Il diario di Raymond. Che male c’è a essere un demone?

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Traduzione di Alessia Porto

Lascia stare questo libro.

Avanti, su, mollalo. Avrai di meglio da fare, no? C’è la console che ti aspetta, o la bici, o la tivù. Questo libro te l’hanno regalato i tuoi genitori, ne sono sicuro, oppure tua nonna, o una vecchia zia un po’ antipatica. Tu non avevi chiesto niente. Dai allora, sbarazzatene, ficcalo sotto un mobile, buttalo nel gabinetto e tanti saluti.

Ah, continui?

Vuoi leggerlo comunque?

È perché hai visto sulla copertina che è stato scritto da un demone, vero? E hai pensato: Un demone! Che scemenza!

Eppure la cosa ti incuriosisce. Ti chiedi se è possibile che si tratti davvero del diario di un demone. Gli adulti ne inventano di tutti i colori.

La tua ipotesi è che l’autore sia un normalissimo essere umano, calvo e con gli occhiali, come tutti gli

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scrittori e le scrittrici, che tenta di fingersi un demone allo scopo di vendere pile di libri ed estorcere denaro alle vecchie zie.

Sei furbo tu, eh?

Non ti lasci prendere in giro, vero? Be’, ti sbagli.

Voglio dire: ti sbagli perché, ebbene sì, io sono un demone.

Un demone per bambini, ma comunque un demone. La prova? Mi chiamo RZSQSODIUFQSX. Si scrive come si pronuncia starnutendo.

Ti interrompo subito, furbetto. Tu credi di conoscere i demoni solo perché hai visto qualche ridicola immagine di creature mostruose, dotate di ali, forconi, artigli e corna, che si divertono a infilzare la gente in inferi sinistri simili a lunapark per streghe.

Niente di più sbagliato.

Noi demoni siamo invisibili. Immateriali, persino. Il che significa che non ci potete toccare. Ad esempio, adesso ti stai mettendo un dito nel naso mentre leggi. E nel farlo il tuo braccio attraversa il mio corpo. Già, perché sono seduto proprio sulle tue ginocchia. Io posso essere dove voglio, quando voglio. Anche in più posti nello stesso momento, se mi va. Comodo per controllare i miei lettori.

E comunque sarebbe meglio che la piantassi di metterti le dita nel naso (e di infilarle nel mio, a volte): è piuttosto disgustoso, alla lunga.

Grazie tante.

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Di che stavo parlando?

Ah sì, dei demoni. Dunque, io sono un demone per bambini. Per ragazzi, diciamo. Ma non li torturo, né li arrostisco sulla griglia. Proprio no. Il mio compito è tentarli. Metterli alla prova. Incitarli a essere insopportabili. A commettere quelle che voi chiamate “cattiverie”. Degli errori, insomma. È grazie a me (e ai miei colleghi, siamo tantissimi) che i piccoli umani cominciano molto presto a combinarne di tutti i colori. A rovinarsi i denti e il cervello ingozzandosi di zuccheri, a insultarsi, bullizzarsi, picchiarsi, abbrutirsi.

Siamo molto utili. Senza di noi non ci sarebbero le guerre e l’inquinamento, né orribili città grigie piene di smog. La Terra sarebbe un posto gradevole, dove ognuno cercherebbe di aiutare gli altri, creare splendide opere d’arte e proteggere la natura.

Un inferno.

Non ci si ringrazia mai abbastanza, a noi demoni.

In questo momento, però, ho un problema. Un problema enorme, direi.

Una ragazzina.

È per questo che ho deciso di tenere un diario. E, a quanto ne so, sarà il primo scritto da un demone per bambini. Ho bisogno di mettere i miei pensieri nero su bianco, mi aiuta a riflettere.

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*
* *

Una ragazzina, dicevo. Finora era andata sempre bene. Bastava che mi avvicinassi all’orecchio di un bambino per sussurrargli i miei consigli: “Forza, dai un bel pizzicotto a tuo fratello, non ti denuncerà, ha solo tre mesi, approfittane”. Oppure: “Il pacco di caramelle che stai cercando dappertutto è nascosto nel cassetto di tuo padre, sotto la pila dei boxer. Corri!”.

Nessuno riusciva a resistermi. Nessuno. Non per vantarmi, ma sono un buon demone. Eccellente, direi. Uno dei migliori. Ed ecco perché, d’altronde, il capo mi ha convocato.

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Già, anche noi abbiamo dei capi. Sotto questo aspetto, i demoni non sono migliori degli esseri umani.

Dunque, qualche giorno fa, il capo mi convoca. Anche lui è invisibile, ma non per me, ovvio. Il suo ufficio, pieno zeppo di oggetti (invisibili pure loro), si trova nella cucina di un’anziana signora. Il capo va matto per l’odore dei porri che bollono in pentola. Ogni tanto la donna capta vagamente quello che diciamo. Più le persone anziane diventano sorde, meglio percepiscono i brusii del mondo invisibile. La signora che vive col capo è convinta che nella sua cucina ci siano i fantasmi. Ma siccome tutti credono che sia un po’ matta, la cosa non ci crea alcun problema.

Se pensi che la tua camera sia infestata dai fantasmi, piccolo lettore, non ti preoccupare: si tratta solo di demoni.

“Ah sì?!” dico, sorridendo con modestia. Per l’agitazione faccio cadere la bottiglia di vino dell’anziana signora, che ha un sussulto. Per fortuna crede che sia colpa sua perché le tremano le mani. È vero che siamo immateriali, ma a quanto pare non del tutto.

“Proprio così”, conferma il capo. “Considerando solo gli ultimi duemila anni, lei ha fatto compiere enormi cavolate a un milione e mezzo di bambini, quindi circa due al giorno.”

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Annuisco abbassando le palpebre. (I demoni hanno delle grosse palpebre bitorzolute, meno male che non le vedi).

“È per questo che ho pensato di offrirle una promozione”, mi annuncia il capo.

“Una promozione?”

Faccio un salto di gioia e vado a sbattere contro lo stomaco all’anziana signora che, con un huff, sputa la dentiera nella zuppa. Una promozione è un’occasione molto importante per un demone. Potrebbe significare, ad esempio, diventare un demone per adulti, provocare veri crimini, intervenire nei campi di battaglia, causare incidenti... Insomma, prospettive favolose.

“A una condizione, però”, precisa il capo.

E tira fuori la foto di una ragazzina.

QUELLA ragazzina.

Anne-Fleur Verve. A prima vista non mi pare niente d’eccezionale. Piuttosto bruttina, come tutte le femmine umane: grandi occhi verdi dalle lunghe ciglia, boccuccia a forma di cuore, capelli scuri ondulati.

“Sì?” chiedo.

“Vedi questa ragazzina?” mi spiega il capo, raggiante. “NESSUNO è mai riuscito a farle commettere la più piccola cattiveria. Nessuno.”

A quel punto, scoppio a ridere. Un po’ troppo forte, mi sa. La vecchia signora sobbalza di nuovo, lancia un’occhiata alla tivù spenta e ruota la manopola del suo apparecchio acustico.

“Le pare divertente, RZSQSODIUFQSX?”

“No, capo, ma, in tutta franchezza, la piccina non mi sembra un caso così complicato.”

“Ah no? Bene. Adesso tocca a lei. Quando riuscirà a farle abbandonare la buona strada, avrà la sua promozione. Non prima.”

Ho accettato e me ne sono andato sorridendo, convinto di avercela già in tasca.

Mi sbagliavo.

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Dunque, tutto è cominciato all’incirca una settimana fa. Se lo racconto solo oggi è perché sono arrivato a un punto morto. Il che è piuttosto seccante per un demone.

La scorsa settimana mi sentivo ancora fiducioso. Terminata la riunione col capo, mi sono teletrasportato da Anne-Fleur. Teletrasportarsi, piccolo lettore ignorante, significa spostarsi istantaneamente nello spazio. Un po’ come se si viaggiasse per sms. Non avevo un’idea precisa della cattiveria che le avrei fatto compiere. Ma ero sicuro che ne avrei trovata una. La trovo sempre. Io adoro improvvisare. È meno noioso.

Per l’appunto, la mia giovane vittima si stava annoiando in camera sua. Era mercoledì pomeriggio e aveva già finito i compiti. Ho controllato sulla scheda.

Anne-Fleur frequentava la quinta elementare ma la maestra le dava un bel po’ di roba da fare a casa: ricerche, relazioni, letture, operazioni. Apprezzo mol-

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to questo genere di insegnanti, perché corrompere i loro alunni mi risulta facilissimo. Basta dirgli: “Avanti, lascia perdere l’esercizio di matematica, vai a farti un giro”, oppure: “Cerca su internet e avrai la risposta in due secondi...”. In genere, il bambino mi ascolta. A poco a poco il suo rendimento scolastico peggiora, vengono convocati i genitori e lui è messo in punizione. Se sono proprio bravo, abbandona la scuola e, nel migliore dei casi, diventa un delinquente. Ma non bisogna farsi troppe illusioni, non sempre funziona.

Con Anne-Fleur, ad esempio, non ha funzionato. Come ho detto, aveva già terminato i compiti, ne aveva persino fatto qualcuno in anticipo per la settimana successiva e aveva ripassato le tabelline per tenersi in allenamento. Aveva appena finito di leggere un librone enorme, almeno diecimila pagine, che raccontava la storia di certi umani che combattono contro le forze del Male, si innamorano e alla fine salvano il mondo. Niente a che fare con la realtà, insomma.

Non avendo più nulla da mettere sotto gli occhi, fantasticava sdraiata sul letto. Ho dato una sbirciatina ai suoi pensieri: stava immaginando un nuovo metodo per riciclare la spazzatura e trasformare i torsoli di mela in carburante. Ridicolo!

Poi ha iniziato a pensare a suo cugino. In base alla mia scheda, ha un cugino adolescente, quasi adulto in effetti, che abita nello stesso quartiere. Un tipo alto, brutto quanto lei, magro, sportivo, abbronzato,

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campione di skate, poeta slammer e, da poco, proprietario di una moto. Ad Anne-Fleur piace, ne ignoro il motivo.

Ho ridacchiato sotto i baffi (quando rido sotto i baffi gli oggetti vibrano e un’orripilante statuetta in plastica di un Pokémon è precipitata da una mensola, Anne-Fleur però non se n’è accorta) e mi sono teletrasportato dal cugino. Era stravaccato sul letto pure lui, impegnato a dare colpi di pollice al cellulare. Diffido di questi aggeggi. Prima o poi ci renderanno tutti disoccupati. A causa loro i ragazzi hanno sempre meno bisogno di noi demoni per dimenticarsi che la vita potrebbe essere bella.

Mi sono seduto accanto a lui.

“Tua cugina si annoia. Va’ a trovarla e proponile di fare un giro in moto. Sarà felicissima”, gli ho sussurrato.

Il ragazzo ha smesso di picchiettare sul telefono (stava scrivendo a una certa Luana, un messaggio incomprensibile in una strana lingua composta da brandelli di parole) e ha fatto spallucce.

Neanche per sogno, ha pensato. È troppo piccola e non ho un casco da prestarle.

Tipica resistenza. Ho di nuovo ridacchiato sotto i baffi, il cellulare ha vibrato e per un attimo ha creduto che qualcuno lo stesse chiamando.

“Che male c’è?” ho insistito. “È divertente. Ammettilo: saresti fiero di mostrarle come prendi le curve rombando. Lei dovrà solo tenersi stretta a te.”

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Non c’è stato bisogno di aggiungere altro. Il ragazzo ha terminato la conversazione con Luana mandandole una specie di disegnino (una mano gialla che faceva ciao ciao), si è infilato la giacca, ha inforcato la moto ed è partito verso la casa di Anne-Fleur. Fin troppo facile! A quel punto, mi vedevo già tornare trionfante dal capo e ricevere la promozione. Giusto per divertirmi un po’, mi sono appollaiato sul portapacchi posteriore della moto e ci siamo messi a sfrecciare per la città, zigzagando tra le macchine, terrorizzando gli anziani che attraversavano la strada e svegliando i bambini che dormivano ogni volta che ne avevamo l’occasione. (Come per magia, gli segnalavo la presenza di neonati in modo che lui potesse dare dei gran colpi d’acceleratore passando sotto la loro finestra. Uno sballo!)

Arrivati davanti alla casa di Anne-Fleur, il cugino ha fischiato a tutto volume e lei ha aperto la finestra. Ah, ah, complimenti ragazze, l’ho sempre detto io: basta che un tizio con una moto vi faccia un fischio e voi accorrete all’istante.

Non esattamente, in effetti. Anne-Fleur era furiosa.

“Ti ho già detto di non fischiare in quel modo. Non sono un cane e mio papà sta riposando. Se mi vuoi parlare, fai come fanno tutti: bussi alla porta e saluti.”

Lui si è tolto il casco e ha sfoggiato un abominevole sorriso da star.

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“Non volevo che i tuoi genitori sapessero che sono qua.”

“Ah no? E come mai?”

“Perché pensavo di invitarti a fare un giro.”

E ha indicato col pollice il portapacchi su cui ero seduto io. Ho fatto ciao con la mano, ma Anne-Fleur non mi ha visto.

“Io? Sulla tua moto? Senza casco? Stai scherzando!”

“Ma dai!” ha risposto il cugino. (Usando un’espressione umana che vuol dire più o meno qualsiasi cosa).

“Non ci penso neanche. Sono ancora troppo giovane per morire”.

“Già...” (Idem come sopra).

Ho svolazzato fino all’orecchio di Anne-Fleur.

“Forza, che vuoi che sia?” le ho sussurrato. “Guiderà piano. E poi, è così bello. Immagina se incontrate Berenice. (Berenice è la nemica mortale di Anne-Fleur, ti spiegherò dopo). Diventerà verde dall’invidia!”

“Il mio scopo nella vita non è far diventare verde Berenice”, ha ribattuto lei.

“Cosa hai detto?” ha chiesto il cugino.

“Niente, parlavo da sola.”

Anne-Fleur si è guardata intorno stranita, come se sospettasse la mia presenza. È sveglia, la ragazza.

Parecchio sveglia. Me ne sono reso conto in quel momento. Ma non mi sono arreso. Dopotutto, si tratta del mio lavoro.

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“Non sei stufa di fare la brava bambina? I tuoi genitori ti stanno soffocando con le loro proibizioni, precauzioni e raccomandazioni. L’anno prossimo andrai alle medie! Vivi la vita! Scegli la libertà!”

“Sarò pure una brava bambina, ma ho già abbastanza cervello per capire la differenza tra scegliere la libertà e schiantarmi contro un lampione a causa di un cugino bello ma poco dotato in quanto a neuroni”, ha risposto lei.

E ha richiuso la finestra.

Ho aggiunto qualche dettaglio in più sulla scheda di Anne-Fleur.

sulle spalle.

ben aperti. senza peli.

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