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il periodico online per gli amanti della palla a spicchi d’oltre oceano
FOCUS - I Denver Nuggets
IL CASO - Il ritorno di Delonte West
IL COACH: Il ‘sempiterno’ Jerry Sloan
‘Tu vuo’ fa
ITALIANS DO IT BETTER - La rubrica
l’americano’
All’interno SOPHOMORE
Russell Westbrook HOT SPOT
L’ago della bilancia dei Boston Celtics: Rajon Rondo MADE IN ITALY
YOU CAN’T C ME
La rubrica irriverente di SNS
Il panamense della Scavolini ROOKIE TIME Pesaro, Michael Hicks, La ‘combo’ dei Thunders: Harden OCCHI PUNTATI SU.. e la Martos Napoli Western Conference
ON THE ROAD
La città dell’Harley Davidson e dei Bucks: Milwaukee
‘Face to Face’ L’intervista all’Avvocato Federico Buffa
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‘Squadra che vince non si cambia’... Sarà vero?.... FOCUS
DI
N ICOLÒ F IUMI
Squadra che vince, non si cambia. E da questo basilare, quanto non sempre scontato, principio sono ripartiti i Denver Nuggets. Reduci da una delle migliori stagioni nella loro storia, culminata con l’arrivo alla Finale della Western Conference, dopo cinque delusioni consecutive al primo turno, le Pepite hanno deciso di continuare a battere la strada che li ha portati ad essere uno dei top team di questa NBA. La stagione 2008/2009, infatti, cambiò volto in maniera drastica dopo appena tre partite, quando venne posta la parola fine sull’avventura di Allen Iverson in Colorado, schiudendo invece le porte al
ritorno del figliol prodigo, Chauncey Billups. E, come direbbe qualcuno, da lì in poi, le cose non sarebbero mai più state come prima. Incredibile come il solo innesto di un giocatore abbia potuto cambiare i destini di una società che sembrava confinata in un pericoloso limbo. Tutta la squadra beneficiò dell’ordine e nel contempo della sicurezza che l’ex Bad Boy trasmetteva in campo ai colleghi. Ne conseguì la stagione con il massimo di vittorie nella storia della franchigia, il titolo divisionale e la Finale di Conference sopracitata, dove i poi futuri campioni, Los Angeles Lakers, passarono alcuni momenti di
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Fonte foto: http:/ cdn0.sbnation.com vero terrore, contro una squadra che stava letteralmente volando sulle ali dell’entusiasmo, salvo riuscire a vincere la serie grazie alle magate di Kobe e alle triple di Ariza. L’estate, poi, ha portato poche novità e tante conferme tra le Montagne Rocciose. Se da un lato non è stato possibile trattenere il sorprendente Danthay Jones, free agent andato ai Pacers, e il Lituano Linas Kleiza, vinto dagli euro dell’Olympiakos, dall’altro il nucleo portante della squadra non ha subito modifiche. Carmelo Anthony ha passato l’estate a lavorare per mettere a frutto le
grandi prestazioni dei playoffs ed elevarsi definitivamente allo status di superstar. Senza intoppi extra cestistici a rallentarne il cammino, vedi incidenti stradali, video galeotti su internet, buste di sostanze stupefacenti e chi più ne ha più ne metta, e appuntamenti cestistici internazionali, l’Anthony che si è presentato al via del training camp è stato, a detta di tutti, il migliore di sempre. E l’inizio di stagione lo dimostra in pieno. Giocatore della settimana in apertura, 37.7 punti di media dopo tre partite, con due gare sopra i 40 punti, Nuggets ancora imbattuti dopo
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5 incontri, unici nella Lega assieme ai Celtics. La sensazione che si ha è che Melo stia riuscendo ad assommare finalmente la convinzione nei propri mezzi all’infinito talento di cui dispone. Il tiro, adesso, è pungente sia dalla media distanza con i possessi in post medio, che da dietro l’arco. Ma contemporaneamente l’ex Syracuse sa sfruttare a dovere anche un primo passo difficile da contenere. E la forza per finire in traffico nei pressi del canestro non gli manca di certo, così come la visione di gioco per sfruttare i raddoppi e servire assist al bacio ai suoi compagni. In tutto questo si sono visti anche sensibili miglioramenti nella metà campo difensiva, sia sull’uomo che in aiuto. Un quadro al momento perfetto, anche se siamo veramente solo all’alba della stagione, ma che fa sperare molto bene George Karl. Anche perché come detto, attorno gli altri pilastri sono ben saldi. Billups assicura come sempre regia e punti. Ordine in campo e ritmi gestiti con intelligenza sono ordinaria amministrazione. All’occorrenza può essere l’uomo che segna da solo un parziale, come è stato a Portland nella seconda partita stagionale, nella quale in un momento di grande difficoltà dell’attacco si è messo in proprio è ha segnato una decina di punti che hanno impedito a Denver di affondare, ma il suo primo obiettivo è sempre quello di mettere in ritmo i suoi compagni. Come Kenyon Martin e Nenè, i due lunghi che fanno la guardia al pitturato. Sorretti finalmente da una condizione fisica decente, i due sono riusciti a giocare una stagione intera assieme, e i risultati arrivati sono in buona parte anche merito loro. Soprattutto per il lavoro difensivo che fanno, prima ancora che offensivo. Martin, se in salute, è uno dei migliori difensori tra i lunghi NBA, sulla palla, così come lontano da essa. Dotato di una cattiveria agonistica rara da riscontra-
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re in altri giocatori e di un atletismo sì offuscato dai problemi fisici, ma che ancora gli permette di andare tranquillamente sopra i ferri, e non di poco, l’ex dei New Jersey Nets è un’altra delle certezze di Karl. Spesso lo si vede fare a sportellate con il suo diretto avversario, quasi sempre uscendone vincitore. E quando questo avviene contro giocatori giovani e ancora inesperti si può anche assistere a scene grottesche, come accaduto nella partita di Indianapolis, dove Martin, in difesa in post basso su Roy Hibbert, ha concesso a questo l’appoggio per giocare spalle a canestro, salvo negarlo improvvisamente, compiendo quel gesto che in gergo si dice “togliere la sedia” all’attaccante. Con la conseguenza che il povero Hibbert si è ritrovato gambe all’aria, con i Nuggets in contropiede. Per finire Martin sa farsi decisamente rispettare anche in attacco. Non solo a rimbalzo offensivo, ma anche con il tiro dalla media, piatto e bruttino da vedere, ma affinato e sempre più efficace, con il raggio di tiro che si sta estendendo sporadicamente anche oltre l’arco. A lui si integra perfettamente il brasiliano d’ebano, Nenè. Lui pure tormentato da ogni tipo di infortunio, tra cui ricordiamo giusto la rottura dei legamenti di un ginocchio e un tumore a un testicolo, per tutto l’anno scorso ha goduto di ottima salute. E ha prodotto numeri di grande valore. La stazza e i movimenti, d’altronde, sono quelli di un giocatore di valore assoluto. Nei pressi del canestro è sempre una minaccia sia offensiva, dove sfrutta atletismo ma anche mani morbide con movimenti di buon livello, che difensiva, dove spesso arriva a stoppare gli avversari, e comunque impone il proprio ingombro fisico a centro area. Anche lui senza disdegnare un buon tiro dalla media.
LE STATISTICHE DI CARMELO ANTHONY Last 3 Games | Complete Game Log Rebounds DATE OPP RESULT MIN FG 3P FT STL BLK TO PF OFF DEF TOT AST 11/1 Mem W 133-123 36 15-26 1-3 11-12 2 0 1 4 2 5 7 5 11/3 @Ind W 111-93 29 6-17 2-4 11-14 2 1 2 0 3 2 5 3 11/4 @Njn W 122-94 32 8-24 2-4 4-5 2 0 2 2 1 3 4 1 11/6 @Mia L 96-88 37 12-22 0-2 6-10 1 0 5 3 2 6 8 2 11/7 @Atl L 125-100 39 7-21 1-3 15-18 3 0 0 3 2 4 6 2 Numbers for Last 5 Games MIN FG 3P FT STL BLK TO PF OFF DEF TOT AST PTS 34.6 48-110 6-16 47-59 2.0 0.2 2.0 2.4 2.0 4.0 6.0 2.6 29.8
PTS
42 25 22 30 30
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Sulle ali di ‘Birdman’
Dalla panchina arriva poi Chris Andersen, confer- ma in tutta la NBA, è una specie di assicurazione matissimo dopo l’exploit della stagione passata. Il sulla vita per il coach dei Nuggets. Se c’è bisogno di “Birdman”, ormai uomo di culto non solo a Denver energia, basta mandarlo in campo e lui, con una
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stoppata o un volo a canestro, cambia l’inerzia delle partite. E finora non si è visto il tiratore folle JR Smith, appiedato per 7 partite da David Stern come punizione per l’incidente stradale di due anni fa, dal lui causato e che portò alla morte di un suo amico che era in macchina con lui. In compenso, chi si è visto, e non ci si sarebbe atteso di vedere, almeno non così presto, è il rookie Tywon Lawson. Perché se è vero che tutti i Nuggets sono partiti alla grande, è altrettanto innegabile che quel quid in più finora, è stato proprio il play da UNC, e per questo molto ben visto da George Karl. La sensazione era che il ragazzo avrebbe avuto bisogno di un po’ di tempo per affinare il proprio gioco e approcciarsi al meglio al nuovo mondo che lo attendeva, potendolo comunque fare con calma, dietro a un guru come Billups e un
veterano del calibro di Anthony Carter, uomo di fiducia di Karl che parte in quintetto stante l’assenza di Smith. E invece ha esordito con 17 punti e 6 assist contro Utah, segnando quasi da solo il parziale che ha spaccato la partita. Poi ha continuato, a referto sempre in doppia cifra, con high di 23 punti in casa dei Nets, ma soprattutto stando in campo col piglio del veterano, coinvolgendo i compagni come se fosse a Denver da sempre e, in sostanza, non facendo sentire per nulla l’assenza di Billups, guadagnando ampissimi minutaggi. Ora, pensare che Lawson possa avere questo rendimento per tutta la stagione sembra un po’ troppo ottimistico, anche perché tra poco tornerà JR Smith e quindi i minuti di qualcuno dovranno necessariamente scendere, ma se anche riuscisse solo a mantenere livelli di gioco vicini a
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TEAM
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NORTHWEST DIVISION
DENVER PORTLAND OKLAHOMA CITY UTAH MINNESOTA
W L PCT GB CONF DIV HOME ROAD L10 STREAK
5 4 3 2 1
2 0.714 0.0 3-0 3 0.571 1.0 4-2 3 0.500 1.5 1-3 4 0.333 2.5 2-4 6 0.143 4.0 0-3
2-0 2-1 0-1 0-1 0-1
2-0 3-2 2-2 2-2 1-3
3-2 1-1 1-1 0-2 0-3
5-2 4-3 3-3 2-4 1-6
L2 W2 W1 L1 L6
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quelli mostrati finora allora per i Nuggets potrebbero esserci orizzonti inattesi. A maggior ragione se legati al rendimento del cambio degli esterni, Arron Afflalo, arrivato in silenzio da Detroit in estate. Da lui la dirigenza si aspetta un contributo simile a quello che l’anno scorso forniva Datnhay Jones, anche se l’ex UCLA è meno fisico, ma dispone di maggior classe. Finora è andato a sprazzi, ma nelle ultime 3 partite ha segnato parecchio, rafforzando ulteriormente una “second unit” che al momento è uno dei maggiori punti di forza per questa squadra. Ovviamente non ci sono solo luci in Colorado. Il problema più grande sembra essere anche quello palesa-
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to lo scorso anno, ossia l’incapacità di prendere il comando di una partita con la difesa. I Nuggets hanno un attacco spumeggiante, ma se questo si inceppa, nonostante i progressi, ancora non si possono fidare abbastanza della propria difesa per essere tranquilli di portare comunque a casa la partita. E il passo che li separa da essere veramente una contender per il titolo, invece che una semplice outsider. Ma, come già detto, è ancora molto e molte cose devono succedere. Davanti a Melo e soci c’è una lunga strada, in fondo alla quale c’è il titolo NBA. E i Denver Nuggets, adesso, sembrano crederci sul serio.
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LA SITUAZIONE SALRIALE DEL TEAM DEL COLORADO NO.
NAME
6 Arron Afflalo 30 Malik Allen 11 C.Andersen 15 C.Anthony 32 R.Balkman 1 C.Billups 25 A.Carter 14 Joey Graham 31 Nene Hilario 3 Ty Lawson 4 Kenyon Martin 27 Johan Petro 5 J.R. Smith
POS AGE SG PF FC SF PF PG PG SG C PG PF C SG
24 31 31 25 25 33 34 27 27 22 31 23 24
HT
WT
COLLEGE
2009 - 2010 SALARY
6-5 215 UCLA 6-10 255 Villanova 6-10 228 Blinn College 6-8 230 Syracuse 6-8 208 South Carolina 6-3 202 Colorado 6-2 195 Hawaii 6-7 225 Oklahoma State 6-11 250 5-11 195 North Carolina 6-9 240 Cincinnati 7-0 247 6-6 220 Coach: George Karl
$1,086,240 $1,300,000 $3,650,000 $15,779,912 $2,112,417 $12,100,000 $825,497 $825,497 $10,520,000 $1,438,680 $15,852,511 $825,497 $6,171,426
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IL CASO
Il ritorno del ‘figliuol prodigo’? DI
D OMENICO OMENICO P EZZELLA EZZELLA
Tredici ottobre 2009. «Oggi è stato qui in palestra insieme agli altri, l’ho allenato e tutto è andato come doveva andare. Domani sarà di nuovo qui e potremo ricominciare tutto da capo. Non sono qui per giudicare o fare
delle morali, ma solo per allenare ed è quello che faccio. Come si inserirà? Beh non credo che ci saranno grossi problemi dal momento che dallo scorso anno e dal vecchio modo di giocare abbiamo davvero cambiato poco e niente. Abbiamo solo messo delle aggiunte offensive e difensive, ma di sicuro non saranno un problema per
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Delonte. E’ un ragazzo intelligente e che capisce la pallacanestro come pochi, non ci metterà molto a mettere a posto le cose e ritagliarsi il suo spazio in squadra». Per una volta o meglio il tredici di ottobre, le parole Cleveland Cavaliers, Mike Brown e Delonte West sono state inserite nello stesso discorso e nello stesso contesto senza dover parlare solo ed esclusivamente (perché poi nessuno dimentica e la domanda sul futuro e sul come abbiano visto questa situazione alla fine è arrivata e come ndr) di quelli che è accaduto quella sera di settembre, che per i pochi che non lo sapessero il giocatore ex Boston e ormai stella dei Cavs come condottiero di Lebron, è stato fermato nel Maryland mentre sfrecciava su di una moto. Al normale controllo degli agenti locali, il playmaker del team dell’Ohio è stato trovato in possesso, oltre della dichiarata pistola, ma anche di altre armi tra cui fucili e coltelli. Da quella sera una sorta di Tsunami, quello caduto addosso al giocatore, che ovviamente non ha spiaccicato parola, e sulla squadra che ha dovuto far fronte ad una perdita principalmente dal punto di vista tecnico e poi dal punto di vista umano. Giorni terribili, giorni difficili anche dal punto di vista psicologico, una specie di perdono da parte della società e della squadra, prima che lo stesso West decidesse di aggiungere benzina sul fuoco non presentandosi al training camp e lasciando gli allenamenti poco tardi. Ancora una volta l’operazione è stata delicata. Il pericolo della sanzione più che forte dal punto di vista giudiziario era un fardello che avrebbe avuto l’effetto di un anestetico per cavalli per il cervello di chiunque e quello di Delonte non ne è certo stato immune. Ma ancora una volta come nella parabola biblica il padre (i Cavs) hanno accettato a braccia aperte
Fonte foto: http:/ 10thlife.com il figliuol prodigo, quello che si è ripresentato alla porta del padre pentito di quello che aveva fatto. Certo Cleveland non poteva certo preparargli il banchetto migliore o quant’altro viene raccontato nella parabola religiosa, dal momento che fino a quel momento avevano dovuto fare a meno di lui oltre che non era rispettoso nei confronti di chi si era presentato puntuale ad ogni appuntamento del training camp, ma quanto meno le porte della Quiken Loans Arena e quella dello spogliatoio della squadra sono tornate ad essere aperte. Tant’è vero che da quel 13 di ottobre West si è allenato, ha fatto quello che doveva fare, e dal tipoff della stagione è stato pronto per essere richiamato in panchina con la squadra pronto a giocare quei scampoli di partita che coach Brown gli regalava come si fa con un tossicodipendente con il metadone nelle cliniche di cura. La cura per il ‘rosso’ del basket a stelle e strisce era ed è il basket
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giocato. Scendere in campo dimenticando per 48’ che fuori c’è sempre quella spada di Damocle che lo aspetta e che è pronta a colpirlo al momento della sentenza definitiva del giudizio nei suoi confronti. La prima dose della cura è arrivata il 30 di ottobre nella sfida contro i Minnesota dei Cavaliers dove West era in panchina e c’è restato per tutto il tempo a guardare i compagni di squadra. Un piccolo passo necessario per arrivare ai quasi 20 minuti di media nelle successive quattro partite iniziati nella maniera migliore e cioè con 13 punti contro Charlotte e conclusi con gli altrettanti venti abbondanti nell’ultima sfida contro i Knicks con 3 punti e 4 assist. Sempre dalla panchina, sempre a partita in corsa, ma poco importa avrebbe detto qualcuno, visto che almeno i Cavs stanno per recuperare un giocatore importante per la squadra. «E qui casca l’asino», avrebbe detto il grande principe Antonio De Curtis in arte Totò. Già perché prima di farsi infervorare da facili entusiasmi, a calmare tutti c’è sempre la spada di Damocle di cui sopra che negli ultimi giorni o meglio nei primi giorni di novembre si è fatta sempre più pesante e ad un passo dal cadere sulla testa del natio di Washington. Washington e Maryland che è anche lo Stato del luogo del delitto. Un luogo che se da un lato è stato la delizia (il fatto è avvenuto a pochi chilometri dalla distretto della Columbia dove si è già nella città di Washington e quindi le pene per i detentori di armi sono molto più rigide, visto che si è nello stato della residenza della Casa Bianca ndr) dall’altra è stata la croce del giocatore che si è ritrovato di fronte un forte sostenitore della lotta contro le armi: il procuratore distrettuale Glenn Ivey. Vista la gravità della situazione, però, più che una croce sembra essere davvero un macigno quello sulle spalle di West, visto che la richiesta presentata dallo stesso Ivey, per una situazione che è ancora alla fase iniziale dove tra l’altro
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si cerca anche di arrivare ad una sorta di patteggiamento, è quella di tre anni per ogni capo d’accuso mosso nei confronti del giocatori. Attualmente sono sei i capi mossi nei confronti di West e quindi se la matematica non è un opinione dovrebbero essere 18 gli anni di carcere che l’ex Celtics rischierebbe a sentenza piena. Certo pensare di arrivare ad una condanna piena e 18 anni di carcere è se non esclusa, ma una pista molto labile, ma non quella della galera. Infatti anche in caso di accordo tra le parti processuali 365 giorni sono il minimo che West dovrebbe per forza di cosa trascorrere dietro le sbarre. Si parte, quindi, da un minimo di un anno; minimo dal quale lo stesso Ivey non transige se non si vuole finire in aula giù a gennaio per il classico processo davanti ad un giudice e forse anche una giuria. Insomma una situazione dove i ritrovati minuti di campo non riescono certo a consolare del tutto ne dal lato del playmaker di Washington ne dal lato della formazione dell’Ohio che si trova cosi sospesa tra l’incudine ed il martello. Tra l’altro cosi come è successo immediatamente dopo la sventura del 17 settembre, la società e tutti non hanno voluto proferire parola in merito ne del fatto ne della situazione tecnica, cosi è adesso con tutto l’entourage dei Cavaliers a fare fronte unito con le uniche parole pronunciate da Mike Brown che cosi ha recitato: «Spero che le cose per Delonte si risolvano presto e nel migliore dei modi, noi non possiamo far altro che essergli vicino». E del sostegno degli amici, della squadra, della società e di chiunque altro lo stesso West ne ha e ne avrà davvero bisogno. La ‘Dea Bendata’ sembra avergli girato ancora una volta le spalle dopo i problemi psicologici che sembrava aver rimossi negli ultimi anni e che di sicuro si riaffacceranno alla finestra se e quando tutto andrà per il verso sbagliato, con il suo nome che finirà di diritto tra quelli talentuosi e ‘dannati’ di questa Lega.
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L’INTERVISTA DI
D OMENICO P EZZELLA L'UOMO FEDERICO BUFFA Perché hai scelto di seguire il basket? «Una vera e propria malattia che mi è stata infusa negli anni 70, quando più o meno avevo 12-13 anni e quando a Milano c’era un giocatore americano, tale Jura, che mi ha fatto capire che questo era uno sport ed un amore diverso dagli altri». Un aggettivo per descriverti? «Curioso». L’evento storico più importante dal tuo punto di vista... «Una bella domanda. Il giovane Federico ha guardato e vissuto con attenzione tutti quelli che erano gli eventi storici di rilevante importanza sempre del periodo introno agli anni 60’-70’. Eventi come la guerra nel Vietnam, il colpo di Stato in Cile sul quale ricordo facevamo tante assemblee senza però avere effettivamente la reale percezione di quella che era la realtà, oppure la marcia di un milioni di persone a Washington e potare andare avanti. Nel corso della mia vita, poi, sono stato in ognuno di questi posti per cercare di capire realmente e toccare con mano quello che era successo. Sono stato in Vietnam, sono stato in Cile al palazzo di Allende, sono stato ovviamente a Washington ed anche a Bucarest durante e dopo il periodo di Ceaucescu, quindi ho cercato di vivere con mano quelli che erano gli eventi importanti del Federico ‘giovane’» Un film che ha segnato la tua vita? «Nashville un film che mi ha dato una percezione diversa degli Stati Uniti». La colonna sonora della tua vita? «Dipende sempre dal periodo di vista di cui parliamo. Se facciamo riferimento al periodo della gioventù, beh allora ero un rocchettaro che ascoltava tra gli altri Frank Zappa, oggi invece ascolto molta più hip hop». Quante lingue parli? «Bene italiano e inglese, dignitosamente lo spagnolo e francese e sto imparando il giapponese». Io sono casertano, dimmi la prima parola che ti viene in mente… «La frase del film di Totò: Antonio Sapone capitale morale d’Italia. Andando oltre da Virgilio Bernardi alla famiglia Piccolo, insomma una città che ho visitato e che devo essere sincero dove si respira una bella atmosfera». Come te la cavi con il casertano? «Credo di capire meglio il giapponese. Mi ricordo una volta che ero a cena in una pizzeria a Casertavecchia e c’era un gruppo di ragazzi che parlavano li tra di loro ed in quel momento ho realizzato che capivo meglio l’inglese». Ti piace il basket del 2009? «Non tutto, ha perso pochino di naturalezza». Sei avvocato, ti sei laureato con 110 e lode, l’esame che hai ripetuto più volte… «Uno solo perché non accettai un 24 in diritto privato». La materia preferita… «Diritto anglosassone. Una materia che mi ha sempre affascinato specialmente dal punto di vista del diritto. Da giovane anche se non avvocato lavoravo già nell’ambito della contrattualistica e durante quel periodo stilai anche il primo contratto secondo le regole giuridiche del Common Law sotto la guida del professor Zeccardi». C’è un professore che ancora senti? «Sentire no, vedere nemmeno perché ho sempre paura di ritrovare le persone del mio passato troppo invecchiate, ma mi piacerebbe un giorno rincontrare il professore di cui sopra». L’atleta in generale preferito.. «Oggi come oggi Husain Bolt, Payton Manning e Kakà. Quando ero piccolo Mark Spitz nuotatore, Edwin Moses 400 ostacoli e poi una passione storica per Savicevic». Milan o Inter? «Milan un amore che accompagna dall’adolescenza».
‘Face to face’ Faccia a Faccia con l’Avvocato più famoso d e l l a p a l l a a s p i c ch i
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« Il
basket? Una malattia nata con l’Olimpia e Chuck Jura
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« Le
finale di Salt Lake City e la vitto ria 4-0 del Milan con la Steaua due eventi epocali
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« Tranquillo? L’uomo più lucido che abbia mai conosciuto »
F eder i c o Bu ffa . . .
ATSIVRETNI’L
L’evento sportivo indimenticabile... «Dal punto di vista del basket le finali di Salt Lake City di Michael Jordan vissute dal vivo come commentatore insieme a Flavio, come tifoso la vittoria Milan Steaua Bucarest finita 4-0». Di te si dice: ‘studia sociologia alla Summer Session di UCLA’ ce lo spieghi in parole povere? «E’ il regalo che mi fece mio padre dopo la maturità classica. Regalo che consisteva in un corso di due mesi a Los Angeles all’università di UCLA. Mi ricordo che non è che avessi tantissima voglia di studiare da piccolo, ma non era poi cosi difficile parlare di Cicerone in una terra che forse nemmeno sanno chi è, e mi ricordo che c’era una bionda che mi guardava alle mie risposte e poi nulla più». Domanda numero 17, sei scaramantico? «Eeee…Una sorta di mix tra un cinese ed un napoletano». Gli U2 cantano ‘take ur pride’, può essere il motto della vita di Federico Buffa? «Non sono un tipo particolarmente orgoglioso, nel senso che non faccio dell’orglio la mia filosofia di vita, il viaggiare si che è la mia filosofia e motto di vita». FEDERICO BUFFA E IL BASKET Il tuo primo ricordo della palla a spicchi? «Mi sembra di averlo scritto anche in un libro, quando mio padre, grandissimo appassionato, riuscì a convincere mia madre a mettere la pelliccia per andare a vedere una partita dell’Olimpia Milano degli anni sessanta guidata da un giocatore stupefacente come Bill Bradley». L a pr i m a c o s a c h e t i d i s se r o q u a n do d i c e s t i c he t i p i a c e v a i l basket? «Che cosa aveva in più che il calcio non avesse». La gioia più grande che ti ha dato il basket? «La rimonta nell’allora poule finale contro Cantù e partita vinta per 95-94 con quattro punti in fila in pochissimi secondi di Chuck Jura. Al suono della sirena mi ricordo che invasi il campo e la sera poi alla domenica sportiva mi rividi che ero li in campo a saltellare». La persona più importante che ti ha regalato il basket? «Beh primo fra tutti credo Flavio, ma non solo. Per esempio Tarcisio Vaghi che è un allenatore che ha avuto anche una piccola esperienza in LegaA e che ora non sta tanto bene». C’hai mai rimorchiato qualche ragazza con il basket? «In teoria no, sostanzialmente potrebbe anche essere». Che posto e che ruolo occupa il basket italiano nella tua vita? «Attualmente quello italiano abbastanza modesto, lo vedo poco lo ascolto meno». Com’eri da agente? «Uno che amava troppo il gioco e che quindi non ha avuto una carriera lunghissima». Il giocatore più difficile da gestire? «La sorella di Dennis Rodman. Una giocatrice straordinaria ma come tutti i componenti della famiglia Rodman poteva avere delle disfunzionalità, mettiamola cosi. Tra l’altro mi ricordo di averla rivista qualche anno fa con stivaloni lunghi fino al ginocchio che gestiva l’azienda di scavatrici del fratello, lascio solo immaginare che tipo era». C’è mai stato un momento di ‘tensione’ quando eri agente? «Tantissimi, brutto mestiere e poco adatto a me per il tipo di persona che sono». Un minuto per spiegarci perché adesso sei dietro una scrivania e non più su di un campo da basket a trattare con i giocatori? «Appunto perché era poco adatto per uno che amava ed ama smisuratamente il gioco». ‘I love this game’, cosa rappresenta per te questa frase? «La pura e semplice verità per spiegare quella che è una malattia. Un qualcosa che si può capire solo quando si incontra gente come
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« Il
mio cliente
più strano?
La sorella di
DennisRodman
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Larry Brown che in mezzo ad una qualsiasi conversazione o momento se ha delle intuizioni è li che disegna uno schema o una mossa per il campo». Perché se il gioco del basket è uno e le regole ‘dovrebbero’ essere uguali da per tutto, quello americano è cosi diverso da quello Italiano ed Europeo in generale? «Perché loro lo hanno inventato e lo usano secondo quelli che sono stati i loro principi». Quanto contano i soldi in questo sport? «Come in un qualsiasi altro mondo: tantissimo». FEDERICO BUFFA ED IL GIORNALISMO Ti ricordi il primo articolo che hai scritto? «Bensissimo. Tornato proprio da quel corso di sociologia in America mi presentai ad Aldo Giordani e gli chiesi se potevo scrivere un articolo per Superbasket, dove raccontavo proprio quell’esperienza che avevo vissuto a UCLA». Black Jesus 1 e 2, l’essenza di questi due capolavori… «Prima di tutto non si trattano di capolavori, meglio specificare. E poi tra le persone che ho conosciuto nella mia vita e che hanno esercitato su di me una grande influenza, c’è sicuramente Franco Bolelli che tra le altre cose è un appassionato di basket e mi disse che si poteva fare una raccolta. Un periodo che ricordo con immenso piacere ed emozione ovvero il periodo in cui andavo a New York noleggiavo una macchina, la portavo indietro a New York dopo tanto tempo e dopo aver girato l’America dormendo nei motel e guardando dalle 2 alle 3 partite di basket al giorno in posti in cui eri anche l’unico bianco nel giro di qualche miglia». Un minuto di tempo per spiegarci come e quando ti è venuta l’idea
di fare questo lavoro? «Posso dire che è lui che ha scelto me. Una classica situazione di sliding doors. In un periodo in cui avevo deciso di fare l’avvocato, ma in maniera differente ricevetti la chiamata di Bassani per tele+, cosi come di sliding doors si trattano le opportunità datemi da Aldo Giordano o Guido Bagatta». 1981, vieni sostituito da Flavio Tranquillo come radiocronista delle partite dell’Olimpia, è li che nasce il legame con The Voice? «Assolutamente si. Una storia praticamente inedita visto che se non sbaglio non l’avevo mai raccontata. In quel periodo un giovane Flavio mi si presentò dicendomi: “Sei Federico Buffa? Posso tenerti le statistiche mentre fai la radiocronaca?” E io ovviamente dissi di si perché era davvero difficile fare entrambe le cose. Qualche tempo dopo in una partita di Pesaro a Milano nel dopo partita i colleghi di Pesaro chiamarono quello a fianco a me per un’intervista. Mi ricordo che Flavio diede una spiegazione tecnica e una chiave di lettura che nessuno aveva dato lasciando un po’ tutti a bocca aperta. Quando poi io dovetti andare negli States qualche tempo dopo, dissi ovviamente alla radio che quel giovanotto avrebbe avuto le carte in tavola per sostituirmi, come al solito dissi senza impegno ma sono sicuro che vi troverete bene. Quando tornai dal mio viaggio la radio mi disse no guarda non abbiamo più bisogno il ragazzo va bene, e da li nacque una delle prime telecronache a due ma a ruoli inversi io da prima voce e lui da seconda». Il tuo ricordo più bello dell’esperienza radiofonica? «La mia prima finale. Milano-Cantù per la Coppa dei Campioni». Il tuo ricordo del debutto televisivo… «Campionato italiano al Pala Lido con Guido Bagatta tra Irge Desio e Allibert Livorno. Per Tv Capodistria la finale Ncaa con UNLV ed Nba Los Angeles-Phoenix nel ‘97». Sport americani: perché? «Perché gli States sono stati tra il 1978 e il 2009 un luogo molto importante nella mia vita. Prima ci andavo anche 4-5 volte all’anno. Una sorta di malattia terminale con la costa Ovest che ha avuto un’influenza non indifferente sul mio modo di essere. Ora ho ridotto notevolmente i viaggi ad uno, ma mentre mi formavo l’Amrica ha avuto un’importanza assoluta». Quanto è cambiato l’ambiente del giornalismo televisivo? «Beh quando ho iniziato io la tv si stava formando se vogliamo metterla cosi. Si cominciava a crescere, ma lo scritto era sempre quello che dominava». Piccolo step back al 1991: Pala Lottomatica per la sfida tra Virtus Roma e Phonola Caserta vinta dai romani da un tiro allo scadere da metà campo di Ragazzi con Bagatta che corre a festeggiare per il campo. Eravate in diretta in tv. Dicci la prima cosa che ti venne in mente… «Di restare lucido. Si vede in qualche video che c’è in giro per la rete che c’è un momento di sosta e poi riprendo a parlare, ecco quel momento di sosta era dove pensavo di rimanere lucido». T e l e c r o ni s t a S k y , s c r i t t o re , a v v o c a t o , u n t e m po agente…….sei ricco? «Ricco proprio no, ma mi ritengo una persona fortunata che ora a 50 anni vive una vita molto qualitativa». Cinque parole per descrivere Alessandro Mamoli… «Molto ricettivo, appassionato, in crescita, ambizioso e generoso». Cinque per Flavio Tranquillo… «Non entro nel merito professionale altrimenti sarebbe inutile ma: l’uomo più lucido che abbia conosciuto». Come sono visti i giornalisti ‘stranieri’ negli States? «Con sospetto e con divertimento. Mi ricordo che durante una telecronaca delle finale il canale americano avrebbe ‘switchato’ sulle altre emittenti per far sentire la voce dei paesi presenti e noi pensammo che fosse stata una cosa epocale. Poi però abbiamo imparato che se riesci a farti apprezzare o imparano ad apprezzarti sanno riconoscere il talento altrui. Flavio per esempio ha acquisito una credibilità tale da ricevere telefonate dall’altra parte del mondo per consigli su quella che è la loro pallacanestro».
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« Trovare il modo per vivere a Los Angeles è il mio
sogno americano
primi anni di viaggi ci vorrebbero dei libri o delle ore, ma mi limito a citare il taiwanese di UCLA, fino ad arrivare a colui che rivedrò la settimana prossima e che ha inciso molto nella mia vita ovvero R.C. Buford general manager dei San Antonio Spurs». Un aneddoto sul signor Goldstein? «Quando sono stato a casa sua e sono rimasto ammaliato dal nastro rotante delle sue cravatte». La cosa più imbarazzante che ti è capitato in America… «A Chicago mentre ero in metropolitana. Il treno stava per partire e io mi buttai letteralmente giù dallo stesso perché pensavo che un tizio volesse uccidermi. Nel tuffo dal treno urtai la testa vicino ad una panchina e per far finta di niente presi un giornale e feci finta di leggere. Solo con l’aiuto di un passante, che tra l’altro mi aveva visto volare dal treno, mi accorsi che il giornale era al contrario». Il giocatore più dominante in questo momento della Nba? «Si resta sempre con gli stessi numeri 23 e 24. Lebron sembrava che avesse messo la freccia, ma Kobe è sempre li». La squadra più forte? «Oggi e per questa stagione Boston». Bargnani, Belinelli e Gallinari chi può fare meglio da qui a 5 anni? «Il Gallo senza ombra di dubbio». Chi senti di più? «Sentire proprio no, quando li vedo li saluto». Per chi fai il tifo? «Per tutti e tre». Quale la squadra che non sopporti? «Nessuna. Il legame con questa lega è troppo forte». Kobe o Lebron? «Impossibile dato che ho una passione per entrambi, ma se dovessi proprio scegliere perché la mia vita dipendesse da un tiro resto ancora con Kobe, ma l’altro è un qualcosa che non si è mai visto in questo pianeta». Isiah Thomas/Jordan? «Michael Jordan senza nemmeno cominciare». Kareem/Shaq? «Shaq». Bird/Magic? «In quel periodo Magic dal momento che non potevi fare altro nel vedere come lasciava andare la palla, ma distanza di tempo nel riguardare le partite ed i video ti accorgi che Larry Bird era davvero un portento». Celtics o Lakers? «Quando ero piccolo Lakers». Detroit/Chicago «Chicago perché ci sono stati in diversi momenti della mia vita». NCAA o Nba? «Dipende dai momenti dell’anno» Il ‘sogno americano’ di Federico Buffa… «Qualche tempo fa avrei risposto sicuramente vivere a San Francisco, forse oggi trovare un pretesto per vivere a Los Angeles».
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Com’è vivere di basket e poi fare l’opinionista a Studio Milan su Milan Channel.. «Beh non c’è tanta differenza perché sono due ‘materie’ che hanno sempre accompagnato la mia vita. Se mi avessero detto che un giorno mi avrebbero pagato per parlare di Milan o di basket, o se addirittura avrebbero detto a mia madre Giulia, che mi avrebbero pagato per parlare del Milan lei avrebbe sicuramente risposto: “Glielo auguro”, ma non ci avrebbe creduto». Conduzione della ‘La partita tattica’ dove spiegavi ai tifosi rossoneri i temi tattici e l’andamento delle partite del Milan, c’è uno sport di cui non sei un esperto? «Certamente, ma ripeto si tratta di parlare di due aspetti e di sport che amo tantissimo». Dove ti vedi da qui a….facciamo 5 anni.. «Se potessi scegliere direi sicuramente mentre vivo in oriente». FEDERICO BUFFA E GLI STATES Il primo impatto con l’America? «Volo da Amsterdam verso New York in ritardo. A New York persi la coincidenza per partire vero LA e rimasi tutta una notte, quella tra l’altro della morte di Papa Paolo VI, al JFK in compagnia di un gruppo di suonatori di bongo africani. Arrivato a Los Angeles, invece, quella del tassista che mi portò a UCLA senza prendere la San Diego Freeway, ma portandomi a Los Angeles per i viali della città. Una cosa che tra l’altro almeno una volta mi diverto a fare quando sono da quelle parti». Cinque parole massimo per spiegarci la tua visione degli States? «Un posto dove si sviluppano amori ed odi, ma principalmente amori in questo caso, che ti accompagnano per tutta la vita». Cinque per spiegarci la filosofia di vita di chi lo vive il basket negli States… «Un gioco che non poteva meglio esprimere la filosofia di vita di una società basata sul ‘totale’ ma che al momento giusto sa dare libertà di espressione al singolo, cosi è il basket». A ruota libera su almeno una persone che hai incontrato nei tuoi viaggi… «Beh se ripenso a tutte le volte che ho rischiato la vita nei miei
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‘T u tt i i nume ri de l Mago ’ LA RUBRICA
DI
D OMENICO P EZZELLA
Aggressivo. Questa la novità dell’attuale versione del Mago romano trapiantato a Toronto ormai da tre stagioni. Aggressività nel giocare palloni, aggressività nell’attaccare l’avversario quando è più lento e statico. Aggressività nel cercare di portarsi a casa un qualcosa che nella Nba è praticamente sacrosanto: il rispetto della classe arbitrale. Un rispetto che arriva solo ed esclusivamente mostrando ai ‘refree’ che il tuo status è quello di stella, quello di giocatore di alto livello e non si semplice comparsa. Dodici i viaggi in lunetta per ‘The Magician’ che non sono certo pochi, viste le sole tre partite, al momento di scrivere, che l’ex Benetton ha disputato. Dodici viaggi dalla ‘charity line’ di cui 6 solo nella sfida inaugurale della stagione dei Raptors contro i Cleveland Cavaliers. Sei liberi, tra l’altro tutti e sei mandati a bersaglio, che hanno messo in evidenza un particolare molto importante: Andrea legge e come quello che la difesa gli mette davanti. Partenza in palleggio per alternare il suo tiro mortifero dalla distanza quando si è ritrovato di fronte Shaq che ha dovuto anche seguirlo fino a 5 metri. Ma anche qualche piccolo movimento in post basso tanto per varare ancora una volta il suo gioco e non renderlo monodimensionale o semplicemente basato sul tiro da fuori e qualche partenza con la mano destra. A dire il vero i piccoli movimenti dalle tacche possono essere la vera arma tattica di Bargnani che in questo modo potrà ampliare la propria pericolosità vicino e lontano da canestro. Movimenti sui cui ha lavorato tutta l’estate e durante tutti questi tre anni nella franchigia canadese. Movimenti che devono giustificare la sua presenza nel ruolo di centro e quindi d’area colorata, nonostante la sua caratteristica più importante è quella di essere praticamente una guardia nel corpo di un lungo. Ma movimenti a parte Bargnani ha dimostrato in tre partite di riuscire a tenere alta la concentrazione anche in difesa in determinanti punti della partita. Certo in alcuni momenti questa sua ‘nuova’ aggressi-
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vità è ancora non vista con favore da parte della classe arbitrale commettendo qualche fallo di troppo, ma almeno il volume della radio del romano inizia ad alzarsi anche nella propria metà campo. In questi anni quello che è emerso dal punto di vista dei lati negativi o se vogliamo quelli da limare per arrivare ad essere una stella in maniera definitiva di questa Lega, non erano certo i mezzi atletici, tattici o il livello di talento, ma il modo di concepire la partita e di scegliere quelli che generalmente sono i momenti in cui dare determinante cose per vincere la partita. Scelta dei possessi importanti, quelli in cui una vera stella riesce sempre a dare il suo apporto anche se in precedenza ha per un attimo latita. Insomma centellinare il proprio talento nel momenti essenziali pur essendo sempre presente in campo. Un qualcosa del genere lo si è visto nella sfida vinta contro i Cavs e in quella persa contro i Magic. Certo non siamo ancora alla perfezione o al punto di aver trovato quello che si cercava, ma almeno qualche risultati da questo punto di vista nelle prime uscite lo si è visto e come. Tra l’altro non poteva essere altrimenti dopo lo spazio libe-
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ratogli in campo dalla dirigenza per garantirgli quel posto in quintetto che tanto aspettava per dimostrare in maniera continuativa il proprio talento, e quello salariale dopo la firma dei 50 milioni di dollari. Un doppio colpo che ha regalato a Toronto un Bargnani, più rilassato, più convinto, più determinato e più aggressivo rispetto ai primi anni. Insomma quello che si era ammirato nella seconda parte della scorsa stagione dopo il pacco ‘regalo’ che spedì Jermaine O’Neal in Florida al fianco di Dwayne Wade. Sono 22 i punti di media (che comprendono anche quelli infilati contro i pistons con il massimo in termini di rimbalzi a quota 10) del romano dopo le prime tre uscite di cui 27 di media contro le squadre dell’Est e 12 contro quelle dell’ovest rappresentati al momento solo dai Memphis Grizzlies. Due vittorie e due sconfitte, però, il bottino di una squadra che da l’impressione di essere ancora alla ricerca della vera identità di squadra in termini di valori assoluti. Ricerca che per il momento non riguarda Bargnani che insieme a Bosh è tra i migliore della franchigia canadese.
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LE STATISTICHE DI ANDREA BARGNANI
Last 3 Games | DATE OPP 10/28 Cle 10/30 @Mem 11/1 Orl
Complete Game Log RESULT MIN FG 3P FT STL BLK W 101-91 30 11-15 2-3 4-4 1 1 L 115-107 36 4-12 2-5 2-2 0 0 L 125-116 32 8-12 4-5 6-6 0 1
11/4 Det W 110-99 39 8-16 2-6 4-5 1 2 Numbers for Last 4 Games
TO 3 3 2
PF 5 6 4
Rebounds OFF DEF TOT AST 0 5 5 1 4 2 6 2 0 4 4 0
2 3 2 10 12 2
MIN FG 3P FT STL BLK TO PF OFF DEF TOT AST PTS 34.3 31-55 10-19 16-17 0.5 1.0 2.5 4.5 1.5 5.3 6.8 1.3 22.0
PTS 28 12 26
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‘Il canto del Gallo’ LA RUBRICA
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DI
D OMENICO P EZZELLA
Per certi versi era il più atteso, ancor di più della prima vera stagione da protagonista di Andrea Bargnani. Il grande rammarico per il basket tricolore sbarcato al di la dell’oceano e molto probabilmente il grande rammarico anche di quello azzurro inteso come colore della Nazionale. Passo indietro. Ventotto giugno del 2008, Madison Square Garden. David Stern pronuncia il nome di ‘Danilo Gallinari from Olimpia Milano’ come sesta scelta assoluta dei New York Knicks. Il talento di Sa Giovanni Lodigiani si alza dal tavolo dove era seduto con papà Vittorio e percorre il breve tratto verso il palco con dietro cenni non proprio di approvazione, tanto per essere buoni, di alcuni tifosi proprio dei Knicks. Addirittura volò anche qualche fischio, ma di sicuro qualcuno spiegò a Gallinari che era cosa più che normale aspettarsi un qualcosa del genere in quella che è la patria più controversa del basket a stelle e strisce. Nessun problema. Il milanese ci mette poco in tutti i sensi a conquistarsi un piccolo posticino nei cuori di tutti. Il problema alla schiena però non gli da tregua ed allora tutto fu rimandato. Scampoli di partite alle spalle, operazione riuscita alle spalle, riabilitazione perfetta alle spalle, dolore inesistente e il giocatore che ha fatto letteralmente innamorare Donnie Walsh ha potuto dimostrare il perché quei fischi erano stati ingenerosi. In altri sport, il calcio magari, dopo un gol spettacolare si può anche vedere il giocatore correre verso la curva e fare l’eloquente gesto di stare in silenzio, ma Gallinari sapeva che non era certo questo il modo per ingraziarsi il pubblico del Madison. A dire il vero c’è un solo modo per quel tipo di cose: farli divertire, farli esaltare e dimostrare che con quella palla a spicchi aranzcvione ci si sa fare e anche molto. La pre-season lascia il tempo che trova, ma una volta terminato il countdown verso la nuova stagione tutti hanno dovuto fare dietro front. Ventidue punti all’esordio stagionale nella serata dedicata a Tim Hardaway in quel di Miami. Ventidue punti uscendo dalla panchina si, ma con tanta di quella sostanza e una mano incandescente dalla distanza (7/13 da tre) che anche se a distanza sono arrivati i primi timidi applausi. Gli stessi che sono arrivati ancora una volta a distanza quando i Knicks di D’Antoni hanno perso all’over time contro
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i padroni di casa degli Charlotte Bobcats dopo che l’ultimo tiro di Gallinari allo scadere dei regolamentari ha fatto le bizze sul ferro ed è uscito al suono della sirena. Sarebbe stato il primo vero momento di gloria del giocatore milanese. Ma il tutto è stato solo rimandato. Tutto rimandato a quella che era la prova del nove, quella davanti ai ‘fanatici’ del Madison. D’Antoni addirittura gli regala il quintetto base al posto di Al Harrington spostato nel ruolo di sesto uomo. La risposta? 30 punti, otto triple a bersaglio e una naturalezza (cosi come spiegato nell’approfondimento del ‘partitone’) nell’essere parte integrante o anche importante dell’attacco del coach ex Benetton che ha destato più che la semplice approvazione del MSG. Eroe al pari di Harrington che ne mette 42, eroe per quello che fa vedere in campo, per tenacia e per spavalderia che sono gli ingredienti che tanto amano i newyorkesi che con i tipi ‘tosti’ vanno a nozze. Peccato che poi nell’over time le energie e non siano andate di pari passo con la mente e alla fine i Sixers e Thaddeus Young (che di sicuro la prossima volta si ricorderà bene dal lasciare anche un centimetro all’ex Olimpia da dietro l’arco ndr) portano a casa il successo. L’eco dei 30 punti e dello show balistico dalla lunga distanza? L’onore di una marcatura speciale ordinata da Byron Scott che
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gli ha piazzato un segugio alle calcagna per evitare che il ‘Gallo’ potesse esplodere da tre. Ma il motivo per cui Gallinari è nella Nba non è certo solo quello di avere punti nelle mani. Merito anche della sua intelligenza cestistica che lo porta ad andare oltre quello che la difesa gli vuole impedire. Senza il tiro da tre Danilo attacca il canestro, attacca l’avversario diretto scaricando per gli avversari e trovando tiri puliti sugli esterni mettendo in tasca anche 5 assist per la prima vittoria dei Knicks dopo tre sconfitte in fila. I nove punti, dunque, dicono davvero poco, ma a volte lo si sa le statistiche mentono e come sul talento e sull’impatto di un giocatore durante tutto il match. Lo stesso che si è visto nell’unica apparizione di quest’anno di Lebron al Medison dove l’ex Milano è sembrato essere ancora una volta l’unico giocatore di basket, intermini di approccio e determinazione (17 punti e 4/8 da tre), cosi come stesso discorso va fatto per la sfida esterna e la sesta sconfitta stagionale in casa dei Bucks (15 punti, 3/3 da tre e 2 rubate) Il ‘canto del Gallo’ è arrivato anche con nove punti all’attivo che uniti alle altre prestazioni fanno 16 abbondanti di media per quello che è di sicuro l’acquisto migliore di questa stagione, e non solo, dei Knicks.
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LE STATISTICHE DI DANILO GALLINARI Last 3 Games | Complete Game Log Rebounds DATE OPP RESULT MIN FG 3P FT STL BLK TO PF OFF DEF TOT AST PTS 10/28 @Mia L 115-93 28 7-14 7-13 1-2 0 0 0 1 3 3 6 0 22 10/30 @Cha L 102-100 23 6-11 3-7 1-2 1 1 3 5 0 5 5 1 16 10/31 Phi L 141-127 42 9-22 8-16 4-4 0 1 1 3 2 1 3 3 30 11/2 Nor W 117-111 37 2-9 1-6 4-4 2 1 1 2 0 2 2 5 9 11/4 Ind L 101-89 30 5-13 1-5 0-0 0 0 2 3 1 2 3 1 11 11/6 Cle L 100-91 32 5-10 4-8 3-3 1 1 2 1 0 2 2 1 17 11/7 @Mil L 102-87 30 5-7 3-3 2-2 2 0 3 3 0 2 2 2 15 MIN FG 3P FT STL BLK TO PF OFF DEF TOT AST PTS 34.2 26-61 17-38 13-13 1.0 0.6 1.8 2.4 0.6 1.8 2.4 2.4 16.4
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‘Lo Stallone Italia no’ LA RUBRICA
DI
D OMENICO P EZZELLA
Al momento il talento di San Giovanni in Persiceto ha solo incassato. Un qualcosa, che per chi conosce la saga del pugile italo-americano che è tanto amata negli States interpretato da Silvester Stallone a cui lo stesso Belinelli viene più e più volte paragonato in termini di somiglianza facciale, non è assolutamente di grande preoccupazione. Nella saga di Rocky Balboa sono stati tanti i pugni incassati dal pugile di Philadelphia prima di mostrare il suo talento, prima di sferrare il destro micidiale e portarsi verso la corona mondiale dei pesi massimi. Certo nel suo arrivo a Toronto dopo tre anni ai Golden State Warriors di Don Nelson, in tanti si sarebbero aspettati un qualcosa in più (che non è arrivato certo per demerito dell’ex capitano della Fortitudo ndr) ed invece…Ed invece l’inizio della nuova avventura in Canada, non ha ancora fruttato quelle che erano le speranze e le aspettative dei tifosi, ma forse anche del diretto interessato. Giocare di più e con maggiori responsabilità partendo magari con palla in mano cosa che lo rende particolarmente pericoloso in attacco. Tra l’altro la presenza di Bargnani in squadra e di un rookie come primo avversario diretto lo avevano proiettato verso un qualcosa che al momento non si è ancora realizzato. Scelte di Triano che forse ancora non si fida dell’italiano, dal momento che dalla sua il tecnico anch’egli canadese, ha dei giocatori come Turkoglu, Jarret Jack o anche il sorprendente Antoine Wright? Possibile ma in un certo senso inspiegabile. Meno inspiegabili dal punto di vista della società che invece ha esercitato in anticipo l’opzione sul suo contratto che quindi sarà garantito anche nella stagione 2010/2011 a dimostrazione che cosi come fatto per Bargnani, la fiducia nei confronti del basket italiano e dell’ex fortitudino c’è e non è certo nascosta dietro un dito.
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STAR S ‘N’ STR I PES
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Ora tocca solo al campo dare la risposta definitiva. E dire che quella nella sfida del 28 di ottobre scorso sarebbe anche bastata come anticipo su quelli che sono i mezzi e le capacità del bolognese, ma a quanto pare i dieci punti, la concentrazione in difesa (sfondamento preso contro i Cavs dopo nemmeno qualche secondo dal suo ingresso in campo), capacità di far girare la palla,di essere a disposizione dei compagni e della squadra, ma poi prendendosi anche delle soddisfazioni personali come per esempio quella della schiacciata nel cuore della difesa dei Cavaliers partendo dal palleggio e sfruttando il blocco in post alto di un compagno spiana dogli la strada verso l’anello, non sono bastati per una maggiore fiducia contro i Memphis Grizzlies (19 i minuti nella gara inaugurale contro i Cavs con tutto il quarto periodo in panchina, mentre sono stati 14 con sette punti quelli contro il team del Tennesee ndr) ancor di più nella sfida contro gli ultimi campioni della Eastern Conference, gli Orlando Magic, dove Belinelli ha visto il campo per soli 4 giri di lancette. A questo punto il
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motivo può essere uno soltanto: la difesa. Un concetto che diciamoci la verità ‘Beli’ potrebbe aver disimparato nei due anni a Golden State all’interno di un sistema che non è certo basato su questo fondamentale, tanto per usare un eufemismo. Difesa specialmente nei confronti di formazioni che possono contare su guardie più alte, più atletiche dello stesso Belinelli come per esempio il pacchetto esterni degli Orlando Magic. Il tutto dimostrato nei 13’ in cui Beli è stato in campo contro i Detroit Pistons in cui il nuovo compagno non solo di nazionale di Bargnani, ha collezionato 8 punti. Molto probabile che sarà solo questione di tempo, ma per il momento lo Stallone Italiano deve ancora trovare il punto debole nella difesa a due mani di Triano per trovare maggiore spazio e fiducia e allora da quel momento si che la sfuriata dello Stallone Italiano potrebbe essere importante per l’approdo alla post season dei Raptors che rapportati alla saga di cui sopra, significherebbero titolo mondiale.
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LE STATISTICHE DI MARCO BELINELLI
Last 3 Games | DATE OPP
Complete Game Log Rebounds RESULT MIN FG 3P FT STL BLK TO PF OFF DEF TOT AST PTS
10/28 Cle W 101-91 10/30 @Mem L 115-107 11/1 Orl L 125-116 11/4 Det W 110-99 Numbers for Last 4 Games MIN FG 13.0 9-21
19 14 5 14
4-8 2-4 0-1 3-8
1-2 1-2 1-2 2-3 0-0 0-0 1 -5 1-2
0 2 0 1
0 0 0 1
0 1 1 1
0 1 0 1
0 0 0 0
1 0 1 0
1 0 1 0
1 1 0 1
10 7 0 8
3P FT STL BLK TO PF OFF DEF TOT AST PTS 3-9 4-7 0.8 0.3 0.8 0.5 0.0 0.5 0.5 0.8 6.3
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Show offen sivo al Madison IL PARTITONE
DI
D OMENICO P EZZELLA
Duecentosessantotto punti. Questo il totale, la somma tra il punteggio dei Knicks e quello dei Sixers per il primo grande vero show balistico e offensivo della stagione. Uno show dove ovviamente c’è l’ zampino di Gallinari, dove ovviamente ci sono i 30 punti dell’ex Olimpia Milano che si permette il lusso di sparare sulla faccia dei vari Thaddeus Young e Jason Kapono ben otto triple di cui un paio addirittura da otto metri. L’ultima in termini temporali quella che portato New York ad un solo possesso di distanza e ha permesso di arrivare al supplementare, dopo ave sbagliato quella della vittoria nella sfida contro gli Charlotte Bobcats. FOCUS ON THE COURT. Danilo Gallinari. Ovviamente si parte dal ‘Gallo’, ovviamente si parte da quello che è il centro di interesse maggiore di una squadra che attende
TEAM STAT COMPARISON
PHILADELPHIA @ NEW YORK
FG 51-84 (.607) 3P 3- 8 ( . 375) FT 36-42 (.857) REB. 11-49 ASSISTS 19 TURNOVERS 1 6 STEALS 7 BLOCKS 3 FASTBREAK P. 2 1 FOULS 26 (0/0) LARGEST LEAD 23
47-99 (.475) 14-40 (.350) 19-24 (.792) 11- 31 27 13 9 5 8 33 (1/0) 3
Sotto anche di 23 punti i newyorkesi sfoderano un quarto periodo di altissimo livello per poi crollare nell’over time in difesa contro Phila. Career-high per il Gallo a quota 30
NY KNICKS
P l a ye r
p ts f g m
1 2 0 - 1 47
3 f gm r bs
D.GALLINARI 30 9/22 8/16 J.JEFFRIES 0 0/3 0/1 D.LEE 9 3/6 0/0 W.CHANDLER 11 5/13 1/5 C.DUHON 7 3/9 1/4 A .HA RRINGTON 42 1 6 /2 3 1 /5 L.HUGHES 18 7/11 1/4 N.ROBINSON 8 3/11 2/6 D.MILICIC 2 1/2 0/0 DNP T.DOUGLAS DNP J.HILL DNP M.LANDRY
3 1 5 6 3 6 5 0 2
a ss
3 1 1 4 6 2 6 4 0
solo ed esclusivamente la prossima estate (ci sono addirittura siti internet che hanno attivato un vero e proprio countdown ndr) dopo la stagione sfortunata da Rookie. Per il giocatore ‘tricolore’ è un gioco da ragazzi dimenticarsi dei 22 punti della gara contro gli Heat, dei 16 con tripla sbagliata contro i Bobcats per la vittoria, sfoderando quella che è la prestazione che più lo mette in mostra come giocatore completo. Agli occhi saltano immediatamente i 30 punti, le otto triple sparate come se non avesse fatto altro per tutta la vita fino a quel momento anche da fermo dopo un paio di finte, sugli scarichi, guardando in faccia l’avversario e sfidandolo con gli occhi e a rimorchio in transizione come un veterano di tante sfide, ma quello che forse il career-high del figlio di Vittorio è la presenza che il ‘Gallo’ ha mostrato su entrambi i lati del campo. Nessuna remora in attacco, ma nessuna remora in difesa dove l’accoppiamento a più riprese con Thaddeus Young ha dato delle indicazioni fondamentali: la schiena regge e il fisico gli permette anche ‘bump’ di giocatori alla pari o comunque un tantino più forti fisicamente. Lo spot girato per la tv via satellite più famose in Italia, parla chiaro: «Voglio vivere una stagione da protagonista e fino in fondo». Per il momento la
P l a y er
P H I L AD E LP H I A pts
E. BRAND 16 T. YOUNG 25 DALEMBERT 5 A. I GUODALA 32 L. WI LLIAMS 27 R. I VEY 4 M.SPEI GHTS 20 J.KAPONO 6 R. CARNEY 0 W.GREEN 6 J. HOLI DAY J.SMITH
fgm
3 f g m r b s a ss
7/13 0/0 9/ 14 0/0 1/ 1 0/0 12/ 21 2/3 10/ 12 0/ 0 2/ 2 0/0 7/ 10 0/0 2/ 5 1/3 0/ 2 0/2 1/ 3 0/0
7 3 4 11 10 10 0 10 2 1
1 2 0 8 7 0 2 0 0 0
DNP DNP
prima promessa è rispettata, per l’altra solo il tempo potrà dire se Danilo Gallinari sarà protagonista per l’intera stagione. New York Knicks. Dottor Jekyll e Mister Hide se c’è ne uno. Non possono essere definiti in maniera differente i Knicks di Mike D’Antoni che anche lui come tutta la città della Grande Mela sta aspettando di avere tra le mani una squadra di maggior talento. Abulici e senza nessun tipo di idea tranne la vena offensiva del ‘Gallo’ per tre quarti di gioco per poi trovare la riscossa giusta negli ultimi 12 minuti. Riscossa che inevitabilmente arriva con l’ingresso in campo di giocatori di qualità come Larry Hughes, altro separato in casa, e che fino a quel momento era stato in panchina a guardare i compagni nelle partite precedenti. D’Antoni è orgoglioso, ma non fino a questo punto e lascia l’ex Bulls in campo per il finale e nei momenti cruciali al posto di Jared Jeffries, innalzando la pericolosità offensiva della squadra. Hughes non sarà il salvatore della patria, ma almeno il coach ex Benetton sa di avere un asso nella manica, da poter sfruttare quando proprio non ne può fare a meno, tanto in cuor suo l’amante della ‘run and shoot’ sà che questi tempi prima o poi finiranno e con il sole pronta a tornare dopo la tempesta.
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D an i l o G a l l i na r i : « C o n ta p o c o che abbia s eg na t o cos i t a n to s e p o i abbiamo pers o»
Fonte foto: http://slamonline.com
HANNO DETTO...
«Segnare tanti punti serve a poco se poi alla fine perdi lo stesso. Certo sono contento per come ho iniziato la stagione, ma per il momento la concentrazione è tutta basata e posta sulla ricerca della prima vittoria». Nemmeno in quella che è stata la partita che lo ha consacrato al mondo dei ‘sophomore’ di qualità Danilo Gallinari riesce a trovare un piccolo spazio per vantarsi o quanto meno per gioire fino in fondo per la prestazione mostruosa messa in campo contro i Sixers. Segnali di un giocatore maturo
che d’altra parte noi siamo abituati a vedere dal momento che il Gallo non è mai stato avvezzo a sproloqui o vanti esagerati sulle sue prestazioni personali, anche quado era il cardine della squadra. Ancor di più ora a New York dove si deve conquistare il rispetto di una squadra di una Lega e degli avversari, che da questa sfida in poi sanno che la mano di Gallinari è da trentello anche nella Nba. «Siamo alla terza sconfitta in fila, non abbiamo ancora vinto, ma due delle sconfitte in questione sono arrivate dopo due tempi supplementari - commenta coach Mike D’Antoni -. Quindi qualcosa di positivo c’è ed è quel qualcosa che al momento dobbiamo aggrapparci. La partita di Danilo? Beh conoscevo le sue doti quindi sapevo che ne aveva le capacità. La schiena non gli da più fastidio e quindi sta giocando come meglio sa e nella giusta direzione».
TUTTE LE CURIOSITA’ DELLA SFIDA • 1 8 i p u n t i d i v an t a g gi o sp er p er at i n el q u a rt o p e ri o d o , p ri m a d e l l a yu p d i C h ri s Du h o n c o n c i n qu e s ec o n d i d al l o s ca d e re d e i t em p i r e go l a m en t a r i. N el s u p p l em e n t a r e 1 7 - 0 i l b r e a k d e i S i x er s p er s a lv a r e l a vi t t o r i a . C o n q u e s t a s o n o s ei l e v i t t o r i e c o n se cu t i v e d i P h i l a c o n Ne w Yo r k. • Do p o av e r s e gn a t o 2 7 p u n t i n el l e p r i m e d u e p ar t i t e, A n d r e I g u o da l a ch i u d e c o n 32 p u n t i ( 1 2 s u 2 1 d a l c a m p o) e 1 1 r im b a l zi p e r i ve n t i p u nt i d i d i s t a c co d el l ’ o ve r t i m e . • C ar ee r - h i g h pe r A l Ha r r i n gt o n c on 4 2 p u n t i e 1 6 s u 2 2 - a l t i r o pa r t en d o da l l a p a n ch i n a ( r e co r d d i pu n t i se g n at i p e r u n g i o ca t o r e d e i K n i ck s p ar t en d o da l l a p a n ch i n a ) e D an i l o G a ll i n a r i a q u ot a 30 pu n t i , d i cu i o t t o t r i p l e . T e r z a sc o n f i t t a c o n s ec u t i va p er i K n i ck s c h e n o n i n i zi a v an o c o n u n o 0 - 3 d a l l a s t ag i o n e 2 0 0 5- 2 0 0 6 .
S TAR S ‘N’ STR I PES
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Toron to ‘doma ’ Clev ela nd I canadesi gli autori della seconda sconfitta dei Cleveland Cavaliers di The Chosen One. Ottimo l’esordio di Bargnani che chiude con 28 punti
IL PARTITONE
T OR ON T O R A PT O RS
P la y er
p ts
fg m
3f g m
101-91 CLVELAND CAVS
r bs
H.TUKOGLU 12 3/7 1/4 7 C.BOSH 21 6/17 0/0 16 A.BARGNANI 28 11/15 2/3 5 D.DEROZAN 8 3/6 0/1 5 J.CLADERON 5 1/6 0/1 3 A,WRIGHT 5 2/5 1/2 4 J.JACK 6 2/9 0/3 4 A.JOHNSON 2 0/0 0/0 1 M.BANKS 0 0/0 0/0 0 M.BELINELLI 10 4/8 1/2 1 R.NESTEROVIC 4 2 /2 0/ 02 0 P.OBRYANT DNP
ass
3 2 1 1 11 1 3 0 0 1
DI
D OMENICO P EZZELLA Tutti si aspettavano una risposta dall’uomo dai 50 milioni di dollari. Tutti si aspettavano una risposta dal giocatore per il quale la franchigia ad un certo punto della stagione scorsa hanno preso una decisione drastica ma definitiva su quello che poteva essere il futuro di Bargnani in Nba e poi confermata in estate con la firma sotto al nuovo contratto. Tutti si aspettavano una risposta dal nuovo ‘Mago’ dal giocatore che doveva quanto meno dimostrare di poter giocare con la pressione addosso. Prima assoluta e la risposta è arrivata. Vittoria contro i Cavs e prestazione personale di grandissimo livello. FOCUS ON THE COURT. Andrea Bargnani. Mentalmente pronto. Questa l’impressione principale, l’impressione più importante che l’ex Benetton ha mostrato alla prima casalinga contro la nuova armata dell’Ohio. Un giocatore concentrato sin dalla palla a due in attacco e in difesa. Tutto normale se di fronte il Mago si fosse trovato un centro normale o comunque che aveva già ‘domato’ negli anni passati, ma di fronte, sulla stessa ‘zolla’ di parquet c’era tale
P l a y er
pt s
L.JAME S 23 A.VAR EJA O 2 S.O’NEAL 12 A.PAR KER 12 M.WILLIA MS 16 D.GIBSON 12 Z.ILLGAUSKA S 4 J. MO ON 9 J. HICKSON 1 D.JACKSO N C.KAR L J. WILLIAMS
f gm
3 fg m
rb s
as s
7/19 0/5 6/12 4/12 4/14 4/10 2/5 2/5 0/1
1/5 0/0 0/0 2/3 2/4 4/8 0/0 0/2 0/0
11 4 7 5 6 3 5 6 2
12 0 0 1 2 3 0 1 0
DNP DNP DNP
Shaquille O’Neal. Fisicamente Bargnani ha tenuto alla grande sia in termini di posizione che in termini di ‘bump’ da parte di The Big Diesel. Addirittura il suo utilizzo in campo come numero 4 tattico al fianco di Nesterovic ha disorientato coach Brown che è stato addirittura costretto a togliere Shaq dal campo per i danni che gli stava causando Andrea. In attacco una macchina. Un calo solo nel secondo quarto prima di prendere di nuovo il feeling con il canestro interrotto forse dalla schiacciata in contropiede sbagliata forse per paura delle ‘famose’ stoppate rinvenendo da dietro di Lebron James. Alla fine sono 28 i punti alla sua prima stagionale e poco sotto a quella che è il suo massimo in carriera, 30. Ventotto punti frutti e figli di un repertorio vasto fatto di viaggi sopra al ferro, triple sui pick and roll o sugli scarichi, palleggi arresto e tiro, ed anche situazioni di penetrazioni dirette a canestro sul classico ‘sleep the pick’ sul gioco a due con Calderon che si è dimostrato essere un’arma importante per un giocatore veloce con i piedi come il romano ma ormai di adozione canadese. Un segnale non indifferente. Un segnale che quanto meno la dirigenza canadese ha visto e deciso bene di puntare sull’italiano, anche se poi da qui a
dire che Bargnani sarà la nuova stella assoluta di Toronto, quando anche Bosh (cosi come pare plausibile!) deciderà di abbandonare il Canada, è molto difficile da dire, anzi quasi impossibile e tutto dipenderà dai progressi di Andrea in questa stagione. Marco Beli nel li . Tutto sommato il partitone è anche merito suo. E’ anche merito di un giocatore che nella sua nuova realtà ha dimostrato di poter avere quanto meno un ruolo non marginale come a Golden State. Cero la fiducia nei suo confronti non è ancora quella che nello staff tecnico hanno in Bargnani, ma la mano dalla distanza, l’intelligenza cestistica nel passare il pallone (bellissimo quello di tocco per un tiro di Turkoglu da fuori ndr), la partenza in palleggio e capacità di finire anche al di sopra del ferro, o quella di punire il difensore a metà strada con il jumper, il tutto unito ad una difesa che migliora giorno dopo giorno possono essere indicazioni importanti da qui a qualche tempo per una sua esplosione.
TEAM STAT COMPARISON
CLEVALAND @ TORONTO FG 29-83 (.349) 34-75 (.453) 3P 9-22 (.409) 5-16 (.313) FT 24-37 (.649) 28-37 (.757) REB. 13-49 7-48 ASSISTS 19 23 TURNOVERS 15 13 STEALS 4 4 BLOCKS 2 6 FASTBREAK P. 9 12 FOULS 27 (0/ 0) 30 ( 2/ 0) LARGEST LEAD 2 21
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« S on o mo lto p i ù t r an q u i l l o risp etto a quando sono a r r i v at o q u i t r e an n i fa »
Rilassato, tranquillo e sicuro di se. Cosi è apparso il Mago Andrea Bargnani nell’intervista al Toronto Sun dopo la sua prestazione di paertura contro i Cavs di Lebron James. Ma oltre che rilassato, tranquillo e sereno, l’ex Benetton è apparso anche molto con i piedi per terra senza alzare troppo la cresta con dichiarazioni quasi scontate o se vogliamo di rutine per un giocatore che sa di aver fatto un solo passo del suo lungo cammino. «Di sicuro mi sento molto più tranquillo ora che quando sono arrivato qui a Toronto tre anni fa, detto questo però il mio percorso non è certo finito devo ancora migliorare tanto e la stagione è ancora lunga». La prestazione quasi completa offerta contro i Cavs ha offerto lo spunto ai giornalisti di mettere sul piatto della bilancia anche la domanda sul suo gioco in post basso sul quale lo stesso Bargnani ha cosi risposto: «Quando sono in campo mi piace fare qualsiasi cosa sono in grado di fare
HANNO DETTO...
Fonte foto: http://upload.wikimedia.org compreso giocare spalle a canestro. Certo non sto dicendo che sono in grado di fare tutto alla perfezione, ma sto lavorando in palestra dopo giorno per arrivare a quella perfezione di cui si parlava in precedenza». «Sta migliorando e variando il proprio gioco - commenta Chris Bosh -. Quando è arrivato cercava di sfruttare sempre il suo jumper e il tiro dalla distanza, ora sta migliorando anche in altre parti del gioco per cercare di completarsi ed essere ancora più pericoloso dalla distanza».
TUTTE LE CURIOSITA’ DELLA SFIDA
• V e n t o t t o p un t i p e r ‘ T h e M a g i ci a n ’ A n d r ea B a r g n an i c o n 1 1 s u 1 5 d a l ca m p o , g u i d a n d o T o r o n t o a d i n f l i g g er e la se c on d a sc o n f i t t a c o n se cu t i v a d o p o qu e l l a n e l l ’o p en i n g g am e co n t r o i Bo s t on C e l t i c s • L e B r o n Ja m e s h a c h i u s o c on 2 3 p un t i, 1 1 r i m b al z i e 1 2 as s i s t . P e r i l ‘p r e s c el t o ’ s i t r a t t a d el l a 2 5 s i m a t r i p l a do p p i a del l a s ua c a rrie ra . • I C l e ve l an d C a v al i e r s n o n a n da v an o so t t o 0 - 2 da l l a l o n t a n a s t ag i o n e 2 0 0 4 - 20 0 5 • D i c i n q u e v i t t o r i e e ze r o s c o n f i t t e i l r uo l i n o d ei C a v s e d i l e br o n J a m es n e i co n f r on t i d e i T o r o n t o Ra p t or s p r i m a d el l a sc on f i t t a d i m er co l e d i 2 8 o t t o b re
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HOT SPOT DI
D OMENICO P EZZELLA
Fonte foto: http://www.celticstown.com
Già essere considerato come una sorta di via di mezzo tra Brevin Knight e Jacque Vaughn, non è mai stata una cosa che ha giovato più di tanto al momento di scegliere di venire fuori dall’università di Kentucky e prendere la strada verso i Pro. Una via di mezzo che generalmente è giochino che viene effettuato dagli scouting report nei periodi antecedenti al Draft paragonando il giocatore in questione a qualcuno di già visto all’interno dei parquet della National Basketball Association per caratteristiche fisiche e tecniche. Insomma una sorta bivio tra ‘Best Case and Worst case’ la cui risposta, la scelta può arrivare solo ed esclusivamente da quello che lo stesso giocatore fa in mezzo ad un campo. Non è detto nemmeno che la carriera ed il campo diano per forza di cosa una risposta precisa e corretta e che magari il tutto possa restare nel mezzo come in una sorta di ‘Limbo’ dando luogo quindi ad una terza figura. Molto probabile, infatti, che il soggetto in questione, Rajon Rondo, possa proprio appartenere a questa categoria ovvero essere un soggetto a parte senza nessun tipo di paragone o di confronto ed essere egli stesso una sorta di metro di giudizio o di confronto. Difficile, infatti, riuscire a definire l’attuale Rajon Rondo come il nuovo Brevin Knight o una sorta di clone di Jacque Vaughn. Difficile per tanti motivi, difficile per quello che lo stesso Rondo ha messo in campo e dimostrato di poter fare, difficile proprio per un modo di giocare sviluppato in questi due anni che forse non è ne dell’uno ne dell’altro giocatore, ma forse una sorta di unione delle due cose. Eppure nel 2008 il suo nome è stato quello al fianco del Big Three nella vittoria del 17esimo titolo dei Celtics. Il suo nome è stato quello messo in cabina di regia come point man titolare e a fare da direttore di un’orchestra che in alcune occasioni gli ha concesso anche la possibilità di fare qualche piccolo assolo. Eppure nonostante tutto questo, nonostante una dimostrazione di responsabilità ed una dimostrazione di maturità non tirandosi indietro nella scorsa stagione quando ce ne era bisogno senza The Big Ticket, il prodotto di Kentucky University viene ancora oggi delineato e designato come l’incognita, come il fattore imprevedibile e insicuro di una macchina che dopo la sconfitta per mano dei Magic nella scorsa stagione ha messo altra carne a cuocere con l’arrivo di Marquis Daniels, Shelden Williams, ma soprattutto Rasheed Wallace. Un fattore ‘X’ cosi come viene designata l’incognita all’interno delle pratiche matematiche, che alla vigoilia e a stagione ormai iniziata non riesce a trovare una soluzione concreta, anzi si infittisce ancora di più di contraddizioni. Perché? Beh molto facile da spiegare. Quello conclusosi con l’eliminazione in semifinale di Conference contro i Magic è stato l’ultimo anno garantito di contratto per gli scelti della classe 2006, quella che per intenderci ha reso l’Italia il primo paese non a stelle e strisce ad avere la chiamata numero uno al
Rajon R
Draft, l’ultimo prima dell’esercizio esercizio dell’opzione del quarto anno (cosi come è avvenuto per Belinelli e non per esempio per Bargnani e Roy che invece hanno firmato una vera e propria estensione contrattuale ndr) ed anche della firma di un nuovo contratto che risolverebbe ogni tipo di cosa. Un anno decisivo, un anno al termine del quale si potrebbe anche verificare l’ipotesi di una non presenza del numero ‘9’ in maglia biancoverde, ma il ruolo di playmaker titolare è ancora nelle sue mani. I Celtics non hanno ancora provveduto, non ancora messo sul piatto della bilancia le loro vere intenzioni, non hanno nemmeno cercato di portarsi a casa una sorta di Sam Cassel o Stephon Marbury (anche se da quest’ultimo punto di vista i risultati non sono stati certo quelli che magari si ebbero nell’anno del titolo con ‘Sam I am’ ndr) lasciando ancora una volta il comando delle operazione nelle mani di Rondo. Ma tutto questo prima dell’accordo che ha fruttato nelle sue tasche
Fonte foto: http://cfs13.tistory.com
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Rondo
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ne viene fermata fallosamente con il difensore a centro dell’aria che lo spedisce dritto dritto verso la ‘charity stripe’ le cose non lo aiutano certo più di tanto. Certo si è andato oltre il 57% del periodo del College salendo a quota 64%, ma per il momento resta ancora un giocatore poco affidabile dalla lunetta con tutti i rischi che si possono correre, per esempio, in una sorta di individuazione di uomo da placcare nel caso di fallo sistematico nel corso di una partita all’ultimo canestro. Quasi nulla più anche perché nonostante lp’indifferenza di Rondo di andare a destra o sinistra visto l’ottimo ball-handling che si ritrova, a fargli ancora una volta da cattiva pubblicità sono le percentuali di realizzazioni non esaltanti le zone ‘hot’ davvero ridotte all’osso. Si parte dalla considerazione di base che più ci si avvicina al canestro più la confidenza con il fondo della retina per il numero 9 dei Celtics è maggiore. Cinque metri. Questo il raggio al momento molto limitato in cui Rondo può essere pericoloso con il jumper, palleggio arresto e tiro o magari concludendo dopo uno scarico di un compagno. Al di fuori dei 17 feet, tanto per dirla all’americana, la pericolosità scema notevolmente fino ad arrivare ad essere una sorta di forzatura come dimostrano i soli 15 tiri realizzati su 48 tentativi in una intera stagione, quella passata. Certo all’interno del 15/48 c’è anche quello che è il suo dato migliore ovvero il 9/13 nel mezzo angolo sinistro ed un 69% che rappresenta la sua percentuale realizzativa dall’arco migliore nella singola situazione, ma resta pur sempre un playmaker che tira con meno del 30% dai dietro l’arco dei 6 e 75 (statistica alla quale concorrono lo 0/6 nell’angolo sinistro, il 2/6 nell’angolo destro, il 2/11 nel mezzo angolo destro ed il 2/12 con i piedi fronte a canestro ndr). Sensibilmente migliore il tutto quando i piedi dell’ex Kentucky sono dentro la linea dei tre punti, ed in quello che potremo definire il suo ‘range’ preferito. In questo caso si che per il difensore è meglio portarlo verso sinistra dove i numeri sono meno consistenti (4/12 e 33% con i piedi allineati alla linea di fondo a sinistra) invece che farlo ricevere o arrivare in quella che è la sua vera mattonella: il mezzo angolo destro quello generalmente utilizzato per il post up dei lunghi. Rotondo 50% e 16/32 e colore rosso che impazza in quella zona del campo. A corrente alternata, invece, il post up verso sinistra o nell’angolo sinistro dove si scende però al di sopra del 40% di realizzazione. Il tutto dovrebbe migliorare con l’abbassarsi della distanza dal canestro, ma paradossalmente per Rajon Rondo non è cosi. Inspiegabilmente inconsistente il tiro dai quattro metri sia a destra che a sinistra, un pochino meglio poco prima dell’area colorata con 15/34 e 44% da questa zona di campo. All’appello mancherebbe solo la zona di campo di cui abbiamo già parlato. L’unica all’altezza della situazione, l’unica che non ha dato mai problemi, l’unica in cui davvero nessuno ha tanto dire se non che a volte quando più si avvicina a canestro più stupisce per quello che riesce a fare. Ma può bastare per continuare la sua carriera ad altissimo livello? Può bastare per non essere più considerato l’anello debole dei Celtics nonostante l’anello che anche lui ha contribuito a mettere al dito? Forse si o forse no. Ed allora come recitavano i versi dell’indimenticato Lucio Battisti: «Lo scopriremo solo vivendo».
Fonte foto: http://www1.pictures.gi.zimbio.com
ben 55 milioni di dollari per i prossimi 5 anni. Insomma una prima parte di stagione che è valsa come un banco di prova prima di prendere qualsiasi tipo di decisione che obbligasse e che obbligherà attualmente il team del Massachusetts nel lungo periodo. Gli addetti ai lavori avranno voluto verificare se la scorsa stagione, il lavoro in off season e un anno in più di esperienza sulle spalle possano essere un deterrente per quelli che erano e sono sempre stati i punti a sfavore di Rondo. Già perché il problema non sta certo nella gestione della palla, nella gestione dei giochi, nei passaggi all’interno degli schemi di Rivers per innescare la bomba principale dei Celtics, il Big Three o il nuovo Fab Four (dipende dal punto di vista ndr), ma nella pericolosità che lo stesso giocatore può mettere in campo quando si tratta di affrontare una serie di playoff o quanto meno quando si tratta di fare la differenza quando le stelle sono o spente o ben marcate. Ed il tutto non passa nemmeno da una specie di incoscienza che lo stesso Rondo ha come dote di natura quando decide di rompere gli indugi, schemi e quant’altro buttandosi dentro con il pallone e arrivando fino al ferro con diversi mezzi (famosa ormai la riproduzione della finta in entrata che tempi addietro resero celebre un grande di questo gioco tale Jerry West con il pallone allontanato dal corpo e dal difensore con una mano per poi finire con la stessa in estensione) e una percentuale di realizzazione non indifferente cosi come dimostrano i numeri a suo favore quando si tratta di arrivare al canestro e concludere con numeri da circo o ad alto coefficiente di realizzazione. Più del 50% di realizzazione (56,9% per l’esattezza) in circa 497 tentativi nella scorsa stagione. Un numero non indifferente per una point guard che sugli scouting report finisce con l’essere catalogato come buon trattore di palla e veloce nel volare a canestro e quasi nulla più. Quasi nulla più perché nei casi al di fuori del 56,9% di realizzazioni, ovvero quelli in cui l’azio-
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La nuova ‘comapgnia dell’anello’: i Los Angeles Lakers L’EVENTO
Luci soffuse, atmosfera da concerto di primo piano, immagini del cammino verso la vittoria finale, il luccichio del giallo metallo e il rito che si consuma con il classico bacio e promessa per l’anno successivo
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D OMENICO P EZZELLA
L’ultimo atto. La palla a due tra i Cleveland Cavaliers ed i Boston Celtics dello scorso 27 di ottobre aveva chiuso il conto con la stagione scorsa, ma quello che è accaduto qualche ora dopo in California e precisamente nella città hollywoodiana, ha messo e scritto definitivamente la parola fine al 2009 cestistico a stelle e strisce. ‘La nuova compagnia dell’anello’ l’ennesima dal 2002 è stata creata. Gli stessi dovranno essere portati e protetti fino a giugno prossimo, quando lo scopo principale dei gialloviola sarà quello di tornare con lo stesso sorriso, con la stessa felicità e con la stessa ‘spocchiosità’ (passateci il francesismo ndr) del 27 ottobre scorso e varare la prima vera dinastia da ormai sette anni. La cerimonia. Luci soffuse, anzi quasi spente. Ad illuminare il tutto, infatti, era il tabellone luminoso al centro dello Staples Center dove andavano le immagini della parata di
fine giugno per la celebrazione del titolo. Poi tutto si zittisce dal lato del campo tre Lakers Girl spingono il carrello tanto atteso quello con il ‘Larry O’Brien Trophey’ e gli anelli che simboleggiano al vittoria ed i campioni. Dal silenzio fatto di un continuo vocio proveniente da uno Staples stracolmo, si innalza la voce dello speaker che annuncia la venuta in campo di David Stern e della figlia del ‘boss’ Jeany Buss. «Congratulazioni ai Los Angeles Lakers. Congratulazioni a Jerry e Jeany, congratulazione al general manager, al coach Phil Jackson, all’Mvp delle finali Kobe Bryant ed in generale a tutti i Los Angeles Lakers – l’esordio del commissioner illuminato dal classico occhio di bue di scena -. Dieci i titoli portati ed arrivati qui a Los Angeles e quindi un ringraziamento va anche alla dedizione per questo sport che questa città ha sempre profuso negli anni. Un grande onore per questa Lega, per tutti questi tifosi presenti qui questa sera e per tutti quelli che sono sparsi in tutto il mondo». Applausi scroscianti occhio di bue che si sposta e la voce dello speaker torna a farla da padrona nel presentare tutti gli Hall of Famer scomodati per celebrare il titolo del 2009. Si parte con Jerry West e si finisce ovviamente con colui che è l’icona dei Lakers: Ervin ‘Magic’ Johnson. «E’ in presenza di tutti questi campioni del passato, che
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vorrei cogliere l’occasione di ringraziare e complimentarmi con quelli del presente ovvero i campioni Nba del 2009 l’esordio con microfono tra le mani per il re dello Show Time -. Abbiamo il miglior coach, Phil Jackson, abbiamo il miglior giocatore, Kobe Bryant, ma soprattutto abbiamo un uomo senza il quale tutto questo non sarebbe mai stato possibile: Jerry Buss, grazie ‘Boss’ per tutto quello che hai fatto e che fai per questa squadra e questa città e quindi è a lui che va il più grande dei ringraziamenti». Hall of famer tutti in fila, le luci tornano ad essere basse e con il solito occhio di bue che si sposta tra una parte del campo e la postazione al centro del legno dello Staples dove intanto è sempre stato David Stern: è il momento della consegna degli anelli. Dal massaggiatore agli allentori speciali fino ad arrivare al coaching staff (assente Tex Winter per ovvi motivi di salute ndr) dove l’applauso più rilevante, manco a dirlo, è stato tributato al dieci volte campione su di una panchina Nba Phil Jackson. Staff tecnico e non messo a posto è il tempo dei giocatori.
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Morrison, Josh Powell, DJ Mbenga, Shannon Brown, Sasha Vujacic, Luke Walton (quasi fischiato), Jordan Farmar, Andrew Bynum, Lamar Odom, Pau Gasol, Derek Fisher e infine nascosto nel buio tra gli applausi ed il boato alla pronuncia del suo nome Kobe Bryant per il quale parte immeditamente anche il classico coro ‘Mvp, Mvp’. Anelli mostrati sorrisi stampati e il microfono finisce nelle mani di colui al quale viene dato l’onore più grande, Derek Fisher. «E’ una grande serata. Una serata speciale. Siamo qui per concludere i festeggiamenti iniziati qualche mese fa e lo voglio fare con una richiesta molto semplice, ovvero quello di contare tutti insieme per dare il via all’innalzamento dello stendardo. Insomma un semplice “three, two, one let’s go…”». Countdown partito ad unisono, luci che illuminano il soffitto dello Staples Center e centimetro dopo centimetro viene illuminato il decimo stendardo gialloviola quello che consacra definitivamente Kobe Bryant ed anche lo stesso Derek Fisher nella storia gialloviola.
Fonte foto: http://20.media.tumblr.com
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IL COACH
Il ‘sempiterno’ Sloan DI
A LESSIO C APRODOSSI
Fonte foto: http://beyondthebeat.files.wordpress.com
Viaggio attravero la storia e attravero la carriera del coach più ‘vecchio’ della Nba introdotto nella Hall of Fame classe 2009 insieme al suo scudiero John Stockton
Una mosca bianca restia ai cambiamenti ma che sa solo volare molto in alto. Gerald Eugene Sloan detto “Jerry” ha poco a che fare con la stragrande maggioranza dei colleghi. Silenzioso, caparbio, lungimirante e molto preparato, Sloan è un autentico mostro vivente, venerato da tifosi, giocatori e addetti ai lavori, e non solo per i spaventosi numeri che ha inanellato durante la sua carriera, che prosegue aggiornando record destinati a restare scolpiti nella storia del gioco. Arrivato in NBA da giocatore nel 1965, Sloan si consacra a Chicago, che contraccambia offrendogli l’opportunità di iniziare a prendere confidenza con la panchina: due anni da vice-allenatore, poi il grande salto che lo porta alla guida della franchigia. Buon andamento ma niente di speciale, perché il capolavoro, i record, la storia, Jerry Sloan la scrive a Salt Lake City con i Jazz. Nello stato dei mormoni si ripete il copione già vissuto in Illinois, così servono altre quattro stagioni da assistente prima di spiccare il volo. Che inizia nel 1988, su felice intuizione del proprietario Larry Miller, personaggio a dir poco pittoresco, arrivato agli Jazz quattro anni prima proprio insieme a Sloan, chiamato dopo diciassette partite a sostituire Frank Layden. L’avvio è tutto un programma col titolo di Division in bacheca, seguito però da una pessima post season, terreno quest’ultimo che ha visto un crescendo rossiniano per l’uomo da McLeansboro, culminato nel biennio 9798 con due titoli della Western Conference. Arrivati grazie ad una super squadra, diligentemente costruita e affinata da Sloan sulla coppia Stockton-to-Malone, due sublimi interpreti del gioco che non hanno certo bisogno di presentazioni. A mancare però è sempre stato l’ultimo passo, quello per salire sulla vetta del mondo, tolta per due volte dai “suoi” Chicago Bulls di un certo Michael Jordan. Rimarrà un rimpianto, l’anello, ma non certo una lacuna nel profilo di uno degli allenatori più vincenti e convincenti della storia. Anche perché se la mettiamo sui numeri, allora si può capire bene chi è e cosa è stato capace di fare finora coach Sloan. Ventidue stagioni consecutive - contando anche quella in corso – al timone dei Jazz, che ne fanno l’allenatore più longevo su una stessa panchina nella storia dello sport Usa (non solo basket, attenzione). Diciotto partecipazioni ai playoff, con otto titoli di Division oltre ai due di Conference sopracitati. 1139 partite vinte, dato aggiornato ai primi due successi di quest’anno, che ne fanno il quarto coach all-time quanto a vittorie dietro a Lenny Wilkens, Don Nelson e Pat
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Riley e davanti a gente come Larry Brown e Phil Jackson, la rosa di nomi che completa il club dei coach oltre quota mille W. Anche se tra questi, solo Sloan è riuscito a superare la tripla cifra guidando un unico team. Non sono solo le cifre, per quanto straordinarie, a spiegare il Jerry Sloan allenatore. C’è dal punto di vista tecnico il celebre pick’n’roll con i due fuoriclasse sopracitati che han scritto le pagine più alte della franchigia, c’è dal lato umano una spiccata capacità nel far rendere al meglio gli elementi di cui dispone, ma c’è anche una lungimiranza nella scelta dei giocatori e nell’organizzazione della squadra, come testimonia l’acquisto nel 2004 di Carlos Boozer - oggi caduto in basso, ma allora tra i migliori lunghi della Lega - e la presa di Deron Williams (preferito a Chris Paul, forse più determinante e continuo, ma stiamo parlando dei primi due playmaker della NBA) al draft dell’anno successivo. E di coppia in coppia, per far tornare grande Utah dopo l’unica stagione sotto il 50% (2004-2005) Sloan si è affidato al binomio Williams-Boozer, che insieme ai vari Kirilenko, Okur e il nuovo faro Paul Millsap, hanno trascinato i Jazz verso la finale di Conference 2007 e altri due primati nella Northwest Division. Numeri e capacità che fanno di Jerry Sloan una persona e un
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coach speciale, che lo scorso settembre ha visto coronare il grande lavoro fatto – che continua tuttora, ricordiamocelo - con l’inserimento nella “Naismith Memorial Basketball Hall of Fame”. Presentanto da Charles Barkley, Sloan è stato celebrato assieme a Michael Jordan, John Stockton, David Robinson e Vivian Stringer (una delle più grandi allenatrici di college femminile) in quello che virtualmente parlando sarebbe un quintetto clamoroso. Da gran lavoratore e ottimo stratega, Sloan ringrazia ma non si guarda indietro, almeno non ora. Perché c’è da riscattare la stagione scorsa, conclusa prima del previsto, e per farlo c’è un solo modo: la diciannovesima apparizione alla post-season. Sarebbe un altro record, non certo una novità per coach Jerry Sloan.
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Oklahoma Cit y non è solo Kevin Durant SOPHOMORE
Da stella assoluta ad UCLA a spalla ideale del nuovo uomo franchigia degli Oklahoma City Thinder. L’evoluzione a point man della Ncaa a quello della Nba è in corso, quella attuale sarà la stagione della verità DI
S TEFANO PANZA
Alla seconda stagione ad Oklahoma City, i Thunder hanno ancora molta strada da fare per entrare a far parte della parte della classifica che conta. Difficilmente, infatti, quest’anno si potrà parlare di playoff nell’Oklahoma. Tuttavia i tifosi che guardando con pessimismo la propria squadra sono davvero pochi. I Thunder sono, infatti, detengono uno
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e soprattutto Russell Westbrook, giunto al suo secondo anno di militanza nella lega dopo un anno da rookie eccellente, in cui ha disputato tutte e 82 le partite della sua squadra, partendo in quintetto per ben 65 volte. Nel complesso ha segnato 15,3 punti di media (terzo realizzatore dei Thunder dietro Durant e Green), arpionato 5 rimbalzi e offerto 5,3 assist ai compagni nei 32,5 minuti a gara in cui è stato impiegato. Queste cifre, oltre all’ottimo impatto che ha avuto sulla squadra, gli sono valse il quarto posto nella classifica del premio di Rookie of the Year e l’inclusione nel primo quintetto delle matricole in compagnia di Rose, Mayo, Beasley e Lopez. Westbrook è una point-guard di 191 cm per 85 kg di peso, uscito da UCLA nel 2008, anno in cui è stato scelto al numero 4 dagli allora Seattle Supersonics pochissimo tempo prima che questi si tramutassero in Oklahoma City Thunder. Si tratta di un point-man capace non soltanto di far girare la squadra e regalare passaggi smarcanti ai compagni (quest’anno ben 13 assist nella gara contro Sacramento), ma anche di mettersi in proprio e di strappare palloni sotto canestro (l’anno scorso è andato diverse volte in doppia cifra sotto questa voce statistica). Attualmente è un grande penetratore ma fatica ancora a segnare dalla distanza, come esprime il pessimo 27% dall’arco nella passata stagione, mentre quest’anno, nelle sue prime 5 uscite, ha insaccato soltanto una tripla su 10 tentativi. I margini di miglioramento, tuttavia, sono eccelsi, e in una squadra che punta sui giovani come Oklahoma City, Westrook ha tutto il tempo che gli serve per migliorarsi gradualmente, senza pressioni di ogni sorta. La stagione dei suoi Thunder è iniziata discretamente, e le 2 sole vittorie a fronte di 3 sconfitte non ritraggono in pieno i meriti della squadra di coach Scott Brooks. Westbrook ha visto innalzarsi lievemente il suo minutaggio (dai 32 minuti della passata stagione ai 35 abbondanti delle prime 5 gare), anche perché le alternative a disposizione di Brooks, Kevin Ollie e il plurinfortunato Livingston, non sono certo il massimo della vita. Con l’aumento dei minuti a disposizione e dalla fiducia da parte dello staff tecnico, il numero 0 dei Thunder ha accresciuto notevolmente la quantità di assist (7,8 a partita, settimo attualmente nella lega in questa speciale classifica) e di punti segnati (da 15 a 18), mettendone ben 33 nella trasferta di Houston, uno solo in meno del suo massimo in carriera i 34 del primo febbraio scorso contro Sacramento. Insomma è chiaro che Oklahoma City non è solo Kevin Durant, perché ci troviamo di fronte ad une delle point-guard dal futuro più luminoso di tutta la lega.
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ROOKIE TIME
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La nuova ‘combo’ dei Thunder: James Harden
DI
G UGLIELMO B IFULCO
Se bastasse solo l’espressione del volto di un giocatore appena selezionato al numero 3 del draft a descrivere un immagine positiva di questo sport, allora ci si può limitare a spulciare su you-tube il video che immortala la leggerezza, la positività , la gioia di avercela fatta da parte di James Harden , dopo aver sentito pronunciare il proprio nome da David Stern, che lo sanciva ufficialmente come scelta numero 3 degli Oklahoma City Thunder. Lo sguardo è un mix di gioia, emozione e un certo compiacimento per essere entrato nella lega dove militano i migliori del mondo. Il look è molto sbarazzino, con un papillon rosa spiccante sull’abito bianco. La camminata sfrontata e il passo quasi hip hop potrebbero descrivere benissimo l’atteggiamento di questo giocatore: ma non in maniera sufficiente; questo perché James Harden entra nella NBA carico di forti aspettative sul suo conto, palesate dalle sue esaltanti prestazioni a livello collegiale in quel di Arizona State, nella quale ha militato fino al suo anno da sophomore (prima stagione conclusa a 17.8 punti di media con 5.3 rimbalzi e seconda stagione da 20,1 punti con 5,6 rimbalzi e più di 4 assist smazzati a gara) fallendo tuttavia sempre l’approdo alle Final Four..cionostante la guardia proveniente dalla Artesia High School è apparso sulla copertina di Sports Illustrated ed è stato considerato una delle poche alternative al più quotato Blake Griffin come prima scelta assoluta dell’ultimo draft. La squadra che lo ha scelto , i Thunder, può prestarsi molto bene al percorso formativo della guardia , che viene cosi a trovarsi in un contesto giovane , promettente, al quale è lecito e ovvio dare il tempo di maturare e assemblarsi
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nella maniera più armonica possibile. È chiaro che al suo primo anno il giocatore subirà la leadership di quello che è il predestinato uomo franchigia, Kevin Durant, e probabilmente anche del solido e creativo scudiero Russell Westbrook, ma James non sembra essere un accentratore dall’ego smisurato potenzialmente dannoso per gli equilibri degli ex Seattle SuperSonics. Controprova di ciò , stando alle prime apparizioni in regular season, il suo impiego arriva dalla panchina, dalla quale porta talento, ordine, buone scelte di tiro e una disciplina tattica forgiabilissima.. La domanda che sorge lecito porsi è tuttavia un’altra: dove può arrivare James Harden? La risposta non è affatto facile, perché la guardia rappresenta un atipicità nel ruolo rapportata allo stereotipo di shooting guard attuale nella lega..innanzitutto verrebbe da definirlo undersized (non supera 1,96 m), ma se si guarda alle sue capacità di salto ,alla sua tenuta atletica e al suo baricentro basso si nota una compattezza e un agilità che può compensare perfettamente la mancanza di centimetri. Dal punto di vista dei fondamentali , Harden mostra una buona partenza con la
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mano sinistra, non per forza dal lato forte, un ottima capacità di concludere sia in termini di creatività che di fisicità, e una spiccata propensione al jump shot e al tiro da tre dal palleggio con i piedi quasi per terra anche senza ritmo, molto difficile da marcare dato il suo naturale utilizzo del mancino. Ciò che però ha attratto maggiormente il management dei Thunder è la completezza e la versatilità del ragazzo che pur non essendo destinato a diventare un all-around mostra comunque una certa poliedricità nei vari aspetti del gioco, partendo dalle attitudini al rimbalzo, dal buon trattamento palla e da una discreta visione di gioco..Accostarlo per similitudine ad un altro giocatore NBA può essere una molestia concettuale, ma se proprio dovessi sbilanciarmi mi sembrerebbe nella prospettiva soggettivistica più ottimistica possibile un Gilbert Arenas con minore propensione alla costruzione del gioco e minore cattiveria agonistica , ma maggiore fisicità e lucidità nelle scelte di gioco, con un sorriso stampato in faccia e un’ espressione alla Baron Davis. Su almeno quest ultimo dettaglio si può essere più che concordi…
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La Western Conference OCCHI PUNTATI SU...
vano ai margini della lotta per l’ottavo posto? La vecchia guardia. Già, non l’atletismo di Amarè Stoudemire, né i balzi di Jason Richardson, bensì la regia di uno Steve Nash che sembra aver riavvolto il nastro della propria carriera al momento in cui inanellava titoli di MVP della Lega e la presenza a tutto campo dell’eterno Grant Hill. Il canadese (fantastico contro gli Heat, quando quasi da solo ha riacciuffato una partita che sembrava già persa) sta portando la squadra per mano come solo lui sa fare, segna (19 punti di media) e smazza assists in quantità industriale (11 a gara), mentre l’ex Pistons e Magic, nonostante ogni anno in molti si affrettino a considerarlo come finito, viaggia a 14 punti e 8 rimbalzi di media, cifra, quest’ultima, che per la sua età e i problemi fisici che lo hanno tartassato è incredibile. Sorpresa assoluta Channing Frye. Pescato nel dimenticatoio della Lega sta sfoderando prestazioni di grande sostanza. Parte titolare al fianco di STAT, segna 13.5 punti per gara, ma soprattutto tira da 3 in maniera clamorosa. Al momento siamo al 48% con più di 5 tiri a partita, arma che nel suo repertorio non si era mai vista, specie con questa frequenza. Positivi comunque i suddetti Stoudemire e Richardson, Barbosa dalla panchina ha quasi 16 punti di media, nonostante abbia dovuto saltare 3 partite. Fino a pochi giorni fa, invece, la squadra più calda a Ovest del Mississippi erano i Denver Nuggets, unici assieme all’armata bianco verde del Massachussets a partire imbattuti dopo 5 gare. Poi un piccolo calo di tensione e alcuni problemi fisici hanno portato due sconfitte consecutive in un viaggio a est che li porterà a giocare 7 volte in 12 giorni. Significative le prima due vittorie contro Jazz e soprattutto a Portland, dove si è visto un Carmelo Anthony (31.4 punti di media col 40% da 3 e 6,3 rimbalzi, miglior giocatore della prima settimana) al suo meglio. Poi tre facili successi contro Memphis, Indiana e New Jersey, prima del doppio stop. Grandissima sorpresa il rookie da North Carolina, Ty Lawson. 11,4 punti di media e 23 minuti a partita guadagnati alla grande sul parquet. Le spalle di Chauncey Billups, con un inizio all’altezza della sua fama, sono ottimamente coperte. Senza particolari squilli, ma comunque con 5
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N ICOLÒ F IUMI Partita da ormai una decina di giorni la NBA stiamo cominciando ad avere i primi responsi, le prime indicazioni su quelle che sono le squadre più o meno in forma di questo campionato. Come ormai sa bene chi segue le vicende della pallacanestro a Stelle e Strisce, i risultati dei primi giorni sono indicativi fino a un certo punto, che vuol dire che quello che stiamo per dire nelle righe che seguono difficilmente si ripercuoterà in maniera costante sul resto della stagione (fatte le dovute eccezioni). Ma comunque, si può iniziare a parlare di qualcosa che sia basket giocato, e non solo fare ranking in base ai roster delle squadre senza averli visti all’opera. E quindi cosa vogliamo dire dei Phoenix Suns? Solo per le cifre, al momento sono 6-1, unici ad aver sconfitto i Celtics (peraltro al TD BankNorth Garden) e vincenti anche su campi difficili come Miami e Washington. Quali le ricette dell’inizio sprint di una squadra che i più ritene-
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vittorie in 6 incontri ci sono poi i Lakers, che fino ad ora non hanno avuto Pau Gasol. L’esperimento Artest procede, ma un risultato definitivo lo si avrà molto più avanti, e se Kobe viaggia già abbondantemente sopra quota 30, ottimi segnali arrivano da Andrew Bynum, con 20+10 ogni allacciata di scarpe. Bella la vittoria a Houston, forse un caso la sconfitta casalinga contro i Mavericks, in un partita in cui i giallo viola hanno segnato la miseria di 80 punti pur giocando in casa. La coppia di texane sono altre due squadre che hanno avuto un discreto inizio anche se abbastanza altalenante. I Rockets vivono nel dubbio di una stagione dove qualcuno deve ergersi a prendere il posto delle superstar vacanti, Yao e T-Mac, e l’impatto del nuovo arrivato Ariza e la regia di Brooks erano tutte da verificare. Per ora gli exit pool sembrano positivi. Le due sconfitte a Portland e in casa contro i Lakers dopo un supplementare ci possono assolutamente stare, mentre ha fatto decisamente impressione l’autorità con cui gli uomini di Adelman sono andati a imporsi a Salt Lake City contro i Jazz. Parlando di singoli Ariza viaggia di un soffio sopra i 20 di media, col 46% da 3, mentre Brooks si ferma a 18.3 con 7.7 assists. Landry è il sesto uomo di impatto, con i suoi 14.3 punti, Scola è una solida roccia a cui aggrapparsi, mentre non ci si attendeva un impatto così importante da parte di Chase Budinger, rookie da Arizona, che viaggia in doppia cifra media e in campo dimostra grande faccia tosta. Per i Mavs, ugualmente, un inizio con alti e bassi. Bassi come la sconfitta all’esordio casalingo contro i Wizards, alti come la vittoria allo Staples contro i Lakers o l’ultimo quarto da 29 punti di Dirk Nowitzki che ha permesso ai suoi di battere Utah. Il tedesco è il protagonista assoluto dell’inizio di stagione. Con lui và tutta la squadra. Shawn Marion si è inserito in punta di piedi ma registra già un buon 14+7 di media. E ora è tornato Josh Howard, senza dimenticare che Jason Terry ha ricominciato da dove aveva lasciato l’anno scorso, ossia del titolo di miglior sesto uomo dell’anno. Chi invece è in netta difficoltà sono gli Utah Jazz. Se avete fatto caso buona parte delle squadre che abbiamo citato finora hanno vinto contro gli uomini di Jerry Sloan. Che sembrano avere una serie di problemi, specialmente
con due giocatori. Uno è Carlos Boozer, che indossa ancora la maglia dei Jazz, ma sà che la dirigenza quella maglia la vuole dare a Paul Millsap per il futuro. Può quindi arrivare un seratona come contro i San Antonio Spurs, ma più regolarmente si vedrà l’ex Duke Blue Devils giocare al di sotto dei propri standard. L’altro è Andrei Kirilenko. Con Sloan da tempo il feeling si è guastato e così il russo non produce come potrebbe. Per ora le speranze sono tutte su Deron Williams (25 punti e 10 asissts), ma l’ultima sconfitta casalinga contro i disastrati Kings è inaccettabile. Difficile anche l’inizio a San Antonio. Gli Spurs arrivano alla nuova stagione con alcuni pezzi nuovi e una squadra da risistemare, dovendo inserire i vari Jefferson, McDyess, Bogans oltre al giovane Blair, continuando ad aumentare le responsabilità di George Hill dietro a Tony Parker. 2 vittorie e 3 sconfitte, tutte in trasferta. DeJuan Blair sta trasferendo a livello NBA le cifre per minuto che aveva al college, segnando 7,8 punti con 7,6 rimbalzi in 18,3 minuti di gioco, che proiettati sui 48 minuti diventerebbero 20 punti e 19 rimbalzi… Il trio dei leader è in rodaggio, mentre Jefferson sta incontrando qualche difficoltà a inserirsi in attacco. Situazione grigia anche a New Orleans, dove Chris Paul è davvero troppo solo. West e Okafor non stanno rendendo al massimo e due sole vittorie in sei incontri sembrano essere il preambolo di una stagione molto lunga e che a febbraio potrebbe anche vedere il fenomenale play cambiare aria. L’ultima sconfitta contro i Raptors, in casa, grida vendetta. Avventurandoci nei bassi fondi della conference, l’avventura di Allen Iverson con i Memphis Grizzlies parrebbe essere già al termine. La squadra perde, e su questo c’erano pochi dubbi, i galli nel pollaio sono tanti, così come i giovani da far crescere. Iverson è partito per 3 volte dalla panchina. Insulto insostenibile per Bubbachuck, che ha annunciato che si allontanerà dalla squadra per un periodo di tempo indeterminato, accusando coach Hollins di non aver voluto sostenere un colloquio a quattr’occhi per spiegarsi. Nel frattempo, nella trasferta di Denver, Mayo e Gay sono arrivati a un nonnulla dal mettersi le mani addosso. Se il buongiorno (non) si vede dal mattino… Altro giocatore che cambierà aria a breve è Stephen Jackson dei Warriors. Dove il caos continua a regnare sovrano. Le sconfitte sono 3 solo perché al momento Golden State è la squadra che ha giocato meno partite in tutta la Lega. L’ex Spurs è in rotta con Don Nelson da quest’estate, e la fila per accaparrarselo è abbastanza lunga.
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LA RUBRICA
La nuova rubrica di Stars ‘N’ Stripes dedicata agli amanti del gioco manageriale più diffuso al mondo. Terza tappa: tutti gli ‘Up’ e tutti gli ‘Under’ del primo scorcio di stagione
FFa an ntta ab ba as sk ke ett ‘‘S Sn nS S’’ DI
N ICOLÒ F IUMI
Primo appuntamento con il FantaNba di Stars’n’Stripes, rubrica che vuole essere un piccolo aiuto per tutti i fanta allenatori che anche quest’anno si cimenteranno nel mettere assieme le selezioni di giocatori NBA più forti possibili, sfidandosi chi su internet o chi tra amici. Aiuto che vuole arrivare nel sottolineare le migliori o peggiori prestazioni di giocatori inattesi alle suddette prestazioni e che quindi, per il bene della vostra squadra, vi potremmo consigliare di prendere o scartare. Siamo dunque al primo appuntamento da quando è stata alzato la palla a due di Cleveland – Boston e la stagione ha preso il via. L’inizio di stagione è sempre un momento delicato per un fanta coach, perché si
cominciano a vedere i primi risultati delle proprie squadre, valutando se determinate scommesse sono state vinte oppure perse. E quali sono i giocatori sui quali si scommette maggiormente senza avere un riferimento abbastanza chiaro sui cui effettuare questa scommessa se non i rookie? Ci soffermeremo infatti sui primi passi mossi nella Lega dai nuovi volti della NBA. E lo facciamo, considerando anche che l’attesissimo Blake Griffin è ancora ai box per infortunio, partendo da un giocatore che per noi italiani volto nuovo non è di certo. BRANDON JENNINGS, infatti, ha sorpreso tutti gli addetti ai lavori. Ok, non milita certo in una squadra di alto livello, ma se i Milwaukee Bucks sono riusciti ad ottenere qualche vittoria in
Chris Kaman http:/ johnstodderinexile.files.wordpress.com
23 PTS. 9,9 REBS. 1,86 BPG 58% FG
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questo inizio di stagione il merito è quasi tutto di questo smilzo ragazzino che in cinque partite ha messo assieme 18 punti, 4 rimbalzi e altrettanti assist di media, pochini a bene vedere per un play, con il 40% da oltre l’arco, suo grande tallone d’Achille nella sua stagione romana. Che dire, giocatore assolutamente da tenere d’occhio. Se confermasse questi numeri può valere la pena un investimento su di lui. Abbastanza secondo il copione Jonny Flynn e Tyreke Evans. Entrambi segnano quasi 15 punti di media, ma c’è da fare un distinguo non indifferente a livello di fantabasket. L’ex Syracuse tira con il 50% dal campo, il nuovo play dei Kings col 37. E ogni tiro sbagliato sono punti valutazione che se ne vanno… Tanti punti invece arrivano da un trio delle meraviglie che in questo momento sta portando tanti sorrisi agli allenatori che hanno deciso di investire fantamilioni su questi giocatori. Parliamo di Tywon Lawson, DeJuan Blair e Chase Budinger. Tutti e tre giocatori che, per motivi diversi, in sede di precampionato si pensava avrebbero avuto, almeno inizialmente, difficoltà a trovare minuti. E invece tutti sono già stabil-
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mente nelle rotazioni delle proprie squadre. Lawson e Budinger in doppia cifra per punti, Blair con 8 punti e altrettanti rimbalzi di media, forse il più indicato in ottica fantabasket. Non male Terrence Williams dalla panchina dei Nets dove comincia a far vedere tutta la versatilità che lo ha accompagnato a Louisville, sospendiamo il giudizio al momento su Stephen Curry, tiepidino fino ad ora. Pochi spazi, invece, per James Harden a Oklahoma City. Quello che veniva ritenuto uno dei giocatori più pronti dell’intero draft a dare il proprio contributo al momento è chiuso dalla solida rotazione di esterni dei Thunder. Meno di 15 minuti a partita per lui. Per il momento è meglio lasciar perdere. Ma tornate a fare un controllo fra qualche mese. Giù, giù a ancora giù, come peraltro previsto da molti, il perticone Tanzaniano Hasheem Thabeet, scelto altissimo lo scorso giugno. Si sa, i lunghi hanno tempi di sviluppo più dilatati rispetto agli esterni, ma al momento 6,8 minuti di impiego in una squadretta come Memphis sanno molto di bocciatura. Anche se siamo appena agli inizi. Poco utilizzo anche per Jordan Hill ai Knicks, Jrue Holiday a
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Ryan Anderson
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Phila e James Johnson a Chicago, dove invece guadagna fiducia Taj Gibson, oltre i 20 minuti di impiego con 6,5 punti. Occhio all’ex Biellese Jerebko che da qualche partita è nello starting five dei Pistons, così come all’israeliano Omri Casspi, dei Sacramento Kings. Viene dalla panchina e sfiora la doppia cifra di media. Specialmente adesso, con Garcia e Martin fuori per infortunio, potrebbe guadagnare ulteriore spazio e per qualche mese essere un notevole valore aggiunto. Si attendono infine sviluppi da Demar DeRozan a Toronto e Earl Clark a Phoenix. Vi lasciamo con una pillola che diventerà abituale,
ossia i 5 giocatori da prendere e i 5 da tagliare di questi primi giorni di NBA: UP
CHRIS KAMAN: 23 PT. 9,9 REBS. 1,86 BPG, 58% FG RYAN AND ERSO N: 15 PTS. 5 REBS. 43,6% 3 pt BRO OK LO PEZ: 18 PTS. 7,7 REBS 54,5% FG CHRIS DOUG LAS- RO BERTS: 15,6 PTS. 4,6 REBS JAMAL C RAWFO RD : 18,1 PTS. 49% FG DOW N AL THO RNTON: 7,3 PTS. 37% FG JOHN S ALMO NS : 13,8 PTS. 2.17 TO’s; 34,5% FG CHRIS DUHON: 7,4 PTS. 24,3% FG DELONTE WEST: 5,5 PTS. 36% FG RAMON SESS IONS: 5 PTS. 2,3 AST. 21,2 MIN.
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Ramon Session
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Y Yo ou u c ca an n’’tt c c m me e
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La nuova rubrica di Stars N Stripes su tutto quello che ruota attorno al mondo e alla pallacanestro a stelle e strisce
PAOLI
MANU GINOBILI: THE DARK KNIGHT Che fosse un giocatore straordinario, lo sapevamo. Che avesse sfiorato il titolo di MVP delle finali NBA, poteva effettivamente fornirci qualche serio dubbio. Ora, dubbi non ce ne sono più, sono volati via in un batter d'ali, quelle di un pipistrello. Manu Ginobili è un supereroe. Aveva provato più volte a mantenere il segreto. C'è riuscito per tantissimi anni, nascondendo la propria identità a compagni di squadra, addetti ai lavori e semplici tifosi. Manu ha però dovuto buttare giù la maschera e manifestarsi pubblicamente. E' lui il 'Cavaliere Oscuro', Batman. Le strade di San Antonio, come quelle di Gotham City possono tirare un respiro di sollievo. Manu continuerà a proteggere la sua gente, nonostante il suo segreto sia stato
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L'ODORE DEI SOLDI Tranquilli, non vi parleremo certo del celebre libro di Marco Travaglio. Argomento del giorno, invece, sono i cari vecchi bigliettoni verdi. Come di consueto, vengono pubblicate, dalle varie riviste specializzate, le classifiche dei team e dei giocatori che hanno, con i dead presidents, un rapporto diciamo privilegiato. Tra le squadre che dispensano più bigliettoni, sale in testa, scalzando gli Utah Jazz, nientedimeno che i campioni del mondo in carica che chiamano circa $91,377,313. Soldi ben spesi per mr. Jerry Buss. Dopo i Lakers, appunto i Jazz, che perdono questo pesante primato, spendendo 'solo' $84,654,219. Non moriranno
svelato. Manu è stato tradito da uno dei suoi più fedeli compagni, i pipistrelli. La sera di Halloween, curiosa coincidenza, nel corso della partita degli Spurs contro i Sacramento Kings, proprio un pipistrello è entrato, svolazzando in campo. Sulle prime, i vari presenti hanno cercato di catturare il volatile, senza riuscirci. E' stato il nostro Dark Knight, però, a porre fine alla rivoluzione di un suo suddito. Con il match interrotto per decisione arbitrale, Manu ha schiaffeggiato il pipistrello eversivo e questo è caduto esamine sulle lastre del parquet. I nemici e avversari sono avvisati. Mai contrapporsi al Cavaliere Oscuro. Mai opporsi a Batman. Mai far andare su tutte le furie Manu Ginobili. La reazione dell'eroe mascherato potrebbe essere terrificante.
certo di fame anche i players dei verdi bostoniani: $84,220,991 il monte salari dei Celtics. Quarto posto per un team tanto spendareccio quanto mediocre, almeno nei risultati sportivi. I Knicks di New York farebbero bene ad impiegare meglio i $83,977,806 spesi quest'anno. Quinto posto per i finalisti dell'est. Aggiungendo qualcosa ai $80,532,126, si potrebbe anche pensare al titolo, quello consegnato ai campioni NBA, non quello dei monte stipendi. Top 10 Team
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Lakers Utah Jazz Boston Celtics New York Knicks Orlando Magic Cleveland Cavaliers San Antonio Spurs Dallas Mavericks Washington Wizards Houston Rockets
$91,377,313 $84,654,219 $84,220,991 $83,977,806 $80,532,126 $79,975,195 $79,329,572 $78,516,175 $77,908,291 $74.271,249
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L’ODORE DEI SOLDI II Dai team ai giocatori. Il più ricco, in termini di stipendi è lo sfortunato Tracy McGrady. T Mac, che non ha mai vinto una serie di playoff, può vantare almeno un primato. Lo sconfitto, poi, è di eccellenza: Mr. Kobe. Eh si, il Black Mamba californiano deve accontentarsi, si fa per dire, del secondo stipendio più alto della NBA. D'accordo Duncan al quarto posto, così come Shaq al quinto. Ma cosa ci fa Jermaine O'Neal sul gradino più basso del podio? Retaggio di quando era un top player, direte voi. Ah già Jermaine era un top player.
Top 10 Players T.McGrady $23,239,561 Kobe Bryant $23,034,375 J.O’Neal $22,995,000 T.Duncan $22,183,218 S.O’Neal $20,000,000 D.Nowitzki$19,795,714 Paul Pierce $19,795,712 Ray Allen $19,766,860 R.Lewis $18,876,000 M.Redd $17,040,000 Classifica ampiamente prevedibile quella dei giocatori italiani. Il Mago in testa dopo la firma dell’estate, il Gallo al secondo posto e Fonte foto: Rocky abbozza nonostante l’esrcizio della nuova opzione. Italians: http://itsinhowyouinflect.files.wordpress.com Andrea Bargnani $6,527,490 Danilo Gallinari $3,089,040 Marco Belinelli $1,547,640
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J.R. Rider imperversava negli anni '90, nella lega NBA, più per le sue bizze che per le giocate a baloncesto. Intendiamoci, il talento c'era ed era purissimo. Atletico e con buona mano, J.R. partecipò anche ad una storica edizione della gara delle schiac-
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ciate esaltando chi vi scrive e soprattutto un Dan Peterson in telecronaca; era il 1994 e, alla fine, Rider vinse lo slam dunk contest, interrompendo momentaneamente il piccolo regno di
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Harold Miner. I problemi caratteriali, però, presero ben presto il sopravvento. Ora, con alle spalle una situazione difficile, gravi problemi di salute della moglie, svariate condanne penali quali possesso di cocaina ed il 'classico' repertorio di accuse riscontrabile tra i giocatori NBA 'problematici', con la convinzione di essere un reietto del mondo dorato della palla a spicchi a stelle e strisce, Rider intende ritornare a giocare. Il sempre modesto J.R. ha infatti dichiarato: “Ho ancora qualcosa nel mio serbatoio, è ancora nel mio sangue, è succo che scorre ancora”. Al di là delle dichiarazioni bellicose, l'ex Minnesota Timberwolves è consapevole degli errori fatti e, se potesse, tornerebbe indietro per cambiare qualcosa. Nel dibattito che, non è che abbia scatenato chissà quali scontri dottrinali, è intervenuto da par suo Shaq che una parolina ce l'ha per tutti o quasi. Come un novello Sherlock Holmes, il 'Diesel' ha individuato le cause del fallimento di Iasiah Rider tra i pro: “J.R. È il tipo di giocatore che fa a modo suo ma questo con-
Fonte foto: http:/ www.lebasketbawl.com
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trasta con un sistema di squadra; ogni volta che vai in un team, questo ha un suo sistema e tu devi rispettarlo”. Se poi, aggiungiamo noi, il sistema è quello di tale Phil Jackson, si capisce benissimo come l'esperienza in maglia gialloviola di Rider sia finita in maniera pressoché istantanea. Rider, che dice di essere in condizioni economiche sufficienti dal provvedere a se stesso ed alla propria famiglia, ha contattato il suo agente ed ora è quindi alla ricerca di un team per riprendere a dispensare il so talento cestistico. Dove? Non c'è differenza. Sia negli States che oltreoceano perché J.R. non ha perso né il suo fluido di gioco né la sua saggezza tipica da uomo della strada: “I soldi sono verdi dappertutto”. Appunto. Poi, perché la saggezza è di pochi, ha proseguito a rendere chiaro il suo verbo: “Dio mi ha donato un talento e io sento di poter giocare a basket per il periodo di tempo più lungo possibile”. Signori, sta per ritornare, se mai dovesse trovare un'anima pia pronta a credergli, J.R. Rider.
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NBA NEWS
S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S
Dopo l’esclusione dalla partita contro i Los Angeles Lakers e dopo le partenza dal pino, The Answer ha fatto sentire la sua voce
Memphis la ‘risposta’ errata per AI E pensare che era venuto nella città di Elvis per giocare e non per fare il sesto uomo chioccia stile Marbury 2009 in qualche contender..Di certo the Answer non ha gradito le ultime esclusioni dal quintetto titolare, in particolar modo dopo l’esclusione allo Staples Center contro i Lakers di Bryant (che lo ha superato nella classifica di marcatori di sempre della lega)..e infatti sono arrivate dichiarazioni intinte nel curaro contro la dirigenza e il coaching staff dei Grizzlies, reo di non rispettare il modo di giocare a basket dell’ex Hoyas e di precludergli la possibilità di dimostrare la sua longevità cestistica. Che Dio abbia scelto male per Allen Iverson questa estate?
La ‘Dea Bendata’ volta le spalle ai Kings: Martins out per 2 mesi La sfortuna sembra non voler abbandonare più i malcapitati Sacramento Kings, sempre più ai margini della Western Conference. Dopo l’infortunio che terrà fuori dai giochi Francisco Garcia per quattro mesi è infatti arrivato l’infortunio anche al top scorer Kevin Martin, acciaccatosi durante il match contro i Memphis Grizzlies (conditi da 48 perle a referto) e messo in mischia anche nella sconfitta contro gli Hawks (28 punti), che a quanto pare dovrebbe averne per almeno 2 mesi. Sembra veramente che il basket si stia allontanando sempre di più da Sacramento…
S TAR S ‘N’ STR I PES
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Ancora un record per il ‘Mamba’ Scavalcato Iverson nella classifica dei marcatori di sempre nella Nba al sedicesimo posto, il numero 24 dei Lakers diventa anche il più giovane giocatore a raggiungere 24.000 punti
NBA NEWS
G UGLIELMO B IFULCO DI
Non si arresta affatto la rincorsa di Kobe Bryant all’olimpo dei migliori marcatori di sempre nella NBA..nel match contro i Memphis Grizzlies, il Mamba, responsabilizzato maggiormente in attacco a causa delle assenze di Pau Gasol e Andrew Bynum, ha sbattuto 41 punti in faccia ad Iverson e soci, ha scavalcato A.I. nella citata classifica (siamo al sedicesimo posto attualmente), ed ha raggiunto più velocemente di tutti i 24.000 punti in carriera..va bene che Kobe non ha giocato al college, ma ha esordito a 18 anni appena compiuti nella lega, ma un record è sempre un record e per onore della cronaca va comunque citato. Che il Mamba abbia puntato Kareem?
Fonte foto: http:/ www.studentsoftheworld.info
Dudley ha trovato la sua ispirazione: divenire Governatore dell’Oregon L‘ex pivot dei Phoenix Suns e dei Portland Trail Blazers , raggiunte le quarantaquattro primavere, non ha nascosto le sue intenzioni di candidarsi come governatore dell’ Oregon nelle prossime elezioni che si terranno nello stato in cui tra l’altro ha anche giocato. Che in Italia cose del genere non se ne vedano molte è un conto (qualcuno immaginerebbe un Carlo Ancelotti qualsiasi al governo?), ma in un paese in cui lo stato della California è governato da un ex mister Olimpia ed ex attore, l’ottica dalla quale osservare e giudicare le cose è, in linea di massima, diversa. Ma non per forza sbagliata..
Andres Nocioni finisce sul taccuino dei ‘cattivi’
Fonte foto: http:/ www.celebrific.com
Dopo la celeberrima vicenda riguardante Delonte West, si aggiunge alla lista degli “enemies of the state” anche l’ala argentina dei Sacramento Kings Andres Nocioni, che dopo aver partecipato con i suoi Kings ad una sconfitta contro gli Atlanta Hawks sarebbe stato arrestato per guida in stato di ebbrezza..conscio della situazione imbarazzante per la propria società e per se stesso, l’argentino ha dichiarato: «Sono sinceramente dispiaciuto di avere deluso il management e la squadra con questo errore che riconosco di aver fatto e di cui me ne rammarico molto, perché sono il primo a pretendere la sicurezza quando sono al volante». Errare humanum est..
S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S
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Glen Davis: «Uno dei miei sogni più grandi era quello di diventare una stella della Nba, ed ora che ci sono riuscito voglio tentare con il football»
NBA RUMORS
‘Big Baby’ ed il sogno della...Nfl Stars ‘N’ Stripes ideato da:
Domenico Pezzella
scritto da:
Alessandro delli Paoli Leandra Ricciardi Nicola Argenziano Nicolò Fiumi
In Italia ne sappiamo qualcosa con Valentino Rossi, diviso tra motomondiale e formula 1. Dall’ altre parte dell’oceano, nel Massachusetts, si pone lo stesso interrogativo l’ala corpulenta e talentuosa dei Boston Celtics Glen “Big Baby” Davis, fermamente intenzionato a lanciarsi nel mondo del football. Queste le sue dichiarazioni: «Uno dei miei sogni era quello di giocare a basket e diventare una stella dell’ NBA. Ora che ho raggiunto questo sogno vorrei realizzarne un altro, ossia giocare nella NFL, e sono convinto di essere all’altezza della situazione. Non importa quale squadra mi chiami o in che ruolo vorrebbero che giocassi. Sono veramente pronto a tutto..». Serve aggiungere altro?
Domenico Landolfo Stefano Panza Vincenzo Di Guida Guglielmo Bifulco Alessio Caprodossi info, contatti e collaborazioni:
domenicopezzella@hotmail.it
Fonte foto: http:/ 4.bp.blogspot.com
S T A R S ‘ N’ S T R IP E S
NBA RUMORS
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Non siamo nemmeno vicini a quel primo di luglio del 2010 eppure il nome di The Chosen One viene continuamente sballottolato a destra e a manca, l’ultima destinazione la città degli Angeli
Ci mancava solo LA nei pensieri di Lebron Incredibile ma vero, ancora non si arrestano le parole e le congetture riguardanti il futuro del free agent più desiderato da decenni a questa parte, ma, di contro, continuano a girare nuove voci e nuove possibilità sul futuro del Prescelto. Proprio nella settimana in cui è capitata l’unica (e ultima in assoluto?) apparizione stagionale al Madison Square Garden (ennesima prestazione maiuscola, tanto per gradire..), ha iniziato a girare un rumor alquanto intrigante sull’eventualità che James possa sbarcare nella western conference, sponda L.A. Lakers, a formare una coppia potenzialmente devastante con Kobe Bryant. L’ipotesi può essere attendibile se si considera che Cleveland corre il rischio di perdere il suo attuale leader con nulla in cambio la prossima estate: traendo spunto da questa ipotesi i Cavs rifirmerebbero James, per poi girarlo a L.A. in cambio di Bynum, Artest, Odom e qualche altro elemento di spessore inferiore. L’ affare fa di sicuro gola ai Cavs, che, seppur intenzionati a riconfermare LBJ, quantomeno non correrebbero il rischio di implodere a livello di qualità nel roster in caso di cessione..I Lakers si esporrebbero a un notevole ma affascinante rischio: ne varrebbe la pena? Al lettore il parere..
Fonte foto: http:/ blogs.ajc.com
Tra i due litganti il terzo gode: gli Charlotte Bobcats Per la serie: tra i 2 litiganti il terzo gode..è oramai notorio che l’ala dei Warriors Stephen Jackson sia decisamente intenzionato a cambiare divisa in tempi quanto più brevi possibili e che i Cleveland Cavs ed i Denver Nuggets abbiano apertamente manifestato un concreto interesse per il giocatore. Le operazioni tuttavia rimangono in fase di stallo a causa della scomoda situazione contrattuale del Warrior e della penuria di contropartite proponibili dalle 2 franchigie e , a quanto pare, sembrano essersi inseriti con discreto successo gli Charlotte Bobcats nella contesa. Che avere come coach Larry Brown sia un ottimo motivo per dire di si è una corrente di pensiero più che comprensibile..ma giocare per il titolo..?
Tayshaun Prince? O non Tayshaun Prince, questo è il prblema... L’ultima esclusione dal campo di Tayshaun Prince, ufficialmente causa infortunio, è stata da molti interpretata come il preludio ad una trade imminente che coinvolgerebbe i contratti di Prince e Jason Maxiell in cambio di contratti in scadenza per mettere i Pistons in coda alla lista delle franchigie che questa estate cercheranno di ammaliare i free agent migliori.. Dietrologia esclusa, l’esclusione sarebbe causata da un semplice infortunio e le parole di Dumars potrebbero confermarlo: «Sono stanco di vedere tante facce nuove. Gradirei un po’ di stabilità..».
S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S
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NBA STANDING
TEAM
BOSTON PHILADELPHIA TORONTO NEW YORK NEW JERSEY
TEAM
CHICAGO MILWAUKEE CLEVELAND DETROIT INDIANA
TEAM
ATLANTICDIVISION
W L PCT GB CONF DIV HOME ROAD L10 STREAK
7 1 0. 875 0.0 5-0 2-0 3 4 0.429 3.5 3-3 2-1 3 4 0.429 3.5 2-1 0-0 1 7 0.125 6.0 0-6 0-1 0 7 0.000 6.5 0-5 0-2
3-1 2-2 2-1 1-4 0-3
4-0 1-2 1-3 0-3 0-4
7-1 3-4 3-4 1-7 0-7
CENTRAL DIVISION
W L PCT GB CONF DIV HOME ROAD L10 STREAK
4 2 0.667 0.0 3-2 3 2 0.600 0.5 2-2 4 3 0.571 0.5 3-3 3 4 0.429 1.5 2 -3 2 3 0.400 1.5 2-2
2-0 1-1 0-1 0-1 0-0
3-0 2-0 2-2 2-1 1-2
1-2 1-2 2-1 1-3 1-1
4-2 3-2 4-3 3-4 2-3
SOUTHEAST DIVISION
MIAMI2 ATLANTA3 ORLANDO5 CHARLOTTE8 WASHINGTON
W1 L2 L2 L4 L7
W3 W2 W1 W1 W2
W L PCT GB CONF DIV HOME ROAD L10 STREAK
5 1 0.833 0.0 5 2 0.714 0.5 5 2 0.714 0.5 3 3 0.500 2.0 2 5 0.286 3.5
4-0 2-1 4-1 3-3 1-4
1-0 1-1 0-0 1-0 0-2
3-1 3-0 3-0 3-0 1-2
2-0 2-2 2-2 0-3 1-3
5-1 5-2 5-2 3-3 2-5
W2 W1 L1 L1 L4
TEAM
SOUTHWEST DIVISION
DALLAS4 HOUSTON5 SAN ANTONIO7 NEW ORLEANS MEMPHIS
TEAM
4 4 3 3 1
2 0.667 0.0 3-1 2 0.667 0.0 4-2 3 0.500 1.0 2-2 5 0.375 2.0 3-2 6 0.143 3.5 0-5
0-1 0-0 1-0 1-1 0-0
2-1 2-1 3-0 2-1 1-1
2-1 2-1 0-3 1-4 0-5
4-2 4-2 3-3 3-5 1-6
NORTHWEST DIVISION
DENVER PORTLAND OKLAHOMA CITY UTAH MINNESOTA
TEAM
W L PCT GB CONF DIV HOME ROAD L10 STREAK
PHOENIX L.A. LAKERS SACRAMENTO L.A. CLIPPERS GOLDEN STATE
W1 W1 W1 W1 L5
W L PCT GB CONF DIV HOME ROAD L10 STREAK
5 4 3 2 1
2 0.714 0.0 3-0 3 0.571 1.0 4-2 3 0.500 1.5 1-3 4 0.333 2.5 2-4 6 0.143 4.0 0-3
2-0 2-1 0-1 0-1 0-1
2-0 3-2 2-2 2-2 1-3
3-2 1-1 1-1 0-2 0-3
PCIFIC DIVISION
5-2 4-3 3-3 2-4 1-6
L2 W2 W1 L1 L6
W L PCT GB CONF DIV HOME ROAD L10 STREAK
7 1 0.875 0.0 3-0 6 1 0.857 0.5 5-1 3 4 0.429 3.5 3-3 3 5 0.375 4.0 3-5 2 4 0.333 4.0 2-4
2-0 1-0 1-0 1-2 0-3
2-0 4-1 2-1 2-3 2-2
5-1 2-0 1-3 1-2 0-2
7-1 W 3 6-1 W 5 3-4 W 2 3-5 L 1 2-4 W 1
S T A R S ‘ N’ S T R IP E S
TEAM
53
EASTERN CONFERENCE
BOSTON1 MIAMI2 ATLANTA3 CHICAGO4 ORLANDO5 MILWAUKEE6 CLEVELAND7 CHARLOTTE8 TORONTO DETROIT PHILADELPHIA INDIANA WASHINGTON NEW YORK NEW JERSEY
PLAYER
W L PCT GB
7 5 5 4 5 3 4 3 3 3 3 2 2 1 0
1 1 2 2 2 2 3 3 4 4 4 3 5 7 7
0.875 5-0 0.833 1.0 0.714 1.5 0.667 2.0 0.714 1.5 0.600 2.5 0.571 2.5 0.500 3.0 0.429 3.5 0.429 3.5 0.429 3.5 0.400 3.5 0.286 4.5 0.125 6.0 0.000 6.5
L10
7-1 5-1 5-2 4-2 5-2 3-2 4-3 3-3 3-4 3-4 3-4 2-3 2-5 1-7 0-7
STREAK
W1 W2 W1 W3 L1 W2 W1 L1 L2 W1 L2 W2 L4 L4 L7
WESTERN CONFERENCE
TEAM
PHOENIX1 L.A. LAKERS2 DENVER3 DALLAS4 HOUSTON5 PORTLAND6 SAN ANTONIO7 OKLAHOMA CITY8 SACRAMENTO UTAH NEW ORLEANS L.A. CLIPPERS GOLDEN STATE MEMPHIS MINNESOTA
W L PCT GB
7 6 5 4 4 4 3 3 3 3 3 3 2 1 1
1 1 2 2 2 3 3 3 4 4 5 5 4 6 7
0.875 0.0 0.857 0.5 0.714 1.5 0.667 2.0 0.667 2.0 0.571 2.5 0.500 3.0 0.500 3.0 0.429 3.5 0.429 3.5 0.375 4.0 0.375 4.0 0.333 4.0 0.143 5.5 0.125 6.0
L10
7-1 6-1 5-2 4-2 4-2 4-3 3-3 3-3 3-4 3-4 3-5 3-5 2-4 1-6 1-7
NBA STATS
SCRORES
1 KOBE BRYANT , LAL 2 CARMELO ANTHONY , DEN 3 KEVIN MARTIN , SAC 4 CHRIS BOSH , TOR 5 DWYANE WADE , MIA
POINTS
33.6 31.4 30.6 29.0 28.0
PLAYER
REBOUNDS
1 GERALD WALLACE , CHA 2 MARC GASOL , MEM 3 TIM DUNCAN , SAS 4 CARLOS BOOZER , UTA 5 CHRIS BOSH , TOR
REBOUND
13.8 11.9 11.8 11.6 11.6
PLAYER
STREAK
W3 W5 L2 W1 W1 W2 W1 W1 W2 W1 W1 L1 W1 L5 L7
ASSISTS
1 STEVE NASH , PHX 2 DERON WILLIAMS , UTA 3 CHRIS PAUL , NOH 4 RAJON RONDO , BOS 5 JASON KIDD , DAL
ASSIST
12.9 10.7 9.8 9.0 8.2
La lente di ingrandimento di Stars N Stripes sulla LegaA
L a S q u ad r a. . .
Micha e l Hicks
L a S q u a d ra . . .
La Rin ascita di Napoli
M A DE I N I T A LY
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L’Hicks ‘Factor’ della Scavo Spar MADE IN ITALY -1 IL PERSONAGGIO
DI
D OMENICO L ANDOLFO
Di nascita ed estrazione cestistica panamnese, ma oramai italiano e pesarese d'adozione, Michael Hicks è una delle bandiere del basket italiano, capitano e mentore della Scavospar Pesaro, che da leader ha riportato in serie a e di cui ora è il capitano, il cantante solista pronto sempre a fare la sua parte, con il suo immenso talento, col cuore e con quelle giocate che l'hanno messo sotto gli occhi di tutto il mondo. Considerato fra gli addetti ai lavori, da chi un tre, da chi una guardia tiratrice, sia in Italia che nella sua nazionale, non ha mai steccato un colpo, riuscendo sempre a fornire non solo grandi quantità di punti, che gli sono valsi numerosi riconoscimenti, tra cui il premio di capocannoniere in italia del 2008, ma anche riuscendo a distinguersi per quell'intelligneza cestistica e quella sagacia tattica che contraddistinguono solo i grandi fenomeni. Chi ha avuto la possibilità di vederlo e apprezzarlo da vicino, avrà potuto notare una grande predispozione alla tuttologia: partenza dal palleggio devastante, tiro in sospensione o in uscita dai blocchi, terzo tempo come se fosse un play e anche una dose di altruismo che riesce a mettere in ritmo i compgani; se lo guardiamo dall'altro vesrante dal campo noteremmo che nonostante l'altezza di 195 è capace di marcare con ottime mani e piedi veloci anche giocatori più piccoli di lui, ma che soprattutto se ha la possibilità di esplodere a rimbalzo può arrivare in
doppia doppia anche ogni serata. Se guardiamo a lui come cestista non si avrà mai niente da obiettare, sempre disciplinato sul campo e fuori, leader sì ma silenzioso, che dimostra sul campo e non a parole quale sia il suo valore. E' un simbolo di cosa sia la passione per il basket, giacchè a 33 anni, quando suoi coetanei pensano di trovare un buon contratto per sistemarsi, lui continua a stare sul campo, a difendere la causa pesarese e anzi a guidare l'armata biancorossa portandone in mano il vessillo in qualità di capitano e giocando più di 30 minuti a partita, sempre con la stessa lucidità. Dei flashback pensando a questo giocatore vengono alla memoria: anno della promozione in a1 di pesaro, una partita di fine dicembre Pesaro contro Caserta, una classicissima del basket tricolore, e nonostante fosse una partita sentita, con tanto tifo, nonostante fosse acciaccato e nn era al meglio, nonostante Marcelletti, mago della difesa le provò tutte per fermarlo, piazzò un trentello che sbaragliò i bianconeri, e rappresentò forse la svolta in un campionato che Pesaro non aveva dominato come ci si aspettava, almeno fino ad allora. Una partita sempre a testa alta, sempre a fare la cosa giusta al momento giusto, senza forzature, semplicemente di un altro pianeta. Nel basket certe volte il talento è sinonimo di sregolatezza, ma in questo ragazzo, vuoi il sangue latino, vuoi la grande personalità, troviamo solo tanti pregi, che lo porteranno a entrare di diritto nella storia della palla a spicchi italiana. Genio e classe allo stato puro che a parte sprazzi di fine stagione nella sua patria, non ha mai messo piede altrove, restando fedele al basket del Bel Paese. E' e rimarrà probabilmente la nuova colonna del basket pesarese dopo il carissimoe compianto Alphonso Ford, la nuova icona della Scavolini che vuole tornare in alto e che ancora a lui si affida. Anche in questo avvio di stagione, la risposta del nativo di Panàma è stata "presente!", e nonostante i suoi 15 a sera di media, sono arrivate tre sconfitte, che sicuramente lo caricheranno a mille per le prossime giornate; e chissà che quel match alla 5^ giornata al Palmaggiò di Caserta non possa segnare una nuova svolta per Pesaro, che tra tanti giovani prospetti, e buoni veterani, sa sempre di avere un asso nella manica, l' " X factor".
M A DE I N IT A LY
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La Mar tos di Papalia è il nuovo oro di Napoli? MADE IN ITALY -2 LA SQUADRA
Dopo la scomparsa della scorsa stagione, la città flegrea torna nel gotha del basket italiano anche se in una situazione poco chiara DI
N ICOLA A RGENZIANO
Che non sarebbe stato un gioco lo sapeva lui per primo, ma che diventasse così dura e ripida la montagna da scalare in questa nuova (o semi-nuova) avventura non se lo sarebbe di certo aspettato, almeno non fino a questo punto. Gaetano Papalia per anni ha cullato la sua creatura in quel di Rieti e dopo l’avvincente (e dispendiosa) promozione ottenuta sul campo 3 stagioni or sono in uno dei campionati di Legadue piu’ belli di sempre, ha l’estate scorsa rinunciato per problematiche ormai insormontabili sia di natura economica che impiantistica a far sopravvivere la “sua” Nuova Sebastiani nel capoluogo di provincia laziale trasferendo baracche e burattini in quel di Napoli. Idea certamente di pregevole
intento se consideriamo la cosa dal punto di vista filantropico: restare a Rieti significava quasi certamente scomparire, quindi passare a Napoli con l’intento di ridare ad una grande piazza il basket che conta dopo il fallimento dell’ex sodalizio del presidente Maione e al contempo salvare il titolo sembrava la cosa piu’ giusta da fare. Il presidentissimo reatino però ha fatto male i conti o forse soltanto bruciato tappe fondamentali per poter porre le basi giuste al progetto. La società infatti si è spostata all’ombra (si fa per dire) del Mario Argento in punta di piedi, forse troppo, senza mai esprimere chiarezza in maniera decisa; addirittura in primi tempi ancora qualcuno attribuiva l’Nsb a Rieti, prestata al capoluogo campano per problematiche
M A D E I N IT A L Y
impiantistiche. Nonostante le smentite, tra l’altro povere di convinzione e autorevolezza, la diffidenza non è mai stata scalfita. Il presidente Papalia ha cercato strade di comunicazione personali come Facebook, dove senz’altro con costanza e puntualità comunica con chi gli scrive e cerca risposte sulle vicende del team, ma non ha mai (soprattutto con gli organi di stampa locali) cercato di porre radici dal punto di vista mediatico e non è mai andato dritto nel cuore degli appassionati campani che almeno sino ad ora non hanno abboccato alle dichiarazioni di rito sulla certezza che il progetto sia per Napoli che per i cestofili napoletani. Se a tutto ciò aggiungiamo comunque una solidità econo-
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mica non tale da permettere l’allestimento di un roster che possa provare (non diciamo riuscire) a salvarsi allora arriviamo anche a capire perché gli abbonati non siano piu’ di 200 (anche se i maligni insinuano una settantina…). Se il progetto societario è stato sino ad ora infatti carente, quello tecnico è ancora da comprendere e definire. All’inizio della stagione è stato ingaggiato infatti Franco Marcelletti, contando sulla sua esperienza e sulle sue capacità di riuscire a trarre il massimo anche da giocatori di non eccelsa fattura. Poi però le caselle dei giocatori hanno cominciato a riempirsi con nomi poco altisonanti (eufemismo) per cercare di dare un minimo di speranza ai fini dell’obbiettivo stagionale. Se escludiamo la parentesi J.R. Reynolds, il quale comunque sarebbe stato un debuttante in serie A, il resto dei nomi lascia piu’ che qualche perplessità (altro eufemismo…): Tsaldaris, Drobnjak (non Pedrag però…), Spippoli, Kruger (!), Allred (altro fuggitivo sponda Pesaro), Akedele, Ogebsley (poi tagliato), Muurinen e qualche giovane della nidiata farebbero la felicità di ogni allenatore che si appresti ad iniziare un campionato di A dilettanti (la ex B1 per intenderci). Su questa base coach Marcelletti ha provato ad imbastire un discorso di natura tecnica, anche se già dalle prime amichevoli i segnali non erano incoraggianti. Poi all’improvviso la grana Allred, tagliato dopo aver sul proprio sito lamentato una cattiva gestione tecnica e il mancato pagamento di alcuni stipendi (ipotesi questa che non ha mai trovato conferma però e che lo stesso Papalia si è affrettato a smentire con fermezza) aprendo così un’altra falla in un roster già non scintillante di suo, costretto tra l’altro a partire con 2 punti di penalizzazione per il non rispetto di alcune procedure amministrative. Ci ha pensato poi anche Reynolds ad abbandonare la barca, anch’egli si dice per dissidi tecnici, facendo si che la situazione diventasse ancor piu’ critica. La prima giornata di campionato poi non lasciava certo speranze alla fantasia visto che l’esordio vedeva il neonato team azzurro (?) affrontare il Montepaschi Siena (certo che a volte il destino….) che come suo solito non si è lasciato pregare ed ha annichilito senza sforzo la banda Marcelletti. Ad aggiungere incertezza su incertezza poi ci ha pensato la società stessa con l’esonero del coach casertano all’indomani della seconda pesante sconfitta nel derby con Avellino tra le mura amiche, decisione questa che qualche ha destato qualche perplessità nella tempistica visto subito dopo Papalia ha cercato di rinforzare il team con quelli che sono gli arrivi degli ultimi tempi. Nomi di tutto rispetto come nel caso di Damon Jones e Bob Taylor, due coloured con esperienza vera nella Nba, e di gregari solidi come Skele che di certo possono dare una mano consistente ad un team che in questo momento è soprattutto minato nella fiducia e nella mentalità dopo l’ennesimo passivo pesante (dopo l’incoraggiante match contro la Virtus Bologna) subito dalla Pepsi Caserta al Pala Barbuto ha ancora una volta certificato che il team è ancora lontanissimo dall’essere candidato autorevole alla salvezza. Oltre tutto ciò però è ancora triste vedere come il pubblico partenopeo ancora non abbia a cuore le sorti di questa società. Sotto molti punti di vista c’è da comprendere l’atteggiamento degli appassionati e delle tifoserie organizzate, ma è anche vero che ora come ora il dado è tratto e con un po’ di sforzo da ambo le parti si potrebbe fare piu’ di qualche passo avanti per porre una base per un probabile (si spera) futuro del basket di alto livello a Napoli. Ora come ora di sicuro è notte fonda in ogni aspetto, ma qualcuno diceva che adda passa’ ‘a nuttata….
STAR S ‘N’ STR I PES ON T H E R OA D
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Mi l wau k e e: th e ‘ Ha rl ey ’ Ci t y ON THE ROAD DI
L EANDRA R ICCIARDI Tuesday, Wednesday, Happy Days. Sunday, Monday, Happy Days.
Thursday, Friday, Happy Days.
The weekend comes, My cycle hums, Ready to race to you….. ‘Ehiii’… chi non conosce la mitica canzone della Sit-com “ Happy Days” che dal 1974 cavalca ancora l’onda dell’etere, attualmente anche quella via satellite, visto che questa serie tv ambientata nel Wisconsin è ancora in onda su Sky oltre che su Italia 1. Ma Milwaukee non è ricordata solo per questa serie televisiva Cult, è una città viva con un’anima rumorosa e rombante proprio come il suo simbolo principale la spettacolare Harley-Davidson..Difatti questa città è nota anche per essere stata la culla di William Harley e Arthur Davidson, compagni di scuola che ormai un secolo fa vendettero la loro prima motocicletta firmata Harley-Davidson. Ora queste leggendarie motociclette sono un simbo-
lo dell’intero stato americano e, se si è interessati a come l’industria moderna continui la loro produzione, sarà interessante recarsi nello stabilimento dell’Harley-Davidson situato nel sobborgo di Wauwatosa. Nonostante la visita possa risultare un po’ tecnica, la ricompensa finale è più che soddisfacente per gli appassionati, che hanno la possibilità di salire in sella ad alcune fantastiche Harley d’epoca, eccezion fatta per quella di Elvis, che invece si può vedere al Harley Davidson Museum. La Harley detiene una celebrazione enorme ogni cinque anni.. attira piloti di ogni parte del mondo e celebrità di ogni genere, il suo 105° anniversario è stato celebrato nel 2008, quindi ci si sta preparando per il 2013 per il 110° anniversario!! Milwaukee è la più grande città nello stato del Wisconsin si trova nella parte sud-orientale dello stato, sulla sponda occidentale del lago Michigan. Radicata nella cultura tedescaamericana: duro lavoro, birra alla spina, un sacco di cibo, ed è proprio per queste sue caratteristiche e da questo clima che è stato generato il festival di musica più grande del mondo, il Summerfest di Milwaukee.
S TAR S ‘N’ STR I PES ON T H E RO A D
Anche se ci sono molti festival che si verificano ogni estate lungo il lungolago di Milwaukee, nessuno è così popolare come "The Big Gig" .Quest’ultimo attira circa un milione di visitatori l'anno per le sue undici tappe. I punti salienti del Summerfest sono spesso i grandi artisti che si esibiscono All’Anfiteatro Marcus, una sede di 25.000 posti su un lato del terreno. Parlando di feste non può mancare la birra!!! Questa frizzante città in passato era la sede di quattro delle fabbriche di birra più grande del mondo (Schlitz, Blatz, Pabst, e Miller), ed è stata la numero uno tra le città produttrici di birra nel mondo per molti anni e nonostante il calo nella sua posizione, dopo la perdita di tre di questi produttori di birra, rimane la Miller Brewing Company importantissima anche per il numero di lavoratori che ne fanno parte, circa 2,200 della stessa città. Grazie a ciò si è guadagnata anche il soprannome di "Brew City". Orientarsi a Milwaukee non è per niente difficile, in quanto le vie sono numerate da nord a sud a mano a mano che ci si allontana a ovest del Lake Michigan. I Dintorni offrono qualcosa per tutti. Historic Brady Street, uno dei quartieri più trendy di Milwaukee, adatto soprattutto per lo shopping eclettico. The Historic Third Ward è pieno di storia e architettura. Il Lake Michigan è un’ottima destina-
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zione per chiunque ami fare passeggiate e trascorrere le giornate all’aria aperta, con il Riverwalk che presenta una bellissima rete di percorsi pedonali su entrambe le sponde. La città presta molta attenzione all’ambiente, come del resto tutto lo stato del Wisconsin, ed è molto impegnata nella raccolta differenziata, nella riduzione del consumo energetico e nella tutela dell’ambiente. COME ARRIVARE E COME MUOVERSI Il General Mitchell International Airport, dista poco più di dieci chilometri dal downtown ed è facilmente raggiungibile con autobus o, per i più facoltosi, con i molti taxi che ogni giorno fanno la spola tra il centro e lo scalo. Una delle comodità principali è che quasi tutti i luoghi di interesse sono facilmente raggiungibili con i mezzi pubblici di cui dispone la città. Infatti, la fitta rete di autobus permette collegamenti non solo all’interno della città, ma anche con le vicine metropoli di Chicago e Minneapolis. Per arrivare a Chicago è molto efficiente anche la Hiawatha, un treno Amtrak che effettua servizi sette volte al giorno da/a Chicago. Potete anche noleggiare un auto, vi consiglio i siti: www.liligo.com e www.expedia.it, per orientarvi dovete munirvi di una cartina oppure, collegatevi ad un sito di mappe online
come: www.mapquest.it o www.yahoo.it e stampatevi il tragitto che vi serve. COSA VEDERE US Bank Center: Costruito nel 1973, la US Bank Center è l'edificio più alto dello stato del Wisconsin, è alto 183 metri ed ha 42 piani. L'edificio ospita gli uffici della Banca degli Stati Uniti, gli uffici Milwaukee di IBM, lo studio legale di Foley & Lardner, l'impresa di investimento di Robert W. Baird & Company, e Bud Selig, il commissioner della Major League di Baseball. The Bridge Hoan: Insieme con l'edificio della Banca degli Stati Uniti, il Ponte di Hoan è uno dei punti di riferimento della città.Si tratta di un ponte legato ad arco sospeso sopra il porto di Milwaukee. La costruzione del ponte iniziò nel 1970 e terminò nel 1972 non fu completato subito ma nel 1977. A causa di questo suo stato incompiuto è stato utilizzato come sede della scena inseguimento in auto nel film The Blues Brothers . Pabst Brewery Complex: l’ex fabbrica di birra si trova sul lato nord-est della città, adiacente al Palazzo di Giustizia di Milwaukee, anche se la fabbrica di birra non è più in funzione resta ancora un'icona per la città. È attualmente in fase di ristrutturazione ed è mirata ad essere
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trasformata in un luogo pieno di abitazioni,uffici, ristoranti e vari punti d’ interesse. M i t c h e l l P a r k H o r ti c u l t u r a l C o n s er v a t o ry : Composto da tre cupole: una cupola arida del conservatorio ospita una bella collezione di cactus; la cupola tropicale ospita piante dalla foresta pluviale e la cupola dello spettacolo floreale ospita un gran numero di mostre di boccioli, a temi diversi, durante tutto l'anno. Il Milwaukee Art Museum: Puoi passare un giorno intero, anche di più, visitando la vasta collezione di questo museo da quasi 20.000 pezzi che rappresenta una varietà di artisti tra cui Pablo Picasso, Georgia O'Keefe e Andy Warhol. Milwaukee's City Hall: è stato il simbolo più importante della città, prima del completamento della Calatrava. L'architettura è fortemente influenzata da quella della Germania. Basilica di San Giosafat: situata nel quartiere di Lincoln Village di Milwaukee, Wisconsin, nella Arcidiocesi di Milwaukee, è uno dei 62 basiliche minori trovati in Stati Uniti. Nella
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sua grandezza e opulenza, è un eccellente esempio del cosiddetto stile polacco architettonico della chiesa in Nord America. Allen-Bradley Torre dell'Orologio: è il marchio di Rockwell Automation che si occupa di automazione industriale e la Allen-Bradley Clock Tower (torre dell'orologio) di Milwaukee ha il più grande orologio a quattro lati del mondo. La statua Fonzie: si trova sul lato est del fiume Milwaukee, appena a sud di Wells Street, sul Riverwalk. Cathedral Square Park: Questo parco è vicinissimo al centro della città. E' noto soprattutto per il Jazz ci sono concerti liberi durante l'estate . Veteran's Park: Il parco si trova sul lungolago, appena a nord del Art Museum comprende un laghetto dove si può fittare un pedalò o noleggiare delle biciclette per girare il parco. McKinley & Marina Beach: McKinley Park è un luogo ideale per chi vuole pescare o rilassarsi sulla spiaggia. Molte persone amano passeggiare sul molo enorme che porta al lago Michigan.
Lake Park: progettato e costruito da Frederick Law Olmsted, lo stesso uomo che ha costruito la Central Park di New York. Si tratta di uno dei più bei parchi di Milwaukee. Milwaukee County Zoo: è uno zoo di classe mondiale che dispone di 2.500 gli animali che rappresentano 300 specie su 200 ettari di terreno. Oltre vetrine degli animali, lo zoo offre anche escursioni in treno, spettacoli di leoni marini, e un caseificio. . Harley-Davidson Museum: visitabile a piedi attraverso una serie di mostre che raccontano le storie di straordinario persone, prodotti, storia e cultura della Harley-Davidson. In aggiunta alla collezione fantastica di moto, vengono raccontate storie attraverso una varietà di mezzi di comunicazione, tra cui fotografie, video, abbigliamento, documenti rari ed altri affascinanti manufatti. Milwaukee Riverwalk: copre 3 miglia lungo il fiume Milwaukee attraverso il centro della città. Concepito nel 1990 per aumentare l'accesso del pubblico al corso d'acqua, il Riverwalk Milwaukee è cresciuto fino a inclu-
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dere una mostra d'arte chiamata RiverSculpture!, Il Riversplash! Festival, Riverwalk Park, gli sbarchi taxi acqueo, e altre sedi, quali caffè, e birrerie. The Mansion Pabst: la Pabst Mansion è un testamento al successo di Frederick Pabst, il suo amore per la vita e la sua eredità tedesca. Vanta splendidi interni, eleganti arredi originali, rivestimenti murali elaborati, il migliore artigianato in legno, ferro battuto vetro colorato, l'arte rara, la Mansion aiutato a rendere il 1890 il "Decennio Pabst" a Milwaukee. Il Petit National Ice Center: è un rinomato centro di formazione olimpica dove ci sono due piste da Hockey. Milwaukee Public Museum: Considerato uno dei migliori musei di storia naturale degli Stati Uniti, il museo ospita oltre sei milioni di oggetti. Le mostre includono una foresta pluviale da due piani, un giardino di farfalle tropicali e una riproduzione delle "Vie della vecchia Milwaukee. Betty Brinn Children's Museum: I bambini fino a 10 anni possono guardare e toccare questo museo educativo interattivo, dove imparano sulla vita di tutti i giorni in modi unici e fantasiosi, scivolando sotto i ventricoli di un cuore umano gigante fino a fare giochi di ruolo su diversi giochi e altre innumerevoli
attività ricreative. Miller Brewing Company: La terza più grande fabbrica di birra del mondo offre visite gratuite e degustazioni a chiunque sia interessato alla fabbricazione, alla fermentazione, all'invecchiamento e all'imbottigliamento della birra. Boerner Botanical Gardens: Questi giardini, situati nel parco di Whitnall, offrono una magnifica varietà di piante e fiori, incluse rilevanti collezioni di rose e sempreverdi. DOVE DORMIRE Dormire a Milwaukee non è un problema, ci sono alberghi e motel per tutte le tasche! Motel 6 Milwaukee South - Airport: 5037 South Howell Avenue, Milwaukee. A pochi km dall’aeroporto, molto semplice e confortevole, ottimo rapporto tra qualità/prezzo. Prezzi da 30 € a notte. Hampton Inn Milwaukee Airport: 1200 W College Ave, Milwaukee, WI 53221. A soli 2,9 km dal Milwaukee General Mitchell Intl. Airport. Tranquillo e confortevole, potete usufruire di piscina e idromassaggio oltre a collegamento ad internet gratuito, e business center. Prezzi da 51€ per notte. Best Western Inn Towne Hotel:
710 North Old World Third Street, Milwaukee. Situato nel cuore di Milwaukee, centro culturale ed economico dello stato del Wisconsin, questo hotel offre comodi servizi quali la connessione internet wireless gratuita e un ristorante in loco. Il Best Western Inn Towne si trova a breve distanza a piedi dal centro congressi Midwest Airlines Convention Center e da numerosi musei. Anche la sede del Lakefront festival, i vivaci teatri e i locali notturni della città sorgono nelle vicinanze. Prezzi da 68€ per notte. Knickerbocker on the Lake: 1028 East Juneau Avenue, Milwaukee A pochi passi dal lungolago, elegante, confortevole e tranquillo. Consiglato a chiunque desideri godere di tutto il fascino della città senza il solito trambusto. Prezzi da 70€ a notte. Crowne Plaza Milwaukee Arpt: 6401 south 13th street Milwaukee. Nei pressi dell’aeroporto confortevole e carino, con piscine coperta, idromassaggio, centro fitness interno, servizio di navetta gratuito per l’aeroporto. Prezzi da 76€ per notte Hilton Garden Inn Milwaukee Park Place: 11600 West Park Place, Milwaukee. Un po’ più lontano dal centro, dista 13 km dallo zoo e dal Miller park. Anche se la posizione non è cen-
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trale.. è molto confortevole e funzionale, internet (gratuito), piscina coperta,business center, lavanderia, piscina, palestra, ristorante. Prezzi da 77€ a notte. Radisson Hotel Milwaukee North Shore : 7065 North Port Washington Road. A soli 8 km dal Downtown e dal lago Michigan,offre tutti i tipi di confort. Prezzi da 91€ per notte Ambassador Inn - Milwaukee: 2308 W Wisconsin Ave, Milwaukee. A pochi km dal Mitchell Park Horticultural Conservatory, la Biblioteca centrale di Milwaukee, il Milwaukee Museum , il Midwest Airlines Center ,U.S. Cellular Arena e dal Bradley Center. Offre una navetta gratuita che porta al centro della città, confortevole e carino. Prezzi da 112€ a notte Courtyard by Marriott Milwaukee Downtown: 300 W Michigan St, Milwaukee. Vicinissimo all’Art Museum e a pochi passi dai maggiori punti di interesse. Idromassaggio, centro fitness e tutti i confort desiderabili. Tranquillo, elegante e confortevole. Prezzi da 113€ a notte. Hyatt Regency Milwaukee: 333 W Kilbourn Ave, Milwaukee. Oltre ad essere un hotel moderno, tranquillo e confortevole, gode di una posizione centralissima vicina a tutti i maggiori punti d’interesse. Prezzi da 106€ per notte. The Pfister Hotel: 424 E Wisconsin Ave, Milwaukee. Posizione centrale, vicinissimo al Marcus Center for the Performing Arts, alla cattedrale di S. Giovanni, al Us Bank Center, al Pabst Theater e all’Art Museum. Elegante e confortevole. Prezzi da 150€ a notte.
IL TEMPO
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Il clima è di tipo temperato freddo, contraddistinto da estati piuttosto calde, ma piovose, al punto che tra i mesi di giungo e settembre si concentrano i due terzi delle precipitazioni annuali, e da inverni relativamente asciutti ma molto freddi con temperature giornaliere anche di -6,2 °C nel mese di gennaio. La primavera, invece, come in tutto il Wisconsin, è una stagione breve, caratterizzata, da accesi contrasti termici tra periodi molto freddi, caratterizzati dalla discesa di masse d'aria gelida provenienti dall'Artico canadese, e periodi più caldi, favoriti sia dalla risalita di masse d'aria provenienti dalle regioni subtropicali degli USA meridionali. Per visitare una città ed un paese è comunque indispensabile conoscere le previsioni del tempo che potete trovare sui siti: www.infortunisti.com e www.ilmeteo.it SPORT Le franchigie del Wisconsin che partecipano al Big Four (le quattro grandi leghe sportive professionistiche americane) sono: • Green Bay Packers, NFL • Milwaukee Brewers, MLB • Milwaukee Bucks, NBA CURIOSITA’ • Alice Cooper, leggenda della scena Hard Rock mondiale, sovverte gli stereotipi del rockettaro grezzo ed ignorante, quando apparendo nella parte di se stesso nel film Wayne's World, strabilia i due protagonisti tenendo una dotta dissertazione sull'etimologia del nome di Milwaukee, durante il party post-con-
certo, subito dopo aver tenuto uno spettacolo proprio in questa città. • Un’associazione turistica di Milwaukee,con la modica cifra di 85.000 dollari ha fatto costruire nella città una statua a grandezza naturale che rappresenti il mitico Fonzie di Happy Days.. • Questa città è ricordata spesso come la città natale di Jeffrey Lionel Dahmer, criminale americano noto come "il cannibale di Milwaukee”, o il “Mostro di Milwaukee”, responsabile degli omicidi di diciassette uomini tra il 1978 ed il 1991. Assassinato nel 1994 in carcere da un galeotto. • Summerfest Riconosciuto nel libro del Guinness dei primati come "il più grande festival di musica del mondo", Summerfest attira circa un milione di visitatori l'anno per le sue undici tappe. • Milwaukee è stato conferito lo status di bronzo dal Leauge di ciclisti americani nel 2004 ed è stato rinnovato nel 2009. •Sanford, a Jackson Street, è Zagat valutato tra i primi undici ristoranti negli Stati Uniti con un punteggio quasi perfetto di 29. E’ l'unico ristorante in Wisconsin per raggiungere tale onore, ed è ampiamente considerato come il ristorante top a Milwaukee. Costoso, ma squisito. • Five O' Clock Steakhouse, a St. Stato, è considerato uno dei migliori steakhouse in America. Ricapitoliamo…. Aspettate il 2013.. eh si perché andare a Milwaukee e non partecipare all’anniversario della Harley Davidson sarebbe scandaloso! Bevete tanta birra e ascoltate tanta bella musica ai numerosi festival passeggiate in bicicletta e mangiate tanta carne!! Che altro dirvi..????? …BUON DIVERTIMENTO!!!!!
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