2019 05 12 Terzani l’Africano

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ISSN 2421-5511

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Anno 9 - N. 19 (#389) Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004 art. 1, c1, DCB Milano - Supplemento culturale settimanale da vendersi esclusivamente in abbinamento a Corriere della Sera ¤ 1,00 + il prezzo del quotidiano. In CH Tic. Fr 1,00

#389

Domenica 12 maggio 2019 Euro 1,00

per il Corriere della Sera

Maurizio Cannavacciuolo


DOMENICA 12 MAGGIO 2019

Percorsi Geografie

Stanze

di Angela Urbano

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CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 57 Baruch e lo gnostico Il poeta inglese Geoffrey Hill (Bromsgrove, Gran Bretagna, 1932-Cambridge, 2016) è stato considerato un autore «difficile» per la perfezione formale, i temi e i riferimenti colti, l’alta statura etica. Alla sua morte ha lasciato

una raccolta inedita, The Book of Baruch by the Gnostic Justin, ora pubblicata dalla Oxford University Press (pp. 160, £ 20). Si tratta del suo testamento, un’opera sulla natura della poesia e sul rapporto tra arte e spiritualità.

Inediti Nel 1966 il futuro giornalista, allora procuratore legale per la Olivetti, visitò il Sudafrica. Un viaggio per motivi di lavoro si trasformò in una drammatica discesa nella brutalità del regime razzista di Pretoria. Lo testimoniano l’appassionata lettera alla moglie Angela che la famiglia ha affidato a «la Lettura» e le sue fotografie che pubblichiamo in queste pagine

Terzani l’africano

Mi hanno accusato di avere trasgredito le leggi dell’apartheid testo e foto di TIZIANO TERZANI

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Johannesburg, 24-IX-1966

ono uscito mezz’ora fa dalla guardina della polizia nazista di Vorster. Fermato alle 16:30, sospettato di comunismo, accusato d’aver trasgredito alle leggi dell’apartheid, d’aver fotografato stabilimenti governativi ecc. Ti scrivo ora brevemente ogni pensiero ed ogni impressione perché straccerò tutti gli appunti presi dal momento che possono perquisirmi in camera ed allora mi troverei sul primo aereo diretto a Roma senza il tempo di cui ho ancora bisogno. Da ieri sera ho una Anglia presa a nolo. Stamani alle 5 mi sono fatto svegliare per andare a mettermi fuori da una location a vedere la quotidiana tragedia di migliaia di negri che s’accodano alle uscite dei ghetti, s’inzeppano negli autobus negri che li portano alla ferrovia, e da lì in treni puzzolenti ed affollati alla stazione negra CONTINUA A PAGINA 58

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Indignazione «La quotidiana tragedia: migliaia di negri che s’accodano fuori dai ghetti»

Il personaggio Tiziano Terzani (Firenze, 1938-Orsigna, Pistoia, 2004: nella foto a sinistra in Sudafrica nel 1966) si laureò in Legge e lavorò per la Olivetti. Visse in Asia (Singapore, Pechino, Tokyo, Hong Kong, Bangkok, l’India) dal 1972 al 2004, a lungo con la moglie Angela e i figli Saskia e Folco. Corrispondente del settimanale tedesco «Der Spiegel», approdò negli anni Ottanta al «Corriere della Sera». I suoi libri, tutti editi da Longanesi e tradotti in molte lingue, coprono le fasi finali della guerra del Vietnam (Pelle di leopardo, 1976); la Cina del dopo Mao, dalla quale venne espulso (La porta proibita, 1984); il crollo dell’Urss (Buonanotte, signor Lenin, 1992). In Asia (1998) è una scelta di reportage, Un indovino mi disse (1995) racconta un viaggio in Asia via terra e via mare di un anno; i temi della pace (dopo l’11 settembre) e della malattia sono centrali in Lettere contro la guerra (2002) e Un altro giro di giostra (2004). Postumi sono usciti La fine è il mio inizio (a cura di Folco Terzani, 2006), Fantasmi. Dispacci dalla Cambogia (2008), Un mondo che non esiste più (fotografie e testi scelti dal figlio Folco, 2010), i diari Un’idea di destino (2014) e In America (2018). Mario Zanot gli ha dedicato il film-intervista Anam il senzanome (dvd Longanesi, 2005). Del 2011 i due Meridiani Mondadori (Tutte le opere, a cura di Àlen Loreti). A Terzani è intitolato il Premio letterario dell’Associazione vicino/ lontano di Udine


58 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA

DOMENICA 12 MAGGIO 2019

Percorsi Geografie

SEGUE DA PAGINA 57

Le immagini Fotografie di Tiziano Terzani in Sudafrica, settembreottobre 1966 (in questa pagina: minatori). Nella pagina accanto, il primo piano della bambina fu scattato a Lagos (Nigeria) dove Terzani si fermò dal 6 al 14 ottobre 1966. Durante la permanenza in Sudafrica lo scrittore visitò anche due nazioni che stavano ottenendo l’indipendenza: Botswana (30 settembre) e Lesotho (4 ottobre, sul visto indicato come Basutoland). Le foto sono state concesse a «la Lettura» dalla famiglia (© Archivio Terzani) L’autore del testo Àlen Loreti (Monte Catone, Bologna, 1978) è biografo di Tiziano Terzani. Ne ha curato i due Meridiani Mondadori con Tutte le opere (2011) e, per Longanesi, i diari Un’idea di destino (2014) e l’antologia In America (2018). Nel 2014 ha pubblicato per Mondadori Tiziano Terzani. La vita come avventura e ha promosso la nascita del Fondo Terzani alla Fondazione Cini di Venezia (cini.it)

nel centro di Johannesburg. Il lavoro comincia alle 8. I ghetti sono lontani almeno 3 miglia dalla cerchia cittadina. L’esodo dalle location comincia alle 5, 5 e mezzo. Ci sono arrivato per tempo percorrendo la Louis Botha Avenue che conduce fuori verso Pretoria. All’altezza di un ponte, come David mi aveva spiegato, ho svoltato a sinistra, attraversato il ponte. I cartelli indicano Alexandra — il nome evoca un’impressione come dire Dachau. Alexandra è la prima location fatta subito dopo la guerra, quella che l’ufficio per i Non-White Affairs dopodomani non mi farà visitare. Il terreno dietro una languida boscaglia di eucalipti giganti si piega in una grande vallata rossastra geometricamente segnata di lunghissime file di capanne, di tuguri fumanti nell’aria limpida del primo sole. Bandoni, legname, stracci, cani. Nelle larghe carreggiate di terra battuta una marea di uomini, di donne, di biciclette, di straccioni diretti a una piazzola appena dietro la rete su cui è appeso un cartello «Alexandra Township. Questo è il limite sanitario. Chi passa senza permesso sarà perseguito». Mi fermo dinanzi. Grandi autobus verdi dalle piccole finestre chiuse caricano nella piazza polverosa questa grande mandria di uomini regolati in lunghe file dietro il «bus stop seconda classe». Avevo la Rollei con me, ma non ho avuto il coraggio di tirarla fuori. Poliziotti negri in divisa verdemarrone, cappello coloniale e manganello erano sparpagliati qua e là. Nessun bianco. Sono rimasto quasi un’ora intirizzito e protetto dentro la macchina. Alle 8 ero in ufficio, stanco con un po’ di febbre per il raffreddore che ho da due giorni. Ho fatto interviste fino alle 13; ho mangiato un boccone a casa d’un italiano Olivetti. Alle 14 ci siamo lasciati dinanzi al maneggio dove lui ancora sarà a cavalcare con la figlia tredicenne. «Babbo in Italia non ci tornerò mai. Come si fa senza neri?».

A piedi discendo la strada verso la ferrovia. David mi ha parlato della stazione bantù. Verso le 6-7 al mattino arrivano a frotte e nella città senza un bianco parla-

Vedoipoliziotti avvicinarsi, distanza2metri... misonoaddossoin4

no a voce alta, si chiamano, corrono sciamando per le strade, verso gli autobus, verso le cantine, le fogne di questa grande follia di cemento [Johannesburg, ndr] costruita sull’oro. Mi trovo dinanzi a un palazzo annerito di mattoni rossi protetto d’un alto muro. Il muro s’interrompe e lì vedo 4 poliziotti parlottare. Attorno formicolano decine decine di negri, alcuni corrono dinanzi ad una caretta come un risciò, hanno calzoni corti ed una gonna di fili stracciati fino al ginocchio, campanelle agli orecchi, alcuni grossi dischi di legno pendenti, le donne anelli ai piedi, grandi coperte colorate. Un grande vocìo, puzzo di bancarelle di verdura sporca, bidoni di spazzatura — tanti tanti negri che zoppicano, che barcollano. Me ne passa uno accanto, una vampata dolciastra di marijuana.

Apro la macchina, vedo poliziotti avvicinarsi nello specchio della Rollei: distanza 2 metri… scatto. Mi sono addosso in 4 e mi prendono la macchina. Attorno s’è come tutto fermato, mi sento fissati nelle spalle centinaia di occhi nerissimi. Molti, curiosi, si fanno vicini. Il sergente è un uomo sulla quarantina alto come me, asciutto, pelle tirata sotto le ciglia bionde, baffi ed una bocca tagliata, senza labbri, gli altri tre sono giovani. Dura 10 minuti, faccio il tonto, mi fanno la ramanzina, mi dicono di non fare mai più foto e mi lasciano andare. Rimango un attimo insolentemente a guardarmi attorno e passeggio lungo la strada. Da sotto due pilastri di cemento rigurgita la folla negra. È l’uscita della stazione bantù. Sono l’unico bianco fra centinaia e centinaia di negri. Faccio ancora pochi passi e sono dinanzi alla grande hall. (Capisco Dante che ricorre smarrito alle Muse, a qualcosa che vada al di là delle parole per descrivere l’Inferno); le mie parole sono ontologie legate alla nostra vita, alla nostra carne, alla nostra pelle bianca e non saprò mai spiegare quello che ho visto. Il poliziotto che mi è accanto mi dice di seguirlo. Uno dei miei accompagnatori ci lascia per andare a chiamare il comandante. Io seduto sul pancone. Passa il tempo, riordino le idee. Dietro le sbarre, i baffi del vice sergente sopra il giornalino a fumetti. Come possono pensare di far-


DOMENICA 12 MAGGIO 2019

Sopra le righe di Giuseppe Remuzzi

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CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 59 La salute della democrazia Come misuriamo la civiltà di un popolo? Dall’attenzione alla salute dei suoi cittadini. Un tempo erano tradizione e religioni che assicuravano la «solidarietà sociale». Oggi a garanzia della salute dei più deboli ci

dovrebbe essere la democrazia. Ma in molte parti del mondo la democrazia va in frantumi, in altre vira verso l’autoritarismo e mancano riferimenti morali. La salute è a rischio ma potrebbe esserlo la stessa democrazia.

Prima degli Usa e dell’Asia

Il canto del manager errante nell’Africa di ÀLEN LORETI

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ro giovane, ero di sinistra, ero in Africa. E, per la prima volta, scrissi, cioè mi sentii giornalista» confessa Tiziano Terzani al figlio ne La fine è il mio inizio. Il 1966 è l’occasione per dismettere la divisa di manager olivettiano, per qualche ora, e indossare i panni del reporter: noleggiare un’auto, spingersi in Botswana, Lesotho, infilarsi nei villaggi e nei ghetti di Johannesburg, fare domande, scattare foto. Si mescola alla folla e — così come Jack London attraversò il «popolo dell’abisso» — si cala in una realtà invisibile e invivibile. Dove muore il diritto, muoiono le persone: segregazione e schiavismo, prepotenza e affari, ma l’uomo bianco la chiama «civilizzazione». Nelle sue foto — ravvicinate, febbrili — come non ricordare l’urgenza del coetaneo Ernest Cole o il rigore formale di David Goldblatt, capaci di mostrare la vergogna dell’apartheid? Nelle parole si avverte — e lo sarà per tutta la vita — il senso della ricerca, la stessa che nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia fa dire a Leopardi — poeta amato — rivolto alla Luna: «E tu certo comprendi/ il perché delle cose». Il Sudafrica, come la guerra in Vietnam e la Cina poi, gli presenta il conto abnorme dell’ingiustizia umana, il ripetersi della Storia. È una lezione di inciviltà che lo prepara al biennio negli Stati Uniti. Ecco perché non finirà nella trappola dorata della borsa di studio — che lo vuole filoamericano — e sfuggirà le attraenti ma confuse mode sessantottine. Il razzismo, e il fascismo che se ne nutre, è un tema serio. E serio-vigilecritico sono qualità non trattabili che Ferruccio Parri impone a tutti i collaboratori del suo «giornale di sinistra, ma non di partito», «l’Astrolabio», dove Terzani esordisce con un testo sbalorditivo sul Sudafrica che muove da questa drammatica lettera. Stupirà per la capacità d’analisi, quasi profetica, risultato di tante letture (i libri che si preoccupa di nascondere alla polizia): «Contro l’apartheid gioca la prosperità. I grandi capitali spingono verso una maggiore liberalizzazione». «Il tema della mia vita sono i poveri» scrisse Ryszard Kapuscinski, che amò e raccontò l’Africa. Impegno simile per Terzani perché «il mondo avrà sempre bisogno di questo mestiere, che è essere gli occhi, gli orecchi, il naso dell’altro che è rimasto a casa. La cronaca ha bisogno di testimoni». Nel carteggio con la moglie emerge il riscatto sociale — lui, figlio di proletari che ha potuto studiare — sente il dovere di testimoniare e redimere con la scrittura coloro che non sanno leggere né difendersi e che meritano non promesse ma un solo risarcimento: giustizia. «Ho paura di un mondo senza valori, senza sensibilità, senza pensiero. Di un mondo dove tutto sia possibile. Perché allora la cosa più possibile diventa il male», appuntò Kapuscinski in Lapidarium. Per Terzani, giurista di formazione, le parole contano, tutte, per stanare il male: «Mi piacerebbe riuscire a raccontare la verità dietro le parole. Che poi è il senso di tante cose che ho fatto». © RIPRODUZIONE RISERVATA

cela? 3 milioni e mezzo contro 12 milioni. Eppure hanno coraggio, a gambe divaricate in 2 soli li ho visti più volte controllare centinaia, migliaia. Devo cavarmi d’impiccio. Il passaporto è in macchina. In macchina ci sono i rotolini già fatti se li sviluppano ne vengono fuori delle belle. Dove abito? In albergo! Quale? Nella cassetta dell’armadio chiuso a chiave ci sono i libri. In dogana mi chiesero che libri, io dissi «Romanzi». Penso ai titoli: Apartheid, Guilty land ecc. Nel cassetto della scrivania ci sono numeri di telefono, l’indirizzo di David, il prete nero che conoscerò lunedì ecc. Possono trattenermi per 180 giorni, sono un sospetto secondo il Suppression of Communists Act, l’ho letto proprio ieri sera. Appena prendo il portafoglio si avvicina uno dei giovani, me lo prende e lo dà al vice. Mi fanno venire alle sbarre. «What is that?» Trovano la tessera di procuratore. Arriva il sergente di prima. Gode a vedermi e mi assale di domande, quelle di prima, quelle di sempre che in questo momento stanno facendo centinaia di poliziotti a tanta gente come me. Mi faccio avanti (in olandese) accenno alla tessera di procuratore, «Avvocato avvocato… non immigrante, solo 4 settimane… ambasciatore italiano». Il capitano insiste, tiro fuori da una tasca un biglietto da visita, «Dr. Tiziano Terzani, Olivetti». C’è una Diaspron sulla scrivania. Faccio grandi segni, spiego… il sergente traduce in lingua ufficiale… Olivetti… dottore… procuratore in Italia (se l’è inventata), il capitano fa un lungo discorso dalle risposte, capisco che è finita, m’è andata bene. M’accompagnano alla porta e mi restituiscono tutto. È quasi sera, incontro ancora tanti negri, ubriachi, drogati, sciatti; ogni tanto una faccia chiara, forte. Quanto durerà. Penso a cosa succede a loro dietro le sbarre, seduti sul pancone, senza Olivetti, senza dottore, senza questa maledetta pelle bianca che mi porto addosso per nascondere la mia terribile voglia di urlare. Torno in albergo tolgo tutti i libri li metto nella borsa che metterò in macchina nel caso che vengano qui quando io non ci sono. Ora esco a mangiare, senza Rollei e senza spiriti inutili. Porterò solo tanti occhi per poi raccontare.

Tiziano Terzani

© ARCHIVIO TERZANI


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