Rachelle Delaney
Traduzione di ALICE CASARINI

“Scusate.” Clara cercò di farsi strada. “Uhm, posso passare? Devo andare...”
Un pallone da basket le sfrecciò sopra la testa e colpì la parete. Alcuni ragazzi si lasciarono sfuggire un gridolino. Altri ridacchiarono.
“Attenzione”, avvertì qualcuno. “Lei è da qualche parte qui intorno.”
Tutti si fermarono per guardarsi alle spalle, compresa Clara. Tuttavia non c’era traccia della signora Major, la bidella della scuola. Con un sospiro di sollievo, Clara proseguì, aumentando il passo ma facendo attenzione a non mettersi a correre. La Regola Numero Uno della signora Major – ancora più importante di “Non si lanciano palloni da basket” – era “Non si corre nei corridoi”. E alla signora Major non bisognava disobbedire. Incuteva più timore di Wesley Ferris con il blazer.
Più avanti nel corridoio una folla di ragazzi si era radunata fuori dall’auditorium e chiacchierava emozionata. A Clara parve di sentire anche la voce della sua migliore amica, Maeve, ma non poteva fermarsi a controllare; la riunione cominciava in meno di tre minuti.
Girò di scatto a destra nel corridoio che portava all’aula del prof. Banerjee, evitando per un soffio di scontrarsi con un gruppo di ragazze più grandi che si facevano i selfie. O meglio, si rese conto appena si fu tolta di mezzo, stava no scattando foto a una ragazza in particolare. Aveva i capelli lunghi, neri e ricci e indossava un vestito che poteva fare anche da telo da mare.
“Ooh, questa è venuta bene.” Una delle sue amiche sollevò il telefono.
La ragazza con il vestito-telo lanciò un’occhiata alla foto e si accigliò. “Mi hai tagliato i piedi. Le scarpe sono la parte più importante.” Indicò le proprie ballerine argenta te, poi ordinò: “Fanne un’altra”.
Clara passò chinandosi per evitare di entrare nello scatto, poi accelerò, tuffandosi nell’aula del prof. Banerjee nell’istante in cui l’orologio batteva le 15:20.
Proprio sul gong.
“Clara.” Wesley Ferris, piazzata a capotavola in fondo alla stanza, le fece un cenno. “Vieni a sederti. Stiamo giusto cominciando.”
Clara obbedì, perché era una “Giornata blazer”. Wesley Ferris non possedeva soltanto un blazer – ne aveva un’intera collezione, ciascuno con un monogramma con le sue iniziali sul taschino.
“Dicono che li faccia lavare a secco”, mormorò Lina Gaglia no mentre Clara si lasciava cadere su una sedia al suo fianco. “Come, scusa?” Clara si girò verso di lei.
Lina indicò con la testa il blazer di Wesley e Clara lanciò un’altra occhiata furtiva alla caporedattrice. Oggi ne portava uno bianco immacolato, senza nemmeno una mi nuscola macchia di succo d’uva o un puntino di ketchup (viceversa, la T-shirt di Clara li aveva entrambi). Il ca schetto corto biondo si incurvava elegantemente attorno agli orecchini di perle che le penzolavano pochi centimetri sopra le spalline imbottite. “Sul serio?” bisbigliò Clara.
Lina annuì. Scorse le pagine del taccuino fino a trovarne una vuota e cominciò a disegnare il blazer. Lina era la vignettista della Gazzetta.
Clara scosse la testa sbalordita. Non avrebbe neanche
saputo dove trovare un lavasecco. Probabilmente neanche sua madre lo sapeva. Gaby Costa non era proprio il tipo da lavare i vestiti a secco.
Lo era invece la nonna di Clara, Elaine – o almeno lo era stata quando ancora viveva a Toronto. Anche lei adorava i blazer, soprattutto quelli in colori neutri come il beige, il grigio o il talpa. Clara riusciva ancora a visualizzarli tutti allineati nel suo armadio, appesi a distanza regolare l’uno dall’altro e stirati alla perfezione. Chissà se se li era portati dietro alla residenza per anziani a West Palm Beach, si domandò. Gliel’avrebbe chiesto la prossima volta che la sentiva.
“Ok, Gazzettini, cominciamo”, sentenziò Wesley quan do furono arrivati i dodici membri dello staff. “Abbiamo solo cinquantasette minuti e questa è una riunione im portante. Cioè, tutte le riunioni sono importanti”, aggiun se, “ma questa lo è in particolare. Oggi vedremo il nostro primissimo numero stampato”.
Wesley si chinò, sollevò una ventiquattrore (una vera ventiquattrore! Lina abbandonò il blazer e cominciò invece a disegnare quella) e tirò fuori una pila di giornali.
“Oooh!” esclamarono i Gazzettini.
“Freschi di stampa!” Wesley li appoggiò sul tavolo. Lina fece per prenderne una copia, ma Wesley le allontanò la mano con un colpetto. “Non così in fretta!”
“Ahi!” Lina si ritrasse.
“Prima ci sono alcune cose che dovete sapere.” Wesley sollevò un dito. “Uno: il numero di ottobre sarà messo negli espositori venerdì mattina, quindi tutto quello che vedete oggi è top secret fino ad allora. Chiaro? Non potete parlarne neanche con il vostro migliore amico.”
I Gazzettini annuirono.
“Due”, proseguì Wesley, raddrizzandosi il bavero del blazer immacolato, “voglio che sappiate come funziona l’intero processo, soprattutto voi Gazzettini nuovi”. Lan ciò occhiate significative a Clara e ai pochi altri reporter di prima media seduti attorno al tavolo, che avevano comin ciato a lavorare alla Gazzetta appena tre settimane prima, poco dopo l’inizio dell’anno scolastico. “Quando mi avete mandato tutti gli articoli, la settimana scorsa, mi sono subito messa al lavoro. Ho passato due giorni a revisionare senza sosta. Alcuni pezzi ne avevano davvero bisogno.”
Clara deglutì, sperando che il suo non fosse tra quel li. Voleva mandare il suo primissimo articolo alla nonna a West Palm Beach, dato che Elaine adorava quelle che Wesley definiva “notizie investigative di grande impatto”. Non che il pezzo sul club degli sferruzzatori a maglia della Kensington realizzato da Clara fosse d’inchiesta o di grande impatto, ma era comunque un articolo stampato.
“Quando finalmente ho completato la revisione, ho mandato gli articoli a...” Wesley si interruppe quando la porta dell’aula si aprì ed entrò il prof. Banerjee.
“Oh... buon pomeriggio, ragazzi.” Il professore strabuz zò gli occhi come se non si aspettasse di trovarli nella sua aula, anche se si riunivano lì due volte a settimana (il mar tedì dopo le lezioni e il venerdì a mezzogiorno).
“Salve, prof. B.”, dissero i Gazzettini in coro – esclusa Wesley, infastidita dall’interruzione.
Essendo uno degli insegnanti di letteratura della Kensington, il prof. B. aveva sempre avuto il compito di supervisionare le riunioni della Gazzetta. Quell’anno però
aveva lasciato tutto in mano a Wesley. Secondo Lina Gagliano, che era in seconda e sembrava sapere tutto sulla Kensington, era successo per due motivi. Prima di tutto, il prof. B. sarebbe andato in pensione alla fine dell’anno e non si preoccupava più delle incombenze relative alla Gaz zetta. Secondo, Wesley aveva insistito dicendo che le servi va fare esperienza come caporedattrice per il portfolio per le superiori. Stando a Lina, l’anno seguente Wesley voleva frequentare un liceo artistico e della comunicazione con un rinomato corso di giornalismo. “Così potrà fare davvero sul serio per costruirsi una carriera da redattrice di giornale”, aveva detto Lina a Clara, alzando gli occhi al soffitto.
A Clara erano venuti i brividi. Non riusciva a immagi nare Wesley ancora più seria.
Il prof. B. si trascinò alla sua scrivania e si sedette ac canto al calendario su cui faceva il conto alla rovescia dei giorni che mancavano al pensionamento. Su quel giorno c’era scritto “174”.
“Come stavo dicendo”, riprese Wesley, “quando finalmente ho terminato di revisionare tutti gli articoli, li ho mandati ai grafici perché li impaginassero”. Indicò con la testa alcuni ragazzi all’altro capo del tavolo. “E quando siamo stati soddisfatti del risultato, ho mandato i file in stampa.” Cominciò a distribuire i giornali. Non c’erano abbastanza copie per tutti, così Clara e Lina ne condivisero una.
“Lo speciale in prima pagina è perfetto”, disse Lizzie Park, una reporter del secondo anno. I Gazzettini concordarono, e lo stesso fece Clara, anche se lo stomaco le si strinse un po’ nel vederlo. Aveva sperato con tutta se stessa che le assegnassero lo speciale, un’inchiesta per scoprire se il tonno dello sfor
mato servito in mensa fosse davvero tonno – da tempo tutti quanti alla Kensington sospettavano che non fosse nemmeno pesce. Wesley però l’aveva assegnato a Ravi Kang, un reporter di terza che secondo lei aveva dimostrato “di avere stoffa”. Clara aveva imparato che nel linguaggio giornalistico significava dimostrare di saper gestire un incarico difficile.
E Ravi aveva davvero fatto un buon lavoro. Aveva prelevato di nascosto un campione di sformato e l’aveva portato dal miglior pescivendolo del Kensington Market, che aveva sentenziato che non era tonno, ma merluzzo in scatola, ben nascosto sotto strati di maionese e crostini inzuppati. Adesso sulla prima pagina spiccava il titolo “Per un gusto più giusto” e nell’articolo si chiedeva allo staff della mensa di cominciare a usare del tonno vero oppure di cambiare il nome dello sformato.
“Ecco una notizia investigativa di grande impatto”, disse Wesley annuendo. “È questo il tratto distintivo del mio... cioè, del nostro giornale. Tenetelo a mente, Gazzettini: voglio vedere più articoli così.”
Clara sospirò piano. Sapeva di essere in grado di scrivere notizie investigative di grande impatto – se solo Wesley le avesse dato del materiale su cui lavorare.
Passarono alla seconda pagina, alla rubrica “Scatti di scuola” di Preston Paisley, un fotografo del secondo anno. Dall’altra parte del tavolo, Preston si raddrizzò e comin ciò a lucidare la macchina fotografica, che, secondo Lina, i genitori gli avevano comprato durante l’estate. Clara non si intendeva molto di macchine fotografiche ma era piuttosto sicura che quella costasse più di tutto ciò che possedevano lei e sua madre messo insieme.
Alla prima riunione della Gazzetta di quell’anno, Preston aveva chiesto a Wesley se poteva realizzare dei ritratti degli studenti della Kensington che facevano cose alla moda. “Da grande voglio fotografare le celebrità”, ave va spiegato, sollevando la macchina fotografica e scattan do qualche foto ai Gazzettini attorno al tavolo. Poi aveva guardato le immagini, fatto una smorfia e scrollato le spal le. “Bisogna pur cominciare da qualche parte.”
“Chi è quella?” chiese un reporter di nome Matt, indicando la foto di una ragazza con un giaccone che sembrava un cane da pastore con il pelo scarmigliato dal vento. Clara si rese conto che era la ragazza che aveva visto nel corridoio venendo alla riunione – quella con il vestito tipo telo da mare.
“Chi è?” Preston guardò Matt sbalordito. “In che senso chi è? È Olivia Silva!”
Matt scrollò le spalle e scosse la testa. Neanche Clara aveva idea di chi fosse, ma non l’avrebbe ammesso ad alta voce.
“Probabilmente è la ragazza più famosa della scuola”, disse Preston. “Di sicuro la più famosa del terzo anno.”
“Ha una sua serie su YouTube, si chiama Kensington Fashionista”, aggiunse Lina. “Fa video sulla moda e le ten denze di make-up alle medie. Ha un discreto seguito.”
“Un enorme seguito”, la corresse Preston, portandosi la macchina fotografica davanti agli occhi. “Ed è anche una bravissima modella. È difficile trovarne da queste parti.”
Clara guardò le foto di Preston. Non erano male, ma non c’era niente di investigativo. Se l’incarico fosse stato assegnato a lei, avrebbe indagato su chi aveva decretato che Olivia Silva era un’autorità della moda delle medie.
E poi chissà se dei cani da pastore erano stati maltrattati per realizzare il suo giaccone?
Tenne per sé queste domande.
Dopo la rubrica di Preston c’era l’articolo di Lizzie Park sulle imminenti audizioni per lo spettacolo della scuola. Poi le pagine dello sport, con le cronache delle ultime par tite di basket e di calcio dei Kensington Hornets.
Clara stava giusto cominciando a chiedersi se Wesley si fosse dimenticata di inserire il suo articolo, quando finalmente lo scorse, schiacciato tra le specialità della mensa e gli annunci personali, in fondo in fondo al giornale.
Si sentì sprofondare lo stomaco.
Restava un mistero perché mai Wesley avesse insistito che Clara realizzasse un profilo del club di sferruzzatori della scuola quando la Kensington offriva tante altre sto rie interessanti. C’era poco da dire su ragazzi e ragazze che sferruzzavano calzini in pausa pranzo, e di certo nulla di investigativo.
Clara però aveva tenuto duro, perché, come diceva sempre Wesley, “i Gazzettini nuovi non possono fare gli schizzinosi”. E dopo aver passato tre interminabili pause pranzo con gli sferruzzatori, aveva scoperto quella che le pareva una storia discreta: secondo diversi studi scientifi ci reali, alcuni ragazzi ascoltavano e si concentravano me glio mentre lavoravano a maglia. Così i membri del club avevano preparato una petizione perché gli insegnanti li lasciassero sferruzzare durante le lezioni.
“A ferri e fuoco per il diritto ai punti!” era stato il titolo di Clara. Conteneva anche un ingegnoso gioco di parole. Sperava che Wesley l’avrebbe apprezzato.
Non fu così. Non solo Wesley aveva nascosto l’articolo di Clara in fondo al giornale, ma aveva anche modificato il titolo, sostituendo “A ferri e fuoco” con “Il club della ma glia”. E aveva tagliato due paragrafi interi!
Clara si sentì avvampare e spinse il giornale verso Lina, cominciando a rivedere il suo piano di mandarlo a Elaine a West Palm Beach. Se a Wesley non importava dell’articolo, probabilmente non sarebbe importato neanche a Elaine.
Prima di andare in pensione, quando si occupava ancora di statistica governativa, Elaine cominciava ogni giornata allo stesso modo: con del pane tostato senza niente sopra, del caffè nero e il Toronto Times. Clara sedeva al tavolo di fronte a lei ed Elaine le leggeva le ultime notizie – ma solo gli articoli che raccontavano fatti reali. Elaine non era tipo da arte e intrattenimento, tanto per fare due esempi.
A volte la madre di Clara, Gaby, ascoltava mentre pre parava il suo Frappè alla Lavanda Supercalmante quotidiano. Ma a Gaby in realtà interessava solo l’oroscopo, ed Elaine ogni volta alzava gli occhi al soffitto. Allora Gaby sussurrava a Clara: “È proprio una Vergine da manuale”.
A quel punto di solito Clara lasciava la stanza.
No, decise mentre i Gazzettini restituivano i giornali alla caporedattrice, che li rimetteva nella ventiquattrore: non era questo il numero da inviare alla nonna. Maga ri quello di novembre sarebbe stato migliore. Magari la prossima volta Wesley avrebbe pensato che Clara aveva dimostrato di avere stoffa e le avrebbe assegnato un pezzo investigativo di grande impatto.
Incrociò le dita sperando che le cose funzionassero così alla Gazzetta della Kensington.