Catalogo realizzato in occasione della mostra Giuseppe Terragni; un viaggio nell’architettura Centro italiano arte contemporanea, Foligno a cura di ; Attilio Terragni Italo Tomassoni promossa da:
Realizzata da; Centro per la Cultura e lo Sviluppo Economico s.r.l. In collaborazione con; Archivio Giuseppe Terragni Ufficio stampa Lucia Crespi, Milano Copertina interna: Daniel Libeskind, Attilio Terragni Ringraziamenti; si ringraziano i collezionisti che con la loro disponibilità hanno reso possibile questa esposizione. Le fotografie a colori delle opere di Terragni sono di Paolo Rosselli per GT04.
Stampato in Italia nel mese di Settembre 2012 da Tipolitografia Petruzzi Corrado, Città di Castello (Perugia) 3Arte è un marchio di ali&no editrice
Presidente Alberto Cianetti Consiglio di amministrazione Rita Fanelli Marini Nello Mazzoni Giuseppe Metelli Nando Mismetti Bernardino Sperandio Italo Tomassoni
Direttore artistico Italo Tomassoni
Anche questa esposizione dimostra che il ventaglio di interessi del Ciac non è limitato ai linguaggi artistici maggiormente praticati, ma si è da sempre misurato con una pluralità di espressioni che vanno dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al video, dalla grafica all’architettura. La mostra dedicata a Giuseppe Terragni intende fornire al pubblico una significativa opportunità di conoscenza, studio e approfondimento dell’opera di un architetto unanimemente riconosciuto come uno dei maggiori interpreti dell’architettura italiana della prima metà del sec. XX°. L’obiettivo è di mettere a disposizione di quanti vorranno rendere più ricca e profonda la conoscenza di questa opera un allestimento che ripercorre l’esperienza creativa di un protagonista che Foligno, città che ha dato i natali a Giuseppe Piermarini, vuole presentare nel modo più adeguato anche per dimostrare che l’architettura oltreché creazione individuale è anche strumento di conoscenza del tempo e occasione di confronto sociale e politico. Ampie le collaborazioni e le partecipazioni rispetto alle quali va il mio ringraziamento per un evento il cui interesse è rappresentato dalla complessità e dal rigore del materiale esposto ed è bene illustrato e documentato dal catalogo e dall’allestimento. A questo ultimo riguardo mi piace sottolineare come l’interpretazione dello spazio del CIAC per una mostra di architettura dimostra ancora una volta la qualità e la versatilità di un contenitore architettonico che i visitatori stanno apprezzando ogni giorno di più. Un grazie particolare all’ Archivio Terragni di Como e all’architetto Attilio Terragni che ha reso dis-
ponibili i materiali dell’Archivio fornendo documenti d’epoca, maquettes, foto della campagna realizzata da Paolo Rosselli in occasione del centenario della nascita del Maestro e l’eccezionale documentazione relativa al progetto del Danteum, il celebre Centro Studi dedicato alla figura di Dante, non potuto realizzare per la prematura morte dell’architetto e che avrebbe dovuto sorgere a Roma nell’area dei Fori Imperiali . Un progetto eccezionale, quello del Danteum che bene si collega a Foligno città dantesca che, della Divina Commedia, pubblicata qui per la prima volta a stampa, ha fatto uno dei suoi punti di riferimento e di eccellenza identitaria. Di notevole interesse anche i dipinti di Terragni e alcuni progetti non realizzati che arricchiscono la mostra e contribuiscono a dare l’immagine di come sarebbe stata, nell’immaginario dell’architetto, una società guidata dalla razionalità e dalla funzionalità del pensiero architettonico moderno. Un ringraziamento particolare va rivolto al Comitato Scientifico del Caic e al direttore artistico Italo Tomassoni, che ha affiancato, nel concept e nella curatela della mostra Attilio Terragni. Apprezzamento e ringraziamento vanno anche all’Università degli Studi di Perugia - Facoltà di Architettura e Ingegneria per la competenza e l’entusiasmo con cui Paolo Belardi e i suoi allievi e collaboratori. si sono prestati a realizzare e allestire un Workshop ricco di idee e di sorprese progettuali di rilevante interesse accademico all’interno della esposizione. Un particolare ringraziamento al Comune di Foligno e a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questa mostra che va ad occupare un posto importante nella storia del Ciac e della Fondazione,
concorrendo a confermare alla città di Foligno quella centralità e quel rilievo nel pensiero del contemporaneo che, grazie a questi investimenti culturali, sta sempre più conquistando, come dimostrano il successo di pubblico e di critica riscosso dalle ultime rassegne. Sono certo che questa esposizione susciterà l’interesse non solo di studiosi, critici e specialisti, ma anche di tutti gli appassionati che, anche nella nostra città, hanno a cuore la cultura e l’arte per il patrimonio umano e morale che questi valori rappresentano per il nostro presente e soprattutto per il nostro futuro. Alberto Cianetti Presidente Centro per la cultura e lo sviluppo economico srl
Susanna
(
la
nuova
architettura)
ed
i
vecchioni
(
composizione
di
P. M .
Bardi)
GIUSEPPE TERRAGNI; DANTEUM, UN VIAGGIO NELL’ ARCHITETTURA catalogo a cura di Attilio Terragni.
S O M M A R I O PRESENTAZIONE MOSTRA P R E M E ( Attilio Terragni)
DELLA S
S
A
GIUSEPPE TERRAGNI, VERSO UN’ARCHITETTURA INVISIBILE (Italo Tomassoni) IL PROGETTO DEL DANTEUM ( Giuseppe Terragni) QUADRANTE - IL DANTEUM, IL SUO TEMPO D A N T E U M: T E M P I O D E L L’ A R C H I T E T T U R A ( Giuseppe Terragni, Attilio Terragni) DANTEUM: STANZE MEMORIA ( Attilio Terragni)
DELLA
D A N T E U M . O G G I ( Paolo Belardi) DANTEUM.PRO GET TO ( Attilio Terragni, Gino D’Andrea) BIOGRAFIA DI GIUSEPPE TERRAGNI
PREMESSA
Malgrado il numero di studi e di ricerche che si è concentrato sull’opera di Giuseppe Terragni, dobbiamo riconoscere che sono di più le cose che sappiamo in modo incompleto, rispetto a quelle di cui siamo certi e pienamente consapevoli. Per esempio, conosciamo solo una modesta parte della straordinaria progettazione del Danteum a Roma, che sopravvive come un grande Monumento in un contesto di totale estraneamento dalle altre opere di Giuseppe Terragni. E proprio il Danteum è indicativo di un rebus non sciolto, che fa assumere, a certi progetti, il carattere dell’unicità e del miracolo.
Invece, questo progetto per un Monumento a Dante, nel centro di Roma, è un progetto modernissimo e con obiettivi molto precisi. Il primo è quello di interrompere la continuità tra falsi tradizionalisti e architettura monu me nt a l e, c ar atte r ist i c a dell’architettura ufficiale del ventennio fascista. Il secondo è quello di proporre un’architettura monumentale moderna come una perfetta macchina della memoria, in cui ogni elemento della costruzione è strutturato da relazioni geometriche e matematiche, per raggiungere “quel valore di assoluta bellezza che è prerogativa delle architetture esemplari delle grandi epoche storiche”. Lo schema messo a punto da Giuseppe Terragni è il dialogo dell’architettura moderna con altre forme della vita spirituale e con le diverse espressioni dell’Arte. Il Monumento moderno esprime
nella sua struttura, nei ritmi e nelle proporzioni, costruzioni numeriche e geometriche di opere culturali, di pensieri politici, e di monumenti del passato, le cui leggi armoniche, favorendo la memoria dei fatti costruttivi, attivano la forma plastica dell’architettura e la nostra irriducibilità al tema della storia. Solo con l’architettura moderna, e grazie a queste analogie e similitudini nelle proporzioni degli elementi costruttivi, si è in grado di esprimere stati d’animo e narrazioni astratte nello spazio dei Monumenti, di suscitare emozioni, tutte interiori, nei visitatori. Il Danteum, quindi, non è solo Dante; con un processo progettuale precisissimo, diventa il progetto teorico più importante dell’architettura moderna italiana, perchè racchiunde un Tempio dedicato all’Architettura. Il viaggio attraverso le sue stanze ci offre, insieme all’immaginario del mondo ultraterreno di Dante, una macchina della memoria architettonica, dalle età primitive, alle epoche pre-storiche, alla Grecia, a Roma, fino alla modernità.
Lo studio che presentiamo aspira a ridare al Danteum il suo carattere di viaggio, di racconto fantastico e allegorico, sulla storia dell’Architettura dal giardino di pietra a quello di cristallo. Mostra e catalogo formano un viaggio che ognuno di noi deve compiere dalla pietra alla sublimazione della materia, dal peccato alla grazia, anche, e sopratutto, per continuare a difendere Susanna (la nuova architettura) dai vecchioni.
GIUSEPPE TERRAGNI. VERSO UN’ ARCHITETTURA INVISIBILE
individuale di artista, l’intransigenza del suo pensiero architettonico e il momento politico della cultura europea che anche lui è chiamato a rappresentare. Eticamente consapevole che, se è difficile arrivare alla verità non si può fare a meno di cercarla, trova nel costruire secondo la regola delle sue convinzioni la verità dell’architettura e un’architettura della verità .
Pound e Benn, La Rochelle e Céline, Brasilach e Heidegger. E poiché l’estetica del Fascismo, come tutto il rappel à l’ordre degli anni ’20 e ’30, tendeva a trascendere il contingente per misurarsi con il mito, Terragni accetta la sfida e il rischio di questo orizzonte e fissa anzitutto nei suoi occhi un’immagine dove la disciplina dell’architettura, collocata in parallelo con la mistica dell’ideologia, misura l’idea
LA POETICA Terragni vira l’idea di architettura sul concetto di verità. Dogma metafisico che non si lascia tradurre, dà l’illusione di farsi raggiungere ma resta imprendibile. In questo scarto Terragni misura la sua opera. Presentata a se stessa libera dai giochi dell’asservimento, la inscrive, con consequenzialità rigorosa, nel registro delle operazioni assolute. Per lui la forma dell’architettura non dipende nè da una precostituita idea dello spazio nè dal contesto di riferimento. Poiché tuttavia l’architettura non si misura con il modello della natura ma con quello della società, l’opera risulta fisiologicamente collegata all’amnio storico dal quale è uscita . Nell’equilibrio tra creazione tecnica e seduzione ideologica, Terragni trova la misura esatta del rapporto tra il proprio destino
Planimetria della città di Como con indicati i progetti costruiti e quelli non realizzati di Giuseppe Terragni (in rosso gli interventi di risanameto conservativo del centro storico)
Tavola degli orrori foromontaggio realizzato da Pietro Maria Bardi per la prima mostra di architettura razionale
Operando all’interno di un contesto culturale fondamentalmente “classico”, incardinato su una concezione razionalistica (Gropius, Mies, Le Corbusier) che oppone l’ordine al disordine e si misura secondo leggi costanti e oggettivamente conoscibili, crede a un’architettura funzionale come risultato di regole intrinseche al costruire . Persegue perciò l’obbiettivo di raggiungere un rapporto coerente tra tutti gli elementi del discorso costruttivo sviluppando una sintassi nella quale si articolano in termini armonici la parola e la lingua, il dentro e il fuori, il visibile e l’invisibile, l’opaco e il trasparente, la luce e la tenebra, la superficie e la profondità. Infine lavora a fissare il paradigma di una misura aurea tra la forma e il contenuto. Nella convinzione che la via della conoscenza passa anche attraverso la storia, aderisce convinto al Fascismo, incarnazione di una storicità che coinvolse nello stesso destino e per differenti vie, figure grandi e tragiche della modernità come
dell’ordine e le ragioni creative con la funzionalità del corpo costruito e le mitologie dell’azione politica. Senza mai separare la forma dell’opera da un significato tutto interno ad essa, concepisce una sintassi rivoluzionaria che non entra mai in contraddizione con se stessa . Lui stesso definisce la Casa del Fascio di Lissone (1941) “una sintesi vittoriosa di questa ideale battaglia tra l’architettura tipicamente moderna e la monumentalità, il simbolismo e l’aulicità del tema”
LA STORIA Terragni opera dal 1926 (partecipa, giovanissimo, al “Gruppo 7”, al MIAR e alla Mostra dell’Architettura Razionale a Roma nel 1928) al 1939 (Casa Giuliani Frigerio e partenza per il Fronte Russo). In quel ventennio il Razionalismo architettonico, stadio finale di un riformismo borghese che aveva radicalizzato le istanze del liberalismo ottocentesco, trova
le sue espressioni europee più compiute nel movimento neoplasticista olandese di De Stijl (’17-’32) e nella didattica del Bauhaus attivata sistematicamente in Germania tra Weimar e Dessau (’19-’33). Movimenti che si concentrano entrambi in una visione tecnico-sociale del mondo dove si fondono la sintesi di equilibri visivi, la sperimentazione di nuovi materiali e la messa a punto di processi di lavorazione che il linguaggio dell’architettura si incarica di portare ad unità . Rispetto a quelle lunghezze d’onda, Terragni si confronta con uno Zeitgeist differente . Se, rimanendo all’interno del paradigma razionalistico, De Stijl e il Neoplasticismo avvertono solo di riflesso il condizionamento dei totalitarismi degli anni ‘20 e ’30; e il Bauhaus mitiga, anche attraverso
Fascio di Como inchioda l’architettura italiana a una svolta oltre la quale non possono più correre l’orgia decorativa, i castelli fantasma, i quartieri coppedè, le villette dei ferrovieri, i palazzoni in stile, il falso antico e il falso moderno. Terragni argina con una trincea di vetro l’ondata di anarchia che ha compiuto massacri in tutte le città italiane”. Definisce l’edificio “ un prisma scompositore del colore locale” in cui “il vuoto pesa quanto il pieno” e “il senso della materia pesante e opaca è dimenticato”, “un ambiente leggerissimo in cui il vuoto è l’aria e il pieno è trasparenza”.
L’ARCHITETTURA TRASPARENTE Dentro queste definizioni di
architet-
Sopra; fotomontaggio di un ritratto di Giuseppe Terragni; particolare dello sguardo.
Al centro; Casa del Fascio di Como- disegno con prospettiva sul Duomo
Sotto; Monumento ai caduti di Como- progetto di Giuseppe Terragni alternativo al disegno di Sant’Elia
un forte recupero dell’artigianato, la supremazia di una tecnica condannata da Martin Heidegger e asservita da Albert Speer alla perfetta geometria dei raduni nazisti , Terragni apre il varco ad un orfismo non iconico che, pur agli antipodi della mitologia e del monumentalismo, ha consentito a Massimo Bontempelli di commentare così, nel 1936, la Casa del Fascio di Como ( “Quadrante” n.35) : “E’ ormai fatale che l’architettura italiana cominci un ciclo di costruzioni riconoscibili come perfetta espressione del Fascismo…” In termini più stringenti , sullo stesso numero della Rivista, Carlo Belli dopo aver definito la Casa del Fascio “tavola logaritmica ” “ prontuario di bellezza” e “paradigma di saggezza”, incalza: “ La Casa del
tura come “trincea di vetro” in cui “il pieno è trasparenza” dovute all’autore di quel breviario dei fondamenti spirituali dell’astrattismo italiano passato alla storia come “KN”(1935), Terragni materializza quasi alla lettera, e senza rinunciare a nessuna delle prerogative del suo pensiero architettonico, il concetto mussoliniano secondo cui “ Il Fascismo è una casa di vetro in cui tutti possono guardare”. Ed infatti la concezione di una architettura che comprenda, nelle sue definizioni, l’impiego del vuoto e dell’aria , porta al superamento della fisicità percettiva dei materiali inerti , all’alleggerimento delle compressioni dei piani e dei volumi spaziali risolvendo nella luce, nella leggibilità del progetto e nella razionalità delle soluzi-
oni geometriche le tensioni e le spinte delle forze costruttive e dei condizionamenti esterni . Questo pensiero, che in qualche modo circola in un lessico che è comune anche ad altri linguaggi del tempo (Figini, Pollini, Nervi, Michelucci); e che promuove soluzioni che nascono da processi sostanzialmente identici a quelli propri dell’attività artistica, diverge dal polo linguistico che, in quegli anni, individua le sue espressioni più forti in Piacentini, Libera, Moretti, Quaroni e altri architetti più direttamente impegnati nelle “Utopie e Scenari del Regime” culminati nell’E 42. L’opera di Terragni, in quanto intransigentemente aniconica, non si presterà mai a mostrarsi come nuova immagine dell’architettura e troverà solo nel suo rigore le ragioni del proprio essere al mondo . Ed è sull’impegno di mantenere dentro una sintesi rigorosa gli elementi complessi di una sintassi neoplasticista (modulo geometrico, piani, linea retta e proporzione ) che Terragni si confronta con i temi portanti dell’ideologia . P.M.Bardi definisce la Casa del Fascio di Casa del Fascio di Como; sopra vista d’angolo; sotto; sala del Direttorio; a sinistra inserimento con vista del sagrato
pitagorico che, proiettato sui percorsi della storia, punta verso idealità che trascendono il manufatto. Si tratta però di idealità che agiscono come proiezione in un mondo che non prescinde mai da ciò che si potrebbe definire una metafisica della presenza come concretezza centripeta del costruire e dominabile possesso del reale. Il che permette a Terragni di evitare l’ asservimento dell’opera a regole estranee alla sua logica, di rimanere aderente al sistema funzionale dell’artefatto, e di non subire simbolismi estranei a quello dell’ordine della geometria . Questo spiega perché, concependo la funzione dell’architettura come parallela alla missione della storia, Terragni non si sia mai sottratto al confronto con le idee Como “un edificio a carattere politico, rispecchiante in pieno e con vivezza rivoluzionaria i concetti stessi della Rivoluzione” (“Quadrante” ivi) ma non analizza le ragioni di questo rispecchiamento. In realtà la disciplina della composizione di spazi astratti e forme scomponibili, la pratica di un costruire legato alla funzionalità dei materiali della modernità, il dominio serrato del vuoto, l’impiego della “trasparenza” anche come rivelazione teofanica o simulacro concettuale, promuovono un ordine
politiche del tempo e, privilegiando il carattere tecnico del programma, abbia rinunciato al salvacondotto teorico dell’ art pour l’art accettando di operare in una cultura in cui la figura del tecnico è figura anche tipicamente politica.
COSTRUZIONE/DECOSTRUZIONE Questo procedere di Terragni fa registrare intuizioni e realizzazioni che, pur innestate nella tradizione del Costruttivismo porta ad esiti postumi che arrivano a toccare la contemporaneità prefigurandone soluzioni di punta in domini lontanissimi dal suo pensiero ed anzi ad esso programmaticamente antagonisti. Gli esegeti tecnicamente e operativamente
più vicini alla sua opera si possono indicare oggi in Daniel Libeskind e Peter Eisenman, architetti famosi, protagonisti di un linguaggio iconico e riconosciuti campioni di un concetto di architettura ispirato alla filosofia del Decostruzionismo o Decostruttivismo. Derivando dalle componenti della forma architettonica la interpretabilità di un testo all’interno di un più generale sistema strutturale del linguaggio di cui viene denunciata l’ambiguità (Derrida), la legittimazione a decostruire la tradizione della specificità delle arti diventa analisi critica che rifiuta il rigore, la univocità e la coerenza della tradizione modernista e coinvolge nelle sue regole anche l’analisi del linguaggio architettonico. Una opportunità che, all’epoca di Terragni, si poneva in clamorosa antitesi con le metodologie di “quella ventina di professori delle generazioni in disarmo” cui alludeva Bardi (P.M.Bardi, loc.cit.). Nella Casa del Fascio di Como (un cubo di pietra levigato privo di qualsiasi ornamento) il messaggio razionalista, interpretato come radicalismo della consequenzialità e dell’ordine, sbocca in soluzioni autoreferenti, centripete e in qualche modo apollinee, che non trapassano mai dal funzionale al semiotico e nelle quali trovano articolazione gli opposti (pieno/vuoto, opaco/trasparente, alto/basso, dentro/ fuori ) messi in risalto dai materiali (cemento, ferro, vetro) incernierati alla pianta che articola l’interno e l’esterno, la profondità dei volumi e la pagina di superficie. Ne deriva un sistema formale e una praticabilità dello spazio in cui ogni componente si misura, si collega e si rispecchia sull’altro, nel senso che si pone in una sequenza concatenata di complementarità che materializza i canoni del teorema progettuale. E come il modello si adatta a convertirsi in modulo, atto a moltiplicare su scala la propria idoneità costruttiva ; e la razionalità, resa come visualizzazione di una idea funzionale , si affranca dalla mimesi naturalistica; gli elementi della costruzione visti analiticamente possono mostrare, in prospettiva interstiziale, la loro decostruzione, e il sistema del montaggio trovare nella scomponibilità, nella differenza e nello smontaggio il suo rovescio operativo. Allineando la tecnica e i materiali alla lucidità dell’intuizione progettuale, il genio costruttivo di Terragni stabilisce anche il momento dell’arresto del processo compositivo, affidando la conclusione dell’opera a un tempo immobile in cui le forme tro-
Riflessi nelle superfici vitree della Casa del Fascio di Como. sopra ufficio del Federale, sotto vetrata d’ingresso
vano nel punto spaziale d’arrivo la “durata” della loro irripetibile perfezione. Convinto della negatività di una ripetizione modulare intesa come liturgia o come acquisizione scontata di una meccanica del processo creativo, e tuttavia convinto della necessità di “costruire” funzionalmente, Terragni perviene ad un artefatto dove le forme e i materiali, esaltati non per la loro presa percettiva e sensoriale ma affidati ogni volta alla loro funzionalità, scaricano il messaggio dell’opera sul racconto verticale della cultura e su quello orizzontale delle condizioni ambientali ,
dell’atmosfera e della luce. Formalizzata la regola; e ricondotto il costruire a un numero finito di proposizioni e di matrici come punto nec ultra della codificazione, Terragni chiude il cerchio con una serie di capolavori che non aspirano ad inserirsi nel paesaggio ma che creano essi stessi il paesaggio. Rispettoso dei limiti e del territorio, e affrancato da ogni forma di edonismo creativo, rivela composizioni che non nascono per mostrarsi come oggetto architettonico o per estetizzare la città o l’ambiente ma per affermare la forza di un’idea dello
spazio che si fonde con esso e con la realtà della comunicazione moderna. A questo punto si può immaginare l’opera come una macchina impersonale mai feticisticamente possedibile che entra in circolazione e procede indipendentemente dall’opera dell’artista , non come una “machine à abiter” ma come biologia e fisiologia di un sistema organico che illumina e risolve, nella funzione e nella forma , il senso e l’esperienza pubblica del mondo.
ROMA O DANTE Su questa linea Terragni riconduce lo stile di ogni sua opera all’unità di una medesima tesi. In quanto proposizione complessa, l’operazione si intreccia con i fattori che alimentano lo spirito del tempo e si costituiscono come weltanschaaung. Come per Mondrian (che ruppe con Vantongerloo perché aveva osato introdurre in De Stijl la linea obliqua) e a differenza di Sant’Elia (che vede nella sostituzione delle linee verticale e orizzontale con le linee oblique o ellittiche l’avvicendarsi di un’estetica dinamica –Futurismo- a un’estetica della statica –Classicismo-) il quadrato e la retta sono incessantemente all’opera nel testo di Terragni come intuizione della forma più raggiunta di ciò che delimita lo spazio e il tempo. Tutta la sua opera, collocata nella linea formalistica della tradizione storica dell’astrattismo e della poetica del razionalimo, trova motivo di arricchimento nel vuoto e nella trasparenza che scavalcano la metafisica della presenza e si sottraggono al controllo concluso della geometria aprendo la relazione con la memoria, la luce e l’invisibile. Su questa relazione Terragni, mentre sventa la presa dogmatica, confronta l’opera con il fascino dell’utopia e la vertigine della metastoria. L’uso della struttura al servizio della funzione ; e l’intuizione di una dimensione non euclidea della creazione architettonica, promuovono un’idea costruttiva che, partendo dal qui e ora sottopone a verifica la scommessa di verità sui valori della memoria, dell’ordine e della storia d’Italia.
La spinta, alimentata dalla mistica, è diretta verso l’alto ma, alla luce accecante delle aquile romane, Terragni preferisce la coscienza del tempo che gli viene dalla lezione di Dante Alighieri. Il progetto per il “Danteum” è l’unico esperimento di “Architecture Parlante” legato al simbolismo della forma e del numero attraverso cui Terragni supera, in articulo mortis, l’ermetismo pitagorico della sua concezione dell’arte.
( Italo Tomassoni)
Sopra e pagina a fianco; Casa del Fascio di Como, inserimento nella cittĂ ; sotto; Giuseppe Terragni illustra a Massimo Bontempelli (di spalle al centro) i notevoli riflessi delle vetrate.
NOTA SU INFERNO, PURGATORIO, PARADISO Dal 1300 Inferno, Purgatorio e Paradiso sono stati fabbricati allo scopo di un mondo perfetto, con arte e costruzione del sapere, per racchiudere gli stati d’animo degli uomini; inquietudine, assenza, felicità estrema. Questi luoghi traducevano l’idea dell’esistenza di un altro mondo e la possibilità di riuscire a comprendere la vita, questa terrena, nei termini di quell’altra. L’ombrosa foresta di Botticelli nel dipinto detto Primavera, gli squarci e i brandelli delle creature leggendarie di Bosch, i luminosi affreschi medievali, le navate delle basiliche, sono incubi terrificanti o sogni di sollievo, dell’elaborata cornice dantesca. Con il poema il cielo divino entra nella storia dell’architettura nello spazio interno delle basiliche cristiane, nelle pareti voltate dei comacini, dalle aperture verso il cielo celeste delle loro architetture. Ma esiste un momento delicato per il poema che coincide con il cambio di scala nella conoscenza del mondo. La sicurezza che li aveva messi sulla terra, non fu verificata durante le scoperte geografiche del Rinascimento; Cristoforo Colombo, che forse non partì alla scoperta dell’America, ma alla ricerca dell’Eden. In questa prospettiva, il “folle” esperimento di Colombo sarebbe una crociata per il ritrovamento della terra promessa del Paradiso, navigando verso il luogo dove la cosmologia di Dante collocava il monte del Purgatorio e sulla sua cima l’Eden. Nel succedersi delle grandi navigazioni del 500, alla scoperta dell’altra faccia della terra, non si trovò traccia che indicasse l’esistenza reale di un Purgatorio e di un Paradiso. E tutta questa scena porta alla scoperta dell’America e alla scomparsa dell’Eden! Gli spazi creati da Dante iniziarono a condurre un’esistenza strana, sprofondati nel lusso intellettuale della letteratura alta, o andando a dimorare nei paesaggi pittorici, in allegorie e immagini di figure ritagliate sui cigli dei burroni, nei riflessi spettrali di città, nelle sconfinate superfici dei mari in tempesta. L’idea di spazio di perfetta geometria, raccontata nell’unità della Commedia, rimane nell’architettura del Rinascimento italiano. Ha eco, ad esempio, nell’opera dell’Alberti, dove l’antichità viene a rinvigorire la prassi e si teorizza l’inserimento di edifici antichi nelle città moderne. Umanesimo è qui una nuova considerazione per l’architettura, e con lo studio del trattato di Vitruvio si ha l’emergere di un senso storico, nel quale l’architettura da fatto artigianale diventa arte, intellet-
tualizzandone i contenuti. L’Alberti studia l’antico, ma soprattutto l’ho mette da parte e imposta dalle fondamenta un nuovo strumento utile al proprio tempo di costruttore. Quest’atteggiamento permette di realizzare delle opere molto singolari e creative che hanno una qualità mai vista dal pubblico di allora, non abituato all’approfondimento della ricerca della perfezione geometrica ma solo a quello dell’iconicità delle figure. Nell’umanesimo dell’Alberti l’edificio è un corpo articolato per parti, di cui la costruzione è il corpo, il progetto è l’articolazione; l’edificio, come il corpo, è un’unità riconoscibile formata da molteplici parti, e dunque avrà un’articolazione formale, una sua bellezza nell’articolazione perfetta delle sue proporzioni. L’astrazione non è mera semplificazione dell’edificio, ma compelssa articolazione delle sue parti.
Il Purgatorio si è rivisto anche nel programma televisivo di turno, perché la televisione è un purgatorio infinito che si fa beffe di tutti i personaggi reali, morti e ancore deambulanti sul video, dove recitano sulla terra in attesa della fine delle trasmissioni, della nuova apocalisse che sicuramente sarà mediatica. Si tratta di frammenti sparsi, relitti della grande esplosione geografica, raccolti e manomessi da chi li ha ritrovati, con un colpo di fortuna.
Dante e Alberti si ritrovano nel 600 nelle geometrie del San Carlino di Borromini, dove nella formula “ re ed una assieme”, è ferita al mistero della Trinità. Il comacino Borromini usa uno schema geometrico basato sul triangolo equilatero e sul quadrato, dove appare quella convinzione che si possano creare parentele segrete tra opere diverse . Il Paradiso appare nel San Carlino dove lo sguardo va alla rosa, alla tranquilla sensazione di totale e generosa dipendenza mentale a questo volere di un mondo perfetto nella sua forza di attrazione verso l’alto. Nel secolo dei Lumi una nuova alleanza della Ragione con l’architettura, porterà Ledoux e Boullè all’ideazione di opere in preda al delirio della grandezza, con l’ansiosa preoccupazione di riportare le migliori performance della geometria nella città. Attraverso Dante e Alberti, Borromini e Ledoux, si trasmetterà fino alla modernità, e a noi, la considerazione dell’architettura come conoscenza geometrica razionale in un mondo irrazionale, del bene e del male. La potentissima triade dantesca è stata il messaggio politico e morale il cui predominio assoluto, durato 600 anni, è stato incrinato, forse per sempre, solo con la potenza distruttiva di due guerre mondiali. Nella nostra epoca si è rivisto l’Inferno nella perfetta geometria dei campi di concentramento nazisti e staliniani, in quel loro essere spirali senza fine di distruzione dell’assoluto asservimento, si è rivisto il Purgatorio nelle vaste piazze dall’odore ancora di fresco della Russia, della Cina totalitaria, immense distese, dove l’anima degli uomini ha un carattere teatrale, misero e vuoto in attesa di ricevere la propria identità dallo stato sovrano, dalle labbra e dalla prosa della penosa declinazione del leader politico di turno.
Sopra; la rosa simbolo dei maestri comacini. Leon battista Alberti, ricostruzione dello schema geometrico del prospetto del Tempio Malatestiano. Sotto; Francesco Borromini; analisi geoemtrica del San Carlino (da Paolo Portoghesi)
IL PROGETTO DEL DANTEUM RELAZIONE ORIGINALE COMO 1938
La serie dei Fori Imperiali di Traiano, Augusto, Nerva e Vespasiano, ha direzione nord-ovest=sud-est.
Primo compito nostro fu quello di studiare la possibilità di inserire una forma planimetrica regolare in tale forma accidentata. Scartata la forma rotonda per la modestia delle misure possibili in relazione anche alla immediatezza del confronto che ne sarebbe de-
prerogative, qualora ciascuno dei due fatti spirituali abbia una costruzione e una legge armonica che possano confrontarsi e leggersi in relazione geometrica o matematica di parallelismo o subordinazione. Nel nostro caso l’espressione architettonica poteva aderire
La via dell’Impero s‘inserisce nello spazio, così determinato dai due schieramenti, appoggiandosi maggiormente al secondo, e partecipando, quindi, di un orientamento N-O=S-E simile. I ruderi che fiancheggiano via dell’Impero sono quindi disposti a inclinazione convergente sull’asse della via dell’Impero e sul fondale della stessa, che è il Colosseo. L’area prestabilita dall’Ufficio tecnico del Governatorato, e destinata alla costruzione del Danteum, è di forma irregolare; la linea di contorno segue l’andamento di un poligono mistilineo.
In basso a sinistra, prima pagina della relazione originale del Danteum, sopra disegno originale di Giuseppe Terragni per l’orientamento planimetrico del danteum rispetto alle preesistenze dei fori romani, riportati sulla destra del disegno.
rivato dalla vicinanza del perfettissimo e imponente ellisse del Colosseo. Occorreva rivolgere la nostra attenzione ad una forma rettangolare per giungere alla scelta di un rettangolo particolare che improntasse, per il felice rapporto delle sue dimensioni, l’intera costruzione del Monumento di quel valore di assoluta bellezza geometrica che è prerogativa delle architetture esemplari delle grandi epoche storiche. Intanto non poteva sfuggire alla nostra preoccupazione di progettisti l’aggravarsi del problema di innestare fin dalle origini degli schemi geometrici della Costruzione Monumentale il significato, il mito, il simbolo inteso come una sintesi
rapporto aureo ( il lato minore è il segmento medio proporzionale tra il lato maggiore e il segmento risultante dalla differenza dei due lati). Uno è il rettangolo, Tre sono i segmenti che determinano il rapporto aureo. Per di più tale rettangolo ha la proprietà che può essere scomposto in un quadrato di lato uguale al lato minore e un rettangolo, pure aureo, di lati uguali, rispettivamente al lato minore e alla differenza dei lati del rettangolo primitivo. A sua volta tale rettangolo aureo si può scomporre in un quadrato e in un rettangolo aureo, e così via. Può, quindi, manifestarsi, attraverso queste possibili scomposizioni,
spirituale e, nel caso dell’Opera Dantesca, evidentemente numerica. La Costruzione (che poteva far molto dubitare sull’equilibrio e sulla spontaneità dei risultati) fra l’espressione plastico-architettonica e l’astrazione del simbolismo del Tema era solo possibile alle origini di due fatti spirituali tanto divergenti. Monumento Architettonico e Opera Letteraria possono aderire in un unico schema, senza perdere in quest’unione nessuna delle loro
secondo la stessa legge armonica, il concetto dell’”infinito” perché infatti infinite sono teoricamente tali scomposizioni. Il rettangolo aureo, poi, è una delle forme planimetriche adottate con frequenza anche nell’antichità; Assiri, Egizi, Greci e Romani, hanno lasciato tipici esempi di templi a pianta rettangolare, in cui entra tale rapporto aureo, composto il più delle volte con rapporti numerici. L’esempio più evidente l’abbiamo proprio sulla Via dell’Impero nella
In questa pagina; ingrandimenti di schizzi originali di Giuseppe Terragni contenuti nel disegno con le principali indicazioni per il Danteum. Sopra; l’individuazione in blu della colonna in doppia altezza rappresentante Virgilio e Beatrice,
A lato; diagramma della distribuzione delle colonne nelle sale della Selva Oscura, dell’Inferno, del Purgatorio e della Sala dell’Impero.
Sotto; disegno con l’idea di blocchi vitrei posti tra quelli di marmo.
all’Opera Letteraria solo attraverso un esame della mirabile struttura del Divino poema, fedelissima a un criterio di ripartizione e d’interpretazione di alcuni numeri simbolici 1,3,7,10, e loro combinazioni che per ulteriore selezione possono sintetizzarsi nell’1 e nel 3 ( unità e trinità). Ora vi è un solo rettangolo che esprime con chiarezza la legge armonica dell’uno e della trinità ed è il Rettangolo storicamente definito Aureo. Il rettangolo cioè che ha i lati in
Basilica di Massenzio, la cui pianta coincide con un rettangolo aureo. La pianta così fissata per il Danteum viene ad essere il rettangolo simile a quello della pianta della Basilica e di dimensioni direttamente derivate da quelle dell’insigne costruzione romana – ( il lato maggiore del Danteum è uguale a quello minore della Basilica, mentre il lato minore è conseguentemente uguale alla differenza dei due lati della Basilica). Stabilita in tal modo forma, dimensione e orientazione della pianta dell’Edificio, occorre determinare
Sopra; Danteum planimetria generale con l’inserimento del progetto sulla cartografia dell’epoca; nella planimetria è evidenziata la Basilica di Massenzio. “ La pianta così fissata per il Danteum viene ad essere il rettangolo simile a quello della pianta della basilica e di dimensioni derivate da quell’insigne Costruzione Romana - il lato maggiore del Danteum è uguale a quello inore della basilica, mentre il lato minore è conseguentemente uguale alla differenza dei due lati della basilica.” La planimetria è un documento straordinario per il viaggio nell’architettura del Danteum; una mappa dove sono evidenziate le diverse epoche storiche che caratterizzeranno lo spazio delle stanze, dalla città di Sargon, al Tempio Egizio, dalla colonna dei porticati, all’architettura romana del Colosseo e delle basiliche, fino all’epoca moderna con la via dell’Impero e il Danteum. Sotto; diagramma con l’indicazione e l’orientamento planimetrico dei fori romani descritto nella relazione originale di progetto.
Sopra; Danteum planimetria generale a quota 5,40 metri , disegno originale di Giuseppe Terragni. Si noti nell’atrio di ingresso due alberature e annotato tra loro tre riferimenti per l’atrio di ingresso; Gerusalemme Cristo- il Papa- l’Imperatore. In questo disegno autografo sono individuati i diversi tipi di paramento murario, decisivi per la definizione costruttiva e plastica dell’edificio. A sinistra; Danteum planimetria generale a quota copertura, disegno originale di Giuseppe Terragni. Si noti la differenziazione tra la coperture dell’Inferno e quella del Purgatorio, la prima prevista in lastre di marmo e la seconda in cemento armato. Tale distinzione corrisponde alle due diverse disposizioni costruttive delle sale, la prima con colonne monolitiche in granito, la seconda prina di sostegni interni. Nela pagina a fianco dall’alto in basso in senso orario; mura pelagiche, templi in Galizia, Spagna, porticato del palazzo di Cnosso, vista del palazzo di Sargon ( riportata nella planimetria generale del Danteum), tempio egizio (riportato nella planimetria generale del Danteum)
le grandi campiture in modo che sia rispettata la legge armonica imposta dal rettangolo aureo. Particolarmente importante nella composizione degli elementi fondamentali della Fabbrica, assume anche la legge e il rapporto stabilito dai numeri 1 e 3, -1,3,7 – 1,3,7,10, legge numerica che si riallaccia direttamente alla costruzione filosofica della Divina Commedia - far coincidere o sovrapporre queste due leggi, una geometrica, l’altra numerica, vale a raggiungere equilibrio e logica nella scelta di misure, spazi, di altezze, di spessori, al fine di stabilire un fatto plastico di valore assoluto, vincolato spiritualmente ai criteri della composizione Dantesca. Vale ad ottenere anche un pregio Sopra; planimetria del palazzo di Serse: nella parte sinistra, in alto, si noti la sala delle 100 colonne A fianco; Giuseppe Terragni ( il primo a sinistra) a Roma in occasione del progetto del Danteum con il filosofo Gentile (il primo a destra), che sarebbe stato tra i membri dell’Ente Danteum. Pagina accanto; fotografie originale di Via dell’Impero, oggi via dei Fori Imperiali; l’area dove avrebbe dovuto sorgere il Danteum è sulla sinistra, all’incrocio con via Cavour, un’area molto conosciuta perchè era destinata in origine alla sede del Partito Nazionale Fascista ( Palazzo del Littorio) al cui concoso Giuseppe Terragni aveva partecipato con due progetti. Sulla sinistra la torre dei Conti, una delle numerose torri medievali della città di Roma, simboli del medioevo e di Dante. Sotto; disegno originale di Giuseppe Terragni con le principali indicazione per il Danteum ( i dettagli alla pagina
più alto evitando in pari tempo il pericolo immanente di cadere nel retorico, nel simbolico, nel convenzionale. L’Inferno dantesco se fosse rappresentato plasticamente da una serie di anelli degradanti a forma d’imbuto, fino al vertice di Lucifero, con gli intervalli di salti, ponti, fiumi etc., mirabilmente descritti dal Divino Poeta, quasi certamente non darebbe alcuna commozione per-
ché la presentazione è troppo vicina alla descrizione e occorre pertanto che il “fatto plastico” stia a se come espressione di una bellezza geometrica assoluta. Il riferimento spirituale e la dipendenza diretta della prima Cantica del poema dantesco, è introdotta da alcuni segni inconfondibili, da un’atmosfera che suggestiona il visitatore, e sembra gravare, anche fisicamente, sulla sua mortale persona, e lo commuova, così come, il “viaggio” commosse Dante nella contemplazione della sventura delle pene dei peccatori, che nel triste pellegrinaggio egli andava via via incontrando. Tale stato d’animo è già difficile a descriversi con l’ausilio della parola e dell’immagine poetica, con mezzi plastici, con proporzioni di volumi e di architetture – poi la difficoltà si ingigantisce con il pericolo di ottenere risultati lontani e indifferenti dal “dramma” tutto interiore che si vorrebbe suscitare. E allora abbiamo riesaminato il problema con l’animo liberato dalle preoccupazioni di seguire pedissequamente il Testo del magnifico Racconto ponendoci invece il problema, più vicino alla nostra sensibilità e alla nostra preparazione di architetti: quello di immaginare e tradurre in pietra un organismo architettonico che attraverso le equilibrate proporzioni dei suoi muri, delle sue sale, delle sue rampe, delle sue scale, dei suoi soffitti, del gioco mutevole della luce e del sole, che penetri dall’alto, possa dare a chi percorra gli spazi interni, la sensazione d’isolamento contemplativo di astrazione dal mondo esterno permeato di troppa vivacità rumorosa e di ansia febbrile di movimento e di traffico. Danteum modello ( elaborazioni su originale) ; in queste riproduzioni si noti la decorazione esterna, riprodotta come “immensa lavagna” secondo le indicazioni della relazione al progetto di Giuseppe Terragni
Danteum modello ( elaborazioni su originale) ; in queste riproduzioni si noti le parti vetrate che caratterizzano ogni muratura e la variante delle statue nell’atrio, non previste nei disegni originali di Giuseppe Terragni
filosofico dell’esistenza del Poeta, presa ad esempio del ravvedimento e della salvazione dell’umanità corrotta e peccatrice: l’importante è che il significato e il simbolo non siano determinanti al punto di sovrapporsi all’effettiva necessità plastica e alla compiuta armonia che tale “vuoto” rappresenta nell’equilibrio delle restanti masse architettoniche.
Disegni originali di Giuseppe Terragni per l’ideazione dei prospetti e della sezione longitudinale. Si noti la perfetta rispondenza matematica e geometrica di ogni singolo elemento costruttivo.
Così si dirà di tutte le “coincidenze” che troveremo nell’esame dell’edificio e che hanno un valore di analogia o di riferimento, solo a condizione che abbiano già superato e risolti i problemi di equilibrio volumetrico e di armonia architettonica. Ecco infatti la “selva” delle cento colonne marmoree che in un quadrato di 20 metri di lato, sopportano ciascuna un elemento del pavimento della sala situata a 8 metri dal piano della corte. Questo motivo architettonico, di grande effetto plastico, è anzitutto il portico d’ingresso alle sale del Danteum; l’immagine della Selva dantesca può essere suggerita dalla contiguità dello spazio aperto della corte ( la vita di Dante pre- viaggio ultraterreno), e dalla necessità per il visitatore di attraversarla per iniziare il percorso delle sale dedicate alle tre cantiche della Commedia.
Tre spazi rettangolari dichiarano in modo netto la partitura rettangolare già presa in considerazione e che sappiamo derivare dal rettangolo aureo della Basilica di Massenzio. Rimane un quarto spazio delimitato dalle mura di contorno dell’Edificio, che per essere escluso dallo schema a 3, fondamentale nella costruzione filosofica del Poema, è pure escluso dall’organismo architettonico e determina quindi una “corte chiusa”, paragonabile in ciò all’”ortus con-
cluso” della tipica casa latina – o all’atrio all’aperto sul cielo della casa etrusca. La simbologia potrà aggiungere un significato a questo spazio “volutamente sprecato”, nella superiore economia di un organismo architettonico, e si potrà parlare di un riferimento alla vita di Dante fino al trentacinquesimo anno di età, trascorsa in errore e in peccato e quindi “perduta”, per il bilancio morale e
L’ingresso poi dell’edificio, situato d’infilata alla facciata trasversale e alle alte pareti, pure in marmo, e reso ancora più discreto da un lungo muro schierato parallelamente alla fronte, può anche corrispondere alla giustificazione dantesca “ non so bene perché v’entrai”, ma stabilisce in modo certo il carattere del pellegrinaggio che i visitatori dovranno fare disponendosi processualmente in fila guidati soltanto dalla luce solare intensa che riverbererà sullo spazio quadrato della corte.
Dal rettangolo aureo, che coincide con la pianta dell’edificio, sono messe in evidenza le linee fondamentali, quindi il quadrato costruito sul lato minore, che ne è la caratteristica più spiccata, è chiaramente riconoscibile (nella pianta a quota + 160), e risulta formato dall’accostamento delle sale studiate al piano terreno. La stessa costruzione, eseguita sul lato minore opposto, da la misura del muro frontale, spostato in avanti rispetto al quadrato precedentemente costruito, al fine di ricavare da questo scorrimento quel passaggio d’ingresso di metri 1,60; così la misura della lunga scalea (di 7 ripiani) di discesa, eseguita sul rettangolo, pure aureo, risultante dalla differenza del rettangolo di pianta col quadrato del corpo di fabbrica al piano terreno.
Disegni originali di Giuseppe Terragni per l’ideazione delle facciate su Via dell’Impero. Si noti la relazione tra pieno e vuoto, con a sinistra la muratura tagliata verticalmente e a destra la muratura piena, i cui moduli di rivestimento coincidono a multipli di 3.
Ne consegue che le rispondenze matematiche e geometriche si possono rintracciare in tutte le più importanti divisioni degli ambienti dell’edificio, derivando lo studio di pianta dalla scomposizione del rettangolo aureo. Allo schema distributivo planimetrico a croce, che determina la partizione in uno ( corte aperta) e tre ( grandi sale a carattere templare destinata alla rappresentazione delle tre Cantiche Inferno-PurgatorioParadiso) si sovrappone uno schema altimetrico a 3 ( le tre sale sono situate a tre livelli rispettivamente di m. 2,70, m. 3,40 e m. 8,10, misure multiple di tre). Questi due schemi fondamentali sono entrambi intersecati da un terzo schema formato dalla “spina longitudinale”, che è a sua volta costituita da tre muri ( alternativamente pieni e traforati), racchiudenti nella parte alta la Sala dedicata alla concezione imperiale di Dante. Questa
sala di fondamentale importanza spirituale, viene in tal modo a rappresentare il nocciolo dell’organismo costruttivo, risultando dalla somma degli spazi tolti in misura progressiva alle sale dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso. Si potrebbe quindi interpretare quale la navata centrale del tempio, che sovrasta le minori e a queste da luce. Il riferimento al tema è chiaro e im-
mediato: l’Impero universale e romano quale fu intravvisto e preconizzato da Dante è lo scopo ultimo e l’unico rimedio per salvare dal disordine e dalla corruzione l’umanità e la Chiesa. Le allusioni, i riferimenti, le citazioni, si fanno sempre più frequenti nel Divino Poema passando dalle terzine dell’Inferno a quelle del Purgatorio, a quelle del Paradiso.
La parte dedicata a questa visione e a questo vaticinio dell’Impero è quindi progressiva nel poema, e sarà perciò progressiva nella struttura architettonica dalle Sale che il poema intendono esaltare. Occorre qui ricordare un elemento della composizione architettonica del Danteum che ha stretta analogia con la Sala dell’Impero: è quel muro monumentale che è disposto parallelamente alla fronte e porta sulla facciata verso via dell’Impero un lungo fregio scolpito di massi sovrapposti similmente a quelle delle mura pelagiche, di cui si conservano preziose tracce nella penisola greca e nelle isole egee.
Sopra; Danteum vista dell’atrio dell’ingresso. In questa soluzione sono riportati dei telai mettalici all’ingresso della Selva Oscura, secondo un sistema espositivo già realizzato da Giuseppe Terragni nella Casa del fascio di Como.
Sotto; vista dalla Torre dei Conti della copertura delle tre Sale. Si noti l’inserimento del Danteum rispetto alle altezze delle costruzioni esistenti.
Questo muro, fa da schermo al fabbricato e delimita una strada interna in leggero dislivello che raggiunge l’Ingresso e la scia libera visuale al Colosseo a chi arriva da Piazza Venezia, ma soprattutto, richiamando l’andamento della prospicente Basilica di Massenzio, estrinseca e spiega quella lezione di universalità dell’Impero Romano che Dante espose polemizzando nel De Monarchi e nel Convivio, per portarla poi nelle mirabili terzine del Poema. Il muro diventa in tal modo un’immensa lavagna, una monumentale lapide intessuta di blocchi marmorei, in numero di cento ( tali sono i canti della D.C.), ognuno dei quali ha misure proporzionate al numero delle terzine di ciascun canto. Variano quindi di dimensioni e questo spiega la loro libera composizione in quel tipo di costruzione che abbiamo ricordata quale invenzione dei greci Omerici. Le terzine e i versi contenenti le allusioni, i riferimenti e le allegorie sull’Impero, saranno scolpite sulla facciata del blocco corrispondente dal canto dal quale derivano.
Danteum ;
Sala dell’Impero con la pilastratura di granito
Il blocco monolitico di testata verso Piazza Venezia sul Veltro. In tal modo resterà documentata che la provvidenziale coincidenza di scegliere per un Monumento a Dante la zona della via dell’Impero, non poteva avere maggiore rispondenza spirituale e più sicuro vaticinio. L’ordinamento morale dell’Inferno è tracciato con linee fondamentali nella lezione impartita da Virgilio a Dante nel Canto XI. Questa però è la concezione aristotelica, che per Dante equivale a concezione pagana e della ragione; questa topografia morale, deve perciò valere collimi ( collimare) o sia sostenuta dalla fede con le virtù teologali e cardinali. Ne consegue che i vizi capitali e quindi le male disposizioni che contrastano le 3 virtù teologali e le 4 cardinali, sono da considerare come le vere, grandi scomposizioni della struttura morale dell’Inferno e Purgatorio, così come si possono intravvedere nell’architettura del Poema. Sopra; Danteum vista dell’ingresso tra l’edificio e il muro esterno, con la prospettiva sul Colosseo Sotto; Danteum, fotomontaggio su disegno originale con “l’immensa lavagna” nera inserita nei blocchi di marmo bianco.
La seconda lezione di Virgilio sull’ordinamento del Purgatorio (canto XVII) è la classificazione più esatta delle colpe già annunciate nel canto XI dell’Inferno, e insieme la conferma della giusta rispondenza fra le 7 cornici del Purgatorio e i 9 cerchi dell’Inferno. Ciò non è affermazione paradossale, perché nell’Inferno essendo punite le colpe provocate dai 7 peccati, e nel Purgatorio soltanto le macchie morali, è logico, che nel primo Dante abbia seguito una classificazione più analitica, tendendo a considerare anche delle suddivisioni. Queste premesse sono necessarie per dare un’esauriente spiegazione sulla composizione architettonica delle due Sale dell’Inferno e del Purgatorio, così come appaiono nei dis-
Danteum
;
Sala
dell’Inferno
con
le
colonne
di
granito
Danteum
;
Sala
del
Purgatorio
con
le
grandi
aperture
vetrate
a
soffitto
Danteum
;
Sala
del
Paradiso
con
le
colonne
di
vetro
egni del Danteum. Si è già visto come la pianta di ciascuna di queste Sale coincida con una rettangolo aureo che è un quarto di superficie del rettangolo più aureo che delimita l’intera costruzione. La legge dell’unità e della trinità è perciò contenuta nella forma stessa del rettangolo così come è riguardosamente rispettata nella divisione “simmetrica” del Poema: 3 cantiche di 33 canti più un cantico di introduzione. I cento canti che così risultano, equivalgono al quadrato di 10, simbolo della perfezione ( 3 X 3 + 1). Il metro stesso che è basato sulla terzina è ripreso per analogia nella suddivisione dei corsi regolari in blocchi di marmo delle murature principali dell’Edificio. Ogni 3 corsi di equale altezza una fascia di demarcazione corrisponde a un livello di ognuna delle tre sale, per cui pavimenti e soffitti dei quattro ambienti destinati alla rappresentazione della vita terrena di Dante, dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, sono rilevati sulle facciate da 7 fasce che interrompono
Sopra; Danteum vista del modello ( ricostruzione) con le coperture delle tre Sale, Inferno, Purgatorio e Paradiso Sotto; montaggio fotografico per la Sala O.
i conci di marmo disposti in corsi regolari di 3. 7 i vizi capitali, 7 le virtù teologali e cardinali ( 3+4), 7 i giorni impiegati da Dante nell’allegorico viaggio incominciato il 7 Aprile 1300 ( Giovedì santo dell’anno del Giubileo). L’aderenza del fatto architettonico e costruttivo delle leggi numeriche di simmetria, pur ritrovandosi nella suddivisione delle pareti e nelle misure fondamentali delle sale, per esempio altezza da pavimento a soffitto di m. 8,10 ( 81 decimetri corrispondenti a 3x3x3x3 decimetri) non è sufficiente a spiegare la struttura delle Sale stesse. Occorre allora rifarsi al problema più generale prendendo in considerazione i due termini; 1- ricerca dell’essenziale interpretazione del Poema in con; confronto ai tre sensi letterale- allegorico-analogico del Poema;
2- carattere di una architettura e definizione del tipo di Edificio Monumentale che dovrà valersi simultaneamente di due o più tipi già fissati storicamente in Tempio, Museo, Tomba, Palazzo, Teatro. Il senso letterale è la descrizione di un viaggio ultraterreno che fa parte del ciclo di poemi medievali sul destino dell’uomo (viaggio di San Paolo, Purgatorio di San Patrizio etc. ) e raggiunge la perfezione per il senso dell’Arte e l’altezza cristiana del fine. Il senso allegorico è miglioramento morale di Dante ( umanità peccatrice), attraverso la considerazione della colpa ( Inferno), nell’espiazione del pentimento ( Purgatorio),, della grazia ( Paradiso). Il senso analogico è la visione della
felicità eterna dell’umanità ( riassunta nella persona di Dante) e ottenuta con la ricostruzione dell’Impero Romano con sede a Roma, per la prosperità terrena e della restaurazione morale della Chiesa, liberata dal potere temporale che l’inquina, per la felicità spirituale, con sede nella stessa Roma. La ricerca dell’essenziale in questi tre campi ci porta a considerare il fine eminentemente didattico dell’Opera d’Arte, se la meravigliosa epoca in cui viviamo non fosse limpida dinnanzi alla nostra mente, a confermare le doti profetiche di Dante. L’esaltare la Divina Commedia con un Monumento architettonico è quindi opera viva e non fatica da erudito o fantasia da regista. Quindi non Museo, non Palazzo, non Teatro, ma Tempio dovrà principalmente essere l’edificio che vogliamo costruire. Un Tempio tripartito in sale, che poste a quote diverse, stabiliscono un percorso ascendente e che, costruite in modo diverso, s’integrano a vicenda, preparando, gradualmente, il visitatore ad una sublimazione della materia e della luce. La sala dell’Inferno, greve e discretamente illuminata da fenditure del soffitto, vuole stabilire, già dal primo contatto con il visitatore, quell’atmosfera spirituale di stupore per la singolare e suggestiva distribuzione delle 7 colonne monolitiche, che portano ciascuna una parte del soffitto di pietra, scomposto in sette blocchi.
Danteum Sala dell’Inferno. Sopra; schema della sezione aurea per la distribuzione delle colonne e i tagli nel soffitto, e la grande X realizzata nel soffitto della Sala O alla Mostra della Rivoluzione fascista, che riprende lo schema geometrico del rettangolo aureo. ; Sopra; Danteum modello, vista dalla parte dell’ingresso, con le decorazioni esterne, vista della copertura. Pagina a fianco; Danteum vista del modello zenitale e frontale su Via dell’Impero.
La scomposizione è ottenuta con l’applicazione rigorosa della Legge armonica contenuta nel rettangolo aureo; ne risultano dei quadrati la cui superfice è scalarmente in diminuzione, ed il cui numero è teoricamente infinito. Al fine di fermare tale scompo-
sizione al praticamente realizzabile, abbiamo limitato al settimo quadrato tale operazione. Si passa cos’ dal primo quadrato di 17 metri di lato, al settimo che ha 70 cm. di lato. La linea continua che passa per i centri di questi quadrati, è la spirale (e pure a spirale risulta nella topografia della Divina Commedia nel viaggio di Dante attraverso la voragine dell’Inferno e la Montagna del Purgatorio).
Danteum vista assonometrica Si noti che le colonne di vetro non stanno all’incrocio della travatura di copertura, ma terminano libere nel centro del vetro di copertura. Tale accorgimento introduce alla dimensione spirituale del paradiso, dove la funzionalità degli elementi costruttivi non è più soggetta alle regole statiche delle sale precedenti.
Ne risulta una disposizione di una sala a colonne che richiama criteri costruttivi dell’antichità, oriente, Grecia e Italia, Sala Egizia, Tempio di Eleusi, tomba Etrusca. Aderenza quindi al pensiero di Dante che vuol descriversi la struttura morale dell’Inferno attraverso la lezione virgiliana del canto XI come una ripresa della filosofia pagana aristotelica. La sensazione dell’incombente, del vuoto formatosi sotto la crosta terrestre e attraverso uno spaventoso sconvolgimento tellurico dalla caduta di Lucifero, può essere reso plasticamente piano di copertura della sala; questo soffitto fratturato e il pavimento pure scomposto in riquadri digradanti, la scarsa luce che filtra attraverso le fenditure dei blocchi di copertura, daranno quella sensazione di catastrofe e di inutile aspirazione verso il sole e la luce che tante volte ritroviamo negli accorati discorsi dei peccatori interrogati da Dante. Le sette colonne hanno quindi spessori proporzionati al peso che sopportano e variano quindi da un diametro di cm. 240 a un diametro di cm. 48, risultando disposte nella sala con andamento apparentemente disordinato.
Immagine della turbina utilizzata da Giuseppe Terragni nella “infernale” Sala O alla Mostra della rivoluzione fascista. La turbina è lo strumento che trasforma il caos della rivoluzione del 1922 nell’ordine degli anni 30.
Schema geometrico del viso, in uno degli esempi da Matila Ghyka da “ Le nombre d’or”. Tale testo è un’esposizione dell’evoluzione delle idee e dei canoni geometrici delle più grandi epoche dell’arte mediterranea. Nel Danteum, le leggi della ripetizione, dell’analogia e della varietà delle forme fondamentali, derivano dall’applicazione di un medesimo principio, il canone meditterraneo. Dalle tracce dell’architettura egiziana, greca e gotica, si sviluppano le questioni per un’estetica delle proporzioni, per una corrispondenza dei volumi architettonici, per correzioni ottiche, per ritmi poetici e magici, tutti presentati in formule e diagrammi nel libro e analogamente nel Danteum.
La linea immaginaria che le raccoglie, essendo la spirale, garantisce che tale disposizione, niente affatto arbitraria, sarà di sicuro effetto plastico. Nel Purgatorio, la legge del contrappasso, che Dante mette chiaramente in evidenza, nei due sistemi, punitivo o espiatorio, nei due regni all’interno dell’Inferno e del Purgatorio, è rappresentata plasticamente dalla perfetta rispondenza tra pavimento e soffitto delle due sale, dedicate alle due prime cantiche del Poema. Per la prima sala si prevede un pavimento che ripeta il disegno di suddivisione in sette quadrati del rettangolo del soffitto, e che coincida con 7 dislivelli, ai sette ribassamenti dei blocchi di copertura. Ma, di un’altra rispondenza è opportuno parlare per dare un’esatta spiegazione della conformazione plastica della seconda sala. Dante immagina il Purgatorio a forma di montagna tronco conica con sette gradoni o cornici, emersa sull’emisfero australe in seguito alla caduta di Lucifero dall’Empireo, che sprofondò sulla terra e creò la voragine dell’Inferno nell’opposto emisfero boreale. Al centro della superficie di questo emisfero, tutto coperto di terra, sta Gerusalemme, agli antipodi della montagna del Purgatorio, che è situata su un’isola, dell’opposto emisfero coperto d’acqua. Abbiamo già rilevato il parallelismo tra la topografia e la morale dell’Inferno e quella del Purgatorio, riassunto dalla legge numerica dl 7. Occorre adesso aggiungere la corrispondenza fisica, materiale, plastica, tra il “vuoto” del baratro infernale e il “pieno” della mistica montagna del Purgatorio. Sublimazione della materia; fotomontaggio con immagine di riflessi nell’atrio della Casa del fascio di Como.
Nel progettare le sale del Danteum abbiamo creduto opportuno rispettare con fedeltà di esecutori questi concetti fondamentali, riservandoci una libertà di scelta e di sintesi nel lavoro di composizione plastica degli ambienti. La sala intitolata alla seconda cantica presenta quindi delle analogie con la precedente. La suddivisione del rettangolo aureo in 7 quadrati consecutivi è identica, ma rovesciata nella direzione (per seguire in ciò l’itinerario che il visitatore dovrà percorrere).
Tale quadrato concentrico è ottenuto per leggera depressione, un impluvio; risulta quindi bene in evidenza la fascia di contorno ( equivalente alla differenza di due gradoni quadri), che altri non è che la proposizione della cornice dell’ipotetica costruzione a gradoni della montagna del Purgatorio. La “ costruzione” morale del Purgatorio è incomparabilmente più semplice di quella dell’Inferno, e la sala ad esso destinata è pertanto assai più sgombra e aperta della precedente. Nella seconda cantica, l’espiazione con pentimento del peccato, da
Danteum; trasformazione della lettera M nell’aquila imperiale. L’aquila imperiale doveva essere posta a decorare la parete di fondo della Sala dell’Impero, ultima del percorso nell’edificio, ed è una diretta allusione alla trasformazione della lettera così come la leggiamo nel canto XVII del Paradiso. La lettera M sta anche per Mussolini, l’uomo in cui Giuseppe Terragni riponeva la propria fiducia per dare ordine, logica e razionalità all’Italia.
modo al divino poeta di rappresentare peccatori, scene ed allegorie, con umanità e più volte con dolcezza. Egli stesso partecipa alla vicenda dei peccatori ricevendo sulla propria fronte dalla spada dell’Angelo della prima cornice, il segno dei sette peccati a volta a volta cancellati dagli altri angeli custodi delle cornici del monte. La scena, che noi intendiamo preparare per presentare degnamente questa seconda cantica, non tralascia tale poetica sensazione, e valendosi dell’abbondante luce che, nelle larghe strisce di sole, che irrompono
dalle ampie aperture del soffitto, riuscirà a creare intorno al visitatore una salutare sensazione di sollievo, chiamando il suo sguardo verso il cielo ancora però diaframmato dalla geometria. Giuseppe Terragni
NOTA ALLA DELL’INFERNO
STANZA
L’Inferno è la dimora delle ombre, e le ombre avvolgono la Stanza dell’Inferno. L’inferno di ombre esiste come un’enorme enciclopedia del ricordo; il ricordo eterno dell’ombra dei propri peccati. L’Inferno del Danteum è in una condizione simile al personaggio di Borges, Funes, che ricorda tutto, ed era idiota per eccesso di ricordo. La presenza delle colonne di granito, disposte a spirale, rappresentano anche l’ombra della memoria della storia degli eventi. Giuseppe Terragni pensa a un tempo molto lungo; la carta con il papiro raggiunge al massimo i 2.000 di sopravvivenza e poi le scritture dei popoli non si riescono a decifrare per periodi più lunghi di 10.000 anni. La colonna, invece, è un elemento costante nella memoria dell’uomo: fornisce all’uomo un’esperienza mentale di una legge, e custodisce sempre una struttura e un’organizzazione del pensiero. Riscoperte in un futuro lontanissimo, queste colonne, rivelerebbero la loro disposizione a spirale, e la loro convergenza verso un punto infinito.
sottili verso il centro della spirale, fino ai limiti della trasparenza, quella trasparenza a cui l’Inferno non può arrivare, quella libertà dall’opacità del corpo che qui è vietata, ma va eternamente ricordata. Nella Sala dell’Inferno, al fondo del vortice delle colonne, si trova un luogo infinitesimale in cui la presenza tende inevitabilmente a trasformarsi verso la trasparenza, creando una tensione che ricorda il dilemma al prigioniero, che mai riuscirà a passare nella condizione di uomo libero, a divenire trasparenza che vince l’opacità naturale dell’individuo. Stretto nella morsa delle colonne e della loro disposizione l’uomo è prigioniero della loro organizzazione, che lo dirige incessantemente verso il centro inesistente della spirale; per lui quel luogo non esisterà mai. ( Attilio Terragni) Sopra; ra a
interno del Museo della guerManchester di Daniel Libeskind.
Al centro; Asilo Sant’Elia di Como, vista del refettorio.
E questa configurazione dell’Inferno sarà ancora il dilemma del prigioniero, avvolto sempre più nel vortice del suo peccato. Nella successione delle colonne che sono di diametro proporzionali al rettangolo, si immaginano colonne sempre più vicine e
Sotto; Sala O alla mostra della Rivoluzione fascista, collage delle pareti con il profilo di Mussolini.
NOTA ALLA STANZA DEL PURGATORIO
Si potrebbe riassumere questo processo di trasformazione , come la successione di tre stadi del tipo;
Nella Sala del Purgatorio il rapporto tra soffitto e pavimento non è tradotto nella forma visibile della colonna; questo è il luogo della fede e della speranza, del legame tra cielo e terra.
minimo – massimo – immneso
Le riquadrature vetrate nella copertura sono puro vetro, tenuto insieme dalla memoria della Stanza precedente, quella dell’Inferno. Il loro centro geometrico coincide con quello dell’assenza delle colonne; il pieno della materia dell’Inferno, diventa nel Purgatorio, vuoto/invisibilità, memoria del pi-
matematico – metafisico – fisico naturale problemi originari – fede e esperienza – ordine unità universo senso - immagini – cose verità – infaticabile ricerca – scienza universale ripetizione – differenza – unità paganesimo - cristianesimo- modernità
Sopra; fotomontaggio della facciata della Casa del fascio di Como, perfetta scomposizione ternaria di telaio, pieno e vuoto.
A fianco; rapporti di rifllessioni multiple nell’ufficio del Federale alla Casa del fascio di Como
eno e del peccato.
Oppure;
Passando dall’Inferno al Purgatorio si percepisce la logica distributiva vista precedentemente, ma, l’apparizione in un reticolo di quadri, la cui proiezione sul pavimento trasforma lo spazio in una scacchiera riflessa, scopre lo stretto rapporto figurativo e costruttivo tra i due piani orizzontali dell’architettura.
1-La colonna greca che ha luce verticale e ombra orizzontale ed è misura, come nell’esempio della nascita della geometria descritta da Talete alle piramidi egizie;
La riapparizione della colonna, in forma di cilindro di vetro, nella Sala successiva, quella del Paradiso, determina un ternario ritmo delle apparizioni/sparizioni della colonna all’interno del viaggio nel Danteum. Una sorta di triade della colonna; vita, morte e resurrezione, che richiama perfettamente sia il Poema sia del nostro viaggio nell’architettura.
2- il muro Rinascimentale e barocco che ha la luce in diagonale e un’ombra proiettata, nella prevalenza del muro perde la sua ombra singolare e la sua reattività alla luce; ed è la misura romana; 3- la colonna di vetro moderna in cui la luce passa in ogni direzione e le ombre sono assenti. ( Attilio Terragni)
NOTA ALLA STANZA DEL PARADISO Tutto insieme il paesaggio del Paradiso è un teatro di luci, che danno forma al desiderio di conoscenza, a una visione intellettuale che prende forma da se stessa.
Dante, dalle fessure del suo pavimento, la Selva Oscura, dominata dalla ferocia dei vivi, lontanissima ma indispensabile per sorreggere lo spazio divino.
Inferno e Purgatorio sono ancora proiezioni della coscienza del bene e del male, mentre il Paradiso sovrasta i luoghi di espiazione e fa conquistare la vittoria sull’oscurità.
Il suolo del Paradiso è formato dai cento capitelli delle colonne della Selva Oscura, che lo sostengono, ma non lo compongono interamente.
Qui, in vetta, alita un eterno clima di luce incontaminata che cancella la memoria dei peccati in una foresta divina di colonne di vetro, accessibili solo alla vita contemplativa.
Le fessure continue tagliano la sua superficie e mantengono vivo il rapporto tra ciò che è terrestre e ciò che è divino, il quale non è altro che sublimazione della materia terrestre.
La luce della colonna vitrea, come quella delle anime, è intesa per esternare l’amore di cui tutti sono partecipi.
Stesse colonne, stessa disposizione, stessa geometria; “solo” vetro al posto del marmo, luce al posto della materia, trasparenza al posto dell’opacità. La colonna di vetro è l’ultima evoluzione della stele di pietra, che è sempre stata eretta in verticale tra le pieghe della realtà, e che ora diventa pura e senza volto, senza un principio di individualità; un micro e macro cosmo dell’intera visione della modernità.
Sopra fotocomposizione; sublimazione della materiaMonumento ai caduti di Como e planimetria della città ( collage di Daniel Libeskind). A fianco: Casa del fascio di Como, notevoli effetti di riflessione; vista dalla Sala del Direttorio verso l’atrio d’ingresso.
Sotto; la rivoluzione del vetro- fotocomposizione da Quadrante 35/36
La colonna non è più materia che contiene e contrasta la forza della gravità, umile e nobile strumento delle costruzioni umane, perchè nel Paradiso non possono riprodursi condizioni terrestri. La trascendenza annulla ogni moto, ogni sforzo, verticale, orizzontale e obliquo. Il Paradiso agisce sullo spirito e ne traduce la passione, mostra alla nostra corporeità, questo felice tempo della Trasparenza. Il viaggio termina nell’ascesi al cielo delle stelle fisse. Da qui si guarda in basso, come
( Attilio Terragni)
Casa del fascio di Como; prospetto laterale visto di scorcio ; le aperture tagliano la superficie e mantengono vivo il rapporto con
il cielo e la cittĂ
Q UA D R A N T E IL DANTEUM, IL SUO TEMPO CONFUSIONE E MAL DI TESTA L’occhio corre disperatamente in cerca di una zona dove sostare. Impossibile: non c’è più posto. I tavoli, le credenza, i “comò”, gli “etager”,, le scansie, ogni cosa insomma che sporga o che abbia capacità di sostenere oggetti qualsiasi, ne è colma. Fasti di tende, festoni di fiori: in questo salotto un poeta ha posato per Michetti al tempo delle “cronache bizantine”. Una volta all’anno, la padrona che suonava Chopin e non conosceva l’uso del bagno, dava ordine alle sue donne di fare pulizia. Tende, tendine e tendoni erano ammucchiati nel cortile o sull’altana, e li battuti alla meglio e spazzolati allegramente. Il pavimento non si toccava perché da lustri vi era incollato il tappeto persiano comperato alla famosa asta “ Beni Baranessa BrigolottiBò”. E i mobili neppure si smuovevano perchè se no, rientrando il padrone alla sera e sostando con fare perplesso sulla soglia del salotto; “ Che cosa è accaduto?” – avrebbe chiesto; e quindi lisciandosi i baffi;” Siete forse insaniti?”. E in quel momento avrebbe avuto l’aria di Ermete Zacconi nel secondo atto di una tragedia di Pietro Cossa. Non vogliamo fare dello spirito sopra un’epoca che è facile criticare nei suoi aspetti esteriori, ma che forse ha avuto anch’essa una sua grandezza interiore. Certo è che il “salotto” istituzione specialmente cara alla borghesia del secolo scorso, tende a scomparire nell’architettura di oggi come ambiente che, privo di una funzione precisa, diviene cosa superflua. Quando ancora esiste esso è ben diverso dal locale cui deriva! L’ordine nuovo che contrassegna l’epoca in cui viviamo, è entrato anche qui. Gli uomini che vivevano nell’ambiente qui sopra sono veramente morti in tutti i sensi. Due età sono di fronte. La prima regno della polvere e dell’artificio, sede di un’intelligenza grassa e ridanciana, espressione di un vivere individualista e manifestazione di una meschinità sociale goffa e pesante. ( Il formalismo era scambiato per eleganza e la sporcizia si chiamava pudore). La seconda è l’epoca in cui ai mobili si può passare sotto con la scopa.
Sopra fotocomposizione originale; “ l’architettura quando nacque il Gruppo 7”- A fianco: testo da Quadrante - Sotto; Giuseppe Terragni alla Casa del fascio di Como..............con la scopa!
A sinistra; oggetti di Giuseppe Terragni, scultura della Vittoria, porta documenti con stemma, strumento luminoso, coppa realizzata per il Podestà di Como. A destra; dettaglio dell’allestimento alla Triennale di Milano per la mostra sugli sport nautici, manifesto per Settembre Lariano, arredo sacro e medaglia della Vittoria.
Sopra; arredi di Giuseppe Terragni, tavolino, sedia e scrivania per il Novocomum, Lariana per la Casa del fascio di Como, fotografia dell’allestimento alla Triennale di Milano per la mostra degli sport nautici. Sotto; arredo sacro e manifesto pubblicitario per costruzioni metalliche ( da Quadrante)
MATERIALI E LAVORO L’uomo opera nella natura, d’accordo con essa senza riserve. Da essa preleva gli elementi che a lui occorrono e quindi gli organizza, li modifica e li trasforma in un impeto quotidiano di energia e di lavoro. Legno, ferro, quarzo, terra, calcare e sabbia; con questi elementi l’uomo costruisce la casa, il paese, le metropoli. Le selve vengono abbattute, la terra viene frugata perché doni metalli, silicati e calci, il mare porta la sabbia. Dopo un poco, tavole di legno lisce e ben lavorate e di vetro fuso sono trafilate e squadrate in lamine e lastre lucenti; mentre dalle fornaci, poste ai piedi del monte, escono flotti di calce densa e candida come un latte minerale. I solfati sono diventati gesso; la pietra macinata ha dato una polvere che unita a sabbia e mescolata ad acqua, ha formato una malta molto consistente nella quale aggiunto un po’ di ghiaietto, viene immersa un’opportuna armatura metallica. Siamo al cemento armato, la miscela infrangibile che permette oggi gran parte delle arditezze costruttive ignote ai tecnici del passato. Ecco dunque che gli elementi primordiali hanno subito la loro prima trasformazione: dal legno grezzo a quello lavorato, dalle rispettive fusioni minerali al ferro, al vetro e al cemento, mentre da una lavorazione che richiede una speciale perizia, esce la bella lastra di marmo. Non abbiamo detto poi della creta ( laterizio) la quale, essicata e cotta in fornace, dà, in blocchi già preparati, i mattoni, materiale antichissimo e utilissimo, con il quale si può fare tutto quello che pare impossibile. Da quando il ferro è entrato nell’uso comune come materiale principale da costruzione, marmi, mattoni e laterizi in genere sono stati alquanto ridotti nell’impiego, rimanendo tuttavia materiali preziosi di collaborazione architettonica. Schierati gli elementi pronti per l’impiego, ecco la materia in procinto di subire un’altra modificazione: l’architetto viene con un rotolo di carta sopra cui c’è già tutto; ora non si tratta che di realizzazione materiale.
Dall’alto a sinistra; uomini dell’epoca giolittiana, Mussolini da Quadrante, due immagini di Bologna e Como negli anni 20, vista di via Vittani a Como con alla destra lo studio di Giuseppe Terragni, Roma la città di Piacentini.
Villino e vita borghese
CittĂ e vita fascista
Questa casa non ce la siamo inventata noi. Esiste purtroppo in qualche parte d’Italia: forse alla periferia di una cittadina veneta, forse di fronte a qualche cavalcavia in terra emiliana: forse a Roma nei pressi del quartiere Coppedè. Essa sopporta con dignità la lebbra della decorazione vegetale che la copre. Siamo allo stile ecclèttico: 1890. Vent’anni più tardi un Ministro delle ferrovie, che alla sera ballava la Polka Bebè nei saloni del suo ministero, sceglieva questo “stile” per tutti i “villini dei ferrovieri”. Non esiste città italiana che non abbia la sua serie di tale roba. Ma quel ministro non sbagliava: egli era giustamente immesso nella sua atmosfera, d’accordo con il suo tempo e con le sue espressioni. Magari ci fosse oggi la corrispondenza qualitativa che si riscontra fra quest’architettura e la moda femminile di allora! Perfino i gesti dell’uomo e della donna in società corrispondevano allo sviluppo floreale che contemporaneamente si svolgeva nelle arti. Lydia Borelli è una regina sul suo vero trono. Oggi sembra invece giunto il tempo della disgregazione e della contraddizione; accanto al primato di velocità di Agello, c’è, mettiamo, la biblioteca nazionale di Firenze; vicino alla buona architettura di alcuni artisti (e i lettori di Quadrante sanno di chi parliamo), c’è il terribile “900”, che molti, se Dio vuole, hanno già imparato a disprezzare. Confronteremo dunque le più tipiche manifestazioni di ieri con quelle migliori di oggi. Dal paragone fra la casa di sopra e il piano regolatore di Ivrea (arch. FiginiPollini) riprodotto in basso, risulta evidente una cosa: tanto hanno lavorato gli architetti di prima a coprire la funzionalità della fabbrica, tanto lavorano quelli di oggi a scoprirla. Si è trovato, in tal modo, che l’opera d’arte s’immette nella natura quando essa non tenta di imitare le forme con fregi di cemento, ma quando appare creata in se, come forma pura. Vedete appunto in questa tavola l’armonia che risulta dalle nuove forme progettate per il piano regolatore di Ivrea e dalla visione strinata del paesaggio in cui sorgono. Quale distanza di propositi e di concezioni dal “mondo” riprodotto in alto.
Creazione della città fascista e caricature di Giuseppe Terragni di personaggi dell’epoca; progetto Cortesella, Casa Vietti, Palazzo del Littorio, Accademia di Brera.
Creazione della città fascista e caricature di Giuseppe Terragni di personaggi dell’epoca; progetto Cortesella, E 42, progetto per il Palazzo del Littorio, Casa Vietti
Pittura italiana; sopra dipinti di Giuseppe Terragni; da sinistra, ritratto dei pittori Rho e Radice, Signora con il maglione rosso, il Falegname. Sotto stato della pittura italiana alle mostre ufficiali (riportato da Quadrante) Scipione Bonichi “ Il ponte degli angeli�. A fianco; pagina da Quadrante
Sopra; Como città dell’acqua e dei riflessi; Giuseppe Terragni nel suo studio di pittore.Sotto; disegni di Giuseppe Terragni, in basso a destra figura femminile per la Sartoria.
( la cosa non avviene nel dipinto: la paura dello sguardo sull’ignoto rimane una figura su uno sfondo indeterminato, noto solo apparentemente, che ricorda qualcosa di noto ma non gli corrisponde e ci rimane perciò estraneo. Il nuovo il non vissuto che gli sta di fronte e che causa il suo sguardo di tensione non ha causa nello sfondo e nemmeno si riflette in quello: per di più nessun personaggio sembra occuparsi di ciò che avviene di fronte al quadro e che determina lo stato d’animo del protagonista. La posizione dominante rimane quella dell’ignoto che esclude ogni causa e ogni spiegazione. Nessuna azione e nessun protagonista mira a sopprimere questo stato d’animo) Sopra; Giuseppe Terragni 1929, Autoritratto in divisa milatare esposto alla Permanente di Milano . Sotto disegni con a sinistra la caricatura di “Nizzoli che si mette la camicia”.
(Ma dove guardano questi occhi di amici? Fissi, orizzontali, non riflettono la loro interiorità. Semplicemente stanno li, accanto al pittore: Si potrebbe al limite dire che silenziosi riflettano tutti insieme il proprio pittore, facciano loro compagnia a lui e lui compagnia a loro. Ogni figura è sola, ma il suo sguardo, il suo atteggiamento, la sua psicologia, è tutto tranne quello di una persona sola. Sono sole ma non insolate:
cie di memoria involontaria perché questa, contrariamente alla memoria volontaria, che si limita a illustrare o a narrare un passato, riesce a far scaturire questa idea pura della persona. Questa memoria involontaria accoppia due sensazioni che esistono nel corpo, abbracciate come due lottatori, la sensazione presente e la sensazione passata, traendone qualcosa di irriducibile sia la passato che al presente: la persona è immersa nell’atmosfera magica del suo presen-
Ritratto del signor Guggiari
Sopra; inaugurazione della Casa del fascio di Como. Al centro, tra i gerarchi, Giuseppe Terragni A lato; ritratto con cappello
sono in un mondo di serenità, in compagnia del loro pittore. Giuseppe Terragni non dipingeva una pittura astratta, e neppure mirava a una pittura illustativa o narrativa, o alle distorsioni geometriche del futurismo e alle figure disperate di Sironi. Cio’ a cui sembra intento è portare alla luce una persona strappata alla figurazione, spogliata di qualsiasi funzione figurativa: una figura in sé. Sembra affidare alla pittura una speRitratto signora con il maglione verde
te, intendendo qui magia la raggiunta quiete di una particolare forma di una figura liberata, liberata da tutto e incantata dai valori di pace che risuonano tra le pareti delle loro abitazioni. La differenza tra la vita quotidiana del pittore e quella ufficiale dell’architetto si riflettono come specchio di un’ epoca e di uno stile di vita. Come diversi sono gli sguardi degli amici da quelli dei gerarchi!)
DANTEUM: TEMPIO DELL’ ARCHITETTU RA NARRAZIONE ASTRATTA Nel progetto del Danteum l’opera letteraria viene ad aderire ad un’espressione plastico architettonica mediante l’astrazione, cioè mediante le corrispondenze strutturali, di due fatti, l’architettura e la poesia. La pianta del Monumento è una perfetta macchina della memoria numerica geometrica, dove ad ogni Cantica del poema, corrisponde, un rettangolo aureo.
Questa capacità dell’architettura di farsi narrazione astratta di un Poema, di un racconto, di valori spirituali, è prerogativa delle architetture esemplari delle grandi epoche storiche. Stabilisce una corrispondenza tra le proporzioni e gli schemi fondamentali dell’architettura e i soggetti narrati, siano essi di natura storica, politca, sociale, poetica e narrativa.
La corrispondenza non è un fatto retorico o decorativo, ma una risonza, nelle proporzioni e nella assoluta bellezza geometrica tra le combinazioni dell’architettura e il raccontare. I due collage mostrati qui sono originali dimostrazioni di Giuseppe Terragni di questi tipi di risonanza, sia storica, nel caso della casa Giuliani Frigerio, sia nelle combinazioni tra le stesse architetture a scala molto diversa, come nell’accostamento tra il monumento a Roberto Sarfatti e il disegno prospettico della casa a gradoni nel centro storico di Como. Giuseppe Terragni è stato il primo architetto della modernità a credere nella capacità dell’architettura del 900, di narrare la propria epoca, e ogni suo progetto è un manifesto di questa trama spirituale.
tradizione “Ho scritto una decina di volte polemizzando a varie riprese, dal 1926 al ‘38 sul¬l’ormai venerando argomento della ´ tradizione ª, intesa come sommatoria di rivoluzione anzichè cristallizzazione di forme, idee, di costumi. Fissare gli occhi ammirati sugli autentici esemplari di architettura del passato studiandone con gioia la meravigliosa le¬zione di vita (evoluzione + rivoluzione) che a chi sappia superare, nell’osserva¬zione, le caratteristiche stilistiche formali, Ë dato di scoprirvi attraverso la matematica legge di proporzione nella loro esatta bellezza.”
Narrazione astratta; pagina a lato; Danteum pianta alla quota +540, fotomontaggi originali di Giuseppe Terragni, la Casa a gradoni e il Monimento a Roberto Sarfatti, Casa Giuliani e il Duomo di Cremona. In questa pagina; sopra, negozio Vitrum con a fianco le colonne vitree del Danteum; sotto ingresso dell’Asilo Sant’Elia, narrazione astratta della città antica e di quella futura.
architettura del passato “è la pietra, di paragone della capacità creativa di un progettista. Immaginare e costruire un centro urbano facendo tabula rasa di tutti i vincoli preesistenti è nell’ordine ideale dei problemi. Per le città italiane ricche a dovizia di ricordi tangibili del passato il prisma delle soluzioni si arricchisce di una faccia nuova, di una luce più intensa. E’ naturale, per parlare ancora con linguaggio matematico, che a ogni nuova faccia dei prisma vengano ad aggiungersi nuovi spigoli e nuove cuspidi (le difficoltà) ma la gemma, più sfaccettature ha, e più splendore, e quindi più pregio ha”. architettura moderna “ Prova che siamo agli inizi di un’epoca che avrà finalmente un carattere proprio, ben definito il frequente ripetersi di questo fenomeno: la perfetta rispondenza della varie forme d’arte fra loro, e l’influenza che esercitano l’una sull’altra; caratteristiche appunto dei periodi in cui si è creato uno stile.”
Non è però sufficente ricordare le corrispondenze geometriche e matematiche; occorre rifarsi sempre ai problemi più generali della narrazione nell’architettura, a come si debbamo prendere in considerazione gli aspetti letterari, allegorici e analogici, nel loro insieme. Nel Danteum il senso letterale è la descrizione di un viaggio, quello di Dante, che fa parte di tutti i viaggi del suo mondo medievale, ma anche dei viaggi contemporanei, del viaggio del visitatore dentro l’edificio, del nostro viaggio di lettori del futuro. Il senso allegorico della narrazione astratta è il miglioramento morale, che per Dante è l’ascesa dal peccatto alla grazia, ma è, più in generale, i miglioramenti morali che si debbono trarre dall’architettura e da tutte le opere della vita pubblica; in questo senso il viaggio nell’architettura è sempre un viaggio spirituale per ogni uomo, in qualsiasi religione, cultura e storia, si collochi. Il senso analogico è la visone della felicità umana che Dante propone alla sua epoca, e che Giuseppe Terragni propone al 900 con un’architettura nel suo essere opera limpida e viva nella ricerca di unl fine didattico dell’opera d’arte. (Attilio Terragni)
Narrazione astratta; sopra; analogie , i gradini di uscita nella corte interna del Novocomum e la scalinata del Monumento ai caduti di Erba. Sotto a sinistra la “famosa” finestra sulla scala della Casa del fascio di Como in analogia a una del contesto ( foto originale)
NARRAZIONE
ASTRATTA
L’ARCHITETTURA E’ UN LINGUAGGIO “Larchitettura è un linguaggio” e proprio come “a grande letteratura o la grande musica, può raccontare la storia dell’animo umano.” ( Daniel Libeskind)
L’architettura per essere un linguaggio della creatività e della conoscenza, non è scialba espressione di rivoluzioni tecnologiche o di acrobazie individuali, ma è un oggetto animato, che “ vive e respira, ha un dentro e un fuori, un corpo e un’anima come l’essere umano ”. E come un essere vivente, l’architettura,
Innanzitutto significa esprimere i fenomeni del nostro mondo in forme che raccontino il tempo dentro il quale ognuno di noi ha la sua evoluzione biologica, la sua storia e i suoi limiti. Tutti i giorni noi abbiamo l’esperienza del tempo che passa e lo vediamo scorrere attraverso le lancette dell’orologio, nei numeri sul display della stazione ferroviaria, oppure in quelli dei giorni e delle ore nell’agenda degli appuntamenti. Il tempo è, infatti, un’entità molto astratta, numerica, e gli uomini provano a tradurre questa esperienza con la scrittura, l’immagine pittorica, la tonalità dei suoni, ma è solo l’architettura che ne da una rappresentazione reale e vivente.
Schemi geoemtrici e matematici del regno oltremondano di Dante. Sopra il racconto dei personaggi riflessi e il racconto dei materiali nella grande parete di porfido rosso del Palazzo Littorio. Sotto il racconto delle epoche in un fotomontaggio del Novocomum e del Duomo dei Como; comacini a a confronto.
Narrazione astratta; schemi geometrici e matematici del regno oltremondano di Dante. In questa immagine della vetrata d’ingresso alla Casa del fascio dove la editazione riporta le cose alla loro universalità.
con la sua saggezza geometrica, con le sue proporzioni e i suoi ritmi, nasce, cresce e va molto lontano, cambiando per sempre il modo in cui le persone vedono il mondo. Diventa un magnifico esempio, per tutti, di creatività che trasforma le condizioni storiche, quelle pratiche e teoriche, in forme e spazi responsabili della vita collettiva. Ma cosa significa dire che l’architettura è un linguaggio, una narrazione astratta, ed è simile a un essere vivente?
“ Provate a rifletterci: quando pensiamo alla storia umana, la nostra mente corre innanzitutto agli edifici. Dovendo rappresentare la rivoluzione francese con un’immagine non scegliamo Danton, evochiamo la reggia di Versailles. Se torniamo indietro nel tempo fino all’antica Roma, ecco che ai nostri occhi appaiono il Foro e il Colosseo. Di fronte ai templi greci o nei pressi dei monoliti di Stonhenge, possiamo avvertire la presenza delle genti che li hanno creati, sentire il loro spirito parlarci attraverso secoli di storia” ( Attilio Terragni)
Il viaggio; sopra; schemi Pagina a lato; Odissea
geometrici della Divina Commedia, immagini di Bosh ( inferno). Sotto; Hypnerotomachia Polifili; 2001 nello spazio e vista dal periscopio di un sommergibile della seconda guerra mondiale: in
il viaggio nell’edizione del 1499 basso a destra colonne di Luxor.
LA METAFORA DEL VIAGGIO Dante compie un viaggio nella contemplazione della sventura dei peccatori, un viaggio che lo commuoveva, così come il visitatore del Danteum si commuove per l’inconfondibile atmosfera delle Stanze dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, che andrà via via incontrando nella sua ascesa.
una ascesa, anche di pochi gradini, che stacca l’edificio dal suolo, dalla troppa vivacità rumorosa della città e dei suoi traffici. E’ sempre da un “ingresso” che inizia un viaggio, da una possibilità di isolamento contemplativo. Ed sempre in cima all’edificio, che il viaggio si conclude, e rinizia, nella sublimazione della materia, sia che si tratti
loro prerogative, come accade nel Danteum tra Monumento Architettonico e Poema. Analogo viaggio, ma di contenuto interamente metafisico, si compiva nell’architettura dei santuari e dei templi riportati nella planimetria e nella relazione del Danteum, con l’esperienza di una venerazione della divinità entro stati mutevoli
Tale effetto sullo stato d’animo, è suscitato dal viaggio, o meglio dagli innumerevoli viaggi che si compiono con l’ausilio dell’architettura. Affinchè l’architettura, con le sue proporzioni e con il gioco mutevole della luce, sia in grado di essere un viaggio dentro la materia e la sua spiritualità, è necessario che sappia creare uno spazio astratto e contemplantivo, isolato dalla vivacità del mondo esterno. Se si osservano attentantamente gli ingressi degli edifici di Giuseppe Terragni, non si può non notare come siano sempre caratterizzati da
di esili strutture a travi e pilastri, traforate dai colori del cielo e della natura, sia di terrazze su cui si riverbera l’intensa luce solare e l’ombra di pensiline sospese. Sia come nella coperture della Villa Bianca o della asa Giuliani Frigerio, con le pensiline sospese nel vuoto, sia che le superfici si facciamo completamente vetrate e trasparenti come nell’atrio della Casa del fascio di Como e nel Danteum. Viaggio e architettura sono due schemi fondamentali che si sovrappongono l’uno all’altro, senza perdere in quest’unione nessuna delle
d’animo; incontro con i Colossi, ascesa ai livelli delle terrazze, approdo ai recinti sacri varcando piloni e attraversando corti, peristili e sale ipostile. ( Attilio Terragni)
Schemi fondamentali;
in questa pagina intorno alla copertura del Danteum sono disposte immagini del Sacrario del Palazzo Littorio e della Sala O
SCHEMI E MENTALI
LINEE FONDA-
LA SEZIONE AUREA
delle cattedrali; l’Oriente medievale sui Codici armeni, i Vangeli siriaci, le miniature persiane, le stoffe copte; e appunto tanta cultura di museo e di libreria antiquata.
Occorre perciò che si capisca, ci si persuada, che la nostra generazione, la tanto attaccata generazione del dopoguerra, è molto lontana dalle precedenti.
La nuova architettura, la vera architettura, deve risultare da una stretta aderenza alla logica, alla razionalità. Un rigido costruttivismo deve dettare le regole.
Le esperienze : noi sentiamo tutti una grande necessità di chiarezza, di revisione, di ordine, la nuova generazione pensa; e questa serietà è così inattesa che passa per presunzione, per cinismo.
Le nuove forme dell’architettura dovranno ricevere il valore estetico dal solo carattere di necessità, e solo in seguito, per via di selezione, nascerà lo stile.
La sfera di interessamento per l’arte in genere, si è infinitamente allargata fra gli studenti: giovani che i loro studi portano in tutt’altro campo, si interessano di musica, di pittura, sono al corrente delle letterature straniere, frequentano assiduamente le mostre d’arte, i concerti, le vendite di libri. Ma hanno indagate le forme d’arte nel loro spirito più nascosto: il è 400 nelle xilografie della ´Hynerotomachia Poliphili, e sui disegni di Maso Finiguerra; Bisanzio su gli smalti, i vetri, gli avori, in un pellegrinaggio d’ammirazione attraverso i tesori
Ma dall’uso costante della razionalità, dalla perfetta rispondenza della struttura dell’edificio agli scopi che si propone, risulterà per selezione lo stile. Occorre riuscire a questo: nobilitare con l’indefinibile e astratta perfezione del puro ritmo, la semplice costruttività, che da sola non sarebbe bellezza. ( Giuseppe Terragni) Linee fondamentali; da sinistra in alto, disegno originale di Giuseppe Terragni con l’individuazione della spirale nella Sala dell’Inferno, uomo metallico alla Sala O, schemi di sezione aurea con formazione di due diversi rettangoli aurei e spirali.
IL
CENTRO
MOLTEPLICE
Il linguaggio della geometria aurea è un tipo di logica matematica che non esclude la concordanza degli opposti, pieno, vuoto, Inferno, Paradiso. Permette all’architettura proprio questa concordanza dell’assolutamente grande e dell’assolutamente piccolo; è uno strumento necessario per uno spazio unitario e per la conoscenza di ogni suo dettaglio. Ma la scoperta fondamentale nel viaggio all’Inferno e al Paradiso è l’impossibilità di trovare un centro definitivo a queste stanze-mondo. La forma geometrica della spirale derivata dalla geometria aurea si estende nell’indeterminato punto del suo possibile centro, che si trova decentrato rispetto alle dimensioni del perimetro rettangolare. E’ la questione del punto centrale rinascimentale; qui il centro della stanza rettangolare e quello della sua divisione interna a geometria spiralica, non solo ha un rapporto infinito finito, ma lascia indeterminato un centro assoluto dello spazio in cui ci troviamo. Quindi ci sono almeno due centri geometrici nello spazio racchiuso
delle stanze, cui andranno aggiunti i centri gravitazionali delle forze e della materia, i centri dei percorsi interni. Anche nel Paradiso, dove i centri sembrano coincidere, per l’organizzazione a reticolo/grigliatura delle colonne, è quella “strana colonna-extra”, posta all’esterno del perimetro delle altre, che rompe l’equilibrio statico. Il centro assoluto dell’architettura Rinascimentale,diventa, nell’architettura di Giuseppe Terragni, una serie di centri e il senso fisico della costruzione dell’Inferno e del Purgatorio coesiste con più centri possibili, il che dinamizza lo spazio statico della forma rettangolare. Ogni cosa è in rapporto con due o più centri!
Questo è il dinamismo della forma, realizzato in modo geometrico, modo con cui gli elementi si svolgono intorno al loro proprio centro, e risultano tutti collegati tra loro inrapporto ad un altro centro comune, e nella partecipazione a diverse geometrie.
Esempi di rapporti geoemtrici; il Duomo di Milano, il San Carlino di Borromini, Sforzinda, San Pietro. Questi schemi geoemetrici prevedono la possibilità di identificare un centro assoluto dello spazio, mentre la costruzione geometrica del Danteum, con gli slittamenti delle figure, determina centri geometrici molteplici per la forma rettangolare degli ambienti.
Quindi ogni colonna ha il centro in se stesso, ma proprio in questo centro, in questa sua individualità ben messa in evidenza, trova altre linee di relazione, altri centri cui riferire la sua presenza nello spazio.
Nel caso del progetto di Borromini, ripreso da studi del Prof. paolo Porteghesi, il procedimento geometrico parte da un triangolo equilatero che raddoppiando, individua i centri di curvaturadell’ovale.
L’individualità di una colonna, come quella di una finestra, di un muro, di un tavolo, non ha il limite racchiuso nella sua forma, bensì il suo centro è un valore particolare, che non può essere eguagliato o distrutto, ma diviene per noi concepibile e conoscibile attraverso le altre relazioni che lo coinvolgono nello spazio. E’ proprio per la pluralità dei centri dello spazio, per il suo dinamismo, che la colonna, seppur vari le sue dimensioni fisiche, non si presenta più in contrasto con l’unità e l’universalità dello spazio; tutte diverse tra loro eppure parte dell’espressione unitaria della stanza dell’Inferno. Il Danteum mostra questo pensiero filosofico dell’architettura moderna italiana di Giuseppe Terragni, perché tutta la sua opera aspira al tono di questo sfondo, a questa semplice pluralità empirica. Le figure della geometria euclidea acquistano, nelle sue opere, diversi centri e lo stesso avviene per lo spazio tridimensionale, fatto che distingue Giuseppe Terragni da qualsiasi architetto moderno. Esistono altri centri che vanno ad Danteum;
slittamento
dei
quadrati
della
planimetria
aggiungersi; quelli derivati dallo slittamento delle sezioni, con la variabilità dei pavimenti e dei soffitti, che introducono i centri tridimensionali dello spazio rettangolare. Questa dinamica della forma significa che si può conoscere partendo da centri di riflessione diversi, tutti contenuti dentro il perimetro della stanza, la cui essenza/verità è un’unica riunione inafferrabile e irraggiungibile. Non è prevista una sintesi tra i diversi centri che rimangono assoluti rispetto alla propria costruzione dello spazio. Attilio Terragni) A lato; Casa giuliani ; le due facciate longitudinali, oppposte. Sotto; schema geometrico di composizione rinascimentale In fondo; asilo sant’Elia, Casa Giuliani, Officine del gas, inserimento del progetto nel lotto.
Centro molteplice; a lato; pianta del Danteum con evidenziati i due centri della stanza rettangolare e della spirale; Casa Giuliani ; le due facciate longitudinali, opppostee facciata verso lago, vista frontale e vista di scorcio. Sopra; Casa Giuliani prospetto laterale vista frontale, planimetria per il primo concorso Monumento ai Caduti Como. Sotto; esempi di centro molteplice; Monumento ai caduti di Como, foto del modello del basamento, Casa del fascio di Roma, vista del modello del teatro.
civiltà, dovuta all’imprevisto, al caso.
Luci e ombre; la Stanza dell’Inferno e l’atrio della Casa del fascio di Como, a colori e in bianco e nero
LUCI E OMBRE IL VETRO E LE NUOVE OMBRE Il vetro è una massa amorfa, trasparente, in soluzione solida, costituito da un miscuglio di silicati alcaini con silicati di altre basi le quali possono essere, a seconda delle varie qualità di vetri, calce, barite, magnesia, allumina, ossido di piombo, ossido di zinco, ossido di bismuto, di zirconia ecc. …….. oppure è un ritaglio di cielo di luce, fissato magicamente in una superficie perfetta più pesante della pietra? Le due definizioni (tecnica e poetica) se contrastano apparentemente servono a tracciare due percorsi illustrativi che ci porterebbero a conoscere i raffinati procedimenti di lavorazione, le doti e le proprietà chimiche e fisiche del materiale: VETRO nell’un caso, la funzione spirituale, artistica della prodigiosa e rivoluzionaria invenzione del vetro nel secondo caso. E non è a dire che pur discorrendo con arido frasario tecnico del vetro noi possiamo del tutto evitare parole, concetti, immagini di sicura origine spirituale: luce, rifrangenza, trasparenza, splendore. Se frughiamo nella storia e tentiamo di risalire alle origini della scoperta del vetro dobbiamo adattarci a considerare la fabbricazione di questo materiale indice di Luci e ombre; mum; si noti
il
ingresso del riquadro a
Novocosoffitto
Da Plinio che ci parla di certi blocchi di NATRON trasportati da mercanti Fenici e che servendo d’appoggio ai recipienti di cucina fusero con la sabbia su cui furono posati, alle più attendibili esplorazioni di archeologhi che ci documentano esser il vetro conosciuto nel periodo di transizione tra l’età preistorica e quella storica. L’alta antichità della fabbricazione del vetro, rivelata dai testi sacri quali i proverbi di Salomone e il libro di Giobbe; nell’Egitto periodo Tebam si fabbricavano vasi coppe, ornamenti gioielli di vetro, spetta ai Fenici popolo dedito al commercio marittimo il merito di aver diffusa la conoscenza del vetro nel bacino del Mediterraneo e sulle coste atlantiche fino ai popoli britannici. Non vorrei pretendere di tracciare in modo così spiccio, una storia del vetro ma tre nomi, tre date possono chiudere la parentesi storica da me introdotta in questa relazione: Roma (apogeo dell’arte del vetro con Alessandro Severo 230 d.c. mise un tributo sul vetro a favore delle Terme del Popolo). VENEZIA erede delle tradizione romana fabbrica nel 1507 i primi specchi di vetro. PARIGI 1692 impianta la prima manifattura per la fabbricazione di lastre colate; con questa data si inizia la moderna lavorazione industriale del vetro. Quando noi architetti ci occupiamo del vetro escludiamo istintivamente dal nostro giudizio l’infinita varietà dei vetri decorativi, oggetti d’arte, o di uso pratico per rivolgere la nostra attenzione al VETRO TIRATO COLATO, la lastra lucida, incolore,
Luci e ombre; a sinistra Danteum Stanza dell’Inferno a destra Casa del fascio di Como foto dell’atrio dalla sala del direttorio. Si notino i due tagli vetrati simili in entrambe i soffitti.
piana che è l’elemento dominante insostituibile delle nostre costruzioni anche quando per il piacere dei paradossi discutiamo sulla teorica possibilità di una casa senza finestre con condizionamento díaria e di luce esatta, ma artificiosa (vedi esperimenti dell’edilizia americana). La storia recente della moderna architettura si compendia nella rivoluzione progressiva dei materiali da costruzione. Il vetro è balzato al comando di questa falange di prodotti industriali perfezionandosi a tal
punto da identificarsi con l’epoca architettonica e sociale che viviamo.
di vetro atermico, di vetro attinico non commuove od esalta alcuno.
In uno sforzo prodigioso l’industria vetraria ha risolto in pochi anni problemi che da millenni si ritenevano insiti nella natura stessa del materiale: fragilità, conducibilità termica impenetrabilità alle radiazioni ultraviolette del sole potevano rappresentare i leggeri svantaggi del vetro nel bilancio largamente attivo delle doti e dei pregi, oggi parlare di impiego di vetro infrangibile, di cristallo di sicurezza, termolu di vetro ultraforte,
Ognuno di noi può constatare quotidianamente che queste specialità del nostro tradizionale vetro si trovano costantemente fra il nostro occhio e l’esterno della carrozza tranviaria che ci ospita, fra il nostro occhio e il quadrante dell’orologio da polso, fra il nostro occhio e il panorama urbano offertosi dalla finestra del nostro ufficio. Ciò vuol dire che il problema Ë stato
Luci
e
ombre;
Albergo
posta,
ingresso
risolto INDUSTRIALMENTE; passare da una esperienza di laboratorio alla applicazione su così vasta scala vuol dire risolvere molti difficili problemi tecnici e finanziari che il pubblico e molte volte il costruttore se intuisce non sa valutare e approfondire. Descrivere, discutere, parlare del vetro oggi che consideriamo finita la polemica per l’architettura moderna sembrerebbe cosa inutile e superata dalla stessa vittoriosa conclusione della polemica. Il vetro che
e
terrazzo
ultimo
piano
casa
Giuliani,
ha suscitato il più formidabile contributo di studi, conferenze, scritti, discussioni, contradditori, referendum, si presenta da trionfatore al giudizio e alla riconoscente ammirazione dei tecnici e del pubblico. Ho parlato di giudizio, non bisogna dimenticare il pregiudizio strettissimo parente del LUOGO COMUNE. Bisogna, a vittoria conseguita sobbarcarsi la non facile opera di rastrellamento del campo ove pregiudizi
abbondano insidiosi; le grandi superfici vetrate delle case moderne non sono adatte per i nostri climi, ci si gela d’inverno, ci si muore d’estate, quante volte ho sentito sibillarmi nelle orecchie questo borghesissimo ritornello, e voi amici architetti, compagni di una decennale battaglia del razionalismo quante volte foste assediati da simili presuntuose sentenze? E voi amici lettori quante volte inconsapevolmente vi siete compiaciuti di dire o di ripetere senza riflettervi analoghe frasi colte al volo fra la folla che naso all’insù sta osservando un nuovo nitido edificio moderno che scrollandosi le ultime impalcature stava per presentarsi arditamente nella sua nuda bellezza a sostenere il confronto stilistico con le vecchie e logore architetture che sommergono il nome disarmonico di città. Invito voi numerosi increduli ad un riesame delle pregiudicate posizioni considerate che poche sono le costruzioni che presentano inconvenienti di tale natura e queste non sono certo tra le più rigorosamente moderne; voi parlate di vantaggi delle vecchie case con muri grossi e piccole finestre e non vi accorgete che 90 volte su cento parlate di case
addossate le une sulle altre in vie non più larghe di 6-8 metri portatele queste case decrepite sulle nostre larghe strade e vedrete ripetersi in misura maggiore gli inconvenienti che voi così clamorosamente lamentate. Non dovete dimenticare che è nostra massima preoccupazione e nostro impegno lo studiare (fin dove ce
lo consente un regolamento edilizio che è cappa di piombo) orientamento e insolazione dell’edificio. Ricordatevi che le vostre preoccupazioni giuste e ragionate sono il fondamento dell’architettura che noi vi abbiamo proposta e poi imposta.
alità e di coerenza strutturale noi abbiamo costruito non solamente delle case comode ma gli esempi e le pietre miliari di una architettura rivoluzionaria che Ë indice della vostra e soprattutto della nostra civiltà. ( Giuseppe Terragni)
E su tale fondamento di funzion-
Luci e ombre; vista odierna delle ombre sul terrazzo del Novocomum e sul pavimento dell’Asilo Sant’Elia; qui sopra, ombre delle scale e della copertura, Casa del fascio di Como
PIENI E VUOTI Il telaio, come una partita a scacchi, offre, con identici elementi della scacchiera, un numero infinito di varianti di pieni e vuoti, evoluzioni di ogni singola partita assolutamente divergenti tra loro. Il telaio, come la scacchiera, è nudo ma le mosse sono infinite sculture del pensiero e della memoria formate dal puzzle delle decisioni prese. La scacchiera del telaio in cemento armato ha mantenuto le sue promesse; il semplice ordine razionale della neutralità, ruvido bozzolo, ha imprigionato dentro di sé una nuova creatività in grado di esprimere una vastità di espressioni magicamente posate sulla terra e non fondate sulla terra.
LA
PIETRA
E
IL
MATTONE
(Attilio Terragni) La pietra ed il mattone hanno per tradizione secolare un’estetica loro, nata dalle possibilità costruttive e divenuta ormai istintiva in noi. Il significato dell’architettura antica, sta nello sforzo di vincere il valore di pesantezza del materiale, che lo farebbe tendere verso terra. Dal superamento di questa difficoltà statica, nasceva il ritmo: l’occhio era appagato da un elemento o da una composizione di elementi quando questo o questi apparivano, per forma e collocamento, avere raggiunto il perfetto riposo statico. E’ chiaro, porzioni,
come gli
dalla ricerca di aggetti, le
esso, siano dimensioni,
nate le protradizionali.
Ora, questa scala di valori, col cemento armato perde ogni senso ed ogni ragione di essere: dalle sue nuove possibilità (enormi aggetti; grandi aperture e conseguente intervento del vetro, come valore di superficie; stratificazione orizzontale; pilastri sottili), esso deriva necessariamente una nuova estetica, completamente diversa dalla tradizionale, e lo scheletro generale della costruzione, la spartizione ritmica dei pieni e dei vuoti, assumono forme del tutto nuove. (Giuseppe Terragni)
Pieni e vuoti; pagina a lato; Asilo sant’Elia, facciata principale, fotomontaggio della copertura della Sala del Purgatorio con il prospetto della Villa sul lago, Sopra; i pieni e vuoti della Casa alla Triennale in confronto a quelli della Casa Rustici. Sotto; modello della Casa del fascio di Roma e della Villa sul lago.
DANTEUM: TRA RAGIONE E FEDE L’architettura non è conciliazioni degli opposti e la sua formalizzazione è molto diversa se si tratta di opere per lo stato laico o opere per il rapporto dell’uomo con il divino. Nei progetti di monumenti, tombe, chiese e cattedrali questa tensione dell’architettura svanisce nelle sue superfici, come il telaio in cemento armato; qui il valore torna a farsi rapporto tra il finito dell’uomo e l’infinito di Dio, un dialogo in cui l’architettura vuole coincidere con la perfezione di tutto il resto del creato. Le pareti pareti di tombe, chiese e cattedrali, Monumenti della Fede, nei progetti di Giuseppe Terragniproteggono con un velo il credente dalla molteplicità delle cose, gli permettono di isolarsi dalla natura irrazionale, di concentrare la sua attenzione sulla potenza creatrice della fede in Dio; tutto l’edificio sacro diventa cupola e svaniscono le complicazioni teologiche per una dimensione unica e spirituale, individuale, dell’uomo di fronte ai misteri della creazione. Unificare nel semplice è comune alle due architetture, quella laica e quella religiosa: ma l’unificazione e l’uno sono di due nature complementari, il primo in perenne tensione, come lo sono i centri molteplici della Ragione dell’uomo, il secondo in pacifica comunione, come lo è la fede . (Attilio Terragni)
Sopra; monumento alla bonifica; sotto; geoemtria circolare e figura umana, tomba Piravano, Casa del fascio di Como
C A T T E D R A L I Quando ci si trova a confrontarsi con il problema della Fede e non con quello della Ragione, si ha modo di scrutare, oltre gli stretti limiti dell’architettura che organizza la nostra vita quotidiana, oltre i ritmi dei telai, dei pieni e dei vuoti. La Fede, dall’alto delle sue curvature antiche, è un ideale molto diverso da quello della Ragione, è una luce del tutto diversa sul mondo dovuta al cristianesimo, “ l’ideale di una salvazione, di una redenzione cosmica”, nelle parole di Franco Ciliberti, cioè l’amore e il rapporto con l’infinito. La basilica cristiana è sempre stata “un regno sottinteso, il regno dei cieli che si deve istituire nel mondo”, e danno una nuova sensazione al mondo, quella che ognuno di noi ancora prova entrando in una basilica romanica, una forma che non può essere ristretta alle sue componenti razionali e genetiche, come nel caso delle architetture del telaio, ma che si esprime in murature e volte nelle quali quello che conta di più è il miracolo della fede nell’infinito. La concezione cristiana sconvolge il rapporto intellettuale che avevano i greci con la divinità, in un ansia perenne verso l’infinito, in cui la nascita dello spirito è il vero miracolodella religione cristiana. La basilica è anche nei progetti di Giuseppe Terragni uno spazio dell’incontro con l’infinito, e dell’incanto del vuoto delle sue navate e delle sue cupole; è l’istante in cui tutti gli spazi si riflettono e si inflettono tra loro in una tensione comune verso l’infinito, ed escono dalla loro marmorizzazione orizzontale e verticale. La cattedrale di Sant’Abbondio a Como ne è un esempio perfetto, e rimane per Giuseppe Terragni il segno invalicabile di queste regge della spiritualità religiosa del cristianesimo, che è differente dalle finalità della vita laica della città e dello stato. Disegno di pianta per chiesa a navata unica, progetto per una cattadrale in cemento armato
Nella cattedrale in cemento armato, come in tute le architetture di Giuseppe Terragni intorno al tema della morte e della fede, la ricerca per una forma della religiosità moderna, si concilia con i ricordi romanici, dai campanili all’imitazione di quel ricamo a circoli a forma di canne d’organo, o di lacrime, piccole irrequietezze sui limiti della superficie delle basiliche romaniche. La cattedrale in cemento armato, le tombe Pirovano e Stecchini, il Monumento dei caduti di Como, sono architetture di superfici, coraggiosamente spoglie, lisce; l’anima si stacca da tutte le cose esteriori, rivolgendosi alla sua interiorità, si piega verso l’interno spegnendo ogni rumore del reale.
Piegarsi, ripiegarsi; le superfici piegate di questi progetti sono il concetto informatore di questo spirito moderno della religiosità; curvature verso spazi estremi che richiamano quello spazio mentale della cupola circolare che sormonta tutte le cattedrali, quella loro aspirazione di circolarità, che è il modo di contemplare della religione cristiana, una concavità che non rende umano il piacere di estraniarsi, ma dona il contatto con l’infinito.
(Attilio Terragni)
PROGRESSO DELLE STRUTTURE Nella storia dell’architettura si assiste alla sequenza di forme fondamentali: 1- la colonna è la forma fondamentale dell’architettura greca, con il suo sistema di proporzionamento del mondo; 2- l’arco è la forma fondamentale dell’architettura romana, con il suo sistema di proprzionamento del mondo; 3- il telaio in cemento è la forma fondamentale dell’architettura moderna, con il suo sistema di proporzionamento del mondo Ognuna di queste forme fondametali ha raggiunto la perfezione nelle architetture della loro epoca; il Partenone per la colonna, l’arco per il Colosseo. Per Giuseppe Terragni l’Italia ha il compito, di “scoprire delle forme” che portino il pieno e il vuoto deltelaio in cemento armato, cioè di una struttura tridimensionale e uniforme nello spazio, a dare “ un’emozione artistica” a questo sistema di proporzionamento del mondo. Questo vuol dire; produrre valori. Nel tempio greco il valore della divinità, era contenuto all’interno della cella, invisibile ai fedeli e ai cittadini, custodito da muri e pretetto dalle colonne del porticato, e solo una sua raffigurazione all’esterno stabiliva gli ordini decorativi della sua forma fondamentale, la colonna. Nella modernità il valore risiede ovunque nella costruzione, perché la cella muraria si è aperta nel telaio e il muro è diventato un diaframma
leggero e trasparente. Il valore non è più statico, racchiuso nella scultura della divinità, e non è neppure quello infinito del cristianesimo che gonfia la cupola delle cattedrali romaniche, si espande a tutti gli elementi della costruzione, che nella loro semplicità e nella loro perfezione, lo rendono splendente e molteplice. Il valore di cui Giuseppe Terragni ricerca la modernità, non è qualcosa di statico, una definizione, ma è una tensione, una tensione che si crea nell’architettura che non risolve mai il molteplice nell’unità, sebbene si presenti come un fatto unitario e concluso in se, come una forma definita e conclusa.
Il valore per Terragni è proprio questa tensione, questo pathos verso l’uno, che però non si risolve mai in una staticità dell’uno, nella calma della contemplazione statica, ma risiede in una tensione irrisolta; il centro molteplice dello spazio. Tecnicamente questo mettere in tensione l’architettura si realizza con il riferire ogni singolo elemento della costruzione a più centri assoluti, con il creare per ogni elemento molteplici relazioni all’interno delle quali la sua identità possa essere vista in modi molteplici a seconda di quale centro o rete di relazioni la si riferisca. ( Attilio Terragni)
PROGRESSO DI ARIA E LUCE La curva relativa al vuoto-pieno esprimente il miglioramento delle qualità igieniche e ambientali, dall’antichità ad oggi, ha seguito un’ascesa costante, dapprima blanda, poi più rapida fino alla forte ripidezza dell’ultimo cinquantennio in cui percorre un cammino uguale a circa sette volte quello fatto in ben 34 secoli. C’è un solo arresto, con contrazione di valore precipitante, in corrispondenza del Rinascimento, in un tempo cioè in cui la formula estetica prevalendo su quella funzionale, cancella d’un colpo il cammino faticosamente percorso dagli oscuri servi egizi, dagli iloti greci, dai muratori romani, dai maestri comacini. Le grandi arcate a tutto sesto avevano realizzato il massimo ottenibile dai vecchi materiali. La ripresa vigorosa, che nel giro di pochi anni, conduce ad altezze tali che non potranno essere superate, o lo saranno di pochissimo, è determinato dall’avvento del cemento armato e delle strutture in ferro. Con questi materiali sono facilmente superati i problemi di copertura dei vuoti, la loro larghezza non è più ostacolo preoccupante e le finestre possono finalmente seguire la forma degli ambienti e tendere all’orizzontalità. Le pareti cessano la loro funzione portante e diventano semplici divisori, l’apertura di vetro integrale diventa conseguenza logica dello sfruttamento delle possibilità di leggerezza e di non lavoro delle pareti. Gli architetti moderni si impadroniscono di questo concetto e da Llyod Wright, a Sant’Elia a Le Corbusier è come una gara a spalancare finestre vere sulle pareti dei nuovi edifici, che diventano subito nella metafora, sorgenti di luce nuova, di nuova morale costruttiva e civile, porte alla natura affinchè riprenda traverso il filtro della tecnica, il suo posto preminente nella vita dell’uomo che se ne era erroneamente allontanato senza pensare che la “tana” non costituiva altro che un rifugio alle intemperie e ai pericoli, del quale si faceva uso il meno possibile e soltanto per necessità assolute. (Giuseppe Terragni)
IL
CEMENTO
ARMATO
Consolidandosi acquista la dote della monoliticità che stabilisce il più alto grado costruttivo di una architettura. Le leggi statiche della antica architettura sono travolte da questo rivoluzionario materiale che può vantare una teoria e dei sistemi di calcolazione completi ed esaurienti. La grande libertà concessa del cemento armato nella risoluzione dei problemi della statica e la tendenza a progressive conquiste il tale campo escludono almeno per ora la possibilità di fissare alcuni elementi , di un ordine e di uno stile architettonico. Improprio è quindi il parlare di una architettura del cemento armato; anche perché il definirsi di una architettura è un fatto spirituale assai complesso del quale il “modo di costruire” è solamente una parte. sola linea la caratteristica del rettangolo di facciata.
In questa pagina sono messi in sequenza la navata di Sant’Abbondio a Como, il dipinto che ne fece Giuseppe Terragni, la vista prospettica della Sala dell’Inferno con il trasporto del blocco di granito per il Monumento ai caduti di Como. Il capitello di Sant’Abbondio è uno dei grandi fatti rivoluzionari dell’architettura. Per questo assume un’importanza unica nelle riflessioni e analisi sui nuovi strumenti costruttivi del cemento armato e del telaio.
L’antichità ci ha tramandato alcuni procedimenti che ci testimoniano l’alto grado di civiltà raggiunto bei grandi periodi dell’architettura egiziana, greca, romana ecc. famosa fra questi la Sezione Aurea che fu applicata anche nelle composizioni pittoriche degli ultimi cinque secoli (dal trecento alla fine del settecento). Recentemente il Le Corbusier ha ripristinato il valore di queste linee fondamentali o determinanti che, è opportuno aumentare o creare il valore spirituale in un fatto di composizione architettonica. Mirano a stabilire una perfezione di rapporti attraverso una “calibratura” dei vari “pezzi” che compongono una facciata. In questa Casa del Fascio la Diagonale sulla facciata principale si compone con due rapporti che non sono più geometrici ma numerici. Il rettangolo è nel rapporto da 1 a 2 nelle sue dimensioni di altezza e lunghezza, le ossature portanti suddividono in modo uniforme l’intera facciata, questi due rapporti danno luogo ad un ritmo automaticamente fissato dalla necessità costruttiva generosamente
messo in evidenza sulla facciata stessa. La diagonale sovrapponendosi a questo ritmo determina i grandi elementi costituzionali della fronte; le dimensioni della parete piena a sinistra l’altezza del piano rialzato (e quindi di tutti i piani) l’altezza delle grandi finestre longitudinali e con la normale alla diagonale pure l’altezza del parapetto e la suddivisione delle finestre di ventilazione nelle due ante scorrevoli. Le dimensioni delle finestre longitudinali sono pure controllate da due diagonali consecutive. (Giuseppe Terragni)
In questa pagina strutture della Casa del fascio e dell’Asilo Sant’Elia. Sopra modello dell’Officina del gas, vero esperimento sul telaio in cemento armato, che darà origine a molti progetti di Giuseppe Terragni.
NOTA - DALLA CONFUSA PLURALITA’ ALLE DISTINTE UNITA’
della materia, il viaggio nel Danteum ci trasporta in un cammino, dove, alla confusa apparenza delle cose storiche, si apre il sogno a loro sottinteso.
Un’idea del Danteum è costruire un Tempio per l’architettura, un meccanismo della sua memoria resa “corporea” e fissata nell’animo dello spettatore.
“ Ti renderai conto di aver fatto davvero un progresso di tal genere quando ti avvicinerai dalla confusa pluralità alla distinta unità…”(G.B.)
L’intero meccanismo del Danteum è la traduzione dei rapporti geometrici e fisici che costituiscono la trama della storia dell’architettura: dentro le Stanze dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, vaga la memoria costruttiva e le sue capacità creative.
Nel centro di Roma, nel vuoto e nella confusione della nuova via dell’Impero, il Tempio all’architettura è uno strumento artificiale della modernità, che porta al suo interno, la storia dei fasti dei templi classici e li racchiude, sottraendoli alla confusa pluralità del tempo e degli uomini.
I frammenti arrivati dal passato e dell’archeologia, lasciati in quel perenne torpore che avvolge l’universo storico, sono ricostruiti, ignorando il loro sonno, sono fatti sgusciare fuori nelle loro capacità d’estasi, ricostruiti dentro questo Tempio Moderno, i cui luoghi non hanno nessuna funzione precisata se non il culto dell’architettura. Attraverso l’ascesa dalle tenebre verso la luce, attraverso la trasformazione dalla pietra al vetro, attraverso le ombre
Nel Tempio, con certezza e brevità, chiunque può comprenderla e progredire con lei, e nessuno è più escluso all’accesso del sapere costruttivo. Il viaggio Tempio ( Tempo) dell’architettura non contiene idee formali, stili, figure, solo la logica del diagramma oggettivo; non è soggettivo, non ha forme accidentali o corpi naturali; non avviene nei romantici “volumi sotto la luce del sole” , o in
qualsiasi metafisica dell’architettura. Costruisce intorno a noi un universo della logica razionale nelle sue capacità di diventare logica del fantastico, sempre collegata a un ordine sistematico. Il visitatore ha la possibilità di una rappresentazione cinematografica della lunga storia dell’architettura, perchè Dante e architettura sono sinonimi nel Danteum. Le forme coniche e circolari teorizzate da Dante, come strumenti della memoria e della giustizia divina, sono simbolizzati dagli elementi costruttivi dell’architettura; muri e colonne come vera enciclopedia dell’Arte del costruire. Le stanze dell’Inferno, Purgatorio e Paradiso non indicano direttamente alcuna iconografia tratta dal poema, ma le regole della sua arte che sono anche quelle dell’architettura; non le idee di Dante in senso retorico e platonico, ma i meccanismi geometrici e matematici della sua costruzione mentale, dove risiede il legame tra il poema e lo spazio, tra i luoghi immaginati e quelli esistenti. Il viaggio nel Danteum non è solo il raf-
In alto; l’iconografia del manifesto della prima mostra di architettura razionale è semplicissima e sostanzialmente composta da tre elementi; il neutro e compatto parallelepipedo del cemento, l’indefinita e non conclusa armatura di ferro, l’ombra diagonale del pilastro che interrompe una forte simmetria con un’ombra di cui non si vede la fine perchè nascosta dalla banda marrone.
In questo modello dell’officina del gas c’è l’espressione delle possibilità di comporre architettura con il pilastro, un vero catalogo da cui attingere; pilastri liberi, emergenti dalle pareti, a grigliatura, inseriti nelle murature, affioranti dalle murature esterne, trasformati in setti, a sbalzo, con l’angolo libero,intrecciati con travi a vista, in vista a filo delle murature esterne. L’officina del gas si trova a Como a due passi dalla basilica di romanica di Sant’Abbondio, dove le colonne che sostengono la volta sono i custodi della genesi e del catalogo del moderno, della struttura del rigore, della precisione e dell’imprecisione della costruzione.
forzamento di una conoscenza storica letteraria del poema, ma un potenziamento delle facoltà intellettuali del visitatore, che potranno essere applicate a ogni attività artistica, a ogni facoltà, pittura, scultura, scrittura; una proposta di riorganizzazione del pensiero della Ragione. L’organizzazione del Danteum è un meccanismo autosufficiente della memoria, perché la storia dell’architettura, come quella del poema, hanno la funzione ordinatrice di un ordine nuovo; qui “ la memoria è una sorta di ombre della disposizione” La memoria del Danteum è; un fatto matematico-geometrico e le relazioni tra architettura del presente e del passato sono esplicitabili solo in queste forme e in questo carattere. La memoria del Danteum è; un meccanismo concettuale, non classifica, descrive e ricrea; tra noi e il passato non c’è “ calda rispondenza” o “ fredda erudizione”, c’è solo un universo di relazioni geometriche e di numeri.
Pilastro centrale nell’atrio dell’Asilo Sant’Elia.
Per ricordare, per avere memoria di, bisogna quindi conoscere la struttura matematica e su quella ideare e esercitare quella memoria in spazi nuovi, il cui codice genetico introdurrà così all’ordine della memoria e della comprensione storica. La molteplicità degli spazi esaurirà i significati di quella memoria, impliciti e espliciti, contenuti nelle loro premesse matematiche. Così si costruisce un’inscindibile unità; con una memoria della ripetizione creativa. (Attilio Terragni)
DALLA COLONNA DI PIETRA ALLA COLONNA DI VETRO Nei disegni del Danteum si nota il ritmo della rappresentazione delle colonne, quei cerchi neri che sembrano macchie perfette dentro la rigida impostazione dei rettangoli aurei. Il Danteum racchiude, come in una cassaforte, il tesoro della colonna nella storia dell’umanità, è il Tempio a lei dedicato, a questa colonna che ha attraversato tutte le epoche, e si è trasformata da forma esteriore in forma interiore, figura luminosa del grande spettacolo di luce dell’aerea scenografia dei cieli. Tra l’ingresso e l’uscita si svolge una storia della colonna e del muro nelle diverse civiltà dell’uomo; dalla Selva oscura, memoria della sala delle cento colonne del palazzo di Serse, all’Inferno, memoria di un sistema proporzinale, al Purgatorio, con l’assenza della colonna e il prevalere del muro romano, al Paradiso, con le colonne di vetro del mondo moderno. La colonna è la figura carismatica di tutte le epoche, mediatrice tra razionalità e spiritualità, come Virgilio è la colonna materiale e Beatrice quella colonna spirituale. La colonna è il simbolo che rappresenta l’uomo o meglio la colonna è la rappresentazione più diretta della figura umana, da cui forse deriva e con cui mantiene da millenni un rapporto privilegiato. Chi avrebbe immaginato solo pochi anni prima che il divino fosse anche nella colonna e non solo nel cavo di una cupola, chi avrebbe immaginato che la colonna pot-
esse diventare la memoria della civiltà moderna, che questa polvere tenuta insieme dal pensiero dell’uomo, come l’uomo è pensiero soffiato nella polvere del mondo? La colonna è l’elemento di tutti i tempi, di legno, di pietra, di ferro, di cemento armato, di materia marmorea, di più elementi sovrapposti, di elementi integrati tra loro, ognuno con il suo corrispondente mondo delle forme. La colonna è il centro dei principi costruttivi, la sua essenzialità ma-
terica tra forma e contenuto, tra forza e resistenza, tra interno ed esterno, trova il suo apogeo nella sala del paradiso dantesco, dove la geometria delle stelle fisse è trasfigurata nella geometria delle colonne vitree. La lingua artificiale e universale della colonna è letta e compresa da qualsiasi cultura, religione, sistema politico, è un emblema del mondo. Non si comprenderebbe in altro modo il legame tra le varie architetture del mondo, e neppure la lunga storia degli ordini
ze o imprecisioni e fa immaginare che si possa veramente passare da un “mondo del pressappoco a uno della precisione”, abbandonando ogni problematica dell’esistenza riflessa nelle colonne dell’architettura. Il Danteum mostra che la liscia colonna moderna, come quella antica, è in grado di costruire un linguaggio universale, espressivo, non solo per comunicare racconti e episodi mitici, ma per costruire dimostrazioni di una scienza generale dello spazio. Queste dimostrazioni sono il nuovo vocabolario nell’uso espressivo del cemento armato, la cui lingua è costituita da nozioni semplici che esprimono una rappresentazione del pensiero moderno che è essenzialmente spaziale ( interno+esterno). Il catalogo delle geometrie combinatorie per il cemento armato è la base dell’architettura moderna; sezione aurea, reticolo, diagramma, tessitura, etc., sono la guida di ogni progetto che voglia essere moderno, cioè voglia collocare le cose nello spazio, per formare la lingua e il racconto espressivo dell’arte moderna.
e delle decorazioni di questo elemento primordiale di ogni epoca. La lunga storia degli ordini architettonici, ad esempio, è legata all’affinamento di dimensioni, proporzioni e decorazioni della colonna, in funzione dell’espressione di un contenuto della sua funzione strutturale. Nella modernità la colonna liscia, senza base, capitello, congiunge pavimento e soffitto senza fare riferimento alle decorazioni classiche.
Ora, nella modernità, l’espressione deriva dalla dimensione, dalla materia e dalla disposizione nello spazio; l’eliminazione di ogni riferimento naturalistico, volute, goccia, toro, etc. lascia la colonna priva anche di scanalature, di ogni possibilità espressiva oltre la sua fisicità; la colonna moderna non esprime più lo scorrere delle forze sulla sua superficie esterna e le sue difficoltà costruttive trasformate in decorazioni espressive. Il cemento armato non ha incertez-
Allora la geometria combinatoria, di qualunque tipo e di qualunque cultura, è l’anima stessa dell’architettura moderna, l’invenzione che caratterizza un pensiero non più ancorato ai valori volumetrici dell’800. E’ il progetto di lingua universale che dal Rinascimento italiano si estende alla modernità, attraverso il pensiero di Leibnitz; “ ai concetti e alle nozioni fondamentali vanno sostituite le figure di circoli, di quadrati e di triangoli variamente disposti; mediante la combinazione delle figure potranno essere espresse le relazioni e le combinazioni fra le idee.” (Attilio Terragni)
L’ARCHITETTURA MODERNA E’ SUBLIMAZIONE DELLA MATERIA “….improvvisamente gli apparirà la
Bellezza nella sua meravigliosa natura, quella stessa, Socrate, che era il fine di tutti i suoi sforzi: eterna, senza nascita né morte……….. Essa è senza tempo, sempre egualmente bella, da qualsiasi punto di vista la si osservi. E tutti comprendono che è bella. La Bellezza non ha forme definite: non ha volto, non ha mani, non ha nulla delle immagini sensibili o delle parole. Non è una teoria astratta. Non è uno dei caratteri di qualcosa di esteriore, per esempio di un essere vivente, o della Terra o del cielo, o non importa di cos’altro. No, essa apparirà all’uomo che è giunto sino a lei nella sua perfetta natura, eternamente
identica a se stessa per l’unicità della sua forma. …………….l’uomo deve salire come su una scala, e ancora avanti sino alla contemplazione della Bellezza in sé. Cosa proverà l’anima allora nel fissare la Bellezza pura, semplice, senza alcuna impurità, del tutto estranea all’imperfezione umana, ai colori, alle vanità sensibili? Cosa proverà il nostro spirito nel contemplare la Bellezza divina nell’unicità della sua forma? Credi forse che possa ancora essere vuota la vita di un uomo che abbia fissato sulla Bellezza il suo sguardo, contemplandola pur nei limiti dei mezzi che possiede, ed abbia vissuto in unione con essa? Non pensi, disse, che solamente allora, quando vedrà la bellezza con gli occhi dello spirito ai quali essa è visibile………diverrà tra gli uomini immortale?”
Sublimazione della materia; la “colonna di vetro” nell’angolo del Novocomum.Sotto; planimetria di palazzo da Francesco di Giorgio Martini.
LA RIVOLUZIONE DEL VETRO
Sublimazione della materia; la “colonna di vetro” nel negozio Vitrum, le colonne specchiate nel vetro alla casa del fascio di Como
Chi ha compiute seriamente le esperienze è favorevole all’aumento del vetro nella casa. Sono i primi passi verso la casa di vetro. Noi adoriamo il vetro. Come i chimici che gli preparano nuove giornate, nuova considerazione, nuova stima. Il vetro rivela ciò che è, non può nascondere, è il sinonimo della chiarità, è l’unico materiale fratello della luce, dell’aria, dello spazio. E’ per questo che vogliamo costruire la città di vetro. Perché vogliamo le città dove la luce arrivi fino alle cantine. Perché vogliamo controllare bontà per bontà, cattiveria per cattiveria, nella dimora dell’uomo, spinti da un desiderio di curiosità, di conoscenza, d’informazione. Dare luce, godere luce. Non respingete questo dono perfetto della natura. Non s’inquieti il signor borghese. Noi non lo vogliamo vedere nel bagno. E neppure quando s’impomata i capelli di brillantina. Diciamo che vogliamo fabbricare la città di vetro per mettergli paura. Per scombinarlo. Per metterlo a tu per tu con il fermentare delle idee. Come per fargli capire che ci siamo anche noi: gli esagerati: i saggi esagerati. Tuttavia, illusione da parte, il nostro programma paradossale di costruire
città di vetro, contiene e divulga un principio entrato ormai nella mente dell’opinione pubblica: far entrare più luce nella casa. L’inquilino, ormai, fa all’amore con una bella veranda protetta dal vetro, con uno squarcio di parete bislungo che gli dia il gusto dell’orizzonte. L’immagine del vetro antico è un’ampollina. Materiale femmina, da trattare con le morbidezze della femmina. Come questa, pronto a spezzarsi. La tecnica ha cambiato la natura del vetro. Una rivoluzione clamorosa. La femmina è diventata maschio. Le due grandi rivoluzioni dell’architettura, acciaio e vetro. Due materiali che non hanno bisogno di retorica, e nemmeno di anti retorica. Nel catalogo dei materiali, il vetro è balzato nella prima posizione, con gli attributi nuovi della sua natura cambiata. Vetro vuol dire luce condensata e solidificata con coesione metallica. E’ la luce che va sposa al metallo. I tecnici si immedesimano di offrire una lastra dura come l’acciaio, trasparente come l’aria. Allora, noi esteti, invadiamo i laboratori come volessimo fare il tifo, consenso, urgenza. Vogliamo questo vetro che serve per la nostra città. E’ il vetro che chiamiamo vetro da costruzione. Il materiale che non sta in soggezione di nessun altro materiale robusto. Un vetro che resista alla più grande prova di flessione per cancellare le delicatezze che fecero del vetro il fiore per il borghese. Il vetro che entusiasma i medici, che lo vogliono nella costruzione dei loro sanatori, tonificatore di corpi e menti. Il vetro reclamato dal maestro di scuola, dall’operaio, dal contadino. Il vetro invocato. (Giuseppe Terragni)
PROVE DI COLONNE DI VETRO CASA DEL FASCIO DI COMO Nello studio del federale, al primo piano della Casa del fascio di Como, c’è un pilastro lasciato grezzo in cemento e protetto da una teca di cristallo trasparente per tutta la sua altezza. Il cristallo è staccato da un lato del pilastro e lo protegge “ nell’immediata scabrosità della sua superficie lasciata allo stato naturale dopo il disarmo del cassero dopo il getto” Tra pilastro e cristallo è racchiuso il labaro della Federazione fascista e le insegne dei fasci giovanili di combattimento. Questa strana composizione plastica di vetro e granito sovrapposti “ vuole rappresentare anche nella materia-grezza la spontaneità dello squadrismo”, dell’epopea squadrista del 1919-1922. Nella visione del pilastro, nella sua figura isolata, noi sentiamo questo senso di potenza originale della rivoluzione, nel suo stato grezzo, rivoluzione politica che coincide con la rivoluzione dell’architettura moderna e dell’epoca moderna. Il pilastro grezzo della rivoluzione squadrista è il pilastro grezzo della primordialità moderna, come nella storia dei Maestri Comacini, il capitello cubico nelle navate di sant’Abbandio fa nascere uno stile connesso con tutta l’architettura del tempo, un modo nuovo di vedere tutte le forme, un pathos grezzo che si esprime nella semplicità minima dell’asse verticale. ATRIO Nell’atrio Casa del fascio di Como il pilastro non è più un elogio alla memoria o alla semplicità, alla nudità della verità costruttiva del telaio. Questo elemento, che ha attraversato tutte le civiltà, viene rivestito di una sottile pelle di vetro trasparente, con lastre appoggiate al materiale di finitura tradizionale, e fissate con alcuni viti al contorno. Il pilastro viene così sottoposto a un processo di vetrificazione, con un’invenzione di una pelle da lanterna magica che simula il suo glorioso passato di oppositore alla
forza di gravità e il suo trasferirsi in uno spazio sublimato e non più colmo di rilievi. Il pilastro si riveste di una fluttuante veste vetrata, facendosi vitreo, e enorme contenitore che acquista i lineamenti dell’oggetto d’epoca, racchiuso nel suo essere vivente con quella luce dall’apparenza scintillante che avvolge la sua routine quotidiana di elemento verticale del telaio osseo dell’edificio, sia quando sovrappongo una lastra trasparente a un materiale opaco, sia quando il vetro scopre prospettive da sempre nascoste nella sua opacità di Pieno. Con la vetrificazione c’è l’avvento di una rivoluzione del materiale opaco, la cui superficie per la prima volta, nasconde le tenebre della materia, dei suoi antenati e rivela l’illusione ( che rappresenta la volontà) di forme che vogliono partecipare allo splendore fluttuante del tempo, non più prigioniere di superfici barbute di rilievi, ma liberi di fluttuare nello spazio vuoto, come una morbida seta sospinta da un vento di luce. Sovrapponendo una lastra di vetro trasparente al Pieno opaco della materia si ottiene una smaterializzazione delle superfici che si arricchiscono di luminosità, d’immagini riflesse delle cose circostanti. Lo strano effetto si ottiene anche con la lucidatura a specchio dei materiali lapidei, in particolar modo con il marmo di colorazione nera, con la verniciatura a smalto di porte e intonaci, con la lucidatura delle finiture metalliche, con l’uso di pareti in vetrocemento, con la realizzazione di parapetti, divisori e arredi in lastre di vetro. nell’immediata scabrosità della sua superficie lasciata allo stato naturale dopo il disarmo del cassero dopo il getto” Tra pilastro e cristallo è racchiuso il labaro della Federazione fascista e le insegne dei fasci giovanili di combattimento. Questa strana composizione plastica di vetro e granito sovrapposti “ vuole rappresentare anche nella materia-grezza la spontaneità dello squadrismo”, dell’epopea squadrista del 1919-1922. Nella visione del pilastro, nella sua figura isolata, noi sentiamo questo senso di potenza originale della rivoluzione, nel suo stato grezzo, rivoluzione politica che coincide con la rivoluzione dell’architettura moderna e dell’epoca moderna, quel tumulto di avvenimenti della Sala O. Il pilastro grezzo della rivoluzione squadrista è il pilastro grezzo della primordialità moderna, come nella storia dei maestri comacini, il cui capitello cubico nelle navate di sant’Abbandio fa nascere uno stile connesso con tutta l’architettura del tempo, un modo nuovo di vedere tutte le forme, un pathos grezzo che si esprime nella semplicità minima dell’asse verticale del pilastro in cemento armato. (Attilio Terragni)
MONUMENTO AI CADUTI DI COMO Il primo esperimento per la realizzazione di colonne di vetro avvenne per il monumento ai caduti di Como. Il coronamento era infatti dotato di colonne vitrre lungo il perimetro e elementi furono pensati con formelle in vetro piegato, alte 10 cm e larghe 24, che,strutturate con un telaio metallico in “anticorodal b”, venivano sovrapposte l’una all’altra sino a comporre una colonna. Evidente fu l’intento di Terragni di completare l’’opera filologicamente costruendo la “torre faro” pensata da Sant’elia e di riutilizzare questa esperienza nell’ideazione della sala del Paradiso del Danteum.
LINEE FONDAMENTALI O DI RETTIFICA Aggiungono esattezza alle proporzioni di un complesso plastico-architettonico; servono di controllo non di guida nello studio di una facciata o di una pianta – debbono essere di importanza elementare, debbono essere dimostrazioni semplici di realtà geometriche persuasive o numeriche – debbono poter essere apprezzate con immediatezza dall’osservatore, debbono infine essere applicate nel proporzionamento di parti essenziali dell’edificio che l’occhio distingue inavvertitamente: il contorno della facciata, il vuoto di una finestra o di un porticato, pareti piene che equilibrano questi vuoti ecc. Fra i vari procedimenti quello basato sulla diagonale è certamente “essenziale” perché esprime con una sola linea la caratteristica del rettangolo di facciata. L’antichità ci ha tramandato alcuni procedimenti che ci testimoniano l’alto grado di civiltà raggiunto bei grandi periodi dell’architettura egiziana, greca, romana ecc. famosa fra questi la Sezione Aurea che fu applicata anche nelle composizioni pittoriche degli ultimi cinque secoli (dal trecento alla fine del settecento). Recentemente il Le Corbusier ha ripristinato il valore di queste linee fondamentali o determinanti che, è opportuno aumentare o creare il valore spirituale in un fatto di composizione architettonica. Mirano a stabilire una perfezione di rapporti attraverso una “calibratura” dei vari “pezzi” che compongono una facciata. Nella Casa del Fascio la Diagonale sulla facciata principale si compone con due rapporti che non sono più geometrici ma numerici. Il rettangolo è nel rapporto da 1 a 2 nelle sue dimensioni di altezza e lunghezza, le ossature portanti suddividono in modo uniforme l’intera facciata, questi due rapporti danno luogo ad un ritmo automaticamente fissato dalla necessità costruttiva generosamente messo in evidenza sulla facciata stessa. La diagonale sovrapponendosi a questo ritmo determina i grandi elementi costituzionali della fronte; le dimensioni della parete piena a sinistra l’altezza del piano rialzato (e quindi di tutti i piani) l’altezza delle grandi finestre longitudinali e con la normale alla diagonale pure l’altezza del parapetto e la suddivisione delle finestre di ventilazione nelle due ante scorrevoli. Le dimensioni delle finestre longitudinali sono pure controllate da due diagonali consecutive. (Giuseppe Terragni)
NOTA - ARCHITETTURA DEL DANTEUM La traduzione della Commedia in architettura avviene con una sequenza di stanze, collegate le une alla altre da un percorso ascendente. Lungo questo percorso si passa dall’ombra alla luce, simbolizzando un percorso della conoscenza dall’abisso infernale alla contemplazione paradisiaca, nel quale il visitatore, come nel viaggio di Dante, fa esperienza della geometria aurea, nelle sue diverse realizzazioni. S’inizia da due stanze, quella dell’atrio di ingresso, cortile aperto e vuoto di stacco dal mondo esterno, e quella della selva oscura, nella quale il poeta si è smarrito, ideata come un luogo composto da una fitta trama di cento colonne ( di un metro di diametro), molto ravvicinate tra loro e illuminate da linee di luce provenienti dal soffitto, intagliato con fessure che lasciano filtrare luce e ombra proprio come nel buio della vegetazione. La selva oscura ha colonne alte
8,20 metri, ognuna delle quali sostiene una lastra quadrata di pietra di 2 metri di lato; le colonne sono quindi distanziate le une dalle altre di 2 metri, e l’effetto è molto simile ad una foresta dove la luce giunge a terra filtrata dalle foglie e dai rami degli alberi, un mondo in cui il contrasto tra luminosità e oscurità è un combattimento senza sosta. La foresta di colonne richiama il
tempio di Luxor un tempo in cui il tempio era vivo e frequentato dagli antichi egizi. Dalla Selva oscura, attraverso un passaggio laterale, si giunge, nella “Stanza dell’Inferno”; sette colonne di dimensione variabile da 170 a 60 centimetri descrivono la spirale dell’Inferno e sono realizzate in un blocco unico di travertino, mentre le porzioni di pavimento e di soffitto relative a ciascuna di esse, staccate e leggermente sfalsate, sono costruite con struttura di metallo e lastre di granito. Avvicinandosi al centro della spirale è come se le colonne fossero risucchiate da un vortice e sprofondassero insieme ai riquadri di pavimento che le sostengono, trascinando con se anche la porzione di soffitto superiore, che “frantumandosi”, lasciano passare degli squarci di luce, che tagliano come lame l’ombra che avvolge la sala. Il colore rossastro del travertino, riportato nei disegni ad acquarello, completa la terrificante immagine della stanza, racchiusa da lastre nere di un soffitto che schiaccia le colonne sotto una forza che non è solo quella della gravità. In Dante la voragine dell’Inferno
ha la forma di un cono con la base minore rivolta verso il centro della terra e la base maggiore verso il bordo della terra .; i bordi dell’imbuto sono incisi a scalini orizzontali che formano anzitutto nove ripiani concentrici dove sono puniti i diversi peccatori. Questi cerchi della voragine sono quindi sempre più stretti a mano a mano che si avvicina al centro della terra. Dante riesce a passare da un girone all’altro perché immagina che tra i gironi vi siano dei punti dove vi sono state delle frane che permettono il passaggio all’altro ripiano. Queste frane sono fatte risalire al momento della morte di Cristo, quando avvenne un terremoto di grande potenza distruttiva; incredibile come tutto torni nella perfezione del sistema dantesco, anche di fronte a un fenomeno così poco geometrico come quello delle frane di un terreno! Nel Danteum la sofferenza fisica dei dannati, le diverse metamorfosi a cui sono sottoposti per l’eternità ( lasciate ogni speranza voi ch’entrate), viene custodita nella geometria spiralica delle sette colonne a sezione variabile, che generano la voragine di sette rettangoli di proporzioni auree, dove si raffigura il popolo dei dannati che la giustizia distribuisce secondo l’importanza dei peccati ( colonna grande o sottile). La regola che domina quest’universo carcerario è che la geometria corrisponde alla pena; più il cerchio si restringe, più il pavimento sprofonda e restringe le sue suddivisioni, più la pena aumenta. Ad esempio, nella parte alta dell’Inferno, cerchio più grande, abitano i senza infamia e senza lodo, mentre in fondo, nell’ultimo infinitesimo cerchi del cono, abita Lucifero, il più grande peccatore dell’universo. Il punto in cui si trova Lucifero,
A sinistra; Sala O, la X sul soffitto, con i pugnali; Sopra; Novocomum, foto delle scale, della corte interna, dell’edificio. Visioni abissali che ricordano la disposizione a spirale della Sala dell’Inferno. Si noti la fotografia originale del Novocomum con a destra la colonna in granito e a sinistra il grande cilindro vitro della casa. Un accostamento tra selva oscura, inferno e paradiso. Sublimazione della materia; la “colonna di vetro” nell’angolo del Novocomum.
la landa gelata in cui è immerso, è rappresentato nell’architettura dal centro infinito della spirale geometrica riprodotta nel pavimento; se fossimo anima, è proprio da questo punto che dovremmo passare tra i peli delle gambe di Lucifero, per entrare nella caverna naturale posta tra Inferno e Purgatorio, alla fine della quale con pochi gradini rivedremo le stelle. Nella stanza del Purgatorio la geometria è la medesima di quella
dell’Inferno; lo spazio è, infatti, organizzato con una spirale, disposta in piante nella direzione opposta (simmetria orizzontale) a quella dell’Inferno, ma con le medesime dimensioni e i medesimi rapporti aurei. La stesa geometria segreta crea però uno spazio diversissimo dal precedente, come richiesto dalla Commedia dantesca; ci troviamo in un percorso ascensionale, dove sette riquadri di pavimento si sollevano
Tagkio nella copertura dell’atrio della casa del fascio di Como che richiama i tagli del soffitto dell’Inferno. Facciata asilo sant’Elia con i tagli verticali e orizzontali nelle murature esterne, che richiamano quelli del Danteum
verso il centro spiralico della stanza e grandi riquadri, delle stesse dimensioni e geometrie, lasciano aperta la copertura della stanza alla vista del cielo. Il Purgatorio è privo di colonne, i riquadri sono lucernari con grandi serramenti metallici, scorrevoli orizzontalmente, il cui telaio è nascosto all’interno del piano di copertura, in modo che, come si vede nell’acquarello del purgatorio, il soffitto appaia realmente aperto verso l’alto; con le stelle e l’immagine del cielo che siglano il congedo dalle eterne torture, con la luce non filtrata dall’alto, che fa scoprire la terrestrità della seconda stanza. Dal Purgatorio, stanza della fede e della speranza, si sale, attraverso un passaggio stretto di 1,5 metri, alla Sala del Paradiso. La sala ha trenta tre colonne di vetro del diametro di 80 centimetri e alte sette metri , costruite con mattoni di vetro molato, rocchi sovrapposti l’uno all’altro, una copertura trasparente e realizzata con travi di vetro e acciaio e riquadri in mattoni di vetro ( con doppia camera d’aria),
Casa del fascio di Como; terrazza di copertura verso il Duomo
che richiamano il soffitto della Casa del fascio di Como. La travatura della copertura non coincide con la posizione delle colonne, le quali sono disposte al centro del riquadro da 2 metri di lato che è sorretto dalle colonne sottostanti della sala della Selva oscura. Il Paradiso è, infatti, sovrapposto in sezione alla sala della Selva e le sue pareti sono tutte tagliate secondo le linee del suo soffitto, con spazi di venti centimetri di vetro, che di nuovo richiamano il lungo taglio vetrato alla casa del fascio di Como. Delle cento colonne della Selva oscura, solo 33 si trasformano verticalmente in colonne di vetro, trasformando lo schema geometrico della grigliatura regolare in una composizione in cui le colonne sul perimetro vengono suddivise a metà. Questa operazione complica la
regolarità del Paradiso in cui una colonna va a coincidere con lo spessore del muro esterno, rimanendo in qualche modo esclusa da una composizione regolarissima. Dopo il Purgatorio, in questa sala ritroviamo le colonne, la cui materia si è trasformata lungo il nostro percorso da blocchi monolitici in travertino a vetro, incorporando la luce al loro interno. Questa trasformazione, che si sarebbe percepita percorrendo il tempio di Dante, è il trionfo della luce che nel Paradiso attraversa la cosa e la deifica, non in senso religioso, ma di una luce, nel buio romano, che si diffonde nella corporeità dell’architettura come presenza dell’universale moderno. Si pensi al procedimento analogo della scatola magica del cinema che in quegli anni, portando luce e movimento nella pellicola, crea lo
strumento più importante della comunicazione moderna., oppure alla costanza della velocità della luce nella fisica della relatività. La colonna si trasforma dalla sua esteriorità e corporeità nell’Inferno, nella sua assenza nel Purgatorio, alla sua luminosità universale nel Paradiso. Il ciclo creativo della colonna dall’antichità alla modernità trova la sua perfezione nella luce che attraversa la materia; se la materia è attraversata dalla luce, la sua fisicità è in rapporto allo svolgersi di un tempo infinito; le cose immerse nella luce divengono conduttrici di tempo e di luce. (Attilio Terragni)
A
S
C
E
S
I
All’ingresso delle necropoli antiche una scalinata portava al regno dei morti. Salendo figure enigmatiche, sfingi, dalla splendente libertà nella sovrapposizione di parti umane e organini poetici, non più solo funzione spigolosa ma morbidezza di contorno da lasciar intravvedere una forma spirituale, accolgono il visitatore verso il misterioso rifugio dell’anima. La scalinata trasporta dentro quel mondo proibito, è il confine, la soglia che l’architettura mette a disposizione per quella emozione del rincontrarsi, fuori dal frastuono del turbine della terra, in un nuovo spazio privo di significato. Un’escursione su un piano di pietra diagonale, liscio e delicato, interfaccia di contatti perseguitati da quello spazio del nulla sopra la nostra testa. Salire per incontrare il nulla; guardare da sotto i gradini, assurdi e mistici, che portano dove tutto finisce, i gradini della durata,1,2,3,4,5,6,….. e quel palcoscenico vuoto e luminoso là in cima. Memoria muscolare, forte, dura, scolpita nella pietra, senza alcuna magia, senza trucchi, etichette,marchingegni, telai; ogni volta che salgo una scala mi viene un brivido, un andare quando tutti sono già andati, sento il tempo che scorre dalla partenza, 1,2,3,4,5,6,7,…. Alzo la gamba, appoggio e rialzo, avvenimento raro sta occupando il posto di un camminare indifferente. E poi le scale sono altri segni del destino; l’architetto delle scalinate, ci muore su quelle scale, quelle scale che Baudelaire scrive i stupidi architetti non sanno dove mettere. (Attilio Terragni)
Sopra; scalinata del Monumento a Roberto Sarfatti, prima versione; Sotto; ingresso del Novocomum, taglio verticale sulla facciata in corrispondenza della scala interna. Pagina a fianco; lastra di granito nell’atrio della casa del fascio di Como
DANTEUM STANZE DELLA MEMORIA
memorizzare la ripetizione di salmi o di pregherie.”
Il Danteum si oppone alla crescita episodica e narrativa delle rappresentazioni del Divino Poema, come quella del Rosselli, dei pittori e degli scenografi, con uno schema di rapporti strutturali che danno la possibilità di prevedere scientificamente ogni suoi elemento costruttivo, sgombrando il campo da molti pregiudizi e convenzioni che impediscono all’architettura moderna di esprimere le sue valenze e la sua visione del mondo.
Il funzionamento delle stanze della memoria, secondo Frances Yates, era un’interpretazione normale dei luoghi sia nel Medioevo sia nelle epoche successive, luoghi immaginari che altro non sono che la trasposizione nello spazio e nelle immagini di discorsi, sequenze, conoscenze. Una tradizione mnemonica rinnovata anche dal Poema dantesco, nelle quali Inferno, Purgatorio e Paradiso vengono utilizzati come figure e diagrammi per vizi e virtù.
Il processo analogico della memoria è forse la parte più interessante dell’esperienza del Danteum, nella tradizione architettonica di rendere corporea la memoria, come nella cattedrale gotica che , come ha suggerito Panofsky, assomiglia a una summa scolastica, con le sue immagini e i suoi luoghi ben distribuiti per creare una memoria artificiale del testo filosofico.
Sebbene non sia difficile afferrare i principi generali dell’arte della mnemonica, imprimendo nella memoria luoghi con somiglianze efficaci con ciò di cui dobbiamo ricordare, le applicazioni nel mondo moderno e contemporaneo sono andate perdute; persino i programmi televisivi sono stati aboliti; ricordo Rischiatutto, il famosissimo programma dove il concorrente rispondeva a difficilissime domande di cultura generale, esibendo una memoria impressionante per avvenimenti, date, numeri, ultima esibizione dell’arte della memoria sul palcoscenico dei mass media contemporanei.
“L’arte della memoria, inventata dai greci, venne trasmessa a Roma e da lì passo alla tradizione europea. Quest’arte cerca di fissare i ricordi attraverso la tecnica di imprimere nella memoria luoghi e immagini.” Tutti i trattati sulla memoria del XV e XVI secolo sono manoscritti a stampa con disegni per mostrare le regole con cui oggetti e immagini possono essere distribuiti nei luoghi, in modo da poter essere richiamati facilmente alla mente dell’oratore. Ad esempio nelle illustrazioni del libro di Romberch che mostrano “ un’abazia con gli edifici connessi e gruppi di oggetti da memorizzare nel cortile, nella biblioteca e nella cappella dell’abazia, con l’intento di
memoria, dove le tre cantiche sono viste come strumenti della memoria per visualizzare al visitatore il percorso da compiere dai vizi e dai peccati dell’Inferno, alla grazia. In ognuna di queste stanze, spoglie di ogni decorazione, è possibile esercitare la nostra arte della memoria, inserendo oggetti, nozioni e immagini legate a queste esperienze fondamentali della nostra vita, che fanno da tramite tra lo spazio della conoscenza razionale e la nostra memoria. Inserito in questo quadro più vasto, la tematica del Danteum va spostata sul piano di una precisa conoscenza dello spazio delle sue stanze, la cui costruzione è paragonabile a quella, non dei teatri, come esplicitamente scritto nella relazione del progetto, ma di un tempio, nel quale si deposita, non una conoscenza del discorso retorico, ma una dialogo morale con la sua divinità protettrice; l’architettura.
E non è un caso che con la perdita dell’arte della memoria si sia disperso anche il senso dello spazio, della profondità, della luce, suggerito dalle regole sui luoghi virtuali della memeoria, i quali necessitavano di tantissima cura per far emergere con chiarezza le immagini; ad esempio non devevano esse ne troppo chiari ne troppo scuri, ne troppo regolari ne troppo irregolari etc.
Quindi non l’aspirazione di un teatro enciclopedico, capace di decifrare l’alfabeto del mondo, ma un tempio nelle cui stanze si fissa formalmente delle idee, promuovendo una scienza dei procedimenti plastici architettonici nei quali è possibile una rappresentazione delle idee mediante regole, combinazioni di ritmi e proporzioni. Le nozioni sono sostituite da figure geometriche come quella del rettangolo aureo, dei quadrati e dei cerchi, mediante la cui combinazione potranno essere espresse idee che imprimendosi nella nostra memoria aiutano l’immaginazione a presentare molte cose.
Il progetto del Danteum ci consente di tornare alla formazione di queste immagini memorabili dell’arte della
Imprimendo nella nostra memoria le stanze dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso saremo in grado,
ad esempio, di ricostruire più facilmente la storia dell’architettura, dalle ere pre-classiche, alla classicità, al mondo moderno. Ogni elemento costruttivo, dalla colonna al pavimento, dai muri perimetrali al soffitto, dalle luci alle ombre, contiene infatti la possibilità di richiamare alla nostra mente le caratteristiche dell’architettura delle varie epoche con molta precisione e soprattutto con un metodo strutturale. Il viaggio nell’architettura si svolge secondo lo stesso percorso del poema dantesco; l’atrio è una rappresentazione del mondo primitivo privo di progetto architettonico, e corrisponde al tempo perduto, la selva oscura è rappresentazione dell’architettura arcaica e del mondo antico, l’Inferno è rappresentazione del mondo greco, con la razionalità e la proporzione, il Purgatorio del mondo romano, con la sua scoperta
dello spazio interiore, il Paradiso del mondo moderno, con la sua sublimazione della materia nella luce della trasparenza. In questa serie il percorso ritorna al suo inizio nella sala dedicata all’Impero, la cui forma architettonica richiama le abitazioni primitive dell’oriente, concludendo il ciclo che riporta il visitatore all’inizio del suo percorso, ai primordi dell’umanità.
ATRIO – ERA PRE STORICA L’atrio d’ingresso è un luogo volutamente perso, senza uno scopo preciso. Rappresenta, nell’analogia con il poema letterario, gli anni di Dante prima del compimento del suo viaggio ultraterreno. Nel tempio della memoria architettonica l’atrio si fissa come un senso di vuoto e di abbandono, per la
prevalenza del senso del suo territorio chiuso e l’assenza di qualsiasi elemento architettonico al suo interno, dove e erano previste tre alberature. Prevalgono i caratteri dell’ambiente, il ricordo dei campi cerimoniali antichi, dei terreni sacri con cui si inizia il percorso di appropriazione dell’ambiente. Lo spazio è uno spazio scavato e di sottrazione, una rimanenza, la cui struttura e i cui materiali danno libertà di direzione e non indicano al visitatore nessun asse privilegiato, solo la vista su una foresta oscura.
SELVA OSCURA – LA COLONNA E LE PRIME CIVILTA’ UMANE – ERA STORICA Staccare la pietra dalla terra e dalla roccia e farne materiale da costruzione, che resta ancora oggi insuperato; questo l’inizio della storia dell’architettura che istituisce la ver-
ticalità con l’uso della pietra. Nella selva oscura la colonna monolitica di granito è un elemento di qualità formali astratte, in un’organizzazione dello spazio rigorosa secondo orientamenti ortogonali equivalenti. Fissa nella memoria l’organizzazione della struttura mentale di epoche nelle quali le forme sono espressione delle grandi forze della natura, il sole e la foresta in primo luogo. Nelle dimensioni, non proporzionate al loro scopo pratico, queste colonne si trovano nei templi antichi, in particolare, decorati con palme o fasci di papiri, nell’Egitto, a Karnak, come riportato nella planimetria del Danteum. La forma plastica della colonna di questa sala è solida e colossale, espressione della forza della natura non risponde a principi di statica costruttiva La sua figura, di granito monolitico, lineare e ripetibile. Siamo all’inizio del viaggio di una sezione dell’umanità che ha iniziato a interpretare il suo sito geografico, individuando i caratteri e stabilendo le coordinate fondamentali della propria azione, nel rapporto architettura natura delle prime civiltà umane. In questa visione la colonna monumentale rappresenta una storia fatta di grandi presenza individuali, in sintonia con la disposizione, ad esempio, delle grandi piramide egizie, o delle sale ipostile dei complessi templari che riproducono la creazione dell’universo, essendo simboliche dell’elemento liquido dal quale sorgono gli steli di papiro. Le colonne delle sale sostengono un soffitto cielo, la cui presenza è la rappresentazione in pietra della concezione di un mondo finito e delimitato dalla sfera celeste. Alla supremazia del verticale si affianca quella di ciò che è costante e non mutevole, un eterno pre-
sente, interminabile continuità dell’esistente, dove la morte fa da ponte tra un’esistenza e l’altra. Nel tempio egizio esiste uno spazio interno colonnato per le processioni sacre, che istituisce l’idea di sala come passaggio verso un luogo sacro; in questo senso la selva oscura rimanda a quell’idea del passaggio, alla sua funzione di spazio introduttivo alle sale della triade dantesca. L’architettura egizia ha interesse nella distribuzione dei singoli volumi nello spazio ( le piramidi, per esempio), mediante i quali stabiliva un rapporto dell’uomo con il cosmo. Nell’unico spazio interno dei cortili, circondati da colonne, che qualificavano il cortile come sacro, alla sommità era previsto un soffitto concepito in rapporto al cielo e alle stelle, che erano dipinti. Queste sale costituivano sempre l’ingresso, l’inizio del viaggio sacro all’interno del tempio, l’ascesa spirituale del santuario, una dimensione architettonica assente nell’architettura pre storica. La colonna monolitica di queste corti è quindi una narrazione astratta, dove sono i miti e i riti a ispirare la concezione tecnica e i dimensionamenti dell’architettura. Il numero e la geometria non hanno solo proprietà quantitative ma soprattutto qualitative. Il quadrato è l’espressione plastica più completa di questo mondo sacro, ogni piramide infatti aveva base quadrata. Un’ultima annotazione: nel palazzo costruito da Ciro il grande i Persia, l’ampliamento di Serse aveva portato alla costruzione di una sala delle cento colonne.
INFERNO – ARCHITETTURA GRECA Da numero di direzioni equivalenti, quindi infinite, dello spazio della
selva oscura, si giunge allo spazio dell’Inferno, dove i rapporti tra la colonna e la stanza si instaurano su un centro definito, quello della spirale che attraversa la geometria del rettangolo aureo; la dimensione verticale della colonna e il suo necessario completamento orizzontale di pavimento e soffitto, sono messi in proporzione, come nel tempio greco che inventa la costruzione della trabeazione sulla colonna. Lo spazio dalla predominanza verticale, si configura come rapporto tra verticale e orizzontale, in un sistema concepito razionalmente, riflesso di un mondo che ha dato senso alle cose, e lo ha espresso nella forma unitaria della costruzione, nella quale le parti individuali ( colonna, soffitti, pavimenti), hanno un proprio valore espressivo. La verticalità si proporziona in rapporto all’orizzontalità, alla trabeazione si proporzionano i capitelli, le volute etc. Nel tempio greco, il capitello è espressione della funzione portante e della disposizione orizzontale degli elementi, ed è interpretazione in senso costruttivo del tipo di decorazione orientale e egiziana. Se osserviamo il capitello ionico e il fusto della colonna egiziana è evidente che il primo sente lo sforzo, ne è plasmato, mentre il secondo oppone l’indifferenza della sua forma alla pressione del soffitto. Nasce la distribuzione e la qualità di spazi diversi l’uno dall’altro, non semplicemente accostati, ma definiti dalla trasformazione dell’ordine architettonico; diversi tipi di colonna per diversi tipi di ambiente, come le colonne più sottili della cella del tempio. Questo ragionamento dei greci permette di ampliare gli spazi tra una colonna e l’altra, di variarli in modo da consentire la costruzione di stanze di dimensioni diverse e quindi
introdurre la differenziazione di elementi e spazi, riportata nella diversità dei riquadri del pavimento e del soffitto della sala dell’Inferno. Nel tempio greco si studiano i rapporti modulari tra la base della colonna e l’interasse delle colonne, facendo nascere il problema del della proporzione tra chiuso e aperto, tra vuoto e pieno ( cella e peristasi). La colonna in questa nuova struttura spaziale rimane comunque schiacciata con un largo abaco alla sua sommità per poter accogliere la trabeazione orizzontale, e quindi tutta la ricerca si rivolge ai particolari decorativi per migliorare la fluidità delle figure, in unità verticali più armoniose ( tempio di Atena a Egina).
PURGATORIO – ARCHITETTURA ROMANA E CRISTIANA Nella terza stanza troviamo la terza struttura dello spazio nella storia dell’architettura; nel Purgatorio non ci sono più colonne e la sensazione di
leggerezza è amplificata dalle ampie aperture vetrate ne soffitto. La nozione di spazio coincide con quella di spazio interno scavato, struttura innovativa di Roma, espressa nella varietà delle volte e quindi nel Danteum nella varietà del soffitto. L’esperienza romana, fino al romanico, è caratterizzata, nel campo delle forme costruttive, dall’elaborazione di un linguaggio profondamente nuovo, come nel passaggio tra Inferno e Purgatorio, fondato sulla conquista dell’elemento espressivo specifico dell’architettura; lo spazio, che viene catturato all’interno di involucri murari privi di colonne. E’ uno spazio che circonda e si dilata, che ha un centro unitario, come nel Pantheon. Ha un suo mezzo tecnico nell’opera cementizia, e il suo principio costruttivo negli schemi di copertura, non più legata a interassi ridotti, ma dilatata a formare con le pareti un guscio continuo e unitario. E’ la copertura che genera l’azione di carico, che deve risultare visiva-
mente il meno gravosa possibile. Proportio, euritmia, symmetria sono fissati nel tentativo di ridurre il nuovo molteplice all’unità attraverso la creazione di un’idea di forma, espressione della bellezza intesa come un equilibrio che derivi le sue proporzioni dalla figura umana inserita nell’universo. Il paramento esterno diviene rivestimento differenziato rispetto alla sua struttura, fino a consentire una composizione autonoma di elementi lavorati a parte secondo schemi diversi. La muratura e le coperture vengono alleggerite con la formazione di nicchie e l’unità dello spazio può essere percepita solo mettendo in relazione simultanea pavimento e soffitto, quindi non più la visone analitica greca, di 1 colonna poi la seconda etc., ma una visione simultanea delle superfici. La luce del Purgatorio è zenitale come quella del pantheon, e annulla qualsiasi contrasto di chiaro e scuro, rendendo continua e quasi immate-
riale la massa muraria. PARADISO – ARCHITETTURA MODERNA Il Paradiso è stato immaginato, nella storia dell’architettura, nei chiostri medievali, che venivano considerati simboli del paradiso perché avevano la funzione di indurre alla meditazione. Di solito si trattava di un giardino di forma quadrata, circondato da una colonnato; uno spazio attraversato da brevi percorsi, a volte diagonali, o corsi d’acqua che incrociandosi disegnano le zone erbose, occupate da cespugli o zone di fiori. Questa disposizione geometrica rimanda alla perfezione del mondo paradisiaco, e hanno, spesso, al centro un pozzo che simboleggia il punto di partenza dei quattro grandi fiumi, che uscendo dal giardino dell’Eden, bagnano tutta la Terra. Nella storia della filosofia, Platone, nella Repubblica, racconta il mito del guerriero Er che, ritornato in vita dalla morte, descrive la propria esperienza dell’aldilà, in relazione alla beatitudine: “ Narravano i godimenti celesti e le visioni di straordinaria bellezza. Essi erano giunti in un luogo dove potevano scorgere una luce dritta come una colonna, molto simile all’arcobaleno, ma più intensa e pura.” Per Dante i beati sono raggruppati in forma di una grande rosa attorno a un lago di luce, originato dal riverbero di un raggio che promana da Dio, e che si riflette sulle superfici del cielo cristallino, al di sotto dell’empireo. Nell’ultimo canto del paradiso, Dante riferisce la breve visione della trinità divina, e la vede nella forma di un cerchio di tre colori diversi, in cui nel primo
si riflette come un arcobaleno, la luce del primo, mentre il terzo spira come fuoco dai primi due. Nella sala del Danteum queste esperienze architettoniche, filosofiche e letterarie sono plasmate in una sala quadrata con 33 colonne di vetro, formate da rocchi sovrapposti l’uno all’altro, con un soffitto a travatura e superfici di vetro, con un pavimento intessuto di luci. Nella storia dell’architettura si tratta della modernità a cui è affidato il compito di sublimare nella luce e nella trasparenza le concezioni del passato. E’ l’esperienza dell’innesto della superficie e della colonna vitrea nella struttura del telaio, con molti riferimenti alle architettura di Giuseppe Terragni, quali il Novocomum, il Vitrum, il monumento ai caduti di Como, la casa del fascio di Como. SALA DELL’IMPERO Il viaggio termina da dove era iniziato. La sala nella sua configurazione torna alle origini dell’architettura, a quelle costruzioni sacrali, il cui tipo si può ancora osservare nella Galizia, in Spagna. Si tratta di cappelle su pilotis, dalle severe linee che tagliano le murature esterne, come quelle del Danteum. Hanno un pavimento sollevato in lastre di granito e i tagli avevano la funzione di ventilazione dello spazio interno. Sono sospesi di pilastri di pietra e il folklore racconta che l’eroe di quest’abitazione andava a passeggiare la notte. Un eroe invisibile che guida il proprio popolo come l’imperatore di Dante e il duce di Giuseppe Terragni. (Attilio Terragni)
Paradiso e architettura moderna; Asilo Sant’Elia vista della pilastratura e della facciata sulla corte interna, vetrocementi della Casa del fascio di Como e della Casa alla Triennale di Milano. Sotto interno del Novocomum.
DANTEUM.OGGI Se le architetture di Andrea Palladio sono presumibilmente quelle più replicate e se le architetture di Giovanni Battista Piranesi sono probabilmente quelle più riprodotte, le architetture di Giuseppe Terragni sono certamente quelle più ridisegnate. Soprattutto dopo l’avvento dell’era digitale. Infatti, anche solo sfogliando i saggi più recenti di teoria dell’architettura, capita sovente di essere colpiti da analisi grafiche sofisticatissime (volte a smascherare il carattere erudito dei tracciati proporzionali sottesi1) e da sezioni assonometriche dettagliatissime (volte a palesare il carattere innovativo delle soluzioni costruttive adottate2) che peraltro, a ben guardare, sono concentrate quasi ossessivamente sulla Casa del fascio e sulla Casa GiulianiFrigerio. Ma ancor più, navigando in rete, è pressoché impossibile non imbattersi, anche occasionalmente, nel fotorealismo ammaliante di modellazioni solide e di simulazioni infografiche dedicate al Danteum: un progetto irrealizzato dal punto di vista materiale, ma iperrealizzato dal punto di vista immateriale, in quanto costituisce una sorta di test obbligato per chiunque sia impegnato nell’apprendimento pratico dei software di computergrafica. Forse perché il progetto ideato da Terragni e Lingeri per l’area dei Fori Imperiali di Roma prefigura un’architettura a tutto tondo, in cui composizione, costruzione ed evocazione sono serrate in un nodo borromeo indissolubile. O forse perché si tratta di un’architettura che, anteponendo le ragioni alle funzioni, è pregna di valenze didascaliche. Non a caso la maggior parte dei render pubblicati nei diversi siti internet sono riferibili a corsi universitari frequentati dagli studenti di architettura e di ingegneria di ogni parte del mondo: da Londra a Zurigo, da Harvard a New York, da Melbourne a Tsukuba. Eppure, nonostante i virtuosismi informatici sfoggiati oltrefrontiera, la strada maestra per la conoscenza profonda del Danteum passa sempre e comunque dalle nostre parti. E continua a essere segnata dai magniloquenti disegni a china eseguiti nella Facoltà di Architettura di Firenze nel “Laboratorio di Progettazione Architettonica IV” tenuto in anni accademici ormai lontani (1996/97, 1997/98, 1998/99) da Gian Carlo Leoncilli Massi3 (forse l’ultimo
grande accademico umbro). Quando cioè la scelta del tema progettuale ricadde su un Danteum contemporaneo piantato nel cuore del Giardino di Boboli come «scelta del silenzio contro il rumore – ovvero come pretesto per rivendicare la propensione dell’architettura ad essere – “ordine” e non dissoluzione o caos – dando voce al – rifiuto […] delle mode correnti e all’accettazione […] dello studio e della ricerca»5. Una scelta controtendenza, che tuttavia ha lasciato il segno, ispirando e in qualche modo anche orientando il senso delle tre iniziative didattiche intraprese nel corso di laurea in Ingegneria edileArchitettura dell’Università degli Studi di Perugia di concerto con i curatori della mostra allestita presso il CIAC_Centro Italiano per l’Arte Contemporanea di Foligno per rivendicare l’attualità di Terragni (e del Danteum): un workshop riservato agli studenti del “Laboratorio di Progettazione digitale” (volto a ravvivare il confronto critico con le radici più profonde della modernità italiana), un’esercitazione individuale ritagliata nell’ambito del corso di “Tecniche della rappresentazione” (volta ad approfondire i principi parametrici affioranti dai progetti di Terragni in cui sono esplorate forme geometriche complesse) e un’esercitazione di gruppo assegnata nell’ambito del corso di “Progettazione digitale” (volta a dimostrare che il Danteum può assolvere ancora oggi, a pieno titolo, il ruolo di veicolo dell’identità culturale italiana). Esercitazione, quest’ultima, fondata sulla riambientazione (e quindi sulla rivisitazione) del Danteum in un’area tra le più intricate (e intriganti) delle nostre città storiche, quale la centralissima Piazza Italia di Perugia. Il che è sembrato interessante, dal punto di vista della ricerca, per almeno tre ragioni. Prima di tutto perché l’area su cui un tempo sorgeva la rocca Paolina, interpretata non solo come risalita meccanica atta a garantire l’accessibilità fisica dell’acropoli, ma anche come percorso di elevazione spirituale analogo alla sequenza dantesca Inferno-Purgatorio-Paradiso, fornisce un’occasione irripetibile per prefigurare la riconfigurazione di un nodo urbano che riassume in sé le qualità e i vizi della città italiana. Poi perché l’area su cui Alessandro Arienti ha sostruito il centro direzionale postunitario, suggellandone il ruolo di landmark della stratificazione urbana, fornisce un contesto ideale per rinnovare la sfida del confronto tra passato e futuro che, da sempre, contrassegna e qualifica la città
italiana. Infine perché l’area occupata un tempo dall’antico quartiere dei Baglioni, assunta come interfaccia fisica e percettiva tra città e territorio, fornisce un pretesto prezioso per riaffermare il valore del centro storico quale nucleo genetico della città italiana. Ma forse c’è un’altra ragione che ha suggerito la riambientazione perugina del Danteum: la curiosa coincidenza per cui, negli stessi anni in cui un grande architetto come Giuseppe Terragni progetta, per Roma, un memoriale di pietra dedicato alla Divina Commedia, un grande pittore futurista come Gerardo Dottori allestisce, a Perugia, un ristorante (L’Altro Mondo) ispirato ai luoghi ultraterreni descritti nel poema dantesco, laddove “un angusto corridoio in pietra, scandito da archi a sesto acuto e piccole lanterne, era il Purgatorio; […] il Paradiso si trovava in una saletta sopraelevata e sulla parete erano raffigurate ‘stelle vicine e lontane, meteore tagliate da raggi, dischi mossi da volute ad elica, piani e vie infinite di luci e di ritmo, cupole ed archi di cielo; […] l’Inferno era situato dalla parte opposta del Paradiso, articolato in due piani sovrapposti, legati da una balaustra in ferro – e circondati da pareti che creavano un’atmosfera demoniaca – con lingue di fuoco, ali di pipistrello, figure sinistre”. Purtroppo però non rimangono tracce né del Danteum, rimasto sulla carta per l’insorgere delle prime resistenze ambientaliste verso un edificio che sarebbe dovuto sorgere in contiguità alle vestigia archeologiche di via dell’Impero, né dell’allestimento del ristorante L’Altro Mondo, cancellato da uno sciagurato intervento di ristrutturazione edilizia perpetrato nei primi anni settanta. Forse il messaggio di una sperimentazione didattica per certi versi eretica, in quanto assume un tema avverso all’intangibilità aprioristica dei nostri centri storici, è tutto qui: opporsi alla paura del nuovo, quando il nuovo è di qualità, e contrastare il nuovo, quando il nuovo non è di qualità. Perché l’università, prima che informare, deve formare. E il Danteum di Terragni, incarnando un tempio della modernità in cui “si interna ciò che per l’interno si squaderna” (Paradiso, 33.85-87), è subito sembrato un pretesto formidabile per contribuire a formare, anche eticamente, i progettisti del futuro. ( Paolo Belardi)
Pianta quota + 4,30
Pianta quota +7,00
Pianta quota +9,70
Prospetti
IPOTESI PER UNA RICOSTRUZIONE II disegni che presentiamo sono un ridisegno del Danteum basati sulla ricerca condotta e presentata in questa pubblicazione. Si parte dalla costruzione di due quadrati aventi entrambi lato di 40.0 m., sfalsati orizzontalmente di 2.50 m. (1.60 +0.90), e orizzontalmente di 16.0 m. Si ottiene un disegno formato da tre rettangoli. Nel rettangolo di sinistra si possono disegnare due quadrati di lato 20.0 m. sovrapposti (Atrio e Selva oscura). Così facendo otterremo un altro rettangolo di base 4.0 m. per 40.0 m. di altezza, che si va a sottrarre al rettangolo di destra dei tre iniziali. Dividendo il rettangolo centrale dei tre iniziali in due verticalmente e tracciando orizzontalmente una linea dal punto di incrocio dei due quadrati di lato 20.0 m., si ottiene in basso un rettangolo aureo di base 28.0 m. e altezza 17.4 m. (Inferno). Copiando il rettangolo sul lato alto del quadrato di destra dei due iniziali, si ottengono due rettangoli aurei (Inferno e Purgatorio) di base 28.0 m. per 17.4 m. di altezza. Tra i due quadrati del rettangolo di sinistra e i due rettangoli del rettangolo di destra, si ottiene una T rovesciata formata da due rettangoli (Impero). (Gino D’Andrea)
DANTEUM - DATI DI PROGETTO INGRESSO: Area: 430.0 mq Altezza: Quota: da +0.00 m. a +1.60 m. SCALINATA: Area: 90.0 mq Altezza: Quota: da +0.00 m. a +8.40 m. ATRIO: Area: 380.0 mq Altezza: Quota: +1.60 m. BIBLIOTECA: Area: 470.0 mq Altezza: 6.70 m. Quota: +0.00 m. SELVA OSCURA:
Area: 400.0 mq Altezza: 7.80 m. Quota: +1.60 m. PASSAGGIO SELVA OSCURA – INFERNO: Area: 275.0 mq Altezza: Quota: da +1.60 m. a +4.30 m. INFERNO: Area: 450.0 mq Altezza: 7.80 m. Quota: +4.30 m. PASSAGGIO INFERNO - PURGATORIO: Area: 55.0 mq Altezza: Quota: da +4.30 m. a +7.00 m. PURGATORIO: Area: 500.0 mq Altezza: 7.80 m. Quota: +7.00 m.
PASSAGGIO PURGATORIO - PARADISO: Area: 20.0 mq Altezza: Quota: da +7.00 m. a +9.70 m. PARADISO: Area: 330.0 mq Altezza: 7.80 m. Quota: +9.70 m. PASSAGGIO PARADISO - IMPERO: Area: 145.0 mq Altezza: 7.80 m. Quota: +9.70 m. IMPERO: Area: 90.0 mq Altezza: Quota: +9.70 m.
AREA TOTALE: 3650.0 mq ALTEZZA TOTALE: 1.6 m. + 16.5 m.
Siamo così abituati a considerare le realizzazione dell’architettura di Giuseppe Terragni come oscillanti tra modernità e novecentismo, come strumenti della funzionalità o come prolungamenti di esperienze maturate in altre parti d’Europa, che riesce difficile ammettere che questi progetti nascano da rapporti con un’origine diversa. In particolare le illustrazioni e le analisi storiche sul Danteum, non sono riuscite a cogliere la modernità di questo progetto, reclamata dal suo autore, impegnato certo a ottenere effetti sottilmente diversi dall’architettura della città funzionale, ma sempre con l’evidente preoccupazione di ottenere una monumentalità moderna e dare evidenza agli elementi costruttivi per risolvere con rigore un tema poco affrontato dal movimento moderno. I disegni e le illustrazioni del Danteum, sono collegati alla tradizione della rappresentazione di quegli anni; nell’accentuata sintesi della rappresentazione, ricorrono molti segni grafici legati a un repertorio visivo che caratterizzava la grafica dell’architettura moderna. I rivestimenti in marmo, ad esempio, sono descritti con la preoccupazione del casellario, riquadrando la facciata per distinguere le singole pietre che la costituiscono, in modo da esprimere sia il fatto costruttivo che la rispondenza ai numeri del Poema. Questa rappresentazione sembra avere un interesse decorativo, mentre, analogamente ad altri progetti, come il concorso del palazzo Littorio, sulla medesima area, o la Casa del fascio di Como, esprime una finitura a blocchi accostati, il cui risultato visivo è di una superficie omogenea, che permeava gli edifici moderni.
L’esigenza di comunicare il progetto a Mussolini, di divulgare con chiarezza alcuni aspetti monumentali per soddisfare le esigenze visive di amministratori e burocrati, ha portato alla redazione di piante, sezioni e prospetti in cui si sono perdute, sia dal punto di vista di un estetica moderna sia da quello di intenti progettuali, alcuni importanti dispositivi adottati da Giuseppe Terragni, per contrapporsi a quella immagine fiabesca evocata dal linguaggio convenzionale della presentazione ufficiale.
A questo proposito Ico Parisi, dello studio di Giuseppe Terragni al tempo del Danteum, ricordava le forti e animatissime discussioni tra l’architetto e Pietro Lingeri sulla rappresentazione del progetto (e non è detto che proprio su questa contrapposizione entrò in crisi il loro rapporto professionale). Gli schemi astratti del Danteum , la sua complessa cornice architettonica, necessita infatti di rappresentazione di una precisione assoluta, l’uso dello strumento
prospettico con molteplicità di punti di fuga, e una descrizione tecnica come pretesto per una messa in scena di una macchina artificiale della memoria, per rendere la volontà matematica di quelle fasce orizzontali di marmo, di quei rapporti tra pieno e vuoti, in cui l’architettura di Giuseppe Terragni assume a ruolo di capolavoro. Tornando ai disegni preparatori conservati nell’archivio Terragni, abbiamo cercato di comprendere gli aspetti ambigui dei disegni della
Danteum;
analisi
della
costruzione
trasforma in un’operazione, condensando le esperienze letterarie in formule e leggi che ne consentono una lettura analitica e sintetica allo stesso tempo.
famosa presentazione a Mussolini; riteniamo che il concetto di macchina della memoria abbia un rapporto tutt’altro che ambiguo con il Danteum, e mostra la sua autonomia e il suo dialogo con i modelli umanistici di Rosselli, di Camillo, di Giordano Bruno.
(Attilio Terragni)
Questa architettura sembra tratta di peso dalla meccanica contemplativa rinascimentale, con l’avvicinamento della tecnica e della scienza ai principi della natura umana e della arti liberali. Il pensiero architettonico si
della
pianta
secondo
lo
slittamento
dei
quadrati
e
il
rettangolo
aureo
BIOGRAFIA DI GIUSEPPE TERRAGNI Quando Giuseppe Terragni si iscrive alla scuola superiore di architettura del Politecnico di Milano, nell’autunno del 1921, è un bel ragazzo di quasi diciotto anni, di buona famiglia, con un brillante avvenire davanti a sé. Ultimo di tre figli di un capomastro divenuto affermato impresario edile, nasce a Meda il 18 aprile del 1904. La famiglia si trasferisce a Como nel 1909 e nel capoluogo lariano il giovane Terragni vive una serena giovinezza e si diploma al locale Istituto Tecnico. Al Politecnico Giuseppe si rivela studente promettente ma insofferente all’insegnamento accademico, improntato ancora su una obsoleta concezione della figura dell’architetto; si laurea nel 1926 e immediatamente si sente libero di lavorare come crede veramente, aprendo uno studio con il fratello Attilio e il caro amico Luigi Zuccoli, che gli sarà collaboratore fedele fino alla morte. Già tra il 1926 e 1927 Terragni si impegna instancabilmente, come per altro farà nei restanti anni della sua carriera, in progetti e concorsi per opere pubbliche e private. Nei progetti di primo e secondo grado per il Monumento a i Caduti di Como, nella facciata dell’Hotel MetropoleSuisse della stessa città, nel Monumento ai Caduti di Erba, si intuiscono già quegli elementi di novità che porteranno Terragni a dare una svolta all’architettura italiana, liberandola da nostalgie eclettiche e storiciste per dare vita ad un linguaggio moderno, al passo con le tendenze che si stanno affermando in Europa ma al contempo intrinsecamente legato alla cultura architettonica italiana. Nel 1923 Le Corbusier aveva pubblicato Vers une achitecture e questo testo, arrivato a Terragni e ai suoi compagni di studi grazie ad amici parigini, segna un punto di svolta
per la carriera di molti giovani talenti; finalmente qualcuno teorizzava apertamente un’estetica pura e minimale fondata sulla ricerca tecnica e lo studio delle potenzialità dei materiali. Nel 1926 Terragni, Ubaldo Castagnoli – poi sostituito da Adalberto Libera - Luigi Figini, Guido Frette, Sebastiano Larco, Gino Pollini e Carlo Enrico Rava danno vita al Gruppo 7 e con il motto “bisogna portare l’Europa in Italia e l’Italia in Europa” aprono l’importante stagione del Razionalismo. Terrangni ne è l’interprete più geniale, riuscendo a non privare “l’estetica della macchina” promossa da Le Corbusier di un potente respiro poetico che umanizza le sue opere e le connette, pur nell’assoluta modernità, con quella tradizione autenticamente classica della migliore architettura italiana. I giovanissimi esponenti di Gruppo 7 pubblicano il loro credo su una piccola rivista, Rassegna Italiana, indicando come loro maestri Behrens, Mies Van Der Rohe, Gropius, ovviamente Le Corbusier e nel provinciale ambiente culturale italiano non suscitano certo il plauso unanime. Il momento di svolta è tuttavia imminente, nel maggio del 1927 si inaugura la III Biennale di Arti Figurative di Monza e il comitato organizzatore, costituito da Carrà, Ponti, Sironi e Margherita Sarfatti che stringerà con Terragni una profonda a duratura amicizia – sostiene chi propone opere dal linguaggio innovativo. Grazie alla Biennale di Monza gli esponenti del Gruppo 7 vengono chiamati a rappresentare l’’Italia al Werkbund di Stoccarda, la grande rassegna di progettazione internazionale guidata da Mies Van de Rohe. Dopo il Werkbund la consacrazione, con la Prima Mostra Italiana di Architettura Razionale inaugurata nella primavera del 1928 al Palazzo delle Esposizioni di
Roma. Il Razionalismo conquista Roma Proprio in occasione dell’esposizione romana Terragni presenta un progetto che diventerà la sua prima opera importante effettivamente realizzata: il Novocomum. Un’opera che desta scalpore e fa uscire l’architettura razionalista da un ambito puramente teorico. La nuova idea di “casa “ che porta avanti Terragni risolve l’ornamento nel rapporto fluido fra spazi interni ed esterni, nel gioco dei volumi e dei materiali che devono assicurare funzionalità, luminosità, igiene. Nel 1930 nasce il Miar, Movimento Italiano per l’Architettura Razionale, e nonostante alcune resistenze di critici e di celebri architetti di regime, come Marcello Piacentini (che tuttavia più tardi farà proprie molte tesi razionaliste), l’establishment culturale fascista accoglie la svolta razionalista e per la mostra sul decennale della marcia su Roma a Terragni viene affidato l’allestimento della sala “O” del ’22, che risulterà memorabile. Terragni aderisce al fascismo iscrivendosi al partito nel 1926, condividendone profondamente alcuni valori e lo slancio rivoluzionario e innovatore dei primi tempi, soprattutto in ambito culturale; come avrebbe affermato più tardi Ernesto Rogers, molti progettisti come Terragni seguirono un ragionamento di tipo sillogistico: se il fascismo era una rivoluzione e l’architettura moderna era rivoluzionaria, l’architettura moderna doveva essere l’architettura del fascismo. Proprio per una sede del partito Terragni progetta e realizza, tra il 1932 e il 1936 il suo edificio più importante: la Casa del Fascio di Como. Per l’ opera che rappresenta il luogo in cui si dovevano vivere e concretizzare gli ideali in cui l’architetto credeva sceglie volumi puri, luce,
colore e trasparenza; trova un motivo archetipo, quello del telaio, che propone nell’incrocio delle linee longitudinali e trasversali delle facciate e che diventerà il leitmotiv della sua architettura. Alle spalle dello storico Duomo evita un possibile quanto anacronistico accostamento “in stile” a favore di una modernità assoluta data dall’astrazione, rifuggendo – come era nel suo carattere - ogni tentazione retorica o propagandistica. Ritorno nella “capitale morale” dell’architettura contemporanea Nel 1933 Terragni vuole continuare la sua battaglia per l’affermazione del razionalismo senza rischiare di chiudere la sua carriera nel pur amatissimo ambiente di provincia. Con grande entusiasmo e con la collaborazione dell’amico e collega Pietro Lingeri apre un nuovo studio a Milano. Queste le sue parole al gallerista Bardi prima di cominciare l’avventura milanese: “…Mi vedrai scossa di dosso la polvere e l’inerzia di questa mia vita provinciale. Attivo, anzi attivissimo, nella polemica e nelle opere…” Motore economico del paese, il capoluogo lombardo diventa anche centro della nuova architettura, e da qui Terragni e Lingeri lavorano instancabilmente a progetti e concorsi che interessano tutto il territorio italiano e che purtroppo spesso non diventano operativi perché bloccati da commissioni che, con membri ben posizionati nei ruoli chiave del potere, non intendevano ancora accettare la svolta razionalista. Sempre nel 1933 partecipa alla fondazione della rivista “Quadrante”, una testata d’eccezione dove le istanze dei nuovi architetti trovano la piena espressione. Il lavoro non manca e nascono nuove opere, cinque “case da reddito” a Milano, palazzine a più piani suddivise in appartamenti d’affitto; due ville nel
comasco, la “ Villa del Floricultore” e la Villa Bianca di Seveso, un altro dei suoi capolavori. Tra i 1934 e il 1937 vede la luce l’Asilo Sant’Elia, dedicato al visionario architetto futurista, modello per tutti i progettisti moderni. Questo asilo candido e luminoso, tutt’ora operativo, è la terza grande opera di Terragni nella città di Como, dopo la già ricordata Casa del Fascio e l’edificio residenziale “Novocomum”, e consacra la città lariana a capoluogo del razionalismo. Venti di guerra Se la carriera di Terragni è ormai costantemente in ascesa l’Italia si avvicina inesorabilmente alla catastrofe della seconda guerra mondiale. L’architetto riesce a portare a termine la casa del Fascio di Lissone, la Casa Giuliani Frigerio a Como, in parte le Case popolari di Via Anzani sempre a Como. Grandi progetti milanesi come la Nuova Fiera e la nuova sede dell’Accademia di Brera, oppure, a Roma, il Palazzo del Littorio, il Palazzo dei ricevimenti e dei congressi all’E42 e il Danteum non verranno invece mai realizzati. Nel 1939 viene richiamato alle armi. Parte per la Jugoslavia come capitano di artiglieria e successivamente segue l’esercito italiano nella disastrosa campagna di Russia. Nei primi tempi, nonostante le ovvie difficoltà, Terragni affronta la vita militare con l’abituale energia e determinazione, continuando a seguire i suoi progetti per via epistolare e coltivando – nei limiti del possibile – l’antica passione per il disegno e la pittura. Così scrive dal fronte: “…Qui ho già fatto qualche disegno a matita e vorrei coltivare, nelle pause della guerra, questo risorto desiderio artistico. Perché questo paese è di un interesse veramente singolare e sarebbe bello ritrovarselo oltre che nella documentazione fotografica anche nella personale artistica, a
distanza di anni…” Questo sogno non era purtroppo destinato e realizzarsi. Le guerra diventa sempre più aspra, Terragni perde via via i compagni d’arme più cari e sopravvive al conflitto minato nel corpo e nello spirito. Ammalato, è rimpatriato nel 1943 e muore per una trombosi cerebrale nel luglio dello stesso anno. L’amico Radice racconta che si trovava solo in casa, sentendosi male telefonò alla fidanzata e cercò di raggiungerla, visto che abitava poco lontano. Non riesce a farlo, cadendo a terra sulla soglia della casa di lei. Indossava, come faceva da quando era tornato dal fronte, il vecchio soprabito militare con in tasca alcuni fiori secchi colti sul fronte russo: aveva solo trentanove anni.