Il mio asinello Benjamin e io Una storia sorprendente ma del tutto vera, per bambini e per grandi, raccontata da Susi
Testo e idea: Hans Limmer Fotografie: Lennart Osbeck
Traduzione di Giulia Mirandola
Questa sono io. Mi chiamo Susanna. Ma tutti mi chiamano Susi, perché sono ancora così piccola.
E questo è Benjamin. A volte lo chiamo solo Ben, perché anche lui è ancora così piccolo. Lui è mio amico. Potete credermi, è meraviglioso avere un piccolo asino per amico. Mi ricordo ancora perfettamente il giorno in cui lo abbiamo portato a casa. È andata così.
Papà e io eravamo usciti per fare una passeggiata. Sono sempre contenta quando posso andare a spasso con papà, perché ogni volta ci sono un sacco di cose da vedere: farfalle o sassi colorati o un serpente o una barca di pescatori. Ma questa volta abbiamo trovato qualcosa di diverso. Eravamo andati avanti già un bel po’. Tutto a un tratto abbiamo sentito un rumore strano provenire dal mare. Qualcuno ansimava molto forte. Era come se un gigante avesse il raffreddore. Ovviamente volevo subito vedere cosa fosse. Perciò ci siamo sporti dalla rupe e abbiamo guardato giù verso gli scogli.
Ma non abbiamo trovato un gigante, bensì un bebè. Un asinello tutto solo, tra due grossi massi, che non riusciva ad andare né avanti né indietro. Come poteva essere finito lì? In lungo e in largo non si scorgeva nessuno. Pure della mamma asina nessuna traccia. Che fosse caduto giù? Non sembrava essersi fatto male. Con attenzione, ci siamo avvicinati un po’ di più. “Ha solo un paio di giorni”, ha detto papà. “Per piacere, papà, riportalo su”, ho chiesto. “Penso che sia spaventato.”
Papà si è calato fino in fondo per prendere l’asinello. Ero un po’ preoccupata che tutto andasse bene. Dopo un po’ di tempo papà ci è riuscito. “Che facciamo ora con lui?” ha chiesto. “Lo prendiamo con noi”, ho detto. “Sarà di sicuro contento di poter venire con noi.” Così siamo ritornati in tre al villaggio, dove ora abito con papà e mamma. Si trova su un’isola nel mar Mediterraneo. Prima vivevamo in una grande città. Lì c’erano solo auto e treni e grattacieli. Ma niente farfalle e niente sassi colorati e niente serpenti e niente barche di pescatori. E niente asino. Secondo me, qui è molto più bello.
Abbiamo chiesto a tutti se l’asinello appartenesse a qualcuno. Nessuno ne sapeva nulla. Allora lo abbiamo portato a casa con noi.
Mamma ovviamente, quando ci ha visto arrivare, ha spalancato gli occhi. E Angelica, mia sorella piccola, si è messa a chiacchierare ininterrottamente, come fa sempre quando è contenta. Credo che l’asinello piacesse molto a entrambe.
Un classico della fotoletteratura per l’infanzia di Giulia Mirandola
Il mio asinello Benjamin e io (Mein Esel Benjamin) viene pubblicato per la prima volta nel 1968 presso l’editore tedesco Hanns Reich Verlag di Monaco. La storia di Susanna e del suo asino in Germania è considerata un classico della letteratura per l’infanzia. Da allora ne sono state stampate più di due milioni di copie, diffuse in oltre quaranta edizioni, oggi sotto la responsabilità della casa editrice Fischer Sauerländer. Ho voluto fare un esperimento. A tutte le persone tedesche che conosco bene o appena, ho posto la stessa domanda: “Hai mai letto Mein Esel Benjamin?” E tutte loro hanno formulato la stessa risposta: “Oh, ja! Wie süß!” (“Oh, sì! Che dolce!”). Le persone intervistate appartengono a quattro generazioni diverse. Alcune emozioni primarie e sentimenti che si fanno strada mentre leggiamo sembrano disporsi in modo da formare un cerchio dentro il quale c’è Susi, il suo asino e ci siamo noi. Mi riferisco all’amicizia, all’amore, al piacere di comunicare, al gusto di giocare, alla conversazione ininterrotta con il paesaggio e i suoi oggetti, al desiderio di cura, al bisogno di indipendenza, di compagnia, di solitudine, all’invenzione di storie con i materiali in divenire della quotidianità, all’avventura. Il testo di Hans Limmer parla come farebbe una bambina che assomiglia a Susi, la quale
si esprime come tutte le bambine e i bambini a lei simili, senza questioni di stile, con frasi semplici e collaudate, un lessico in evoluzione e a volte delle ripetizioni. Le fotografie del fotografo svedese Lennart Osbeck mostrano certamente delle scene nelle quali avviene la storia di Susi e del suo asino. Al tempo stesso mostrano qualcosa che rende queste riproduzioni fotografiche diverse dalle cartoline del mare, dalle foto delle vacanze, dalle immagini pubblicitarie realizzate a scopo turistico. Teniamo presente che Il mio asinello Benjamin e io si svolge in Grecia, in un piccolo villaggio sull’isola di Rodi, un luogo dove ogni anno la produzione di cartoline del mare, di foto delle vacanze e di immagini pubblicitarie realizzate a scopo turistico è impattante e modella i nostri immaginari da molto prima dell’avvento di Instagram. La fotografia di Osbeck segue lo sguardo della bambina oppure prova a essere la parte visibile di ciò che la bambina pensa e vede dentro sé. In certi momenti è una cronaca dei fatti, in altri è leggenda. Come andare vicino a una bambina, a un animale. Le immagini per dire. Il bianco e nero, fissi. Il ritmo nel montaggio. Una messa in scena in tre atti. Limmer si trasferì in Grecia, nel villaggio di Lindos sull’isola di Rodi, negli anni Sessanta,
con la sua famiglia. La storia narrata è ispirata alla realtà e la bambina protagonista è realmente la figlia dello scrittore tedesco, Susanne Schäfer-Limmer. In una intervista uscita qualche anno fa su The Guardian, Susanne racconta che occasionalmente alcuni turisti tedeschi venivano a cercare la sua casa, per conoscere lei e il suo asino, ma lei questo tipo di visite non le gradiva e spariva nella sua stanza. Giorgia Grilli in “La città che non c’è. Bambini, natura e ambiente urbano nella letteratura per l’infanzia” scrive: “Nel periodo in cui la gente, nei paesi avanzati del mondo occidentale, si riversa in massa a vivere in un ambiente urbano – e trasforma inesorabilmente il paesaggio naturale in un paesaggio fatto di mattoni, strade, fumo, ciminiere – vengono pubblicati i grandi classici per l’infanzia […]. Più la città si ingrandisce, si popola, diventa il fulcro del vivere civile, più iniziano ad uscire libri per bambini ambientati rigorosamente al di fuori di essa, nella natura, nel verde, in montagna, nella giungla, per mare, su un’isola, in un luogo non antropizzato”. Susi, bambina di città e di mare, afferma: “Prima vivevamo in una grande città. Lì c’erano solo auto e treni e grattacieli. Ma niente farfalle e niente sassi colorati e niente serpenti e niente barche di pescatori. E niente asino. Secondo me, qui è molto più bello”. I libri fotografici con protagonisti i bambini e gli animali sono una moltitudine. Limmer stesso è autore di altri libri che vanno in questa direzione: Paulinchen, dedicato a una maialina (fotografie di David Crossley, oggi Tulipan Verlag); Meine Affe Pop (“La mia scimmia Pop”, fotografie di Lies Wiegmann, J.P. Bachem Verlag, 1971); Alle meine Schäfchen (“Tutte le mie pecorelle”,
J.P. Bachem Verlag, 1973). La fotografa Wiegmann era nota per avere pubblicato nel 1969 la storia di un bambino e del suo canguro intitolata semplicemente Mein Känguruh Fanny (“Il mio canguro Fanny”, oggi Sauerländer) e Mijn Lama (“Il mio lama”), con testi di Diekmann Miep. Non solo gatti e cani, dunque, ma anche asini, cavalli, maiali, elefanti, orsi, tigri, pinguini. Facciamo più di un esperimento. Proviamo ad aprire Pondus, la storia del pinguino con la sciarpa rossa raccontata e fotografata da Ivar Myrhoj (Carlsen Verlag, 1969). Proviamo con Nils Holgersson, un classico della letteratura per l’infanzia, frutto dell’immaginazione di Selma Lagerlöf (Premio Nobel per la letteratura nel 1909) con le fotografie e i fotomontaggi dello svedese Hans Malmberg (Nymphenburger Verlagsbuchhandlung, 1962). Potremmo andare oltre ed esplorare la fotoletteratura di altri paesi. Vedremmo che esiste un fiume di storie di questo genere. Oggi, come ieri e ieri l’altro, l’amicizia tra fotografia, animali e bambini continua.