Come alberi in cammino
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nonDiario,miconosci.
È la prima volta che ti scrivo. In re altà sei una parte importante della mia psicoterapia. Sei il primo compito che mi ha dato la mia dottoressa-leonessa (così chiamo la mia cara psicologa). Mi ha detto di provare a scriverti ogni volta che sento il bisogno di elaborare qualcosa o, come dico io, ogni volta che in contro i miei demoni emotivi. Mi presento: sono Cap puccino. Non è il mio vero nome ma è come mi sento. Sono nata in Costa d’Avorio da una madre nera e da un padre bianco, ebreo, che lavorava nel mio Paese e ha messo incinta mia madre in una relazione fuori dal matrimonio, che non ho mai conosciuto di persona. Per questo la mia pelle è color cappuccino, così come la mia identità. Latte e caffè. In Africa mi chiamavano Tuabu, la bianca nel nostro dialetto, per disprezzo, ero diversa e non mi sentivo accettata. Una volta arrivata in Italia, invece, mi hanno chiamato nera. All’inizio non capivo. Ero sempre stata “la bianca”, perché in questo Paese tutti mi chiamavano nera? Poi ho capito: anche per loro ero diversa. Il mio colore della pelle non andava bene neanche qui. All’inizio non riuscivo pro prio a farmene una ragione. Ero discriminata anche qui
17 Caro Diario Gogbe Romaine Tia Caro
per18 la pelle? Che colpa ne avevo io? Ora, grazie al mio lavoro da mediatrice culturale (eh, sì, sono diventata me diatrice culturale in Italia) e grazie alla mia dottoressaleonessa ho capito: non sono bianca, non sono nera. Sono io. Una donna Cappuccino con i suoi demoni emotivi da elaborare. Una bambina ferita, una ragazza abusata, una donna fragile in cerca della propria identità, con radici doppie e tanta confusione in testa. Arrivata in Italia come rifugiata, con gli anni sono diventata cittadina italiana, ma non è cambiato l’approccio che le persone hanno con me: sono sempre una straniera per loro e lo sarò sempre. In fin dei conti è solo un pezzo di carta. 4 maggio A volte la mia dottoressa mi dà dei compiti dopo i colloqui. Però questi compiti sono a volte difficili. Per esempio, delle riflessioni sull’argomento di cui abbiamo parlato durante il colloquio. Il problema è che queste ri flessioni, tra logica ed emozioni che provo dentro, sono dure da sopportare per tanti giorni senza un confronto con lei. Allora per calmare la tempesta emotiva che provo dentro, cerco di far evadere la mia attenzione sui miei problemi sociali. Così sembra tutto più ragionevole. Ma una volta davanti alla mia leonessa non posso scappare. Mi accoglie con le mie mille confusioni e la mia tendenza a mischiare tutto, come una bambina che prova a nascondersi dietro un albero, ma che non è abbastanza brava da nascondersi e viene scoperta.
Così è stato anche tutt’ora il mio essere riportata sul cammino della psicoterapia, per poter elaborare le emo zioni dalle quali scappo.
La mia dottoressa è proprio strana. Non so come faccia a riportarmi sui pensieri emotivi da affrontare. A volte, quando lei tocca dei punti fragili, emotivi, dentro
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di20 me, all’interno di un colloquio, mi sento così misera bile per il fatto di non poter scappare da quei demoni emotivi. Allora cerco di soffocarli con i miei mille pro blemi economici e sociali. Però, una volta davanti a lei, subito mi smaschera, come se mi leggesse dentro. Senza perdere tempo distribuisce i compiti agli operatori competenti, ognuno nel suo settore, e li fa carico per trovare una soluzione ai miei problemi economici e sociali, alle mie esigenze. Poi eccomi nuda di fronte ai miei demoni da affrontare, senza più scuse.
Che brutto risveglio emotivo! Non mi rendevo conto che mio figlio mi era stato tolto... fino a oggi, che non
Non so se lei lo sa quanto sia difficile e la paura che provo dentro di me quando sto per affrontare questi demoni emotivi. Proprio strana la mia dottoressa, però molto attenta ai piccoli dettagli.
La mia dottoressa ha i suoi modi strani di fare le cose: poche parole alcune volte, ma ben mirate verso i miei demoni emotivi, al punto che per forza li devo combattere.Lei raccoglie tutto il peso che le porto, poi lo distribu isce per alleggerire le mie responsabilità, per poi aiutarmi attraverso la sua forza e il suo coraggio a elaborare le mie emozioni. A volte con il suo sguardo riesco a cogliere l’amore che ha verso di me. Poi, quando sto per mollare, alcune volte riesco a vedere tra le righe del suo viso quella grinta che mi spinge a resistere. La sua forza mi arriva. Strano ma è così, la mia dottoressa! 11 maggio Caro Diario, stasera ho il cuore che piange, mi sento triste e sola, mi manca il mio Karim. Sento come fosse oggi che mio figlio mi è stato portato via. Invece sono già quattordici anni che suo padre lo ha portato via da me.
21 riesco a fermare le lacrime. Mi manca e ho bisogno di lui al mio fianco. E dire che non ho pianto quando suo padre lo stava portando via.
Karim è sempre stato presente per me, per quanto mi ricordo. Strano da spiegare: però solo stasera ho realizzato che mio figlio è veramente lontano da me. Mi sento smarrita dentro. Il vuoto è forte in me. Mio Dio, sto di ventando matta! Non sto più capendo niente! Come è possibile che mi renda conto solo adesso di tutto questo? Quando invece ho sempre parlato di Karim con le per sone intorno a me, senza però aver mai provato una tale tristezza e un così forte dolore per il fatto di non vederlo. Qualcosa non va in me. Come ho potuto lasciare il mio piccolo Karim andare così lontano? Signore mio, che ho fatto? Perché mi sembra sia successa solo ieri questa separazione, invece sono già passati anni? Ti chiedo perdono, Dio, di aver lasciato mio figlio. Abbi pietà di me! Ridammi il mio piccolo Karim. J’ai mal! Non riesco a trovare le parole per descrivere il dolore che sto pro vando adesso nel mio cuore. A sedici anni non ti rendi conto di tante cose, adesso che vedo crescere i miei due angeli capisco che ho fatto del male al mio proprio fi glio e che sono stata egoista a lasciarlo andare via da me. J’ai mal! Sono lacrime che non riesco a fermare. Mi sto facendo mille domande. Il mio senso di colpa verso mio figlio Karim è molto forte: perché ho tenuto i due figli più piccoli vicino a me, anche se sapevo che la situazione sarebbe stata dura da affrontare, mentre ho lasciato Karim senza lottare? Mi sento colpevole verso mio figlio Karim, vorrei cam biare le cose, ma non so come fare, come iniziare per avere mio figlio vicino a me.
Oggi ho parlato con la dottoressa di due argomenti im portanti da elaborare, però è strano quello che sto pro vando da quando ho finito il colloquio. Io e lei sembravamo lontane, come due binari del treno, nel capirci. Io ci ho provato a capire il suo ragionamento di donna europea, però non so se lei abbia capito il mio di donna africana, tra cultura e logica, sui diritti della donna. Poi mi sto chiedendo come faccio a cambiare un idealismo che mi è stato inculcato da quando ero piccola, per lasciare uno spazio a quella parte piccola di logica di donna libera di prendere il controllo della situazione nei rapporti tra uomo e donna. Nella mia famiglia esiste la poligamia, gli uomini possono avere diverse mogli che convivono sotto lo stesso tetto. Quindi come è possibile che un uomo deve essere destinato solo a una sola donna?
Strano ma vero, mi sto chiedendo che cos’è la gelosia? Perché una donna debba essere gelosa quando c’è un tradimento? Come può una donna esprimere gelosia verso il suo uomo quando la tradisce? Strana mi suonava questa parola, oggi. Soprattutto non capivo il perché la mia leo nessa-dottoressa, che di solito è così forte, mi diceva che una donna europea esprime la gelosia, così come fanno gli uomini, che non è normale che un uomo tradisca la sua donna. Sarà può darsi un fattore culturale. Ma lei che vedo forte, perché si deve abbassare così, ed essere gelosa?Come si fa a dire al proprio uomo di non andare con un’altra donna quando sei te che lo rifiuti a letto? Tante domande in testa, una confusione totale in me, come donna. Mi sembra che mi stia per crollare una radice cul turale. Perché ragionando tra me e me, una parte vuole dare ragione alla dottoressa, però un’altra parte mi sta dicendo: è pura follia esprimere la gelosia. Perché essere
22 14 maggio
23 gelosa se poi alla fine sai bene che non basta una donna per un uomo? Poi mi chiedo perché sto male dentro, fino a provare nausea quando so che il mio uomo sta con un’altra, però senza mai farlo capire?
Oggi mi sento strana, non sono serena, pensavo che dopo aver affrontato alcuni argomenti con la mia dottoressa sarei stata meglio, invece non è così. Oggi ho sentito che lei ha accolto il mio bagaglio emotivo confusionale per poi rimandarmelo ancora più confusionario, in una confusione logica di riti e culture. Adesso mi rendo conto che fare le sedute di psicote rapia è più dura di quanto immaginassi. Questi colloqui ti fanno ragionare tanto. E poi senza neanche rendersi conto va a toccare quei punti fragili e scuri che hai na scosto nel tuo inconscio emotivo, dai quali scappi e con cui non vorresti avere a che fare. Magari la cosa si fermasse, invece è come una macchina una volta che il motore è acceso, si mette a girare non si ferma più. Così è la mia mente adesso, vorrei scappare però non posso. Perché la mia dottoressa ha i suoi modi di lasciare sempre un punto interrogativo senza risposta, e io ci casco sempre, perché vorrei le risposte. Poi piano piano, senza neanche capire come, trovo la risposta da sola. Lei mi riporta a riflettere con la logica e non solo con le emozioni. A volte sento che sta usando il metodo transculturale con me, per fare etno-psicologia in alcuni periodi. A volte sento questa cosa, forse che mi sbaglio su questa osservazione, però sento questo in alcuni suoi approcci all’interno del colloquio. Poi eccoci a oggi, con questa barriera culturale in cui non mi sento capita al 100% dalla mia amata dottoressa. Questa situazione del non sentirmi capita è già successa nel passato, per esempio su questi punti:
– poi, oggi, l’accettazione o meno del tradimento; – esprimere la gelosia.
– il senso di responsabilità verso la propria madre e famiglia;–lapaura
delle maledizioni dette dalla propria madre;
24– il significato di una bambina maledetta;
– l’obbedienza della donna verso il marito;
Per me di solito viene facile parlare di questi argomenti all’interno di una mediazione, ma quando sei l’utente e devi mediare culturalmente è molto più difficile spiegarsi bene.
La cosa che mi tranquillizza è che so che la mia dotto ressa fa le sue ricerche e la sento anche preparata e for mata su molti termini, anche se su alcuni meno. Come dicono alcuni antropologi, non si può usare un metodo universale nella psicoterapia, e sono contenta di con statare che la mia dottoressa prova diversi approcci nel colloquio con me. Cerca a volte di ragionare nella mia cultura per poi proporre sempre a me di fare la scelta tra due modi diversi di pensare. Però, quando ragioniamo con più logica sui diritti di uguaglianza tra genere o altri argomenti complessi, non sento che mi sta imponendo per forza la cultura e l’idealismo europeo, lei mi porta a riflettere su quello che sento dentro come donna. Mi fa pensare a quella parte di me sana, che vorrebbe vivere libera, senza per forza appartenere ad alcuna di queste culture. Ciò non significa essere senza radici, assoluta mente no, però sento dentro di me molta fatica in questo cammino verso la scoperta della mia identità e la riappropriazione di un idealismo all’interno della società per poi poterlo trasmettere ai miei figli. CarooggiDiario,lamia dottoressa mi ha chiesto di pensare sul la sciare andare una persona amata nel passato.
25 Sembra facile da dire, però per me è la cosa più diffi cile. Come faccio a chiudere quel sentimento senza sen tirmi in colpa?
La verità stasera è che mi sento come una donna miserabile che non sa amare e perde sempre quelli che la hanno amata. Insomma, neanche sono sicura che queste persone mi abbiano amato come dicono loro. Sono sempre stata di poche parole nell’esprimere i miei sentimenti verso le persone amate. Però con la psicoterapia sto cambiando un po’. Sarà perché mi sono resa conto che la cultura europea è bella sotto questo aspetto: di dichiarare ed esprimere con più leggerezza i sentimenti di affetto e amore. Strano da ammettere: come faccio a provare piacere quando una persona a cui voglio bene mi sta ferendo con i suoi gesti e le sue parole? È come se quella parte ma lata di me avesse bisogno di sentirsi maltrattata, per nutrirsi di quel dolore e di quelle ferite, e lo desidera perché quello è normalità per lei. Però la mia parte sana lo rifiuta e vuole vomitare in faccia a chi mi ferisce e mi fa male il suo disaccordo per essere trattata così male. Che ca sino dentro di me con questa lotta emotiva, come donna. A volte vorrei che la mia leonessa-dottoressa avesse la bacchetta magica per fermare tutte queste lotte che av vengono in me. Però so che non è fattibile da parte sua. Io che pensavo che la psicoterapia fosse una cosa facile, invece mi rendo conto che non è per niente facile, ma che era ora di affrontare questi demoni emotivi del mio passato. Sperando che ne uscirò vittoriosa per poter poi affrontare con leggerezza il presente e il futuro. 3 giugno CarostaseraDiario,misento bene, dopo un lungo cammino interiore a fianco ai demoni del passato. L’ultimo colloquio con la
è stato molto importante per me. Le sue parole mi risuonavano dentro come le campane del risveglio, e mi facevano prendere coscienza del mio stato d’animo.
Oggi posso dire che ho la piena consapevolezza di ciò che mi ha portato ad ammalarmi psicologicamente: del mio distacco emotivo dal dolore che provavo, della mia forte colpevolizzazione su tutto ciò che mi è accaduto sul mio cammino di donna, ragazza, bambina.
Non lo nego, fino a quando la dottoressa non aveva toccato quel punto nero che racchiudeva ciò che mi ha fatto ammalare realmente, io stavo in uno stato di inco scienza, in cui sapevo che non stavo bene ma non capivo il perché mi sentissi così, triste, sola, maledetta, addirit tura una fallita nella vita. Stavo così male che la vita aveva perso il suo sapore per me. La mia amata dottoressa mi sembrava strana, non riuscivo più a capire se mi amasse o mi volesse del male. Perché mi stava torturando con la sua persistenza a ela borare questi dolori del passato?
Perché continuava a incentrare il suo colloquio su Karim? Perché non mollava su questi argomenti che mi stavano divorando dentro con tanto dolore?
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Prima mia madre, adesso Karim e Mohammed, eccomi incastrata, non posso scappare! Li devo affrontare. Ho messo in atto mille tentativi per cambiare argomento. Ma lei sembrava sempre determinata sul suo obiettivo di farmi elaborare queste emozioni, prima che fosse tardi per me.
Anche le medicine cambiavano poco, nello stato nel quale mi Facevotrovavo.fatica,provavo sempre meno piacere a fare il colloquio con la mia amata dottoressa. Mi domandavo: perché non si ferma? Perché non mi sta dando tregua con questi argomenti dolorosi?
Poi mi chiedevo: allora perché non si ferma?
Questo percorso è stato uno dei più travagliati per me, ma era un male necessario per guarire.
A volte leggevo sul suo viso la preoccupazione, mista al dispiacere di vedermi stare così male.
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Fino a che non è arrivato quell’ultimo colloquio decisivo, in cui ho colto – dopo una lunga assenza a causa della mia percezione di negatività e di buio – quella luce in lei, che mi riscaldava l’anima.
Invece prima vedevo in lei l’affetto che provava per me, però non mi arrivava all’anima. Perché da quando abbiamo toccato l’argomento di Karim io ho iniziato a crollare nel buio e lei sembrava il mio torturatore. La cosa strana era leggere nei suoi occhi che questa tortura era per aiutarmi a guarire del male che avevo dentro.
Adesso capisco tutto ciò che ha fatto la mia amata dot toressa. Quel dolore del parto era necessario per pren dere coscienza di tante questioni emotive irrisolte. Fino a oggi non sapevo e non capivo perché mi dicesse: “Devi mescolare le due radici in te, per poi diventare la donna cappuccino che sei. Devi perdonare a te stessa e accettare anche di sbagliare. Devi sapere lasciare andare quelli che hai amato e non stanno più con te. Devi saper chiudere con il passato, senza però distaccarti dalle tue emozioni. Devi essere meno dura con te stessa. Cerca di non dare troppa voce alle brutte parole dette verso di te nella tua infanzia. Ricordati che sia io che tuo padre ti vogliamo bene e crediamo in te, non sei responsabile di nessuna maledizione. Anzi, sono loro che hanno sbagliato. Devi ricordarti che eri piccola e loro più forti di te. Non è stata colpa tua la scelta di lasciare andare tuo figlio”.
Può darsi non mi voglia più bene? Però non può essere così! Perché a prescindere da come stavo, lei mi acco glieva sempre con quella luce negli occhi piena d’amore.
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Certi dolori non spariscono subito, però provarli è anche normale. Ciò significa che sono in contatto con le mie emozioni – che siano esse ansia, tristezza, paura, solitudine, gioia, rabbia, pianto – fanno parte di me. Distaccarmi non le farà sparire, anzi. Queste emozioni ci stanno e mi aspettano. Poi tutto dipende da come imparo a ge stirle, quando si ripresenteranno. Con consapevolezza? Ok. Ma come gestirle non lo so ancora bene. Su questo devo ancora lavorare con la mia leonessa, che non molla mai. Sto comunque imparando ad accettare il presente e non vivere troppo nel passato o nel futuro lontano. Come direbbe la mia leonessa: un passo alla volta per andare sul sicuro. Mi viene quasi da ridere a pensare che fino a ieri piangevo tutte le sere, la notte era una sorta di consolazione perché la giornata mi sembrava troppo pesante da sopportare, al punto di non potere neanche mangiare. Avevo quasi una sorta di fretta che la notte arrivasse, così mi sarei trovata sola con i miei demoni, in pace, senza es sere disturbata dal chiasso della giornata che trascorreva tra bambini e le mille cose da fare. Invece eccomi, a dire
sue parole mi sembravano troppo strane, dei versi senza senso, suoni privi di significato. Come è possi bile credere a tutte queste parole che mi stava dicendo, quando dentro di me stavo così male e provavo un dolore indescrivibile?
Sentivo come se un veleno mi stesse consumando gli organi interni, piano piano, un processo invisibile agli occhi. La mia amata leonessa è stata un chirurgo mentale che mi ha liberato da quel veleno. Non dico che non ci siano ancora dei residui di quel veleno mentale dentro di me, però una cosa è certa: con lei al mio fianco so che ne uscirò vincitrice. Non si può guarire totalmente da un male psicologico, però so che adesso sono cosciente di ciò che è la causa del mio malessere mentale, se lo vo gliamo chiamare così.
Quella sensazione di leggerezza è così piacevole dentro di me che sono convinta che ho fatto bene a cercare soccorso psicologico. La mia grande fortuna alla fine è di aver trovato una dottoressa testarda e determinata, una vera leonessa, ma, soprattutto, con un cuore così pieno di amore.
La mente umana è talmente sottile, come una piuma che assorbe tutto, talmente leggera che con un soffio del vento vola via. Poi vai a capire dove cadrà! Oggi ho capito che mi devo rialzare anche se non sarà facile, però lo devo fare per il mio bene. Come dice la mia leonessa-dot toressa: “Se ti rompi una gamba, sta a te decidere dopo l’intervento che fare. O fai la fisioterapia riabilitativa, che sarà molto dolorosa, o decidere di non affrontare il do lore ma zoppicare a vita”.
29 che sto scrivendo con molta leggerezza nell’anima queste righe, che raccontano del mio cammino nell’attraversa mento di un vero inferno emotivo.
Io ho deciso di fare la riabilitazione psicologica attra verso un percorso molto doloroso di psicoterapia, però oggi mi sto rendendo conto e riesco a provare i suoi be nefici psicologici in me.
Questa affermazione sembra coniata proprio per me. Mi chiamo Hosny, sono nato nel 1993. Orgoglioso del mio lavoro di parrucchiere, sono giovane, ma ho già una ricca esperienza, maturata in dieci anni di paziente apprendistato.
Il sociologo statunitense Richard Sennett, nel libro L’uomo artigiano , dice che l’orgoglio per il proprio la voro è centrale nei mestieri tecnici, in quanto è la ricom pensa per la bravura e l’impegno profusi.
Ora vi spiego chi è Yassine e come ci sono arrivato a conoscerlo. Come dice il detto che il riccio vuole diventare liscio e il liscio vuole diventare riccio [...]. Ma a quell’epoca non mi piaceva il riccio, volevo a tutti i costi il capello liscio. Decido di andare da un barbiere che si trova nel mio quartiere e mi affido a questo barbiere, un signore anziano d’età. Mi presento e chiedo di farmi un trattamento per al lisciarmi i capelli, pensando che la cosa era molto fa
All’inizio30 ero riccio Hosny Mahmoud Ahmed Marey
Sono arrivato alla Città dei Ragazzi nel febbraio 2009. Avevo lasciato l’Egitto all’insaputa di mio padre, Mah moud, e della mia famiglia, che avrebbe voluto che com pletassi gli studi. Ero l’unico figlio maschio, secondogenito, in una famiglia di quattro figli. Il necessario per vivere non mi mancava ma mi sono fatto convincere da Yassine.