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I Portland Trailblazer LA CULLA DEL BASKET
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Il ‘Big Man’ dell’irpinia, Chevon Troutman, e la Benetton Treviso
Y O U C A N ’ T C M E La rubrica irriverente di SNS ON THE ROAD
The ‘Sin City’: Las Vegas REPORTAGE
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E’ tutto nelle mani di B-Roy FOCUS
DI
N ICOLÒ F IUMI
Quella che doveva essere la stagione della definitiva consacrazione nell’elite della Lega sta prendendo pieghe piuttosto sgradite per i Portland Trail Blazers. Nella RipCity c’era grande attesa infatti per questa stagione dopo che il 2008/2009 si era chiuso con 55 vittorie e la partecipazione ai playoffs, anche se con eliminazione precoce e un po’ a sorpresa da parte di Houston nonostante il fattore campo a favore. Gli ingredienti a ben vedere ci sono tutti. Forze fresche e talento non mancano a cominciare dal leader della squadra, Brandon Roy, continuando con Greg Oden, lo spagnolo esplosivo Rudy Fernandez,
LaMarcus Aldridge, Travis Outlaw, il ritorno di Martell Webster e l’acquisizione estiva di Andre Miller, che sembrava la classica ciliegia su una torta più che mai squisita. Ma il basket, e in particolare l’NBA col suo continuo susseguirsi di partite, può sovvertire anche quelli che sembrano essere ordini prestabiliti e difficilmente controvertibili, specialmente se a mettere i bastoni fra le ruote si mettono gli infortuni, che hanno letteralmente falcidiato la squadra di McMillan (e lo stesso coach, come vedremo). In rapida successione i Blazers hanno perso per strada Travis Outlaw, uomo fondamentale con la sua ener-
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Fonte foto: http://upload.wikimedia.org gia dalla panchina fuori fino a metà marzo per la frattura da stress a un piede, Greg Oden, cui dedichiamo un capitolo a parte con tutti gli incubi di una città che rivede il draft del 1984 dove fu lasciato passare Michael Jordan preferendogli il lungo Sam Bowie, lui pure martoriato dagli infortuni, e Rudy Fernandez, altro tassello fondamentale della second unit con problemi di schiena. E non va dimenticato che sin dalla preseason è fuori Nicolas Batum per un infortunio alla spalla, che gli farà perdere quasi tutta la stagione, oltre al rookie Patrick Mills, il cui rientro ancora non è sicuro. Si coglie quindi abba-
stanza agevolmente che le colpe di giocatori e staff tecnico, per quanto presenti, siano comunque attutite da questa situazione. Dopo 25 partite giocate, il record parla di 14 vittorie, dunque record ben sopra il 50% e stagione tutt’altro che da buttar via, anzi, ma è chiaro che con tutto questo ben di Dio a disposizione ci si aspettava qualcosa in più. Ripetiamo che parlare con accenti negativi di una squadra così tormentata dai problemi fisici non ci viene facile, ma è proprio nelle ultime due settimane che il rendimento della squadra ha avuto ribasso non indifferente. Se, infatti, in novembre la squadra aveva vinto 11 delle
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prime 14 partite disputate, dal 27 dello stesso mese, con la sconfitta casalinga contro Memphis, si è inaugurata una striscia fatta di 6 sconfitte in 8 incontri. Dove si è evidenziata intanto una squadra abbastanza leggera sotto canestro, circostanza amplificata dall’infortunio di Oden. L’unico uomo veramente di peso nella frontline dei Blazers è Joel Przybilla, mentre Aldridge e Juwan Howard, per necessità in campo parecchi minuti, sono giocatori che sviluppano il proprio gioco più fuori dall’area e comunque non certo presenze fisiche ingombranti. Lo stesso Outlaw, pur essendo un esterno, con il suo atletismo dava una mano a rimbalzo, e così capita spesso che Roy e compagni perdano le battaglie sotto canestro, concedendo così agli avversari un maggior numero di possessi a disposizione. Bisogna anche dire, per la verità, che a parte le prime due pesanti sconfitte di queste mini striscia, le altre sono arrivate con scarti minimi. In sostanza, i Blazers perdono, ma non affondano, e, volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, è comunque un punto da cui ripartire. Certo anche questa statistica ha le sue ragioni. Brandon Roy continua ad essere il riferimento offensivo della squadra e LaMarcus Aldridge una spalla fidata, ma l’attacco ha sofferto di una gestione confusionaria, dovuta anche a un calo di rendimento vistoso di Steve Blake, che della squadra dovrebbe essere la mente. Nell’arco delle suddette 8 partite ha prodotto solo 7 punti di media con 3 assists, a fronte del 33% dal campo, il 25% da 3 (distanza di tiro da cui normalmente eccelle) e 14 palle perse totali, lui che di solito è molto pulito nella gestione del gioco. McMillan ha dichiarato di voler provare a cambiare qualcosa nel lineup, e al momento il cambio più plausibile sembra quello di Andre Miller, promosso a play titolare, al posto proprio di Blake. E proprio Miller è un altro caso spinoso di questo avvio di stagione in Oregon. L’ex play di Nuggets e 76ers doveva essere la marcia in più della squadra, con la sua capacità di gestire i ritmi, alzandoli e abbassandoli quando necessario, senza disdegnare di guardare il canestro. A fronte di un investimento in dollari non indifferente, la convivenza con McMillan è stata fino ad ora complicata, più che altro a livello di comprensione all’interno del rettangolo di gioco. Miller ha iniziato la stagione partendo dalla panchina, salvo venire promosso in quintetto, a fianco di Blake con Roy nello spot di ala, per 9 partite, prima del ritorno in panchina, nel ruolo di play di una second unit completata da Outlaw, Fernandez e Przybilla. Il suo rendimento, come normale per un giocatore che parte dalla panchina, è stato altalenante, anche se al momento in quasi 28 minuti mette assieme 11 punti e quasi
5 assists di media, ma quello che al momento sta più facendo riflettere la dirigenza rosso-nera è l’impressione che Andre Miller non sia esattamente il tipo di giocatore che meglio si inserisce all’interno del sistema di gioco di Portland. Sistema che funziona al meglio quando in campo c’è un play che fa girare la squadra, mantenendo i ritmi e prendendo pochi tiri e puliti. Miller è per sua natura un giocatore più istintivo che, sebbene non dotato di un atletismo superiore, spesso improvvisa, rompendo i giochi, magari poi anche trovando l’assists smarcante per i compagni, ma non sempre mantenendo quegli equilibri che, come abbiamo visto, nel caso dei Blazers sono sacri. Ora, comunque, si proverà a responsabilizzarlo ulteriormente, dandogli i gradi di titolare, perdendo così l’impatto che dava dalla panchina, ma sperando di ottenere il salto di qualità che ci si attende, scongiurando anche le voci di trade che sono circolate in questi giorni. Tutto ciò, come già detto, all’interno di un avvio di campionato difficile, ma certo non da buttare. E, infatti, Nate McMillan, che avrebbe i suoi motivi per disperarsi visto che pure lui è stato vittima di un infortunio mentre svolgeva una parte dell’allenamento con la squadra addirittura rompendosi il tendine d’achille, predica calma: “Abbiamo avuto momenti difficili in questo avvio di stagione, ma dobbiamo lavorare e lottare per uscirne. Io credo che alla fine le cose si sistemeranno, ma non possiamo certo aggrapparci a queste cose e trovare alibi, dobbiamo continuare a lavorare e stare uniti per uscirne. Non molleremo certo adesso, abbiamo 9 ottimi giocatori disponibili e con questi affronteremo questo momento. L’obiettivo rimangono i playoff e, una volta che ci saremo, cercheremo di fare il meglio possibile.” Il calendario però, da qui alla fine del 2009, non aiuta di certo. 9 partite prima di capodanno, con trasferte consecutive a Orlando, Miami, Dallas e San Antonio, oltre agli scontri casalinghi con Phoenix e Denver, che tra l’altro ha 3 partite di vantaggio nella classifica della Northwest Divison. “E’ ancora presto – continua il coach – Adesso abbiamo un brutto calendario, ma possiamo comunque ottenere un buon record in questo mese. Sono ottimista perché la squadra mi piace. Nella tua carriera hai momenti buoni e momenti meno buoni e in questi devi imparare ad adattarti alle situazioni e a porvi un rimedio. Non sono uno che fugge le situazione perché non è il mio modo di fare. Prendo questa situazione come una sfida e la voglio vincere.” La squadra al momento pare essere ancora dalla parte dell’allenatore, ora bisogna sperare che anche gli Dei del gioco gli si affianchino.
LE STATISTICHE DI BRANDON ROY
...COSI NEL MESE DI DICEMBRE...
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‘Ghost-Bowie’?
Partiamo subito dall’attualità prima di dilungarci con i la seconda volta in tre anni, ha terminato la stagione di ragionamenti apocalittici che sono stati fatti a Portland Greg Oden con netto anticipo. E’ il 5 dicembre, Portland nelle ore immediatamente successive all’infortunio che, per gioca in casa contro Houston. Siamo alle battute iniziali,
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Aaron Brooks batte la difesa dei Blazers e si accinge ad appoggiare al vetro il pallone per due punti comodi. Oden salta per ostacolarlo, salvo ricadere pesantemente per terra e accasciarsi al suolo tenendosi il ginocchio sinistro con una smorfia di dolore dipinta sul volto. Sul Rose Garden piomba un silenzio surreale, e le primissime immagini televisive fanno subito capire che la situazione è grave, quanto meno per il ginocchio deforme. E la diagnosi la conferma: frattura della rotula. Stagione finita. Ancora. Come due anni fà, quando la stagione da rookie finì ancora prima di cominciare a causa di un’operazione alla cartilagine del ginocchio, destro però in quel caso. Questa volta Oden ha fatto in tempo a giocare una ventina di partite, poi il crack. L’unico lato positivo della faccenda è che non sono coinvolti muscoli, legamenti o tendini nella frattura, quindi, una volta rinsaldatosi l’osso, già operato con successo, ed effettuata la riabilitazione, Oden dovrebbe recuperare la piena efficienza dell’articolazione. Da qui in poi spazio ai pensieri
più nefasti dei tifosi. Per cominciare: il ragazzo è di cristallo, pensiero rafforzato dal fatto che anche in questo caso l’infortunio, per quanto avvenuto durante una partita, non è dovuto a uno scontro di gioco. Oden, infatti, semplicemente atterra male sulla gamba sinistra. Che ora và a far coppia all’arto destro, operato due anni fa. E avere entrambe le ginocchia già sottoposte a operazioni chirurgiche a poco più di vent’anni non è una gran notizia. Poi via ai rimpianti, pensando che al numero due di quel draft era disponibile quella macchina da punti e talento smisurato che è Kevin Durant. Ulteriore lacrimuccia al solo pensiero della coppia che avrebbe formato con Roy. Un po’ di spazio anche ai ricorsi storici. Si parla, ovviamente, del 1984. Portland ha la seconda scelta. Ci sono tanti giocatori di valore, tanto è vero che quel draft viene ricordato come quello che finora è stato il più ricco di talento con ben 7 giocatori futuri All Star, uno su tutti, Michael Jordan. Che in quel momento ha ottima considerazione, ma nessuno si aspetta che diventi
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TEAM
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W L PCT
DENVER 18 7 .720 UTAH 14 10 .583 PORTLAND 14 11 .560 OKLAHOMA C. 12 11 .522 MINNESOTA 4 21 .160
GB
3½ 4 5 14
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nel giro di qualche anno il più forte di sempre. Non sembra allora un’eresia la chiamata dello staff dei Blazers, che selezionano da Kentucky Sam Bowie centro di buone prospettive, che vedrà però la sua carriera tremendamente limitata dagli infortuni. Ora non importa dire che le similitudini con il draft del 2007 siano tante. Anche all’epoca nessuno ebbe granchè da dire sulla scelta di Portland. Oden era, ed è, in prospettiva un giocatore che può fare la differenza anche ad alti livelli nella NBA, specialmente in difesa, e vista la carenza di centri, la scelta di un giocatore potenzialmente dominante negli anni a venire sembrava valere la pena di ignorare Durant. Oggi, di sicuro c’è più gente che invertirebbe le chiamate. Oden rimane un talento strepitoso. A livello difensivo è già a livelli altissimi, mentre in attacco i passi in avanti da compiere sono tanti. Ma il tarlo degli infortuni è
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ora ben presente nelle menti sia dei tifosi che dei dirigenti. La stagione della squadra è così “falsata” e ancora una volta non si potrà dare un valore preciso a questa franchigia. L’anno scorso Oden ha cominciato a far vedere di che pasta è fatto, e il continuo paragone con Kevin Durant è stato impietoso. L’ex di Ohio State, inoltre, dà l’impressione di non avere dentro di sé quel fuoco sacro che hanno le star del gioco. Talvolta sembra veramente prendere il basket come un lavoro, cosa che per chi gioca a livello professionistico in effetti è, e non come una passione che è quella che ti porta a dedicare la tua vita al gioco. Dopo tre anni, insomma, sono più le domande che aleggiano sul giocatore che le certezze che ci si è costruiti vedendolo all’opera, e con le domande si fa poca strada.
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LA SITUAZIONE SALRIALE DEL TEAM DELL’OREGON NO.
PLAYER
12 88 4 2 9 33 5 6 24 52 25 4 10 7 3 23
L.Aldridge N.Batum J.Bayless Steve Blake J.Collins
POS
PF SF PG PG C D.Cunningham F R.Fernandez SG J.Howard PF A.Miller PG Greg Oden C Travis Outlaw SF J.Pendergraph F Joel Przybilla C Brandon Roy SG Ime Udoka SF M.Webster SG
AGE
HT
WT
COLLEGE
24 20 21 29 30 22 24 36 33 21 25 22 30 25 32 22
6-11 6-8 6-3 6-3 6-11 6-8 6-6 6-9 6-2 7-0 6-9 6-9 7-1 6-6 6-5 6-7
240 200 200 172 249 230 185 253 200 285 207 240 245 211 220 235
Texas Arizona Maryland Stanford Villanova Michigan Utah Ohio State Arizona State Minnesota Washington Portland State
SALARY $5,844,827 $1,118,760 $2,143,080 $4,000,000 $457,588 $1,165,320 $825,497 $6,730,800 $5,361,240 $3,600,000 $457,588 $6,857,725 $3,910,816 $4,344,000
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Po r tl an d Trail bla ze rs de p th c har t
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C Jo el P rz ybi lla
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REPORTAGE
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DI
C HIARA HIARA Z ANINI ANINI
Iverson, l’ultimo dei ‘Mohicani’ Era iniziato tutto con un salto, un pugno chiuso alzato verso le telecamere e una corsetta tra i posti a sedere per raccogliere high-five. Era l’estate del 1996 e a saltellare tra le file dei GM era stato Pat Croce, vulcanico presidente dei Sixers di allora, in preda all’estasi quando il pallottoliere NBA aveva estratto la prima scelta assoluta del draft e gliela aveva consegnata tra le mani.
Allo Spectrum, in religiosa processione, si erano raccolti 10.000 Philadelphiani, con indosso una maglia numero #3 di Georgetown. E il boato sollevato quando Allen Iverson aveva stretto per primo la mano a David Stern sarebbe stato lo stesso per 10 anni a venire. Boato quando The Answer, al suo primo giro tra i campi NBA, avrebbe seduto His Airness con il crossover; boato ogni volta che
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avrebbe dribblato a canestro, come una biglia da flipper, per poi alzare all’ultimo secondo possibile l’arco dei propri baci al vetro; boato quando, dopo le schiacciate sui lunghi avversari, si sarebbe portato la mano all’orecchio mentre rientrava in difesa. Boato, come per Neil Armstrong, il giorno che ha mosso il suo primo passo su Tyronn Lue. Iverson non è stato perfetto, in nessuno dei suoi 10 anni philadelphiani; incapace di correggere i propri difetti sul campo così come i frequenti atteggiamenti di sfida fuori da esso. Ma Philadelphia lo ha amato, dal primo giorno in cui ha indossato una maglia Sixers fino all’ultimo. Incondizionatamente. Mentre fuori da Philadelphia, l’intera America adolescenziale ha colto di sorpresa David Stern e i suoi coetanei, invadendo i campetti in cemento ad ogni latitudine del Paese, con un paio di Questions Reebok ai piedi, le trecce e la “calza nera” sulle teste e perfino i tatuaggi temporanei applicati come i nostri trasferelli sulle braccia, quando mamma non aveva ancora dato il permesso di inchiostrarsi per davvero. Chi vi scrive ha preso un aereo, alla vigilia delle Finali NBA 2001, fermamente intenzionata a vergare un libro sull’unico giocatore del post-Jordan che era riuscito a farle stringere di nuovo lo stomaco davanti ad un televisore. Alcune notti regalandoci il Paradiso, altre incarnando l’irriverente grandioso che a turno prova ad abitare al Piano di Sotto. Tra di voi c’è sicuramente chi l’ha amato a pari nostro: nonostante i suoi sbagli, la cocciutaggine nel voler scuotere al suo ritmo le fondamenta del gioco e la noncuranza fiera di tutto quanto gli veniva proibito, consigliato o suggerito da chiunque non fosse stato con e accanto a lui fin dal principio. Anzi, molti di voi devono averlo amato proprio per tutto questo: perché a volte – soprattutto nello sport – riscalda il cuore imbattersi in qualcuno che ha tale e tanta fiducia in sé stesso da essere pronto a scommetterci faccia, incolumità fisica e pedigree davanti ai sopraccigli alzati del mondo intero. Altrettanti tra voi devono averlo odiato – non siamo poi così fanciulle e romantiche da non saperlo: odiato ogni volta che la sua ostinatezza gli ha impedito di fare la cosa giusta, fuori e dentro al rettangolo, odiato ogni volta che ha permesso al suo atteggiamento da predestinato ribelle di ritorcerglisi contro o contro la sua squadra, odiato ogni volta che non ha resistito ad anteporre la propria visione di gioco a quella dei suoi allenatori. All’indomani di quelle indimenticabili Finali del 2001, avrete atteso un’ultima volta prima di alzare bandiera bianca: davanti ai vostri occhi, irremovibile, il rammarico per cotanto talento, allo stesso tempo così fatalmente limitato. A noi rimarrà per sempre impresso un ricordo diverso: il prima, il dopo e il durante di quegli incomprensibili 48 punti da titano inchiodati in gara1, ma anche una premiazione su tutte, all’All Star Game di quello stesso irripetibile anno, quando alzando in alto il trofeo di Most Valuable Player tra le Stelle, Allen si è voltato indietro e ha chiamato Larry Brown. “Where’s my coach? Where’s Coach Brown?.”. Il novello Rocky che cercava un’altra Adriana. E ci ricorderemo di Iverson prima di gara3 di quelle stesse Finali, quando ci siamo avvicinati a lui, seduto in disparte in spogliatoio, alle prese con un cheese-burger e delle fasciature al costato livido, e abbiamo confessato. “Allen, voglio scrivere un libro su di te. Per raccontarti ai tifosi italiani. Perché sei la cosa migliore che abbia visto con i miei occhi su un campo da basket, da quando Michael Jordan ha lasciato.”. Si è alzato in piedi, ci ha preso la mano e l’ha tenuta stretta fra le sue per svariati secondi, mentre ci ringraziava delle belle parole. Poi per una ventina di minuti ha risposto a qualsiasi nostra domanda: sulla serie, su Kobe, su Shaq, sul cuore enorme del suo Mister… E quando lo abbiamo salutato, non ha resistito a dire la sua anche su di noi. “Se vuoi scrivere di me, non dimenticare di scrivere di questa squadra. Scrivi di Aaron (McKie), che gioca su una gamba sola, scrivi di Eric (Snow), di Matt (Geiger) e di Deke
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(Mutombo). E scrivi di questa gente, sui nostri spalti, perché sono i tifosi migliori al mondo.”. E’ quello l’Allen Iverson che abbiamo ricordato fino ad oggi: rigorosamente in maglia Sixers, con la competitività che gli traspirava dai pori assieme all’amore per il basket, con due autentici stecchini al posto delle gambe, le risposte dirette alle domande dirette, la velocità che non abbiamo mai più ritrovato in nessun altro (Chris Paul, Tony Parker, D-Rose, nominate chi volete), il musical alla “Stomp” riprodotto dai suoi doppi passi e cambi di direzione sul parquet, i tiri presi allo scadere così tanto in fiducia da sembrar scivolare fra le maglie più per forza di volontà che per gesto tecnico. Quello che è successo dopo il 2006: il suo soggiorno a Denver, il nefasto 2009 ai Pistons e l’ancor più nefasto aborto ai Grizzlies, congelato nell’ultimo cassetto della nostra scrivania e metabolizzato come la parte triste e inevitabile delle carriere di quasi tutti gli eroi sportivi. In questi ultimi 3 anni abbiamo guardato altrove, come Allen, che ai microfoni di Philadelphia, pochi giorni fa, ha confessato di non esser più riuscito a seguire una partita dei Sixers dal 2008. “Era troppo doloroso.”. Noi abbiamo scritto di altro basket, leggendo e ascoltando nel frattempo tutti coloro che dal 2002 ad oggi hanno puntato il dito unicamente sui 30 tiri comandati da Iverson ad ogni uscita serale, sulle sue discutibili medie dal campo, sulle sue lacune in difesa e sulle sue estati calde lontane da sale pesi e palestre. Poi, quando i detrattori di A.I. hanno identificato nelle sue ultime due soste a Detroit e
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Memphis la prova di tutto quanto fosse sbagliato in lui e nel suo gioco, ci siamo tappate la bocca. Senza poter farci niente. Anzi. Qui lo scriviamo e lo ribadiamo: fossimo allenatori di minibasket, neppure noi proveremmo a prendere ad esempio lo stile unico ed inimitabile di Iverson per forgiare le giovani leve della pallacanestro. Solo che non tutti i campioni e non tutti i successi sono predicabili. Soprattutto quando si ha a che fare con le figure rivoluzionare che ad ogni giro epocale di boa graziano la storia dello sport. L’interregno tra Magic-Bird-Jordan e Lebron-Wade-Howard può non aver conosciuto un confine marcato come il passaggio tra altre ere cestistiche, così come le sue figure più blasonate sono sicuramente state Shaq, Kobe, Duncan e non certo Iverson, ma che lo ammettiate o meno è stato quello Stuzzichino con indosso una maglia di Phila numero #3 il vero Uomo dell’Interregno, il suo stesso corpo, i suoi tatuaggi, le sue treccine, le improvvisazioni a spicchi permeate dal cemento al pari del motto: “se sono in grado di stare in piedi sono in grado di giocare”, il testamento vivente del cambiamento in atto nella National Basketball Association. Che lo ammettiate o meno, The Answer non può non avervi intrigato e obbligato a guardarlo più di quanto gli avreste mai concesso su carta, capace come un Manny Paquiao prestato al basket di intimidire una lega di giganti con un solo sguardo, e di guidare, pressoché da solo, una delle peggiori formazioni degli
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ultimi 20 anni fuori dall’abisso della lottery e dritta alle Finali, gettandosi fra i denti delle difese avversarie con 65 chili di nervi e mentalità guerriera, lanciando per aria tiri iconoclastici che spesso hanno trovato il ferro, ma altrettante volte il rimbalzo offensivo di gente come Tyrone Hill, Mutombo, o Geiger, che in nessun altra vita o personale sogno NBA ad occhi aperti avrebbero potuto convertire con altrettanta facilità ed efficienza. E mentre contemporaneamente Shaq, Nash e Garnett venivano osannati perché capaci di rendere i compagni accanto a loro migliori, dubitiamo che senza Iverson: Theo Ratliff avrebbe acciuffato quella singola convocazione all’All Star Game da solo, Aaron McKie si sarebbe portato a casa il trofeo di Miglior Sesto Uomo e Kyle Korver la targa di miglior tiratore dietro l’arco senza quell’extra-spazio a disposizione, garantitogli dalle attenzioni rivolte sul campo al suo primo capitano. L’unica differenza tra Quei Big Three ed Ive, il fatto che a un certo punto delle loro carriere i primi abbiano saputo adattarsi: Nash chiedendo aiuto ad Amare e a Grant Hill, KG a Ray Allen, Pierce e Rondo, Shaq addirittura al Prescelto, dopo aver spolpato per bene le scapole di Flash-Wade. Al giorno d’oggi ci siamo ormai abituati a vedere molte delle nostre icone sportive chiudere la propria carriera con indosso la più improbabile delle maglie: Shaq in casacca Suns e subito dopo in uniforme Cavs, KG in bianco verde, Favre in eretica tenuta Vikings dopo 16 stagioni ai Green Bay Packers e perfino David-Spice-Beckham in rosso-nero, per non parlare della divisa da Monopoli dei Los Angeles Galaxy. Abbiamo storto il naso per due o tre settimane e poi ce ne siamo fatti una ragione. Ma nel caso di Iverson è stato diverso. Vederlo ridotto ad un ruolo marginale da 15/20 minuti a partita, uscendo dal pino e in una squadra ufficialmente e concretamente diretta da altri, strideva e stride non solo con il suo stile di gioco, ma con tutto quanto ha rappresentato ed incarnato dal suo primo giorno nella Lega. Dopo essere stato, per il mondo intero, il Tupac con una palla da
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basket incollata ai polpastrelli: autenticamente ruvido, spavaldo, ribelle, non disposto a chieder scusa per la sua pallacanestro anti-ortodossa, ma semmai ostinato nel volerne imporre la credibilità ad ogni costo; guardarlo chiudere la carriera in una squadra da 20 vittorie regolari come i Grizzilies o i Knicks sarebbe stato come assistere ad un ultimo concerto di Shakur e vederlo rimare in playback. Avrebbe indelebilmente cambiato i nostri ricordi. Senza che fosse possibile, nel suo caso, nasconderci dietro all’inevitabilità del suo logorio fisico o ad un’improvvisa superiorità tecnica di Carmelo, o alla maggiore efficienza dei vari Rodney Stuckey o Mike Conley dell’NBA. Alla vigilia dello scorso Thanksgiving, Allen per primo ha smesso di nascondersi, preferendo il ritiro ad un’agonia a spicchi autoindotta. Noi abbiamo tirato un sospiro, Iverson ha tirato un sospiro e OJ Mayo deve aver sospirato ancora più forte. Solo Coach Brown ha tuonato davanti ai microfoni. “Non mi sembra che là fuori ci siano tante squadre messe così bene da poter rinunciare ad un giocatore rivitalizzante come Iverson.”. I Sixers hanno dato un’occhiata alle lastre di Lou Williams (fuori 8 settimane per mandibola fratturata), un’altra al record di franchigia (5-15) e un’ultima ai precedenti legali di Allen. Poi, mentre il resto del mondo era ancora impegnato a dividersi tra chi voleva Iverson nella lista nera degli incompiuti e chi lo voleva invece nella Hall of Fame, accanto a gente come Tiny (Archibald), Isiah (Thomas) e Calvin Murphy, Philadelphia ha riabbracciato il suo figliol prodigo. In massa. Le casse del Wachovia Center, in una singola giornata, si sono aperte per il ri-esordio di Ive più volte di quanto non fosse successo in tutte le partite casalinghe del primo mese e mezzo di stagione e con il loro tintinnio ancora rimbombante tra i corridoi, Allen ha ammutolito il presidente Ed Snider un’altra volta, senza nemmeno “disquisire di allenamenti”. “Non creda che mi spaventino quei quattro fogli di word su cui le hanno riportato tutte le multe che ho rimediato nei centri
più contavano (dietro solo a Jordan), terzo per minuti giocati da aprile in poi (dietro solo a due giganti della pallacanestro quali Chamberlain e Russell) e settimo per palle rubate nei playoffs subito dietro al solito Jordan. Pur non essendo il solo giocatore ad essersi costantemente preso dai 18 ai 20 tiri di media a partita, nessuno osa etichettare Wade o King James come egoisti, nonostante vantino numeri simili nella categoria; così come nessuno ha mai sottolineato che Iverson, per ben 4 volte, si è piazzato nella top 10 dei migliori assistmen, ammassando una media in carriera di 6.2 consegne: più di quanto Walt Frazier, David A.I. in 13 stagioni erotte ha realizzato più di 24.000 punti, Bing e Chauncey Billups abbiano fatto, giusto per citarne ad una media di 27 a partita, sesto miglior realizzatore di tre a caso sempre; ha portato a casa il trofeo di Rookie dell’Anno, un titolo di MVP della regular season nel 2001, due nella partita delle Stelle (2001/2005), ha conquistato il titolo di miglior marcatore per quattro stagioni (‘99/01/02/05) quanto Kobe, Wade e Lebron combinati - e 3 Primi Quintetti NBA. Ci sono solo altri due giocatori nella storia del gioco che sono riusciti a tenere per l’intero corso delle proprie carriere almeno 25 punti, 5 assist e 2 rubate di media: uno è Allen Iverson, gli altri due niente po’ po’ di meno che Michael Jordan e Jerry West. E per West vale l’asterisco a margine, dato che il calcolo delle palle rubate è stato inserito solo nel 1973, per cui per certi ci sono unicamente gli 81 scippi di Mr. Logo nelle ultime 31 partite della sua stagione finale. Molti fan delle statistiche amano puntare il dito sulle medie al tiro di Iverson, ma dimenticano di controllare altri numeri. Se si uniscono le medie delle postseason NBA a quelle dell’ABA ne vien fuori che Iverson è secondo assoluto in carriera per punti realizzati quando
L a ca rr iera in n u mer i d i ‘ T he A n s w e r ’
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commerciali della Pennsylvania…Le servirebbe un’agenda grossa come quella telefonica per elencarmi tutte le persone che hanno da ridire con me.”. Certe cose non cambiano mai. Come la vista di Iverson in sala stampa, con un maglia Sixers in mano, i corn-rows nuovamente intrecciati dopo la breve rasata di Detroit, la t-shirt bianca, i maxi-brillozzi ai lobi e quel tatuaggio sul collo diventato a noi familiare quanto i nei sui nostri avambracci. Non sapremmo dirvi quanti sono di preciso, ma se qualcuno ce ne aggiungesse di nuovi a penna, sapremmo riconoscere i non autentici. Il 3 dicembre scorso, a quasi 4 anni di distanza dall’ultima volta in cui si era seduto davanti a quel podio, tutto di Iverson è apparso ancora una volta autentico. Le sue parole, i suoi sentimenti verso il basket e verso la città che ha fatto di lui una superstella, perfino le sue lacrime, quelle che hai il coraggio di versare solo davanti a chi ti conosce bene. Solo quando torni a casa. E ancora una volta The Answer ha riscritto l’atto finale di un atleta, passato alla storia come il più duro, il più tenace ed il più inossidabile, pound per pound, ma anche come uno dei più veri in una Lega di mezzi-cloni ricoperti chi di vaniglia, chi di cioccolato. Quando voleva unicamente vincere, glielo abbiamo letto su ogni centimetro del corpo; quando ha perso, ha pianto davanti a noi. E quando si è arrabbiato - beh – ce ne siamo accorti. Il suo gioco era qualcosa che non avevamo visto prima di lui, ma è soprattutto per momenti come la conferenza dello scorso 3 dicembre che Philadelphia amerà per sempre il Suo Piccolo Grande Numero Tre: perché quando sente di poter sbottonare qualche gancio dell’ armatura, ti lascia guardare dentro. E nonostante tutto quello che di negativo ti sia stato detto su di lui, scopri che ci tiene più di quanto avresti mai potuto immaginare. Coach Eddie Jordan, dopo un solo giorno accanto ad Ive, gli ha girato le redini della squadra. “Non gli chiederò di partire dalla panchina o di stare sul campo per pochi minuti. Sarà lui a decidere quando uscire. Questa è ancora casa sua.”. Lunedì 6 dicembre, il Wachovia si è riempito oltre la capacità massima: 20.664 philadelphiani con i cartelli di “bentornato” in mano. Quando lo speaker ha scandito le parole: Georgetown e guardia, il boato ha fatto tremare i polsi perfino a The Answer, in ginocchio, a centro campo, per baciare il logo dei Sixers. “Le mie gambe erano pesanti dopo un solo allenamento coi ragazzi, ma è stata l’emozione a tradire le mie braccia.”. Allen è rimasto in campo per 37 minuti, per tutto il primo quarto e per tutto il terzo, quando Philadelphia è rimasta davanti ai Nuggets ispirata dalla difesa del suo Piccolo Generale e dai suoi assist. Gli ultimi tre anni davvero come se non fossero mai accaduti. Iverson non è stato il miglior giocatore di basket su suolo terrestre, in nessun momento della sua carriera, così come Tupac non è stato il liricista più rifinito; in entrambi i casi è stata la loro persona così induplicabile e allo stesso tempo così reale a porli volenti o nolenti necessariamente al centro dell’attenzione. E per Iverson, inaspettata forse più di un anello a fine carriera, è arrivata la possibilità di uscire dalla lega esattamente come ci era entrato. A modo suo: ammazzandosi per ogni singola vittoria, trascinando i Sixers e la città di Philadelphia con sé, armato solo della sua personale break-dance a spicchi e di una volontà da “adesso o mai più” che ricorderemo per sempre.
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E’ tutta q uesti one di numeri LO STUDIO
Con un play come Billups ed il miglior cannoniere in assoluto, i Nuggets non avranno mai problemi a bucare la rete avversaria. I Warriors, allenati dal bizzarro Don Nelson, prediligono senza dubbio il gioco in velocità fatto di contropiedi e tiri da lontano. Perfetto, se non fosse che la fase difensiva è a dir poco trascurata: 111.66 punti subiti è un numero impressionante. Ecco spiegata la costante presenza dei californiani nei bassifondi della Western Conference. Seguono i Raptors con 108 punti netti subiti, un dato da abbassare assolutamente se i canadesi vogliono davvero puntare a qualcosa di più concreto che un pallido ottavo posto ad est. La “medaglia di bronzo” in questa Fonte foto: http://www.sunsblog.dreamhosters.com poco edificante classifica va ai Knicks con 106.82. Dato logicamente non sorprendete se si pensa che ad occuparne DI la panchina è quel genio e sregolatezza di Mike D’Antoni, l’artefice S TEFANO PANZA del miracolo-Phoenix di qualche anno fa, quando però poteva perDopo aver abbassato la lente d’ingrandimento sulle classifiche indivi- mettersi quel tipo di gioco in quanto disponeva di giocatori in grado duali, cerchiamo ora di approfondire quelle di squadra, se possibile di segnare sempre un canestro più degli avversari. Ora invece ne subisce uno in più, ma il recente periodo positivo di New York lascia ancora meno note ed ancor meno pubblicizzate – e pubblicate. Partiamo, ovviamente, dalle cifre riguardanti i punti segnati. Si sa, le presagire qualche incoraggiante progresso. squadre che praticano un basket aperto e offensivo sono soprattutto Continuando a parlare di graduatorie negative, veniamo ora alle tre, e guarda caso occupano le prime tre piazze della classifica dei squadre che segnano meno. I Nets, detentori di innumerevoli record punti segnati: guida Phoenix con 108.41 punti a gara, seguita a bre- negativi in questo primo scorcio si stagione, non potevano ovviamenvissima distanza da Denver (108.20) e da Golden State (106.95). Non te lasciarsi sfuggire quello di attacco meno prolifico della lega (89.25 è una novità per i Suns trovarsi al primo posto di questa graduatoria, punti a partita), nonostante nel proprio roster possa vantare la prese si fa eccezione per le ultime due stagioni, quelle in cui la presenza senza di diversi buoni realizzatori. Stagione storta sotto tutti gli di Shaquille O’Neal impediva il gioco spumeggiante tipico della fran- aspetti, ma del buon materiale su cui lavorare c’è. Seguono Charlotte chigia dell’Arizona in favore di un attacco a metà campo, certamente con 90.31 e Chicago con 90.36. Se per i Bobcats questo dato non stumeno prolifico, almeno dal punto di vista strettamente offensivo. pisce più di tanto, in quanto da sempre coach Larry Brown impronta Non poteva mancare Denver, la squadra del miglior marcatore della l’identità delle proprie squadre sulla pressione difensiva, è una sorlega, quel Carmelo Anthony che supera il trentello di media a partita. presa che una squadra con Derrick Rose, Luol Deng, Kirk Hinrich,
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fatichi a segnare. La cessione di Ben Gordon, in questo ambito, pesa tantissimo. Non esistono in roster, in effetti, dei veri realizzatori. Sotto le plance Miller, Noah, Thomas svolgono discretamente il lavoro difensivo e di rimbalzo, ma raramente superano i 10/12 punti segnati. Puoi anche dunque disporre di un passatore sopraffino come Rose, ma devi anche avere qualcuno che sappia approfittarne… Spostandoci sull’impatto difensivo, analizziamo le squadre che subiscono meno punti. Guida, manco a dirlo, Boston, con 91.16 punti presi a gara. Prevedibile per una squadra che quando stringe i ranghi è praticamente inespugnabile. Del resto il titolo del 2008 si è basato soprattutto su un’intensità difensiva vista raramente a questi livelli. Segue Charlotte che, è vero che segna poco, ma subisce anche 91.54 soli punti a partita. Se le cose stanno così, i risultati possono anche arrivare. Servirebbe un’iniezione di talento ulteriore per un vero salto di qualità. Con Stephen Jackson qualcosa è stato fatto, ma non basta. Terzo posto per Portland (92.44), anche se con l’infortunio di Oden probabilmente la cifra dei punti subiti è destinata a salire. Nel complesso, esaminando la differenza tra punti segnati e subiti notiamo che sono i Celtics a guidare la classifica con +9.62, seguiti dai Lakers (+8.45), gli Hawks (+8.39) e i Nuggets (+6.96). Maglia nera ai Nets (10.83), che fanno poco peggio dei T’Wolves (-10.80). Esaminiamo ora una classifica strettamente legata a quella dei punti segnati, ovvero la percentuale dal campo, una statistica che solitamente spazia tra il 40 e il 50%. Ancora una volta sono i Celtics a guidare, forti anche della recente striscia di 11 vittorie consecutive. I biancoverdi tirano col 49.5% di media, segno evidente di un’accuratissima selezione delle conclusioni. Phoenix è seconda col 49.2%, e questo dato stupisce più di ogni altro: una squadra che fa del tiro da tre la propria arma (42.7% dall’arco, ne parleremo più avanti) tira quasi col 50% complessivo. Un dato davvero impressionante. Segue Utah col 49.1%, altra squadra con un play eccellente, Deron Williams. Più che i tiratori stessi, infatti, è molto importante la circolazione del pallone e la capacità del play di trovare sempre l’uomo libero. Quarta piazza per gli Spurs (48%), da sempre squadra pratica e cinica. Chiudono la classifica i Bobcats (43.2%), i Bulls (42.5%) e i soliti derelitti Nets (41.5%). Spostiamoci adesso dietro la linea dei tre punti, regno indiscusso,
come detto, dei Phoenix Suns, che tirano col 42.7% dall’arco. I Cavs però non se la cavano male. Del resto con gente come Williams, West, Gibson, James, e i raddoppi all’interno dell’area su Shaq, non è impossibile tirare con buone percentuali. Quella dei Cavs è del 42.2. Molto più staccati tutti gli altri, a cominciare dagli Spurs (39.2%) e dai sorprendenti Kings (38.1%). In fondo alla graduatoria non potevano non comparire i New Jersey Nets, dall’alto – o dal basso – del loro pessimo 27.2%. E pensare che gente come Harris, DouglasRoberts, Lee, non dovrebbe avere problemi a bucare la retina da quella distanza… New Jersey, per fortuna, non detiene ancora tutti i record negativi possibili. Ad esempio nella classifica della percentuale nei tiri liberi è nientemeno sesta con un onorevole 78%. Classifica guidata dai Thunder con l’81.3%. dato a dir poco sorprendente se si pensa che si tratta di un fondamentale in cui il sangue freddo e l’esperienza dovrebbero regnare, e invece i giovani virgulti agli ordini di coach Scott Brooks dimostrano che il talento e la determinazione possono sopperire alla giovane età. Chiude la classifica Orlando, dato preventivabile alla luce della frequenza con cui è mandato in lunetta Dwight Howard (257 tentativi finora, 156 dei quali a bersaglio), un giocatore dotato dal Padre Eterno di ogni ben di Dio, ma non certo di due mani vellutate. Passiamo ora alle classifiche dei rimbalzi. Facile prevedere che a guidarla siano i Lakers, squadra composta da una batteria di lunghi incredibile. Si giustificano così i 45.27 rimbalzi a partita. Bene anche Dallas, seconda, che ne arpiona ben 43.72, e Chicago, 43.45. I Mavs possono vantare, oltre al solito Nowitzki, un Dampier finalmente rigenerato e tornato a fare quello che faceva ai tempi di Golden State, ovvero lottare sotto entrambi i canestri. I Bulls invece fanno affidamento su Noah, rimbalzista dalla struttura a dir poco “anomala”, ma comunque efficacissima. Quarto posto per Indiana (43.36), che vanta tra i lunghi Foster, Hansbrough e Hibbert, veri e propri animali da rimbalzo. Chiude la classifica Golden State, squadra la cui statura media è paragonabile a quella di una squadra di calcio. I Warriors sono però preceduti nientemeno che dai Celtics i quali, è vero che mettono a segno buona parte dei tiri che effettuano – come abbiamo visto – e che giocano a ritmi bassi (quindi c’è un numero inferiori di tiri e quindi di possibili rimbalzi), ma hanno anche un’ottima difesa che condiziona il buon esito delle conclusioni altrui, facilitando quindi il rimbalzo difensivo. Comunque Boston, nonostante i 38.33 rimbalzi di media a gara, è reduce da 11 W consecutive. Va bene così.
Fonte foto: http://images1.everyjoe.com
Fonte foto: http://news.xinhuanet.com
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LA CULLA DEL BASKET DI
V INCENZO D I G UIDA
«Ho paura di due sole cose io, di Dio e della morte. Il resto sono solo cazzate. Erik la prossima volta passala a me». Benvenuti nel folle mondo di Ron Ron Artest. Anno di grazia 1999. Il figlio del Queensbrisdge più duro e puro è al suo anno da junior alla (indovinate un po’..) St. Johns’s University, è pronto a dare l’assalto alle final four Ncaa. Gli avversari sono quelli di Uconn. Ron è in missione difensiva su Rip Hamilton, ma dall’altra parte è lui la superstar. Più di Bootsy Thornton (yes, quello di Siena), di Reggie Jesse, Lavor Postell (New York e Pesaro), di Tyrone Grant (Milano) e di Erik Barkley (adesso Unicaja Malaga, e già incontrato nella puntata precedente sul Queens). I Red Storm hanno il tiro per vincere la partita o andare ai supplementari. Ma Barkley commette un errore mortale. Il play dei “The Destiny Boys”, non la passa a Ron, ma fa tutto da solo. St.John’s perde, addio Final Four. Uconn si avvia a vincerle, Rip Hamilton non lo sa ancora, ma s’incammina verso il titolo di Mvp delle Finals, mandando alle ortiche i sogni di Duke e di Elton Brand, uno che come vedremo tra un po’, con Ron Ron ci aveva già avuto a che fare. Si vocifera che in spogliatoio Thornton e Postell abbiano protetto Barkley dalla ferocia di Ron. L’ha scampata bella. Ma la verità ha sempre due facce. Ferocia da strada e rispetto per la strada. Artest ha imparato a difendere alla “gabbia” (The Cahe) e al Rucker, marcando proprio Erick Barkley. E così il giorno della consegna per l’Mvp difensivo del torneo Ncaa, la dedica va a lui: “ i piedi in difesa ho imparato a muoverli giocando con Barkley..e Fuck You Barkley. Ho paura di due sole cose io, di Dio e della morte. Il resto sono solo cazzate. Erik la prossima volta passala a me”. Mentalità da Queensbridge. Di uno nato il 13 novembre del 1979. Il padre, un ex pugile con un passato nei Marines, divorziò dalla madre quando Ron aveva solo 6 anni, creando non pochi problemi al giovane che, fin dalla tenera età, mostrò infatti una spiccata propensione ed abilità nelle risse, scolastiche e non. Furono, però, proprio questi attacchi di collera improvvisa che lo avvicinarono alla pallacanestro: a solo 8 anni, infatti, l'ennesimo assistente sociale che conobbe Ron, convinse i genitori ad iscriverlo ad una squadra di basket, in modo che imparasse a socializzare con i coetanei: fu amore a prima vista. Anzi, fu mania a prima vista. Da allora, l'energia un tempo sfogata nelle risse scolastiche venne trasferita nel nuovo passatempo. In breve divenne presenza fissa sui campetti della Grande Mela. Sul cemento del blacktop nasce la leggenda di Ron Ron. Al liceo si iscrisse alla
New Yo r k ed il Queens
Terzo episodio e c a p i t o l o d e l v i agg i o t r a i q u a r t i e r i ch e v i v o n o d i b a s ke t
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Salle Academy High School. Quattro anni da pazzi. Nella stagione da senior venne eletto giocatore dell'anno dello stato e della Città di New York. Un anno chiuso con un record da 69-1. Erick Barkley, Reggie Jess e Elton Brand (in una partita a Las Vegas, per l'eccitazione Ron scazzottò Brand sino quasi a stenderlo), a fargli da cast di supporto. In quello stesso anno venne convocato per il McDonalds All-American Game. Ma le sfide che incantavano Ron non erano quelle ufficiali del Torneo Statale delle High School. Le vere sfide, per lui, erano quelle dei tornei estivi nel Bronx, quando si trovava di fronte a prospetti NBA del calibro di Lamar Odom, e a semidei della strada come RBK, Homicide o Skywalker, che sfidava al Rucker quando in estate era assoldato nella Terror Squad, la squadra con la quale si presentava al torneo il rapper Fat Joe. Poteva andare a Michigan State, a North Carolina, ad Arizona o Kentucy, a Duke (troppo bianchi e figuettini i ragazzi di coach K), ma un vero soldato (“The True Warrior”) deve andare a St.Johns con gli amici di sempre, Barkley e James. Il resto lo conosciamo già. «Li odio i fottuti Knicks, soprattutto questa versione». Andiamo alla sera del draft. I Knicks perdenti in finale 4-1 contro gli Spurs nella stagione del lockout, o dell’asterisco come la chiama Phil Jackson, sono pronti a dare l’assalto al titolo. La folle corsa da ottava testa di serie che raggiunge per la prima volta nella storia le Finals, fa credere a Jeff Van Gundy e al front office, che il back court formato da Allan Houston e Latrell “lo strangolatore di Milwaukee” Sprewell sia eterno. Meglio svecchiare la front line composta dai decadenti Ewing e Johnson, e dal talentuoso ma incostante Marcus Camby. New York sceglie alla15a. La prima chiamata assoluta è Elton Brand per i Bulls. Ron è pronosticato nelle prime sette, ma la sua reputazione scende quando decide di saltare la seduta del “Rookie meeting” (appuntamento orientativo pressoché obbligatorio per le future matricole), preferendo la compagnia femminile ai doveri da professionista. Un draft ricco: Steve Francis, Baron Davis, Lamar Odom, Jonathan Bender, Wally Szczerbiak, Richard Hamilton, Andre Miller, Shawn Marion, Jason Terry, Trajan Langdon, Aleksandar Radojevi (piano con le risate là in fondo..), Corey Maggete, William Avery. Queste le prime quattordici. Scelgono i Knicks. E’ fatta per Artest. Giusto?.Ahahah. No. I New York alla 15a chiamano (quasi non riesco a scriverlo) Frederic Weis. Si, quel Weis. Il centrone francese, che nell’estate successiva passò alla storia, quando alle Olimpiadi di Sidney, Vince Carter decise che sareb-
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be stata una figata saltare a piè pari un 2.16 e schiacciargli in testa. Inizia in quel preciso istante il difficile rapporto tra i Knicks e il draft. Roba che va avanti da un decennio, ma d’altronde il nostro li odia i fottuti Knicks. E sia per Chicago. Ai Bulls ci resta tre anni. L’ultimo a 15.6 di media e la fama (giustificata)) di miglior difensore della Lega. A metà stagione si passa ad altro indirizzo. Indianapolis. Fino al 2006. Il miglior anno è il 2006 a 19.4. Animale da playoff, difensore supremo, in una squadra di cattivi ragazzi. Jamal Tinsley (“The Abdsuer”), Steph Jackson, Jermaine O’Neal. Reietti. “Tonight is da night”. Fantastico pezzo di Redman, quello da strada, meno funk e molto Method Man. La sera è quella del 19 novembre 2004. Palace of Auburn Hill, Detroit, Michigan. Diretta nazionale. Nella città degli original Bad Boys, dei Pistons campioni Nba, di quel Rip Hamilton che lo fa ammattire dietro ai “curl”. Ron a risultato acquisito commette un "fallettino" (a 45'' dalla sirena) ai danni di Big Ben Wallace (miglior rimbalzista e difensore delle lega, figlio dell’Alabama, un’infanzia in miseria, insomma uno che non si gira dall’altra parte), che reagisce. Quasi rissa, poi sedata. Ma l’anima del Queens prende il sopravvento in Ron Ron. Artest si sdraia sul tavolo utilizzato da giornalisti e cronometristi e dopo qualche secondo viene colpito da un bicchiere di plastica (pieno di birra) scagliato dal pubblico. E’la fine. Artest, infatti, perde il controllo e corre in tribuna facendosi giustizia da sé con chiunque gli capiti a tiro. Stephen Jackson (uno beccato a sparare fuori da uno strip club alle 4 di mattina) lo segue. Sul parquet, intanto, cominciano ad arrivare alcuni tifosi inferociti. Artest ne stende uno con un destro, lo stesso tifoso si rialza e viene rimesso al tappeto da Jermaine O'Neal. Rissa, putiferio. Squalifiche. A iosa. Stagione finita. 73 partite di sospensione. Fine dei bad boys in versione Pacers. Artest ceduto a Sacramento, in un viaggio che lo porterà a Houston (dove appena arrivò disse: “questa è la mia squadra”, peccato che ci fossero anche T-Mac e Yao con qualche anno in più di militanza) e da questa estate ai Lakers dell’amico/nemico Kobe, preso letteralmente per il collo nella semifinale playoff. Queens all’ennesima potenza, come quando decise di rovinare in un allenamento estivo nel 2001 il ritorno di Michael Jordan, con un fallaccio che procurò al migliore di sempre la rottura di tre costole. Peccato di lesa maestà. Non per chi è cresciuto con i genitori nel Queensbridge, in un appartamento di due stanze da dividere con cinque fratelli e due cugini, con un padre, Ron sr., un ex marinaio, che si era indebitato per tenere incollata quella famiglia, e al quale un giorno i nervi cedettero e picchiò la moglie Sarah. Ron jr. vide tutto, però inventò una storia da raccontare alla polizia. Papà Ron lo fulminò: «Non mentire mai». E si consegnò agli agenti. Storie da Queens. E in ogni storia da Queens che
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si rispetti deve entrare anche il Rap. E allora vai con il disco autoprodotto: My World (2006). Senso di appartenenza e rispetto. Per Ron sono tutto. Qualcosa da portarsi addosso. O meglio sulla testa. Dietro, sulla nuca, un pazzesco disegno con il logo Lakers. Ai lati, a destra la scritta “champion” in caratteri cinesi e a sinistra la scritta “Chatty”. Chatty” era Mike Chatfiled, ucciso a colpi di pistola a New York qualche giorno prima dell’opening night dei Lakers nel derby con i Clippers, il 27 ottobre. Tra Ron e Chatty c’era quel rapporto che c’è con il tuo migliore amico che è talentuoso ma meno fortunato. Tra chi c’è la fa e chi no resta in the hood .Ron e Chatty e il playground. Poi le loro strade si sono separate. Ma il Queens unisce. Per tutti un signor nessuno. Per Ron, un campione, un amico (il migliore), un fratello. “Represent” nel gergo Hip Hop. Rappresentare sé stessi,
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la propria storia, il proprio quartiere. Come ha fatto nello splendido documentario realizzato con la K1X, , un brand di vestiario street basket con cui a suo tempo firmò un contratto, sui luoghi del Queensbridge (il documentario è disponibile su Youtube). Le facce e il profumo del Queens. La testimonianza di Kevin Jackson, il primo coach di Ron. Welcome to Queensbridge. Colonna sonora da far impallidire “Soul in the Hole”. Si vede “The Cage”, con il flow di “New York” di Rakim. Ti sveglia “Sound of da police” di Krs-one, ti fa saltare “Ruff Ryders” di Dmx. Queensbridge non fa rima con Hollywood. Ma Ron Ron adesso è nella Città degli Angeli. Siamo sotto Natale. Tempo di regali. Phil Jackson, coach Zen, regala a tutti i suoi giocatori un libro. Chissà quale avrà scelto per uno che ha paura solo di Dio e della morte.
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L’ANALISI
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Pau Gasol, il lato for te del ‘triangolo’ gialloviola
D OMENICO P EZZELLA
«Artest è un ottimo compagno di squadra,si è integrato benissimo e se devo essere sincero mi torvo molto bene. Anzi il più delle volte dobbiamo incitarlo ad essere più individualista, dal momento che da quando ha messo piede qui a Los Angeles non ha fatto altro che seguire gli schemi e mettersi al servizio della squadra». Belle parole, ancor di più se poi a pronunciarle dall’altra parte dell’oceano è stato addirittura Phil Jackson che dei Lakers sarebbe pur sempre il direttore d’orchestra. Detto questo in tanti avranno pensato che quindi la chiave di volta di quella che attualmente è una delle migliori formazioni della Western Conference e dell’intera Nba, sia proprio l’innesto del’ex ‘Bad Boys’ al fianco di Kobe e compagni. Senza dubbi l’ex Houston e Sacramento c’ha messo il suo zampino come al solito, sia in termini di difesa che in termini di attacco, ma la pedina fondamentale di quella che è l’accelerazione dei gialloviola tra il mese di novembre ed il primo scorcio di dicembre è da ricercare altrove. Con la mente bisogna fare un viaggio di oltre 10000 chilometri ed arrivare fino a Sant Boi de Llobrega, Spagna, ovvero la città natale di Pau Gasol. E’ lui l’arma in più, è il catalano il giocatore dal quale Phil Jackson ha definitivamente capito, di non poter prescindere per vedere funzionare al meglio e come una sorta di orologio svizzero quel ‘suo’ attacco a triangolo. L’intelligenza cestistica dello spagnolo è un qualcosa che da sola fuga qualsiasi tipo di dubbio su quello che è sempre stato l’unico neo di Gasol, almeno fino alla passata stagione, la durezza fisica e mentale. Però poi quando si tratta di metterla per terra, di tirare di finalizzare o di consegnare palloni da quel post alto o basso che sia, non ci sono davvero eguali all’interno del continente a stelle e strisce. Se poi a tutto questo ci mettiamo anche che l’arrivo di Artest gli toglie anche l’incombenza di essere il duro della situazione dietro a Bryant nei momenti che contano, allora forse l’arrivo di Ron Ron ha giovato ai Lakers proprio attraverso il catalano. Tra l’altro l’unico capace di giocare il triangolo nella posizione di lungo in post basso con mani magnifiche e parlanti come l’x Barcellona è Lamar Odom (di sicuro non Bynum sia per questione tecniche che per questione tattiche e di intelligenza cestistica, anche se la presenza del numero 17 in campo o all’interno dello starting five permette allo spagnolo di giocare minuti da numero 4, minuti da ala forte e quindi minuti al di fuori di quel raggio dei centri puri che fa sempre bene al gioco di Gasol
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stesso ndr) che per contro, però, non ha i tutti i centimetri e tutto il carnet di movimenti e di possibilità offensive come del resto potrebbe offrire il fratello maggiore di Marc dei Memphis Grizzlies. Piccolezze all’interno di un sistema già oliato, funzionante e corroborato dalla vittoria dello scorso anno? Assolutamente no, anche perché con il rientro in campo dello spagnolo dopo l’infortunio a migliorare non è stata solo la qualità del gioco, la qualità del ‘Triangle Offense’, ma addirittura anche i risultati. Non che in precedenza o meglio durante il periodo di assenza del lungo cresciuto in maglia blaugrana, i Lakers abbiano stentato oppure si siano fatti mancare qualche vittoria, ma dal suo rientro in campo, l’unica lettera che si vede al fianco delle partite del team losangelino è la ‘W’ di vittorie. Sono sei le partite consecutive messe in tasca da parte dei gialloviola (al momento di scrivere ndr) da quando, dopo le prime undici partite ai box, il catalano ha rimesso piedi in campo il 19 di novembre contro i Chicago Bulls. Di li in poi è stata una vera sinfonia, quasi come quella che lo spagnolo è andato a vedere all’Opera quando ad LA è arrivato Placido Domingo («I Lakers sono fortunati ad avere un giocatore come Pau Gasol, non solo è un grande campione, ma è anche una persona per bene» le parole del tenero al quale hanno fatto eco quelle del giocatore che ha affermato: «Sono felicissimo di aver incontrato e visto Placido. E’ stato un vero onore. Per quanto riguarda lo spettacolo, beh non molta azione, ma grande dramma nel senso classico del termine»). Con lui sul legno di gioco Los Angeles può entrare all’interno del suo specialissimo attacco sia con lui da vertice alto (basso
Fonte foto: http://www.sitv.com
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per la posizione in post dal lungo in campo ndr) per giocare un pallone spalle a canestro, sia come passatore (sublime quando a vestire il ruolo di numero 5 è Bynum ndr) per cambiare il alto e ribaltare il tutto dall’altra parte, ma anche come semplice specchietto delle allodole, vista la preferenza da parte di Kobe Bryant di attaccare gli avversari nel triangolo ma facendolo in punta anziché in post basso cosi come era stato creato e modificato per O’Neal e in parte anche per il catalano stesso. Al di sopra delle righe anche quando a mo’ di diploma c’è il classico rompete le righe e si va fuori dagli schemi finalizzando qualsiasi cosa gli si metta tra le mani oppure raccolga dalla spazzatura nelle tonnare a rimbalzo. Al limite dei 10 a sere i palloni recuperati sotto le plance (9,7 per la precisione ndr) mentre sono quasi 18 i punti (17,9) di media messi a segno dall’amuleto in carne ed ossa del proprietario Jerry Buss che a quanto pare avrebbe messo un limite alla propria presidenza: avere più titoli dei Boston Celtics. «Sto migliorando. Ogni settimana mi sente sempre molto meglio e l’infortunio è sempre più un ricordo del passato. Sono sempre pronto a lottare a rimbalzo, sempre pronto nei movimenti fronte e spalle a canestro anche con una più che discreta mobilità. Insomma mi sento bene e quello che devo fare è continuare cosi, continuare a migliorare nella condizione e continuare a vincere – le parole dello spagnolo». Beh se i gialloviola l’hanno fatto già a partire dal suo rientro con poca benzina in corpo figurarsi cosa potrà accadere ora che il catalano sta riempiendo i serbatoi per il resto della stagione.
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OCCHI PUNTATI SU...
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Atlanta Hawks
Nba ‘Team by Team’
Di sicuro la miglior partenza degli ultimi anni. Una partenza frutto di una programmazione e di una pazienza senza limiti che ha portato fino alla costruzione di una squadra che attualmente ha il suo miglior record di sempre. Una squadra senza gioco? Beh qualcuno potrebbe anche mettere sul piatto della bilancia il fatto che Woodson non sia proprio l’allenatore dei sogni, ma comunque i falchi della Georgia continuano ad essere una
DI
D OMENICO P EZZELLA
squadra percola osa ad Est ed in generale una squadra pericolosa per quel che riguarda il discorso playoff. D’altronde ne avevamo già parlato ampliamente nell’approfondimento dello scorso numero che la differenza la fa la panchina e un roster molto più lungo di quello della passata stagione e con giocatori di maggiore presenza dal momento che basta pensare che dalla ‘bench’ escono gente come Zaza Pachulia, Jamaal Crawford e Joe Smith arrivato in Georgia solo ed esclusivamente per dare quel tocco di esperienza in più ad una squadra che non punta al titolo come i Cavs ma che comunque ha bisogno di una mano nei momenti caldi. Momenti caldi che attualmente dicono che la buona notizia per gli Atlanta Hawks è che Smith e compagni hanno un record nettamente vincente quando ad incrociare le armi
con i falchi ci sono formazioni che hanno un record uguale e superiore al 50%. Otto vittorie e due sconfitte il conto in questione. Conto che però si riduce drasticamente quando, invece si tratta di formazioni che scendono al di sotto di quel 50% e quindi hanno un record nettamente negativo. Due lati di una stessa medaglia che posso dire tutto o non possono dire niente, possono dire che quando il gioco si farà duro questi Atlanta Hawks potranno competere con le formazioni maggiormente accreditate ad arrivare fino in fondo o anche che però il fatto di metterci, magari, poca voglia contro le ‘piccole’ per usare un termine prettamente calcistico potrebbe portare Atlanta a pagare la posizione finale. Il dato finale su cui riflettere? Sei vittorie e quattro sconfitte dopo aver messo in piedi il miglior record di franchigia di 11-2.
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Miami Heat
Nba ‘Team by Team’
Alla corte di D-Wade qualcosa si muove, in negativo. Squadra strana se ce ne è una. Dolente la sconfitta arrivata nella trasferta ad ovest in quel dello Staples Center, dove gli Heat avevano praticamente vinto prima che sul buzzer beater di pura classe dell'immenso Bryant non arrivasse una sconfitta che ha tranciato il morale ai ragazzi in nero della Florida. Arrivate poi le sconfitte sanguinose contro i Mavs di Nowitzky, che hanno riportato il record in pari, 11 vinte e 11 perse e collocano la squadra al terzo posto della South East Division, alle spalle delle superpotenze Orlando e Atlanta. Il cecchino Wade fa pentole e e coperchi di una squadra dove è il leader, e che, aggrappandosi al suo go to guy, può mettere in difficoltà chiunque e quando vuole, e la partita di Los Angeles lo dimostra. La crescita, seppure accompagnata da percentuali non certo principesche, di Beasley, nonchè l'ispirata vena realizzativa, spesso in fasi chiave della partita di Haslem, stanno dando varie dimensioni di gioco ai ragazzi da Miami. Dalla panchina è il contributo di un Quentin Richardson completamente rigenerato, e che dimagrito e messo in piedi dopo tanta cura, ha finalmente iniziato una nuova carriera. Mario Chalmers cresce e rappresenta il domani, ma sembra troppo evidente come a questa squadra manca quel qualcosa in più che una ex stella come Jermaine O'Neal non riesce a garantire. L'ex Toronto, tra un problemino fisico e altro, riesce ad alternare grandi prestazione a partite orribili, la chiave sarà nel cercare di sfruttare, a volte anche nell'arco della singola partita, i magic moment del lungo, per poi provare a scappare, e affidarsi alla difesa e alle invenzioni del tandem Wade-Beasley per conservare il gap accumulato. Ma riuscirà Wade a mantenere la concentrazione e a non concentrarsi troppo sulle tante voci che lo vogliono già dall'anno prossimo lontano dalla corte di Spolestra?
DI
D OMENICO L ANDLFO
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S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S
30
Orlando Magic
Nba ‘Team by Team’
18-6 il record per gli uomini di Van Gundy che sembrano cominciare a fare sul serio. Nonostante la pesante assenza di Jameer Nelson, Jason Williams sta facendo un buon lavoro rifornendo le bocche da fuoco principali: Diwght Howard (18.2 punti e 12.7 rimbalzi), Vince Carter (miglior realizzatore con 20 punti di media) e Rashard Lewis (15.6 col 38% da 3).
DI
N ICOLÒ F IUMI
La squadra è completa e profonda e attraversa un ottimo momento di forma, sottolineata da 14 vittorie in 17 partite. La concorrenza degli Hawks all’interno della divison (solo mezza partita di distanza al momento) è agguerrita e questo non può permettere a Howard & Co. Distrazioni, che peraltro, finora, sono state minime. La lotta per il
primo posta ad est è aperta e i Magic ci credono, tra l’altro con un calendario che al momento è molto favorevole. 7 partite di cui 6 casalinghe, tra l’altro non impossibile, con l’incontro di Natale contro i Celtics cerchiato in rosso, ghiotta occasione per recuperare una partita su quelli che al momento sono i battistrada per il primo posto nella post season.
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31
Charlotte Bobcats
DI
DAVIDE M AMONE
Nba ‘Team by Team’
Il mese di dicembre, per gli uomini di coach Brown non è iniziato nel migliore dei modi. Reduci da 4 vittorie filate nelle ultime partite di novembre, infatti, i Bobcats sono incappati in due sconfitte consecutive, prima contro i Boston Celtics, al termine di un match senso unico, poi contro i Nets, entrando dalla parte sbagliata della storia e concedendo la prima vittoria stagionale alla squadra del New Jersey. Da lì in poi, buone prestazioni (come contro i Nuggets) alternate a rivedibili partite, per una squadra che non ha trovato la giusta quadratura del cerchio e che offensivamente non è ancora ad un livello sufficiente, nonostante l’arrivo di un attaccante come Stephen Jackson nella trade che ha portato Radmanovic nel Pacifico. Tra le note positive di questo mese, sicuramente le prestazioni di Gerald Wallace, giocatore dalla continuità letteralmente spaventosa; il prodotto di Alabama University sta viaggiando in abbondantissima doppiadoppia di media (16 punti e 12 rimbalzi) e aggiunge sempre qualcosa difensivamente, con stoppate e palle recuperate. Si tratta di un chiaro punto di riferimento su entrambi i lati del campo, in un gruppo che ancora non ha individuato comunque un vero e proprio leader e trascinatore. L’ultima partita disputata è stata una sconfitta, contro i San Antonio Spurs; un’affermazione piuttosto netta da parte dei nero argento, che hanno passeggiato sulla squadra di Brown, 104-85, evidenziando e, forse anche ingrandendo, i soliti problemi di Charlotte; poca fluidità nei giochi offensivi e troppa discontinuità in fase difensiva, aspetto sul quale comunque i Bobcats, rispetto alle primissime uscite stagionali, hanno compiuto chiari passi in avanti.
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S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S
32
Washington Wizards
DI
D OMENICO P EZZELLA
Nba ‘Team by Team’
Beh sicuramente non era questo il tipo di avvio o se vogliamo non era questa la stagione del riscatto che tutti si immaginavano, giocatori compresi, nella capitale degli States. Va bene gli infortuni, va bene lavorare in ritardo con tutta la squadra, ma sette solo vittorie e 16 sconfitte sono un tantino troppe per una formazione che alla vigilia veniva considerata come una sorta di outsider, una specie di alternativa alle ‘Big’ della Eastern Conference. Quattro sconfitte consecutive in otto giorni e due sole vittorie in sei partite del mese di dicembre. Un fatturato certamente più da formazione che arranca, da formazione che vive nei bassi fondi di questo campionato che di quelle che dovrebbero essere la guastafeste delle prime della classe. Quattro fermate che bruciano e pesano più delle altre, anche perché il roster era al completo ovvero al completo degli infortunati Jamison (20 di media in 12 partite giocate) e Foye (ma non Mike Miller che resta l’unico dei ‘big’ assenti anche in questo
periodo ndr) ed anche del nuovo arrivato Earl Boykins che dopo il tentativo europeo è tornato all’ovile dimostrando di essere fatto e tagliato, paradossalmente, più per questa Lega che per il Vecchio Continente. Se poi a tutto questo ci aggiungiamo la constatazione del fatto che delle quattro sconfitte solo una potrebbe essere considerata meno fastidiosa delle altre e cioè quella giunta contro la migliore formazione della Lega, i Celtics, mentre per il resto i capitolini sono stati affondati a ripetizione
da Toronto, Detroit ed Indiana che non sono proprio la quinta essenza della forza in questo campionato. Ma almeno una nota lieta c’è. Quale? Ovviamente Gilbert Arenas. Certo i numeri non sono stellari all’ennesima potenza, ma il suo ginocchio sembra tenere e come l’onda d’urto dell’agonismo. Era questa la principale preoccupazione dello staff tecnico e dirigenziale, anche perchè il talento, quello proprio non si perde: 20,7 punti e 6,8 assist di media al momento di scrivere.
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33
Boston Celtics
Nba ‘Team by Team’
Dopo la caduta dei Lakers contro Minnesota dell’ex Kurt Rambis e dopo, quindi, la battuta d’arresto che ha fermato la corsa dei gialloviola alla striscia di vittorie consecutive. I Celtics di Doc Rivers restano la sola ed unica squadra con ancora dieci partite vinte una dietro l’altra. Una serie impressionante, una serie mostruosa che ha riportato in un amen i biancoverdi al posto che tutti si aspettavano all’inizio di questa stagione ed in generale quello occupato nell’anno del titolo. Dieci vittorie che di speciale hanno un solo ed
DI
D OMENICO P EZZELLA
unico dato: sette di queste dieci sono arrivate lontano dal TdBankNorth Garden di Boston. Un bel ruolino di marcia, un bel bottino contando che il catino biancoverde è da sempre stato una sorta di roccaforte per i migliori Celtics. Una chiara prova di forza, una chiara dimostrazione che le parole non sono le uniche a correre veloci e mettere Boston tra le prime di questa Lega. Parlare con i fatti è tutt’altra cosa cosi come tutt’altra cosa è questa squadra da quando il grande capo ha rimesso piede in campo. Massimo rispetto per Paul Pierce che resta sempre l’anima ed il leader storico della franchigia del Massachusetts, massimo rispetto per un professionista con la ‘P’ maiuscola come Ray Allen, ma è da quando Kevin Garnett ha indossato quella canotta con il numero 5 che questa i Celtics sono stati rivoltati come un calzino. Cosi è stato nel momento in cui la dirigenza bostoniana ha messo in piedi uno degli scambi più importanti della
sua storia, cosi è stato quest’anno quando quel numero lo si è visto tornare in campo sulle spalle dell’uomo con il pizzetto e gli occhi da indemoniato. Il ginocchio non ha nessun tipo di risentimento, non ha nessun tipo di problema e lo si vede in campo. The Big Tickett è tornato a riprendersi quel posto di leader della difesa, a mo’ di giocatore Nfl, ed in generale quella emotiva e verbale della squadra. Con lui in campo tutti si elevano, tutti migliorano nella metà campo persino chi sembrava troppo ballerino lo scorso anno. Dall’altra parte poi sono 15 e 7 abbondanti di media che pur non essendo pochi non dicono abbastanza sull’incidenza effettiva di questo giocatore su tutto il team e con un KG cosi ci si può permettere anche un Rasheed Wallace stile Robert Horry (a riposo in regular season per poi aspettare i playoff) e un Glen Davis con una mano fratturata per motivi per cosi dire bizzarri.
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34
Philadelphia 76’ers
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Niente da fare. Nemmeno l’effetto placebo dell’arrivo di Allen Iverson è riuscito a produrre un’inversione di tendenza per la formazione della città dell’Amore Fraterno. Non era stata certo scritta cosi la sceneggiatura del ritorno a casa di The Answer dopo le lacrime e dopo le djichairazioni di amore eterno nei confronti di una franchigia e del pubblico. Il campo poi è tutt’altra cosa e dopo la prevedibile partita da ‘gregario’ da dietro le quinte lasciando che il tutto passasse per le mani dei nuovi o vecchi compagni, qual si voglia, l’ex Memphis ha anche provato a prendersi le prime responsabilità con la sua vecchia maglia. Le cose, però non sono certo migliorate, visto che il conto delle sconfitte è di tre da quando AI è tornato a Phila mentre la striscia generale è salita a quota 12. Senza contare che poi il fisico inizia a presentare anche qualche piccolo scricchiolio per i vari acciacchi come per esempio gli ultimi che lo hanno tenuto fuori dagli allenamenti e che lo tengono in dubbio o quanto meno all’interno della lista dei proba-
DI
D OMENICO P EZZELLA
bili di coach Jordan. Non il momento giusto per far fronte alle 18 sconfitte generali, alle sole 5 vittorie ed una squadra che dopo quasi tre mesi di stagione regolare (training camp e prestazione esclusa ndr) sembra ancora non aver assimilato le regoli base per poter giocare al meglio il credo dell’ex coach dei Washington Wizards. Manca qualcosa in attacco dove Iguodala da point forward non riesce o se vogliamo non è in grado di creare ampiamente per i compagni, manca qualcosa nel lungo in punta (nell’occasione
Dalambert ndr) che dovrebbe essere il centro nevralgico del gioco con passaggi per ribaltare o far fluire il gioco, e che in difesa non è certo la quinta essenza della formazione che lotta a rimbalzo. Se poi a tutto questo ci mettiamo un’altra stagione non certo esaltante di Elton Brand (per lui si è anche timidamente sentito di un addio in modo ancora oscuro ndr) o di un giocatore che deve ancora abituarsi all’intero sistema come Jrue Holiday. L’ancora di salvezza? Aggrapparsi all’unica cosa che sanno fare bene: correre.
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35
Toronto Raptors
Nba ‘Team by Team’
Alla fine si è arrivati alla terapia di gruppo per venire a capo dei problemi sin qui palesati dal team di Triano. Sceneggiatura simil –Hollywoodiana?..Possibile.. Se, tuttavia, consideri che nel tuo quintetto iniziale si parla spagnolo, italiano, turco, e “anche” inglese ( o americano, che dir si voglia ) allora inizi a realizzare
DI
G UGLIELMO B IFULCO
che possono veramente esserci problemi di compatibilità: non tecnica, questo è chiaro, visto e considerato l’imprinting europeo che i Raptors, da almeno un paio di stagioni, hanno somatizzato a 360 gradi; l’incompatibiltà semmai sembra essere identificabile nell’armonia di gruppo, nell’unità di intenti, nel modo di bilanciare il talento al servizio della squadra. Se a tutto questo aggiungi che hai uno spot di guardia da sistemare ancora, sei alla disperata ricerca di un play meno forsennato del’iberico Calderon e
del poco pervenuto Jarrett Jack, e il leader designato della tua franchigia scade la prossima estate e sembra non avere la benché minima intenzione di rifirmare allora il discorso è chiaro e riassumibile in 3 parole: stagione di transizione. Le ambizioni di titolo , dichiarate e sostenute anche da (alcuni) addetti ai lavori , sembrano veramente essere state brutalmente schiacciate dalla realtà dei fatti, che allo stato attuale recita: no playoff. Serve altro?? Giudizio: Anno di transizione (..Intanto godiamoci il Mago)
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36
N e w Yo r k K n i c k s
Nba ‘Team by Team’
Luci al madison square garden. La squadra di Mike D'antoni ha iniziato il suo percorso in discesa. Sospinta dai punti di Harrington, sempre in doppia cifra, e 3 volte in doppia doppia, condotti dall'abile cabina di Duhon, ma soprattutto sfrutttando l'estro del solidissimo Lee e di Danilo Gallinari, I kniks hanno raggiunto una striscia di 4 vittorie consecutive, contro due avversarie ostiche e in forma contro Portland e Atlanta, ma anche contro deu squadre derelitte come i Nets e i New Orlenas. In questa fase di stagione, la crescita di Gallinari, in doppia doppia cointro Portland, ma anche e soprattutto l'esperienza che Larry Hughes può portare a questa franchigia, ha fatto si che il record di NY potesse rapidamnete crescere e arrivare a 8 vinte e 15 perse, che la proiettano a ridosso di Toronto nella Eastern Division, e con i canadesi in crisi. Per i ragazzi della città delle luci, che attendono frettolosamnete il prossimo mercato estivo, qualcosa si muove, ed è risaputo che le squadre di D'antoni se riescono a trovare il ritmo partita possono diventare della autentiche macchine da punti, difficili da fermare anche per le grandi. Se Al
DI
D OMENICO L ANDOLFO
Harrington, come ha fatto egregiamnete contro i Nets, riesce a mettersi al servizio della squadra non solo con i suoi tanti punti, ma anche con assist (ben 5 per un lungo è gran cosa) e con lotta nel verniciato, i Knicks potranno guardare meglio al futuro ricercando quella shootng guarda o small forward di rilievo che possa far spiccare il volo ad un gruppo giovane e concreto, che può vivere di Genio e Sregolatezza, come dimostra in maniera
eloquente Nate "the great" Robinson, più protagonista per i suoi show e litigi col coach che per le giocate che regala in campo. Le belle vittorie ottenute prima contro Phoenix, di pura superiorità, e poi con Boston, dimostrano il buon collettivo. Migliorare fosre contro le piccole, e fare quelle vittorie "scontate" sarà la chiave per cercare di agguantare una minima di chance di entrare nel giro dei playoff, magari con l'ultimo posto disponibile.
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New Jersey Nets
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Beh, parlare della situazione di New Jersey è facile e complicato allo stesso tempo. Semplice, perché il record è tutto lì da vedere, e con esso le prestazioni mostrate giorno dopo giorno; difficile perché dopo aver parlato delle 21 sconfitte su 23 partite, non c’è molto altro da aggiungere. Che poi, se si vuole guardare con precisione, il mese di dicembre che prenderemo in considerazione adesso, non è stato così malvagio; il ritorno di Harris ha migliorato un po’ la situazione e la vittoria ai danni di Charlotte (97-91, il giorno 4 dicembre), partita della quale abbiamo già parlato precedentemente, ha dato un’iniezione di fiducia ad un gruppo frustrato dalle tante delusioni di novembre. Il risultato è stato l’arrivo di un’altra vittoria (103-101) quattro giorni più tardi, contro dei Chicago Bulls in crisi, forse, tanto quanto questi Nets. Le ultime due partite disputate
DI
DAVIDE M AMONE
da New Jersey, però hanno sicuramente ridestato preoccupazione nel coaching staff dei Nets, visto che sia contro Golden State, sia contro Indiana, si è trattato di partite giocate malamente, senza convinzione, senza attributi e con un atteggiamento difficile da interpretare. Per di più, contro squadre dal livello rivedibile. Il cambio d’allenatore, con il licenziamento dello “storico” Lawrence Frank,
ha dunque dato l’effetto sperato, almeno per le prime partite, visto che a parte la sconfitta contro i Lakers a fine novembre, c’è stato un miglioramento dal punto di vista psicologico del gruppo. Pare, però, che l’onda d’entusiasmo sia già finita e ciò è preoccupante soprattutto se si guarda al calendario che i Nets dovranno affrontare d’ora in avanti, fatto di match casalinghi complicati e trasferte piuttosto insidiose.
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38
Cleveland Cavaliers
DI
N ICOLÒ F IUMI
Nba ‘Team by Team’
Mike Brown sta sentendo i motori della sua Ferrari cominciare a girare a pieno regime. La partenza difficoltosa è stata messa alle spalle e così sono arrivate 15 partite sulle ultime
20, che hanno portato il record a 177. LeBron James ripresenta forte la sua candidatura per il premio di MVP della stagione. Il suo dominio sulle partite è ormai a livelli inimmaginabili, le cifre passano quasi in secondo piano (noi comunque le citiamo: 28.8 punti, 6.9 assists e 8 rimbalzi). L’importante ora è dimostrare di poter far vincere la squadra anche mettendosi al servizio dei compagni e non solo accentrando il gioco su se stesso. Intanto Mo Williams cerca di tenere alto il proprio supporto sfiorando i 17 punti ad allacciata di scarpe con Shaq che sotto canestro fa il suo sfiorando la doppia doppia di media. Anderson
Varejao è tra i primi cinque giocatori della Lega per quel che riguarda il plus/minus, contrastando così la crescita di JJ Hickson che guadagna minuti e fiducia da parte del coach e di LBJ. La vittoria della division ovviamente non è in discussione, la squadra dell’Ohio punta decisa al primo posto della Conference per arrivare al meglio ai playoff. E la seconda metà di dicembre propone una serie di esami interessanti, con 10 partite di cui 6 in trasferta anche su campi ostici, oltre al Christmas Game a L.A contro i Lakers, come Dallas, Phoenix e Atlanta. Il Re si aspetta di finire bene l’anno e cominciare ancora meglio quello nuovo.
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39
Chicago Bulls
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Nessuno lo avrebbe mai detto o pensato, considerando l’ottima stagione disputata lo scorso anno culminata con la leggendaria serie contro Boston , e la prevedibile crescita del predestinato Derrick Rose, ma la notizia è che i Chicago Bulls sono a oggi la più grande delusione del 20092010 stando ai risultati e al gioco espresso finora. Il verdetto è assolutamente inconfutabile..in primis i “ Tori” stanno avvertendo in maniera patologica la mancanza di Ben Gordon, folletto inaffidabile in difesa, ma tremendamente incisivo in attacco e letale nei quarti periodi, che se la scorsa stagione sembravano essere il contesto in cui rossi davano il loro meglio, in questa disgraziata annata sono l’emblema dell’inconsistenza e incompletezza della franchigia dell’Illinois..se a questo aggiungiamo le precarie condizioni fisiche di Hinrich e
DI
G UGLIELMO B IFULCO
Thomas, lo scarno playbook di Vinny Del Negro, l’inspiegabile regresso del baby prodigio Rose e i notori limiti offensivi di Joakim Noah, otteniamo una diagnosi completa: i Chicago Bulls erano e rimangono un progetto campato in aria. Ciò nonostante la luce in fondo al tunnel non è lontana come sembra, date le ottime prestazioni fornite da Luol Deng, la prevedibile rinascita dell’ex Memphis, lo svuotamento della injured list, e il
comunque non trascurabile beneficio di agire flessibilmente sul mercato, nell’immediato e la prossima estate; l’impressione è che Chicago abbia bisogno di un uomo d’area incisivo sia in attacco che in difesa ( Chris Bosh?) per poter ambire ai piani alti della Eastern conference; senza quello spot è verosimilmente improponibile cercare di fare meglio di un primo turno di playoff . Giudizio: Rimandati al 2011
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40
Milwaukee Bucks
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Non solo Harley Davidson ed Happy Days , a quanto pare, nel Wisconsin..La maggiore sorpresa di questo scorcio iniziale di regular season ha un nome e un cognome molto noto a noi italiani: Brandon Jennings..stagione disputata a livelli di MVP nell’ anno da rookie, 55 punti segnati in una delle prime esibizioni tra i pro, una velocità di esecuzione degna dell’Allen Iverson che fu..Basterebbe anche solo questa informazione a rallegrare gli animi dei rari e sparuti tifosi dei Bucks disseminati nel globo, abituati da tempo ad un calvario di mediocrità e di incompiutezza..ma c’è di più..molto di
DI
G UGLIELMO B IFULCO
più, non solo Jennings: partendo dal sorprendente Ersan Ilyasova, fino ad arrivare ai vari Bogut, Delfino, Ridnour e Mbah a Moutè , discontinui si, ma nel loro piccolo assolutamente al di sopra dei propri standard.. I Bucks a tratti sono un tem veramente bello da vedere , organizzato in maniera armonica ed equilibrata dal sempre criticato , ma indiscutibile per coaching skills, Scott Skiles.
La squadra è ancora molto giovane , incompleta sia in difesa che in attacco, dove manca un vero riferimento in post basso in fase offensiva, eppure agli occhi di tutti il bianco coach ex Bulls ha tirato fuori da una contesto letteralmente spacciato sulla carta , attributi fino a poco tempo fa assolutamente ignoti anche ai suoi interpreti stessi. Chapeau.. Giudizio: Comunque andrà , sarà un successo..
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41
Indiana Pacers
Nba ‘Team by Team’
Sul fondo della Central Division, la città patria dell'automobilismo, vive un periodo di transizione, e il suo record 7-13 è forse fin troppo generoso con una squadra che punge poco, e che fatto salvo per il suo Danny Granger non ha granchè nell'armadio. La vittoria contro New Jersey, con l'ottimo Hansbrough a quota 21 punti è l'unica nota lieta delle ultime settimane, dove i Pacers tra l'altro sono stati poco impegnati, e hanno perso sia a Portland, schiacciati da Roy, sia con i Clippers. Per i Pacers la strada è in salita, il buon Irish da Notre Dame Troy Murphy è tra i più positivi del suo team, e si mantiene costantemente in doppia doppia. Spesso sono le sue basse per-
DI
D OMENICO L ANDOLFO
centuali estemporanee nelle fasi salienti della partita a far crollare i suoi. Tj Ford in questa squadra fa pentole e coperchi, e guida i suoi per assist realizzati, ma per l'ex Toronto , il compito è difficile e i compagni da servire non sempre ricambiano con punti e spettacolo. Oltre al già citato Granger sontuoso e forse forzato in una squadra di così basso lignaggio, si segnal anche Dunleavy che prova a metterci la sua intensità difensiva e a far sentire la sua pre-
senza in spogliatoio. In crescita sicura Danthay Jones, che prova a mettersi in luce in questa squadra, dove finalmente trova qualche minuto in più. Molto negativa invece la presenza dell'ex Rockets Head, che non riesce a risplendere in un gioco opaco e poco spumeggiante come si converrebbe ad un velocista come lui. Sono tempi opachi, si attende la crescita di Hibbert e di Hansbrough, ma per ora la luce in fondo al tunnel è ancora lontana.
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42
Detroit Pistons
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Una squadra in transizione che sta stupendo tutti. L'esplosività e la classe di Jonas Jerebko, il talento cristallino di Rodney Stuckey, la cabina di regia griffata will Bynum, unito alla vecchia guardia di Hamilton, nonchè al nuovo arrivo Ben Gordon, hanno dato a questa franchigia un assetto vincente capace di battere anche una superpotenza come i Nuggets, nella storica partita in cui il figliol prodigo Chauncey Billups è ritornato a calcare il parquet dove aveva incantato e dove si era fatto conoscere . Le altre vittorie con Philadelphia, Washington e Milwaukee collocano i pistons in una posizione di rilievo, con un record di 11-12, ma con una striscia vincente di 5 gare consecutive sensazionale. Ovvio che Rodney Stuckey e le sue alte medie realizzative hanno contribuito un'inversione di tendenza nel gioco dei ragazzi in rossoblù. Probabilmente data la qual certa sterilità del rientrato Ben Wallace, manca qualcosa sotto canestro, dove ci sono ottime ale forti, come Villanueva, Jerebko, e Maxiell,
DI
D OMENICO L ANDOLFO
ma manca quel centro puro di sostanza che possa garantire una saracinesca effettiva al secondario. Sorprende l'ex virtus Will Bynum che in 28 minuti produce 11 e 4 assist, mentre al di sotto delle sue medie in carriera l'ex Bull Gordon, che non dà quell'apporto sperato alla squadra che questa estate ha fatto carte false per averlo. Buco nell'acqua del secolo, continua a deludere Kwame Brown che neanche a Est riesce a far apprezzare le sue doti, e ormai è finito nel dimenticatoio di
una squadra giovane a cui manca giusto un rinforzo di qualità per ergersi alla grande. In attesa dell'esplosività di Hamilton e del prossimo mercato, dove arriverà una stella di livello, i Detroit quest'anno proveranno a giocarsi le loro carte per acciuffare magari l'ottavo posto e guadagnarsi la grigia playoff, anche se al momento la situazione è stazionaria. Una squadra che detta all'europea, è da metà classifica, molto solida in casa, ma capace di farsi rispettare anche fuori.
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43
Dallas Mavericks
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È possibile che possa continuare a regnare il pessimismo attorno ad una squadra che può annoverare uno dei primi 10 giocatori NBA in
DI
G UGLIELMO B IFULCO
assoluto attualmente, il miglior sesto uomo della scorsa stagione, il secondo miglior assistman di sempre, che milita al comando della propria division davanti a una corazzata, seppur in crisi, quale gli Spurs ? La risposta è semplice: si. La franchigia di Cuban, infatti, pur mostrando picchi di gioco e serate di grazia , che l’hanno portata a sconfiggere squadre calde come i Phoenix Suns di questo scorcio iniziale, spesso e volentieri mostra impressionanti cali di concentrazione che la rendono vulnerabile contro qualunque tipo di avversario. Nonostante queste premesse realistiche , gli “ anti-conformisti” stanno comunque disputando una stagione tutto sommato positiva,
visto e considerato l’apporto ancora insoddisfacente dei nuovi arrivati Shawn Marion ( deludentissimo a tratti ) e Drew Gooden, che non sembrano per nulla inseriti nel contesto di Carlisle. Assolutamente nulla da obiettare sul rendimento dell’ ex MVP Dirk Nowitzki, autore di una stagione finora superba, in lizza per il titolo di MVP per la seconda volta se il record dei suoi Mavs lo consentirà. L’impressione è che il management dovrebbe inventarsi qualche buon movimento di mercato entro la deadline se le ambizioni di titolo vogliono essere mantenute, considerando lo strapotere Lakers, l’ascesa continua dei Denver Nuggets e l’ eventuale rinascita degli Spurs. Giudizio: Waiting for Shawn…
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Houston Rockets
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I Rockets (13-10) di coach Rick Adelman (se porta il team ai playoff in queste condizioni è un candidato assoluto al titolo di coach of the year) proseguono nel momento positivo, offuscato solo dal brusco stop per 101-88 rimediato a
DI
S TEFANO C OLAVECCHIA
Toronto. Nel corso della partita giocata in Ontario Trevor Ariza, sin qui uno dei migliori per Houston (fin qui 17 punti, 5.3 rebs e 3.4 assist di media) si è fatto espellere per una gomitata rifilata a Demar DeRozan dopo aver subito una steal dal rookie canadese ed attende una decisione della Lega per una possibile sospensione. Tiene sempre bene le redini della squadra Aaron Brooks, che viaggia a 17.2 punti e 5.3 assist, ben
assistito da Luis Scola che, complice l'assenza di Yao, si sta ritagliando un ruolo sempre più importante in squadra. Houston resta aggrappata alla settima posizione di Conference con un record in trasferta (8-6) migliore di quello casalingo (5-4). I prossimi impegni sono in casa con i Pistons, poi doppia esterna a Denver e Dallas, doppia interna con Oklahoma e Clippers poi viaggio in Florida per sfidare i Magic.
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45
San Antonio Spurs
Nba ‘Team by Team’
Eppure dovevano essere gli anti-Lakers..e invece? A guardare l’attuale record di San Antonio, un filino sopra il 50%, si direbbe che i tanto paventati acquisti fatti l’ultima estate, le scelte al draft e la decisione di puntare nuovamente sulla vecchia guardia invece che ripartire da zero possano essere state sbagliate. Ma che si tenga a mente una cosa: mai dare per morti i San Antonio Spurs, una squadra in grado di risorgere dalle proprie ceneri come nessuna, manco parlassimo dell’Araba Fenice , in grado di ritrovare motivazioni e stimoli, che alcuni credono ,sbagliando , irrimediabilmente persi. La realtà, come
DI
G UGLIELMO B IFULCO
consueto sta nel mezzo. L’ età oramai avanzata di Duncan, Ginobili, McDyess, Finley, l’ estrema profondità di un roster a dir poco completo e di talento notevole, stanno spingendo Gregg Popovich a sperimentare nuovi quintetti e nuove alternative tattiche, concedendo al contempo un minore minutaggio ai leader storici in modo da mantenerli al top per la postseason. Il risultato di tale gestione è riassunto,
appunto, nel record attuale , ma obiettivamente è lecito continuare a pensare agli “Speroni” come la più accreditabile alternativa ai Lakers. Da segnalare l’immenso contributo del rookie Dejuan Blair, autentico predatore di area pitturata e steal of the draft, l’inappuntabile longevità del caraibico , e il melodrammatico ( ma non definitivo?) declino di Manu. Giudizio: Work in progress…
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New Orleans Hornets
DI
S TEFANO C OLAVECCHIA
Nba ‘Team by Team’
Dopo tre successi consecutivi coincisi con il ritorno in campo in una condizione accettabile di Chris Paul (21.2 punti, 10.4 assist e 2.1 steal ad incontro per la Pg) gli
Hornets (10-12) sono crollati improvvisamente in casa per 113-96 contro i New York Knicks scivolando in decima posizione nella Western Conference. Chris Paul dopo lo stop per l'infortunio alla caviglia non è ancora al 100% , motivo per cui l'head coach e gm Jeff Bower ne sta limitando fortemente l'impiego in allenamento per preservarlo in vista delle prossime partite. Gli Hornets hanno anche annunciato l'operazione al ginocchio cui è stata sottoposta l'ala Ike Diogu,
per lui stagione già finita. Sotto canestro sta iniziando ad ingranare Emeka Okafor dopo un avvio difficile: per il lungo ex Bobcats fin qui 11 punti, 9.8 rimbalzi e 2 stoppate a partita. Prossimi match in esterna sul parquet dei Mavericks finora in gran forma, poi interna con Detroit e Nuggets, trasferta in Canada per sfidare i Raptors, poi Golden State in casa. New Orleans fin qui è stata oltremodo sotto le attese lontano dal parquet amico, collezionando un record di 2-9 in trasferta.
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47
Memphis Griz zlies
Nba ‘Team by Team’
Alzi la mano chi se lo sarebbe aspettato. Alzi la mano chi avrebbe pensato ad una versione dei Memphis Grizzlies, senza Iverson e sostanzialmente con Zach Randolph in più rispetto alla stagione precedente, con un record di poco sotto al 50%. Sia chiaro si parla pur sempre di un record negativo fatto di 10 vittorie e 13 sconfitte, ma almeno qualche segno di vita, qualche segno di timida programmazione verso il futuro sembra esserci. Ecco poi bisognerebbe pesare bene le parole, visto che il giocatore più in voga, quello che ha guidato la formazione del Tennessee alla conquista delle quattro vittorie nelle 5 partite di dicembre sarà free agent lo scorso anno. Tutto normale se non fosse per il semplice fatto che fino a qualche mese fa la dirigenza di Memphis aveva la possibilità e l’occasione di dare una rinfrescatina al contratto di Rudy Gay ed evitare di perderlo a fine stagione. Molto probabile che alla fine siano state molto alte le richieste e le aspettative del talento fuoriuscito dall’università del Connecticut che però sta parlando a suon di numeri, a suon di cifre e di canestri. Sono 21,3 i punti segnati ad allacciata di scarpa, 6 abbondanti i palloni raccattati sotto le plance e se proprio vogliamo abbondare ci sono anche due assist belli tondi tondi. Numeri e cifre che sul mercato dei ‘mostri sacri’ della Lega, quello prossimo dei free agent, darà la possibilità a chi non è accecato dalla luce abbagliante di Lebron, Wade e compagnia cantante. Ed
DI
D OMENICO P EZZELLA
allora ecco la vetrina giusta, ecco lo show personale di Gay che ha avuto anche il tempo di quarantelleggiare nella vittoria dei suoi Grizzlies contro i Miami Heat: 41 punti 8/12 da tre e 4 rimbalzi. Alle sue spalle uno si immaginerebbe il deserto del Sahara ed invece è qui che arriva la novità. Ben altri tre giocatori in doppia cifra con Zach Randolph che addirittura sembra essere tornato ad essere un giocatore quasi da All Star Game. Per il girovago della Nba ci sono 18,7 punti, 10 rimbalzi (sembra strano dirlo ma è uno degli iscritti alla doppia-doppia di media, cosa però da dire un tantino a bassa voce per non essere scambiati per folli
ndr) smanazzando qua e la anche qualche cioccolatino per i compagni di squadra. Se Randolph sorprende per il suo passato cestistico, Marc Gasol sorprende per la sua abilità a fare passi in avanti da quando ha messo piede all’interno della Lega. Arrivato sostanzialmente come il fratello di Pau dei Lakers, il catalano sta mettendo solidità e anche qualità nella front line di Memphis con 14,4 punti e 9,8 punti. Chi non sorprende, ma entra nella norma è OJ Mayo che è stabile in doppia cifra a quota 17,7 a sera ai quali aggiunge 3,7 rimbalzi e 2,8 assist. Ora però la domanda nasce spontanea: quanto durerà?
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Denver Nuggets
Nba ‘Team by Team’
Eppure l’impressione è che manchi qualcosa. Eppure l’impressione è che questi Nuggets manchino di quello che da sempre è stata la pedina più ricercata all’interno di un mosaico di una formazione appartenente alla Western Conference: un lungo. A questo punto è lecito spiegare il perché. Nenè Hilario, Kenyon Martin e Chris Andersen. Un elenco che già da solo potrebbe spiegare il perché delle frasi iniziali ed il perchè alla formazione di coach George Karl sembri mancare il classico centesimo per fare un euro. Una front line troppo piccola, una front line limitata in numeri e che effettivamente offre
DI
D OMENICO P EZZELLA
poche anzi pochissime alternative all’ex direttore d’orchestra dei Seattle Supersonics. Dall’altra parte della barricata c’è anche chi potrebbe obiettare che nonostante tutto e cioè tre soli lunghi di ruolo, due per un periodo di tempo contando il periodo di assenza di Martin per infortunio, il record del team del Colorado dice 17 vinte e sette perse e secondo record ad Ovest. Nulla da obiettare. Cosi come nulla da obiettare che con questa conformazione i Nuggets lo scorso anno arrivarono ad un passo dalla Finale Nba, ecco però ad un passo…Questo è sembrato essere il limite della scorsa stagione questo sembra essere il limite occultato di questa stagione. Occultato dalle prestazioni cinque stelle lusso di Carmelo Anthony che a partire dall’alba del suo primo giorno di scuola della sua sesta stagione Nba ha deciso di alzare il volume della radio in modo tale che tutti potessero sentire e vedere il suo nome e numero di canotta. L’ex Syracuse
è il motivo principale e forse anche esclusivo del perché in Colorado tutti pensano, ma nessuno dice che manca qualcosa. Sarebbe una maleducato, sconveniente, ma forse anche inadatto visto il record, ma soprattutto potrebbe rompere quell’equilibrio mentale di un giocatore che viaggia a 30.3 punti, 6 rimbalzi e 3.1 assist ad allacciata di scarpa. Un lungo strada facendo, specie dopo l’All Star Game, lo si può sempre trovare, la fiducia e la cattiveria mentale (se turbata ndr) no, ed allora tutti sulla barca a remare dalla stessa parte, i conti poi si faranno alla fine. Dulcis in fundo la stagione di Ty Lawson, un rookie che zitto zitto, calmo calmo si sta tagliando un ruolo importante nelle rotazioni di Karl in un ruolo non certo facile come backup di Billups. Al momento di scrivere sono 8.2 punti e 3.3 assist. Tra gli up anche Arron Afflalo catapultato da un giorno all’altro anche in quintetto base dal quale produce numeri simili a quelli dell’ex North Carolina (8.2 punti e 1.6 assist).
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Phoenix Suns
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Leggero momento di flessione per Nash e compagni, che dopo un novembre da 12 vittorie e 3 sole sconfitte, hanno perso 5 delle prime 7 partite di dicembre. Sconfitte per la verità più che giustificabili e arrivate tutte in trasferta sui campi di squadre di valore come Cleveland, Lakers, Dallas e Denver, dove però si è fatta rimontare dal +17. Grida invece vendetta la sconfitta di New York contro dei Knicks non certo irresistibili, ma che da quella partita in poi hanno iniziato una striscia vincente. Vittorie casalinghe, inve-
DI
N ICOLÒ F IUMI
ce, contro Sacramento e, soprattutto, contro i Magic. I Suns sono al momento la miglior squadra della Lega tra le mura amiche, dove sono 8-0, mentre faticano di più in trasferta dove sono 88, compilando così un record di 16-8, che al momento li mantiene al secondo posto della Southeast Division a 3 partite dagli inarrivabili Lakers. Nash continua ad essere il leader della squadra (18 punti e 11 assists di media) e il suo
nome è tornato ad essere tra i candidati per il titolo di MVP. E’ un po’ calato il rendimento di Channing Frye, mentre Barbosa, ora che è definitivamente tornato in squadra dopo l’infortunio, sta ricominciando a fare il suo e sfiora i 12 punti a partita. Buono il calendario da qui alla fine del 2009 con 9 partite di cui 7 in casa, nelle quali però arriveranno a far visita anche Cleveland, Lakers e Boston.
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Oklahoma Cit y Thunder
DI
D OMENICO L ANDOLFO
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E chi se lo aspettava. Cenerentola è arrivata al Ballo e ci sta rimanendo ben oltre la mezzanotte. Con un record da 12-10, aiutato anche da un calendario non impossibile, i Thunder sono la vera sorpresa ad ovest. Il trio Durant-WestbrookGreen, che di media in tre ne mettono a referto quasi 60 a serata, sta crescendo visibilmente e porta a casa vittorie e qualche sorriso in più. Uomo però determinante nelle chiavi di lettura di questa squadra ha un nome e cognome ben individuato e noto anche ai conoscitori della pallacanestro italiana: Thabo Sefolosha, giocatore duttile e atletico come pochi, che sa rendersi utile in qualsiasi zona del campo. Una squadra piena di scommesse e che nel suo roster annovera anche un certo Shaun Livingston, che dopo il brutto infortunio, sta riprendendosi, e dal minutaggio bassi attuale crescendo di condizione potrebbe tornare a far riaccendere la sua fiamma di talento purissimo. In più la sapienza cestìstico di Nenad Krstic e la crescita di James Harden possono dare a questa squadra imprevedibilità, e spingerla a lottare per insediarsi in una posizione più nobile della classifica, a dispetto di giocatori che con i grandi
nomi hanno poco a che vedere. Le belle vittorie con Memphis e Golden State, ma anche la stessa sconfitta contro i Cleveland di Lebron che ne piazza 44, dimostra che qualcosa si muove, e che una squadra che l'anno passato era l'autentico materasso, contro cui ognuno vinceva, può riscattarsi anche senza un autentico fuoriclasse. Certo incentivo è comunque il grande apporto di Durant che risulta determinante nel saldo tra vinte e perse. per l'mvp dello scorso all
star game delle matricole, l'anno numero potrebbe regalargli un posto al galà delle stelle veterane, quest'anno arrivandoci con la consapevolezza di essere una superstar a tutti gli affetti, e con una squadra rispettabile che lotta intorno alla decima posizione ad ovest e che se riuscisse a fare qualche colpo importante potrebbe mettere il naso nella terra proibita chiamata playoff, che non si vede (comprendendo anche gli anni della franchigia a Seattle) da ormai troppo tempo.
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U Utta ah h JJa az zz z
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Segnali di ripresa nella terra dei Mormoni, con la squadra di Jerry Sloan vincente in 7 delle ultime 10 partite comprese le vittorie consecutive su Magic e Lakers, ossia le ultime due finaliste. Il record ora è 14-10 (3 partite e mezzo dietro ai Nuggets nella division), anche se hanno giocato parecchio in casa (15 partite). Deron Williams è il solito orologio svizzero che snocciola cifre da capogiro in ter-
mini di punti e assists, mentre Boozer pare aver fatto pace con l’ambiente ed è tornato a giocare il suo basket abituale. Wes Matthews gioca più di 26 minuti a partita, guadagnati col sudore e la voglia di giocarsi al meglio la propria chance, mentre Kirilenko rimane un po’ in un limbo e Paul Millsap è bloccato dal recupero di Boozer. Il calendario ora, però, potrebbe rimettere tutto in discussione. 8 partite al 31 dicembre,
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N ICOLÒ F IUMI
di cui 7 in trasferta. Giro sulla costa est contro Nets, Hawks, Bobcats, Magic e Heat, breve ritorno a casa per il giorno di Santo Stefano contro Philadelphia e chiusura con back to back a Minnesota e Oklahoma City. Troppe sconfitte potrebbero già compromettere la stagione, contando, oltre ai Nuggets in fuga e alla concorrenza dei Blazers, anche la voglia di sorprendere dei Thunder.
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Minnesota T’Wolves
DI
S TEFANO C OLAVECCHIA
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La stagione dei Minnesota Timberwolves (3-21) prosegue allo stesso modo in cui era iniziata: tutta in salita. Cinque sconfitte nelle ultime sei gare, l'unica vittoria contro i Jazz il 5 dicembre per 108-101. L'ultima sconfitta a Sacramento per 120-100 ha fatto precipitare il team al ventisettesimo posto per punti segnati
con 92.5 punti di media, mentre la difesa piuttosto allegra del team ne concede 103.9 a partita. E le brutte notizie non sono terminate: si è infatti infortunato Ryan Gomes, che ha subito durante il match una distorsione alla caviglia destra ed è probabile salti almeno la prossima sfida contro i Jazz. Al Jefferson si sta confermando leader della squadra con 16.5 punti e 9 rimbalzi a partita, cresce bene anche
Kevin Love, che forte del 64% al tiro da tre punti (oltre che del buon lavoro da sesto uomo e della media di 11.7 rimbalzi a partita) ha polemizzato con l'ex coach Wittman che l'anno scorso gli chiedeva di evitare conclusioni dalla distanza. Sono 6 gli incontri in programma sino a Natale: trasferta a Utah, in casa con Clippers e Kings, trasferta a Boston, Atlanta in casa e poi visita a domicilio ai Nets.
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Los Angeles Lakers
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I Campioni del Mondo in carica hanno vissuto un inizio di dicembre pressoché perfetto. Nei primi giorni del mese, il record parla di 5 vittorie (su Hornets, Heat, Suns, Jazz e Wolves) , a fronte di nessuna sconfitta. I Lakers avevano iniziato in maniera piuttosto stentata la stagione, con parecchi alti e bassi. Anche a causa dell’assenza di Pau Gasol per infortunio, che chiaramente ha portato Jackson ad attuare rotazioni diverse, i gialloviola hanno dovuto affrontare alcune difficoltà. Difficoltà, però, che pare siano state sciolte dal ritorno del Catalano. Ad ora, i gialloviola vantano di una clamorosa striscia di 11W consecutive, striscia iniziata il 16 novembre contro Detroit e proseguita con relativa tranquillità. L’unico match, nel quale i Lakers hanno davvero rischiato di tornare a casa sconfitti, è stato quella del 4 dicembre, contro gli Heat; sotto di 2 punti a 3 secondi dalla fine, ci ha pensato, però, il giocatore attualmente più dominante del globo, Kobe Bryant a deciderla, con una straordinaria tripla allo scadere.
DI
DAVIDE M AMONE
Oltre a questo episodio, si tratta di un cammino senza intoppi, quello dei Campioni del Mondo, sicuramente avvantaggiati dal fatto che sono state numerosissime le partite giocate tra le mura amiche dello Staples Center (ben 17 delle prime 21). L’ultima vittoria ottenuta è stata contro i Minnesota T’Wolves di coach Kurt Rambis, con quest’ultimo protagonista, tra l’altro, della cerimonia d’apertura. L’ex Laker, infatti, è stato premiato con la consegna dell’anello 2008/09, essendo stato defensive coach
gialloviola durante la scorsa stagione. Contro Minnesota, per i padroni di casa, è stata una delle numerose passeggiate; W 104-92, con partita sempre tenuta in controllo, senza particolari patemi. Da evidenziare la prova, l’ennesima soddisfacente di Ron Artest, punto di domanda ad inizio stagione; sin qui, si è comportato molto bene e ha fatto registrare notevoli passi avanti nella comprensione della Triple Post Offense. Si è trattata della 18esima vittoria stagionale per gli uomini di Phil Jackson.
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Los Angeles Clippers
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DAVIDE M AMONE
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Discontinuità. E’ questa la parola d’ordine quando si deve parlare dei Los Angeles Clippers versione 2009/2010. Dunleavy sta portando avanti un gruppo sostanzialmente buono, con grandioso potenziale dal punto di vista offensivo, ma pieno di giocatori dal talento elevato sì, ma dalla continuità di prestazioni scadente. L’attuale Baron Davis, ad esempio, è lontano parente di quello visto e ammirato in quel di San Francisco, quando giocava per i Warriors; il Barone, infatti, sta giocando sicuramente meglio dello scorso anno, ma non ancora ai livelli eccelsi che si attendono da un cestista dalle sue qualità. La prima parte del mese di dicembre non è stata molto piena e ha permesso ai Clippers di lavorare tanto e con relativa continuità in palestra; per la seconda squadra di Los Angeles, appena 3 match disputati, 2 sconfitte e una vittoria, che rappresentano l’emblema della discontinuità di cui si parlava sopra. Tra le note positive delle ultime 2 settimane, oltre alla convincente vittoria ai danni degli Indiana Pacers allo Staples Center (88-72 Clips, match giocato il 5 dicembre), il ritorno di Eric Gordon, che aveva dovu-
to saltare una partita a causa di un fastidioso problema muscolare all’inguine. Il prodotto di Indiana University ha ripreso a giocare proprio nel match vinto contro Indiana; si tratta di un giocatore che dà tutt’altra dimensione al back-court titolare di questi Clippers, in termini di atletismo, attività difensiva e offensiva. Il suo ritorno è stato zoppicante nel primo match giocato (brutte percentuali dal campo), ma è andato immediatamente in crescendo nella sconfitta contro Orlando, dove è tor-
nato a sfornare buone prestazioni. Il record attuale dei Losangelini parla di 9 vittorie e 11 sconfitte, ma la prima parte di calendario è stata relativamente facile e poco stancante. La seconda parte di dicembre e la prima di gennaio rappresenta un importante crocevia per la stagione di una squadra che dovrà giocare ben 18 partite in un mese da qui in avanti, striscia di match all’interno del quale, tra l’altro, vi è un tour di trasferte parecchio delicato.
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Sacramento Kings
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Leggero calo di rendimento per i Sacramento Kings (10-12) che vengono sconfitti in quattro partite consecutive (3 giocate in trasferta, record in esterna di 1 sola vittoria a fronte di 9 battute d'arresto) prima di tornare al successo contro Minnesota. Dopo un brillantissimo avvio che aveva fatto lustrare gli occhi a molti osservatori per la qualità della pallacanestro giocata dal
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S TEFANO C OLAVECCHIA
team di coach Paul Westphal e per l'esplosione del talento cristallino di Tyreke Evans (già rookie del mese di Conference e che va a 20 punti, 5 rebs e 5.1 assist a partita) la franchigia texana sembra essere tornata con i piedi per terra. La lunga assenza preventivata in 8 settimane per Kevin Martin dopo l'intervento chirurgico subito a metà novembre al polso infortunato potrebbe essere
leggermente più lunga del previsto: almeno altre 3 settimane prima di rivederlo in allenamento. Quattro delle prossime cinque partite previste saranno giocate dai Kings tra le mura amiche: nell'ordine Portland con la sola interruzione dalla trasferta a Washington - poi Timberwolves, Milwaukee e Chicago Bulls: una buona occasione per riportare il record almeno in parità.
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Golden State Warriors
DI
DAVIDE M AMONE
Nba ‘Team by Team’
Una sola vittoria contro la derelitta New Jersey e 5 sconfitte. E’ questo il bilancio dei Warriors nella prima parte del mese di dicembre, all’interno di una stagione, l’ennesima, che sembra essere di transizione. Sì, perché già dall’inizio si era capito che anche questa sarebbe stata una lunga annata, in quel di San Francisco; i Warriors attuali, nonostante l’ottima presa al Draft di Stephen Curry, sono una squadra senza anima, senza compattezza, priva di ogni tipo di organizzazione: il caos organizzato di Nelson continua a non funzionare e le rotazioni attuate dal coach mettono in confusione giocatori e pubblico e non fanno altro che creare altri effetti negativi. Emblematica è stata la partita contro Houston del 3 di dicembre; punto a punto, combattuta fino all’ultimo, nella quale Golden State ha buttato via più volte il vantaggio creato per banali errori difensivi. Alla fine è arrivata una sconfitta, 111-109, in quell’occasione. Nelle altre partite, invece, gli avversari di turno dei Warriors si sono sempre imposti piuttosto nettamente (dal -27 in
quel di Denver, sino alla orrenda partita disputata contro i Thunder –L 104-88- ). Come detto in precedenza, l’unica soddisfazione in questo mese di dicembre, è arrivata, sin qui, contro i Nets; la squadra di New Jersey ha opposto poca e fragile resistenza e, una volta tanto, il continuo gioco in transizione di questi Warriors ha sortito gli effetti sperati. A quasi un mese di distanza dalla trade che ha portato Stephen Jackson in quel di
Charlotte e Vladimir Radmanovic nella Baia di San Francisco, il popolo dei Warriors non può ritenersi totalmente soddisfatto, visto il rendimento che la squadra sta tenendo. Ad onor di cronaca, va anche detto che comunque la squadra di Nelson è stata falcidiata dagli infortuni; in primis, ricordiamo Ronny Turiaf e Andries Biedrins, due giocatori che rappresentano l’asse portante del reparto lunghi della squadra e che pare dovrebbero tornare a breve.
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S TAR S ‘N’ STR I PES
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Y Yo ou u c ca an n’’tt c c m me e
LA RUBRICA
A LESSANDRO
DI
DELLI
La nuova rubrica di Stars N Stripes su tutto quello che ruota attorno al mondo e alla pallacanestro a stelle e strisce
PAOLI
MATT… DA LEGARE Matt Barnes non ci sta! Il giocatore degli Orlando Magic è talmente legato alla sua squadra che la sconfitta contro i Miami Heat lo ha mandato su tutte le furie. Alla sirena finale non ci ha visto più e, quando il colore della sua pelle stava tendendo al verde Hulk, ha preso il pallone e lo ha scagliato verso la tribuna. Peccato che si fosse dimenticato, sull’azione decisiva del match, Mike Beasley, ala degli Heat che, libero libero come canterebbe Vasco Rossi, ha giustiziato i Magic nella gara in questione. Barnes su tutte le furie e pallone che vaga per l’aere del palace Subito pronta la risposta della Lega che lo ha multato di ben 20 mila dollari. ‘Hulk’ Barnes ha così commentato: “Forse sono stato troppo irruento, è giusto che io sia punito ma 20 mila dollari mi sembrano davvero trop-
RON RON SHOW
C’è un uomo solo al commando e la sua maglia non è biancoazzurra, come quella di Fausto Coppi, ma è gialloviola ed il suo nome è Ron Artest. Il folle Ron è il protagonista assoluto delle ultime settimane della NBA. No, nessun trentello o cose simili, ma solo un lungo show tra televisione e giornali. L’ex Rockets è stato gradito(?)
pi”. Come dargli torto, no? A commentare l’episodio, coach Stan Van Gundy, che una certa familiarità con le multe ce l’ha (35 mila ‘dead presidents’ per aver fatto dichiarazioni poco gradite riguardo la querelle arbitrale di inizio anno). Il coach ha chiosato: “Ah davvero!? Non mi sono neanche reso conto che lo avesse fatto. Comunque posso comprenderlo, ha perso Beasley sul canestro decisivo, era logica la sua frustrazione, ma la multa mi sembra davvero eccessiva”. Poi, illuminato da un’ispirazione comico-sarcastica e vestito i panni del broker, ha aggiunto: Magari la prossima volta lancerà dei soldi i tribuna”. Allora Matt, meglio seguire i suggerimenti tecnico-difensivi, magari quelli sulle azioni decisive, o quelli finanziari, gentilmente offerti dal tuo coach?
ospite di un talk show americano condotto da Jimmy Kimmel e, presentandosi in studio, ha ‘simulato’ di essere impreparato all’ingresso sotto i riflettori facendosi mostrare in mutande e con i calzoni ancora in mano. Gag riuscitissima e ilarità del pubblico in studio; non è dato di sapere, invece, se l’audience casalinga abbia gradito Artest in versione ‘full monty’. Quel che conta per Bryant e soci, è che Artest, con le sue uscite sopra le righe, non lasci in mutande i Lakers.
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L’ARCA DI NOAH Nessun diluvio universale e nessuna specie animale da salvare. Da preservare c’è l’istinto e l’anima di un giocatore che si sta, insospettabilmente, spostando verso il concetto di ‘bad boy’. Proprio così, perché Joakim Noah, al di là di similitudini tecniche con Dennis Rodman (vedi numero scorso di SnS). Sta iniziando ad adottare comportamenti tipici del ‘Verme’ o, comunque, di un giocatore al di sopra delle righe e non propriamente ‘politically correct’. Noah ha avuto il ‘coraggio’ di rispondere a muso duro niente di meno che a King James. Nella gara contro Chiacago, all’ennesimo canestro vincente dei Cavs, festeggiato ormai nel classico balletto messo in scena da LeBron, il figlio del celebre tennista francese è andato su tutte le furie. Ha atte-
MOONWALCAVS Che ci sarebbe stato da divertirsi in quel dell’Ohio era ampiamente immaginabile; una tale concentrazioni di menti ironiche e geniali come quella di Shaq e di LeBron, trascinanti per tutto il gruppo, stanno producendo uno spettacolo memorabile. Altro che ‘Mistake by the lake’, a Cleveland è uno spettacolo continuo. L’ultima performance targata ‘Diesel’, ‘Choosen One’ e compagni arriva dalla rete ed è uno spot pubblicitario in cui l’intero roster dei Cavs, vestito e truccato con par-
SE SON ROSE FIORIRANNO Specchio specchio delle mie brame chi è l’atleta maschile più bello di Chiacago? Francamente non è che sia di primaria importanza per noi sapere chi primeggia in questa particolare classifica ma anche questa è NBA. La ‘notevole’ Alessandra Ambrosio,
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so che James andasse dalla lunetta e, a portata di ‘trash talking’ gli ha espresso tutto il suo disprezzo per il gesto a suo dire ‘offensivo’ nei confronti dei Bulls: “Stai perdendo la testa, a nessuno gliene frega niente dei tuoi balletti”. Pronta la risposta del ‘23’: “A volte dovresti volare basso con le parole che dici”. Nessuna multa per i due, almeno per questo episodio. E si perché il sempre più rodmaniano Noah, in una gara successiva, contro i Raptors, nel terzo quarto ha scagliato la palla a spicchi verso al tribuna e ha fatto bingo! Colpito e affondato un fotografo. 15 mila dollari di multa. Insomma, nella Windy City è pronto il remake della frase cinematografica “Houston abbiamo un problema” che verrà rielaborata in “Chiacago, abbiamo l’erede”. A quando la chioma fluente in technicolor?
rucconi in tema, ballano e cantano le canzoni di Michael Jackson. L’iniziativa è diretta a pubblicizzare la vendita di un cofanetto di CD dell’artista pop. Quali migliori interpreti di Jamario Moon (tra i più ispirati), Shaq, quanto mai adatto nel ruolo, e di James? La sorpresa finale è che, in uno dei cd acquistabili, è possibile ascoltare la suadente voce del ‘prescelto’ esibirsi in ‘Thriller’. E pensare che LeBron, proprio quest’anno che è arrivato O’Neal a fargli compagnia, potrebbe finalmente autodedicarsi la canzone ‘You are not alone’
‘angelo’ (mai parola fu più adatta) della Victoria’s Secret, consegnerà a Derrick Rose, play dei Bulls, l’ambito (?) premio denominato “Chicago’s Sexiest Athlete”. Derrick ha battuto Patrick Sharp giocatore dei Blackhawks in NHL e Brian Urlacher della NFL. Complimenti a Rose ma, sinceramente, preferiamo le doti celestiali dell’ ’angelo’.
S TAR S ‘N’ STR I PES
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Il ritorno di Marion Jones
Ricordate Marion Jones? E’ stata la regina dei Giochi Olimpici di Sydney 2000. Marion incantò il mondo dell’atletica leggera e non solo vincendo 5 medaglie, tre ori nei 100 e 200 metri, specialità in cui eccelleva, e 4x400, più due bronzi in altrettante staffette di velocità. Era sotto i riflettori del mondo ed era tra le stelle più brillanti di quella nazionale statunitense. Di lì a poco il crollo. Coinvolta nello scandalo Balco, prima nega, poi ammette di aver utilizzato sostanze vietate per incrementare le proprie prestazioni fisiche. Dal punto più alto del cielo, giù nella polvere. Tutti i risultati conseguiti cancellati dalla IAAF, restituzione delle medaglie olimpiche conquistate illecitamente ed il ritiro dall’attività agonistica. Persino l’onta della prigione. Condannata a sei mesi di carcere per aver mentito, sotto giuramento, in merito all’utilizzo di sostanze dopanti. Tribolata è anche la vita privata della Jones. Due storie importanti alle spalle, quella con CJ Hunter, ex campione del lancio del peso,e quella con Tim Montgomery, anch’egli coinvolto nello scandalo doping Balco, nonché in una serie di truffe riguardanti assegni scoperti, con il quale ebbe un figlio. Archiviato il passato la Jones sembra aver ritrovato una certa stabilità. Vive in Texas e ha ricostruito una famiglia, sposando l’ex sprinter Obadele Thompson, dandogli un figlio. Proprio dalle scuole del Texas, Marion sta diffondendo un programma chiamato “Take a break”, fai una pausa, diretto ad illustrare, ai più giovani, l’importanza di prendere le decisioni giuste nella vita. “Ho pensato di mettere la mia esperienza al servizio della gente – racconta l’ex velocista -, spiegando quanto sia importante meditare sulle decisioni che si prendono. Io stessa penso che se mi fossi consultata con qualcuno, o se avessi riflettuto bene su quello che stavo facendo, le cose sarebbero andate molto diversamente”. Forte di questa esperienza, Marion, a 34 anni, ha deciso di ritornare allo sport. Non più la pista di atletica leggera che, nel bene o ne male, le ha regalato soddisfazioni e fama mondiale, ma le lastre di un parquet. Proprio così. La scelta di darsi al basket non è certo casuale e non rappresenta un salto nel vuoto. Per Marion, indossare canotta e calzoncini, rappresenterebbe un ritorno al passato. Infatti è proprio la pallacanestro il primo amore dell’ex sprinter americana. Nel 1994 vestiva, infatti, i colori bianco-celesti della University of North Carolina, trascinando le Lady Tar Heels al titolo nazionale con un record di 33-2. ‘Flash’, così com’era soprannominata Marion, ovviamente per le sue doti da regina della velocità, approda a
Chapel Hill dopo aver disputato una stagione da senior all’high school da 28.8 punti di media. 178 centimetri per 60 chilogrammi diventa ben presto il playmaker titolare della celebre università che condurrà, nelle tre stagioni disputate, ad un record di 92 – 10, realizzando 1716 punti. Nel 1995 vince i World University Games ma si infortuna al quinto metatarso del piede sinistro dando l’addio alla Nazionale e ai Giochi di Atlanta del 1996. Di fatto, si chiude la sua esperienza cestistica, poiché, svolgendo la fase di riabilitazione decide di appendere le scarpette al chiodo e di dedicarsi completamente al mondo dell’atletica leggera. Tuttavia, nonostante ciò, si guadagna la chiamata al terzo giro del draft WNBA da parte delle Phoenix Mercury, franchigia che, ormai, non detiene più alcun diritto sulla giocatrice. Dopo 14 anni di lontananza dal mondo dei canestri, ‘Flash’ Jones ha deciso di riprovarci. «Mi manca la competizione»ha dichiarato e, difatti, si sta allenando seriamente (tre ore al giorno per tre volte alla settimana e appare in ottima forma) in vista di un ritorno sul parquet. Ad assisterla nell’impresa c’è LaTonya Holley, head trainer delle San Antonio Silver Stars che adotta comunque un profilo basso : “Le giocatrici di adesso sono più alte, più grosse e più veloci di quelle con cui si è confrontata lei”. Dal canto suo Marion è consapevole che il ritorno all’attività agonistica sarà difficile, prima ancora che dal lato sportivo, soprattutto dal punto di vista della credibilità: “Ho deluso un sacco di gente e molti di loro non crederanno più a una parola uscita dalla mia bocca. Ma so che quello che sto facendo è la cosa giusta”. L’ex regina dell’atletica spiega com’è nata l’idea di ritornare al basket: “In maggio, quando qualcuno dell’Nba mi ha chiamato per chiedermi se ero interessata a giocare nella Wnba, ho pensato che stesse scherzando - racconta la Jones, all’epoca incinta di otto mesi - Poi ci ho pensato un po’ e ho capito che sarebbe stata un’avventura interessante, che mi avrebbe permesso di avere una seconda chance e di diffondere il mio messaggio ai giovani ad un altro livello”. Il basket e lo sport come funzione rieducativa e sociale. Il basket come mezzo attraverso cui inviare un messaggio positivo da parte di chi è ha compreso i propri errori e cerca di mettere in guardia dalle tentazioni chi si avvicina al mondo dello sport. Lo sport, come la vita, offre sempre una seconda possibilità. E’ nelle mani di Marion Jones e della sua voglia di sano agonismo, coglierla e farla fruttare al meglio. In bocca al lupo mrs. Jones.
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NBA NEWS
L’antidoto al ‘veleno’ del Black Mamba La notizia è alquanto preoccupante , per i Lakers, e per gli amanti del grande basket. Nel corso del match contro i Minnesota Timberwolves , a causa di un semplice contrasto di gioco, Kobe Bryant, indiscusso dominatore di questa prima parte della regular season, ha riportato una frattura all’indice della mano destra che va a fare il paio con l’infortunio al mignolo riportato nel 2008 e mai curato dallo stakanovista leader dei Los Angeles Lakers.Stoico nel sopportare il dolore il 31enne Mvp delle ultime finali ha portato a termine il match contro i “Lupi” e disputato il match (perso) contro i Jazz 24 ore dopo, pur risentendo forti dolori ( dovuti ad un concomitante virus intestinale..ma è di ferro?). Da verificare l’esito della vicenda, considerata la consueta contrarietà di Kobe a ricorrere a interventi chirurgici soprattutto nel corso di una stagione, e l’assoluta necessità dei Lakers di averlo a disposizione nei momenti cruciali della stagione al top della condizione. La logica e il buon senso imporrebbero uno stop, che non sarebbe lunghissimo, e che gli consentirebbe anche di rifiatare in vista delle post season (sono 3 stagioni che gioca sempre tutte le partite fino alle finali NBA, olimpiadi comprese) , ma con Kobe Bryant nulla è mai scontato e ovvio.
Guai per Tim Thomas: l’ala dei Mavs indagato per rissa
Fonte foto: http://www.nakednews.it
Guai in vista per l’ala talentuosa ( e a dire il vero incompiuta) dei Dallas Mavericks Tim Thomas, che sembrerebbe essere coinvolto in una rissa scatenatasi pochi giorni or sono in un locale, il Denny’s, di Dallas.. Stando a quanto rilasciato da testimoni, il 2,08 ex Knicks, Bucks, Suns, avrebbe istigato una rissa,( reo di aver lanciato accuse razziste e frasi “anti-gay” )dove sarebbero volati pugni e sedie(??) , alla quale , tuttavia, il neo-Maverick non avrebbe partecipato attivamente. In attesa di sviluppi sulla vicenda , non possiamo che non rimanere basiti all’ idea che un professionista pagato fior di quattrini pensi a rendersi protagonista di episodi tanto autolesionistici, invece di focalizzarsi solo ed esclusivamente sul proprio lavoro, e sul proprio talento che da anni sciorina sempre più saltuariamente.
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G UGLIELMO B IFULCO DI
NBA RUMORS
T-Thomas per Harrington? Ora o mai più Fonte foto: http://sportsmaven.files.wordpress.com
Le deludenti stagioni fin qui disputate dai New York Knicks e dai Chicago Bulls rappresentano un chiaro emblema dell’inadeguatezza degli uomini a disposizione di Mike D’Antoni e Vinny Del Negro relativamente ai loro progetti tecnici: in questi casi cosa può essere più idoneo che una trade? Assolutamente nulla..La notizia gira nell’aria da tempo e sembra imminente uno scambio di maglie tra Al Harrington e Tyrus Thomas. Tecnicamente lo scambio andrebbe a beneficio di entrambe le franchigie, considerata l’ estrema necessità dei Bulls di un buon realizzatore in frontline e il bisogno di un lungo atipico maggiormente predisposto alla fase difensiva dei Knicks. A beneficiare dello scambio sicuramente ci sarebbe anche il nostro Danilo Gallinari, punta di diamante dell’ attuale progetto di NY, ma spesso danneggiato dalle eccessive velleità offensive dell’ex ala degli Indiana Pacers, che di fatto ha fin qui rappresentato un chiaro limite al suo sviluppo offensivo nel sistema D’Antoni, dal quale, inspiegabilmente, viene spesso estraniato in ampi tratti dei match.
Grattacapi in seno ai Knicks: Robinson e D’Antoni separati in casa
ideato da:
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scritto da:
Domenico Pezzella
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Che Nate Robinson non fosse il fulcro della ricostruzione pianificata da Mike D’Antoni per i suoi Knicks era chiaro già dall’ultima preseason, nel corso della quale la franchigia newyorchese non aveva mostrato particolare entusiasmo nella rifirma della giovane guardia. Ad aggravare una crisi di fiducia già di per se in fase di sviluppo avanzata, è concorso l’atteggiamento puerile del piccolo vincitore dell’ultimo Slam Dunk Contest nel corso di un prepartita contro gli Orlando Magic, nel quale la combo guard avrebbe preferito inscenare siparietti comici con l’amico Dwight Howard, invece che partecipare al consueto rituale con i propri compagni prima della palla a due..relegato in panchina a causa di tale atteggiamento, è corso in suo sostegno l’amico Dwight: “ Non sono per nulla d’accordo con questa politica di spogliatoio..un giocatore non va valutato in base a quello che fa prima di giocare , ma per quello che fa in campo”.. A parte che il problema maggiore, probabilmente è proprio questo, caro Dwight, le regole sono regole,e , a meno che non hai scritto dietro la maglia Bryant, James, Wade o Howard, devi necessariamente rispettarle …
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NBA STANDING ATLANTICDIVISION W L PCT GB
SOUTHWEST DIVISION W L PCT GB
CENTRAL DIVISION W L PCT GB
NORTHWEST DIVISION W L PCT GB
BOSTON TORONTO NEW YORK PHILADELPHIA NEW JERSEY
CLEVELAND MILWAUKEE DETROIT CHICAGO INDIANA
20 4 .833 11 15 .423 8 15 .348 6 18 .250 2 22 .083
10
DALLAS S.ANTONIO 11 ½ HOUSTON 14 N.ORLEANS 18 MEMPHIS
7 9 10 13 14
.720 .571 .565 .435 .417
4 4 7 7½
17 7 .708 11 11 .500 5 11 12 .478 5½ 8 14 .364 8 8 14 .364 8
DENVER UTAH PORTLAND OKLAHOMA C. MINNESOTA
18 7 14 10 14 11 12 11 4 21
.720 .583 .560 .522 .160
3½ 4 5 14
18 6 .750 17 6 .739 ½ 11 11 .500 6 9 13 .409 8 7 15 .318 10
LA LAKERS PHOENIX SACRAMENTO LA CLIPPERS GOLDEN STATE
18 16 10 10 7
.818 .667 .455 .435 .292
3 8 8½ 12
SOUTHEAST DIVISION W L PCT GB
ORLANDO ATLANTA MIAMI CHARLOTTE WASHINGTON
18 12 13 10 10
PCIFIC DIVISION W L PCT GB
4 8 12 13 17
S T A R S ‘ N’ S T R IP E S
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EASTERN CONFERENCE W L PCT GB
BOSTON 20 4 ORLANDO 18 6 ATLANTA 17 6 CLEVELAND 17 7 11 11 MIAMI MILWAUKEE 11 11 DETROIT 11 12 TORONTO 11 15 CHARLOTTE 9 13 CHICAGO 8 14 INDIANA 8 14 NEW YORK 8 15 WASHINGTON 7 15 PHILADELPHIA 6 18 NEW JERSEY 2 22
PLAYER
WESTERN CONFERENCE W L PCT GB
.833 - LA LAKERS 18 4 .818 .750 2 DALLAS 18 7 .720 1 ½ .739 2½ DENVER 18 7 .720 1 ½ .708 3 PHOENIX 16 8 .667 3 14 10 .583 5 .500 8 UTAH 9 .571 5 ½ .500 8 S.ANTONIO 12 .478 8½ HOUSTON 13 10 .565 5 ½ .423 10 PORTLAND 14 11 .560 5 ½ .409 10 OKLAHOMA C.12 11 .522 6 ½ .364 11 SACRAMENTO10 12 .455 8 .364 11 N.ORLEANS10 13 .435 8 ½ .348 11½ LA CLIPPERS10 13 .435 8 ½ .318 12 MEMPHIS 10 14 .417 9 .250 14 GOLDEN STATE 7 17 .292 12 .083 18 MINNESOTA 4 21 .160 15 ½
NBA STATS
SCORES
1. CARMELO ANTHONY, DEN 2. LEBRON JAMES, CLE 3. KEVIN DURANT, OKC 4. KOBE BRYANT, LAL 5. DWYANE WADE, MIA
POINTS
30.4 28.8 28.5 27.8 27.0
PLAYER
REBOUNDS
1. DWIGHT HOWARD, ORL 2. GERALD WALLACE, CHA 3. CHRIS BOSH, TOR 4. JOAKIM NOAH, CHI 5. CARLOS BOOZER, UTA
REBOUND
12.7 12.2 11.9 11.8 11.1
PLAYER
ASSISTS
1. STEVE NASH, PHO 2. CHRIS PAUL, NO 3. DERON WILLIAMS, UTA 4. RAJON RONDO, BOS 5. JASON KIDD, DAL
ASSIST
11.1 10.8 10.3 9.5 9.1
La lente di ingrandimento di Stars N Stripes sulla LegaA
Che von Tro utman
L a S q u ad r a. . .
L a S q u a d ra . . .
La Benetton T rev iso
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Il ‘gigante’ irpino: Chevon Troutman MADE IN ITALY -1 IL PERSONAGGIO
DI
D OMENICO L ANDOLFO
Cestista singolare e dal look imprevedibile, Chevon Troutman, ala forte di 29 anni da Williamsport, Pennsilvanya, sta riscuotendo grande successo nel campionato italiano quest'anno: è senza dubbio uno dei key factor nella parabola ascendente della Air Avellino di Pancotto, trascinata a suon di punti e rimbalzi. L'altezza di soli 2,02 centimetri, non deve credere che sia un piccolo, anzi, il suo atletismo, la sua dinamicità, ma soprattutto i suoi piedi in difesa, nonchè anche i suoi 109 chili, gli permettono di essere un lungo poliedrico e sempre utile alla causa, e di potere essere alla pari di giocatori ben più grossi e alti di lui. Nel college di Pittsburgh non lascia grandi impressioni, gli scout nba lo snobbano e lui viene selezionato solo al terzo giro di un draft Cba. Troppo poco per lui, e dopo qualche apparizione nel campionato della repubblica dominicana, decide di provare la carta europea, approdando al Basket Livorno, dove desta subito grande scalpore pre i suoi numeri: 15 punti e 7 rimbalzi di media a
partita con il 60% da due. Numeri che gli valgono la chiamata da una squadra di Eurolega. Non certo una delle fortissime, ma il Villeurbane in Francia, dove rimane per ben 3 stagioni, divenendo leader di un gruppo vincente che prima conquista la coppa di Francia e la passata stagione si prende lo scudetto. Nella squadra di Pancotto cattura un'infinità di rimbalzi. Forse perde un po' attitudine al tiro dall'arco, ma solo con le sue prestazioni Avellino riesce a vincere, e un calo nelle ultime gare è stato decisivo per i biancoverdi che sono stati sconfitti da Bologna, Siena e Teramo. Avellino può aver pescato un bell'asso nella sua manica. La sua lotta sul campo è notabile dall'aggressività che mette in difesa, dove si fa sentire nel bene e nel male. Probabilmente nonostante la tanta esperienza europea ancora non ha fatto capire all'americano cosa è possibile e no in difesa. Viaggia quasi a quattro falli commessi di media e nel 90% delle partite disputate è stato espulso per raggiunto limite. Dovrà imparare a gestirsi meglio e magari a mettere qualche libero in più. Resta comunque un ottimo prospetto. E' una grande rivincita dopo il gran rifiuto del basket americano, che lo ha snobbato ritenendolo un giocatore a metà fra un lungo e un esterno, di un'altezza media, inconsistenze. Il basket d'area Fiba invece ha dato un'opportunità a questo ragazzo, giunto giovanissimo a Livorno, di trovare la sua dimensione, di imporsi ad un certo livello e di potersi esprimere. A lui e alla sua Air auguriamo i miglior auspici per un campionato che fino ad ora per lui e per gli irpini è stato in una parola : Sorprendente.
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La ‘green line’ della Benetton Treviso MADE IN ITALY -2 LA SQUADRA
DI
N ICOLA A RGENZIANO
Una società sempre solida, una realtà sempre appassionata, una squadra sempre competitiva, un settore giovanile sempre piu’ florido. Basterebbero poche righe per riassumere il fenomeno Benetton Treviso, ma sarebbe ingiusto e superficiale non analizzare le qualità di una compagine che anche in epoca di rico-
struzione è stata ed è capace di mantenere qualità sia nella sua organizzazione che nella composizione dei roster. Il team biancoverde, da sempre icona della passione sportiva della famiglia Benetton, è stato per tutti gli anni novanta e nell’inizio dell’attuale decennio tra le squadre di maggior vertice europeo, oltre
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che italiano. Dallo squadrone composto dal trio Rusconi-Kukoc-Del Negro, alla formazione solida e sempre vincente con Marconato, Rebraca, Williams, Niccolai. Senza dimenticare poi il roster che ha lanciato Bargnani verso il grande basket. Insomma a Treviso il basket non è mai stato e mai
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sarà una perdita di tempo, ma come sempre dopo grandi epoche di successi anche la società veneta ha dovuto avviare un processo di ricostruzione per poter porre nuove basi a lunghi successi. Dopo un campionato di transizione in questa stagione si è dato spazio alla linea verde (si perdoni il gioco di parole…) di grande qualità. Dopo aver ammainato la bandiera Soragna non era facile creare il giusto mix di giocatori di esperienza con giovani di belle speranze e prospettive, ma sotto la guida di Frank Vitucci (affiancato da un duo di grande esperienza composto da Corbani e Nicola) la Benetton è riuscita ad assolvere il compito ed oggi oltre a tener botta in campionato (salvo qualche ovvio passaggio a vuoto) riesce anche a ben figurare in Eurocup. Analizzando il roster trevigiano si capisce il perché: in primis le conferme di Nicevic e Wallace, due lottatori con buone mani che hanno consentito ai bianco verdi di mantenere altissima la qualità del proprio gioco sotto le plance. Proprio nel settore lunghi Treviso mostra il meglio del proprio progetto: Montiejunas (capace anche di giocare ala piccola) Renzi e Sandri rappresentano forse il meglio attualmente nel campionato italiano dei lunghi classe ‘89/’90 e si sono ritagliati (con merito) uno spazio importantissimo sia in Serie A che in Eurocup. Costruite le fondamenta non restava che completare “l’edificio” con Gary Neal e Cartier Martin, nei progetti iniziali prescelti come frombolieri ufficiali, salvo poi correggere in corsa la scelta di quest’ultimo a favore del giovane e piu’ prolifico KC Rivers. A completare poi la rosa degli esterni il ritorno in patria dopo la lunga esperienza nel college basket di Daniel Hackett chiamato, in una sorta di anno della consacrazione, a mettere a frutto le proprie doti anche in prospettiva con la canotta della nazionale; Davor Kus perfetto “esponente” di tutte le qualità della scuola slava, oltre all’apporto di un bagaglio d’esperienza ben fornito dagli anni trascorsi in Spagna con l’Unicaja Malaga, Jasmin Hukic per dare sostanza e fisicità e la (non tanto) sorpresa Alessandro Gentile. Il figlio d’arte dopo aver dominato a livello giovanile si trova finalmente sul palcoscenico principale e mai scelta fu piu’ azzeccata; il piu’ piccolo dei figli di Nandokan infatti oltre ad avere una prestanza fisica degna di una grande guardia ha mostrato sino ad oggi tutta la sua solidità mentale che lo ha portato a guadagnarsi sempre piu’ spazio sul parquet, con l’apice raggiunto in Eurocup contro la Dinamo Mosca (16 punti e tanta tanta personalità). Dopo aver analizzato il roster da cima a fondo non si può non sospettare che la Benetton se dovesse restare così com’è è una seria candidata al dopo Siena negli anni a venire, ovviamente se e quando il Montepaschi deciderà di abdicare qualche anno…
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Las Vegas: the ‘Sin Cit y’ ON THE ROAD
«Viva Las Vegas, Viva Las Vegas.. Viva Las Vegas with your neon flashin' And your one-arm bandits crashin' And all those hopes down the drain Viva Las Vegas turning day into nightime Turning night into daytime If you see it once, you'll never be the same again..»
Non so voi..ma se penso a Las Vegas..questa canzone è la prima cosa che mi viene in mente..banale..ma coinvolgente…E nella mia mente c è solo l immagine….Il mitico Elvis Presley con il suo sorriso smagliante che canta e fa roteare il bacino all’infinito .. non per niente “ The Pelvis” (tradotto “Il bacino”)Infatti per chi non lo sapesse.. questo soprannome è stato dato ad Elvis proprio per il suo movimento di bacino troppo sensuale all’epo-
DI
L EANDRA R ICCIARDI
ca! ahhhhh Dovrebbero vedere adesso come si muovono i ragazzi quando ballano!!! Ma torniamo a noi… Questa è la città degli alberghi con cinquemila stanze, la città che muove in un solo giorno 1 milione e mezzo di persone , la città dove il rumore principale non è quello del traffico ma quello delle slot machines e dei video poker che sputano monetine, questa è la città che vive, lavora e si diverte 24 ore al giorno, senza sosta, per tutto l'anno. Nata nel deserto del Nevada come luogo per il riciclaggio del denaro sporco proveniente dalle attività di un boss mafioso, negli anni 20, Las Vegas ha nel tempo subito diversi mutamenti, che l'hanno infine trasformata in quello che oggi è: la capitale del divertimento, dello shopping e del gioco d'azzardo. Il viale principale della città è il The Strip, lungo ben 5 km, che è sede dei negozi e dei locali più famosi (e cari) di Las Vegas.
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Passeggiare lungo il The Strip è come fare un viaggio nel mondo dei balocchi: negozi in cui è possibile acquistare di tutto, hotel sfavillanti con casinò in cui tentare la fortuna e locali in cui si esibiscono i più grandi artisti del mondo .Altra celebre via di Las Vegas è Freemont Street, che di notte offre uno spettacolare gioco di luci, dovuto alle colorate e stravaganti insegne di hotel e casinò. Intorno a Las vegas, non vi è nulla al di fuori del deserto e del caldo soffocante, che vi colpisce senza pietà in quelle giornate estive in cui 49 gradi all'ombra rappresentano la norma e non l'eccezione .Chi arriva in auto da altre mete, attraversando i paesaggi desertici e le rossastre montagne arse dal sole, si pone una domanda: perchè Las Vegas, perche qui, com'è potuta sorgere una grande città in mezzo a tanta aridità?Presto detto: Las Vegas aveva una sorgente a nord del centro della città, secoli indietro usata dai nativi americani Paiute in occasione delle soste stagionali nella regione e successivamente scoperta nel 1829 dall'esploratore messicano Rafael Rivera. Da qui il battesimo con il nome di Las Vegas, che signi-
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fica "I prati" appunto: divenne presto luogo di sosta lungo lo Spanish Trail, la strada percorsa dai pionieri diretti verso sud e verso la California. Furono i mormoni a costruire le prime case, una piccola missione e un fortino trasformato poi in fattoria a metà dell'ottocento; Sorsero poi officine, ed una immancabile fabbrica del ghiaccio di cui gli americani non possono assolutamente tuttora fare a meno, e numerosi hotel e saloon, dove naturalmente prese piede molto presto il gioco d'azzardo. L'attuale centro di Las Vegas fu così suddiviso in 1200 lotti, tutti venduti nella sola giornata del 15 maggio 1905, ora festeggiata come data di fondazione della città.
spola giorno e notte tra i grandi casinò e gli alberghi altrimenti ci si può servire dei taxi. La locale compagnia di autobus CAT offre eccellenti ed economici collegamenti in città. Per le escursioni fuori città la soluzione migliore è disporre di un'auto propria, facilmente noleggiabile presso una delle numerose agenzie del centro, il prezzo non è molto alto, varia dai : mentre autobus turistici fanno regolare servizio tra Las Vegas e la Hoover Dam (diga Hoover). DOVE DORMIRE
La ricettività della città e enorme e quasi tutta concentrata nei grandi alberghi. COME ARRIVARE E COME MUOVERSI Sarebbe impossibile elencarli tutti.In ogni caso non è difficile trovare una sistemaLas Vegas è una città che possiede uno zione giusta anche per tasche meno degli aeroporti più trafficati al mondo in capienti. quanto ad atterraggi e decolli. Si tratta di un gettito continuo di velivoli che arriva- Imperial Palace Hotel & Casino 3535 Las Vegas Blvd S Las Vegas no e partono. Per chi alloggia in centro il mezzo più comodo per circolare in città è rappresen- Nei pressi dell'aeroporto, vicino al Sands tato dall'economica navetta che fa la Expo Convention Center ,al centro della
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STRIP e non molto lontano dal Thomas and Mack Center.Fornito di un centro benessere, una vasca idromassaggio e un bagno turco. Sono anche disponibili un centro benessere con servizi completi, un casinò e un ristorante. L’Hotel non è nuovissimo anche se è stato ristrutturato da poco, l’ideale per chi vuole stare al centro e spendere poco! Prezzi da 17€ a persona per notte. Excalibur Hotel Casino 3850 Las Vegas Blvd S Las Vegas Nei pressi dell'aeroporto, si trova anche vicino ai seguenti luoghi di interesse: Bali Hai Golf Club e Thomas and Mack Center. L'altro punto di interesse nelle vicinanze è Sands Expo Convention Center. Le camere dispongono di TV al plasma, aria condizionata e TV via cavo/via satellite. Ottimo rapporto tra qualità e prezzo. Prezzi a partire da 20€ a notte Monte Carlo Resort & Casino 3770 Las Vegas Blvd S Las Vegas
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Prezzi da 34 € a notte. Golden Nugget Hotel & Casino 129 Fremont St Las Vegas Vicino al Municipio di Las Vegas. Nel cuore del Downtown, nelle vicinanze la Biblioteca di Las Vegas. interesse nelle vicinanze è Biblioteca di Las Vegas, confortevole e ottimo rapporto qualità prezzo ed ideale per le famiglie. Prezzi da 46 € a notte. Mirage Resort & Casino 3400 Las Vegas Blvd S Las Vegas
Molto confortevoli le stanze e ottima la posizione sulla strip, adatto anche per famiglie,si trova anche vicino ai seguenti luoghi di interesse: Sands Expo Convention Center e Centro commerciale Fashion Show. Prezzi da 60€ a notte. Bellagio Nei pressi dell'aeroporto, si trova vicino al Sands Expo 3600 Las Vegas Blvd S Las Vegas Convention Center e Thomas and Mack Center e non troppo Centralissimo, elegante e raffinato, consigliata la vista lago che distante dal Bali Hai Golf Club. Economico ed elegante.
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vi lascerà senza parole. Prezzi da 100€ a notte The Palazzo Resort Hotel Casino 3255 Las Vegas Blvd South, Las Vegas Hotel incantevole, super lussuoso a prezzi piuttosto contenuti. Camere spettacolari da quasi 80 mq. pulite, curate e confortevoli. La posizione è perfetta, proprio di fronte al centro della strip. Prezzi da 210 € a notte. IL TEMPO L'estate a Las Vegas è davvero rovente non può che risentire dell'ambiente desertico in cui la città è costruita. La temperatura media diurna si aggira sui 38° C da giugno ad agosto, mentre in inverno, da dicembre a febbraio, si abbassa fino a circa 13° C nel resto dell'anno il clima è temperato. D'inverno una nevicata in città è evento piuttosto eccezionale, ma la neve fa spesso la sua comparsa sulle montagne che la circondano. Il clima è piuttosto secco per la maggior parte dell'anno, ma i temporali sono frequenti soprattutto in
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estate (da giugno ad agosto), e possono plesso sembra un enorme parco giochi. provocare pericolose inondazioni. Cominciamo il nostro tour partendo dal fondo della Strip, la via principale. Qui COSA VEDERE s'incontrano il nuovo Mandalay Bay, un imponente gruppo di edifici con vetrate PREMESSA. Per una città come quella delle dorate e con immense piscine. Bellissime ‘luci’ è un qualcosa di inevitabile. Mettere le fontane e i giochi di luce. Subito dopo assieme tutte le cose che ci sono a Las ecco una piramide di vetro nero e acciaio Vegas, anche se poi tutto potrebbe ridursi alta trenta piani, vi sembrerà di essere in allo stesso genere ma in termini differenti Egitto e invece siete al Luxor. Sfingi, stanel numero o nello stile, significherebbe tue e geroglifici vi avvolgeranno, qui non dedicare un intero numero di Stars ‘N’ potete perdere il viaggio sul Nilo. Stripes solo ed esclusivamente ad una Spostiamoci al N e w Y o r k N e w Y o r k . delle città più amate d’America. Quindi da Vedrete l ' E m p i r e S t a t e B u i l d i n g , i l qui in poi potrete godervi quella che è la Chrysler Building, il Ponte di Brooklyn e prima parte del viaggio attraverso le stra- la Statua della Libertà, il tutto intersecato de del Nevada, per poi passare alla parte dai binari di una montagna russa da brifinale nei numeri successi. Visitare Las vido. Se proseguite vi trovate di fronte MGM, con 5600 camere questo è l'hoVegas, quindi, significa esplorare tutti i all'M suoi meravigliosi alberghi, che si sono tel più grande di Las Vegas, e probabiltrasformati col tempo in vere e proprie mente è anche il più grande del mondo. attrazioni, che ogni giorno contano un Spesso ospita grandi concerti e spettacoflusso di circa quaranta milioni di turisti lari incontri di boxe. Al suo interno c'è provenienti da tutto il mondo. Rimarrete addirittura un parco di divertimento, che a bocca aperta davanti a questi gigante- non potete fare a meno di visitare. Di schi resort tematici, molti sono collegati fronte ecco uno splendido castello mediesia attraverso ponti sotterranei, sia attra- vale, questo è Excalibur. L'interno è davverso monorotaie. La città nel suo com- vero squisito e vi sembrerà di essere a
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Disneyland o dentro le pagine di una bella favola. Poi passate davanti al Tropicana, al nuovo Aladdin e al Montecarlo, sono tutti da visitare. Se non siete mai stati a Parigi correte a vedere il Paris, ecco una Parigi in miniatura davvero perfetta con il suo Arco di Trionfo, la sua Tour Eiffel.Continuiamo con il Belagio, non ci sono parole per descrivere questo resort, che è la ricostruzione del paese omonimo sul lago di Como. Poi basta uscire e avanzare di qualche passo per trovarsi d'improvviso a Roma. Benvenuti al Caesar Palace, perfette le vie di Roma, bellissime le fontane e i giochi d'acqua, non perdete lo show della fontana Atlantis con fuoco e fiamme e l'Imax 3D.Spostatevi al Mirage, gigantesco albergo, che conta tremila camere. Appena entrati nell'atrio ecco due bellissime tigri bianche a darvi il benvenuto. Ecco cosa non potete davvero perdere: il vulcano artificiale, lo spettacolo "Love" e il "White Tiger Habitat". Bellissimo anche il Treasure Island, che ha per tema l'isola del Tesoro, ideale per chi è amante dell'avventura. Di fronte sorge Venetian, che riproduce una Venezia perfetta. All'interno ha addirittura il suo Canal Grande, e i turisti possono girare in gondola l'intero complesso. Siamo giunti allo Stratosphere, che chiude la Strip. La sua torre alta oltre 1100 piedi ha in cima una piccola montagna russa e il Big Shot, altra attrazione che ti spara letteralmente in aria. Las Vegas è una città incantevole, della quale è impossibile non rimanere colpiti. È in costante sviluppo, espansione e rinnovamento,a tal punto che gli hotel che man mano non vengono più apprezzati dai turisti vengono distrutti per fare spazio a nuovi spettacolari edifici. Solo una raccomandazione, che esula dal divertimento, state attenti a non farvi prendere troppo la mano dalla febbre del gioco, ogni albergo ha il suo Casinò, anzi tutta Las Vegas è un gigantesco Casinò.
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Canyon Blaster e lo Sling Shot, un'attrazione in cui si viene proiettati in cima a una torre, raggiungendo un'accelerazione fino a 4 G. Ci sono poi spettacoli gratuiti di clown durante tutta la giornata. ARTS FACTORY Il panorama artistico in declino di Las Vegas ha ricevuto un grosso impulso alla fine degli anni '90. Anche se il fotografo Wes Isbutt non era partito con l'intenzione di fondare una colonia artistica in città, alla fine ha fatto proprio questo. All'interno del complesso troverete gallerie d'arte contemporanea che ospitano opere di qualità e gusto variabile, ma sempre intriganti.
ATOMIC TESTING MUSEUM Durante il boom degli esperimenti atomici, negli anni '50 del secolo scorso, giocatori d'azzardo e turisti si fermavano a osservare le nuvole a forma di fungo che si innalzavano dietro Fremont St, in pieno centro, e la città arrivò perfino a incoronare una Miss Atomic Bomb (Miss bomba atomica). Potete acquistare i biglietti presso la copia esatta di un posto di guardia del Nevada Test Site, che si trova fuori da questo straordinario museo di 743 mq affiliato con lo Smithsonian. Non mancate di visitare il Ground Zero Theater, l'imitazione di un vero bunker in cemento armato per i test atomici. E tantissimi altre attrazioni da vedere.. come: Wynn Collection, Vegas Cyber Speedway & Speed, Vegas Art Museum, Star Trek E x p e r i e n c e , Ga m e w or ks , G u g g e n h e i m H e r mi t a g e M us e u m , Hard Rock Hotel & Casino, Little White Wedding Chapel (la cui descrizione verrà fornita nel prossimo nuemro ndr). Ricapitoliamo… Per il momento fatevi Un Bel giro per i casinò, Guadagnate bei soldini.. e quando vi sarete scocciati, sappiate che i dintorni di Las Vegas offrono la possibilità di ammirare ADVENTUREDOME alcuni tra i più bei paesaggi di tutto il Southwest… Che altro Circondato da oltre 8000 pannelli di vetro rosa, il parco diverti- dirvi??? Alla prossima puntata per le curiosità di una delle città menti del Circus Circus al coperto è pieno di attrazioni adrena- più affascinanti d’America liniche. Fra quelle da non perdere citiamo il 'doppie-loop', il …..TO BE CONTINUED…