STars 'N' Stripes N°21

Page 1

il periodico online per gli amanti della palla a spicchi d’oltre oceano

The next oppo nent


13

FIVE MAN ROTATION

Tutti i numeri e le combinazioni vincenti dei quintetti dei Cleveland Cavaliers


IL PERS ONAGGI O 1 MON TA E LLIS

2 26 6

N BA NEWS N B A RUMO RS

36

A SP AS SO NE L T EM PO 19 99 ED IL LO CK OU T

20

IL PERS ONAGGI O 2 BAR ON DAV IS

1 18 8

IL PA RTITONE -

2 24 4

IT AL IAN HE RI TA GE NIG HT

33

SOPHMORE -

NBA E L’I ND IA

32

ROOKIE T IME -

NBA STANDING

38

LA RUBRICA YOU CAN’T C ME

L ’EVENTO -

RU D Y F ER NA N D EZ

3 30 0

29

JO NNY FLYNN

IL CASO ARENAS PART II

1 16 6

MADE IN ITA LY WINSTON E UP&DOWN

40


4

S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S


Fonte foto: http://images.townnews.com/morningjournal.com

S T A R S ‘ N’ S T R IP E S

5


S T A RS ‘ N ’ S T R I P E S

6

E’ Sam Presti, il ‘genio’ dei Thunder FOCUS

DI

N ICOLÒ F IUMI

Sam Prestigiacomo, Presti per tutti, è nato nel 1977. Quindi all’anagrafe ha 32 anni compiuti. La sua storia è quella di uno che sà quello che vuole, ma soprattutto sembra conoscere il segreto per ottenerlo. Si laurea nel 2000 in comunicazioni, politiche e legge all’Emerson College di Boston e nella stessa estate di quell’anno ottiene un posto all’interno dell’organizzazione dei San Antonio Spurs. Un anno

dopo è nominato assistente speciale della squadra e, passati 12 mesi, diviene assistente del direttore delle operazioni di scouting della franchigia. E’ il 2003 quando assume i compiti di direttore del “player per-


7

Fonte foto: s.wordpress.com http://basketballoutsider.file

S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S

sonnel”, ossia dei giocatori che compongono il roster. Ruolo che mantiene per due anni, quando nel 2005 viene promosso a assistente del general manager, quell’ RC Buford lui pure nome parecchio conosciuto

nelle stanze NBA. In Texas il nome di Presti se lo ricorderanno a lungo, anche perché le mani su Tony Parker, gli Speroni, le misero soprattutto grazie ai suoi buoni consigli. Passano altri due anni, siamo


S T A RS ‘ N ’ S T R I P E S

8

dunque nel 2007, e l’indirizzo del suo ufficio cambia. Ci si sposta dal Texas allo stato di Washington, precisamente a Seattle, dove i morenti Seattle Supersonics, prima di esalare il loro ultimo respiro cestistico, si mettono in casa questo ragazzo prodigio, che a soli 30 anni diventa il GM più giovane di tutta la Lega. Fiducia riposta ottimamente. Con una serie di mosse sagacemente orchestrate Presti manda Ray Allen, ormai senza più stimoli nei Sonics, a Boston ricevendo in cambio una scelta al draft che si tramuterà in Jeff Green, nella stessa notte in cui al numero due arriverà Kevin Durant. Tutti nomi che risentirete tra poco. Non solo. Rashard Lewis, che rischiava di andarsene da free agent e dunque in cambio di nulla, viene impacchettato e spedito a Orlando, in cambio di una seconda scelta e di un eccezione salariale da 9 milioni di dollari, a sua volta girata a Phoenix in cambio di Kurt Thomas e due prime scelte. E qui ecco lo spostamento ulteriore, lo scorso anno, da Seattle a Oklahoma City, per dare vita ai nuovi Thunder, i quali stanno avendo uno sviluppo veloce e rapido proprio come quello della carriera di Sam Presti, in maniera quasi inevitabile verrebbe da aggiungere. Tanto per dire. L’anno scorso di questi tempi, i Thunder viaggiavano al “Netsiano” record di 3 vittorie e 29 sconfitte. Oggi, invece, qualche partita dopo, siamo a 23 W a fronte di 18 L, abbondantemente all’interno della corsa playoff. “E’ molto più divertente guidare verso il palazzo dello sport sapendo di potersela giocare con tutti – dice Nick Collison, l’unico giocatore superstite dall’edizione 2005 dei Sonics che raggiunse i playoffs – Te lo ripeti anche quando sei 3-

29, ma, obiettivamente, fai fatica a credere a te stesso. Ora, invece, guardiamo il calendario e sappiamo che, magari non vinceremo tutte le partite, ma facendo il nostro lavoro al meglio avremo ottime possibilità di farcela.” E questa consapevolezza traspare come non mai negli occhi e nel linguaggio del corpo della squadra, specie in questo momento. A ben vedere i Thunder hanno tutto ciò che serve per essere una squadra di alto livello. A partire dalla stella. Kevin Durant, attualmente al terzo posto della classifica marcatori a quota 29 punti di media, è uno dei giocatori più elettrizzanti e immarcabili della Lega, rimanendo al contempo anche uno dei più giovani (21 anni compiuti in agosto). Il suo arsenale offensivo è sconfinato. E’ alto 2.06, ha braccia lunghissime, ma comunque una rapidità di piedi che gli consente di muoversi con l’agilità di una guardia. Il rilascio del pallone al momento del tiro, pungente da ogni zona del campo, è uno dei più veloci della Lega e in tutto questo il fisico esile sembra non penalizzarlo più di tanto. Al suo arrivo in NBA, e dopo il suo anno da rookie, riceveva parecchie critiche perché prendeva troppi tiri per segnare i suoi punti, e molti di questi tiri erano forzati. Il dubbio, dunque, era che rimanesse “solo” uno splendido realizzatore, trascurando gli altri aspetti fondamentali del gioco cosa che invece, contraddicendo i detrattori, sta facendo egregiamente (7 rimbalzi e 3 assists di media, 48.4% dal campo). Aiutato dal fatto di avere attorno altri giovani compagni di ottima caratura che lo riconoscono come il leader in campo.

LE STATISTICHE DI KEVIN DURANT

...COSI NELLE ULTIME CINQUE PARTITE...


9

om Fonte foto: http://images.fanfeedr.c

S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S

...Non solo K-Durant ...

Il playmaker della squadra è Russell Westbrook, un’altra una guardia, ma c’erano perplessità su quanto potesse adatsorpresa, prima scelta arrivata però con diversi dubbi sul tarsi a fare il playmaker a tempo pieno, lui che è un giocatosuo ruolo. In NBA, data la taglia fisica, non poteva essere re principalmente di energia, più che un ragionatore. E inve-


S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S

10

ce il suo impatto è stato notevole sin da subito e oggi snocciola 16 punti, 5 rimbalzi e 7.5 assists a partita, tra tutti il dato meno atteso. Non è diventato un clone di John Stockton, è sempre un giocatore che vive di energia più che di azioni ragionate, ma ha lavorato per adattare il suo gioca alla NBA intanto costruendosi un discreto arresto e tiro dai 4/5 metri. La velocità e l’atletismo superiori alla media anche per i canoni NBA lo portano a non avere troppi problemi nei pressi del ferro, così come il suo fisico massiccio gli consente di prendere vantaggi contro i suoi avversari in post basso. La difesa, specie in uno contro uno, è ancora da rivedere, ma con le sue doti atletiche basta un po’ di voglia in più.

Capitolo al quale potrebbe andare a chieder consigli ancora al Presti di cui sopra, titolare al college di una gara in cui riuscì a subire ben 6 sfondamenti. A tappare le incertezze dell’ex UCLA, c’è comunque Thabo Sefolosha. L’ex Biellese è un’altra delle intuizioni del GM che alla trade deadline dell’anno scorso scippò letteralmente ai Bulls questo giocatore polivalente, che nell’economia del gioco di Oklahoma City ha un valore inestimabile. A testimonianza di questo c’è la partita di qualche giorno fa contro gli Spurs. Dopo un primo tempo in cui Tony Parker aveva letteralmente banchettato contro Westbrook, segnando 22 punti e portando i suoi al +15, il francese è stato dato in cura a Thabo, che lo ha tenuto a soli 2 canestri dal campo, consentendo ai suoi la rimonta. Oklahoma City al momento è terza per percentuale concessa dal campo agli avversari, dietro solo a Cavs e Lakers. E questo è comunque un segnale del fatto che lo sforzo sia col-

Fonte foto: http://i.cdn.turner.com

NORTHWEST DIVISION

Fonte foto: http://bayareasportsguy.com

Fonte foto: http://farm3.static.flickr.com


S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S

11

lettivo e che, tra i giovani ragazzi di coach Scott Brooks, sia filtrato il concetto che per andare lontano ci voglia innanzi tutto un’ottima difesa. “Difendendo forte ci diamo sempre una possibilità di vincere una partita – sono le parole di Sefolosha – Ci siamo giocati punto a punto tante partite nell’ultimo periodo. Alcune le abbiamo vinte, altre le abbiamo perse, ma la cosa importante è avere la certezza che difendendo forte abbiamo sempre una chance di portare a casa il risultato.” Anche perché a fianco di una difesa di questo livello ci sono tante buone mani da sfamare in attacco. Se Durant e Westbrook sono le prime due opzioni, non và dimenticato l’apporto di Jeff Green, 3-4 da Georgetown, che a sua volta sta raggiungendo una nuova maturità cestistica, evolvendo il più delle volte da ala forte tattica, con un ruolo simile a quello che ha Josh Smith negli Hawks, pur se non dotato dello stesso straripante atletismo, che comunque non difetta. E parlando di atipici, che dire di James Harden, rookie arrivato grazie a una delle due scelte ottenute da Phoenix di cui parlavamo in precedenza. Il ragazzo da Arizona State può giocare tre ruoli, dal play all’ala piccola. Dopo un piccolo periodo di adattamento sembra essere entrato piuttosto bene nel mondo dei pro. Entra come primo cambio degli esterni e quando c’è lui in campo spesso i Thunder schierano un quintetto con lui, Westbrook, Sefolosha, Durant da 4 e Green addirittura da 5. Uno “small ball” che sta dando frutti copiosi. “Ogni squadra vuole essere una squadra da playoff – dice Sam Presti – e anche noi non siamo differenti in questo. Ma credo che ci sia la consapevolezza e l’umiltà in questo gruppo di dover lavorare sodo. Sappiamo che non possiamo controllare gli altri e quindi sta a noi dare il massimo e fare il nostro lavoro al meglio delle nostre potenzialità”. E una squadra da playoff che si rispetti deve avere anche una panchina discretamente profonda. Se, come visto, il primo cambio degli esterni è James Harden, la rotazione dei lunghi è composta Krstic, Collison e Serge Ibaka, scelto lo scorso anno, lasciato a maturare in europa per una stagione e oggi

pronto per dare una decina di minuta di quantità, con il rookie BJ Mullens che ultimamente sta ottenendo i primi minuti della sua carriera. Krstic è stata un’altra delle intuizioni del GM. Raccolto lo scorso anno dal marciapiede sul quale la sua (breve) esperienza russa lo aveva lasciato, arrivato come rincalzo dopo il flop dell’operazione Tyson Chandler (che comunque sarebbe stato un altro furto da parte di Presti), ha avuto un impatto da subito, consentendo ai Thunder di rialzarsi un minimo dal pessimo avvio (20 vittorie nelle ultime 50 partite) e quest’anno continua a tenere il suo ruolo da titolare, giocando il suo basket fatto più di fondamentali e fioretto, piuttosto che di muscoli e sudore. “L’aggiunta di Thabo e Nenad lo scorso anno – incalza Presti – ci ha permesso di avere due giocatori che inseriscono bene nel nostro contesto tecnico ma anche all’interno di un gruppo che vuole crescere insieme. In questo processo di crescita ci sono lezioni da imparare e non sempre le impareremo con le vittorie. Dovremo rimanere uniti anche nelle difficoltà”. Parole di un General Manager lungimirante, che non vuole cullarsi troppo sugli allori di questo momento felice e lo ha dimostrato ulteriormente, sfruttando l’occasione che gli ha consentito di prelevare dagli Utah Jazz, che non volevano incorrere nella Luxury Tax, il giovane playmaker Eric Maynor, cambio di Westbrook e da subito nelle rotazioni della squadra. Nonostante tutti questi cambiamenti che hanno portato ad eguagliare il record di vittorie dello scorso campionato già a gennaio, lo stesso Presti non sembra essere sazio: “ non siamo certo soddisfatti o appagati per quello che abbiamo fatto finora, né abbiamo una tabella di marcia da seguire per diventare competitivi a livello di titolo. Non contiamo i giorni sul calendario. Il fatto è che non sono sicuro che arriveremo mai a un punto in cui saremo del tutto soddisfatti. Chiaramente, abbiamo ancora tanta strada da percorrere.” E avendo constatato la sua capacità nell’ottenere ciò che vuole in maniera quasi sistematica e repentina, c’è da scommettere che Oklahoma City non uscirà da quella strada.

LA SITUAZIONE SALRIALE DEL TEAM DELL’OKLAHOMA NO.

PLAYER

POS

AGE

HT

WT

COLLEGE

40 04 35 22 13 33 09 6 12 14 23 7 51 02 36 5 0 3

Ryan Bowen Nick Collison Kevin Durant Jeff Green J.Harden Mike Harris Serge Ibaka Tre Kelley Nenad Krstic S.Livingston B.J. Mullens Kevin Ollie M.Ruffin T.Sefolosha Etan Thomas Kyle Weaver R.Westbrook D.J. White

SF FC SF F G SF C PG C PG C PG PF SG C SG PG PF

33 28 21 23 20 26 20 24 26 24 20 36 32 25 31 23 20 23

6-9 6-10 6-9 6-9 6-5 6-6 6-10 6-0 7-0 6-7 7-0 6-2 6-8 6-7 6-10 6-6 6-3 6-9

218 255 230 235 220 240 235 188 240 185 275 195 248 215 260 201 187 251

Iowa Kansas Texas Georgetown Arizona State Rice

SALARY

$6,250,000 $4,796,880 $3,516,960 $4,004,160 $1,120,200

South Carolina

Ohio State Connecticut Tulsa Syracuse W.State UCLA Indiana

$5,160,832 $959,111 $1,120,200 $825,497 $2,759,628 $7,906,088 $870,968 $3,755,640 $1,036,440


S TAR S ‘N’ STR I PES

12

O k l ah om a Ci t y Thu nde r de pth c ha r t

PF

C Ne na d Krs ti c

Je ff G re en

SG

SF

T. S e f o l o s h a

E. Mynor

S.Ibak a

K e vi n Du r an t

PG R . We s t b r o o k s

K e vin Ol lie

K y l e We a v e r

Sco tt Bro oks

PG J .Hard en

G

C N. Co l li s o n

PF

PG

SG

E .T ho ma s

BJ Mullens

PF

C


S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S

L’ANALISI

13

DI

D OMENICO P EZZELLA Fonte foto: http://upload.wikimedia.org

Five Man Rotation: I Cleveland Cavs ‘Five Man rotation’. La principale preoccupazione di tutti coloro che in una partita di basket non sono li ad aspettare un cenno, una chiamata per nome, cognome, nickname o semplicemente per toccata di spalla o tirata di maglietta. Cinque uomini da mettere in campo, cinque uomini che sappiano mettere in pratica al meglio possibile quello che in generale

l’uomo e i suoi fedeli scudieri hanno messo in pratica in settimana e che tempestivamente mettono in atto durante i 48 minuti di partita. Cinque uomini che portino ad un unico risultato: la vittoria. Stati uniti, Europa, Asia o in qualsiasi altra parte del mondo il cruccio principale dell’allenatore resta sempre lo stesso. C’è chi sceglie i ‘suoi’ uomini in base a


S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S

14

Fonte foto: http://upload.wikimedia.org

quello che vede in campo, chi li sceglie a prescindere avendo una propria idea di chi può entrare di chi no e di chi magari ha la classica possibilità di dimostrare di poterci stare e di poter far breccia nel cuore del suo head coach e chi magari impiega la prima parte di stagione, quella che per intenderci arriva fino al weekend dell’All Star Game, per fare i suoi esperimenti per poi puntare tutto su quelli che ritiene più all’altezza rispetto ad altri, insomma quasi come un generale che sceglie i soldati fidati per l’attacco finale. Ma forse anche chi guardando i risultati, guardando le statistiche e le percentuali di vittorie di un quintetto anziché di un altro (e si proprio cosi, in un paese dove vengono percentualizzati anche il numero di volte che chiedi una birra ad un pub!). Numeri, cifre e nient’altro. E’ quello che proviamo a fare o meglio a raccontare e cioè quali quintetti, partendo dalle big ad Est, rendono felici e contenti gli allenatori che da quel 28 di ottobre hanno un solo scopo nella loro testa: le Finals. E quando si parla di atto finale, quando si parla del Larry O’Brien Trophey la mente non può, attraverso lo scorrimento veloce o se volete anche il rewind se siete troppo avanti con i pensieri, allo stato dell’Ohio, alla Quiken Loans Area e soprattutto ai Cleveland Cavaliers e Lebron James. The Chosen One, infatti, è la costante principale in quasi tutte le modifiche, in quasi tutti gli aggiustamenti in corso d’opera e in quasi tutte le scelte di coach Mike Brown. D’altronde come potrebbe essere altrimenti visto che tra le mani ti ritrovi solamente il giocatore più dominante della Lega insieme al 24 in gialloviola che però sosta dall’altra parte della Nazione. Le eccezioni alle regola esistono d’ovunque e il basket non fa certo differenza o caso a parte. L’excursus in casa Cavs, dunque, parte proprio da quelli che sono i momenti, più unici che rari, in cui i Cavaliers fanno a meno del 23 che tra l’altro ‘on the bench’ dimostra anche di potersi divertire in più di un’occasione con balletti, mosse di danza degni di un freestyler di alta classe. Quasi 54 minuti. Questo il minutaggio che il discepolo dello ‘Spy Coach’ Greg Popovich, concede alla seconda linea pura in tutto e per tutto. Quasi 54 giri di lancette totali fino a questo momento della stagione che dicono che la scelta migliore per permettere al figlio di Akron di riposare in santa pace in panchina è quella di vedere in campo un lineup del tutto particolare. Si parte da Daniel ‘Boobie’ Gibson (il giocatore tra l’altro che ha più beneficiato delle vicende extracestistiche di Delonte West ritrovando fiducia in se stesso, nel proprio tiro dalla distanza, ma cosa più importante quella del proprio coach che dopo il 2007 lo aveva accantonato per un attimo a favore di altre scelte giuste o sbagliate che al momento potrebbero sembrare col classico senno di poi ndr), passando per il secondo violino in assoluto della franchigia dell’Ohio, Mo Williams, per andare oltre e vedere una front line formata da Jamario Moon, Anderson Varejao e Zydrunas Illgauskas. Inutile stropicciarsi gli occhi, dal momento che nonostante il numero delle vittorie e delle sconfitte, ovvero tre successi a fronte di 5 sconfitte, non sia praticamente a favore dei nomi precedentemente indicati, il lineup appena specificato è quello maggiormente cavalcato da coach Mike Brown a prescindere del 37% di vittorie che lo stesso porta a spasso in questa prima parte di stagione. Meno cavalcato ma di gran lunga più vincente (quasi il doppio sia a livello di percentuali di vittorie con il 60% frutto di sei successi e 4 sconfitte e un +12 di plus/minus) quello che per circa 43 minuti totali ha visto il campo senza il nome o la visione sullo schermo di King James. Mo Williams, Delonte West, Jamario Moon, Anderson Varejao e addirittura Shaquille O’Neal. Un quintetto al quale verrebbe da dedicare la parte della settimana enigmistica del


STAR S ‘N’ STR I PES

‘Aguzza la vista’ o del ‘Trova le differenze’. Facile, anzi facilissima la risposta riposta tutta nel nome di colui che è stato al centro di preoccupazioni maggiori, da parte del front office, dell’anno della free agency e del futuro di Lebron James: il ‘Mariachi’ Delonte West. Solo una l’ipotesi e l’esperimento tentato da Mike Brown nei momenti di ‘manicure’ (legato al vizietto di LBJ di mangiucchiarsi le unghie mentre è in panca ndr) del suo uomo di punta: 43,5 minuti per un 16,6% di vittorie (1 vinte e 5 perse), -21 di plus/minus e lineup formato da Gibson, West, Moon, Varejao e Illgauskas. Insomma non la miglior scelta per affrontare le fasi importante dei match, ma forse quella ideale per i garbage time sia nel senso buono che cattivo del termine. Dopo aver messo ‘a letto’ le alternative o aver impostato il ‘parental control’ tanto per usare una terminologia prettamente legata al mondo della tv satellitare o digitale, è il tempo di passare la palla agli adulti ovvero a come i Cavs vincono, hanno vinto o sperano di vincere la Eastern Conference e avversari permettendo anche le Finals Nba. Dottor Jakyll e Mister Hyde. Due lati della stessa medaglia. Due conformazioni di squadre e di quintetti differenti, ma che alla fine hanno un unico denominatore comune: ‘The Chosen One’ Lebron James. Insieme a Williams, Anthony Parker, Hickson e Shaquille O’Neal. Questo il quintetto che all’attivo ha più minuti giocati di tutti. Il motivo potrebbe essere quello che è quello più produttivo? Assolutamente no. Il tassametro e le lancette dell’orologio continuano a scorrere e a girare a favore di questo lineup solo ed esclusivamente per il fatto che coach Mike Brown ha deciso che questa è la conformazione migliore per iniziare le gare e giocare gran parte del primo quarto. D’altronde la presenza di Shaq è emblematica, visto che poi The Big Aristotele va a sedersi a riposare per poi riapparire nei momenti del bisogno o addirittura nel quarto periodo. Il conto attuale dei numeri dello starting five di cui sopra è di 330,8 minuti giocati, 1,05 punti segnati per possessi; 1,12 quelli concessi nella propria metà campo (e questa la dice lunga sul perché il quintetto che ini-

15

zia la partita generalmente non la finisce visto che concede agli avversari più di quello che segna e la dimostrazione sta anche nel -36 complessivo a livello di plus/minus ndr) per 12 vittorie, 14 sconfitte e 46,1% di record. Di poco sotto a livello percentuale (40% in 128,9 minuti di utilizzo) quello con l’unica variante di Varejao al posto di JJ Hickson che però pareggia i conti dal punto di vista dei punti fatti e subiti per singolo possesso (1,02 in attacco e 1,02 in difesa ndr). Il valore di rendimento sale vertiginosamente non appena l’allievo di coach Pop decide di tornare al passato, di affidarsi alla ‘vecchia guardia’: Williams, Parker, James sugli esterni. Hickson e Illgauskas sotto le plance e le cifre si impennano come il miglior Valentino Rossi al momento della bandiera a scacchi. Sessanta per cento tondo tondo il valore percentuale frutto di sei vittorie, quattro sconfitte in 109 minuti abbondanti di impiego (1,12 in attacco e 1,10 in difesa il conto dei possessi concessi sui due lati del campo). Da far impazzire un’aula della borsa quando dalla struttura appena enunciata è ancora una volta ad uscire è Hickson per far posto al brasiliano dalla chioma fluente: 17 vittorie e 8 sconfitte (68%), un +57 di plus/minus e un differenziale tra punti segnati e quelli subiti – 1,34 in attacco e 1,02 in difesa – che non concede altra alternativa che consacrare quello con Williams in cabina di regia, Parker nel ruolo di shooting guarda, James in quello di small forward e Varejao e Illgauskas a guardia dell’anello aranci one, come il quintetto più pr odutti vo del team dell’Ohio. Dulcis in fundo doverosa un’annotazione su un dato che più di tutti passa in secondo piano e lasciato appositamente alla fine. Lebron James fungerebbe da discriminante positiva con qualsiasi delle trenta casacche della Lega e questo è assodato, ma ai Cavs l’altro nome dal quale i numeri non possono prescindere è quello di Zydrunas Illgauskas. Percentuali positivi in 4 dei 5 quintetti in cui il nome del lituano è presente a dimostrazione che Shaq sarà anche lo specialista delle Finals, ma ‘Z’ resta il fattore importante per arrivarci.

LA SITUAZIONE SALRIALE DEL TEAM DELL’OKLAHOMA PLAYER Min Off Def +/- W L W%


S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S

16

IL CASO

Fonte foto: http://i.a.cnn.net

A LESSANDRO

DI

DELLI

PAOLI

Agent ‘0’...Par t II

Prosegue il ‘nostro’ processo al giocatore dei Wasghington Wizard, Gilbert Arenas. Accusato, prima, di aver portato armi all’interno dello spogliatoio del Verizon Center, poi, di aver scatenato un presunto ‘face to face’, con tanto di pistole con colpo in canna, con Javaris Crittenton.

Negli ultimi giorni sono spuntati altri elementi che hanno consentito una ricostruzione dei fatti. Pronte, inoltre, le prime sanzioni inflitte ai due pistoleri da parte della NBA. «Prendine una» Il debito di gioco contratto da Arenas in una delle tra-


S T A R S ‘ N’ S T R IP E S

17

sferte di gioco. Lo ‘scherzo’ dello stesso Areans ai danni del creditore Crittenton: nascondere alcune delle sue pistole nell’armadietto di quest’ultimo. Quelle parole: “Prendine una”, quasi come a lanciare una ‘singolar tenzone’ in puro stile cavalleresco. La reazione, non proprio positiva, di Crittenton: caricare una sua pistola e puntarla nei confronti del più celebre compagno. Questa, in sintesi, la ricostruzione dei fatti fornita dal numero ‘0’ alle autorità. «È’ tutto falso. Non ho fatto nulla di sbagliato, aspettate la conclusione delle indagini e lo vedrete. Il mio nome viene trascinato nel fango in questa vicenda». Un altro tassello, nell’intricata vicenda, lo pone proprio Crittenton. Le sue confessioni al Washingotn Post parlano di una sua totale estraneità ai fatti. Dichiarazioni che si contrappongono in modo chiaro e netto a quelle di Arenas. Tra gli elementi a discarico di Javaris, c’è il mancato ritrovamento della sua presunta pistola. «Avrei aspettato la fine delle indagini della polizia. Il gesto di Arenas ha condotto ad una sospensione sostanziale, se non peggio». Cosa gira nella testa di un giocatore professionista non ci è dato di sapere. Ancor di più se quel giocatore vive un periodo travagliato o quanto meno tale dovrebbe essere. Cosa frulla nella mente di ‘Agent Zero’, probabilmente non lo sa neanche lui. Con tutte le luci dei

Fonte foto: http://i.a.cnn.net

riflettori su di lui, incluse quelle che, nell’immaginario collettivo, un investigatore della polizia, in una fumosa stanza di un commissariato, gli punterebbe contro quasi come una scena uscita direttamente da un libro di Simenon, il nostro Gilbert ne ha combinata un’altra delle sue. Nella partita dei suoi Wizard contro i 76ers, proprio a pochi giorni dalla vicenda incriminata, ‘Gib’ salutava i compagni di squadra, riuniti a cerchio, muovendo le dita delle propria mano come a premere un ideale grilletto e ‘sparare’ colpi di pistola. La conseguente mossa del Commissioner David Stern è tutta espressa nelle parole virgolettate poco sopra. «David Stern è la stessa persona che mi ha permesso di giocare il mio secondo All Star Game dopo che i tecnici mi avevano ignorato. Ha preso una decisione dura contro di me, ma io devo rispettarla». Lampi di maturità che fendono la mente del play 28enne. Richiamato dal gran capo della NBA, Arenas sembra, almeno per il momento, pentito del gesto o, quanto meno, sereno nell’accettare la sanzione. Poi, come un condannato che tenta di mitigare la pena, cerca la ‘buona condotta’ ed elimina il suo account su Twitter, il social network croce e delizia dei ‘ballers’ americani. Magari è solo apparenza o, magari, è il primo passo verso una ‘redenzione’ tanto attesa. Saranno solo le prossime puntate di questo avvincente giallo a svelarne la verità. Come si dice nelle più classiche serie televisive: “to be continued”.

Fonte foto: http://sportsblog.projo.com

Fonte foto: http://futureramblings.files.wordpress.com


18

IL PERSONAGGIO -1

S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S

DI

S TEFANO PANZA

Il ‘Barone’ di L A


S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S

19

Uno dei personaggi più bislacchi e carismatici dell’NBA è sicuramente Baron Davis. La sua carriera è stata caratterizzata da alti e bassi, da innumerevoli infortuni, da giocate sensazionali, da infinite sconfitte, ma siamo di fronte ad un giocatore tutto sommato ancora giovane, che ha ancora molto da regalarci. Dopo un’ottima carriera universitaria a UCLA, Davis fu scelto da Charlotte con la terza chiamata nel 1999. La sua annata da rookie fu modesta (quasi 6 punti a gara), ma i segnali del potenziale campione erano già evidenti. Dopo un anno di apprendistato il Barone diventa già protagonista e leader dei suoi Charlotte Hornets (prima quindi del trasferimento della franchigia in Louisiana) guidandoli da point-man titolare per tutte e 82 le gare sia nel secondo che nel terzo anno. Entrambe le stagioni si concludono con l’eliminazione al secondo turno dei playoff. Dalla stagione seguente, 2002-2003, la prima a New Orleans per lui e i suoi Hornets, iniziano i problemi fisici di Davis, che lo costringeranno a saltare una cinquantina di partite nelle successive due stagioni, culminate ancora con un’eliminazione prematura ai playoff. Inizia dunque a prender forma la sagoma del leader talentuoso con la classica etichetta di perdente. Per giunta, sfortunato, dato che i suoi problemi fisici non gli concedono tregua neanche una volta trasferito ai Warriors. Con la maglia di Golden State, infatti, soltanto nel 2007-2008 riesce a disputare una stagione intera senza infortuni, stagione che chiuderà con 21,8 punti di media, cifra inferiore soltanto ai 22,9 del 2003-2004, l’ultima annata in maglia Hornets. In California, a dispetto delle scelte di coach Nelson, è uno dei più vivi estimatori e tifosi di Marco Belinelli. In numerosi interviste, infatti, ne ha esaltato le doti. Nell’estate del 2008, però, la grande svolta: i Clippers fanno di tutto per portarlo a Los Angeles, e lui oppone ben poca resistenza. Finalmente si avvera dunque il suo sogno di tornare a giocare a nella città degli Angeli, città in cui ha ottenuto grandi successi e riconoscimenti a livello collegiale, ma soprattutto trova l’opportunità di giocare con il suo grande amico Elton Brand, fino a quel momento leader dei Clippers, con cui avrebbe composto sicuramente una coppia di altissimo livello. Tutto perfetto, dunque? Macchè. Proprio mentre Davis si accingeva a firmare il contratto con i Clippers, all’insaputa di tutti Brand si accordava con i 76ers, mossa di cui poi la dirigenza di Philadelphia

si è estremamente risentita per gli scarsi risultati tecnici dell’operazione. Per il Barone la delusione è enorme. I primi mesi di stagione dà veramente la sensazione di giocare svogliato, senza quel vigore che l’aveva caratterizzato negli anni precedenti. Certo, il livello medio dei Clippers e i continui infortuni suoi e dei suoi compagni non sono certo uno stimolo a dare di più. Fatto sta che nella stagione in cui i Lakers, gli odiati cugini, vincono l’anello, i poveri Clippers devono accontentarsi di un’altissima scelta in lotteria. Il fato poi vorrà che tale scelta in realtà non metta mai piede in capo quest’anno, dato che Blake Griffin si è infortunato in una gara di pre-season per tornare probabilmente solo nella prossima stagione. Tuttavia, stavolta, il Barone e i suoi compagni non si scoraggiano. Nonostante un pessimo inizio i Clippers si riprendono, e guidati da Davis e da un superbo Kaman riescono ad avvicinarsi alla zona playoff. Con la vittoria sui Nets il loro bilancio recita 18-22, che per la Western Conference significa ancora una volta lottery. Ma per Baron Davis, che gli ultimi giorni di regular season compirà 31 anni, questa può essere una grande occasione di riscatto. Guidare una squadra da sempre disastrata alla conquista della post-season può significare molto per lui, un ragazzo conosciuto più per il suo enorme talento forse inespresso, per i suoi scarsi risultati a livello professionistico e per le sue bizze caratteriali, che per ciò che compie fuori dal campo. Davis infatti detiene a suo nome innumerevoli fondazioni in favore della gente meno fortunata di lui. In NBA gli esempi positivi di questo tipo si sprecano, ma vogliamo ricordare e sottolineare il suo impegno nella solidarietà, perché un giocatore non sia ricordato soltanto per ciò che compie su un campo da basket ma anche per le sue doti umane. L’uragano Kathrina, come molti ricorderanno, scosse notevolmente anche il mondo NBA e Davis, anche per i suoi trascorsi a New Orleans, offrì sostanzioso contributo per la ricostruzione della città. Appena ne ha la possibilità, inoltre, si reca personalmente alle scuole e ai centri sportivi da lui sostenuti per parteciparvi di persona. Attualmente Davis naviga intorno ai 16,4 punti di media in questa stagione, esattamente in linea con le cifre complessive della sua carriera. Siamo lontani dai 22 punti di New Orleans, ma certamente stiamo parlando di un playmaker ancora in splendida forma, che solca i parquet NBA da dieci anni ma che ha ancora una lunga carriera dinanzi.

Dopo l’esperienza a Charlo tt e e qu ella n ella Bai a di O acklan d, la possi bi li tà di portare in alto gli sgang herati Clippers


S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S

20

A SPASSO NEL TEMPO... DI

V INCENZO D I G UIDA Mettete insieme questi ingredienti: una stagione da 50 partite, un coach geniale ma talmente ansioso che al confronto l’urlo di Munch sembra una barzelletta di Gino Bramieri, una superstar uomo-franchigia ormai alla frutta che s’infortuna al momento giusto, un campione dalle ginocchia di cristallo, un leader spirituale che predica bene ma razzola male (una decina di figli sparsi per gli States da altrettante donne), uno strangolatore di allenatori e avrete la più entusiasmante cavalcata alla finale per il titolo che la storia Nba ricordi. Ah dimenticavo, mettete anche due playmaker che messi insieme non valevano la metà di Rick Brunson, che per inciso il parquet non lo vedeva mai. Eccovi i New York Knickerbockers 1999. Manca una parte: il 1998. Nei mesi invernali del 1998 non si gioca, c’è il lockout. La serrata per dirlo nella lingua di Dante. Il lockout che ha fermato la Nba per tutta la prima parte della stagione 1998-99 è stato innescato perché i proprietari avevano un’opzione di uscita dal contratto collettivo (il CBA) nel caso in cui i salari dei giocatori avessero ecceduto una soglia dei redditi della Lega. Nel 1997-98 ai giocatori è andato, in stipendi complessivi, il 58% del BRI. I proprietari non volevano che i salari eccedessero il 53% del BRI ed hanno fatto valere la clausola d’uscita dal CBA. Nel nuovo contratto collettivo è stato determinato che a partire dalla stagione 2001-02 sarebbe entrata in vigore la Luxury Tax, tecnicamente definita come Escrow Tax, la cosiddetta “tassa di lusso” o “tassa sul lusso”. Fine della spiegazione, inizio della digressione sull’anno di grazia 1998. Stagione ridotta da 82 partite a 50. Niente Summer League, niente All Star Game. Accadono cose strane. I presagi negativi si manifestano con il draft nel quale viene scelto Michael Olowokandi al numero uno dagli immancabili Clippers. Ci sarebbero Nowitzki, Pierce, Jamison, Carter ma fa nulla. Tale Olowokandi farà una capatina a Bologna sponda Virtus. Spesato dopo poche (non entusiasmanti) partite. Per Ettore Messina non sa giocare. Il coach ci vede giusto e i fatti gli daranno ragione. Passo indietro. Giugno ’98, Michael Jordan ha appena dipinto l’affresco che consegnerà ai posteri: gara 6 della finale contro Utah. La dinastia dei Bulls è finita, Jerry Reinsdorf (proprietario) e Jerry Krause (gm) decidono di rifondare la squadra. C’è un vuoto di potere. A Ovest, Jazz, i Lakers di Shaq e del giovane Kobe, e gli Spurs si candidano. A Est è roba tra Pacers e Heat non si discute. New York? Squadra di perdenti. Ci vogliono dei vincenti, in primis in panchina. L’establishment della Lega muove una campagna per portare Phil Jackson nella “Grande Mela”, non tanto lontana da quella messa in piedi oggi per far arrivare LeBron James. Ma coach Zen è stanco, vuole l’anno sabbatico e si ritira nel suo ranch nel Montana. La guida dei Knicks resta a Jeff Van Gundy per il terzo anno di fila (dopo i sette da assistente). A New York la pressione è fortissima. Il più grande dei Van Gundy allena divinamente, ma è maniacale a dir

‘1999’ Lock-out e la corsa dei Knicks


S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S

21

Fonte foto: http://media.giantbomb.com

...OPMET LEN OSSAPS A

poco e ai giocatori piace il giusto. “Se continui così non arrivi a cinquant’anni”, gli dirà un giorno Peter Vecsey, la penna numero uno nel basket d’oltreoceano. Le eliminazioni consecutive ai playoff contro i Miami Heat del suo mentore/nemesi Pat Riley pesano sulla testa del coach sino a quel momento noto ai non addetti ai lavori come quello che nei play-off del 1998 contro gli Heat, tentò di fermare una rissa tra Alonzo Mourning e Larry Johnson, ma sfortunatamente i due proseguirono per la loro strada e Jeff rimase inesorabilmente aggrappato ad una gamba di Zo che lo trascinò per il campo di gioco. Van Gundy dovette ricorrere a due punti di sutura a causa di una ferita riportata sulla fronte, e subire (aspetto non secondario) l’eliminazione dai playoff, ancora una volta. Ma la vendetta è un piatto che va servito freddo. E andiamo al ’99. Parte la stagione che Phil Jackson definirà con l’asterisco. I blu - arancio si presentano con il seguente roster. Nella posizione di play abbiamo Charlie Ward, da tutti considerato più forte a Football che a basket, ma sceglie la palla a spicchi. C’ anche Chris Childs, forte ma non fortissimo diciamo così, e Rick Brunson, meglio di Childs ma arrivato in ritardo quando l’Altissimo distribuiva le capacità difensive. E nelle squadre di Van Gundy si difende. Le guardie sono decisamente di altro livello: Allan Houston, (se non lo avete visto giocare al suo meglio procuratevi qualche dvd ne vale la pena), enciclopedia del tiro sospensione, e sublime QI cestistico (sarebbe quello dalle ginocchia di cristallo). Latrell Sprewell, immenso talento, testa rivedibile. Passato dalla cronaca sportiva alla cronaca nera per aver tentato di strangolare (riuscendoci nei fatti) a Golden State il suo allenatore PJ Carlesimo, per “divergenze tattiche”. Perde la stagione ’98, ma per le regole Nba viene reintegrato in rosa nella successiva e immediatamente ceduto ai New York Knicks in cambio di John Starks e Chris Mills. Reparto ali affollato: Larry Johnson, ormai lontano parente dell’iperatleta visto a Charlotte, ma presenza fondamentale nello spogliatoio dei Knicks. Fuori dal campo, invece, da segnalare una repentina conversione all’Islam, e una decina di figli fuori dal matrimonio. Ben Davis, un figurante. Kurth Thomas, perno difensivo. Dennis “3D” Scott, bombardiere da tre punti, poco preciso da oltre l’arco (27%), molto propenso agli infortuni. Dulcis in fundo, tenetevi forte, David Wingate. Sì, proprio lui, quello che non giocava mai, si allenava meno, ma un posto lo trovava sempre grazie ai buoni uffici degli amici Gary Payton (per Seattle) e Pat Ewing (per NY). Nell’ultimo caso fate anche che Wingate e Ewing ai tempi avevano lo stesso dentista, oltre ad essere stati compagni al college, e troverete la ragione della presenza a roster dell’ex Georgetown. I centri: Patrick Ewing, l’uomo franchigia, Herb Williams per l’esperienza, Chris Dudley per la difesa e per abbassare le percentuali ai liberi…e Marcus Camby, arrivato da Toronto per dare nuova linfa alla front line newyorkese. Peccato che il


22

A SPASSO NEL TEMPO... sacrificato fu Charles Oakley, idolo dei tifosi che non la presero benissimo. E vai si parte. La squadra di Van Gundy diciamo così, non decolla. La difesa è la quarta della lega (85.4), l’attacco è il 27° per punti segnati (86.4). La palla in post a Ewing (17.3) paga relativi dividendi. Pat fa ancora canestro, ma la fluidità è un concetto estraneo al gioco dei Knicks, che per accontentare il loro uomo simbolo, mettono in secondo piano Allan Houston (16.3) e Latrell Sprewell (16.4) costretto a partire dalla panchina, perché il posto in ala è di Larry Johnson. Miami domina l’Est, New York arranca. Le critiche si fanno feroci. I potenti media newyorkesi vogliono la testa di Van Gundy. Il proprietario James Dolan ha pessimi rapporti con lo stesso Van Gundy, è durante l’anno prova più e più volte il viaggio nel Montana per convincere Jackson. Per la stagione in corso non se ne fa nulla. Ma nel nuovo millennio sarà Jackson l’allenatore dei Knicks. A quel punto Dolan decide di tenere Van Gundy, anche perché più del suo coach odia i giornali newyorkesi. New York chiude la stagione 27-23. Quarto posto nell’Atlantic, ottavo nell’Eastern Conference. Ai playoff per un pelo, ma il destino propone al primo turno i Miami Heat. Prima contro ottava. Upset? Accadde nel 1994, quando i Nuggets eliminarono i Sonics al primo turno. Si ripeterà? La storia ci dirà di sì. Iniziano i playoff, e NY cambia marcia. La serie contro gli odiati Heat e quanto di meglio possa capitare a quella squadra per ricompattarsi. Una mano la darà anche il destino. La serie è durissima e si va a gara -5. Si gioca a Miami. I Knicks mettono il fiato sul collo a Hardaway e Mourning. Miami conduce 77-76 a 19”dalla fine, ma il pallone è dei Knicks. Rimessa a metà campo, Sprewell riceve, prova a giocare a duo con Ewing, cerca Houston in uscita dal blocco, ma la difesa degli Heat è asfissiante. Palla quasi persa, ma il possesso è ancora di New York. Mancano 3.8 secondi, Houston esce da una serie di blocchi, riceve, due palleggi verso l’area, tiro in avvicinamento, primo ferro e canestro. “The Shot” stende Miami. Fine della maledizione, avanti con la cavalcata. I Knicks trovano l’illuminazione. Folgorati sulla via di Damasco anche i media celebrano Van Gundy e la sua squadra. La difesa diventa insuperabile, gli isolamenti in attacco per Sprewell e Houston da ripetitivi e noiosi, diventano efficaci. Ewing da perdente diventa saggio. Risultato? In semifinale di Conference si sweepano 4-0 gli Atlanta Hawks di Steve Smith, Dikembe Mutombo e Mookie Blaylock, tutti e tre giunti al capolinea nella città della Coca Cola e prossimi a cambiare indirizzo. La magia ricopre la Big City. Si sprecano i paragoni con la squadra del ’94, quella di Patrick Ewing, Charles Oakley, Jhon Starks, Anthony Mason. All’orizzonte non c’è nessun Hakeem “The Dream”Olajuwon, e questi Knicks sono più forti. Ma prima c’è la finale di Conference. Ancora lui, Reggie Miller, che nella lista “Nemici della città di New York”, va dritto nelle prime tre posizioni. E qui agisce il fato. Sfiga galattica, in gara -2 s’infortuna Pat Ewing. Addio playoff per “The Hoya Destroya”, e sogno al capolinea. Macché. Il famoso “culo” di Sacchi tanto in voga ai

S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S


S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S

23

Fonte foto: http://i.cdn.turner.com

...OPMET LEN OSSAPS A Mondiali di calcio di Usa ‘94 bacia Van Gundy. Al grido di “liberatelo”, il coach lancia in quintetto Marcus Camby. E’la svolta. Camby a rimbalzo, in aiuto, nelle stoppate, oscura letteralmente la vallata. In attacco siamo fermi a schiacciate e semi-gancio di destro, ma l’attività è impressionante. Si viaggia in doppia doppia di media nella serie (13.4 e 10.2 rimbalzi). Sul perimetro Houston e Spree sono troppo per Miller e Mullin. Reggie e i Pacers dovranno rimandare di un anno l’appuntamento con la finale Nba. New York ribalta di nuovo il pronostico e vince la serie 4-2. Si entra dritti nella storia. I Knicks sono la prima squadra nella storia Nba a raggiungere la finale partendo con l’ottava testa di serie. Non era mai successo. Non accadrà più. A ovest i San Antonio Spurs sbaragliano la concorrenza. Sono quelli delle “Twin Towers”, Tim Duncan – David Robinson. Tim il caraibico, è al suo secondo anno. I numeri non dicono tutta la verità ma raramente mentono: 23.2 punti e 11.5 rimbalzi nei playoff. L’aggettivo dominante non rende vagamente l’idea. Robinson “L’Ammiraglio”, è ormai giunto a destinazione, lascia il proscenio al suo delfino ritagliandosi un ruolo da secondo violino. In quintetto per gli Spurs, Sean Elliot in ala piccola, nel reparto dietro Avery Johnson (che meriterebbe un articolo a parte) e un newyorkese purosangue: Mario Elie. Dal pino texano escono: Steve Kerr, Antonio Daniels, Malik Rose, Jaren Jackson. Contro la contraerea nero-argento di Popovich, forse, quel tanto bistrattato Ewing un poco servirebbe. Anche perché i Knicks per strada perdono anche Larry Johnson, che giocherà poco, male e praticamente senza un ginocchio. Gli Spurs vincono gara -1 (8977), con 33 punti di Duncan, e 17 punti di Jaren Jackson, scheggia impazzita uscita dalla panchina. San Antonio domina gara -2 (80-67). Duncan (25+15), Robinson (16+11). Si cambia costa. Tutti al Madison Square Garden. New York in una partita indimenticabile fa ricorso a tutto il suo orgoglio. I 34 punti di Allan Houston illuminano il Garden come raramente si era visto dai tempi di “Black Jesus”, al secolo Earl Monroe. Spree contribuisce alla causa con 24 punti, un commovente Larry Johnson ne griffa 16. I Knicks vincono 89-81, la serie è riaperta. Si resta a NY per altre due partite. Gara -4 è il regno di Tim Duncan: 28 punti e 18 rimbalzi e tutti a casa (96-89). Il cuore della squadra di Van Gundy è immenso, ma purtroppo non basta. San Antonio chiude 4-1 al Madison, facendo sua gara -5 (7877). I punti di Timoteo sono 31, ma il tiro che vale il titolo lo mette Avery Johnson dall’angolo. A New York non bastano i 35 punti di un immenso Latrell Sprewell, che giocò un quarto periodo a livelli jordaneschi. San Antonio brinda al primo titolo, inaugurando una dinastia che a intervalli alterni dominerà la Nba per un decennio. I Knicks perdono la seconda finale in cinque anni. Quella finale raggiunta con un’impresa degna di film come “Quella sporca dozzina”, si trasformerà in una maledizione per i blu - arancio, ma questa è un’altra storia. Sono passati undici anni, e New York aspetta ancora il suo Messia. Che il 2010 sia l’anno buono?


S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S

24

The I tal i an Herita ge Ni gh t IL PARTITONE

DI

D OMENICO P EZZELLA

Quindici gennaio 2010. Una data che resterà impressa nella mente di tutti quelli che amano il basket a stelle e strisce, ma ancor di più se sono amanti di quel tocco tricolore che dal 2006 si sta inserendo all’interno dei toni bianchi, rossi e blu della bandiera americana. Una data che segna in qualche modo un pezzo di storia della Lega professionistica d’oltre oceano. Di solito quando di mezzo ci sono situazioni del genere c’è sempre un record di mezzo. Un qualcosa, un dato, un evento da ricordare e che verrà utilizzato come termine di paragone per gli anni avvenire, come per esempio l’arrivo a Toronto del Mago non come una sorte di capostipite viste le presenza passate di Rusconi ed Esposito (tra l’altro proprio ai Raptors che quindi da sempre è stata la franchigia più aperta al mercato e al movimento cestistico tricolore ndr), ma come primo della classe. Come la sera di due anni or sono quando da quel palco al Madison Squadre Garden David Stern ha pronunziato il nome di Danilo Gallinari alla corte della franchigia più famosa al mondo, oppure quando ancora qualche giro di calendario prima nella Baia di Auckland prima e in Canada poi è sbarcato il

TEAM STAT COMPARISON TORONTO @ NEW YORK

POINTS 112 104 FG 39- 73 ( . 534) 38- 86 ( . 442) 3P 12- 22 ( . 545) 11- 29 ( . 379) FT 22- 31 ( . 710) 17- 20 ( . 850) REB. 3-41 10- 42 ASSISTS 17 20 TURNOVERS 12 13 STEALS 4 5 BLOCKS 2 2 FASTBREAKP. 9 8 FOULS 18 ( 0/ 0) 20 (1/ 1) LARGEST LEAD 28 0

1 1 2 1 0 4 TORONTO NE W Y O R K talento di San Giovanni in Persiceto Marco Belinelli. Ma questa volta l’altezza dell’asticella è molto più alta persino di quella che potremmo definire come il primo atto dell’Italian Heritage Night. La notte dell’eredità italiana, giocata proprio lo scorso anno in una delle poche occasioni in cui al Madison il Gallo ha potuto sfidare il proprio compagno di nazionale Andrea Bargnani. Si doveva fare a turno per poter parlare di Bargnani contro Gallinari, di Gallinari contro Belinelli, oppure di Belinelli contro Bargnani e cosi via. Questa volta il palcoscenico della struttura della Big Apple è stato scenario di una ‘re-union’ davvero particolare. Tutti e tre assieme, tutti sullo stesso parquet, tutti di fronte alla stampa e al pubblico newyorkese che nel frattempo ha imparato ad amare e ad apprezzare il talento del milanese che se solo potesse farebbe ricordare quei fischi al momento della scelta di due anni fa, ma tanto lui lo sapeva che li avrebbe smentiti sul campo. Purtroppo il copione scritto alla perfezione da parte dello sceneggiatore supremo ha avuto qualche piccolo vuoto, visto che il ‘triangolo’ Made In Italy non si è mai concretamente completato. L’influenza e una condizione fisica non eccellente, infatti, ha impedito a Marco Belinelli di prendere parte alla vera festa, quella che dopo foto, autografi, abbracci e sorrisi di circostanza si è svolta sul parquet e che ha visto il The Magician e Danilo Gallinari suonarsele di santa ragione sempre dal punto di vista del gioco e con una palla a spicchi tra le mani. Insomma doveva essere Belinelli-BargnaniGallinari, ma alla fine è stato una sorta di ‘face to face’ tra l’ex Olimpia Milano e l’ex Benetton Treviso. Per un attimo c’è anche parso di rivedere qualche piccolo scontro in terra italica con maglie e colori differenti, visto che i due nel corso della sfida sono venuti a contatto per marcarsi l’un l’altro. Alla fine l’ultima parola l’ha avuta il romano, ma trevigiano di adozione cestistica che non solo si è portato a casa il confronto a distanza, ma anche il successo vendicando per un attimo il compagno di squadra costretto addirittura agli spogliatoi all’inizio del secondo tempo. ANDREA BARGNANI. Il periodo buio di dicembre sembra essere ormai solo ed esclusivamente un brutto ricordo. Oltre alle cifre tutte in rialzo (19.4 punti, 8.6 rimbalzi, 0.9 assist e 2.14 stoppate in 37.7 minuti di utilizzo) l’italiano da 55 milioni di dollari ha avuto anche il tempo di sentirsi recapitare, immediatamente dopo l’Italian Heritage Night di New York, i complimenti da parte di chi per anni è stato considerato

il metro di paragone dell’italiano della capitale, Dirk Nowiztki. «E’ molto più atletico di quanto potessi essere io alla sua età e con i suoi anni di Nba. Ha un rilascio e una meccanica di tiro molto veloce ed efficace, un primo passo che per la stazza e la mole di centimetri che si porta dietro fa davvero male agli avversari. Ormai non è più una sorpresa, è dall’inizio della stagione che è migliorato in tanti aspetti del suo gioco e i numeri personali ne sono la più nitida dimostrazione». Una sorta di investitura? La consegna del testimone del biondo tedesco nei confronti di colui che veramente può essere il suo erede in questa Lega? AI posteri l’ardua sentenza. DA N I L O G A L L I N A R I . Che l’italiano proveniente da Milano sarebbe stato un buon erede di quel numero otto che in maglia Knicks è sinonimo di Latrell Sprewell lo si era capito già qualche spezzone di partita della passata stagione. La prova del nove, però, il milanese che tanto per restare in tema di nickname, il Gallo, porta costantemente i capelli a forma di cresta, la sta dando in questo campionato. Un sophmore che praticamente è un rookie che gioca da veterano. Cosi poteremmo definire la stagione di Gallinari che nella Grande Mela ha dovuto fare un corso accelerato di egoismo cestistico per permettere ai suoi Knicks di poter pensare in maniera seria di poter lottare per i playoff. Le partite che hanno preceduto quella contro i Pistons di qualche giorno fa, dove la mano era un tantino congelata o forse la stanchezza iniziava a farsi sentire, il Gallo ha messo sul piatto della bilancia della sua stagione Nba anche un back to back da oltre venti punti. Due partite in fila da protagonista. Si parte dal match per cui sono nate tutte queste righe per poi arrivare a quella del giorno seguente contro i Detroit Pistons, in Michigan chiusa con altri 27 vani punti vista la sconfitta di New York. Ancora un passo in avanti per il milanese in attesa di capire se Gallinari possa essere definitivamente diverso dagli altri e abbattere addirittura il muro ‘Rookie Wall’ dal momento che le parentesi piccole e sparse per la sola prima parte di stagione, non possono certo essere definita una stagione. Carisma, sfacciataggine e mano fatata. Queste le armi che fino ad ora ha messo in campo dove però la provenienza cestistica o meglio l’educazione cestistica gli impedisce ancora di essere cosi arrogante da poter dominare ogni partita ed ogni singolo possesso. Ma per questo c’è tempo, per il momento ci si accontenta di poterlo considerare come la pietra miliare, insieme a Chandler, dei Knicks del futuro, poi si vedrà.


S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S

25

Ba rg na ni : «Un match im po r tan te pe r l’I ta li a»

Fonte foto: http://wegotgame.playitusa.com

HANNO DETTO...

«Anche il Gallo ha giocato alla grande. Credo sia stata una partita divertente per tutti gli italiani che l'hanno vista». «Prima di tutto devo far loro i complimenti», ha detto il coach dei Knicks, Mike D'Antoni, il quale ha giocato e allenato con la Benetton Treviso in Italia. «Hanno tirato alla grande e Bargnani ha disputato un primo tempo incredibile». «E' stata una partita molto importante per l'Italia, Sky ha trasmesso l'in- «E' stato fantastico perchè in Italia è il calcio ad essere sui titoli di tutti i contro in diretta», ha detto Bargnani, autore di un 5/6 dall'arco. «Tre gio- giornali, perciò è stato davvero importante: per una volta gli italiani si catori italiani (incluso Marco Belinelli, che però non ha giocato) hanno sono sentiti coinvolti e hanno guardato una partita NBA in TV», ha detto partecipato a una partita NBA. E' incredibile per il nostro Paese». Gallinari.


S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S

26

Sur vived: Monta Ellis IL PERSONAGGIO - 2

Fonte foto: http://bopcitypacific.com DI

G UGLIELMO B IFULCO

Domanda da 1 milione di dollari se ce n’è una: chi è attualmente il giocatore più sottovalutato della lega? La regular season fin qui vista non lascia scampo a dubbi: l’ ardua scelta non può non ricadere su uno tra Monta Ellis dei Golden State Warriors e Gerald Wallace degli Charlotte Bobcats, due giocatori che hanno sbarcato il lunario “against all odds” , contro lo scetticismo di tutti, addetti ai lavori inclusi, rei di averli fatti scivolare, nei rispettivi draft, al secondo giro. Sciolto questo dubbio ben poco amletico, diventa interessante dare uno sguardo più ravvicinato alla

guardia che sta incantando la Oracle Arena di Oakland, o almeno quella fetta di pochi fedeli alle sorti dei Warriors, che, nonostante le sconfitte routinarie di questi ultimi periodi, hanno comunque in casa un nuovo leader, Monta Ellis, appunto, sul quale vedere ricostruire dalle macerie attuali del vecchio roster un nuovo progetto. Tutto ebbe inizio il 26 ottobre del 1985, in quel di Jackson, Mississipi, giorno e luogo di nascita del numero 8 attuale dei Warriors. Monta Ellis, 1,91 m di altezza ( ad uno sguardo superficiale si direbbe anche qualcosina in meno, ma siamo pur sempre nella NBA ) per 80 kg di stazza, muove i suoi primi passi cestistici vicino casa, ossia presso la Lanier High School, Mississipi. Il fisico e la taglia sono quello che sono, eppure il giovane non tarda a richiamare le attenzioni su di sé grazie a prestazioni sovrumane che lo portano, nei primi 4 anni di militanza al liceo, a medie individuali che recitano 25,9 punti a partita con 4,9 assists, 5,2 rimbalzi e 3,1 rubate a partita, fino alla definitiva esplosione nell’ annata da senior,


S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S

nella quale mette a referto ben 38,4 punti, 6,8 assists, 7,9 rimbalzi e 4,5 rubate a partita: il tutto condito da prestazioni epiche quali i 42 punti segnati contro la Oak Hill Academy del futuro Hawk Josh Smith ( che rappresentano tra l’altro il record di punti segnati contro Oak Hill), o ancora i 42 punti segnati in faccia all’ attuale Sixer Louis Williams, all’epoca leader della South Gwinett High School: in entrambi i casi la disputa è avvenuta nella cornice surreale del Mississipi Coliseum, teatro spaziale di colui che in quegli anni rappresentava l’emblema dello Stato in cui giocava, e del quale fu eletto “ Mr. Basketball”. Come se non bastassero i consensi ricevuti in casa, ecco l’elezione di “player of the year” di tutti gli highschooler degli USA, in ex aequo con Greg Oden, uno definito all’epoca “the Next Big Thing”; sfruttando la popolarità sempre crescente, Monta, dopo aver flirtato con Mississipi State University, decide di compiere

27

il grande salto tra i pro, bypassando l’esperienza universitaria e dichiarandosi subito eleggibile per il draft 2005, nel quale viene scelto con il quarantesimo pick dai Warriors: assurdo pensare che il miglior prospetto liceale possa essere caduto cosi in basso quella notte di inizio estate al Madison Square Garden, ma l’NBA cercava di guardare oltre il talento puro del ragazzo, e notava giustamente la sua altezza inadeguata per un ruolo di guardia e la sua taglia slim al cospetto dei macisti medi che di norma avrebbe affrontato tra i pro; risultato dello scouting report: secondo giro. La “vendetta” del giovane Ellis non tarda, tuttavia, ad arrivare: dopo aver disputato un’ ottima summer league e un buon primo anno da rookie ( quasi 7 punti con 2,1 rimbalzi e 1,6 assist), il nativo di Jackson

Fonte foto: http://i.cdn.turner.com


S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S

28

mostra progressi imbarazzanti al secondo anno, durante il quale verrà eletto come Most Improved Player of the year ( prevarrà solo di 3 voti contro l’attuale King Kevin Martin) e nel quale darà spettacolo in occasione del Rookie Challenge, conducendo la squadra dei sophomore con 28 spettacolarissimi punti. La strada sembra in discesa libera, e a tutto questo si somma il fatto che i Golden State Warriors emergono come una delle sorprese della lega, interpreti degni del “run&gun” Nelsoniano; condotti da arcieri del calibro di Baron Davis, Stephen Jackson, Mickael Pietrus e Al Harrington e il nostro ME , i Warriors riescono a centrare la qualificazione ai playoff con l’ultima piazza disponibile, l’ottava, il che voleva dire affrontare al primo turno i Dallas Mavericks, inarrestabili in RS, di Dirk Nowitzki ,MVP uscente: in molti si chiedevano in quante partite avrebbe vinto Dallas, ma la realtà fu ben differente: il gioco veloce e apparentemente privo di logica e filo conduttore di Nelson sbaragliò i piani di Avery Johnson, e in 6 partite la testa di serie numero 1 dell’intera NBA fu letteralmente distrutta dall’armata di cecchini di Oakland. Ellis era parte integrante di quel progetto, sicuramente non il leader ( ruolo diviso tra il Barone e SJ), ma comunque forniva in misura apprezzabile il proprio contributo, pur essendo appena ventunenne, dalla panchina. A partire da quel giorno nulla fu più lo stesso per la franchigia californiana: arrivata l’eliminazione al secondo turno per mano degli Utah Jazz, Golden State va in contro ad un’impressionante involuzione che ha portato alla cessione progressiva di tutti i principali artefici della disfatta dei Mavs fino alla recente rinuncia a Jackson, spedito senza rancori in quel di Charlotte all’inizio di questa stagione. È in questo momento di appannamento generale che Ellis mostra le sue doti di leadership e la sua definitiva maturazione, esplodendo letteralmente dal punto di vista realizzativo e mostrando una varietà di solu-

zioni offensive fino a quel momento poco immaginabili: la stagione in corso parla chiaro, 26,1 punti con 5,3 assists e 4,2 rimblzi conditi da 2,2 steals a gara (secondo nella lega dopo Rajon Rondo): l’abilità nel battere il proprio uomo dal palleggio, l’incredibile gamma di movimenti da playground , vedi spin moves, crossovers e una miriade di varietà di movimenti in allontanamento o avvicinamento al ferro per concludere l’azione rappresentano gli emblemi di un arsenale offensivo ricco e variegato, che ha portato il prodotto del Mississipi a riscuotere consensi nella lega da ogni latitudine tracciata nella mappa che conta: per descriverne le gesta si sono scomodati ad esempio il coach dei Boston Celtics, Doc Rivers , che non ha tardato a definirlo come la cosa più simile all’Allen Iverson dominante di inizio millennio (col quale ha in comune anche la rimarchevole abilità di stealer), e Shaquille O’Neal, che lo ha bollato come la sesta miglior guardia della lega attualmente. Conscio dell’accresciuta popolarità e delle aumentate aspettative sul proprio conto il numero 8 dei Warriors non sembra certo volersi tirare indietro e di contro le sue dichiarazioni lasciano adito a pochi dubbi su quale sarà il suo ruolo nell’NBA e nei Warriors in questi anni a venire: «Il mio ruolo attuale è chiaro: sono il capitano e il leader di questa squadra, devo fungere da esempio per i miei compagni. Nella mia vita ho avuto ciò che volevo, sono pagato per giocare e farlo mi diverte tantissimo. So che la squadra sta attraversando una fase di transizione: giorni fa riguardavo dei video delle nostre esibizioni ai playoff (2007 ) e ancora non mi rendo capace di come sia stato possibile smantellare un gruppo cosi valido nel giro di cosi poco tempo: sembra che ieri ero in campo a giocarmi la qualificazione con i Mavs , mentre oggi navighiamo nelle acque basse della Western Conference, ma è proprio il ricordo di quella bellissima esperienza che mi spinge a lottare e allenarmi ogni giorno per poter ritornare a quegli standard competitivi».

I NUMERI STAGIONALI DI MONTA ELLIS


S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S

29

ROOKIE TIME

di

Fonte foto: http://www.madnessletters.com

Jonny Flynn

S TEFANO C OLAVECCHIA

La notte del Draft, appena chiamato dai Minnesota Timberwolves il playmaker dei desideri Rubio con la quinta scelta, chi si sarebbe aspettato di vedere immediatamente dopo la stessa franchigia scegliere Jonny Flynn? La chiamata consecutiva di due play da parte dei Wolves si è però dimostrata non solo una prudente scelta per coprire lo spot di Pg, visti i chiari di luna che già balenavano nella testolina irsuta di Ricard Rubio assai poco attratta dalla prospettiva di un inverno a Minneapolis, ma anche un investimento piuttosto azzeccato. Jonny William Flynn, che ha disputato l'ultima stagione di college con Syracuse, ha dimostrato di saper reggere con disinvoltura il palcoscenico della Nba. Ha ricevuto subito fiducia dallo staff dei Wolves sin dai primi convincenti esordi in Summer League, poi, con l'inizio della regular season Flynn (nato il 6 febbraio 1989, alto 183 centimetri per 84 chili; viaggia dopo 41 matches a 29 minuti, 13.9 punti, 4 assist a partita, 1.3 steal e 2.8 turnover) è sempre stato inserito da coach Kurt Rambis nello starting five di Minnesota. Quello che ha più impressionato di Flynn, al di là del bagaglio tecnico e della sua rapidità, è la personalità. Impressionante il debutto contro i New Jersey Nets, quando nell'ultimo quarto ha trascinato i suoi al successo mettendo a segno 13 punti pesantissimi negli ultimi dodici minuti di gioco. E poi la spettacolare gara di dicembre contro Utah, vinta dai Wolves per 110108. Sul 108 pari Flynn è chiamato a gestire l'ultimo pallone con 10 secondi da spendere sul cronometro. Sceglie di andare a giocarsela in isolamento contro Deron Williams - non esattamente l'ultimo arrivato nella Lega- e arriva puntuale, dopo una partenza bruciante, nel traffico, il canestro decisivo condito da un career-high da 28 punti. Insomma, sembra che la scelta di Rubio di restare a giocare in Spagna al Barcelona non abbia lasciato troppo scontenta la dirigenza di Minneapolis, che ha trovato in Flynn un play affidabile e di grande prospettiva, nonostante che i risultati della franchigia stentino ancora a risollevarsi.


S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S

30

SOPHOMORE

di

Fonte foto: http://ladiesdotdotdot.files.wordpress.com

Lo spagnolo volante: Rudy Fernandez

L ORENZO V ERNI

28 giugno 2007. Una data speciale per l’ex stella della Joventud Badalona. Dopo una breve ma inebriante carriera europea accompagnata dai successi con la Nazionale Spagnola ai mondiali e alle Olimpiadi, Rodolfo (o più comunemente “Rudy”) Fernandez è pronto per il grande salto. Semplicemente The League, l’NBA. I Suns lo scelgono alla 24, poi lo girano immediatamente a Portland. I Blazers pensavano di aver avuto già una discreta fortuna a quel draft. Con la prima scelta era arrivato Greg Oden , ovvero il massimo che si poteva ottenere da quell’annata di rookies (c’era sempre l’opzione Durant). Fernandez era indubbiamente una buona presa, ma le speranze della franchigia dell’Oregon erano tutte riposte sul big man di Ohio State. Coach Mc Millan nel frattempo si preoccupava di ricostruire internamente una squadra che negli anni passati aveva accumulato solo sconfitte e umiliazioni. Roy e Aldridge sono le due “stelline”, entrambi con alle spalle una sola annata nella lega . Tanto talento, ma ancora molta inesperienza. Rudy si inserisce perfettamente nel gruppo, lavora sodo e contribuisce con un enorme energia che ricorda molto il primo Ginobili a San Antonio. Senza troppa pubblicità Portland sembra aver trovato la giusta chimica e si appresta ad affrontare la nuova stagione con un atmosfera completamente differente rispetto al passato. Purtroppo arriva subito la prima delusione: Oden si infortuna al ginocchio nella gara d’esordio contro i Lakers. Stagione finita per lui, ma non per i Blazers. Anziché deprimersi per la perdita dell’ipotetico uomo franchigia, Roy e compagni trovano nuova linfa e diventano la sorpresa dei primi mesi di stagione regolare. Il primo a trarne vantaggio è proprio lo spagnolo che è riuscito ritagliarsi un discreto spazio venendo dalla panchina. La sua energia è contagiosa per i compagni e per il pubblico del Rose Garden. Uno contro uno che si lascia guardare, tiro da fuori in uscita dai blocchi e tante giocate sopra il ferro. Un mix interessante per una guardia di 198 centimetri. Esplosivo come pochi, anche a livello nba. Memorabile la sua schiacciata nella finale olimpica contro gli stessi Stati Uniti; un azione folgorante che ha messo in ridicolo persino un lungo stoppatore come Dwight Howard. In campionato lascia tutti a bocca aperta a tal


S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S

punto che verrà inserito nello Slam Dunk contest dell’All Star Game. Tra novembre e dicembre mette la firma su diversi successi dei Blazers. Coach Mc Millan e il suo staff sono sempre più entusiasti e quei paragoni con Manu Ginobili adesso sembrano sempre più azzeccati. Non un difensore puro, ma senza dubbio un ottimo recuperatore di palloni (attualmente detiene il record di squadra di “steals per game”), caratteristica, anche questa, molto simile all’argentino. Giunti al termine della stagione, le medie del numero 5 sono più che soddisfacenti: in 78 gare delle 82 totali 10.4 punti in 25 minuti, sempre uscendo dalla panchina. A dir poco sulla cresta dell’onda, Rudy e compagni chiudono la prima parte di stagione splendidamente e a Portland si sogna già un ritorno ai playoff. Purtroppo la western conference non è mai stata una passeggiata. Una decina di squadre lottano per le prime otto posizioni. I Lakers sembrano di un livello superiore, ma da li in poi è guerra aperta. Tutti roster estremamente competitivi, ricchi di giocatori esperti in grado di fare la differenza nei momenti caldi della stagione. Ciò nonostante i Blazers la spuntano con un quarto posto finale. un risultato che nessuno si sarebbe aspettato neanche con la presenza di Oden. I playoff finiranno subito con l’eliminazione al primo turno contro Houston, squadra decisamente più equipaggiata al clima da post season. Ma ciò che conta per Fernandez e i Blazers è che il primo grande passo è stato fatto. Adesso lo spagnolo è un giocatore NBA di buon livello e la sua squadra è cresciuta di pari passo. Sembra andare tutto a gonfie vele.

Fonte foto: http://blog.oregonlive.com

31

Troppo in alto troppo in fretta? Può essere. Spesso si dice che ciò che la fortuna ti da, prima o poi ti toglie. Potrebbe essere il caso di Rudy. Il suo secondo anno Nba non è certo iniziato nel migliore dei modi. Un infortunio lo ha subito bloccato ad inizio stagione; poi un lieve recupero e il rientro in squadra con il minutaggio in netto calo e un ruolo decisamente più a margine rispetto al passato. I guai fisici però non sembrano ancora superati, anzi, bisogna tornare sotto i ferri per sistemare la schiena sempre più malconcia. Data di rientro da stabilire, ma sicuramente non prima di fine gennaio. Non sarà facile rientrare in una rotazione che, nella posizione di guardia/play può contare su Roy, Andre Miller (nuovo arrivato dal mercato estivo) ,Steve Blake e la sorpresa Bayless. Tutti giocatori di talento (Roy sopra a tutti) che richiedono un discreto minutaggio e un elevato coinvolgimento in attacco. Proprio Bayless, in teoria l’ultimo di questa lista, è letteralmente esploso in questi primi mesi di stagione, sostituendo il ruolo di sesto uomo che era di Rudy nella passata stagione. Mc Millan avrà il suo da fare quando rientrerà anche il nativo di Palma de Mallorca. Fin ora si è dimostrato abilissimo a trovare nuove risorse sopperendo all’assenze dei suoi giocatori chiave, ma non è detto che, una volta rientrati tutti dai vari acciacchi, riesca a ricreare la giusta chimica di squadra senza sacrificare eccessivamente nessuno. Siamo sicuri che il talento di Rudy non verrà dimenticato o messo in disparte. Col tempo e con pazienza potrà tornare a garantire minuti di qualità e quantità.


S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S

32

L’EVENTO DI

DAVIDE M AMONE L’NBA è molto più delle 3 paroline che ogni lettera rappresenta. Riguarda il basket a stelle e strisce principalmente, ovvio, ma non solo; l’obiettivo di Stern e di tutta la Lega è quello di ampliare le proprie diramazioni in tutto il mondo, in tutte le leghe; per migliorarle ed essere migliorati da esse, per trasmettere cultura e mentalità nuove, diverse, alternative. Con questo concetto, con questa base di partenza, negli anni sono stati creati parecchi eventi di rilievo internazionale. I primi che vengono in mente possono essere, ad esempio, l’NBA Europe Live Tour, ovvero l’organizzazione di match amichevoli tra squadre NBA e squadre europee; l’NBA China Tour, che ha portato franchigie a giocare nel continente Asiatico match di pre-season, in settembre; andando più sul “tecnico”, il servizio di International League Pass, che permette a tutti gli appassionati d’Europa e non solo, di seguire le partite di tutte le 30 squadre della Lega in streaming, sul proprio computer, spendendo una cifra annuale poco elevata, tramite carta di credito. L’ultima di queste idee, è stata sicuramente quella di voler aumentare la propria espansione territoriale in altri Paesi, in particolare in India. «Cosa può c’entrare un Paese come questo con il ricco mondo NBA?», vi chiederete voi. Beh, la risposta risulta meno immediata della domanda. E’ chiaro che la povertà non dà grosse possibilità ai vari appassionati del posto di continuare a coltivare il proprio talento, visto che a 10-12 anni, in quei luoghi, il problema è come mettere su un pranzo e una cena, non come imparare a tirare i liberi o a fare correttamente il terzo tempo. Ci sono altre necessità, altri pensieri, altro tipo di cultura. Nonostante ciò, però, va detto che gli Indiani sono molto, molto appassionati di basket e vedono in questo sport, oltre che nelle stelle USA un modello da seguire ed inseguire, per continuare a sognare. A prova di ciò, potrei ricordare la numerosa quantità di Cinesi, Indiani, ma anche Filippini che si possono vedere nei principali campetti da Playground di città come Milano, per fare un esempio nella terra nostrana, con le canotte NBA addosso. Stern dunque, assieme alle sue centinaia di collaboratori, essendo sempre attento all’evoluzione dei vari mercati esteri, ha notato come questo sport, in India sia in costante crescita e ha visto come la passione stia coinvolgendo sempre più persone. L’idea di espandere i propri “tentacoli” anche in India, fu maturata già qualche anno fa; non a caso, Kevin Garnett, nell’estate del 2006 fu “inviato” dall’NBA, supportata dal marchio Adidas, nelle principali zone dell’India per fare un tour generale, per insegnare i fondamenti del gioco ai piccoli che si affacciavano alla realtà cestistica e per fare anche un po’ di “Cares”, carità, tanto ipocrita, quanto amata dalla Lega e da Stern stesso. Il progetto funzionò benone; l’entusiasmo delle persone, dei ragazzi, dei bambini Indiani avvolse in un caloroso abbraccio Garnett e tutti gli organizzatori dell’evento. Vista la buona riuscita del tour 2006, fu organizzata un’altra “spedizione”, i cui protagonisti, stavolta, furono Ronny Turiaf, Dominique Wilkins, Sam Perkins, Pat Garrity e Linton Johnson. L’obiettivo? Quello di promuovere il basket visto non solo come sport, ma anche come mezzo di unione e solidarietà tra giovani e motivo di crescita; il tutto all’interno della gestione di un Camp, allestito nelle vicinanze di Nuova Dehli. Ed oggi, eccoci qui. Il progetto attuale di Stern è quello di disputare partite anche lì, in estate, così com’è già stato fatto in Cina e in Europa; sarebbe il modo ideale per dare ancora più forza al potere dell’NBA da “esportazione”, oltre che un modo per rendere comunque felici tante persone e innumerevoli appassionati. Direttamente collegato a questa volontà di compiere un “NBA India Live Tour”, c’è sicuramente il lavoro che si sta compiendo dal punto di vista multimediale, in modo da rendere maggiormente visibile l’NBA, anche a distanza. Stiamo parlando della creazione del sito www.nba.com/India, una versione meno ampliata del sito ufficiale

La Nba pronta a sbarcare in India

della Lega; cliccando su questo sito, le persone che ci andranno avranno la possibilità di trovare highlights e approfondimenti online, oltre che le regole-base dell’NBA e della Pallacanestro in genere. Da evidenziare un’interessante rubrica; Basketball 101. Si tratta della spiegazione di 101 “punti” della Lega a stelle e strisce, per quanto concerne particolari modi dire e particolari aspetti del regolamento, ad esempio. A tutto questo, poi, possiamo aggiungere i blog tenuti da giocatori come Steve Nash, leggibili a tutti coloro che navigheranno sul sito, oltre che l’aggiornamento live, dell’andamento di tutte le partite della notte. Infine, cosa forse più importante, il collegamento al link del sito ufficiale del basket Indiano; cliccandoci, i giovani hanno la possibilità di affacciarsi con più facilità alla propria realtà cestistica, scoprendo il modo in cui è organizzato il proprio Paese e, in particolare, la zona più vicina a quella della propria ubicazione. Insomma, si tratta di uno grandioso modo di acculturare cestisticamente un Paese attualmente povero e per avvicinare al basket tante persone curiose. Il sito dovrà essere un mezzo nuovo ed innovativo per poter permettere l’ampliamento delle conoscenze di chi è già appassionato, ma che ancora non ha trovato uno spazio dove esprimere la propria passione; e, allo stesso tempo, ovviamente, uno strumento adatto per attirare coloro i quali non sono, attualmente, interessati. Dopo l’Europa, attratta dall’universo NBA già da qualche decennio e la Cina, Stern sta cercando di coinvolgere anche Paesi come l’India che, attraverso questo tipo di iniziative possono contribuire alla crescita collettiva e globale della NBA e, più in generale, di uno sport che ha solamente bisogno di spunti e di costanti novità per ritagliarsi sempre più spazio.


S TAR S ‘N’ STR I PES

33

Y Yo ou u c ca an n’’tt c c m me e

LA RUBRICA

A LESSANDRO

PAOLI

tica. Ha deciso, infatti, di partecipare alla ‘corsa’ in casa Repubblicani alla candidatura per la carica di Governatore dell’Oregon. I suoi seguaci si auguraD UD L E Y F O R P R ES I D E N T no, di certo, che le sue abilità di statista siano maggiori rispetto a quelle di tiratore di liberi. Insomma, Ricordate Chris Dudley? Ex giocatore NBA, New Bill Bradley, storico giocatore dei Knicks e, poi brilYork Knicks e Portlad Trail Blazers, le sue principa- lante politico, ha tracciato la strada. li squadre, ha deciso di scendere in campo. Non, Obama ha un passato in canotta, en noto a tutti. questa volta i parquet della NBA non c’entrano. L’ex Dudley ci prova. Yes Chris Can. Standford University è interessato alla carriera poliDELLI

DI


34

S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S

LA RUBRICA NEL NOME DEL PADRE La storia per una sceneggiatura di un film c’è già ed è piuttosto corposa. Non sappiamo, però, quanto adatto sarebbe al ruolo di Shaq il grande Daniel Day Lewis. L’intreccio tra sport e sesso, in questo momento negli States, è vivo più che mai. Ad occupare i titoli dei giornali è il grande golfista Tiger Woods, addirittura ricoverato in una clinica del sesso per risolvere i suoi problemi divenuti di pubblico dominio. Meno gravi, ma sostanzialmente legati alla stesa tematica, sono quelli del ‘Diesel’ più famoso d’America. O’Neal è stato accusato, passateci il termine poco adatto, di paternità. La signorina in questione è tale Vanessa Lopez che, assistita dal suo legale, ha raccontato la sua vicenda personale legata a quella del quattro volte campione NBA. Mrs. Lopez ha riferito di aver conosciuto Shaq nel lontano 2005, all’esterno di un club. Lui le avrebbe offerto da bere,

le avrebbe dichiarato di vivere un ‘matrimonio libero’ e, da cosa nasce cosa. Che nasca anche un bambino? Così pare, in effetti. “Nel settembre 2009 la signorina Lopez si rese conto della probabile gravidanza. L’avrebbe comunicato al signor O’Neal, il quale, nonostante sapesse di aver avuto con la donna vari rapporti sessuali non protetti nei mesi precedenti e che lei non avesse altri partner in quel periodo, affermò che il bambino non poteva essere suo”. Queste le parole dell’avvocato della Lopez. La signorina ha infine aggiunto di aver paura di O’Neal sin dal giorno in cui gli annunciò la gravidanza: “Da allora, la mia vita è cambiata per quello che ho dovuto sopportare. Voglio solo che questa storia finisca e sentirmi di nuovo sicura”. Solo il tempo ci potrà dire se sia vera la storia della signora Lopez. Nel frattempo, ce ne faremo una ragione e ci godremo gli ultimi ‘colpi’, in campo sia chiaro, di un grande campione che ha scritto pagine importanti della storia del basket.


S TAR S ‘N’ STR I PES

35

LA RUBRICA LA GUERRA

D EL

R O S E G A R D EN

Oregon al centro di questo numero della nostra rubrica. Parafrasando il celebre film “la guerra dei Roses”, vi raccontiamo dell’alterco di cui si sono resi protagonisti il coach dei Blazers, Nate McMillan e il suo play, Andre Miller. Tutto ha inizio a Memphis. A 4 secondi e 3 decimi dalla fine del match contro i Grizzlies e sotto di due, il coach ordina a Bayless di sbagliare il secon-

do libero. Di parere opposto Miller. Risultato? Partita persa e mezz’ora di ordinaria follia da parte dei due nel violento faccia a faccia con insulti volanti nell’allenamento successivo. A chiosare il tutto il GM Kevin Pritchard: “Sono favorevole al dialogo aperto e onesto, penso sia sempre la cosa migliore, è salutare. In ogni squadra i giocatori possono dire quello che pensano, è normale. La questione è se questo può migliorarci. Spero di sì”. Mettete dei fiori nei vostri cannoni.


36

S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S

NBA NEWS

Shawne Williams ancora nei guai Shawne Williams, ala scelta con il 17o pick al draft 2006 dagli Indiana Pacers , deve aver preso male il taglio di cui è stato “vittima” nei giorni scorsi da parte dei New Jersey Nets subito dopo essere stato scambiato assieme a Kris Humphries ( in cambio di Eduardo Najera) alla franchigia che sarà , in tempi brevi,di Prokhorov. Ricevuta l’informazione, il giovane rimasto ai margini dei Dallas Mavericks nell’ultima stagione, ha cercato di consolarsi in modo “alternativo” , facendosi beccare da agenti di polizia in possesso di sostanze stupefacenti (sciroppi a base di codeina) destinate a spaccio, vendita, e produzione: chiaro e ovvio che verranno presi i provvedimenti necessari. Ricordiamo tra l’altro le recidive di Williams, che già negli scorsi anni ai Pacers aveva avuto problemi di vario tipo, partendo da ripetute assenze ingiustificate a partite e allenamenti, fino ad arrivare ad accuse di concorso per omicidio.

Il calvario di Michael Redd non ha ancora una fine

Fonte foto: http://www.nakednews.it

Il mondo, si sa, è pieno di luoghi comuni e detti; uno di quelli più ricorrenti sarebbe “la fortuna è bendata, ma la sfortuna ci vede benissimo”; sembra una frase detta cosi tanto per dire, ma andando a osservare le peripezie trascorse da Michael Redd negli ultimi anni troviamo un triste e veritiero riscontro nella realtà. La guardia dei Milwaukee Bucks, già nelle scorse stagioni vittima di infortuni gravi che ne hanno fortemente limitato il rendimento (non dimentichiamo che Redd è pur sempre no dei membri di team USA versione Redemption), nel corso di un match perso dai suoi Bucks contro i Lakers domenica 10 gennaio,in entrata contro Bryant e Bynum, nel tentativo di eseguire una finta su un tiro, ha riportato un ennesimo brutto infortunio che ha anticipato di gran lunga rispetto al previsto la sua offseason, visto che dovrà rimanere ai box fino alla stagione prossima. Stessa sorte occorsa tra l’altro ad altri 2 nomi molto attesi in questa stagione,prima Greg Oden e più recentemente la prima scelta assoluta del draft Blake Griffin.

EDV N H W W D Q G R L W QHZV L PPDJL QL FXU L RVL W j W XW W R TXHO O R FKH QRQ W L DVSHW W L GDO PRQGR GHO O D SDO O D D VSL FFKL


S TAR S ‘N’ STR I PES

37

G UGLIELMO B IFULCO DI

NBA RUMORS

Ecco la rivoluzione dei Wizards Dovevano essere la sorpresa della stagione, dovevano rinascere dal torpore delle ultime 2 digraziate annate, costellate da infortuni in sequenza impressionanti; ma non è andata cosi. Le ambizioni della squadra capitolina hanno subito una brusca virata da quando è scoppiato il caso Arenas; non che i risultati stessero dando ragione alla causa Wizards, ma il grottesco caso incorso ad Agent Zero sta inducendo il management dei “Maghi” a rivisitare i progetti sulla rinascita del team; la situazione attualmente, e in prospettiva, a rischio del numero 0 dei Wizards, che probabilmente si concluderà con lo scioglimento del contratto dello stesso ( i Knicks già hanno bussato a casa di Gilbertone, tra l’altro, in attesa di sviluppi), con la benedizione di David Stern, può portare ad una serie di movimenti di mercato a catena, finalizzati a liberare il cap capitolino e quindi a rinunciare a nomi di spicco del roster di Washington partendo da Antawn Jamison (da tempo sul taccuino dei Cleveland Cavs), fino ad arrivare a Caron Butler, da molti accostato alla causa dei Dallas Mavericks, per ripartire da zero con un nuovo progetto e nuovi uomini.

Toronto-Bosh, un legame al capolino? ideato da:

Stars ‘N’ Stripes

scritto da:

Domenico Pezzella

Alessandro delli Paoli

Leandra Ricciardi

Nicola Argenziano Nicolò Fiumi

Domenico Landolfo

Stefano Panza

Vincenzo Di Guida Guglielmo Bifulco

Stefano Calovecchia info, contatti e collaborazioni:

Davide Mamone

domenicopezzella@hotmail.it

Sembra veramente arrivata agli sgoccioli l’esperienza Canadese nella NBA di Chris Bosh, notoriamente uno dei free agent più ambiti della prossima estate; consci del fatto che l’ala sicuramente non rifirmerà per i Raptors, Gherardini e Colangelo, sembrano essere intenzionati a disfarsi quanto più rapidamente possibile del numero 1 nelle doppie doppie stagionali, al fine di non perderlo per nulla in cambio il prossimo luglio; ecco dunque che si aprono tutti gli spiragli possibili per CB4; le destinazioni più probabili attualmente sembrano gli Houston Rockets, che potrebbero recapitare Scola e Landry in Canada, i Dallas Mavericks (che hanno, tuttavia, ben poco da offrire), e gli Oklahoma City Thunder, che metterebbero sul piatto Jeff Green e altri giocatori pur di assicurarsi le prestazioni di Bosh e proiettarsi già da quest’anno nell’elite NBA. Poco attendibile invece il rumor che vorrebbe i Lakers disposti a cedere Bynum, Farmar e Morrison per l’attuale capitano di Toronto.


S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S

38

NBA STANDING ATLANTICDIVISION

SOUTHWEST DIVISION

CENTRAL DIVISION

NORTHWEST DIVISION

SOUTHEAST DIVISION

PACIFIC DIVISION


S T A R S ‘ N’ S T R IP E S

39

EASTERN CONFERENCE

PLAYER

WESTERN CONFERENCE

NBA STATS

SCORES

PG PLAYER

REBOUNDS

REBOUNDS

PLAYER

ASSISTS

ASSIST


La lente di ingrandimento di Stars N Stripes sulla LegaA

Kennedy Winston

L a R u b r i ca . . .

L a R u b r ic a . . .

Lega A Up&DOw n


M A DE I N I T A LY

41

K-Winston l’ottavo ‘Re di Roma’... o quasi... MADE IN ITALY -1 IL PERSONAGGIO

DI

D OMENICO L ANDOLFO

Cestista estroso, professionale e ragioniere, Kennedy Lawrence Winston, nasce in un piccolo centro dell'Alabama nel 1984, con la pallacanestro nelle vene e un sogno da realizzare. Uscito con più pareri negativi che positivi dalla Mattie T. Blount High School, finisce nel College di Alabama Crimson dove cresce e rimane per ben 4 stagioni, dal 2002 al 2005. Non essendo tra i papabili draftabili sui taccuini degli scout Nba, il giovane Kennedy decide di trasferirsi dall'altra parte dell'oceano, e decide fin da subito di cimentarsi con un campionato ostico, come la lega Acb in Spagna. Al Gran Canaria parte fortissimo, con ottime percentuali al tiro, ottima visione di gioco e grande duttilità in campo negli spot di guardia e ala piccola. Porta la sua squadra ai playoff, poi però l'anno dopo riceve un'offerta irrinunciabile dal Panionios dove vi si trasferisce. Il suo gioco talento e le sue performances aumentano, e gli valgono la chiamata da parte del Panathinaikos, con cui inizia a anche a giocare in Eurolega. Qui però la sua carriera inizia una fase in salita. Le aspettative sul suo nome sono tante e molte volte il campo tradisce il giovane cec-

chino, che tra Ankara e Madrid cerca una continuità e una stabilità che ormai non gli appartengono piu'. Questa estate, invece, arriva la chiamata di Roma, che punta su di lui ma non inserendolo in un contesto in cui debba essere voce solista, ma creando attorno a lui un gruppo in cui Winston possa ambientarsi e crearsi gli spazi. L'ambientamento fa paura. Fin dalla prima gara sempre doppia cifra, sempre grande gioco, sempre eccellenti prestazioni. Delle dodici gare da lui disputate solo in una circostanza non va in doppia cifra, contro la Mens sana quando però il suo utilizzo in campo è stato ridotto. Da lui arrivano punti, rimbalzi e assist e nonchè una grande sostanza in quel lavoro oscuro che non sporca il foglio, un grande acquisto per la Lottomatica e per il campionato italiano. E chissà che finalmente la città romana non abbia trovato il suo punto fermo, in un giocatore estroso, estroverso, e che sa il fatto tuo. Roma e il suo "politico", come dice il nome: la grande saggezza e visione di Kennedy, e la grande risolutezza e decisione di Winston(Churchill); che voglia partire una rivoluzione?


42

M A DE I N IT A LY

LA RUBRICA

Lega A Up

& Down


M A D E I N IT A L Y

43

DI

A LAIN LAIN PARENTE ARENTE


44

L A V R I N O V I C – Estrapolare dal contesto Siena un unico giocatore decisivo, può apparire quasi un affronto per gli altri, è però sotto gli occhi di tutti, l’apporto che sta dando questo lungo lituano di 2.10. Soprattutto negli ultimi mesi, è tutt’altro che raro vederlo uscire dalla panchina nel secondo quarto e spaccare in due la partita, che si tratti di campionato, piuttosto che di Eurolega. In soli 21 minuti medi di utilizzo, riesce ad accumulare cifre scintillanti: 15.6 punti con il 63% da 3 e il 52% da 3, 4.4 rimbalzi e 2 recuperi, per un totale in valutazione di 19.5. Completandosi a meraviglia sia con Eze che con Stonerook, Lavrinovic rappresenta sicuramente il miglior sesto uomo del campionato. ARADORI – Per il giovane talento bresciano, sembra essere arrivato l’anno della definitiva consacrazione. Dopo le premature esperienze con Milano e Roma, a Biella ha trovato la giusta dimensione e dopo aver chiuso in crescendo gli scorsi play off, quest’anno si sta decisamente imponendo come miglior italiano del torneo. Il ‘gemello’ di Gallinari, affiancato in estate da un veterano come Soragna, si è guadagnato il posto in quintetto a suon di canestri. Sta viaggiando a 18 punti di media (3° in classifica), con il 47% da 3 (4°) e una valutazione pari a 21.1 (2°). Dotato di grandi qualità balistiche e della giusta dose di sfacciataggine, Aradori è sicuramente destinata a palcoscenici superiori e magari tra qualche anno,

M A DE I N IT A LY

potrebbe anche affermarsi come specialista, al di là dell’oceano. ERE – Nella Juvecaserta, che sta sorprendendo tutti con il suo gioco spumeggiante e la capacità di trovare un protagonista diverso ad ogni partita, risulta essere alquanto difficoltoso trovare un singolo da segnalare a scapito degli altri. Sicuramente il meno conosciuto e in tal senso il più sorprendente, è però Ebi Ere. Arrivato all’ombra della Reggia con la nomea di grande bomber, questa guardia – ala di origini nigeriane si sta mettendo in mostra non solo in fase offensiva, ma anche nella propria metà campo. Sta segnando 15.4 punti di media, con ottime percentuali (51% da 3 e 40% da 2) ed inoltre, grazie alla sua possente struttura fisica, tira giù 4.2 rimbalzi, occupandosi tra l’altro in fase difensiva, dell’attaccante avversario più pericoloso. WILLIAMS – Dopo aver investito parecchio in estate, per ricomporre l’accoppiata vincente, Green – Williams, Pesaro si era subito vista privata (causa problemi di salute) del suo totem. Partita in maniera disastrosa (08), la Scavolini ha iniziato ad ingranare proprio con il rientro a pieno ritmo, del suo pivot di 130 kg. Dominante come ai vecchi tempi, Williams ha finalmente dato una dimensione interna alla squadra, trascinandola verso la risalita (4-1 nelle ultime 5). Grazie anche alla perfetta sintonia con Green, il pivot ex Avellino sta fatturando per 16.2 punti con il 68% da 2 (2°), 8.7 rimbalzi (3°) ed una valutazione pari a 21.7 (1°). MAZZARINO – Giunto alla quinta stagione in brianza, il ‘cardinale’, resta l’uomo simbolo della compagine canturina. Che parta in quintetto o dalla panchina è indifferente, Mazzarino resta uno dei giocatori più continui e affidabili dell’intero campionato. In questo primo scorcio di campionato, ha addirittura raddoppiato le cifre della scorsa stagione, passando da 8 a 15.6 punti di media e da 1.5 a 3 assist; l’unica dato in discesa, è quello della percentuale da 3 (39.5%). Nonostante i limiti di natura fisica e atletica, Mazzarino grazie a grinta e talento, è l’autentico baluardo di questa arrembante Cantù, sorprendentemente 4° in classifica.


M A D E I N IT A L Y

HACKETT – L’età è dalla sua, ma sicuramente l’esterno bianco verde, sta tradendo le enormi aspettative riposte su di lui dalla Benetton in estate. Uscito dall’Università di Southern California e ignorato al Draft, il figlio di Rudy è stato immediatamente precettato da Treviso, che intendeva farne il proprio play titolare. Probabilmente ancora acerbo, Hackett sta trovando grandi difficoltà nel tenere in mano la squadra e la retrocessione a cambio di Kus (non esattamente un play), ne è la dimostrazione. Le cifre parlano di 5.2 punti e 2.2 assist, con uno scadente 25% dai 6.25. MACIULIS – Arrivato in estate tra gli squilli di trombe, in compagnia del connazionale Petravicius, Jonas Maciulis sta fin qui disputando una stagione molto al di sotto delle aspettative. Penalizzato tra l’altro, dalla scelta di Milano di acquistare tre elementi per lo stesso ruolo, nelle ultime partite, il lituano sta vedendo il suo minutaggio notevolmente ridotto, a favore del grintoso e operaio Viggiano. Rispetto all’ultima stagione in patria, Maciulis ha dimezzato il proprio fatturato in punti (7.9), perde 2.6 palle (a fronte di 1.7 recuperi) e nonostante le buone percentuali al tiro, si dimostra una sorta di pesce fuor d’acqua, all’interno delle geometrie di coach Bucchi. JAABER – Guardare le statistiche per giudicare la stagione fin qui disputata da questo giocatore, sarebbe un errore gravissimo. Le cifre, più o meno in linea con quelle dello scorso anno, nascondono infatti la realtà di un giocatore irriconoscibile, specie negli ultimi tempi. È svogliato, gioca senza fiducia e spesso risulta anche alquanto irritante. Dopo le ottime stagioni passate, nelle quali aveva dimostrato di saper essere decisivo sia con la palla in mano, sia nella fase difensiva, in questo scorcio di campionato, ha totalmente smentito chi (Gentile), lo voleva come nuovo leader di questa Lottomatica. Dalla sconfitta rocambolesca con il Maccabi, nella quale Jaaber ha fallito per due volte i tiri vittoria, il naturalizzato bulgaro, manda puntualmente in campo la proprio controfigura. D . J O N E S – Il suo breve passaggio in Italia, non resterà sicuramente negli annali del basket (come del resto la vergognosa stagione della Martos Napoli). Sta di fatto, che dopo essersi presentato in sala stampa, come miglior tiratore da 3 del mondo, non ha mai inciso veramente, come era lecito aspettarsi. 8 stagioni in Nba, sono risultate essere totalmente vane, quando gli è stato chiesto di diventare leader offensivo ed emotivo, di questa squadra. Alla fine, nonostante le oggettive problematiche, le sue cifre, parlano di un ragazzo che tirando 12.5 volte per gara, non è andato oltre i 13.3 punti di media e il 37% da 3 (e meno male che era il miglior triplista al mondo!!!). HIT E – Nei piani della Sutor, Hite sarebbe dovuto essere il leader offensivo, di una squadra costruita invece per vincere le partite a partire da una difesa forte. Intenzione rimasta solo teorica, visto che nelle 10 partite disputate, Hite non ha quasi mai inciso come ci aspettava ed ora, è addirittura finito ai margini della squadra, in attesa di altra sistemazione. Descritto come un giocatore dotato di grande talento, la guardia mancina ha realtà mostrato preoccupanti alti e bassi, anche all’interno di ogni singola gara. Le cifre parlano di 9.3 punti e il 49% da due, ma il misero 7.5 in valutazione, lascia intendere la mancanza di incisività in ogni fase del gioco.

45



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.