Amy Sparkes
Traduzione di
Mara Pace
Per Tabitha
Cari amici, c’è una cosa importante che devo dirvi. I giorni che ho trascorso nella Casa ai Confini della Magia sono stati i giorni più belli della mia vita. Ma ogni viaggio, prima o poi, giunge a una fine. Anche il più straordinario. So che vi prenderete cura di quanto ho di più caro al mondo. E vi chiedo anche di custodire il mio carillon. Significa molto per me. Vi prego, non cercatemi. Non mi piace dire addio, e voi lo sapete. Quindi vi dirò soltanto grazie. Per tutto quanto.
S
e qualcuno avesse detto a Nove, una settimana prima, che sarebbe finita in una casa magica
insieme a un mago che gioca a campana, un troll ossessionato dal suo spolverino e un cucchiaio di legno con la spada sempre sguainata, Nove gli avrebbe riso in faccia. E subito dopo gli avrebbe rubato il portafoglio. Eppure si trovava proprio lì. Era nell’ingresso in penombra della Casa ai Confini della Magia, in piedi sul tappeto color prugna tra Eric – un troll alto come un uomo e mezzo, una sorta di incrocio tra il fusto di un albero e un tricheco – e lo stemma blu e bianco esposto accanto al portone. Sull’insegna si vedevano due bastoni incrociati sopra un grosso rospo con la lingua simile a una catenella che gli usciva dalla 7
bocca. Nove aveva appena tirato la lingua, l’aveva lasciata andare e… ZA-BAM! Una scossa le aveva attraversato il corpo. Ma non era bastato a far vacillare il suo sorriso. A far vacillare il suo sorriso fu invece la terribile sbandata successiva. Nove si appoggiò al portone. Le stavano risucchiando il cervello dal cranio, poco ma sicuro. Tutto sfrecciò in una direzione che non riusciva a capire, forse verso l’alto. “Signorina, tutto bene?” domandò Eric con voce incerta, avvinghiato alla ringhiera della scalinata nell’ingresso. Per un istante Nove vide le stelle, poi svanirono. Provò una sensazione di leggerezza strana ma confortante, e riprese fiato. “Signorina sempre bene”, rispose con convinzione. Per la prima volta in vita sua, non poteva altro che sentirsi bene. Ormai aveva chiuso con la vita da ladra al servizio di Taschino, il vecchio capobanda senza cuore, con i suoi inconfondibili basettoni bianchi. Aveva chiuso con lo scantinato del magazzino, sudicio e infestato di ratti, dove abitava con gli altri ladruncoli. Era cominciata una nuova vita, in quella Casa strana e magica. 8
Solo che ora la Casa stava volando… e le case non dovrebbero volare. In realtà, più ci pensava e più le sembrava assurdo. Ma non diede peso a quella leggera inquietudine e strinse tra le braccia la preziosa borsa che portava a tracolla. Era ciò che voleva, no? La libertà. La fuga. Una casa volante. Tutto questo – lo sperava di cuore – non era uno sbaglio. “Casa libera!” esclamò Eric. “Oho!” esultò il mago Basito, strofinandosi i palmi delle mani per la gioia, mentre attraversava l’ingresso saltellando in direzione di Nove. Dietro di lui procedeva a passetti rapidi un cucchiaio di legno con braccia e gambe filiformi, il volto coperto da due cespugliose sopracciglia rosse e un paio di grossi baffi. “Tre anni!” esclamò il mago. “Tre anni che aspetto questo momento! Abbiamo visitato molte volte il vostro mondo, e qualche volta abbiamo persino preso a bordo ospiti mortali perché viaggiassero insieme a noi; mai però siamo rimasti bloccati per anni interi! E ora siamo liberi dalla maledizione! Liberi dal vostro mondo! Liberi dalle vostre strade piene di letame!” “Ehi!” protestò Nove. Basito prese Eric sottobraccio e, con i ricci castani che gli rimbalzavano sulla nuca, cominciò a 9
danzare in tondo insieme al troll. Il dottor Cucchiaio roteò gli occhi. Nove guardò il mago che sorrideva nel suo pigiama blu indaco, con un paio di pelose ciabatte viola ai piedi, e sospirò. “Prego, non c’è di che.” “Be’, Madamigella, naturalmente vi sono grato per il ruolo che avete svolto nel rompere la maledizione…” “Maledizione che senza di me sarebbe ancora lì, tale e quale.” “… ma oh! Viaggiare nei reami della magia! Essere di nuovo liberi!” Basito sospirò con aria beata e qualcosa scintillò nei suoi strani e antichi occhi. Nove non poté fare a meno di sorridere. “Il Campionato di Campana è ormai vicino, Madamigella. Sarà la nostra prima tappa. Sono tre anni che me lo perdo! E sarà meglio arrivarci in largo anticipo, altrimenti non riusciremo a parcheggiare la Casa.” Agitò le dita per l’eccitazione. “Propongo di festeggiare con una tazza di tè.” Batté le mani, sorridendo a Nove. Eric trotterellò soddisfatto lungo il corridoio, diretto in cucina. Basito lo seguì, fermandosi solo un istante per inclinare il quadro di Sir Ignatius il Perenne Ritardatario (1589-1641), uno dei tanti 10
ritratti dei suoi antenati. La cornice rimase storta qualche secondo, poi magicamente si raddrizzò. Basito proseguì ridacchiando verso la cucina. “Che sciocco di un mago”, mormorò Cucchiaio, scuotendo la testa. “Ora che la Casa è in movimento, possiamo finalmente andare in cerca della professoressa Piatto! Senza più maledizione, forse riuscirà a mettersi in contatto con me!” Fissò Nove con i suoi frementi baffi rossicci, poi si precipitò su per la scalinata coperta dal tappeto color prugna, fermandosi sul pianerottolo. Nove aveva spesso sentito parlare della socia alchimista di Cucchiaio, da lungo tempo perduta: sapeva che Cucchiaio aveva metà della ricetta per trasformare la materia in oro, mentre Piatto conservava l’altra metà. Si domandò se quei due sarebbero mai riusciti a ritrovarsi, e per chi di preciso volessero produrre l’oro. Se ne avessero prodotto tanto, di sicuro non gli sarebbe servito tutto… giusto? No, non sono più una ladra! “La camera sarà senza dubbio di vostro gradimento.” La voce di Basito strappò Nove ai suoi pensieri. “La stanza sceglie con estrema cura i suoi ospiti, non il contrario. Fate come se foste a casa vostra.” 11
“Sì. Casa”, mormorò Nove, assaporando sulle labbra quella parola così poco familiare. Non sembrava davvero casa… Salì la scalinata fino al pianerottolo sul quale si affacciavano decine di porte di ogni dimensione e colore: alcune piccole come l’ingresso della tana di un topo, altre più larghe di un arco per il passaggio dei carri. Le pareti, assurdamente alte, erano punteggiate da centinaia di altre porte, che proseguivano fino a un soffitto lontano e riccamente dipinto. Alcune delle porte si raggiungevano con rampe di legno dall’aria instabile, che salivano a zig-zag un pianerottolo dopo l’altro. Altre porte erano in cima ad altissime scale a pioli oppure collegate all’enorme scala a chiocciola centrale, che sembrava salire all’infinito. E c’erano anche porte che parevano del tutto inaccessibili. Sulla destra del pianerottolo principale c’era una scala stretta che saliva fino a una minuscola porta: la camera di Cucchiaio. Sull’ingresso era dipinto un cerchio giallo, e al suo interno un cerchio più piccolo. Dalla stanza usciva un leggero odore di bruciato, e di tanto in tanto un filo di fumo arancio, che si avvitava per un attimo nell’aria e poi svaniva. Nove si fermò a guardare, ma poi scrollò le spalle. 12
Quando si ha a che fare con un cucchiaio di legno che cerca di trasformare la materia in oro, c’è poco da stupirsi. Si udì un cigolio stridente. Nove alzò lo sguardo e vide socchiudersi una porta turchese in cima a un’alta scala a pioli. La stanza sceglie l’ospite, non il contrario. Nove cominciò a salire, con una miriade di dubbi che le martellava in testa. E se la stanza non era quella giusta per lei? E se lei non era quella giusta per la Casa? E se quello non era il suo posto? E se era tutto un grosso errore?… “Armadietto del tè!” annunciò in lontananza la voce del mago. Nove si fermò a metà della scala. Armadietto del tè? Poi capì: l’armadietto era rimasto prigioniero della maledizione e ogni volta che qualcuno lo toccava, succedeva che… ZAP! Nove diventò una rana con due folte code e zampe incredibilmente lunghe, con le quali restò appesa a un piolo della scala. Aveva otto occhi, ma solo due erano aperti; gli altri si aprirono uno alla volta, finché Nove vide otto scale di fronte a sé. Poco dopo la magia svanì, lei tornò piano piano se stessa, e gli otto occhi bulbosi da rana lasciarono il posto a due occhi e basta, i suoi. 13
“Non mi abituerò mai alla magia”, borbottò Nove, mentre saliva la scala fino a trovarsi di fronte alla porta turchese. Fece per spingerla, ma prima ancora che le dita sfiorassero il legno, la porta riprese – molto lentamente – ad aprirsi con un cigolio. In preda a uno strano miscuglio di emozioni, Nove entrò nella stanza.
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