due gemelle  troppo diverse
 
Diet ro le f inest re E fu così che ebbe inizio, davanti al camino, la storia di due gemelle. Una rimase con la famiglia nella loro adorabile casa di campagna, con le rose gialle a profumare l’aria. Mentre l’altra, in piedi dietro a enormi finestre ad arco, aspettava in una casa differente. Non si dava pace, e misurava a grandi passi il pavimento di legno, che di notte scricchiolava quando un gatto saltava giù dal letto per dare la caccia alle ombre.
“Come si chiamano le sorelle?” chiede la ragazzina. “Arabella e Henrietta.”
“Si sentono sole?” “Sono legate”, spiega la madre. “Le rattrista non stare insieme.” “Non puoi raccontarmi una storia allegra?” “Con dei cuccioli e un giardino?” “Sì!” risponde la ragazzina. “Te la sto raccontando come me la raccontò mia madre.” “E ci saranno i cuccioli?” insiste la ragazzina. “O soltanto ragazze malinconiche alle finestre?” “Be’, il loro cane, Muffin, anche se aveva qualche anno era comunque minuscolo. E c’era un bellissimo giardino. È come se l’avessi davanti agli occhi. Ma è meglio se iniziamo dal principio.”
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due sorelle Henrietta e Arabella Osgood nacquero il due e il tre di aprile. Da piccole erano inseparabili: dormivano nella stessa culla e indossavano gli stessi completini, sognavano gli stessi sogni e giocavano insieme. Si diceva che avessero imparato a comunicare con un loro linguaggio segreto che nessun altro riusciva a capire. Erano entrambe graziose, ma fin dall’inizio Arabella era in qualche misura piÚ bella di Henrietta. Ed è per questo motivo che cominciarono i problemi. Siccome tutti sapevano che erano gemelle, nessuno comprendeva come mai sembravano cosÏ diverse. Arabella sorrideva sempre, aveva profonde fossette sulle guance rosate
e un incantevole spazietto tra i due incisivi. Aveva vestiti impeccabili, e lucidi capelli biondi perfettamente pettinati. Ogni giorno la loro tata, Rose, le faceva una nuova elaborata acconciatura, con nastrini colorati che svolazzavano delicatamente nella brezza. Henrietta, d’altro canto, era silenziosa e seria come un vecchio professore. Parlava poco, sorrideva di rado. Si riempiva i vestiti di briciole. E i suoi capelli! Rose aveva sempre intenzione di sistemarglieli, ma si divertiva così tanto a pettinare Arabella, che non lo faceva mai. Quelle differenze non significavano nulla per le due sorelle, ma avevano invece costantemente influenzato il modo in cui gli altri le trattavano. Quando erano piccole, Rose dava da mangiare sempre prima ad Arabella, e la teneva in braccio più a lungo. Quando crebbero, i genitori chiedevano soltanto ad Arabella di esibirsi davanti agli ospiti. Recitava poesie o cantava canzoni per loro, prima che andassero a cena. Gli adulti le sorridevano e applaudivano deliziati, e notavano appena la presenza di Henrietta mentre si dirigevano in sala da pranzo. E perfino quando non c’era nessuno, il signore e la signora Osgood elogiavano solo Arabella. “Hai mai visto occhi azzurri come questi?” si chiedevano l’un l’altra, ammirandola con amore. “E quelle dita così delicate? È nata per suonare l’arpa.” Naturalmente non erano mai cattivi con Henrietta - almeno non al principio -, ma era chiaro a chiunque li incontrasse che gli Osgood preferivano Arabella. Vedendoli ronzare sulla sorella, Henrietta se ne stava alla larga, non diceva niente, ma capiva anche troppo. 4
A scuola le bambine erano sedute vicine: Arabella aveva un banco pulito e perfetto, dal quale dava, senza posa, la risposta giusta; quello di Henrietta invece era più vecchio, e c’era una gomma attaccata sotto alla sedia. Nel suo portaoggetti giacevano dimenticati panini con il burro di arachidi e la marmellata che non aveva voluto mangiare, e compiti macchiati che dimostravano, come diceva sempre il suo insegnante, il signor Stilton-Sterne, che Henrietta non stava mai attenta. Fuori casa, Arabella era sempre impegnata con le sue amiche. Le bambine la invitavano alle feste di compleanno, dove, sotto alle ghirlande e ai palloncini, mangiavano minuscoli e deliziosi cioccolatini serviti in coppette di carta rosa. Al parco giocavano insieme a campana e si riunivano in piccoli cerchi, ridacchiando e sussurrando mentre si tiravano su le calze. Arabella non escludeva di proposito Henrietta quando si divertiva, le sembrava soltanto di perderla di vista, e così Henrietta doveva trovare qualcun altro con cui saltare la corda, o mettersi il cuore in pace e starsene in un angolo da sola. Ma a casa si costruivano un mondo tutto loro. Allineavano bambole e peluche, gli versavano un invisibile tè, e inventavano una conversazione. Quando c’era il sole, si vestivano l’un l’altra con gli abiti smessi della mamma, aggiungevano delle corone di carta e delle ali, e correvano per tutto il giardino, giocando alle fate principesse. Quando pioveva, erano chine a disegnare, passandosi i pastelli avanti e indietro in un complice silenzio. Erano lo specchio l’una dell’altra, 5
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