TERRADEIFORTI - MANUALE D'USO DEL TERRITORIO

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La zonazione DELLA DOC terradeiforti

manuale d’uso del territorio Provincia autonoma di Trento


Autori Attilio Scienza, Luigi Mariani, Osvaldo Failla e Lucio Brancadoro, Dipartimento di Produzione Vegetale, Università degli Studi di Milano Luca Toninato, Jacopo Cricco, Davide Bacchiega, Alessandro Zappata e Lorenzo Monterisi, AGER Sc - Agricoltura e Ricerca Alberto Marangon, Veneto Agricoltura, Laboratorio di analisi sensoriale di Thiene Andrea Dalla Rosa e Adriano Garlato, ARPAV, Servizio Osservatorio Suolo e Rifiuti Giacomo Sartori, Pedologo, libero professionista Duilio Porro, Francesco Penner, Roberto Larcher, Giorgio Nicolini, Flavia Gasperi e Fulvio Mattidi, Fondazione “E. Mach”, Istituto Agrario di S. Michele all’Adige (TN)

Dalla “Guida per il Viticoltore”, Veneto Agricoltura 2004 sono state tratte alcune parti del capitolo 5 a firma di: Angelo Costacurta, Ferruccio Giorgessi, Antonio Lavezzi, e Diego Tomasi, Istituto Sperimentale per la Viticoltura, Conegliano Progetto di zonazione viticola della DOC Terradeiforti Coordinamento: Alessandro Censori e Antonio De Zanche, Veneto Agricoltura, Settore Studi Economici Responsabile scientifico: Attilio Scienza, Dipartimento di Produzione Vegetale, Università degli Studi di Milano Direzione tecnica: Luca Toninato, AGER Sc - Agricoltura e Ricerca Hanno inoltre collaborato al progetto: ARPAV – Servizio Centro Meteorologico di Teolo ARPAV – Servizio Osservatorio Suolo e Rifiuti Consorzio Tutela Vini DOC Terradeiforti: Paolo Castelletti, Angelo Rossi, Massimo Rizzi, Marika Ganci, Natascia Lorenzi, Albino Armani, Enzo Corazzina, Marco Pruner, Lorenzo Adami, Alessio Dalle Vedove Cantina Valdadige: Alessandro Martello, Claudio Vedovelli Veneto Agricoltura, Laboratorio di analisi sensoriale di Thiene: Monica Cappellari Foto: Giuliano Francesconi, archivio fotografico del Consorzio di tutela vini DOC Terradeiforti

Pubblicazione edita da Veneto Agricoltura Azienda Regionale per i Settori Agricolo, Forestale e Agroalimentare Viale dell’Università, 14 - Agripolis - 35020 Legnaro (Pd) Tel. 049.8293711 - Fax 049.8293815 e-mail: info@venetoagricoltura.org www.venetoagricoltura.org Realizzazione editoriale Veneto Agricoltura Azienda Regionale per i Settori Agricolo, Forestale e Agroalimentare Coordinamento Editoriale Alessandra Tadiotto, Isabella Lavezzo Settore Divulgazione Tecnica, Formazione Professionale ed Educazione Naturalistica Via Roma, 34 - 35020 Legnaro (Pd) Tel. 049.8293920 - Fax 049.8293909 e-mail: divulgazione.formazione@venetoagricoltura.org È consentita la riproduzione di testi, foto, disegni ecc. previa autorizzazione da parte di Veneto Agricoltura, citando gli estremi della pubblicazione.


presentazioni



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La straordinaria enologia del Veneto si fonda, storicamente e consapevolmente, sul legame vitigno – territorio. È un binomio nato millenni fa e che continua ad evolversi proiettandosi verso il futuro, per poter offrire ai consumatori di tutto il mondo vini di ogni tipologia ai vertici della qualità e anche in quantità non modesta, a prezzi concorrenziali a livello planetario. Che significa ad un ottimo rapporto prezzo/qualità. I moderni metodi di indagine e le attuali tecniche vivaistiche consentono oggi di indicare quale sia il migliore “abbinamento” tra ciascuna tipologia di vitigno e di clone, quindi anche di vitigni formalmente della medesima uva, e singoli terreni, omogenei per caratteristiche, anche se inseriti nel vasto contesto delle Denominazioni d’Origine la cui estensione comprende aree affatto diverse per composizione e microclima. La zonazione è appunto questa operazione, che la Regione del Veneto ha attivato su tutto il territorio enologicamente vocato con la collaborazione del proprio braccio operativo Veneto Agricoltura e dei Consorzi di Tutela. Oggi arrivano al traguardo i risultati di un’altra Denominazione d’Origine Controllata, la Terradeiforti, un comprensorio viticolo che si snoda lungo la bassa valle dell’Adige e giunge fino ai primi territori del Trentino. Questa pubblicazione vuole essere anzitutto un contributo ai produttori e ai viticoltori per orientare le loro scelte colturali in funzione delle esigenze del mercato sulla base del territorio dove crescono i loro vigneti. Ma è anche uno strumento culturale alla portata di tutti coloro che si accostano al mondo del vino con la voglia di approfondire ciò che sta oltre la bottiglia che arriva in tavola e ne rappresenta l’anima più vera.

Franco Manzato Assessore all’Agricoltura Regione Veneto


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Con viva soddisfazione pubblichiamo questo “Manuale d’uso del Territorio” che riporta i risultati del progetto di zonazione viticola della DOC Terradeiforti, realizzato da Veneto Agricoltura e dal Consorzio di tutela con i finanziamenti della Regione Veneto e della Provincia di Trento. Si tratta di uno lavoro condotto allo scopo di studiare in profondità la vocazionalità viticola del territorio della Terradeiforti, quale condizione imprescindibile per una viticoltura e una enologia di qualità. Riteniamo infatti che la zonazione possa rappresentare un importante strumento a disposizione degli operatori vitivinicoli per ottimizzare la propria attività e sostenere un settore che è progredito molto negli ultimi anni, ma che, in un contesto che sta diventando sempre più globalizzato, ha bisogno di essere consolidato. Ripercorrendo i capitoli che costituiscono questo libro è possibile ricostruire una “catena del valore” che parte dalle componenti ambientali, clima e suolo in primis, per arrivare al prodotto finito, ossia alle caratteristiche del vino come espressione autentica della potenzialità dei diversi terroir che compongono la denominazione. Ritengo importante sottolineare come la qualità e la tipicità di un prodotto non può che ottenersi stabilendo uno stretto legame con il territorio. Un vitigno o una tecnica di produzione aziendale si può esportare, ma un territorio con le sue caratteristiche peculiari non si trasferisce ed è allora in questo legame che nasce l’unicità e il valore dei nostri vini, la sfida competitiva con certi modelli produttivi del Nuovo Mondo che puntano all’omologazione del gusto e alla standardizzazione. Enfatizzare il rapporto tra il vino e il territorio di origine significa inoltre avere la possibilità di commercializzare non solo un bene materiale ma anche i valori immateriali che vi ruotano intorno: il paesaggio agrario, la tradizione, la cultura, l’identità di un territorio. In questo senso, anche la scelta del Consorzio di valorizzare i propri vitigni autoctoni, Enantio e Casetta, può apportare valore aggiunto e nuove possibilità di penetrazione sui mercati. Sappiamo tuttavia che la qualità non si raggiunge una volta per tutte, ma richiede un impegno di miglioramento continuo. Ecco perché questo manuale rappresenta non tanto un traguardo, bensì un punto di partenza per il lavoro da fare nei prossimi anni per lo sviluppo del sistema vitivinicolo locale. Sono peraltro certo che la grande potenzialità di questo territorio riuscirà ancora a riservarci piacevoli sorprese.

Paolo Pizzolato Amministratore Unico di Veneto Agricoltura


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Sono davvero lieto di poter presentare questo interessante volume curato dal Consorzio Terradeiforti, nella consapevolezza che il territorio è elemento costitutivo della cultura, della tradizione, della storia e dell’identità stessa del Trentino e delle sue comunità. La pubblicazione intende essere un manuale sull’uso del suolo e contribuire a dare al viticoltore tutte le informazioni necessarie per ottenere dalla propria attività un prodotto di qualità elevata. Nel “sistema Trentino” l’agricoltura rappresenta anche un settore su cui sviluppare una politica di manutenzione e valorizzazione del territorio e delle bellezze naturali. Quindi, la conoscenza del clima e del suolo, le interazioni tra piante e ambiente sono di estrema importanza per definire ogni studio di zonazione. È indubbio che le potenzialità produttive e qualitative di un vigneto passano ineluttabilmente per un’indagine approfondita del rapporto tra vitigni coltivati, caratteristiche ambientali, pratiche colturali. Si sottolinea, inoltre, l’importanza, per ottenere uva e vino di qualità, delle viti che si trovano in un habitat ottimale che offre maggiore resistenza alle avversità richiedendo in tal modo minori apporti esterni. Per ottenere un prodotto differenziato e di qualità nel mercato globalizzato è certamente importante la scelta del vitigno appropriato per una determinata zona e valorizzare la professionalità dei viticoltori medesimi che svolgono il loro lavoro con particolare dedizione. Vitigno e territorio sono indiscutibilmente legati e per il Trentino diventa sempre più importante differenziare le proprie produzioni vitivinicole Il nostro territorio di montagna con costi di produzione più elevati rispetto alla pianura è obbligato a perseguire l’obiettivo della qualità delle produzioni sia per diversificare l’offerta verso il mercato che per fidelizzare i consumatori a prodotti che ne ricordino il territorio di origine Ai viticoltori e alle cantine della zona spetta raccogliere i frutti di questo lavoro per adeguare le proprie strategie aziendali in previsione di investimenti futuri. È con questa consapevolezza che ringrazio i curatori di questo importante lavoro, che si pone come contributo per valorizzare appieno il territorio del Consorzio Terradeiforti a cavallo tra Trentino e Veneto.

On. Tiziano Mellarini Assessore all’Agricoltura, Foreste, Turismo e Promozione della Provincia Autonoma di Trento


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La viticoltura nella Valle dell’Adige e nella Bassa Vallagarina vanta una tradizione millenaria: già i Romani nel I secolo d.C. descrivevano le viti che si trovano lungo le strade consolari a nord di Verona. La DOC Valdadige Terradeiforti trae origine, nella denominazione, dalla valle del fiume Adige che la attraversa da nord a sud e dai numerosi forti e castelli costruiti a presidio di questa terra di confine, nei comuni veronesi di Rivoli, Dolcè, Brentino Belluno e nel trentino Avio. Terradeiforti: un territorio omogeneo per struttura naturale, diviso tra Veneto e Trentino dal confine di Borghetto all’Adige, con una Regione che guarda verso l’area alpina e mitteleuropea e un’altra che guarda a sud verso la pianura padana, ma che lo scorrere del fiume Adige, il passaggio di persone e idee, le amorevoli cure nella coltivazione delle viti autoctone ha reso similari. Il Consorzio Tutela Vini Terradeiforti è impegnato nella promozione del legame dei propri vini alla tradizione, riscoprendo ed esaltando le due varietà autoctone, Enantio e Casetta, pur non trascurando le varietà internazionali, Pinot Grigio e Chardonnay, che qui hanno trovato una terra di adozione che ne esalta le peculiarità. Il progetto di zonazione dell’area Terradeiforti per le varietà Enantio, Casetta, Pinot Grigio e Chardonnay, fortemente voluto da Paolo Castelletti, fondatore del Consorzio Tutela Vini doc Valdadige Terradeiforti nel 2001, con un appassionato gruppo di vignaioli, è stato realizzato grazie ad un lavoro coordinato tra Regione Veneto, Veneto Agricoltura e la Provincia Autonoma di Trento, con l’aiuto tecnico della Provincia di Verona, presso il cui Centro per la Sperimentazione in Viticoltura di San Floriano sono state effettuate le microvinificazioni, dell’Istituto di San Michele all’Adige, dell’Ager di Milano e grazie all’impegno di studiosi, ricercatori ed operatori ai quali va la nostra gratitudine. Il lavoro svolto, con la scrupolosa identificazione delle macro e microaree che compongono il territorio della Terradeiforti, ognuna con caratteristiche pedologiche e climatiche diverse, porta a una conoscenza integrale dell’ambiente di riferimento, condizione irrinunciabile per pianificare un’adeguata politica di sviluppo del territorio. Il manuale d’uso del territorio costituisce, quindi, un importante strumento di lavoro per ogni vignaiolo della Terradeiforti che voglia trarre il meglio da questo territorio, in modo da caratterizzare l’offerta enologica come simbolo trainante dell’identità della nostra valle ancora incontaminata.

Stefano Libera Presidente del Consorzio di Tutela Vini DOC Terradeiforti


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IL SENSO DELL’IDENTITÀ Lo stile è l’originale espressione di un periodo culturale, di un prodotto, di un modo di fare musica o di esprimere un’arte visiva. Ci chiediamo se, con il vino prodotto dalle numerose denominazioni d’origine venete, ne trasmettiamo uno riconoscibile, come ad esempio ha fatto la Francia con i vini di Borgogna o di Bordeaux. Purtroppo la risposta è negativa: il Veneto presenta una molteplicità di stili non solo tra le diverse denominazioni ma addirittura tra i vini di una stessa DOC, dove la tipologia dei vini prodotti spazia tra un gusto internazionale e il ritorno ai vitigni autoctoni. Mettiamoci nei panni di un consumatore tedesco o inglese in procinto di degustare uno Chardonnay dall’intenso gusto vanigliato o un Cabernet dall’impronta legnosa, prodotti nel Veneto ma indistinguibili da molti altri vini prodotti in numerose parti del mondo, assieme a un Valpolicella o a un Soave. Il mercato internazionale, costruito con abilità dai Paesi del Nuovo Mondo sul modello francese, ha decisamente condizionato le scelte tecniche dei produttori italiani che, pur di conformarsi ai gusti altrui, hanno abbandonato il loro stile. Un grande artista ha affermato che per diventare universali è necessario essere locali: il vino veneto ha bisogno di non perdere il suo stile originario, autentico, il cui imprinting qualitativo lo faccia riconoscere dal consumatore straniero e lo faccia per questo scegliere tra altri mille per la sua irripetibilità. Certo non è facile conciliare le due tendenze contrapposte che manifestano i mercati anglosassoni e che diventano sempre più pregnanti anche sul nostro: da un lato una forte spinta a semplificare e innovare i messaggi della comunicazione, dall’altro la tendenza quasi di segno opposto, volta a soddisfare un’irriducibile richiesta di novità. “Prova qualcosa di nuovo oggi” è il messaggio della più grande catena di distribuzione inglese. Può sembrare paradossale ma questa tendenza sta portando molti Paesi a valorizzare il concetto di territorio e più in generale il nesso tra la viticoltura e un’originale interpretazione enologica dell’uva. Tra i tanti vini prodotti da uno stesso vitigno – e quelli più noti e diffusi nel mondo non sono più di dieci – la novità è appunto data dallo specifico e univoco territorio di provenienza. Dopo anni spesi alla ricerca della cosiddetta consistency (uno stile consolidato, svincolato dagli andamenti stagionali e dalle caratteristiche del pedoclima), il Nuovo Mondo ha scoperto l’importanza del territorio. Con il termine di “Regional heroes” (eroi regionali) vengono chiamati i vini australiani che provengono da un preciso luogo di provenienza. Questo ritorno alle origini nelle modalità con le quali si designa un vino, con il luogo della sua produzione, rivaluta il ruolo delle tradizioni o meglio di una sua corretta interpretazione, per proteggerci dagli effetti della globalizzazione, senza però farci imprigionare dal fondamentalismo di chi ha rifiutato l’innovazione portata dal progresso scientifico. Infatti comprendere le risorse pedoclimatiche di un territorio viticolo, valorizzarle con una scelta genetica e con tecniche colturali adeguate, vuol dire sfuggire alla crescente banalizzazione dei vini sempre più espressione della tecnologia enologica. Non è peraltro facile per il produttore italiano, a parte qualche eccezione, credere nei valori trasmessi dal territorio come invece hanno sempre fatto i francesi dall’epoca medioevale. Per noi la tradizione si è, fino al secolo scorso, limitata a trasmetterci numerosi vitigni, una viticoltura promiscua e la trasformazione enologica quasi come una necessità per l’agricoltore che nel vino identificava soprattutto un integrativo energetico alla sua povera dieta quotidiana. Del legame tra territorio e vino si è iniziato a parlare solo verso il 1965, in occasione della normativa sulle Denominazioni d’Origine. La tradizione va però presa sul serio. Oggi tra i produttori di vino si assiste, da un lato, a un’esaltazione spesso solo verbale della tradizione che però per conservarsi pura dovrebbe restare distinta dal mercato e, dall’altro, a una pervasiva pratica liberistica che ha come solo scopo l’efficienza e la creazione di ricchezza. In particolare, sembra manifestarsi il predominio di una certa versione mortificata della tradizione che guarda al passato solo per celebrarlo e che espelle dal proprio orizzonte culturale la reciprocità tra sfera economica e sfera sociale, che è alla base della formazione stessa della tradizione. Solo la zonazione rappresenta quel “tradimento fedele” della tradizione che coinvolge nel processo di produzione dell’uva risorse “antiche” come il suolo, il clima, il vitigno, utilizzandole però attraverso i risultati dell’innovazione tecnologica che dalla nascita della “viticoltura moderna”, avvenuta con la ricostruzione postfillosserica, hanno consentito di offrire ai consumatori dei vini adatti al gusto e alle abitudini alimentari dei nostri giorni. Fortemente connessa al territorio e alla difesa delle tradizioni e dell’ambiente è la produzione dei cosiddetti vini etici, espressione della viticoltura biologica e biodinamica, fenomeno che presenta contorni molto vasti per sigle e ancora poco definiti per contenuti, ma che sta a indicare che il consumatore culturalmente più evoluto avverte l’esigenza di utilizzare nuovi criteri di scelta che vadano al di là di quelli tradizionali (prezzo, provenienza, vitigno, marchio) e che siano in grado di attribuire significati sociali ed ecologici ai loro acquisti. Il termine “eco-compatibile” nasconde


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però, al di là dei nobili propositi, il tentativo più o meno esplicito di esorcizzare la crescente banalizzazione del vino nel mondo e di offrire l’occasione a un ristretta cerchia di consumatori di distinguersi attraverso la scelta di questi vini, distinzione esercitata però solo dal loro elevato potere d’acquisto. Nell’eterno dualismo tra conservatorismo e progressismo, queste espressioni di viticoltura “di moda” presentano aspetti interessanti per il rispetto integrale della complessità del terreno (nessuna dispersione di molecole organiche nel suolo, uso di prodotti solo biodegradabili, mantenimento della sostanza organica, ecc.), ma anche l’adozione di pratiche esoteriche che portano a un rigido inquadramento intellettuale del produttore e del consumatore. La zonazione viticola rappresenta un efficace strumento di sintesi tra le emozioni suscitate da un paesaggio e le caratteristiche sensoriali del vino prodotto in quell’ambiente e, attraverso questa mediazione tra natura e cultura, offre indicazioni per salvare rappresentazioni simboliche ed esigenze ambientali, per raccordare istanze estetiche a fatti economici, per rispettare tensioni produttive e bisogni turistici. Questo significa che all’interno di un territorio definito, quale è quello di una DOC, vanno salvaguardati gli iconemi, cioè quelle unità elementari di percezione di un paesaggio che sempre più stanno perdendo la loro identità, subiscono sovrapposizioni, smarriscono il loro messaggio semiologico. È quindi necessario attraverso le zonazioni legare alcuni tratti significativi del paesaggio, gli iconemi appunto, con il concetto di tipicità di quel luogo. Il termine tipicità, neologismo in –ità che designa le generalità dell’espressione “tipo”, tipico da cui deriva, si rifà ai contenuti espressi da Max Weber nel 1922 dove l’uso del termine “tipico-ideale” rappresenta un modo per classificare la conoscenza e designa appunto l’appartenenza di un soggetto a un genere identificato di facile riconoscimento. Per i francesi identifica un prodotto territoriale difficilmente ripetibile altrove ed è associato a terroir. Per noi il termine è spesso confuso con antico e quindi legato a naturalità e genuinità, anche se l’abuso che ne viene fatto dall’industria alimentare è sinonimo di standardizzazione. Per ridare alla parola “tipicità” il suo significato originario, lo strumento più efficace si rivela la zonazione, con la quale possiamo identificare le sottozone delimitate all’interno di una Denominazione, con un preciso profilo sensoriale del vino e viceversa, in modo quasi istintivo, come facciamo quando riconosciamo una persona dai tratti salienti del suo viso o un quadro famoso dall’insieme delle sue caratteristiche cromatiche e tipologiche. Il paesaggio viticolo diventerà sempre più il vettore essenziale della conoscenza dei vigneti e dei vini di una zona e quindi il supporto più importante per tutte le strategie enoculturali. Il potenziale metaforico che possiede un vigneto è molto forte. Questo trasferimento delle sensazioni dal paesaggio concreto verso l’immaginario è una procedura consueta operata in un vigneto. Il vigneto è prima di tutto una metafora di grande equilibrio: per l’immagine che affiora da una natura antropizzata, di un’armonia tra l’uomo e la pianta, una sorta di complicità. Ma è anche una metafora eloquente di dinamismo. Il paesaggio è portatore di entusiasmo, ma nello stesso tempo di rigore e di stabilità che conforta e stimola il consumatore. Attenzione però ai risvolti negativi di un paesaggio poco rispettato o di un vigneto mal tenuto: possono esprimere un conflitto irrisolto tra modernità e natura o essere portatori di un messaggio negativo. Lo studio dei paesaggi viticoli, per il loro carattere fortemente identitario, nelle implicazioni connesse alla qualità del vino, è sempre meno orientato verso gli aspetti deterministici ed economici e sempre più legato ai contenuti culturali, all’organizzazione sociale, al progresso tecnico-agronomico. Per questo la zonazione viticola dovrà dotarsi, sul piano metodologico, di nuovi strumenti di indagine e di nuove competenze professionali, per definire quegli iconemi del paesaggio che dovranno essere tutelati e valorizzati e che caratterizzeranno come una sorta di impronta digitale le varie sottozone, per permettere ai consumatori quell’esercizio estetico e sensoriale, che connette il bello con il buono, il bel paesaggio con il buon vino. La zonazione non è quindi solo il punto di partenza per migliorare la qualità dei vini e per consentire al consumatore di cogliere le analogie tra le caratteristiche del paesaggio e quelle del vino, ma anche uno strumento per sviluppare nei produttori la coscienza del “buon governo” del territorio, del rispetto del profilo dei suoli, perché nella successione dei suoi orizzonti si nasconde il segreto della originalità dei vini, evitando sbancamenti, livellamenti indiscriminati o il ricorso a terre provenienti da altri luoghi. Ci sono inoltre manifestazioni di comportamento sociale che appaiono estranee ai viticoltori, spesso imprevedibili e di difficile comprensione che attraversano la storia economica delle Nazioni e che lasciano tracce profonde nelle abitudini alimentari e nella vita di tutti i giorni. Una di queste, chiamata sul finire del XVII secolo “rivoluzione delle bevande”, provocò un vero sconquasso nel consumo delle bevande alcoliche e voluttuarie della allora nascente borghesia. Tralasciando l’analisi delle cause, non ci si può invece esimere dal considerare le numerose analogie con quanto sta succedendo oggi. La crisi dei modelli tradizionali di consumo del vino, la delocalizzazione dei luoghi di produzione, non solo nel Nuovo Mondo o in Estremo Oriente, ma anche, per effetto delle mutate condizioni ambientali, verso regioni più settentrionali, la necessità del consumatore di disporre di nuove chiavi di ingresso molto semplici per mettere la bocca sul mercato, comportano degli adeguamenti non sempre facili da adottare negli standard di produzione e di qualità dei vini nelle zone di antica tradizione viticola. Se a questo si aggiunge l’effetto non trascurabile del cambiamento climatico sui fenomeni di maturazione delle uve e sulle inevitabili conseguenze


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sullo stile dei vini, non è difficile prevedere nei prossimi anni delle scelte genetiche e colturali molto diverse da quelle attuali. Come afferma Andrè Crespy, noto tecnico viticolo francese, il terroir è soprattutto una storia di acqua. L’affermazione si basa sulla constatazione che lo stile di un vino, le scelte genetiche e le tecniche colturali necessarie per produrre l’uva, sono in gran parte determinate dalla disponibilità di acqua durante il ciclo vegetativo, sia in termini di carenza che di eccesso. Molte delle strategie adattative introdotte dai viticoltori nel corso della lunga e travagliata storia climatica dell’Europa, al fine di consentire la produzione dell’uva in condizioni di adeguate disponibilità idriche (combinazioni d’innesto, forme di allevamento, gestione del suolo), rischiano nei prossimi anni di essere vanificate dal cambiamento delle condizioni climatiche che, oltre ad aumentare la temperatura media, riduce considerevolmente le disponibilità di acqua. Sarà questa la vera emergenza per la nostra viticoltura collinare. Essa comporterà una contrazione della viticoltura nelle zone più siccitose, con suoli poco profondi, leggeri e grossolani, difficilmente irrigabili, introducendo delle modificazioni importanti nelle caratteristiche dei vini prodotti. Come è accaduto in passato, saranno le scelte genetiche (nuovi vitigni e nuovi portinnesti) a consentire migliori forme di adattamento, ma solo dopo lunghe e costose ricerche che peraltro non sono ancora iniziate. Nel frattempo non rimangono che gli accorgimenti colturali i quali sono efficaci a condizione che si conoscano le risorse del suolo e le risposte delle varietà. Il manuale d’uso del territorio contiene delle indicazioni importanti per ridurre le conseguenze delle temperature elevate o delle diminuite disponibilità idriche nelle diverse Unità Vocazionali delle varie zonazioni. Ma le zonazioni non si concludono con la pubblicazione dei risultati. La valutazione del grado di interazione tra le Unità di paesaggio e i vitigni spesso evidenzia una grande potenzialità inespressa, per la scelta della combinazione d’innesto sbagliata, per le densità d’impianto inadeguate alla fertilità del suolo, per errori nella gestione idrica o nutrizionale, ma soprattutto per la crescente imprevedibilità delle condizioni climatiche. Questo fa sí che la zonazione divenga non un punto d’arrivo ma di partenza per reimpostare la viticoltura di un territorio alla luce dei risultati conseguiti. L’ottimizzazione dell’interazione si raggiunge quindi creando nelle diverse Unità viticole dei vigneti dimostrativi dove sono raccolte e confrontate le varie fonti di variazione del modello viticolo (diversi vitigni e portinnesti, alcune fittezze d’impianto, alcune modalità di gestione del suolo e delle risorse idriche). Dai risultati quali-quantitativi raccolti in questi vigneti si potrà valutare sui parametri fini dell’uva e del vino non solo l’effetto del suolo, ma anche dell’andamento stagionale e intervenire con adeguamenti di tecnica colturale per evitarne gli effetti negativi. Tra i prodotti non trascurabili della zonazione va annoverato il suo contributo alla crescita imprenditoriale dei viticoltori. In particolare attraverso gli incontri, i seminari, le visite di studio, le degustazioni che vengono organizzate nel corso del triennio di ricerca, si sviluppa tra i viticoltori la consapevolezza delle risorse che il territorio viticolo offre ai fini del miglioramento qualitativo e che le possibilità di fare conoscere al consumatore i progressi ottenuti sono il risultato di un’azione collettiva. Questa volontà di collaborare può far nascere dei nuovi modelli organizzativi, che nel mondo anglosassone (Australia e California), dove sono diffusi, sono chiamati “cluster”, assimilabili ai nostri “distretti”. Un territorio viticolo è costituito da tante piccole aziende e rappresenta quindi una concentrazione geografica ed economica di più entità coinvolte nello stesso tipo di attività, che condividono una strategia di sviluppo basata sulla cooperazione e la competizione. La zonazione che viene realizzata su questi territori viticoli può quindi rappresentare un forte elemento aggregante. Frammenti di “cluster” sono le DOC, le DOCG e i Consorzi di Tutela ma, contrariamente a queste, i “cluster” coinvolgono anche entità produttive o di servizio che sono fuori della filiera intesa in senso stretto, quali le Strade del vino, gli Enti regionali di sviluppo agricolo, le Università. In questo processo di mediazione tra i diversi soggetti, la zonazione rappresenta il motore della conoscenza dalla quale scaturiscono non solo informazioni tecniche ma soprattutto una nuova cultura d’impresa che è alla base della loro applicazione nell’operare quotidiano.

Attilio Scienza Responsabile scientifico del progetto di zonazione viticola





1. INTRODUzionE



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1. introduzione Il concetto su cui si basano le nostre Denominazioni di Origine, e quelle dei maggiori Paesi produttori europei, è che il territorio di origine abbia un’influenza fondamentale nel determinare le caratteristiche del prodotto finale. Questo concetto è ben espresso dal termine di origine francese terroir che integra due gruppi di fattori fondamentali per l’espressione di un’originalità enologica; si possono distinguere da una parte i fattori naturali (clima, suolo) e dall’altra i fattori umani. Il termine indica quindi un’estensione di terra limitata considerata dal punto delle sue attitudini agricole e la capacità alla valorizzazione delle attitudini viticole di un territorio da parte di una comunità di viticoltori (Salette et al., 1998). Il concetto di terroir si può riassumere nella seguente affermazione “le condizioni naturali che influenzano la biologia della vite e la composizione dell’uva” (Johnson, 1992), sottolineando la componente naturale della zona, ma può essere anche definito come “… territorio coltivato dagli abitanti di una comunità rurale la cui attività delimita il terreno in questione” (Audier, 1998), in cui la visione del terroir viene ulteriormente ampliata introducendo anche il fattore umano, che comprende la conduzione del vigneto, le scelte varietali, le tecniche enologiche, ma anche la tradizione, la cultura e la società intimamente legata a quella determinata zona. Con questa nuova e più ampia interpretazione si pone quindi l’accento sul fattore umano per considerare il terroir come “territorio di una popolazione” e affermando che “la nozione di terroir riassume le condizioni genetico-ambientali e umane che sono alla base della produzione di un vino che sappia soprattutto offrire caratteristiche di naturalità e originalità” (Scienza et al., 1996). Nel VI convegno internazionale dei terroir viticoli svoltosi a Bordeaux e Montpellier dal 3 al 7 luglio del 2006 si è proposta la seguente definizione: “area geografica delimitata in cui una comunità umana ha costruito, nel corso della sua storia, un sapere collettivo sulla produzione fondato su un sistema di interazioni tra fattori fisici, biologici e umani. La combinazione delle tecniche produttive rivelano un’originalità, conferiscono una tipicità e garantiscono una reputazione per un bene originato in questa area geografica”. L’aspetto socio-colturale attribuisce all’interazione vitigno-ambiente un significato legato ai principi o agli obiettivi economici della popolazione agricola insediata in un preciso ambiente. Spesso nell’analisi dei fattori che controllano la qualità del vino si sottovaluta il ruolo che ha avuto l’incontro dell’uomo con la natura, dove l’instaurarsi di una comunità ne modifica i connotati e a

sua volta la comunità viene in eguale misura influenzata dall’ambiente circostante. In questo modo la possibilità di emulare un ambiente di coltivazione simile a zone ad alta vocazionalità, applicando le medesime tecniche colturali ed enologiche, viene resa superflua per l’impossibilità di trasferire l’interazione tra i due gruppi di fattori della produzione che crea un livello di originalità e di personalità difficilmente imitabili. Relativamente alla produzione di vino si distinguono terroir multisito, nei quali si riconoscono numerose interazioni tra vitigno e ambiente (come in Trentino dove i diversi vitigni sono coltivati nelle condizioni pedoclimatiche più varie), o terroir monosito o storici che possono essere ulteriormente distinti in omogenei, se viene coltivata una sola varietà (es. Barolo), o compositi quando il vino è ottenuto su una sola matrice pedologica ma attraverso la mescolanza di più varietà (es. Chianti). Questa complessità del concetto di terroir è ben illustrata dalle quattro definizioni proposte da Vadour (2003): • Terroir–materia: è il terroir “agricolo”, riguarda cioè gli aspetti agronomici e tecnologici di un terroir. Comprende l’insieme delle potenzialità naturali di un ambiente che danno origine a un prodotto specifico. Tale concezione è fondata sulla ferma convinzione che la qualità di un prodotto sia strettamente legata alle attitudini agricole della zona di coltivazione. Lo si percepisce come relazione tra suolo, sottosuolo, clima e risposta agronomica della pianta. • Terroir–spazio: è il terroir “territoriale” inteso come ambiente geografico, spazio fisico e contesto storico in cui si sono instaurate le condizioni socio-economiche per la produzione e vendita di vino. • Terroir–coscienza: è inteso come identità di un paese, di un popolo. È la memoria, la tradizione, la cultura di un luogo che attraverso i profumi e i sapori di un vino viene evocata e tramandata. • Terroir–slogan: è l’accezione pubblicitaria di terroir che diventa anche un’importante operazione di marketing richiamando appunto alla tradizione, alla società rurale e alle sue abitudini, interpretando così le aspettative dell’attuale consumatore di vino. Tutte queste definizioni hanno un filo conduttore comune nei concetti di “origine” (legame col luogo di produzione), “perennità” (cioè il permanere delle condizioni), “specificità” e “tipicità”. Ed è proprio quest’ultimo concetto il cardine su cui si fa leva per difendere le produzioni italiane dal mercato globale. La tipicità è una particolare qualità di un prodotto alimentare specifica di un luogo di produzione e non riproducibile altrove.


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1.

introduzione

La tipicità è una memoria di gusto e aromi elaborati e tramandati da generazioni di degustatori, è personalità legata a un luogo di produzione. Il terroir è dunque un sistema complesso, costituito da una catena di fattori (fattori naturali dell’ambiente, clima dell’annata, varietà, fattori di intervento umano) che portano a un prodotto finale (Morlat, 2001). Se alle definizioni di terroir di Vadour prima proposte affianchiamo lo schema che definisce le diverse fasi in cui si articola un’attività di zonazione (Figura 1.1) troveremo numerose coincidenze con i diversi passaggi operativi che compongono questo tipo di indagine. Queste inoltre ben rappresentano un ideale percorso di appropriazione del significato di terroir fino a farlo divenire elemento di comunicazione in rappresentanza di un prodotto che da esso prende origine, come del resto dovrebbe essere letto anche il processo di zonazione. In dettaglio, le fasi preliminari di indagine e di caratterizzazione del territorio altro non sono che l’appropriarsi

attraverso la conoscenza delle potenzialità e dei limiti del terroir-materia; l’elaborazione dei dati, che consente di definire e qualificare le risposte del vitigno in funzione dell’ambiente di coltivazione determinandone così la vocazionalità, è d’altra parte paragonabile a una vera e propria presa di coscienza (terroir-coscienza) delle proprie produzioni enologiche. Così come gli altri passaggi del lavoro di zonazione: la delimitazione cartografica del territorio in aree omogenee, la realizzazione del manuale d’uso del territorio e la divulgazione dei risultati dell’indagine possono ben rientrare nelle definizioni di terroirspazio e terroir-slogan dove, in questo ultimo caso, la comunicazione avviene non solo verso l’esterno (cliente consumatore) ma anche verso l’interno, ovvero verso tutti quei soggetti che operano sul territorio nell’ambito delle produzioni viti-vinicole e questo attraverso il manuale d’uso del territorio. (Brancadoro, 2008). Questo parallelismo mostra come l’attività di zonazione possa essere letta come un approccio scientifico alla de-

Figura 1.1 – Schema sinottico delle diverse fasi operative di una zonazione viticola

1. INDAGINE PRELIMINARE

cartografia di base, dati climatici, notizie storiche

2. CARATTERIZZAZIONE DEL TERRITORIO

• Piano sperimentale • Coordinamento

• Indagine pedologica • Indagine climatica

individuazione dei vigneti di riferimento

• Indagine agronomica • Curve di maturazione • Vendemmia

3. STIMA DELL’INTERAZIONE VITIGNO X AMBIENTE

4. ELABORAZIONE STATISTICA DEI RISULTATI

• Indagine enologica • Microvinificazioni • Analisi sensoriale

• Indagine chimica • Curve di maturazione • Vendemmia • Microvinificazioni

5. DELIMITAZIONE DEL TERRITORIO IN ZONE OMOGENEE

6. REALIZZAZIONE DEL MANUALE D’USO DEL TERRITORIO

• Comunicazione • Stampa


1. introduzione

terminazione delle qualità di un territorio e all’influenza di questo nel definire le caratteristiche delle produzioni che lì si realizzano, in altre parole la zonazione viticola palesa le origini della tipicità di un prodotto. Ed è proprio quest’ultimo il concetto cardine su cui si deve fare leva per difendere le produzioni italiane dal mercato globale. La tipicità è una particolare qualità di un prodotto alimentare specifica di un luogo di produzione e non riproducibile altrove, è personalità legata a un luogo di produzione (Scienza et al., 2008). Per migliorare la qualità delle produzioni sarà quindi indispensabile conoscere i fattori che in quel determinato ambiente possono influenzare la qualità dei prodotti, in modo da gestirli sia con l’ausilio delle scelte varietali che con l’applicazione delle tecniche colturali più opportune per arrivare all’ottimizzazione del rapporto tra il vitigno e il suo ambiente di coltivazione (Bogoni, 1998). Lo studio dei molteplici fattori che legano il vitigno all’ambiente consentendogli di estrinsecare compiutamente le proprie potenzialità genetiche avviene grazie a un metodo integrato e interdisciplinare che è in grado di individuare e mostrare la sequenza dei fattori naturali dell’effetto terroir: la zonazione viticola. Questo approccio integrato (Morlat, 1989) permette di comprendere i meccanismi dell’interazione terroir-vigneto-vino ed è fondato sulla convinzione che la misura dell’influenza di una variabile isolata, o delle variabili prese una per una, non permette di esplicitare ciò che concorre nell’elaborare la qualità finale del vino e quindi il funzionamento del terroir. Per poter comprendere correttamente il concetto di qualità di un vino è necessario distinguere tra una qualità innata, attribuibile all’interazione vitigno-ambiente, e una qualità acquisita, rappresentata dal risultato delle modificazioni apportate dall’uomo mediante l’interpretazione enologica con l’intento di esaltare nel vino i caratteri peculiari delle uve (Scienza, 1992). L’insieme di queste due determina la qualità percepita dal consumatore per un dato prodotto. Tenuto conto del fatto che negli ultimi decenni i progressi delle tecniche enologiche e viticole hanno migliorato di molto la qualità acquisita dei prodotti, è ora necessario, se si vuole avere un vantaggio sulla diretta concorrenza, puntare l’attenzione sulla componente innata. Per raggiungere l’obiettivo ormai strategico della viticoltura - produrre vini originali e non banali - è necessario quindi incrementare quella quota della qualità del vino legata al terroir (qualità innata). Le vie per ottenere questo risultato sono diverse ma hanno tutte lo scopo principale di ottimizzare il rapporto tra il vitigno e l’ambiente di coltivazione e rappresentano il fulcro su cui viene redatto il manuale d’uso del territorio.

1.1 Le basi teoriche della zonazione Le indagini di zonazione viticola, come oggi le conosciamo, hanno avuto inizio nei primi anni ‘80, quando nei Paesi di più antica tradizione enologica (Italia e Francia) si è cercato di superare il dualismo che da sempre contrapponeva due modi contrastanti di leggere le produzioni enologiche: da un lato i Paesi del Vecchio Continente, storici produttori di vino, sostenitori della matrice geografica della zona di produzione quale fattore tipicizzante la produzione enologica; dall’altro i Paesi del Nuovo Mondo, dove la viticoltura è piuttosto recente, che attribuiscono al vitigno la maggiore responsabilità delle caratteristiche organolettiche di un vino. Tra le due correnti di pensiero vi è un unico elemento di unificazione volto a considerare il vino, con le sue peculiari caratteristiche, come la risultante dell’interazione fra vitigno e ambiente (Parodi, 1997). È da questo connubio che scaturisce la peculiarità e la qualità di un vino: in areali distinti si potranno ottenere vini di qualità altrettanto elevata, ma certamente diversi. L’approccio così introdotto dalla zonazione ha rappresentato una vera e propria “rivoluzione culturale” che porta a concepire il vigneto non più come una serie di elementi disgiunti da studiare e gestire in maniera distinta, ma come un sistema di fattori armoniosamente integrati tra loro e concorrenti al risultato finale: il vino (Falcetti, 1999). Le ricerche condotte con l’obiettivo di valutare le influenze dell’ambiente sulle risposte quali-quantitative di un vigneto sono numerose e presentano differenze sia negli approcci diagnostici utilizzati che nelle conclusioni a cui pervengono. Diviene così possibile individuare diversi livelli di zonazione, con estensione territoriale diversa, e che si avvalgono di metodologie investigative differenti (Reina et al., 1995). Il livello minimo individuabile, definito “microzonazione”, riguarda la dimensione della singola azienda. In questi casi la zonazione ha ricadute pratiche immediate in quanto funge da supporto tecnico per le decisioni dell’impresa vitivinicola in materia di scelta varietale e clonale, forma di allevamento e gestione del vigneto. Le microzonazioni, proprio in virtù del loro carattere aziendale, presentano un trascurabile effetto sullo sviluppo delle conoscenze del territorio nel suo complesso. Le indagini che hanno per oggetto un’entità economico-amministrativa, quale ad esempio un’area a denominazione di origine controllata, vengono definite “mesozonazioni”. Tale tipologia presenta due vantaggi: agisce su un territorio generalmente ristretto e utilizza un dettaglio di osservazioni notevole e adeguato a un uso pratico. Il target delle mesozonazioni è, in genere, un interlocutore gestionale, una cantina sociale o un Consor-

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introduzione

zio DOC che per compiti istituzionali privilegia lo sviluppo complessivo del territorio rispetto alle singole realtà aziendali. Vi sono, infine, le “macrozonazioni” pensate e realizzate per territori molto vasti, dalla dimensione regionale a quella comunitaria. Si tratta, in linea generale, di zonazioni condotte a scopo conoscitivo e finalizzate all’individuazione di macroaree climaticamente omogenee. Proprio per queste loro caratteristiche non trovano immediata applicazione pratica, anche se forniscono interessanti spunti per la gestione del territorio. Analizzando gli strumenti con i quali si è tentato di descrivere un territorio viticolo questi possono essere così schematizzati: • Approccio bioclimatico: proposto alla fine del 1800, vedeva nella creazione di indici climatici (sommatorie termiche) i parametri per definire le condizioni favorevoli alla coltivazione della vite. La nascita della bioclimatologia applicata è riconducibile al lavoro svolto da Winkler il quale introdusse il concetto di sommatoria dei gradi-giorno con l’obiettivo di distinguere delle sottozone viticole “isotermiche”. Questo approccio permise di stabilire i primi limiti climatici per la coltivazione di determinati vitigni e con le successive introduzione di nuovi parametri climatici (radiazione luminosa, potenziale idrico, ecc.) la caratterizzazione climatica del territorio andò via via affinandosi. L’approccio bioclimatico si dimostra efficace per una distinzione rapida di zone piuttosto estese consentendo contemporaneamente la stima dell’incidenza di alcuni fattori limitanti la produzione (pericolo di gelate primaverili, di siccità, alte temperature, ecc.), ma va sottolineata l’assenza nello studio di conoscenze pedologiche e soprattutto la mancanza dell’analisi di interazione tra genotipo e ambiente. • Approccio pedologico nutrizionale: questo approccio si basa sulla conoscenza delle caratteristiche chimico-fisiche del suolo secondo l’esclusiva determinazione di alcuni parametri chimico-fisici fino ad un’indagine pedologica classica. Questo tipo di studio permette di stabilire l’importanza dei fattori condizionanti lo sviluppo delle radici (ristagni idrici, stress idrico, pH, struttura, ecc.) e la valutazione del livello di ospitabilità del terreno alla coltura della vite per determinare le condizioni favorevoli per la produzione di uve di qualità. Il tipo di sperimentazione descrive il territorio come la somma di ambienti elementari ognuno dei quali caratterizzato da una “sequenza geologica” e da una sequenza “pedologica”. Nell’ipotesi di avere un’area con un uguale tipo di genesi del suolo, di rapporto tra roccia-suolo, di omogeneità altitudinale-espositiva, questa viene considerata appartenente ad una medesima “sequenza ecogeopedologica”. Rispetto all’approccio preceden-

te il metodo in esame aumenta il valore discriminatorio e la gerarchizzazione dei caratteri favorevoli alla qualità delle uve tramite l’utilizzo di vigneti-guida scelti nelle diverse sequenze ecogeopedologiche, la valutazione dei vini ottenuti attraverso schede di tipo descrittivo e un trattamento statistico multivariato dei risultati ottenuti. Come per l’approccio bioclimatico il primo risultato è stato la suddivisione del territorio in aree omogenee con produzione delle carte del suolo comprendenti le caratteristiche chimico-fisiche e la loro distribuzione spaziale. L’approccio pedologico è un criterio tuttora utilizzato nell’indagine di aree viticole relativamente estese che ha permesso a indagini più recenti di ampliare e affinare lo studio della relazione suolo-qualità del vino con la valutazione dell’interazione “genotipo x ambiente”. • Approccio sull’interazione “genotipo x ambiente”: questo criterio, che trae le fondamenta dagli studi di genetica classica volti a valutare la stabilità dei caratteri vegetativi, produttivi e qualitativi del genotipo coltivato in ambienti differenti, consente di stimare il grado di adattamento del vitigno a un ambiente in funzione delle sue risposte enologiche. Esso ha lo scopo di valutare l’interazione tra ambiente e vitigno senza attribuire gradi di merito al vitigno, all’ambiente o al tipo di interazione. Il metodo non presuppone di conoscere l’ampiezza di tutti i parametri che concorrono a determinare un ecosistema viticolo per correlare la risposta del vitigno; ritenendo impossibile misurare su scala ridotta e in modo continuo gli stimoli ambientali sulla pianta, ne valuta l’importanza attraverso i risultati enologici conseguiti in alcuni vigneti di riferimento classificati in base alle delimitazioni pedo-climatiche. • Approccio informatico: il criterio si basa sull’impiego di strumenti informatici come mezzi per l’interpretazione di banche dati riguardanti criteri ambientali (pendenze, esposizione, pedologia, ecc.), per l’identificazione di aree a diversa vocazionalità. Il puro utilizzo di tale metodo porta a non considerare gli aspetti qualitativi del prodotto ottenuto e le interazioni tra sistema vegetale e ambientale. Questo tipo di studio è prevalentemente utilizzato per analisi anche di ampia scala senza sopralluoghi. • Approccio integrato multidisciplinare: a partire dagli anni ’80 gli studi di vocazionalità vitivinicola delle aree vitate hanno raggiunto un carattere integrato e interdisciplinare. La definizione di vocazione ambientale alla coltura della vite è ottenuta tramite la collaborazione di diverse professionalità (climatologo, pedologo e agronomo) che, valutando informazioni climatiche, pedologiche, topografiche e colturali in rapporto al vitigno, analizzano i rapporti con l’attività produttiva e cercano di ottimizzare l’intera-


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zione. La valutazione della vocazione di una zona a produrre vino è descritta dai risultati enologici che essa riesce a esprimere e non dalla mera caratterizzazione fisica dell’ambiente circostante che può risultare incompleta. Il lavoro viene articolato in tre fasi: ° Studio dei fattori del modello viticolo caratteristici di un territorio (varietà utilizzate, caratteristiche ambientali, agronomiche, scopo economico, ecc.). ° Valutazione del ruolo delle interazioni tra il vitigno e il sito e l’influenza dell’annata sull’espressione qualitativa dei vini. ° Analisi sensoriale dei prodotti di un determinato ambiente e redazione di carte vocazionali che descrivono i migliori rapporti adattativi tra vitigno e ambiente. La stima del grado di adattabilità di un vigneto nei confronti dell’ambiente avviene attraverso lo studio della stabilità fenotipica dei caratteri fenologici e produttivi e degli indici qualitativi caratterizzanti il prodotto finale: uva e vino. Con questo tipo di approccio si tende a riconoscere i gradi di importanza e la significatività dell’unione dei parametri che rendono unico l’ambiente di coltivazione e che caratterizzano un prefissato modello di produzione viticola. Una metodologia interdisciplinare consente inoltre di approfondire la conoscenza del paesaggio, definendo le risorse ambientali e permettendo in seguito di proporre strategie di valorizzazione del territorio sia dal punto di vista viticolo-agronomico che nel rispetto dell’ambiente circostante. Questi studi permettono di identificare, all’interno del territorio indagato, comportamenti peculiari e caratteristici in base agli ambienti e alle varietà coltivate, prendendo spunto dall’elaborazione della sequenza eco-pedologica (Morlat e Asselin, 1992) in cui la componente paesaggistica, legata alla topografia e all’ambiente, che insieme determinano un mesoclima tipico, viene ricavata mediante l’approccio integrato allo studio del terroir tipico delle zonazioni moderne. Una regione viticola diviene quindi “un’associazione di ambienti elementari giustapposti”, ciascuno dei quali è definito da componenti geologiche (litografia, stratigrafia, suolo), e pedologiche (catena di suoli derivanti), che insieme costituiscono una “sequenza geopedologica” o “pedoclima” a costituire il substrato sul quale cresce la vite. La sequenza ecogeopedologica così definita è la Unité terroir de Base (UTB) o Unità di Paesaggio (UdP). Questa evoluzione delle metodiche non ha spostato l’obiettivo di queste indagini il cui scopo è “individuare, nell’ambito di un’area, unità di territorio, definite Unità Vocazionali (UV), nel cui ambito le prestazioni vegetative, produttive e qualitative di un dato vitigno si possano considerare sufficientemente omogenee, in condizio-

ni confrontabili di sistema colturale (portinnesti, forma di allevamento, sesto d’impianto, intensità di potatura, ecc.)” (Failla, Fiorini, 1998). D’altra parte l’individuazione di queste Unità Vocazionali non ha l’intento di stilare una graduatoria qualitativa delle produzioni ottenute nelle diverse aree, ma di valutare le risposte adattative dei vitigni alle diverse condizioni pedoclimatiche che caratterizzano ciascuna zona di produzione. In altre parole il prodotto di un dato vitigno non può essere rigidamente definito, ma è la gamma delle sue espressioni determinate dall’influenza dell’ambiente. Questa gamma di prodotti può essere vista come la capacità di reazione di un vitigno all’ambiente. Si parla infatti di vitigni più o meno reattivi alle diverse condizioni pedoclimatiche e la stessa vocazionalità di una zona, nonché la scelta varietale in essa operata, sono strettamente legate a tale reattività (Scienza, Toninato, 2003). La conoscenza di queste risposte adattive è la base necessaria allo sviluppo e alla scelta di appropriate tecniche agronomiche ed enologiche atte alla valorizzazione delle produzioni facendo risaltare la tipicità dei diversi terroir (ottimizzazione dell’interazione vitigno-ambiente).

1.2 la zonazione come strumento moderno di tutela e valorizzazione del territorio Anche se da un punto di vista concettuale il rapporto che lega la qualità di un vino all’ambiente naturale è stato reso esplicito solo in tempi recenti attraverso le validazioni scientifiche delle zonazioni e quindi con il riconoscimento formale di una gerarchia qualitativa, non si può negare l’importanza anche in passato di rapporti tra l’ambiente sociale e quello naturale nei confronti della vocazione qualitativa dei vigneti. Questo significa che in passato le scelte riguardo la collocazione dei vigneti erano effettuate non solo in base all’attitudine a produrre vini di particolare qualità, ma anche in base alle potenzialità di sfruttamento commerciale (vicinanza ai luoghi di consumo o a vie di comunicazione, facilità dei trasporti). L’analisi odierna del territorio, o meglio del terroir, diventa uno sguardo sul passato e sulla tradizione e si tramuta naturalmente da uno strumento di comunicazione in un’importante leva di marketing e di promozione. La zonazione viticola può essere considerata alla stregua di un’innovazione di processo e di prodotto all’interno della filiera vite-vino. Attraverso l’ottimizzazione dei rapporti tra vite e ambiente l’uva subisce infatti dei cambiamenti positivi anche profondi che impongono delle strategie di vinificazione e di interpretazione della mate-

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ria prima adeguate al nuovo livello di qualità. Sul piano aziendale interno, l’uso dei risultati della zonazione non necessariamente deve sfociare nell’impiego di sottozone in etichetta o in una classifica di merito tra terroir, ma può fungere da stimolo per la scelta della migliore combinazione dei fattori viticoli e ambientali che orientano verso la qualità dell’uva. Naturalmente la qualità intrinseca dei vini, soprattutto per il maggiore apporto della qualità innata, deve essere trasmessa ai consumatori attraverso una comunicazione trasparente delle valenze territoriali della zona dove il vino è stato prodotto e che sono state messe in evidenza dalla zonazione. Le acquisizioni della zonazione possono inoltre servire per intraprendere un processo di certificazione che finalmente parta non dall’imbottigliamento, come spesso capita, ma dal controllo della materia prima. Per il raggiungimento dell’obiettivo ormai strategico per molte aziende italiane di produrre vini originali, non banali e lontani dalla standardizzazione del prodotto, è necessario incrementare quella quota della qualità del vino legata alle condizioni genetico-ambientali-colturali del vigneto che viene chiamata “qualità innata”. Si impongono strategie produttive che si basano sul potenziamento della variabilità genetica e le vie per ottenere questo risultato sono diverse e coinvolgono la reintroduzione di vitigni autoctoni, la creazione di nuovi vitigni, la selezione clonale e le mescolanze clonali, un miglior utilizzo delle risorse energetiche del sito attraverso opportuni portinnesti, forme d’allevamento, tecniche di intervento sul suolo e infine il miglioramento delle condizioni complessive di interazione tra il vitigno e l’ambiente operate dallo studio di zonazione. Questo strumento, nato essenzialmente come mezzo tecnico aziendale e territoriale, può prestarsi a diverse altre utilizzazioni e può soddisfare esigenze di altri soggetti che non siano solo i tecnici del settore o gli operatori agricoli economicamente capaci e sensibili a una innovazione vitivinicola. Spalleggiata da una buona divulgazione e dall’interesse della ricerca a non considerare concluso il progetto alla sola produzione del risultato, la zonazione può trovare utilità attraverso una mirata comunicazione anche all’interno della filiera produttiva tra gli operatori agricoli meno innovativi e tra tutti quei soggetti non inseriti strettamente nel processo produttivo. Tali soggetti, quali le Istituzioni pubbliche e i Consorzi di tutela, possono utilizzare parte dei risultati o dei loro sottoprodotti come input per riformulare le proprie strategie di intervento sul territorio sia a livello regionale che comunale, per ampliare la conoscenza delle proprie potenzialità ambientali e di conservazione dell’ambiente nonché come leva di promozione e stimolo per attività di marketing. Riassumendo, questo progetto interdisciplinare ha ricadute su diversi livelli di utenza: • I risultati ottenuti sono continuo motivo di stimolo

per le strutture di ricerca stesse che vedono nuovi punti di partenza per ricerche e approfondimenti. • Enti o Centri di assistenza tecnica. Questi soggetti ricevono le informazioni da divulgare come linee guida con il vantaggio di rafforzare il loro ruolo tra il settore produttivo e la ricerca e di organizzare strutture volte all’insegnamento delle nuove informazioni a soggetti che difficilmente potrebbero attingere vantaggi diretti. • Liberi professionisti. Un’ampia serie di interventi mediati dalla conoscenza del territorio offerta dalla zonazione permette ai professionisti, che trovano nel settore viticolo il campo dove applicare la propria professionalità, di ricevere importanti conoscenze e fondamentali mezzi diagnostici per operare delle scelte tecniche ottimali. • Viticoltori. Sono i soggetti privilegiati dello studio della zonazione dalla quale ricevono una serie di informazioni di ordine agronomico, spesso elaborate con rappresentazione di facile intuizione (carte tematiche e manuali d’uso), sotto forma di consigli per il supporto alle decisioni di ordinaria routine e gestione straordinaria. • Enologo. In cantina potrà rivalutare il ruolo centrale del vigneto nella qualità del prodotto enologico e passare dal ruolo di wine-maker a quello di interprete della tipicità prodotta in un terroir, senza il rischio di banalizzare la produzione. • Ambiente. La suddivisone del territorio in aree più o meno vocate e lo studio delle caratteristiche ambientali porta all’identificazione di aree marginali molto sensibili a prestarsi all’uso agricolo. La difesa del territorio attraverso l’adozione di corrette pratiche agricole e la giusta destinazione d’uso delle zone marginali permette la difesa e la salvaguardia del livello qualitativo del prodotto uva e la tutela ambientale. • Cantine sociali. La formulazione di schede che consiglino un tipo di condizione agronomica in base alle caratteristiche del territorio permette alle cantine che operano su ampie superfici con la presenza di soci conferitori di utilizzare tali elaborati per operare un servizio di assistenza e consiglio ai soci. Questa innovazione di processo, oltre a fidelizzare e rafforzare il rapporto tra cantina e socio, permette di programmare un calendario di conferimento collegato alle singole superfici in base alla localizzazione e alla ripartizione varietale, potendo così anche stimare preventivamente i quantitativi afferenti alla cantina. La conoscenza dettagliata del territorio vitato consente anche di tenere aggiornato il proprio catasto viticolo e di individuare delle specificità produttive evidenziando alcune combinazioni vitigno-sito di coltivazione. Questo permette alla cantina di individuare produzioni di nicchia e di intraprendere delle strate-


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gie aziendali e commerciali per valorizzare adeguatamente le produzioni. La conoscenza del territorio, delle aree omogenee e delle loro caratteristiche può essere utilizzata dalla cantina anche come elemento per impostare politiche di mercato e per rendere più incisiva la comunicazione con il cliente sottolineando il legame intimo con l’area di produzione. • Amministrazione pubblica. I vari soggetti pubblici operanti sul territorio ricevono dallo studio una serie di fattori conoscitivi necessari e utili ai fini di una programmazione territoriale (ridefinizione ed elaborazione di nuovi Piani Regolatori Generali). In tal modo si tutelano e valorizzano i territori agricoli difendendoli da destinazioni d’uso diverse e riducendo al minimo le perdite qualora non vi fossero soluzioni alternative. La conoscenza approfondita del territorio è il mezzo teorico che consente anche agli enti consortili di produttori e agli enti pubblici di promuovere l’istituzione e la difesa di denominazioni d’origine o sottodenominazioni basando la loro definizione su dati tecnici scientifici, in grado di assicurare un elevato grado di attuazione e riscontro nella filiera produttiva e commerciale. In conclusione, visti gli sforzi volti a determinare i parametri ambientali che meglio concorrono alla qualità globale di un vino, appare lecito domandarsi se vi sia una definizione certa e oggettiva della qualità stessa. In generale si può concordare con Scienza (1992) quando afferma che “senza entrare nel merito della definizione della qualità di un vino, poco probabile sul piano della condivisione dei termini, appare almeno storicamente possibile dimostrare che tra le caratteristiche organolettiche di un vino e il suo prezzo si instaura un rapporto di causa ed effetto così universale da assurgere a legge economica”. Proprio per questo la zonazione, che permette di capire e interpretare i fattori ambientali che determinano le caratteristiche organolettiche di un vino, può essere uno strumento formidabile per la crescita, anche economica, di un territorio.

1.3 LA DOC Terradeiforti Inquadramento storico “Terradeiforti” è il nome dato dal Consorzio Tutela Vini a quella porzione della Valle dell’Adige a cavallo fra Trentino-Alto Adige e Veneto compresa fra i Comuni di Avio (TN), Dolcè, Brentino Belluno e Rivoli Veronese (VR). La Valle dell’Adige, formatasi nel Quaternario per l’azione erosiva dei ghiacciai, è attraversata in tutta la sua lunghezza dal secondo fiume d’Italia che qui scorre ancora sinuoso e libero da argini, selvaggio come natura lo ha voluto. Sui lati, oltre le pergole di ordinati vigneti, s’innalzano due sistemi montuosi: a destra il Monte Baldo che separa la Terradeiforti dal Lago di Garda, a sinistra l’Altopiano della Lessinia che a mezzogiorno si stempera nella pianura Padana. Già in epoca romana, la valle costituiva il collegamento più importante fra Mediterraneo e Mitteleuropa attraverso le Alpi, poi, sempre confine fra Regni e Imperi, fra Stati, Regioni e Province. Oggi, in un’economia globalizzata, Terradeiforti si propone come “cerniera” fra culture diverse in una prospettiva di sviluppo rispettosa di un territorio ancora sostanzialmente intatto. Un filo conduttore ben presente nel mondo del vino – se fin dal I sec. d.C., Plinio il vecchio nella sua “Naturalis historia”, parlando di viti selvatiche e coltivate a nord di Verona, scriveva: “Labrusca hoc est vite silvestris, quod vocatur oenanthium”, ovvero una vite selvatica chiamata Enantio. La stessa oggi rivalorizzata dai produttori della Terradeiforti sotto la regia del Consorzio di tutela. Nella valle, naturale e agevole asse di transito sul percorso nord-sud e viceversa, si mossero oltre che merci e mercanti, pellegrini e viandanti in viaggio per arrivare a Roma, il centro della cristianità, almeno una volta nella vita, anche popoli ed eserciti. Il pensiero corre immediatamente ai Cimbri che si diressero verso la fertile pianura Padana ai tempi del romano Caio Mario, o ai cavalieri Franchi del duca Evino ricordati nella storia dei Longobardi da Paolo Diacono, o ancora alle truppe tedesche degli Ottoni, o a Federico Barbarossa. Lo spazio geografico, antropico e giurisdizionale nel tratto di valle considerato, fu delimitato dalla Rocca di Rivoli Veronese a sud e dal Castello di Avio, posto alle spalle dell’omonimo paese, a nord. È del periodo di edificazione di quelle roccaforti, vale a dire i primissimi secoli coincidenti con la ripresa economica, agricola, sociale e religiosa dopo l’anno mille, la più antica documentazione che certifica e attesta la presenza di coltivazioni viticole nel tratto di valle che va appunto dal castello di Avio alla Rocca di Rivoli Veronese. “Vigne sclave et vigne maiores”, recitano pergamene di natura privata relative a compere, permute, testamenti,

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donazioni, e atti di valenza pubblica redatti a iniziare dal secolo XIII da mani notarili su rogiti di singoli villici e d’intere Comunità. Dunque nel cuore del Medioevo la vite era sicuramente presente sulle piane di fondo forgiate dalle piene del fiume e sui conoidi di deiezione che i progni, i torrenti che dai fianchi del Monte Baldo e dei Monti Lessini si uniscono all’Adige, avevano abbozzato e consolidato in incalcolabili devastanti straripamenti e in altrettanti travasi impetuosi. “Vinum album et vinum rubrum” contenuti in veieticula trasportati su plaustra trainati da buoi o caricati su zattere affidate alla corrente dell’Adige, raggiungevano i mercati della pianura. Da quel tempo la coltivazione della vite rappresentò per la terra di valle un’attività di fondamentale importanza che continua ininterrottamente fino ai nostri giorni. La famiglia dei Castelbarco potente, spregiudicata, generosa e crudele, dal Castello di Avio seppe dirigere le sorti del territorio fino alla presa di possesso da parte della Repubblica di Venezia, avvenuta agli inizi del secolo XV. La Serenissima, che aveva creato le sue fortune grazie ai commerci via acqua, non poteva che incrementare ulteriormente la navigazione fluviale sull’Adige, attestata già da alcune poste degli Statuti della città di Verona compilati nella seconda metà del secolo XIII. Così in tempi in cui la rete stradale era alquanto carente tanto a livello locale quanto a livello nazionale, il fiume fu costretto a sobbarcarsi per intero o quasi il peso delle commesse commerciali attraverso i trasporti condotti sulle zattere e sui burchi che trasferivano mercanzie provenienti dal centro Europa verso il mare Adriatico e prodotti dell’area mediterranea in direzione opposta. Ponendo fine dopo oltre mille anni di storia alla Repubblica di Venezia con il trattato di Campoformio e consegnando la Serenissima all’Austria, Napoleone Bonaparte, agli inizi del secolo XIX, pose le premesse per far

riemergere negli italiani il loro spirito nazionale cloroformizzato da tanti secoli di dominazioni straniere. Il caso volle che una delle battaglie più pregne di conseguenze future, tra le tante combattute e vinte dal generale francese, si sia svolta proprio a Rivoli Veronese il 14 gennaio del 1797. Con quel successo, Napoleone allontanò d’un colpo tutti i rimasugli della società d’antico regime e pose le basi per il riscatto italico avvenuto grazie al periodo storico denominato Risorgimento. Proprio durante il Risorgimento perdettero la loro valenza di fortificazioni i più antichi manieri della Valdadige quali la Chiusa e la Corsara; il medesimo Castello di Avio subì un impietoso ridimensionamento in relazione alla sua funzione militare. D’altro canto, mutate a livello locale le condizioni politico-militari del territorio simmetricamente alle nuove strategie di guerra (ma queste in senso generale) imposte dall’uso di macchine belliche sempre più moderne, altre strutture adatte alla difesa e all’offesa, con caratteristiche diverse da quelle dei medievali castelli ma pur sempre a quelli corrispondenti, sorsero su progettazione austriaca e si consolidarono per mano italiana tra il 1849 e il 1900. Sono le costruzioni ancora oggi più visibili e più significative di un territorio che solamente dal 1918 non è più terra di confine nazionale ma micro-regione interna di uno Stato sovrano.

Dai castelli ai forti Il territorio compreso tra l’anfiteatro morenico di Rivoli Veronese e gli ultimi venti chilometri della Valdadige in lato sud, fin dall’antichità ambito di ruolo strategico perché interessato dalla via di transito tra il nord Europa e la Padania, fu consistentemente fortificato e difeso da castelli e da forti. Partendo dai tempi più lontani e procedendo in ordine cronologico, le prime forme di difesa militare di cui restano tracce certe o di tipo archeologico o di tipo documentario o di entrambi, furono costruite sul monte Rocca di Rivoli (Rocca), sulle pendici del monte Pastello a Dolcè (el Casteleto), in località Magnon del Comune di Brentino-Belluno (Castel Presina), sul Montarion di Ossenigo (Castello) e nel territorio di Avio (Castello). Le opere murarie consistevano in castelli, alcuni imponenti altri meno, e in torri di guardia; tutti edifici comunque posti sia a difesa di interessi territoriali ben precisi sia in funzione di controllo delle vie di comunicazione, nel passato il fiume Adige in prima posizione. Vediamoli sinteticamente uno per uno. Il fortilizio più importante, quello di Avio, costruito, molto probabilmente su un preesistente presidio romano tra i secoli XI e XIII, fu la principale dimora dei Castelbarco, la famiglia che ideò il progetto di controllo della valle e delle vie di comunicazione che la attraversavano. La realizzazione del modello ebbe come conseguenza la creazione di un fitto tratteggio di torri e fortezze che punteggiavano le alture lungo l’Adige. Molte di quelle costruzioni non resistette-


1. introduzione

ro ai colpi dell’artiglieria e all’incuria degli uomini, altre riuscirono ad affrontare le vicissitudini belliche dei secoli successivi e a giungere più o meno intatte fino a noi. Un caratteristico luogo fortificato era il “Casteleto” del paese di Dolcè, capoluogo comunale sulla sponda sinistra del fiume. Purtroppo la documentazione archivistica non offre molto materiale d’indagine. In compenso scavi archeologici condotti alcuni anni or sono presso le mura diroccate che ancor oggi emergono tra la vegetazione, hanno evidenziato come la costruzione, posta a 400 metri s.l.m. sopra l’abitato del paese, sia stata edificata agli inizi del secolo XI come luogo di rifugio per la popolazione locale in caso di pericolo e come custodia e deposito di granaglie nei momenti di difficoltà. Non rimangono tracce murarie del castello d’Ossenigo, per altro ricordato nel materiale d’archivio perché tra il 1209 e il 1210 fu spettatore di alcune vicende politiche riguardanti il conflitto tra papato e impero che coinvolsero il Marchese Azzo VI d’Este, la famiglia veronese dei Conti di San Bonifacio e l’imperatore Ottone IV. Un caso del tutto particolare è quello della Presina. Gli storici locali lo hanno definito castello, non sapendo come altrimenti inquadrare una cavità naturale ampia, nella quale mano umana ha creato una serie di nicchie regolari utilizzate per sostenere un‘imponente struttura lignea disposta a piani successivi. Recenti ricerche hanno ipotizzato però che non di un vero e proprio castello si sia trattato, ma piuttosto di un eremo frequentato tra i secoli XII e XIV. La Rocca di Rivoli ha lasciato imponenti resti e tracce d’archivio consistenti e importanti. Elemento nodale di controllo militare della via dell’Adige, la fortificazione fu assediata e distrutta da Federico Barbarossa nella seconda metà del secolo XII. Tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna svolsero un basilare ruolo di sorveglianza e di dogana fluviale i due castelli della Chiusa e della Corvara o Crovara. Posti a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro sulle sponde contrapposte del fiume atesino, i due fortilizi agirono di concerto nel controllo delle imbarcazioni che scendevano o risalivano la corrente dell’Adige. Dotate di guarnigione fissa, le fortezze, soprattutto in epoca veneziana, ebbero grande importanza, confermata dai numerosi e assidui lavori di manutenzione ai quali contribuì con i suoi progetti e le sue proposte l’architetto veronese più rappresentativo del secolo XVI, Michele Sammicheli. Di entrambi restano consistenti tracce murarie. Conclusasi l’esperienza della dominazione veneta, la terra di fondovalle fu configurata in modo diverso per quel che riguarda la dislocazione di baluardi e di forti. L’Austriaco Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona, dopo la sabauda campagna militare del 1848, su suggerimento tratto dalle riflessioni del maresciallo Radetzki, diede corso alla progettazione e all’esecuzio-

ne delle costruzioni, ben quattro, che dominano e arginano l’imbocco sud della Valle dell’Adige, valle che, come già sostenuto, ha sempre costituito la più naturale, tradizionale e comoda via di penetrazione e di transito per i popoli nordici e per i loro eserciti. È probabile che i quattro fortilizi siano stati progettati dall’Imperiale Regio Maggiore del Genio Felia von Swiatkiewich, il quale ne diresse sicuramente i lavori. La loro poligonale di base poco si discosta dalla tipologia classica dei forti costruiti in quel periodo, in muro e terra con i rampari per le artiglierie in barbetta. Il più interessante della serie, e anche quello più visibile e identificabile vuoi per la sua tipologia che richiama da vicino quella dei manieri medievali, vuoi per la sua ubicazione, è quello che si propone nelle immediate vicinanze del paese di Rivoli Veronese, il cui nome originario era forte Wohlghemuth. Di rimpetto a tale costruzione, sulla riva contraria dell’Adige, furono innalzati gli altri tre manufatti di simile tenore, forte Hlawaty su un’altura sopra il borgo di Ceraino, forte Mollynari presso l’abitato di Monte e la Tagliata all’interno della Chiusa veneta edificata al posto del castello della Chiusa innalzato in epoca scaligero-veneziana. Dopo il 1866, le edificazioni passarono in mano italiana e furono inserite, non senza un opportuno lavoro d’adattamento e ammodernamento, nel sistema difensivo denominato Linea delle Alpi. Parallelamente alle opere di riorganizzazione sui quattro capisaldi ex-austriaci, tra il 1870 e la fine del secolo scorso, il Regio Genio Militare Italiano progettò e fece erigere altri immobili, vere e proprie cittadelle fortificate, nella parte conclusiva della vallata. Sulla destra Adige sorsero forte San Marco assieme alla Tagliata di Canale nelle adiacenze dell’omonimo abitato, e forte Cimo Grande a cavallo del confine comunale tra Caprino Veronese e Brentino-Belluno; sulla sinistra Adige fu costruito forte Masua sopra la borgata di Dolcè.

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26

1.

introduzione

Qualità, territorio e vitigni autoctoni Nel nuovo scenario emergente, il cibo ormai trascende la gola e il palato. La riscoperta delle radici, l’interesse per la zona di provenienza, la sensibilità per gli aspetti antropologici, il desiderio di conoscere la storia, la dimensione estetico-sensoriale si sommano alla gratificazione orale nell’apprezzamento del vino e di tutti i prodotti tipici. Il futuro del turismo anche in Terradeiforti è di perseguire la “salvaguardia delle specificità”, di cui il vino è uno degli elementi cardine; il turista, infatti, attraverso un’offerta enogastronomia territoriale può compiere un passo decisivo fuori della sua appartenenza, stabilendo relazioni e avviando comparazioni culturali all’interno delle comunità con cui entra in contatto. Il cambiamento dei gusti e delle abitudini del consumatore e la conseguente evoluzione dei mercati hanno inoltre imposto notevoli modifiche tanto ai sistemi di coltivazione in vigna, quanto di vinificazione in cantina: sia che si completi il ciclo vite-vino con l’imbottigliamento, sia che si commercializzi parte della produzione allo stato sfuso, l’imperativo categorico della qualità resta, infatti, la preoccupazione prima dell’operatore. In questa prospettiva, al centro della nuova politica vitienologica e di sviluppo del territorio intrapresa dal Consorzio di Tutela Vini Terradeiforti vi sono due vitigni autoctoni di particolare interesse: l’Enantio e la Casetta. Essi rappresentano la diversità che consente di caratterizzare il territorio, di comunicare un qualcosa di nuovo e di importante, di unico, che nessuno può copiare. Un “medium”, in grado di comunicare non solo cultura materiale, tradizione, emozione, sapori, profumi, ma anche di generare valore nel territorio, innescando addirittura inattesi germi di imprenditorialità.

L’Enantio, vitigno autoctono a bacca nera, riscoperto e fatto proprio ambasciatore dal Consorzio, si coltiva da Ceraino (frazione di Dolcè) ad Avio, dal Forte austriaco di Rivoli a sud al Castello di Avio a nord, in una microarea della Valdadige, la parte più a sud della Vallagarina, dove operano circa 850 viticoltori. Questo vitigno negli ultimi anni è il protagonista, insieme ai tecnici del Consorzio e alle Cantine aderenti, di una sfida nella sfida: da un lato cancellare l’assioma “Enantio=vino da taglio”, usato spesso in passato in altre aree vinicole come migliorativo di altri vini – anche blasonati – grazie alla sua importante struttura e al suo corredo polifenolico, dall’altro valorizzare la sua vera natura di autoctono, irruente, quasi selvaggio, di grande personalità, allontanandolo definitivamente dall’accostamento ai Lambruschi emiliani. Da qui è nata l’esigenza di studiare una nuova carta d’identità per quello che fino a ieri è stato chiamato “Lambrusco a Foglia Frastagliata”. Il vitigno Casetta è presente da tempi immemorabili nella parte meridionale della Vallagarina e precisamente nei comuni catastali di Chizzola, Serravalle, Santa Margherita e Marani, le principali frazioni del comune di Ala. Si ritiene che il nome Casetta derivi dall’antico soprannome di una famiglia di Marani, per questo è chiamato anche con il sinonimo di Maranela. Inoltre alcune leggende riguardanti le valli e i paesi limitrofi all’abitato di Ala raccontano di un vitigno autoctono dalla foglia rotonda (Marani, Val Cipriana e Val San Valentino). Nei tabulati provinciali trentini la Casetta veniva a volte inserita nella famiglia dei Lambruschi a volte in quella dei Misti Rossi, solo nelle liste varietali dei vivai Bernardi, risalenti al 1943- 1944, è fatta una distinzione tra Lambrusco a Foglia Frastagliata e Lambrusco a Foglia Tonda, ora Casetta. Secondo le recenti indagini dell’Unità Operativa (U.O.) viticola dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige le caratteristiche morfologiche del grappolo della Casetta potrebbero far pensare a una correlazione con varietà bordolesi, ma non c’è dubbio che il vitigno Casetta è una varietà a sé stante senza alcuna parentela, come è stato dimostrato con l’analisi dell’isoenzima eseguita per poter reintrodurre questa varietà nella lista dei vitigni ammessi alla coltivazione in Trentino e nella parte della Valdadige presente in provincia di Verona. Dal 2006 con l’inserimento del Casetta nel disciplinare Terradeiforti DOC, la possibilità di proporlo come vino a denominazione, porta nuova spinta per la sua definitiva affermazione.

Le tappe della Denominazione 2001: Riconoscimento sottozona “Terradeiforti” rispetto alla Valdadige DOC 2006: Riconoscimento “Terradeiforti-Valdadige” DOC


2. caratterizzazione agroclimatica



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2. Caratterizzazione agroclimatica La vite prospera nei climi temperati, quelli che Koeppen nella sua classificazione dei climi mondiali definisce come climi C, adatti a una buona agricoltura; in particolare l’area della Terradeiforti si colloca proprio nel cuore di una vasta regione geografica vocata alla coltura della vite che si estende dal Nord Africa alla Francia centrale. Il regime termo-pluviometrico mostra come temperature e precipitazioni si comportano nel corso dell’anno. In particolare le temperature manifestano un tipico minimo invernale che cade intorno a gennaio e un massimo estivo intorno a luglio. Il regime delle precipitazioni presenta invece due massimi pluviometrici, in primavera e autunno, e due minimi, in inverno ed estate. Il minimo invernale è sintomo di vicinanza dell’area centro-europea mentre quello estivo, meno spiccato, è sintomo di mediterraneità. Tutti gli effetti sopra descritti sono modulati da fattori che agiscono a livello locale e fra i quali assumono una particolare rilevanza: • il rilievo, che genera una vasta gamma di effetti topoclimatici quali (i) gli effetti dell’esposizione su soleggiamento e riscaldamento diurno delle pendici oppure (ii) gli effetti di giacitura sull’accumulo notturno di aria fredda o ancora (iii) gli effetti della forma del rilievo sui regimi di brezza; • l’appartenenza al grande bacino padano-veneto che costituisce un areale di transizione fra quello centroeuropeo a clima oceanico e quello a clima mediterraneo;

• la vicinanza di grandi sorgenti di calore e/o umidità quali la pianura padana, il Lago di Garda e il mare Adriatico. Tali aree non sono estranee alla vivace attività temporalesca estiva che è una nota caratteristica dell’ambiente in esame e che presenta vantaggi in termini di rifornimento idrico cui si abbinano possibili problemi di danni da grandine e da erosione. Il clima dell’area viticola indagata si caratterizza per la presenza di estati calde ma non afose e di inverni relativamente freddi, mentre le precipitazioni sono ripartite in modo abbastanza omogeneo nell’arco dell’anno. L’analisi delle temperature medie mensili mostra una media annua di 12,5-14 °C, con temperature medie estive di 22 e 24 °C e medie invernali di 3,5-5,5 °C; il mese mediamente più freddo risulta gennaio, con una media delle minime vicina a 0 °C e una media delle medie di 3-5 °C. Il mese più caldo risulta invece luglio con medie comprese fra 22-24 °C. Il superamento primaverile della soglia di 10 °C nelle temperature medie ha luogo fra la seconda e la terza decade di marzo e la discesa autunnale al di sotto di tale soglia nella prima quindicina di novembre, per cui la stagione di crescita della vite ha una durata media di 220-250 giorni. La temperatura media di ottobre (fra 13,5 e 15,5 °C) è abbondantemente al di sopra del limite di 10 °C, che può essere considerato il limite europeo per la viticoltura commerciale (Lamb, 1966).

Tabella 2.1 – Principali fattori che determinano il clima della TerradeiForti LOCALIZZAZIONE ALLE MEDIE LATITUDINI cui si associano: • la vicinanza di “regioni sorgenti” di masse d’aria • la circolazione atmosferica (es: grandi correnti occidentali) APPARTENENZA ALLA REGIONE PADANO-ALPINA (grande catino delimitato dalle catene alpina e appenninica e con un’apertura principale verso est) STRUTTURA LOCALE DEL RILIEVO (giacitura, pendenza, esposizione) da cui derivano caratteristici effetti topoclimatici su: - radiazione solare - temperatura (es: aree di fondovalle e di compluvio con accumulo notturno di aria fredda da cui derivano nebbie, gelate e brinate; pendici caratterizzate da maggiore mitezza) - umidità relativa (es: aree di fondovalle con valori più elevati) - precipitazioni (intensificazioni orografiche di origine locale) - vento (brezze di monte e di valle) COPERTURA DEL SUOLO ad esempio un suolo nudo rispetto a uno coperto da vegetazione si scalda molto di più durante il giorno e si raffredda più velocemente di notte PRESENZA DI GRANDI MASSE IDRICHE (ALTO ADRIATICO, LAGO DI GARDA) da cui derivano effetti caratteristici quali: - mitigazione delle temperature (gli estremi si smorzano, per cui le aree litoranee rispetto a quelle della piena pianura padana presentano temperature medie più elevate in inverno e più basse in estate) - cessione di umidità all’atmosfera (favorevole, ad esempio, all’attività temporalesca estiva) - atmosfera più limpida - venti (brezze di mare e di lago) Da notare che l’Alto Adriatico è un bacino interno relativamente freddo rispetto, ad esempio, al Mar Tirreno, per cui l’effetto mitigante sul clima appare attenuato


2. caratterizzazione agroclimatica

Figura 2.1 – Il diagramma illustra l’andamento delle temperature minime giornaliere nel corso dell’anno per la stazione di Dolcè. La linea rossa è la media, l’area in verde indica la zona di piena normalità, l’area gialla indica un’anomalia moderata; i valori fortemente anomali ricadono infine nell’area in arancio. In base a questo schema si deve giudicare fortemente anomala una minima di -8°C in gennaio o una minima di 10 °C a luglio; al contrario minime di -2 °C a gennaio o di 18 °C a luglio sono da considerare del tutto nella norma. Gli elaborati sono stati eseguiti su pacchetti di 5 giorni (pentadi) con riferimento al periodo 1993-2007 (elaborazione su dati forniti dal Servizio Meteorologico dell’ARPAV) Temperatura minima - rischio climatico 25 20

temperatura (°C)

15 10 5 0 -5

1/12

1/11

1/10

1/9

1/8

1/7

1/6

1/5

1/4

1/3

1/2

1/1

-10

giorno

Figura 2.2 – Il diagramma illustra l’andamento delle temperature massime giornaliere nel corso dell’anno per la stazione di Dolcè. La linea rossa è la media, l’area in verde indica la zona di piena normalità, l’area gialla indica un’anomalia moderata; i valori fortemente anomali ricadono infine nell’area in rosso. In base a questo schema si deve giudicare fortemente anomala una massima di 15 °C in gennaio o una massima di 39 °C a luglio; al contrario minime di 5 °C a gennaio o di 32 °C ad agosto sono da considerare del tutto nella norma. Gli elaborati sono stati eseguiti su pacchetti di 5 giorni (pentadi) con riferimento al periodo 1993-2007 (elaborazione su dati forniti dal Servizio Meteorologico dell’ARPAV) Temperatura massima - rischio climatico 45 40 35 30 25 20 15 10 5

giorno

1/12

1/11

1/10

1/9

1/8

1/7

1/6

1/5

1/4

1/3

1/2

0

1/1

temperatura (°C)

30


2. caratterizzazione agroclimatica

Figura 2.3 – Diagramma di Walter e Lieth per la stazione di Dolcè. La linea blu indica l’andamento delle precipitazioni mensili mentre la linea rossa indica l’andamento delle temperature mensili. Il fatto che la linea delle precipitazioni non scenda mai al di sotto di quella delle temperature indica l’assenza di un periodo di forte aridità Dolcè (115 m) 1993-2007

13,8 °C

1004 mm 300 mm

°C 50

100

40

80

30

60

20

40

10

20

0

0

30,4

0,1

G

F

M

A

M

G

Le precipitazioni medie annue sono comprese fra 800 e 1.250 mm, con un regime pluviometrico a due massimi (il principale in autunno e il secondario in primavera) e due minimi (il principale in inverno e il secondario in estate). Una classificazione di sintesi è utile per l’inquadramento di massima dell’areale viticolo Terradeiforti in termini di mesoclima. In questa sede è stata utilizzata la classificazione di Koeppen rivisitata da Pinna per l’area italiana (Mennella, 1972), secondo la quale essa presenta un clima di tipo temperato subcontinentale, che si qualifica per: • temperature medie annue comprese fra 10 e 14,4 °C; • media del mese più freddo fra -1 e 3,9 °C; • da 1 a 3 mesi con medie termiche superiori a 20 °C; • escursione termica annua (differenza fra temperatura media del mese più freddo e di quello più caldo) di oltre 19 °C.

2.1 Le fonti di dati I dati climatici alla base di questa indagine provengono dalla rete meteorologica operativa di Arpa Veneto, a cui si è fatto riferimento anche per il recupero dei dati termo-pluviometrici della rete dell’ex Servizio Idrografico. Il Modello Digitale del terreno è quello del Servizio Foreste della Regione Veneto. Il supporto climatologico

L

A

S

O

N

D

fornito alle attività di zonazione non si è limitato alla sola indagine agroclimatica di sintesi oggetto di questa relazione ma si è altresì esteso alla produzione con l’ausilio di adeguate procedure geostatistiche degli elaborati specifici relativi ai vigneti guida per le annate interessate dalla zonazione stessa.

2.2 Inquadramento dell’indagine Le indagini agroclimatiche, condotte facendo ricorso a tecniche agrometeorologiche (WMO, 1981), hanno lo scopo di valutare la vocazione alla viticoltura definendo in termini quantitativi sia le risorse climatiche sia le limitazioni imposte dal clima alla coltura della vite. Nel caso specifico dell’area della Terradeiforti le risorse climatiche indagate sono state: • la radiazione solare e nello specifico quella frazione di energia solare (radiazione fotosinteticamente attiva o PAR) utile per il processo di fotosintesi e che è alla base della produzione degli zuccheri e delle altre sostanze organiche elaborate dalla vite; • le risorse termiche espresse in forma di gradi giorno (indice di Winkler) o di altri opportuni indici; • le risorse idriche descritte tanto in termini di precipitazione che di riserva idrica presente nel terreno;

31


32

2. caratterizzazione agroclimatica

• gli aspetti anemometrici e igrometrici caratteristici dell’area in esame. Fra gli elementi climatici limitanti, l’attenzione è stata focalizzata in particolare su: • temperature invernali e primaverili inferiori ai valori critici; • temperature estive superiori al cardinale massimo; • limitazioni idriche (siccità); • precipitazioni abbondanti durante la raccolta e nel periodo immediatamente precedente. Indagare i fenomeni climatici che interessano un territorio impone di suddividerli secondo scale spaziali caratteristiche; in Tabella 2.2 si riporta lo schema di classificazione cui ci si è attenuti nel corso del lavoro. Tabella 2.2 – Classificazione dei fenomeni climatici secondo scale spaziali Tipo

Dimensione spaziale (valori puramente orientativi)

Macroclima

Oltre 500 km

Mesoclima

50-500 km

Clima locale

1-50 km

Microclima

< 1 km

Esempio clima europeo, clima mediterraneo clima padano, clima insubrico clima di un versante collinare, di una piccola valle clima di un vigneto

In proposito si deve rilevare che la ricerca ha operato alle seguenti scale: • a livello di mesoclima e clima locale, in modo tale da evidenziare i tratti agroclimatici salienti che incidono sulla vocazione viticola del territorio oggetto di indagine;

• a livello di microclima con livelli di dettaglio tali da scendere fino al singolo vigneto. Da ciò deriva il fatto che tutte le carte termiche, pluviometriche, radiative e di bilancio idrico riportate nel testo sono state basate su dati numerici riferiti a celle unitarie di dimensioni di circa 4 ettari (200 x 200 m). Occorre peraltro precisare che l’indagine microclimatica presenta tutta una serie di limitazioni, prima fra tutte il fatto che il maggiore dettaglio pone inevitabilmente in evidenza la variabilità a microscala tipica delle risorse radiative e termiche, rendendo arduo il tracciamento di linee nette di separazione fra territori a differente vocazione, scopo per il quale è da privilegiare l’analisi mesoclimatica.

2.3 La temperatura dell’aria e l’analisi delle risorse termiche La temperatura dell’aria nel vigneto è frutto di tre principali categorie di fenomeni: • il bilancio energetico della chioma e del terreno (fenomeno a microscala); • l’apporto di masse d’aria calda o fredda da aree vicine - brezze di monte/valle (fenomeno a scala locale); • l’apporto di masse d’aria calda o fredda dalle “regioni sorgenti” (fenomeno a macroscala). Nel presente lavoro l’analisi del campo termico si fonda su un algoritmo di spazializzazione che utilizza come variabili correlate alla temperatura dell’aria l’esposizione e la quota, ricavate da un modello digitale del terreno (Figura 2.4).

Figura 2.4 – Modello digitale del terreno (DTM) utilizzato per l’analisi agroclimatica. Il DTM è composto di celle elementari di circa 90 x 90 m e le altitudini sono espresse in metri

2100 2000 1900 1800 1700 1600 1500 1400 1300 1200 1100 1000 900 800 700 600 500 400 300 200 100 0

45,75

45,7

45,65

45,6

45,55

10,75

10,8

10,85

10,9

10,95

11

m s.l.m.


2. caratterizzazione agroclimatica

In pratica, con riferimento a una generica cella xy a temperatura incognita si è provveduto a omogeneizzare in termini di quota ed esposizione tutti i valori noti. L’omogeneizzazione è stata eseguita applicando opportuni gradienti altitudinali ed esposizionali. Le equazioni di regressione lineare delle temperature medie rispetto alla quota sono riportate in Tabella 2.3. Si noti l’ottima correlazione lineare esistente fra quota e temperatura media mensile, che da un lato indica la qualità accettabile dei dati utilizzati e dall’altro garantisce la possibilità di ottenere una spazializzazione realistica del dato. Si osservi inoltre che il gradiente medio espresso in °C/100 m è più basso nei mesi invernali per effetto dello smorzamento dovuto all’accumulo di aria fredda nei fondivalle. Si tratta di gradienti medi mensili abbastanza vicini a quelli ottenuti da altri autori e riportati in Tabella 2.5. I gradienti riportati in Tabella 2.4 sono stati pertanto adottati per l’analisi del campo termico che è alla base

dell’individuazione del cumulo di unità termiche annuali. Il gradiente esposizionale utilizzato per le nostre elaborazioni è invece quello riportato in tabella 2.6.

Tabella 2.3 – Risultato delle regressioni lineari temperatura – quota per il Veneto. Elaborazioni riferite al trentennio 1976-2005 Mese Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

temperatura massima y = -0,0027x + 6,4436 y = -0,0033x + 8,4607 y = -0,0051x + 13,291 y = -0,0060x + 17,085 y = -0,0066x + 22,6 y = -0,0067x + 26,301 y = -0,0062x + 28,565 y = -0,0059x + 28,15 y = -0,0055x + 23,758 y = -0,0045x + 18,319 y = -0,0031x + 11,696 y = -0,0028x + 7,3471

R2 0,6370 0,8101 0,9435 0,9536 0,9484 0,9514 0,9364 0,9174 0,9262 0,9172 0,7770 0,6690

temperatura minima y = -0,0039x - 0,8909 y = -0,0044x + 0,6068 y = -0,0056x + 4,7307 y = -0,0062x + 8,1946 y = -0,0065x + 13,294 y = -0,0063x + 16,761 y = -0,0062x + 18,956 y = -0,0059x + 18,592 y = -0,0053x + 14,399 y = -0,0047x + 9,8296 y = -0,0042x + 3,9576 y = -0,0039x + 0,1964

R2 0,7739 0,8494 0,916 0,9487 0,9509 0,9473 0,9445 0,9251 0,9265 0,9046 0,8412 0,7843

Tabella 2.4 – Gradienti termici medi mensili ricavati per il Veneto nel presente lavoro (°C) Tx = media delle massime Tn = media delle minime Td = media delle medie

Gen -0,27 -0,39 -0,33

Feb -0,33 -0,44 -0,39

Mar -0,51 -0,56 -0,54

Apr -0,60 -0,62 -0,61

Mag -0,66 -0,65 -0,66

Giu -0,67 -0,63 -0,65

Lug -0,62 -0,62 -0,62

Ago -0,59 -0,59 -0,59

Set -0,55 -0,53 -0,54

Ott -0,45 -0,47 -0,46

Nov -0,31 -0,42 -0,37

Dic -0,28 -0,39 -0,34

Anno -0,49 -0,53 -0,51

Tabella 2.5 – Gradienti termici medi mensili ricavati nel presente lavoro e messi a confronto con quelli riportati da Lugli (1882), Hann (1908) e Belloni & Pelfini (1987) Questo lavoro Belloni (1982) Belloni&Pelfini(1987) Hann Lugli

Gen -0,33 -0,34 -0,36 -0,40 -0,55

Feb -0,39 -0,41 -0,47 -0,50 -0,52

Mar -0,54 -0,42 -0,54 -0,63 -0,67

Apr -0,61 -0,61 -0,61 -0,70 -0,66

Mag -0,66 -0,64 -0,62 -0,70 -0,69

Giu -0,65 -0,64 -0,64 -0,66 -0,50

Lug -0,62 -0,64 -0,63 -0,61 -0,52

Ago -0,59 -0,63 -0,60 -0,58 -0,48

Set -0,54 -0,60 -0,54 -0,55 -0,57

Ott -0,46 -0,53 -0,45 -0,49 -0,65

Nov -0,37 -0,43 -0,40 -0,41 -0,60

Dic -0,34 -0,36 -0,29 -0,37 -0,51

Anno -0,46 -0,53 -0,51 -0,55 -0,58

Tabella 2.6 – Gradiente esposizionale. Ogni esposizione viene accreditata di un certo guadagno o di una certa perdita termica rispetto alle esposizioni est od ovest, che non sono considerate soggette a perdite o guadagni Tx = media delle massime Tn = media delle minime Td = media delle medie

N -1,2 -1 -1,1

NNE-NNO -1 -0,8 -0,9

NE-NO -0,8 -0,6 -0,7

ENE-ONO -0,5 -0,4 -0,45

E-O 0 0 0

ESE-OSO 0,5 0,4 0,45

SE-SO 0,8 0,6 0,7

S 1,2 1 1,1

33


34

2. caratterizzazione agroclimatica

I risultati dell’analisi spaziale delle temperature per le principali località della Terradeiforti sono riassunti nelle Tabelle 2.7 e 2.8. Le carte di sintesi delle temperature medie delle minime e delle massime sono invece ripor-

tate in Figura 2.5. Si osservi la variabilità dei valori termici, frutto della disomogeneità territoriale indotta principalmente dall’orografia.

Tabella 2.7 – Temperature medie delle massime per le principali località della Terradeiforti (periodo di riferimento: 1993-2007) Località Avio Brentino Belluno Dolcè Rivoli Veronese Media generale Minimo assoluto Massimo assoluto

Coordinata Coordinata Gen x y 1745042 5137517 8,1 1650801 5066494 7,8 1647619 5057869 7,8 1644554 5051550 7,4 7,8 7,4 8,1

Feb

Mar

Apr

Mag

Giu

Lug

Ago

Set

Ott

Nov

Dic

Anno

9,9 10,0 10,4 9,7 10,0 9,7 10,4

13,6 14,0 14,8 14,1 14,1 13,6 14,8

17,0 17,6 18,4 17,7 17,7 17,0 18,4

22,4 23,2 24,0 23,5 23,3 22,4 24,0

26,3 27,1 28,0 27,5 27,2 26,3 28,0

28,5 29,4 30,3 29,7 29,5 28,5 30,3

27,9 28,7 29,6 29,1 28,8 27,9 29,6

22,7 23,5 24,3 23,8 23,6 22,7 24,3

17,7 18,2 18,8 18,3 18,3 17,7 18,8

11,9 12,1 12,4 12,0 12,1 11,9 12,4

7,9 7,9 7,9 7,7 7,9 7,7 7,9

17,8 18,3 18,9 18,4 18,4 17,8 18,9

Tabella 2.8 – Temperature medie delle minime per le principali località della Terradeiforti (periodo di riferimento: 1993-2007) Località Avio Brentino Belluno Dolcè Rivoli Veronese Media generale Minimo assoluto Massimo assoluto

Coordinata Coordinata Gen x y 1745042 5137517 0,6 1650801 5066494 0,2 1647619 5057869 0,1 1644554 5051550 -0,2 0,2 -0,2 0,6

Feb

Mar

Apr

Mag

Giu

Lug

Ago

Set

Ott

Nov

Dic

Anno

1,4 0,9 0,4 0,3 0,8 0,3 1,4

4,5 4,2 3,9 3,8 4,1 3,8 4,5

8,1 7,8 7,5 7,3 7,7 7,3 8,1

12,6 12,4 12,3 12,1 12,4 12,1 12,6

16,0 15,8 15,6 15,4 15,7 15,4 16,0

17,7 17,5 17,4 17,2 17,4 17,2 17,7

17,6 17,4 17,3 17,1 17,4 17,1 17,6

13,3 13,1 13,0 12,8 13,1 12,8 13,3

9,9 9,7 9,5 9,3 9,6 9,3 9,9

4,9 4,6 4,4 4,3 4,5 4,3 4,9

1,2 1,1 1,1 0,9 1,1 0,9 1,2

9,0 8,7 8,6 8,3 8,7 8,3 9,0

Figura 2.5 – Valori medi annui delle temperature minime e massime. Nel caso delle massime gran parte del fondovalle presenta temperature intorno a 18 °C. Nel caso delle minime gran parte del fondovalle presenta temperature fra 8 e 9 °C

1635186.00

1656786.00

1635186.00

1656786.00 5070600.00

5070600.00

5070600.00

5070600.00

°C

8

19

7

16

5

14

4

12

2

10

1

7

-1

5

1656786.00

10 km

Scala 1:162686

5043200.00

5043200.00

5043200.00

5043200.00 1635186.00

0

°C

1635186.00

0

1656786.00

10 km

Scala 1:162808


2. caratterizzazione agroclimatica

2.4 La radiazione solare La radiazione solare è necessaria per il processo fotosintetico e dunque si rivela essenziale per l’attività vegetativa della vite e per l’accumulo di zuccheri nel grappolo. L’analisi della radiazione utile per la fotosintesi è stata condotta con un apposito modello in grado di ricavare la radiazione fotosinteticamente attiva potenziale (PPAR) e cioè la radiazione che si rende disponibile in assenza di copertura nuvolosa (cielo sereno). Tale valore è utile per valutare la vocazione del territorio in esame nell’ipotesi che la copertura nuvolosa si ripartisca in modo omogeneo sullo stesso. L’algoritmo utilizzato per la stima della PPAR è quello del software SAGA Gis (Olaya, 2004) e prevede anzitutto il calcolo della posizione del sole (elevazione e azimut) attraverso l’impiego di formule trigonometriche classiche

(Fracastoro, 1985); a ciò segue l’ottenimento dal DTM dell’orizzonte reale imposto dal profilo dei rilievi. Si eseguono poi (i) il calcolo delle ore di sole potenziali attraverso il calcolo dell’intersezione fra traiettoria del sole e l’orizzonte reale, (ii) il calcolo della radiazione solare globale giornaliera (diretta e diffusa) su una superficie comunque orientata ed infine (iii) la trasformazione della radiazione solare globale in PPAR utilizzando un coefficiente moltiplicatore paria a 0,5 (Karalis, 1989). Tale procedura è stata applicata al DTM del territorio che è composto di celle elementari di 200 x 200 m. I dati riferiti all’intero anno consentono una valutazione quantitativa delle potenzialità climatiche in termini di energia solare disponibile per il processo fotosintetico. I valori di PPAR sono riportati nella carta (Figura 2.6) che ne illustra la distribuzione spaziale per il territorio nel suo complesso.

Figura 2.6 – Valori annui di radiazione fotosinteticamente attiva potenziale (PPAR)

5041000.00

1657386.00 5071800.00

5071800.00

4000 3500 3000 2500 2000 1500 1000 500 0

5041000.00

5041000.00 1634986.00 0

1657386.00 10 km

35


2. caratterizzazione agroclimatica

2.5 Le precipitazioni

medie annue nel territorio in esame per il periodo 19512007. Tale carta è stata ottenuta spazializzando i valori totali di precipitazione media annua delle stazioni dell’area con un algoritmo di Kriging ordinario previa omogeneizzazione per la quota, ottenuta con un metodo analogo a quello già discusso per le temperature. La carta evidenzia che l’area della Terradeiforti presenta un caratteristico gradiente latitudinale con un incremento graduale delle precipitazioni da sud verso nord. Più in particolare, da un minimo di 1.000 dell’estremo margine meridionale del territorio si giunge ad un massimo di poco oltre 1.500 mm al limite settentrionale. Il gradiente sud-nord è anzitutto frutto dell’effetto di risalita orografica che ha luogo in presenza di situazioni circolatorie di tipo sciroccale (precipitazioni da fronte caldo in cui l’orografia accentua la naturale tendenza delle masse d’aria mediterranea a salire scorrendo su masse d’aria più fredde pre-esistenti). Al fenomeno della salita della massa d’aria possono cooperare gli effetti di incanalamento dovuti ai molti solchi vallivi che caratterizzano l’area e che tendono a restringersi procedendo verso nord. Un’ulteriore concausa del gradiente sud-nord è l’intensificazione dell’attività temporalesca estiva che è stimolata dall’orografia. Le precipitazioni medie mensili (mm) e il numero medio di giorni piovosi mensili per le principali località della Terradeiforti sono riportati nelle Tabelle 2.9 e 2.10.

Il regime delle precipitazioni mensili dell’area (Figura 2.7) mostra un massimo principale autunnale e uno secondario primaverile, oltre a un minimo principale invernale e uno secondario estivo. Il mese mediamente meno piovoso è febbraio e il più piovoso novembre. Dal punto di vista climatico il minimo precipitativo invernale è interpretabile come un segnale centro-europeo legato all’attenuarsi della circolazione atlantica tipico dell’inverno, mentre il minimo precipitativo estivo è un segnale di mediterraneità. Dal punto di vista circolatorio si osserva che i periodi di piovosità abbondante e prolungata tipici della fase autunnale e primaverile sono da attribuire al flusso perturbato meridionale associato alle depressioni che in tale periodo influenzano l’area e alle quali la zona risulta particolarmente esposta. Il periodo da luglio a settembre presenta una piovosità relativamente elevata e riconducibile soprattutto a fenomeni temporaleschi che danno apporti idrici alquanto irregolari nello spazio e nel tempo e che sono per di più soggetti a significativi fenomeni di ruscellamento, il che rende l’acqua precipitata solo parzialmente fruibile da parte della vite. All’innesco dell’attività temporalesca concorrono la sottostante pianura e il Lago di Garda che sono importanti sorgenti di umidità per i bassi strati. La Figura 2.8 mostra la distribuzione delle precipitazioni

Figura 2.7 – Regime pluviometrico medio mensile per la stazione di Dolcè (1993-2007). Per ogni mese vengono presentati il valore medio (verde), il minimo assoluto (rosso) e il massimo assoluto (azzurro) 300

250

200 Precipitazioni (mm)

36

150

100

50

0 gen

feb

mar

apr

mag

giu

lug

ago

mese media

minimo

massimo

set

ott

nov

dic


2. caratterizzazione agroclimatica

Figura 2.8 – Precipitazione media annua del periodo 1951-2007 per l’area della Terradeiforti (mm). La piovosità si accresce man mano che si risale la Valle dell’Adige. In grigio i limiti dell’area DOC

Tabella 2.9 – Precipitazioni medie mensili (in millimetri) per le principali località della Terradeiforti. Inv% indica la percentuale della precipitazione annua che cade nel semestre invernale - da 1 ottobre a 31 marzo (periodo di riferimento: 1993-2007) Località Avio Brentino Belluno Dolcè Rivoli Veronese Media generale Minimo assoluto Massimo assoluto

Coordinata Coordinata Gen x y 1745042 1650801 1647619 1644554

5137517 5066494 5057869 5051550

71 60 55 51 59 51 71

Feb

Mar

Apr

Mag

Giu

Lug

Ago

Set

Ott

Nov

Dic

Anno Inv%

50 40 32 33 39 32 50

76 60 49 49 59 49 76

130 104 84 86 101 84 130

144 117 102 99 115 99 144

105 89 83 80 89 80 105

100 92 96 86 94 86 100

126 110 101 99 109 99 126

148 122 108 105 121 105 148

169 133 112 112 132 112 169

191 143 112 113 140 112 191

94 78 68 67 77 67 94

1403 1148 1004 980 1134 977 1403

46 45 43 43 45 43 46

Tabella 2.10 – Numero medio di giorni piovosi. Inv% indica la percentuale dei giorni di pioggia annua che si verificano nel semestre invernale - da 1 ottobre a 31 marzo (periodo di riferimento: 1993-2007) Località Avio Brentino Belluno Dolcè Rivoli Veronese Media generale Minimo assoluto Massimo assoluto

Coordinata Coordinata Gen x y 1745042 1650801 1647619 1644554

5137517 5066494 5057869 5051550

6 6 5 6 6 5 6

Feb

Mar

Apr

Mag

Giu

Lug

Ago

Set

Ott

Nov

Dic

5 5 4 4 5 4 5

6 6 5 5 6 5 6

12 11 9 11 11 9 12

13 13 10 11 12 10 13

12 11 8 9 10 8 12

10 9 7 8 9 7 10

11 11 8 9 10 8 11

10 9 8 8 9 8 10

9 9 9 9 9 9 9

9 9 8 9 9 8 9

8 8 7 7 7 7 8

Anno Inv% 113 106 87 95 100 87 113

38 40 43 42 41 43 38

37


38

2. caratterizzazione agroclimatica

2.6 Gli indici bioclimatici La Tabella 2.11 sintetizza i valori degli indici bioclimatici calcolati per le principali località dell’area DOC Terradeiforti. Tabella 2.11 – Indici bioclimatici calcolati per le principali località della Terradeiforti (periodo di riferimento per gli indici termici ed evapotraspirativi: 1993-2007) Località Avio Brentino Belluno Dolcè Rivoli Veronese Media generale Minimo assoluto Massimo assoluto

Altezza

Coordinata x

Coordinata y

gddW

HI

ET0

ETM

d10ini

d10fin

dd>10

PPAR

hh_sun

131 137 115 191 141 115 191

1650801 1647619 1644554 1641450 1644497 1641450 1647619

5066494 5057869 5051550 5048344 5046933 5029970 5057869

1825 1887 1962 1875 1901 1875 1962

2222 2327 2441 2349 2382 2327 2441

853 915 978 945 923 853 978

473 510 545 528 514 473 545

84 83 81 84 83 81 85

310 310 311 309 310 308 311

227 227 230 225 226 223 230

3190 2965 2828 2843 2956 2828 3190

3247 3193 3129 3443 3253 3129 3443

Legenda: coordinata x e coordinata y = coordinate Gauss Boaga, gddW = indice di Winkler (°C); HI = indice di Huglin; ET0= evapotraspirazione da coltura di riferimento (mm); ETM = evapotraspirazione massima annua (mm); dd>10 = numero medio di giorni con temperatura media superiore a 10 °C; d10ini = giorno di superamento in salita della soglia di 10 °C; d10fin = giorno di superamento in discesa della soglia di 10 °C; PPAR = Radiazione fotosinteticamente attiva potenziale, e cioè in assenza di nubi; hh_sun = ore di sole potenziali, e cioè in assenza di nubi.

Indici a base termica Per l’analisi delle risorse termiche si sono adottati sia l’indice di Winkler (somma termica a base 10 °C riferita al periodo che intercorre fra 1 aprile e 31 ottobre) sia l’indice eliotermico di Huglin HI, ottenuto con l’equazione HI = Σ {k/2 * [(Td-10)+(Tx-10)]}

ove la sommatoria è riferita al periodo dal 1 aprile al 30 settembre, Td e Tx sono rispettivamente la temperatura media e massima giornaliera mentre k è un coefficiente moltiplicatore legato alla lunghezza del giorno e che per l’area in esame vale 1,04.

Tabella 2.12 – Valori medi degli indici di Huglin e di Winkler ricavati per alcune importanti zone viticole italiane ed europee (Huglin, 1986; Egger et al., 1997; Dettori & Filigheddu, 1997; Mariani, dati non pubblicati) Stazione Reims Angers Tours Dijon Cognac Toulouse Bordeaux Montpellier Verona (Vr) Piemonte – DOCG Barolo Bari (Ba) Castagneto Carducci (Li) Chianti Classico senese Montalcino (Si) Barcelona Cadiz Cordoba Athenes Kecskemet Odessa

Stato Fr Fr Fr Fr Fr Fr Fr Fr It It It It It It E E E Gr H Ucr.

Latitudine 49 N 48 N 47 N 47 N 46 N 44 N 45 N 43 N 45 N 45 N 41 N 44 N 43 N 43 N 41 N 36 N 38 N 38 N 47 N 46 N

Indice di Winkler 958 1069 1126 1133 1282 1377 1480 1798 1697 1750 2021 1747 1639 2257 1975 2119 2466 2329 1412 1401

Indice di Huglin 1550 1650 1690 1710 1780 1950 2100 2250 2250 2180 2407 2444 2155 2442 2350 2428 3120 2950 2060 1850

Tabella 2.13 – Valori medi degli indici di Huglin e di Winkler ricavati per alcune importanti zone viticole extraeuropee (Huglin, 1986) Stazione Napa Fresno Santiago Stellenbosch Mendoza Mildura

Stato Usa Usa Rch Za Ra Aus

Latitudine 38 N 37 N 32 S 33 S 32 S 34 S

Indice di Winkler 1409 2323 1516 1779 2019 2037

Indice di Huglin 2126 3166 2286 2346 2600 2750


2. caratterizzazione agroclimatica

Tanto per l’indice di Winkler che per quello di Huglin sono state redatte carte (Figure 2.9 e 2.10) che ne illustrano la distribuzione spaziale per il territorio nel suo complesso. Figura 2.9 – Indice di Winkler per la Terradeiforti 1636186.00

Figura 2.10 – Indice di Huglin per la Terradeiforti 1636186.00

1656186.00

1656186.00 5070600.00

5070600.00

5070600.00

5070600.00

2100

2400 2000

1600

1600 1200 1200 800 800 400

400

5043200.00

5043200.00

5043200.00

5043200.00 1636186.00 0

1636186.00

1656186.00

1656186.00 10 km

0

10 km

Le risorse idriche L’analisi delle risorse idriche è stata condotta applicando un bilancio idrico territoriale a passo mensile (Mariani, 2002) che si fonda sull’equazione di conservazione della massa applicata a un serbatoio con Riserva facilmente utilizzabile massima (RFUmax) per lo strato esplorato dalle radici assunta pari a 75 mm, che corrispondono a una Riserva totale massima di 100 mm. Rispetto al serba-

toio vengono computate le entrate (precipitazione utile, al netto da evaporazione superficiale e ruscellamento) e le uscite (evapotraspirazione e infiltrazione). I dati riassuntivi riportati in Tabella 2.14 sono riferiti ai soli centri comunali e mostrano come nell’anno medio non si manifesti uno svuotamento della riserva facilmente utilizzabile.

Tabella 2.14 – Bilancio idrico. Valori medi per il periodo 1993-2007 Località

Rryy

et0

etm

Def_t

Inf_t

g_ini

g_fine

ndd

Avio Brentino Belluno Dolcè Rivoli Veronese Media generale Minimo assoluto Massimo assoluto

1403 1148 1004 980 1134 980 1403

853 915 978 945 923 853 978

473 510 545 528 514 473 545

0 0 0 0 0 0 0

745 491 333 330 475 330 745

-

-

0 0 0 0 0 0 0

Legenda: RRyy = precipitazione media annua (mm); ET0 = evapotrespirazone da coltura di riferimento (mm); ETM = evapotrespirazone massima della vite (mm); Def_t = deficit totale (mm); Inf_t = infiltrazione totale (mm); g_ini = giorno di svuotamento; g_fine = giorno di inizio riempimento; ndd = numero giorni con riserva vuota.

39


40

2. caratterizzazione agroclimatica

2.7 Le limitazioni climatiche Temperature invernali e primaverili inferiori ai valori critici Nel periodo di pieno riposo vegetativo la vite subisce danni solo per temperature inferiori grossomodo a -15/-18 °C (temperature critiche minime per vite in riposo). Se la più elevata probabilità di gelate ricorre in gennaio, mese più freddo dell’anno, occorre segnalare l’elevato rischio climatico di gelate tardive tipico del mese di febbraio, ancora esposto alle irruzioni di aria fredda dai Balcani. A tale proposito si ricorda che in febbraio si sono registrate due delle tre “gelate storiche” del XX secolo (febbraio 1929, febbraio 1956), mentre la terza (1985) si è avuta a gennaio. Da segnalare anche che i mesi di febbraio e marzo possono presentare periodi caldi precoci che stimolano il risveglio vegetativo delle colture in presenza di un rischio sensibile di gelate tardive.

Temperature estive superiori al cardinale massimo Le ondate di caldo sull’area veneta presentano precise ragioni circolatorie. In particolare le ondate di caldo di lunga durata sono associate a promontori anticiclonici meridionali che spingono masse d’aria torrida dall’area africana verso il centro del Mediterraneo. La durata media di tali ondate di caldo varia da un minimo di 9 a un massimo di 21 giorni, secondo uno studio condotto da Michele Conte (1994) che identificò 28 episodi nel periodo dal 1950 al 1992. Lo stesso Conte evidenziò anche la presenza di ondate di caldo di breve durata dovute all’anomala comparsa della corrente a getto subtropicale sull’area europea. Tale fenomeno conduce a ondate di caldo poco persistenti ma particolarmente intense. Sempre nel periodo 1952-92 sono stati individuati 32 casi di queste ondate di calore, con durata media di 3-5 giorni.

Situazioni di carenza idrica La buona piovosità estiva, ovunque superiore al 50% di quella totale annua, fa sì che l’area in esame, in presenza di una Riserva Facilmente Utilizzabile massima di 75 mm e in condizioni di vigneto lavorato o soggetto a inerbimento controllato, non manifesti svuotamento della riserva facilmente utilizzabile. Ciò indica che le situazioni di stress idrico per la vite sono da considerare un fatto inusuale per l’area della Terradeiforti e proprie solo dei terreni più grossolani e più ricchi di scheletro.

Precipitazioni durante la raccolta e nel periodo immediatamente precedente Alcune considerazioni in merito al rischio climatico di periodi di piovosità persistente in vicinanza della raccol-

ta possono essere dedotte dall’analisi dei dati in tabella 2.15, che riportano il 10°, 50° e 90° percentile dei giorni piovosi mensili (precipitazione > 1 mm) per la stazione di Dolcè. Si osservi per esempio che il mese di ottobre presenta un 90° percentile di 14 giorni, il che equivale a dire che nel 10% degli anni (quelli più piovosi) i giorni di pioggia mensili sono più di 14. Più contenuto invece il rischio climatico di settembre, che presenta un 90° percentile di 11 giorni. In complesso comunque i percentili mostrano livelli di rischio non elevatissimi, fatto che consente in genere una gestione sufficientemente agevole delle operazioni di raccolta. Tabella 2.15 – Decimo, cinquantesimo e novantesimo percentile delle precipitazioni per Dolcè, ottenuti utilizzando i dati del periodo 19922007 (esempio di interpretazione: un 90° percentile di 14 giorni di pioggia a ottobre indica che nel 90% degli anni si osserva un numero di giorni di pioggia minore di 14; un 10° percentile di 54 mm di precipitazione ad aprile indica che nel 10% degli anni si osserva un numero di giorni di pioggia inferiore a 54)

Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

Precipitazioni (mm) P10 P50 P90 5 45 103 4 20 85 6 36 91 54 80 126 51 81 166 29 77 173 54 95 138 44 99 157 35 102 173 30 130 196 35 84 181 7 68 129

Giorni di pioggia P10 P50 P90 1 4 10 1 4 8 2 4 8 4 10 13 8 10 13 5 8 12 5 7 9 5 7 12 5 8 11 5 9 14 4 7 16 3 7 10

2.8 Conclusioni L’analisi condotta ha permesso di descrivere in termini quantitativi il clima dell’area viticola della Terradeiforti. I risultati consentono di affermare che i caratteri agroclimatici ne fanno un territorio vocato a una viticoltura di qualità. Tale conclusione è suffragata sia dall’analisi delle risorse climatiche sia da quella degli elementi climatici limitanti. Da tali analisi emergono infatti buoni o ottimi livelli delle risorse radiative, termiche e pluviometriche, che si collocano su valori simili a quelli riscontrati nelle migliori aree viticole italiane e mondiali, mentre le limitazioni non sono in alcun modo in grado di pregiudicare l’attività viticola. I livelli di rischio climatico e la variabilità interannuale delle risorse climatiche consigliano comunque di mantenere nel tempo le attività di rilevamento agrometeorologico e fenologico in stretto collegamento con il servizio meteorologico regionale e con gli altri servizi territorialmente competenti.


3. i suoli



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3. i suoli 3.1 Inquadramento geografico L’area oggetto di studio ha una superficie approssimativa di 3.940 ettari e comprende la porzione terminale della Valle dell’Adige e la sezione nord-orientale dell’anfiteatro morenico di Rivoli, connesso all’apparato glaciale atesino. La porzione valliva si estende dagli abitati di Sabbionara e Avio a nord (Provincia di Trento), a quello di Ceraino (Provincia di Verona), allo sbocco del fiume Adige nella pianura. La porzione collinare (morene), dall’abitato di Rivoli Veronese si apre a ovest arrivando a lambire l’abitato di Affi. La Valle dell’Adige presenta nel tratto studiato un andamento NNE-SSO e il tipico profilo delle grandi valli glaciali, con versanti ripidi e frequenti pareti rocciose verso l’alto. Rispetto a quanto si riteneva in passato, il ruolo dell’escavazione glaciale nella morfogenesi dei versanti è stato però ridimensionato, e questa viene ora imputata soprattutto a fenomeni di abrasione e di quarrying. I sub-

strati dei versanti della valle sono costituiti da formazioni calcaree e dolomitiche di età mesozoica e cenozoica. La fascia indagata comprende ampie superfici alluvionali recenti, terrazzi fluviali di due diversi ordini, qualche lembo di terrazzo glaciale, i conoidi delle valli laterali e alcuni lembi degli abbondanti detriti di versante. Se si escludono le alluvioni recenti, la morfologia è in generale piuttosto mossa e complessa, con un frequente imbricamento di forme di diversa origine.

Vegetazione e utilizzo antropico Tutta l’area è coltivata a vigneto, solo qualche zona marginale (principalmente scarpate con pendenze notevoli) conserva una vegetazione naturale. I versanti che la sovrastano sono invece coperti da formazioni arboree termofile (prevalentemente orno-ostrieti). In relazione al secolare utilizzo antropico, molte superfici sono state modificate, soprattutto con terrazzamenti e marginalmente spianamenti, e i suoli sono quasi sempre rimaneggiati.


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3. i suoli

3.2 METODI DI LAVORO L’indagine pedologica era finalizzata alla realizzazione della cartografia dei suoli in scala 1:25.000 e della relativa banca dati. Nella prima fase del lavoro è stata effettuata, mediante stereoscopio, una foto-interpretazione fisiografica, utilizzando fotografie aeree (volo REVEN del 23.06.1991, alla scala di 1:17.000, in bianco e nero). Tale lavoro ha portato alla stesura di una Carta del Pedopaesaggio (scala 1:25.000) che individua aree omogenee per quanto riguarda la morfologia e i substrati. Tale carta è servita come base per la realizzazione, mediante il lavoro di campagna, della carta pedologica. Nella fase dei rilievi di campagna sono stati descritti e campionati 35 profili pedologici e sono state effettuate 130 trivellate con trivella manuale da 120 cm. L’alta pietrosità dei depositi di conoide e dei terrazzi fluviali ha infatti limitato l’utilizzo della trivella manuale, per cui si è scelto di eseguire un alto numero di profili pedologici. In laboratorio sono state effettuate le determinazioni chimico-fisiche complete di routine su 101 campioni, relativi a 30 profili pedologici. Quando possibile, le densità apparenti sono state determinate in campagna mediante gli appositi cilindri di acciaio. L’insieme delle operazioni e delle determinazioni sopra esposte ha portato alla stesura dei seguenti elaborati finali: • cartografia dei suoli in scala 1:25.000; • banca dati delle unità tipologiche di suolo; • banca dati delle unità cartografiche.

3.3 I SUOLI DELLA VALLE DELL’ADIGE Relativamente alla porzione valliva dell’area di studio, erano disponibili pochissimi dati pedologici pregressi. La cartografia effettuata ha permesso di evidenziare che in questo tratto vallivo dominano i suoli alluvionali poco evoluti e calcarei a granulometria prevalentemente franca o grossolana delle superfici alluvionali recenti e quelli evoluti dei terrazzi fluviali ciottolosi dell’Olocene inferiore. Questi ultimi, moderatamente arrossati, sono più o meno trasformati dalle lavorazioni agrarie, con una parziale o anche totale obliterazione dell’orizzonte argillico (Bt) e una ricarbonatazione. Molto diffusi nella zona indagata sono anche i tipici suoli a spessore ridotto dei conoidi calcarei, in genere molto dotati di carbonati e ricchi di scheletro. Dove le pendenze sono maggiori tali suoli rendziniformi sono terrazzati o ciglionati. Meno diffusi sono i suoli sviluppati da sedimenti glaciali, costituiti da depositi sabbiosi o da depositi ciottolosi (terrazzi glaciali). Questi suoli sono privi di carbonati e sono caratterizzati da una notevole evoluzione che ha permesso la formazione di un orizzonte di accumulo illuviale di argilla.

Il lembo meridionale dell’area, comprendente la porzione centrale dell’anfiteatro morenico di Rivoli Veronese, viene ripreso dalla carta pedologica della DOC Bardolino (Veneto Agricoltura, 2008), che ha utilizzato come riferimento per la classificazione dei suoli la Soil Taxonomy dello U.S.D.A. (Keys 2003).

Suoli alluvionali dei terrazzi recenti Nel settore settentrionale e centrale dell’area di studio, da Sabbionara a Dolcè, così come nella porzione distale (Ceraino), i suoli alluvionali delle superfici tardo-oloceniche sono prevalentemente franchi (VOD1) o francosabbiosi/sabbioso-franchi (DAZ1); sono calcarei, seppure con una leggera decarbonatazione rispetto ai materiali parentali dell’Adige (contenenti circa il 20% di carbonati). I suoli alluvionali a tessitura più fine (SLE1), molto meno frequenti, sono confinati in genere nelle aree più lontane rispetto al fiume. Essi sono franco-limosi e tendono ad avere un contenuto di carbonati superiore. Nelle piane recenti sotto Dolcè prevalgono invece sia in destra che in sinistra idrografica dei suoli alluvionali (SCU1 e LAP1) con una decarbonatazione più spinta (in media 4% di carbonati nell’Ap) e caratterizzati da un orizzonte di alterazione (Bw). La tessitura è francoFigura 3.1 – I Suoli Vo’ Destro (VOD1) sono calcarei e presentano tessiture franche con scarso contenuto di scheletro


3. i suoli

sabbiosa, e possono essere presenti tracce di idromorfia in profondità (LAP1). La presenza di questi suoli relativamente più evoluti rispecchia un’età maggiore delle superfici, da mettere in relazione con le tipiche fasi di deposizione/incisione dello sbocco delle valli alpine, allorché le zone a monte erano già stabilizzate.

Suoli dei terrazzi fluviali dell’Olocene inferiore I suoli dei terrazzi ghiaiosi e ciottolosi dell’Olocene inferiore situati a una quota di 10 metri superiore rispetto al livello attuale dell’Adige (BOP1) sono evoluti ma poco profondi, caratterizzati da un sottile orizzonte di accumulo illuviale di argilla di colore rossastro, con tessitura franco-argillosa e scheletro frequente. In molti casi l’intero orizzonte è stato rimescolato dalle lavorazioni e quindi l’orizzonte lavorato (anch’esso rossastro) è a contatto quasi diretto con il substrato, sviluppato sui materiali parentali ricchi di elementi grossolani e molto calcarei. È stata scorporata una fase a (debole) pendenza (BOP2), i cui suoli sono analoghi. I suoli dei terrazzi situati a una quota di 20 metri superiore rispetto al livello attuale dell’Adige (RIL1), meno diffusi dei precedenti, sono dei Luvisuoli poco profondi, Figura 3.2 – Nei suoli Bosco Piano (BOP1) l’orizzonte argillico (evidente nella foto per il colore arrossato) è spesso obliterato dalle arature

sviluppati da depositi ghiaiosi e ciottolosi estremamente calcarei. L’orizzonte Bt, solo raramente conservato, sotto forma di un sottile livello a contatto con l’orizzonte AC, presenta un arrossamento più accentuato dei suoli del livello inferiore. Più frequentemente la sequenza di orizzonti è Ap-BC-C, con un Ap che eredita i caratteri cromatici del Bt originario. La tessitura è più grossolana rispetto ai terrazzi meno elevati, con una percentuale di argilla minore (tessiture da franche a franco sabbiose), in relazione a una percentuale minore di frazioni fini nei materiali parentali. Probabilmente come conseguenza di questo carattere, la profondità del suolo è di regola minore rispetto ai suoli dei terrazzi più recenti.

Suoli dei conoidi I suoli dei conoidi calcarei (AVI1 e AVI2) a diversa inclinazione dei corsi d’acqua afferenti all’Adige, sono suoli poco profondi o sottili, calcarei, a bassa differenziazione del profilo (A-AC-C). La tessitura è franco-sabbiosa e il contenuto di scheletro è elevato. Probabilmente anche per l’effetto delle millenarie pratiche agricole, ivi compresi gli spietramenti e i terrazzamenti, non sono rilevabili – almeno allo stato attuale delle conoscenze – differenze tra i suoli dei conoidi più Figura 3.3 – I suoli Avio (AVI1) sono caratterizzati dall’alto contenuto in scheletro che ne limita la profondità

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3. i suoli

antichi (tardiglaciali o dell’Olocene inferiore), il cui profilo è sospeso rispetto al piano attuale della vallata, e quelli più recenti. A differenza di quanto osservato più a nord (“Vallagarina”), non sono stati riscontrati suoli di conoide con un orizzonte Bw.

dei depositi sabbiosi è limitato, il suolo poggia sui materiali calcarei di conoide a scheletro molto abbondante.

Suoli su terrazzi glaciali e su sabbie glaciali Nella porzione più settentrionale, in sinistra idrografica è presente un terrazzo glaciale sopraelevato di 30-35 metri rispetto al piano attuale dell’Adige, costituito da materiali a litologia mista, cementati. Su tale superficie si ritrovano dei suoli molto evoluti (MRO1), con un notevole accumulo di argilla nell’orizzonte Bt e (attualmente) scarsamente calcarei. Questi suoli sono associati a suoli meno argillosi analoghi a quelli presenti sui terrazzi fluviali intermedi (BOP1), presenti nelle zone relativamente più pendenti/erose. Sui depositi sabbiosi di origine glaciale (zone di contatto), o anche di conoide (derivati da materiali glaciali), a diffusione limitata (Brentino e Ossenigo), sono presenti suoli profondi a tessitura sabbioso-franca, con un modesto accumulo di argilla nell’orizzonte Bt e non calcarei (BEN1), o anche scarsamente calcarei per effetto dei rimaneggiamenti antropici (OSS1). Quando lo spessore

Nel lembo sud dell’area indagata, in sinistra Adige e al di sotto dell’abitato di Rivoli Veronese, è compresa per intero la scarpata di valle. Il paesaggio è caratterizzato da fortissime pendenze e dall’alternarsi del substrato roccioso a quello glaciale, localmente interrotto da rotture di pendenza operate da terrazzi o tratti in bassa pendenza. Nelle zone a substrato roccioso calcareo, oltre agli affioramenti compaiono Inceptisuoli sottili e scheletrici, limitati dalla roccia, a tessitura franca (CPO2); in corrispondenza del substrato glaciale nella parte medio-alta della scarpata compaiono Inceptisuoli erosi, sottili, limitati dal substrato addensato, franco-sabbiosi e molto calcarei (SRG2), mentre nella parte bassa, occupata da depositi derivanti dall’erosione della parte di versante sovrastante, sono sempre presenti Inceptisuoli ma più profondi (POZ1). Nelle aree a minor pendenza, che in molti casi costituiscono lembi di terrazzi fluvioglaciali o fluviali a substrato ghiaioso-sabbioso, si alternano Alfisuoli in cui

Figura 3.4 – L’età dei suoli Maso Roveri è testimoniata dal colore fortemente rossastro in particolare in corrispondenza dell’orizzonte Bt di accumulo illuviale di argilla

Figura 3.5 – L’orizzonte Bt di accumulo illuviale di argilla è visibile anche nei suoli Belluno Veronese (BEN1) tipici dei depositi sabbiosi di origine glaciale

Suoli sulla scarpata della Valle dell’Adige a substrato roccioso calcareo, substrato glaciale e fluvioglaciale ghiaioso-sabbioso


3. i suoli

si è conservato un ridotto spessore di orizzonte argillico, moderatamente profondi e franco-argillosi (CDA1), ed Entisuoli estremamente ghiaiosi (SEG1). Gli altri lembi su substrato glaciale ricalcano le tipologie di suolo descritte successivamente per l’anfiteatro morenico (SRG1COT1, TAM1, ESS2, ISA1).

Il piccolo anfiteatro di Rivoli Veronese è stato costruito dalla lingua glaciale che proseguiva lungo la direttrice dell’attuale Valle dell’Adige, mentre la gran parte dei ghiacci andava a ingrossare la diffluenza che terminava nel Lago di Garda. La morfologia è organizzata in modo molto semplice, con una sequenza di cordoni morenici a depositi glaciali (tills) disposti in modo concentrico attorno alla piana centrale, intervallati da strette vallecole a depositi fluvioglaciali e colluviali. Sui cordoni a substrato glaciale, nelle zone in forte pendenza sono presenti aree erose con Inceptisuoli (Soil Taxonomy) sottili o moderatamente profondi, francosabbiosi e fortemente calcarei (SRG1) e aree stabili con Alfisuoli moderatamente profondi, franco-argillosi e

scarsamente alcalini (COT1); in presenza di gradonature antropiche su questi versanti si ritrovano Entisuoli di origine antropica, franco-sabbiosi e a scheletro frequente, estremamente calcarei (TAM1). Sulle porzioni moderatamente pendenti compaiono in aree erose antropicamente Entisuoli simili ma in genere franchi e a scheletro comune (MZI1), mentre laddove si conserva un sottile orizzonte cambico, in genere nelle concavità, i suoli mostrano deboli segni di idromorfia (SOM1). Le aree meno disturbate dalle lavorazioni o a suoli sufficientemente profondi compaiono Alfisuoli da bruni a rossastri con tessiture da franche a franco-argillose nel Bt (CZI1, BIN1); non mancano suoli evoluti completamente rimaneggiati dalle lavorazioni con orizzonti argillici frammentati e rimescolati (PEE1). Sul glaciale in bassa pendenza sono presenti Entisuoli rimaneggiati simili ai precedenti (LAA1) e Alfisuoli in genere arrossati (BIN2). I terrazzi intermedi presentano suoli a evoluzione molto diversa sia per le condizioni originali che a causa dell’intervento umano. Oltre ad Alfisuoli simili ai precedenti (BIN3), compaiono suoli connessi a intensi spianamenti e ricoperture con glaciale collinare che danno Entisuoli franco-sabbiosi ed estremamente calcarei (ISA1), mentre nelle aree di leggera concavità prevalgono Inceptisuoli da

Figura 3.6 – I suoli Serraglio (SRG1) si sviluppano a partire da substrato di origine glaciale che caratterizza i ripidi versanti naturali delle colline moreniche

Figura 3.7 – I suoli Le Cocche (LEC1) si trovano su superfici di raccordo fra i rilievi morenici e le piane fluvioglaciali, costituiti da colluvi antichi depositati e pedogenizzati

Suoli dell’anfiteatro morenico di Rivoli Veronese a substrato glaciale, colluviale e fluvioglaciale

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3. i suoli

moderatamente profondi a profondi a drenaggio mediocre e tessiture da franche a franco-sabbiose (CEL1 e LAR1). Le fasce colluviali di piede versante possono conservare i suoli più antichi e sviluppati dell’area, in genere si tratta di Paleudalf policiclici, molto profondi, franchi e scarsamente calcarei (LEC1), anche se non mancano Alfisuoli meno sviluppati, ma arrossati e franco-argillosi nell’orizzonte argillico (GAL1). Nelle fasce di origine relativamente recente sono presenti Inceptisuoli da moderatamente profondi a profondi, franchi e fortemente calcarei (CER2). Nelle ristrette fasce di pianura interposta alle colline su substrati ghiaioso-sabbiosi i suoli sono sottili, ricchi in scheletro e a drenaggio rapido; si alternano quelli in cui si è conservato con continuità l’orizzonte argillico (PNU1), in genere franco-argillosi, ad altri in cui le arature lo hanno completamente rimescolato (FAS1), franco-sabbiosi. Laddove l’orizzonte argillico ha uniformemente più spessore, i suoli sono moderatamente profondi, franchi in superficie e franco-argillosi in profondità (GUR1), ma ancora moderatamente scheletrici. In aree raggiunte da flussi poco trattivi e depositi sabbioso-limosi in copertura, su quelli più grossolani compaiono Alfisuoli con tessiture da franco-argillose a franco-limosoargillose (LFR1). Nell’ampia piana tra Rivoli Veronese e

Figura 3.8 – I suoli Pianure (PNU1) si trovano in piane intermoreniche derivanti da colmature alluvionali dei torrenti proglaciali caratterizzati da depositi ghiaioso-sabbiosi, prevalentemente calcarei

Zuane di sopra i depositi sono costituiti da sabbie medie e grossolane ben classate con Alfisuoli lamellici molto particolari (LEV1). Nelle porzioni rilevate o ribassate delle piane e nei depositi dello scaricatore d’uscita a sud della cerchia sono ugualmente presenti alternanze di Alfisuoli (CDA2, CDA1, LFR2, SAP1) ed Entisuoli antropici (VAE1, VAE2 e LAC1). Nelle scarpate hanno uguale distribuzione i suoli già descritti per la scarpata dell’Adige (SRG2 e POZ1).

3.4 Il contributo dello studio dei suoli per l’identificazione delle Unità Vocazionali Allo scopo di rendere più leggibile l’informazione che deriva dallo studio dei suoli e per agevolare una rielaborazione delle informazioni pedologiche, ai fini della realizzazione di una cartografia delle Unità Vocazionali, sono state elaborate diverse cartografie tematiche che considerano separatamente i diversi parametri pedologici che maggiormente influenzano lo sviluppo e la qualità dell’uva e di conseguenza del vino. I parametri considerati, di seguito elencati, riguardano aspetti sia chimici che fisici e tra questi ultimi si è data particolare attenzione a quelli che influenzano il diverso comportamento idrologico dei suoli: • capacità d’acqua disponibile (AWC); • drenaggio; • permeabilità; • carbonati; • profondità utile alle radici; • scheletro. Ciascuna tipologia di suolo identificata (UTS) è stata caratterizzata, per ognuno dei diversi parametri, da valori calcolati sul primo metro di suolo, ovvero lo strato che risulta maggiormente esplorato dalle radici delle viti. Per ciascun parametro il dato è stato quindi esteso alle diverse Unità Cartografiche (UC) attraverso una media pesata, sulla base della presenza dei diversi suoli all’interno delle varie unità. Sono state così elaborate delle cartografie specifiche che evidenziano la distribuzione dei diversi parametri, calcolati per ogni vigneto guida grazie all’esecuzione di osservazioni (profili o trivellate) puntuali.


3. i suoli

Figura 3.8a – Carte tematiche di alcuni caratteri del suolo

CARBONATI non calcarei AWC (mm)

molto scarsamente calcarei

<50

scarsamente calcarei

50-100

moderatamente calcarei

100-150

molto calcarei

150-200

fortemente calcarei

>200

estremamente calcarei

DRENAGGIO

PERMEABILITĂ€ molto bassa

rapido

bassa

moderatamente rapido

moderatamente bassa

buono

moderatamente alta

mediocre

alta

lento

molto alta

molto lento

49


50

3. i suoli

Figura 3.8b – Carte tematiche di alcuni caratteri del suolo

PROFONDITĂ€ UTILE molto elevata (>150 cm) elevata (100-150 cm) moderatamente elevata (75-100 cm) media (50-75 cm) scarsa (25-50 cm) molto scarsa (<25 cm)

SCHELETRO assente scarso comune frequente abbondante molto abbondante


3. i suoli

3.5 Carta dei suoli

Avio LEGENDA DELLA CARTA DEI SUOLI 1 Rilievi prealpini caratterizzati da frequenti affioramenti del substrato roccioso calcareo 1.1.1 R/CPO2; R 1.1.2 YYY1 2 Conoidi e superfici terrazzate 2.1.1 AVI1; AVI1/AVI3; BRR1; OSS1/ AVI1 2.1.2 AVI2; AVI3; SSS1 2.2.1 MRO1/BOP1; BEN1; BRR1/ OSS1; SEG1/CDA1 2.2.2 RIL1 2.2.3 BOP1 2.2.4 BOP2 2.2.5 TTT1 2.3.1 DAZ1; VOD1; SLE1; SCU1; SCU1/LAP1 2.3.2 AAA1 3 Anfiteatro morenico di Rivoli Veronese

Brentino Belluno

3.1.1 SRG1/COT1 3.1.2 TAM1 3.1.3 MZI1/SOM1; PEE1 3.1.4 CZI1; BIN1 3.1.5 BIN2/LAA1 3.2.1 LEC1 3.2.2 GAL1; CER2 3.2.3 BIN3 3.2.4 ISA1; CEL1; LAR1 3.3.1 LUP1/GAB1

Dolcè

3.3.2 PNU1/FAS1 3.3.3 GUR1 3.3.4 BEC1 3.3.5 LFR2/SOA2 3.3.6 CDA2/SOA1 3.4.1 SRG2

Rivoli Veronese

3.4.2 POZ1 4 Pianura alluvionale dell’Adige risalente al pleni-tardiglaciale Wurm

0

1

2

4 km

4.1.1 LAC1/CDA1

51


3. i suoli

LEGENDA DELLA CARTA DEI SUOLI 1 – Rilievi prealpini caratterizzati da frequenti affioramenti del substrato roccioso calcareo 1.1 – Porzioni basali dei versanti calcarei della Valle dell’Adige

R

R/CPO2

1.1.1 Versanti molto o estremamente ripidi, con abbondanti affioramenti rocciosi e copertura boschiva discontinua Roccia nuda e suoli rendziniformi nelle aree vegetate e Suoli Caprino Monte da molto a estremamente ripidi, da molto sottili Lithic Eutrudepts loamy skeletal, mixed, mesic a sottili limitati dal substrato roccioso, a tessitura franca in superficie e franco-limosa in profondità, con abbondante scheletro ghiaioso grossolano e ciottoloso, da molto a fortemente calcarei, subalcalini in superficie e alcalini in profondità, a drenaggio rapido Roccia nuda e suoli rendziniformi nelle aree vegetate

YYY1

1.1.2 Falde detritiche stabilizzate, molto ripide, boscate Suoli rendziniformi

Typic Udorthents loamy skeletal, carbonatic, mesic

2 – Conoidi e superfici terrazzate 2.1 – Conoidi dei corsi d’acqua prealpini

BRR1

AVI1/AVI3

AVI1

2.1.1 Superfici da dolcemente a molto inclinate (con pendenza compresa tra 2 e 10%) incise dai corsi d’acqua

OSS1/AVI1

52

Consociazione di suoli Avio, a pendenza inferiore al 15%, moderatamente profondi, profondità utile alle radici limitata da scheletro, tessitura francosabbiosa, scheletro da frequente ad abbondante in superficie e molto abbondante in profondità, da fortemente a estremamente calcarei, alcalini, a drenaggio buono o moderatamente rapido Complesso di suoli Avio, a pendenza inferiore al 15%, moderatamente profondi, profondità utile alle radici limitata da scheletro, tessitura francosabbiosa, scheletro da frequente ad abbondante in superficie e molto abbondante in profondità, da fortemente a estremamente calcarei, alcalini, a drenaggio buono o moderatamente rapido e Suoli Avio, fase boscata Consociazione di suoli Brentino, moderatamente profondi, tessitura da sabbioso-franca a franco-sabbiosa in superficie e da sabbiosa a sabbiosofranca in profondità, scheletro da comune a frequente in superficie e molto abbondante in profondità, da scarsamente calcarei a moderatamente calcarei in superficie ed estremamente calcarei in profondità, alcalini, a drenaggio buono o moderatamente rapido Complesso di suoli Ossenigo, profondi, tessitura da franco-sabbiosa a sabbioso-franca, scheletro comune in superficie e assente in profondità, scarsamente calcarei in superficie, alcalini, a drenaggio moderatamente rapido e Suoli Avio, a pendenza inferiore al 15%, moderatamente profondi, profondità utile alle radici limitata da scheletro, tessitura franco-sabbiosa, scheletro da frequente ad abbondante in superficie e molto abbondante in profondità, da fortemente a estremamente calcarei, alcalini, a drenaggio buono o moderatamente rapido

Typic Udorthents loamy skeletal, carbonatic, mesic

Typic Udorthents loamy skeletal, carbonatic, mesic

Typic Udipsamments sandy o sandy skeletal, mixed, mesic

Typic Udipsamments mixed, mesic

Typic Udorthents loamy skeletal, carbonatic


3. i suoli

SSS1 AVI3

AVI2

2.1.2 Debris flows e conoidi da moderatamente ripidi a ripidi, terrazzati e vitati, falde detritiche stabilizzate e vitate, e scarpate da moderatamente ripide a molto ripide Consociazione di suoli Avio, a pendenza compresa tra 15 e 30%, Typic Udorthents loamy skeletal, carbonatic, mesic moderatamente profondi, profondità utile alle radici limitata da scheletro, tessitura franco-sabbiosa, scheletro da frequente ad abbondante in superficie e molto abbondante in profondità, da fortemente a estremamente calcarei, alcalini, a drenaggio buono o moderatamente rapido Consociazione di suoli Avio, fase boscata Consociazione di suoli rendziniformi delle scarpate

2.2 – Antiche superfici terrazzate dell’Adige

SEG1/CDA1

BRR1/OSS1

BEN1

MRO1/BOP1

2.2.1 Superfici di origine glaciale subpianeggianti od ondulate, allungate, a substrato ghiaiosociottoloso, vitate Complesso di suoli Maso Roveri, moderatamente profondi, profondità utile alle radici limitata da contatto paralitico, tessitura da francoargillosa ad argillosa in superficie e franco-argillosa in profondità, scheletro frequente in superficie e molto abbondante in profondità, da scarsamente a moderatamente calcarei in superficie e fortemente calcarei in profondità, alcalini, a drenaggio buono e Suoli Bosco Piano, a pendenza inferiore al 2%, da moderatamente profondi a profondi, profondità utile alle radici limitata da scheletro, tessitura da franca a franco-argillosa in superficie e franca in profondità, scheletro frequente in superficie e molto abbondante in profondità, da scarsamente a moderatamente calcarei in superficie e molto calcarei in profondità, alcalini, a drenaggio buono Consociazione di suoli Belluno Veronese, profondi, tessitura sabbiosofranca, scheletro assente, non calcarei, subacidi in superficie e neutri in profondità, a drenaggio moderatamente rapido Complesso di suoli Brentino, moderatamente profondi, tessitura da sabbioso-franca a franco-sabbiosa in superficie e da sabbiosa a sabbiosofranca in profondità, scheletro da comune a frequente in superficie e molto abbondante in profondità, da scarsamente calcarei a moderatamente calcarei in superficie ed estremamente calcarei in profondità, alcalini, a drenaggio buono o moderatamente rapido e Suoli Ossenigo, profondi, tessitura da franco-sabbiosa a sabbioso-franca, scheletro comune in superficie e assente in profondità, scarsamente calcarei in superficie, alcalini, a drenaggio moderatamente rapido Complesso di suoli Segheria Marai, moderatamente profondi limitati dal substrato ghiaioso-sabbioso, tessitura franco sabbiosa (sabbiosa nel substrato), scheletro abbondante ghiaioso medio e grossolano, da molto a fortemente calcarei (estremamente calcarei nel substrato), alcalini in superficie e fortemente alcalini in profondità, a drenaggio moderatamente rapido e Suoli Canale dell’Agro subpianeggianti, moderatamente profondi limitati da substrati cementati dai carbonati, tessitura franco-argillosa (francosabbiosa nel substrato), scheletro ghiaioso medio e fine da comune a frequente in superficie e abbondante in profondità, scarsamente calcarei e alcalini (estremamente calcarei e fortemente alcalini nel substrato), a drenaggio buono

Inceptic Hapludalfs fine, mixed, mesic

Inceptic Hapludalfs fine loamy, mixed, mesic

Psammentic Hapludalfs sandy, mixed, mesic

Typic Udipsamments mixed, mesic

Typic Udipsamments mixed, mesic

Alfic Udarents loamy skeletal over sandy skeletal, mixed, mesic

Typic Hapludalfs fine over loamy skeletal, mixed, mesic

53


3. i suoli

RIL1

2.2.2 Superfici di origine fluviale subpianeggianti rilevate di circa 20 metri rispetto alle piane tardo-oloceniche, a substrato ghiaioso-ciottoloso, vitate Consociazione di suoli Rivalta, moderatamente profondi, profondità utile Alfic Udarents coarse loamy over sandy or sandy skeletal, alle radici limitata da scheletro, tessitura da franca a franco-sabbiosa in mixed, calcareous, mesic superficie e da sabbiosa a sabbioso-franca in profondità, scheletro da abbondante a frequente in superficie e molto abbondante in profondità, da scarsamente a moderatamente calcarei in superficie e da fortemente a estremamente calcarei in profondità, alcalini, a drenaggio moderatamente rapido o buono

BOP1

2.2.3 Superfici di origine fluviale subpianeggianti rilevate di circa 10 metri rispetto alle piane tardo-oloceniche, a substrato ghiaioso-ciottoloso Consociazione di suoli Bosco Piano, a pendenza inferiore al 2%, da Inceptic Hapludalfs fine loamy, mixed, mesic moderatamente profondi a profondi, profondità utile alle radici limitata da scheletro, tessitura da franca a franco-argillosa in superficie e franca in profondità, scheletro frequente in superficie e molto abbondante in profondità, da scarsamente a moderatamente calcarei in superficie e molto calcarei in profondità, alcalini, a drenaggio buono

BOP2

2.2.4 Superfici di origine fluviale dolcemente inclinate e inclinate rilevate di circa 5-10 metri rispetto alle piane tardo-oloceniche, a substrato ghiaioso-ciottoloso Consociazione di suoli Bosco Piano, a pendenza superiore al 2%, da Inceptic Hapludalfs fine loamy, mixed, mesic moderatamente profondi a profondi, profondità utile alle radici limitata da scheletro, tessitura da franca a franco-argillosa in superficie e franca in profondità, scheletro frequente in superficie e molto abbondante in profondità, da scarsamente a moderatamente calcarei in superficie e molto calcarei in profondità, alcalini, a drenaggio buono

TTT1

2.2.5 Superfici da molto inclinate a ripide delle scarpate dei terrazzi elevati e intermedi, boscate Suoli superficiali e rendziniformi

2.3 – Recenti superfici terrazzate del’Adige

SCU1

SLE1

VOD1

DAZ1

2.3.1 Piane alluvionali tardo-oloceniche, a volte inondabili, costituite da depositi di varia tessitura, vitate

SCU1/LAP1

54

Consociazione di suoli Dazio Vecchio, moderatamente profondi, Typic Udifluvents coarse loamy, mixed, calcareous, mesic profondità utile alle radici limitata da bassa ritenuta idrica, tessitura da franco-sabbiosa a sabbioso-franca in superficie e da sabbioso-franca a sabbiosa in profondità, scheletro assente, molto calcarei, alcalini, a drenaggio moderatamente rapido Consociazione di suoli Vo’ Destro, moderatamente profondi, tessitura Typic Udifluvents coarse loamy, mixed, calcareous, mesic franca in superficie e da franco-sabbioso a sabbiosa in profondità, scheletro assente, molto calcarei, alcalini, a drenaggio buono Consociazione di suoli San Leonardo, moderatamente profondi, tessitura franco-limosa in superficie e da franco-sabbiosa a franca in profondità, scheletro assente, molto calcarei, alcalini, a drenaggio buono Consociazione di suoli Scurtoli, profondi, tessitura franco-sabbiosa, scheletro assente, da scarsamente calcarei a molto calcarei in superficie e molto calcarei in profondità, alcalini, a drenaggio moderatamente rapido Complesso di suoli Scurtoli, profondi, tessitura franco-sabbiosa, scheletro assente, da scarsamente calcarei a molto calcarei in superficie e molto calcarei in profondità, alcalini, a drenaggio moderatamente rapido e Suoli La Perarola, molto profondi, tessitura franco-sabbiosa, scheletro scarso o comune ghiaioso grossolano, moderatamente calcarei, alcalini, drenaggio buono

Typic Udifluvents coarse loamy, mixed, calcareous, mesic

Fluventic Eutrudepts coarse loamy, mixed, mesic

Typic Udifluvents coarse loamy, mixed, mesic

Oxyaquic Eutrudepts coarse loamy, mixed, mesic


3. i suoli

AAA1

2.3.2 Superfici alluvionali inondabili, costituite da depositi limosi di vario spessore, incolte Protosuoli

3 – Anfiteatro morenico di Rivoli Veronese: depositi morenici di varia età costituiti da sedimenti glaciali e subordinatamente fluvioglaciali e di contatto, variamente alterati, costituenti deboli rilievi disposti in forma di cordone arcuato o addossati ai rilievi montuosi calcarei 3.1 – Depositi costituiti da sedimenti glaciali sabbioso-limosi con ghiaie sovraconsolidati e subordinatamente depositi cerniti; le forme dei rilievi sono in gran parte rimodellate dall’uomo

SRG1/COT1

3.1.1 Versanti prevalentemente rettilinei, naturali, scarpate erosive, localmente gradonati, con pendenza media 20-70%; prevalgono le aree naturali boscate e subordinatamente prative, con locali gradonature a vite e olivo Complesso di suoli Serraglio di versante morenico, da sottili a Rendollic Eutrudepts coarse loamy, carbonatic mesic moderatamente profondi, tessitura da franca in superficie a francosabbiosa in profondità, scheletro frequente ghiaioso medio e ciottoloso in profondità, da scarsamente calcarei e subalcalini in superficie a fortemente calcarei e alcalini nel substrato, a drenaggio moderatamente rapido e Suoli Conte, moderatamente profondi, tessitura franca in superficie, Inceptic Hapludalfs fine loamy, mixed, mesic franco-argillosa in profondità e franco-sabbiosa nel substrato, scheletro ghiaioso grossolano frequente, abbondante in profondità, da subacidi e scarsamente calcarei in superficie ad alcalini e fortemente calcarei nel substrato, a drenaggio buono

TAM1

3.1.2 Versanti prevalentemente antropici (gradonature), con pendenza media 20-35%; utilizzati a vite, olivo e subordinatamente prato Consociazione di suoli Tamburino Sardo, profondi, tessitura franco- Typic Udorthents coarse loamy, carbonatic, mesic sabbiosa, frequente scheletro ghiaioso medio e grossolano, localmente abbondante in profondità, fortemente calcarei e alcalini in superficie ed estremamente calcarei e fortemente alcalini in profondità, a drenaggio buono

PEE1

MZI1/SOM1

3.1.3 Versanti ondulati prevalentemente concavo-convessi, con pendenza media 5-20%, ampie gradonature e risistemazioni antropiche; utilizzati a vite, olivo e seminativo Complesso di suoli Marziago, sottili, limitati dal substrato sovraconsolidato, Typic Udorthents coarse loamy, carbonatic, mesic a tessitura franca o franco-limosa, con comune scheletro ghiaioso fine, estremamente calcarei, alcalini in superficie e fortemente alcalini nel substrato, a drenaggio buono e Suoli Sommacampagna, moderatamente profondi, limitati dal substrato Aquic Eutrudepts coarse loamy, carbonatic, mesic sovraconsolidato, tessitura da franca a franco-limosa, da comune a frequente scheletro ghiaioso medio e grossolano, estremamente calcarei, alcalini in superficie e fortemente alcalini nel substrato, drenaggio mediocre Consociazione di suoli Preella, moderatamente profondi, limitati dal Alfic Udarents coarse loamy, carbonatic, mesic substrato sovraconsolidato, tessitura franco-sabbiosa, scheletro da comune a frequente ghiaioso medio, estremamente calcarei, alcalini in superficie e fortemente alcalini in profondità, a drenaggio da buono a mediocre

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3. i suoli

BIN1

CZI1

3.1.4 Versanti ondulati prevalentemente concavo-convessi, a profilo naturale interessati solo localmente da blande gradonature, con pendenza media 5-20%; prevalgono prato, vite e seminativo cui si possono alternare aree boscate Consociazione di suoli Campazzi molto inclinati, profondi, tessitura franca Typic Hapludalfs fine loamy, mixed, mesic o franco-sabbiosa in superficie e franca o franco-limosa in profondità, scheletro ghiaioso medio da scarso a comune, da moderatamente a molto calcareo e alcalino, estremamente calcareo e fortemente alcalino il substrato, a drenaggio da buono a mediocre Consociazione di suoli Bianca molto inclinati, moderatamente profondi Typic Hapludalfs fine loamy, mixed, mesic limitati dal substrato sovraconsolidato, tessitura franco-sabbiosa in superficie e da franco-sabbiosa a franco-argillosa in profondità, scheletro da comune a frequente ghiaioso medio, da moderatamente a molto calcareo e alcalino, estremamente calcareo e fortemente alcalino nel substrato, a drenaggio buono

BIN2/LAA1

3.1.5 Superfici ondulate intramoreniche o di cordoni poco rilevati di grosse dimensioni, o caratterizzate da pendenze molto basse, costituite da un’alternanza di depressioni e blandi rilievi con pendenza media 5-10%; seminativo prevalente e vite Complesso di suoli Bianca inclinati, da moderatamente profondi a Typic Hapludalfs fine loamy, mixed, mesic profondi limitati dal substrato sovraconsolidato, tessitura franco-argillosa nel suolo, franco-sabbioso il substrato, scheletro da comune a frequente ghiaioso medio, da moderatamente a molto calcareo e alcalino, estremamente calcareo e fortemente alcalino nel substrato, a drenaggio buono e Suoli La Pra, moderatamente profondi limitati dal substrato Haplic Udarents coarse loamy, carbonatic, mesic sovraconsolidato, a tessitura franco-sabbiosa, frequente scheletro ghiaioso grossolano, estremamente calcarei, alcalino in superficie e fortemente alcalino in profondità, drenaggio da buono a moderatamente rapido

3.2 – Superfici di raccordo fra i rilievi morenici e le piane fluvioglaciali o fluvio-lacustri, a depositi colluviali sovrapposti a depositi morenici e fluvioglaciali e conoidi alluvionali provenienti da incisioni sui versanti morenici

LEC1

3.2.1 Aree a depositi colluviali antichi depositati e pedogenizzati in più fasi, a bassa pendenza (2-10%) e granulometria variabile; vite e seminativo Consociazione di suoli Le Cocche, molto profondi, tessitura franca, Typic Paleudalfs fine loamy, mixed, mesic scheletro comune ghiaioso grossolano, scarsamente calcarei, alcalini, a drenaggio buono

GAL1

3.2.2 Aree a depositi fluvioglaciali sabbioso-limosi su ghiaie e sabbie; seminativo prevalente, colture arboree e seminativo sul morenico esterno

CER2

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Consociazione di suoli Galletti, moderatamente profondi o profondi, Typic Paleudalfs fine loamy, mixed, mesic tessitura franca in superficie e franco-argillosa in profondità, scheletro ghiaioso medio e grossolano da comune ad abbondante, ciottoloso in profondità, scarsamente calcareo e alcalino, estremamente calcareo e fortemente alcalino nel substrato, a drenaggio buono Consociazione di suoli Ceriel inclinati, da moderatamente profondi Typic Eutrudepts fine loamy, mixed, mesic a profondi, tessitura franca, scheletro ghiaioso medio da comune a frequente, da moderatamente a molto calcareo e alcalino in superficie, fortemente calcareo e fortemente alcalino in profondità, a drenaggio buono


3. i suoli

BIN3

3.2.3 Aree subpianeggianti a profilo relativamente naturale, a depositi sabbioso-limosi con ghiaie, pendenza 0-5%; seminativo e vite Consociazione di suoli Bianca subpianeggianti, da moderatamente Typic Hapludalfs fine loamy, mixed, mesic profondi a profondi limitati dal substrato sovraconsolidato, tessitura franca a franco-argillosa in superficie e franco-argillosa in profondità, scheletro comune ghiaioso fine e medio, molto calcarei in superficie, moderatamente calcarei in profondità, alcalini (estremamente calcarei e fortemente alcalini nel substrato), a drenaggio da buono a mediocre

LAR1

CEL1

ISA1

3.2.4 Aree da subpianeggianti a ondulate, occupate da depositi sabbioso-limosi con ghiaie, a pendenza prevalente 1-5%, caratterizzate da substrati sovraconsolidati o a tessiture a dominante limosa poco permeabili che possono generare moderati ristagni idrici; seminativo e vite Consociazione di suoli I Santi, profondi, a tessitura franco-sabbiosa Typic Udorthents coarse loamy, mixed, mesic (franca o franco-argillosa negli orizzonti sepolti), scheletro ghiaioso medio da comune a frequente, estremamente calcarei in superficie e moderatamente calcarei in profondità, alcalini, a drenaggio buono Consociazione di suoli Campanelle, profondi limitati da orizzonti Oxyaquic Eutrudepts fine loamy, mixed, mesic anossici, tessitura da franco-sabbiosa a franca in superficie, da francoargillosa a franco-limoso-argillosa in profondità, scheletro ghiaioso medio da scarso a comune, fortemente calcarei in superficie, da scarsamente a estremamente calcarei in profondità, alcalini, a drenaggio mediocre Consociazione di suoli La Rocca, da moderata mente profondi a profondi Oxyaquic Eutrudepts coarse loamy, mixed, mesic limitati dal substrato anossico, tessitura da franca a franco-sabbiosa, comune scheletro ghiaioso medio, fortemente calcarei, drenaggio mediocre

3.3 – Valli e piane a morfologia subpianeggiante o lievemente ondulata, in cui prevalgono depositi fluvioglaciali e glaciolacustri generalmente ben classati, correlabili ai depositi dell’alta pianura ghiaiosa, e colmature colluviali oloceniche

LUP1/GAB1

3.3.1 Aree a depositi sabbioso-limosi connessi a flussi periglaciali o a rideposizione successive di materiale eroso dalle colline, localmente costituenti deboli ondulazioni interne alle piane; prevalgono i seminativi Complesso di suoli Monte Lupo, da sottili a moderatamente profondi Aquic Eutrudepts coarse silty, carbonatic, mesic limitati da orizzonti anossici, tessitura franco-limosa, scheletro ghiaioso fine da assente a scarso, molto calcarei e alcalini in superficie, estremamente calcarei e fortemente alcalini in profondità, a drenaggio da mediocre a lento, localmente in profondità presentano abbondanti concrezioni calcaree e Suoli Gabbiola, moderatamente profondi limitati da orizzonti anossici, Fluvaquentic Eutrudepts fine silty, mixed, mesic a tessitura da franco-limosa a franco-limoso-argillosa, scheletro ghiaioso fine da assente a scarso, molto calcarei e alcalini, a drenaggio lento

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3. i suoli

PNU1/FAS1

3.3.2 Piane intermoreniche derivanti da colmature alluvionali dei torrenti proglaciali a canali intrecciati caratterizzati da suoli ghiaioso-sabbiosi, generalmente rilevate e terrazzate dal reticolo drenante olocenico, ben drenate, correlabili all’alta pianura ghiaioso-sabbiosa; seminativo prevalente Complesso di suoli Pianure di piana, sottili o moderatamente profondi Inceptic Hapludalfs loamy skeletal, mixed, mesic limitati dal substrato ghiaioso, tessitura da franca a franco-argillosa in superficie, franco-argillosa in profondità, sabbioso-franca nel substrato, frequente scheletro ghiaioso medio grossolano in superficie e abbondante scheletro da ghiaioso medio a ciottoloso in profondità, scarsamente calcarei e alcalini (estremamente calcarei e fortemente alcalini nel substrato), drenaggio moderatamente rapido e Suoli Fasolar, sottili limitati dal substrato ghiaioso, tessitura franco- Alfic Udarents sandy skeletal, carbonatic, mesic sabbiosa (sabbioso-franca nel substrato), scheletro ghiaioso medio e grossolano frequente in superficie e abbondante nel substrato, fortemente calcarei e alcalini (estremamente calcarei nel substrato), a drenaggio rapido

GUR1

3.3.3 Aree interessate da flussi di minore energia con depositi ghiaioso-sabbiosi medio fini Consociazione di suoli Guarienti, da moderatamente profondi a profondi Inceptic Hapludalfs fine loamy over sandy skeletal limitati dal substrato ghiaioso-sabbioso, tessitura franca in superficie e franco-argillosa in profondità (sabbiosa nel substrato), comune scheletro ghiaioso da medio a grossolano (abbondante nel substrato), scarsamente calcarei e alcalini (estremamente calcarei e fortemente alcalini nel substrato), a drenaggio buono

BEC1

3.3.4 Porzioni a maggior stabilità delle piane più esterne non interessate da flussi fluvioglaciali successivi, a depositi sabbioso-ghiaiosi profondamente alterati Consociazione di suoli Belcamin, profondi, tessitura da franca in Typic Hapludalfs fine loamy, mixed, mesic superficie a franco-argillosa in profondità, scheletro ghiaioso medio e grossolano da comune a frequente, da scarsamente a moderatamente calcarei, alcalini, a drenaggio buono

LFR2/SOA2

3.3.5 Aree erose e/o ribassate rispetto alle precedenti, delimitate da scarpate metriche Complesso di suoli La Fredda, moderatamente profondi, tessitura da Typic Hapludalfs fine loamy, mixed, mesic franca a franco-argillosa in superficie, franco-argillosa in profondità, scheletro ghiaioso fine e medio da comune a frequente, abbondante in profondità, da non a scarsamente calcarei e alcalini (estremamente calcarei e fortemente alcalini nel substrato), a drenaggio buono e Suoli Sona subpianeggianti, moderatamente profondi limitati dal substrato Alfic Udarents loamy skeletal, mixed, mesic ghiaioso-sabbioso, tessitura franca (sabbiosa nel substrato), abbondante scheletro ghiaioso fine e medio, da moderatamente a estremamente calcarei e alcalini (estremamente calcarei e fortemente alcalini nel substrato), a drenaggio da moderatamente rapido a rapido

3.3.6 Superfici rilevate, occupate da colmature sabbioso limose, e da depositi più trattivi ghiaioso-sabbiosi, correlabili con gli scaricatori più esterni delle cerchie moreniche

CDA2/SOA1

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Complesso di suoli Canale dell’Agro debolmente inclinati, moderatamente Typic Hapludalfs fine over loamy skeletal, mixed, mesic profondi limitati da substrati cementati dai carbonati, tessitura francoargillosa (franca o franco-sabbiosa nel substrato), scheletro ghiaioso da medio a grossolano frequente in superficie e abbondante in profondità, scarsamente calcarei e alcalini (estremamente calcarei e fortemente alcalini nel substrato), a drenaggio buono e Suoli Sona debolmente inclinati, sottili o moderatamente profondi limitati Alfic Udarents loamy skeletal, mixed, mesic dal substrato ghiaioso-sabbioso, tessitura franca (sabbiosa nel substrato), abbondante scheletro ghiaioso fine e medio, da moderatamente a estremamente calcarei e alcalini (estremamente calcarei e fortemente alcalini nel substrato), a drenaggio rapido


3. i suoli

3.4 – Incisioni a “V” e grandi scarpate erosive con versanti estremamente pendenti prodotte da erosione torrentizia o fluviale, generalmente boscate

SRG2

3.4.1 Versanti in fortissima pendenza interessati da moderati fenomeni erosivi, a substrato costituito prevalentemente da till glaciale, con locali coperture di depositi fluvioglaciali Consociazione di suoli Serraglio di scarpata erosiva, sottili, a tessitura Rendollic Eutrudepts coarse loamy, carbonatic, mesic franco-sabbiosa in profondità, scheletro frequente ghiaioso medio e fine, da scarsamente calcarei e subalcalini in superficie a fortemente calcarei e alcalini nel substrato, a drenaggio rapido

POZ1

3.4.2 Accumuli detritico colluviali posti alla base delle maggiori scarpate caratterizzati da pendenze medie Consociazione di suoli Pozzo dell’Amore inclinati, profondi, a tessitura Typic Eutrudepts coarse loamy, carbonatic, mesic franco-sabbiosa o franca, scheletro ghiaioso fine da scarso a comune, molto calcarei e alcalini in superficie, estremamente calcarei e fortemente alcalini in profondità, a drenaggio buono

4 – Pianura alluvionale dell’Adige risalente al pleni-tardiglaciale Wurm. Porzione apicale del conoide in corrispondenza dello sbocco vallivo 4.1 – Aree fortemente ondulate, modellate da flussi fluvioglaciali in forma di deboli dossi e paleoalvei, ribassate e incise dai paleoalvei maggiori

LAC1/CDA1

4.1.1 Alternanza di aree molto allungate a sezione convessa, generalmente erose, costituite da depositi ghiaiosi, e di aree a sezione concava (paleoalvei), caratterizzate da sottili coperture medio-fini sovrastanti le ghiaie e sabbie del substrato Complesso di suoli La Colombara, moderatamente profondi limitati dal Alfic Udarents sandy skeletal, mixed, mesic substrato ghiaioso-sabbioso, tessitura franco-sabbioso-argillosa (sabbiosa nel substrato), scheletro abbondante, scarsamente calcarei, drenaggio Typic Hapludalfs fine over loamy skeletal, mixed, mesic buono e Suoli Canale dell’Agro subpianeggianti, moderatamente profondi limitati da substrati cementati dai carbonati, tessitura franco-argillosa (francosabbiosa nel substrato), scheletro ghiaioso medio e fine da comune a frequente in superficie e abbondante in profondità, scarsamente calcarei e alcalini (estremamente calcarei e fortemente alcalini nel substrato), a drenaggio buono

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4. la sperimentazione



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4. La sperimentazione 4.1 Materiali e Metodi Lo studio di zonazione della DOC Terradeiforti, svolto nel triennio 2005-2007, ha interessato un totale di 37 vigneti guida suddivisi in 4 varietà: Enantio con 10 vigneti, Chardonnay con 10 vigneti, Pinot grigio con 15 e Casetta con 2. La scelta delle aree in cui selezionare i vigneti guida si è basata su una griglia creata usando come parametri principali le unità di paesaggio e quindi l’altitudine, l’esposizione e l’inclinazione dei versanti. Nella scelta si è cercato di mantenere omogenee le caratteristiche di età, forma d’allevamento, intensità di piantagione e di gestione in modo che i dati raccolti fossero ottenuti da una base il più omogenea possibile; quando non disponibili situazioni di analogia si è cercato di omogeneizzare il rapporto produzione-superficie fogliare esposta al valore di 1 mq di superficie fogliare esposta per 1 kg di uva prodotta. Su ognuno dei vigneti selezionati si sono rilevati, nel corso del triennio e durante tutta la stagione vegetativa, le fasi fenologiche di germogliamento, fioritura, invaiatura e vendemmia; nel periodo della maturazione si sono acquisiti i dati necessari alla determinazione delle dinamiche evolutive dei parametri zuccheri, pH, acidità titolabile e, per le va-

rietà a bacca rossa, si è valutata la maturità della materia fenolica; alla vendemmia, in ogni vigneto guida, sulle piante necessarie per ottenere il quantitativo d’uva occorrente alla microvinificazione sono stati misurati i parametri vegeto-produttivi quali il numero dei germogli fertili, il numero dei grappoli, la produzione d’uva, e i parametri qualitativi delle uve quali zuccheri, pH, acidità titolabile e, per le cultivar a bacca rossa, anche una valutazione del colore. Durante le potature invernali sono stati rilevati i pesi del legno di potatura per la stima dell’equilibrio vegeto-produttivo delle piante. Infine, per ogni vigneto, si è provveduto in vendemmia a raccogliere circa 100 kg di uva da avviare alla microvinificazione secondo un protocollo di lavorazione delle uve standardizzato e sui vini ottenuti sono state effettuate le analisi chimiche dall’Istituto Agrario di San Michele all’Adige (Fondazione “E. Mach”) che ha rilevato alcol, pH, acidità totale, zuccheri riduttori, acidi malico e tartarico, estratto secco, antociani e polifenoli totali, flavonoidi e flavonoidi non antocianici. I vini sono stati successivamente sottoposti ad analisi sensoriale attraverso l’utilizzo, da parte di un panel addestrato di degustatori, di schede parametriche astrutturate.


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4. la sperimentazione

Analisi sensoriale Il personale di Veneto Agricoltura operante presso il laboratorio di analisi sensoriale dell’Istituto per la Qualità e le Tecnologie Agroalimentari di Thiene (VI), ha collaborato nell’ambito del progetto di Zonazione viticola dell’area DOC Terradeiforti in merito all’organizzazione e svolgimento delle valutazioni sensoriali dei prodotti delle microvinificazioni. Presso il Consorzio è stato costituito un panel composto prevalentemente da tecnici, enologi, enotecnici, appassionati e anche dagli stessi produttori coinvolti nel progetto. L’obiettivo principale del lavoro è stato quello di descrivere le caratteristiche essenziali dei vini delle microvinificazioni, per poter relazionare tali parametri con le altre variabili legate al territorio. Per questo motivo si è scelta una valutazione descrittiva di tipo quantitativo (profilo sensoriale) anziché qualitativo, che potesse fornire informazioni misurabili e oggettive sulle caratteristiche sensoriali dei prodotti. L’attività svolta ha considerato i seguenti punti e il conseguente loro sviluppo: • Formazione del panel ◻ Fisiologia della vista, del gusto e dell’olfatto Mediante trattazioni teoriche, i giudici sono stati messi al corrente di quanto sia importante conoscere la fisiologia e i meccanismi che regolano il tempo di reazione dei nostri sensi, nel momento in cui vengono a contatto con alimenti e bevande. Sono state fornite nozioni inerenti la vista, il gusto e l’olfatto, ovvero i sensi direttamente coinvolti nelle valutazioni sensoriale dei vini. ◻ Riconoscimento e individuazione delle soglie dei gusti Per valutare le attitudini e le capacità sensoriali degli assaggiatori, sono stati condotti dei semplici test di addestramento in cui si richiedeva di riconoscere i gusti fondamentali (salato, acido, dolce, amaro) a partire da soluzioni acquose aventi una concentrazione nota delle varie sostanze di riferimento in esse disciolte (cloruro di sodio, acido citrico, saccarosio, caffeina). In un secondo momento sono state fornite delle soluzioni acquose con disciolte le sostanze di riferimento a diverse concentrazioni ed è stato chiesto ai giudici di ordinarle secondo un andamento di concentrazione crescente; attraverso questa attività è stato possibile determinare le soglie di percezione gustativa delle persone coinvolte nelle valutazioni. ◻ Riconoscimento degli odori I giudici sono stati coinvolti nella determinazione e riconoscimento degli odori attraverso l’impiego di flaconi contenenti soluzioni di acqua e vino, standardizzate a una predefinita diluizione, a cui

sono stati aggiunti aromi sintetici o naturali riproponenti gli odori/aromi più comunemente presenti nel vino. Assieme a questi standard olfattivi, sono stati messi a disposizione gli odori contenuti ne “le naiz du vin” che, oltre agli odori classici del vino, fornisce anche i difetti che i vini possono presentare. Al contrario delle soluzioni gustative, proposte ai giudici in un’unica seduta, gli standard olfattivi sono stati ripresi più volte in modo da consentire una sempre maggiore familiarizzazione, consapevoli del fatto che la sensibilità dei giudici ai vari stimoli sensoriali può essere migliorata e affinata solo con l’allenamento. ◻ Valutazione delle capacità discriminanti (prodotti commerciali) Prima di procedere alla valutazione dei campioni oggetto di studio del programma di zonazione, è stata valutata la capacità discriminante dei giudici mediante la valutazione di campioni reperiti in commercio. Questo ha permesso ai giudici di prendere dimestichezza con l’uso dei propri sensi, con i metodi e le procedure di analisi sensoriale e con l’utilizzo delle scale di registrazione. Con i dati ricavati da questi primi test/prova sono state fatte delle elaborazioni allo scopo di verificare l’attitudine ai test sensoriali dei singoli giudici, in particolare la loro ripetibilità, nel caso di campioni valutati in doppio, e il loro metodo di valutazione in rapporto al resto del panel. Di volta in volta i giudici sono stati informati in merito alle loro prestazioni all’interno del panel. ◻ Individuazione dei descrittori e della scala di misura Un certo periodo di tempo è stato dedicato alla scelta dei descrittori più rappresentativi per ciascuna tipologia di vini; la selezione dei descrittori è stata fatta in parallelo alla valutazione di prodotti commerciali in modo da testare “sul campo” assieme ai giudici la loro effettiva validità per quel che riguarda la caratterizzazione dei prodotti. Una volta definiti i descrittori, è stata individuata la scala continua a 10 punti come la più idonea alla valutazione quantitativa; è stato spiegato ai giudici che punteggi da 0 a 2 indicano l’assenza o comunque una debole intensità del descrittore, punteggi nella zona centrale stanno a indicare una intensità media relativa a descrittori di norma presenti in certi tipi di vini, mentre i punteggi della parte alta della scala (da 7-8 e oltre) sottolineano valori di intensità determinanti per la discriminazione e la differenziazione tra i prodotti. Soltanto per i parametri relativi al colore dei riflessi sono state usate delle scale discontinue del tipo presenza/assenza.


4. la sperimentazione

◻ Redazione della scheda di valutazione Disponendo dei descrittori e delle relative scale, è stato possibile creare delle schede ad hoc per ciascuna tipologia di prodotti. Le schede di valutazione sono state redatte utilizzando il software FIZZ-Forms, stampate e, una volte compilate, lette mediante un apposito scanner. Questo nuovo apparato tecnologico ha permesso di velocizzare la fase di reperimento dei dati, raccogliendoli tutti in un unico file dei risultati e rendendoli disponibili alle successive elaborazioni. ◻ Valutazioni di prova con taratura Prima di procedere alla valutazione dei campioni è stata adottata la metodologia di testare collettivamente il primo campione in modo da trovare una linea comune d’azione consentendo a ognuno di tararsi. • Valutazione dei vini In ogni incontro venivano valutati circa 15 vini, inserendo almeno un campione in doppio allo scopo di verificare la ripetibilità dei giudici e l’attendibilità dei dati raccolti. Anche durante la valutazione vera e propria dei campioni, così come avveniva per l’addestramento, il primo campione è stato valutato insieme per permettere la taratura del gruppo. I vini testati sono stati resi anonimi utilizzando dei codici predefiniti che non fornivano nessuna informazione sui campioni. • Elaborazione dei dati Una volta raccolti, i dati sono stati elaborati per veri-

ficare l’omogeneità di valutazione da parte del panel e l’affidabilità dei giudici, e quindi è stato fatto un confronto tra i campioni mettendone in relazione i descrittori, in particolare quelli maggiormente caratterizzanti e discriminanti.

4.2 I risultati della zonazione Nel triennio 2005-2007, durante la fase di indagine agronomica dello studio di zonazione, a cominciare dall’invaiatura fino alla maturazione, si sono misurati i valori di zuccheri, acidità e pH delle uve raccolte nei vigneti guida selezionati per le varietà oggetto d’indagine: Enantio, Chardonnay, Pinot grigio e Casetta. Attraverso questi rilievi si è potuto descrivere la cinetica di maturazione delle uve ed evidenziare, quando presenti, le differenze. Al fine di rendere possibile il confronto tra i dati di più anni in modo preciso e puntuale, si è utilizzato il metodo proposto da Failla (Failla et al., 2004) che permette l’individuazione di indici relativi alle principali grandezze che descrivono la maturazione tecnologica quali gli zuccheri (NZT), il pH (NPT), l’acidità titolabile (NAT) e la maturazione fenolica come gli antociani totali (NANTO) e i polifenoli totali (NPOLI). Per l’elaborazione statistica si è utilizzato, come fonte della variabilità dei parametri rilevati nel corso della sperimentazione (indici vegeto-produttivi e qualitativi delle uve e dati chimici e sensoriali dei vini), un modello viticolo che comprende descrizioni sia di tipo pedo-paesaggistico (suoli, paesaggi, orografia) che di tipo climatico (piovosità, energia radiante, evapotraspirazione media, ecc.).

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4. la sperimentazione

ENANTIO

La rappresentazione grafica delle componenti attese della varianza evidenzia come per l’indice zuccheri i fattori del modello viticolo che maggiormente ne spiegano la variabilità sono l’inclinazione dei versanti (25%), l’indice di Winkler (15%), la permeabilità dei suoli (14%), la piovosità (12%), la profondità (11%) e la tessitura dei suoli (10%) (Figura 4.1a). L’ulteriore approfondimento per i fattori inclinazione (Figura 4.1b) e indice di Winkler (Figura 4.1c) evidenzia come i versanti inclinati con pendenze superiori al 5% e i valori dell’indice di Winkler inferiori a 1900°C/anno inducano maggiore precocità. Tra le tipologie di granulometria rilevate nel territorio studiato quelle a tessitura franca determinano una minore precocità.

Nell’esporre i risultati si riportano i fattori formanti il modello viticolo utilizzato i quali dimostrano nel loro insieme di influire spesso in maniera statisticamente significativa sulla variabilità osservata per la varietà in oggetto.

Curve di maturazione Utilizzando gli indici di maturità tecnologica (NZT, NAT e NPT) e fenolica (NPOLI e NANTO) delle uve, si è effettuata l’analisi della varianza multivariata per valutare quali tra i fattori del modello viticolo (Tabella 4.1) possa spiegare statisticamente la variabilità osservata.

Tabella 4.1 – Risultato dell’analisi multivariata per gli indici maturativi in cui gli asterischi indicano il grado di variabilità spiegata Parametri NZT NAT NPT NPOLI NANTO

Altitudine n.s. *** n.s. n.s. n.s.

Inclinazione *** * *** n.s. ***

Esposizione *** *** *** n.s. n.s.

UdP * *** *** *** ***

Modello viticolo AWC Tessitura n.s. *** ** *** ** *** n.s. * ** n.s.

Profondità *** *** ** n.s. n.s.

Permeabilità *** n.s. *** *** ***

Pioggia *** *** *** *** n.s.

Winkler *** *** *** * ***

(Significatività: p< _ 0,001=***; 0,001<p< _ 0,01=**; 0,01<p< _ 0,05=*; p>0,05=n.s.) Figura 4.1 – a) Componenti attese della varianza del modello viticolo proposto per l’indice zuccheri; b) Inclinazione e indice zuccheri; c) Indice di Winkler e indice zuccheri

Indice zuccheri

0,4

Indice Zuccheri (NZT)

Winkler 15% Pioggia 12%

Errore 1%

Altitudine 0%

0,2

0,0

Inclinazione 25%

-0,2

>5%

<5% Inclinazione versanti

b) 0,4

Permeabilità 14%

a)

Profondità 11%

Tessitura 10%

AWC 1%

UdP 5%

Esposizione 6%

0,2 Indice zuccheri

66

0,0

-0,2

-0,4

-0,6 <1900

1900-2000

>2000

Indice di Winkler

c)


4. la sperimentazione

Per il parametro indice degli antociani NANTO (Figura 4.2a) si nota che l’inclinazione, la permeabilità e le Unità di Paesaggio (UdP) pesano insieme per un 77% sulla variabilità di questa grandezza; in Figura 4.2b si evidenzia come alti livelli di permeabilità inducano una maggior sintesi di composti antocianici. Sempre per gli antociani si osserva un gradiente che partendo dai terrazzi recenti, vicino all’alveo dell’Adige, e arrivando ai conoidi mani-

festa un maggior contenuto di sostanze coloranti nelle bacche di Enantio (Figura 4.2c). Rimanendo nell’ambito della maturità fenolica, in Figura 4.2d si riporta la spiegazione della variabilità del parametro polifenoli totali dovuta principalmente alle Unità di Paesaggio (30%); appare evidente come nelle zone di fondovalle si sia evidenziato un maggior valore di polifenoli totali che nelle altre unità (Figura 4.2e).

Figura 4.2 – Componenti attese della varianza del modello viticolo proposto per l’indice degli antociani totali (a) e l’indice dei polifenoli totali (d); b) e c) medie triennali dell’indice antociani totali per permeabilità e UdP; e) medie triennali dell’indice polifenoli totali per UdP

0,2

Indice antociani

0,1

Indice antociani (NANTO)

Pioggia 3%

Winkler 12%

Errore 1%

0,0

-0,1

Altitudine 0%

Inclinazione 29%

-0,2

>=5

<5 Permeabilità

b)

0,6

Permeabilità Profondità 26% 1% AWC Tessitura 4% 1%

0,4

Esposizione 1% Indice antociani

UdP 22%

a)

0,2

0,0

-0,2

-0,4 Conoidi

Terrazzi antichi

Terrazzi recenti

Unità di Paesaggio (UdP)

c)

Indice polifenoli (NPOLI)

Errore 2%

Altitudine 0%

Pioggia 27%

Inclinazione 4% Esposizione 2%

0,2

UdP 30%

Indice polifenoli

Winkler 9%

0,0

-0,2

Permeabilità 14%

d)

Profondità 0%

Tessitura 10%

AWC 2% -0,4

Conoidi

Terrazzi antichi

Terrazzi recenti

Unità di Paesaggio (UdP)

e)

67


68

4. la sperimentazione

Dati vendemmiali L’analisi statistica effettuata sui dati raccolti alla vendemmia non ha evidenziato differenze significative probabilmente dovuto al ridotto numero di ripetizioni, ma il dato medio misurato risulta più vicino alla reale performance delle varietà nel vigneto indagato in quanto i valori

rilevati derivano da una media di campionamento su ingenti numeri di piante e cospicue quantità di uva. Si riportano quindi in Tabella 4.2 le medie triennali distinte per i parametri costituenti il modello viticolo, da cui si evidenzia la variabilità riscontrata.

Tabella 4.2 – Dati medi triennali misurati alla vendemmia distinti per le grandezze risultate maggiormente significative nello spiegare le differenze durante la maturazione; vengono evidenziati i valori maggiori misurati per ogni parametro Fattori del modello viticolo Altitudine (m s.l.m.) Inclinazione (%)

Esposizione

UdP

AWC (cm)

Tessitura

Profondità (cm) Permeabilità Pioggia (mm/anno) Indice di Winkler

Classi <125 125-140 >140 <5 >5 Est Non esposti Sud Ovest Conoidi Terrazzi antichi Terrazzi recenti <100 100-130 >130 F FA FS SF <100 >1010 <5 >5 <900 >900 <1900 1900-2000 >2000

Zuccheri (Brix)

pH

Acidità tot. (g/l)

Anto. tot. (mg/kg)

Polif. tot. (mg/kg)

20,3 20,5 21,5 20,4 21,4 21,0 20,3 22,4 20,9 21,4 20,8 20,0 20,9 21,2 20,0 19,9 21,2 20,9 20,3 21,3 20,2 20,8 20,7 21,1 20,5 21,7 20,4 20,7

3,16 3,24 3,25 3,20 3,24 3,22 3,18 3,21 3,29 3,24 3,26 3,12 3,27 3,24 3,12 3,21 3,32 3,22 3,13 3,27 3,16 3,26 3,18 3,20 3,22 3,22 3,22 3,19

8,34 7,81 7,58 8,00 7,89 8,14 8,10 7,58 7,70 7,89 7,41 8,64 7,77 7,55 8,64 7,40 7,02 8,03 8,52 7,57 8,36 7,41 8,27 8,09 7,88 7,86 7,84 8,39

1236,7 1388,3 1334,3 1278,4 1364,1 1427,7 1288,2 1298,3 1296,3 1364,1 1312,9 1240,1 1342,4 1333,4 1240,1 1329,0 1277,0 1266,7 1455,6 1318,9 1293,0 1312,9 1302,1 1280,4 1322,5 1363,0 1322,6 1204,7

1910,7 2063,4 1873,3 1910,7 1992,0 1932,0 1906,7 2017,7 1979,3 1992,0 1917,3 1903,4 2024,0 1900,8 1903,4 2024,5 1670,3 1919,1 2125,6 1946,9 1926,9 1917,3 1947,7 2020,3 1882,9 1974,8 1908,1 1975,7


4. la sperimentazione

Microvinificazioni

(Figura 4.3a), tra UdP e polifenoli totali (Figura 4.3b) e tra la profondità dei suoli e l’acidità totale (Figura 4.3c). I dati raccolti dalle degustazioni sono anch’essi stati studiati attraverso l’analisi multivariata utilizzando sempre come fonte di variabilità le grandezze formanti il modello viticolo indagato. I risultati dell’analisi statistica sono riportati nella Tabella 4.3 con indicate le significatività di ogni fattore sui descrittori dei vini.

L’elaborazione statistica dei dati chimici dei vini ha evidenziato delle differenze statisticamente significative per alcuni parametri utilizzando il modello viticolo proposto. Per capire in che modo le componenti del modello influiscono sulla variabilità dei parametri chimici dei vini, si rimanda come esempio ai grafici in Figura 4.3, dove si evidenzia il rapporto tra altitudine e antociani totali

Figura 4.3 – Variabilità di antociani totali, polifenoli totali e acidità dei vini e rispettivamente classi di altitudine (a), Unità di paesaggio (b) e classi di profondità dei suoli (c) 300,0

1800,0 1600,0

250,0 Polifenoli tot. (mg/l)

Antociani tot. (mg/l)

1400,0 200,0 150,0 100,0

1200,0 1000,0 800,0 600,0 400,0

50,0

200,0 0,0

0,0

Conoidi Altitudine (m s.l.m.)

a)

Terrazzi Antichi

Terrazzi Recenti

Unità di Paesaggio

b)

5,60 5,40

Acidità totale (g/l)

5,20 5,00 4,80 4,60 4,40 4,20 4,00 <100

>100 Profondità dei suoli (cm)

c)

Tabella 4.3 – Risultato dell’analisi multivariata per i descrittori sensoriali in cui gli asterischi indicano il grado di variabilità spiegata Descrittori Ciliegia Mora Lampone Erbaceo Acidità Amaro Astringenza

UdP n.s. * * n.s. n.s. n.s. *

Altitudine n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. n.s.

Inclinazione n.s. * n.s. n.s. n.s. n.s. n.s.

Esposizione ** n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. n.s.

AWC n.s. n.s. n.s. n.s. ** * n.s.

(Significatività: p< _ 0,001=***; 0,001<p< _ 0,01=**; 0,01<p< _ 0,05=*; p>0,05=n.s.)

Tessitura n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. n.s. n.s.

Profondità n.s. n.s. * n.s. ** n.s. n.s.

Permeabilità n.s. ** ** n.s. n.s. n.s. *

Pioggia n.s. n.s. n.s. * *** n.s. *

Winkler n.s. n.s. n.s. ** *** n.s. *

69


4. la sperimentazione

I fattori del modello viticolo proposto influiscono in maniera più o meno significativa su molti dei sentori caratterizzanti i diversi prodotti ottenuti dalle uve Enantio; per evidenziare queste influenze si riportano i grafici dei pesi delle variabili pedoclimatiche e orografiche sul descrittore olfattivo mora (Figura 4.4a) e sul descrittore gustativo astringenza (Figura 4.5a). Si sottolinea come la

variabilità del parametro mora sia influenzata maggiormente dalle grandezze del modello quali permeabilità (32%), inclinazione (20%) e Unità di Paesaggio (17%): nel particolare si nota come alte permeabilità determinino valori maggiori di questo sentore (Figura 4.4b), come pure le inclinazioni inferiori al 5% (Figura 4.4c) e i terrazzi recenti (Figura 4.4d).

Figura 4.4 – a) Componenti attese della varianza del modello viticolo proposto per il sentore mora; b), c), d) grafici che evidenziano come le diverse permeabilità, inclinazioni e Unità di Paesaggio influenzino il sentore in oggetto

Mora

Pioggia 1%

Winkler 1%

Errore 4%

UdP 17%

0,05

Altitudine 5% Mora

Permeabilità 32%

0,10

0,00

-0,05

-0,10

Profondità 9%

Tessitura 0%

Esposizione 4%

AWC 7%

Inclinazione 20%

-0,15

>5

<5 Permeabilità

b)

a)

0,04 0,2 0,02

0,1

0,00 Mora

Mora

70

-0,02

0,0

-0,04 -0,1 -0,06 >5

<5

c)

Inclinazione (%)

Conoidi

Terrazzi antichi

Terrazzi recenti

Unità di Paesaggio

d)


4. la sperimentazione

La Figura 4.5a evidenzia come le componenti del modello che manifestano una maggiore influenza per il sentore astringenza sono le Unità di Paesaggio e la profondità

dei suoli; sui conoidi e sui terrazzi antichi i vini fanno avvertire maggior astringenza (Figura 4.5b), come pure risulta nei terreni più sottili (Figura 4.5c).

Figura 4.5 – a) Componenti attese della varianza del modello viticolo proposto per il sentore astringenza; b), c), grafici che evidenziano come le diverse Unità di Paesaggio e profondità dei suoli influenzino il suddetto sentore

0,2

Astringenza

0,1

0,0

Astringenza

Pioggia 15%

Winkler 11%

Errore 3%

UdP 22%

Altitudine 0%

-0,1

Inclinazione 2%

-0,2

Conoidi

Terrazzi antichi

Terrazzi recenti

Unità di Paesaggio

Esposizione 2%

b) 0,15

Profondità 16%

Tessitura 5%

a)

Astringenza

Permeabilità 15%

0,10

AWC 9%

0,05

-0,00 -0,05 -0,10 -0,15

<100

>100 Profondità suoli (cm)

c)

Le Unità Vocazionali Attraverso le informazioni raccolte dai risultati statistici dello studio dell’interazione tra le variabili del modello viticolo proposto e la varietà Enantio, si è ipotizzato di suddividere il territorio in tre Unità Vocazionali (UV) all’interno delle quali il comportamento della varietà in oggetto è distinguibile. Per questo vitigno le componenti del modello utilizzate per formare le UV sono state principalmente le UdP e quindi inclinazione, AWC, permeabilità e indice di Winkler. Dall’analisi della varianza sui dati maturativi esposta in Tabella 4.4 si evidenzia l’elevata significatività che le unità vocazionali individuate hanno nel determinare dif-

ferenze tra i parametri che descrivono l’andamento della maturazione. Tabella 4.4 – Risultato dell’analisi univariata per gli indici maturativi utilizzando come unica fonte di variabilità le UV individuate in cui gli asterischi indicano il grado di variabilità spiegata Parametri NZT (Indice Zuccheri) NAT (Indice Acidità titolabile) NPT (Indice pH) NANTO (Indice Antociani totali) NPOLI (Indice Polifenoli totali)

UV Significatività *** *** *** *** ***

(Significatività: p<_ 0,001=***; 0,001<p<_ 0,01=**; 0,01<p<_ 0,05=*; p>0,05=n.s.)

71


4. la sperimentazione

I grafici relativi alle curve di maturazione tecnologica (Figura 4.6) evidenziano come EN1 rimane precoce per tutto il periodo di maturazione per il parametro zuccheri, mentre l’evoluzione del quadro acidico risulta simile per EN1 e EN2 (per precocità relativa all’acidità si intende quando questo valore è inferiore ad altre aree o unità vocazionali); EN2 si presenta come unità media per quanto riguarda il livello zuccherino (Figura 4.6a) durante tutta la fase di maturazione, diminuendo questa caratteristica in prossimità della raccolta quando i valori si affiancano a quelli di EN3, unità che si comporta come tardiva per tutto il periodo prevendemmiale fino ad arrivare, come già detto, alla vendemmia con valori accostabili a EN2. Per quanto concerne la sua degradazione acidica, si

nota (Figura 4.6b) come EN3 rimanga per tutta la fase maturativa con valori superiori alle altre unità. L’evoluzione della maturità fenolica dell’Enantio nelle UV individuate mostra come EN1 manifesti una costante precocità e maggior accumulo di antociani rispetto alle altre unità che, con cinetiche simili ma con velocità leggermente differenti, raggiungono poco prima della vendemmia valori equiparabili per questo parametro (Figura 4.7a). La dinamica dei polifenoli totali mostra una maggior precocità per l’unità EN3, una cinetica media per EN1 e una dinamica tardiva per EN2 che fa registrare, poco prima della raccolta, i valori minori per il parametro considerato (Figura 4.7b).

Figura 4.6 – Cinetiche di maturazione per zuccheri (a) e acidità titolabile (b) raggruppate per UV

18 24

UV

17

EN1 EN2 EN3

16

23

15 22

Acidità titolabile (g/l)

14

Zuccheri (Brix)

21 20 19 18 17

13 12 11 10 9 8 7 6

16

UV

5

EN1 EN2 EN3

15

4 3

14

2 0

10

20

30

0

40

10

Giorno di campionamento teorico

a)

20

30

40

Giorno di campionamento teorico

b)

Figura 4.7 – Cinetiche di maturazione per antociani (a) e polifenoli totali (b) raggruppate per UV

2000

2400

1800

2200

1600

2000

Polifenoli tot. (mg/kg)

Antociani tot. (mg/kg)

72

1400 1200 1000 800 600

1600 1400 1200 1000 800

UV EN1 EN2 EN3

400

1800

UV EN1 EN2 EN3

600

200

400 0

a)

10

20

30

Giorno di campionamento teorico

40

0

10

20

30

Giorno di campionamento teorico

40

b)


4. la sperimentazione

Le UV individuate evidenziano differenze statisticamente significative per i parametri zuccheri e pH misurati alla vendemmia, sottolineando come si ottengano tenori zuccherini maggiori in EN1 e valori di pH superiori in EN2. In Tabella 4.5 vengono evidenziati i maggiori valori per ogni parametro e si riesce quindi a notare come, anche se non discriminanti statisticamente, le medie triennali dei parametri manifestano in alcuni casi differenze sensibili: l’acidità totale maggiore viene misurata per l’unità EN3, mentre il quadro fenolico con i valori maggiori per entrambi i parametri analizzati si registra in EN1; l’unità EN2 è caratterizzata da alti valori per le variabili che descrivono il quadro vegeto-produttivo. Tabella 4.5 – Analisi della varianza univariata per i parametri vendemmiali utilizzando le UV come unica fonte di variabilità Parametri alla vendemmia

Significatività

EN1

EN2

EN3

Zuccheri (Brix)

*

21,4 b

20,8 ab

19,9 b

3,24 ab

3,26 b

3,12 a

Acidità totale (g/l)

pH

n.s.

*

7,89

7,41

8,64

Antociani totali (mg/kg)

n.s.

1364,1

1312,9

1240,1

Polifenoli totali (mg/kg)

n.s.

1992,0

1917,3

1903,4

Numero grappoli p.ta

n.s.

38

55

48

Produzione p.ta (kg)

n.s.

7

10

9 177,4

Peso medio grappolo (g)

n.s.

164,9

193,3

Numero germogli

n.s.

33

36

28

Legno potatura (kg)

n.s.

0,7

1,2

0,9

(Significatività: p<0,001=***; 0,001<p<0,01=**; 0,01<p<0,05=*; p>0,05=n.s.)

Le UV proposte inducono differenze statisticamente significative sui parametri chimici dei vini quali l’estratto secco, l’acido tartarico, gli antociani totali, le frazioni dAL e dTA, i polifenoli totali e la tonalità (Tabella 4.6). Tra i parametri che risaltano da questa analisi si osservano gli antociani con le diverse frazioni, i polifenoli totali e la tonalità; si nota come i vini in EN1 presentano valori elevati di antociani e polifenoli totali, intermedio quello dei vini di EN3 e inferiore, ma comunque più che soddisfacente alle necessità di colore dei prodotti Enantio, quello di EN2.

Tabella 4.6 – Risultato dell’analisi della varianza univariata per i parametri chimici dei vini utilizzando le UV individuate come unica fonte di variabilità Parametri

Significatività

EN1

EN2

EN3

Alcol (%vol)

n.s.

12,2

11,5

11,6

pH

n.s.

3,61

3,54

3,50

Acidità.Tot.(g/l)

n.s.

5,13

4,84

5,21

Estratto Secco(g/l)

*

27 b

Ac.Tart.(g/l)

**

1,36 a

Ac.Mal.(g/l)

25 a

26 a

1,45 ab

1,70 b

n.s.

1,27

Antociani Tot. (mg/l)

*

272,5 b

1,01

0,85

dAL (% )

*

14 ab

dTA (%)

*

41 ab

36 a

45 b

dTAT(% )

n.s.

45

45

43

Flavonoidi non antoc.(mg/l)

n.s.

1164,3

948,9

1110,8

Flavonoidi tot. (mg/l)

n.s.

1653,9

1339,9

1530,1

Polifenoli totali (mg/l)

*

1660,1 b

1309,4 a

243,1 ab

213,8 a

19 b

12 a

1533 ab

INTENSITà

n.s.

7,8

6,3

8,4

TONALITà

*

37,6 a

36,7 a

51,4 b

(Significatività: p<0,001=***; 0,001<p<0,01=**; 0,01<p<0,05=*; p>0,05=n.s.)

Le degustazioni hanno permesso di costruire i profili sensoriali dei vini delle tre UV e quindi di metterli a confronto. In Figura 4.8 si evidenziano i descrittori risultati discriminanti nel differenziare le unità. I vini di EN1 sono contraddistinti da note maggiori di ciliegia e punte di pepe e chiodi di garofano; al gusto sono caratterizzati da una spiccata astringenza e da una lieve sfumatura d’amaro. I vini ottenuti nell’unità EN2 hanno manifestato, all’interno di un profilo sensoriale equilibrato, maggiori sentori di erbaceo e al gusto risultano i meno acidi e abbastanza astringenti; in EN3 i vini ottenuti si sono distinti per maggiori sentori di frutti di bosco (mora e lampone) assieme a una leggera nota floreale e di ribes, mentre al gusto sono apparsi i più acidi. Figura 4.8 – Profili sensoriali medi dei vini delle tre UV per l’Enantio EN1 EN2 EN3

Floreale Amaro

Ribes

Astringente (***)

Pepe

Acido (***)

Chiodi di garofano

Erbaceo (*) Lampone(*)

Ciliegia (*) Mora(*)

(Significatività: p<0,001=***; 0,001<p<0,01=**; 0,01<p<0,05=*; p>0,05=n.s.)

73


74

4. la sperimentazione

Tabella 4.7 – Caratteristiche espressive delle UV individuate per l’Enantio in Terradeiforti UV

EN1 UdP Conoidi Inclinazione >5% AWC <130 Permeabilità >5 Winkler <1900

EN2 UdP Terrazzi antichi Inclinazione <5% AWC <130 Permeabilità <5 Winkler >1900

EN3 UdP Terrazzi recenti Inclinazione <5% AWC >130 Permeabilità >5 Winkler >1900

Curve di maturazione La varietà dimostra un comportamento di netta precocità per tutti i parametri che ne descrivono il comportamento durante la fase di maturazione a eccezione dei polifenoli totali per i quali manifesta un andamento medio

Vendemmia Le uve presentano un buon grado zuccherino, con pH e contenuto acidico intermedi; il quadro fenolico evidenzia un maggior contenuto sia in antociani che in polifenoli totali

La dinamica d’accumulo zuccherino manifesta un comportamento di media precocità fino a ridosso della vendemmia in cui i valori glucidici pareggiano quelli rilevati in EN3; la degradazione acidica manifesta cinetica precoce; la dinamica di sintesi antocianica ha carattere medio mentre appare tardiva quella dei polifenoli totali

In questa unità si riscontra un’intermedia dotazione zuccherina, un maggior valore di pH affiancato da un quadro acidico inferiore alle altre unità; la dotazione fenolica presenta valori medi per gli antociani e medio-bassi per i polifenoli totali

L’accumulo zuccherino ha in queste condizioni un andamento tardivo fino in prossimità della raccolta; la degradazione acidica manifesta un andamento tardivo; a fronte di un accumulo antocianico generalmente medio-tardivo si registra una dinamica di sintesi dei polifenoli più rapida che nelle altre unità

In questa unità le uve presentano un quadro tecnologico con valori inferiori per zuccheri e pH e superiori per l’acidità totale rispetto alle altre unità individuate; per quanto concerne la dotazione fenolica, si conferma come l’unità sia la meno dotata anche se comunque con valori sufficienti per l’ottenimento di vini colorati e stabili nel tempo

Analisi chimiche e sensoriali dei vini Le analisi chimiche evidenziano un maggior grado alcolico e valore di pH, un’intermedia dotazione acidica e un quadro polifenolico con valori maggiori alle altre unità. I vini sono caratterizzati da una nota spiccata di ciliegia e al gusto si presentano più astringenti e leggermente più amari che nelle altre unità individuate. Nel complesso manifestano un quadro gusto-olfattivo ampio ed equilibrato I dati analitici di questi vini risultano medio-bassi per l’alcol, medio pH e bassa acidità, mentre appaiono come meno dotati per materia colorante e sua stabilità. Le vinificazioni presentano una nota erbacea e al gusto manifestano una medio-alta astringenza e una bassa acidità. Nel complesso presentano un profilo sensoriale mediamente ampio e abbastanza equilibrato All’analisi chimica delle microvinificazioni si evidenzia un medio contenuto alcolico, medio-basso il valore del pH e un maggiore tenore acidico; il quadro polifenolico risulta medio-alto permettendo buone colorazioni e stabilità. I vini di questa unità sono caratterizzati da spiccate note di piccoli frutti, mora e lampone, e al gusto appaiono i meno astringenti e amari ma i più acidi. In generale questi vini hanno peculiarità di giovanilità e freschezza


4. la sperimentazione

Figura 4.9 – Unità Vocazionali per l’Enantio in Terradeiforti

Unità Vocazionali EN1 EN2 EN3 Adige Urbanizzato

N W

E S

75


4. la sperimentazione

casetta Per la varietà Casetta si riporta una caratterizzazione del comportamento varietale basata sui dati medi raccolti nel triennio di studio su due vigneti monitorati.

Curve di maturazione In Figura 4.10 si riporta l’andamento della maturazione relativa ai principali parametri della maturazione tecnologica, zuccheri (°Brix) e acidità titolabile (g/l), e fenolica, antociani e polifenoli totali (mg/kg uva). L’andamento della curva d’accumulo zuccherino evidenzia una cinetica graduale ed equilibrata, senza variazioni repentine, permettendo il raggiungimento di buoni valori glucidici in prossimità della raccolta (Figura 4.10a). Anche per la dinamica di degradazione degli acidi organici si nota

una cinetica di costante decremento acidico dall’invaiatura fino al periodo precedente la raccolta con valori finali che la caratterizzano come varietà dall’acidità abbastanza elevata (Figura 4.10b). Per quanto riguarda la maturazione fenolica, si nota come la cinetica degli antociani evidenzi un graduale accumulo fino alla vendemmia, quando inizia un leggero decremento, andamento comunque normale per questo parametro che fa registrare valori molto elevati (Figura 4.10c). I polifenoli totali manifestano un andamento regolare di costante crescita dall’invaiatura fino alla vendemmia (Figura 4.10d). Il quadro fenolico di questa varietà mostra un elevato contenuto in materia colorante e una potenziale vocazione al lungo affinamento.

Figura 4.10 – Medie triennali delle cinetiche di maturazione dei parametri zuccheri (a), acidità titolabile (b), antociani (c) e polifenoli totali (d)

25

20

24 23 19

22

Acidità titolabile (g/l)

21

Zuccheri (Brix)

18

17

16

20 19 18 17 16 15 14 13 12

15

11 10

14

9 1

2

3

4

5

1

2

Giorno di campionamento teorico

3

4

5

Giorno di campionamento teorico

2600 2400 3000

2200 2000

Polifenoli Tot. (mg/kguva)

Antociani Tot. (mg/kguva)

76

1800 1600 1400 1200 1000

2500

2000

800 1500

600 400 1

2

3

4

Giorno di campionamento teorico

5

1

2

3

4

Giorno di campionamento teorico

5


4. la sperimentazione

Dati vendemmiali In Tabella 4.8 si riportano le medie triennali dei parametri analitici misurati alla vendemmia. I dati relativi all’aspetto tecnologico delle uve alla vendemmia rispecchiano e confermano le indicazioni rilevate durante la fase di maturazione. Tabella 4.8 – Medie triennali dei valori delle uve misurati alla vendemmia Parametri vendemmiali Zuccheri (°Brix) pH Acidità totale Antociani Tot. bucce (mg/kg uva) Polifenoli Tot. bucce (mg/kg uva) Polifenoli Tot. bucce+vinaccioli (mg/kg uva) % polifenoli totali vinaccioli Peso medio della bacca (g)

Media 20,3 3,06 11,0 1566 2170 4168 47,7 1,4

Le degustazioni delle microvinificazioni hanno permesso di costruire il profilo sensoriale medio della Casetta che risulta caratterizzato da una media intensità per i sentori fruttati e floreali e da una nota di erbaceo, mentre spiccano l’acidità e l’astringenza a fronte di minori sensazioni di speziato e di amaro. Figura 4.11 – Profilo sensoriale medio triennale della varietà Rosa Viola

Astringente

Amaro

Floreale

Acido

Ciliegia

Microvinificazioni I dati riportati in Tabella 4.9 evidenziano una contenuta gradazione alcolica e una buona ma non eccessiva acidità. Anche i dati relativi alla polimerizzazione degli antociani (basso valore di antociani liberi dAL% ed elevato dTAT%) confermano tale indicazione ed evidenziano la difficoltà di estrazione nei vini.

Chiodi di garofano

Mora

Pepe

Lampone Erbaceo

Tabella 4.9 – Dati medi triennali relativi alle analisi chimiche dei vini Casetta Parametri analitici Grado alcolico effettivo pH Ac. Totale (g/l tart) Estratto secco tot. (g/l) Antociani tot. (mg/l) dAL% dTA% dTAT % Polifenoli tot.(mg/l) Flav. Non antocianici (mg/l) Flavonoidi tot. (mg/l) Intensità colorante Tonalità colore

Media 11,1 3,75 5,68 30,1 279,9 9,7 42,1 48,2 1690,1 1148,8 1726,4 9,6 52,8

Ribes

77


4. la sperimentazione

PINOT GRIGIO Curve di maturazione

dice di Winkler e l’AWC (acqua disponibile nel terreno) sono quelli che determinano maggiormente la variabilità degli zuccheri. Nel dettaglio le rappresentazioni grafiche in Figura 4.12b e 4.12c evidenziano la misura dell’influenza della pioggia e dell’AWC per questa variabile; le piovosità medie annue inferiori agli 820 mm causano una maggiore precocità, che si ottiene anche nelle situazioni di disponibilità idriche superiori ai 140 cm.

Per la varietà Pinot grigio le componenti del modello viticolo proposto influiscono in maniera statisticamente significativa nella variabilità dei parametri misurati in fase prevendemmiale. Dal grafico in Figura 4.12a si nota come, tra le variabili formanti il modello che hanno manifestato una qualche influenza sul comportamento varietale, la pioggia, l’in-

Tabella 4.10 – Risultato dell’analisi multivariata per gli indici maturativi in cui gli asterischi indicano il grado di variabilità spiegata Parametri NZT NPT NAT

UdP *** * *

Altitudine ** *** **

Inclinazione Esposizione * *** n.s. *** n.s. n.s.

Etm *** * ***

Modello viticolo Winkler AWC *** *** * *** *** **

Tessitura *** *** ***

Profondità ** *** n.s.

Permeabilità Pioggia n.s. *** *** *** *** n.s.

(Significatività: p< _ 0,001=***; 0,001<p< _ 0,01=**; 0,01<p< _ 0,05=*; p>0,05=n.s.) Figura 4.12 – a) Componenti attese della varianza del modello viticolo proposto nei confronti dell’indice zuccheri; b) influenza delle classi di piovosità media annua sull’indice di precocità degli zuccheri; d) influenza dell’AWC sullo stesso indice

0,75

Indice zuccheri

0,50

Indice Zuccheri (NZT)

Pioggia 29%

Errore 1%

UdP 6%

Altitudine Inclinazione 5% 2% Esposizione 10%

0,25

0,0

-0,25

>820

<820 Pioggia (mm/anno)

b)

0,40

Permeabilità 1% Tessitura Profondità 3% 3%

a)

AWC 15%

0,30

Etm 9% Winkler 15%

0,20 Indice zuccheri

78

0,10 0,0

-0,10 -0,20 -0,30

>140

<140 AWC (cm)

c)


4. la sperimentazione

Dati vendemmiali L’elaborazione statistica dei dati raccolti alla vendemmia non ha evidenziato differenze statisticamente significative; in Figura 4.13 sono indicati i valori medi triennali degli zuccheri e dell’acidità totale in relazione alle classi rispettivamente di esposizione e di AWC. In particolare

si nota come si ottengano maggiori concentrazioni zuccherine sia nei versanti esposti a est che in quelli a ovest, seguiti dai non esposti (Figura 4.13a); i contenuti acidici maggiori si sono registrati con valori di AWC superiori ai 140 cm (Figura 4.13b).

Figura 4.13 – Medie triennali di zuccheri e acidità totale per le classi di esposizione (a) e di AWC (b) 21,0

7,42 7,40 7,38

20,0

Acidità totale (g/l)

Zuccheri (°Brix)

20,5

19,5 19,0

7,36 7,34 7,32 7,30 7,28 7,26 7,24

18,5

7,22 18,0

Est

non esposti

a)

Nord

Sud

7,20

Ovest

<140

>140 AWC (cm)

Esposizione

b)

Microvinificazioni I dati chimici dei vini non hanno prodotto differenze significative; anche in questo caso si possono però evidenziare delle tendenze che in Figura 4.14 mostrano un maggior contenuto in estratto secco ad altitudini superiori ai 130 m s.l.m e acidità superiori in situazioni in cui i valori di AWC sono maggiori a 140 cm.

Differenze significative sono invece emerse nell’analisi dei dati raccolti dalle degustazioni effettuate nei tre anni di studio. Dalla Tabella 4.11 si nota come il modello utilizzato induca variabilità statistica per molti descrittori gusto-olfattivi utilizzati nelle schede di valutazione.

22,8

7,70

22,6

7,60

22,4

7,50

22,2

Acidità totale (g/l)

Estratto secco (g/l)

Figura 4.14 – Medie triennali di estratto secco e acidità totale per le classi di altitudine (a) e di AWC (b)

22 21,8 21,6 21,4 21,2

7,40 7,30 7,20 7,10 7,00

21

6,90

20,8

6,80

20,6

<130

a)

6,70

>130

<140

>140 AWC (cm)

Altitudine (m s.l.m.)

b)

Tabella 4.11 – Risultato dell’analisi multivariata per i descrittori dei vini in cui gli asterischi indicano il grado di variabilità spiegata Descrittori Pera Mela Ananas Melone Erbaceo Dolce Acidità Amaro

UdP n.s. n.s. * n.s. * ** ** n.s.

Altitudine *** n.s. n.s. * n.s. n.s. n.s. n.s.

Tessitura n.s. * n.s. n.s. n.s. ** n.s. n.s.

(Significatività: p< _ 0,001=***; 0,001<p< _ 0,01=**; 0,01<p< _ 0,05=*; p>0,05=n.s.)

Pioggia * n.s. * n.s. n.s. * n.s. *

AWC n.s. n.s. n.s. n.s. * n.s. n.s. ***

Winkler * n.s. n.s. * n.s. * n.s. *

Esposizione n.s. n.s. n.s. * n.s. n.s. n.s. n.s.

79


4. la sperimentazione

Prendendo come esempio un descrittore olfattivo quale la pera e gustativo quale l’amaro, la Figura 4.15a evidenzia come l’altitudine sia la grandezza che esercita la maggiore influenza (42%), seguita dall’AWC (21%); in particolare si sottolinea come ad altitudini inferiori ai 140 m s.l.m. (Figura 4.15b) e in condizioni di AWC

superiori ai 140 cm (Figura 4.15c) le note di pera vengano maggiormente avvertite; l’espressione del descrittore amaro viene maggiormente influenzata dalle componenti AWC (41%) e pioggia (19%) (Figura 4.15d); con valori crescenti di disponibilità idrica va ad attenuarsi la nota amara nei vini di Pinot grigio (Figura 4.15e).

Figura 4.15 – Componenti attese della varianza del modello viticolo proposto nei confronti di due descrittori gusto-olfattivi per il Pinot grigio

0,0200 0,0150

Pera

0,0100 0,0050 0,0 Pera

Etm Errore Winkler 1% 4% 17%

Pioggia 0%

-0,0050

UdP 4%

Altitudine 42%

-0,0010 >140

<140 Altitudine (m s.l.m.)

b)

0,075

Permeabilità 26% Tessitura 1%

AWC 21%

Esposizione 1%

0,050

Inclinazione 1%

a)

Pera

Profondità 1%

0,025

0,0

-0,025

<140

>140 AWC (cm)

c)

Amaro

Winkler 16%

Etm 0%

Errore 4%

Altitudine UdP 0% Inclinazione 2% 0% Esposizione 0% AWC 41%

0,03

0,0 Amaro

80

-0,03

-0,06

Pioggia 19% Permeabilità 0%

d)

Profondità 6%

Tessitura 12%

-0,09

>140

<140 AWC (cm)

e)


4. la sperimentazione

Le Unità Vocazionali I risultati ottenuti dall’elaborazione statistica dei dati raccolti hanno permesso di ipotizzare due Unità Vocazionali per la cultivar Pinot grigio negli ambienti della DOC Terradeiforti che manifestano un’alta influenza sui principali parametri che descrivono la maturazione. Tabella 4.12 – Risultato dell’analisi univariata per gli indici maturativi utilizzando come unica fonte di variabilità le UV individuate in cui gli asterischi indicano il grado di variabilità spiegata UV Significatività *** *** ***

Parametri NZT (Indice Zuccheri) NAT (Indice Acidità titolabile) NPT (Indice pH)

(Significatività: p<_ 0,001=***; 0,001<p<_ 0,01=**; 0,01<p<_ 0,05=*; p>0,05=n.s.)

Per i parametri che descrivono la maturazione e per tutto il periodo che precede la vendemmia l’unità PG1 risulta più precoce di PG2, che si comporta come unità tardiva (Figura 4.16). Figura 4.16 – Cinetiche di maturazione per i parametri zuccheri (a), acidità titolabile (b) e pH (c) distinti per UV 28

20

27 26

UV

18

PG1 PG2

25

Acidità titolabile (g/l)

24 22 21 20 19 18 17

16

14

12

10

16 15

8

UV PG1 PG2

14 13

6

12 5

10

15

20

25

30

35

5

10

15

Giorno di campionamento teorico

20

25

Giorno di campionamento teorico

3,80

3,60

3,40

pH

Zuccheri (Brix)

23

3,20

UV

3,00

PG1 PG2

2,80

Giorno di campionamento teorico

30

35

81


82

4. la sperimentazione

Tra i parametri misurati in fase vendemmiale si osservano differenze, anche se non statisticamente validate, per i parametri qualitativi dei mosti, che evidenziano una più precoce maturazione di PG1. Questi dati sono confermati anche da quanto ottenuto con le analisi chimiche dei vini. Più marcate risultano invece le differenze riscontrate nelle analisi sensoriali dei vini, in particolare per i descrittori pera, ananas, melone e amaro. Le vinificazioni dell’unità PG1 manifestano note spiccate di pera, ananas e melone, mentre al gusto risultano meno amari e leggermente meno acidi dei vini conseguiti con le uve provenienti da PG2. Questi ultimi, anche se non supportati da differenze statistiche, sono caratterizzati dalle note floreali, leggero sentore di pesca e al gusto appaiono, oltre che più amari, anche leggermente più acidi (Figura 4.17).

Figura 4.17 – Risultato dell’analisi univariata e grafico dei profili sensoriali dei vini distinti per UV PG1 PG2

Floreale Amaro (**)

Pera (**)

Acidità

Mela

Pesca

Erbaceo

Melone (*)

Ananas (*)

(Significatività: p<0,001=***; 0,001<p<0,01=**; 0,01<p<0,05=*; p>0,05=n.s.) Tabella 4.13 – Caratteristiche espressive delle UV individuate UV

Curve di maturazione Tutti i parametri che descrivono la maPG1 turazione manifestano in questa unità AWC >140 cinetiche precoci caratterizzate da diAltitudine <130 m s.l.m. namiche regolari Pioggia <830 Winkler >1980

Vendemmia Le caratteristiche delle uve rilevate alla vendemmia rivelano delle differenze lievi tra le due unità; questa unità fa registare una maturità delle uve leggermente superiore

Questa unità induce nelle uve meccanismi di maturazione più tardivi che permettono ugualmente di raggiungere caratteristiche più che soddisfacenti alle finalità enologiche richieste dalla DOC

Leggere differenze in un minor tenore glucidico, minor valore di pH e un’acidità superiore di 0,5g/l sono le caratteristiche che differenziano le uve alla vendemmia di questa unità rispetto a quelle ottenute in PG1

PG2 AWC <140 Altitudine >130 m s.l.m. Pioggia >830 Winkler <1980

Analisi chimiche e sensoriali dei vini Pur riscontrando variabilità limitata, tra le unità i vini rispecchiano le caratteristiche delle uve. Il profilo sensoriale viene definito dai sentori olfattivi spiccati di pera ananas e melone; al gusto appaiono meno amari I sentori floreali e una nota di pesca sono quelli che distinguono i prodotti enologici ottenuti in PG2; al gusto questi vini appaiono amari e lievemente più acidi che quelli di PG1


4. la sperimentazione

Figura 4.18 – Le Unità Vocazionali per il Pinot grigio in Terradeiforti

Unità Vocazionali PG1 PG2 Adige Urbanizzato

N W

E S

83


4. la sperimentazione

CHARDONNAY Curve di maturazione Anche per lo Chardonnay è stato utilizzato per l’analisi statistica il modello viticolo completo. Si nota come le componenti del modello abbiano tutte più o meno influenza nel determinare differenze statisticamente significative per i parametri indicizzati della maturazione tecnologica delle uve (Tabella 4.14). In Figura 4.19a viene evidenziata la variabilità del para-

metro zuccheri e si nota come la profondità dei suoli e l’AWC agiscano in maniera preponderante sulla variabilità del parametro in fase prevendemmiale (insieme per il 30%). Per questo parametro anche l’inclinazione, le UdP e la piovosità manifestano un’influenza sensibile (insieme per il 34%). Dalla Figura 4.19b si evince come in suoli con profondità inferiori a 100 cm si ottenga una maggiore precocità; lo stesso comportamento viene inoltre influenzato da valori di AWC inferiori a 100 (Figura 4.19c).

Tabella 4.14 – Risultato dell’analisi multivariata per gli indici maturativi in cui gli asterischi indicano il grado di variabilità spiegata Parametri NZT NAT NPT

UdP * *** ***

Altitudine * *** ***

Inclinazione Esposizione ** * *** ** ** ***

AWC ** *** ***

Modello viticolo Tessitura Profondità n.s. ** ** *** *** ***

Permeabilità n.s. n.s. ***

Pioggia * ** ***

Winkler n.s. *** n.s.

Etm n.s. *** n.s.

(Significatività: p< _ 0,001=***; 0,001<p< _ 0,01=**; 0,01<p< _ 0,05=*; p>0,05=n.s.) Figura 4.19 – a) Componenti attese della varianza del modello viticolo proposto per l’indice zuccheri in maturazione risultati significativi all’analisi della varianza multivariata; b) e c) relazione tra profondità dei suoli e AWC con il grado di precocità

0,3

Indice zuccheri

0,2

Indice Zuccheri (NZT)

Pioggia 10%

Winkler 6%

Etm 6%

Errore 2%

UdP 10%

Altitudine 8%

0,1 0,0 -0,1 -0,2

Inclinazione 14%

-0,3 >100

<100 Profondità suolo (cm)

b) 0,3

Permeabilità 5% Profondità 15%

a)

Tessitura 3%

AWC 15%

0,2

Esposizione 6% Indice zuccheri

84

0,1 0,0 -0,1 -0,2 -0,3 >100

<100 AWC

c)


4. la sperimentazione

Per l’indice di acidità titolabile si sottolinea come i parametri del modello che influiscono maggiormente sulla sua espressione sono l’altitudine e la profondità dei suoli (Figura 4.20a); nella Figura 4.20b viene evidenziato il

maggior ritardo di maturazione che si ottiene sui suoli ad altitudini inferiori ai 130 m s.l.m.; la stessa tendenza si ottiene su suoli con profondità superiori ai 100 cm (Figura 4.20c).

Figura 4.20 – a) Componenti attese della varianza del modello viticolo proposto per l’indice acidità titolabile in maturazione risultati significativi all’analisi della varianza multivariata; b) e c) relazione tra altitudine e profondità dei suoli con il parametro acidità in maturazione

Indice acidità titolabile

0,10

Indice acidità titolabile (NAT)

Winkler 13%

Etm 13%

Errore 1%

UdP 15%

Altitudine 18%

0,05

0,00

-0,05

--0,10 >130

<130 Altitudine (m s.l.m.)

b)

Permeabilità Profondità 0% 18%

Tessitura 3%

AWC 6%

Esposizione 4%

Inclinazione 6%

a)

Indice acidità titolabile

0,4

Pioggia 3%

0,2

0,0

-0,2

-0,4

>100

<100 Profondità (cm)

c)

Dati vendemmiali L’analisi statistica dei dati misurati alla vendemmia non ha evidenziato, per i motivi già ricordati per l’Enantio, fattori in grado di spiegare le differenze riscontrate. Si

riportano in Figura 4.21 i grafici che descrivono delle tendenze della variabilità di acidità totale in relazione alle classi di altitudine (Figura 4.21a) e degli zuccheri in riferimento alle diverse esposizioni (Figura 4.21b).

9

20,2

8

20,0

7

19,8 Zuccheri (°Brix)

Acidità totale (g/l)

Figura 4.21 – Variabilità di acidità totale (a) e zuccheri (b) alla vendemmia al variare delle classi rispettivamente di altitudine ed esposizione

6 5 4 3

19,6 19,4 19,2 19,0

2

18,8

1 0

<130

a)

>130 Altitudine (m s.l.m.)

18,6

Est

non esp.

Sud Esposizione

Ovest

b)

85


4. la sperimentazione

Microvinificazioni Le analisi statistiche effettuate sui dati delle analisi chimiche dei vini non hanno dato risultati significativi. In Figura 4.22 si riportano i grafici relativi ai dati medi triennali delle vinificazioni distinte per alcune delle grandezze formanti il modello viticolo considerato. Si ricorda che i dati raccolti, pur con poche ripetizioni, risultano però di sicura rilevanza in quanto ottenuti da ingenti quantitativi di uva e quindi molto rappresentativi.

Per quanto riguarda i vini, ulteriori informazioni sono state raccolte dall’elaborazione dei dati ottenuti dalle analisi sensoriali nei tre anni di studio. Dalla Tabella 4.15 si nota come il modello nella quasi totalità dei suoi fattori induca differenze statisticamente significative per quel che riguarda descrittori gusto-olfattivi importanti quali fiori di tiglio, mela, crosta di pane e acidità.

Figura 4.22 – Variabilità di acidità totale (a) e alcol (b) nei vini al variare delle classi di altitudine e Unità di Paesaggio 7,6

12,2

7,5

12

7,4

11,8

7,3

Alcol (%vol.)

Acidità tot. (g/l)

86

7,2 7,1 7

11,6 11,4 11,2

6,9

11

5,8

10,8

5,7 6,6

<130

>130

10,6

Conoidi

Altitudine (m s.l.m.)

Terrazzi antichi

Terrazzi recenti

Unità di Paesaggio

Tabella 4.15 – Risultato dell’analisi della varianza multivariata per alcuni descrittori gusto-olfattivi dei vini effettuata utilizzando come fonti di variabilità le grandezze formanti il modello viticolo proposto; si riportano solo i sentori con differenze statistiche Descrittori Floreale Mela Crosta di pane Acidità

UdP * n.s. n.s. *

Altitudine ** n.s. n.s. n.s.

Inclinazione Esposizione * n.s. n.s. * n.s. ** n.s. n.s.

Tessitura *** n.s. n.s. n.s.

(Significatività: p< _ 0,001=***; 0,001<p< _ 0,01=**; 0,01<p< _ 0,05=*; p>0,05=n.s.)

Permeabilità n.s. n.s. ** n.s.

AWC n.s. n.s. n.s. *

Profondità n.s. n.s. n.s. *

Winkler n.s. n.s. * n.s.

ETm n.s. n.s. * n.s.


4. la sperimentazione

In Figura 4.23 si evidenzia il peso che il modello ha nell’indurre differenze per il descrittore olfattivo floreale (Figura 4.23a) e quello gustativo acidità (Figura 4.23c). Si nota come per il sentore floreale l’altitudine incida per un 24% (Figura 4.23a) e nel particolare come i vini ottenuti da uve provenienti da vigneti posti ad altitudini superiori ai 130 m s.l.m. siano quelli in cui il sento-

re è stato maggiormente avvertito (Figura 4.23b). Per il descrittore acidità, oltre alle UdP e all’AWC, anche il fattore profondità dei suoli ha un peso del 19% nello spiegare la sua variabilità (Figura 4.23c); in Figura 4.14d si evidenzia come in suoli più profondi i vini hanno un gusto più acido che in suoli più sottili.

Figura 4.23 – Componenti attese della varianza del modello viticolo proposto nei confronti di due descrittori dei vini quali il floreale (a) e l’acidità (c); b) e d) modalità d’influenza del modello sui due descrittori

Profondità 1% Winkler Pioggia 7% 0%

AWC 1%

Floreale

ETm 7%

Errore 3%

0,06

UdP 11%

0,03 Floreale

Permeabilità 2%

Altitudine 24%

0,00

-0,03

Tessitura 23%

a)

Inclinazione 18%

Esposizione 3%

-0,06

Errore 5%

0,10

Altitudine 7%

0,05

Acidità

c)

b)

0,15

UdP 19%

Pioggia 0%

Profondità 19%

>130 Altitudine (m s.l.m.)

Acidità

Winkler ETm 10% 10%

<130

AWC 19%

Inclinazione 9% Esposizione Permeabilità Tessitura 0% 1% 1%

0,0

-0,05

-0,10

-0,15

<100

>100 Profondità suolo (cm)

d)

87


4. la sperimentazione

Le Unità Vocazionali Dalle indicazioni raccolte attraverso i risultati dell’analisi statistica, si sono ipotizzate per questa varietà tre Unità Vocazionali che manifestano un’elevata influenza nello spiegare la variabilità per i descrittori della maturazione. In Figura 4.24 si nota come le tre UV si distinguano per Tabella 4.16 – Risultato dell’analisi univariata per gli indici maturativi utilizzando come unica fonte di variabilità le UV individuate in cui gli asterischi indicano il grado di variabilità spiegata UV Significatività *** ** ***

Parametri NZT (Indice Zuccheri) NAT (Indice Acidità titolabile) NPT (Indice pH)

(Significatività: p<_ 0,001=***; 0,001<p<_ 0,01=**; 0,01<p<_ 0,05=*; p>0,05=n.s.)

i gradi di precocità manifestati mediamente nei tre anni di studio. Inizialmente per il parametro zuccheri (Figura 4.24a) si rilevano delle differenze sensibili soprattutto tra CH3, l’unità più tardiva, e le altre due, che per questo parametro appaiono molto simili. Per quel che riguarda la degradazione degli acidi organici, si notano cinetiche con maggiori differenze rispetto a quelle degli zuccheri evidenziando una precocità maggiore in CH2, intermedia per CH1 e tardiva per CH3 (Figura 4.24b). I dati misurati alla vendemmia sono stati sottoposti ad analisi della varianza univariata utilizzando le unità vocazionali individuate come unica fonte di variabilità e si sono riscontrate differenze statisticamente significative per il parametro acidità totale, per il quale l’unità CH2 manifesta il valore minore (Figura 4.25), come del resto indicato anche dall’andamento in fase di maturazione.

Figura 4.24 – Cinetiche di maturazione per i parametri zuccheri (a) e acidità titolabile (b) distinti per UV

20,0

22

UV

21 20

CH1 CH2 CH3

17,5

Acidità titolabile (g/l)

19 18

Zuccheri (Brix)

17 16 15 14 13 12

15,0

12,5

10,0

UV CH1 CH2 CH3

11

7,5

10 0

a)

5

10

15

0

20

10

Giorno di campionamento teorico

20

8,5 8,0 7,5 7,0 6,5 6,0 5,5 5,0

30

Giorno di campionamento teorico

Figura 4.25 – Medie triennali del parametro acidità totale in vendemmia distinto per le 3 UV individuate

Acidità totale (g/l)

88

CH1

CH2 UV

CH3

40

b)


4. la sperimentazione

I dati triennali relativi alle analisi chimiche dei vini di Chardonnay distinti per UV evidenziano differenze statisticamente significative per il grado alcolico, rilevando una maggiore dotazione nell’unità CH1, e per l’acido tartarico, presente in maggior quantità nei vini ottenuti in CH3; per quest’ultima unità si registrano i valori maggiori anche per altri parametri relativi al quadro acidico come l’acidità totale e il contenuto in acido malico (Tabella 4.17).

rente per il sentore floreale, insieme a note di pera – alte anche per CH3 – e ananas, mentre al gusto risultano mediamente acidi; le vinificazioni ottenute dalle uve provenienti dall’unità CH3 si distinguono in maniera statisticamente significativa al gusto per una spiccata acidità, mentre manifestano note maggiori per i sentori pera e medi per l’ananas. Figura 4.26 – Risultato dell’analisi univariata e grafico dei profili sensoriali dei vini distinti per UV

Tabella 4.17 – Risultato dell’analisi della varianza univariata per i parametri chimici dei vini utilizzando come fonte di variabilità le UV individuate Parametri alla vendemmia Alcol Effettivo (%)

Significatività

CH1

CH2

CH3

*

12,1 b

11,6 ab

11,2 a

pH

n.s.

3,26

3,20

3,14

Ac. Tot. (g/l tart)

n.s.

6,95

7,36

7,60

Estr. sec. tot. (g/l)

n.s.

22,97

23,23

23,06

Ac. Tart. (g/l)

*

Ac. Mal.(g/l)

n.s.

1,6 a 3,47

1,77 ab 3,77

CH1 CH2 CH3

Floreale (*)

Amaro

Mela

2b 3,54

(Significatività: p<0,001=***; 0,001<p<0,01=**; 0,01<p<0,05=*; p>0,05=n.s.) Si evidenziano i valori maggiori per parametro

La Figura 4.26 evidenzia come i descrittori dei vini dell’unità CH1 siano significativamente differenti dagli altri per avere note spiccate di crosta di pane, di mela e di amaro e meno di acidità; i vini ottenuti in CH2 si distinguono all’olfatto in maniera statisticamente diffe-

Pera

Acidità (**)

Crosta di pane (*)

Ananas

(Significatività: p<0,001=***; 0,001<p<0,01=**; 0,01<p<0,05=*; p>0,05=n.s.)

Tabella 4.18 – Caratteristiche espressive delle UV individuate UV

Curve di maturazione La cinetica degli zuccheri presenta una sempre più spinta precocità dalla metà del periodo maturativo fino CH1 alla vendemmia; per quanto concerAltitudine >130 m s.l.m. ne la degradazione acidica, presenta un comportamento medio per tutta la fase di maturazione; l’incremento di pH è costante L’accumulo glucidico in questa unità è inizialmente precoce per subire poi un rallentamento; la respirazione delle frazioni organiche procede per CH2 tutto il periodo maturativo in maniera Altitudine <130 m s.l.m. precoce Profondità <100

In questa unità la maturazione delle uve manifesta un comportamento tarECH3 divo per tutti i parametri che la descriAltitudine <130 m s.l.m. vono Profondità >100

Vendemmia Alla vendemmia la dotazione zuccherina e il valore di pH si presentano leggermente superiori alle altre unità mentre l’acidità totale risulta alta e paragonabile anche statisticamente alla CH3

Analisi chimiche e sensoriali dei vini Vinificazioni dotate di maggior tenore alcolico, alto pH e bassa acidità, sia per i valori di acido malico che tartarico. I vini si caratterizzano all’olfatto per le note di crosta di pane e al gusto per essere i meno acidi.

Gli zuccheri e il pH misurati alla vendemmia fanno registrare valori medi mentre il valore dell’acidità totale è statisticamente inferiore ai quelli rilevati per CH1 e CH3

I dati chimici mostrano valori intermedi per i parametri alcol, pH e acidità totale, mentre hanno valori elevati per i parametri acido malico ed estratto secco. I sentori che contraddistinguono le vinificazioni ottenute in questa unità sono il floreale, la pera e l’ananas, mentre in bocca si rileva una media acidità; nel complesso il profilo gusto-olfattivo appare equilibrato Le analisi condotte sui vini dei tre anni di indagine presentano in media valori alcolici e di pH minori e maggiori contenuti acidici totali. A fronte di questa marcata acidità i vini presentano anche note di pera

Pur nell’ambito di differenze contenute per i parametri qualitativi analizzati, in questa unità gli zuccheri e il pH risultano inferiori alle altre unità mentre l’acidità totale è la maggiore rilevata

89


90

4. la sperimentazione

Figura 4.27 – Unità Vocazionali per lo Chardonnay in Terradeiforti

Unità Vocazionali CH1 CH2 CH3 Adige Urbanizzato

N W

E S


5. manuale d’uso del territorio



93

5. manuale d’uso del territorio Clima, morfologia della superficie e suolo sono i tre fattori naturali che maggiormente caratterizzano un ambiente viticolo. Da un lontano passato ci giungono i primi richiami sul ruolo determinante svolto dal luogo di produzione nel generare la qualità complessiva e irriproducibile di un vino. Con il passare dei secoli queste prime considerazioni sono diventate convinzioni suffragate via via da evidenze sempre più precise e documentate. Ambiente, quindi, in stretto legame con la tipicità dei vini, con i loro caratteri organolettici, con il grado di apprezzamento dimostrato dal consumatore. Calandoci nel territorio vitato veneto, è immediato rapportarci a un’elevata molteplicità di situazioni ambientali basata sulla diversa origine, evoluzione e stato attuale dei suoli, sui diversi climi locali in stretta dipendenza con la morfologia dei siti (rilievi, esposizioni, pendenze, giacitura, ecc.). Diventa allora immediato comprendere che le diverse situazioni impongono anche scelte tecniche appropriate e in sintonia con gli elementi naturali ora ricordati. Sicuramente alcune linee guida sono comuni a tutti i sistemi di conduzione e devono fondamentalmente portare a un rispetto dell’ambiente e a una garanzia alimentare del prodotto vino, ma la preparazione e la professionalità del viticoltore devono guidarlo a scelte in grado di ottimizzare e massimizzare la risposta del vigneto in relazione alla realtà ambientale in cui opera. Scelta del vitigno e del portinnesto, della densità di impianto, della forma e dimensione della chioma e della lunghezza dei capi a frutto, sono alcune delle decisioni che non possono essere prese senza una precisa base tecnica e una sicura conoscenza della risposta della vite a questi interventi. Va sottolineato però che in primis è l’ambiente a imporre queste scelte e che oggigiorno esse devono essere addirittura diversificate all’interno delle aziende, in relazione non solo agli obiettivi enologici, ma anche e soprattutto in stretta sintonia con il variare del microclima, dei suoli, delle loro proprietà idriche, ecc. Ad esempio, scopo delle microzonazioni aziendali è un’accurata conoscenza del proprio ed esclusivo ambiente di produzione, così da gestire correttamente tutte le fasi e decisioni produttive. Fare ed essere viticoltore richiede quindi una preparazione completa che ricopra più discipline, questo proprio per comprendere nella loro interezza tutti i rapporti che intercorrono tra il vigneto e l’ambiente, con il duplice obiettivo di massimizzare l’aspetto qualitativo della produzione attraverso l’ottimale utilizzo della risorse naturali.

Un ulteriore aspetto che sempre più sta assumendo significato e rilevanza è la bellezza e l’unicità del paesaggio viticolo: un valore aggiunto della qualità organolettica dei vini, esclusivo e non riproducibile. Il consumatore sta sempre più identificando il prodotto con la zona di origine ed è quindi gioco forza puntare sull’esclusività delle nostre aree viticole, sulla loro storia e tradizione. Anche per questo motivo l’ambiente va analizzato, tutelato e rispettato per un risultato finale che, nel caso del vigneto, deve portare a una specializzazione colturale in cui i fattori naturali sono tenuti nella dovuta e giusta considerazione.

5.1 scelte all’impianto La preparazione del terreno Qualora si debba procedere a dei livellamenti o a delle sistemazioni più consistenti, è importante evitare di sconvolgere la naturale successione degli orizzonti, per non ridurre drasticamente la fertilità agronomica, chimica e biologica del suolo. È quindi buona norma operare prima lo “scortico” e, una volta eseguiti i lavori di sistemazione, ridistribuire uniformemente il suolo, per evitare stentati avvii di vegetazione e lenti sviluppi, tali a volte da richiedere costosi interventi agronomici di sostegno e pesanti sacrifici produttivi e qualitativi. Una volta sistemata la superficie in modo definitivo, devono essere evitate lavorazioni profonde, tipo il tradizionale scasso a 80-100 cm, che inevitabilmente riporterebbe in superficie terreno poco evoluto e poco fertile. È invece da preferire una ripuntatura a 100 cm di profondità, eseguita ogni 2-3 m e in modo ortogonale (in pratica, a croce) seguita, nel caso vi sia da interrare della sostanza organica, da un’aratura superficiale (40 cm) o da una zappettatura; altrimenti può essere sufficiente, soprattutto nei terreni di medio impasto, far seguire alla ripuntatura un’erpicatura. Ciò consentirà di conservare il più possibile l’autenticità del suolo con tutti i suoi vantaggi.

Il drenaggio La vite soffre in modo evidente dell’eccesso di umidità nel suolo; gli interventi che permettono un rapido smaltimento dell’acqua in esubero consentono di ridurre o impedire i fenomeni di erosione e contemporaneamente creano un ambiente ipogeo maggiormente adatto all’attività radicale. Per i terreni di collina diventa allora prioritaria la semina e/o la conservazione del cotico erboso che impedisce il ruscellamento superficiale dell’acqua


94

5. manuale d’uso del territorio

cui si accompagna il trasporto delle particelle terrose; si evita, inoltre, l’eccesso di umidità dei punti di accumulo dell’acqua. A questo fine, i filari devono avere una giusta lunghezza (max 80-100 m) e una giusta pendenza. Per i terreni di pianura sono indispensabili le sistemazioni idrauliche tradizionali (baulature e scoline), oppure i più moderni sistemi di drenaggio tubolare sotterraneo, preceduti da un livellamento della superficie, che permettono di ridurre le zone improduttive e di intervenire con l’irrigazione di soccorso (subirrigazione).

La concimazione di fondo È una concimazione che si effettua prima della messa a dimora delle barbatelle, ed è buona norma far precedere un’analisi del terreno a tale operazione. L’analisi permetterà di ottenere: • una descrizione dei differenti tipi di terreno riscontrati sull’appezzamento da destinare a vigneto; • i risultati analitici dei parametri del terreno (granulometria, proprietà fisiche e chimiche), misurati sui 2 profili campionati (0-40 cm e 40-80 cm) e il confronto di detti parametri con quelli dei livelli desiderati; • una valutazione della quantità di fosforo, potassio e magnesio da apportare al terreno come concimazione di fondo, nel caso di un disequilibrio minerale; • una valutazione della quantità di sostanza organica da apportare prima dell’impianto in caso di deficit; • un piano di concimazione poliennale e la scelta di ammendanti adatti per la correzione di anomalie

eventualmente presenti nel terreno destinato al vigneto (es. pH); • una scelta più oculata del portinnesto.

Densità d’impianto Ogni realtà ambientale e aziendale va attentamente valutata. A ogni forma di allevamento corrisponde un limite massimo di piante per ettaro oltre il quale non ci si deve spingere; ogni obiettivo qualitativo ha un suo equilibrio tra forma di allevamento e numero di ceppi per ettaro che non va scardinato; ogni area viticola ha delle condizioni pedologiche e climatiche (pioggia) che impongono certi limiti; ogni varietà ha un suo portamento vegetativo che deve esser attentamente considerato. Non esiste quindi una regola fissa, se non quella di una tendenza ormai assodata a un miglioramento qualitativo all’aumentare del numero di ceppi per ettaro, a patto però che la produzione per ettaro sia mantenuta costante e che la densità sia corretta. Così operando si avrà una riduzione del carico produttivo per ceppo con un conseguente miglior equilibrio all’interno della pianta. Si è già detto però che esiste un limite oltre il quale il numero di viti per ettaro diventa esagerato e la vigoria della pianta non più governabile. In linea generale per le condizioni medie della realtà ambientale del Veneto, le densità ottimali in funzione della forma d’allevamento, del parco macchine e dei vitigni utilizzati, sono sintetizzate in Tabella 5.1.

Tabella 5.1 – Densità ottimali in funzione della forma d’allevamento Forma di allevamento Cordone speronato Guyot Pergola Pergola trentina

Distanza tra le file Trattore frutteto Trattore standard 2,30-2,70 2,90-3,00 2,30-2,70 2,90-3,00 3,70-3,90 3,90-4,10 3,70-3,90 3,90-4,10

Distanza sulla fila Varietà vigorose Varietà deboli 1,00 0,80 0,90 0,70 1,00 0,70 1,00 0,60

Densità n° viti/ha 3.333-5.434 3.700-6.211 2.439-3.861 2.000-5.550


5. manuale d’uso del territorio

Forme di allevamento In sintesi, ovviando a una lunga e complessa trattazione, si riportano nella tabella sottostante alcune essenziali informazioni. Tabella 5.2 – Forme d’allevamento Forma di allevamento Cordone speronato Guyot Pergola Pergola trentina

Meccanizzazione Vendemmia Potatura sì sì no no

parziale no no parziale

Densità d’impianto alta alta medio-alta media

Propensione Vigoria della pianta Produzione Qualità bassa bassa media media

Cordone speronato Denominato anche “controspalliera”, è una forma di allevamento in rapida diffusione sia perché garantisce una buona costanza qualitativa sia perché offre la possibilità di una meccanizzazione elevata di molte operazioni colturali. Alla raccolta l’uva si presenta uniformemente matura permettendo di ottenere vini di grande struttura e carattere, adatti a un lungo invecchiamento. Da non utilizzarsi con varietà caratterizzate da scarsa fertilità delle gemme basali. Tra i pregi di questa forma di allevamento possiamo citare la semplicità della struttura portante che consente

bassa alta bassa alta alta media medio-alta medio-alta

Ambiente

Costo d’impianto

Fertilità

Dispon. idrica

medio-alto medio-alto alto alto

bassa bassa media medio-alta

medio-bassa medio-bassa media medio-alta

quindi costi di impianto relativamente bassi, la buona fittezza di impianto con produzioni equilibrate sul singolo ceppo, l’eliminazione totale delle legature dopo l’entrata in produzione del vigneto, la maggior regolarità vegeto-produttiva che avviene grazie alla potatura corta con una distribuzione della produzione più uniforme, le buone possibilità di meccanizzazione della potatura e della vendemmia, la buona esposizione fogliare al sole, e quindi la garanzia di una buona produttività, e il discreto ombreggiamento dei grappoli, aspetto importante per la maturazione in zone molto esposte. Tra i difetti c’è il rischio di eccessiva stimolazione della nuova vegetazione, particolarmente per le combinazioni d’innesto vigorose e sui terreni più fertili; la possibilità di esagerare con la carica di gemme in potatura, qualche rischio in più di marciumi del grappolo sui vitigni molto sensibili quando la vegetazione risulta più affastellata, la necessità di disporre di personale preparato per la potatura invernale e per il diradamento primaverile dei germogli pena l’irregolare distribuzione dei tralci (speroni) e dei grappoli lungo il cordone permanente, la non adattabilità a varietà con scarsa fertilità basale dei germogli. Figura 5.1 – Rappresentazione schematica del Cordone speronato

190

80-90

95


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5. manuale d’uso del territorio

Guyot È un sistema diffuso un po’ ovunque, pur con alcune differenze nella legatura, più o meno inclinata del tralcio di potatura (Guyot semplice e bilaterale, capovolto semplice e doppio, modificato) e della sua lunghezza. Comunemente denominato anche “sistema a spalliera”, si caratterizza sia per la semplicità della struttura che per la facilità delle potature. Tra i pregi indiscutibili di questa forma di allevamento la possibilità di ottenere adeguate fittezze d’impianto, l’ottima esposizione fogliare, la buona qualità della produzione; l’ormai diffusa meccanizzazione delle potature verdi e della vendemmia e il facile adattamento per tutte le varietà. Tra i difetti la necessità di rinnovare annualmente il tralcio di potatura con successiva legatura, i rischi d’eccessiva esposizione dei grappoli al sole con danni da scottature nelle estati più calde, la forte stimolazione dell’attività vegetativa in particolare negli ambienti più freschi e con combinazioni d’innesto vigorose con la conseguente necessità di potature verdi frequenti, la solo parziale meccanizzazione della potatura invernale, il basso rapporto tra legno vecchio e legno giovane e quindi una ridotta disponibilità di organi di riserva, importanti in particolare per gli zuccheri. Figura 5.2 – Rappresentazione schematica del Guyot

180

Le pergole trentine hanno il tetto inclinato verso l’alto (20°-30° dalla normale al palo verticale) e possono essere a unica ala (Pergole semplici) o a due ali (Pergole doppie); la prima è diffusa prevalentemente in collina, la seconda in pianura. La Pergola trentina necessita di una palificazione complessa e piuttosto onerosa. Oggi, vista la necessità di produrre “meno, ma meglio”, con la rarefazione della manodopera e con la tendenza all’aumento delle superfici medie aziendali, l’adozione delle pergole va limitandosi solo alle piccole aziende vitivinicole. Tra i pregi si sottolinea la facilità della gestione, in quanto la produzione è seguita molto attentamente ed è finalizzata a indirizzi di pregio come le uve da collocare in fruttaio per la vendemmia in due tempi, la buona qualità della produzione per ettaro, che risulta anche elevata grazie all’estesa fascia produttiva, il buon investimento di ceppi per ettaro, l’ottima esposizione fogliare qualora le operazioni di potatura verde siano ben applicate, la discreta resistenza alle malattie conseguenza del buon arieggiamento dei grappoli e della chioma e della facilità di difesa antiparassitaria, la maturazione regolare dei grappoli, quando sono adottate potature relativamente corte, con un buon rapporto tra legno vecchio e legno giovane. Tra i difetti si sottolinea il costo di impianto piuttosto elevato, la necessità di assistenza tecnica in fase di impianto e di formazione, la disponibilità di terreni abbastanza fertili e di combinazioni d’innesto sufficientemente vigorose e la necessità di adottare strutture molto resistenti per garantire una buona tenuta del vigneto nei terreni in pendio. Figura 5.3 – Rappresentazione schematica della Pergola

80-90

170

Pergola Molto diffusa nei vigneti veronesi e vicentini. L’impalcatura tradizionale è sostituita nei recenti impianti da una nuova struttura portante, dove però l’assenza di un ulteriore filo di sostegno esterno obbliga a cimature molto corte degli ultimi germogli e comunque a un ricadere della vegetazione.


5. manuale d’uso del territorio

Il recupero dei vitigni autoctoni Dai Lambruschi all’Enantio I tentativi di caratterizzazione oggettiva dei vitigni, al fine di giungere alla definizione di precisi fingerprint di riconoscimento, si sono concretizzati in questi anni attraverso i metodi dell’analisi biochimica e dell’analisi multivariata (Schneider, 1988). In particolare è stato utilizzato lo studio di alcune macromolecole strettamente legate al controllo genotipico, quali le proteine, e di alcuni composti del metabolismo secondario come le sostanze volatili, gli acidi fenolici e gli antociani (Hegnauer, 1961; Turner, 1969; Stace, 1980; Thorne, 1976, 1981; Cronquist, 1980; Kubitski, 1984). Nelle viti in particolare, il profilo antocianico è stato utilizzato ai fini tassonomici da Ribereay-Gayon et al. (1955), Singleton-Esau (1969), Di Stefano-Corinò (1984), Scienza et al. (1986), quello proteico da Schafer (1969), Drawert-Muller (1973), Wolfe (1976), Feiullat et al. (1979), Boselli et al. (1986), Cargnello et al. (1988), Bachmann (1989). I risultati raggiunti da queste ricerche possono, tra l’altro, essere utilizzati negli studi di filogenesi della vite, affrontati fino ad ora, con risultati modesti, attraverso gli strumenti dell’indagine storiografica (Roy-Chevrier, 1900) e ampelografica (Levadoux, 1856). Uno dei problemi ancora irrisolti riguarda l’origine dei vitigni coltivati e i rapporti di parentela genetica che questi presentano con le viti selvatiche. Secondo Levadoux (l.c.) i vitigni attualmente coltivati in Europa sono il risultato della pressione glaciale del Quaternario, operata verso le zone meridionali del continente. Si sono così formati due centri di diffusione della vite, uno mediterraneo, che ingloba le grandi penisole e le isole del Mediterraneo, l’Asia Minore e il Nord Africa, e l’altro caspico, che corrisponde alle regioni montuose comprese tra il Mar Nero e l’India (De Lattin, 1939). Questa ipotesi modifica in parte quella di Vavilov 1926 (1930) che ipotizzava un solo centro d’origine delle viti, localizzato nella zona del Mar Caspio. Da un punto di vista genetico i vitigni oggi coltivati hanno tratto origine della Vitis vinifera silvestris autoctona, dalla Vitis v. sativa di origine asiatica e da fenomeni di introgressione genica di quest’ultima nella Vitis v. silvestris (Rives, 1962). De Lattin (l.c.) distingue, infatti, una vite selvatica di tipo occidentale e mediterraneo, detta silvestre, e una vite selvatica di tipo armeno e sub-caspico, detta caucasica, dalla quale provengono gran parte dei vitigni oggi coltivati in Europa. Levadoux (1954) rifiuta peraltro la distinzione tra Vitis v. sativa e Vitis v. silvestris, da lui ritenute due tappe evolutive di una stessa specie, la Vitis vinifera, la cui evoluzione è iniziata prima in Grecia e nel sud dell’Italia per un’azione antropica più precoce e per le migliori condizioni ambientali.

Per lo stesso autore il Pinot nero, il Cabernet franc, il Riesling e tanti altri sono dei vitigni arcaici o vitigni lambruschi, esempi di una selezione fatta nella Francia settentrionale partendo da popolazioni selvatiche locali. Da questi tipi sono derivati altri vitigni che costituiscono i cosiddetti gruppi o famiglie geografiche (i Noriens, le Folles, i Cots, ecc.). In Italia e in diverse zone europee è stata attestata l’esistenza di popolazioni di vite selvatica: Longo (1921), Franchini (1935), Negri (1937), Scienza (1983; 1985; 1988) Anzani et al. (1989), Levadoux (l.c.) nei Bassi Pirenei, Schumann (1968; 1974) in Renania, Turkovic (1962) in Slovenia e Croazia, Jacop (1978) in Romania, Terpò (1976) nei Carpazi ungheresi, Alleweldt (1956) e Shumann (1977) in Turchia, Logothetis (1962) in Grecia, Negrul (1960) in Georgia e Armenia. Di viti selvatiche si parla peraltro già diffusamente nei testi antichi. Teofrasto chiama la vite selvatica Agria ampelos (IV-III sec. a.C.), analogamente a Dioscoride, medico greco del I secolo a.C., che usa lo stesso termine per distinguerla dalla Oenophoros ampelos, la vite coltivata. Virgilio nelle “Bucoliche” e Plinio il Vecchio nella sua “Naturalis historia” usano per primi il nome Lambrusca per denominare la vite selvatica. Altri autori usano questo termine, che secondo il Sereni (1981) è di origine paleo-ligure, per distinguere le viti selvatiche da quelle coltivate. Tra questi si possono citare Pier Crescenzi (1495), Soderini (1622), Villifranchi (1773), Mendola (1868), Incisa (1864), Di Rovasenda (1877). Che la Vitis v. silvestris sia di origine molto antica e appartenente alla flora spontanea europea e non sia, come qualcuno afferma, un’espressione delle viti selvatiche postcolturali o subspontanee, lo dimostra anche l’etimologia del termine labrusca (o lambrusca) che con la formante paleoligure in – sca o – usca e il sostrato mediterraneo lapis colloca la sua origine non solo in epoca prelatina ma addirittura anteriore alla colonizzazione etrusca e alla dominazione dei Celti. Tale vocabolo si ritrova, infatti, sia nelle parlate italiane, provenzali e francesi che nel catalano llambrusca e nel rumeno laurusca. Inoltre la presenza della Vitis v. silvestris è precedente a quella della Vitis v. sativa. Infatti i reperti di vinaccioli raccolti nelle palafitte e nelle terramare di alcune stazioni preistoriche italiane, risalenti all’età del bronzo, appartengono alla Vitis v. silvestris, mentre i semi della Vitis v. sativa compaiono più tardi, nel corso dell’età del ferro. Vi sono inoltre numerose diversità morfologiche e di comportamento che fanno escludere l’origine della Vitis v. silvestris dall’inselvaticamento della Vitis v. sativa, tra le quali la più nota è la dioicia. Particolare attenzione ai fini dell’apporto della vite selvatica al patrimonio viticolo attuale va riservata al valore semantico assunto da alcuni continuatori del termine la-

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brusca e cioè non più quello di vite selvatica ma invece di particolare varietà di vitigno coltivato con il nome di lambrusco. Non è facile risalire, in base alle attuali conoscenze, a quando è avvenuta la generalizzazione del termine lambrusco alle viti coltivate. Dalle rassegne bibliografiche della prima metà dell’800 appare che la coltura dei Lambruschi era confinata in un’area limitata ad alcuni settori del Piemonte (Crouet), della Lombardia (uà ssalvadega), del Veneto (oselina), dell’Emilia e della Toscana (abrostino, raverusto). Con questi termini si designavano un gruppo di vitigni, talvolta anche tra di loro molto diversi ma che avevano in comune la rusticità, il viraggio al rosso delle foglie in autunno, gli acini radi, più o meno piccoli ma molto colorati. I vini che originavano erano piuttosto aspri e le piante presentavano un portamento vegetativo che doveva essere assecondato da forme di allevamento espanse, come ad esempio quelle offerte dai tutori vivi (Sereni, l.c.). La prima distinzione tra i diversi Lambruschi è dell’Acerbi (e.c.). A conferma della genericità del termine lambrusco nella designazione di una varietà, si ricorda che Molon (1906) elenca e descrive 56 lambruschi, distinti tra loro per luogo di provenienza o di coltivazione, per persone o famiglie che ne avevano operato la domesticazione o per alcune caratteristiche del grappolo o delle foglie. L’origine geografica di questi Lambruschi è molto varia: Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia, Toscana. Sono considerati sinonimi di Lambrusco i termini: Ambrusca, Lambruschetta, Lambruscone, Abrostola, Lambruschino, Abrostine, Raverusti, Vaseline, Tirodola, Uva colore, Croetto, Grappelli, e così via. Nelle diverse raccolte ampelografiche alle quali aveva attinto il Molon (l.c.) non è mai citato però il Lambrusco a foglia frastagliata. Cosmo et al. (1952-1960) nella descrizione ampelografica di questo vitigno ipotizzano una sua origine emiliana, ma affermano anche che questa varietà non è mai stata riscontrata o coltivata in quella regione. Del Pero (1981) ritiene che questo vitigno fosse presente nei comuni di Avio e Ala fino dal 1800 con il nome di Lambrostega o Nostrana e che era apprezzato per la sua rusticità e resistenza ai freddi invernali. Dalla sua vinificazione si ottenevano dei vini rossi e rosati molto apprezzati anche all’estero, come dimostra l’esportazione verso l’Austria di 4.000-5.000 hl/anno, favorita dall’apertura del valico del Brennero ai trasporti per ferrovia, avvenuta nel 1865. La forma di allevamento di allora era la piantata con tutore vivo, tipica espressione di una viticoltura promiscua. Le prime analisi di mosti e di vini documentabili, risalenti al 1922, confermano le buone caratteristiche qualitative del vino di questo vitigno, riassumibili nelle gradazioni alcoliche elevate, accompagnate da una buona acidità e colore intenso.

Partendo da tali premesse è stata realizzata un’indagine per confrontare il Lambrusco a foglia frastagliata e alcuni vitigni scelti in base a criteri di carattere storiografico o per origine geografica (AA.VV., 1980) o per caratteristiche morfologiche. Da sottolineare che il confronto è avvenuto anche con viti selvatiche individuate sin dal 1984 sul lato destro e sinistro dell’Adige, nella valle dell’Aviana (Avio) e in loc. Vallarom (fra Masi e il Vò). I siti dove sono state localizzate le viti selvatiche sono compresi in una fascia altimetrica di 300-600 m. s.l.m.; la descrizione delle viti è riportata in Angari et al. (1989). I vitigni utilizzati per il confronto con il Lambrusco a foglia frastagliata sono stati i seguenti: Barbera, Cabrusina, Casetta, Ciliegiolo, Corvina, Demela, Dindarella, Groppello, Lagrein, Lambrusco di Alessandria, Lambrusco grasparossa, Lambrusco Maestri, Lambrusco Marani, Lambrusco Oliva, Lambrusco salamino, Lambrusco di Sorbara, Marzemino, Molinara, Moscato rosa, Nebbiolo, Negrara, Oseleta, Oselina, Pelara, Pormela, Quaiara, Rondinella, Rossara, Rosetta di montagna, Rossignola, Schiava gentile, Schiava grossa, Simesara, Teroldego, Trollinger. Il lavoro si è svolto attraverso indagini fillometriche e carpologiche, analisi del profilo antocianico e l’analisi del profilo elettroforetico delle proteine dell’endosperma di vinacciolo; indagini che per brevità non sono riportate. Le tecniche di riconoscimento e di classificazione varietale, riconducibili all’ampelografia descrittiva e all’analisi biochimica sono apparse molto efficaci per studiare il grado di similarità tra i vitigni indagati. L’analisi della varianza applicata a 13 indici fillometrici e carpologici ha consentito una buona differenziazione tra i vitigni. Gli indici più importanti sono risultati essere la dimensione della foglia, la lobatura, l’ampiezza del seno peziolare (coefficiente d’allungamento inferiore) e il rapporto larghezza/lunghezza. Attraverso l’analisi discriminante si è potuto così classificare correttamente il 97% delle foglie nell’attribuzione ai rispettivi vitigni. In particolare hanno presentato indici fillometrici molto caratteristici il Lambrusco a foglia frastagliata, il Lambrusco grasparossa e la Rondinella. Per la morfologia fogliare il Lambrusco a foglia frastagliata e il Lambrusco grasparossa si differenziano notevolmente dagli altri Lambruschi. Il primo per il parametro “lobatura” e il secondo per il parametro “forma”. L’analisi a grappolo ha suddiviso i vitigni considerati in due gruppi, in base alla forma e alla lobatura delle foglie. Manifestano un elevato grado di similarità per quanto riguarda la forma della foglia le viti selvatiche, il Groppello, la Rondinella da una parte e dall’altra i Lambruschi e il Ciliegiolo, mentre per la lobatura il Lambrusco a foglia frastagliata e la Rondinella rispettivamente nei confronti del Nebbiolo, Groppello e le viti selvatiche del Nord


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Italia e i Lambruschi, il Ciliegiolo e la vite selvatica del Centro e del Sud Italia. Analogamente si è potuto suddividere i vitigni identificati in quattro gruppi principali attraverso la morfologia dei vinaccioli. La coppia più simile per i caratteri “larghezza” e rapporto “lunghezza/ larghezza” sono apparsi il Teroldego e il Ciliegiolo, mentre all’interno del gruppo dei Lambruschi la forma del seme ha evidenziato una notevole eterogeneità. I metodi biochimici (analisi del profilo antocianico delle bucce ed elettroforetico delle proteine) applicati su una popolazione di vitigni più ampia e non sempre coincidente con quella utilizzata per le misure fillometriche e carpometriche, hanno evidenziatola peculiarità del comportamento del Lambrusco a foglia frastagliata nei confronti sia dei Lambruschi emiliani che dei vitigni trentini (Marzemino, Teroldego, Lagrein), che invece sono compresi in un unico raggruppamento veneto-padano. Appare invece evidente la somiglianza di questo vitigno della Vallagarina con alcuni vecchi vitigni veronesi quale la Rossetta di montagna e la Forcellina, reperiti nella Valle dell’Adige in località molto vicine geograficamente al Basso Trentino, quali Rivoli Veronese, Affi, Cavaion. Una buona analogia, inoltre, è stata verificata con le analisi delle sequenze enzimatiche tra il Lambrusco a foglia frastagliata, la Dindarella, la Rondinella e le viti selvatiche trovate ad Avio. Sebbene non sia stato facile trarre delle conclusioni definitive su un argomento di grande complessità qual è quello della filogenesi, attraverso gradi di approssimazione al problema crescenti, passando dall’indagine fillo-carpometrica a quella biochimica, è possibile evidenziare una notevole coincidenza nei risultati ottenuti dai diversi metodi di indagine, relativamente alla non appartenenza del Lambrusco a foglia frastagliata al gruppo dei Lambruschi emiliani, ai quali invece appaiono molto simili altri vitigni trentini quali il Marzemino, il Teroldego e Lagrein. Per contro una grande analogia sia morfologica che biochimica presenta il Lambrusco a foglia frastagliata con alcuni vecchi vitigni veronesi, non più in coltura e con le viti selvatiche trovate allo stato spontaneo nei dintorni di Avio. Ciò consente di affermare che il Lambrusco a foglia frastagliata è verosimilmente un vitigno autoctono della Bassa Valle dell’Adige e appartiene geneticamente a un gruppo di vitigni originari delle morene glaciali che si trovano a cavallo della depressione del Lago di Garda e del solco vallivo dell’Adige, con forti legami filogenetici con le viti selvatiche nella Valle dell’Aviana e del Vallarom, nel comune di Avio. Nessun grado di parentela è invece dimostrabile con i Lambruschi emiliani e con gli altri vitigni trentini saggiati, quali il Teroldego, il Lagrein e il Marzemino. La ricerca esposta chiarisce in maniera inequivocabile che il Lambrusco a foglia frastagliata non è ascrivibile

alla famiglia dei Lambruschi emiliani, ma che invece è senza dubbio un vitigno autoctono della Vallagarina. Lo studio ha quindi permesso, nel 1992, di cambiare il nome di questa preistorica varietà. Ma allora come si è arrivati al termine Enantio? Le ricerche storiche ci dicono che già Dioscoride cita l’Oenanthè, cioè una pianta di vite da fiore; si trattava della Vitis silvestris a fiori maschili e quindi non produttiva. Plinio, storico romano del I° secolo d.C., chiarì che esisteva anche l’Oenanthè fert o Vocatur oenanthium a fiori femminili e perciò fertili, uviferi. Nella sua “Naturalis historia” parlando di viti selvatiche e coltivate, scriveva: “Labrusca hoc est vite silvestris, quod vocatur oenanthium”, ovvero una vite selvatica chiamata Enantio. Bacci, nella sua “Storia naturale dei vini”, edita a Roma nel 1560 (vol. VI), parlando dei vini ottenuti in Vallagarina, affermava che in queste terre veniva prodotta l’uva lambrusca, dalla quale derivano i vini enantini. Di qui, quindi, l’idea di ribattezzare il nostro vitigno autoctono per eccellenza con il nome di Enantio.

La sperimentazione sul vitigno Casetta Nel 1990 è stato attivato un programma di lavoro con il coinvolgimento dell’Assessorato all’Agricoltura della Provincia di Trento, dell’ex E.S.A.T. e dell’Istituto Agrario di S. Michele all’Adige, finalizzato all’individuazione sul territorio provinciale delle vecchie varietà di vite ancora coltivate in piccoli appezzamenti. L’obiettivo era di salvaguardare quanto di valido era presente nel patrimonio genetico vitivinicolo trentino, allo scopo di evitare pericolose erosioni genetiche che avrebbero potuto ridurre la piattaforma ampelografica trentina a una monocoltura. Tra le cultivar locali più famose vanno ricordate per prime la Nosiola, il Teroldego, il Marzemino e l’Enantio o Lambrusco a foglia frastagliata. Successivamente, tra le varietà con minor diffusione da recuperare fu introdotta la Casetta. L’età media degli impianti di Casetta in Vallagarina è di 55 anni. Piccoli vigneti sono ancora rintracciabili a Volano, Arco e Marco per un totale di quasi 12 ettari (di Casetta) sparsi in tutta la Vallagarina. Inoltre circa 10 ettari sono presenti nell’alto veronese. I 12 ettari presenti in Vallagarina appartengono soprattutto a conferitori di cantine sociali e solo le uve dell’azienda “La Cadalora” sono vinificate e imbottigliate direttamente. I 10 ettari presenti nell’alto veronese sono tutti di proprietà dell’azienda “Armani Albino”; di questi più di metà hanno età inferiore ai 7 anni e tuttora l’azienda sta investendo nuove superfici su questo vitigno. Con il nome “Foja Tonda”, sinonimo riconosciuto anche ufficialmente per la varietà Casetta, l’azienda di Albino Armani vinifica e imbottiglia l’intera produzione aziendale, divenendone da anni il maggior produttore. Nel 2007, in accordo con l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige della Fondazione “E. Mach”, è stato

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realizzato un nuovo vigneto nel quale confrontare per più anni, sia in campo che in cantina, diverse decine di biotipi, provenienti da alcuni vigneti quasi secolari della Vallagarina, in particolare dai comuni di Ala e di Avio. Su queste vecchie viti si sono valutati l’aspetto sanitario, il portamento vegetativo, la conformazione dei grappoli e le loro caratteristiche produttive, in primis la sanità, la colorazione delle bucce, l’equilibrio zuccheri-acidi e la dotazione in polifenoli. Dopo attenta selezione morfologica e sanitaria, i biotipi potenziali sono stati identificati nell’ottantenne vigneto Tomasi, in località Marani, comune di Ala, posizionato sui conoidi della Valle di San Valentino, con 35 candidati fra i 79 ceppi sottoposti al controllo sanitario; nel vigneto di Alfonso, in località Sgardaiolo, di Santa Margherita di Ala, con 7 ceppi individuati sui 13 controllati; nel vigneto di Marco, in località Lavini, a Marco di Rovereto, con 16 ceppi sui 26 controllati. Infine, si sono ricontrollati i vecchi vigneti di Foja Tonda di Albino Armani, con 9 biotipi selezionati tra i circa 60 evidenziati. Conclusi i test sanitari, nel gennaio 2008 da tutti i 67 ceppi selezionati nei vari vigneti sono stati prelevati i tralci e affidati a un vivaista di fiducia per produrre le barbatelle innestate sul portinnesto 161-49, sotto il controllo dei ricercatori dell’Istituto. Dopo l’anno trascorso in vivaio e a seguito di un’attenta selezione, nel marzo 2009 le giovani piantine, in numero sufficiente rispetto al protocollo scientifico, per un totale di circa un migliaio di viti, sono state messe a dimora lungo i 16 filari situati su uno dei terreni più adatti, all’interno dell’azienda di Albino Armani a Dolcè. Dopo due anni in cui le giovani viti verranno seguite attentamente al fine di ottenere un buon sviluppo, con la vendemmia 2011 si avrà il primo raccolto. Da quell’anno e per ulteriori due anni, verranno controllati uno a uno i ceppi presenti, sia a livello vegetoproduttivo che sanitario e in vendemmia verranno controllate le singole produzioni, compresi il numero dei grappoli per ceppo, il loro peso, le caratteristiche viticole e quelle enologiche tramite le microvinificazioni che saranno impostate presso l’Istituto agrario di San Michele all’Adige. Un panel di esperti provvederà alle successive degustazioni e solo tra 6-7 anni si potrà avviare la moltiplica-

zione dei biotipi migliori (presunti cloni), in attesa che venga ultimata l’elaborazione dei dati e possa essere presentata al Comitato ministeriale la richiesta d’iscrizione al Catalogo Nazionale delle varietà e dei cloni in viticoltura. La selezione clonale Per poter iscrivere la varietà Casetta nel catalogo dei vitigni autorizzati è inoltre stato “spezzettato” il suo DNA, quindi ogni “pezzetto”, chiamato microsatellite, è stato confrontato con altri microsatelliti appartenenti ad altre varietà. Tutto ciò è stato fatto per assicurarsi che la Casetta fosse un vitigno a sé stante. Come risulta dal confronto con varietà per possibili omonimie, in tabella 5.3 si nota che le varietà che compaiono nelle prime 4 righe sono perfettamente uguali, mentre le varietà che compaiono nelle ultime tre righe sono diverse dalla Casetta ma mostrano una certa somiglianza tra loro. Il vitigno Casetta è stato iscritto nella lista delle varietà di vite (decreto ministeriale n. 32011 del 6 dicembre 2000), l’atto compare sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n.165 del 16 luglio 2002, il codice numerico del vitigno (CASETTA N.) è il 369. Caratteristiche del vitigno Il vitigno Casetta ha una buona affinità con i più comuni portinnesti. Il portainnesto dipende da molteplici fattori, tuttavia negli impianti più recenti, destinati a produrre solo uve Casetta di qualità, la scelta è ricaduta tra Kober 5bb, 3309 e 161-49. Alcuni ceppi di Casetta posti sulle sponde dell’Adige sono franchi di piede, dando delle uve di eccellente qualità. Il vitigno è di buona vigoria con germogliamento precoce, acino piccolo con buccia di medio spessore e di colore blu-nero. Presenta grappolo medio-piccolo, generalmente alto, leggermente spargolo, buona produzione e media resistenza alla botrite. La maturazione fisiologica si situa in terza epoca (vedi Merlot); possiede una buona capacità d’accumulo di zuccheri pur conservando valori di acidità medio-elevati, ottima presenza di materia colorante nella buccia. Sopporta bene i freddi invernali e mostra una buona resistenza alla peronospora e all’oidio. Preferisce terreni di collina di media fertilità, ma si adatta molto bene anche

Tabella 5.3 – Profilo dei microsatelliti nei genomi di alcune accessioni del vitigno Casetta utilizzati come marcatori molecolari per l’identificazione varietale Cultivar Casetta (Valla) Casetta Casetta (fila 22) Casetta (fila 14) Enantio Lambrusco Oseleta

VV 129 129 129 129 131 131 146

S2 152 152 152 152 148 148 148

VV 168 168 168 168 168 166 197

S4 173 173 173 173 171 197 206

VV 197 197 197 197 197 206 237

MD 206 206 206 206 206 231 254

6 245 245 245 245 245 260 112

VV 247 247 247 247 260

MD 155 155 155 155 117

7 166 166 166 166 120

120

225

227

VrZAG47 Vmc4D9 Vmc4F8 120 229 244 120 229 244 120 229 244 120 229 244 223 237


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in quelli meno dotati. Analizzando ripetutamente tutti gli aspetti viticoli e agronomici di questo vitigno, si può affermare che le forme di allevamento da prediligere sono Spalliera e Guyot piuttosto che Cordone speronato, a causa della buona fertilità basale. Non vanno escluse però Pergole semplici e Pergole doppie impalcate molto basse. Nelle aziende “Albino Armani” e “La Cadalora” sono state attuate due forme di allevamento molto precise, il Guyot impalcato a 70 cm da terra con sesti di 2,30 x 0,80 m e la Pergola semplice trentina verticalizzata, impalcata a 120-130 cm da terra con sesti di 3,50 x 0,60 m. La carica gemmaria è distribuita in entrambi i casi su un solo capo a frutto e non supera mai le 12 gemme. I risultati ottenuti in passato sono stati molto più deludenti per il fatto che gli investimenti negli impianti, in termini di densità, erano molto bassi, mentre la carica gemmaria era molto alta dato che il prodotto conferito era destinato sostanzialmente alla produzione di rossissimo, ovvero vino da taglio utilizzato per dare colore ad altri vini. Una nota di demerito a questo vitigno va fatta sulla potatura, infatti si dice che sia una vite “ingarbugliata”, che presenta cioè uno spiccato comportamento lianoso, una caratteristica attribuibile anche ai vecchi sistemi di potatura non sempre corretti. Le forme di allevamento ipotizzabili in base alle esigenze del vitigno, dell’azienda media trentina e di una possibile futura meccanizzazione, sono le seguenti: - Guyot: sesti d’impianto di 2,20-2,30 x 0,80-0,90 m; densità d’impianto di 5.000-5.500 piante/ha; - Pergola trentina semplice: altezza di impalcatura di 1,20-1,30 m; sesti d’impianto di 3,50 x 0,60-0,65 m; densità d’impianto di 4.300-4.500 piante/ha. Sensibilità alle malattie Elaborando i dati rintracciati nei vigneti sperimentali dall’Istituto Agrario di S. Michele all’Adige si può affermare che il vitigno Casetta è mediamente sensibile all’attacco di Botrytis perché presenta un grappolo di media compattezza e uno spessore della buccia non elevato. Questi due fattori incidono molto sulla sanità dei grappoli: la compattezza del grappolo determina una maggiore vicinanza tra gli acini e quindi un più facile passaggio del fungo. Un altro motivo ricollegabile alla compattezza del grappolo è l’impossibilità dello stesso di eliminare dall’interno i residui fiorali, ed è su di essi

che si instaura la Botrytis creando una fonte di inoculo pericolosa per gli attacchi in fioritura e le successive fasi fenologiche. La sensibilità della Casetta alla botrite può inoltre aumentare se messo in condizioni ambientali sfavorevoli, come terreni fertili, innestato su portainnesti vigorosi e zone molto umide. Viste le sue caratteristiche si può anche affermare che questo vitigno è poco sensibile alla peronospora e all’oidio, a causa della sua rusticità. Metodi di vinificazione Negli anni ’60 le due cantine che vinificavano più Casetta erano la Cantina Sociale di Ala e la Cantina Sociale di Serravalle all’Adige. L’uva era destinata alla produzione di rossissimo, utilizzato per dare colore a vini dell’alto veronese o alle schiave di Caldaro. Queste due cantine utilizzavano dei vinificatori in continuo particolari progettati dalla ditta De Franceschi appositamente per la produzione di rossissimo. Lo schema operativo prevedeva le seguenti fasi: • il pigiato veniva solfitato con dosi altissime per facilitare l’estrazione di colore, poiché la solforosa agiva sugli antociani della buccia; • successivamente si versava il pigiato in una vasca di cemento armato, dove veniva continuamente rimontato sulle vinacce seguendo un percorso tortuoso e angusto, in questo modo si aumentava il contatto tra bucce e mosto, ma allo stesso tempo si maltrattava il prodotto, la fermentazione iniziava a fine dicembre; • a metà febbraio veniva svinato e venduto a cantine del veronese che lo utilizzavano come “colorante” nei vini rossi poveri di colore. Attualmente tale metodo di vinificazione appare assolutamente superato. Considerando la ricchezza in tannini che la varietà Casetta possiede, bisogna anzitutto ricercare nel vigneto la più completa maturazione, al fine di evitare la vinificazione di uve poco mature che produrrebbero vini squilibrati, i quali resterebbero tali anche in fase di invecchiamento. Se le condizioni climatiche lo consentissero, sarebbe addirittura auspicabile una certa surmaturazione con un leggero appassimento sulla pianta. In cantina, l’uva va diraspata, pigiata e messa nelle vasche di fermentazione a temperatura ambiente. La vinificazione viene effettuata con alcuni rimontaggi soffici nelle prima fase di fermentazione, mantenendo la temperatura tra i 25 e i 30 °C, fino al raggiungimento di 5° alcol. Questo accorgimento permette di estrarre elevate quantità di sostanze coloranti, in particolare di antociani policondensati, di cui la varietà è molto dotata, senza danneggiare eccessivamente le bucce. Successivamente viene effettuato un solo rimontaggio ogni 1-2 giorni e contemporaneamente si abbassa la temperatura di fermentazione a 20-25 °C. Appena si sono esauriti gli zuccheri, si procede alla svinatura e alla pressatura, mantenendo tassativamente separati il vino fiore dal torchiato.

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CaSETTA Origine Conosciuto anche con il nome di Lambrusco a Foglia Tonda, questa cultivar è presente da moltissimo tempo nella parte meridionale della Vallagarina. Il nome Casetta sembra derivi dal soprannome di una famiglia della località Marani (Comune di Avio), per questo il vitigno è anche conosciuto col sinonimo di Maranela. Rispetto all’Enantio a cui è stato nel passato associato, il Casetta presenta differenze sostanziali suffragate da analisi ad hoc e infatti è iscritto nel registro nazionale delle varietà di vite con atto esposto nella Gazzetta Ufficiale del 16 luglio 2002. Caratteristiche ampelografiche • apice del germoglio: a portamento semieretto, forma dell’estremità aperta, di colore verde e priva di peli striscianti; • germoglio: con internodi verdi, le gemme presentano una leggera pigmentazione antocianica; • foglia: media, pentagonale, quinquelobata, di colore verde medio senza collosità sulla pagina superiore; seno peziolare aperto a U, quelli laterali aperti; • grappolo: di dimensioni medie, conico, alato e spargolo; • acino: medio, ellittico con buccia media-sottile, colore dell’epidermide blu-nero, sapore neutro. Caratteristiche fenologiche e produttive La fenologia presenta un’epoca di germogliamento precoce, una precocissima fioritura e medie sono l’invaiatura e la maturazione. Manifesta una buona vigoria, un basso peso medio del grappolo (120-160 g) e una fertilità di 2 grappoli per germoglio. Si giova di terreni ben drenati, in posizioni collinari ben esposte e ventilate. Presenta buona tolleranza alla peronospora e all’oidio, mentre appare più sensibile alla botrite. Il vino prodotto presenta colore rosso rubino intenso, di buon corpo e tannicità, ricco in acidità e alcol; si giova di un opportuno invecchiamento quando le note più verdi e fruttate vengono sostituite da aromi speziati e complessi. Il tenore acidico rimane buono anche quando gli andamenti stagionali e le tecniche di gestione tendono a diminuirne la produzione. Presenta un quadro fenolico ricco ed equilibrato. Selezione clonale Attualmente non sono disponibili cloni già omologati per questo vitigno. Tuttavia, oltre al mantenimento dei vecchissimi vigneti allevati a pergola, nel corso degli anni ‘90 si è attuata, soprattutto dall’azienda di Albino Armani a Dolcè, un’attenta e pluriennale selezione massale, col recupero di numerosi biotipi che ora stanno fornendo risultati produttivi molto interessanti nei moderni vigneti allevati a spalliera e posizionati nelle aree più vocate della Valdadige.


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CHARDONNAY Origine È originario della Borgogna (Francia). Non si sa con esattezza quando sia giunto in Italia, in quanto fino al 1978 (data di iscrizione al Registro Nazionale delle Varietà) veniva confuso con il Pinot bianco, dal quale peraltro veniva distinto dai viticoltori con il nome di Pinot giallo. Recenti analisi molecolari hanno accertato che si tratta di un incrocio di Pinot n. per Gouais. Caratteristiche ampelografiche • portamento: eretto; • apice del germoglio: giallo bronzato, poco tomentoso; • foglia: media, orbicolare quasi intera, leggermente bollosa, poco tomentosa; seno peziolare a V poco aperto con nervatura che limita il bordo; • grappolo: medio (100-170 g), piramidale, con un accenno di ala, abbastanza compatto; • acino: medio, giallo dorato, con buccia tenera e polpa succosa. Caratteristiche fenologiche e produttive Il germogliamento è precoce, come pure il momento della maturazione. È un vitigno di grande adattabilità ambientale, di buona vigoria e di produttività regolare e abbondante (ottima fertilità delle gemme). È sensibile alle gelate primaverili, alla flavescenza dorata, a botrite, marciume acido e oidio; mediamente sensibile alla peronospora. Selezione clonale Esistono numerosi cloni omologati sia italiani che francesi e qualcuno tedesco. È importante distinguere quelli più adatti a produrre vini tranquilli, più o meno aromatici e più o meno adatti alla barrique, da quelli da utilizzare come base spumante. I più interessanti sono qui di seguito riportati. Cloni omologati Clone

Fertilità

Peso del grappolo

Produttività

Zuccheri

Sma 130

M-E

M-E

E

M

Sma 108

E

B

M

E

Stwa 95-350

E

M-B

M

E

Stwa 95-355

E

M-B

M

E

R8

B

M

M

E

Vcr 10

B

B

B

E

Vcr 11

M-B

B

B

E

Vcr 6

M

M

M

M-E

76

M

B

M

E

95

M

M

M-E

96

M

M-E

E

B

Attitudine enologica Vino con buona acidità e profilo aromatico medio, sia per base spumante che per vini fermi Ottima struttura e buoquet ricco adatto a vini tranquilli Sentori varietali, buona struttura, per vini da affinamento Elevata struttura, intensi sentori varietali, per vini fermi d’affinamento Ottima struttura e acidità, fruttato, per medio-lungo affinamento Aroma fine e delicato, ottima acidità e struttura Fine e elegante, di struttura, acidità sostenuta, per vini fermi Sentori fruttati, di buona acidità per vini fermi e basi spumante Adatto a un breve invecchiamento o vini d’annata Adatto a un breve invecchiamento o vini d’annata Adatto a basi spumante

Sensibilità alla Botrite

Note

S

Clone ubiquitario

T M M T T T M-T

In miscela conferisce finezza In miscela conferisce complessità aromatica In miscela conferisce complessità aromatica Bene in miscela sia per vini fermi che per basi spumante Bene sia per vini fermi che per basi spumante Adatto all’affinamento in legno, ottimo in miscela con R8 Ottimo in miscela con Vcr 10

M-T

Legenda: M = medio-media; B = basso-bassa; E = elevato-elevata; S = sensibile; MS = mediamente sensibile; T = tollerante

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Corvina Origine È il classico vitigno autoctono della Valpolicella e del Bardolino. Non si conoscono le sue origini, che sono comunque antiche: le prime notizie sulla sua coltivazione in Valpolicella risalgono al 1824 a opera del Pollini. Caratteristiche ampelografiche • portamento: semieretto; • apice del germoglio: biancastro, con leggere sfumature bronzate; • foglia: media, pentalobata, con seno peziolare a lira o a U leggermente aperto; pagina inferiore aracnoidea; • grappolo: medio (200-250 g), cilindrico-piramidale, alato e compatto; • acino: di dimensioni medie, elissoideo; buccia spessa e consistente, blu-nera, pruinosa. Caratteristiche fenologiche e produttive La Corvina veronese è una varietà a germogliamento medio e maturazione medio-tardiva, di buona vigoria e buona e costante produttività legata a una buona fertilità delle gemme e a un peso medio del grappolo abbastanza consistente. Ha una buona resistenza al freddo invernale; è sensibile alla peronospora, botrite, oidio e marciume acido. Predilige potature lunghe nelle diverse forme di allevamento. Selezione clonale In considerazione delle antiche origini, le popolazioni di Corvina sono dotate di una elevata variabilità che ha consentito di effettuare un’efficace opera di selezione clonale individuando tipi con caratteristiche morfologiche e produttive abbastanza diverse. Cloni omologati Fertilità

Peso del grappolo

Produttività

Zuccheri

Attitudine enologica

Sensibilità alla Botrite

M-E

M

M

M

Vini tipici, buon colore e aromaticità

T

ISV CV 7

M

M

M

E

Vini tipici varietali

M-T

ISV CV 48

M-B

B

M-B

E

Adatto all’appassimento

T

ISV CV 78

M

M

M

M-E

ISV CV 146

M

M

M-E

M

ISV CV 13

E

B

M

E

VCR 446

M-B

B

B

E

Vini strutturati, ricco patrimonio antocianico

T

VCR 448

E

M

M

M

Vini tipici varietali

T

Clone Rauscedo 6

Adatto al breve-medio invecchiamento Adatto al breve-medio invecchiamento Vini tipici varietali, novelli o per breve invecchiamento

Note

Appartenente al gruppo Corvina media Appartenente al gruppo della Corvina piccola o gentile

M M T

Appartenente al gruppo Corvina media Ottima base per miscele adatte all’affinamento Indicato in miscela con i cloni VCR

Legenda: M = medio-media; B = basso-bassa; E = elevato-elevata; S = sensibile; MS = mediamente sensibile; T = tollerante


5. manuale d’uso del territorio

Enantio Origine La sua zona di diffusione risulta compresa tra Ala (Trentino) e la chiusa di Rivoli (Veneto) e nella Vallagarina. L’origine maggiormente accreditata pare sia dovuta alla domesticazione di viti selvatiche delle morene tra il solco dell’Adige e le colline del basso Garda. Il Lambrusco a foglia frastagliata, l’altro nome con cui è maggiormente conosciuto, è stato distinto geneticamente dai lambruschi emiliani e quindi dichiarato come autoctono della zona oggetto di studio. Caratteristiche ampelografiche • apice del germoglio: espanso, aracnoide, di colore verde biancastro con orli rosati; • foglia: ha dimensioni medio-grandi, pentagonale, quinquelobata, di colore verde medio privo di collosità sulla pagina superiore; il seno peziolare è aperto a V, quelli laterali risultano anch’essi aperti ma a U; • grappolo: medio, allungato, piramidale di media compattezza, mono o bi alato; • acino: medio obovoide, buccia blu-nera, sottile e coriacea, molto pruinosa e di sapore neutro. Caratteristiche fenologiche e produttive Presenta produttività buona e costante, abbastanza tollerante alla botrite. La sua fenologia presenta germogliamento e fioritura molto precoci, media è l’invaiatura e tardiva la maturazione. I vini ottenuti da questa cultivar hanno colore rosso rubino intenso, sono asciutti, con una buona acidità, tannino medio, con nota leggermente erbacea. In passato veniva utilizzato principalmente per i tagli, al fine di conferire colore e acidità, e per la produzione di vini rosati; ora, attraverso l’affinamento di tecniche di vinificazione più appropriate, si ottiene un vino rosso da invecchiamento manifestando carattere di vino superiore in cui le note speziate risultano molto intense. Selezione clonale In commercio per questa varietà si trova un solo clone, lo Sma-Isv 317, che presenta le seguenti caratteristiche: fertilità media, peso del grappolo inferiore alla media verietale, produttività nella media, come pure medio risulta il contenuto zuccherino e quello in materie fenoliche. Atto alla produzione di vini corposi dalle caratteristiche organolettiche tipiche varietali. Inoltre, da alcuni anni è stato impostato, a cura dell’Associazione Florovivaisti di Verona, in collaborazione con l’Assessorato Provinciale all’Agricoltura, un vigneto di confronto tra numerosi biotipi di Enantio, a Buttapietra (VR). Dal 2009 il C.R.A. di Conegliano è stato incaricato per il rilevamento dei dati viticoli e sanitari, mentre le microvinificazioni sono demandate al Centro Sperimentale per la viticoltura di San Floriano della Valpolicella (VR). Entro alcuni anni si potrà pertanto disporre di nuovi cloni anche per l’Enantio, così come per la Corvina, la Rondinella, il Corvinone e altri vitigni veronesi compresi nello stesso progetto di ricerca.

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5. manuale d’uso del territorio

Gewürtztraminer (Traminer aromatico) Origine Pareri discordi si scontrano sull’origine di questa cultivar: Goethe, ampelografo tedesco (1876), la identifica in Tramin nel Tirolo, l’attuale Termeno in provincia di Bolzano; il Di Rovesenda (1877) e il Galet (1990) considerano il Traminer come originario dell’Alsazia, del Palatinato e del Wertemberg, in cui la coltura risale al XVI secolo. Bronner nel 1857 identifica sul Reno delle viti selvatiche che richiamano in modo molto fedele la morfologia del Traminer. Attualmente sono riconoscibili due tipologie fondamentali di Traminer non distinguibili dal punto di vista ampelografico. Il Traminer aromatico o Gewürtztraminer presenta una minore produzione e un sapore dell’uva più marcato del Traminer rosso che è più produttivo e dal sapore neutro. Caratteristiche ampelografiche • apice del germoglio: espanso, lanuginoso, verde biancastro con bordi carminati; • foglia: piccola, pentagonale, tondeggiante, trilobata più che quinquelobata; seno peziolare a V chiuso, seni laterali superiori a U, inferiori a V aperti o a U; lembo con profilo a gronda, con superficie bollosa, lobi rivolti verso il basso; pagina inferiore grigio verde lanuginosa, nervature rosse alla base, denti poco pronunciati, convessi a base larga; • grappolo: piccolo, tozzo, tronco-conico, a volte alato (1 o 2), compatto; • acino: medio, leggermente allungato, con buccia pruinosa, spessa e consistente, colore ambrato rosato; polpa aromatica che richiama la rosa. Caratteristiche fenologiche e produttive Presenta germogliamento precoce, fioritura media, invaiatura media, maturazione media. Mediamente vigoroso, il peso medio del grappolo è basso (60-160 g), con fertilità delle gemme di 2-3; si adatta alle zone collinari, anche alte, in pianura su terreni sassosi o molto sciolti ma non calcarei; utili potature medio-lunghe ma occorre porre attenzione all’affastellamento; sopporta bene le gelate invernali, discretamente tollerante alle malattie crittogamiche, molto sensibile all’acinellatura e all’arricciamento così come alla clorosi ferrica. Selezione clonale Presenta un’elevata variabilità intravarietale, legata alle caratteristiche cromatiche e aromatiche. Cloni omologati Fertilità

Peso del grappolo

Produttività

Zuccheri

Attitudine enologica

Isma 916

M-E

E

E

M-E

Struttura, acidità, poco aroma

Isma 918

M-E

E

E

M

Elevata tipicità e aromaticità

Lb 14

M-B

B

B

E

Lb 20

M

B

M

E

R1

M-E

B

M

E

Vcr 6

M-E

M-E

E

E

47 48 643 1075 1076 1077 1078 1079 46-106

M M M-E M M M M M M

M M-E M-E M B M M M M

M M-B E M B M M-E M B

M B M-B M E M-E M M E

Clone

Vini complessi, molto aromatici e di corpo Vini lievemente aromatici, speziati, di corpo Profumi di rosa, buona struttura e acidità Intense note di rosa passita, ottima struttura

Note Conferisce tipicità e complessità alle miscele Conferisce aromaticità alle miscele Ottima base per le miscele

Adatto a vini di pronta beva Apprezzato in degustazione

Vino tipico varietale Vino tipico varietale Apprezzato in degustazione Apprezzato in degustazione Apprezzato in degustazione Apprezzato in degustazione Apprezzato in degustazione Integrativo per vini di alta qualità

Legenda: M = medio-media; B = basso-bassa; E = elevato-elevata; S = sensibile; MS = mediamente sensibile; T = tollerante


5. manuale d’uso del territorio

Manzoni bIANCO (Incrocio Manzoni 6.0.13) Origine Costituito dal Prof. Manzoni agli inizi degli anni ’30 presso l’Istituto di Conegliano Veneto. Ottenuto dall’incrocio tra il Riesling Renano e il Pinot bianco, si è inizialmente affermato nella provincia di Treviso e in Friuli per poi approdare con ottimi risultati negli anni ’60 in Trentino e in seguito nel resto della penisola dove, soprattutto nel mezzogiorno, è stato molto apprezzato per il controllo dell’acidità e per l’aroma. Caratteristiche ampelografiche • apice del germoglio: semi-aperto, aracnoideo, leggermente carminato; • foglia: da media a medio-piccola, pentagonale, quinquelobata; seno peziolare a V chiuso, a volte con lobi sovrapposti; seni laterali superiori profondi, a U, chiusi con bordi sovrapposti, seni laterali inferiori chiusi; lembo spesso, bolloso, con profilo a gronda; nervature rosso violacee alla base su entrambe le pagine; tomento sublanuginoso, nella pagina inferiore; denti molto corti a lati convessi; • grappolo: piccolo, conico o cilindrico, spesso alato, mediamente compatto; • acino: medio-piccolo, sferico, di colore giallognolo, buccia mediamente pruinosa, spessa, piuttosto consistente, sapore leggermente aromatico. Caratteristiche fenologiche e produttive Presenta germogliamento medio, fioritura precoce, invaiatura medio-precoce, maturazione medio-precoce; mediamente vigoroso, peso medio del grappolo basso (80-150g) con fertilità delle gemme di 1-2. Vitigno dalle produzioni contenute, dalle notevoli capacità d’adattamento a climi e tipologie di suolo differenti, prediligendo comunque terreni collinari, non compatti e fertili. Presenta buona tolleranza alle avversità climatiche, è mediamente sensibile alla peronospora, alla botrite e scarsamente al mal dell’esca e all’oidio; avendo una buccia consistente, risulta poco sensibile ai marciumi. Caratteristiche sensoriali del vino Vinificato in purezza produce un ottimo vino; negli uvaggi apporta acidità e aromaticità. Il vino è giallo paglierino, scarico, con riflessi verdognoli, profumo fine e delicato, caratteristico, leggermente aromatico. Sapore vellutato, gusto pieno, corposo, sapido e fresco di acidità, equilibrato. Selezione clonale Sono stati omologati due cloni per questa varietà. Cloni omologati Fertilità

Peso del grappolo

Produttività

Zuccheri

sma-ISV 222

M

B

M

E

sma-ISV 237

M

M

M

E

Clone

Attitudine enologica

Note

Vino finemente aromatico, sapido e fresco Cloni che rispondono molto bene in miscela tra loro Vino tipico nei profumi e dalla buona struttura

Legenda: M = medio-media; B = basso-bassa; E = elevato-elevata; S = sensibile; MS = mediamente sensibile; T = tollerante

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5. manuale d’uso del territorio

Müller Thurgau Origine Vitigno ottenuto dallo svizzero Müller originario di Thurgau nel 1882 durante un lavoro di miglioramento genetico sulla vite. In breve tempo ha riscosso grandi successi in Germania, Svizzera, e nell’Europa centrale. Nel 1939 arriva in Italia, in Trentino Alto Adige dove sta espandendo le sue zone di coltivazione più fresche a maggiori altitudini. Ultimi studi sul DNA sembrano riconoscere nel Riesling e nel Madeleine Angevine i suoi genitori. Caratteristiche ampelografiche • portamento: semieretto; • apice del germoglio: espanso, lanuginoso di colore verde biancastro con sfumature rosa; • foglia: media, pentagonale, pentalobata, raramente trilobata, con seno peziolare a U o V chiuso, seni laterali superiori profondi a U chiuso, quelli inferiori a U; lembo ondulato, con lobi piegati a gronda, leggermente bolloso con denti medi a margini rettilinei; • grappolo: piccolo (100-150 g), cilindrico-piramidale, provvisto di un’ala molto sviluppata, mediamente compatto con peduncolo sottile, visibile; • acino: medio, elissoidale; buccia pruinosa sottile, colore dell’epidermide giallo-verdognolo, dorata quando esposto al sole. Caratteristiche fenologiche e produttive Germogliamento, fioritura e invaiatura medie, maturazione medio-precoce, di notevole vigoria e produzione abbondante e costante, fertilità delle gemme da 1 a 2. Predilige terreni non troppo siccitosi, collinari, soleggiati e ventilati, con buona tolleranza ai terreni acidi. Predilige potature corte. È molto sensibile alla botrite, normale tolleranza a oidio e peronospora. Buona resistenza alle gelate invernali e primaverili. Selezione clonale I cloni a disposizione sono prevalentemente di origine francese ma anche italiana e tedesca. Cloni omologati Clone

Fertilità

Peso del grappolo

Produttività

Zuccheri

Vcr 1

M-E

M

M

M-E

644 645 646 647 648 649 650 D 100 F 2000 AF 1 JÄ 50

M M M M M M M

M M M M M M M

M M M M M M M M B E E

M M M M M M M M B M M-B

Attitudine enologica Vini intensi e persistenti, varietali, strutturati adatto a vini giovani Vini tipici varietali Vini tipici varietali Vini tipici varietali Vini tipici varietali Vini tipici varietali Vini tipici varietali Vini tipici varietali Vini dalla buona acidità Vini dalla media acidità Vini dalla buona acidità

Legenda: M = medio-media; B = basso-bassa; E = elevato-elevata; S = sensibile; MS = mediamente sensibile; T = tollerante


5. manuale d’uso del territorio

pinot grigio Origine Di origine francese, è una mutazione instabile del Pinot nero. Si è diffuso in Germania e da lì in Trentino Alto Adige e successivamente nelle Tre Venezie. Vitigno di qualità, adatto a climi temperati per la sua intrinseca attitudine all’accumulo in zuccheri e per le buone produzioni. Ideale per ottenere vini fermi e base spumante. Caratteristiche ampelografiche • portamento: eretto • apice del germoglio: cotonoso, verde-biancastro con foglioline spiegate; • foglia: piccola, cordiforme, trilobata con lembo a coppa, bolloso, con bordi revoluti di color verde scuro, seno peziolare a V aperto; • grappolo: cilindrico, piccolo (60-180 g), spesso alato, leggermente compatto; • acino: medio-piccolo, con buccia grigio-violacea, pruinosa; polpa succosa, dolce, a sapore semplice. Caratteristiche fenologiche e produttive Precoce sia di germogliamento che di maturazione, è un vitigno di qualità a vigoria ridotta e con una grande attitudine all’accumulo in zuccheri. La forma di allevamento per eccellenza è il “Guyot” con potature medio lunghe, comunque non troppo espanse e non troppo ricche per mantenere un buon equilibrio vegetativo. Le potature verdi sono utili per diminuire l’incidenza della botrite soprattutto in climi umidi. È molto sensibile anche alla clorosi ferrica e al marciume acido, meno sensibile a peronospora e oidio. Selezione clonale Sono stati ricercati biotipi con migliore resistenza alla botrite, alla clorosi ferrica e con buona aromaticità. Cloni omologati Fertilità

Peso del grappolo

Produttività

Zuccheri

M-E

B

M

M

Fedit 13 C.S.G

M

B

M

M

ISV-F1 Toppani

M-B

B

B

E

VCR 5

M-B

B

B

E

SMA 505

E

M-E

E

M

SMA 514

E

M-E

M

M

IAR 2

E

B

M

M

IAR 5

E

B

M

M

IAR 6

E

B

M

M

ERSA FVG 150

M-E

B

M

E

ERSA FVG 151

B

M

M

M-E

M M M M-E

M-B M M M

B M M E

M-E M M M

Clone Rauscedo 6

52 53 457 49-207

Attitudine enologica Vino fresco, fruttato, floreale, di buona acidità Vino delicato, fruttato, leggermente amarognolo Vino elegante e persistente, sentori fruttati e floreali per affinamento Vino profumato, di struttura, Profumi poco intensi, leggeri tipici varietali, amarognolo Profumi mediamente intensi, buon corpo e discreta acidità Sentori fruttati e floreali, persistente e buona struttura Sentori delicati e floreali, armonico e ben strutturato Intensi profumi di frutta e floreali, di buona struttura Vino complesso, adatto al medio lungo affinamento Tipicità, ottima struttura e complessità aromatica Per breve invecchiamento Per breve invecchiamento Per breve invecchiamento

Sensibilità alla Botrite

Note

MS

In miscela conferisce profumo

MS S MS

Miglioratore per le miscele, induce precocità di maturazione Bene in miscela con R6

MS S S MS

Adatto a terreni collinari Adatto a terreni collinari

MS

Adatto all’alta collina

T

Apporta in miscela struttura e persistenza

MS

Legenda: M = medio-media; B = basso-bassa; E = elevato-elevata; S = sensibile; MS = mediamente sensibile; T = tollerante

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110

5. manuale d’uso del territorio

Teroldego Origine Apparentemente giunto in Trentino dalla vicina provincia di Verona (Gallo 1947), dove lo si trovava mescolato con altre varietà nei vigneti attorno al lago di Garda sotto il nome di Tirodola, che deriva dal tutore vivo a cui era maritato (le tirelle). La sua coltivazione rimane oggi quasi esclusiva della piana Rotaliana, zona della Val d’Adige a nord di Trento. La prima vera descrizione di questa varietà si deve al Mach (1894). Presenta notevoli affinità genetiche con il Lagrein, il Marzemino e il Syrah con i quali condivide probabilmente l’origine orientale. Caratteristiche ampelografiche • apice del germoglio: espanso, lanuginoso, verde biancastro con leggere sfumature rosa; • foglia: grande, pentagonale, trilobata; seno peziolare a V-U chiuso, seni laterali superiori a V-U, quelli inferiori appena accennati; lembo leggermente ondulato, con lobi rivolti verso il basso; pagina inferiore sublanuginosa; denti acuti e pronunciati; • grappolo: medio-grande, allungato, di forma piramidale, raramente cilindrico, a volte con 2 piccole ali, mediamente compatto; • acino: medio, sferoidale o sub-rotondo, buccia molto pruinosa, spessa e coriacea, colore dell’epidermide blu-nero, polpa succosa di sapore neutro. Caratteristiche fenologiche e produttive Presenta germogliamento medio, fioritura media, invaiatura media, maturazione medio-tardiva. Di vigoria buona, il peso medio del grappolo è elevato (300-400 g) con fertilità delle gemme di 1-2; presenta una produttività regolare e abbondante, predilige terreni leggeri e permeabili; data la bassa fertilità basale si deve potare lungo, risulta leggermente sensibile alla peronospora e all’oidio, nelle annate particolarmente umide va soggetto a marciume. Presenta elevata sensibilità al disseccamento del rachide e agli attacchi dei ragnetti. Selezione clonale I cloni a disposizione sono 5. Cloni omologati Fertilità

Peso del grappolo

Produttività

Zuccheri

Sma 138

M-E

M-E

E-ME

E

Sma 133

M

M

M

E

Sma 145

E

E

E

M

Sma 146

B

E

M

M

Sma 152

E

B

M

M

Clone

Attitudine enologica

Note

Quadro aromatico complesso, medi i polifenoli e gli antociani Ricco patrimonio polifenolico conferisce sentori tipici Vini ricchi di colore, sentori delicati Medi i polifenoli e gli antociani, profumi leggeri

Per miscele adatte a vini giovani o da breve invecchiamento Dona struttura, per vini adatti all’affinamento Ben strutturato e adatto alla produzione di vino novello Per la produzione di vini di pronta beva, elevate produzioni Per vini da breve invecchiamento o per vini novelli, anticipa la maturazione di 5/7 giorni, induce un’elevata vigoria

Sentori tipici varietali

Legenda: M = medio-media; B = basso-bassa; E = elevato-elevata; S = sensibile; MS = mediamente sensibile; T = tollerante


5. manuale d’uso del territorio

La scelta del portinnesto Nella moderna viticoltura il ruolo del portinnesto, oltre a offrire una protezione contro la fillossera e a consentire l’adattamento della V. vinifera alle più diverse condizioni pedoclimatiche, è ormai assimilabile a quello di altri mezzi agronomici in grado di modulare il comportamento vegetativo e produttivo della pianta. Per questo motivo la scelta del portinnesto gioca un ruolo estremamente importante nel consentire il raggiungimento di quell’equilibrio vegeto-produttivo così importante nel determinare la qualità delle uve. Il portinnesto gioca quindi un ruolo fondamentale nel determinare lo stato nutrizionale della vite e per questo motivo la maggior parte delle classificazioni riguardano le loro caratteristiche di adattamento alle condizioni dei differenti pedoclimi. Resistenza alla siccità: questo parametro è sicuramente se non il principale uno dei più importanti al momento della scelta del portinnesto, inoltre la viticoltura di qualità nelle zone a clima mediterraneo si realizza in terreni che, per cause diverse, risultano essere carenti dal punto di vista idrico o per le scarse precipitazioni idriche o per le caratteristiche dei suoli. La buona resistenza di un portinnesto alla siccità è legata sia allo sviluppo del suo apparato radicale sia alla maggiore o minore capacità di assorbimento dell’acqua in ambienti siccitosi. D’altra parte è di notevole importanza al riguardo anche la scelta di altri fattori come le distanze d’impianto e la forma di allevamento o delle pratiche colturali adeguate: gestione del suolo, diradamento, gestione del verde, ecc. Vigore indotto: come precedentemente accennato il portinnesto nella moderna viticoltura svolge un ruolo determinante nel regolare lo sviluppo della pianta, pertanto è sempre buona regola quella di utilizzare portinnesti deboli con varietà vigorose e, viceversa, adottare portinnesti vigorosi con varietà di scarso vigore. Quanto detto

deve anche essere messo in relazione con la fertilità del suolo che risulta determinante nell’espressione vegetoproduttiva della pianta e con le altre variabili strutturali, in particolare la forma di allevamento, e con il tipo di gestione agronomica che si intende attuare (gestione del suolo, concimazione ecc.) per il raggiungimento degli obiettivi enologici prefissati. Resistenza al calcare attivo: i diversi portinnesti oggi utilizzati presentano una larga gamma di resistenza alle condizioni clorosanti dei terreni. La scelta adeguata del portinnesto è sicuramente il modo più razionale per risolvere questa diffusa carenza nutrizionale. Nella scelta del portinnesto, oltre a tenere conto della capacità di resistere ad elevate concentrazioni di calcaree attivo, bisogna considerare anche altre caratteristiche, in particolare la sensibilità nei riguardi dei ristagni idrici. Questi, specialmente nel periodo primaverile, sono causa di fenomeni di clorosi; ad esempio il 420A, pur presentando una buona resistenza al calcare (fino al 20% di calcare attivo), è estremamente sensibile a fenomeni di asfissia legati al ristagno idrico, comportando così fenomeni di clorosi diffusa. Efficienza nell’assorbimento dei nutrienti: la conoscenza della dotazione di elementi minerali da parte del terreno risulta fondamentale nella scelta del portinnesto, in quanto molti portinnesti risultano avere difficoltà nell’assorbimento di taluni elementi. A questo si deve aggiungere anche il fatto che alcune varietà risultano più sensibili di altre a determinate carenze nutrizionali. Conseguenza di ciò è che innestando queste varietà su portinnesti poco efficienti nell’assorbire un dato elemento lo scompenso nutrizionale è sicuramente grave portando così a risultati produttivi e qualitativi negativi. Quanto detto è particolarmente frequente per due elementi molto importanti per la vite e quindi per la qualità delle produzioni: potassio e magnesio. Sensibilità alla stanchezza del terreno: sovente la necessità di reimpianto immediato non permette di attuare tutte quelle pratiche agronomiche necessarie a favorire il riposo del terreno innescando in questo modo quei fenomeni che vanno sotto il nome di stanchezza del terreno. La causa di ciò è legata all’accumulo all’interno del suolo di funghi, batteri, nematodi e tossine che causano un ridotto sviluppo del nuovo impianto e, con il tempo, moria di piante e in generale una ridotta durata del nuovo vigneto. Un adeguato periodo di riposo del terreno, mediante la coltivazione di piante erbacee come graminacee o meglio leguminose dopo l’espianto del vecchio vigneto, è una pratica consigliabile, ma anche la scelta del portinnesto in questi casi risulta fondamentale. È opportuno utilizzare portinnesti vigorosi come il 1103P, il 140Ru o il 110R, che offrono maggiori garanzie nel caso di reimpianto immediato, mentre al contrario il 420A è assolutamente sconsigliabile in questi casi.

111


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5. manuale d’uso del territorio

Le caratteristiche di alcuni dei principali portinnesti attualmente reperibili in commercio sono riportate in modo riassuntivo in Tabella 5.4. Tabella 5.4 – Caratteristiche dei principali portinnesti Genitori

Portinnesto

Caratteristiche

Kober 5BB

Buona resistenza alla siccità, elevata vigoria, molto adattabile

S.O.4

Discreta resistenza alla siccità, sensibile alla carenza di Mg, medio alta vigoria

Berlandieri x Riparia

420A

Molto equilibrato, di giusta vigoria, mal sopporta il ristoppio, discreta resistenza alla siccità

161-49

Mediamente vigoroso, si adatta ai terreni asciutti, compatti e mediamente clorosanti, resistente alla carenza di K

157-11

Mediamente vigoroso, discretamente equilibrato, teme l’acidità

Riparia x Rupestris

3309

Ridotta vigoria, ottimi risultati qualitativi, non tollera terreni difficili

Berlandieri x Rupestris

Vinifera x Berlandieri 161-49 X 3309

101-14

Ridotta vigoria, discreta resistenza alla siccità e ai terreni compatti, sensibile alla carenza di K

140 Ruggeri

Elevata vigoria, buona resistenza alla siccità, buona resistenza al calcare attivo, bene per terreni magri e compatti

110 Richter

Media vigoria, si adatta ai terreni asciutti, siccitosi e poveri

1103 Paulsen

Elevata vigoria, ottima resistenza alla siccità e alla compattezza del suolo, sensibile alla carenza di K, medio-alta resistenza al calcare attivo (15-16%)

41B

Ottima resistenza al calcare, buona resistenza alla siccità e alla compattezza, media vigoria

Fercal

Elevata resistenza al calcare attivo, vigoroso, sensibile alla carenza di Mg

Gravesac

Portinnesto adatto ai terreni acidi, debole, ottima qualità, poco produttivo

5.2 Scelte di gestione del vigneto

do così di prevenire, o di risolvere in tempo, eventuali carenze minerali riscontrabili nel vigneto.

Gli obiettivi cui il viticoltore deve tendere sono: - garantire un giusto raccolto minimizzando l’impatto sull’ambiente circostante; - ottenere un vigneto equilibrato nel quale la qualità dell’uva sia al massimo livello ottenibile nel contesto ambientale; - creare le condizioni per ridurre al minimo la pressione delle malattie e gli interventi di difesa.

Concimazione di restituzione

Nutrizione Lo scopo della concimazione annuale è quello di ripristinare le asportazioni di macroelementi dovute alla produzione di uva, tralci e foglie del vigneto. Inoltre la concimazione annuale ha la funzione di prevenire fenomeni di depauperazione eccessiva e impoverimento della dotazione originaria del terreno e di evitare carenze nutrizionali. Obiettivo specifico della concimazione è quindi di conservare o di stabilire un potenziale nutritivo del suolo capace di assicurare la massima produttività economica, compatibilmente alle migliori caratteristiche qualitative dell’uva, nel rispetto della conservazione della fertilità del suolo e con il minimo impatto ambientale. La variabilità delle condizioni dei singoli vigneti non permette di definire dosi di concimazione generalizzate. Occorre invece determinare, vigneto per vigneto, i livelli di fertilizzazione che rispondano adeguatamente alle specifiche esigenze per assicurare il ripristino delle normali dotazioni minerali del terreno coltivato consenten-

Un corretto piano d’applicazione di questa tecnica non può prescindere dal resto delle tecniche colturali adottate nel vigneto. In particolare, la tecnica dell’inerbimeneto (totale o solo interfilare), abbastanza diffusa nella viticoltura veneta, attuata per limitare o contrastare soprattutto gli eccessi di vigoria delle piante (pianura) e i fenomeni d’erosione (collina), incide in misura significativa sugli apporti degli elementi nutritivi, specie di quelli azotati. Dal punto di vista pratico si possono prevedere, quindi, concimazioni di produzione su terreni inerbiti o ricchi di sostanza organica e su terreni lavorati, poveri di sostanza organica. Nel primo caso, i fertilizzanti chimici distribuiti possono essere considerati una forma complementare alle dotazioni nutritive naturali dei terreni, mentre nel secondo caso, i concimi minerali semplici o composti, quelli organici od organo-minerali diventano la forma di concimazione principale. In sintesi, possiamo avere i casi riportati nella Tabella 5.5. Tabella 5.5 – Concimazione di produzione e sua funzione in alcuni tipi di terreno Tipo di terreno

Livello sostanza organica

Terreno inerbito

buono

Terreno non inerbito

buono

Terreno non inerbito

insufficiente

Funzione della concimazione di produzione secondaria o complementare secondaria o complementare principale


5. manuale d’uso del territorio

Se non è stata eseguita l’analisi del terreno per la concimazione di fondo, è consigliabile fare un’analisi per la concimazione di produzione. Quest’analisi permetterà di: - ottenere i valori di azoto, fosforo, potassio e magnesio presenti nel profilo del terreno (0-40 cm e 40-80 cm) e confrontare tali valori con quelli desiderati; - programmare la concimazione di produzione ed eventualmente integrare qualche carenza, specialmente quella di natura organica; - ottenere delle indicazioni che permettano di spiegare il comportamento produttivo delle viti riguardo il loro vigore, il loro rendimento e giustificare la presenza di carenze.

Concimazione di emergenza Tra le carenze più frequenti si ricordano quella ferrica (clorosi), quella potassica e quella magnesiaca. I fattori che le provocano possono essere molteplici e alcuni saranno specificati in dettaglio di seguito. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che una pianta forzata (rese d’uva elevate) e quindi non in equilibrio, è maggiormente soggetta a tali fisiopatie. Delle carenze si riportano: - i sintomi per il riconoscimento; - i metodi di lotta. Carenza di ferro o clorosi ferrica Riconoscimento - si osserva un ingiallimento delle foglie che inizia dall’estremità del germoglio; - le foglie ingialliscono fino a diventare quasi bianche; - le nervature delle foglie rimangono verdi; - appaiono bruciature fra le nervature; - i sintomi massimi appaiono all’inizio della fioritura.

ratteristiche fisiche del terreno, come ad esempio quelle atte a: - facilitare il drenaggio; - evitare la compattazione del terreno e la suola di lavorazione; - mantenere un buon tasso di sostanza organica; - praticare l’inerbimento. Suoli calcarei - evitare le lavorazioni profonde; - usare portinnesti resistenti al calcare (Fercal, 140 Ru, 41 B). Metodi di lotta curativi annuali Il chelante EDDHA è quello che fornisce i migliori risultati, sia per i trattamenti fogliari che al terreno. Nei casi meno gravi, si consigliano trattamenti fogliari, da 3 a 4 applicazioni, agli stadi della 12a, 15a e 17a foglia. Nei casi più gravi, si consigliano trattamenti al terreno. I dosaggi vanno da 20 a 50 kg/ha di prodotti al 6% di Fechelante. La distribuzione va fatta durante l’inverno, per i prodotti a granuli utilizzabili a secco, oppure dal germogliamento allo stadio delle sesta foglia, per i prodotti a microgranuli solubili. Carenza di potassio Riconoscimento In primavera - ingiallimenti (vitigni a uva bianca) o arrossamenti (vitigni a uva nera) dei bordi del lembo fogliare; - inizio di necrosi in queste zone periferiche; - progressivo ingiallimento o arrossamento nelle zone internervali;

Sintomi di grave clorosi ferrica

Metodi di lotta preventiva Suoli argillosi Si consiglia una serie di operazioni per migliorare le ca-

Sintomi di grave carenza potassica

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5. manuale d’uso del territorio

- arrotolamento verso l’alto della zona periferica del lembo, che nel frattempo è diventata completamente necrotica; - progressiva necrosi nelle zone internervali fino al disseccamento completo della foglia. In estate - comparsa sulle foglie di macchie gialle (vitigni a uva bianca) o rosse (vitigni a uva nera), simili a macchie d’olio; - inizio di necrosi su dette macchie; - necrosi che si estendono anche nel tessuto internervale; - necrosi alla periferia del lembo con accartocciamento verso l’alto. Metodi di lotta - per carenze gravi, fare trattamenti al terreno con solfato di potassio; usare dosi piuttosto elevate: 500-700 kg/ha di K2O, per 2-3 anni; - per carenze non gravi, fare trattamenti fogliari (2-3 applicazioni ogni 7-10 giorni) con nitrato potassico all’1%. In caso di carenze molto gravi, i trattamenti fogliari possono essere abbinati a quelli del terreno. Carenza di magnesio Riconoscimento La carenza magnesiaca si riconosce per: - una colorazione a forma di dita che appare fra le nervature della foglia; - la colorazione è gialla nei vitigni a uva bianca e rossa nei vitigni a uva nera; - le foglie basali sono le più colpite; - i sintomi appaiono generalmente a inizio invaiatura.

Sintomi di carenza magnesiaca

Metodi di lotta preventiva - somministrare una concimazione potassica e magnesiaca equilibrata, basata sull’analisi del terreno e su quella fogliare o peziolare, i cui valori ottimali sono stati definiti precedentemente; - nei suoli ricchi di potassio, evitare l’impiego di portinnesti capaci di aumentarne l’assorbimento. Metodi di lotta curativa - abbassare la concimazione potassica; - per una risposta rapida, effettuare concimazioni fogliari: 4 trattamenti, di cui 3 prima della fioritura; - effettuare un’analisi del suolo per definire gli apporti correttivi da somministrare; - durante l’inverno, somministrare al terreno del solfato di magnesio, usando una dose di 1 t/ha circa; ripetere il trattamento l’anno successivo, in caso di bisogno.

La gestione del suolo Lavorazioni Nell’ambito delle varie tecniche di gestione delle infestanti in viticoltura, la lavorazione meccanica del suolo costituisce ancora uno dei principali strumenti operativi. Gli scopi fondamentali delle lavorazioni meccaniche sono essenzialmente: - controllo delle infestanti durante il ciclo vegetativo della vite (lasciando possibilmente che si sviluppi una copertura vegetale durante il periodo invernale); - interramento dei concimi e di eventuale sostanza organica; - arieggiamento e decompattamento del suolo; - predisposizione del terreno per un migliore utilizzo dell’acqua di precipitazione, ecc. Le modalità di esecuzione e il numero di interventi variano in relazione a diversi fattori, quali: - le caratteristiche fisico-chimiche del terreno; - la giacitura (collina o pianura); - la quantità e distribuzione delle piogge; - la composizione della flora infestante. Aspetti positivi: - rendono possibile l’eliminazione della flora infestante; - consentono un migliore utilizzo dell’acqua di precipitazione; - favoriscono la decomposizione dei residui di potatura; - ostacolano la diffusione di parassiti animali e vegetali. Aspetti negativi: - ostacolano la transitabilità delle macchine per i trattamenti antiparassitari e la vendemmia; - favoriscono la compattazione del suolo; - favoriscono la formazione della suola di lavorazione; - provocano danni alla vite; - espongono i vigneti in pendio al pericolo di erosioni.


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La flora del vigneto Premessa indispensabile per qualsiasi modalità d’intervento al suolo, quale ad esempio il diserbo, è la conoscenza della flora infestante del vigneto. In base alla durata del ciclo biologico le infestanti si distinguono in: - annuali, malerbe che si riproducono solo per seme e il cui ciclo biologico (dalla germinazione alla disseminazione) si compie in 7-9 mesi all’interno di un anno solare se nascono a fine inverno-inizio primavera, o a cavallo di due anni solari se nascono in autunno; - biennali, malerbe che si riproducono solo per seme ma il cui ciclo biologico si sviluppa per oltre 12 mesi a cavallo di due anni solari; - perenni o vivaci, malerbe che si riproducono per semi e per gemme e che possono vivere per più anni di seguito, superando il momento sfavorevole dell’annata oltre che con i semi con gemme, più o meno interrate, portate da strutture di riproduzione vegetativa come rizomi, bulbi, tuberi, ecc. Questa distinzione è fondamentale per il controllo delle infestanti, in particolare quando si fa ricorso agli erbicidi.

Inerbimento La pratica dell’inerbimento si riferisce alla coltivazione a scopo non produttivo di essenze erbacee, erba spon-

tanea o più frequentemente erba seminata, nel vigneto e di controllarne lo sviluppo mediante più sfalci annui con apposite macchine. Si parla di inerbimento totale quando è realizzato su tutta la superficie, ma più frequentemente viene inerbito solo lo spazio interfilare, lasciando all’intervento meccanico o ai prodotti erbicidi il controllo delle infestanti sulla fila. Nella Tabella 5.6 si riportano i fattori favorevoli e sfavorevoli a tale pratica agronomica. L’epoca di semina sarà a fine estate o a fine invernoinizio primavera con semina a spaglio (o a macchina) su terreno opportunamente preparato; si dovrà poi avere cura di sfalciare la vegetazione erbacea ogni qualvolta raggiunge 25-30 cm di altezza. La scelta della specie, o dei miscugli, per l’inerbimento dovrà essere in funzione di numerosi fattori quali: velocità di insediamento e accrescimento, epoca della ripresa vegetativa, resistenza alla siccità, alle basse temperature e alle malattie, competitività (carattere molto importante se si vuole negare o favorire l’ingresso di flora di sostituzione), fabbisogni idrico-nutrizionali, attitudine alla bassa manutenzione (tagli poco frequenti), resistenza al calpestio. La classificazione delle specie utilizzate per l’inerbimento potrà riguardare l’epoca e la durata della vita delle specie (annuali invernali o estive che nascono e muoiono nel corso di una annata, o perenni che vivono per tre o più anni), la loro classificazione tassonomica (legumino-

Tabella 5.6 – Fattori favorevoli e sfavorevoli all’inerbimento

• •

• •

Inerbimento Fattori favorevoli Fattori non favorevoli riduzione dell’erosione dei suoli, sia superficiale che canalizzata, • competizione tra l’erba e il vigneto per acqua ed elementi nutritivi soprattutto nei vigneti in pendio; con rischio di ottenere un calo di produzione ma anche, con strumento efficace per ridurre la vigoria della vite soprattutto su eccessiva competizione, di qualità; si consiglia pertanto di adottare terreni molto fertili; si avrà quindi una migliore allegagione e una l’inerbimento in vigneti di 3-4 anni di età posti su terreni abbastanza migliore qualità dell’uva; fertili, che non siano facilmente soggetti ai danni da siccità e di miglioramento del passaggio con le macchine, soprattutto con le aumentare la concimazione azotata del 10% oppure di utilizzare graminacee, sia per l’esecuzione dei trattamenti antiparassitari sia per miscele che contemplino anche la presenza di leguminose; il trasporto dell’uva durante la vendemmia; • può ridurre la temperatura dell’aria nelle notti fredde incrementando miglioramento nelle strategie di difesa soprattutto per la possibilità di il rischio di gelate conseguente alla schermatura dei raggi solari effettuare interventi tempestivi per i trattamenti ma anche in quanto incidenti sul suolo operata dalla vegetazione durante il giorno. In alcune essenze provocano situazioni sfavorevoli al proliferare dei zone soggette a queste condizioni la pratica di alternare la copertura nematodi e inoltre attraggono artropodi favorevoli come gli aracnidi vegetale tra i filari può risolvere il problema; predatori di acari e insetti dannosi; • incrementa il rischio di attacchi di insetti e crittogame in quanto dopo alcuni anni contiene la perdita d’acqua del terreno per l’impossibilità di interrare le foglie e il legno di potatura dell’annata evaporazione, attraverso l’azione pacciamante della massa vegetativa precedente può costituire, in primavera, qualche fonte d’infezione trinciata e lasciata sul posto; di peronospora, oidio, escoriosi e botrite; per contro, la presenza miglioramento della struttura del suolo grazie al fatto che le radici di determinate specie erbacee consente la migliore sopravvivenza rinnovandosi apportano materia organica al suolo (soprattutto le di alcuni insetti predatori, utili perché si cibano di tignole e di graminacee) e ne migliorano la porosità; ragnetti. apporto di Azoto se effettuata con leguminose. Inoltre contiene il dilavamento dei nitrati in profondità, limitando l’impatto ambientale delle concimazioni; favorisce la traslocazione in profondità del Fosforo e del Potassio e il miglior assorbimento dei microelementi; l’apparato fogliare della copertura erbosa diminuisce l’energia cinetica delle gocce di pioggia che altrimenti destrutturerebbero e disperderebbero gli agglomerati terrosi; miglioramento estetico dei vigneti ottenuto da inerbimenti ben gestiti, caratteristica positiva soprattutto in aree di collina poste in zone di interesse turistico.

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se o graminacee). Le annuali invernali sono maggiormente seminate per la loro caratteristica di crescere nel periodo più umido e quindi più soggetto all’erosione e meno competitivo per l’acqua e gli elementi nutritivi. Possono venire seminate o lasciate riseminare in autunno, in primavera vengono sfalciate. Le annuali estive sono molto meno utilizzate e generalmente hanno lo scopo di attrarre insetti favorevoli o di apportare sostanza organica. Le specie perennanti vengono seminate in autunno, ma alcune vengono messe a dimora all’inizio della primavera e non necessitano di risemina per alcuni anni; in ogni caso il loro periodo di forte crescita coincide con quello di massima disponibilità di acqua e clima favorevole. Nel dettaglio le specie più utilizzate per l’esecuzione degli inerbimenti nei vigneti sono: • Lolium perenne: specie competitiva e proprio per questa sua caratteristica viene di solito usata come “starter”, sia per consolidare rapidamente le superfici in pendio che per contenere le infestanti nelle prime fasi di insediamento del cotico; tuttavia non è di lunga durata, infatti dopo alcuni anni regredisce a vantaggio delle altre componenti del miscuglio. È da impiegare nelle associazioni in proporzioni del 10-35%. • Poa pratensis: specie stolonifera, longeva ma lenta a installarsi; successivamente grazie agli stoloni ipogei e alla elevata resistenza al calpestamento può avere una funzione importante per l’attitudine a chiudere i vuoti lasciati dalle altre specie. La percentuale di impiego nei miscugli è di solito di circa il 20%. • Festuca rubra: specie frugale di modesta resistenza al calpestamento. Si possono distinguere tre sottospecie: ◻ Festuca rubra commutata: sottospecie non stolonifera, ginocchiata e brevemente strisciante alla base. Forma un prato molto fitto e fine. ◻ Festuca rubra trychophylla: sottospecie con corti stoloni e foglie simili alla precedente, ma più resistente alla siccità. ◻ Festuca rubra rubra: sottospecie stolonifera che tende a formare un prato con molti vuoti. Ha foglie più larghe delle due precedenti. Le sottospecie commutata e trychophylla, per le più modeste esigenze nutritive e manutentive nonché per i ridotti accrescimenti, sono utilizzate per la costituzione di prati rustici. Le percentuali di impiego nelle miscele sono del 25-50% da ripartire fra le tre sottospecie. • Festuca ovina: tipica di luoghi aridi e magri, è una specie molto frugale con bassa produzione di biomassa e modesto coefficiente di evapotraspirazione. Complessivamente la percentuale di impiego di questa specie può arrivare, limitatamente ai terreni magri, fino al 40%. Si può suddividere in due sottospecie: ◻ Festuca ovina duriuscula: ha foglie molto fini, dure di colore intenso. È poco esigente in acqua,

elementi nutritivi e manutenzione e per questo si presta alla realizzazione di prati estensivi, rustici, soprattutto in regioni aride. ◻ Festuca ovina tenuifolia: rispetto alla precedente, ha foglie meno coriacee, tollera meno il calpestio, ma di più l’ombra. • Festuca arundinacea: risulta abbastanza lenta nell’insediamento ma poi infittisce e la sua aggressività limita efficacemente lo sviluppo della vegetazione spontanea. È produttiva e per questo necessita di sfalci abbondanti; esigente in acqua, si adatta a terreni fertili, utile per frenare l’eccessiva vigoria delle piante, assicura una buona portanza. • Trifolium repens: leguminosa che può migliorare la fertilità del suolo. Si adatta a suoli calcarei. Piuttosto duratura, 3-5 anni. • Trifolium subterraneum: leguminosa con ciclo autunno-vernino, adatta quasi esclusivamente a terreni sabbiosi, per cui consente di proteggere il terreno, ma in estate muore e non dà problemi di competizione idrica. L’anno successivo, in autunno, rinasce. Non è molto persistente e quindi va spesso riseminata (ogni 2-3 anni a seconda dell’ambiente pedoclimatico). Negli ultimi anni si sono provate nuove specie di Festuca, quali la longifolia e altre di origine boreale caratterizzate da foglie molto fini, da limitate esigenze idriche e nutrizionali e dal contenuto sviluppo primaverile ed estivo in quanto piante brevi diurne. La loro diffusione è tuttora limitata, soprattutto per la scarsa resistenza al calpestamento e per i costi elevati della semente. Per quanto concerne l’erosione dei suoli, la tipologia di tessitura, l’inclinazione e la piovosità sono caratteristiche che misurano la suscettività a questa situazione. Suoli tendenzialmente sabbiosi sono più esposti all’erosione a causa della mancanza d’aggregazione delle particelle che invece avviene nei suoli a componente argillosa. In condizioni di rischio sono adatte essenze annuali invernali riseminanti, bene in queste situazioni si comportano il trifoglio subterraneo e quelle a maturazione precoce quali i Bromus spp. Relativamente al vigore della vigna, con suoli a bassa fertilità si possono usare al momento opportuno le leguminose al fine di apportare azoto; se la penetrazione dell’acqua è ridotta, la presenza di un sistema di radici tipo quello delle graminacee, che incrementa la struttura fisica del suolo, è di sicura efficacia. Nel caso di eccessi vegetativi creati da suoli ricchi, profondi e ben dotati dal punto di vista idrico, si possono utilizzare graminacee perennanti per competere con la vigna riducendone il vigore. Nel caso in cui si voglia modificare il grado di competizione del cotico erboso si può giocare sulla dimensione della striscia diserbata sulla fila aumentandola o diminuendola in funzione rispettivamente di un eccesso o un difetto competitivo.


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Tabella 5.7 – Caratteristiche di alcune specie utilizzate nell’inerbimento dei vigneti (da AA.VV. 2004 – Guida per il viticoltore) Velocità di insediamento

Competizione

Frequenza di taglio

Persistenza

*** * ** * ** **

** * *** * * *

*** * *** * ** *

** *** ** *** * *

*** **

-

*** **

*** **

Graminacee Lolium perenne Poa pratensis Festuca arundinacea Festuca ovina Festuca rubra rubra Festuca rubra commutata Leguminose Trifolium repens Trifolium subterraneum

Nota: Trifolium subterraneum mostra grandi differenze di comportamento ed attitudini tra le varietà. La sua gestione, soprattutto per i tagli, deve necessariamente essere molto attenta, per non compromettere la risemina: evitare il taglio alla comparsa del fiore (aprile, maggio). Caratteristiche delle specie: * = lenta/poco competitiva/taglio poco frequente/poco persistente; ** = media; *** = veloce/competitiva/taglio frequente/persistente Tabella 5.8 – Epoca di semina e utilizzo di alcune specie per l’inerbimento dei vigneti in funzione della fertilità e della disponibilità idrica dei suoli (da AA.VV. 2004 – Guida per il viticoltore)

Fertilità

Bassa

Media

Elevata

Bassa

Limitazione epoca di semina

Lolium

nessuna

F. arundinacea Lolium, F. rubra, Poa

Media

Acqua Limitazione epoca di semina

nessuna

Lolium, Poa, F. ovina F. arundinacea

nessuna

F. arundinacea

nessuna

F. ovina, F.r. commutata F. ovina + Trifolium repens

autunno e primavera autunno e primavera

Elevata

Limitazione epoca di semina

nessuna

Lolium, Poa, F. ovina Tr. subterraneum

inizio estate

F. ovina, Poa

inizio autunno

F. ovina

Inizio autunno

F. ovina, F.rubra, Trifolium repens F. ovina + Trifolium repens Tr. subterraneum o altre leguminose

autunno e primavera

Tr. subterraneum

inizio estate

inizio autunno

F. ovina

inizio autunno

inizio estate

Tr. subterraneum o altre leguminose

inizio estate

Il diserbo La rimozione delle erbe infestanti nel vigneto è tradizionalmente svolta attraverso la totale lavorazione del suolo, mentre oggi una gestione più razionale ne limita la pratica sulla fila dando così spazio all’inerbimento dell’interfila. Per i vigneti biologici, e per chi non vuole usare solo i prodotti chimici, il diserbo del filare viene effettuato dagli attrezzi che vengono applicati alla trattrice in diverse posizioni; per vigneti che invece possono prevedere il ricorso a prodotti chimici, nella moderna viticoltura vengono utilizzati i seguenti principi attivi: • Glifosate: erbicida sistemico non residuale ad azione fogliare. L’aggiunta di solfato ammonico migliora l’effetto erbicida e la sua velocità d’azione. La sintomatologia indotta dall’erbicida si manifesta 7-14 giorni dopo il trattamento; il completo disseccamento delle piante avviene entro un mese. L’epoca di intervento può essere sia autunnale che alla ripresa vegetativa della vite; è comunque da applicare su infestanti in post-emergenza in quanto viene assorbito principalmente attraverso le parti verdi delle piante e quindi traslocato nei diversi organi. L’impiego di

nessuna

nessuna

glifosate richiede una particolare attenzione nella distribuzione poiché se viene assorbito dalle parti verdi della vite si possono manifestare danni sulla vegetazione. È necessario pertanto eliminare preventivamente gli eventuali polloni presenti sul ceppo, distribuire il prodotto in assenza di vento e negli impianti giovani impiegare le apposite campane protettive. È sconsigliato l’uso di attrezzature non specifiche per il diserbo quali le lance irroratrici a mano poiché non consentono di effettuare con precisione la distribuzione dell’erbicida. • Glufosinate ammonio: erbicida da applicare in postemergenza in quanto agisce per contatto, con una parziale traslocazione, e assorbimento fogliare sulle parti verdi delle piante. L’aggiunta di solfato ammonico o urea migliora l’effetto erbicida; se ne consiglia l’utilizzo nei mesi primaverili e può anche essere usato per il controllo chimico dei polloni quando questi abbiano raggiunto una lunghezza di 15-20 cm e non siano ancora lignificati. La sintomatologia indotta dall’erbicida si manifesta 2-3 giorni dopo il trattamento; il disseccamento delle piante avviene entro circa 5-10 giorni dal trattamento.

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5. manuale d’uso del territorio

• Oxifluorfen: erbicida che esplica la sua azione residuale e antigerminello attraverso il contatto con i giovani tessuti fogliari e radicali presenti al momento del trattamento e con le plantule che emergono successivamente perforando il film formato dall’erbicida sul terreno. L’epoca di trattamento è preferibilmente quella di riposo vegetativo della vite, sia in autunno prima della caduta delle foglie che in primavera 15-20 giorni prima del germogliamento. È utilizzato soprattutto per la pulizia dei giovani vigneti. • Flazasulfuron: principio attivo di nuova introduzione che ha sia azione fogliare che residuale nel terreno e risulta particolarmente attivo nei confronti di infestanti resistenti. La sintomatologia si manifesta dopo 3-4 giorni dall’utilizzo con disseccamento delle infestanti entro 20-25 giorni. È particolarmente efficace nella distribuzione autunnale garantendo un prolungato controllo delle malerbe anche per la stagione successiva; non viene pertanto consigliato in primavera. Va distribuito in miscela con glifosate per ottimizzarne l’efficacia; data la lunga persistenza e l’attività residuale di questo erbicida, il suo utilizzo è di solito consigliato solo a cadenza triennale. • Ciclossidim e Fluazifop-p-butile: prodotti ad azione graminicida che agiscono per contatto sulle foglie; vanno quindi utilizzati su infestanti in crescita attiva e avendo cura di avere una buona umidità del terreno e dell’aria per aumentarne l’efficacia. L’epoca di utilizzo è nei mesi della tarda primavera o in estate. • Isoxaben: prodotto residuale con azione antigerminello; è consigliato sui nuovi impianti avendo cura di trattare su terreno ben lavorato, senza infestanti in germinazione e con una pronta irrigazione per favorirne l’attività.

vendemmia (stato sanitario, ma anche evoluzione biochimica dei composti della bacca) che definisce lo stile del vino è una diretta conseguenza anche del tenore in acqua che determina l’efficacia produttiva e il funzionamento fisiologico e biochimico del vigneto. La gestione della disponibilità idrica per la vite, da effettuarsi tramite l’irrigazione, è dunque una pratica agronomica della massima importanza; un leggero stress idrico, soprattutto in alcune fasi fisiologiche, è ricercato in una viticoltura moderna in quanto limita la crescita vegetativa e favorisce lo sviluppo qualitativo delle uve, di contro uno stress idrico eccessivo causa una riduzione della fotosintesi e ritarda la maturazione con decremento della qualità. L’irrigazione a goccia, quindi la strategia irrigua oggi più diffusa, consente di somministrare l’acqua con moderazione e solo quando serve in modo da controllare il deficit idrico in funzione della qualità; in quest’ottica l’apporto idrico perde la funzione di aumentare la produzione ma riveste invece un ruolo di soccorso per una corretta e ideale evoluzione degli elaborati. La gestione dell’irrigazione deve ovviamente essere studiata e adattata in funzione di una molteplicità di fattori quali principalmente la piovosità e le temperature stagionali, le caratteristiche del terreno, le produzioni, la varietà, il portinnesto, la gestione della parete vegetativa, ecc. I sintomi di stress idrico sulle piante possono essere visivamente riconosciuti come riportato nella Tabella 5.9. La tecnica irrigua più razionale è quella detta “di stress idrico controllato”, in quanto si suppone di soccorrere la pianta nei momenti di siccità fino alla preinvaiatura per non compromettere la crescita dell’acino in questa delicata fase fondamentale per la quantità e la qualità delle produzioni; successivamente all’invaiatura uno stress idrico opportunamente controllato favorirà l’accumulo e la maturazione ottimale dei componenti della bacca. Infatti nella fase finale della maturazione il rallentamento dell’attività vegetativa, che è indotto da una riduzione di disponibilità idrica, devia il trasporto degli elaborati verso i grappoli determinando un incremento complessivo della qualità soprattutto per la produzione di vini rossi più colorati e con tannini meno astringenti.

L’irrigazione L’acqua è sicuramente un fattore determinante per la qualità delle produzioni vitivinicole; la conoscenza dell’evoluzione dello stato idrico del vigneto nel corso di tutto il suo ciclo di sviluppo è un fattore chiave per la comprensione dei terroir viticoli. La qualità della Tabella 5.9 – Indicatori visuali di stress idrico (da Krstic et al., 2003) Aspetto della pianta Apici di colore verde chiaro lucido Foglie verde opaco Viticci che non appassiscono Apici di colore verde chiaro lucido Foglie verde opaco Viticci che appassiscono Crescita dei germogli arrestata Tutte le foglie, apici compresi, verde opaco Apici morti Viticci morti e mancanti Faglie basali esposte gialle Foglie basali esposte assenti

Aspetto della vegetazione

Grado di stress

Robusto e in crescita vigorosa

Nessuno

Crescita più ridotta

Leggero

Crescita interrotta

Da moderato ad alto

-

Alto Da alto a molto alto Severo Estremo


5. manuale d’uso del territorio

Per una valutazione degli stati idrici ottimali delle piante in base ai potenziali fogliari misurati con la camera a pressione, il metodo più preciso di valutazione del potenziale idrico delle piante, si rimanda alla Figura 5.4. Nelle fasi vegetative antecedenti la fioritura è di solito consigliato non avere stress idrici per non danneggiare una buona crescita vegetativa e un buon tasso di allegagione; nel periodo tra l’allegagione e l’invaiatura il grado di stress idrico ha una forte influenza sulla resa del vigneto andando a incidere principalmente sulle dimensioni dell’acino con un aumento della qualità in considerazione del rapporto superficie/volume e quindi della

concentrazione finale in polifenoli e aromi. Tuttavia, se la carenza idrica durante questa fase vegetativa è eccessiva, il peso dell’acino e quindi la produzione complessiva diminuirà in modo significativo, inoltre verrà alterata la sintesi dei tannini e anche quella successiva degli antociani. Nel periodo tra l’invaiatura e la vendemmia una mancanza di carenza idrica può determinare una vigoria eccessiva con rese elevate ma con diminuzioni evidenti della qualità, soprattutto per quanto riguarda l’accumulo in zuccheri e polifenoli. È proprio lo stato idrico del vigneto in questo periodo che determina il tipo di uva e quindi di vino che sarà possibile ottenere. In Figura 5.5

0

caduta foglie

vendemmia

invaiatura

germogliamento

Potenziale idrico fogliare (MPa)

0

fioritura - allegazione

Figura 5.4 – Stati idrici ottimali (zone in verde), sfavorevoli (zone in giallo) e dannosi (zone in rosso) in funzione del periodo vegetativo del vigneto (da Ojeda 2007)

Livello di carenza

0 da nulla a lieve

-0,2

-0,5

-0,8 da lieve a media

-0,4

-0,8

-1,1 da media a forte

-0,6

-1,1

-1,4

-0,8

-1,4

-1,6

da forte a severa

severa

I livelli di carenza idrica sono espressi in Mega Pascal (MPa).

0

0

caduta foglie

vendemmia

invaiatura

fioritura - allegazione

Potenziale idrico fogliare (MPa)

germogliamento

Figura 5.5 – Modelli irrigui in funzione del periodo vegetativo, dello stati idrico del vigneto e della tipologia di prodotto ricercato (modificato da Ojeda 2007)

Livello di carenza

0 da nulla a lieve

-0,2

-0,5

-0,8 da lieve a media

-0,4

-0,8

-1,1 da media a forte

-0,6

-1,1

-1,4 da forte a severa

-0,8

-1,4

-1,6 severa

I livelli di carenza idrica sono espressi in Mega Pascal (MPa).

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5. manuale d’uso del territorio

sono riportati alcuni modelli di gestione della stato idrico del vigneto in funzione dell’obiettivo produttivo: a. modello da seguire per un’elevata produzione che evita l’insorgenza di carenze idriche per tutto il periodo vegetativo; determina un’eccessiva vigoria e una diluizione dei metaboliti dell’acino e la comparsa di gusti erbacei. Può essere una strategia da adottare per la produzione di mosto concentrato, di succhi d’uva o per i giovani vigneti in formazione; b. strategia irrigua idonea alla produzione di uve per vini bianchi aromatici e vini rossi fruttati; si può instaurare un leggero e progressivo stress idrico nel periodo prevendemmiale per non diminuire eccessivamente la vigoria vegetativa e favorire l’accumulo di zuccheri e antociani; c. in questo caso la strategia è di anticipare la fase di carenza idrica per stimolare ulteriormente la concentrazione dei composti fenolici, principalmente gli antociani, a scapito delle rese produttive causate da un’ulteriore riduzione della dimensione dell’acini. L’obiettivo enologico per uve prodotte seguendo tale modello irriguo è quello di vini di qualità, equilibrati che mantengono una buona nota fruttata accompagnati da una buona struttura; d. l’ultima opzione assicura un controllo più forte sulla dimensione dell’acino, grazie a disponibilità idriche ridotte già a partire dalla fioritura, determinando un notevole aumento della concentrazione dei polifenoli anche se a scapito delle note aromatiche varietali. È una strategia per la produzione di vini rossi da invecchiamento molto concentrati, con un buon equilibrio e struttura. Infine nel periodo dopo la vendemmia è opportuno che la pianta recuperi il suo ottimale stato idrico per avere una migliore traslocazione verso gli organi di riserva e una buona assimilazione di nutrienti. Per apportare acqua alla vigna esistono diversi sistemi tra i quali si riportano quelli per sommersione o allagamento e per infiltrazione laterale, che necessita dell’uso dei solchi, entrambi oramai quasi in disuso; l’irrigazione per aspersione o a pioggia, che prevede l’uso di impianti fissi o semoventi che distribuiscono l’acqua sia sopra che sottochioma, utilizzati in alcune zone e per scopi anche diversi dall’unico fine di apportare acqua alla coltura; l’irrigazione a goccia a microportata operata attraverso l’utilizzo di gocciolatori (2-7 l all’ora per gocciolatore), che rappresenta il sistema maggiormente usato in viticoltura. Tra gli aspetti positivi di questo tipo di irrigazione si ricordano il notevole risparmio d’acqua causato dalla riduzione al minimo delle perdite per evaporazione, l’annullamento di qualsiasi fenomeno erosivo e di costipamento e inoltre l’opportunità di effettuare una totale automazione dell’operazione; tra gli aspetti negativi si possono citare la possibilità di occlusione dei gocciolatori, l’ingombro dei tubi posti in superficie o poggiati sul

filo di banchina e la possibilità che si creino concentrazioni saline dannose ai limiti della zona umida utilizzando acque non perfettamente idonee all’irrigazione. Per operare un’irrigazione razionale della vigna bisogna tenere in considerazione lo stato di disponibilità idrica offerto dal sistema clima-suolo, quindi si deve valutare il regime pluviometrico della zona e la richiesta evaporativa dell’ambiente; sarà quindi necessario o un bilancio idrico del suolo o un metodo diretto di stima dello stato idrico delle piante come precedentemente descritto con i potenziali fogliari.

Potatura verde Spollonatura Operazione che consiste nell’eliminazione dei ricacci presenti al piede della vite (polloni) o, più frequentemente, lungo il fusto (succhioni). Lo scopo è di ridurre i fattori competitivi nei confronti dei germogli produttivi. Questa pratica si rende particolarmente necessaria nei giovani vigneti ove è assai ricorrente la formazione di germogli anche dalle numerose gemme latenti sul fusto. Può essere condotta per via meccanica o per via chimica attraverso l’uso di specifici principi attivi. L’epoca di intervento è a germogliamento concluso e nel caso di spollonatura meccanica si consiglia di intervenire con polloni/succhioni lunghi circa 20-25 cm, mentre per la spollonatura chimica la lunghezza dei polloni/ succhioni dovrà essere di circa 10-15 cm. Se la zona di coltivazione è spesso soggetta a danni da gelo, si consiglia di lasciare qualche succhione per il rifacimento della struttura produttiva in caso il tralcio a frutto venga danneggiato. Nei vigneti più giovani e vigorosi è necessario ripassare anche a fine primavera. Per limitare questa operazione sarebbe utile “accecare” alla fine del primo o del secondo anno d’impianto le gemme ibernanti presenti sul tralcio che viene utilizzato per la formazione del fusto, avvalendosi anche delle comuni forbici di potatura.

Scacchiatura (o diradamento dei germogli) Consiste nell’eliminare lungo i tralci di potatura i germogli doppi, sviluppatisi dalle gemme di controcchio, o sterili e cioè quelli che non portano grappoli. Lo scopo di questa operazione è di favorire lo sviluppo e il soleggiamento dei restanti germogli e, soprattutto, di migliorare l’arieggiamento dei grappoli con ripercussioni per il futuro stato sanitario. Nel caso di potature invernali più ricche del necessario e con forte germogliamento, quindi con probabile eccesso di grappoli, con questa operazione si potrà anche effettuare un diradamento dei germogli fertili, in particolare di quelli distali sul tralcio, creando le basi per una produzione più equilibrata.


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È un’operazione colturale che deve essere condotta manualmente durante il germogliamento con germogli teneri e grappoli visibili (germoglio di 15-20 cm). Dato l’elevato ricorso a manodopera specializzata e il conseguente incremento dei costi di gestione del vigneto, va eseguita su vigneti finalizzati a produzioni di pregio.

Cimatura dei germogli Consiste nell’asportazione degli apici dei germogli, allo scopo di sopprimere un fattore di competizione con il grappolo, di stimolare l’allegagione e di rinnovare la parete fogliare con l’emissione di femminelle che porteranno foglie dal giusto sviluppo nel periodo prevendemmiale in cui sarà necessario un buon apporto fotosintetico per una corretta maturazione. Attualmente è un’operazione colturale condotta esclusivamente per via meccanica da effettuarsi con tralci eretti sopra l’ultimo filo ma non ancora ricadenti; normalmente coincide con la fase di allegagione avvenuta (grano di pepe). Se la cimatura viene localizzata in pre-chiusura grappolo si migliora l’efficacia dei trattamenti antibotritici. Si consiglia, tranne in casi di elevato vigore, di evitare cimature successive alla chiusura del grappolo per non incorrere in rischi di stress vegetativo nel periodo estivo. Normalmente la modalità di taglio è di circa 20-30 cm sopra il palo e 30-40 cm lateralmente dal palo. Il numero delle cimature annuali deve rispecchiare il vigore del vigneto; solitamente si effettua una cimatura o al massimo due. Se vi fosse la necessità di ulteriori cimature, rivedere la gestione del vigneto riducendo le concimazioni, i volumi di adacquamento e adottando potature più ricche.

Sfogliatura L’operazione consiste nel togliere alcune foglie intorno ai grappoli migliorando così la loro illuminazione e il microclima complessivo. Va subito precisato che è un intervento delicato, da eseguire con cura e attenzione; come già visto per la cimatura, anche in questo caso tempi e intensità di intervento vanno ben calibrati. Non è consigliato operare sulle varietà a bacca bianca, in quanto un’eccessiva esposizione dei grappoli ai raggi solari e una conseguente temperatura troppo elevata delle bacche può portare a fenomeni di scottatura e a una drastica riduzione dei contenuti acidi (acido malico) e delle potenzialità aromatiche dell’uva. Per i vitigni rossi, al contrario, una buona esposizione al sole migliora la colorazione delle bacche in conseguenza di una sintesi antocianica portata su più alti livelli. Prove sperimentali hanno evidenziato un incremento del 30% nel contenuto in sostanze coloranti nei grappoli meglio esposti al sole rispetto a quelli totalmente in ombra. Dalle stesse esperienze è altresì emerso che temperature dell’acino prossime ai 40 °C rallentano la sintesi degli antociani.

Ciò premesso, l’intervento di sfogliatura viene consigliato nei soli vitigni rossi e per produzioni di vini di alta gamma (è infatti un’operazione molto dispendiosa). In questi casi l’operazione va eseguita in prossimità dell’invaiatura, eliminando solo le foglie che realmente ostacolano l’insolazione dei grappoli, quelle oramai compromesse nella loro attività fotosintetica (foglie gialle, non sane, rotte, ecc.), facendo attenzione a non eccedere nel numero (massimo 1 o 2 foglie per germoglio), per non ridurre la superficie fogliare elaborante. Recenti sperimentazioni hanno altresì dimostrato l’assoluto effetto negativo di sfogliature eseguite prima dell’allegagione, mentre risultati positivi si sono intravisti con interventi eseguiti a fine giugno e operando prevalentemente sul lato del filare meno esposto (lato est oppure nord). Quest’epoca è infatti compatibile con una buona illuminazione complessiva e prolungata dei grappoli e con un adattamento dell’acino a una maggiore temperatura, evitando così lo shock termico e luminoso che vi potrebbe essere con un intervento eseguito a luglio o agosto. Resta comunque il principio fondamentale di togliere solo poche foglie, solitamente quelle opposte al grappolo, per non privare l’acino di una quota eccessiva di elaborati, altrimenti provenienti dalle foglie soppresse.

Diradamento dei grappoli Intervento volto a ridurre la quantità di uva presente nella pianta al fine di migliorare la qualità della restante produzione. Va subito anticipato che questo dovrebbe essere un intervento per grandi obiettivi enologici e da eseguire in via del tutto straordinaria, o comunque di rifinitura, per completare un percorso produttivo già iniziato con la potatura. Se infatti il diradamento ha lo scopo di portare la produzione sui giusti livelli quantitativi, questo obiettivo può essere raggiunto innanzitutto con una potatura invernale ben calibrata sull’esatto numero di gemme da lasciare in funzione della resa voluta. Un secondo momento di rapido intervento va collocato alla fine di aprile – prima decade di maggio con una veloce soppressione dei giovani germogli in soprannumero; vanno eliminati i germogli sterili (succhioni e polloni), i secondi germogli (gemme di controcchio) e i germogli che creano affastellamento. In questo modo si sono poste le basi per ottenere una parete vegetativa ordinata, non affastellata e con un numero di grappoli idoneo alle attese qualitative e in grado di maturare in modo omogeneo, senza gerarchie di accumulo. In queste condizioni e in annate favorevoli può non essere necessario ridurre ulteriormente, con il diradamento, il numero dei grappoli. Il diradamento si configura allora come tappa conclusiva di un percorso programmato e non come drastico intervento non sempre risolutore di carichi produttivi eccessivi.

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5. manuale d’uso del territorio

L’epoca di esecuzione è quella coincidente con i primissimi stadi dell’invaiatura, a questo proposito è buona norma lasciare nel vigneto 1 o 2 viti per varietà con pochissimi grappoli, tanto da indurre la pianta ad anticipare di alcuni giorni l’invaiatura e utilizzarla come segnale utile per iniziare l’operazione nel vigneto. Vanno eliminati i secondi grappoli sul germoglio, quelli di dimensioni eccessive o eccessivamente addossati gli uni agli altri, quelli mal conformati e quelli portati da corti germogli nei quali vi sia un evidente squilibrio tra uva e superficie fogliare. Si ritiene invece sicuramente utile intervenire sulle giovani piante (secondo o terzo anno di impianto), dove la necessità di avere una gran massa fogliare elaborante e una struttura in via di formazione il più completa possibile suggerisce, da un lato, di adottare una potatura ricca e, dall’altro, impone un intervento di diradamento con il duplice scopo di garantire un livello qualitativo minimo della produzione e una buona lignificazione e ripresa vegetativa della vite.

Stima della produzione Molto spesso, nei piani di programmazione aziendale e ai fini del raggiungimento degli obiettivi enologici prefissati, può essere estremamente utile conoscere con un certo anticipo la futura produzione dei propri impianti. È evidente, data la natura del calcolo, che si tratta di una stima e di una previsione, in quanto l’andamento stagionale gioca sempre un ruolo determinante e ciò soprattutto nell’influenzare la dimensione finale del grappolo. Per questi motivi riteniamo che il calcolo vada eseguito in fase di allegagione avanzata, momento in cui è già discretamente prevedibile il futuro peso del grappolo in relazione alla numerosità dei fiori fecondati. Per l’esecuzione della stima di previsione del volume di raccolta, sono indispensabili questi termini di calcolo: - numero medio di grappoli per vite o per metro quadrato di superficie; - peso medio del grappolo. Per la quantificazione del primo termine, devono essere contati tutti i grappoli presenti in 30 ceppi, suddivisi in tre serie di 10 ceppi contigui. Allo scopo di ottenere una stima più veritiera possibile della realtà aziendale, devono essere conteggiati anche i grappoli di viti non complete, pena la sovrastima del calcolo. Il peso medio del grappolo viene quantificato sulla base del peso rilevato in un numero piuttosto ampio di annate. Un metodo altrettanto valido, ma più laborioso, consiste nel calcolare la fertilità reale o di campagna media (sempre partendo da un numero rappresentativo di ceppi), moltiplicare questo valore per il numero di gemme presenti nel vigneto (si otterrà così il numero di grappoli totali presenti nel vigneto), e infine moltiplicare il valore ottenuto per il peso del grappolo.

5.3 Schede di conduzione delle Unità Vocazionali L’elaborazione dei dati riportata nel capitolo 4 ha evidenziato le differenti unità vocazionali per i vitigni oggetto di studio. La sovrapposizione delle varie aree vocazionali varietali ha permesso di evidenziare 8 Unità Vocazionali per la DOC Terradeiforti che sono state caratterizzate dal punto di vista pedologico e dal punto di vista della risposta qualitativa. Inoltre grazie a queste indicazioni è stato possibile elaborare dei modelli di conduzione specifici per ogni UV con consigli riguardanti la gestione del suolo, la gestione della parete vegetativa e le scelte genetiche (varietà, clone, portinnesto).


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Unità Vocazionale (UV) della DOC Terradeiforti

ENANTIO EN1 EN2 EN3 Adige Urbanizzato

CHARDONNAY CH1 CH2 CH3 Adige Urbanizzato

PINOT GRIGIO PG1 PG2 Adige Urbanizzato

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Unità Vocazionale en1 Caratteristiche ambientali Questa unità è principalmente definita dai conoidi dei corsi d’acqua prealpini caratterizzati da superfici da dolcemente a molto inclinate (inclinazioni tra 2 e 10%) incise dai corsi d’acqua. Altre tipologie importanti sono i conoidi da moderatamente ripidi a ripidi e terrazzati quando coltivati, le falde detritiche stabilizzate e le scarpate da moderatamente ripide a molto ripide. Inoltre comprende porzioni basali dei versanti calcarei della Valle dell’Adige. Le altitudini in questa unità sono generalmente superiori ai 140 m s.l.m.. Sono generalmente suoli da sottili a moderatamente profondi con abbondante scheletro lungo tutto il profilo, contraddistinti da tessiture franco-sabbiose, con reazione da molto calcarea a estremamente calcarea e con drenaggio da buono a rapido.

Caratteristiche attitudinali Unità che presenta attitudine alla produzione di vini alcolici, con pH medio-alto, acidità totale media e con una dotazione in materia fenolica elevata; caratteristiche che possono permettere l’ottenimento di prodotti adatti a un medio-lungo invecchiamento. Il profilo gusto-olfattivo di questi vini è caratterizzato da note spiccate di ciliegia, sentori di pepe e chiodi di garofano e al gusto appaiono astringenti, mediamente acidi con una sensazione amara.


5. manuale d’uso del territorio

Consigli di gestione GESTIONE DEL SUOLO Su questi suoli sottili e inclinati per evitare fenomeni di erosione è consigliato l’inerbimento accompagnato da lavorazioni o dal diserbo del sotto fila. In questi ambienti può essere vantaggioso utilizzare miscugli con essenze meno esigenti (evitare Festuca arundinacea), date le caratteristiche dei suoli (ridotta disponibilità minerale e idrica). Le concimazioni adatte a questa unità prevedono la restituzione delle asportazioni dovute alla produzione con un frazionamento degli apporti azotati. GESTIONE DELLA PIANTA In questa zona bene si adattano forme d’allevamento a spalliera (Guyot) con densità di piantagione elevate (4.000 piante/ha). Per ottenere vini più freschi si consigliano forme d’allevamento più espanse (Pergola) con una maggiore carica di gemme o fittezze d’impianto minori. SCELTE GENETICHE Per questa varietà è disponibile un solo clone, ma accurate selezioni massali, specie su vecchi impianti, possono garantire una buona sicurezza produttiva e qualitativa. Sui suoli di questa unità si possono utilizzare portinnesti della famiglia BerlandierixRiparia con attenzione alle situazioni di calcare attivo limitante: bene si adatta il 1103P e, in casi di forti valori in calcare attivo, il 41B.

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Unità Vocazionale EN2 Caratteristiche ambientali Unità che si riconosce nelle antiche superfici terrazzate dell’Adige e nelle scarpate che le raccordano, che comprendono soprattutto le superfici di origine glaciale e quelle di origine fluviale subpianeggianti, ondulate o inclinate, rilevate da 5 a 20 metri rispetto alle piane tardo-oloceniche. Questa unità presenta altitudini comprese tra i 125 e i 140 m s.l.m.. In questi ambienti i suoli si presentano generalmente profondi, con tessiture da franche a franco-sabbiose fino a franco-argillose, con scheletro da comune ad abbondante, decarbonatati in superficie, alcalini con drenaggio buono.

CARATTERISTICHE attitudinali In questa unità si possono ottenere vini dal medio tenore alcolico e bassa acidità; inferiori alla media appaiono i valori del quadro polifenolico, comunque più che sufficienti per l’ottenimento di vini giovani, con un profilo gusto-olfattivo particolarmente equilibrato, caratterizzati da note erbacee, bassa acidità e media astringenza.


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Consigli di gestione GESTIONE DEL SUOLO Si consiglia il mantenimento e lo sfalcio periodico del cotico erboso al fine di permettere la transitabilità dei mezzi anche in periodi piovosi, evitando l’eccessivo compattamento dei suoli. Le concimazioni in questi casi si limitano alla sola quota di restituzione. GESTIONE DELLA PIANTA In quest’area si possono adottare forme d’allevamento espanse con circa 2.500 ceppi/ha allevati a pergola semplice, oppure adottare forme in parete con maggiore densità d’impianto al fine di ottenere un prodotto enologico per una maggiore durata d’affinamento. Per i vigneti allevati a pergola, ma soprattutto per quelli a spalliera, risulta importante operare una sfogliatura precoce, che a fine fioritura consente di diminuire il rischio di scottature degli acini. SCELTE GENETICHE I portinnesti utilizzabili in questa zona devono essere scelti in base alla tessitura dei terreni e al grado di calcare rilevato; in casi di tessiture franche e francoargillose con basso potere clorosante possono essere utilizzati il 101-14 e il 161-49 che tendono a limitare il vigore e a indurre una certa precocità, ponendo attenzione alle carenze idriche e al ristagno; su suoli franco sabbiosi se si vuole indurre una certa precocità in situazione di basso potere clorosante, può essere utilizzato anche il Teleki 5C oppure il Fercal nel caso in cui il calcare attivo sia limitante.

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Unità Vocazionale EN3 Caratteristiche ambientali Unità che comprende le superfici terrazzate recenti dell’Adige con piane e superfici alluvionali inondabili costituite da depositi di varia tessitura e spessore all’interno dei quali si trova la maggior parte dei vigneti; include inoltre il complesso dell’anfiteatro morenico di Rivoli Veronese a preponderante destinazione a boschi, prati, seminativi con presenza localizzata di vigneti e uliveti. Le altitudini rappresentate in questa unità sono tendenzialmente inferiori ai 125 m s.l.m. Nell’area dei terrazzi recenti i suoli sono da moderatamente profondi a profondi, a tessitura tendenzialmente franco-sabbiosa, con scheletro assente, da molto a scarsamente calcarei e con drenaggio da buono a moderatamente rapido. L’ambito morenico presenta invece una notevole eterogeneità pedologica che riflette quella dei substrati, della morfologia e delle età delle superfici.

CARATTERISTICHE attitudinali L’attitudine enologica delle uve di questa unità è per l’ottenimento di vini dal medio tenore alcolico, con pH elevati e medie acidità e un quadro polifenolico che risulta medio-elevato e adatto sia alla produzione di vini giovani e colorati, che di vini dal medio-lungo invecchiamento. Le caratteristiche organolettiche peculiari evidenziano note spiccate di mora e lampone, sentori di ribes e una leggera nota florale; al gusto appaiono supportati da una buona acidità e da una contenuta astringenza.


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Consigli di gestione GESTIONE DEL SUOLO I suoli di questa unità presentando profondità maggiori e assenza di scheletro possono determinare rischi di elevata umidità; per questo motivo si consiglia l’inerbimento che consente di diminuire l’eccesso idrico attraverso l’evapotraspirazione del cotico erboso e il miglioramento delle caratteristiche fisiche del suolo. Le specie da utilizzare in questi casi possono anche essere abbastanza competitive. Per quanto riguarda le concimazioni si consiglia di porre particolare attenzione agli apporti azotati sia per la scelta del formulato che per l’epoca di somministrazione per non incorrere in fenomeni di lussureggiamento che stimolerebbero una ulteriore tardività di maturazione. Buona pratica è utilizzare azoto in forma organica in autunno per evitare contaminazioni della falda. GESTIONE DELLA PIANTA In questi ambienti si consiglia di operare quelle operazioni atte a favorire un maggior arieggiamento della parete vegeto-produttiva (accurate cimature, scacchiature, sfogliature e diradamenti). Si consiglia di scegliere, nel caso si voglia ottenere uva atta a produrre vini più strutturati, fittezze di impianto superiore ai 4000 ceppi/ha allevati sia a spalliera con potatura lunga (Guyot) che a pergola semplice. SCELTE GENETICHE I portinnesti adatti a questa tipologia di suoli sono il 161-49, che permette di ottenere un certo anticipo della maturazione e un certo controllo della vigoria e, nel caso esistano rischi di clorosi ferrica, il 41B che riduce meno il vigore rispetto al precedente ma permette comunque una certa induzione di precocità. Bene si comportano anche il Kober 5BB e l’SO4.

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Unità Vocazionale CH1 Caratteristiche ambientali Zone ad altitudine superiore ai 130 m s.l.m. per la maggior parte contraddistinte da pendenze mediamente elevate con suoli spesso sottili e a tessiture tendenzialmente franco-sabbiose.

CARATTERISTICHE attitudinali Area con attitudine alla produzione di vini strutturati, dotati di alto tenore alcolico e valore di pH, acidità inferiore alle altre unità. I vini sono caratterizzati da note spiccate di crosta di pane, sentori di mela e pera e da una bassa acidità.


5. manuale d’uso del territorio

Consigli di gestione GESTIONE DEL SUOLO In questi ambienti si può optare per un inerbimento poco competitivo nel caso di suoli particolarmente poveri e a tessiture sciolte. Per favorire un buon livello acidico dei mosti la concimazione azotata potrà venire incrementata. Inoltre per ridurre la competizione del cotico erboso si può pensare di aumentare l’irrigazione e di gestire accuratamente il diserbo, le lavorazioni del suolo e le pacciamature; nel caso di zone evidentemente scarse di vigore si può operare una concimazione azotata di soccorso in periodo primaverile. GESTIONE DELLA PIANTA Per l’ottenimento di bianchi strutturati si suggeriscono fittezze d’impianto fino a 5000 piante/ha se si opta per forme d’allevamento in parete mentre se si vogliono ottenere prodotti per vini freschi o base spumante vanno bene la Pergola trentina singola o doppia, o il Guyot con densità di piantagione fino a 3.500-4.000 piante/ha. Si consiglia in questa situazione di porre attenzione alle sfogliature da effettuare preferibilmente sulle spalliere sul lato meno esposto per evitare una scottatura dei grappoli, mentre per le pergole viene comunque sempre raccomandata; il diradamento (sia dei grappoli che dei germogli) va valutato a seconda della condizioni climatiche per regolare l’equilibrio vegeto-produttivo delle piante. SCELTE GENETICHE I portinnesti da utilizzare in questa area sono quelli che inducono un medio vigore quali Teleki 5C, SO4, 161-49, 101-14 in casi di eccessi di calcare anche Fercal; per aumentare la vigoria possono essere utilizzati portinnesti più vigorosi quali ad esempio il 1103P.

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Unità Vocazionale CH2 Caratteristiche ambientali Zone con altitudini inferiori ai 130 m s.l.m. e con profondità dei suoli inferiori ai 100 cm, con pendenze medie o medio-basse.

CARATTERISTICHE attitudinali Le uve prodotte in questa unità presentano attitudine per la produzione di vini con valori medi di alcol, pH e acidità totale, caratterizzati da note spiccate di floreale, sentori di pera e ananas e supportati da una media acidità.


5. manuale d’uso del territorio

Consigli di gestione GESTIONE DEL SUOLO In questi ambienti si può optare per un inerbimento anche mediamente competitivo. Per quanto concerne la concimazione si può pensare di dimensionare gli apporti in base alle asportazioni dovute alla produzione cercando di evitare eccessi di azoto; in casi in cui sia necessaria la riduzione del vigore si consiglia l’interruzione della concimazione azotata. GESTIONE DELLA PIANTA Le più comuni fittezze d’impianto utilizzate nella denominazione sono idonee per la realizzazione dei vini tipici di questa unità; per ottenere prodotti più strutturati si suggeriscono fittezze d’impianto fino a 5.000 piante/ha. Bene si presta a questa finalità l’adozione di forme d’allevamento in parete come il Guyot, ma anche il Cordone speronato. Sono da prevedere le operazioni di scacchiatura e cimatura, si consiglia di operare sia le sfogliature che i diradamenti di grappoli e germogli. SCELTE GENETICHE I portinnesti da utilizzare in questa area sono quelli che inducono un medio vigore quali Teleki 5C, SO4, 161-49, 101-14 e in casi di eccessi di calcare anche Fercal; per aumentare la vigoria possono essere utilizzati portinnesti più vigorosi quali ad esempio il 1103P.

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Unità Vocazionale CH3 Caratteristiche ambientali Zone con altitudini inferiori ai 130 m s.l.m., con profondità dei suoli superiori ai 100 cm e pendenze limitate o assenti.

CARATTERISTICHE attitudinali Le uve prodotte in questa unità presentano attitudine per la produzione di vini freschi e giovani anche per la spumantizzazione, dal contenuto tenore alcolico e valore di pH e sostenuti da una buona acidità; sono caratterizzati da sentori di pera e da una nota gustativa acida.


5. manuale d’uso del territorio

Consigli di gestione GESTIONE DEL SUOLO In questa unità viene suggerito l’utilizzo dell’inerbimento anche con essenze maggiormente competitive. Le concimazioni da approntare in quest’area prevedono usualmente apporti calcolati sulle asportazioni; per produzioni più contenute e l’induzione di un minor vigore ridurre gli apporti azotati e l’irrigazione. GESTIONE DELLA PIANTA In questa unità si suggerisce di scegliere una densità d’impianto di circa 3.000 piante/ha. Il sistema di allevamento da utilizzare sarà a Pergola, singola o doppia, o a Guyot. In queste situazioni si consiglia di porre particolare attenzione a tutte le attività atte a favorire l’arieggiamento della zona produttiva quali scacchiature e sfogliature, e soprattutto alle cimature. Al fine di regolare l’equilibrio vegeto-produttivo delle piante si dovranno prevedere diradamenti dei grappoli e dei germogli. SCELTE GENETICHE I portinnesti con una ridotta vigoria e che inducono una maggiore precocità di maturazione, quali 10114 (attenzione al calcare attivo), 420A (attenzione ai fenomeni di ristagno idrico), 161-49 e, in casi di calcare molto elevato, il Fercal sono consigliati per questa unità.

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Unità Vocazionale PG1 Caratteristiche ambientali Zone con suoli che presentano valori di AWC superiori ai 140 cm e spesso con altitudini inferiori ai 130 m s.l.m. e con pendenze molto limitate o nulle.

CARATTERISTICHE attitudinali Le uve ottenute in questa unità presentano attitudine per la produzione di vini dal buon tenore alcolico, con medio-basso valore di pH e sostenuti da una buona acidità; sono caratterizzati da sentori di pera e frutta tropicale.


5. manuale d’uso del territorio

Consigli di gestione GESTIONE DEL SUOLO Con questi suoli, tendenzialmente profondi e con elevata disponibilità idrica, per ottenere un prodotto più strutturato si può scegliere di realizzare inerbimenti con miscugli a forte competizione, di limitare le concimazioni, le lavorazioni, i diserbi e l’irrigazione. GESTIONE DELLA PIANTA Questa varietà sembra adattarsi molto bene alle zone di fondovalle e quindi con disponibilità idriche superiori alla media. Per motivi di controllo dell’umidità si consiglia, insieme alla scelta della densità di impianto e della forma d’allevamento, di non mantenere la zona vegeto-produttiva troppo vicino al suolo. Tutte le operazioni che causano un maggior arieggiamento dei grappoli sono fortemente consigliate: tra queste una sfogliatura precoce, in fine fioritura, nella zona dei grappoli ha un forte effetto nella riduzione dei danni da botrite. SCELTE GENETICHE I portinnesti da utilizzare in questa area sono quelli che inducono un medio vigore quali Teleki 5C, SO4, 161-49, 101-14 e, in casi di eccessi di calcare, anche Fercal.

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Unità Vocazionale PG2 Caratteristiche ambientali Zone caratterizzate da suoli dal contenuto di AWC inferiore a 140 cm e spesso con altitudini superiori ai 130 m s.l.m.

CARATTERISTICHE attitudinali In questa unità si producono vini dal buon tenore alcolico con pH medio-basso e buona acidità e caratterizzati da sentori olfattivi floreali e di pesca e che al gusto si distinguono per una spiccata acidità e per una nota di amaro.


5. manuale d’uso del territorio

Consigli di gestione GESTIONE DEL SUOLO Nelle aree caratterizzate da superfici inclinate e suoli sottili si consiglia un inerbimento ottenuto con miscele di essenze meno competitive, con diserbo sulla fila. Le concimazioni saranno dimensionate in relazione alle asportazioni e si consiglia di porre attenzione all’irrigazione per evitare eccessi idrici. GESTIONE DELLA PIANTA In questa unità il Pinot grigio esprime a pieno titolo le sue caratteristiche peculiari. Nel caso si vogliano ottenere delle produzioni di uva atte a vini più strutturati, come in PG1, si consiglia l’adozione di forme d’allevamento in parete (Guyot) o Pergola semplice con alte densità d’impianto e minore carica di gemme per pianta. Per ottenere uve per prodotti di maggiore complessità si consiglia di optare per carichi di gemme tali da non indurre produzioni elevate e creare una buona aerazione della zona produttiva operando diradamenti dei grappoli e dei germogli. SCELTE GENETICHE In queste condizioni si presentano suoli di diverse tessiture e profondità ma dalle disponibilità idriche inferiori alla precedente; in situazioni di suoli meno profondi e di collina si consiglia l’utilizzo dei portinnesti che determinano un medio vigore quali Teleki 5C, 161-49 e 101-14 che inducono anche un certo anticipo di maturazione. In casi di eccessi di calcare si può ricorrere al Fercal e nei suoli più freschi e profondi, avendo attenzione nel controllarne il vigore, possono essere utilizzati portinnesti quali l’SO4, che resiste bene a medi livelli di calcare attivo, e il Kober 5BB.

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Disciplinare di produzione della denominazione di origine controllata dei vini «Valdadige Terradeiforti» o «Terradeiforti Valdadige» Decreto Ministeriale del 7 novembre 2006 Articolo 1 Denominazioni e vini

Articolo 3 Zona di produzione delle uve

La denominazione d’origine controllata «Valdadige Terradeiforti» o «Terradeiforti Valdadige» è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti prescritti dal presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie: Enantio, Enantio riserva, Enantio passito, Casetta, Casetta riserva, Pinot grigio, Chardonnay, Passito.

Le uve destinate alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Valdadige Terradeiforti» o «Terradeiforti Valdadige» devono essere prodotte esclusivamente nei territori dei comuni di Brentino Belluno, Dolcè e Rivoli Veronese, in provincia di Verona e Avio, in provincia di Trento.

Articolo 2 Base ampelografica

Articolo 4 Norme per la viticoltura

I vini della denominazione di origine controllata «ValdadigeTerradeiforti» o «Terradeiforti Valdadige» devono essere ottenuti dalle uve prodotte dai vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica: • Enantio (anche riserva e passito): Enantio minimo 85%; possono concorrere le uve provenienti da altri vitigni a bacca nera, idonei alla coltivazione nelle province di Verona e Trento, presenti nei vigneti fino a un massimo del 15%. • Casetta (anche riserva): Casetta minimo 85%; possono concorrere le uve provenienti da altri vitigni a bacca nera, idonei alla coltivazione nelle province di Verona e Trento, presenti nei vigneti fino a un massimo del 15%. • Pinot grigio: Pinot grigio minimo 85%; possono concorrere le uve provenienti da altri vitigni a bacca bianca, non aromatici, idonei alla coltivazione nelle province di Verona e Trento, presenti nei vigneti fino a un massimo del 15%. • Chardonnay: Chardonnay minimo 85%; possono concorrere le uve provenienti da altri vitigni a bacca bianca, non aromatici, idonei alla coltivazione nelle province di Verona e Trento, presenti nei vigneti fino a un massimo del 15%. • Passito: Chardonnay minimo 60%; possono concorrere le uve provenienti da altri vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nelle province di Verona e Trento, presenti nei vigneti fino a un massimo del 40%.

Condizioni naturali dell’ambiente Le condizioni ambientali dei vigneti destinati alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Valdadige Terradeiforti» o «Terradeiforti Valdadige» devono essere quelle normali della zona e atte a conferire alle uve le specifiche caratteristiche di qualità. I vigneti devono trovarsi su terreni ritenuti idonei per le produzioni della denominazione di origine di cui si tratta. Sono da escludere i terreni eccessivamente umidi o insufficientemente soleggiati. Densità d’impianto Per i nuovi impianti e i reimpianti la densità dei ceppi per ettaro non può essere inferiore a 3.500 in coltura specializzata. Per i vitigni Chardonnay e Pinot grigio la densità minima non può essere inferiore a 4.000 ceppi per ettaro. Forme di allevamento e sesti di impianto I sesti di impianto e le forme di allevamento consentiti sono quelli già usati nella zona e quindi la spalliera semplice, la pergola mono e bilaterale inclinata. I sesti di impianto sono adeguati alle forme di allevamento. Irrigazione, forzatura È vietata ogni pratica di forzatura. È consentita l’irrigazione di soccorso.


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Resa a ettaro e gradazione minima naturale La produzione massima di uva a ettaro e la gradazione minima naturale sono le seguenti: Produzione ton/ha

Tipologia Enantio (anche riserva e passito) Casetta (anche riserva) Pinot grigio Chardonnay Passito

10,0 10,0 12,0 12,0 12,0

Titolo alcolometrico minimo naturale %vol. 11,5 11,5 10,5 10,5 11,0

Nelle annate favorevoli i quantitativi di uve ottenuti e da destinare alla produzione di detti vini devono essere riportati nei limiti di cui sopra, purché la produzione complessiva non superi del 20% i limiti medesimi, fermo restando i limiti di resa uva/vino di cui trattasi. Le eccedenze delle uve, nel limite massimo del 20% non hanno diritto alla denominazione di origine controllata. Oltre detto limite decade il diritto alla denominazione di origine controllata per tutto il prodotto.

Articolo 5 Norme per la vinificazione Zona di vinificazione Le operazioni di vinificazione, ivi compresi l’invecchiamento obbligatorio e l’appassimento delle uve, devono essere effettuate all’interno della zona di produzione delimitata nel precedente art. 3. È tuttavia consentito che le operazioni di cui sopra siano effettuate in cantine situate nell’intero territorio amministrativo delle province di Verona e Trento. Arricchimento e colmature È consentito l’arricchimento dei mosti e dei vini di cui all’art. 1, nei limiti stabiliti dalle norme comunitarie e nazionali, con mosti concentrati oppure con mosto concentrato rettificato o a mezzo concentrazione a freddo o altre tecnologie consentite con esclusione delle tipologie «passito». È ammessa la colmatura dei vini di cui all’art. 1 in corso di invecchiamento obbligatorio, con vini aventi diritto alla stessa denominazione d’origine, di uguale colore e varietà di vite, anche non soggetti a invecchiamento obbligatorio, per non oltre il 10% per la complessiva durata dell’invecchiamento. Resa uva/vino e vino/ettaro La resa massima dell’uva in vino, compreso l’eventuale arricchimento, è del 70% per tutte le tipologie, tranne che per quelle passite.

Qualora la resa uva/vino superi i limiti di cui sopra, ma non il 75%, l’eccedenza non ha diritto alla denominazione d’origine. Oltre detto limite decade il diritto alla denominazione di origine controllata per tutta la partita. Per le tipologie «Enantio passito» e «Passito» la resa massima dell’uva in vino è del 40%. Qualora la resa uva/vino superi i limiti di cui sopra, ma non il 45%, anche se la produzione ad ettaro resta al di sotto del massimo consentito, l’eccedenza non ha diritto alla denominazione d’origine. Oltre detto limite decade il diritto alla denominazione d’origine controllata per tutta la partita. Invecchiamento I seguenti vini devono essere sottoposti a un periodo di maturazione: Tipologia Enantio Enantio riserva Enantio passito Casetta Casetta riserva Pinot grigio Chardonnay Passito

Durata 10 mesi 24 mesi 10 mesi 10 mesi 24 mesi 04 mesi 04 mesi 10 mesi

Decorrenza 1° novembre 1° novembre 1° novembre 1° novembre 1° novembre 1° novembre 1° novembre 1° novembre

Articolo 6 Caratteristiche al consumo I vini di cui all’art. 1 devono rispondere, all’atto dell’immissione al consumo, alle seguneti caratteristiche: «Valdadige Terradeiforti» o «Terradeiforti Valdadige» Enantio anche nella tipologia riserva colore: rosso rubino intenso, con riflessi granati se invecchiato; profumo: fruttato, caratteristico, leggermente speziato; sapore: secco, pieno, armonico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12% vol (riserva 12,5% vol); acidità totale minima: 4,5 g/l; estratto non riduttore minimo: 30 g/l. «Valdadige Terradeiforti» o «Terradeiforti Valdadige» Enantio passito colore: rosso rubino intenso, con riflessi granati se invecchiato; profumo: ampio, intenso, con sentori di frutti maturi; sapore: da amabile a dolce, armonico, gradevole; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 14,5% vol; acidità totale minima: 4,5 g/l; estratto non riduttore minimo: 30 g/l.


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«Valdadige Terradeiforti» o «Terradeiforti Valdadige» Casetta anche nella tipologia riserva colore: rosso rubino intenso, con riflessi granati se invecchiato; profumo: fruttato, caratteristico, leggermente speziato; sapore: secco, pieno, armonico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12% vol (riserva 12,5% vol); acidità totale minima: 4,5 g/l; estratto non riduttore minimo: 21 g/l (riserva 24 g/l). «Valdadige Terradeiforti» o «Terradeiforti Valdadige» Pinot grigio colore: giallo paglierino, talvolta ramato; profumo: gradevole, fruttato; sapore: asciutto, pieno, armonico, caratteristico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12% vol; acidità totale minima: 4,5 g/l; estratto non riduttore minimo: 20.0 g/l. «Valdadige Terradeiforti» o «Terradeiforti Valdadige» Chardonnay colore: giallo paglierino; profumo: delicato, gradevole, caratteristico; sapore: secco, armonico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12% vol; acidità totale minima: 4,5 g/l; estratto non riduttore minimo: 20 g/l.

indicazioni geografiche tipiche dei vini, modificare i limiti dell’acidità totale e dell’estratto non riduttore con proprio decreto.

Articolo 7 Etichettatura, designazione e presentazione Qualificazioni Nella etichettatura, designazione e presentazione dei vini di cui all’art. 1 è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle previste dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi «fine», «scelto», «selezionato» e similari. È tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi privati, non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno il consumatore. Annata Nell’etichettatura dei vini della denominazione di origine controllata «Valdadige Terradeiforti» o «Terradeiforti Valdadige» l’indicazione dell’annata di produzione delle uve è obbligatoria. Vigna La menzione «vigna» seguita dal relativo toponimo è consentita, alle condizioni previste dalla normativa vigente.

«Valdadige Terradeiforti o «Terradeiforti Valdadige» Passito colore: giallo dorato, con eventuali riflessi ambrati; profumo: fine, delicato, intenso; sapore: dolce, vellutato, armonico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 14% vol; acidità totale minima: 4,5 g/l; estratto non riduttore minimo: 28 g/l.

Volumi nominali I vini di cui all’art. 1 possono essere immessi al consumo soltanto in recipienti di vetro del volume nominale fino a 9 litri.

In relazione all’eventuale conservazione dei vini in recipienti di legno, al sapore si può rilevare lieve sentore di legno. È in facoltà del Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali - Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle

Tappatura e recipienti Per i vini della denominazione di origine controllata «Valdadige Terradeiforti» o «Terradeiforti» in versione riserva e passito è obbligatorio il tappo di sughero raso bocca. Per le altre tipologie è consentita la tappatura con i vari dispositivi ammessi dalla normativa vigente.

Articolo 8 Confezionamento

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Finito di stampare nel mese di Aprile 2010 presso MINIATO S.r.l. Via Monte Pasubio, 4/6 - 37047 San Bonifacio (VR) Tel. 045.7610466 - Fax 045.6100186 E-mail: miniato@miniato.it


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