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P R E FA Z I O N E all’edizione italiana
Essere giovani non vuol dire sempre la stessa cosa, in ogni epoca e in ogni luogo. Prova a chiedere a tuo nonno, che tipo di “giovane” era? Portava le basette lunghe, i capelli impomatati e ballava il rock’n’roll? Allora era un teddy boy. Se invece i capelli erano corti, si spostava in Vespa o Lambretta e amava la musica dei Beatles, era un mod. L’idea di generazione come la intendiamo noi è molto recente, non ha neppure 80 anni. In occidente bisogna infatti attendere il boom economico che seguì la II guerra mondiale per ritrovare i “giovani”, intesi come gruppo anagrafico, sociale e culturale separato dagli adulti. Teddy boy, rocker, mod furono le prime “sottoculture” giovanili che, dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra, si diffusero nel resto dei paesi occidentali creando vere e proprie “mode” che solo i più giovani apprezzavano e seguivano. Era l’epoca della cosiddetta “gioventù perduta”, della paura scatenata dal rock’n’roll e da scelte che mostravano un certo spregio delle convenzioni. Tutti comportamenti che oggi ci fanno sorridere, ma che allora scatenarono un vero e proprio panico morale: cioè un allarme collettivo ingiustificato pompato dai mass media. Prima di allora i giovani erano semplicemente “piccoli adulti”, in pantaloncini corti anche d’inverno; dagli anni 1950 e 1960 i giovani diventarono un gruppo sociale separato, con comportamenti, consumi e desideri radicalmente diversi da quelli dei matusa. Da allora le generazione si sono susseguite, ognuna ha adottato simboli, mode e linguaggi distinti per raccontarsi e cercare un