L.D.LuigiTraduzioneLapinskidiCojazzi
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Nel nostro mondo ci sono sempre stati luoghi dove si con centra la magia. Se osservate attentamente, ve ne potete rendere conto con facilità. Un calesse d’altri tempi trainato da un cavallo che sfila tra le auto, un vicoletto in cui vedete la gente entrare ma mai uscirne. A volte potete cogliere la magia in una persona che sembra venuta fuori direttamente da una vecchia foto. O, forse, in un caffè noterete una viaggiatrice con una borsa che sembra fluttuare a qualche centimetro da terra. E quando guarderete di nuovo, lei e la sua borsa saranno scomparse.
E, ogni tanto, si può trovare la magia in una bottega. Schiacciate tra i negozi di marchi alla moda, con le loro vetrine lussuose, le botteghe magiche non sono mai appariscenti. Hanno finestre sporche e impolverate, e a volte insegne così scortecciate che si leggono appena, come se fossero scritte in caratteri fantasma. Alla magia non piace dare nell’occhio. E la maggior parte della gente preferisce far finta che non esista.
Capitolo1
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Dall’apertura dell’attività, avvenuta all’incirca un secolo e mezzo prima, fino a quell’estate, non era cambiato praticamente nulla, a parte proprio i due globi, che venivano ridipinti di tanto in tanto per aggiornare eventuali spostamenti di frontiere tra i vari Paesi.
Era decisamente tempo di novità. Alla fine sarebbe sta ta una visita inattesa a salvare il destino dell’agenzia. E non solo di quella. Jonathan Mercator era al lavoro. O almeno questo avrebbe detto lui se gliel’avessero chiesto. In realtà stava leggendo, seduto su una sedia con i piedi appoggiati sulla scrivania.
Sul tavolo, accanto alle sue scarpe, c’erano dei quaderni aperti. Il silenzio dell’agenzia era spezzato solo dal ticchettio fuori sincrono di vari orologi, a cui Jonathan non sem brava prestare la minima attenzione.
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L’Agenzia di viaggi Stranimondi aveva in tutto e per tutto l’aria di una bottega magica. I vetri delle finestre piombate erano sporchi e incri nati. La porta d’ingresso aveva la vernice scrostata e non sembrava quasi mai aperta. C’era un solo elemento che resisteva alla decadenza: l’insegna sopra la vetrina. Era ancora dipinta a caratteri vividi, in morbide lettere d’o ro rifinite in nero che si stagliavano su uno sfondo rosso rubino. La bottega sembrava un ricordo d’altri tempi, ma l’insegna affiancata da due globi terrestri brillava, ben visibile a tutti.
Agenzia di viaggi Stranimondi
Il ragazzo si portò la lente al viso aggrottando la fronte. “E cosa dovrei vedere? Questo coso non funziona, vedo tutto sfocato.” Posò la lente sulla scrivania. “Che razza di posto è questo?” disse quasi gridando, ma la sua voce fu attutita dallo spazio circostante.
Un’ombrastandard.oltrepassò
alzò gli occhi dal suo romanzo e lo osservò con“Uhm...interesse.Questo non è il Game Store, vero?” Il volto di Jonathan perse ogni traccia d’interesse, come una candela spenta da una ventata improvvisa. Esaminò il locale attorno a sé con finto stupore. “Ah, no? E cosa te lo fa pensare?” Il ragazzo tirò fuori il telefono. “Eppure dovrebbe es sere“Ah,qui.”be’, certo. Se il tuo smartphone dice che è qui, deve aver ragione lui. Non fidarti mai dei tuoi occhi, mi raccomando.” Jonathan infilò una mano nella tasca interna della giacca ed estrasse una piccolissima lente d’ingrandimento in bronzo, con un vetro particolarmente spesso. La lanciò al ragazzo, che la agguantò con aria incerta. “Perché non dai un’occhiata in giro, così ti schiarisci le idee?”
“E questa a cosa serve?” “Fidati, guardati attorno.”
7 Lo aspettava una giornata molto impegnativa, almeno per i suoi
la grande vetrata, quindi ripassò e si fermò davanti all’ingresso. Un istante dopo la por ta si aprì, grattando le assi del pavimento rigonfie per l’umidità. Entrò un ragazzo, che si guardò intorno con unaJonathansmorfia.
Tanto per cominciare, il visitatore non aveva tutti i torti: il locale era piuttosto arretrato dal punto di vista tecnologico. L’oggetto più moderno in possesso di Jonathan Mercator era una macchina da scrivere degli anni Sessanta con cui si divertiva a comporre dei bigliettini sarcastici
“L’insegna non è abbastanza chiara? Siamo un’agenzia di viaggi.”Ilragazzo sbuffò. “Ok, va bene, l’insegna all’entrata dice AGENZIA DI VIAGGI, ma non avete nemmeno un tolse i piedi dalla scrivania, su cui oltre alla pila di quaderni c’era una tazza di tè mezza vuota e un piatto con i rimasugli di un toast al burro d’arachidi. Appoggiò il romanzo che stava leggendo, aperto a faccia in giù per non perdere il segno. “E a cosa dovrebbe servirmi un “Tipo...computer?”aprenotare dei voli? A organizzare delle va sorrise con aria misteriosa. “La mia agenzia di viaggi non si occupa di cose del genere.” Il ragazzo inarcò le sopracciglia. “E di cosa si occupa, si sistemò gli occhiali sul naso e intrecciò le dita, come se le sue mani fossero ruote dentate. Ma gli fu risparmiata la fatica di rispondere perché la valigia alla sua sinistra si aprì di scatto.
computer.”Jonathan
allora?”Jonathan
canze?”Jonathan
A questo punto, prima che le cose si complichino trop po, è meglio chiarire bene perché il ragazzo trovava così bizzarra l’Agenzia di viaggi Stranimondi.
8 Jonathan sospirò, riprese la lente e se la rimise in tasca.
Poi va detto che alle pareti dell’agenzia non erano appesi poster ammiccanti di Disneyland, dell’Algarve o di qualsiasi altra località turistica. Anzi, non c’erano proprio poster di nessun tipo. Solo atlanti e alcuni mappamondi, non tutti necessariamente sferici (uno, per esempio, era a forma di pera).
Occupavano un’intera parete del negozio, ordinatamen te riposte su degli scaffali di legno incassati nel muro, alti dal pavimento al soffitto. Ogni valigia aveva il suo scomparto e la maniglia ben tesa, come se non vedesse l’ora di essere afferrata. C’erano valigie anche tra le poltrone, a mo’ di tavolino, altre ancora erano impilate contro la parete più lontana e un paio appoggiate alla scrivania di Jonathan.
Se ne potevano contare almeno una cinquantina, tut te diverse l’una dall’altra. Ce n’erano di stoffa, di cartone, in pelle di coccodrillo e di altri animali che nemmeno lo zoologo più esperto avrebbe saputo riconoscere. Alcune avevano delle specie di timbri stampati sopra, altre erano sporche di vernice, e altre ancora avevano dei cartellini identificativi legati alla maniglia con uno spago.
L’Agenzia di viaggi Stranimondi ricordava più un ufficio oggetti smarriti o una bottega di antiquariato che un’agen
La scrivania su cui si trovava l’apparecchio sarebbe stata benissimo nell’ufficio di un preside del diciottesimo seco lo. E persino i vestiti di Jonathan erano un po’ fuori moda: alcuni suoi completi di tweed davano l’idea che qualcuno ci fosse morto dentro. Non erano certo il genere di abiti che ti aspetteresti di vedere su un diciottenne.
9 che poi nascondeva nei libri presi in prestito in biblioteca.
E infine c’erano le valigie.
“Ma cosa diavolo succede?” sussultò il ragazzo, cercando di mettersi in salvo dall’inondazione.
Il suo compagno colpì quella specie di appendice ram picante con uno schiaffo. “Sciò. Vai a prendertela con qualcuno con il tuo stesso numero di zampe.”
“Questa bestiaccia non vuole saperne di mollare la presa, Hudspeth”, sbuffò lei, con aria più infastidita che spa ventata, mentre il tentacolo le risaliva lungo la gamba.
Un tentacolo rosso vivo, dall’aspetto molto viscido, era avvinghiato alla sua caviglia destra.
10 zia di viaggi. Per cui non c’era molto da stupirsi che il ragazzo si guardasse attorno con aria diffidente, persino prima che una valigia si aprisse da sola, con un rumore che costrinse Jonathan a girarsi di scatto, facendo stridere le rotelle della sua sedia girevole. Dalla valigia aperta fuoriu sciva un torrente d’acqua che stava allagando la stanza.
Il tentacolo aumentò la stretta, diventando sempre più rosso.“Cercate di liberarvene, per favore”, sospirò Jonathan. “Non potete portare niente con voi. Sapete quali sono le regole.”
Dopo qualche istante un uomo emerse dalla valigia, come se fosse una botola. Era bagnato fradicio e tossiva. Aveva un telescopio retrattile agganciato alla cintura dei pantaloni tramite un anello di cuoio. Si girò, infilò le brac cia nella valigia e tirando con tutte le sue forze fece uscire una donna, che subito cadde sulle mani e sulle ginocchia, con il vestito a più strati che gocciolava sul parquet. Aveva tre paia di occhiali appesi al collo e una folta chioma nera raccolta in una treccia e decorata con dei nastrini.
“Solo Hudspeth, se non ti dispiace”, disse l’uomo con una“Bene.smorfia.Uhm...” disse Jonathan improvvisamente cor rucciato. “Secondo la vostra scheda di prenotazione sa reste dovuti rientrare la settimana prossima. Non vi siete divertiti?”“Divertiti non è la parola giusta.” La donna, Mori, si passò una mano tra i capelli e si infilò un paio di occhiali. Poi cambiò idea, se li tolse e ne provò un secondo paio che sembrava piacerle di più. “Le condizioni atmosferi che sono peggiorate, c’erano onde di dimensioni pazze sche. Abbiamo sentito di navi spazzate oltre il bordo della mappa.”Hudspeth annuì. “Era molto tempo che non vedevo una tempesta del genere. Nella parte inferiore del mondo avevano chiuso tutti i porti. E hanno cambiato di nuovo la valuta, ne eri al corrente?” “Da non crederci.” Jonathan si annotò qualcosa su un foglio di carta, scuotendo la testa. “La cambiano così spes
La donna scalciò e finalmente il tentacolo le mollò la caviglia, ricadendo con un tonfo nella valigia, che si richiuse di scatto, con un rumore secco. L’uomo e la donna, seduti sul pavimento, completa mente fradici, cercavano di riprendere fiato. I loro sorri si erano un po’ fuori luogo per qualcuno che era appena uscito da una valigia con un tentacolo di piovra attaccato a una gamba. Poi si guardarono e scoppiarono a ridere. Jonathan prese uno dei quaderni impilati sulla scrivania. Lo sfogliò fino alla pagina che stava cercando e afferrò una penna. “Bentornati, Mori e Alfred Hudspeth...”
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12 so che prima o poi torneranno al baratto. Siete riusciti a prendere un po’ di appunti interessanti?”
“Abbastanza interessanti.” Hudspeth estrasse da sotto la camicia un libro dall’aria inzuppata e lo appoggiò sulla alzò un sopracciglio. “Vi rendete conto che queste guide hanno un valore inestimabile? Per non par lare poi del fatto che ce n’è una sola per ogni valigia.” Prese tra il pollice e l’indice il volume gocciolante. “Mi aspetto che i membri della Società siano in grado di trattare con più cura i documenti a loro affidati.”
scrivania.Jonathan
“Non abbiamo certo avuto il tempo per sederci a scrive re una dissertazione”, rise Hudspeth. Jonathan non fece una piega. L’uomo si tirò indietro i capelli. Aveva un taglio sulla fronte, rigonfio e reso biancastro dall’acqua di mare. “Lo vedi questo? Un ‘piccolo diverbio’ mentre raggiungevamo la Baia delle Voci. La capitana Nyfe non ammette a bordo passeggeri che non conosce di persona, soprattutto visto come vanno le cose di questi tempi, quindi abbiamo dovuto imbarcarci su un vascello più piccolo per cercare di aggirare la Frattura. E quando è iniziata la tempesta per poco non perdiamo la valigia...” “E a quel punto sono arrivate... quelle specie di piovre”, aggiunse Mori pulendosi l’eyeliner con un dito che sem brava appena uscito dalla manicure. “Come hai detto che si chiamano?”“ Hafgufa”, disse Hudspeth. “Mostri della nebbia.” “Ecco.” Mori si sfiorò di nuovo il trucco intorno agli occhi, che resisteva orgogliosamente. “Sembravano attratte
13 dalla valigia. Siamo stati costretti a tuffarci in mare perché ormai occupavano tutta l’imbarcazione. Una cosa mai vista. Ci ha recuperato un’altra scialuppa, ma trovare un posto dove aprire la valigia è stato un incubo.” “Il che non significa che non lo rifaremmo”, disse Hudspeth con un sorrisetto malizioso. “Be’, per fortuna che non siete annegati in questo mare di scuse”, disse Jonathan in tono secco. Aprì il libro umido e gli diede una rapida scorsa. “E avete scritto un solo paragrafo.” Alzò lo sguardo. “Sapete perfettamente che non è abbastanza.”Lacoppiaarrossì.“Nonneabbiamo
davvero avuto il tempo...” “Abbiamo quasi perso la valigia...”
“Non separarti mai dalla tua valigia”, disse Jonathan di scatto. “È la regola numero uno. Se portate quel di stintivo al braccio”, Jonathan indicò lo stemma sbiadito e mezzo scucito sulla manica di Hudspeth, “dovete rispettare le regole e i requisiti della Società. I viaggi non sono un’occasione per...”. “La prossima volta non ci saranno problemi”, lo inter ruppe Hudspeth, aiutando la moglie a rialzarsi. “Tutto a posto,“PiùMori?”omeno”, rispose la donna sistemandosi i vestiti. Quel gesto fece dondolare una lente d’ingrandimento appesa alla cintura della donna. Non era piccola come quella che Jonathan aveva tirato fuori prima, aveva le dimensioni di una spazzola e l’aria più pesante, a giudicare dal manico in legno rosso e dalla spessa lente incorniciata in una scintillante montatura
“Così, per precauzione”, disse Hudspeth sbrigativo. “Meglio essere prudenti...” “Ma come... come vi siete permessi?” lo interruppe Jonathan, raddrizzando il busto cercando di sembrare molto più alto del suo metro e settantacinque scarso. “Sapete benissimo che non siete autorizzati a fare uso di lenti.”
“No,“Senti...”sentitemi voi.” Jonathan fece il giro della scriva nia, con gli occhi che gli lampeggiavano di rabbia. “Sie te membri della Società. Conoscete la storia dell’agenzia e sapete perché l’uso delle lenti non è consentito. Come osate prenderne una e portarla con voi? Io sono il vostro Custode Capo. Dovrei cancellare i vostri nomi dal registro sedutaMoristante.”avvampò di vergogna. “Era giusto in caso di...” “In caso di cosa?” “Ok, ok. Scusa.” Hudspeth alzò le mani. “Jonathan... Ci dispiace. L’abbiamo trovata a Cinque Luci e abbiamo pen sato che poteva tornarci utile.” Jonathan allungò una mano. “Datemela immediata mente.”Lacoppia si guardò. “Sono il vostro Custode Capo”, ripeté il ragazzo. “Datemela subito se non volete che quello appena concluso diventi il vostro ultimo viaggio.” A malincuore,
14 di ottone. Mori se l’era attaccata in vita con una specie di portachiavi dall’aspetto elegante ma robusto. Jonathan strabuzzò gli occhi e il suo atteggiamento ri lassato e conciliante cedette il passo all’indignazione. “Vi siete portati dietro... una lente d’ingrandimento?”
La campanella sopra la porta, privata da tempo del batacchio, si mosse senza far rumore.
15 Mori sganciò l’anello dalla cintura e consegnò la lente a Jonathan.Hudspeth corrugò la fronte. “Mi è costata un occhio della testa, quella.” “Sei fortunato che non ti costi nient’altro”, disse Jonathan in tono minaccioso. Ripose la lente nel casset to della sua scrivania. “Se non sapete usare le valigie – e soltanto quelle – nel rispetto delle regole, meglio che non vi facciate più vedere da queste parti. Questo non è un gioco.”“Ok”, disse Mori gentilmente. “Scusaci. L’abbiamo fatto senza pensarci. La prossima volta ci impegneremo di più con la guida. E staremo più attenti alla valigia. Cioè, in somma, non rischieremo di perderla.”
I due viaggiatori firmarono, quindi si congedarono con una rapida stretta di mano e un sorriso. Uscirono goffa mente dal locale con gli abiti ancora fradici.
Jonathan prese uno straccio, uno spazzolone e un secchio da dietro la porta che conduceva sul retro. Stava per accingersi ad asciugare il pavimento quando si rese conto
Jonathan richiuse il cassetto della scrivania annuendo. “Grazie.”“Vedo che prendi molto sul serio le tue responsabilità”, disse Hudspeth in tono un po’ risentito. “Senza offesa, eh...” “Non ne dubito.” Il vestito di Mori continuava a gocciolare sul parquet. “Alla prossima, allora.” Jonathan girò il registro verso di loro e appoggiò una penna nel solco tra le due pagine.
Si zittì di colpo, come se si fosse improvvisamente ricor dato che la persona con cui voleva parlare non era più lì. Era completamente solo. E ora se ne rendeva conto.
16 che il ragazzo lo stava osservando con la bocca spalancata dallo stupore. “Ah, sei ancora qui?” Quello scosse la testa, richiuse la bocca di scatto e corse fuori dall’agenzia a gambe levate, facendo vibrare all’im pazzata la campanella sull’uscio. Jonathan sospirò e riprese ad asciugare il pavimento. Un odore fresco e salino aleggiava nella stanza. Quando ebbe terminato, scosse la valigia con una mano, per farne uscire le ultime gocce di acqua, poi l’accarezzò affettuosamente e la ripose con cura sullo scaffale. Quindi tirò fuori la lente più grande dal cassetto della scrivania e ne esaminò attentamente il cristallo alla luce della lampada. Un’opera d’arte. Quell’oggetto era stato realizzato con ma estria e passione da qualcuno che sapeva come usarlo in modoJonathanappropriato.fuscosso da un improvviso fremito di rabbia. Lasciò cadere la lente sul pavimento e la schiacciò con il tacco della scarpa, fino a ridurre il vetro in frantumi. Quel gesto lo rilassò. Meglio romperla che rischiare che finisse nelle mani sbagliate. Fece una risatina praticamente inudibile e si voltò per dire qualcosa. “Hai visto che...”