Furio Aceto
La via della libertà Storia di un ufficiale che divenne partigiano Diario vincitore del Premio Pieve Saverio Tutino 2021
Con il contributo di
Prefazione di Marco Revelli
La via della libertà è, come recita il sottotitolo, la “Storia di un ufficiale che divenne partigiano”. Vi è narrata, con efficace capacità letteraria, e documentata con la precisione di un “rapporto” militare, la vicenda del sottotenente Furio Aceto, “portastendardo” del Reggimento Lancieri di Vittorio Emanuele II, entrato in servizio nel 1942, in uno dei momenti più difficili per quel Regio Esercito a cui apparteneva con orgoglio, e costretto subito dopo, dagli eventi, a scelte drammatiche. Quelle scelte, appunto, che il grande storico Claudio Pavone pone alla base della “moralità della Resistenza”, e che portarono decine di migliaia di giovani, la stragrande maggioranza dei quali privi di qualsiasi “educazione politica”, a “salire in montagna” e farsi “partigiani”. Le vie della montagna furono diverse e molteplici. Per qualcuno, come nel caso di mio padre, fu l’esperienza traumatica di una guerra atroce e catastrofica come la campagna di Russia, e il desiderio di rivendicare quei morti mandati al sacrificio da un regime corrotto e feroce. Per altri l’immagine devastante dello sfacelo dell’esercito, tradito e abbandonato dal Re e dai suoi generali nelle mani dell’ex alleato diventato in un giorno nemico. 5
Per altri ancora la minaccia e il ricatto dei primi bandi di arruolamento nella Repubblica sociale, con l’alternativa mortale tra darsi alla vergogna o alla macchia. Per Furio Aceto fu un innato spirito d’onore militare. Aveva fatto parte di una delle poche Divisioni, la Ariete, che non si erano sfasciate nelle ore immediatamente seguenti al celebre Proclama Badoglio nel flusso limaccioso del “tutti a casa”, ma aveva mantenuto un proprio ordine formale e una capacità di resistenza rara, che le aveva permesso di partecipare attivamente alla difesa di Roma e che infine ne aveva portato il nucleo dei lancieri a una sorta di resa con l’onore delle armi. Non nel Piemonte dello sfacelo della IV Armata, armi e divise disseminate nei prati e nei fossi, ma nel cuore della Capitale. Un po’ come il Beppe Fenoglio di Primavera di bellezza, anche Aceto aveva dovuto risalire la penisola su treni di fortuna, sfuggendo alla caccia dei tedeschi, mimetizzandosi tra passeggeri in fuga disordinata anch’essi. E anche lui, come Il partigiano Johnny, aveva attraversato i giorni melmosi della zona grigia, il tempo sospeso di una clandestinità passiva, prima di arruolarsi finalmente. E ritornare a “sentirsi uomo” – scrive ancora Fenoglio – nel mondo riscattato della lotta di Liberazione (“l’arcangelico regno dei partigiani”, nell’espressione dello scrittore albese). Una scelta resa tanto più difficile dalla responsabilità di una famiglia – l’amatissima moglie Vittorina in attesa della figlia Mimma – che tanti trattenne dall’impegno attivo. E nello stesso tempo facilitata dall’esempio del fratello maggiore Ezio, tra i primissimi a salire in montagna. Militare anch’esso, fu celebre per la sua audacia, che lo guidò sulla via delle formazioni partigiane del cuneese, prima in Valle Stura, con Duccio Galimberti e Dante Livio Bianco, poi in Val Pesio con le Formazioni 6
“R”, e infine con gli “autonomi” di Martini Mauri, in val Corsaglia e nelle Langhe. Fino alla Liberazione, a Torino Ezio, a Savona Furio. La Resistenza di Furio è quella di un ufficiale effettivo, di un militare di carriera che intende restare fedele al giuramento prestato. E che vive la vita del partigiano praticando lo stesso codice di comportamento appreso all’Accademia e alla scuola di Cavalleria, diffidente nei confronti della “politicizzazione” delle bande, sempre rispettoso della dignità umana sia dei propri uomini che del nemico, restando in qualche modo, anche nella forma “irregolare” del “volontario della libertà”, lo stesso “portastendardo” dei Lancieri di Vittorio Emanuele II. E infatti dopo la Liberazione proseguirà la carriera militare fino ai più alti livelli, concludendola col grado di Generale di Divisione. La possibilità di accedere ora alle sue “memorie” offre materiale prezioso agli storici e a chi voglia, in questo tempo nuovo e lontano dagli avvenimenti di allora, entrare nel mondo variegato e denso della Resistenza, cogliendo la soggettività dei suoi protagonisti, le differenze spesso assai grandi tra di loro ma nello stesso tempo i tratti di uniformità nella consapevolezza dell’abisso che separava quel microcosmo polifonico che erano le formazioni partigiane dal mondo tetro, mortifero e feroce degli occupanti tedeschi e dei loro complici fascisti.
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Introduzione di Giorgio Aceto
Lo scritto di mio padre, Furio Aceto, costituisce il resoconto di un cammino di vita e di lotta. Cammino che si svolge dal 25 luglio 1943 alla Liberazione, e progressivamente trasmuta in un percorso esistenziale iniziatico e maturativo. Nelle sue pagine rivivono le vicende d’un giovanissimo ufficiale del Regio Esercito Italiano, intrecciate con gli avvenimenti accaduti dopo la caduta del Regime. Quando la fallimentare gestione politica e militare dello Stato consente ai germanici di procedere nell’occupazione (già predisposta) della penisola, mentre solo una parte esigua dell’esercito dimostra consapevolezza e organizzazione. Si distingue la Divisione di Cavalleria Ariete comandata dal gen. Raffaele Cadorna, da sempre antifascista. Nei cui ranghi il sottotenente Aceto partecipa dopo l’8 settembre alla Difesa di Roma, con competenti iniziative, come nell’impedire la cattura del Comandante del suo Reggimento, Lancieri di Vittorio Emanuele II. Ma data la situazione in cui versa tutto il paese risulta proprio impossibile contrastare ulteriormente gli invasori, senza mettere in pericolo la popolazione. 9
Sconcerto, confusione, insicurezza, preoccupazione genera nell’animo angosciato la catastrofe in cui il fascismo ha fatto precipitare la nazione. Ma cresce in lui, come sana reazione, una potente volontà di contrastare con tutto se stesso quanto definisce come “il male”: ingiustizia, sopruso, oppressione, prevaricazione, tirannia, brutalità sadica, violenza omicida. Allora, nell’intimo della sua coscienza, l’autentica idealità umanitaria riesce infine a prevalere nell’aspra lotta contro i doveri e le responsabilità famigliari, da lui vissuti con profondità di sentire. Così Furio entra nella Resistenza armata. Di cui va annotando fedelmente fatti e dinamiche. Comanda Unità di Autonomi nella lotta contro i nazifascisti che conduce dapprima nel cuneese e poi nell’astigiano. E infine contribuisce alla Liberazione di Savona, ove dall’aprile ’45 è vicecomandante della Brigata dell’Ordine su incarico del Comando Alleato.
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La via della libertà Storia di un ufficiale che divenne partigiano
Nota dell’editore ll diario che qui pubblichiamo è stato sottoposto al vaglio di una commissione redazionale composta dalla curatrice del libro e dai responsabili della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, che hanno definito i criteri di pubblicazione e hanno approvato il risultato editoriale. La normale operazione editoriale di revisione di un testo necessita di cure particolari nel caso di diari, memorie ed epistolari; per questo motivo, i criteri adottati variano in relazione al tipo di testo autobiografico pubblicato. In questo caso il testo è integrale, e anche le note, le notizie sulle persone citate e le didascalie della parte fotografica sono opera di Furio Aceto.
PARTE PRIMA
Caduta di Mussolini, difesa di Roma e clandestinità
PORDENONE, 25 LUGLIO 1943
Domani festeggeremo il primo mese di matrimonio; stasera gli amici ci hanno invitato al circo equestre; usciamo in gruppo dall’albergo Moderno presso il quale alloggiamo. Io e Vittorina al primo piano nella bella camera con salottino che ha il balcone proprio sopra l’ingresso principale. Nello stesso albergo, al piano terreno funziona il circolo ufficiali del mio reggimento Lancieri di Vittorio Emanuele II, trasferitosi dalla guarnigione di Bologna e facente parte della V Brigata della Divisione di Cavalleria corazzata Ariete.1 Sono con noi i miei colleghi, sottotenenti Guerra, Fotticchia, Guzzi, Stampacchia, e Montanari con la moglie. A circa metà dello spettacolo ci giunge, sussurrato, “l’ordine di scuderia” di rientrare subito al circolo. Apprendiamo così le ultime notizie da Roma: la caduta di Mussolini e la nomina del Gen. Badoglio a capo del governo. Con monarchica fierezza, euforia, animazione, brindiamo alla fine del “regime”; siamo entusiasti di sapere 1 La Divisione di Cavalleria corazzata Ariete è stata ricostruita con Brigate di Cavalleria corazzata e unità di Artiglieria semoventi, in sostituzione di quella di Fanteria Carrista ripetutamente distrutta e ricostituita in Africa Settentrionale.
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chiuso il pesante capitolo del fascismo, dei “due eserciti”. Il Re ritorna ad essere l’unico comandante in capo come da Statuto. Nel brindisi qualcuno rompe il bicchiere alla moda russa. Mia moglie esclama: “Finalmente respiriamo l’aria della libertà. Quanto sospirata”. Nella notte dormiamo poco, nonostante la stanchezza della giornata, e al mattino sono convocato a rapporto. Il comandante del reggimento, il Ten. Col. Raby, sollecita brevemente l’opportunità di vigilare e tenere gli uomini alla mano, e si appella al nostro senso del dovere nella gravità del momento. Non mi entusiasma: rimpiango il Col. Dardano Fenulli, che lo ha preceduto, e ora, generale, comanda la nostra Brigata. Egli soleva parlare al reggimento riunito in occasione della Messa festiva nella caserma di Bologna. Il suo eloquio, sempre efficace e illuminato, puntualizzava la situazione con una intelligenza ed una sensibilità che avevano reso l’unità una grande famiglia, animata da un senso di coesione che era raro trovare altrove. Nelle sue frasi si fondevano armoniosamente patriottismo e fedeltà al Re, e ognuno di noi trovava conferme e sostegno ai propri sentimenti in quella eccezionale personalità. Ora, invece, quanti interrogativi! Pare di essere a rimorchio degli eventi. Per fortuna i Lancieri sono nella maggioranza seri, disciplinati, animati da un fortissimo spirito di corpo; questo, se nei quadri deriva anche dalla tradizione, nella truppa è l’effetto dell’azione di comando equilibrata, ispirata, umanissima del colonnello Fenulli. Fino a ieri, noi godevamo della spensieratezza propria della nostra giovane età, ed insieme della coscienza di ottemperare con fedeltà ai nostri doveri. Ieri mattina il collega Fotticchia, al mio arrivo al circolo per la colazione, mi confidava simpaticamente di aver notato in città una nuova ragazza: “Favolosa, un po’ altera, notevole per 14
stile ed avvenenza”. La fanciulla, dall’abito verde acqua, si era sottratta dal suo insistente pedinamento entrando in un negozio e facendo perdere le sue tracce. Lo Stampacchia, che lo aveva incontrato in bicicletta, annuiva sorridendo. Ad un tratto il Fotticchia era ammutolito, arrossendo e dicendo: “Ma è qui, è qui! Purché non venga a protestare!”. Voltandomi, nel vedere Vittorina, rompevo il silenzio imbarazzato dei miei interlocutori, dicendole: “Vieni, ti presento questi cari colleghi”. Ricordo ancora le loro espressioni stupite; poi, con lo spirito e la galanteria che li distinguevano, il primo ci aveva offerto l’aperitivo, e il secondo ci aveva invitati al circo equestre: “in riparazione dell’involontaria insistenza e della gaffe... perdonabile? Spero”. Tutto era finito così signorilmente, e io m’ero sentito molto fiero di avere una sposa tanto ammirata. Beata gioventù, credevamo di aver terminato un periodo critico. E invece le più grandi prove non erano ancora cominciate. PARTENZA PER IL LAZIO
È giunto un ordine sibillino: partiremo domani per una ignota destinazione del Lazio. La caduta del fascismo comporta gravi preoccupazioni, e lo Stato Maggiore dell’Esercito intende rinforzare la disponibilità di grandi unità presso la capitale, anche in considerazione della vicinanza della Divisione Corazzata “M”,2 formata da militi ed artiglieri e dotata di carri armati germanici. Nella mattinata del 27 luglio abbiamo caricato sui pianali ferroviari i carri armati, gli automezzi, le munizioni e gli altri rifornimenti logistici. 2 La Divisione corazzata “M” (Mussolini) ha avuto in dotazione carri armati tedeschi, quale dono personale di Hitler al Duce del fascismo.
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La mia cara, intanto, prepara per la spedizione ai miei suoceri un baule con le mie migliori divise e parte del vestiario, che, con due cassette d’ordinanza e il cassone selleria, con la mia sella inglese di cinghiale, partiranno per il Piemonte. Quanti dubbi nel nostro animo, ci impensieriscono le notizie incerte ed allarmanti provenienti da altre regioni. Nel pomeriggio, l’ansia e la disperazione di doverci dividere ci conducono ad una decisione certamente avventata... Io ho 22 anni, Vittorina 21, ci sembra intollerabile perderci, separarci nuovamente. Questo dopo aver dovuto aspettare per anni di sposarci. Raggiungiamo così alla stazione ferroviaria il convoglio, poco sorvegliato in un binario laterale. Riusciamo ad allontanare l’amico Brancaccio con una scusa, nonostante la sua perplessità per la nostra presenza. Vittorina entra nel mio carro armato, arrampicandosi con l’aiuto del fedelissimo pilota, il lanciere Esposito. Prima ha indossato una tuta blu da carrista e calcato un casco sui riccioli annodati. Comincia così un viaggio interminabile per la mia sposina, priva di ogni confort, con pochi viveri che saltuariamente io o il mio Serg. Magg. Rebizzani, riusciamo a portarle durante le soste. Il tormento peggiore lo soffrirà per l’assalto delle zanzare nel caldo torrido, nella notte in sosta a Padova, e nel rimanere quasi sempre chiusa nella ferraglia per quasi quarantotto ore. Ad ogni sosta del convoglio, con la scusa di controllare il personale di guardia, lascio il mio comodo scompartimento di prima classe e mi avvicino al mio carro: vorrei esserle di qualche aiuto e consolarla, non riesco a riposare mentre lei è così sacrificata. La mia assiduità è notata dai superiori che commentano benevolmente sull’eccesso di zelo del “Portastendardo”. Infine, transitando a Firenze, con mio vivo disappunto, il “Gufo” (appellativo attri16
buito da “radio gavetta” all’Aiutante Maggiore in I del Reggimento) osserva con sarcasmo il mio attaccamento eccessivo ai mezzi del mio plotone; il commento mi turba e sospendo le visite fino al calare della notte. Il viaggio sembra eterno e le notizie contraddittorie sulla situazione politica interna ci portano a temere che i tedeschi non accettino la destituzione di Mussolini e che la milizia si sollevi con l’aiuto dei nazisti. Nella lunga notte a Padova numerosi convogli di corazzati germanici erano in sosta a pochi binari di distanza ed i loro “musi duri” non avevano facilitato alcuno scambio di manifestazioni cameratesche. Anzi una certa tensione serpeggiava nell’animo nostro e dei lancieri. Prima dell’alba del terzo giorno di viaggio, eccoci a Civita Castellana, dove laboriosamente scarichiamo carri e automezzi sull’unica rampa terminale, onde formare una colonna avente destinazione Rignano Flaminio. Colgo il momento propizio per aiutare Vittorina a raggiungere la sala d’aspetto, ove attenderà il primo treno per Roma. Le risorse peculiari del suo carattere vincono la mia incertezza, ma non annullano la mia ansia per lei, sola in questo viaggio in momenti tanto difficili. Il nostro commosso saluto è un “arrivederci a Rignano... con l’aiuto di Dio!”. Ritorno mesto al mio plotone ormai disposto in formazione di marcia dal solerte Rebizzani: sei carri armati in testa, seguiti dagli autocarri, dai motocicli e motocarrelli. Alle ore 8.30, con fierezza e commozione, risalgo lo schieramento reggimentale reggendo il “mio” Stendardo, raccolto nel suo fodero grigioverde, per prendere posto in testa alla colonna sulla seconda autovettura scoperta. Un ultimo squillo di tromba dà il segnale della partenza, dopo gli onori regolamentari ed il “montate” degli equipaggi sui mezzi. 17
A RIGNANO FLAMINIO
Presso l’abitato, alcuni cavalli in un recinto mi ricordano “Fatta” la mia ultima puledra, che da Pordenone ho rinviato a Bologna con il fedele attendente Barcaglione. Così mi sovvengo di quando, appena assegnatomi, lui si era presentato alla Scuola di Pinerolo, ove io frequentavo l’Applicazione. I colori di “Vittorio”, che lui indossava, erano stati come un primo benvenuto del Reggimento. E proprio Barcaglione, sempre puntuale e disciplinato, aveva scelto di seguirmi nella mobilitazione del 1 giugno, rinunciando alla sua sicura e comoda appartenenza allo Squadrone Deposito. Che ne sarà ora di lui? Gli rivolgo mentalmente un fervido augurio. Lungo lo stradone incontriamo qualche contadino che ci osserva con stupore, e, finalmente, raggiungiamo una zona boscosa oltre il paese. Le operazioni di diradamento dei mezzi occupano qualche ora, ma io trovo un momento favorevole per una scappata nell’abitato alla ricerca di un alloggio idoneo: non esistono alberghi, l’unica locanda è requisita per gli sfollati e solamente grazie ai Carabinieri, riesco a prenotare una stanza “con balcone” nella casa di due strane sorelle. Quando Vittorina giunge, può prendere così possesso dell’alloggio dopo quel lungo viaggio tanto faticoso. Io l’accolgo con infinito sollievo. Mi racconta la sua avventura romana, quando tutta annerita dalla fuliggine e con l’abito spiegazzato, si era vista rifiutare il servizio dal tassista, finché non lo aveva convinto, porgendogli cinque lire. Povero il mio “dunin”, scambiata per un accattone! Per ora queste pene sono finite, come la carenza assoluta d’acqua, sofferta nel lungo viaggio in carro armato e sui due treni successivi, come alle stazioni di Civita Castellana e Roma Ostiense. 18