I bambini vogliono essere portati

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Evelin Kirkilionis

i BAMBINI vogliono essere PORTATI TUTTO QUELLO CHE C’È DA SAPERE SUL BABYWEARING E I SUOI BENEFICI



Evelin Kirkilionis

I bambini vogliono essere portati Tutto ciò che c’è da sapere sul babywearing e i suoi benefici

Terra Nuova Edizioni


Evelin Kirkilionis

I bambini vogliono


essere portati Tutto ciò che c’è da sapere sul babywearing e i suoi benefici Fotografie di Susanne Krauss Traduzione di Gabriele Bindi

Terra Nuova Edizioni


Direzione editoriale: Mimmo Tringale e Nicholas Bawtree Curatrice editoriale: Antonella Gennatiempo e il Centro Studi Scuola del Portare - Italian Babywearing School® Autore: Evelin Kirkilionis Titolo originale: Ein Baby will getragen sein. Alles über geeignete Tragehilfen und die Vorteile des Tragens ©2013 Kosel Verlag, a division of Verlagsgruppe Random House GmgH, Munchen through Giuliana Berardi Literary Agent Traduzione: Gabriele Bindi Editing: Paola Andrisani Direzione grafica e copertina: Andrea Calvetti Impaginazione: Alessia Maglione Fotografie di Susanne Krauss ©2020, Editrice Aam Terra Nuova, via Ponte di Mezzo 1, 50127 Firenze tel 055 3215729 – fax 055 3215793 – libri@terranuova.it – www.terranuovalibri.it I edizione: maggio 2020 Ristampa VI V IV III II I

2025 2024 2023 2022 2021 2020

Collana: Genitori e figli ISBN: 9788866815198 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, memorizzata in un sistema di recupero dati o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, inclusi fotocopie, registrazione o altro, senza il permesso dell’editore. Le informazioni contenute in questo libro hanno solo scopo informativo, pertanto l’editore non è responsabile dell’uso improprio e di eventuali danni morali o materiali che possano derivare dal loro utilizzo. Stampa: Lineagrafica, Città di Castello (Pg)

Informazioni Tutte le informazioni, i consigli, le istruzioni sulle tecniche di legatura che si trovano in questo libro sono state accuratamente testate dall’autrice. Si basano, cioè, su un’esperienza pluriennale e su ricerche scientifiche di ampio raggio, convalidate dalla pratica. L’uso e l’applicazione di queste informazioni da parte del lettore ricadono sotto la sua responsabilità. L’autrice e la casa editrice non possono in alcun modo risponderne di fronte alla legge. Il libro è una rielaborazione del lavoro dell’autrice edito da Kösel – Verlag nel 1999.


Indice Prefazione all’edizione italiana

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Il Centro Studi Scuola del Portare – Italian Babywearing School

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Introduzione

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Tutte le buone ragioni per “portare”. I retroscena

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Contatto e protezione Il cucciolo umano, un tipo molto particolare Il portare e la lussazione congenita dell’anca Attorno al portare: favole, miti e fatti concreti Una prima infanzia a misura di bambino L’importanza del legame genitore-figlio Portare bambini con esigenze speciali Per favore, basta con gli stereotipi!

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Gli aspetti pratici del babywearing: come portare il tuo bambino

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La grande questione: quale supporto e in che modo portare? Marsupi ergonomici Portare con la fascia Le diverse tecniche di legatura Supporti simili alle fasce: fascia ad anelli, Mei Tai, Onbuhimo Portare fronte mondo

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Appendice

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Produttori e rivenditori Note

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®

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Prefazione all’edizione italiana

Sono trascorsi circa 48 anni dalla ricerca sul campo della dott.ssa Evelin Kirkilionis, biologa ed etologa umana, che identifica i neonati umani come fisiologicamente “progettati” per “attaccarsi attivamente” ai loro genitori nonostante i milioni di anni di evoluzione umana. Era il 1972. È in questo periodo che il baby- wearing, cioè il “portare i bimbi addosso”, con supporti ergonomici, ha compiuto un vero e proprio salto quantico; eppure questo libro è il primo e forse l’unico che racchiude in sé osservazioni anatomiche, comportamentali e arriva a conclusioni fondate su una solida base scientifica: una vera pietra miliare! Anche l’incontro con Evelin Kirkilionis al primo convegno italiano sul Babywearing, che si è svolto a Roma nell’aprile 2018, ha agito come ulteriore stimolo a pubblicare, anche in Italia, questo studio ancora unico e prezioso. Credo sia un testo che non possa mancare a chiunque si avvicini al tema del babywearing, sia esso un genitore o un professionista. Oggi per me, come madre, fondatrice e direttrice della Scuola del Portare, è un grande

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privilegio poterne curare l’edizione in lingua italiana con Terra Nuova Edizioni. Il mio obiettivo, attraverso la Scuola del Portare, è da sempre la divulgazione degli studi scientifici sul tema del contatto, dell’Attachment Parenting e del babywearing. Questi studi offrono prove inconfutabili sugli effetti positivi e i benefici del babywearing, teorizzati e sperimentati sia all’interno della Kangaroo Care, sia nei reparti ospedalieri sui bambini prematuri e su quelli nati a termine con taglio cesareo. La dott.ssa Kirkilionis, in questo suo testo, ci racconta, grazie ad una ampia ricerca sul campo, come i nostri cuccioli hanno ancora gli stessi riflessi innati di secoli addietro, mentre il nostro cervello si è evoluto e ingrandito e la specie umana ha raggiunto la posizione eretta. Biologicamente il cucciolo era, ed è ancora tutt’oggi, predisposto ad aggrapparsi e a ricercare la prossimità con il suo caregiver. Dalla lettura di questo libro si evince davvero il “senso” profondo e la necessità di dare il giusto riconoscimento ad una pratica antica ma attuale che, come dico spesso nei miei corsi, è


uno strumento pedagogico e di promozione del benessere, oltre che una scelta educativa sostenibile. Ho cercato molto e per anni, durante i miei studi all’università e nella letteratura scientifica, argomenti inerenti la necessità del legame primario genitori-figli basato sulla “fisicità”. Se guardiamo gli effetti del “portare” e del “contatto fisico che appaga” attraverso la lente dell’attaccamento, possiamo rilevare che quest’ultimo è realmente la base sicura, di cui tanto parla Bowlby, costruita con il calore, l’odore, il volto e il sorriso. Tutto ciò si rispecchia, in seguito, nell’interazione che il bimbo (futuro adulto) ha con il mondo e quindi, come dico spesso: “È nel mondo senza essere al centro del mondo”, avendo grande opportunità di poter imitare i propri punti di riferimento in momenti di quotidianità condivisa. In queste pagine troviamo tante risposte: con quale supporto dovrebbe essere portato un bambino? In quali condizioni di sicurezza? Mentre il babywearing facilita l’allattamento al seno e previene le coliche, esso è fondamentale anche per i bambini prematuri, supporta il recupero postnatale delle mamme e potrei elencare ancora tantissimi benefici, che andrete a verificare voi stessi, portando i vostri cuccioli nel loro habitat naturale! Tra le vostre braccia, prolungamento del vostro cuore, pancia a pancia, viso a viso, occhi negli occhi, camminando insieme fino a quando non procede da solo nel mondo, portando voi e il vostro odore sempre con sé! Posso affermare con molta gioia che sempre

più genitori in Italia, e in tutto il mondo, acquisiscono ogni giorno consapevolezza che i bambini debbano essere tenuti vicino: fa bene a loro, fa bene a noi e fa bene alla società. Buon babywearing a tutti voi!

Il Centro Studi Scuola del Portare Italian Babywearing School® Il Centro Studi Scuola del Portare - Italian Babywearing School® viene fondato nel 2008 dalla dott.ssa Antonella Gennatiempo, attuale direttrice didattica e formatrice della Scuola, counselor a mediazione corporea e laureata in psicologia con tesi su: “Il bambino portato: dalla canguroterapia alla promozione al benessere”. In questi dodici anni, la Scuola ha formato un ampio staff di professionisti e una vasta rete di Consulenti del Portare®, diffusi su tutto il territorio italiano a sostegno delle famiglie nel percorso di avvicinamento al Babywearing. Raccomandato da ostetriche, pediatri e professionisti della nascita e della puericultura, il portare i bimbi è un modo tradizionale e universale di stare col proprio bambino, trasportandolo e accudendolo. Oggi è praticato con supporti incantevoli e studiati per il massimo benessere di genitori e bimbi: senza creare “vizi”, ma al contrario, accompagnando il bambino verso l’autonomia. Il portare è ascolto e accoglimento dei bisogni del neonato e del bambino e rispetto e riconoscimento della competenza della mamma e del papà. È scelta pedagogica sostenibile ed ecologica.

Il Centro Studi Scuola del Portare – Italian Babywearing School®  7


Il portare è un’attitudine innata, ma anche un’abilità da recuperare. L’uso corretto dei supporti e la sicurezza vanno garantiti dal sostegno di una persona esperta: si imparano diverse tecniche e si sperimentano diversi supporti per il benessere, dal punto di vista fisiologico, di chi porta e di chi è portato. Il Centro Studi Scuola del Portare – Italian Babywearing School® è sia una cooperativa che un’alleanza, un sodalizio di oltre 300 Consulenti del Portare®, amici e sostenitori uniti nell’intento di dare e ridare spazio e riconoscimento alla complessità e meraviglia della relazione mamma – bambino – papà. Il Centro Studi Scuola del Portare – Italian Babywearing School® persegue la sua mission attraverso svariate attività rivolte a operatori, aziende e famiglie. Organizza corsi di formazione professionale, convegni, conferenze, seminari, collabora con amministrazioni centrali e/o locali, con associazioni, enti, organizzazioni governative e non, italiane e straniere, aventi obiettivi in sintonia con lo spirito della Scuola. Promuove inoltre la “cultura del portare”, sia teorica che pratica, ovunque se ne ravveda l’opportunità e, in particolare, in ambito ospedaliero, nei reparti di neonatologia e ostetricia, come metodo di cura e assistenza ai bambini con problemi specifici, in equipe con le figure mediche di riferimento sul territorio. Ad oggi, il Centro Studi Scuola del Portare – Italian Babywearing School® è una realtà riconosciuta in Italia e all’estero per la professionalità e la qualità della sua formazione e dei suoi servizi. La Scuola è coadiuvata da un Comitato 8  Prefazione all’edizione italiana

scientifico e si struttura in differenti aree di lavoro, che elenchiamo brevemente:

• Area formazione continua: formazione teorica – tecnica sempre aggiornata (babywearing ed esigenze speciali, babywearing e diastasi addominale, comunicazione ecologica, Rebozo e tanto altro). • Area tecnica: il gruppo tecnico nasce con l’intento di rispondere ad una sempre più sentita esigenza del mercato del Babywearing (aziende/piccoli artigiani) di strutturare adeguatamente, migliorare o testare i propri supporti al fine di garantire ai consumatori, sempre più attenti ed esigenti, prodotti di qualità. • Area redazione giornale: “Non solo Babywearing”, ricerche scientifiche, eventi sul tema dell’Attachment Parenting e recensioni di fasce e supporti a cura della Scuola. • Area biblioteca: tra le più ampie sul tema del babywearing, con la possibilità di poter acquistare articoli e libri. • Area ricerca scientifica: per la promozione di ricerche in collaborazione con Enti, Fondazioni e Università e organizzazione convegni. • SdP Point: punti di riferimento provinciali, con una Coordinatrice formata per favorire i contatti con enti locali e promuove micro – formazioni per operatori o venditori.


• Per quanto riguarda le attività rivolte alle famiglie, il Centro Studi Scuola del Portare – Italian Babywearing School® organizza, attraverso la sua rete di Consulenti, incontri informativi e di sensibilizzazione, consulenze individuali e di gruppo. Per informazioni: Cooperativa Centro Studi Scuola del Portare® – Italian Babywearing School Via Favignana , 4 – 00141 Roma P. I. e C.F. 05521110659 tel. 348 4682078 email: segreteria@scuoladelportare.it www.scuoladelportare.it www.facebook.com/CentroStudiScuolaDelPortare www.instagram.com/centrostudiscuoladelportare

Ringraziamenti Vorrei ringraziare di cuore una serie di persone che mi hanno sostenuto e hanno creduto nel contatto, nel babywearing così come l’ho sempre promosso in questi 12 anni. Oggi, se la Scuola del Portare – Italian Babywearing School® sta crescendo e si evolve cosi è grazie anche al lavoro costante dell’equipe che mi affianca e mi supporta. Vorrei cogliere l’occasione per ringraziare ognuna di loro: in primis, Paola Andrisani, che ha supervisionato la traduzione, insieme ad Adele Ricci, mia fedelissima amica e collega formatrice, di una sensibilità incredibile. Vorrei ringraziare tutto lo staff tecnico e gli Sdp point. Tutti tutti i Consulenti del portare/ consulenti babywearing e tutti i genitori incontrati per l’opportunità di aver condiviso con me la gioia immensa dalle riscoperta della bellezza del contatto. Antonella Gennatiempo Mamma | Dott.ssa in Psicologia | Counselor a Mediazione Corporea Presidente Ass.ne MadreRadici® www.madreradici.it Fondatrice e Direttrice Didattica Centro Studi Scuola del Portare – Italian Babywearing School ® www.scuoladelportare.it

Ringraziamenti   9


Introduzione

L’immagine del bambino portato nella fascia ad anelli, nella fascia lunga o nel marsupio, oggigiorno è diventata un qualcosa di familiare. I vantaggi pratici del portare i bambini sono ormai assodati e indiscutibili. Possiamo salire e scendere le scale con grande facilità, ci possiamo concedere lunghe passeggiate in campagna, o attraversare il trambusto del mercato senza dover sempre chiedere il permesso per passare, tra gli sguardi irritati dei passanti, mentre si manovra il passeggino nella folla. Se saliamo sull’autobus non ci sentiamo più un fastidioso intralcio, e quando viaggiamo sul tram o su altri mezzi, che hanno spazi appositi, non abbiamo il problema delle ruote dei passeggini che si incastrano tra loro. Molti problemi quotidiani, piccoli o grandi che siano, diventano più facili da gestire. Per alcune madri, il fatto di poter portare il proprio figlio si rivela una vera e propria strategia di sopravvivenza, che permette di gestire le incombenze quotidiane. Dopotutto, il tempo che passiamo con i figli è solo una parte di quello che consacriamo alle varie faccende della vita familiare di ogni giorno. Anche se, in

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effetti, per una persona che vive sola, l’accudimento dei figli è già di per sé un lavoro a tempo pieno. A ciò si aggiunge la sensazione di un contatto benefico per entrambi. Portare il proprio piccolo così vicino al corpo significa percepire il suo calore, ogni suo movimento, ma anche essere più a contatto con ogni suo stato emotivo. Il piccolo si sente bene così vicino al suo “nido sicuro”. Quando usciamo di casa, incontro all’aria fresca, le sue lamentele si limitano tutt’al più a un simpatico borbottio. Che suona come un liberatorio “finalmente”, poco prima di assopirsi di nuovo in santa pace. Certo, il contatto fisico e la prossimità, per un neonato, sono importanti. Ma con tutto questo gran parlare attorno ai temi della protezione e del contatto, non stiamo forse esagerando? Dopotutto, è venuto forse a mancare qualcosa a quei bambini cresciuti nel passeggino, come è consuetudine ormai da qualche decennio? Certo, anche le ostetriche e i professionisti della salute sottolineano quanto sia importante il contatto fisico. Ci raccontano con grande en-


tusiasmo delle numerose tecniche del portare, con il cucciolo accovacciato comodamente davanti a noi. Ma tutta questa stoffa così intrecciata sembra un po’ difficile da gestire a certe latitudini. Un morbido marsupio non sarebbe forse più facile da usare? Le opinioni su questo si discostano. E poi possiamo davvero cominciare a portare i bimbi fin dai primi giorni di vita? Quando potremo iniziare a portare senza fare errori? E come si fa a legare per bene una fascia? Sentimenti e opinioni contrastanti, domande su domande – come, da quando, per quanto tempo, perché – hanno accompagnato il tema del portare, fin dal momento in cui questo metodo ha tracciato una nuova strada nel sostegno alla neo-genitorialità. Succede ancora oggi, con il portare che ha ormai perso il fascino

della scelta “alternativa”, e con i vari supporti che sono ormai disponibili in quasi tutti i negozi per bambini. Comunque sia, la riscoperta delle pratiche del portare e delle tecniche di accudimento del bambino, che sono in realtà molto antiche, suscita ancora oggi diverse polemiche. In linea di massima, sono le stesse preoccupazioni di vent’anni fa che continuano a turbare o addirittura a scoraggiare i genitori disposti a fare questa esperienza. Le domande sono sempre le stesse. Ci si chiede se il bambino possa respirare, o se non ci sia un qualche sovraccarico per la colonna vertebrale. I nonni, dal canto loro, hanno sempre il loro bel ridire sul rischio di viziarli, e poi c’è lo scetticismo mai sopito di alcuni pediatri e fisioterapisti.

Introduzione  11


A volte, c’è proprio da divertirsi. Come quando delle persone completamente sconosciute ci chiedono di quale comunità religiosa facciamo parte, o magari ci porgono l’elemosina dicendo “è per il bambino”. Altre volte il rimprovero si fa più aggressivo: “È cosciente di cosa sta facendo al suo bambino portandolo in quel modo?!”1. Certo, come genitori, si ricevono anche dei riscontri positivi. Ma bisogna tuttavia riconoscere che, se da un lato il portare ha perso i suoi tratti “esotici” e sempre più giovani madri accarezzano l’idea di approcciarsi a questo mondo, dall’altro permangono ancora diverse riserve. A fronte di tali incertezze può venirci in aiuto solo una solida conoscenza di base. I consigli pratici per il portare sono importanti, ma non rappresentano il fulcro di questo libro, anche se occupano gran parte di queste pagine. Dopotutto, oggi quasi ovunque è possibile rintracciare dei consulenti competenti capaci di poterci spiegare le tecniche di legatura. Corsi e consulenze sono offerti anche da ostetriche, counselor, associazioni e scuole sul portare. Alcuni produttori di fasce portabebè offrono corsi in proprio, e insieme al prodotto forniscono descrizioni illustrate per le varie tecniche di legatura, che si possono scaricare anche da internet. È possibile scartabellare centinaia di siti web per giorni e giorni, e guardare video con contenuti più o meno professionali che mostrano le diverse legature. L’entusiasmo per la sperimentazione delle varie tecniche da parte dei numerosi sostenitori del babywearing ci ha consegnato diverse solu12  Introduzione

zioni – purtroppo anche con qualche versione effettivamente poco idonea. Se dovessimo menzionare tutte queste tecniche andremmo sicuramente oltre allo scopo di questo libro. Ciononostante, debbono essere presentate almeno le principali tecniche di legatura, e soprattutto, va dato rilievo ai punti critici, al fine di indirizzare direttamente o indirettamente la vostra attenzione sulle tecniche discutibili o meno adatte, in modo da evitare errori. Una preoccupazione particolare di questo libro è anche quella di risvegliare, attraverso il tema del portare, la comprensione dei bisogni fondamentali dei bambini che sono sedimentati nella nostra storia secolare. Vi introdurrò un po’ allo studio dell’età evolutiva per fare luce anche sulle peculiarità anatomiche dal punto di vista della biologia e della medicina. Nel libro troverete anche argomentazioni utili per voi stessi e per le persone che vi stanno attorno. Potrete constatare quanto la filogenesi e persino l’anatomia possano essere attuali e ci auspichiamo anche interessanti. Queste due discipline sono alla base per conoscere i bisogni fondamentali e i comportamenti del bambino. La comprensione, che molti genitori possiedono inconsciamente o intuitivamente, gioca un ruolo fondamentale in una relazione emozionale di successo tra genitori e figli. Per iniziare a stabilire un buon legame genitore-figlio, i genitori sono anzitutto chiamati a mettersi in ascolto ed in osservazione del comportamento del bambino, il cui campo di azio-


ne è ancora limitato. Anche se il neonato oggi non è più ritenuto, come un tempo, un semplice groviglio di riflessi e si sono potute dimostrare le sue competenze con sufficienti prove scientifiche, viene spesso sovraccaricato e reso insicuro da diversi fattori o da proposte di interazione che non sono adatte al suo stadio di sviluppo. Qui entrano in gioco i genitori, che non devono solo soddisfare i suoi bisogni, ma aiutarlo a costruire una roccaforte sicura dentro di sé, di fondamentale importanza durante il percorso di sviluppo. I genitori sono anche quelli che forniscono la cornice dentro la quale un bambino può riuscire a sviluppare e valorizzare le sue capacità. Sono loro che devono innanzitutto riuscire ad offrire un ambiente adatto, e generalmente ci riescono. Ma purtroppo le circostanze, a volte, lo impediscono e i genitori hanno bisogno a loro volta di sostegno e di essere supportati nell’accudimento quotidiano del bebè. Tutte queste tematiche sono connesse con il tema del portare, che evidentemente va ben al di là di una semplice tecnica di trasporto dei bambini.

Introduzione  13



Tutte le buone ragioni per Tutte le buoneI ragioni per “portare”. retroscena. “portare”. I retroscena

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Contatto e protezione

Il bisogno di contatto e la paura di viziarli “Non so perché, ma da un po’ di tempo non si addormenta più da solo. Proprio ora che finalmente ha una camera tranquilla, tutta per sé”. Nelle parole dei genitori avvertiamo una traccia di stupore, mista a delusione e incomprensione. Il contesto abitativo precedente non comprendeva una camera dedicata al bambino. Per il riposino di mezzogiorno, il bimbo veniva messo nella sdraietta sulla panca in cucina, e malgrado tutti gli sforzi non c’era mai molto silenzio. Eppure, il più delle volte si addormentava quasi subito. Mentre oggi, nella cameretta tutta nuova, così amorevolmente arredata, fa fatica ad addormentarsi. Si tratta semplicemente di capricci? Per un adulto, uno spazio silenzioso e isolato sembra sempre essere la soluzione migliore. Ma un neonato ha altri bisogni. La pace assoluta in ogni caso non è mai il miglior presupposto per addormentarsi facilmente. Pensate al neonato, che sul petto del papà, fa un bel pisolino, mentre la combriccola familiare al tavolo di cucina conversa animatamente; o pensate alla scena in cui il piccolo si accuccia nella fascia cullato dal-

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la madre, mentre i fratelli si rincorrono l’uno con l’altro. Per il bambino, non è importante la pace assoluta, bensì la percezione rassicurante della presenza di persone che gli offrono protezione, e questo non riguarda solamente la fase dell’addormentamento.“Non puoi andare via un minuto dalla stanza, senza che non cominci a piangere o ad agitarsi. È proprio viziato!”. Diverse madri hanno già sentito più volte questo genere di commenti da parte delle vecchie generazioni. La rappresentazione di un neonato egoista, a cui si dovrebbero insegnare da subito le buone maniere, così che nella vita sappia sempre cavarsela da solo, sembra essere proprio inestirpabile. Questo genere di osservazioni per prima cosa impediscono ai genitori di seguire il loro istinto, che sarebbe quello di prendere in braccio il bambino, assecondando le capacità genitoriali in modo intuitivo. D’altro canto queste voci impediscono anche ai genitori di offrire al loro piccolo una presenza rassicurante. E questo significa che rischiano di non rispondere a uno dei suoi bisogni fondamentali.


La vicinanza dei genitori trasmette a un bambino protezione, sicurezza e calma; anche al di là del periodo della prima infanzia. Il contatto con persone di fiducia, anche negli anni successivi, per il bimbo è la prima condizione fondamentale per potersi approcciare al suo ambiente in modo equilibrato e con il giusto interesse. Ovviamente, con il passare del tempo, il suo spazio di azione si fa sempre più ampio. Ad un certo punto, basterà avere la percezione che i genitori sono vicini. Il bimbo potrà allontanarsi e corrergli di nuovo incontro, per rassicurarsi di nuovo della loro presenza. Nelle situazioni di insicurezza, tuttavia, il contatto corporeo torna ad essere necessario, con una sorta di regressione all’età del neonato. Il concetto appena menzionato dimostra che nella richiesta di “vicinanza” di una persona di fiducia la biologia riveste un ruolo molto importante. La predisposizione comportamentale del neonato si basa sul bisogno di avere vicino una persona che si occupa di lui. Un neonato, in realtà, non è conscio che è in un ambiente protetto e senza pericoli. Anche quando riposa solo nel suo lettino, non sa di essere al riparo dagli appetiti degli orsi o di altre belve primitive. Possiamo rigirarla come vogliamo: la nostra predisposizione genetica comportamentale è la stessa dei nostri antenati cacciatori-raccoglitori, di quell’era che lentamente si dissolse soltanto 10 mila anni fa con i primi insediamenti del neolitico. Naturalmente, nel nostro sviluppo individuale le cose oggi sono cambiate. Ma questa capacità di apprendimento è rimasta ancorata alla nostra predisposizione genetica

che, così come oggi è stato dimostrato, ha reso l’uomo il “modello evolutivo di maggior successo”. Questa creatività intellettuale ha permesso all’essere umano di poter modulare la propria reazione secondo le diverse e mutevoli condizioni di vita. Allo stesso tempo, però, quanto più piccolo è un essere vivente, tanto più forte è il legame con le componenti innate della sua predisposizione comportamentale e dovrà quindi orientarsi in modo più rigido all’ambiente. Questa predisposizione originaria dice al bambino: “Guarda bene che le persone siano sempre attorno a te, e che ti proteggano da tutte le insidie e i pericoli del mondo. Solo loro si prenderanno cura di te con tutto ciò che è necessario, solo loro rappresentano per te la sicurezza, e ti garantiranno la sopravvivenza, tenendo lontani lupi e altri predatori”. Se guardiamo alle abitudini dei nostri antenati possiamo osservare che la vita quotidiana prevedeva una permanente mobilità dell’intero gruppo, basata sulla caccia e la raccolta di piante spontanee. In definitiva, abbiamo alle spalle una lunga epoca di circa 5 milioni di anni – contro l’ultima e breve fase di 10 mila anni – in cui gli uomini sono diventati lentamente sedentari. L’intera progenie, nel corso della storia del genere umano, si è per lungo tempo adattata al fatto di essere portata durante tutta la giornata e ad essere allattata a brevi intervalli di tempo. I nostri parenti più prossimi, come le madri degli scimpanzé, continuano a rappresentare questa scena ancora oggi davanti ai nostri occhi. Anche i nostri bambini sono conseguentemenIl bisogno di contatto e la paura di viziarli   17


La genitorialità innata e intuitiva I genitori, così come ogni altra persona adulta sensibile ai segnali del bambino, percepiscono inconsciamente lo stato emotivo del neonato e reagiscono intuitivamente ai suoi segnali, coerentemente alla situazione, adattandosi in base alle loro capacità. Anche senza esperienza, questa genitorialità innata consente ad ogni bambino di rendere ogni persona che si trova di fronte a lui un sostegno su cui appoggiarsi. Il prerequisito essenziale, tuttavia, è che queste capacità genitoriali intuitive non vengano oscurate da fattori di disturbo o di stress. Sebbene questo istinto genitoriale sia biologicamente innato, esso potrebbe subire delle interferenze: potrebbe cioè non essere in grado di imporsi di fronte alle circostanze ed essere sopraffatto soprattutto dall’ansia. Il comportamento genitoriale intuitivo si mostra ad esempio quando i genitori utilizzano automaticamente toni di voce alti, lenti e particolarmente enfatici con il loro bambino, venendo incontro alle loro capacità di comprensione con la ripetizione e il ritmo della parola. Questo linguaggio da levatrice (o “baby talk”) è accompagnato da espressioni facciali enfatizzate e lente. Le reazioni ai segnali infantili sono calibrate sul bambino, così come la distanza della

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nostra faccia. I bambini, infatti, nascono miopi, e il campo visivo ottimale è sui 2025 cm. I genitori ne sono inconsciamente consapevoli e si mettono sempre nella giusta posizione per attirare la sua attenzione e mantenere il contatto.


te programmati secondo questo modello istintuale. Il fatto di essere lasciato da qualche parte da solo, secondo questa predisposizione biologica, per il bambino significa sentirsi trascurato dalle persone che si dovrebbero prendere cura di lui. Ma si sente anche abbandonato, in una condizione di forte pericolo. Da questo background genetico, si può facilmente capire perché un neonato, che dorme nel suo lettino separato o che viene lasciato da solo nella sua camera, inizi subito ad agitarsi2. Per questo motivo, quando alle sue richieste di contatto di base non segue risposta, prova con tutte le sue forze a reclamare la presenza di una persona in grado di dargli protezione. E per farlo ha solo pochi mezzi a disposizione. Scoppiare a piangere in modo turbolento è il metodo più efficace, che generalmente riesce a raggiungere lo scopo. Anche delle persone estranee finiscono per allarmarsi di fronte al pianto disperato di un neonato e sentono il bisogno di doversi occupare del “povero” bambino, prenderlo in braccio, cullarlo e consolarlo. Questo è il caso in cui la biologia comportamentale trova piena espressione, riuscendo a coinvolgere anche altri adulti non genitori. In definitiva, si potrebbe affermare che il programma innato della genitorialità non è solo limitato agli stessi genitori. La nostra storia genetica di per sé esclude l’argomento del “viziare i bambini”, fermo restando che parliamo comunque dell’età neonatale. Chi non vuole confrontarsi con le leggi dell’evoluzione, dovrebbe prendere in considerazione anche un altro argomento importante:

i limiti delle capacità cognitive del bambino in questa fase di crescita. Un neonato vive nel qui e ora; e almeno in questa fase, tutti gli oggetti che lo circondano, incluse le persone, sono davvero presenti solo nel momento in cui rimangono direttamente percepibili. Solo all’età di circa nove mesi per il bambino esistono cose, e dunque persone, anche nel momento in cui non sono immediatamente visibili, udibili o percepibili mediante il contatto. I neonati iniziano a disporre dei primi indizi

Il bisogno di contatto e la paura di viziarli   19


di questa permanenza dell’oggetto attorno al quinto-sesto mese, ma solo tre o quattro mesi dopo cercano attivamente un oggetto che non compare nel campo visivo3. E così un neonato nei primi mesi di vita non può nemmeno essere sicuro della permanenza dei propri genitori e del loro accudimento, nel momento in cui scompaiono dalla sua vista. Per questo motivo anche dal background delle facoltà percettive dei bambini, si deduce in modo assolutamente coerente, che, quando un bambino viene sistemato in una camera da solo, non potrà addormentarsi facilmente. Anche a noi adulti, in genere, capita di non riuscire a prendere sonno quando siamo afflitti da preoccupazioni o in preda a un qualche tipo di 20  Contatto e protezione

ansia. Il mondo interiore del neonato non è affatto sereno quando i genitori, che dovrebbero offrirgli protezione e tranquillità, sono assenti, o se comunque non riesce a percepire in alcun modo la loro presenza. In questo caso, la reazione consiste in uno stress generato dalla paura. Generalmente addormentarsi da solo, anche per un bimbo più grande non è una cosa facile. È un’abilità che bisogna ancora acquisire. Non è ragionevole chiedere a un neonato di fare una cosa che anche gli adulti trovano difficile: ovvero di rilassarsi in una situazione di tensione. Non dovrebbe nemmeno sorprendere il fatto che nel momento prima di addormentarsi, il bisogno di protezione sia particolarmente ac-


centuato. E al contrario, si può dire che un bimbo che viene messo nella fascia si addormenta quasi immediatamente, così come hanno rilevato alcune madri dalle prime esperienze con il portare. “A questa ora non aveva mai dormito” dicono. Per i bambini non c’è una migliore premessa per calmarsi e iniziare un sonnellino che accoccolarsi infagottati tra mamma e papà, soprattutto durante una passeggiata, quando ad ogni passo si sentono cullati.

Un breve excursus sul “cucciolo portato” Le culle tradizionali non rappresentano altro che una simulazione del movimento dei genitori. Il fatto che ancora oggi il cullare si dimostri un buon calmante naturale per il bambino, si può ricondurre alle condizioni di vita delle nostre origini. Come già accennato, proprio a causa dello stile di vita nomadico dei nostri antenati, la prole doveva essere portata dagli adulti. Durante i lunghi spostamenti per la ricerca del cibo stagionale, i bambini trascorrevano la prima parte della loro vita soprattutto “portati” sul corpo della madre o di una persona di fiducia. Tuttavia, se all’interno della nostra evoluzione umana ci si limita a prendere in esame solo il periodo del cacciatore-raccoglitore, non si coglie la vera importanza di questo adattamento genetico. Un motivo è legato al fatto che le culture tradizionali esistono ancora oggi e che, conducendo uno stile di vita analogo a quello dei cacciatori-raccoglitori, possono offrirci uno spaccato sullo stile di vita dei nostri antenati. Ma possono essere presi come esem-

pio anche i primati da cui discendiamo e che camminano in posizione eretta come l’Australopithecus. In effetti, già nella preistoria, per necessità la prole veniva portata dalle madri costantemente a contatto del proprio corpo. Quindi si può tranquillamente parlare di una tradizione del portare che risale a circa quattrosei milioni di anni fa, determinata dalla nostra storia ancestrale (gli scienziati si stanno ancora interrogando sull’esatta datazione dei primi ritrovamenti relativi agli antenati degli esseri umani). I bambini di oggi, riguardo ai loro bisogni attuali, sono stati “predisposti” sin dall’inizio della storia del genere umano ad essere costantemente a diretto contatto con una delle persone che si potevano prendere cura di loro nella prima fase di vita, il che vuol dire che i bambini si “aspettavano” di essere portati da queste persone. Se in questo studio includiamo anche i primati da cui discendiamo e guardiamo senza esitazione a specie animali a noi vicine (come le varie specie di scimmie e umanoidi, che mostrano comportamenti simili al portare), allora possiamo rintracciare questa predisposizione genetica all’essere portati sino a 55 milioni di anni fa (per saperne di più a pag. 24 e seguenti)4. D’altra parte, abbiamo avuto un fase di circa 10 mila anni durante la quale una buona parte dell’umanità ha cominciato a essere stanziale e a costituirsi in comunità nelle quali era possibile sistemare i bambini in luoghi sicuri e riparati. Ma si tratta di un lasso di tempo troppo breve per permettere al comportamento del bambino di adattarsi ad un ambiente sicuro. Oltre Un breve excursus sul “cucciolo portato”   21


a queste teorie ci sono vari fattori comportamentali, biologici, anatomici e fisiologici, che dimostrano la predisposizione del bambino all’essere portato. A partire dal riflesso di prensione palmare o plantare, passando per la reazione delle gambine che si ritirano a ranocchietta, sino alla prevenzione della displasia dell’anca (maggiori informazioni a partire da pag. 42). Per coloro che desiderano trattare questi argomenti in modo più approfondito, i capitoli successivi forniscono informazioni e risposte dettagliate. A questo punto, vorrei ribadire ancora una volta i seguenti aspetti: un neonato oggi, così come nel passato, nasce con la predisposizione naturale all’essere portato, esattamente come il suo piccolo antenato Australopiteco. E così co-

Nell’età neonatale, il desiderio di prossimità e di un contatto corporeo è un bisogno fondamentale. Solo all’età di circa 9 mesi il bambino riesce a concepire l’esistenza di cose e persone che non si possono immediatamente vedere, afferrare o sentire. E solo da questa fase in poi, ci sono i presupposti cognitivi per permettere a un bambino di comprendere il fatto che sono comunque accuditi, anche nei momenti di assenza dei genitori.

22  Contatto e protezione

me nel passato, i suoi bisogni essenziali sono focalizzati su questa predisposizione e il neonato è ancora, di fatto, “un cucciolo portato”, descrizione che prende in considerazione il suo comportamento nel primo anno di vita. Questa definizione racchiude in sé tutti i diversi tratti comportamentali di un neonato, compresi i suoi bisogni emozionali, che devono essere visti come importanti risultati di adattamento. Nella preistoria, infatti, hanno garantito la sopravvivenza dei cuccioli e, quindi, quella della stessa specie umana. Questo excursus filogenetico chiarisce perché il portare i nostri figli abbia un tale effetto “calmante” su di loro e mostra quanto la storia dei nostri antenati possa risultare interessante e ancora attuale. Essa ci fornisce un’importante panoramica sulla conoscenza delle abitudini di vita dei nostri primi antenati e ci può aiutare a comprendere molti dei comportamenti più misteriosi dei neonati. Una conoscenza che contribuisce a creare l’ambiente migliore per il vostro bambino.


Culture tradizionali: una finestra sul passato Le culture tradizionali sono delle comunità che vivono perlopiù in piccoli gruppi, a contatto con la natura, e poco influenzate (se non addirittura incontaminate) dagli usi e costumi del mondo cosiddetto tecnologico/“civilizzato”. Esse possono essere considerate il modello di rappresentazione per lo studio dei cacciatori-raccoglitori dell’età della pietra o dei primi coltivatori del neolitico, i quali per la produzione degli utensili hanno utilizzato solo pietra, ossa, legno, e rappresentano i primi gradini dello sviluppo culturale umano. Tra gli esempi di società di cacciatori-raccoglitori possiamo annoverare le tribù Kung nel sud dell’Africa o gli Hazda nell’Africa orientale. Esse ci offrono uno spacca-

to sullo stile di vita e sulle relazioni sociali nell’era preistorica. Da questo stadio evolutivo abbiamo ereditato la maggior parte dei modelli di comportamento che oggi consideriamo come condizionati geneticamente. Circa 10 mila anni fa, l’uomo ha iniziato ad abbandonare la vita di cacciatore per diventare stanziale. Questo lasso di tempo relativamente breve non ha, tuttavia, permesso di attivare un adattamento genetico alle mutate condizioni di vita. D’altra parte, anche l’uomo contemporaneo mostra una predisposizione a una vita comunitaria fatta di piccoli gruppi, che comprendono dalle 40 alle 150 persone, e sono strutturati in nuclei familiari più ristretti. Abbiamo cominciato soltanto 6000 anni fa a disgregare queste piccole comunità, per andare a formare società grandi e complesse5.

Un breve excursus sul “cucciolo portato”   23


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I supporti per il trasporto fanno ormai parte dell’equipaggiamento di base di un bambino. Sono disponibili in numerosi design, colori e dimensioni, si trovano in tutti i negozi e vengono pubblicizzati un po’ ovunque. Ma come orientarsi tra le tante offerte di un mercato fin troppo ricco? A cosa bisogna prestare attenzione quando si decide di portare un bambino? Quali supporti preferire fra tutti quelli disponibili? Quando, per quanto tempo e perché scegliere il babywearing al posto del classico passeggino? Nelle pagine di questo libro si trovano tutte le risposte a queste e altre domande. I genitori possono trovare tutte le informazioni di base sul babywearing, incluse importanti considerazioni che riguardano la salute e il corretto sviluppo dei bambini portati. L’autrice si sofferma sui diversi metodi di trasporto, sottolineando benefici e criticità, e dimostra come la scelta del babywearing favorisca lo sviluppo motorio, sensoriale e cognitivo del bambino, rinforzi il legame genitori-figlio e permetta ai portatori di fare una bellissima esperienza. Numerose fotografie accompagnano passo dopo passo i lettori e le lettrici, e aiutano a comprendere come indossare fasce, mai tai, marsupi ergonomici e tanti altri supporti.

Evelin Kirkilionis è biologa e antropologa, con specializzazione in etologia umana. Da oltre 20 anni studia il portare in fascia in connessione con le basi biologiche e culturali del comportamento umano. Ha fondato un gruppo di studio indipendente sull’etologia umana (Human Ethology Research Group) in collaborazione con l’Università di Friburgo. Il suo libro è stato tradotto in numerosi paeCENTRO STUDI si, ed esce finalmente anche in lingua italiana grazie alla collaborazione con la Scuola del Portare - Italian Babywearing School, associazione di carattere nazionale con sede a Roma, fondata nel 2008 (www.scuoladelportare.it). ITALIAN B AB YWEAR ING SCHOOL

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