - VII

Una rondine non fa primavera In questo numero: Editoriale sulla Primavera Intervista a Monica Ricco di Legambiente Puglia Inaugurazione dell’Art Café a Bari


Editoriale di Vitandrea Marzano

FINIS TERRAE Rivista mensile del Progetto “Finis Terrae”

Autorizzazione del Tribunale di Bari n. 2131/2012 del 24.09.2012

Direttore Responsabile: Vitandrea Marzano Vicedirettore Responsabile don Giuseppe Ruppi Coordinatrice di Redazione Alessandra Rizzi Gruppo di Redazione: Aron Pacucci Mariapia Locaputo Simona Gelao

Hanno collaborato in questo numero Michele Lucarelli Rossana Mazzeo Giuseppe Cifarelli

Editing e ufficio grafico don Andrea Tripaldi

Il carattere effimero della Primavera Il termine Primavera evoca nella Storia e in quasi tutte le culture, da sempre, un momento di rinascita, di splendore, di riavvicinamento alla vita dopo un lungo periodo di riflessione, caratterizzato dal (cupo) inverno. Quasi sempre, infatti, la categoria di Primavera acquisisce il suo senso più profondo per contrapposizione, rispetto a qualcosa di temibile che la precede e di cui ne rappresenta una liberazione (morte/rinascita, buio/luce, freddo/caldo). La Primavera è “la prima volta”(da primis e ver che ha origini etimologiche slave e ancor prima sanscrite, in cui si ritrova la radice vas intesa come ardere, splendere), l’epifania di qualcosa che si svela e promuove finalmente un passaggio, una transizione, una rinascimento, un cambiamento. E non solo stagionale, transitorio, ma epocale. Dalla radice sanscrita genera la dea Vesta, dea del focolare domestico, sorella di Giove e splendidamente rappresentata dalle Vestali, le quali, ogni primo di marzo, riaccendevano il Fuoco Sacro di cui erano perenni custodi. Nelle feste pagane l’arrivo della primavera viene visto quale periodo di rinnovamento e di fertilità e viene rappresentato tramite l’allegoria del ritorno di Persefone alla madre Demetra dopo il suo soggiorno con Ade negli inferi. Secondo altre tradizioni viene ancora raffigurata come l’avvento della vita e la rinascita della natura dopo il lungo inverno, così come nelle culture cristiane coincide con la Resurrezione e l’annuncio di Gesù ai terreni, come metafora di messaggio eterno e riformatore. In questa stagione la natura e la vita riprendono tutta la loro magnificenza dopo il letargo invernale. Ed è probabilmente la tradizione contadina ad ispirare molti dei significati che si celano dietro la categoria di Primavera: la campagna verdeggia e fiorisce, mentre iniziano i parti degli animali e gli uccelli depongono le uova, la cura dei campi si accinge alle semine e nell’orto si raccolgono le primizie. E così, la Primavera, acquisisce la forma di un simbolo di “prima rinascita” che avviene ogni anno e in ogni epoca, favorendo il disgelo, liberando il sole e promuovendo i colori della differenza e i nuovi amori. Trasponendo questo senso di cambiamento al temi dei diritti, sovente si incontra la categoria di Primavera in passaggi storici, sociali, culturali e politici cruciali. Tra le ultime esperienze a noi vicine, ricordiamo tutti la Primavera Araba, carica di aspettative mediatiche di Democrazia e Libertà per i popoli di frontiera. In arabo, la Primavera del Mediterraneo, promossa dalle giovani generazioni della società ci-

vile, segnava il passaggio dai regimi autoritari alle libertà civili, indicando un processo di profondo rinnovamento culturale e politico nelle regioni del Medio Oriente, del vicino Oriente e del Nord Africa. I paesi maggiormente coinvolti erano l’Algeria, il Bahrein, l’Egitto, la Tunisia, lo Yemen, la Giordania, il Gibuti, la Libia e la Siria, mentre il nuovo solco democratico sembrava espandersi sino in Mauritania, Arabia Saudita, Oman, Sudan, Somalia, Iraq, Marocco e Kuwait. Ma che ne è stato di questo grande evento giornalistico che avrebbe coinvolto noialtri sulla sponda più fortunata, quella settentrionale del Mare Nostrum e che eravamo pronti a sostenere? E che cosa ne è stato dei tanti giovani che hanno combattuto o sono emigrati sfuggendo ai durissimi conflitti civili in Italia e in Europa? Non è dato saperlo, almeno dalla Stampa. Molti di loro verosimilmente sono stati arrestati o alloggiano in qualche prigione europea o ancor peggio presso i nostri numerosi Centri di identificazione ed espulsione (CIE), in attesa di un respingimento fuori dalle frontiere. L’argomento, poi, probabilmente ha perso di interesse perché si è preferito concentrarci sulle nostre piccole Primavere. Le Primavere Pugliesi, dei Governi di larghe intese o le Primavere dei sondaggio o delle Quirinarie. Distogliendo lo sguardo e l’impegno da quanto accadeva nel Mondo e in qualche modo turbato. Ma si può continuare a considerare la Primavera semplicemente come un momento effimero di passaggio e non di vera proposizione o di cambiamento strutturale? Ed è il destino della Primavera rappresentare simbolicamente un incanto destinato a smarrirsi con il giungere dell’ardore estivo o di un nuovo inverno? In quel passaggio mediterraneo era ed è inscritto il segno del nostro presente e sicuramente del nostro futuro, come cittadini del mezzogiorno, italiani ed europei, caratterizzati da un’antica vicinanza geografica e culturale. Eppure non ce ne rendiamo conto, continuando a pensare che l’integrazione o la solidarietà alle differenze, siano temi semplicemente da omettere o da rimandare.


Linee, Attori e Risorse di Alessandra Rizzi

Finis Terrae inaugura a Bari Artes café: la prima Bottega di legalità e diritti Tra pochi giorni avventurandosi nel centro storico di Bari sarà possibile imbattersi in un locale nuovo dove degustare prodotti enogastronomici provenienti anche da terre confiscate alla mafia, oltre che tipici della tradizione pugliese, acquistare gadget e prodotti solidali di Libera, Emergency, Made in carcere e Unicef, partecipare a conferenze, presentazioni di libri, concerti, mostre d’arte. Il tutto all’insegna del motto “festina lente”- affrettati lentamente-: affrettiamoci a cambiare la realtà secondo i valori di giustizia, legalità e uguaglianza, anche se questo richiederà un

cultura, diffondere conoscenza sono lo strumento più efficace per abbattere il muro del silenzio, per combattere e contrastare le mafie. Perché dove c’è conoscenza, dove c’è consapevolezza, la mafia non può attecchire. Artes café sarà quindi un luogo dove fare cultura e dove gridare a gran voce che la violenza non fa paura e che la città di Bari vuole proiettarsi oltre, superare il buio delle mafie e affermare la forza dirompente della legalità e della consapevolezza. Cucina e legalità dunque, ma non solo. La cooperativa CAPS, infatti, portando nella bottega una parte del progetto “Io non Dipendo”, si occuperà di formare il personale impiegato a sensibilizzare gli utenti (soprattutto giovani tra i 20 e 40 anni) al bere consapevole,

lungo e lento lavoro. E’ artes café, la prima Bottega-café di legalità e diritti che si inaugura a Bari, in piazza Mercantile 35, agli inizi di maggio, luogo di incontro e fucina di idee, arte e cultura, ma soprattutto faro della legalità nella lotta alle mafie. Siamo convinti che la violenza e l’iniquità nascono e si alimentano laddove serpeggiano e predominano la paura, la sofferenza, la mancanza di consapevolezza. Ecco perché mettere la cultura al servizio della denuncia può contribuire a rompere il buio della paura e dell’omertà. E a illuminarlo. E parlare di legalità, di diritti, di uguaglianza e rispetto, fare

al saper bere con moderazione, a comprendere la differenza tra uso e abuso, a conoscere l’importanza delle gradazioni alcoliche e dei rischi connessi derivanti da un mix scorretto. Il tutto attraverso la distribuzione di etilotest monouso e/o giochi con speciali occhiali che simulano una determinata gradazione alcolica. La realizzazione della Bottega, a cura della cooperativa Artes e che prevede al suo interno l’inserimento lavorativo di persone

svantaggiate, è possibile grazie anche al sostegno della Regione Puglia, del Dipartimento di Dipendenze Patologiche e del Comune di Bari, in collaborazione con Libera, Emergency, Unicef, Made in carcere


L’intervista di Michele Lucarelli e Rossana Mazzeo

Pensare globalmente , agire localmente

Intervista a Monica Ricco di Legambiente Puglia

Monica Ricco, Legambiente 1. Legambiente da più di 30 anni è in Italia e fonda ogni suo progetto in difesa dell’ambiente su solida base di dati scientifici. Come riuscite ad avere successo nelle vostre iniziative? L’approccio scientifico è il prerequisito su cui si fonda ogni nostra proposta o iniziativa, dandole valore ma rendendola soprattutto sostenibile e praticabile. 30 anni di esperienza, la presenza capillare dei circoli locali e l’impegno costante dei volontari sono il biglietto da visita che permette a Legambiente di interagire efficacemente con le amministrazioni, la società civile e i singoli cittadini. 2. Attualmente quali attività\ azioni state sostenendo? Oltre alle ben note campagne di sensibilizzazione, alle attività di monitoraggio ambientale e di redazione di rapporti sullo stato di salute del nostro territorio e sulla vivibilità delle città, stiamo cercando di diffondere la cultura dell’orticoltura urbana. Si tra-

durrebbe in autoproduzione di cibo sano e di qualità, tutela del territorio dai rischi derivanti dal consumo di suolo, stop alla cementificazione e lotta al degrado e all’abbandono. La bella stagione sarà ricca di eventi molto coinvolgenti, come la giornata internazionale di pulizia delle spiagge “Clean up the Med” a fine maggio. La partenza del tour di Goletta Verde accenderà i riflettori sull’inquinamento delle nostre acque e sulla reale balneabilità delle coste e accessibilità delle spiagge. 3. “Pensare globalmente, agire localmente”, sono parole chiave che caratterizzano le vostre attività. Nel territorio barese quali sono le problematiche? La Città di Bari presenta, a nostro avviso, delle criticità che richiedono la massima attenzione da parte dell’amministrazione pubblica e dei cittadini. La raccolta differenziata, ad esempio, raggiunge percentuali ancora troppo basse in assoluto e non è organizzata porta a porta. L’area ex Fibronit non è stata ancora bonificata dall’amianto. La circolazione su due ruote presenta ancora rischi per l’incolumità dei ciclisti, come dimostrano i recenti fatti di cronaca. Manca ancora un censimento del verde urbano (fatta eccezione per il Parco 2 Giugno) quale primo strumento di gestione del Verde e manca poi

il Regolamento del Verde. Inoltre i dati ufficiali affermano che il verde pubblico fruibile è molto al di sotto della media nazionale. 4. Quali sono le vostre aspettative per il quartiere Libertà e come collaborerete con il progetto Finis Terrae? Stiamo stimolando la sensibilità degli abitanti del Quartiere Libertà coinvolgendoli in attività di ripristino ambientale ed ecopasseggiate sul litorale. Nelle scuole della circoscrizione abbiamo attivato laboratori sul riciclo e sul contrasto all’ecomafia. Ci aspettiamo, da parte dei residenti, un aumento dell’attenzione e del rispetto nei confronti del proprio territorio, nel quale la cultura della legalità risulterà rafforzata proprio dal crescente impegno ambientalista.


Contributi di Mariapia Locaputo, Direttore Responsabile Progetto Finis Terrae

Finis Terrae: un grande sogno nella logica dei piccoli passi L’intento di questo spazio di riflessione è quello di rilanciare il nostro progetto FINIS TERRAE, il suo quadro di riferimento valoriale, le sue finalità. Mi sarà consentita in questa occasione, più che ribadire i contenuti e gli obiettivi del progetto, rimarcare l’orizzonte di senso che muove il gruppo di progetto all’azione, alla riflessione, e al dialogo col territorio. Finis Terrae è un’importante scommessa sul futuro e non è semplicemente un programma di iniziative e di attività destinato a concludersi il 16 giugno 2014. Un grande sogno di cambiamento che si costruisce giorno per giorno, un grande contenitore di idee e di progetti per pensare un futuro diverso e migliore per il nostro territorio. Dentro questo progetto abbiamo investito i nostri sogni più belli per la nostra Città facendo un po’ nostra la logica dei “Grandi sogni, piccoli passi” che ha ispirato l’azione appassionata di cambiamento, educativa e sociale, di don Bosco 150 anni fa. Sembra difficile conciliare la parola “sogno” con quella di “progetto”. E perché il sogno rimanda a qualcosa di irreale, a un prodotto inconsapevole della nostra mente: si sogna mentre si dorme, quando, allentati i freni inibitori della nostra coscienza, ci si lancia nella visione di mondi qualche volta impossibili. Il progetto, invece, nel comune modo di sentire, riporta a qualcosa di concreto, realizzabile, fatto di regole abbastanza rigorose e di tempi definiti. Conciliando queste due posizio-

nel contesto della nostra Città, come costruzione euristica, come scoperta, slancio creativo verso il futuro, tensione dinamica verso la realizzazione di “mondi possibili”, come dialogo, negoziazione, incontro che genera cambiamento. Progettare, quindi, per noi significa, provare a fare grandi sogni. Il progettista conosca pure le tecniche e la metodologia per essere progettista nel modo migliore, ma si faccia travolgere dalla passione del sogno. Nell’esperienza dei grandi sognatori che hanno generato il cambiamento non si tratta semplicemente di un anelito verso la realizzazione di un “mondo” diverso e alternativo, ridotto a mero moto emozionale, ma prefigurazione di quello che può essere, che può cambiare o che può nascere. Tutte le grandi conquiste sono state ispirate da grandi sogni! E il grande sogno nasce dalla comprensione della realtà, si nutre della intuizione che questa può e deve essere migliore, diventa visione profetica nella prospettiva del servizio agli altri, per esigere indefettibilmente la predisposizione di un’azione concreta ed efficace idonea a cambiare la realtà medesima. Il sogno di cui parlo non è un sogno qualsiasi, ma un sogno che si qualifica in quanto grande. E alla capacità di sognare si deve accompagnare il buon senso, la responsabilità, la determinazione e la perseveranza. Questo significa che i grandi sogni devono essere realizzati nella logica dei piccoli passi.

I passi sono la strategia, il mezzo per la realizzazione della visione profetica; sono i segmenti d’azione dell’opera progettuale, le strade da percorrere per il raggiungimento dell’obiettivo di cambiamento e di crescita. In questa logica, al progettista si chiede, oltre che l’umiltà di riconoscersi strumento “piccolo”, anche la capacità trasformartrice della visione profetica in “missione”, partendo dal contingente, dal qui e ora. E significa fare propria la logica dell’utopia generativa e progettuale: avere ben chiara la realtà così com’è, ma saper immaginare un mondo migliore, possibile, progettabile, intravedendo la strada per giungerne alla realizzazione. La logica dei piccoli passi deve essere fatta di tenacia, di fiducia, di dialogo instancabile con gli altri stakeholders, con i giovani, ma anche con le istituzioni, i contesti, per creare novità e costruire un futuro migliore, accettando la sconfitte e pronti a rialzarsi ad ogni caduta. Significa, dunque, abilitarsi all’umiltà, al silenzio e alla pazienza. Grandi sogni, piccoli passi, significa pensare Finis Terrae in grande per il futuro della nostra Città e camminare insieme e uniti rispettando i tempi, le situazioni, le condizioni, fiduciosi che se la goccia man mano che scorre solca la roccia, anche noi, lavorando instancabilmente per la realizzazione di un progetto di bene, vedremo realizzati i nostri grandi sogni.


Etica sociale di don Giuseppe Ruppi

Una figura etica per la nostra attività sociale: il Buon Pastore

Tra i vari titoli e simboli, ai quali ricorrono gli autori del Nuovo Testamento, per esprimere il ruolo mediatore e salvifico unico di Gesù, inviato definitivo di Dio e costituito con la risurrezione Signore, si distingue, per la sua forza evocativa, quello di “pastore”. Nella lingua figurata di tutto l’Oriente antico il pastore indicava in maniera popolare il re e gli altri capi del popolo, specialmente come salvatori e liberatori nel senso religioso. Infatti, il Buon Pastore ha offerto la sua vita per gli smarriti, anche per quelli che non sono del gregge d’Israele, per riunirli in un solo ovile con un solo Pastore, fino a quando verrà il giorno, in cui il Figlio dell’Uomo si rivelerà a tutti come il Re, che separerà definitivamente le pecore dai capri. La dinamica interna della fede cristiana, sia a livello personale che a livello ecclesiale, può essere riassunta in questi termini: “Gesù, buon Pastore: la parola (Cristo, Verbo fatto carne, sintesi e compimento di ogni parola che viene da Dio) da credere, da celebrare e da vivere”. Tutta l’attività pastorale e sociale della comunità dei credenti, pur nelle sue molte, concrete espressioni possibili, per non risultare dispersiva, al limite, inefficace, deve articolarsi in modo ”circolare” attorno a queste tre dimensioni, con il continuo rimando dall’una all’altra: sia come programmazione globale, sia nell’impostazione concreta di ogni singola iniziativa. Voglio dire: non può essere cor-

retta e adeguata una pastorale che non tenga sempre conto di tutte e tre le suddette dimensioni della fede, anche quando si tratta di pensare e mettere in atto singole precise iniziative che di volta in volta si collocano o nell’ambito specifico della catechesi (la parola da conoscere e da credere), o in quello della liturgia (la parola da celebrare), o in quello della carità e della solidarietà (la parola da vivere: onestà e giustizia, fraternità e comunione, condivisione, volontariato, impegno sociale e politico . . .)

Poiché non possono esistere né catechesi, né liturgia, né impegno cristiano autentici, se non nella misura in cui ognuna di queste cose implica in qualche modo anche le altre due. La parola che annuncia Cristo deve condurre alla celebrazione del mistero di Cristo e alla conversione secondo l’esempio e l’insegnamento di Gesù. La celebrazione dei sacramenti della fede presuppone la conoscenza e l’accoglienza della parola

della fede, ed esige una rispondenza vissuta al senso dei sacramenti ricevuti. Ogni forma di “impegno” cristiano deve fondarsi, in ultima analisi, sui valori che sono preposti dalla parola di Dio; e proprio attraverso la preghiera e la liturgia si mantiene coerentemente orientato – al di là di ogni realizzazione terrena – verso l’orizzonte escatologico del regno di Dio. Questo vale per tutti, per ogni esperienza cristiana. Anche se sono possibili modelli diversi di equilibrio e di rapporto fra le tre dimensioni, con accentuazioni diverse, di volta in volta, sull’elemento “parola”, sull’elemento “preghiera-liturgia”, o sull’elemento “impegno attivo” nella Chiesa e nella società. In ogni caso, solo sulla stretta connessione e interdipendenza tra catechesi, liturgia e carità si può edificare un’autentica comunità cristiana: e questo è precisamente lo scopo globale della pastorale nel suo insieme. A volte forse facciamo troppe cose nelle nostre parrocchie. Ma non tutte sono ugualmente pertinenti alla missione della Chiesa e alla logica della fede. Credo che ai nostri giorni sia necessario tentare un certo discernimento, al di là delle mode del momento o delle consuetudini più o meno consolidate, per riscoprire l’essenziale a cui tendere, pur nella consapevolezza di tutti i condizionamenti che pone alla programmazione e all’azione pastorale concreta la complessa configurazione del rapporto Chiesa-società nel tempo presente.


Speciale

Premio fotografico Luigia De Marinis e “Liberi di Sognare 2013�


“E se nei vostri quartieri tutto è rimasto come ieri, anche se allora vi siete assolti, siete lo stesso coinvolti.”

F. De Andrè


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