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il periodico online per gli amanti della palla a spicchi d’oltre oceano
TIP OFF - L’anilisi della nuova stagione Nba
IL CASO - Lo sciopero della classe arbitrale
Ready, set
U CAN’T C ME - La rubrica irriverente di SNS L’EVENTO - Miami celebra Tim Hardaway
Pa r t i t a la c o r s a a l tr o n o d i K o b e Br yan t e de i L os A ng el es La k er s
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‘Face to Face’ L’intervista a ‘The Voice’: Flavio Tranquillo
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Si apre ancora con Celtics-Cavs
TIP OFF
Riproposta dalla Lega e dalla TNT la sfida che diede il via alla stagione che si è conclusa con la vittoria dei Los Angeles Lakers DI
D OMENICO P EZZELLA
Un flash back? Un dejavu? Assolutamente no. La nuova stagione Nba inizia da dove aveva preso il via la scorsa stagione almeno per quanto riguarda le parti in causa. Già perché se la stagione 2008/2009 era iniziata al TdBanknorth Garden di Boston per un motivo più che valido ovvero l’innalzamento del 17esimo stendardo celebrativo e con la consegna degli anelli ai campioni Nba i primi, tanto per fare un tuffo nel passato, per Allen, Pierce e Kevin Garnett tanto per citare i più famosi Celtics senza mai un successo del genere in carriera, quest’anno essere presenti nel Massachusetts non aveva certo lo stesso sapore e lo stesso valore di dodici mesi or sono. Ma come si può rifiutare il fascino di vedere i biancoverdi del rientrante Garnett, del nuovo arrivato
Rasheed e dei veterani col dente avvelenato nell’opening day o meglio nell’opening match della stagione. Impossibile. Ancora più impossibile se l’avversario dei Celtics è anch’esso lo stesso della passata stagione: Lebron James e Cleveland Cavaliers. Anche in quell’occasione l’operazione di marketing della Nba era stata chiara ed evidente nel mettere una contro l’altra alla prima giornata al primo impatto con la nuova stagione due squadre che qualche mese prima avevano dato sfogo ad uno dei spettacoli più belli dei playoff degli ultimi anni conclusosi con una gara7 da urlo e con tanti fuochi d’artificio (quarantello per Lebron, altrettanto per Paul Pierce che però si portò a casa serie, finali di Conference ed anche il titolo Nba in quella che era la
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Fonte foto: http:/ www2.pictures.gi.zimbio.com stagione da ‘predestinati’ della franchigia diretta in panchina da Doc Rivers ndr). Lo spettacolo non mancò nemmeno in quel 28 di ottobre (un giorno dopo rispetto alla data di inizio di quest’anno) con Cleveland e Lebron che provò a rovinare la festa a cui era stato ‘costretto’ a vivere e a vedere dal vivo con quell’anello luccicante che aveva immaginato più volte circondare il suo dito anulare. Alla fine però la missione non riuscì. Ancora una volta toccò a P Square rimettere le cose a posto e toccò a P Square infliggere la prima sconfitta stagionale alla formazione dell’Ohio. Dopo di che il resto è storia. E’ storia la perdita di KG per i Celtics, è storia la sconfitta in finale di Conference di Cleveland, è storia la vittoria del primo anello in solitaria di Kobe Bryant. Ma i corsi e
ricorsi storici sono facili da riproporre, specialmente se la storia di un campionato dipende dalla mente e dalle mani di qualcuno che allo spettacolo di una prima giornata ad alto livello non ha voluto proprio rinunciare. Ed allora il mondo cestistico americano e non solo, sono già pronti a salivare. Sono già pronti a ‘spaparanzarsi’ sul divano e godersi la prima vera partita dell’anno nel tempio della Quiken Loans di Cleveland. Come andrà a finire non è dato saperlo, ma di sicuro sarà un bell’antipasto (prima sfida assoluta anche in termini temporali dal momento che il tutto avrà luogo alle 7 del pomeriggio ad Est e più o meno all’una dio notte qui in Italia) per poi arrivare a quello che per altri motivi sarà il match clou di giornata. Da est ad ovest, da Cleveland a
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Los Angeles. Inutile spiegare il perché dell’importanza del match, inutile spiegare il motivo dell’avversaria, anche se il derby con i Clippers è sempre stato uno dei primissimi match per i Lakers (lo scorso anno si giocò alla seconda giornata dopo che i gialloviola furono in casa dei Trailblazers ndr). Staples Center, insomma, per chiudere la giornata e riflettori, come se non fossero stati abbastanza quelli della festa celebrativa al Memorial Coliseum di LA, puntati su Bryant e il suo primo anello da primo violino, Phil Jackson ed il suo decimo in assoluto, e la faccia del nuovo arrivato, Ron Artest, che di sicuro sbaverà nel guardare il luccichio dorato dell’oggetto più desiderato dai giocatori professionisti a stelle e strisce.
In campo poi il tutto avrà un sapore di scontato, avrà il sapore di qualcosa di già visto con i Lakers in scioltezza per l’ennesima vittoria conto i cugini losangelini e tutti felici e contenti (compresa la TNT che dopo una partita di basket vera come quella di apertura avrà da che regalare ai telespettatori con la cerimonia prima che gli stessi possano cambiare canale dopo pochi minuti del terzo periodo quando il garbage time sarà un qualcosa a cui rinunciare per un documentario, magari, su Discovery Channel o una birra in compagnia) verso la seconda giornata ed i rispettivi obiettivi. E in mezzo? In mezzo due sfide tra possibili outsider. Due sfide tra squadra alla ricerca della felicità, due sfide tra squadre che non sono tra le ‘Big’ ma che di sicuro
I pronostici della Redazione: plebiscito per Blake Griffin, Lebron James l’Mvp ‘virtuale’ anche nella prossima stagione DAVIDE SARDI
of the Year Award): Foye.
Vittoria dell'All star Game: EST, Atlantic Division: BOSTON, Pacific Division: LAKERS, Southwest Division: SAN ANTONIO, Southeast Division: ORLANDO; Central Division: CLEVELAND, Northwest: DENVER; Eastern Champ: CLEVELAND, Western Champ: LAKERS, Nba Champion: CLEVELAND. Premio NBA miglior giocatore dell'anno (NBA MVP Award): KOBE BRYANT, Premio NBA miglior giocatore delle finali (NBA Finals MVP Award): LEBRON JAMES, Premio NBA matricola dell'anno (NBA Rookie of the Year Award): BLAKE GRIFFIN (ma con un occhio a JONNY FLYNN), Premio NBA allenatore dell'anno (NBA Coach of the Year Award) PHIL JACKSON, Premio NBA sesto uomo dell'anno (NBA Sixth Man Award) MANU GINOBILI, Premio NBA difensore d e l l 'a n n o ( N B A De fe n s i v e P l a y e r o f t h e Y e a r A w a r d ) DWIGHT HOWARD, Premio NBA rivelazione dell'anno (NBA Most Improved Player of the Year Award) una speranza... DANILO GALLINARI.
ALESSANDRO DELLI PAOLI Vittoria dell'All star Game Est o Ovest: Ovest; Atlantic Division: Boston Pacific Division: Lakers; Southwest Division: New Orleans; Southeast Division: Orlando; Central Division: Cleveland; Northwest: Portland; Eastern Champ: Boston; Western Champ: Lakers; Finali Nba: Boston Celtics – Los Angeles Lakers; Nba Champion: Boston Celtics. Premio NBA miglior giocatore dell'anno (NBA MVP Award): LeBron James, Premio NBA miglior giocatore delle finali (NBA Finals MVP Award): Kevin Garnett; Premio NBA matricola dell'anno (NBA Rookie of the Year Award): Blake Griffin; Premio NBA allenatore dell'anno (NBA Coach of the Year Award): Nate McMillan; Premio NBA sesto uomo dell'anno (NBA Sixth Man Award): Rasheed Wallace; Premio NBA difensore dell'anno (NBA Defensive Player of the Year Award): Ron Artest; Premio NBA rivelazione dell'anno (NBA Most Improved Player of the Year Award): Trevor Ariza.
MARCO GERBINO GUGLIELMO BIFULCO Vittoria dell'All star Game Est o Ovest: Est, Atlantic Division: Boston Central Division: Cleveland; Northwest: Portland; Pacific Division: L.A. Lakers; Southwest Division: San Antonio; Eastern Champ: Cleveland Western Champ: San Antonio; Nba Champion: Cleveland Premio NBA miglior giocatore dell'anno (NBA MVP Award): Chris Paul Premio NBA miglior giocatore delle finali (NBA Finals MVP Award): Lebron James; Premio NBA matricola dell'anno (NBA Rookie of the Year Award): Blake Griffin; Premio NBA allenatore dell'anno (NBA Coach of the Year Award): Stan Van Gundy; Premio NBA sesto uomo dell'anno (NBA Sixth Man Award) Manu Ginobili; Premio NBA difenso re dell'ann o (NBA Defen sive Player of th e Year Award): Kevin Garnett. Premio NBA rivelazione dell'anno (NBA Most Improved Player of the Year Award) Greg Oden. STEFANO PANZA Vittoria dell'All star Game Est o Ovest: Est; Atlantic Division: Boston; Pacific Division: Lakers; Southwest Division: San Antonio; Southeast Division: Orlando; Central Division: Cleveland; Northwest: Portland; Eastern Champ: Boston; Western Champ: Lakers; Finali Nba: BostonSan Antonio; Nba Champion: Boston; Premio NBA miglior giocatore dell'anno (NBA MVP Award) James; Premio NBA miglior giocatore delle finali (NBA Finals MVP Award) Garnett; Premio NBA matricola dell'anno (NBA Rookie of the Year Award) Griffin; Premio NBA allenatore dell'anno (NBA Coach of the Year Award) Saunders; Premio NBA sesto uomo dell'anno (NBA Sixth Man Award) Millsap; Premio NBA difensore dell'anno (NBA Defensive Player of the Year Award) Artest; Premio NBA rivelazione dell'anno (NBA Most Improved Player
All Star Game - Est; Atlantic division: Boston Celtics; Pacific Division Los Angeles Lakers, Southwest division: San Antonio Spurs; Southeast Division: Orlando Magic; Central Division: Cleveland Cavs: Northwest division: Portland Trailblazers; Eastern champion: Boston Celtics; Western Champion: Los Angeles Lakers; Nba Finals: Lakers-Celtics 42 MVP REGULAR SEASON: Kobe Bryant o Lebron (chi dei 2 avrà il miglior record); MVP finals: Kobe Bryant; ROOKIE OF THE YEAR: Blake Griffin (ma occhio a Dejuan Blair degli spurs..se sta bene fisicamente) COACH OF THE YEAR: Phil Jackson di diritto, ma credo lo daranno a uno giovane ..Stan Van Gundy o Nate McMillan; SESTO UOMO: Randy Foye/Ben Gordon (se parte da sesto) favoriti una spanna sopra a Lamar Odom, Jason Terry, Sheed Wallace; DIFENSORE DELL'ANNO: Kevin Garnett (lo daranno a lui), Shane Battier (ma lui lo meriterebbe); RIVELAZIONE DELL'ANNO: Trevor Ariza. DOMENICO PEZZELLA All Star Game - Est; Atlantic division: Boston Celtics; Pacific Division Los Angeles Lakers, Southwest division: San Antonio Spurs; Southeast Division: Orlando Magic; Central Division: Cleveland Cavs: Northwest Division: Portland Trailblazers; Eastern champion: Cleveland; Western Champion: Los Angeles Lakers; Nba Finals: Lakers-Cavs 3-4 MVP REGULAR SEASON: Lebron James; MVP finals: Lebron James, ROOKIE OF THE YEAR: Blake Griffin; COACH OF THE YEAR: Mike Brown S EST O UOMO: Randy Foye; DIF ENSO RE DEL L'ANNO: Kevin Garnett; RIVELAZIONE DELL'ANNO: Trevor Ariza.
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vorranno recitare un ruolo importante. Si parte dal Texas e dalla sfida a casa del neo capellonebarbone Dirk Nowitzki (un look che sa tanto da trascurato e da attapirato dopo tutto quello che gli è successo in estate a livello privato ndr) al quale toccherà testare immediatamente la voglia di rivincita dei nuovissimi
Wizards e del rientrante Gilbert Arenas, mentre in Oregon la stagione del nuovo rilancio o della riconferma di Portland passa per le grinfie di un’altra Texana Houston che almeno può festeggiare per l’anello di Trevor Ariza.
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QUESTO IL CALENDARIO CHE DARA’ IL VIA ALLA NUOVA STAGIONE NBA Tue, Oct 27
Boston @ Cleveland
7:30 PM ET
TNT
Tue, Oct 27
Washington @ Dallas
8:30 PM
ETFSNSW, CSN-HD
Tue, Oct 27
Houston @ Portland
10:00 PM
ETKGWHD, FSNHOU
Tue, Oct 27
L.A. Clippers @ L.A. Lakers
10:00 PM ET
TNT
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‘Back to back’ La conquista del secondo anello consecutivo per ristabilire una dinastia interrotta sette anni or sono
Sarà un segno del destino, sarà una pura e normale stagione più importante degli ultimi anni, forse coincidenza, chiamatela come volete, ma quella che anche più di vincere il primo anello da solista e sta per iniziare sarà per i Lakers e Kobe Bryant la senza l’ombra ingombrante di Shaquille O’Neal.
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Dodici giugno de 2002, EastRuttherfod di New Jersey i Lakers battono i Nets in trasferta con il punteggio d 107-113 e mettono il definitivo sigillo sulla prima vera e propria egemonia Nba dopo quella targata Chicago Bulls o forse sarebbe meglio dire targata Michael Jordan. Fu quello l’ultimo passo verso il baratro di quei Los Angeles Lakers, dopo aver festeggiato per la prima volta a distanza di più di dieci anni dall’ultimo Larry O’Brien Trophy ed aver replicato nei due anni immediatamente successivo. Da
quel 2002 la corona ha dovuto spostarsi di anno in anno. Di stagione in stagione. Sette anni di diversa egemonia stagionale con tutte le principali contendenti incapaci di ripetersi nel più classico dei ‘back to back’. Il record di vittorie mancate dopo aver innalzato il trofeo nel giugno precedente sono i San Antonio Spurs che con i tre titoli in cinque anni (dal 2003 al 2007) ha dato vita alla maledizione degli anni pari dove i nero argento hanno sempre dovuto abdicare a favore di altri. Lo stesso è accaduto da quel
L ’ AL BO D’ OR O D EL C AM P ION A TO N BA 1946/47 Philadelphia Warriors 1947/48 Baltimora Bullets 1948/49 Minneapolis Lakers 1949/50 Minneapolis Lakers 1950/51 Rochester Royals 1951/52 Minneapolis Lakers 1952/53 Minneapolis Lakers 1953/54 Minneapolis Lakers 1954/55 Syracuse Nationals 1955/56 Philadelphia Warriors 1956/57 Boston Celtics 1957/58 St. Louis Hawks 1958/59 Boston Celtics 1959/60 Boston Celtics 1960/61 Boston Celtics 1961/62 Boston Celtics 1962/63 Boston Celtics 1963/64 Boston Celtics 1964/65 Boston Celtics 1966/67 Philadelphia 76ers 1967/68 Boston Celtics 1968/69 Boston Celtics 1969/70 New York Knicks 1970/71 Milwaukee Bucks 1971/72 Los Angeles Lakers 1972/73 New York Knicks 1973/74 Boston Celtics 1974/75 Golden State Warriors 1975/76 Boston Celtics 1976/77 Portland Trail Blazers 1977/78 Washington Bullets 1978/79 Seattle SuperSonics
1979/80 Los Angeles Lakers 1980/81 Boston Celtics 1981/82 Los Angeles Lakers 1982/83 Philadelphia 76ers 1983/84 Boston Celtics 1984/85 Los Angeles Lakers 1985/86 Boston Celtics 1986/87 Los Angeles Lakers 1987/88 Los Angeles Lakers 1988/89 Detroit Pistons 1989/90 Detroit Pistons 1990/91 Chicago Bulls 1991/92 Chicago Bulls 1992/93 Chicago Bulls 1993/94 Houston Rockets 1994/95 Houston Rockets 1995/96 Chicago Bulls 1996/97 Chicago Bulls 1997/98 Chicago Bulls 1998/99 San Antonio Spurs 1999/00 Los Angeles Lakers 2000/01 Los Angeles Lakers 2001/02 Los Angeles Lakers 2002/03 San Antonio Spurs 2003/04 Detroit Pistons 2004/05 San Antonio Spurs 2005/06 Miami Heat 2006/07 San Antonio Spurs 2007/08 Boston Celtics 2008/09 Los Angeles Lakers 2009/10 ??? 2010/11 ???
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2003 ai Detroit Pistons, che misero fine ai Lakers della coppia Shaq-Kobe per poi perdere una delle finali più entusiasmanti proprio contro gli Spurs nella stagione seguente. Lo stesso è capitato ai Miami Heat in quella che fu definita la finale delle ‘debuttanti’ con Shaq e Wade che furono anche i primi ‘defender’ della storia ad uscire al primo turno di playoff quando si trattava di difendere la corona. Ed infine vuoi o non vuoi è successo anche ai Boston Celtics. Il 17esimo titolo della franchigia del Massachussets, il ‘Big Three’ rinfrancato dalla vittoria del primo anello esorcizzando il tabù e cancellando il loro nome dalle super star che non hanno mai vinto un titolo Nba, sembravano essere sintomi ed indicazioni per parlare di una dinastia quanto meno capace di arrivare al back-to back ed invece…Ed invece sono arrivati i Lakers. Si riparte, dunque, da Los Angeles, si riparte dalla prima vera squadra capace di dettare legge nel periodi di transizione di una Nba alle prese del post Jordan, ma quello vero e non quello apparso con la maglia dei Wizards che ha fatto bene solo all’immagine della Lega intera e alla città di Washington che di sicuro ha avuto il maggior numero di incassi durante la ‘discesa’ di Sir Hairness dai piani delle scrivanie e delle scartoffie al parquet della Verizon Arena. Ma soprattutto si riparte da Kobe Bryant. Si riparte da chi durante quelle finale
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del 2003 si era presentato all’EastRuttherfod di New Jersey con la canotta numero 23 di Jordan (quasi a voler dimostrare oltre che ad anticipare che di li a poco sarebbe stato lui il padrone della scena oltre che a minacciare il club di trasferirsi nella Wind City cosi come è avvenuto più volte per arrivare al rinnovo o alla costruzione di una squadra decente per il titolo ndr). Si riparte da chi da quella finale aveva messo in evidenza e sulla scrivania dei vari Jerry West e Jerry Buss l’insofferenza di essere considerato il numero 2 o se vogliamo l’ombra di The Big Aristotele. Da chi ora si ritrova ad essere nella situazione opposta, in quella di chi è il capo della baracca e deve condurre tutti i suoi fidi scudieri, talentuosi e non al successo finale. E’ avvenuto cosi lo scorso anno e l’idea è quella di ripetere il finale anche nella prossima stagione con una modifica in più che porta il nome di Ron Artest. Questa volta sarà il figlio di Jelly Bean a fare ombra, sarà il ‘Black Mamba’ a dettare legge, sarà il numero 24 a stabilire chi, come, cosa e quando fare qualcosa per tornare a vincere. Perché dovrebbe essere il ‘back to back’ il liet motive della stagione losangelina? Ovvio perché Shaq c’è riuscito, perché altrimenti il nuovo ‘amico’ di Lebron potrà sempre dire e vantarsi di aver condotto a tre titoli i ‘suoi’ Lakers mentre il rivale ad uno e forse anche
Corsi e ricorsi storici: Minneapolis Lakers i primi a mettere a segno un ‘back to back’, i Los Angeles Lakers gli ultimi... Giri e rigiri la storia porta sempre allo stesso punto, sempre allo stesso nome: Lakers. Tutto è iniziato con questo nome e tutto è terminato con questo nome. Certo l’unica particolarità è legata al fatto che l’inizio di cui si discute era si targato Lakers, ma di scena da un’altra parte: Minneapolis. Se però vogliamo aggrapparci alla storia quella franchigia che nelle lontani stagione del 1947/48 e 1948/49 diede vita alla prima mini dinastia della storia del basket a stelle e strisce, è la stessa che adesso ha la possibilità di far riprendere a girare la ruota. La stessa perché quella che dominò un basket nemmeno paragonabile anche di striscio a quello attuale e che aveva come leader incontrastato l’occhialuto George Mikan si trasferì poi proprio nella città degli angeli dando vita ed origine a quella che è l’attuale versione dei Lakers. La cabala, dunque, è dalla parte dei gialloviola, dal momento che anche il primo ‘trheepeat’ è stato opera di quei Minneapolis Lakers tra il ‘52 ed il ’55 oltre al fatto che proprio i Lakers sono stati gli ultimi a metterne a segno uno. Ma i Lakers di oggi e gli allora Minneapolis non sono certo stati gli unici a poter contare su questo privilegio. Per esempio essere stata la prima squadra a mettere a segno un ‘back to back’ oppure un ‘threepeat’ diventa nulla rispetto ai setti cam-
pionati vinti in fila dai Boston Celtics (tra il 1960 ed il 1966) oppure di fronte ai due consecutivi dei Chicago Bulls di Michael Jordan che sono rimasti spezzettati tra di loro solo perché al termine del primo MJ aveva deciso che era giunto il momento di cambiare sport o magari di fronte ai duelli e alle battaglie indimenticabili tra Larry Bird e Magic Johnson e quindi tra Celtics e Lakers. Ma escludendo quindi per un attimo quel particolare dei sei titoli vinti in fila sono quattro le squadre che possono vantare di avere nella loro storia almeno un ‘back to back’: Houston (’94-‘95), Chicago (due volte il primo tra il ’91 ed il ’92 ed il secondo tra ’96 ed il ‘97), Detroit (squadra dei Bad Boys e che ha anticipato l’era jordaniana con le vittorie nel ’90 e ‘91), Lakers (due volte il primo tra l’87 ed l’88 e l’ultimo tra il 2000 ed il 2001) e appunto Boston (il primo in assoluto è quello che diede il via ai sei titoli di cui sopra, mentre il secondo due anni dopo tra il ’68 ed il ‘69). Quattro le sole squadre che invece hanno dato continuazione mettendo al dito il terzo anello consecutivo: Minneapoli la prima in assoluto, Boston, Chicago Bulls (l’unica a metterlo a segno per due volte nel giro di sette anni ndr) e gli ultimi in termini di tempo i Los Angeles Lakers.
con un pizzico di fortuna. Tutti sintomi e tutti assist che Kobe di sicuro vorrà togliere dalla bocca del suo più grande rivale di sempre; ed il solo ed unico modo per riuscirci e iniziare con il ‘back to back’ per poi continuare. Già perché la lista sarebbe lunga, dal momento che ci sarebbero sempre il ‘threepeat’ ed il tris di titoli di Mvp delle Finali. La prima pietra, però, è stata posta anche per que-
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st’ultimo punto proprio contro i Magic nel giugno scorso, e anche se non se ne parla a gran voce, nemmeno con parole dal diretto interessato, ritrovarsi a metà giugno negli spogliatoi a posare davanti ad un tendone raffigurante il simbolo delle Finals con il doppio trofeo nelle mani e con un sorriso a 64 denti stampato sulla bocca non dispiacerebbe all’animale, agonisticamente parlando, più feroce di questa Lega.
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Il ‘Mago’ Il ‘Gallo’ e lo ‘Stallone Italiano’ Fonte foto: http:/ www.slamonline.com
Quella che sta per andare in porto sarà anche la stagione della definitiva presenza dei tre italiani in campo. Non dovrebbero esservi, infatti, altri tipi di intoppi per il popolo tricolore che ormai freme nel vedere Bargnani, Belinelli e Gallinari tutti in campo e non solo alcuni di essi (per lunghi tratti anzi solo Bargnani ndr) in canotta e pantaloncini e gli altri in abiti lussuosi dietro la panchina a fare il tifo per i compagni. Tre giocatori tre diverse situazioni. Tre giocatori tre diverse volontà di riscatto. Saranno sicuramente più felici gli appassionati ed i tifosi dei Toronto Raptors dal momento che di sicuro prenderanno due piccioni con una sola fava, ma di sicuro anche contenti quelli della Grande Mela nel sapere che il ritorno definitivo di Danilo Gallinari è ormai cosa più che fatta. La pre-season ha dato i primi suoi responsi (13,3 di media con il 51% abbondante dal campo ed il 31% dalla lunga distanza in 23,9 minuti per il ‘Mago’; 8,6 i punti con 38,6% dal campo e 26,7% da tre per Marco Belinelli e dulcis in fundo 8,8 punti con 31,7% totale e 35,7% da tre per il Gallo. Ovviamente statistiche rilevate al momento di scirvere ndr), le sue prime indicazioni, ma la stagione vera deve ancora iniziare ed allora per i fan del basket Made in Italy sarà solo questione di aspettare quella che lo scorso anno a New York venne definita come la serata: «Italians heritage Night». Quale la differenza rispetto alla scorsa stagione? Che la serata in questione era tutta per il duello a distanza tra Andrea Bargnani e Danilo Gallinari. Un duello che ora diventerà un triple torea match. Una dicitura presa in prestito dal mondo del wrestling e che presenta una sola defezione rispetto a quanto avviene nella stipulazione di uno dei sport più seguiti d’oltre oceano. Non sarà un uno contro tutti, ma un due contro uno. Bargnani-Belinelli contro il ‘Gallo’. Un sapore più dolce da gustare nel caso che New York riuscisse a mandare a tappeto o restando in tema di wrestling, a schienare i Raptors sui ventotto metri di campo. Il duello è rimandato al 15 di gennaio, e quindi per il momento tocca vederli a distanza, ma quando sarà il tempo di derby i fuochi d’artificio sono più che assicurati.
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IL CASO
Niente lock-out, trovato l’accordo DI
N ICOLÒ ICOLÒ F IUMI IUMI
Sarà capitato almeno una volta a chi frequenta playground e campetti da basket di trovarsi nella situazione di non poter giocare perché manca un giocatore per il classico 3 contro 3 o 4 contro 4. A quel punto, allora, pur di giocare, si prende dentro magari il ragazzino imberbe, che in condizioni normali starebbe a guardare, ma che, data la situazione, viene buttato nella mischia. E’ la stessa posizione in cui si è trovata la NBA nelle ultime ore, con l’eccezione che, quello che mancava, non era il giocatore, ma l’arbitro. Anzi, gli arbitri, tutti e 57. L’Associazione Arbitri, infatti, è arrivata ai nastri di partenza di questa stagione con all’orizzonte il rinnovo del contratto di
lavoro collettivo da concertare assieme ai vertici della NBA. Le contrattazioni, però, hanno preso una brutta piega dopo un inizio che sembrava incoraggiante, e si è arrivati alla rottura con gli arbitri che si sono rifiutati di scendere in campo, non rinnovando il contratto, e costringendo David Stern a far scendere in campo quei rimpiazzi, che al playground sono i ragazzini che di solito stanno a bordo campo a guardare mentre qui sono i fischietti di “riserva”, provenienti da NBDL e WNBA. Ma ripercorriamo la cronologia degli eventi che hanno portato alla rottura, 14 anni dopo l’ultima volta, il 1995 quando gli arbitri fecero sciopero dei fischietti fino a dicembre costringendo il gran capo della Lega a mandare in campo le riserve, tra cui spiccavano Bill Kennedy e Leon Wood, oggi esponenti
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della nuova serrata, che, fortunatamente, ha avuto fine nelle ultime ore. Le prime allarmanti sirene iniziano a suonare all’inizio di settembre quando, dalle parole di Lamell McNorris, avvocato dell’associazione arbitri, che rappresenta anche i direttori di gara della MLB, si apprende che “la NBA ha chiuso ogni tipo di trattativa, visto che si è arrivati a un punto di stallo dal quale ormai da giorni non ci si smuove, a causa di una serie di cambiamenti che la Lega vuole apportare.” L’accusa alla NBA è pesante, e ovviamente la risposta arriva rapidamente, questa volta da Rich Buchanan, consigliere generale della NBA: “Tutto falso, l’associazione degli arbitri ha prima accettato i termini dell’accordo, salvo tirarsi indietro in un secondo momento”. E allora la verità qual’è? A quanto si è appreso effettivamente l’Associazione aveva accettato il contratto proposto. La trattativa poi si è arenata in seguito su alcune sfaccettature, non secondarie, di questo. Sostanzialmente le due parti sarebbero dovute venirsi incontro, visto che la NBA, come tutto il resto del mondo, sta affrontando la crisi economica e quindi deve cercare di ridurre le spese, mentre gli arbitri devono conservare il loro prezioso (e privilegiato) posto di lavoro, pur accettando di ricevere un compenso diminuito. L’offerta della NBA era quella di abbassare le spese cui far fronte in favore dei grigi del 10%, sui circa 32 milioni di dollari totali, oltre ad un abbassamento del 7% dei compensi giornalieri e del 15% per le spese di viaggio. Condizioni accettate dall’associazione, con l’unica eccezione del 10%, sceso di poco sotto l’8, a patto che il contratto non venisse esteso per i canonici 5 anni, ma solo per 2 stagioni, sperando in una ripresa dell’economia mondiale, così da poter ottenere migliori condizioni una volta riavviata la trattativa. I problemi sono nati quando si è andati ad affrontare i dettagli dell’operazione, in particolare 3 aspetti: 1) LIQUIDAZIONE O TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO: la NBA ha in programma di ridurre le spese intanto tagliando
Fonte foto: http:/ www1.pictures.gi.zimbio.com sensibilmente i buy out degli arbitri che si ritirano o che si dimettono dal proprio incarico. Fino ad oggi, infatti, i fischietti con un età superiore ai 55 anni, una volta cessata l’attività, ricevevano un buy out molto generoso. La nuova linea della Lega vuole vedere ridotte queste buone uscite, addirittura annullate per gli arbitri con meno di 10 anni di esperienza e per i nuovi arrivi di questa stagione. David Stern ha dato la possibilità di far scattare questa clausola fra due anni, permettendo così agli arbitri più anziani di ricevere comunque il buy out originario, cosa però non vista di buon occhio dall’Associazione Arbitri che in questa mossa riconosce in realtà la volontà di forzare ad appendere il fischietto al chiodo agli arbitri più vetusti. 2) SVILUPPO DEI GIOVANI ARBITRI: nelle pieghe del contratto la NBA ha inserito una clausola per cui tra novembre e febbraio saranno programmati arbitraggi da parte di fischietti
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provenienti da NBDL e WNBA in 100 partite ufficiali NBA. Questo, chiaramente, con l’intento di permettere a quelli che in futuro saranno i direttori di gara dei professionisti di farsi ulteriormente le ossa su un palcoscenico più probante. L’associazione arbitri ha controbattuto, chiedendo che la quota fosse abbassata a 75 partite. Ma alla fine ha avuto la meglio la linea dura della Lega. 3) PENSIONI: gli arbitri sono sottoposti a un trattamento pensionistico “ad hoc”, differente da quello dei giocatori (che negli USA è chiamato Plan 401) e più conveniente da un punto di vista monetario. Il progetto è quello di unire anche i fischietti sotto il trattamento previsto dal Plan 401. La NBA sta tenendo questa linea particolarmente rigida sia per abbassare i costi, sia per lanciare un segnale forte anche all’Associazione Giocatori, che andrà a rinegoziare il proprio contratto collettivo nel 2010/2011. Dunque le motivazioni di Stern e compagnia sembrano abbastanza forti, visto che non si può negare la crisi economica che sta investendo gli Stati Uniti, e dunque è logico che un azienda come la National Basketball Association cerchi a sua volta di correre ai ripari come può, senza fare sconti a nessuno dei propri dipendenti, che comunque, è bene sottolinearlo, continueranno ad essere pagati un numero imprecisato di volte in più rispetto alla stragrande maggioranza dei comuni mortali. Dal canto loro gli arbitri lamentano di lavorare in condizioni più difficoltose rispetto agli altri dipendenti della Lega. Viaggi continui e in condizioni non facili, anche se risulta che i biglietti aerei per loro siano sempre di prima classe, oltre al continuo scrutinio a cui sono sottoposti sono gli argomenti forti di McNorris. Come detto, quindi, si arriva alla rottura, confermata da Stern con queste parole: «Si può affermare che dopo gli incontri che abbiamo avuto, non c’è stato nessuno progresso e non sono programmati altri contatti in futuro». Ma nel frattempo c’è una preseason ai nastri di partenza. E qualcuno deve pur arbitrarla. Scendono così in campo “le riserve”, termine e situazione che ricorda tantissimo il famoso film ambientato nel mondo del football con Keanu Reeves a capo di una banda di giocatori senza contratto, appunto riserve, che prendono il
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posto dei titolari quando nel mondo NFL viene messo in piedi a sua volta un lock out per questioni contrattuali. Arbitri provenienti dalla Lega di sviluppo scendono in campo per arbitrare le partite. La Lega fa un doppio affare, riducendo evidentemente i costi e mettendo con le spalle al muro gli arbitri ufficiali, che vedono la situazione procedere senza sviluppi all’orizzonte. A questo si aggiunge la richiesta, che in questi casi è un obbligo assoluto, dei piani alti ad allenatori e giocatori di non criticare i nuovi fischietti per non caricarli di ulteriore pressione. (Le polemiche in realtà ci sono state, e puntuali sono arrivate multe salatissime). Si procede così in pratica per un mese senza nessuna news. Poi, improvvisamente, qualcosa si muove. E lo fa tutto d’un colpo. All’inizio di questa settimana tutti i principali siti di sport riportano la notizia che Lega e Associazione Arbitri avrebbero trovato l’accordo, da perfezionare venerdì 23 ottobre con votazione dei 57 arbitri, che in precedenza avevano votato 43 contro 14 a favore della serrata. I termini definitivi del contratto e il risultato della votazione, comunque con parere favorevole al nuovo accordo, non sono stati resi noti, ma c’è la certezza che martedì quando la stagione prenderà il via le partite saranno dirette dagli arbitri “titolari”, fatto confermato da David Stern: “siamo molto contenti di poter annunciare che è stato raggiunto un accordo per il rinnovo del contratto con l’Associazione degli Arbitri. La contrattazione è andata per le lunghe, più di quanto volessimo sia noi della Lega che gli arbitri stessi. Ma ora possiamo dire con sicurezza che martedì la stagione partirà con gli arbitri regolarmente in campo”, con grande soddisfazione degli staff tecnici delle squadre che, anche a bassissima voce visto il diktat della Lega, avevano fatto capire di non gradire questa situazione. Nel fine settimana gli arbitri hanno tenuto un mini camp per cercare di recuperare un minimo di condizione fisica, visto che il camp tradizionale che avrebbe dovuto prendere il via a settembre non si è svolto. Ma alla fine del muro contro muro possiamo stare tranquilli. Gli arbitri migliori del mondo, saranno regolarmente in campo ad arbitrare i migliori giocatori del mondo. E “le riserve” rimarranno a bordo campo, ad aspettare il giorno in cui verrà il loro turno.
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L’INTERVISTA DI
D OMENICO P EZZELLA
L ' UO M O F L A V I O T R A N Q UI L L O Perché hai scelto di seguire il basket? «Caso e destino». Un agg e t t i v o p e r d e s c r i v e r t i ? «Complicato». Un libro da consigliare? «Il Gattopardo». L’e v en to st o r ic o più imp or t ant e dal tu o punt o di v is t a. . . «La caduta del Muro». U n fi l m c h e h a s e g n a t o l a t u a v i t a ? «I cento passi». L a c o l o n n a s o n o r a d e l l a tu a v i ta ? «Rush, Saga, Kansas». Q uan t e l in gue p ar l i? «Italiano, inglese decente, spagnolo finto, non il tedesco che è l’unica che abbia studiato». I o s o n o c a s e r t a n o , d i m m i l a p r i m a p a r o l a c h e ti v i e n e in m e n t e … «Sei quello che sei». Co m e t e l a c av i c o n i l c as e r t a no ? «Decente, è carta conosciuta». T i p i a c e i l b a s k e t d e l 2 0 0 9? «Sì e no». L a s q u ad r a d e i s o gn i? «Non ho squadre ma ho ammirato la Milano degli anni ’80, la Virtus dei ’90, gli Spurs del nuovo millennio». Il cestista preferito... «Tim Duncan». L ’ at l e t a p r e f e r it o . . «Pietro Mennea». L a p a r ti t a i n d i m e n t i c a b i l e . . . «Italia-Spagna a Parigi». M e g l i o l a N b a o l ’I t a l i a ? «Meglio tutte e 2». Quanto è importante lo spettacolo nella pallacanestro? «Un bel po’, ma bisogna definirlo». Domanda numero 17, sei scaramantico? «Assai». Gli U2 ca nta n o ‘ tak e u r p ride’ , pu ò essere il motto della vita di Flavio Tranquillo? «Chi ha paura muore tutti i giorni». F L AV IO T RAN Q U IL L O E IL B AS K E T I l t u o p r i m o r i c o rd o d e l l a p a l l a a s p i c c h i ? «Campo Olimpia, Milano». L a p r im a c o s a c h e t i d i s s e r o q ua nd o d ic e s t i c he t i p ia c e v a il ba s k e t ? Non ci fecero caso, erano disattenti ….
‘Face to face’ Il ‘faccia a faccia’ con p e r ec c e ll e nz a il v i a sat el l it e :
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««LL’’OOlliimmppiiaa
iill m miioo pprriim moo rriiccoorrddoo ddeell bbaasskkeett» »
« Lebron è
dominante, ma Bryant è pazzesco»
««BBuuffffaa??
U Unn ggeenniioo ddaa pprreennddeerree ccoossii......» »
colui che viene definitro ‘The Voice’ del basket Flavio Tranquillo
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ATSIVRETNI’L
L a g io ia p iù gr an d e c he t i h a d a t o i l b as k e t ? «Un lavoro che è passione». L a p e r s o n a p i ù i m p o r ta n t e c h e t i h a r e g a l a t o i l b a s k e t ? «Mia moglie». C ’ h a i m a i r i m o r c h i a t o q u a l c h e r a g a z z a c o n i l b a s k e t? «Mia moglie….». C he p o s t o e c h e r u o l o o c c up a il b a s k e t it al ia no n e l l a t ua v it a? «Importante». C o m ’ e r i d a a r b i t ro ? «Bravo, impulsivo, immaturo». E da allenatore? «Bravino, impulsivo, immaturo». La partita più importante che hai arbitrato/allenato? «La promozione in serie D, in un momento personale particolare». Q ue l l a c he c an c e l l e r e s t i? «Gli spareggi di due anni prima, quando non arrivai in tempo al campo per il traffico». C ’ è m a i s t at o u n m o m e n t o d i ‘ t e ns io ne ’ q u a nd o a r b it r av i? «Sì, a Saronno». U n m i n u t o p e r s p i e g a r c i p e r c h é a d e s s o s e i d i e t ro u n a s c r i v a n i a e n o n p i ù s u d i u n c a m p o d a b a s ke t ? «Sempre stato dietro una scrivania, il campo solo divertimento». ‘ I l o v e t h i s g a m e ’ , c o s a r a p p r e s e n t a p e r t e q u e s t a f ra s e ? «Una cosa vera». Perché se il gioco del basket è uno e le regole ‘dovrebbe r o ’ e sse r e u gu al i d a pe r t u t t o , q u e ll o a m e r ic a n o è cosi diverso da quello Italiano ed Europeo in generale? «Perché c’è di mezzo un Oceano». Q ua nt o c o nt a no i s o l d i in q u e s t o s p o r t ? «Troppo e non abbastanza a seconda di dove guardi». Il t u o g iu d iz i o s ul f al l i m e nt o d e l l a N a z io n al e ? «Una squadra mal gestita in campo e attorno, giocatori che non hanno (ancora) identità. Non una vergogna». F L A V I O T R A N QU I L L O E D I L G I O R N A L I S M O Ti ricordi il primo articolo che hai scritto? «Certo». U n m i n u t o d i t e m p o p e r s p i e g a r c i c o me e q u a n d o t i è v e nu t a l ’ id e a d i f ar e q u e s t o l a v o r o ? «Non è stata un’idea, caso e destino». 1 9 8 1 , s os ti tu i s ci Fe d eri c o B u ffa c om e r a di o cro n i sta d e l l e p ar t it e d e l l ’ O l im p i a, è l i c h e n as c e i l l e g am e c o n l ’ A v v o c at o ? «Sì, ma lo avevo arbitrato al Campo Olimpia, e lo leggevo su Superbasket. Poi ci ho giocato assieme e lo ho allenato».
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« Ricordo
ancora le luci di Miami nell’87» I l tu o r i c o r d o p i ù b e l l o d e l l ’ e s p e r i e n z a r a d i o f o n i c a ? «Il primo scudetto raccontato, a Pesaro». I l tu o r i c o r d o d e l d e b u t t o t e l e v i s i v o n e l 1 9 8 5 … «Me la sentivo, avevo già tante radiocronache in tasca». S p o r t a m e r i c a n i : p e rc h é ? «Perché all’epoca per saperne qualcosa dovevi lottare». N ell ’a g ost o d el 1 9 9 1 ha in i zi o l a tu a a vve n tu ra su l ‘ s a t e l l it e ’ , d a a l l o r a q ua n t o è c a m b ia t o l ’ a m b i e n t e d e l g io r na l is m o t e l e v is i v o ? «Eravamo in 17, tutti giovani, in una stanza. Oggi siamo 300, in un palazzo con altre 3000 persone». Q u a n to è c a m b i a to i n g e n e r a l e i l g i o r n a l i s m o d a a l l o ra ? «Un bel po’». Qu a lc he mes e p ri ma , sp eci fi ca men te a ma g gi o, eri
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sp ea ker del l’Ol imp i a scon fi tta i n ca sa d a Gen ti le e Caserta, il tuo ricordo di quella partita? «Un mix di persone per cui mi spiaceva e per cui ero contento. Shack dietro la schiena e D’Antoni che mi dice “chissà se vincerò mai qualcosa …”». G i o r n a l i s m o e C a s e r t a c h e ri c o r r o n o s p e s s o n e l l a t u a c ar r ie r a , c o s a c i p u o i d ir e … «Caso e destino!». Telecronista Sky…….sei ricco? «Magari. Mica faccio il calcio…». Perché la tv? «Grazie a Bassani e Bagatta che mi han chiamato». Ci nq u e p ar o l e p e r d e s c r i v e r e l a p as s i o ne p e r l a p a l l a a s p i c c hi? «Più bella cosa non c’è». Cinque per descrivere Alessandro Mamoli… «Un ragazzo con valori solidi». C i n q u e p e r F e d e r i c o B u ff a … «Un genio da prendere così». Con l ’av voca to u n ’in tesa p erfetta co me p och i, cosa contribuisce a renderla tale? «Non lo so, non è costruita». Il p r i m o a n e d d o t o c h e t i v i e n e i n m e nt e p e n s a n d o ai tu o i v i a g g i n e g l i S t a t e s p e r l ’ N b a ? «Jordaaann…». E l e g at o al l a N c aa ? «Non molto». C o m e s o n o v i s t i i g i o rn a l i s t i ‘ s t r a n i e r i ’ n e g l i S t a t e s ? «Come dei marziani». La tua prima esperienza da ‘inviato’ in America.. «All Star Game 97 nel basket, Superbowl 87 nel football». L a t ua ul t i m a i n t e r m in i t e m p o r a l i? «Finali NBA 2007». D o v e t i v e d i d a q ui a… . f ac c ia m o 5 an ni . . «Spero qui coi miei figli». FLA VIO TRA NQUILLO E GLI STA TES I l p r im o im p a t t o c o n l ’ A m e r ic a? «Miami 1987. Le luci. Lacrime agli occhi, aspettavo da una vita». C in q ue p ar o l e m as s im o p e r s p ie g ar c i l a t ua v i s io n e d e gl i S t at e s . «All that glitters is gold?». C in que per sp ieg arci che cos’è r e a l m e nt e v iv e r e il b a s k e t am e r ic a no . «Un’esperienza da fare comunque». C i n q u e p e r s p i e g a r c i l a fi l o s o f i a di vita di chi lo vive.. «I love this game!».
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A ru o t a l i b e r a s u l l e p e rs o n e c h e h a i i n c o n t r a t o n e i t u o i v ia gg i «Ehhhhh … qui ci vorrebbe un libro». I l g i oc a t o re p i ù d o mi n a n t e i n q u e s t o mo m en to d e l l a Nba ? «LBJ».
« Sette giorni
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B a r g n a n i , B e l i n e l l i e Ga l l i n a r i c h i p u ò f a r e m e g l i o d a q u i a 5 an ni ? «Gallo». C hi s e nt i d i p iù ? «Tutti e 3 senza esagerare, sono gentili ma non tiro la corda». P e r c hi f a i il t if o ? «Il tifo è una malattia». Q u a l e l a s q u a d ra c h e n o n s o p p o r t i ? «Vedi sopra». K o b e o L e b r o n? «Lebron, ma l’altro è pazzesco». I s ia h T ho m a s / Jo r d a n? «MJ». K a re e m / S h a q ? «Shaq». B i r d / Ma gic ? «Magic (ma l’altro era una bestia)». C e l t ic s o L ak e r s ? «Il tifo è una malattia (ma tifavo Los Angeles Lakers prima della conversione)». Detroit/Chicago «Vedi sopra». N C AA o N ba ? «Tutte e 2 (cmq NBA oggi)». C h i h a i v o ta t o p e r l ’ A l l S t a r G a m e ? «Non voto mai». I l ‘ s o g n o a m e ri c a n o ’ d i F l a v i o T r a n q u i l l o … «Sette giorni in sette città diverse per sette gare di playoff di serie diverse».
in sette città diverse per sette gare di playoff di serie diverse» L a s q u a d r a p i ù f o r te ? «Spurs se stan bene tutti, solo per quest’anno».
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HOT SPOT DI
D OMENICO P EZZELLA
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Due anni. Questo il tempo necessario all’ex talento di Washington University per dimostrare di essere una vera e propria stella Nba. I raggi emanati durante la sua stagione da rookie e in quella immediatamente successiva, a dire il vero, erano già bastati a farne uno dei giocatori a cui affidare lo scettro del futuro o meglio come il principale indiziato ad essere il numero uno se non ci fosse l’età di un tale Lebron James. Scelto nel 2006 in quello stesso Draft in cui l’Italia cestistica esultava per la sua prima scelta assoluta di tutti i tempi (e non per una chiamata Nba visto che prima del mago Esposito e Rusconi erano stati i pionieri anche se senza successo ndr) Roy ha poi vinto a mani basse il titolo di ‘Rookie of the Year’ con l’ex Benetton fuori causa per motivi di salute che gli impedirono di finire una stagione tutto sommato positiva. Ma i numeri, le movenze, il talento che l’attuale numero 7 dei Trailblazers metteva in campo con il peso di essere un osservato speciale nella sua prima stagione da professionista, bastavano e come per far leccare i baffi al team dell’Oregon, ma soprattutto a David Stern che in questo modo vedeva la rinascita di una franchigia nel segno di un giocatore pulito in tutti i sensi lo si possa considerare il termine in questione. In una sola stagione l’ex Washington ha messo a ferro e fuoco mezza Nba, portando il suo nome in giro per l’America come una vera e propria stella, come uno dei numeri uno di questo sport. Peccato di egoismo? Assolutamente. Solo il riconoscimento da parte di una franchigia e di una squadra nei suoi confronti del nuovo leader. Una crescita esponenziale in tutti i lati offensivi e difensivi del suo gioco. Alla stazza , alla velocità, alla possibilità di cambiare in corsa idea e marcia riuscendo comunque a finire per se o per i compagni con assist al bacio (senza contare un’abilità esaltante e stupefacente di giocare il ‘pick and roll’ con un timing di passaggio
Brando
verso il ‘roller’ davvero precisi come un orologio svizzero, un pazienza nel leggere il tipo di gioco e difesa che i due difensori avversari mettono in scena da stropicciarsi gli occhi ndr), ottime qualità di ball-handling ha aggiunto un ‘range’ di tiro dalla lunga distanza che ha davvero del fuori dal normale. E parte proprio dal tiro dalla lunga distanza il nostro nuovo appuntamento di Nba Hot Spots. Parte da dietro l’arco dei 6,75 o se vogliamo da ancora più indietro specialmente quando si tratta di stare sul lato sinistro della metà campo avversaria. Un’abilità che di sicuro non si faticherà a ricordare, dal momento che il tiro in sospensione allo scadere contro gli Houston Rockets con tanto di delirio puro dei telecronisti dela Rose Garden, ha fatto il giro del mondo sottoforma di spot pubblicitario. “He did it again” le parole che si sentono
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costringerlo a giocare e turare nella parte di campo dove i numeri lo rendono più umano e difendibile rispetto a quanto, invece, è stato prospettato in precedenza. Nella norma, dunque, i numeri e le cifre di Roy a partire da quando ha possibilità di bombardare il canestro con piedi posti in maniera perpendicolare e andando verso destra: 11/33 e 35% fronte a canestro, 15/44 (34,1%) nel mezzo angolo destro e 9/25 per 36% nell’angolo e schiena alla linea laterale opposta a quella sua preferita. Ma nonostante tutti si tratta di numeri che collocano il numero 7 all’interno della categoria ‘dengerous’ invece che ‘on fire’. Anche perché nel mezzo angolo destro l’intelligenza cestistica di cui è dotato lo porta spesso a fare qualche palleggio in più specie sui pick and roll e tirare dalla media distanza dove le percentuali di realizzazioni tornano a colorarsi di ‘rosso’: 38/75 e 50,7% , mentre 7/15 il fatturato dalla media con piedi vicini alla linea di fondo (19/45 e 42,2% nella situazione diametralmente opposta, mentre di 56/131 la statistica dalla media distanza ma con piede al di dentro della linea dei tre punti ndr). Se poi a tutto questo ci aggiungiamo anche il 58% abbondante con 310/533 frutto principalmente di incursioni d’area con palla in mano e conclusioni anche ad alto coefficiente di difficoltà, sembrerebbe il profilo di un giocatore senza macchia e senza punti deboli, ed invece…Ed invece il punto debole c’è. C’è una parte del gioco che dimostra che Roy è pur sempre al suo quarto anno di Nba e ha appena firmato per il suo primo udire dalla pubblicità americana della Nba. vero contratto dopo quello garantito da Già perché quella che è stata e sarà la tripla rookie: il tiro in sospensione fronte a canesimbolo di Brandon Roy, non è certo la sola o stro all’altezza della linea del tiro libero. comunque il caso più sporadico di questo Riuscire a portarlo in quella zona di campo, mondo. Anche perché la maggior parte delle o meglio costringerlo una volta che ha inseconclusioni da tre punti Roy le prende appun- rito le marce alte per entrare dentro, a modito nel semi angolo sinistro. Di 26/61 la percen- ficare la sua scelta con optando poi con il tuale in questione per un 42% che ha davvero jump in corsa da sei metri è una vittoria dell’incredibile e per vari motivi. Un 42% che senza eguali. Da quella posizione i numeri arriva da tiri scoccati in uscita dai blocchi con dicono 16/54 per un misero 29,6%. Lo hanno preferenza all’allargarsi alternando l’entrata a capito i Rockets che tatticamente dal punto ricciolo verso il canestro, dal ‘pick and roll’ se di vista difensivo hanno fatto un capolavoro il difensore resta stampato sul blocco o decide, senza eguali nella scorsa post season annienin maniera avventata (anche se sono in pochi tando non solo Aldridge con tutto l’arsenale a farlo dal momento che lo scouting report del di cui Scola è a disposizione, ma anche giocatore lo sconsiglia vivamente se non si costringendo nei momenti cruciali proprio vuole finire con le urla del coach e panchina punitiva per diversi minuti ndr) di passare dietro Roy a tirare dalla posizione che al momento lasciando anche quel mezzo centimetro sullo ‘show’ del lungo che si vede partire il razzo come in è il suo tallone d’achille. Ma è solo questione una qualsiasi simulazione della Nasa. Potrebbe bastare, ma non è tutto, visto che manca ancora di tempo, nel momento in cui lo spirito di una cosa: la transizione, o meglio quegli ‘scud’ lanciati portando palla avanti da rimbalzo difensi- sacrificio ed il lavoro in palestra porterà ad vo ed apertura ricevuta arrivano poi dall’altra parte e bucare la retina senza nemmeno pensarci innalzare e a lievitare anche quelle statistitanto sopra. Le cose addirittura migliorano se l’angolazione in campo scende verso la linea latera- che Brandon Roy di sicuro sarà in maniera le sinistra. Il 42;6% di prima diventa bazzecola a confronto del 43,1% e 22/51 totale legato all’anindiscussa una delle star indiscusse e indigolo sinistro del campo. La migliore scelta che puoi fare, dunque, è mandarlo a destra, cercare di scutibili di questo gioco.
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Onore al re del ‘crossover’: Sir Tim Hardaway L’EVENTO
L’ultima franchigia del talento emerso ai nella Baia di Oackland, i Miami Heat, innalzeranno, il 28 di ottobre nel debutto casalinga, al soffitto la maglia numero 10, quella raffigurante di uno dei giocatori che hanno fatto la storia della Nba degli anni ‘90
Fonte foto: http://img.photobucket.com DI
M ARCO G ERBINO
Il prossimo 28 ottobre i Miami Heat ritireranno la maglia numera 10 di Tim Hardaway in una cerimonia che precederà la prima partita della stagione. Il giusto tributo ad uno dei giocatori più emozionanti degli anni novanta. Play-maker di 1,83 m., Hardaway era un grande realizzatore ,ma anche un buon passatore. I suoi devastanti crossover hanno fatto scuola. Nato a Chicago il primo settembre 1966, Hardaway passa un infanzia difficile che lui stesso descrive come una lotta continua. Il padre era un alcolista , il piccolo Tim Bug (soprannome che gli fu dato per la sua grande agilità) e la madre furono spesso vittime di sue violenze. Il basket è la via di fuga dalla difficile realtà quotidiana, i campi di cemento dei playground di Chicago il luogo in cui sfogare la frustrazione e la rabbia.
Le ottime prestazioni mostrate prima alla Chicago's Carver High School e successivamente all' University of Texas at El Paso gli garantiscono le attenzioni degli scout NBA. Proprio durante l' esperienza universitaria Hardaway mette a punto il suo movimento caratteristico, UTEP 2 step variante del crossover che prevede un palleggio sotto le gambe seguito da un palleggio d' incrocio. Movimento che lui stesso ha ammesso non essere totalmente farina del suo sacco, ma un perfezionamento di una tecnica che aveva visto usare a Pearl Washington, che ha quei tempi giocava guardia per l' università di Syracuse. Nel draft del 1989 viene scelto con la quattordicesima scelta assoluta dai Golden State Warriors. Il run and gun predisposto da coach Nelson esalta le qualità di Hardaway che nella sua prima stagione mette in mostra sprazzi di talento puro. Il quadriennio di stagioni successivo è un continuo crescendo, viene anche convocato per tre volte consecutive all'All Star Game(1991-1993). Con Chris Mullin e Mitch Ritchmond costituiva un formidabile trio di realizzatori, che venne soprannominato Run TMC ( sigla che unisce le iniziali dei nomi dei tre giocatori che trova ispirazione nei Run DMC, famosissimo gruppo rap). Durante il training camp dell' estate 1993 Hardaway subisce un gravissimo infortunio al ginocchio sinistro che lo terrà lontano dai campi per tutta la stagione(i
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problemi alle ginocchia lo tormenteranno per tutto il resto della sua carriera).L' infortunio gli precluse la possibilità di far parte del Dream Team per il quale era stato selezionato. Nelle stagioni seguenti il nativo di Chicago fatica a ritornare ai suoi livelli. Gli screzi continui con l' altra stella della squadra Latrell Sprewell portano Hardaway a chiedere di essere ceduto. Nel mezzo della stagione 1995-1996 ,Mr. Crossover viene ceduto dai Golden State ai Miami Heat. A Miami la stella di Hardaway torna a splendere. Perde peso per togliere pressione dalle ginocchia malandate,questo gli permettere di tornare ai livelli pre-infortunio cosa che molti ritenevano impossibile. La stagione 1996-1997 è una delle migliori di tutta la sua carriera. Per l' ultima volta supera i 20 punti di media ai quali aggiunge oltre 8 assist. La sua grande annata gli vale la convocazione all' All Star Game (al quale parteciperà per l' ultima volta l' anno successivo), è per la prima ed unica volta viene inserito nel primo quintetto NBA. Ma il 1997 non è un annata di soli trionfi personali. Gli Heat per la prima volta nella loro storia trionfano nel' Atlantic Division , collezionando ben 61 vittorie (61-21 resta ancora oggi il miglior record ottenuto dalla franchigia) .Nel primo turno dei Play off elimina gli Heat e nel secondo eli-
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minano i Knicks (con i quali negli anni successi continuo un accesa rivalità ).Il cammino di Miami si ferma solo nella finale di conference contro i Bulls di Jordan. Durante gli anni seguenti Hardaway continua a guidare gli Heat alle vette della Division, ma il cammino di Miami si fermerà sempre prima della finale di conference, eliminati in più di un occasione dai New York(la squadra che sarà avversaria di Miami nella serata del ritiro della maglia numero 10). L' avventura di Hardaway con gli Heat continua fino al 2001, quando viene ceduto ai Dallas Mavericks. Gli anni d' oro sono ormai alle spalle e il declino fisico inevitabile. A metà stagione passa a Denver con cui gioca solo14 partite . Alla fine della stagione Hardaway vorrebbe firmare per una squadra che gli dia la possibilità di vincere il titolo che ha inseguito inutilmente per tutta la carriera, ma si dovrà accontentare di qualche comparsata con i Pacers, oramai figurina sbiadita di quello che era. Tim Hardaway è uno degli splendidi perdenti della storia della lega. Ma la mancanza dell' anello non attutirà lo scrosciare degli applausi che riecheggerà nell' American Airlines Arena quando la maglia numero 10 verrà innalzata al fianco della numero a 33, la maglia appartenuta ad Alonzo Mourning compagno di Hardaway in mille battaglie.
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OJ Mayo o Allen Iverson, chi è la stella dei Griz zlies? SOPHOMORE
La prima difficoltà sarà quella di coesistere con The Answer, per un giocatore il cui nome è destinato ad essere iscritto nello stesso firmamento. Ne rallenterà la crescita e l’esplosione? Ai posteri l’ardua sentenza DI
S TEFANO PANZA
Memphis anno zero. Ancora. Con la (s)vendita di Gasol due stagioni fa è iniziata la rifondazione di una squadra che ancora fatica a coinvolgere totalmente il suo pubblico, spesso preso più dalla squadra collegiale che da quella professionistica. In due anni sono arrivati innumerevoli giovani, alcuni dei quali assolutamente promettenti. Uno di questi è Ovinton J’Anthony Mayo, giocatore che si appresta ad intraprendere il suo secondo
Fonte foto: http://i374.photobucket.com anno nella NBA dopo una stagione da rookie di tutto rispetto, in cui è stato inserito anche nel primo quintetto delle matricole. Ai tempi dell’Huntington High School era considerato un fenomeno di livello eccezionale, al punto che molti pensavano che con ogni probabilità sarebbe stato selezionato con la chiamata numero 1 al draft. Le nuove regole dettate dall’NBA, però, gli hanno “imposto” almeno un anno di College per permettergli una maturazione più graduale, ma l’annata a USC non è stata brillantissi-
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ma come ci si poteva attendere. Tuttavia il talento c’è, ed è enorme, e nonostante qualche perplessità legata ad alcune sue “bizze” caratteriali, nel draft del 2008 riuscì a strappare la terza chiamata assoluta a Minnesota, prima di essere immediatamente ceduto a Memphis che ha continuato così la sua opera di ringiovanimento. Una squadra così poco matura, però, può accumulare tutto il talento del mondo ma difficilmente riuscirà ad andare oltre una certa posizione in classifica, ed infatti le sole 24 vittorie ottenute nella stagione scorsa testimoniano come in Tennessee ci sia ancora molto da lavorare. Mayo ha contribuito alla causa con 18,5 punti a partita in circa 38 minuti di media d’impiego, un vero lusso per un rookie, così come le 82 partenze in quintetto. Bene anche gli assist (3,2 a gara) e la percentuale dall’arco (38%), mentre la percentuale totale (43%) testimonia ancora una certa immaturità per quanto riguarda la selezione dei tiri. Mayo, 22 anni il 5 novembre prossimo, è una guardia di taglia ridotta, ma dalle doti tecniche e atletiche spaventose. Nella scorsa stagione è stato spesso impiegato al fianco di Mike Conley, mentre il recente innesto di Allen Iverson da una parte potrebbe ridurre i minuti a disposizione dell’ex USC, dall’altra potrebbe garantirgli meno responsabilità, e quindi un approccio più sereno alle partite. Sulla carta Memphis può finalmente vantare un roster interessantissimo, un mix di giovani ed esperti che include elementi come lo stesso Iverson, Gay, Gasol, Randolph oltre alla seconda scelta assoluta Thabeet. Dunque per Mayo non ci sono più scuse: dopo una prima stagione di transizione, adesso è arrivato il momento di fare sul serio. La lotta per un posto nei playoff non è impossibile, ed il contributo del #32 dei Grizzlies nelle prime sei gare di pre-season (2 W e 4 L) è già stato più che onorevole: 11,8 punti in 28 minuti d’impiego, con un rendimento crescente che vai dai 4 punti dell’esordio contro Washington ai 21 dell’ultima gara contro Detroit.
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ROOKIE TIME
Uno dei giocatori più attivi durante la pre-season. Snobbato al Draft nonostante una carriera universitaria di buon livello, l’ex Pitts ora grida ‘vendetta’ con gli Spurs
DeJuan ‘the beast’ Blair DI
V INCENZO
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DI
G UIDA
Succedono cose strane, molto strane in un Draft Nba. Lungi dall’essere una scienza esatta, assomiglia più all’inizio di un percorso di formazione, che alla fine di un processo di reclutamento. Molte franchigie preferiscono puntare sul talento potenziale, che sul prodotto finito. Accade così, che un giocatore dominante al college, spesso venga snobbato a favore di ipotetiche superstar che magari a livello collegiale hanno dimostrato poco o niente, oppure all’università (prendi un Brandon Jennings qualsiasi) non ci sono neanche andate. E allora si scivola giù, sempre più giù nelle chiamate. La sala del Madison Square Garden si svuota, restano solo i tifosi dei Knicks. Quando il commissioner David Stern apre il secondo giro, trenta chiamate sono andate, i contratti garantiti pure. Alla trentuno va Jeff Pendergraf, alla trentaquattro l’iberico Sergio Lull. Ma niente paura alla trentasette ci sono i San Antonio Spurs. Il general manager degli speroni è R.C. Buford (uno che al secondo giro in passato ha pescato Manu Ginobili e Tony Parker), e non se lo lascerà scappare. “ The San Antonio Spurs select De Juan Blair from University of Pittsburgh”. E anche quest’anno è arrivato il regalo. Quale? Quello che gli altri ventinove general manager elargiscono ai texani, e di rimando a Gregg Popovich. Il pacchetto regalo di quest’anno è De Juan Lamont Blair, più semplicemente “The Beast”. Il perché è presto detto. Trattasi di un ventenne (22 aprile 1989) animale da area pitturata, simpaticamente (ma non troppo) definito “undersize”. Le guide Nba lo danno 2.01, realisticamente siamo al 1.97. Uno che nella Ncaa ha fatto letteralmente il vuoto a rimbalzo. STATS. I numeri non dicono mai tutta la verità ma raramente mentono. De Juan Blair è stato nominato “ Big East Co-Player of the Year” (onore condiviso con Hasheem Thabeet), è stato inserito nel primo quintetto All-American da AP, USBWA, NABC, ed è stato finalista per il Naismith Player of the Year Award. In stagione ha viaggiato a 15.7 punti, 12.3 rimbalzi, 1.2 assist e 1.54 recuperi in 27.3 minuti. Nelle 35 gare giocate ha tirato con il 59% dal campo, il 60% dalla lunetta (punto debole). Ha guidato la Ncaa per rimbalzi offensivi (con 5,6 a partita), piazzando 21 doppie-doppie (secondo nella Big East). Il 7 febbraio De Juan si messo definitivamente sulla mappa di tutti gli scout Nba. Contro De Paul, arriva il career high: 32 punti e 14 rimbalzi, semplicemente pazzesco. Al torneo NCAA, Pittsburgh (ateneo famoso più per il football che per il basket) arriva
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all’Elite Eight per la prima volta dal 1974. Blair chiude con una media di 16,8 punti e 13,8 rimbalzi, entrando definitivamente nella storia dei Panthers, ha disputato 72 partite con 35 doppie doppie. Un pedigree che ha attirato le attenzioni degli Spurs, che disperavano di poterlo averla alla trentasettesima chiamata. «Molte squadre mi hanno snobbato a causa della mia statura. Sono stato il perdente per tutta la mia vita. Non posso preoccuparmi di questo genere di cose. Vado avanti per la mia strada». LA FORZA – De Juan gioca con un’energia straordinaria..Forza mentale e fisica. A rimbalzo e in area pitturata è una furia. La cattiveria con quale si avventa su ogni “rodmams” come venivano chiamati una volta i rimbalzi, è da enciclopedia della pallacanestro. Un’aggressività che non proviene dal classico retaggio del giovane nero del ghetto. Blair è cresciuto a Pittsburgh a seicento metri dal campus dell’università, e udite udite, è stato allevato da una madre e da un padre (il genitore nella storia sportiva e umana dei campioni neri dello sport Usa è spesso una figura latitante), che lo hanno educato trasmessogli la passione per la palla a spicchi (entrambi giocato al liceo a Pittsburgh). UNDERSIZE. A San Antonio Malik Rose ha tracciato il solco. I più giovani forse non se lo ricorderanno, ma il prodotto di Drexel contribuì in maniera decisiva alla conquista del titolo del 1999, facendo da back-up alle due torri Duncan-Robinson, fornendo energia, rimbalzi e difesa dalla panchina. Rose restò nella città del rodeo per otto anni (1997-2005), e nelle caratteristiche fisiche e tecniche Blair ricorda molto l’attuale giocatore dei Thunders. De Juan rispetto a Rose sembra avere un fiuto per il rimbalzo offensivo ancora maggiore. In questo assomiglia a due dei più grandi undersize che la Nba ha offerto negli ultimi 10-15 anni: ovvero “Il Verme” Dennis Rodman (passato anche lui per San Antonio) e Big Ben Wallace, due, che al loro massimo hanno dominato le classifiche dei rimbalzi. Rodman dopo essere stato un “Bad Boys” (fuori e dentro al campo) con i Pistons di Chuck Daly, divenne elemento imprescindibile dei Chicago Bulls del secondo “Three Peat”. Ben Wallace da Virginia Union esplose ad Orlando e trovò la sua consacrazione proprio nella Motown, diventando una delle pietre angolari dei Pistons campioni 2004, quelli del
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“right way “ di Browniana memoria. AL PIANO DI SOPRA - Quale sarà il futuro di De Juan nei professionisti? Domanda difficile. C’è chi lo ha definito come un mix tra Glen “Big Dog” Robinson e Dennis Rodman. Paragone scomodo, forse esagerato e per nulla beneaugurate. L’ultimo giocatore ad avere tale investitura fu Rodney White. Uscito da UNC-Charlotte nel 2001, nona scelta assoluta dei Detroit Pistons, che dopo un solo anno lo spedirono a Denver. White non ha mai mantenuto le attese, e dopo aver girovagato un po’ nella Nba (7,1 punti e 2,2 rimbalzi a partita), con ruoli da comprimario ha provato anche l’esperienza italiana nel 2006 con la Scavolini Pesaro in Legadue. Difficile che Blair finisca come White, immenso talento fisico e tecnico non supportato da un cervello adeguato agli standard che richiede il professionismo ad lato livello. «E’un’atleta con grande etica del lavoro. Mette energia in ogni cosa che fa sul parquet. Sarà un buon giocatore Nba e lo sarà in fretta». Parole di coach Gregg Popovich, al mysanantonio.com, che suonano come un’investitura, proprio perchè pronunciate da un allenatore che con i rookie non è mai stato tenero. In preseason Blair ha prodotto numeri pazzeschi: 14.7 punti, 8.2 rimbalzi (5.2 difensivi, 3.0 offensivi), il 59% dal campo e il 64% dalla lunetta, il tutto in 18 minuti di utilizzo medio. Chiaro, le indicazioni della preseason vanno prese con le molle. Ma se anche un rivale diretto nel ruolo come il veterano Antonio Mc Dyess dice: «Noi lo chiamiamo “ The Beast”. E’ un duro e dimostra una comprensione del gioco maggiore di quanto si possa aspettare da un ventenne»- allora significa che siamo sulla strada giusta. Negli Spurs versione 2009/2010, Blair nell’immediato sarà chiamato a dare minuti di qualità uscendo dalla panchina. Nello starting five accanto a Tim Duncan, c’è Mc Dyess e qui non si discute. Ma Popovich è pronto a lasciare sfogherà la bestia: «Volevamo un giocatore che fosse capace di aiutarci a vincere un titolo. Se imparerà a gestire la sua forza sarà un fattore nella lega». Questa è la missione di Blair. Vivere bene, imparare velocemente, e redimere gli scettici. Lo ha fatto al liceo, lo ha fatto al College. Lo farà nella Nba.
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LA RUBRICA
La nuova rubrica di Stars ‘N’ Stripes dedicata agli amanti del gioco manageriale più diffuso al mondo. Seconda tappa: la scelta degli outsider di valore della ‘Western’
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N ICOLÒ F IUMI
Completiamo in questo numero il giro che ci porta a visitare tutte le 30 squadre NBA alla ricerca dei possibili colpi a pochi fantamilioni che possono fare le fortune della vostra squadra. Andiamo, quindi, a fare un viaggio nel Vecchio e Selvaggio West, la Western Conference, da anni riferimento della Lega per il livello di gioco e per le squadre di alto rango che ogni stagione si propongono. Nella Southwest Division, Dallas cercherà ancora una volta di fare strada nella post season e per cercare di raggiungere l’obiettivo si è affidata a un gruppo esperto. Difficile, allora, trovare qualche possibile affare, anche se il consiglio è quello di tenere sempre monitorato Josh Howard, mentre dalle retrovie seguire anche Drew Gooden e i suoi anni di militanza nella Lega e il rookie francese Beaubois, che potrebbe avere un po’ di spazio da subito. Spazio ne avrà, e tanto, a Houston Trevor Ariza, che si potrà definitivamente consacrare dopo il titolo da comprimario, ma neanche troppo, vinto a Los Angeles. La coppia di ex FIBA Luis Scola - David Andersen potrebbe sorprendervi, anche se, mentre il primo è ormai una certezza del roster texano, l’australiano deve dimostrare di non subire troppo l’adattamento alla nuova realtà. A Memphis, intanto, ci si prepara a un’altra stagione mediocre. Pur se il materiale umano a disposizione
non è disprezzabile, è difficile pensare ai Grizzlies con un buon record a fine anno. Meglio affidarsi a qualcuno di rendimento assicurato, come Marc Gasol e Rudy Gay, che a fine anno dovrà firmare un nuovo contratto, quindi ha uno stimolo in più per far bene. A New Orleans si riparte per cancellare il finale di stagione sfortunato dello scorso anno. Ci sono alcuni volti nuovi, e fra questi segnaliamo Darius Songaila, che fornisce 15/20 minuti di quantità dalla panchina, ma chi può davvero fare un salto di qualità è Julian Wright. Gli Hornets avrebbero bisogno di un esterno con gambe fresche e atletico, lui deve dimostrare di essere migliorato ulteriormente dopo le stagioni in chiaro-scuro degli ultimi due anni. Attenzione anche al prodotto locale (viene da LSU) Marcus Thornton, dotato di mano rovente e che in preseason ha viaggiato in doppia cifra abbondante. Andiamo adesso all’ombra dell’Alamo, dove gli Spurs provano l’assalto al titolo, sapendo che il trio delle meraviglie DuncanParker-Ginobili ogni anno che passa è sempre più vicino alla fine della sua fantastica parabola. E allora per questa rincorsa potrebbero venire buone la gambe fresche di George Hill come cambio del francese, e di DeJuan Blair sotto canestro. Quest’ultimo in preseason ha messo assieme statistiche paurose, specie a rimbalzo, in pochi minuti di utilizzo. Da tenere in
Dr ew Good en Fonte foto: http:/ khandorssportsblog.files.wordpress.com
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grande considerazione. Passiamo alla Northwest dove i campioni in carica sono i Denver Nuggets di Carmelo Anthony e Chauncey Billups e che ogni anno riescono a trovare un giocatore pescato dal nulla che rende oltre le aspettative. Potrebbe essere il caso di Arron Afflalo, arrivato nel silenzio totale da Detroit. Partirà in quintetto, visto che JR Smith è ormai il sesto uomo ufficiale, e a poco prezzo potrebbe darvi qualche gioia. Un altro arrivato in punta di piedi è Joey Graham. Idealmente potrebbe andare a prendere il posto che l’anno scorso era di Linas Kleiza. Anche il rookie da North Carolina Ty Lawson è degno di attenzioni. Imparerà il mestiere dietro Chauncey Billups, aspettiamolo al varco verso gennaio/febbraio. Non aspettiamoci invece granchè da Minnesota, che continua a ricostruire, ma sembra ancora abbastanza indietro col lavoro. Meglio andare con una sicurezza come Kevin Love, che non costa come una superstar ma produrrà numeri considerevoli. Se non fosse arrivato Ramon Sessions avremmo anche menzionato Jhonny Flynn, ma a questo punto non ne siamo più tanto sicuri. Un salto ora in Oregon, per tastare il polso dei Blazers che vogliono una stagione solida da parte di Greg Oden. I primi segnali sembrano incoraggianti. Li confermerà? Il sophomore Jerryd Bayless potrebbe sorprendere. E ora i Thunder, che migliorano di anno in anno con i loro giovani di valore. Green è specializzato nel produrre ottime statistiche, ma il suo costo dovrebbe cominciare a crescere dopo l’ultima ottima stagione, quindi, rimanendo
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Eric Gordon G 7
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sugli esterni, fate un pensierino a Thabo Sefolosha. Piccola spesa, ma ha la fiducia dell’ambiente e il talento non gli manca. Come possibile outsider segnaliamo Serge Ibaka. Nelle prima amichevoli gli è stato dato spazio. Deve ancora imparare moltissimo, ma con qualche minuto a disposizione potrebbe iniziare a produrre un po’ di numeri. Infine Utah, dove non abbiamo un dubbio e candidiamo Paul Millsap al ruolo di giocatore da avere. Boozer è stato, sostanzialmente, fatto fuori. Il posto in ala grande è per questa dinamo di energia, che sopperisce alla mancanza di centimetri con un’attività pazzesca. Non deluderà. Rimanendo nel reparto lunghi, attenzione a Kosta Koufos. Quando ha avuto spazio l’anno scorso ha fatto vedere cose discrete. California here we come! Diamo un’occhiata a cosa succede sulla costa più bella del mondo, partendo da Golden State, dove ancora si continua sotto la direzione difficilmente decifrabile di Don Nelson. Anthony Randolph è il primo nome che ci sentiamo di sottolineare. Lo stile prettamente offensivo dei Warriors lo favorirà, e intanto val la pena ricordare che nel finale della scorsa stagione, anche se in partite insignificanti, ha prodotto numeri di tutto rispetto. Brandan Wright è a sua volta interessante, ma si è infortunato e partirà ai box, quindi conviene usare cautela. Anthony Morrow con le sue sfuriate offensive è un altro nome buono per completare il roster. Tanti nomi interessanti anche a Los Angeles sponda Clippers, dai vari Gordon e Al Thornton, che devono affermarsi come pilastri
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Channi ng F rye Pts 14.3
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della squadra, arrivando a DeAndre Jordan, che agirà da cambio del centro, cercando di emergere come il suo talento gli potrebbe permettere. Infine un pensierino per il Barone che comincia la stagione senza problemi fisici. Se riuscite a strapparlo a un prezzo ragionevole si candida a colpaccio del mercato. Più difficile trovare, invece, un buon affare nel roster dei cugini giallo viola. I Lakers, infatti, hanno la loro solida spina dorsale fatta di giocatori forti e affermati, e allora proviamo citando Shannon Brown, sorpresa degli ultimi playoff, e augurandoci che Adam Morrison possa avere un po’ di spazio per tentare di giustificare, almeno un in parte, la sua altissima chiamata al draft. Concludiamo il giro in California analizzando i Sacramento Kings. Situazione altamente instabile, con poche certezze e tanti punti interrogativi. Jason Thompson appartiene alla prima categoria, e valutato il suo prezzo sarà un aggiunta importante. Francisco Gracia il suo fa sempre, come anche Andrès Nocioni, che però ha dimostrato di non tro-
Ty L a w s o n
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Ass 3,1
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varsi benissimo in questa realtà, quindi è forse meglio lasciar perdere. Tyreke Evans è il rookie su cui ci sono tante attese. Sarà in grado di rispettarle? Per finire andiamo nel deserto dell’Arziona, con i Phoenix Suns che continuano la loro rivoluzione. In estate è arrivato Channing Frye, che ai suoi inizi nella Lega sembrava un giocatore che dovesse lasciare il segno, salvo perdersi per strada. Magari è il momento buono per ritrovarla. Attenzione anche al rookie Earl Clark. Capace di fare tante cose sul parquet. Bisogna dargli un po’ di tempo, ma fra qualche mese potrebbe contribuire seriamente. Si conclude così il nostro viaggio nel mondo NBA alla ricerca degli affari di mercato per le vostre Fantasquadre. Siamo ormai a poche ore dalla prima palla a due della stagione e quindi i giochi sono ormai fatti. Noi, comunque, continueremo a darvi consigli anche durante il campionato, perché anche se in sede di fantadraft non si è operato benissimo, c’è sempre il mercato per tentare di riparare. See ya!
P a u l M i l l s a p Fonte foto: http:/ www.bothteamsplayedhard.net
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Y Yo ou u c ca an n’’tt c c m me e
LA RUBRICA
A LESSANDRO
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La nuova rubrica di Stars N Stripes su tutto quello che ruota attorno al mondo e alla pallacanestro a stelle e strisce
PAOLI
KUKOC, SI DÀ ALL’IPPICA? NO AL GOLF! Chi si ricorda ‘The Waiter’? Sicuramente tutti. ‘Il Cameriere’ in questione è il grande Tony Kukoc. Probabilmente uno dei più grandi giocatori europei ad aver calcato i parquet a stelle e strisce; sicuramente uno dei primissimi ad affermarsi ad alti livelli, in un’epoca in cui la NBA cominciava ad aprire, con entusiasmo, le frontiere agli ‘international’. Kukoc, dopo aver dominato in Europa e anche in Italia, dove vinse il tricolore con i verdi trevigiani della ‘Marca’, trionfò anche con la canotta dei Chicago Bulls: membro fondamentale del secondo ‘three-peat’ jordaniano. Ora, all’età di 41 anni, appese al chiodo canotta e scarpe, vuole continuare a ‘servire’ palle; quelle da golf gli piacciono particolarmente: “Il golf è il mio grande amore e il miglior gioco inventato per gli uomini”. Oddio, qualche obiezione ci sarebbe da fare ma, visto che non siamo Perry Mason, lasciamo ai lettori l’arringa
difensiva sul basket e il concetto di ‘I love this game’. La passione del croato, tuttavia, non è limitarsi a scorrazzare sui green di Chicago con compagni illustri quali ‘His Airness’ Michael Jordan e Scottie Pippen, ma è talmente grande da fargli puntare dritto ai Giochi Olimpici del 2016. Eh già caro Tony, ti capiamo perfettamente. Chi non vorrebbe andare in Brasile a ‘respirare’ lo spirito olimpico? Tutti a giocare a golf? Beh, lui si. Kukoc, infatti, si dice fiducioso e ritiene che nel giro dei prossimi anni il suo talento golfistico potrà crescere al punto tale da portarlo alle Olimpiadi a rappresentare la Croazia. Sarebbe la sua quarta partecipazione ai Giochi. A Seoul ‘88 partecipò con la Jugoslavia poi, a seguito della divisione, a Barcelona nel ’92 ed ad Atlanta ’96 con la rappresentativa croata, di basket ovviamente. In bocca al lupo, Tony. Ti auguriamo una fase preolimpica al di sopra del par.
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RODMAN CATTURA UN ALTRO RIMBALZO Le mani del ‘Verme’ sono sempre reattive, proprio come quando vinceva la classifica dei migliori rimbalzisti per 7 stagioni consecutive (dal 91-92 al 97-98). Questa volta, però, le palle vaganti non c’entrano. Dennis Rodman ha ‘catturato’ un’avvenente ragazza in uno dei tanti club notturni di Miami Beach. Le sue mani sembrano siano scivolate proprio in ‘N- zone’ per usare un termine ‘footballistico’.
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Ed ecco arrivare la denuncia. Il rapporto della polizia parla di un Rodman che, avvicinatosi alla donna e, dopo avergli sussurrato qualcosa all’orecchio, sia arrivato al contatto, per così dire falloso. ‘The Worm’ nega tutto e fa sapere, a mezzo del suo agente, che ritiene di essere ancora una volta vittima di qualche donna che intenda strappargli soldi. Dove sarà la verità? Di solito è nel mezzo, ma in questo caso, forse, non è tanto appropriato dirlo.
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I 100 PASSI La tragica storia di Peppino Impastato qui non c’entra. La Nba ha deciso di ‘legalizzare’ il quarto tempo: ”I Giocatori Nba potranno fare due passi prima di arrestarsi, passare o tirare in questa stagione. L’Nba ha scritto una norma che permette ai giocatori in movimento di raccogliere la palla, dopo la presa di essa, e poi fare due passi.
Nel corso della storia dell’Nba, il libro delle regole afferma che i giocatori potevano solo fare un passo”. Tanto per intenderci la classica azione ‘Lebronjamesiana’, il secondo passo dopo aver toccato la palla che, il più delle volte veniva concesso, è ora regolare. Fateglielo sapere a Maggette. Chissà se la celebre azione, rintracciabile su i siti internet, in cui Corey commette ben 6 infrazioni di passi, alla luce della nuova regola, possa essere considerata legale.
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ROBIN BOSH HOOD Ruba ai ricchi per dare ai poveri? Più o meno. La versione moderna di Robin Hood è interpretata da Chris Bosh. La foresta di Sherwood è lo sconfinato mondo di internet. L’ala dei Raptors intendeva aprire un suo personale sito web, peccato che il suo dominio era già stato acquistato da tale Luis Zavala; costui, titolare della Hoopology.com sfruttava il buon nome di Bosh per farsi pubblicità. In realtà, l’obiettivo di mr. Zavala era quello di rivendere gli oltre 800 domini web ai loro, futuri, legittimi titolari. Questa operazione, negli States è vietata ed ecco arrivare la condanna, a seguito di procedimento attivato da Chris Bosh, a pagare lo stesso giocatore la somma di 120 mila dollari come risarcimento dei danni. Zavala non paga e, quindi, il giudice ha deciso di attribuire a Bosh gli 800 domini web.
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A questo punto, vestito di cappellino verde e arco con frecce, degne del celebre eroe popolare, Chris restituirà tutti i domini illegalmente acquistati da Zavala. Saranno contenti i vari Jason Kidd, Deron Williams, Steve Nash, Amare Stoudemire, Hedo Turkoglu, e perfino il presidente dei Raptors; ma anche i figli di Britney Spears e Jennifer Lopez e, infine, il nostro Pietro Aradori che, evidentemente era considerato un ‘prospetto’ da Zavala. Ovviamente Bosh, contestualmente alla restituzione dei domini a coloro che gliene faranno richiesta, prospetterà lo sviluppo del sito attraverso la Max Deal Technologies, compagnia fondata nel giugno 2007 da Bosh e Hadi Teherany che si occupa di consulenze di web design e tecnologie. Perchè va bene Robin Hood, ma anche gli eroi devono mangiare.
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STARBURY ON FIRE Attenzione, non fraintendete. Stephon Marbury, ha deciso di prendersi un anno sabbatico dai campi di basket, quindi, il suo essere ‘on fire’ non è certo riferito a trance agonistiche. Non che le prestazioni degli ultimi tempi avrebbero poi consentito un tale stato; l’espresso di Coney Island è stato più vicino ad essere un interregionale che, appunto un espresso. Starbury si è dedicato, negli ultimi giorni, a sparare a zero su ex compagni ed ex squadre. Se Paul Pierce, ex compagno di squadra a Boston, è stato defi-
nito, via Twitter tanto per cambiare, un doppiogiochista, a tutti i Knicks è andata decisamente peggio. “Perché dovrei dare i miei soldi per vederli giocare? Sono atroci!” e ancora: “Il coaching staff è orribile”. Tronca, poi le speranze dei tifosi di New York in questo modo: "LeBron non va a giocare in un team che deve essere ricostruito daccapo. Perché dovrebbe farlo? Non ha senso". Non riusciranno ad avere il ‘prescelto’, ma i new yorker potranno comunque ascoltare le previsioni e i giudizi del nuovo profeta Marbury.
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T W I T TE R A N D S H OUT C O V E R. In ambito musicale, una cover è un rifacimento di una canzone del passato, solitamente di successo. Se oggi un qualsiasi gruppo musicale intendesse fare una cover della celebre ‘Twist and shout’ dei Beatles, dovrebbe fare i conti con l’evoluzione dei tempi e adattare il titolo ai nuovi, potenti mezzi della tecnologia
moderna. Twitter, sempre lui. Croce e delizia della NBA o meglio dei suoi giocatori. Stern ha deciso di vietarlo. Davvero un peccato. Non potremmo assistere più alle perle di Shaq, ai commenti dei giocatori sui propri coach o compagni di squadra. Il commissioner della Lega ha, infatti, deciso di porre un
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freno alle dichiarazioni dei giocatori rese attraverso il social network più amato dagli americani. La decisone segue la scia dell’altra lega professionistica americana, la NFL che ha vietato a giocatori e addetti ai lavori l'uso dei social network da 90 minuti prima a 90 minuti dopo i match. Ma come, direte voi, ci sono giocatori che navigano in rete nel corso di una partita, divertendosi a lasciare messaggi on line? Beh, non sono tutti come Charlie Villanueva, forse. L’ex ‘cerbiatto’ di Milwakee, ora ai Pistons, anziché fare gruppo con i compagni nel corso dell’intervallo, si divertiva a fare commenti sulla partita e a divulgare le dichiarazioni del coach. Sarà mica questo il motivo della cessione? Caro Charlie, avresti dovuto prendere esempio dai tuoi illustri colleghi. Se Stephon Marbury si era limitato a dare giornalmente, informazioni sul proprio stato di free agency, Iverson, addirittura annunciava ai suoi amici la sua destinazione, Memphis, ben prima che questa fosse ufficializzata dalla franchigia. Principianti, avrà pensato Artest. Il folle Ron ha pubblicato il suo numero di cellulare e, ovviamente, ha dovuto ben presto cambiarlo. In senso opposto TJ Ford che, forse in seguito all’esperienza dell’ala dei Lakers, è stato lui a chiedere i numeri telefonici dei suoi ‘followers’ e chiamarli personal-
Fonte foto: http:/ thebasketballblogger.com
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mente, chissà per dirgli cosa. Ad ogni modo, il divieto imposto da Stern sarà limitato ai 45 minuti antecedenti e successivi alla partita e, dopo aver presenziato alle interviste con i media, come regolamento NBA comanda, i giocatori potranno ritornare al tanto amato Twitter. Tranquilli, dunque. Ci mancheranno i commenti ‘during the game’, ma non perderemo tutto il resto. State attenti, dunque. Potrebbe sempre capitare di leggere di sfide lanciate via web. Come quelle di Shaq e del suo reality ‘Shaq vs.’ o come quella di Duane Summers, rookie di Detroit (occhio alla nuova coppia ‘twitteriana’ che formerà con Villanueva, Stern già trema), che, all’epoca di Georgetown University, ha allegramente sfidato la pornostar Valerie Lux su chi avesse raggiunto per prima la soglia dei 4000 amici sul social network. Beh, meglio questa sfida che altra, vista la contendente. Tuttavia, qualche giocatore estraneo a questi ‘problemi’ c’è. Si tratta di Gilbert Arenas che, in riferimento ad un mediaday da lui saltato, ha dichiarato: «Io non me la sento di parlare più. Voglio solo andare là fuori e giocare. Se non prenderò una multa, non penso che mi vedrete di nuovo, Non ho un blog ne un profilo su Twitter quindi di me saprete molto poco». Magari non lo vedremo su ‘Twit’, ma in conferenza stampa ci sarà. Pesante la multa di $25.000, vero Agent Zero?
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Gli allenatori, i nuovi arrivi, le partenze e l’organico della trenta franchigie del campionato più affascinante del mondo
LA GUIDA
I roster della nuova Nba C OAC H
ATLANTIC DIVISION I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
RIVERS
Point Guard: Rajon Rondo, Eddie House; Shooting Guard: Ray Allen, Marquis Daniels, Tony Allen, J.R. Giddens; Small Forward: Paul Pierce, Bill Walker; Power Forward: Kevin Garnett, Rasheed Wallace, Glen Davis, Brian Scalabrine; Center: Kendrick Perkins, Shelden Williams
FRANK
Point Guard: Devin Harris, Keyon Dooling, Rafer Alston; Shooting Guard: Courtney Lee, Jarvis Hayes, Chris Douglas-Roberts, Terrence Williams; Small Forward: Bobby Simmons, Eduardo Najera, Trenton Hassell; Power Forward: Yi Jianlian, Tony Battie, Sean Williams; Center Brook Lopez, Josh Boone
C OAC H
C OAC H D’ANTONI
C OAC H
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
Point Guard: Chris Duhon, Nate Robinson; Shooting Guard: Wilson Chandler, Toney Douglas, Larry Hughes, Cuttino Mobley; Small Forward: Jared Jeffries, Danilo Gallinari; Power Forward: Al Harrington, Marcus Landry; Center: David Lee, Darko Milicic, Jordan Hill, Eddy Curry
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
JORDAN
Point Guard: Lou Williams, Royal Ivey, Jrue Holiday; Shooting Guard: Andre Iguodala, Willie Green, Small Forward: Thaddeus Young, Jason Kapono, Rodney Carney; Power Forward: Elton Brand, Jason Smith; Center: Samuel Dalembert, Marreese Speights, Primoz Brezec
C OAC H
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
TRIANO
Point Guard: Jose Calderon, Jarrett Jack, Marcus Banks; Shooting Guard: DeMar DeRozan, Marco Belinelli, Quincy Douby, Sonny Weems; Small Forward: Hedo Turkoglu, Antoine Wright, Power Forward; Chris Bosh, Amir Johnson, Reggie Evans; Center: Andrea Bargnani, Rasho Nesterovic, Patrick O'Bryant
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C OAC H
CENTRAL DIVISION I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
DEL NEGRO
Point Guard: Derrick Rose, Kirk Hinrich, Lindsey Hunter; Shooting Guard: John Salmons, Jannero Pargo; Small Forward: Luol Deng, Derrick Byars; Power Forward: Tyrus Thomas, Taj Gibson, James Johnson; Center: Joakim Noah, Brad Miller, Aaron Gray, Jerome James
BROWN
Point Guard: Mo Williams Daniel Gibson; Shooting Guard: Anthony Parker, Delonte West, Coby Karl; Small Forward: LeBron James, Jamario Moon, Daniel Green; Power Forward: Anderson, Varejao, J.J. Hickson, Darnell Jackson, Jawad Williams, Leon Powe; Center: Shaquille O'Neal, Zydrunas Ilgauskas
C OAC H
C OAC H KUESTER
C OAC H
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
Point Guard: Rodney Stuckey, Will Bynum, Chucky Atkins; Shooting Guard: Richard Hamilton, Ben Gordon, Deron Washington, Small Forward: Tayshaun Prince, Jonas Jerebko, Austin Daye, DaJuan Summers, Power Forward: Charlie Villanueva, Chris Wilcox, Jason
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
O’BRIEN
Point Guard: T.J. Ford Earl Watson Travis Diener A.J. Price; Shooting Guard: Dahntay Jones, Brandon Rush, Luther Head; Small Forward: Danny Granger, Mike Dunleavy,; Power Forward: Troy Murphy, Josh McRoberts, Tyler Hansbrough; Center: Jeff Foster, Roy Hibbert, Solomon Jones
C OAC H
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
SKILES
Point Guard: Brandon Jennings, Luke Ridnour, Roko Ukic; Shooting Guard: Michael Redd, Charlie Bell, Jodie Meeks; Small Forward: Luc Richard Mbah a Moute, Carlos Delfino, Ersan Ilyasova, Power Forward: Kurt Thomas, Hakim Warrick, Joe Alexander, Walter Sharpe; Center: Andrew Bogut Dan Gadzuric Francisco Elson
S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S
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C OAC H
SOUTHEAST DIVISION I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
WOODSON
Point Guard: Mike Bibby, Jeff Teague; Shooting Guard: Joe Johnson. Jamal Crawford; Small Forward: Marvin Williams, Maurice Evans; Power Forward: Josh Smith, Joe Smith, Othello Hunter; Center: Al Horford, Zaza Pachulia, Jason Collins, Randolph Morris
BROWN
Point Guard: Raymond Felton, D.J. Augustin; Shooting Guard: Raja Bell, Ronald Murray, Gerald Henderson; Small Forward: Gerald Wallace, Vladimir Radmanovic, Stephen Graham; Power Forward: Boris Diaw, Derrick Brown, Alexis Ajinca; Center: Tyson Chandler, DeSagana Diop, Nazr Mohammed
C OAC H
C OAC H SPOELSTRA
C OAC H
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
Point Guard: Mario Chalmers, Carlos Arroyo, Chris Quinn; Shooting Guard: Dwyane Wade, Daequan Cook, Quentin Richardson; Small Forward: Michael Beasley, James Jones, Yakhouba Diawara, Dorell Wright; Power Forward: Udonis Haslem, Joel Anthony, Shavlik Randolph; Center: Jermaine O'Neal, Jamaal Magloire
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
VAN GUNDY
Point Guard: Jameer Nelson, Jason Williams, Anthony Johnson; Shooting Guard: Vince Carter, Mickael Pietrus, J.J. Redick; Small Forward: Rashard Lewis, Matt Barnes; Power Forward: Brandon Bass, Ryan Anderson; Center: Dwight Howard, Marcin Gortat, Adonal Foyle
C OAC H
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
SAUNDERS
Point Guard: Gilbert Arenas, Randy Foye, Mike James, Javaris Crittenton; Shooting Guard: DeShawn Stevenson, Nick Young; Small Forward: Caron Butler, Mike Miller, Dominic McGuire, Power Forward: Antawn Jamison, Andray Blatche, Paul Davis; Center: Brendan Haywood, JaVale McGee; Fabricio Oberto
S TAR S ‘N’ STR I PES
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C OAC H
SOUTHWEST DIVISION I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
CARLISLE
Point Guard: Jason Kidd, Jose Juan Barea, Rodrigue Beaubois; Shooting Guard: Josh Howard, Jason Terry, Quinton Ross, Matt Carroll, Greg Buckner; Small Forward: Shawn Marion, Shawne Williams; Power Forward: Dirk Nowitzki, Drew Gooden, Tim Thomas, Kris Humphries; Center Erick Dampier
ADELMAN
Point Guard Aaron Brooks Kyle Lowry , Shooting Guard Trevor Ariza Jermaine Taylor Tracy McGrady , Small Forward Shane Battier Chase Budinger , Power Forward Luis Scola Carl Landry Brian Cook Joey Dorsey; Center Chuck Hayes David Andersen Pops Mensah-Bonsu Yao Ming
C OAC H
C OAC H HOLLINS
C O AC H
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
Point Guard: Mike Conley, Allen Iverson, Marcus Williams; Shooting Guard: O.J. Mayo, Marko Jaric, Small Forward: Rudy Gay, DeMarre Carroll, Sam Young, Trey Gilder; Power Forward: Zach Randolph, Darrell Arthur, Steven Hunter; Center: Marc Gasol, Hasheem Thabeet, Hamed Haddadi
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
SCOTT
Point Guard: Chris Paul, Darren Collison, Bobby Brown; Shooting Guard: Morris Peterson, Devin Brown, Marcus Thornton; Small Forward: Julian Wright, Peja Stojakovic, James Posey; Power Forward: David West, Darius Songaila, Ike Diogu, Sean Marks; Center: Emeka Okafor, Hilton Armstrong
C O AC H
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
POPOVIC
Point Guard: Tony Parker George Hill, Shooting Guard: Roger Mason, Manu Ginobili, Keith Bogans, Malik Hairston; Small Forward: Richard Jefferson, Michael Finley; Power Forward: Antonio McDyess, Matt Bonner, DeJuan Blair, Marcus Haislip; Center: Tim Duncan, Theo Ratliff, Ian Mahinmi
STAR S ‘N’ STR I PES
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NORTHWEST DIVISION I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
KARL
Point Guard: Chauncey Billups, Anthony Carter, Ty Lawson; Shooting Guard: J.R. Smith, Arron Afflalo, Small Forward: Carmelo Anthony, Renaldo Balkman, Joey Graham; Power Forward: Kenyon Martin, Malik Allen, Johan Petro, Center Nene Hilario Chris Andersen
RAMBIS
Point Guard: Ramon Sessions, Jonny Flynn, Jason Hart; Shooting Guard; Damien Wilkins, Wayne Ellington, Sasha Pavlovic; Small Forward: Ryan Gomes, Corey Brewer, Power Forward: Kevin Love, Oleksiy Pecherov, Brian Cardinal; Center: Al Jefferson, Ryan Hollins, Mark Blount
C OAC H C OAC H BROOKS
C OAC H
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
Point Guard: Russell Westbrook, Shaun Livingston, Kevin Ollie; Shooting Guard: Thabo Sefolosha, James Harden, Kyle Weaver; Small Forward: Kevin Durant, Ryan Bowen, Power Forward: Jeff Green, Nick Collison, D.J. White, Serge Ibaka; Center: Nenad Krstic, Etan Thomas, B.J. Mullens
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MCMILLAN
Point Guard: Steve Blake, Andre Miller, Jerryd Bayless, Patrick Mills; Shooting Guard: Brandon Roy, Rudy Fernandez, Small Forward: Nicolas Batum, Travis Outlaw, Martell Webster, Power Forward: LaMarcus Aldridge, Juwan Howard, Dante Cunningham, Jeff Pendergraph; Center: Greg Oden, Joel Przybilla
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I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
SLOAN
Point Guard: Deron Williams, Ronnie Price, Eric Maynor; Shooting Guard: Ronnie Brewer, Kyle Korver, Small Forward: Andrei Kirilenko, Wes Matthews, C.J. Miles, Matt Harpring: Power Forward: Carlos Boozer, Paul Millsap; Center: Mehmet Okur, Kosta Koufos, Kyrylo Fesenko
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PACIFIC DIVISION I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
NELSON
Point Guard: Stephen Curry, C.J. Watson, Acie Law, Speedy Claxton; Shooting Guard: Monta Ellis, Anthony Morrow, Kelenna Azubuike, Small Forward: Stephen Jackson, Devean George, Power Forward: Corey Maggette, Anthony Randolph, Mikki Moore, Brandan Wright; Center Andris Biedrins, Ronny Turiaf
DUNLEAVY
Point Guard: Baron Davis, Sebastian Telfair; Shooting Guard: Eric Gordon, Rasual Butler, Mardy Collins; Small Forward: Al Thornton, Ricky Davis, Steve Novak; Power Forward: Blake Griffin Craig Smith, Brian Skinner Center Chris Kaman Marcus Camby DeAndre Jordan
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C OAC H JACKSON
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Point Guard: Derek Fisher, Jordan Farmar; Shooting Guard: Kobe Bryant, Sasha Vujacic, Shannon Brown, Small Forward: Ron Artest, Luke Walton, Adam Morrison; Power Forward: Pau Gasol, Lamar Odom, Josh Powell; Center: Andrew Bynum, D.J. Mbenga
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GENTRY
Point Guard: Steve Nash, Goran Dragic; Shooting Guard: Jason Richardson, Leandro Barbosa; Small Forward: Grant Hill, Jared Dudley, Alando Tucker, Taylor Griffin; Power Forward: Amare Stoudemire, Louis Amundson, Earl Clark, Center: Channing Frye, Robin Lopez
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I L R O S T E R 2 0 0 9 / 2 01 0
WESTPHAL
Point Guard: Tyreke Evans, Beno Udrih, Sergio Rodriguez; Shooting Guard: Kevin Martin, Francisco Garcia, Small Forward: Desmond Mason, Andres Nocioni, Omri Casspi; Power Forward: Jason Thompson, Donte Greene, Sean May, Kenny Thomas; Center: Spencer Hawes, Jon Brockman
S T A RS ‘ N’ S T R IP E S
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Bobby Jackson, cuore da ‘kings’
Uno degli idoli della Arco Arena della Sacramento che diede filo da torcere ai Lakers all’inizio del nuovo millennio, è pronto ad un’altra avventura, ma questa volta dietro una scrivania
NBA NEWS
G UGLIELMO B IFULCO DI
Dopo aver annunciato recentemente il proprio ritiro dai campi da basket, l’ oramai ex guardia dei Sacramento Kings, ex sesto uomo extra lusso degli sfortunati Kings di inizio anni duemila, sembra intenzionato a lavorare per la franchigia della capitale californiana come Ambasciatore e come assistente del presidente Geoff Petrie nel dipartimento di scouting della squadra. «Sono stati giorni duri per me, perché ho appena abbandonato il gioco che amo, ma di contro ho l’opportunità di continuare a collaborare con la squadra nella quale sono cresciuto. Sono impaziente di poter offrire il mio aiuto alla comunità locale e di rendere i Sacramento Kings una squadra migliore». Dopo Vlade Divac e Chris Webber, un altro membro di quella meravigliosa macchina da basket che erano i Kings che solo i Lakers di O’Neal, Bryant, Horry e Phil Jackson hanno saputo fermare, dice addio al parquet.
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Esercitata in anticipo l’opzione per il quarto anno del ‘Gallo’ Pur non essendoci stati scambi significativi, quelli appena trascorsi sono stati comunque giorni importanti sul fronte mercato considerando le questioni sulle stensioni contrattuali o i tagli. I Knicks, ad esempio, hanno deciso di puntare forte su Wilson Chandler e sul nostro Danilo Gallinari, avendo infatti esercitato sul primo la “fourth year option” e sul secondo la third year option”. È chiaro che nella Big Apple aleggia ancora un briciolo di suspence nell’immaginare il roster della stagione che verrà, ma quanto meno il nucleo di giovani attuali dovrebbe rappresentare l’iniziale contorno delle eventuali superstar che approderanno al Madison tra 12 mesi.
I Wizards ancora alle prese con l’infermeria
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Incredibile ma vero..la sfortuna torna ad accanirsi sui Washington Wizards; per fortuna l’elemento in questione non è Gilbert Arenas, bensi l’ala Antawn Jamison, infortunatasi durante un match di preseason; lo stop dovrebbe riguardare all’incirca le prime 10- 15 partite di regular season..per fortuna nulla di eccessivamente grave. In infermieria anche Kevin Love dei Minnesota Timberwolves, appena operato al quarto metacarpo della mano e in attesa di rientrare tra 2 mesi. Infortuni anche per Joe Alexander ( 3-4 mesi) e Adonal Foyle.
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NBA RUMORS
La crisi economica continua a far sentire il suo nome e se ad accorgersene è anche un multimillionario come Cuban, allora la faccenda è seria
Riduzione dei roster all’orizzonte? Stars ‘N’ Stripes ideato da:
Domenico Pezzella
scritto da:
Alessandro delli Paoli Leandra Ricciardi Nicola Argenziano Nicolò Fiumi
La crisi negli Stati Uniti, si sa, è stata avvertita parecchio e anche in quel mondo di milionari che è l’NBA si pensa a ridurre le spese. Sulla falsariga della questione arbitri e del salary cap, anche i proprietari sono scesi in prima linea per cercare di risparmiare qualche dollaro, primo fra questi nientedimeno che il vulcanico multimilionario Mark Cuban, owner dei Dallas Mavericks, che avrebbe dichiarato ad Associated Press: «I tempi sono veramente duri dal punto di vista economico, e mi aspetto che alcune, se non
Domenico Landolfo Stefano Panza Marco Gerbino Guglielmo Bifulco Alessio Caprodossi info, contatti e collaborazioni:
domenicopezzella@hotmail.it
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la maggior parte delle franchigie NBA, possano avere sotto contratto meno di 15 giocatori nel proprio roster». Dichiarazioni che trovano eco, ad esempio, nel management degli Charlotte Bobcats, che, a fronte di cospicue perdite economiche dall’esordio nel 2004 fino ad oggi, ha deciso di portare a 14 il numero di giocatori sotto contratto. Di certo c’è che mancano 2 anni al 2011 , anno in cui si ridiscuterà del contratto collettivo, e se la situazione economica rimane questa nulla esclude la possibilità di un nuovo lockout.
S T A R S ‘ N’ S T R IP E S
NBA RUMORS
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L’ex leader dello show time dei Los Angeles Lakers, non le ha certo mandate a dire all’ex compagno di Dream Team Isiah Thomas più volte citato nel suo libro ‘When the Game was ours’
Le verità di Ervin ‘Magic’ Johnson L’uscita del nuovo libro di Magic Johnson “When the game was ours” rivelerebbe delle agghiaccianti novità riguardo al rapporto tra gli ex compagni di Dream Team Isiah Thomas e lo stesso Magic. Quello che sembrava essere un legame fondato sul rispetto reciproco e, stando ai luoghi comuni NBA, di vera amicizia, si sarebbe infatti incrinato drasticamente durante il periodo in cui Magic scoprì la propria sieropositività. Secondo l’ex stella dei Lakers, infatti, l’ex bad boy avrebbe diffuso all’epoca voci riguardanti l’omosessualità /bisessualità del prodotto di Michigan State. Sorprende veramente molto il fatto che una simile mancanza di rispetto (nulla contro gli omosessuali, ma se amicizia era, di certo non doveva essere Thomas a rivelare questa presunta verità) sia stata messa alla luce dopo quasi 20 anni, a maggior ragione considerando il rapporto sempre idilliaco ostentato dai due, soprattutto durante il periodo (fallimentare a dir poco) in cui Thomas ha guidato i New York Knicks.
Andre Miller verso il ruolo di sesto uomo ai Blazers Che questa sia la prova che i Trail Blazers facciano sul serio? Dopo i Lakers con Lamar Odom, i Celtics con Rasheed Wallace, anche i rappresentanti dell’Oregon hanno deciso di avere un sesto uomo di lusso. In realtà la mossa sarebbe soltanto temporanea e legata ai tempi di rodaggio della point guard ex Sixers nel sistema di McMillan. A confermare questa tesi, nientedimeno che il leader tecnico ed emotivo Brandon Roy che avrebbe rilasciato della dichiarazioni nelle quali affermerebbe di : «Sentirsi più sicuro di giocare accanto a Steve Blake, che al nuovo arrivato, almeno fin quando l’inserimento nel sistema non sarà più che soddisfacente». Di certo si può dire che Portland finalmente ha la possibilità di riaffacciarsi nei quartieri alti della lega dopo la breve e sfortunata parentesi di circa dieci anni or sono.
Larry Hughes verso l’addio ai Knicks Jarron Collins nel mirino dei Suns
Fonte foto: http:/ images.businessweek.com
A pochi giorni dall’inizio della regular season, continuano a girare voci su eventuali partenze, arrivi, tagli ecc. I Knicks sembrano essere seriamente intenzionati a chiudere le porte in faccia all’ex promessa Larry Hughes, che sembrerebbe non digerire affatto il sistema D’Antoni. La Conditio sine qua non dell’affare è legata alla scadenza del contratto dell’eventuale “merce” di scambio per l’ex Sixers: alla finestra ci sarebbero i Cleveland Cavs. I Phoenix Suns, intanto, sono molto interessati a Jarron Collins, centro dei Portland Trail Blazers, che è in attesa di essere tagliato dalla franchigia dell’Oregon (non rientrebbe nella lista dei famosi 15) e che è stato individuato da Kerr come sostituto ideale di Robin Lopez, che dovrebbe essere indisponibile per i prossimi 2 mesi.
Lente di
ingrandimento sulla LegaA
M A DE I N I T A LY
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Il nuovo ‘jedi’ di Ferrara: Luke Jackson MADE IN ITALY -1 IL PERSONAGGIO
Giunto in terra estense in punta di piedi, l’ex Oregon ha il duro compito di far dimenticare l’amato Allan Ray DI
D OMENICO L ANDOLFO Probabilmente il suo arrivo in Italia ha fatto meno scalpore di altri più celebri interpreti della palla a spicchi, ma la nuova stella arrivata a Ferrara è pronta a presentarsi al palcoscenico italiano e a far sentire la sua voglia di riscatto. L'anagrafe cita Luke Ryan Jackson, nato il 6 Novembre 1981 a Eugene, in Oregon, lo stato in cui è cresciuto cestisticamente con la mentalità di chi sa essere duttile e farsi trovare pronto ogni qual volta è chiamato in causa. Le statistiche dei colleghi americani lo descrivono come uno small forward di 201 cm per 98 kg di muscoli, ma inquadrarlo in questi binari potrebbe risultare riduttivo. Un 3 che in difesa può cambiare su chiunque, e che ha mani così dolci da poter essere utilizzato anche nello spot di guardia. A 19 anni diventa uno dei Ducks, nel prestigioso college di Oregon, e fin dal primo anno si impone ai vertici
della Ncaa, e nel suo college, di cui nel 200 viene dichiarato giocatore dell'anno. Per altri tre anni rimane al college, con l'onore nell'anno d'uscita di essere la migliore ala piccola del secondo quintetto ncaa. finchè nell'annata 2004/2005 si propone al grande palcoscenico nba scelto al primo giro con la 10^ chiamata dai Cleveland Cavaliers di Mike Brown che prova a farne un talento coi fiocchi cercando fin da subito da inserirlo nelle sue rotazioni. L'inizio è promettente, il ragazzo è volenteroso, e mostra una attitudine notevole al tiro pesante, nonchè un certo peso in difesa, ma qualche problemino fisico di troppo lo collocano ai marini della squadra, che nella stagione successiva, dopo le prime partite stagionali in cui non si dimostra all'altezza del ruolo di catch and shoot dalla panchina, viene spedito a fare le ossa in NBDL con gli Idaho Stampede dove risulta anche miglior tiratore di 3 punti nel 2007. Altre apparizioni molto risicate in nba con le maglie di Toronto e Clippers prima e di Miami poi, ma nulla da segnalare di grandi note. Ancora in Nbdl viene pescato da Ferrara e in precampionato mostra tutte le sue doti, che se dall'altro lato dell'oceano lo rendevano incompleto, nella pallacanestro d'area Fiba lo propongono ai vertici sicuramente. L'esordio è da stella, 23 punti partita pulita con eccellenti percentuali al tiro, 7 rimbalzi, 4 recuperi e 4 assist, il tutto condito sempre da spettacolarità e da una semplicità che accompagna questo ragazzo, dentro e fuori dal campo. La seconda uscita è stata meno esaltante, ma l'avversario era l'Armani Jeans Milano, e nonostante la sua disciplina tattica, al fotofinish i lombardi l'hanno spuntata. Le sue doti sono innate, l'età no è certo giovanissima, ma il suo talento è nel pieno della maturità. Pagare lo scotto di esser stato troppo acerbo per la nba dopo un college così radioso è un peso grosso da portare, ma il buon Luke ha le armi per poter diventare un pezzo grosso e portare la sua Ferrara in alto. Nel suo bagaglio c'è la forza e l'energia di chi è stato eletto al primo anno tra gli "storici" del suo college e di chi ha dato la vita per la pallacanestro. Saprà ancora far parlare di sè, e chissà che i talent scout americani, che tanto gli occhi buttano sul basket d'area fiba, cercando di importarne i prezzi pregiati al di là dell'oceano, non decidano di strapparcelo nuovamente. Sarebbero molte le squadre che potrebbero aver bisogno della sostanza, della fame di vittorie e dela sete di riscatto di questo ragazzo, che tanto bene sta facendo e che siamo certi sarà uno dei migliori della lega italiana. E riprendendo la celebre frase di guerre stellari, "coraggio Luke, che la forza sia con te!"
M A DE I N IT A LY
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L’Armani cambia ancora volto in ‘passerella’ MADE IN ITALY -2 LA SQUADRA
Il team lombardo accreditato ancora una volta come una delle possibili anti-Siena, è ancora alla ricerca di se stesso DI
N ICOLA A RGENZIANO
Se c’è una squadra su cui tutti gli appassionati, gli addetti ai lavori del mondo della palla a spicchi italiana (ovviamente non dalle parti di Siena…) riversano tutte le sperane, le aspettative per un campionato piu’ avvincente per la stagione 2009/2010, beh quella squadra è l’Armani Jeans Milano. Che la corazzata Montepaschi sia ancora tale non c’è bisogno di ipotizzarlo, vista l’egemonia confermata sul campo (e quindi da un punto di vista squisitamente tecnico) ed anche sul piano societario organizzativo (settore finanziario, squadre giovanili e campagna acquisti estiva). Ma dall’ingresso in scena della famiglia Armani nel progetto Olimpia nella “capitale” meneghina si respira voglia di emulazione verso il “Minucci style”, sperando che il gap si riduca piu’ velocemente di quanto si possa attendere in un (prima o
poi) inevitabile calo fisiologico delle capacità fisiche dei protagonisti del dominio senese. Lo scorso anno Armani investì con una campagna a dir poco consistente sul rilancio delle “scarpette rosse” con un budget di circa 10 milioni di euro, cifra importante con l’obbiettivo (dichiarato) di esser subito protagonisti in Italia e lasciare un buon segno in Eurolega. Come andò a finire lo sanno tutti: finale conquistata non senza qualche sofferenza di troppo sia in stagione regolare, sia nei playoff e con una resa delle armi abbastanza repentina e molle in finale (indovinate contro chi…) e luci ed ombre in Eurolega, dove però il bilancio è stato tutto sommato piu’ convincente di quello nei confini nazionali confrontando le aspettative. Se però lo scorso anno all’ombra del forum di Assago (o del Palalido a dir si voglia…) si faceva con discrezione e con “rispetto” l’uso della parola “anti-Siena”, per il campionato in corso (giunto alla terza giornata) la società ha invece allestito un roster e mostrato a tutti la volontà di voler mettere in mostra inve-
M A D E I N IT A L Y
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subito 3 vittorie consecutive, Milano invece si ritrova con 2 punticini frutto della vittoria (faticata) casalinga contro Ferrara e di due sconfitte sul groppone in trasferta contro due squadre (Varese e Caserta) in teoria inferiori per lunghezza e profondità di roster e ambizioni. Guardandola in ogni riscaldamento e ascoltando i nomi alla presentazione di ogni gara ci sarebbe da stropicciarsi gli occhi, indubbiamente però la chimica è ancora una chimera per un gruppo che ha mostrato si buone capacità muscolari e realizzative dei singoli, ma che al contempo non riesce ancora ad avere la metà dell’istinto del killer, della sicurezza e dell’organizzazione che si richiedono ad un’aspirante al “trono” di campione D’Italia. Il caso Hall (sospeso per una partita dopo strane esternazioni facebookkiane…) ha aggiunto poi lavoro in quello che si può definire un cantiere aperto ancora senza una data precisa di termine dei lavori…Ma se l’arrivo di Mancinelli può “permettere” a questo team di poter sopperire ad una mancanza temporanea di uno dei suoi coloured, il problema Finley è forse ancora sottovalutato da coach, società e addetti ai lavori. Che il giocatore portato in Italia dalla ormai defunta (?) Rieti abbia doti tecniche e balistiche visibili a tutti non vi sono dubbi, anzi proprio alla corte di Mc yintire lo scorso anno il Ronaldino (si consenta il paragone per la capigliatura…) della Milano sponda cestistica ha potuto affinare ancor di piu’ le proprie capacità realizzative e difensive. Ma il playmaking come tutti sanno è un arte splendida e al contempo difficile, specialmente se hai da far girare una squadra composta di eccezionali individualità (tutto sommato omogenee) messe insieme da poco piu’ di 2 mesi. Finley ha confermato leadership quando c’è bisogno di segnare e prendersi tiri, ma al contempo ha sofferto maledettamente in situazioni in cui la gestione (specialmente in trasferta) si faceva decisiva. A Varese Childress lo ha portato a scuola (del resto il Professore “varesino” la sa lunga in materia…), contro Ferrara ha segnato canestri pesanti nel contesto di una partita però vinta con troppa sofferenza, a Caserta dopo due quarti di grande livello ha disputato i restanti 30 minuti (over time included) tra fiammate offensive di alta classe e palle perse a ripetizione inconcepibili e inattese che hanno aiutato non poco la Pepsi a prendere in mano l’inerzia del match, insomma il talentuoso play dell’Olimpia non ha ancora dimostrato di esser quel giocatore che a certi livelli in quel ruolo ti garantisce letture di gioco qualitative ed errori ridotti al minimo uniti a grandi doti realizzative. Altro “progetto” in via di sviluppo è Acker, giocatore meno fisico e potente di Hawkins, ma piu’ tiratore e versatile in certi contesti di gioco. Certo sostituire l’impatto del falco ora in forza ai rivali di Siena non è impresa facile e lo si sapeva, anche qui però ci si aspetta sicuramente qualcosa in piu’ da un giocatore di talento certificato anche dalle sue presenze oltreoceano che a Caserta però si è fermato ad un 4/11 velleitario, venendo meno anch’egli quando il gioco si faceva duro. E’ forse proprio caratterialmente che l’Armani ha il compito meno agevole da attuare: creare una mentalità vincente. Come sarebbe ora la situazione se Mordente non avesse avuto il braccino a 40” dalla fine in quel di Castel Morrone consegnando una speranza (concretizzata poi nei supplementari) di sopravvivenza alla Pepsi? Come sarebbe la situazione se Maciulis non avesse ciccato un paio di tiri piedi a terra nel momento della piena rimonta e del sorpasso ce l’onere del titolo di antagonista numero uno dei biancoverdi casertano del terzo quarto? Come sarebbe la classifica milanese toscani. con due punti in piu’ in questo preciso momento della stagione se Dopo aver rilasciato Vitali, fatto partire Sow, Price e Hawkins al Coach (riconfermato) Luca Bucchi sono stati messi a disposizione non si fosse concesso a Di Bella il lusso di andare in campo aperto elementi di assoluto valore in aggiunta allo zoccolo duro del team. in meno di 4 secondi nell’azione che poi ha dato a Michelori i liberi del supplementare? Di certo non staremmo qui a dire che tutti i Gli arrivi di Morris Finley, Petravicius, Maciulis, Mancinelli e problemi tecnici siano risolti, ma è altrettanto vero che completare Acker aggiunti a Rocca, Bulleri, Hall, Mordente e Beard (con l’agi lavori a meno due e non a meno 4 da Siena con in piu’ una vittogiunta dell’esordiente Viggiano) fanno di Milano una squadra che non può piu’ nascondersi dietro a dichiarazioni di rito, bensì di un ria in trasferta su uno dei due campi (non facili di certo) sino ad ora visitati avrebbe un peso specifico non indifferente su una squateam che punta apertamente al vertice massimo della classifica e di una stagione di livello (top 16 con qualche speranzella in piu’) in dra che sotto sotto teme di rivivere i “fantasmi” di un campionato con troppi alti e bassi poco utili alla costruzione di un gruppo che Euroleague. Ma dalla teoria alla pratica si sia non sempre il tutto viene rispettato e l’inizio in campionato fa apparire l’Armani come davvero possa presentarsi al rush finale con la convinzione e i mezzi psicofisici necessari a non arrendersi immediatamente come una macchina da un motore di 200 cavalli ancora però in fase di accadde l’anno passato. L’Armani jeans resta insomma sulla carta rodaggio. Se Siena infatti ha ricominciato da dove aveva finito la vera Anti-Siena, ma tra il dire il fare sino ad oggi anche a (umiliando tecnicamente e tatticamente gli avversari) piazzando Milano c’è stato di mezzo il mare…..
Il prossimo numero in pillole: On The Road: Ta p p a a Milwaukee nel Wisconsin A spasso nel tempo: Muggsy Bogues Il Coach: Jerry Sloan