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il periodico online per gli amanti della palla a spicchi d’oltre oceano
AI RAGGI ‘X’ - Noah il nuovo Rodman?
LA RUBRICA - Il Partitone
OCCHI PUNTATI SU - Brandon Jennings LO STUDIO - E’ tutta questione di numeri
We can fly
ITALIANS DO IT BETTER
All’interno FOCUS
Gli Atlanta Hawks LA CULLA DEL BASKET
Chapter Two: New York ed il Queens MADE IN ITALY
Da Compton a Milano, Alex Acker, la Vanoli Cremona e la Top Ten della LegaA
Y O U C A N ’ T C M E La rubrica irriverente di SNS SOPHOMORE SuperMario Chalmers E’ Rashard Lewis l’ago L’ANALISI della bilancia dei Magic
NBA HOT SPOT
Dwyane Wade
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Corrono, segnano e diver tono... Per quanto durerà? FOCUS
DI
N ICOLÒ F IUMI
Nel mondo del basket e in generale dello sport, progetto è una della parole più usate e inflazionate. Progetto a lungo termine, progetto a breve termine, molto spesso progetto triennale, quando si parla di una squadra da ricostruire dalle fondamenta aggiungendo pezzi poco alla volta per arrivare a un risultato finale vincente. Nella NBA ogni anno abbiamo a che
fare con squadre che sanno di andare incontro a stagioni di vacche magre, se non magrissime, tanto per restare ai giorni nostri prendiamo come esempio i New Jersey Nets, freschi della peggior partenza nella storia della Lega, o i Knicks del nostro Gallinari. La struttura della Lega permette a queste franchigie di sapere che, nonostante tutto, il domani, spesso il
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Fonte foto: http://www.nba4all.com dopodomani, può essere lo stesso luminoso. Vuoi per il sistema di scelta dei rookies, vuoi per il salary cap, che quasi sempre in queste stagioni terrificanti viene svuotato per poi essere competitivi sul mercato dei free agent, ma in ogni caso tutte le squadre della National Basketball Association sanno che, compiendo i passi giusti, a nessuno è precluso il traguardo
più importante (non esattamente quello che accade a casa nostra …). Chi di sicuro si ritrova nel profilo che abbiamo inquadrato sono gli Atlanta Hawks. Per anni assieme ai Clippers una delle barzellette della Lega, con il peso ancora maggiore sulla coscienza di sfregiare un passato illustre, fatto di giocatori come Dominique Wilkins, Spudd Webb e Steve Smith ed
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epiche lotte nei playoffs con i Boston Celtics nei dorati anni ’80. Per anni, dicevamo, sono fioccate sconfitte su sconfitte, la credibilità della squadra e della dirigenza rasentava lo zero assoluto, anche perché c’era come la sensazione che non si fosse capaci di garantirsi un nuovo e migliore avvenire. Poi finalmente qualcosa è cambiato. Ma tutto lasciando tempo al tempo, permettendo ai propri frutti di maturare senza fretta. Il primo mattoncino è l’arrivo di coach Mike Woodson, anno 2004/2005. Periodo in cui si viaggia a meno di 20 vittorie a campionato. E l’esordio dell’ex coach di Stanford non si discosta di molto, se è vero che la squadra continua ad inanellare insuccessi. Ma nel frattempo vengono gettate lo stesso delle basi solide, scegliendo i giocatori validi (pure se al draft vengono ignorati Chris Paul e Deron Williams, per prendere Marvin Williams…). Alle gambe esplosive di Josh Smith vengono affiancati il cervello di Mike Bibby, la leadership di un top player come Joe Johnson e un centro giovane e di valore come Al Horford. Cominciano ad arrivare i miglioramenti. Dapprima si avvicina il 50% di vittorie, poi arrivano i playoffs, con la bellissima serie di due anni orsono terminata a gara 7 contro i Celtics poi campioni. Nel frattempo la credibilità aumenta, la solidità del gruppo pure. Ancora playoffs nella stagione 2008/2009. Superato il primo turno contro i Miami Heat arriva una brusca, ma non inattesa, eliminazione da parte dei Cavs di LeBron James. E arriviamo così ai giorni nostri. Dove abbiamo di fronte un squadra che si è insediata stabilmente tra i primi ¾ posti della Eastern Conference. 13 vittorie nelle prime 18 partite, con scalpi illustri come Blazers, Nuggets e Celtics, testimoniano a favore di un pro-
getto, per tornare ad utilizzare il termine con cui avevamo iniziato il nostro discorso, che ha avuto il merito di attendere con pazienza tutti i giocatori più importanti, di aspettare che ognuno arrivasse al proprio sviluppo senza imporre tabelle di marcia con tempi strettissimi. Josh Smith ha potuto così arrivare a capire che il suo atletismo lo rende uno dei giocatori più imprevedibili e meno marcabili che attualmente possono calcare un parquet, portandolo finalmente a rinunciare al tiro da fuori, discontinuo e castrante, visto che non gli faceva esprimere tutto il suo potenziale atletico. Joe Johnson è venuto fuori come leader del gruppo anche nei momenti caldi, andare a rivedersi la suddetta serie di playoff contro Boston. Capace di segnare, trascinare la squadra, ma anche di farsi da parte per far spazio a un gruppo comunque talentuoso. Mike Bibby è divenuto il metronomo, riciclandosi, nella parte finale della sua carriera, nel play d’ordine che fa muovere all’unisono tutti gli ingranaggi di un meccanismo che gira con grande tempismo, lui pure senza dimenticare di prendersi responsabilità offensive quando necessario. Marvin Williams è l’uomo di raccordo del quintetto. Capito che non sarebbe mai diventato un uomo franchigia lo si è preso per quel che è e si è cercato di ottenere il massimo che si poteva in questo contesto. Non gli si chiedono 30 punti a partita. A dire la verità non gli si chiede niente di troppo specifico. Solo che in campo sia pericoloso in diverse fasi del gioco, completando il reparto esterni. La ciliegina sulla torta è stato poi il centro da Florida Al Horford. Arrivato dal draft ha cominciato subito a rendere più del previsto e ad oggi è uno degli uomini d’area NBA più influenti.
LE STATISTICHE DI JOE JOHNSON DATE OPP
RESULT
MIN FG 3P FT STL BLK TO
PF OFF DEF TOT AST PTS
11/21 11/26 11/27 11/29 12/2
L 96-88 L 93-76 W 100-86 L 94-88 W 146-115
42 42 30 43 26
1 1 5 4 1
@Nor Orl @Phi @Det Tor
6-18 1-5 1-1 9-21 3-7 1-2 3-8 1-2 2-2 5-19 0-5 0-0 5-11 0-2 2-2
0 3 2 0 1
I NUMERI DELLE ULTIME 5 PARTITE MIN 36.6
FG 28-77
3P 5-21
FT 6-7
ASS PTS 4.2 13.4
0 0 0 0 0
1 2 4 2 1
1 3 2 0 0
4 4 2 2 6
5 7 4 2 6
3 2 2 3 11
14 22 9 10 12
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Quest’anno, poi, gli Hawks stanno avendo anche una efficace, ossia l’acquisizione da Golden State di Jamal panchina molto efficace. E questo in gran parte grazie a Crawford, in cambio di Speedy Claxton e Acie Law un mossa estiva che si sta rivelando incredibilmente (altro capitolo buio alla voce draft), in pratica nulla.
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L’ex Knicks e Bulls è al momento il secondo miglior realizzatore della squadra e anche secondo nella Lega per punti realizzati dalla panchina (16,9 di media in 30,2 minuti). Il suo ruolo è in tutto e per tutto simile a quello di Jason Terry a Dallas. Crawford si alza dalla panchina per cambiare play e guardia e quando entra lo fa soprattutto per cambiare i ritmi e dare ulteriore spinta a una squadra che già per vocazione è a trazione anteriore. Nelle prime 18 gare sono state 16 le doppie cifre per lui. «Sono molto contento della nostra panchina – dice Woodson – Posso fare entrare cinque diversi giocatori in certe situazioni e questo ci aiuta molto» cui fa eco Josh Smith, «avere una panchina così profonda è una della ragioni delle nostre vittoria». Non terminano, infatti, con Crawford le rotazioni di qualità a disposizione del coach dei Falchi. Zaza Pachulia porta il suo mestiere nelle rotazioni dei lunghi, impedendo così un abbassa-
mento del livello una volta che Horford lascia il campo e anche grazie a questo spesso Atlanta domina le partite nel pitturato. Mo Evans è il cambio di guardia e ala, mentre Joe Smith e il rookie Jeff Teague, ancora indietro, completano il quadro. Come dicevamo al momento la squadra dà l’impressione di avere compiuto il passo che l’ha portata nelle prime posizioni della propria Conference, ma obiettivamente, non è ancora a un livello che possa portarla ad avere ambizioni maggiori di una buona partecipazione playoff. Proprio per questo motivo Joe Johnson ha da poco rifiutato la proposta di rinnovo da 60 milioni di dollari per 4 anni propostagli dalla dirigenza e così in
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TEAM ORLANDO ATLANTA MIAMI CHARLOTTE WASHINGTON
W L 14 4 12 5 10 7 7 10 6 10
PCT .778 .706 .588 .412 .375
GB
1½ 3½ 6½ 7
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estate infoltirà la compagnia di giocatori di lusso (LeBron, Dwyane Wade, Chris Bosh …) che esplorerà il mercato in cerca di contratti da favola. «Penso solo al bene della squadra, ma al momento mi sento un top player di questa Lega e voglio raggiungere determinati traguardi personali. Quindi devo valutare se questi traguardi posso raggiungerli con questa squadra». Una notizia che tiene in apprensione tutta la franchigia che, dovesse perdere Johnson, si troverebbe con un buco non da poco, dovendo rimpiazzare il riferimento offensivo principale, e soprattutto un giocatore che funziona assai bene nel meccanismo della squadra. Per ora, comunque, la questione sembra non aver distolto le attenzioni dell’ex Suns che continua a produrre
basket di ottimo livello, viaggiando a 21 punti 5 rimbalzi e 4 assists di media anche se con un 43% dal campo migliorabile. Come migliorabile sarebbe la difesa di una squadra che, se vuole accontentare i desideri del proprio giocatore principale, deve cominciare a vincere qualche partita non solo sull’entusiasmo di un attacco che gira a mille (146 punti contro Toronto senza supplementari …) ma anche imponendo la propria difesa agli avversari. Da lì passano i successi della squadra quando si deciderà la stagione. Ma al momento alla Philips Arena il clima è comunque positivo. D’altronde quando in un campionato metti assieme le vittorie che fino a poco prima mettevi assieme in 3 stagioni viene un po’ difficile pensare di lamentarsi.
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LA SITUAZIONE SALRIALE DEL TEAM DELLA GEORGIA NO. 10 34 11 3 01 15 50 02 33 27 35 44 32 5 0 6 29 24
PLAYER Mike Bibby Jason Collins J.Crawford Juan Dixon M.Evans Al Horford O.Hunter Joe Johnson R.Morris Z.Pachulia Garret Siler C.Sims Joe Smith Josh Smith Jeff Teague Mario West Mike Wilks M.Williams
POS
AGE
HT
WT
COLLEGE
PG C G SG SF C SF SG C C C C PF PF G SG PG SF
31 30 29 31 30 23 23 28 23 25 22 25 34 23 21 25 30 23
6-2 7-0 6-5 6-3 6-5 6-10 6-8 6-7 6-11 6-11 6-11 6-11 6-10 6-9 6-2 6-5 5-10 6-9
195 255 200 165 220 245 225 240 275 275 305 245 225 240 180 210 180 240
Arizona Stanford Michigan Maryland Texas Florida Ohio State Arkansas Kentucky Augusta State Michigan Maryland Wake Forest Georgia Tech Rice North Carolina
SALARY $6,217,617 $825,497 $9,360,000 $2,500,000 $4,307,640 $14,976,754 $855,189 $4,750,000
$825,497 $10,800,000 $1,373,880
$7,500,000
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LO STUDIO
E’ tutta questione di numeri... DI
S TEFANO TEFANO PANZA ANZA
L’NBA non è come il calcio nostrano. Vuoi perché qui in Italia a livello individuale esiste quasi esclusivamente la classifica marcatori, vuoi perché oltreoceano si è troppo impegnati ad analizzare quotidianamente le partite, ma di attenzione alle graduatorie dei singoli giocatori ne viene
riservata poca. Proviamo a rimediare, facendo una panoramica globale sulle performance degli atleti NBA per le voci statistiche più rilevanti. Iniziamo ovviamente dai migliori scorer, l’unica classifica, forse, che viene citata di tanto in tanto. A guidare è Carmelo Anthony con 31 punti netti a gara. L’ala dei Nuggets segna mediamente il 28.3% dei punti della sua squadra.
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Fonte foto: http://www.slamonline.com Prevedibile, se si pensa che i Nuggets sono privi di grandissimi realizzatori, fatta eccezione forse per JR Smith, che ha però saltato alcune partite per problemi fisici. Kevin Martin segue a breve distanza (30.6), ma le sole 5 gare fin qui giocate non gli consentono di entrare a pieno diritto in classifica. Seguono Bryant (29.5, ma con 22 tentativi di media a gara, dato più elevato in assoluto) e James (29.2), seri candidati alla vittoria finale, mentre il sempre più sorprendente Kevin Durant (27.4) è ormai entrato stabilmente a far parte delle stelle di questa lega, anche dopo il sesto posto dell’anno scorso in questa speciale classifica. L’ala dei Thunder pecca ancora dalla distanza (24% sui 4 tentativi di media a gara), per cui se dovesse affinare la mira da oltre l’arco potrebbe puntare a diventare il top scorer della lega. Seguono Nowitzki (27.2) e Wade (27.1). La guardia di Miami, dopo aver dominato questa stessa classifica la stagione scorsa (30.2 in 79 partite) sta pagando anch’egli una scarsissima mira nel tiro da tre (26%). Il primo tra i rookie è ovviamente Brandon Jennigs, che con 21.8 punti a gara stacca di 3 lunghezze il playmaker di Sacramento Tyreke Evans, che con 18.8 mantiene un onorevolissimo 27simo posto. Soltanto 45esimo Andrea Bargnani, che con 17.2 è il migliore degli italiani. Spostiamoci sotto canestro per analizzare la classifica dei migliori rimbalzisti. Manco a dirlo è ancora Dwight Howard, con 12.4 palloni arpionati a gara, a guardare tutti dall’alto verso il basso – e non solo per una questione di statura… A brevissima distanza seguono Bosh (12.2) e Noah (12.1). Quest’ultimo è forse la vera sorpresa nelle zone alte di questa graduatoria. Il modello ideale del rimbalzista infatti deve essere dotato di una muscolatura scultorea per
Fonte foto: http://www.fantasybasketblog.net farsi largo nel classico traffico sotto canestro. Noah invece, col suo fisico filiforme riesco comunque a farsi valere non solo a livello difensivo, ma anche sotto il tabellone avversario, dove arpiona 4.2 palloni a gara (solo Haywood, con 4.3, fa meglio di lui). Quarta piazza per Gerald Wallace (11.8), che per buona parte di questo inizio di stagione ha detenuto il primato parziale. Sopra quota 10 rimbalzi a gara figurano anche Pau Gasol, Boozer, Duncan, Haywood, Bynum, Camby, Marc Gasol e David Lee. Come avrete notato ben due dei primi dodici vestono la casacca dei Lakers, squadra che, guarda caso, è ampiamente la migliore a rimbalzo (46.25, seguono i Bucks a 44.56). Tra gli atleti citati, nota di merito a Camby e Duncan, ovvero coloro che, tra quelli che arpionano oltre 10 carambole a gara, sono quelli che solcano il parquet meno degli altri (31.7 minuti il primo, 31.9 il secondo). Se Phoenix vola c’è un motivo, ed ha nome e cognome: Steve Nash. Il canadese ha infatti ripreso a volteggiare nelle aree avversarie e a smazzare assist a ripetizione come due o tre anni fa, e i risultati – suoi e di squadra – sono evidenti: i
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Suns guidano la Western Conference con 14 W e 3 L, Nash guida la speciale classifica degli assist con 12.1 palloni smarcanti a gara. Il 48,9% degli assist dei Suns esce dalle mani dello scaltro canadese. L’anno passato erano 9.7. Un bel passo avanti. Deron Williams segue con 9.7, una cifra che contribuisce a rendere Utah la miglior squadra per assist della lega (25.23). Terzo posto nella classifica individuale per Chris Paul (9.2), il vincitore della scorsa edizione (11.0 a gara) è momentaneamente fermo ai box, ma questo calo è l’ennesimo fattore della piccola crisi degli Hornets, almeno sotto la gestione Scott (Paul non ha ancora mai giocato sotto la guida del nuovo coach Bower). A pari merito a quota 9 l’ormai ritrovato Jason Kidd e Rajon Rondo, mentre al sesto posto figura nientemeno che LeBron James, che a occhio e croce abbiamo già incontrato ai vertici di un’altra classifica. Più staccati Baron Davis (7.1) e Russel Wastbrook (6.8). Veniamo ora ad’una classifica spesso trascurata, ma che può indicare a larghe linee la capacità e l’intensità difensiva di un giocatore, ovvero le palle rubate. Siamo in un territorio ovviamente prediletto dalle guardie, meglio se piccole e rapide. Non stupisce dunque la presenza in vetta di Monta Ellis, che con 2.56 ha garantito molti contropiedi ai suoi Warriors. Purtroppo per Golden State non si vive solo di questo… Rajon Rondo però fa sentire il fiato sul collo alla piccola guardia dei Warriors inseguendolo a brevissima distanza: 2.53. Con 2.31 rubate a partita un'altra vecchia conoscenza occupa il terzo posto. Si tratta di Kobe Bryant, famoso oltre che per le innate doti offensive, per un caratte-
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re ed una rabbia difensiva davvero con pochi eguali. Quarta piazza per Trevor Ariza, vecchio compagno di Bryant ai Lakers con cui ha vinto l’anello nella stagione passata anche grazie ad una serie di palloni rubati nella finale contro i Magic. Adesso Ariza veste la casacca dei Rockets, ma a quanto pare non ha perso il vizio di intercettare palloni altrui (2.24 a gara). Quinto posto a pari merito con 2.06 per Dwane Wade (anch’egli già citato), Corey Brewer di Minnesota e Andre Iguodala di Philadelphia. Chiudiamo con un’altra categoria statistica, anch’essa attribuibile all’aspetto difensivo del gioco ma sicuramente la più spettacolare fra tutte, quella delle stoppate. Quando si parla di stoppate non si può non pensare a Josh Smith, eroe incontrastato di questa voce statistica. 2.71 i suoi “blocks” a gara, un’enormità se pensiamo che il secondo nella lista, Brook Lopez, segue “solo” a 2.35. Lopez è senz’altro la nota più lieta dei derelitti Nets. Oltre a segnare, catturare rimbalzi e portare avanti la carretta, il bianco centro di new Jersey si preoccupa, con egregi risultati, anche di calare il passaggio a livello nei pressi del proprio canestro. Purtroppo per il povero coach Franck, non è bastato… Piazza d’onore per Greg Oden (2.31), mentre il quarto posto è occupato da Marcus Camby, certamente uno dei protagonisti della lenta ma inesorabile rimonta dei Clippers. Quinto posto ad exaequo per Tim Duncan ed Erik Dampier, entrambi con 2 stoppate a partita. Più indietro, invece, Dwight Howard (11esimo con 1.89). Dopo aver trionfato nella classifica di specialità dell’anno passato con ben 2.92 di media, quest’anno per lui c’è un deciso passo indietro.
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LA CULLA DEL BASKET DI
V INCENZO D I G UIDA
“I used to stare, five stories down, basketball courts, shot up playgrounds and I witnessed the murders and police shake-downs”. Restavo lì a fissare, cinque piani sotto, i campi da basket, a caccia dei playground – e sono stato testimone di omicidi, e dei blitz della polizia”. Nulla e nessuno potrebbe rappresentare il Queens meglio del suo più grande paroliere: Nasir Jones, per tutti semplicemente Nas. Iniziamo da queste poetiche strofe tratte da “Project’ Window” (dall’album Nastradamus, 1999), il nostro viaggio nel Queens. Il Queens è il più grande in superficie e il secondo più grande per popolazione dei distretti (borough, in inglese) che formano New York. Nei Queens si trovano due dei tre maggiori aeroporti di New York, cioè il John F. Kennedy e il LaGuardia; è lì la sede della squadra di baseball New York Mets, del torneo di tennis US Open di Flushing Meadows Park e Silvercup Studios. Descrito così sembrerebbe un ridente quartiere perifico della Grande Mela. Le cose sono un po’ divere, come vedremo. Gli immigrati ammontano al 47,6% dei residenti nei queens rendendolo il distretto più diversificato della città. Se ogni distretto fosse una città a sé, i Queens sarebbero la quarta città più grande degli Stati Uniti. Il distretto è spesso considerato uno dei più periferici tra i quartieri di New York. E’ localizzato sull'isola di Long Island. Confina con Brooklyn e Nassau. Nel quartiere è presente anche la St. John's University che gioca le partite interne di pallacanestro alla Lou Carnesecca Arena nel campus e le più importanti al Madison Square Garden. Dicevamo essere terra d’immigrati. Dal censimento del 2005 risulta che la popolazione è così suddivisa: 44% bianchi, 20% neri, 17,5% asiatici, 0,5% nativi americani, 11,7% altre razze. Gli ispanici (di ogni razza) rappresentano il 25% circa. Per quanto riguarda le principali discendenze europee degli abitanti troviamo nell'ordine: italiani (8,4%), irlandesi (5,5%), tedeschi (3,5%), polacchi (2,7%), russi (2,3%) e greci (2%). Se il Bronx rappresenta la parte più “nera” di New York, il Queens è il quartiere più “cosmopolita”. Ma in sostanza non sono molto diversi. Povertà, violenza, criminalità, prostituzione, droga. Cinque parole che accomunano la vita delle persone che vivono “in the hood”. Chi viene dai più bassi strati della popolazione (per lo più neri e ispanici), a parte qualche rara eccezione, sa di non avere altra scelta, “o fotti o vieni fottuto” (per la citazione si ringrazia sentitamente Tony Soprano).Il paesaggio, quello vero, è costellato da arcipelagi di Projects. Quei dannati casermoni giganteschi, ricettacoli di criminalità, agglomerati urbani e umani, dove a centinaia si lotta uno contro l’altro per riuscire a sopravvivere in qualche modo (lecito e non) al quel dannato
New Yo r k ed il Queens
Secondo episodio e c a p i t o l o d e l v i agg i o t r a i q u a r t i e r i ch e v i v o n o d i b a s ke t
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TEKSAB LED ALLUC AL
asfalto, che ti toglie il respiro giorno dopo giorno. Da piccolo Nas, dalla sua finestra del Projetcs, osservava la realtà quotidiana del Queens. Scene di violenza, di quotidiano degrado, ma anche di speranza. Una speranza che Nas cercava nel playgrounds…” I used to stare, five stories down, basketball courts, shot up playgrounds” (Restavo lì a fissare, cinque piani sotto, i campi da basket, a caccia dei playground ). Mi piace immaginare che quel palyground che cercava fosse il Lost Battalion Recreation Center, dove osavano sfidare il mondo Kenny Smith e Kenny Anderson, dove mosse i primi passi (prima di diventare leggenda al Rucker), Rafer Alston. “...One, two, skip to my lou…” gridavano gli speaker dei tornei del Rucker Park vedendolo saltare (skip) senza alcuna difficoltà ogni avversario: da allora Rafer Alston è diventato per tutti Skip To My Lou o semplicemente Skip. Se il Rucker è il luogo dove si è strutturata la leggenda di Skip, il Lost Battalion Center è il posto dove ha avuto origine il mito. Al numero 93 di Queens Boulevard, evoluiva Rafer, che nasce il 24 luglio 1976, a Jamaica, sobborgo del Queens. A 15 anni inizia ad incantare il blacktop, con giocate da funambolo, un autentico streetballers, uno che gioca a tempo di hip hop. Finta a destra, poi a sinistra, crossover tra le gambe (sue), tra quelle del difensore, saltato (skip) come un birillo, e canestro. Due punti, e il pubblico del Battalion s’infiamma. A bordo campo ci sono P. Diddy, Jay Z e Nas che fanno a gara per averlo nelle squadre estive per il torneo al Rucker. Lui, il più grande stretballer contemporaneo (il suo ideale quintetto di streetballers è composto da lui stesso, Earl "The Goat" Manigault, Joe Hannon, Richard "Pee Wee" Kirkland e Troy "The Escalade" Jackson), oggi all’alba dei 33 anni, è tornato nella sua New York, ma sponda Nets. Derelittissimi, entrati nella parte sbagliata della storia per aver collezionato in apertura di stagione 17 sconfitte consecutive. Di soddisfazioni però se ne è tolte. L’anno scorso in maglia Magic ha disputato le finals, ha avuto grandi stagioni a Miami, Toronto (14.6 e 6.4 assist, dove si sono visti sprazzi dello Skip del Rucker) e Houston, dopo esser passato dalla Cba (Idaho). Carriera collegiale di rilievo a Fresno State, dopo aver illuminato al liceo alla Cardozo High School, ma la fame di ballers è spesso una maledizione che ti costringe alla Cba e a costeggiare l’Nba a Milwaukee, prima della definitiva consacrazione. Se il riconoscimento ufficiale è tardato ad arrivare, non è stato così per quello da strada, giunto anni prima e immortalato nell’ And 1 Mix Tapes. Un quartiere, un playground, un playmaker. Point guard nella versione del Queens però. Prima di Skip, ci sono Mark Jackson, Kenny Smith e Kenny Anderson. Il
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primo (1 aprile, 1965), uno scienziato del gioco, svezzato dall’immortale Lou Carnesecca al St. John’s University. Un RedStorm nell’anima e nella vita. Passatore eccezionale, cervello sopraffino, talento non abbastanza riconosciuto dai Knicks che lo scelsero al draft del 1987 (resta a New York sino al 1992), ma che trova la sua consacrazione ad Indiana, dove nel 2000 gioco sotto la guida di coach Larry Bird la finale Nba contro la prima versione jacksoniana dei Lakers di Shaq e Kobe, che si assicurano l’anello vincendo 4-2. Oggi è uno degli analyst migliori della Lega. Ops dimenticavo, è al terzo posto assoluto nella classifica degli assist (10.334), appena superato da quel mattacchione di Jason Kidd. Vale a dire che sinora era secondo, dietro l’inarrivabile John Stockton e davanti a Magic Johnson. Scusate se è poco. Viene dal Queens anche Kenny Smith (8 marzo, 1965). Point guard meno newyokese di quanto si possa credere, ma grandissimo giocatore. Oggi è commentatore di livello per la TNT, e tutti lo ricordiamo come l’uomo che di fatto consegnò il secondo titolo agli Houston Rocktes nel 1995, quando nella serie contro Orlando, mandò a bersaglio in gara-1, la tripla del supplementare, dopo che Nick Anderson ebbe l’abilità di sbagliare quattro liberi di fila. Un pezzo di storia Nba. Senza dimenticare che l’anno prima (1994) si tolse lo sfizio di mettersi al dito il primo anello con i Rockets, battendo in sette gare, indovinate chì? Ma i New York Knicks ovviamente. Sliding doors.. Restiamo in cabina di regia con K e n n y A n d e r s o n . Questa strepitosa point-guard (classe ‘70, newyorkese, 1.85 di altezza), proveniente dall’Archibishop Molloy High School e dall’università di Georgia Tech, prima scelta di New Jersey nel ‘91 con il n.2. Un predestinato, un altro con la musica hip hop nel sangue, che dalle vene gli sgorgava fuori tramutandosi in visione sul parquet, prima con i Nets che lo scelsero nel ‘91 e con i quali gioco la sua migliore stagione nel ‘93 a 18.8 punti e 9.6 assist a partita. Per anni è stato l’epitome del play newyorkese, idolo di Marbury e Tinsley. Quando nel ‘98 arriva a Boston, lui con quel numero 7 sulle spalle, si presenta come il successore di Tiny Archibald. La storia la conosciamo già. Talento immenso, carattere difficile e attitudine scarsa. Ma al Queens è lui che comanda, ancora oggi. Il cerchio va chiuso. Altri playmaker sono usciti dal Queens. Menzione d’onore per Erick Berkley (21 febbraio 1978).Veloce, versatile, realizzatore. Proviene dal St John's College dove ha disputato due campionati Ncaa. Nel 2000 viene scelto al primo turno con il numero 28 dai Portland Trail Blazers, in Nba gioca otto partite con una media di 2.4 punti. Resta nella Lega anche l'anno successivo, con i Portland Trail Blazers, e disputa 19 gare con una media di 3,1 punti e 1 8 assist. Nel 2002/2003 inizia con i San Antonio Spurs, passa poi ai Chicago Bulls prima di trasferirsi in Grecia al Peristeri. Poi leghe minori e bassa Europa. Aveva tutto per sfondare al massimo livello. Ma la scelta di passare pro nel
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2000 non fu felice, e l’aver sbagliato un tiro decisivo (non passando il pallone a Ron Artest) nella partita per andare alle final four Ncaa del 1999 (persa contro UCONN), non contribuì a far innamorare di lui gli scout Nba. SUNDIATA GAINES. Nato a Jamaica, Queens, New York, il 18 aprile del 1986, fu vittima all’età di quattro anni di un incredibile incidente. Lasciato momentaneamente solo dal fratello maggiore davanti ad un ingresso su una strada del Queens, a New York City, si imbattè in un poliziotto fuori servizio che si avvicinò all’uscita con una valigetta contenente una pistola carica, non si sa se tale valigetta gli cadde o venne lasciata cadere, ma ciò che è certo è che cadendo fece esplodere un colpo che colpì Gaines nel collo, per fortuna solo di lato. Oggi il giocatore newyorkese, chiamato Sundiata in onore del mitologico guerriero dell’impero Mali, porta i segni (una cicatrice sul collo ed una minuscola sul cranio) di quel giorno, quando la morte lo sfiorò solamente, lasciandolo in vita. Quattro anni nell’Università della Georgia (Georgia Tech - Yellow Jackets) dove nella sua ultima stagione si è particolarmente messo in luce scrivendo 14.8 punti, 6 rimbalzi, 4.2 assist e 1.8 recuperi di media in 33 minuti di utilizzo, ricevendo, inoltre, il riconoscimento di miglior giocatore del torneo. Alto 1.88 cm per 95 chili, possiede enormi doti atletiche, qualità che ne fanno un ottimo saltatore e lo mettono in condizione di essere molto utile al rimbalzo (3.5 di media nella stagione in
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corso). Già prima del college “Iata” Gaines vive una memorabile carriera alla Archbishop Molloy High School di New York, parecchio rinomata cestisticamente, dove, sotto l’attento sguardo di Jack Curran (uno dei più importanti allenatori di Liceo degli Stati Uniti), chiude l’ultimo anno con 28,2 punti di media trascinando la sua squadra al titolo della Catholic High School Athletic Association e ricevendo il riconoscimento di MVP della stagione. La chiamata al draft non arriva, purtroppo. Combo guard con grande atletismo, ma trattamento di palla non da point-gurd. Non è una superstar, non è uno specialista, due tendenze sconsigliati in una lega fatta di supestar e specialisti. Arriva a Cantù nel 2008 scovato da Bruno Arrigoni. In 30 partite ne mette 13.4 di media, con 3.4 rimbalzi e 2.3 assist. Da quest’anno è in forza agli Idaho Stampede dove nelle due gare giocate sta viaggiando a 26 di media. Il sogno chiamato Nba non lo ha ancora abbandonato. Incredibile, basket, pistole, proiettili e polizia. Sembra che “Projetc Window”, Nas l’abbia scritta per Sundiata. Per uno sopravissuto a un proiettile al collo, il purgatorio della D-League deve essere nulla a confronto. Eppure per chi che c’è la fa, ce ne son altri cinquanta che falliscono, persi in una delle tante storie visibili da una Project Window. Ma non finisce qui. Nel prossimo appuntamento andiamo a trovare il lato oscuro del Queens. Andiamo a casa di Ron Artest e Lamar Odom. Stay Tuned.
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Mister 55 pu nti OCCHI PUNTATI SU...
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A LESSIO C APRODOSSI Morte e resurrezione, con benedizione, nel giro di pochi mesi. La parabola finora breve ma decisamente intensa e ricca di capitoli di Brandon Jennings continua a riservare colpi di scena, sorprendenti per chi li assorbe, naturali per chi è abituato a stare sotto i riflettori fin dall’infanzia. Già perché l’attuale play dei Bucks non è mai stato uno “normale”, a partire dai tempi della Dominguez High School, a Compton in California, dietro casa, da dove è cominciata una delle storie più singolari che il basket a stelle e strisce abbia mai confezionato. Star assoluta e senza avversari al liceo, il piccolo Brandon, cresciuto in fretta e con idee ben delineate in testa (del resto il soprannome “Young Money” spiega parte del suo carattere, già formato nella pubertà), decide di compiere il grande passo, quello che lo farà entrare di diritto nella storia della palla a spicchi
americana. Nella quale incide il suo nome per essere il primo atleta a passare dal diploma al professionismo, quello europeo però. Niente università (dove tra le numerose offerte ricevute aveva scelto Arizona) e approdo a Roma, con orde di giornalisti Usa al seguito per raccontare la rivoluzionaria via aperta da BJ (seguita quest’anno da Jeremy Tyler - pivot diciassettenne pronosticato tra i volti noti del draft 2011 - che dopo il terzo anno di liceo ha lasciato la San Diego High School per sbarcare in Israele al Maccabi Haifa). Grande clamore, grandi aspettative, grandi messaggi dialettici ma zero risultati e profonde delusioni, culminate con il finto infortunio alla vigilia dei playoff dietro cui la Lottomatica celava l’esclusione di Jennings dai dodici. Un’amarezza di cui l’appena ventenne regista ha fatto tesoro, trasformando la rabbia accumulata in energia positiva nel corso dei provini per il draft. Altro periodo complicato per Brandon, che dopo gli attacchi a Ricky Rubio (“Lo spagnolo è sopravvalutato”, “io sono migliore di lui”) e la mancata presenza al Madison Square Garden durante la lotteria (è arrivato di corsa dopo aver seguito in albergo la sua chiamata), si è ritrovato sballottato nel Wisconsin, voluto a tutti i costi dal general manager dei Bucks Larry Harris. Che ha scommesso forte su un giocatore che negli ultimi dodici mesi aveva visto crollare le azioni che gli pronosticavano una delle prime cinque chiamate. Ripartito subito con quel pizzico di pepe di cui non riesce a fare proprio a meno (stavolta con commenti poco edificanti verso la dirigenza dei Knicks, rei di avergli preferito al numero otto tale Jordan Hill, oggetto ancora non identificato e altra cantonata fragorosa di Donnie Walsh, che mettendo BJ al posto dell’inguardabile Duhon non avrebbe fatto poi così male, ma questa è un’altra storia…) la parabola di Brandon Jennings cambia radicalmente regalandoci uno dei giocatori più elettrizzanti dell’intera Lega. Con coach Scott Skiles che gli ha immediatamente consegnato le chiavi di una squadra tra le più povere di talento dell’intera lega, Brandon ha spinto subito sul pedale dimostrando di avere i numeri da stella assoluta. Al centro del fuoco senza
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paura contro avversari più grossi, più potenti (185 centimetri per 79 kilogrammi le misure di BJ), Jennings sa far fruttare la velocità e una rapidità d’esecuzione che gli permettono di sorprendere le difese avversarie. Che adesso iniziano a temerlo e raddoppiarlo. Specie dopo la serata che lo ha consegnato definitivamente alla storia del gioco, quella in cui ha recapitato nel canestro dei disastrati Golden State Warriors la bellezza di 55 punti: la partenza silenziosa non lasciava intuire l’imminente “BJ show”, aperto nel terzo quarto da una mitragliata clamorosa (12/13 nel parziale) e concluso dopo dodici minuti con 29 punti personali contro i 25 di tutta Golden State nel tripudio generale del Bradley Center. Una prestazione indimenticabile, che oltre a essere la miglior prova offensiva stagionale è la terza assoluta nella storia dei rookie, dietro solo a quella di Earl Monroe, che ne mise 56 con i Baltimora Bullets contro i Lakers nel ko 119116 datato 1968, e all’inarrivabile Wilt Chamberlain, che con i Philadelphia Warriors segnò due volte 58 punti nel 1960. Ma i 55 punti valgono anche il primo posto all-time come rookie dei Bucks (ha spodestato nientemeno che Kareem Abdul Jabbar, autore di 51 punti contro i Seattle SuperSonics nel 1970) e il secondo, dietro al solo Michael Redd come marcatore in una singola partita per Milwaukee (57 per il tiratore contro Utah nel 2006). Queste sono le mere statistiche, che seppur sbalorditive spiegano tanto ma non dicono tutto. E non solo perché i 55 sono arrivati contro la peggior difesa della NBA, in quanto Jennings ha dimostrato in più occasioni il suo feeling con la retina, anche dinanzi a squadra da titolo e interpreti sopraffini dell’arte del playmaking come sono i Denver Nuggets e Chauncey Billups, abbattuti dai 32 punti dell’ex romano. Come detto sopra le cifre non sono esaustive per descrivere il valore del nativo di Compton (come Baron Davis, Tayshaun Prince, Tyson Chandler, ma anche le sorelle Williams e molti altri celebri sportivi), che grazie ai 24 punti abbondanti e ai poco meno di sei assist per partita viaggia spedito verso il titolo di “Rookie of the year”, considerato i distacchi dal pur ottimo Tyreke Evans dei Sacramento
Kings e la forzata assenza della prima scelta Blake Griffin. Per tanti addetti ai lavori il segreto dell’esplosione di BJ sta nell’esser capitato al momento giusto nel posto giusto, ovvero in una franchigia priva di stelle (Redd è attualmente ai box) con parecchi minuti a disposizione, dove gli sono stati concesse leadership e tante responsabilità (ricordando a tal proposito che i Bucks in estate hanno lasciato anche Ramon Session, il miglior giocatore della scorsa stagione subendo una marea di critiche). Un punto di vista ineccepibile, ma che conseguentemente testimonia i meriti di Jennings, abile a sfruttare al meglio la chance fornita da Skiles. A far la differenza, invece, è la personalità con la quale il giovane play affronta la sfida e le varie situazioni che si creano sera dopo sera. Ottime letture, carattere nel guidare compagni più esperti e soprattutto una sicurezza sconosciuta per un rookie che passa dal college alla NBA. Merito dell’annata europea - che tra campionato italiano e, soprattutto, Eurolega - gli ha permesso di confrontarsi con giocatori più grossi, smaliziati, duri e già pronti di quelli che avrebbe trovato affrontando i coetanei universitari. Basta osservare un paio di attacchi, specie sul pick’n’roll con Ilyasova o Kurt Thomas, per vedere la sicurezza con la quale si arresta oltre l’arco per sparare da tre (tira col 50%, dato stupefacente se rapportato a quanto visto a Roma, dove non faceva canestro praticamente mai, ma le colpe non sono unicamente sue) o per penetrare e metterne due oppure smazzare assist per conclusioni ad altissima percentuale dei compagni. Ciò non significa ovviamente che siamo davanti ad un altro Deron Williams o Chris Paul tanto per rimanere nel ruolo, perché sono diversi gli aspetti del gioco che Jennings deve sviluppare e migliorare. Come quando tiene troppo il pallone facendo ristagnare l’attacco evitando così di far lavorare la difesa avversaria, oppure come quando sull’altro lato del campo si fida oltremodo delle sue abilità nel rubare palloni, che spesso apre la difesa dei Bucks a facili penetrazioni centrali sui quali i lunghi devono obbligatoriamente aiutare lasciando all’attaccante diverse opzioni per concludere. Limiti sui quali Brandon Jennings deve lavorare se vuole diventare un giocatore più forte e completo. Ma se dopo 16 partite ha già abbattuto record leggendari e regalato un bilancio momentaneamente vincente a una squadra destinata all’oblio, l’inizio è più che mai incoraggiante.
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HOT SPOT DI
D OMENICO P EZZELLA
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Uno dei giocatori più dominanti di questa Lega. Uno dei giocatori dei primi 5 giocatori a cui affidare un singolo possesso o quanto meno affidare quello decisivo per le sorti del match. Uno dei giocatori che a partire dalla prossima estate saranno sulla cresta dell’onda per quella ondata di free agent di un certo livello che sta letteralmente spopolando in alcune parti degli States nonostante manchi ancora tantissimo. Uno degli ultimi giocatori ad essere paragonati addirittura a Michael Jordan e qui la questione merita una piccola parentesi prima di passare all’analisi di quella che è generalmente la ‘shooting chart’ del prodotto di Marquette University. Un paragone che altre volte ha fallito ogni qual volta si cercava di mettere sull’altra parte della bilancia qualsiasi altro tipo di giocatore. Un paragone che a livello totale non potrà mai avere un raffronto preciso e definitivo, ma nel singolo possesso si. In singola giocata, in singola situazione di gara, in singola situazione su entrambi i lati nessuno giocatori attualmente in circolazione e tra i primi della Lega, ricorda meglio di ‘Flash’ il numero 23 dei Chicago Bulls. Il tutto per una determinazione ed una cattiveria cestistica che a quanto pare è stata considerata addirittura superiore a quella che generalmente ha sempre caratterizzato il più cattivo dal punto di vista cestistico degli ultimi anni ovvero Kobe Bryant. Un bel modo di presentarsi ad una delle migliori stagioni degli ultimi anni, per inizio e tipo di gioco espresso da parte degli Heat (piccola provocazione sarà poi tutto merito di Spoelstra? ndr) per colui che nel 2006 fu considerato come un partner migliore da parte di Shaquille O’Neal dopo la vittoria del titolo contro i Dallas Mavericks, con chiaro riferimento e frecciatina a l suo ex partner dall’altra parte dell’oceano. Bel modo di presentarsi ogni volta che scende in campo, anche se poi alla fine non che ne avesse bisogno per dimostrare che il suo numero ‘3’ è quello che necessariamente devi inserire tra i migliori di questa Lega e quello con il quale devi fare i conti quando scendi in campo contro gli attuali Heat o magari contro qualsiasi altra squadra a aprtire dal 2010 sempre che Wade decida di Lasciare Miami e la Florida. Uno dei primi di questo campionato anche per varietà delle soluzioni con le quali può punirti o lasciarti a bocca aperta (alcune delle quali ricordano, un tantino in più rispetto agli altri, per movenze proprio MJ ndr). Una vasta gamma di soluzioni che però possono anche avere nella stessa partita un unico comune denominatore: il pick and roll. E’ questo il punto di partenza principalmente amato da DWade per dare sfogo ed inizio ad ogni suo tipo di offensiva verso il canestro e non. Già perché poi su quel gioco c’è anche la
Dw yane
variante e la possibilità che la sfera gli possa uscire dalle mani prima, durante o anche dopo l’arrivo al canestro e finire in quella di compagni che dopo qualche secondo si ritrovano con il dito alzato in aria in segno di ringraziamento mentre tornano verso la propria metà campo. Centrale il pick and roll preferito dall’ex Marquette anche se poi non fa tanto differenza se il blocco proviene sul alto desto o sinistro visto che allo stato attuale il suo jumper dalla media distanza potrebbe già essere considerato come il più mortifero di tutta la Lega. Poco importa se arriva dall’uno o dall’altra parte del campo, dal momento che l’uso della mano destra o sinistra per partire come un razzo verso l’anello con un primo passo bruciante, che devi rispettare specie se i piedi del numero 3 degli Heat sono dentro la liena dei tre punti. Già perché al momento l’unico vero punto debole del gioco offensivo di Wade sembra essere un raggio di tiro dalla
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stione portano ad una esecuzione del gioco a due più famoso del mondo non solo verso destra o verso sinistra, ma anche con frequenti ‘split’ a spezzare il raddoppio, passare nel mezzo e proseguire come se nulla fosse successo. ‘Split’ sui quali lo scouting report degli avversari segna ancora una volta che il male minore sarebbe quello di mandarlo all’arresto e tiro verso il lato destro del campo specie quando il tutto avviene attorno ad un raggio di tiro attorno ai 5-6 metri: 6/31 il computo complessivo dei tiri tentati e realizzati da Wade partendo con i piedi fronte a canestro fino ad arrivare nell’angolo destro. Un male minore, un tiro che per la difesa può anche essere ‘accettabile’ a patto, infatti, che poi non si tramuti in altro. Già meno accettabile, tanto per usare un eufemismo, quello quando il tutto si sposta verso l’altra parte del campo: 17/40 con 9/21 nel mezzo angolo sinistro che potrebbe anche rappresentare la mattonella dello jump shoot del figlio di Chicago. Se poi il tutto inizia ad avvicinarsi alla zona rossa del campo ovvero quella che parte dopo aver superato la linea del tiro libero, beh poi li puoi solo affidarti alla sorte o alla serata storta dello stesso Wade, perché il numero degli errori diventa sempre più ridotto. In questo caso fronte a canestro, partendo da sinistra, partendo da destra, fa poca differenza, dal momento che dai 5 metri a scendere verso il canestro l’Mvp delle Finals del 2006 è uno dei più devastanti della Lega. Difficile fare previsioni: gli concedi anche mezzo metro e ti tira in faccia cerchi di stargli attaccato ai pantaloncini e ti parte come una freccia verso il canestro, cerchi di portarlo verso l’aiuto e di solito finisce con il più classici degli ‘and one’. E quando ti riesce la giocata difensiva costringendolo ad un angolo di tiro che per tutti sarebbe Fonte foto: http://mystictongue3.files.wordpress.com impossibile ecco tira fuori il consiglio dal distanza non propriamente affidabilissimo o per cilindro con canestri assurdi e che il più delle meglio dire non da tutti i lati del campo. volte oltre a valere i due punti valgono anche più Assolutamente non amato, per esempio, negli di un’apparizione all’interno delle varie top ten di angoli dove tira male e meno volentieri (0/3 sul highlights. Di 7/17 la statistica sul lato sinistro e lato destro e 0/2 da quello sinistro fino a questo 7/15 verso destra con il classico arresto e tiro o momento ndr) anche perché da quelle parti, ovvero anche un fade away o step back dal punto stilistinei pressi della linea di fondo, è sempre prevedibico e dal punto di vista del risultato praticamente le4 la partenza dell’espresso del talento di Miami perfetto. Per quanto riguarda poi quello che sucper arrivare come un fulmine o precismanete come cede quando il tutto si sposta definitivamente ‘Flash’ verso il canestro con conclusioni ad alta verso il canestro servirebbe addirittura uno spazio tasso di difficoltà (ma di queste ne parleremo tra a parte vista la quantità enorme di modi di finire poco!). Quelle preferite sembrano essere, in questa nel traffico e non con le quali D-Wade produce la stagione ed in generale fino a questo punto della gran parte del proprio fatturato offensivo. Alley carriera i due lati del campo raffigurabili con il teroops con schiacciata, alley oops con appoggio mine di spot di ala. Insomma nei mezzi angoli volanti, penetrazione dal pick and roll verso destri e sinistri dove vederlo tirare corrisponde il destra o verso di sinistra, fa poca differenza e più delle volte a tre punti automatici. Il lato sinistro layup spettacolari con la stessa mano di partenza del campo è, poi, quello tra i due preferito da Wade o con cambi volanti di mano e di lato. Affondata visto che sono state 30 le conclusioni tentate, al ad una mano in contropiede, schiacciata rovesciamomento di scrivere, con 11 realizzazioni provenienti da varie situazioni quali per esempio, scarichi, quali ta o 360 su palla rubata in difesa, arcobaleno o per esempio tiri in transizione o solamente piccolo passo sul pick and roll verso sinistra e tiro da tre punto. gancetto in corsa nei movimenti senza palla e chi Molti di meno quelli verso destra, anche perché anche in questo caso la proprietà di palleggio sulla mano più ne ha più ne mette per il 62/105 e 59% totale e preferita spesso porta ad una partenza che può concludersi in due differenti modi: arresto e tiro dalla media parte del gioco per la quale maggiormente è avvao altra locomotiva che arriva dritta dritta fino al capolino (3/10 la statistica dalla lunga distanza in questione lorata la tesi che per singola giocata il nome di ndr). Insomma l’ideale per il difensore o meglio per difensori impegnati sul gioco a due è tenerlo con i piedi Dwyane Wade sia quello al momento più accostafronte a canestro e affidarsi ad un tiro centrale ancora più altalenante che altro per usare un eufemismo (2/9 bile e paragonabile a quello di Sir Hairness e 22%). Più facile a dirsi che a farsi, visto che l’inventiva, il genio e le proprietà balistiche del soggetto in queMichael Jordan.
e Wade
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Lewis è l’ago della bilancia dei Magic L’ANALISI
Dopo aver scontato le dieci partite di squalifica, l’ex Sonics ha cambiato le sorti dell’attacco di coach Sten Van Gundy, ora Orlando è di nuovo la ‘regina’ dell’Est, come lo scorso anno DI
D OMENICO P EZZELLA
Nove giorni. Questo il tempo necessario per passare attraverso due remake della scorsa stagione. Per passare attraverso quelle che sono state le due tappe importanti per l’arrivo degli Orlando Magic alla scorsa Finale Nba, anche se questa volta in ordine inverso: Cleveland Cavaliers prima e Boston Celtics dopo. Ma anche nove giorni per passare da quella che era la versione rimaneggiata di inizio stagione e che viaggiava un po’ con il freno a mano tirato a quella che sarebbe dovuta essere, e il condizionale è d’obbligo, la squadra che da li alla fine della stagione ha come compito principale quello di arrivare quanto meno ancora una volta all’atto conclusivo di questo campionato. Condizionale d’obbligo perché facendo un piccolo e veloce ripasso, dopo che coach
Fonte foto: http://lh4.ggpht.com Sten Van Gundy ha potuto recuperare colui che è l’ago della bilancia dell’attacco e delle spaziature dei Magic, Rashard Lewis, ha dovuto fare a meno ancora una volta di Jameer Nelson ancora fermo ai box per infortunio. Ma Nelson o non Nelson le due formazioni del team della Florida, le due partite contro quelle che sono state le avversarie principali della scorsa stagione hanno messo in mostra quelle che potrebbero essere le due facce di un attacco che potrebbe quindi cambiare come il giorno e la notte. E il tutto come dicevamo in precedenza grazie ad un solo uomo l’ex Seattle Supersonics Rashard Lewis (anche se nella prima sfida quella contro Cleveland mancava un altro tiratore importante come Ryan Anderson ndr). Un giocatore che cambia come il giorno e la notte le spaziature, tutto lo spacing disegnato e preparato dal coaching staff di Sten Van Gundy. Un giocatore capace di essere incisi-
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vo non solo per la sua squadra, ma nel senso opposto anche per la squadra avversaria e la sua assenza, per esempio la si è notata e come nella sfida contro Cleveland. Ora tralasciando il lato della motivazione, ovvero quello che ha posto i Cavs subito su di un binario migliore e con in canna molti più colpi da sparare dovuti alla rabbia dell’eliminazione dello scorso anno (Mo Williams il più scatenato di quel 11 novembre alla Amway Arena di Orlando ndr), i Magic hanno dimostrato di faticare e come con una squadra che non può contare sui suoi spazi, ma soprattutto sui suoi tiratori. Giocare il pick and roll centrale dal quale si sviluppa l’intero attacco dei Magic con Gortat non è certo la stessa cosa che giocarlo con Rashard Lewis. Giocare qualsiasi tipo di situazione offensiva che con l’ex Sonics finisce col portare il numero ‘4’ avversario fuori dalle tacche è diverso che giocarle con un lungo dal raggio limitato e che sicuramente ama stare più vicino che lontano da canestro pestando i piedi tra l’altro anche a Dwight Howard; ed il perché è molto facile. La difesa dei Cavs, infatti, non ha dovuto fare le scelte che hanno messo in crisi una stagione intera con Varejao e company che mal si sono trovati a dover uscire sempre sullo show difensivo su Lewis che invece di giocare il pick and roll ha sempre il scelto il pick and pop con tiro dalla lunga distanza. Ma hanno dovuto controllare, con i piedi a centro aria, i tagli (seppur ben eseguiti con timing perfetto ndr) del centro polacco. Cosi come non si è vista e non si è dovuta vedere nessuna girandola selvaggia di cambi difensivi per arrivare sul tiratore più lontano ed arrivarci magari con un lungo visto che da dietro l’arco della lunga distanza compariva quasi sempre il numero 9 di Lewis. Ed allora Orlando si è dovuta adattare dimostrando di non ‘gradire’ più di tanto uscire al di fuori di quel sistema che ormai era cosi amato, anche se con qualche cambiamento, dai Magic stesso. Lo stesso tipo di sistema che è tornato ad essere, almeno sulla carta, quello della passata stagione con il rientro dopo 10 partite, proprio dell’ex Seattle anche se poi nell’altro ‘big match’ tanto atteso, quello contro i Celtics del rientrante Garnett (lui pure alla ricerca della rivincita della sua Boston ancor di più dopo aver assistito a tutto in borghese dalla panchina ndr). Almeno sulla carta, perché se da un lato Van Gundy ha potuto equilibrare il tutto con l’inserimento di Lewis e rimettere in moto la macchina Orlando, dall’altro ha dovuto fare a meno ancora una volta di Nelson. Tragedia? Non proprio. A quanto pare la presenza o meno del folletto ex Saint Joseph's non sembra essere cosi indispensabile come si crede. Lo scorso anno I Magic sono arrivati in Finale Nba con l’accoppiata in cabina di regia formata da Rafer Alston ed Anthony Johnson, quest’anno le vittorie ed il primato nella Southeast Division con 14 vinte e 4 perse è frutto anche della coppia Jason Williams ed il solito Anthony Johnson che rispolverato nel momento del bisogno non fa certo male ad un sistema che ormai l’ex Indiana conosce molto bene. Quasi a dimostrare che la point guard non è poi cosi importante, quasi a dimostrare che il tutto ruota attorno a quell’atipicità che solo Van Gundy ha saputo dare a questa squadra e tutto attorno ad un sistema fatto di tiratori, puri e non, che trova la sua ancora in Superman, in Dwight Howard, il cui rendimento vive sulle poche pressioni che a volte arrivano al centro dell’area dal momento che non puoi battezzare in nessun modo coloro che sono sugli esterni anche se poi esterni non sono. Meno persone ci sono al suo fianco (vedi le difficoltà che l’high schooler prima scelta assoluta ha mostrato nel giocare nei periodi di difficoltà al fianco di Gortat che per caratteristiche è interno quasi quanto Howard), più l’agilità, la potenza squassante e l’atletismo di Superman possono essere messe in evidenza. Insomma Tutto grazie alla presenza di Rashard Lewis. Questa ragazzo potrà pur essere una sorta di stella incompiuta, un giocatore che non ha mai compito tutto il suo percorso cosi come il suo talento aveva indicato, ma alla corte di coach Sten Van Gundy è divenuto l’olio per far funzionare il motore di una squadra che si è ripresa in mano il comando della Eastern Conference, proprio come è avvenuto dodici mesi or sono. Semplici coincidenze o dati irrilevanti? Sarà il tempo a dirlo, al momento in Florida il bianco ed il blù, con il ‘White Chocolate’ al comando delle operazioni, è ancora il binomio di colore dominante della Florida del basket.
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‘ Tu tti i nu meri del M ago ’ LA RUBRICA
DI
D OMENICO P EZZELLA
Al momento resta sempre il giocatore tricolore di riferimento o quanto meno considerato ad un livello superiore agli altri per una sorta di considerazione di esperienza, di numeri e forse di comprensione del gioco (forse dal momento che quella di Danilo Gallinari sta effettivamente crescendo di giorno in giorno in attesa che poi la società gli metta al fianco giocatori anche in grado di permettergli di elevarsi da questo punto di vista ndr). Nella prima puntato di questo Italians Do It Better ne avevamo già parlato, l’avevamo accennato, ma forse era troppo presto per cercare di capire il reale andamento del ‘Mago’. Ora in cascina ci sono più partite, ci sono più gare e più dimostrazioni che quello in campo quest’anno sarà un Bargnani diverso da quello ammirato negli anni scorsi. Le differenze sono lampanti, sono sotto gli occhi di tutti e non sono certo figlie di un momento passeggero o della classica fortuna concessagli dalla Dea Bendata. L’ex Benetton Treviso ha dimostrato che le sue migliorie a livello di scelte offensive non sono passeggere, ma che ormai sono parte del proprio bagaglio. Il semplice accontentarsi, ormai, fa parte del vecchio Bargnani, quello in campo è un giocatore diverso. Costante l’aggressività in fase offensiva, costante l’alternanza tra le varie soluzioni che il talento che possiede gli mette a disposizione passando dall’arresto e tiro, alla partenza in palleggio ed il tiro dalla lunga distanza. Cose che faceva anche in precedenza? Certo, ma è la costanza e l’aggressività con la quale si prende queste responsabilità che fa pensare ad un giocatore diverso. Poi però delle piccole falle ci sono anche perché altrimenti si stareb-
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be parlando di una stella fatta e finita. Bene l’aggressività, bene le scelte, ma ancora oggi Andrea non ha fatto propriamente suo il modo di capire quanti e quali possessi contano per vincere una partita. Certo avere in squadra una stella assoluta come Bosh (che in teoria dovrebbe prendersi la maggior parte delle grandissime responsabilità visto il salario che percepisce ndr) non ti aiuta, ma almeno il nazionale italiano si è incamminato nella strada giusta. Cosi come non propriamente settato nel modo giusto è il lato difensivo. Anche qui non è che il ‘Mago’ abbia tutti i demeriti di una delle peggiori difese della Nba, ma cosi come per Gallinari, lavorare in un sistema che non ti aiuta da questo punto di vista, non sempre
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giova al natio di Roma. Anche perché non sempre può coprire con falli (per il ritardo) i giocatori o penetratori altrui ed allora in alcune occasioni si amministra lasciandosi andare a qualche passaggio a vuoto di troppo. Poi però ci sono i numeri, ci sono le statistiche (17 punti e 6,6 rimbalzi di media la migliore di sempre da quando ha vestito la maglia dei Raptors nel 2006) e vedi che effettivamente qualche luce sul cammino di Andrea Bargnani si è accesa, anche in vista dell’All Star Game («Di sicuro Andrea verrà preso in considerazione dai coach come riserva per quello che sta facendo» il commento di Triano ndr), in attesa che le semplici luci diventino delle vere e proprie luminarie logicamente inneggianti al tricolore.
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LE STATISTICHE DI ANDREA BARGNANI
Last 3 Games | DATE OPP
Complete Game Log Rebounds RESULT MIN FG 3P FT STL BLK TO PF OFF DEF TOT AST PTS
11/25 @Cha L 116-81 11/27 @Bos L 116-103 11/29 Pho L 113-94 12/1 Was L 106-102 12/2 @Atl L 85-63 Numbers for Last 5 Games MIN 27.8
FG 28-59
28 6-12 23 2-6 38 8-19 35 8-14 15 4-8
3P FT 7-16 13-15
STL 0.2
2-3 1-2 1-2 2-2 1-5 7-7 2-4 2-2 1-2 1-2 BLK 1.0
0 0 1 0 0
0 3 1 1 0
0 2 0 2 0
TO PF 0.8 2.8
OFF 1.6
2 1 3 5 3 DEF 3.6
0 1 3 4 0
4 3 4 7 0
4 4 7 11 0
TOT 5.2
AST 1.0
1 0 2 1 1
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PTS 15.2
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‘Il canto del Gallo’ LA RUBRICA
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DI
D OMENICO P EZZELLA
Un pesce fuor d’acqua si, ma nel senso buono del termine. Un giocatore nettamente diverso da quello che è generalmente il normale andamento ed il normale andazzo dei Knicks di questa stagione. A questo punto qualcuno potrebbe anche dire: “Non ci volevo certo la zingara per indovinare che…”. Certo, era prevedibile che la formazione cestistica europea, che gli anni passati a sputare sangue, in senso figurato, prima di tutto nella propria metà campo sui vari parquet d’Europa contro i migliori giocatori del Vecchio continente e non, lo rendono un giocatore diverso per attitudine, ma quello che sorprende oltre qualsiasi tipo di pronostico è che tale attitudine il ‘Gallo’ riesca a tenerla nonostante l’influenza ‘negativa’ dei compagni che davvero non fanno nulla che nel linguaggio e nel vocabolario cestistico del giocatore milanese possa essere considerato come un qualcosa di utile per la difesa. Una sorta di predicatore nel deserto per Micke D’Antoni che forse nemmeno si aspettava un Gallinari cosi incisivo sulla nuova stagione dopo quella spezzettata e passata in borghese da rookie. Sempre l’ultimo a tirare i remi in barca, sempre l’ultimo a decidere che il match non è ancora finito anche durante la pesantissima e difficile permanenza dall’altra parte della Nazione. Certo i risultati, le sconfitte, un attacco che a volte è asfittico e senza nessuna idea, non aiutano l’ex Olimpia che in alcune occasioni può anche essere sembrato al di fuori di qualsiasi tipo di schema o di attacco dei Knicks, ma che invece qualcosa di buono l’ha sempre fatto. Certo non ha ancora quello status e quel nome all’interno della squadra per poter decidere di stabilire lui quanti tiri e quante conclusioni debba prendersi, e quindi in alcune occasioni è anche fuori dal gioco perché è lo stesso flusso del
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gioco che lo porta lontano dal match. Se poi a questo ci mettiamo che la ‘run and gun’ di D’Antoni e le mani non propriamente ‘pensanti’ dei compagni di squadra che approfittando della concezione base del tiro veloce, nei primi secondi o addirittura in transizione tirerebbero anche i pop corn dei presenti in prima fila, e qualche serata negativa che può assolutamente capitare (come quella che per esempio in Colorado contro i Nuggets dove il 2/10 al tiro è abbastanza eloquente per spiegare il tipo di discorso in questione ndr) allora ecco che il quadro può essere o sembrare negativo. Cosa prova il contrario? Assolutamente la partita contro i Phoenix Suns. Non tanto per i 27 punti, non tanto per i 10 rimbalzi dal
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momento che il Gallo sarebbe capace di fare numeri del genere anche in una sconfitta, ma quello che fa la differenza è quando la squadra si sintonizza sulla sua stessa lunghezza d’onda. Difesa forte ed attacco equilibrato. Tiri puliti che ti finiscono nelle mani e che finiscono nelle mani dei compagni per una squadra che in queste condizioni esalta anche il talento del milanese che attualmente ai punti e non ai numeri può essere considerato secondo solo a Bargnani. E parlando di numeri come non mettere in evidenza il fatto che il nome del milanese è il primo per tiri tentatati dall’arco della lunga distanza con 48 conclusioni tentate fino a questo momento.
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LE STATISTICHE DI DANILO GALLINARI
Last 3 Games | DATE OPP 11/21 @Njn 11/22 Bos 11/24 @Lal 11/25 @Sac 11/27 @Den 11/29 Orl 12/1 Pho
Averages:
MIN FG 29.2 4.7-10.4
Complete Game Log RESULT MIN FG 3P FT W 98-91 26 6-12 3-8 2-3 L 107-105 25 4-8 2-5 0-0 L 100-90 32 4-10 3-7 0-0 L 111-97 30 3-9 2-7 0-0 L 128-125 18 2-10 0-0 0-0 L 114-102 34 5-7 4-5 1-2 W 126-99 36 10-19 6-12 1-2 3P FT STL BLK 3.0-6.8 1.4-1.8 0.67 0.7
STL BLK TO 0 0 2 2 0 2 2 2 0 1 0 3 0 0 1 0 2 0 0 2 0
TO 1.28
PF 2.1
OFF 0.7
PF 2 3 1 2 1 3 1
Rebounds OFF DEF TOT 0 4 4 1 5 6 0 4 4 0 5 5 2 2 4 1 5 6 1 9 10
DEF 3.9
TOT 4.7
AST 1.4
AST 0 2 3 0 1 1 2 PTS 13.9
PTS 17 10 11 8 4 15 27
S T A RS ‘ N’ S T RI P E S
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‘Lo Stallone Italia no’ LA RUBRICA
DI
D OMENICO P EZZELLA
Lo avevamo lasciato con un po’ di amaro in bocca e con pochi minuti e poco campo in cascina. Due settimane (quasi ndr) e il tutto è cambiato. Non che gli estimatori del talento di San Giovanni in Persiceto avevano avuto il ben che minimo dubbio, ma il bolognese fortitudino per amore, virtussino per formazione cestistica, ha dato una bella dimostrazione anche a chi, magari, aveva storto un po’ il naso dopo le prime uscite e le prime prove dopo quella che potremmo definite come la quasi bocciatura di Triano nei suoi confronti. Pochi minuti, pochi scampoli di partita con addirittura qualche match guardato dalla panchina sicuramente soffrendo come un dannato. «Mi piace tenere tre esterni che sappiano trattare la palla nei momenti cruciali delle partite» è stata la dichiarazione di Triano ai tanti che magari anche timidamente avevano ipotizzato o anche chiesto un minutaggio maggiore da parte di Marco Belinelli all’interno di questi nuovi Raptors. Ma alla fine il tempo oltre che le prove convincenti dell’esterno ex Effe, hanno spinto il tecnico canadese a cambiare timidamente il proprio pensiero. Oddio il trio Calderon-JackTurkoglu (con quest’ultimo vero ago della bilancia della dichiarazione di cui sopra per le sue doti di finisher e di trattatore del gioco specialmente dal pick and roll e quindi un giocatore che Triano sicuramente non vuole privarsi per ovvi motivi per le cui spiegazioni basta andare indietro nel tempo e pensare alla scorsa stagione del turco ex Kings e Spurs ndr) è sempre quello maggiormente utilizzato, ma il ‘Beli’ ha fatto breccia nel cuore del suo coach con quella che è la stessa moneta richiesta dal suo nuovo timoniere: il trattamento di palla e gestione di gioco. In tempi non sospetti lo stesso giocatore bolognese aveva dichiarato di considerarsi più pericoloso, e non solo dal punto di vista dei punti segnati, e produttivo sui ventotto metri di campo. Alla fine cosi è stato. Belinelli ha dimostrato una intelligenza cestitica non indifferente nello scendere in campo e seguire esattamente gli ‘ordini’ ma soprattutto ‘the flow of the game’, il flusso del gioco. Nessuna forzatura, nessuna sbavatura dettata dalla voglia
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STAR S ‘N’ STR I PES
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di conquistare Triano a suon di punti cosi come era abituato a fare dall’altra parte della Nazione con Don Nelson. Assist, compostezza nello stare in campo rispettando i compagni e le gerarchie non scritte nelle opzioni offensive. Snaturato? Assolutamente no e chi ha avuto la possibilità di ammirarlo durante le ultime due settimane se ne è abbondantemente accorto. Certo non è più il realizzatore assoluto di Bologna o quello senza ne arte ne parte al quale era permesso tutto a Golden State (per la gioia dei tifosi, ma anche di tutto il movimento cestistico tricolore nel vedere uno dei propri prodotti finire tra i migliori marcatori di giornata sul noto sito web della National Basketball Association ndr), ma un giocatore che si è calato nella maniera migliore possibile nella nuova parte. La dimostrazione: i giochi a due fatti con il connazionale Andrea Bargnani con anche qualche metro di spazio che tempo fa sarebbe stato sinonimo di tiro senza guarda in faccia a nessuno. Assist smanazzati a destra e a manca (4 il massimo fino a questo momento nella sfida contro i Miami Heat del 20 di novembre e in generale 2 di media fino a questo momento nel mese di Novembre ndr) per i compagni non solo in ottemperanza di schemi, di ribalta-
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Last 3 Games |
menti e quant’altro, ma anche e soprattutto dal palleggio dove sono arrivate anche delle vere e proprie gemme (il nolook pass resta quello preferito da Belinelli quando parte in palleggio e ha già deciso di attirare la difesa e mettere lo spaulding nelle mani dei compagni ndr) che hanno lasciato Triano per primo, con gli occhi sbarrati. Poi però l’istinto è l’istinto ed allora ecco che sono arrivati anche i punti, anche le triple ed i canestri importanti come per esempio quelli che hanno permesso ai Raptors di rivoltare come un calzino la sfida contro i Los Angeles Clippers allo Staples Center che non si era certo messa nel binario giusto con 22 punti di distacco al suono della sirena dell’intervallo lungo. Alla fine sono stati 15 in California, 16 qualche sera dopo e 19, season high ma con 4 assist lo stesso, nella sconfitta dei Raptors nel regno dei mormoni di Utah per 9,4 punti di media. Ma a stampare il sorriso sulla bocca di Beli e dei suoi tanti estimatori sono ben altri numeri e ben altre cose: i 20 e passa minuti concessigli da Triano nel mese di Novembre e quello che ti conquisti solo giocando e giocando bene, il rispetto dei compagni di squadra, Bargnani escluso dal momento che il Mago era già consapevole di quello che Belinelli poteva fare.
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LE STATISTICHE DI MARCO BELINELLI Complete Game Log Rebounds
DATE OPP RESULT MIN FG 3P FT STL BLK TO PF 11/24 Ind W 123-112 27 1-4 1-2 8-10 1 0 1 2 11/25 @Cha L 116-81 25 2-9 1-5 2-2 0 0 1 0 11/27 @Bos L 116-103 16 1-3 1-3 2-3 0 0 2 2 11/29 Pho L 113-94 17 0-5 0-3 0-0 0 0 1 1 12/1 Was L 106-102 19 2-7 1-3 0-0 2 0 3 1 Numbers for Last 4 Games
OFF DEF TOT AST 0 2 2 3 0 0 0 2 0 0 0 0 0 3 3 0 0 2 2 0
PTS 11 7 5 0 5
MIN FG 3P FT STL BLK TO PF OFF DEF TOT AST PTS 20.8 6-28 4-16 12-15 0.6 0.0 1.6 1.2 0.0 1.4 1.4 1.0 5.6
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LBJ e lo show time dei Cavs IL PARTITONE
Primo quarto trascorso a coinvolgere i compagni di squadra. Undici le assistenze alla fine del primo tempo di gioco. Poi è in salito in cattedra in attacco e per i Mavs è stata notte fonda
DI
D OMENICO P EZZELLA
Impossibile per i Mavericks provare a mettere in campo una qualche minima resistenza. Impossibile per Dallas riuscire a fermare il ‘Circus’ dell’Ohio, proprio la Dallas che al suo interno ha due dei principali fautori del più famoso ‘flying circus’ della Nba, eppure di fronte allo show personale di Lebron, dello show collettivo dei Cavaliers, c’è stato davvero poco da fare. Focus On The Court. Lebron James. Sembrava letteralmente una scheggia impazzita. Una prestazione non mostruosamente roboante, ma di una incidenza unica. Trentasei minuti in cui ha dimostrato praticamente il perché è al momento se non il giocatore più dominante quanto meno uno che se la gioca alla pari con il 24 in maglia Lakers. Il figlio di Akron ha sciorinato, infatti tutto il suo repertorio e tutto il suo attuale modo di giocare. Primo tempo tutto a favore dei compagni; 24 minuti in cui il suo
TEAM STAT COMPARISON
DALLAS @ CLEVELAND
POINTS 95 FG 34- 72 ( . 472) 3P 8- 19 ( . 421) FT 19- 24 ( . 792) REB. 5-24 ASSISTS 20 TURNOVERS 10 STEALS 5 BLOCKS 2 FOULS 18 ( 0/ 0) LARGEST LEAD 3
111 45- 78 ( . 577) 9-13 (.692) 12- 17 ( . 706) 10- 39 33 14 2 2 22 (1/0) 18
C L E V E L A N D 1 11- 9 5 D A L L A S unico obiettivo è passare, sempre che poi il pallone non gli capiti per le mani allora davvero un tiro non glielo nega nessuno. Ventiquattro minuti in cui ha collezionato la maggior parte dei suoi 12 assist finali facendo felice in un paio di occasioni il rientrante e forse anche un po’ attapirato (i numeri e le vittorie dei Cavaliers durante la sua assenza non depongono certo a suo favore ndr) Shaquille O’Nela che però ha ringraziato e depositato con due schiacciate squassanti. Ventiquattro minuti passati a far girare un attacco che per lunghi tratti è tornato essere quello veloce e brillante della prima parte di stagione scorsa con il 23 a gestire il tutto a mo’ di direttore d’orchestra. Poi nel secondo tempo il cambio di registro. Un cambio di registro, che però, è ravvisabile anche nei compagni di squadra, dal momento che le parti si invertono ed allora sono loro a cercarli in maniera spasmodica e a vivere di quei tiri che comunque The King James riesce a regalare su scarichi o sui tanti raddoppi che attira quando mette palla per terra. Poi logicamente un po’ di resistenza la devi pure opporre, cosa che invece non hanno fatto i Mavs ed ecco che allora il camion da 130 chili ha preso più di una volta il decollo e con vari modi per finire il tutto: bimane per gasare il pubblico nel terzo periodo, tap in a volo sulla rimessa di Delonte West e dulcis in fundo layup rovesciato che chiude definitivamente i conti di una serata conclusasi con 10/20 dal campo e appunto 12 assist. Chapeau. Cleveland Cavaliers. Quello che si è visto in campo contro i Mavs è la classica situazione di una squadra dalla doppia faccia. Una squadra che ha due
modi di giocare, una squadra che deve necessariamente cambiare il suo modo di giocare se vuole tenere in campo il giocatore che Ferry ha portato nell’Ohio per accontentare Lebron e provare a vincere il titolo: Shaquille O’Neal. I numeri parlano chiaro, l’impennata dei Cavaliers è arrivata in coincidenza con la sua uscita temporanea dalle scene e quindi quando Cleveland e Mike Brown hanno potuto riavviare o meglio reinnescare le marce alte di un motore che fino a quel momento con The Big Aristotele sembrava essere fermo alla seconda. Quale il punto? Beh che coach Mike Brown ha ancora qualche mese per riuscire a trovare la giusta alternanza in campo tra i due modi di giocare, perché è palese che con il ‘Cleveland Old Style’ sciorinato anche contro i Mavs, O’Neal c’entra ben poco. Dallas Mavericks. Va bene l’assenza di Josh Howard ed Eric Dampier, va bene una nome non propriamente di squadra votata alla difesa, ma la versione difensiva, tanto per usare un eufemismo ed un grosso parolone nella circostanza, dei texani di Mark Cuban è stata davvero da formazione di D-League. Certo giocare e marcare Lebron James non è certo un affare per molti, ma i Mavs non hanno nemmeno tentato di mettere un qualsiasi tipo di corpo tra il 23 ed il ferro. Cosi come non sono riusciti a trovare una soluzione alle varie gamme del settore lunghi dei Cavaliers. E la conseguenza è stata un numero spropositato di layups e Clevaland che ha chiuso con il 57,7% dal campo ed il 69,2% dalla lunga distanza.
S TAR S ‘N’ STR I PES
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Mo W il liams: «Ne ssun o pot ev a fe rm a rm i»
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HANNO DETTO...
mezzi quando sono dietro la linea da tre punti e so che prima o poi i miei tiri entrano, e questa sera era una di quelle sere in cui sono entrati».
LEBRON JAMES: «Delonte è un giocatore assurdo. Un giocatore capace di entrare giocare uno scorcio di partita, uscire, stare fuori tanti minuti rientrare e farti sembrare, con determiante giocate, che non se ne sia mai andato DIRK NOWITZKY: «La difesa è stata il motivo per cui abbiamo perso. In dal campo. Non so come fa, ma quello che so è che lo fa e basta. Credo che attacco abbiamo segnato quasi cento punti, che in generale possono anche in questa Lega ci siano poche persone in grado di giocare in questo modo bastare per vincere una partita in trasferta, ma se poi concediamo tanti e Delonte è una di queste». layups nella nostra metà campo credo che non riusceremo mai a vincere». RICK CARLISLE: «Mi è piaciuto il modo in cui abbiamo giocato a Houston MO WILLIAMS: «Credo la statistica prima di questa partita era di 2/15, ma ed Indiana, ma stasera davvero abbiamo fatto acqua da tutte le parti, non per questo ho rinunciato a tirare. Ho fiducia in me stesso e nei miei senza dubbio quello che ci serviva era una maggiore attitudine difensiva».
TUTTE LE CURIOSITA’ DELLA SFIDA - S o n o s t at i o t t o g l i a ss i st e d i c i oc c o la t i n i ch e L e br o n J a m es h a se r v i t o p r at i c a m en t e su d i u n p i a t t o d ’a r g e n t o a i p r o p r i co m p a g n i d i s q u ad r a i n u n r u i f c i m en t o s u di u n c a m po d a b as k et d e l f am o s o W i l ly W o n k a . A l la si r en a p er l ’i n t e r v al l o l u n go er a no i n v ec e 1 1 s u i 1 2 f i n a l i . - S a le a q u a t t r o l a s t r i sc i a di s co n f i t t e co n se c u t i ve de i t e xa n i d i M ar k C u b a n n ei ‘ f ac e t o f a c e’ co n i l t ea m d el l ’ Oh i o . - L eb r o n e c om pa g n i m et t on o f i n e al l e s e i vi t t o r ie c on s ec u t i v e i n t r a s f er t a p e r i M a v er i c k s c h e i n p r e c ed e n za a ve va n o b at t ut o: S a n A n t o n i o S p u r s , M i n n es ot a T i m b e r wo l v es , D et r o i t P i s t o n s , M i l wa u k ee B u c ks , H o u s t o n Ro c k et s e d I n d i a n a. - I 2 4 r i m ba l z i c a t t u r a t i d a D al l a s r a p p r e se n t an o i l r e co r d n e ga t i v o p e r q u es t a s ez i o n e n e l la st o r i a d e i M av er i ck s.
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L a riv in ci ta di D’An ton i
Nella sfida più sentita da parte del coach ex Benetton Treviso, i suoi Knicks gli regalano una schiacciante vittoria, prima in difesa e poi in attacco
IL PARTITONE
NE W YO RK DI
D OMENICO P EZZELLA
12 6 -9 9 P H O EN I X
Una bella soddisfazione. Sicuramente una vittoria con dedica da parte dei Knicks al loro allenatore che durante l’avvicinamento alla partita li avrà catechizzati sull’importanza del match, sul valore che per lui aveva dal punto di vista personale e per dimostrare che effettivamente il suo ‘run and gun’ è ancora il migliore, anche se al momento quello di Gentry ha produtto un record migliore, ma non certo per meriti specifici dell’allenatore ma per differenze di roster. Un bel regalo di Natale anticipato rifilare più di venti punti ai Suns ed aver messo in piedi la miglior partita di questa stagione. DANILO GALLINARI. Ormai non ci sono più dubbi: il ‘Gallo’ è e sarà una delle pietre miliari di questa squadra. Un giocatore nettamente diverso dagli altri e forse non c’è nemmeno bisogno di dirlo. I derby
giocati in Italia sicuramente lo avranno messo in una situazione di vantaggio riseptto ai compagni nel capire il valore emotivo della gara e lui cosa fa? Beh sforna la sua primissima prestazione decisiva in maglia New York. Praticamente una sentenza dalla lunga distanza (6/12), un cuor di leone sotto i tabelloni con 10 rimbalzi catturati e poi tanto per non farsi mancare nulla e tanto per far capire che la parola ‘all around’ in mezzo al campo ovvero di giocatore capace di fare di tutto, è stata coniata praticamente per lui, ha dato via due assist e due stoppate (quella su Jason Richardson è davvero da urlo). Se poi a tutto questo ci mettiamo l’intensità difensiva (non una novità per lui) allora il quadro è completo. NEW YORK KNICKS. Facile esaltare il sistema di D’Antoni (anche se il pick and roll fronte a canestro è stato davvero l’arma letale della formazione della Grande
Mela). Facile parlare dei 120 punti e più segnati, quello che sorprende è la difesa. Una squadra che concettualmente non sa nemmeno dove sta di casa il lavoro nella propria metà campo, ha sfornato una difesa cinque stelle lusso riuscendo a chiudere su ogni situazione di transizione offensiva avversaria, su ogni situazione di gioco a due e addirittura a tenere a bada l’atletismo e l’atipicità dei lunghi dell’Arizona. PHOENIX SUNS. Ad aggiungere benzina sul fuoco scatenato dalla difesa dei Knicks, i Suns ci mettono del proprio con una serata davvero negativa. Diciassette palle perse, 23% dalla lunga distanza e 45,5% totale dal campo. Numeri che hanno sicuramente dato una mano a New York e Mike D’Antoni.
TEAM STAT COMPARISON
PHOENI X @ NEW YORK POINTS 99 FG 35-77 (.455) 3P 4-17 (.235) FT 25-32 (.781) REB. 12-40 ASSISTS 18 TURNOVERS 17 STEALS 4 BLOCKS 4 FASTBREAK P. 6 LARGEST LEAD 2
126 47-95 (.495) 14-31 (.452) 18-27 (.667) 19-50 31 12 12 7 12 31
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Gallinari: « Abb ia mo dif eso e co rso più di loro per tutto il ma tc h» DANILO GALLINARI: «Il piano era semplice: noi siamo una squadra che corre, loro sono una squadra che corre e quindi per vincere dovevamo correre più di loro non c’era altro modo per portare a casa la vittoria o meglio c’era e l’abbiamo aggiunto alla corsa. Questa sera abbiamo difeso alla grande tenendo un’intensità ed un’energia difensiva per tutti i 48 minuti e alla fine il risultato s’è visto». ALVIN GENTRY: «Mike ha fatto davvero un ottimo lavoro di preparazione alla partita. Hanno giocato bene, hanno tirato
HANNO DETTO...
Fonte foto: http://www.everyjoe.com bene, ma soprattutto hanno difeso bene tant’è che c’hanno tenuti sotto i 100 punti». STE VE NASH : «Abbiamo giocato una partita orrenda. Ma ormai è andata dobbiamo solo lasciarla scivolare via e guardare avanti».
TUTTE LE CURIOSITA’ DELLA SFIDA
- P ri m a d i q u e st a s co n f i t t a A l vi n G en t ry er a st at o el e t t o co a ch d el m e se d e l l a We st e rn C o n f er en c e c o n b e n 5 vi t t or i e c on s ec u t i ve . Qu i n t o co a ch n e l l a st o r i a d e i S u n s a v i n ce re qu e st o ri c o n o sci m e n t o . - M i k e D ’A n t on i h a vi n t o i l t i t o lo d i cu i so p r a p e r b en q u a t t ro vo l t e . U n rec o rd p er la f ra n c h i gi a d el l ’ A ri z on a . - I K n i ck s i n q u es t a s t ag i o n e h a n n o s eg n a t o 71 p u n t i n el se co n d o t em p o so l o n el l a ga r a co n t r o i S i x er s d el 3 1 di o t t o b r e . - Pr im a d i qu e st a s c on fi tta il re c o rd de l le s fi de t ra que s t e du e s quad re e ra di 9 v it to ri e s u 11 in c ont ro a f av or e de i Phoe nix Suns.
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SOPHOMORE Fonte foto: http://spursbrasil.files.wordpress.com
‘SuperMario’ Chalmers
DI
G UGLIELMO B IFULCO
A volte può bastare un singolo episodio nell’arco di una carriera per immortalare ai posteri la figura di un giocatore: lo scenario è uno dei più affascinanti del panorama sportivo a stelle e strisce, non solo cestistico: la finalissima delle final four del torneo NCAA. Quella magica notte della March Madness 2008 ha regalato alll’immaginario collettivo uno degli eventi più significativi ed emozionanti della storia del college basketball: ladies & gentleman.. Mario’s Miracle..mancano 10,2 secondi alla fine delle ostilità tra i Memphis Tigers guidati dal freshman Derrick Rose e i Kansas Jayhawks dell’attuale point guard di Miami Mario Chalmers..le 2 lunghezze di vantaggio dei Tigers e i 2 tiri liberi assegnati a Rose sembrano sancire inesorabilmente il trionfo di Memphis, quando avviene l’incredibile: la futura prima scelta assoluta dei Chicago Bulls registra un 1 / 2 dalla lunetta e sul ribaltamento di fronte, una potenziale palla persa dei Jayhawks finisce nelle mani dello specialista difensivo più incisivo di quell’annata, Mario Chalmers appunto, terzo anno direttamente da Anchorage – Alaska, che, senza indugi, lascia partire dalle mani una perfetta bomba dell’avemaria ..parabola impeccabile, solo retina, Overtime; sulle ali dell’entusiasmo e dell’inerzia che quel miracolo ha determinato , Kansas sale sul trono dei campioni. Una storia talmente bella da renderla insperata anche per il più accanito sognatore; Mario Chalmers quella notte deve aver provato quello che qualche decade prima era accaduto a Michael Jordan, match winner a suo tempo di una finale dall’epilogo simile, in quel di North Carolina. Si potrebbe definire quel gesto come l’ “acmè” di una carriera o come un semplice punto di partenza per altre gesta leggendarie future. Probabilmente questo è il quesito che si pone tutt’oggi il playmaker dei Miami Heat, 34a scelta del draft 2008 da parte dei Minnesota Timberwolves. NBA- La vita è , tuttavia, molto strana e cattiva talvolta..e spesso capita di passare dalle stelle alle stalle in men che non si dica, soprattutto quando sei una giovane promessa che ha già avuto molto dalla vita e che vive con una tanto comprensibile quanto condannabile leggerezza, il successo riscosso solo pochi mesi prima. Siamo nel settembre 2008 : scatta un allarme antincendio nell’hotel in cui allogiano gli Heat, e le forze dell’ordine ravvisano un forte odore di Marijuana nella stanza in cui alloggiano Mario( nominato
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Most Outstanding Player dell’ultimo torneo NCAA , riconoscimento che non va ricondotto necessariamente ad un premio di MVP, ma semplicemente come una sorta di uomo decisivo della squadra vincitrice del torneo), e Darrel Arthur ( suo ex compagno ai Jayhawks tra l’altro) ;scoppia il caso ( e il caos)..si scopre che anche la seconda scelta Michael Beasley ha preso parte al “ festino ” stile giamaicano e partono cosi le sanzioni e le sospensioni del caso comminate dagli Heat e dalla lega. I 2 episodi raccontati sono un sunto di quello che è il personaggio Mario Chalmers; un ragazzo con colpi da autentico fuoriclasse , combinati con una mentalità non esattamente riconducibile ai Kobe Bryant o i Michael Jordan della situazione. Che il ragazzo non sia destinato a far genuflettere la lega come i 2 nomi poc’anzi citati è ,in linea di massima, noto. Ma se è vero che non è oro tutto ciò che luccica , è vero, allo stesso tempo, anche il contrario. E la realtà , come spesso accade, è sospesa nel mezzo, per cui è lecito definire Chalmers come un elemento che, seppur non destinato a lasciare un segno indelebile tra i pro nella lega odierna, ha tutte le carte in regola per dare un contributo da specialista in una delle squadre che , forte di una delle stelle più brillanti NBA, tale Dwyane Wade, può scalare le gerarchie della lega e competere con le franchigie attualmente più quotate della lega nella lotta al titolo NBA. L’ex giocatore della Bartlett High School, 1 metro e 85 per 88 chilogrammi, ha infatti dimostrato fin dal primo anno nella
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lega , quello appena trascorso, quelle che sono le sue peculiarità: difensore superbo sulle linee di passaggio e sulla palla (regular season chiusa a 2,0 palle rubate a partita, quarto in assoluto nella lega e primo fra i rookie, 3 di media nei playoff nella serie persa alla settima gara contro gli Atlanta Hawks), discreto realizzatore e assistman ( 10 punti a gara , con 4,9 assists e 2,8 rimbalzi ad allacciata di scarpe), colpi offensivi in canna figli di un atletismo e di capacità balistiche notevoli, ma allo stesso tempo brutte percentuali dal campo ( 40% ) , dalla linea dei 3 punti (28%) e dalla lunetta ( 71%), indici dell’ancora comprensibile, ma tangibile inaffidabilità del ragazzo. I margini di miglioramento sono comunque relativamente alti, ma l’impressione è che il play non abbia le carte in regola per affermarsi come superstar nella lega, pur avendo la possibilità di lasciare un segno maggiore rispetto ai cugini Lionel Chalmers e Chris Smith, entrambi meteore rispettivamente dei Los Angeles Clippers e Minnesota Timberwolves. La fiducia che coach Spoelstra gli sta mostrando (l’anno scorso ha giocato da titolare tutte le gare di RS e playoffs), oltre che un emblema della scarsezza di alternative valide in casa Heat, è , allo stesso tempo, anche un segno inconfutabile dei mezzi e delle potenzialità del giovane che , in attesa dell’eventuale colpaccio di mercato che gli Heat vogliono riservarsi nella prossima sessione estiva di mercato per tornare ad ambire ai quartieri alti del paradiso NBA, ad ora rimane uno dei punti fermi della franchigia della Florida.
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I Bulls hanno trovato il nuovo Dennis Rodman? AI RAGGI ‘X’
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D OMENICO P EZZELLA
Scomodare il passato è sempre cosa difficile, sempre che non lo si voglia fare per il semplice gusto di una chiacchiera da bar dello sport o all’interno di una delle tante conversazioni da ‘barber shop’. Ma ci sono dei momenti, delle situazioni e dei giocatori che ti portano a questo tipo di lavoro mentale. Ancor più difficile se poi uno dei due soggetti in questione, quello del passato, è un qualcosa che pesa o che ha pesato all’interno della scacchiera Nba. Certo forse non sarà un Hall of Famer, ma il nome di Dennis Rodman è di quelli che è scritto e che rientra a caratteri cubitali all’interno dei ‘mostri sacri’ di questo sport. A questo punto il dado è stato tratto, le acque sono state mosse e messe in agitazione, quindi non ci resta altro che mettere sull’altro piatto della bilancia il nome della contropartita per il confronto: Joakim Noah. A prima vista (cosa che prendendo in considerazione
uno dei giocatori più controversi del basket americano conta e come ndr) i due non hanno nulla in comune, anzi sembrerebbero essere esattamente agli antipodi, ma se ci si pensa a fondo, dove lo si trova un altro Dennis Rodman in tutto e per tutto. Capelli corti e colorati a secondo dell’umore del giorno, della settimana, del mese o se vogliamo rifarci a quello che accadeva in campo alle serie e alle partite di playoff. Il numero di tatuaggi ormai non è nemmeno più preso in considerazione, dal momento che si dovrebbe mettere in conto l’idea di fare il contrario e pensare a quanti centimetri del corpo avrebbe ancora a disposizione senza che un ago abbia colorato con inchiostro. Vita al di fuori del campo abbastanza movimentata, tanto per usare un eufemismo (e non solo quando era giocatore quando Phil Jackson era costretto ad attendere ‘The Worm’ in arrivo da Las Vegas a Salt Lake City per il semplice fatto che l’ex Spurs era in una sorta di conflitto con il paese dei mormoni ndr) e chi più ne ha più ne metta. Certo essere il figlio del Noah che qualche piccola trasgressione nel tennis l’ha pure fatta passare agli atti, lo mette, per geni ricevuti, all’interno di una categoria particolare, ma le differenze dal punto di vista del lato esteriore, capelli compresi con quelli ondulati e lunghi del due volte campione con i Florida Gators, sono davvero molto evidenti. Poi però quando si tratta di passare al campo, quando si tratta di mettere a confronto quello che i due soggetti in questione fanno (e facevano ndr) il confronto regge e come. Una mina vagante, una sorta di bomba di adrenalina pronta ad esplodere ad ogni pallone vagante, una scarica di adrenalina sia in attacco che in difesa quando la palla a spicchi urta contro l’anello e vola via per aria. Una dote innata, una cosa che te la senti scorrere nel sangue a maggior ragione se poi a conti fatti le tue mani non sono certo fatate da renderti una sorta di macchina da punti nella fase offensiva,
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oppure quando la tua altezza non ti da grandi garanzie di farcela. Tutte situazioni e tutte contingenze che ti portano a dare sempre di più, a non spegnere mai l’interruttore e pensare ad una sola cosa diventare uno specialista. Cosi è stato nella carriera di Dennis Rodman e cosi sembra essere per Joakim Noah. I numeri dei primi tre anni di carriera dei due parlano chiaro. Tre anni che potranno magari portare il figlio d’arte verso quelle tre stagioni di assoluto dominio in Illinois con la maglia dei Bulls che l’hanno poi definitivamente consacrato nel gotha del basket a stelle e strisce. Ed allora si alzi il sipario sul confronto. In sordina l’inizio per l’uno e per l’altro. Un primo anno di Nba non certo al di sopra delle righe (cosa quest’ultima che potrebbe far gridare allo scandalo quando si parla di uno dei giocatori più irriverenti d’America ndr) con il francese con il numero 13 che ha giocato 5 minuti in più rispetto alla primissima versione di Rodman in maglia Detroit Pistons. Cinque minuti in più in cui Noah ha approfittato per catturare qualche rimbalzi in più rispetto alla versione Bad Boy di Rodman (5,4 per Noah, 4,3 per The Worm nella stagione 86-87). Non dal punto di vista dei punti realizzati, dal momento che la cifra è pressoché identica con 6,6 per l’attuale power forward di coach Vinnie del Negro, 6,5 per il giovanissimo e poco tatuato DR91. Quella immediatamente successiva, quindi si parla dell’87-88, è stata ola stagione migliore dal punto di vista della produzione per Rodman che va addirittura in doppia cifra con 11,6 e mettendo in cascina 8,7 rimbalzi di media a fine stagione ponendo le basi per un futuro predominio sotto i cristalli di mezza America. La stagione da sophomore di Noah, invece, ha visto innalzamenti solo nella casella relativa ai rimbalzi dal momento che nell’anno della riscossa dei Bulls arrivati a gara7 contro i Celtics, le bocche da fuoco erano ben altre, ma il numero di palloni vaganti sono aumentati sensibilmente: 7,6 in 24 minuti. Ancora indietro nel tempo, ancora viaggio negli anni ’80 (88-89) e per Rodman si tratta di una delle ultime stagioni in cui punti e rimbalzi hanno avuto una produzione praticamente proporzionale: 9 tondi i punti, 9,4 i rimbalzi a partita.
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Proporzionale, da questo punto di vista, anche quella di Joakim Noah che al momento di scrivere viaggia con 11,1 punti ed 11,7 rimbalzi di media con il suo nome saldo in vetta alla classifica dei migliori rimbalzisti della Lega. «Sono contento ed eccitato allo stesso tempo. E’ bello vedere il tuo nome nelle prime posizioni di una classifica ed essere considerato uno dei migliori della Lega per quanto riguarda un fondamentale specifico. Ma so anche che siamo solo all’inizio e che quindi c’è ancora tanto da lavorare e spero di restare tra i migliori anche a fine campionato». E non potevano essere di soddisfazione le parole di Joakim Noah interrogato sull’argomento, ovvero quello del primato nei rimbalzi. Ma soddisfazione a parte manca ancora una piccola parte del raffronto originale e che rafforza la tesi del nuovo Rodman nella Windy City: i tiri liberi. Una specie di tortura tramutata in una sorta di farsa da parte di Rodman che tra l’altro odiava finire in lunetta dove si esibiva, a volte, con delle esecuzioni davvero rivedibili, tanto per usare l’ennesimo eufemismo. Non diversa la propensione per Noah che almeno a differenza del ‘Verme’ ci prova a fare meglio di sera in sera. La realtà però è che nessuno dei due nei primi tre anni è riuscito ad andare oltre la soglia del 60%: 68% totale per Noah circa il 63% nei primi tre anni di carriera di Rodman (addirittura peggio a fine carriera con il 58%). Che poi l’ex Gators debba ancora dimostrare di valere almeno quanto Rodman come difensore sulla palla, come carisma e tutto, questo è ancora da provare fino in fondo, ma i numeri non mentono Noah è uno dei migliori rimbalzisti della Lega, specialità che ha portato un altro giocatore con mano ‘quadrata’ (la maggior parte degli 11 punti di Noah arrivano in situazioni di rimbalzi offensivi trasformati, alley oops o palloni raccattati nella spazzatura e trasformati in oro, mentre il jump shoot dalla media e corta distanza non è ancora una sicurezza cosi come tra l’altro non lo era nemmeno per The Worm ndr) alla ribalta della National Basketball Association.
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S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S
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Y Yo ou u c ca an n’’tt c c m me e
LA RUBRICA
A LESSANDRO
DI
DELLI
La nuova rubrica di Stars N Stripes su tutto quello che ruota attorno al mondo e alla pallacanestro a stelle e strisce
PAOLI
GRAND HOTEL RODMAN Lo avevamo lasciato con le mani nella marmellata, vale a dire accusato di un approccio non propriamente ‘soft’ nei confronti di una dolce donzella in quel di Miami by night (sfogliate qualche vecchio numero di S‘n’S per ulteriori delucidazioni). Ora lo ritroviamo in Germania. Ci starebbe benissimo, come colonna sonora, la celebre ‘All around the world’ degli Oasis. Proprio così, il nostro caro amato Dennis Rodman ne combina di tutti i colori, e non ci riferiamo certo alla sua abitudine a rendere cromaticamente attraente la sua chioma, in ogni parte del globo. In Germania, dicevamo, esattamente a Trier. Il ‘Verme’ aveva partecipato ad una gara esibizione tra vecchie stelle del campionato NBA e una selezione di vecchie glorie di giocatori nord-europei. Terminata la manifestazione, quale miglior modo per chiudere il viaggio in terra teutonica se non organizzare un party nel proprio albergo? Detto,
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I SHAQ THE SHERIFF
Neanche Bob Marley avrebbe il coraggio di ‘sparare lo sceriffo’ più simpatico ed improbabile mai apparso sul suolo americano. Il ‘Diesel’ dopo aver fornito la sua ‘enorme’ collaborazione alle forze dell’ordine dell’Arizona, Virginia e Florida, punta dritto allo stato dell’Ohio che lo sta ospitando per il suo finale di carriera agonistica ai Cavs. Shaq vuole entra-
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fatto. Presenti alla festa un bel po’ di vecchie conoscenze dei parquet a stelle e strisce quali, Muggsy Bouges, Tim Hardaway, fresco di ritiro maglia ai Miami Heat e Tracy Murray, ma anche qualche personaggio dell’ambiente playground dai nomi piuttosto ‘evocativi’: Hot Sauce, Air up There, Air Bama, High Rizer e Mr. Africa. Dopo la nottata di bisbocce ‘The Worm’ prende la sua utilitaria, pardon, la sua limousine e si dirige verso l’aereoporto. Peccato avesse dimenticato di saldare il conto dell’hotel, piuttosto salato peraltro. L’ex Bulls, che a prendere i rimbalzi era il numero uno, tanto quanto cacciarsi nei guai, riteneva che le spese per il party fossero tutte a carico dell’albergo. Niente di più sbagliato ed ecco porre subito rimedio alla mancanza. 5.000 ‘dead presidents’ per il ‘disturbo’ e altri 2.530 per evitare azioni legali. Se solo Rodman avesse un penny per tutte le volte che qualcuno avesse voluto fargli causa…
re a far parte dell'Ohio Internet Crimes Against Children Task Force. Progetto ambizioso che richiede una preparazione ed una formazione piuttosto impegnativa. Per ottenere il permesso di portare la pistola e di procedere agli arresti, il quattro volte campione NBA, dovrà, appunto, sostenere un periodo di formazione di sei mesi e superare l’esame imposto dalla polizia dell’Ohio. Tra le prove finali, anche quella di tiro. Fortuna
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NEW SHOES Paolo Nutini, nella famosa canzone tormentone di qualche tempo fa, esprimeva la propria gioia e felicità per l’acquisto di un paio di scarpe nuove. Non deve averla pensata allo stesso modo Marcus Jordan, figlio, peraltro talentuoso, di mr. ‘Air’. Marcus gioca all’università di Central Florida che ha sottoscritto con l’Adidas un contratto in base al quale i propri atleti e staff tecnico dovranno indossare, per i prossimi sei anni, solo materiale tecnico contrassegnato dalle celebri ‘tre bande’. Tutto bene, fin qui. Peccato
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che Marcus sfoggia, ad ogni partita, calzature raffiguranti un certo signore che vola a canestro, ad una mano, e marchiate con un ‘baffo’ altrettanto riconoscibile. D’altra parte c’è da capirlo. Il figlio di Michael ha spiegato che indossare le scarpe ‘Nike Air Jordan’ ricopre un qual certo “significato speciale per la famiglia”. Come arginare la sanzione di tre milioni di bigliettoni verdi per aver violato la clausola contrattuale Adidas-Central Florida? Avvocati, giuristi e chi più ne ha più ne metta, sono già all’opera per dirimere l’importante controversia. Che nessuno si permetta di fare le scarpe a Jordan.
PINK JARIC Nessuna cover della canzone degli Aereosmith, ‘Pink’ appunto. Il titolo va a celebrare il fiocco rosa giunto in casa Jaric. E’ nata la piccola Valentina, frutto dell’amore tra il cestista croato e la bella Adriana Lima, modella della Victoria’s Angel. Il portavoce, non della neonata ci auguriamo, ha dichiarato:
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“Adriana e Marko sono emozionati nell’annunciare che hanno avuto una bambina, Valentina Lima Jaric. Madre, padre e pupa stanno bene!”. D’accordo accertarsi dello state di salute di madre e bimba, ma il padre? Che sia svenuto al solo pensiero che affrontare i pannolini della piccola sia più terribile che giocare contro Bryant e simili?
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NBA NEWS
I Nets licenziano Lawrence Frank Dopo 6 anni e mezzo di collaborazione , si è definitivamente rotto il rapporto tra Lawrence Frank e i New Jersey Nets. Complici le 17 sconfitte consecutive e l’assoluto pessimismo aleggiante dalle parti di East Rutherford, il management delle “retine” ha deciso di optare per un cambiamento nella gestione della disastrata franchigia , in odore di cessione al multimiliardario Mikhail Prokhorov. Inizialmente era stato proposto il nome di Patrick Ewing, ex centro di New York Knicks, Seattle Supersonics e Orlando Magic, e attuale assistant coach di Stan Van Gundy, poi si è deciso di virare su una soluzione casalinga, scegliendo di affidare il timone del
team al general manager Kiki Vandeweghe, che potrà usufruire della collaborazione di Lesile Ni.., pardon Del Harris, 72enne coach ex Lakers e già in squadra con Kiki nei Dallas Mavericks alcune stagioni fa. Entusiasta della scelta Rod Thorn : “ Kiki è perfettamente in grado di ricoprire questo ruolo, grazie alla sua abilità di lavorare con i giovani e di tirarne fuori il meglio. Questo lavoro fa per lui” . Stupito del ruolo assegnatogli, l’oramai ex gm non ha saputo dire di no: “Diventare allenatore non era di certo uno dei miei obiettivi, ma non sono in grado di contraddire un tipo persuasivo come Rod”.
Twitter colpisce ancora, multati Chandler e Stoudemire Le regole, per quanto assurde o giuste vanno sempre e comunque rispettate. E la lega di pallacanestro più spettacolare al mondo, quando si tratta di adottare la politica della fermezza non guarda in faccia a nessuno. Gli ultimi ad aggiungersi alla lista dei cattivi sono Amarè Stoudemire e Tyson Chandler rei di aver violato la nuova regola sulle pubblicazioni sui social network, Twitter nel caso specifico , durante lo svolgersi di partite NBA: “verbale” comminato da 7,500 dollari per entrambi. Sanzionato anche il sesto uomo di lusso dei Boston Celtics Rasheed Wallace, reo di aver pubblicamente criticato in maniera indecorosa gli arbitri in seguito alla vittoria sui Toronto Raptors per 106-103 , relativamente ad un episodio in cui è stato coinvolto il neoacquisto raptor Hidayet Turkoglu. Multa da ben 30,000 $, e tutti felici e contenti: non è stata la prima volta per ‘Sheed e presumibilmente non sarà l’ultima.
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NBA NEWS
Phila la risposta giusta ad Allen Iverson G UGLIELMO B IFULCO DI
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Come auspicato nella scorsa edizione di S&S , si è profilato un clamoroso ritorno di Allen Iverson nella città dell’amore fraterno. Dopo le vicissitudini di Memphis, l’annunciato ritiro e le miriadi di voci sui Knicks e l’Europa, il management dei Sixers, la franchigia che ha lanciato Iverson tra gli immortali di questo gioco, ha infatti rilasciato dichiarazioni di apertura nei confronti di “The Answer”: «Conosciamo molto bene Iverson, i suoi alti e i suoi bassi, ma ci rendiamo conto anche di quello che A.I. può ancora dare». Dopo pause e dopo dichiarazioni di attese e di incontri fatti tra il giocatore, l’agente e l’entourage dei Sixers, l’accordo dovrebbe essere stato raggiunto su una base di 2-3 milioni di dollari, e a discutere degli aspetti tecnici dell’operazione è stato proprio l’head coach dei sixers, Eddie Jordan, che in questi giorni affrontato face to face l’interessato.
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NBA RUMORS
I love New York?…Forse no Stars ‘N’ Stripes ideato da:
Domenico Pezzella
scritto da:
Alessandro delli Paoli Leandra Ricciardi Nicola Argenziano Nicolò Fiumi
Domenico Landolfo Stefano Panza Vincenzo Di Guida Guglielmo Bifulco Alessio Caprodossi info, contatti e collaborazioni:
domenicopezzella@hotmail.it
La stagione finora deludente disputata dai Knicks potrebbe essere solo l’inizio di un calvario di mediocrità per NY, vittima storica delle proprie aspettative e ambizioni. Nonostante il management abbia fatto un ottimo lavoro nel ripulire lo spazio salariale in vista della prossima estate, inizia ad aleggiare nell’aria della Big Apple la paura che tutti gli sforzi compiuti per ricostruire la squadra possano non essere ripagati nel prossimo mercato estivo: la squadra di D’Antoni non offre la benché minima garanzia di competitività in prospettiva futura visto e considerato che il miglior giocatore della squadra, statistiche escluse, sembra essere proprio il nostro Danilo Gallinari, ottimo prospetto futuro, ma ancora inadeguato a rappresentare un punto di riferimento per una squadra che possa ambire all’anello. Lo stesso Ron Artest, originario di NY, ha sollevato dubbi sull’appeal attuale di NY rilasciando le seguenti dichiarazioni: «Non so fino a che punto i Knicks possano tornare competitivi nell’immediato: New York è una città che pretende molto, forse troppo dai giocatori, appicicandogli addosso una pressione che solo pochi possono reggere, e lo dico sulla mia pelle perché prima di andare a St.John’s ho dovuto ignorare parecchie illazioni sulla mia città, su quanto la pressione eccessiva potesse destabilizzarmi». A conferma del rischio di rimanere a bocca asciutta la prossima stagione, sono state diffuse voci riguardanti un eventuale ripiego dei Knicks sul mercato free agents del 2011, dove il target più ambito sarà Carmelo Anthony, che interpellato al riguardo ha dichiarato lapidariamente: «E’ ancora presto per parlarne». Che NY abbia veramente perso il proprio fascino?
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NBA RUMORS
I T’Wolves sulle tracce di Rudy Gay La prossima estate, a quanto pare non sarà soltanto il teatro temporale della corsa ai big LeBron James, D-Wade e via discorrendo..stando a quanto riportato da Hoopsworld , potrebbe materializzarsi un movimento di mercato di notevole interesse riguardante l’ala dei Memphis Grizzlies Rudy Gay, restricted free agent a giugno. Nonostante un offerta di estensione contrattuale da parte del management degli “ Orsi “ , su una base di 10 milioni di dollari annui, il iretto interessato ha mostrato un discreto interesse per i Minnesota Timberwolves, che sarebbero ben disposti ad accoglierlo nella regione dei laghi, a patto che l’ala 25enne mostri nei restanti mesi di permanenza obbligata nella città di Elvis un killer instinct ed una leadership, che a onor del vero, finora sono state alquanto deficitarie.
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Lou Williams out, che tegola per Philadelpnia Continuano ad aggiungersi nomi illustri alla lista delle vittime di infortuni, che già in questi scorci iniziali di regular season abbondano manco stessimo parlando di NFL. Primo fra tutti il sorprendente play dei Philadelphia 76ers Lou Williams, autentica rivelazione del team di Eddie Jordan, costretto a sottoporsi ad un operazione chirurgica alle mascelle inferiori e superiori, che lo costringerà a seguire un regime alimentare fatto di cibi liquidi, e uno stop di circa 2 mesi. Fermo ai box anche il sesto uomo tuttofare dei Chicago Bulls Kirk Hinrich , autore di una stagione a dire il vero abbastanza al di sotto delle proprie potenzialità, costretto a rimanere fuori dal parquet per almeno 2 settimane. Buone notizie in casa Hornets, dove il leader Chris Paul sembra avere quasi recuperato dall’infortunio alla caviglia che lo ha tenuto fuori dai campi di gioco da metà Novembre e che sembrava essere di entità superiore a quanto invece rivelatosi poi. Probabile un suo ritorno in questi giorni, potenzialmente provvidenziale vista e considerata la mediocrità nella quale sono sprofondati i suoi New Orleans Hornets, durante la sua contumacia.
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NBA STANDING ATLANTICDIVISION
BOSTON TORONTO PHILADELPHIA NEW YORK NEW JERSEY
W 14 7 5 4 0
L PCT 4 .778 12 .368 13 .278 14 .222 17 .000
W L DALLAS 13 5 7 ½ SAN ANTONIO 9 6 HOUSTON 9 8 9 10 NEW ORLEANS 7 11 6 12 13 ½ MEMPHIS GB
CENTRAL DIVISION
CLEVELAND MILWAUKEE CHICAGO INDIANA DETROIT
W L PCT GB 12 5 .706 9 7 .563 2 ½ 6 9 .400 5 6 9 .400 5 6 11 .353 6
SOUTHEAST DIVISION
ORLANDO ATLANTA MIAMI CHARLOTTE WASHINGTON
W L PCT 14 4 .778 12 5 .706 10 7 .588 7 10 .412 6 10 .375
SOUTHWEST DIVISION
GB 1½ ½ 6½ 7
PCT GB .722.600 2 ½ .529 3 ½ .389 6 .333 7
NORTHWEST DIVISION
W 13 DENVER PORTLAND 12 10 UTAH OKLAHOMA C. 9 MINNESOTA 2
L 5 8 7 8 15
PCT .722 .600 .588 .529 .118
GB
PCIFIC DIVISION
LA LAKERS PHOENIX SACRAMENTO LA CLIPPERS GOLDEN STATE
W L 14 3 14 4 8 8 8 10 6 11
PCT .824 .778 .500 .444 .353
2 2½ 3½ 10 ½
GB ½ 5½ 6½ 8
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EASTERN CONFERENCE
W L ORLANDO 14 4 BOSTON 14 4 CLEVELAND 12 5 ATLANTA 12 5 MIAMI 10 7 MILWAUKEE 9 7 CHARLOTTE 7 10 CHICAGO 6 9 INDIANA 6 9 WASHINGTON 6 10 TORONTO 7 12 DETROIT 6 11 PHILADELPHIA 5 13 NEW YORK 4 14 NEW JERSEY 0 17
PCT GB .778 .778 .706 1 ½ .706 1 ½ .588 3½ .563 4 .412 6 ½ .400 6 ½ .400 6 ½ .375 7 .368 7 ½ .353 7 ½ .278 9 .222 10 .000 13½
WESTERN CONFERENCE
W LA LAKERS 14 PHOENIX 14 DENVER 13 DALLAS 13 PORTLAND 12 SAN ANTONIO 9 UTAH 10 HOUSTON 9 OKLAHOMAC. 9 SACRAMENTO 8 LA CLIPPERS 8 NEW ORLEANS 7 GOLDEN STATE 6 MEMPHIS 6 MINNESOTA 2
L 3 4 5 5 8 6 7 8 8 8 10 11 11 12 15
PCT GB .824 .778 ½ .722 1 ½ .722 1 ½ .600 3 ½ .600 .588 4 .529 5 .529 5 .500 5 ½ .444 6 ½ .389 7 ½ .353 8 .333 8 ½ .118 12
NBA STATS
SCORES
PLAYER POINTS 1. CARMELO ANTHONY, DEN 30.7 2. LEBRON JAMES, CLE 29.2 3. KOBE BRYANT, LAL 28.8 4. KEVIN DURANT, OKC 27.4 5. DIRK NOWITZKI, DAL 27.2
REBOUNDS
ASSISTS
PLAYER REBOUND PLAYER ASSIST 1. DWIGHT HOWARD, ORL 12.4 1. STEVE NASH, PHO 11.8 2. CHRIS BOSH, TOR 12.3 2. DERON WILLIAMS, UTA 9.7 3. JOAKIM NOAH, CHI 12.1 3. CHRIS PAUL, NO 9.2 4. GERALD WALLACE, CHA 11.6 4. JASON KIDD, DAL 9.0 5. CARLOS BOOZER, UTA 10.9 5. RAJON RONDO, BOS 9.0
La lente di ingrandimento di Stars N Stripes sulla LegaA
L a S q u ad r a. . .
Alex Acker
L a S q u a d ra . . .
La Van ol i Cremon a
M A DE I N I T A LY
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Da Compton a Milano: Alex Acker MADE IN ITALY -1 IL PERSONAGGIO
DI
D OMENICO L ANDOLFO Carriera altalenante, tappe forse troppo precocemente bruciate, ma tanto talento. Uscito da quella fucina di talenti che è Compton, California, che ha dato i natali a gente come Baron Davis, Tyson Chandler, Brandon Jennings, Alex Acker, guardia classe 1983, è giunto quest'estate alla corte dell'Olimpia Armani Jeans Milano. Un giocatore completo, che si è formato nella sua tecnica sui playground americani, col sudore e poca palestra, e che poi ha dimostrato di essere un grande anche sul parquet. College di Pepperdine, con le "onde" riesce ad imporsi ad alti livelli, battendo tutti i record, per punti, minuti e giocate importanti, e risultando come il maggior prospetto uscito da tale università, anche se probabilmente quello che l'Nba l'ha vista di meno (penso ad esempio a Doug Christie uscito 4 anni prima di lui dalla stessa scuola). E' ancora imbattutto in tutte le sue statistiche, ma ciononostante le sue doti viaggiano a fari spenti agli occhi degli osservatori, cosicchè la chiamata per il grande salto arriva, ma solo al secondo giro, da parte poi di una Detroit in crisi e poco disposta ad aspettarlo. La sua esperienza dura poco, viene mandato in Nbdl a La Fayette a macinare muniti ed esperienza, dove risponde a pieni voti alle attese chiudendo a 18 punti e 4 assist di media a serata. Il giocatore è concreto, ma gli americani sembrano ancora ignorarlo, cosicchè il cecchino decide di cambiare latitudini e di scegliere l'Europa come sue trampolino di lancio: prima la chiamata del colosso
Olympiakos in cui non è però la prima far tante stelle, poi invece sceglie la calda e assolata Barcellona, dove mostra la completezza e l'esplosività necessaria a dargli un biglietto di ritorno per gli Usa, dove calcherà di nuovo le scene Nba, stavolta con più fortuna nella sua california, a Los Angeles, sponda Clippers. Questa estate arriva la chiamata di Milano dove deve essere la stella, ma l'inizio è in sordina. Il buon Acker trova difficoltà a inserirsi nei regimi italiani, dove il basket non ha quelle praterie in cui ama buttarsi. La mano però è dolce, il talento sopraffino, ma soprattutto la grande capacità di mettersi al servizio dei compagni. Dopo una prima giornata altamente inguardabile a Varese, già dalla seconda con Ferrara diviene decisivo, firmandone 14 e guidando i suoi nell'ultimo quarto con la sua freddezza dalla lunetta, e soprattutto ponendosi come leader non solo al tiro ma anche nei passaggi smarcanti, che mettono in ritmo i compagni per un tiro migliore. Raggiungerà il suo high a Caserta(16) che ripeterà poi a Bologna, dimostrando di essere un giocatore di grande affidabilità che può garantire un contributo costante alla sua squadra, in termini di punti, di assist, ma anche di quella sostanza in difesa e in vernice che tanto è utile agli allenatori. L'Europa ha un gioco diverso dall'Nba, sicuramente, ma il talento e la grande intelligenza cestistica di un così eccelso giocatore, permettono un perfetto adattamento, e quindi di risultare un atleta di primissimo livello. Testimoni di quanto sia per lui stimolante la carriera europea che tanto ha fatto bene alla sua crescita, abbiamo chiesto al nativo di Compton quali secondo lui le reali differenze tra il campionato Usa e quelli europei, italiano in particolare: "Di sicuro la Nba è molto differente per le sue regole ed il suo stile di gioco, dove il maggiore atletismo gioca un ruolo importante. Nonostante tutto, per quanto riguarda il lato dell'intelligenza cestistica, della intensità, l'Italia, ma anche l'Europa, non è certo da meno rispetto alla Nba. Il gioco diventa più duro in difesa e di sicuro ci vuole più attenzione e concentrazione per riuscire ad andare a canestro, il tutto in un campo più piccolo". Parole di un cestista che ha fatto tanta gavetta, e forse non è stata mai apprezzato appieno. Continua a regalarci emozioni, Big Alex.
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MADE IN ITALY -2 LA SQUADRA
La Matricola ‘terribile’: La Vanoli Cremona DI
N ICOLA A RGENZIANO
Dare un'identità ad un progetto fatto di passione, abnegazione e voglia di emergere? La Vanoli Gruppo Triboldi Cremona (con cuore e battiti della gente del piccolo centro Soresina) incarna perfettamente tutti e tre gli elementi, parafrasando un gran capolavoro del neorealismo cinematografico italiano non si sbaglia nell'affermare che la classe operaia è giunta in paradiso. Nata nella piccola cittadina famosa per i prodotti tipici locali in ambito caseario la società lombarda è riuscita col tempo a costruire un movimento di grande qualità sul terri-
torio, dando vita ad una scalata di quelle memorabili che l'hanno portata oggi ad assaporare il suo primo campionato di serie A della storia, seppur con il necessario supporto della vicina Cremona che oggi dona il nome alla società, ma che di fatto non rappresenta totalmente le radici del tifo e della passione dei “celeste”. Oggi sembrano lontani i tempi in cui l'idolo era
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Flavio Portaluppi, il quale è stato anima e leader delle varie formazioni che hanno vissuto la grande avventura della B e della promozione in Legadue, lontani ma al contempo vicini come i tempi in cui Quadre Lollis (primo straniero in casa Vanoli) ha rappresentato un esempio di fedeltà ad una società e ad un pubblico appassionati a questa creatura sempre vista come una delle famiglie della comu-
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nità. Oggi la Vanoli Gruppo Triboldi, affacciatasi con umiltà al nuovo grande palcoscenico, mantiene alta l'attenzione su di se con una squadra costruita su misura di coach Cioppi (ormai icona di questa squadra), capace di partire con la giusta dose di successi per non esaltarsi, ma al contempo non vivere già l'ansia della zona retrocessione. Gli 8 punti raccolti sino ad oggi infatti valgono la metà classifica davanti ad una squadra come la Lottomatica Roma, a ridosso di formazioni ben piu' attrezzate ed esperte come Cantu' e Treviso. Il gruppo solido messo a disposizione di Cioppi può contare su un quartetto di americani capaci di calarsi nella realtà societaria (cosa non affatto difficile) senza pestarsi i piedi: Rowland, Bell e Brown erano in partenza in piu' “affidabili”, la scommessa Forbes si è rivelata anch'essa felice, vista la giovane età e la patologia cronica (diabete) facenti parte del biglietto da visita del due metri proveniente dall'università di Tulsa. Oltre loro è stato importante confermare l'ossatura italiana del team che ha in Cusin l'elemento di spicco, chiamato a confermare in serie A ciò che di buono ha sempre costantemente mostrato e che gli è valso la convocazione in azzurro. Un 2.11 di 23 anni capace di giocare spalle e faccia a canestro infatti è merce sempre piu' rara tra i nostro nazionali e a Cremona Cusin ha davvero lo spazio e le condizioni giuste per non subire eccessive pressioni ed è anche grazie a lui che la Vanoli è seconda in assoluto nelle percentuali al tiro da due, dietro la solita devastante Siena. A lui si aggiungono Rudy Valenti, finalmente approdato alla massima serie, Alessandro piazza e Matteo Formenti, giocatori non appariscenti, ma che ben si integrano negli spazi e nei ruoli del roster. A tutto ciò lo staff tecnico è riuscito ad arraffarsi sul mercato uno dei comunitari piu' utile ed esperto per il fine unico della salvezza, quel Vangelis Sklavos che a Rieti tra mille difficoltà è riuscito (almeno sul campo) a dare un contributo importante per evitare sul campo la retrocessione della Sebastiani Rieti (oggi Napoli). Il giocatore ellenico si è tra l'altro aggiunto ad un comunitario di lungo corso in maglia Soresina (o Cremona, fate voi...) quale Mauricio Aguiar, fedelissimo già in Legadue, dotato di buona tecnica e versatilità e soprattutto di carattere d'acciaio. A differenza di quanto si (rispettosamente) temeva in casa Vanoli queste prime 8 giornate hanno già dato punti importanti per la salvezza e soprattutto (ma di questo c'era meno timore) continuato a tenere alta la fiamma della passione attorno alla creatura del Patron Secondo Triboldi, particolare questo non indifferente, proprio per l'importanza del progetto solido che il presidente soresino ha sempre voluto impiantare nella piccola grande realtà lombarda.
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Italian’s Top Ten
MADE IN ITALY -2 LA TOP TEN
DI
TOMMASO S TARO
Dopo otto giornate di campionato è tempo di stilare i primi provvisori bilanci: come sempre, c’è chi gongola, chi piange e chi, addirittura, si dispera
10 PEPSI CASERTA : 12 punti, secondo posto in classifica, sei vittorie all’attivo delle quali due “on the road”, cammino immacolato tra le mura amiche, miglior attacco del campionato (89,3 punti di media ad incontro). D’accordo, a volte le cifre vanno prese con il beneficio dell’inventario; nel caso dei casertani, però, i numeri appena citati rappresentano la cartina di tornasole di una squadra a cui, oramai, va stretto l’obiettivo della salvezza. E’, indubbiamente, ancora presto per spiccare voli pindarici; ma quanto è dolce a Caserta sposare, di questi tempi, la filosofia del “carpe diem”… VOTO 10
9 ANGELICO BIELLA: La favola vissuta lo scorso anno -culminata con il raggiungimento delle semifinali play-off- sembrava dover essere catalogata solo come un piacevolissimo evento episodico; i pesantissimi addii in sede di mercato (Gist, Jerebko, Spinelli, Brunner, Jurak), poi, parevano confermare questa impressione. E invece no. Biella è ancora lì in alto a fare la voce grossa e ad imporre la propria legge anche a chi ha dalla sua un più nobile “pedigree” (Bologna e Roma ne sanno qualcosa). Roster meno talentuoso rispetto a quello della passata stagione; ma se tanto mi dà tanto… V O TO 9
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NICOLA S MA ZZA RINO: Giunto in Italia da quasi due lustri (per la precisione, questa è la sua nona stagione nel Bel Paese, la quinta di fila a Cantù), quest’anno il play di origini uruguaiane, nel contesto della squadra di coach Trinchieri, veste i panni di play di riserva; beh, a giudicare dai suoi scout e dall’apporto capace di garantire alla causa comune si direbbe tutt’altro. Intelligenza cestistica fuori dal comune e mano torrida (17,3 punti e 3,4 assist di media): questo il paradigma con cui il 34enne Nicolas sta strabiliando in Brianza. Elisir di lunga vita. V OT O 8
GREG BRUNNER: Reduce da un campionato sopra le righe con la maglia di Biella, il lungo di Charles City (Iowa, USA) è stato, la scorsa estate, fortemente voluto dal g.m. Vacirca in quel di Montegranaro per far coppia con Ivanov. E’ vero, la bellezza non è il suo forte; lo zio Fester del campionato italiano, in effetti, non spicca per i tratti somatici del suo “visino”, né per leggiadria cestistica. Ma si sa, il buon Greg preferisce la sostanza alla forma; e la carriola di punti (13,1) e rimbalzi (10,3) è sempre a portata di mano di coach Frates. Chirurgia plastica? No, grazie. V OT O 7
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V A N O L I C R E M O N A : Il battesimo della compagine di coach Cioppi in LegaA non è stato propriamente brillante: tre sconfitte nei primi quattro match disputati avevano, tutto sommato, lasciato intravedere densi nuvoloni all’orizzonte. Poi, l’inversione di rotta che, allo stato attuale, legittima i tifosi cremonesi a guardare il futuro con ottimismo. Squadra dal roster assai quadrato che ama correre ed imporre i propri ritmi all’avversario. Gente come Troy Bell, Brandon Brown, Earl Rowland, Gary Forbes e Marco Cusin rappresenta una garanzia di qualità. Non c’è che dire: di fatto, una matricola; nella realtà, una mina vagante. Pericolo esplosione. V O TO 6
CARIFE FERRARA: Proprio come le anime collocate dal vate Dante nel limbo, così anche quelle estensi si trovano sospese con un piede dentro ed un altro fuori dai gironi infernali. Inutile nasconderlo: i fasti del recente passato sono lontani. Gente come Collins e Ray sono un ricordo sbiadito; la realtà ora parla di una squadra con solo due vittorie all’attivo e, sopra ogni cosa, senza una precisa identità di gioco, complice, tra l’altro, una cabina di regia forse chiusa per ferie. Spinelli? No smoking, please. Ops, intendevamo Valerio…latitante anche lui. V O TO 5
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PE PPE PO ETA. Sembra temporaneamente essersi arrestata l’escalation del ragazzo di Battipaglia. Premiato come miglior giocatore nel 2008 con l’ “Oscar Reverberi” e definitivamente consacrato l’anno passato con un campionato al limite della perfezione, Peppino sta vivendo un momento decisamente rivedibile, proprio come la sua squadra. Che fine ha fatto il “poeta” di Capobianco? Mah, se lo chiedono in tanti. Si sarà forse ritirato su un eremo in attesa della prossima ispirazione? O avrà dato voce al “fanciullino” di pascoliana memoria che è dentro di lui, tornando ad essere il giocatore acerbo di inizio carriera? Decadentismo dei giorni nostri. V OT O 4
S C A V O L I N I P E S A R O : Otto partite, altrettante sconfitte. Basterebbe questo scarno dato per fotografare ciò che sta accadendo nella cittadina marchigiana. Eppure, le ambizioni della società erano ben altre; ambizioni che dovranno essere gioco forza ridimensionate perché, a ben vedere, neanche il rientro di Williams ha cambiato di una virgola uno scenario apocalittico. I tifosi, intanto, contestano apertamente; Vellucci, dal canto suo, ha già dichiarato che deporrà le armi a fine stagione. Insomma, nella cucina più amata dagli italiani iniziano a volare i piatti; Dalmonte, impietrito, sta a guardare sulla graticola. A.A.A. Cercasi avvocato matrimonialista per imminente separazione; no perditempo. V OT O 3
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DANIEL HACKETT: Pareva essere colui in grado di illuminare con la sua classe ed il suo talento i parquet dello Stivale. Non ce ne vogliano gli amici trevigiani ma quella di Daniel Hackett rischia di diventare l’ennesima farsa di un giocatore dipinto oltreoceano come un fuoriclasse e che qui si trasforma in un brocco (Jennings rappresenta un precedente illustre, seppur riabilitatosi dopo a Milwaukee). Sarà, allora, l’Italia a portare sfiga? Chissà. Sta di fatto che l’ex Trojan ha perso la pazienza e ne ha già cantate quattro a coach Vitucci, reo -a suo dire- di utilizzarlo poco. La telenovela è destinata a continuare; intanto, fin da ora, si attende lo sbarco sulle nostre coste di un nuovo fenomeno. Avanti il prossimo. Chi? Gigi la Trottola? V O TO 2
LOTTOMATICA ROMA: All’ombra del “Cupolone” è tempo di vacche magre. Nonostante, infatti, una campagna acquisti per certi versi faraonica, i giallorossi continuano in maniera preoccupante a segnare il passo. Ciò che desta stupore, al di là degli scarsi risultati (record 3-5), è la palese e morbosa dipendenza da Jaaber. Dopo l’ennesima sconfitta, la scorsa domenica il popolo romano ha inveito contro l’allenatore; e il presidente Toti, imbufalito, ha pensato bene di andare sotto la curva e di rispondere per le rime. Insomma, a Roma, in linea con il main-sponsor, si iniziano a dare i numeri. Volete le estrazioni? Eccole. Gentile, pensando ai tifosi, pesca dall’urna il 90; i tifosi, pensando a Gentile, pescano il 71. Tombola. V O TO 1
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GAETANO PAPALIA: L’operazione condotta -tra il serio e il faceto- la scorsa estate e finalizzata a trasferire il grande basket da Rieti a Napoli aveva destato non poche perplessità; prima di giudicare, però, abbiamo preferito attendere il corso degli eventi. Adesso, dopo due mesi di partite giocate, si è giunti al redde rationem. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: fallimentare. La pallacanestro reatina è morta; quella napoletana rantola.
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Ed il pubblico, ogni domenica, preferisce via Caracciolo al Palabarbuto. Come se non bastasse, Papalia si sollazza ad indire improbabili concorsi a premi su facebook. Coerentemente, ci balena l’idea di rimuoverlo dai nostri amici (…del basket). V OT O 0
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Nel prossimo numero
Te a m B y Te a m On the Road: Ta p p a a Las Vegas Il ritorno a Phila di Allen Iverson La Culla del Basket: Queens Par t II