Cibo:espressioni e modi di dire

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ESPRESSIONI E MODI di DIRE

ITALIANO Essere l’anfitrione: Anfitrione è colui che offre il pranzo e lo anima intrattenendo gli ospiti. Da dove il nome? Secondo il mito greco, portato in scena da molti commediografi, da Plauto a Molière a Giraudoux, Anfitrione è un eroe tebano, sposo di Alcmena. Invaghitosi di quest’ultima Giove assume le sembianze del marito, mentre Mercurio prende l’aspetto del servo di lui, Sosia. Al ritorno a casa dei due, si succedono gli equivoci: Sosia è preso a bastonate da Mercurio, Anfitrione reclama invano i suoi diritti, finché Giove non svela l’arcano invitando tutti a un bel pranzo. Ospiti e servi sono tuttavia sbalorditi, incerti sulle varie identità, ed al povero Sosia che Molière mette in bocca la battuta: “Le véritable Amphytrion est l’Amphytrion où l’on dine”, “Il vero Anfitrione è quello dal quale si pranza”. Così il termine è entrato nell’uso.

Tenere l’anguilla per la coda: avere un compito arduo da affrontare; destreggiarsi tra molte difficoltà.

Baccalà: si dice di persona magra (magro come un baccalà), e deriva dal fatto che il baccalà è un merluzzo disossato, essiccato e salato. Ma essere un baccalà, far la figura di un baccalà viene usato nel senso di apparire sciocco, goffo; e questo forse perché il baccalà, prima di essere cucinato, è tenuto a bagno e battuto a lungo per renderne tenera la carne.

Buccia di banana: ostacolo inatteso e apparentemente insignificante, che invece provoca gravi danni a chi vi si imbatte. Dopo aver risposto a tutte le domande, è scivolato sulla classica buccia di banana, ossia non ha saputo rispondere a una domanda obiettivamente facile.

Bicchiere della staffa: l’ultimo bicchiere o bicchierino prima di congedarsi; il brindisi di addio. L’espressione ricorda i tempi in cui si viaggiava a cavallo e colui che partiva aveva già, almeno metaforicamente, il piede nella staffa.

Avere birra: dal gergo sportivo, avere molta energia, prontezza di decisione e rapidità di azione. È diffusa anche l’espressione a tutta birra, ossia con grande impeto, a grande velocità. Ciò si deve forse alle salutari virtù attribuite alla bevanda.

Boccone da prete (o da re): cosa squisita, anche in senso figurato. Ma il boccone del prete si intende scherzosamente il posteriore del pollo, parte peraltro considerata assai gustosa.

Bollire in pentola: di avvenimento, decisione importante, che si sta preparando in segreto. “Tu non sai quello che bolle in pentola”, e simili.


Essere un broccolo: essere stupido, goffo, inetto. Dal nome di quella varietà di cavolo che prospera soprattutto nella campagna romana.

Andare in brodo di giuggiole: essere oltremodo compiaciuti, bearsi di soddisfazione, come se si stesse gustando uno sciroppo dolcissimo. La giuggiola è il frutto, di polpa biancastra e zuccherina, di un arbusto europeo e nordafricano.

Lasciar cuocere nel proprio brodo: lasciare che chi rifiuta i buoni consigli offertigli vada per la sua strada, faccia come più gli piace, anche se prima o poi dovrà pentirsene.

Rivedere le bucce: sottoporre a un severo esame l’operato, il lavoro di qualcuno, non lesinandogli critiche.

Fare come i capponi di Renzo: si dice così di persone che litigano, addossandosi a vicenda la colpa di un male che, invece, è stato provocato da altri. Nei Promessi Sposi (cap. III) Renzo, mentre va a consultare il dottor Azzeccagarbugli, ripensando all’ingiustizia di cui è vittima, agita il braccio con cui tiene, appesi a testa in giù, i quattro capponi che sta portando quale compenso al leguleio; e i capponi reagiscono allo squassamento beccandosi tra loro.

Salvare capra e cavoli: salvare interessi apparentemente opposti e inconciliabili in una situazione che sembrava imporre il sacrificio dell’uno o dell’altro. L’origine della locuzione sta nel famoso problema del barcaiolo che doveva traghettare un lupo, una capra e un cavolo evitando che il lupo restasse con la capra e quest’ultima con il cavolo.

Politica del carciofo: la fa chi, in politica o altrove, raggiunge i suoi fini gradualmente, cogliendo le occasioni favorevoli a mano a mano che si presentano. Fu Carlo Emanuele III di Sardegna a dire che l’Italia era come un carciofo, da mangiare foglia per foglia, non in un solo boccone.

Mettere troppa carne al fuoco: proporsi o accettare eccessivi impegni, voler strafare, col rischio di rovinare tutto.

Usare il bastone e la carota: ricorrere alle buone e alle cattive maniere secondo le circostanze, per piegare qualcuno alla propria volontà, come si fa con cavalli e somari. L’espressione fu usata da Winston Churchill, nel 1943, per indicare la politica che intendeva seguire nei confronti dell’Italia.

Entrarci come i cavoli a merenda: di cosa, osservazione, argomento fuori posto, privo di attinenza con la discussione in corso.

Non saper tenere un cece in bocca: non saper mantenere il minimo segreto.


Furbo di tre cotte: furbissimo, dotato di scaltrezza sopraffina. La locuzione trae origine dal fatto che alcune sostanze (p. es. lo zucchero) si raffinano attraverso successive fasi di riscaldamento, o cotture.

Fare la cresta: truccare i conti, in specie quelli della spesa, per intascare un piccolo profitto illecito, dato dalla differenza tra la somma che si fa figurare e quella effettivamente pagata. L’espressione deriva da “fare l’agresto”, ossia un vinello agro, con i chicchi di uva acerbi o non ben maturi, che vengono staccati dai grappoli durante la vendemmia. Nel compiere questo lavoro, c’era sempre il contadino a giornata che, insieme con i chicchi non giunti a maturazione, ne spiccava anche di buoni, per rendere meno acidulo il suo “agresto”.

Essere una cuccagna: una situazione, un luogo dove c’è ogni ben di Dio, che si può avere senza o con poca fatica; un largo e inatteso beneficio, un colpo di fortuna. Cuccagna era il nome di un paese favoloso, pieno di ogni terrena delizia, del quale si fa spesso menzione nella letteratura medievale di tutta Europa. Forse dalla voce tedesca Kuchen, che significa dolciumi.

Avere la cuccuma in corpo: ribollire di ira: come l’acqua nella cuccuma, il recipiente in cui si preparava il caffè.

A fagiolo: che giunge a proposito, gradito. Una proposta che mi va a fagiolo. Capiti proprio a fagiolo. Incerta l’origine della locuzione.

Fare fiasco: fallire, subire un insuccesso. Si usa in particolare a proposito di uno spettacolo teatrale e in genere di un’esibizione artistica. Ma si dice anche di qualsiasi tentativo non riuscito. Sembra che la locuzione derivi dal linguaggio dei soffiatori di vetro che l’usavano quando, non avendo soffiato a regola d’arte, in luogo del bell’oggetto cui volevano dare forma si ritrovavano davanti un’inutile bolla di vetro. Una espressione simile viene usata anche in inglese, francese e tedesco.

Fare le nozze coi fichi secchi: voler fare grandi cose –come si converrebbe in occasione di una festa nuziale- con mezzi inadeguati. Il fico, fresco o secco, era cosa da poveretti, senza valore e senza importanza. Si pensi ad espressioni quali non me ne importa, non vale un fico … un fico secco, cioè nulla.

Nuotare nel lardo: nuotare nell’abbondanza, di cui il lardo, in tempi più poveri dei nostri e non lontani, era il simbolo.

Avere ancora il latte sulle labbra: essere troppo giovane e immaturo per fare qualcosa, nonché arrogarsi il diritto di dar consigli a persone di maggior esperienza.

Latte di gallina:

cosa squisita e rarissima, o addirittura introvabile, visto che le galline non

danno latte. È anche il nome di un dolce, e di una mistura alcolica.


Leccarsi i baffi:

è usato in espressioni come un bocconcino, un pranzetto da leccarsi i baffi,

come fanno i gatti dopo un ghiotto desinare.

Piatto di lenticchie: si dice di un compenso inadeguato rispetto al valore di un bene o di un diritto (materiale o, soprattutto, morale) ceduto. Con riferimento al biblico Esaù, figlio di Isacco, che per un piatto di lenticchie vendette al fratello Giacobbe il suo diritto di primogenitura (Genesi, 25, 29-34).

Luculliano: aggettivo spesso usato per qualificare un pranzo lauto, abbondante e raffinato, con allusione al fasto proverbiale dei conviti offerti da Lucio Licinio Lucullo, generale e uomo politico romano del I secolo a. C., più famoso come ghiottone che come stratego.

Parla come mangi!: esortazione, spesso bonaria, rivolta a chi, per darsi un tono, infiora il proprio discorso di inutili paroloni, dei quali magari non conosce neppure il significato. È una esortazione ad esprimersi in modo semplice e chiaro.

Mangiare in mano: come fa l’animale mansueto e fiducioso di chi gli offre il cibo. Si dice, in tono familiare e scherzoso, accennando alla remissività di una persona nei confronti di un’altra.

Mangiare la foglia: capire il senso riposo di un discorso, avvedersi che le cose non stanno come sembrava. Probabilmente con riferimento al baco da seta, e alla foglia del gelso di cui lo stesso si nutre con voracità.

Gettare olio sul fuoco: aizzare gli odi, i risentimenti, le passioni. Gettare olio sulle onde (o sulle acque) significa invece il contrario: cercare di rimettere pace tra gente in lite, di sdrammatizzare una situazione tesa. Tale accezione deriva dall’antica usanza marinaresca di gettare olio sulle onde agitate per impedire che si frangano contro i fianchi dell’imbarcazione.

Ottimo e abbondante …: ironico commento che si sente talvolta ripetere a proposito di cose, in generale di cibi, la cui qualità lascia molto a desiderare, ma che si vuole sufficiente per gente di basso rango. Presso i reparti militari un ufficiale doveva, per regolamento, assaggiare il rancio prima che venisse distribuito alla truppa per accertarne il grado di commestibilità. E in tempi di ristrettezze era a volte costretto, per forza di cose, a giudicare con indulgenza eccessiva l’opera del cuciniere.

Dire pane al pane vino al vino: esprimere con schiettezza la propria opinione, chiamare le cose con il proprio nome, senza riguardi e ipocriti eufemismi. Molto vicino a non avere peli sulla lingua.

Non di solo pane …: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Matteo, 4, 4). Lo dice Cristo, dopo quaranta giorni di digiuno nel deserto, a Satana quando il Maligno lo tenta, invitandolo a mutare in pane le pietre per placare la fame. Ciò significa che non


bastano le soddisfazioni puramente materiali per rendere contento l’uomo, ma occorre qualcosa di più, non valutabile col metro del denaro.

A pera: si dice, familiarmente, di un discorso sconclusionato, di un lavoro fatto male, di un oggetto mal riuscito. Nel parlare comune pera è talvolta sinonimo di “testa”. Perché poi la pera sia presa ad esempio di cattiva conformazione, non si sa: forse proprio con riferimento alla locuzione: aveva una testa a pera, cioè mal fatta, non rotonda.

Essere una pizza: si dice, nel linguaggio familiare, di persona o cosa noiosa, barbosa, insopportabile.

Essere il pomo della discordia: essere l’oggetto di una contesa, la causa di una lite, l’argomento sul quale non si trova un accordo. Talora, ma impropriamente, si dice di chi semina zizzania. Secondo il mito, tutti gli dèi erano stati invitati alle nozze di Peleo con Teti salvo Eris, la dea della discordia, che per vendicarsi dell’affronto gettò sulla tavola del banchetto una mela d’oro con l’iscrizione “Alla più bella”. Era, Atena e Afrodite accamparono ciascuna le proprie pretese al dono, e il giudizio fu affidato a Paride il quale alle altre preferì Afrodite, che gli aveva promesso l’amore di Elena. Ma la sua decisione gli procurò l’odio delle dee sconfitte, soprattutto di Atena, che in seguito procurò la caduta di Troia, patria di Paride, eroe omerico.

Voler cavare sangue da una rapa: pretendere che un imbecille agisca in modo intelligente, un inetto con efficienza; ossia volere l’impossibile. La rapa, forse per il gusto un po’ insipido, è stata sempre considerata simbolo di stupidità.

Avere sale in zucca: in genere se ne lamenta la scarsezza: avere poco sale in zucca, a rimprovero di chi manca di intelligenza e soprattutto di buon senso. Zucca è sinonimo di “testa”, e sulla testa del battezzando il sacerdote pone un pizzico di “sale della sapienza”. In una zucca vuota e disseccata, inoltre, un tempo si usava conservare il sale. Questa sembra la duplice origine della locuzione.

Patire il supplizio di Tantalo: avere a portata di mano qualcosa che tenta irresistibilmente ma che non si può ottenere, e quindi soffrirne. Questo accadde al mitologico Tantalo, figlio di Zeus e re di Lidia, che, per aver rivelato i segreti degli dèi, fu condannato a stare immerso fino al mento in un laghetto nell’Ade, con frutti invitanti sospesi sopra il capo, e a patire la fame e la sete perché ogni volta che alzava le braccia per afferrare i frutti, questi si allontanavano e ogni volta che si chinava per dissetarsi, l’acqua si ritirava.

Finire a tarallucci e vino: di una disputa che si risolve amichevolmente, inzuppando -per così dire- i taralli in un buon bicchiere. Spesso, tuttavia, non per buona volontà e genuino spirito di riconciliazione, ma per mancanza di serietà.


Fare gli occhi di triglia: gettare sguardi languidi, seducenti, da innamorati. La locuzione nasce dal fatto che questo pesce, nel morire, cambia più volte colore, e lo spettacolo della sua iridescente agonia era offerto, nei conviti romani, a diletto delle matrone presenti.

Uccidere il vitello grasso: celebrare con festosa solennità, senza badare a spese, un avvenimento eccezionale, spesso di carattere familiare, come l’inatteso ritorno di un parente, il rinnovarsi di un’amicizia affievolita o perduta, … Con riferimento alla parabola evangelica del figliol prodigo.

FRANCESE Toujours perdrix!: sempre pernici! Anche il meglio, alla lunga, viene a noia. Ma più che a constatare questa verità, l’espressione si usa come ironico rimprovero verso chi, circondato di ogni agio, trova modo di lamentarsi. Sempre feste, vacanze, banchetti: toujours perdrix! Secondo un aneddoto, Enrico IV di Francia, al suo predicatore che gli rimproverava le frequenti scappatelle extraconiugali, fece servire a tavola per vari giorni pernici, finché al prete, ormai stanco del pur prelibato piatto, non scappò detto quel toujours perdrix!, a cui il re replicò con un elegante e malizioso: Toujpurs reine! (e per me … “sempre regina”).

À la fortune du pot: mangiare à la fortune du pot corrisponde all’italiano “mangiare quello che c’è, quello che passa il convento”.

LATINO Dulcis in fundo: il dolce viene in fondo. Proverbio citato a proposito di un avvenimento a lieto fine, ma più spesso, con ironia, di notizie spiacevoli, lasciate per ultime nel racconto. Il senso è analogo a ora viene il bello.

De gustibus non est disputandum: sui gusti non si discute. Aforisma latino medievale, del quale generalmente si cita solo la prima parte, de gustibus, per affermare che in fatto di gusti ciascuno ha i suoi e bisogna rispettarli, per quanto strani possano sembrare.

Carmina non dant panem: le poesie non danno il pane. E tanto meno il companatico, l’agiatezza.


Panem et circenses: pane e giochi del circo. Era quanto gli imperatori elargivano alla plebe romana, allo scopo di mantenere tranquilla una vasta massa di nullatenenti che altrimenti avrebbe potuto provocare seri problemi di governo. L’espressione è di Giovenale (Satire, X, 81) e si ripete scherzosamente o con disprezzo a proposito delle basse aspirazioni del volgo, nonché ai metodi cui ricorrono certi governanti e amministratori ancora oggi.

Cum grano salis: con un pizzico di sale. Si dice a proposito di notizia o di consiglio da accogliere con riserva, non alla lettera ma alla luce del buon senso. Viene da una frase della Storia naturale di Plinio il Vecchio (Nat. hist., XXIII, 77, 3): addito salis grano, “con l’aggiunta di un granello di sale”.

In vino veritas: nel vino sta la verità. Chi ha alzato il gomito si scrolla di dosso le normali inibizioni e dice, senza peli sulla lingua, quello che pensa, con effetti esilaranti e talvolta imbarazzanti. Il proverbio si trova nel poeta greco Alceo e in molti altri autori a lui successivi. Lo si cita nella forma latina.


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