Nina Daševskaja
L A
BICICLETTA D E I S O G N I
Illustrazioni di Lucrèce
Traduzione di Paolo Maria Bonora
Traduzione di Paolo Maria Bonora
Non ho mai avuto una bicicletta. Tutti ce l’avevano e io no, chissà perché. Non la volevo nemmeno, anzi. Non pensavo di poterne avere una, tutto qui.
“Dai, Sevka, si va al mare”, ha detto la mamma. No, in realtà ha detto: “Mangia composto, non fare briciole”.
Ma a me non interessa stare a sentire queste cose noiose. Perciò spesso quello che mi dicono non lo ascolto proprio.
“Dai, spicciati, sei in ritardo per la scuola!” ha detto la mamma.
“D’accordo”, ho borbottato io, “andiamo pure al mare. Non mi dispiacerebbe per niente”.
Non capisco proprio come si fa a spicciarsi. Mica me ne sto seduto a non far niente! Mangio. Poi mi
vesto. Poi esco. Di corsa, tra l’altro. E arrivo comunque sempre in ritardo, di un minuto esatto. È sempre quell’ultimo minuto che mi frega! E tutto perché ho queste gambette corte. Se solo avessi una bici...!
Per strada a volte incrocio un enorme cane color bianco sporco. Mi abbaia contro, e io rimango un bel po’ ad aspettare che smetta. Ma quello non smette. Devo fare un’altra strada e così il percorso si allunga.
Quindi arrivo in ritardo anche per via di questo cane. Chissà perché capitano tutte a me.
Spesso cerco di intrufolarmi in classe senza essere visto. Infilo il naso nella porta e, quando Anna Sergeevna si gira, scivolo lungo la parete verso l’ultimo banco. Ma lei se ne accorge sempre. Sempre!
“Ancora, Ivanov?!” dice, con la sua voce da gigantessa, che ha ereditato dal nonno. Perché lei è piccolina, ma la voce... mamma mia! Credo l’abbia presa dal nonno, sì; e credo anche che questo nonno fosse un gigante.
“Non riesci proprio a uscire di casa prima?” ruggisce. “Come mai io non arrivo mai in ritardo?”
Già, come mai? Forse si eredita anche questa capacità? La nonritardità. Magari l’ha ereditata dalla nonna. Forse sua nonna faceva la macchinista su un treno. Una macchinista deve essere precisa. Anche se... Anche se no, spesso anche i treni arrivano in ritardo. Quindi avrà ereditato la nonritardità dalla nonna-gigante e la voce dal nonno-gigante. Suo
nonno, evidentemente, quel treno non lo ha mai perso. È così che lui e la nonna si sono conosciuti. Ma come faceva a viaggiare dentro ai vagoni?... Forse sopra. A cavalcioni.
“Ivanov! Cosa sorridi ancora?”
Che posto tremendo che è la scuola. Un luogo in cui alle persone è vietato sorridere, vai a capire perché. Uno sorride e boom, nota sul diario!
“Lo sapevate”, ha detto Mark dal secondo banco, “che un sorriso allunga la vita di una persona di quattordici minuti? In media”.
E tutti sono scoppiati a ridere, pure Anna Sergeevna. Perciò a volte a scuola ci si diverte anche.
Dopo mi è venuto vicino Zanzarina. E a bassa voce mi ha chiesto: “Sevk... Hai una penna in più?”.
Be’, gli ho dato una penna, ovvio. Piccolo Zanzarina! È il più piccolo della classe. Non aveva niente di troppo speciale, solo che a me non viene mai vicino nessuno. Ma lui lo ha fatto.
Poi però la scuola è finita. E io sono tornato in piena libertà, e mi sono messo a guardare le biciclette legate fuori da scuola. Non ho pensato ah, quanto ne vorrei una! No. Ho solo guardato. E Zanzarina con me. Nemmeno lui ha la bicicletta.
È uscito Genka, un perticone con un gran naso e quella sua frangetta. Si è seduto tutto tronfio sulla sua bici – lui ne ha una speciale, con un milione di cambi – ed è partito dritto verso Zanzarina. Ovviamente
pensava che Zanzarina si sarebbe spostato. Ma lui era distratto (a volte si incanta proprio), e Genka gli è finito addosso, andandogli a sbattere contro con la ruota. Zanzarina è caduto.
“Ma che cosa fai?” gli ho urlato io. “Dai, chiedigli scusa, subito!”
“Ma figurati”, ha borbottato Genka. E la mia spada con un sibilo ha squarciato l’aria davanti al suo mento appuntito.
“Chiedete perdono, Sir, o ve ne pentirete!”
Genka ha guardato di sottecchi la punta della mia spada. Poi mi ha fissato negli occhi. E ha capito che con me non si scherza...
Naturalmente non ha capito nulla. Non mi ha neanche degnato di un’occhiata, si era già allonta-
nato. Tutto perché in realtà... a essere sincero, non gli avevo detto niente. E ovviamente non avevo nessuna spada.
Zanzarina si è rialzato, mi ha guardato impotente e si è allontanato zoppicando leggermente. Io lo avrei voluto raggiungere... Ma non so perché non l’ho fatto.
In realtà la colpa era sua. Poteva anche fare un salto di lato.
Mi è rimasta addosso una sensazione un po’ sgradevole. Per via di quel Kolja. È questo il suo vero nome: Kolja, Kolja Marčenko. Da qui Ko-Mar, zan-zara. Zanzarina. Ma perché è rimasto fermo?
Peccato: le lezioni erano finite, ma con una sensazione sgradevole. Così sono tornato a casa passando per il parco, per distrarmi. In verità il parco non è nella stessa direzione di casa mia... Anzi, si può dire che è proprio dalla parte opposta. Ma non è colpa mia se si trova in un punto così scomodo. Però ci sono i castagni. Mentre sulla strada per casa mia no.
L’annuncio
Mi sono seduto su una panchina e ho tirato fuori un panino. Era tremendamente buono. Una baguette, tagliata per l’intera lunghezza, con dentro pomodoro e formaggio. C’era un po’ di aneto, ma l’ho buttato via. L’aneto non lo sopporto. Quando lo capirà la mamma?
Ma ecco, ero seduto lì a mangiare il panino. Che tra l’altro era avvolto nel giornale. E mentre mangiavo, questo giornale me lo leggevo. Ogni volta che vedo delle lettere le leggo, non riesco a non farlo, è così che funziona la mia vista. E di colpo ho notato – con la coda dell’occhio – una cosa impossibile. Proprio impossibile.
REGALIAMO BICICLETTA ALLA PERSONA GIUSTA...
Si è alzato il vento, mi ha strappato di mano il giornale. Io sono balzato in piedi e mi son messo a correre per riprenderlo, ma quello volava sempre un po’ più lontano finché non mi ci sono buttato sopra, come un portiere sulla palla. E son finito con le ginocchia nel fango. In un fango viscoso sul quale erano impresse chiaramente le orme delle ruote di una bici. E a quel punto anche le mie ginocchia. E i miei gomiti. E in effetti tutto il mio corpo. Però il panino l’avevo salvato.
Ma la cosa fondamentale era che nell’altra mano stringevo il giornale. Sì, non mi ero sbagliato. C’era scritto proprio così:
REGALIAMO BICICLETTA ALLA PERSONA GIUSTA. PER INFORMAZIONI: VICOLO DEI PENDOLI 15. CHIEDERE DI AUGUSTINA BLJUM. Augustina Bljum? Che strano nome, ho pensato, ma poi mi son detto senti chi parla. Anche io ho un nome strano. Ma non lo dico, non mi piace. D’altra parte, una persona con un nome normale come po-
trebbe mai regalare una bicicletta? E alla persona giusta, poi, manco si parlasse di un cagnolino. Augustina Bljum. Quindi era una bicicletta da femmina, con un fiorellino rosa. Ma no, nessuna ragazzina darebbe mai via la propria bici. Forse era sua mamma? Ma di solito le mamme non regalano biciclette così. Cercano per lo meno di scambiarle con qualcosa di noioso e utile. Con una nuova uniforme scolastica, per esempio. O con una macchina da cucire. Oppure, che so, con un pianoforte. Che orrore... scambiare una bella bicicletta con un piano!... No, no, mia mamma una cosa del genere non la farebbe mai. Solo dei pazzi la farebbero, come questa Augustina Bljum.
Era difficile che fosse la mamma di qualcuno. Molto probabilmente era una vecchia svitata. Aveva pescato nel ripostiglio una vecchia bicicletta col telaio accartocciato e senza una ruota e ora voleva liberarsi di quel rottame. Sicuramente al suo posto voleva metterci una splendida scaffalatura di barattoli e lattine. Tutti i vecchi vanno matti per i barattoli: di marmellata d’arance e carciofini sott’aceto.
Un momento. Dove li ha presi dei carciofi qui da noi? Io nei miei dieci anni di vita non ho mai visto neanche un carciofo. No, è solo matta. E gira di sicuro con un cappello da uomo, una bombetta: ho visto una cariatide così nell’illustrazione di un libro.
Ma non penserete certo che mi sia fatto spaventare da una bombetta! Ovvio che no. Ho finito il panino
e ho tentato di pulirmi i pantaloni. È stato inutile, ma automatico: è così che mi hanno educato. Non potevo certo andare da questa tale Augustina Bljum senza cercare di darmi una sistemata! Poi mi son messo subito in marcia.
All’inizio ho girato a caso per la città, sperando che le gambe mi portassero da sole al vicolo dei Pendoli. Ma è finita che non solo non ho trovato quel vicolo sconosciuto, ma ho pure smarrito tutti quelli che conoscevo. In poche parole, mi sono perso.
Non penserete mica che abbia avuto paura. Non è da me. La cosa più importante è non farsi prendere dal panico. Mi è venuto in mente cosa fanno gli escursionisti in queste situazioni: si orientano con il sole. In realtà il sole non c’era... ed è stato un bene, perché mi sarei dovuto ricordare come cavolo si fa a orientarsi così. E non me lo ricordo minimamente. Poi ho tentato di trovare il nord usando gli alberi o i formicai. Ma di formicai purtroppo nei dintorni non ce n’erano. Invece di alberi altroché! Il lato da cui cresce il muschio guarda a nord. Nemmeno di muschio ce n’era, ma su un ramo era appeso un sacchetto. Si era impigliato e se ne stava appeso lì, e il vento lo gonfiava come una vela. E sopra c’era scritto:
GRAZIE PER L’ACQUISTO, BUON VIAGGIO!
L’ho considerato un buon segno. Ancora meglio del nord. Perché sapere dov’è il nord è utile, senza dubbio. Ma non riuscivo proprio a capire come que-
sto potesse aiutarmi. Quindi sono andato nella direzione indicata dal sacchetto, cioè in quella in cui tirava il vento. Tanto più che l’aveva imboccata anche una carovana di cammelli. I cammelli camminavano senza fretta, ondeggiando, e tra le gobbe erano appesi carichi di mercanzie...
In verità c’erano ben quattro persone che stavano andando in quella direzione, una dietro l’altra. E se quattro persone vanno in un certo posto, allora quel posto non può certo essere una perdita di tempo!
Non mi sbagliavo. Perché nel giro di pochi minuti mi sono ritrovato in una libreria.
E poi è stata solo una questione di tecnica. Sono entrato e ho detto, senza giri di parole: “Salve! Scusi, dove tenete i libri di geografia?”.
Tutti sanno che in qualsiasi libro di geografia vengono spiegati mille modi di ritrovare la strada in un luogo deserto e selvaggio. In qualsiasi libro di geografia, anche nel primo che vi capita! La ritroverete subito, immediatamente...
Poi ho visto una cartina della nostra città. Sarete d’accordo con me che è molto più utile che cercare il nord con le formiche.
“Al giovanotto interessano le mappe?” ha chiesto il libraio.
Io sulle prime mi son guardato intorno e poi mi sono reso conto che il giovanotto... ero io!
“Sì, molto”, ho detto.
“Anche io vado oltremodo pazzo per le mappe!” si è rallegrato lui. “Guarda, questa non è molto dettagliata, ma per un giovane viaggiatore va benissimo... Ecco, vedi? Qui c’è la stazione, qui la piazza principale... E la mia libreria si trova qui.” E ha picchiettato tutto orgoglioso con il dito sul luogo che cercavo. Ho fatto un sospiro di sollievo: ecco dov’ero, quindi. Quanto ero finito lontano... “Ma se ti servono informazioni più dettagliate, te le posso fornire...”
“Sto cercando il vicolo dei Pendoli”, ho detto con sicurezza.
“Dei Pendoli? Nome oltremodo strano...” ha commentato il libraio sorpreso. “Mai sentito. Non è che ti sbagli, giovanotto?”
Allora gli ho mostrato il giornale, e lui ha subito capito tutto.
“Oltremodo interessante! Non avevo mai visto un annuncio simile... Alla persona giusta... Oltremodo interessante, oltremodo... A meno che non sia uno scherzo... Ma... Augustina Bljum! No, non te la puoi mica inventare...”
E insieme ci siamo messi a cercare il vicolo dei Pendoli, all’inizio su una semplice cartina, poi su una più dettagliata, poi su una dettagliatissima...
“Niente.” Si è stretto nelle spalle. “È un peccato, oltremodo... Anche se, un secondo...” Il libraio si è inerpicato su uno scaffale e ha preso una vecchia scatola polverosa. Ha soffiato via la polvere e ha detto: