Mickaël Brun-Arnaud
FORESTA CRONACHE
della
I diari segreti
Illustrato da Sanoe
Traduzione di Gioia Sartori
Per Victor, il cui nome non dovrebbe mai essere abbreviato
Nel cuore della foresta che lambisce il paesino di Villa Corteccia e sulle colline tutto intorno vivono animali dotati di intelletto, di parola e di spirito, che indossano vestiti cuciti con le loro stesse zampe e preparano dolci da leccarsi i baffi. Ogni giorno, sin dalla notte dei tempi, volpi, uccelli, topi, talpe e donnole escono dalle tane per andare a lavorare o a divertirsi, stringono legami di sangue e intessono rapporti di amicizia, dando forma alla tenera storia della loro vita.
Alle Cronache della foresta sono affidati i grandiosi destini dei minuscoli animaletti che in questi boschi hanno lasciato le loro orme, mossi da spirito d’avventura, da sentimenti d’amore e dalla forza dell’amicizia. Sì, perché se non c’è niente di più bello che dare vita a nuovi ricordi, ancora più soddisfacente è riuscire a metterli per iscritto, così da poterli condividere con le persone a cui si vuole bene. Incrociamo forte le zampe, dunque, nella speranza che gli animali che incontrerete in queste pagine e l’avventura che state per vivere restino per sempre impressi nella vostra memoria...
Prologo
Il segreto di Cornelius Volpe
Vent’anni fa, in una fresca notte di settembre a Villa Corteccia…
Rannicchiato nel suo letto alla clinica del dottor Riccio, Cornelius Volpe si chiedeva come sgattaiolare fuori dalla stanza senza farsi notare. Nei corridoi silenziosi, il buio era rischiarato da lanterne artigianali: dal soffitto pendevano strani barattoli di vetro con il bordo impiastricciato di marmellata, dentro i quali tante lucciole golose si contendevano lo zucchero, illuminando le tenebre con il loro allegro svolazzare. Nella stanza più in fondo, il russare sonoro del dottor Riccio faceva cigolare le assi del pavimento, vibrare
le finestre e tintinnare i vasetti di porcellana in cui gli infermieri conservavano i rimedi per i pazienti.
“Nocciolo di un’albicocca!” esclamò Cornelius, aprendo adagio la porta della sua stanza. “Quel riccio russa più forte di un orso! È l’occasione perfetta per darsela a zampe…”
Il vecchio signor Volpe si tolse la vestaglia a quadri e si infilò i vestiti, determinato a svignarsela e a portare a termine la sua missione. Prese i panini alla cannella che aveva conservato dalla merenda, il suo libro del cuore sul comodino – Arsenio Lupetto, ladro di pecore di Maurice Lupobianco –, la sua penna preferita, il piccolo calamaio e alcuni dei fogli appoggiati sul comò, e infine mise tutto in un fagotto che aveva ricavato da un rettangolo di stoffa strappato dalla tenda con gli artigli e attaccato al bastone da passeggio.
“Devo sbrigarmi, prima che mi venga un’altra crisi: non devono finire in cattive zampe…” sussurrò preoccupato, annodando le lenzuola alla federa del guanciale che a sua volta aveva legato al piedino dell’armadio per calarsi giù.
Mentre lanciava quella corda improvvisata fuori dalla finestra, la vecchia volpe provò di nuovo la maledetta sensazione di stordimento che l’aveva costretta al riposo forzato. Dannata zuccaccia! pensò, stropicciandosi le orecchie, Non ti lascerò rovinare i miei piani, parola di libraio! Un nodo dopo l’altro,
una zampa dopo l’altra, Cornelius scese con prudenza fino a terra, ai piedi della celebre clinica del dottor Ippocrate Riccio, l’anziano medico di Villa Corteccia.
In quell’edificio di rami e foglie potevano trascorrere del tempo gli animali che avevano avuto qualche incidente: c’era chi aveva segato per sbaglio il ramo su cui era seduto, per esempio, o chi era andato in letargo senza premurarsi di chiudere la porta della tana, lasciando che il vento e la pioggia si infiltrassero all’interno e gli congelassero i calzini… Brrr!
Le nuvole che si addensavano sul villaggio lasciavano presagire una pioggia torrenziale e un violento temporale. La volpe si sistemò la sciarpa e la giacchetta di lana, decisamente troppo leggera, e alla luce dei primi lampi si mise in cammino. Doveva sbrigarsi: nei corridoi silenziosi della clinica non si sentiva più russare.
“Cornelius?” chiamò una voce cavernosa dal piano di sopra. “È lei che ringhia come una tigre affamata o è il brontolare dei tuoni? Le serve una puntura per riprendere sonno?”
“Sto bene”, rispose la volpe ormai fuori dall’edificio. “Dormo come un angioletto!”
“La sento male, Cornelius… Ma dov’è finito? Ahi! Per tutti i porcospini!”
Dal gran trambusto che sentì, la volpe capì che il dottor Riccio era caduto dalla poltrona facendo schiantare a terra tutti gli oggetti che si trovavano
sulla scrivania: i volumi dell’enciclopedia medica, la tazza di cioccolata ormai fredda, il martelletto… Cornelius chiuse i bottoni della casacca fino all’ultimo e, senza rispondere, si inoltrò nella notte: niente avrebbe potuto fermarlo, né la tempesta, né la malattia, né i sensi di colpa.
Quando entrò con passo felpato nella casetta di campagna ricoperta di glicine dove abitava suo figlio
Gervais con la moglie, era fradicio fino al midollo. Avrebbe avuto voglia di scrollare la pelliccia con foga per asciugarsi, ma si disse che era meglio non provocare un acquazzone anche dentro casa… Cornelius si avvicinò all’immensa libreria del salotto: si ricordava ancora dove li aveva messi. Con l’aiuto di una scala a pioli di bambù arrivò allo scaffale più alto e trovò quello che cercava, nascosto dietro una delle sue serie di romanzi preferite, I favolosi detective della foresta, che aveva letto decine di volte. Sfiorando le logore copertine in pelle di fungo, la vecchia volpe fu travolta da un’ondata di immagini dai colori sbiaditi e sentì nella testa la musica dei giorni passati, come se dentro ci fosse un grammofono impossibile da spegnere. Guardando da vicino la lacrima che gli era affiorata alla coda dell’occhio si sarebbe potuta scorgere una capanna sugli alberi, un magnifico maniero in riva al lago, vassoi con caraffe di limonata e biscotti allo zenzero candito, cuccioli che si rincorrevano, un fiume che scrosciava furioso, sempre più forte… Era troppo doloroso curare
le ferite e forse Cornelius non si era mai perdonato per quello che era accaduto, così disfece il fagotto e ci mise dentro i suoi tesori, per liberarsi dei ricordi che gli rievocavano. Chiunque ci avesse messo le zampe sarebbe entrato in possesso della più grande delle ricchezze, ma, come dimostrano i racconti d’avventura, ogni tesoro è accompagnato dalle maledizioni più terribili.
“Nonno, sei tu?” disse una vocina piccola piccola alle sue spalle.
Sulla soglia del soggiorno c’era un adorabile volpacchiotto con un pigiama troppo largo per lui e un pupazzino di stoffa nella zampa. Doveva essersi svegliato per il temporale, ma aveva gli occhietti così stanchi che sembrava sul punto di riaddormentarsi.
“Shhh, nipotino”, rispose Cornelius mentre lo prendeva in braccio, scacciando ancora una volta le vertigini. “Non vorrai svegliare mamma e papà… e non voglio farlo nemmeno io. Sai che tuo padre diventa intrattabile se non riposa a sufficienza…”
“Che cosa ci fai qui, nonno?” chiese il volpacchiotto, una volta che furono al sicuro nella sua cameretta. “Sei venuto a prendere in prestito un libro? Ti annoi alla clinica del dottor Riccio?”
“È che mi mancava il mio piccolo Archibald e avevo voglia di vedere il suo musetto prima di tornare a dormire, o di fargli il solletico…” disse Cornelius, sfiorandogli con gli artigli i cuscinetti delle zampine. “A parte gli scherzi, giovanotto, sapresti tenere un segreto?”
“Certo!” esclamò Archibald, alzando la zampa. “Lo giuro sulle quattro noccioline del mio salvadanaio!... Stai bene, nonno? Vuoi che ti presti un soldino?”
Seduto sul bordo del letto Cornelius lottava contro un’emicrania che si irradiava fino alla punta del muso. Presto dentro di lui sarebbe scoppiato un temporale che l’avrebbe trascinato di nuovo in un posto sconosciuto della sua mente…
“Non è necessario, figliolo. Tieniti stretti i tuoi preziosi risparmi. Vorrei che non raccontassi a nessuno della visita di stanotte, d’accordo? Sarà il nostro segreto. Non devi parlarne né a mamma né a papà. Intesi?”
“Giurin giuretta! Puoi fidaaarti di me”, disse il nipotino spalancando le fauci in un grande sbadiglio.
“Adesso dormi. E mi raccomando, Archibald, acqua in bocca!”
“In bocca, sì… Buonanotte, nonno…”
“Buonanotte, figliolo”, sussurrò Cornelius, assicurandosi che la candela dietro il paralume sul comodino non si spegnesse subito.
Poi uscì e si chiuse la porta alle spalle.
Si strinse al cuore il fagotto e pensò agli sconvolgimenti che quei semplici fogli di carta avrebbero potuto causare alle persone intorno a lui. Nonostante il freddo, la pioggia e le tempie che gli pulsavano, la vecchia volpe fece quello che doveva fare.
Quella notte Cornelius bussò alla porta di quattro animali, cambiando per sempre il loro destino e,
con il loro cortese aiuto, divise il suo tesoro in quattro parti. Chiunque desiderasse conoscere la verità sulla sua storia, sulla storia della famiglia Volpe e della libreria di Villa Corteccia, avrebbe dovuto condurre una vera e propria inchiesta. Tornando nella sua stanza nella quercia-libreria alla dolce luce dell’alba, con l’odore familiare del cuoio delle copertine e della cera per gli scaffali che gli inondava le narici, Cornelius non poté fare a meno di sorridere. Sapeva che forse sarebbe stata la sua ultima notte in quel luogo a lui tanto caro. Affaticato dal viaggio, scarabocchiò un’ultima parola, tamburellò sul coperchio del baule, si adagiò sul cuscino e cadde subito nel mondo dei sogni. Fuori aveva smesso di piovere e il sole si levava nel cielo senza nuvole. Ma in quel momento nella testa di Cornelius scoppiò un temporale che lo rinchiuse per sempre nella prigione della sua mente.
Penna e calamaio
Ai giorni nostri, a Villa Corteccia…
Seduto sulla sua poltrona con la fodera a fiori, Archibald Volpe si chiedeva come cominciare la storia. Ormai la domenica volgeva quasi al termine. Eppure, sul legno nodoso dello scrittoio, i fogli restavano disperatamente bianchi. Non appena sentì il profumo della crostata alle fragole e al rabarbaro che cuoceva nel forno sprigionando il suo aroma caramellato, gli venne l’acquolina in bocca.
Niente da fare! Con quella voragine nello stomaco non sarebbe mai riuscito a mettere in fila più di due parole.
“Ah, caro nonno Cornelius… chissà se avresti mai apposto il tuo sigillo alle modeste pagine di tuo nipote”,
sospirò, osservando il ritratto del suo antenato, appeso sopra la libreria.
La storia che Archibald si accingeva a scrivere non era come le altre. E proprio per questa ragione si era deciso a metterla nero su bianco. Alcune settimane prima, all’inizio dell’estate, aveva lasciato Villa Corteccia e le sue abitudini per partire con Ferdinand, un amico afflitto dalla malattia Cancella-ricordi, e aiutarlo a ritrovare il libro delle sue memorie, che poco prima lui stesso aveva venduto senza annotarsi il nome dell’acquirente. Percorrendo i sentieri profumati della foresta, la volpe e la talpa avevano attraversato magnifici paesaggi, incrociando lungo il cammino animali straordinari che erano diventati loro amici e avevano aiutato Ferdinand ad arrivare fino in fondo alla sua avventura. In quell’incredibile epopea la talpa non aveva soltanto ritrovato i suoi ricordi, ma anche Ruben, suo figlio, ormai cresciuto. Ora era lui a prendersi cura del padre nella casetta al limitare del bosco di Villa Corteccia, dove la foresta si diradava per lasciare spazio a verdeggianti praterie. Amanda, la moglie di Ferdinand, non c’era più, ma continuava ad esistere in ognuna delle merende che gustavano insieme e nei ricordi della vecchia talpa, nei suoi sogni a occhi chiusi o aperti, come una spolverata di zucchero sulle fragole della memoria, che il tempo divorava sempre troppo in fretta.
“Insomma, credo che non sarà oggi il giorno in cui riuscirò a scrivere il racconto del nostro viaggio, Ferdinand”, sussurrò la volpe chiudendo il calamaio e prendendo la foto che ritraeva l’amico insieme al figlio Ruben. “Eppure mi piacerebbe tanto fare questo omaggio a te e alla tua cara Amanda… mi sembra già di sentire mio padre: ‘Come ti viene in mente di scrivere un libro? Tu non sei uno scrittore, sei il libraio di Villa Corteccia, ed è a te che ho affidato il mio nobile mestiere. Se pensi che qualcuno possa interessarsi al racconto di un negoziante, ti sbagli di grosso’. Toh…” si interruppe sentendo bussare alla porta.
Per la gioia dei topi di biblioteca, ma anche di scoiattoli, rane, cerbiatti, cinghiali, cavalli, tassi, puzzole e amanti dei libri di ogni specie, la libreria di Villa Corteccia era aperta tutti i giorni della settimana. La domenica però restava chiusa, così Archibald poteva fare la spesa, distrarsi un po’ dal lavoro e dedicarsi alla lettura delle opere ricevute dagli scrittori durante la settimana. Era molto raro che qualcuno venisse a bussare alla porta del negozio durante il giorno di riposo. Ma chi era Archibald per non accontentare l’improvviso bisogno di libri dei suoi clienti?
“Vengo, vengo!” disse all’animale impaziente che continuava a battere colpi sempre più forti. “Eccomi, mi scusi se l’ho fatta aspettare. Salve, signor… Signor? C’è qualcuno?”
Nonostante il misterioso cliente fosse troppo piccolo per arrivare alla finestrella della porta, all’altezza del muso di Archibald, la sua vocina tremolante e il rumore degli oggetti che sbattevano all’interno del guscio di noce erano inconfondibili.
“Non so bene dove siamo, che cosa ci facciamo qui e di chi sia quel muso pieno di zanne, ma devo ammettere che c’è un ottimo profumino di torta alle fragole e al rabarbaro, con un pizzico di cannella e… No, no…” proseguì, annusando l’aria, “due pizzichi di cannella, una noce di burro e una punta di sale?”
“Hai indovinato, caro Ferdinand! Castagna matta, che piacere rivederti, amico mio!”
Davanti all’ingresso riservato agli animali più grandi, c’erano due talpe vestite di tutto punto, con il papillon e le giacche con sopra le iniziali ricamate. La talpa più giovane era dritta e fiera nel suo completo a quadri, l’altra invece era china sul bastone, con il muso all’insù per inebriarsi dei deliziosi effluvi che uscivano dal forno. In un batter d’occhio Archibald staccò la catenella dorata e aprì la serratura per stringere forte Ferdinand. Poiché i suoi ricordi erano un po’ confusi, la vecchia talpa si lasciò abbracciare sollevando le spalle, con le zampe alzate, lanciando al figlio delle occhiate come per dire: “Non so bene chi sia questo tizio, ma dato che adoro gli abbracci…”. La volpe, dal canto suo, era al settimo cielo. Quanto le erano mancati i suoi amici!
“Ero così preso dalla scrittura che mi ero completamente dimenticato del nostro appuntamento all’ora del tè! Che testa di castagna!”
“Sai, la memoria va tenuta in allenamento, come qualsiasi altra abilità”, intervenne Ferdinand Talpa, serissimo, dandogli una piccola gomitata. “Esercitarsi a ricordare il nome delle persone che incontriamo è un’ottima abitudine. A proposito, non ti offendere, ma… chi sei?”
“Insomma, papà”, disse Ruben imbarazzato. “È il tuo amico Archibald, lo sai! L’estate scorsa avete vissuto una grande avventura insieme, ti ricordi?”
“Be’… a dire il vero no”, rispose Ferdinand, un po’ a disagio. “In compenso, se c’è una cosa che non scorderò mai, è l’ora della merenda!”
“Allora vieni, caro Ferdinand, e non ti preoccupare”, lo rassicurò Archibald invitandolo a entrare insieme al figlio. “Vorrà dire che dovremo ripartire per un’altra avventura e costruirci nuovi ricordi insieme, che ne pensi?”
“Penso che la fetta che hai tagliato è decisamente troppo piccola, caro Archibald! Mi dispiace fartelo notare, ma non vorrei doverti chiedere il bis…”
E tutti scoppiarono in una fragorosa risata. La cosa che poteva stupire della malattia Cancella-ricordi era il fatto che togliesse la capacità di chiudere il becco e tenersi per sé i commenti più inopportuni. Ferdinand non era diventato meno comprensivo o
gentile di quando era giovane: semplicemente diceva ad alta voce tutto quello che gli passava per la testa. E se in alcuni casi, come in quel bel pomeriggio di metà ottobre, la sua schiettezza poteva valergli una fetta di torta più grande, tanto meglio!
“Sono davvero contento che mi siate venuti a trovare, amici miei. Ero proprio in crisi davanti al foglio bianco. Non avrei mai pensato che scrivere potesse essere così difficile”, sospirò la volpe.
“Non vuoi raccontarci a cosa stai lavorando?”
chiese Ruben con uno sguardo malizioso, mentre si versava una seconda tazza di tè.
“Non ancora, non ancora, è una sorp…”
Ma non ebbe il tempo di finire la frase.
“Guafda, che ftrano”, disse all’improvviso Ferdinand con la bocca piena di torta, indicando il ritratto sopra la libreria. “Fuel fignore ha un muscio famigliare. È un tuo pafente, Arfibald? Fono scefto di aferlo già visto…”
“Papà, non si interrompe qualcuno mentre parla…” lo rimproverò con dolcezza Ruben.
“Non ti preoccupare, Ruben, so che non lo fa apposta… Quello è mio nonno Cornelius. È da lui che ho ereditato la libreria e la curiosità per i libri! Quando venivi a rifornirti di storie, da giovane, lo avrai senz’altro incontrato, Ferdinand. Tra l’altro, ora che ci penso…” sussurrò lisciandosi i baffi con aria pensierosa, “devi aver affidato a lui i tuoi Diari del sottosuolo. L’avrai di certo conosciuto in quell’occasione. Ti ricorda qualcosa, amico mio?”.
Ma la mente di Ferdinand, che nel frattempo si era alzato, aveva già preso un’altra strada.
“Frobabile, chiscià… Che dici, torniamo a casa? La torta è finita e mi fa un po’ male la pancia”, si lamentò, rivolgendosi al figlio.
“Archibald, ti dispiace se…?”
“Certo che no. Il sole sta già tramontando. L’estate è passata così in fretta…”
La volpe abbracciò di nuovo gli amici. Ferdinand non capì bene quel gesto, ma lo accettò di buon grado.
“Gli abbracci sono proprio una bella cosa”, ripeté tra sé e sé, prendendo per mano Ruben e sbocconcellando un pezzo di crostata alle fragole che aveva appena trovato in tasca.
Ai piedi della quercia, agitando il tovagliolo ricamato, Archibald salutò i due amici che svanivano in lontananza, insieme alla promessa di un’altra merenda in compagnia. Più tardi, seduto sulla sua poltrona, con lo sguardo fisso sul ritratto di Cornelius, non poté fare a meno di ripensare ai tempi in cui, non più alto di tre mele, aveva ascoltato gli aneddoti di quel burlone di suo nonno. Chissà se un giorno sarebbe stato capace anche lui di imbastire storie in grado di far sognare gli animali più giovani. Su quel pensiero, con la pancia piena di crostata, si assopì.
Nel frattempo Ferdinand Talpa, che sonnecchiava già da un po’ nella sua casetta al limitare del bosco, si svegliò di soprassalto. Si era appena ricordato del giorno in cui aveva incontrato Cornelius Volpe. Prima di riaddormentarsi, si ripromise che l’indomani l’avrebbe raccontato all’amico. Ma la mattina dopo, quando si alzò, aveva in mente una cosa sola: era ora di colazione!