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RACE ‘4’ MVP
I numeri, i pro ed i contro dei contendenti al titolo di Most Valeable Player
L’EVENTO W EL CO M E B ACK T- MA C
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L’ANALISI L ’ESTATE DEL 2010
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LA RUBRICA -
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Kobe-Lebron, la sfida infinita ma occhio a d A n t h o n y. . . FOCUS
DI
N ICOLÒ F IUMI
La boa di metà campionato è ormai passata, così come la pausa per l’All Star Game. Tutte le squadre hanno già mandato in archivio più di 50 gare, e anche la trade deadline è passata da qualche giorno. E’ quindi un buon momento per andare a fare due conti e cercare di anticipare chi potrebbe mettersi in tasca il titolo di MVP della Lega per la stagione 2009/2010. LeBron James al momento sembra avere tutte le carte in regola per fare il bis, ma la falsa (ri)partenza dei Cavs dopo la 3 giorni texana potrebbe mettere qualche granellino di sabbia nel perfetto ingranaggio che era sembrato Cleveland fino a questo momento. Favorendo così la rimonta per il trofeo di Kobe Bryant, Carmelo Anthony, Dirk Nowitzki o Kevin Durant. Al momento, comunque, i favori del pronostico rimangono per The Chosen One, stanti anche i
problemi di infortuni che hanno colpito Bryant e Anthony, mentre Nowitzki e Durant vengono un po’ penalizzati dai record di squadra che, per quanto buoni o molto buoni, non sono ai livelli di quelli dei Cavs o dei Lakers. E si sa che quando si vanno ad effettuare le valutazioni che portano all’assegnazione del premio l’andamento della squadra spesso incide più delle statistiche individuali. Ma attenzione, perché i movimenti di mercato dei Mavs, con l’arrivo di Butler, Haywood e Stevenson, potrebbero essere una variabile da tenere in considerazione, rendendo così meno improbabile il bis del tedesco, a quattro anni di distanza dall’infausto 2006, quando giunse il titolo di Miglior Giocatore, a cui fece però seguito la clamoro-
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sa e fragorosa eliminazione al primo turno da parte dei Warriors, numero 8 del tabellone. Andiamo allora a vedere nel dettaglio questi 5 principali candidati al titolo, prendendo poi in considerazione eventuali outsider. L E B R O N J A M E S : 5 7 p a r t i t e 3 0 p p g 7 , 1 r p g 8 , 4 a p g 5 0 ,3 f g % 3 8 ,9 m i n ut i R E C O R D D I S Q U A D R A : 4 3 - 1 4 . Chiariamo subito una cosa. L’indiziato numero 1 per portarsi a casa nuovamente il titolo dopo la prima incoronazione in carriera nella scorsa stagione è lui. Sembrano essere arrivati i giorni che tutti prospettavano al suo ingresso nella Lega, ossia i giorni in cui tutto sarebbe stato suo, e agli altri sareb-
bero andate solo le briciole. Le statistiche le vedete, ma sono veramente l’ultima componente da prendere in considerazione. Meglio osservare la superiorità fisica e tecnica con cui compie ogni gesto sul parquet. All’All Star Game, dove si gioca una partita sì molto alla naftalina, ma comunque in campo con la crème de la creme della NBA ha lasciato quasi imbarazzati la semplicità con cui ha dominato ogni situazione. Tutte le volte che ha dato una minima accelerata nessuno ha potuto farci molto, e il titolo di miglior giocatore per Dwyane Wade è sembrato quasi un regalo del numero 23 dall’Ohio. Le prestazioni che rimarranno nella storia del gioco sono dietro l’angolo in ogni singola serata e l’ultimo
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passo da compiere per la completezza totale del suo gioco riguarda l’affidabilità nel tiro da fuori (34,9% da 3) e dalla lunetta (77,2%) dove probabilmente paga l’esuberanza muscolare del suo fisico, e dunque non ha la fluidità di movimenti che magari hanno Bryant, Anthony, Nowitzki o Durant. La tendenza a fermare l’attacco per cercare una soluzione personale sta diminuendo, anche se in certi momenti ancora questo difetto viene a galla e soprattutto nei playoff questi sono dettagli che non concedono la grazia. Oggi l’MVP sarebbe lui (anche perché viene assegnato prima che si giochino i playoff…), fortificato inoltre da una squadra che ha il miglior record della Lega. Attenzione però all’inserimento di Jamison. Giocatore di talento, ma che potrebbe portare qualche scompenso nella chimica di squadra che fino a quel momento aveva vinto 43 partite su 54, e ha ricominciato dopo l’ASG con 3 sconfitte filate. MVP, PERCHE’ SI’: Il giocatore più dominante su un campo da basket, segna, prende rimbalzi, passa divinamente. E’ il prototipo del giocatore del futuro e guida una squadra vincente. M VP , PE RC H E’ N O : Se l’esperimento Jamison prende una brutta piega rischia di perdere il controllo della situazione e parte della credibilità che ha guadagnato fino ad oggi. KO B E B R Y A N T : 5 1 p a r t i t e 2 8 p p g 5 , 3 r p g 4 ,6 a p g 4 6 ,1 f g % 3 8 , 6 m i nu t i R E C O R D D I S QU A D R A : 4 2 - 1 4 E’ il metro di paragone per LeBron James. Sono la coppia più chiacchierata della Lega quando si entra nelle discussioni da bar sport su chi sia il miglior giocatore del mondo. Meglio lo strapotere fisico di LBJ o la classe purissima del Mamba? Non c’è una strada univoca da imboccare, e nemmeno il titolo di MVP di quest’anno s ci oglierà i du bbi a riguardo. Attualmente Kobe è in seconda posizione anche per motivi extra cestistici. Come ad esempio i numerosi infortuni che lo
hanno perseguitato (dalle dita, alle caviglie, alla schiena) ma mai escluso dai giochi, fino all’All Star Game quando una caviglia malconcia lo ha costretto a interrompere la sua striscia di 235 partite consecutive, la metà delle quali giocata in condizioni fisiche imperfette. Solo questo particolare dovrebbe aggiungere un valore ulteriore alle belle cifre che vedete qua sopra. Se non bastasse aggiungeteci 5 buzzer beater per vincere una partita, senza i quali il record dei giallo viola oggi avrebbe tutto un altro aspetto. Questo è obiettivamente la parte del gioco dove Bryant è inarrivabile per chiunque. Nessuno al momento è così decisivo nei finali di partita. Nessuno incute tanto timore in un difensore quando la palla scotta come il numero 24. E da qui alla fine della stagione siamo pronti a scommettere che arriveranno altri tiri vincenti. Andando a scavare nelle cifre si potrebbe un po’ recriminare per il numero di assists non proprio elevato (4,6 è il dato più basso dalla stagione ‘98/’99, pari solo a quello della stagione 2005/2006), ma che è anche figlio di un giocatore che sa di avere attorno a sé ottimi compagni di squadra e dunque può prendersi delle pause nel corso di una partita senza il rischio di compromettere troppo i destini dell’incontro. E se il suo impatto offensivo sulla squadra è innegabile (con lui in campo +8.6 punti di squadra parametrati su 100 possessi, -5,7 quando è in panchina), non venga sottovalutata la difesa. Con Kobe in campo la percentuale effettiva di tiro degli avversari e più bassa di quasi il 3% rispetto a quando è seduto. M V P , P E R C H E ’ S I ’: Continua ad essere il miglior “closer” della Lega. Vicino ai 30 punti di media. Una determinazione e una cattiveria agonistica irreale messa al servizio di una squadra super. M V P , P E R C H E ’ N O : La condizione fisica non ottimale potrebbe portarlo a conservarsi un po’ per i playoff, inficiando così le sue cifre.
LE STATISTICHE DI LEBRON JAMES
LE STATISTICHE DI KOBE BRYANT
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m.br Fonte foto: http://www.utahjazz.co
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Melo e Dirk... vita da outsider
CARMELO ANTHONY: 43 PARTITE 29,2 ppg 6,4 rpg 3,5 apg mente al momento avrebbe qualcun altro davanti, a causa degli 46 fg% 38 minuti RECORD DI SQUADRA: 37-19. infortuni che gli hanno fatto saltare 13 partite e perdere quel Lo mettiamo in terza posizione “sulla fiducia”, perché probabil- ritmo abbagliante che aveva nei primi mesi della stagione dove
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era davvero un serissimo candidato per il titolo. Però è tornato dall’All Star Game con 40 punti e il canestro della vittoria in casa di LeBron James e questo lo riporta d’attualità come possibile infiltrato nella lotta tra i primi due. Le sue doti di scorer non sono mai state in dubbio, ma quest’anno sembra esserne arrivato all’apice. La ricezione in post medio gli consente di avere una serie di opzioni (dal tiro, alla penetrazione di potenza, al passaggio per il tagliante) che rendono inefficace qualsiasi difensore. Le percentuali dal campo sono ottime e a queste si accompagna una presenza importante nei quarti periodi, dove ha aumentato la propria produzione, rimanendo lontano della forzature che ne avevano un po’ contraddistinto gli esordi nella Lega. Chiaramente è un terminale offensivo e quindi quando la palla finisce nelle sue mani, spesso lo fa perché da lì venga depositata a canestro, quindi non meraviglia la cifra non elevatissima di assists (per altro in linea con i numeri in carriera). E’ il giocatore simbolo dei Nuggets, ma a differenza degli altri concorrenti al trofeo, divide un po’ questo ruolo con Chauncey Billups, formando una coppia che fa le fortune della squadra del Colorado, con-
solidata seconda forza a Ovest. Per riguadagnare qualche ciance deve chiudere la regular season così come l’aveva cominciata e i Nuggets dovrebbero provare ad essere un insidia ancora più credibile per il primo posto dei Lakers. MVP, PERCHE’ SI’: Forza offensiva devastante. Ha una moltitudine di opzioni, sta giocando la sua miglior stagione e spesso diventa protagonista nei finali. MVP, PERCHE’ NO: Gli infortuni lo hanno penalizzato parecchio e il terreno perso in quel periodo potrebbe essere irrecuperabile. A volte si ha la sensazione che il vero leader della squadra sia Billups. KEVIN DURANT: 54 partite 29,8 ppg 7,5 rpg 2,9 apg 48 fg% 40 minuti RECORD DI SQUADRA: 33-21. Entrare nella lista per i candidati al titolo di MVP al tuo terzo anno nella Lega se non ti chiami LeBron James è un impresa per pochi, e tre anni fa non tutti pensavano che sarebbe stata alla portata di Kevin Durant. Che invece ha stupito tutti ed è il fiero condottiero della giovane truppa di coach Scott Brooks, una della squadra più temibili della Lega e candidata al ruolo di mina vagante dei prossimi playoff. L’ex Texas University sta mostrando i propri progressi figli di una crescita continua (la sua media punti è salita mese dopo mese) e ha un impatto impareggiabile sulla squadra. La sua struttura fisica longilinea lo rende un rebus per le difese. Può tirare con un rilascio fulmineo, ma anche mettere palla per terra e andare al ferro o in alternativa prendere l’arresto e tiro. Segna praticamente 30 punti di media col 48% dal campo, che diventa il 52 considerando la percentuale effettiva di tiro. I Thunder con lui in campo in campo sono più prolifici in media di 11 punti ogni 100 possessi, ma anche in difesa dà il suo contributo, nei limiti di quello che ti può dare la tua stella che in attacco ha il compito di segnare 30
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punti. 7,5 rimbalzi sono una cifra notevole. Vicina per esempio a quella di Nowitzki,. Metterlo anche prima di Anthony in questa classifica non sarebbe certo stato uno scandalo. Ma è ancora molto giovane, e gioca in una squadra molto giovane, che ha comunque guadagnato parecchia credibilità, ma che in molti ancora non prendono del tutto sul serio. Una seconda parte di stagione travolgente potrebbe anche portarlo alla ribalta, ma probabilmente per il 2009/2010 non se ne farà niente. Per il futuro, però, consideratelo già da ora uno degli avversari fissi di LBJ. MVP,PERCHE’ SI’: E’ il faro offensivo di una squadra in rapida ascesa. Segna tanto con percentuali elevatissime,ma è una presenza anche a rimbalzo pur essendo un esterno. MVP, PERCHE’ NO: Pur essendo una seconda scelta assoluta e un grande realizzatore, è ancora giovane e non ha la credibilità degli altri. Inoltre gioca in una squadra forte ma non di vertice. DIRK NOWITZKI: 54 partite 24,7 ppg 7,6 rpg 2,5 apg 47,3 fg% 37,7 minuti RECORD DI SQUADRA: 35-21. L’uomo da Wurzburg ha ormai raggiunto la piena maturazione tecnica e mentale e così in ogni singola stagione può essere un potenziale candidato al trofeo di miglior giocatore. Le sue cifre sono costanti, con buone percentuali e anche la presenza come leader in campo che si fa seguire dalla squadra è una certezza. Tra i 5 giocatori che prendiamo in considerazione è quello con il valore più alto di impatto totale sulla squadra parametrato sui soliti 100 possessi. Con lui in campo Dallas segna 8,4 punti in più rispetto a quelli che segnerebbe con lui in panchina, mentre in difesa ne concede, e questo è il valore che più sorprende, 9 in meno rispetto a quando il tedesco si riposa, con un totale così di +17,4. Uguale per le percentuali di tiro avversarie. Con lui in campo gli avversari tirano il 4% peggio rispetto a quando è in panchina. Mettiamo in luce questi dati perché spesso viene tirata in ballo la difesa come prova da usare contro il biondo numero 41, e, pur rimanendo coscienti del fatto che tutte le statistiche vanno prese con le pinze, per una volta ci sono dei numeri che invece sembrano indicare una direzione contraria. Dallas, nel frattempo,
continua ad avere un andamento troppo altalenante per poter concedere una reale chance di competere a Dirk, ma l’aggiunta di un giocatore del valore di Caron Butler e di un lungo importante come Brendan Haywood sotto il canestro potrebbe invertire il trend, rendendo i Mavericks davvero pericolosi quando si giocherà sul serio e Nowitzki un nome da tenere presente quando la statuetta andrà consegnata. MVP, PERCHE’ SI’: E’ una certezza. Nel bene o nel male lui c’è sempre e sembra aver maturato quell’esperienza che lo rende pericoloso anche nei momenti caldi delle partite. MVP, PERCHE’ NO: Non tanto per demeriti suoi. Ma un po’ gli altri candidati che sembrano avere qualcosa in più e un po’ l’andamento titubante della sua squadra alla fine potrebbero escluderlo. Tra quelle che in gergo vengono definite “honorable mentions” ci mettiamo subito Deron Williams (18.3 ppg, 9.9 apg, UTAH: 36-19). Il play da Illinois da guidando la riscossa dei Mormoni dopo un inizio negativo. 9 vittorie nelle ultime 10 partite e un record che insidia da vicino quello dei Nuggets come ruolo di anti Lakers a Ovest. Deron guida con sicurezza la squadra, forma con Boozer una coppia letale e si sta scoprendo difensore di impatto nei momenti cruciali delle partite (chiedere informazioni a Brandon Roy). Oltre, ovvie mante, ad aver guadagnato la prima partecipazione all’ASG. A ruota Steve Nash (17,6 ppg, 11,2 apg, PHOENIX: 34-23) che fino a poco tempo fa la classifica la guidava. E’ di nuovo l’anima dei “Runnin’ Suns” che si sono ripresi un posto rispettabile nella Western Conference dopo il fallito esperimento Shaq. Le statistiche sono quelle dei giorni belli, e l’età sembra essere l’ultimo dei problemi. La squadra dopo il gran inizio sta evaporando lentamente, ma il canadese è sempre uno dei primi della pista. Finiamo con Dwight Howard (18.5 ppg 13.5 rpg 2.8 bpg ORLANDO: 38-19) soprattutto perché continua ad essere l’uomo di riferimento della seconda forza a Est. Rimbalzi e stoppate come se piovesse come sempre, accompagnati da timidi miglioramenti nei movimenti offensivi. Come detto, è più che altro una citazione d’onore. Nella realtà siamo ancora molto distanti dall’essere presi in considerazione.
LE STATISTICHE DI CARMELO ANTHONY
LE STATISTICHE DI DIRK NOWITZKI
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L’ANALISI
DI
S TEFANO PANZA
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‘Al mio segnale scatenate l’inferno’ S empr e pi ù vic ina l ’es ta te de lla r iv olu zi one
La tanto attesa, la tanto decantata estate 2010 sta per infatti, scadranno alcune delle estensioni dei contratti arrivare. Dal prossimo giugno la geografia dell’NBA di quei giocatori usciti dal memorabile draft del 2003 potrebbe mutare completamente. Tra quattro mesi, (LeBron, Wade e Bosh su tutti), oltre a tantissimi altri
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contratti in scadenza di giocatori strapagati (come McGrady, Shaq e Jermaine O’Neal, che percepiscono più di 20 milioni a testa) che andranno ad alleggerire notevolmente il monte ingaggi di alcune squadre, oppure i contratti di giocatori ancora in rampa di lancio che sicuramente scateneranno aste furibonde (Gay, ad esempio, probabilmente riceverà offerte molto superiori ai 4 milioni attuali). Ecco alcuni dei giocatori più appetibili: Lebron James, Wade, Bosh (che in realtà ha un opzione per prolungare il suo contratto di 17 milioni a Toronto, ma che difficilmente eserciterà), Stoudemire (stessa clausola di Bosh e stesse probabilità di restare a Phoenix), Joe Johnson, Ray Allen, Carlos Boozer, Rudy Gay (che è però restricted free agent, ovvero Memphis potrà pareggiare le offerte che giungeranno al giocatore), McGrady. Nomi altisonanti, certamente in grado, come detto, di sconvolgere i rapporti di forza della lega. Quanto varrà, infatti,
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Cleveland senza LeBron? Come potrà Miami attirare i suoi distratti tifosi di senza più Dwyane Wade? Boston sarà sempre una corazzata anche priva di uno dei Big Three? Ma dove andranno questi campioni? Alcune squadre sono riuscite a ridurre notevolmente il proprio salary cap in vista della porssima estate, con la speranza di assicurarsi almeno una stella. Quelle con maggiore elasticità salariale saranno Miami, che se Wade – come certamente accadrà – non dovesse esercitare la clausola per l’estensione a 18 milioni, si ritroverebbe con i soli Beasley e Cook in roster (7 milioni in tutto…), e New York, che avrà sotto contratto i soli Chandler, Douglas e Gallinari per 7 milioni complessivi, oltre agli 11…di Eddy Curry, per un totale di 18. Entrambe, calcolando che un big si può firmare per una cifra intorno ai 20 milioni annui, potrebbero puntare addirittura ad ingaggiare ben due stelle, lesinando però sul resto del roster. Molto probabilmente Miami
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farà di tutto per trattenere Wade, il quale è però conteso, a quanto si dice, anche da Chicago, sua città Natale. I Bulls possono garantire all’ex fenomeno da Marquette una squadra già di alto livello, con R o s e , No a h , G i b s on , Hi n r ic h e Deng sotto contratto per un totale di 31 milioni. Gli Heat, dal canto loro, una volta firmato Wade avrebbero la possibilità di andare in cerca di un big man di alto profilo. I nomi più gettonati sono quelli di Boozer e Stoudemire, corteggiati già in questi mesi. New York invece punterà tutto su LeBron James, piazza ideale per un giocatore così carismatico. Si vocifera di altre p o ss i b i l i de s t in a z io n i p e r i l P r es c e l t o , t r a c ui Ne w J e r se y, Chicago se non dovesse arrivare Wade, oppure una permanenza a Cleveland.. Ma tutti sanno che in realtà la destinazione di James sarà la Grande Mela. È fuori discussione. Ma LeBron pretende una squadra da titolo, e New York solo con l u i n o n l o s a re b b e. C o n i s o l d i restanti si potrebbe rifirmare David Lee per cifre ragionevoli (sotto i 10 milioni), un discreto play (sul merc a t o c i s a r a n no B l a k e, A l st o n , Ridnour, Felton, tra i più desiderabili) e magari un altro lungo di medio valore (Haywood e Camby). New York, a causa di scelte passate scellerate di mercato, non avrà la prima scelta al prossimo draft (concessa a Utah), scelta che potrebbe rivelarsi piuttosto alta a causa del triste epilogo previsto per questa s t a g i o n e . M a , d o v e ss e a r ri v a r e LeBron, ogni cosa verrebbe vista come il bicchiere mezzo pieno. Non sottovalutiamo, d’altronde, il buon impatto di T-Mac con i Knicks: dovesse proseguire su questa strada, non è da escludere che possa essere rifirmato a cifre considerevolmente inferiori al suo attuale contratto di 23 milioni, e qualora a c c e t t a s s e d i f a r d a s p al la a LeBron, a New York ne vedrebbero delle belle…Diamo un’occhiata alle possibili destinazioni degli altri fuoriclasse. Non vogliamo ovviamente sbilanciarci, ma soltanto provare, per gioco, ad immaginare che NBA potremmo trovare l’anno prossimo. Partiamo da Ray Allen,
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giunto ormai alla 33esima primavera. Esce da un contratto da 19 milioni all’anno. È chiaro che cercherà un accordo pluriennale ma a cifre molto inferiori, probabilmente sotto i 10 milioni. Tra le destinazioni possibili mettiamo Atlanta qualora dovessero perdere Johnson, i Clippers, che con 33 milioni ed una buon roster garantito (Davis, Kaman, Griffin, Jordan, Gordon) potrebbero avere bisogno di una guardia affidabile da affiancare a Gordon; inseriamo anche Minnesota e Sacramento, entrambe con ampio margine salariale e grande necessità di coprire degnamente lo spot di guardia tiratrice. Le squadre sopra citate, quelle cioè alla ricerca di un’ottima guardia, probabilmente si fionderanno però principalmente su Joe Johnson, talento ancora nel fiore degli anni, affidabilissimo ed ancora in grado di garantire molte stagioni ad alto livello. Attualmente riscuote 15 milioni annui. Probabile che riesca a strappare un contratto pluriennale di simile entità. Spostiamoci invece tra i big man, dove regna sovrano il tormentone relativo a Chris Bosh. Il giocatore attualmente in forza ai Raptors ha dato chiari segnali di voler cambiare aria, di voler giocare in una squadra da titolo ma di non voler essere il secondo violino. Difficile individuare, dunque, una possibile collocazione: per l’ultimo punto si potrebbe escludere Miami, che qualora dovesse rifirmare Wade
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non potrebbe certamente affidare il ruolo di leader al lungo di Toronto. Più probabile Chicago, che ha sì Rose, ma probabilmente verrebbe trattato allo stesso modo di Bosh. I Bulls, inoltre, sotto canestro non sono molto fisici nonostante Noah e Gibson arpionino diversi rimbalzi a partita. Miller è in partenza e libererà il salary cap di Chicago dei suoi 12,5 milioni, e non è escluso che questi soldi vengano girati a Bosh… ma volendo azzardare un’altra ipotesi assolutamente affascinante, diciamo Oklahoma City. La squadra di coach Brooks avrà 40 milioni garantiti questa estate, dunque ampio spazio per firmare almeno un giocatore di alto livello. I Thunder sono coperti ovunque salvo, forse, sotto canestro. E con Bosh il titolo sarebbe ipotecato…Ragionamento simile si potrebbe fare per Boozer e Stoudemire, senza dimenticare giocatori come Scola, all’ultimo anno di un contratto che prevedeva per lui solo 3,5 milioni. Pochissimo, confrontato ad un rendimento sempre continuo e onorevole. Occhio anche ad Haslem, maestro d’utilità, Ginobili, Mike Miller, senza dimenticare Shaq: per lui questi potrebbero essere gli ultimi mesi di attività, ma qualora decidesse di continuare, non è escluso un ingaggio da parte di qualche squadra che necessiti della sua esperienza. Naturalmente verrebbe via con molto meno dei 20 milioni attuali…
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DI
V INCENZO
DI
G UIDA
Welcome to NY
Parlare di Tracy McGrady è come parlare con nostalgia di un vecchio amore ormai tramontato, una di quelle storie che vanno dritte nella categoria “ avrebbe potuto essere ma non è stato”. Da dove cominciamo? Iniziamo dalla fine, o meglio da
quello che può essere un nuovo inizio. Il 18 Febbraio ha avuto luogo la trade che ha portato a New York T-Mac in uno scambio che ha coinvolto ben tre squadre (Knicks, Rockets, Kings), riassumibile con: McGrady e Sergio Rodriguez a NY, Kevin
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degli Orlando Magic, la squadra per la quale aveva giocato il suo idolo Penny Hardway. T-Mac portava il numero 1 in suo onore (adesso è passato al 3). Orlando gli aveva preparato un ruolo da secondo violino dietro Grant Hill. Ma gli infortuni dell’ex Pistons lo mettono in rampa di lancio. Si parte con 26.8 nel 2000/2001 per arrivare a 32.1 nel 2002/2003. Nella classifica marcatori si lotta per il secondo posto. Per il primo non c’è storia. L’esplosione certo, ma c’è anche l’altra faccia della luna: le continue eliminazioni ai playoff. Sempre al primo turno. Per tutti c’è un solo colpevole: McGrady. Troppo facile, ma T-Mac ci mette del suo. Nel 20032004 Orlando parte per fare la voce grossa ad Est. La stagione iniziò con grandi aspettative ma dopo la prima vittoria seguirono 18 sconfitte consecutive:. L'annata fu fra le più disastrose di sempre per Orlando ma McGrady vinse per il secondo anno consecutivo la classifica marcatori. Complessivamente chiuse con 28 punti, 6 rimbalzi e 5.5 assists; ma disputò solo 67 partite a causa di ripetuti infortuni alla schiena. Nonostante fosse stato il top scorer della stagione con 28 punti di media, venne accusato di non dare il massimo durante le partite in quell'anno (come ammise lui stesso in seguito) e i rapporti tra lui e il General Manager John Weisbrod peggiorarono. Subito dopo, Weisbrod decise di scambiare lo scontento McGrady invece di tenerlo per un altro anno, rischiando di perderlo alla scadenza contrattuale senza ottenere nulla in cambio. Si passa a Houston e la storia si ripete. Vittorie in regular season tante, punti come se piovesse, infortuni pure (schiena e ginocchia). Non cambia il risultato ai playoff. Fuori al primo turno nel 2004/2005, niente postseaon nella stagione seguente, eliminati al primo turno 4-3 dai Jazz nel 2006/2007, che si ripetono nelle vesti di bestia nera la stagione successiva (4-2). T-Mac inizia ad essere chiamato soft, perdente, egoista, menefreghista. Chi più ne ha più ne metta. La verità come sempre sta nel mezzo. McGrady il suo lo ha sempre fatto, vicino ai 25 di media nella sua esperienza in maglia Rockets, cifra che sale quasi a 29 di media nei playoff. Gli infortuni suoi e di Yao sono una delle ragioni del fallimento. La rottura tra Mac e i Rocktes diverrà completa nella stagione 2008/2009, dove giocò solo 15 partite. A Houston arriva Ron Artest e d’incanto arriva anche la semifinale di conference dovei futuri campioni Nba, i Los Angeles Lakers saranno costretti a sudarsi il passaggio del turno in 7 partite. E’ la resa dei conti di un rapporto ormai deterioratosi. Dopo la off season ci saranno cinque mesi di calvario prima di approdare a New York. La terza parte della carriera di McGrady è quella più importante. L’impressione è che voglia giocarsi sino in fondo le sue carte, per dimostrare a tutti, in primis a sé stesso di essere uno che fa ancora la differenza, di poter essere la pietra angolare dei nuovi Knicks di D’Antoni, di Lee, Gallinari, Chandler e di chi verrà nell’estate 2010. La storia dice che a oggi è un perdente. Il più bel perdente di tutti i tempi. Ma se negli occhi avete ancora i 62 punti segnati contro i Washington Wizards il 10 marzo 2004, la “reverse” appoggiata al vetro sfoderata nell’All Star Game del 2002, i 13 punti negli ultimi 35 secondi della partita contro i San Antonio Spurs, realizzando una delle migliori performance nella storia dell'NBA (i Rockets vinsero 81-80, 9 dicembre 2004), non potete non concedergli un’ultima chance.
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Martin, Jordan Hill e Jared Jeffries a Houston, Carl Landry a Sacramento. Houston ha fatto di tutto per liberarsi di T-Mac. Nello stato della Stella, si sono resi conto che con il cuginetto di Vince Carter la storia era giunta al capolinea. Fallito l’esperimento con Yao Ming (gli infortunati cronici), con un fama di perdente cucita in petto (perennemente eliminato al primo turno dei playoff), e inviso alla tifoseria che nei vari forum gli aveva affibbiato il terribile sopranome di “Tiffany”, che senza giri di parole significa “uno senza attributi”, una “signorina”, dire che la storia fosse ormai naufragata sarebbe un eufemismo. E allora i Rockets lo mettono fuori squadra e avviano le trattative non appena il prodotto di Mount Zion Christian Academy ritorna in condizioni decenti. Lui fa sapere di essere in forma, di poter giocare ma a parte qualche mortificante cameo concessogli da coach Adelman, il campo lo vede con il lumicino. Allora via alla trade, chiacchieratissima, ma concretizzatasi solo nelle ultime ore del mercato. L’esordio è al Madison contro i Thunder di quell’extraterreste di Kevin Durant. Sconfitta all’overtime per i bluarancio 118-121. Ma la notizia è un’altra. “The Big Sleep” non dorme più. T-Mac è sveglio, vivo e vegeto: 26 punti (9/14 da due, 1/3 da tre), 5 assist e 4 rimbalzi. Il supplementare lo guarda tutto dalla panchina perché esausto, in quanto alla prima partita vera da un anno e mezzo a questa parte. Ventisei punti dell’original T-Mac. Roba da lacrime agli occhi. Adesso so che state pensando. Guarda che è a New York solo perché il suo contrattone da 23,239,561 milioni di dollari, che ne fanno il giocatore più pagato dell’Nba, è in scadenza. Vero, anzi verissimo. Come è vero che non bisognerebbe dannarsi l’anima per uno che guadagna così tanto, che non ha mai vinto niente, con un carattere abulico e a tratti inintellegibile. Allora perché McGrady resta uno dei giocatori più amati dai tifosi? Quest’anno all’All Star Game si è rischiato l’incidente diplomatico, in quanto T-Mac aveva i voti sufficienti per partire in quintetto per l’Ovest. Semplice, perché quando il 31enne di Bartow è stato ed è nelle giuste condizioni fisiche e mentali, è una delle cose più belle da vedere su un quel rettangolo lungo 28 metri e largo 15 che chiamiamo campo di pallacanestro. Attacco, difesa, assist, rimbalzi. Un 203 cm formalmente indicato come G, ma che in realtà è il prototipo dell’all around. Un giocatore ammorbante per dirla alla Federico Buffa. Dire chi è T-Mac è sfociare nella retorica. Chi legge questa rivista non può non conoscere la sua storia. Al draft del 1997 il General Manager dei Chicago Bulls Jerry Krause aveva organizzato uno scambio immediato per mandare Scottie Pippen a Vancouver in cambio della quarta scelta assoluta, che avrebbe usato per prendere McGrady. Ma Krause fu costretto ad abbandonare lo scambio quando Michael Jordan minacciò di ritirarsi se fosse andato in porto. E parliamo dei Bulls del secondo Threepeat. Il difficile esordio ai Raptors dove incontrò un coach che lo odiava, tale Darrel Walker che pronunciò la celebre frase: “ Questo tra un paio d’anni è fuori dalla Lega”. Caro Darrel tra alti e bassi T-Mac è ancora qui, tu dove sei?. Per la cronaca Walker fu spesato dai canadesi dopo 49 partite (11-38 il record) a favore di Butch Carter che chiuse poi la stagione 98/99 con un non brillantissimo 5-28. Poi la lenta esplosione per un liceale che doveva adattarsi ai ritmi e alla vita Nba: 15.4 punti a partita nel 1999/2000, che gli valsero le attenzioni
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OCCHI PUNTATI SU...
The Big surprise: Zach Randolph
Di sorprese in questa regular season 2010 se ne sono viste molte, partendo dall’esplosione dei Charlotte Bobcats guidati da Gerald Wallace, dalle matricole meraviglia Jennings ed Evans, dalla consacrazione a superstar di Kevin Durant, fino al ritorno di Allen Iverson all’ovile di Philadelphia: eventi, se vogliamo, anche abbastanza preventivabili agli occhi di un fine intenditore di questo gioco; ma di certo nessun addetto ai lavori, nessun intenditore di NBA, probabilmente nemmeno lui stesso, avrebbe giocato un penny sulla propria maturazione; ebbene si, parliamo proprio di Zach Randolph e della sua affermazione nell’elite della Lega come di una delle principali sorprese della stagione in corso. È avvenuto fin da subito, ma pochi se ne sono accorti; la verità è emersa a galla costantemente nel tempo, ed alla fine è venuta fuori a rivelare una bellissima storia dal gaio epilogo; ZR è un signor giocatore di basket, un All-Star a tutti gli effetti a partire dall’ultimo giorno di San Valentino.
DI
G UGLIELMO B IFULCO
Una metamorfosi quasi poetica, non solo ( anzi, quasi per nulla) tecnica, ma addirittura psicologica; non parliamo dunque del principe che si trasforma fiabescamente in rospo, ma di un’autentica materializzazione del fenomeno “ Dr. Jekyll & Mr. Hide”. Che Zachary Randolph fosse un grandissimo talento lo sapevano in molti già prima che approdasse nella NBA e se n’è accorto anche il resto del mondo in questa decade, osservandolo giocare e sciorinare numeri di alta scuola, possibili solo a pochi eletti. L’unico piccolo, grande, (enorme) difetto che gli si poteva appuntare era quello di non essere esattamente un “ cuor di leone”, parlando in termini cestistici, di non avere la medesima applicazione e “focalizzazione” ( come amano dire gli Americani) di un Kobe Bryant qualsiasi; in questa lega puoi essere anche un grande realizzatore ed un talento pregevole, ma se non dai il sangue in campo allora puoi diventare un peso, tecnico e soprattutto economico, per la tua franchigia; e Zach Randolph un peso lo è stato a tutti gli effetti, ed anche abbastanza ingombrante, in tutte le lande calcate in questi 9 anni di carriera NBA: finora, dunque, Portland, New York e Los Angeles ( la parte povera..). Scelto con il numero 19 ai Draft del 2001 dai Trail Blazers dopo aver disputato una sola stagione al college, in quel di Michigan State ( raggiungendo tra l’altro una Final Four persa assieme a Jason Richardson e Charlie Bell a favore di Arizona, guidata da Arenas, Jefferson, Walton, poi sconfitta in finale da Duke), Randolph fin da subito ha mostrato le sue capacità, emergendo come singolo in un contesto del tutto caotico, cupo e potenzialmente autolesivo quale era il Rose Garden della squadra ricordata ai posteri come Portland Jail ( “galera”) Blazers: una compagine ricchissima di talento, Scottie Pippen, Rasheed Wallace, Steve Smith, Damon Stoudamire, quel che rimaneva di Sabonis e in panchina un uomo tormentato, Mike Dunleavy. La squadra era reduce da cocenti delusioni in post season per mano degli
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odiati Lakers, lo spogliatoio era spaccato in mille pezzi e alcuni giocatori erano finiti nei guai con la legge: andava veramente tutto storto, ma la fortuna volle che in quel contesto disastrato lanciasse dei messaggi interessanti il rookie nativo di Marion Indiana, che, a onor del vero, il campo lo ha visto molto poco nelle prime stagioni, ma dava l’impressione di imparare in fretta quello che serviva per emergere, al punto da convincere, di li a poco, la propria dirigenza a sbarazzarsi di Rasheed, per concedergli quello spazio che lui sapeva di meritare e che impiegò per scrivere delle statistiche eccezionali, che nell’annata 200304 recitavano 20.1 punti, 10.5 rimbalzi e 2.0 assists di media in 81 partite disputate. Titolo di Most Improved Player of the Year e tante buone speranze di rifondazione per la franchigia dell’Oregon. Purtroppo Zach non ha mai dato prova di essere un leader, e le statistiche accumulate negli anni hanno sempre lasciato il tempo che trovavano, e sono diventate un boomerang per le squadre che hanno deciso di puntare su di lui: già, perché dopo i Blazers, Randolph fu mandato nella Big Apple in cambio di Steve Francis e Channing Frye alla corte di Isiah Thomas che voleva rilanciare i Knicks con Larry Brown in panchina. Squadra nuova, motivazioni nuove, coach nuovo ( e consentitemelo, che coach) : tutto era apparecchiato per rilanciare Randolph e trasformare il suo talento notevole, espresso fino ad allora solo da sterili numeri, in un qualcosa di più solido e concreto; ma le cose non andarono bene, la vita di Larry Brown a Gotham City si rivelò fallimentare e Randolph venne a ritrovarsi in un quadro sinistramente somigliante a quello che aveva appena abbandonato: l’epilogo è stato chiaramente triste, visto che le aspettative non ripagate sul suo conto avevano confermato il trend ideologico sulla sua scarsa figura di leader, e come effetto il nostro Zach si è ritrovato scambiato ai Los Angeles Clippers: ennesima delusione, ennesimi numeri, ennesima impressione che il ragazzo non potesse fare più salti di qualità. Siamo cosi arrivati alla stagione in corso, che vede Randolph nuovamente cambiare maglia, questa volta quella dei malcapitati Memphis Grizzlies, che per averlo rinunciano ai servizi dell’ala Quentin Richardson: tutto era apparecchiato per l’ennesima brutta figura e invece, a distanza di quasi 5 mesi, l’exploit definitivo: convocato all’All Star Game di Dallas dai coach, record positivo per i Grizzlies in seria aria di post season, ed un atteggiamento in campo del tutto irriconoscibile. Tecnicamente lo si era ammirato costantemente nel corso degli anni, ma a partire da questa stagione si è visto un uomo motivato, cattivo quanto basta in campo e finalmente armonizzato in un contesto di gruppo che lo segue e che lo ha eretto a proprio trascinatore. I suoi 20.7 punti a gara e i suoi 11.7 rimbalzi sono oramai cosa nota e scontata, cosi come i suoi movimenti regali in post basso, le sue innumerevoli armi a disposizione ,dal gancio al giro sul perno, la sua dolcissima mano sinistra in grado di colpire anche e soprattutto dai 5-6 metri. Quello che non era noto era la qualità dei suoi punti, la situazione tecnica in cui arrivavano e il livello di intensità che è necessario per metterli a referto: Randolph si è trasformato da agnello a leone in campo, dà il suo contributo in difesa, non solo catturando rimbalzi, ma anche in aiuto , pur non essendo un lottatore come Kevin Garnett; il riflesso di questa trasformazione si legge , quindi, nei risultati della sua squadra, che a parte Rudy Gay, Marc Gasol e l’ancora acerbo O.J. Mayo non esprime un livello tecnico paragonabile a quello delle rivali di record della Western Conference. I Grizzlies hanno trovato, pertanto, un equilibrio inimmaginabile, soprattutto sul fronte offensivo (sesto attacco della lega) grazie al mix tra la solidità di Gasol, l’estro sconfinato e perfettamente amalgamato di Randolph e Mayo, e l’incredibile eleganza di Rudy Gay, principesco nei giochi in transizione. Quanto potrà ancora migliorare la corpulenta ala grande ( 2,06 cm per 120 chili) dell’ Indiana è difficile immaginarlo, a maggior ragione considerando l’imprevedibile exploit di questa annata. Il solo fatto di aver reso Memphis una squadra da playoff e soprattutto una franchigia con un futuro prevedibilmente roseo, può già rendere l’idea di quanto sia in grado di fare la differenza il nostro “ciccione”, che nonostante tutto è ancora 28enne e quindi nel pieno delle proprie potenzialità atletiche..il resto ci riesce ancora difficile immaginarlo. Fino a prova contraria, ovviamente…
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di
DAVIDE M AMONE
ROOKIE TIME Fonte foto: http://ladiesdotdotdot.files.wordpress.com
E’ giunto il tempo di...’Holiday’?
Jrue Holiday, 17esima scelta assoluta del Draft 2009 sta vivendo la classica stagione da rookie preso ad una posizione buonissima, ma non eccelsa. I Philadelphia 76ers hanno investito su di lui una parte dei loro “rischi”, consapevoli del fatto che si trattava di una combo-guard molto atletica, con un discreto jump, ma con delle lacune da risolvere. Insomma, un giocatore promettente ma da sgrezzare, come normale che sia per un ragazzo classe ’90 dalle doti fisiche e tecniche di Holiday.Il ragazzo, prodotto di UCLA, è partito come un diesel; piano all’inizio, con poco minutaggio, poco spazio e numeri relativamente bassi. Chiuso da Lou Williams, autore di un brillante primo scorcio di stagione, da Allen Iverson (quando Williams si è infortunato e AI è tornato alla sua Philadelphia) e dovendo lottare con giocatori più veterani di lui quali Kapono e Carney, Jrue Holiday ha continuato a lavorare a testa bassa, con un’abnegazione e un’applicazione davvero impressionanti. I risultati attuali, infatti, sono sotto gli occhi di tutti.Holiday ha trovato sempre più minutaggio, complice anche vari infortuni che hanno falcidiato il back-court il 76ers, giocando in maniera ordinata, facendo il suo sia in attacco, sia in difesa, ogni qual volta chiamato in causa. Il match che forse ha un po’
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LE STATISTICHE DI JRUE HOLIDAY
...COSI NELLE ULTIME CINQUE PARTITE...
cambiato il trend della stagione del prodotto di UCLA è stato quello contro i Boston Celtics, del 25 novembre; allora fu sconfitta per Philadelphia, 113-110, ma Holiday giocò 34 minuti di grande solidità, mettendo a referto 10 punti e 6 assist. Da allora, ha praticamente sempre visto il parquet, utilizzato come quintettista al fianco di Iverson o come settimo/ottavo uomo di rotazione; nel mese di dicembre ha anche messo a referto il suo attuale career-high: in una vittoria sui Golden State Warriors, ha segnato 15 punti, aggiungendo 7 rimbalzi e 6 assist. Anche a causa della lenta partenza, che non lo ha visto protagonista sin dall’inizio, il nativo di Mission Hills non ha risentito del classico rookie wall , ovvero il calo che la maggior parte dei rookies hanno attorno al mese di dicembre-gennaio (Brandon Jennings, quest’anno, è il caso più lampante ad esempio). Attualmente, Holiday viaggia a 5.6 punti, 2.1 rimbalzi, 2.7 assist e quasi una recuperata di media in 19 minuti di gioco. Numeri discreti, in continua crescita, per un giocatore e un atleta che sta dando esattamente l’apporto che la dirigenza dei 76ers si aspettava a giugno, al momento della scelta. I margini di miglioramenti di questo ragazzo sono davvero enormi, perché oltre ad una base già molto buona, si deve aggiungere l’etica lavorativa: come detto, è un giocatore che cura molto i particolari e che è riuscito a scalare dei posti in rotazione facendosi trovare pronto nei momenti che contavano, giocando con impegno in ogni allenamento e in ogni scorcio di partita.
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All Star week DI
S TEFANO C OLAVECCHIA
Il weekend dell'All Star Game 2010 di Dallas non ha deluso le aspettative e ha regalato divertimento, record storici, showtime e storie da raccontare per chi ama la pallacanestro a stelle e strisce. L'evento che farà entrare nella storia la partita delle stelle del 2010 non è sul parquet ma accanto
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ed eppure, se mancasse, il gioco non avrebbe più alcun senso :il pubblico. Siamo fuori dal solito esercizio stanco di retorica pro-fans ma il giusto omaggio da pagare davanti a 108.713 spettatori che hanno affollato il Cowboys Stadium - un numero si spettatori senza precedenti nella Nba, il
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vecchio primato apparteneva a Bulls-Hawks del 1998 con 72mila fans sugli spalti del Georgia Dome di Atlanta- durante la partita tra le stelle dell Ovest e dell' Est che per la cronaca si sono imposti per 141-139 con Dwyane Wade nominato Mvp della manifestazione. Nei giorni precedenti alla grande sfida tra le squadre delle Conference spettacolo comunque garantito: il venerdi notte è stato il turno della sfida Rookies-Sophomores con il successo dei primi e la performance davvero impressionante di Tyreke Evans che firma 26 punti e dà la sensazione di essere davvero qualcosa in più di un candidato al titolo di Rookie of the Year. In campo anche Gallinari, incolore nei suoi13 minuti in campo con soli 5 punti realizzati. Nella serata di sabato storico terzo successo per Nate Robinson nello Slam Dunk Contest. KryptoNate supera in finale il rookie di Toronto DeMar DeRozan sotto lo sguardo tra il diverito ed il perplesso di Dwight Howard ed è il primo giocatore a vincere per tre volte il titolo. Il 3-point Contesti, la gara più attesa qui in Italia per la presenza tra i favoriti della vigi-
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lia di Danilo Gallinari nonostante un problema all'avambraccio sinistro, ha visto la vittoria in finale del veterano dei Boston Celtics Paul Pierce sull'altro rookie Stephen Curry mentre Gallinari, decisamente in ombra, è stato eliminato già nella prima sessione di tiri. Lo Skill Challenge se lo è invece aggiudicato Steve Nash, che torna così a iscrivere il suo nome nell'albo d'oro dell'All Star Game. Il main event invece, almeno per la sua spettacolarità, non delude mai. Giocata davanti al più numeroso pubblico di sempre, la sfida tra Est e Ovest - pur limitata da alcune pesanti assenze, su tutte quella di Kobe Bryant per l'Ovets- è illuminata dal talento e dalle giocate strepitose del duo Lebron-Wade che si conquista il titolo di Mvp con la steal che decide la partita a pochi secondi dalla conclusione. La domanda che resta è una sola: vedere Wade e James insieme in campo resterà uno strappo alla regola nel weekend dell'All Star Game o big summer dei Free Agent li porterà, magari, a giocare insieme?
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DI
D OMENICO P EZZELLA
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D DW WY YA AN NEE W WA AD DEE
Resterà una sorta di mistero mistico sapere se i due grandi amici, ovvero il ‘Flash’ della Florida ed il ‘Re’ Dell’Ohio, si siano messi d’accordo su quello che poi sarebbe stato il risultato finale non della partita, ma di quel trofeo che generalmente incorona la stella tra le stelle. Alcuno lo hanno definito a d d i ri t t u r a c o m e u n a s o r t a d i ‘segreto di pulcinella’ visto che ad un certo punto era completamente palese il fatto che Lebron volesse vincere e far vincere l’amico in maglia numero 3. Insomma una sorta di alternanza, una sorta di patto di non belligeranza all’interno di una squadra dove l’unico scopo era quello di divertire e divertirsi oltre che battere la Western. Il talento di Marquette, poi, ci ha messo davvero poco a prendere la palla al balzo, a mostrare le unghie nei momenti finali quando altri Big erano in panchina, e lui con The C h o s en O n e , i n v e c e , i n c am p o come se si trattasse di una sfida vera. Alla fine i due punti di vantaggio, i 28 personali con 11 assist e 6 rimbalzi, hanno fatto il resto per il primo Trofeo di Mvp della carriera. Voto 8.
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G Per il figlio del Canada e per il prodotto di Santa Clara, quello che si profilava all’orizzonte era un duello a distanza che prometteva scintille con il numero 3 con provenienza Philadelphia. Invece, il forfait del figliuol prodigo della città dell’amore fraterno, ha tolto quel pizzicori pepe in più ad un faccia a faccia tra due giocatori totalmente differenti tra di loro. Alla fine con o senza Iverson, la mente ed il genio dell’Arizonaha sfoderato la sua classica prestazione. A differenza di Joe Johnson che era alla ricerca di punti per non chiudere il secondo All Star Game a secco di segnature, la prima intenzione di Nash sembrerebbe essere stata quella di chiudere magari a 0 ma con la casella degli assist in doppia cifra. Al suono della sirena finale, poi, solo uno dei presunti ob i e t t i v i è stato raggiunto, dal momento che la doppia cifra che doveva arrivare alla fine è arrivata (13 le assistenze ed i cioccolatini distribuiti dal ‘capellone’ bianco sempre più in stile Willi Wonka ndr), ma nel finale rovente sono arrivati anche due canestri. Voto 7,5.
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J JO OEE J JO OH HN NS SO ON N
Sulle spalle aveva il peso di aver chiuso lo scorso Alla Star Game con la casella dei punti completamente immacolata. Non certo un qualcosa che lascia un buon segno, dal momento che in un match del genere chiunque di noi avrebbe potuto mettere a segno almeno due punti, vista la ‘tranquillità’ con cui si difende, specialmente nel primo periodo, nella giornata delle stelle. A dire il vero la serata non era certo iniziata nei migliori dei modi, con altri errori dal campo ed il fantasma del primo doppio All Star Game da 0 punti che si faceva sempre più vivo. Poi però l’evolversi delle cose gli hanno dato ragione arrivando addirittura in doppia cifra scongiurando l’irreparabile. Voto 6,5
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G Cosi come ‘Wunderdirk’, la voglia di scherzare o di passare una giornata di festa come tante altre, dell’ex talento di Syracuse, era pari a zero. Subito in palla, subito pronto a far fuoco e mettere anche indirettamente le coseni chiaro su quello che è il ruolo di ‘capocannoniere’ della Lega, tanto per usare un termine di paragone tanto caro al nostro amato calcio. A lui e all’altro fido scudiero, coach Gorge Karl si è affidato nei momenti finali della sfida quando tutto era palio. Insomma tutto nelle mani della coppia Denver Nuggets che per poco non confezionava una rimonta ed un sorpasso che sarebbe rimasto impresso per un po’ di tempo. Alla fine doppia sconfitta per ‘Melo’, dal momento che oltre la sconfitta della Western l’avversario di tante battaglie all’High School di Lebron James, ha perso l’opportunità di alzare al cielo il trofeo invece finito nelle mani di Wade nonostante i 27 punti ed i 10 rimbalzi messi a referto al suono della sirena finale. Voto 8.
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LLEEB BR RO ON N J JA AM MEES S
Incredibile come quando indossi canotta e pantalonicini non ci sia più modo per tenerlo lontano dal vivo del gioco. Nessuno gli avrebbe detto nulal se invece di essere in campo fino all’ultimo secondo della partita, si fosse estraniato un pochino per recuperare qualche forza in vista della ripresa delle ostilità; tutto vero, ma alla fine non sarebbe stato Lebron James. The King ha voluto sorvegliare la situazione e la gara fino all’ultimo secondo, anche perché era in missione speciale, vincere nella serata da record di 107 mila e passa spettatori e mettere non lui, ma l’amico Dwyane Wade sul piedistallo del migliore in campo. Insomma LBJ a tutto spiano e a 360°, quello che per intenderci si vede ogni sera con volate in contropiede e bimane annessa, quello del recupero dopo l’errore e la stoppata venendo da dietro, quello di difesa vera in un match che negli ultimi 5 minuti sembrava essere una gara tra rivali, insomma tutto quello per cui chiunque giorno dopo giorno prima dell’All Star Game ha deciso di cliccare sul suo nome per le votazioni. Voto 8.
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F Il più motivato di tutti. Il più desideroso di sfruttare al meglio la sua possibilità di essere inserito in quintetto dopo il forfait di Kobe Bryant. Il più motivato di tutti dopo aver fatto il solito annuncio prima della palla a due a lui che era il padrone di casa a lui che è stato accolto con l’ovazione delle grandi occasioni. E a tratti la faccia era proprio quella delle grandi occasioni proprio quella di chi era intenzionato sin dal primo possesso a non voler perdere e a dimostrare, per il futuro, che qualche voto in più il suo nome lo meritava. Alla fine è tra i migliori in campo, il secondo realizzatore dell’Ovest dietro ovviamente all’altro super interessato all’ipotetico trofeo di Mvp Carmelo Anthony. Amarezza? Macché tutto oro colato per uno che guardandosi indietro vede sempre Wuzburg e la A2 tedesca. Voto 7,5.
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K KEEV VIIN N G GA AR RN NEET TT T
Declinare l’appuntamento dopo l’ennesima dimostrazione di affetto da parte di tutti i suoi fan di tutto il mondo, non sarebbe stato da lui. Le condizioni fisiche di The Big Ticket non erano certe quelle da consigliare una partita da protagonista, ma per l’importante era esserci, era mettere il 14esimo sigillo consecutivo e la dimostrazione di essere uno dei più amati di sempre per questo tipo di partite e non solo. Sten Van Gundy poi ha fatto il suo dovere, lo ha tenuto in campo all’inizio, lo ha tenuto in campo quando non c’era troppo pericolo di ulteriori guai e pensieri specialmente per i Celtics (con Doc Rivers e staff di Boston che di sicuro avranno fatto il conto alla rovescia per arrivare al momento in cui l’ex Minnesota non si sarebbe più alzato dalla panchina ndr). Dodici minuti e poi pronto in tuta ad applaudire i compagni dalle retrovie in attesa di poter tornare in condizioni migliori il prossimo anno e cancellare anche il 4 con 2/4 dal campo che proprio non gli si addice. Voto 6,5.
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F Stesso discorso fatto per Garnett: voglia di rinunciare al voto popolare zero, ma altrettanta zero voglia di rischiare quel qualcosa in più in una stagione cruciale per lui e per i suoi San Antonio Spurs. Anche per l’ex nuotatore delle isole Vergini, scampoli di partita (13 i giri di lancette in cui ha messo piede in campo ndr), scampoli di giocate degne dello scenario e poi dritto in panchina con tuta a sostenere i compagni. Niente da dire se non il fatto che se dovesse essere, cosi come dicono le tante voci che si rincorrono nei corridoi Nba sul suo possibile ritiro a fine stagione se dovesse arrivare il titolo, dispiacerebbe avere un ricordo di cosi pochi minuti del suo ultimo All Star Game. Ma in compenso ce ne sono tanti ai quali ci si può appellare se solo si torna indietro nel tempo con la memoria. Voto 6.5.
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D DW WIIG GH HT T H HO OW WA AR RD D
Il pre All Star Game era stato tutto caratterizzato dalle polemiche a distanza con Shaq o se vogliamo con colui dal quale tutti gli addetti ai lavori pensano che il giovincello dei Magic erediterà il dominio dell’area nei prossimi anni. L’All Star Game vero e proprio è stato caratterizzato dal solito atteggiamento di un ragazzo giocherellone, sempre sorridente e pronto a prendere tutto alla leggera (parte del carattere che in tanti dall’altra parte dell’oceano gli imputano come non positivissimo specie per chi dovrebbe essere il leader emotivo e non solo di una squadra di altissimo livello ndr). Il balletto alla presentazione non era nemmeno quotato, cosi come la tripla in gara, visto che ha trascorso il periodo dedicato agli allenamenti delle due selezioni a provare e riprovare dalla lunga distanza per la poca gioia del suo allenatore che ad ogni tiro scoccato dal suo centro avrà sicuramente tifato per l’incocciata del pallone sul primo o secondo ferro sperando che tutto passasse inosservato e che il diretto interessato vedendo i scarsi risultati avrebbe desistito. In effetti ‘Superman’ (o presunto tale, visto che è stato questo il motivo delle frecciatine a distanza con O’Neal ndr) c’ha messo un po’ ma alla fine non ha resistito: 1/2 da tre con tanto di mimica annessa relativa all’incredulità di quanto accaduto e la promessa che sarebbe stata solo la prima. La seconda poi è arrivata, ma poi per fortuna di Van Gundy che sudava freddo, niente più, solo solite escursioni sopra il ferro come da copione. Voto. 7.
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Cosi come per Bosh l’attenzione attorno al suo nome era tutta dovuta per il possibile cambio di casacca che da li al 18 di febbraio scorso lo avrebbero dovuto portare al fianco addirittura di Lebron James in maglia Cavs. Cosi come Bosh, però, si è trattato idi un nulla di fatto e cosi come Bosh, dunque, il tutto, dal punto di vista del mercato, verrà rimandato in estate quando il suo nome si aggiungerà ad un calderone già pienissimo di Big per un’estate rovente. In campo in quel di Dallas Amare, ha provato a lasciare il segno in coppia con il suo compagno di squadra, almeno fino alla fine della stagione, ma riuscendoci a metà. La luce di Nowitzki, Anthony e degli altri provenienti dalla panchina ha finito per abbagliare quella dell’high schooler dell’Arizona che alla fine si deve accontentare di qualche applauso, di qualche giocata al di sopra del ferro e di una doppia-doppia (12 punti e 10 rimbalzi) che magari il prossimo anno potrebbe anche essere al servizio della Eastern Conference, ma questo come cantava l’indimenticato Lucio Battisti: “Lo scopriremo solo vivendo”. Voto 7.
A AM MA A’’R REE S ST TO OU UD DEEM MIIR REE
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C CH HR RIIS S B BO OS SH H
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THE Due nomi su tutti. Un ‘Up’ ed un ‘Down’. Ed allora giusto per lasciarci alla fine quello che forse è stata la presenza non tanto felice nella tre giorni di Dallas, si parte da chi durante il weekend più seguito in tutto il mondo cestistico era sulla bocca di tutti per il fatto di essere arrivato a ‘casa sua’ con una valigia più grande del solito e con un biglietto di sola andata dal Canada. Alla fine però tra i tanti scossoni è stato uno dei pochi a restare dov’era prima di partire, ovvero Toronto, dove è tornato con la stessa valigia (forse un po’ più appesantita per i gadget portati con se ndr) ma con un bagaglio in più: 23 punti, 10 rimbalzi e 9/16 dal campo. Uno dei pochi a restare insieme al generale James e al vice comandante Wade in trincea fino all’ultimo colpo della battaglia con anche possessi importanti. Se il desiderio dell’ex Texas University era quello di non sfigurare in casa propria, il tentativo del treccioluto dei Raptors è riuscito alla grande. Voto 8. E come disse qualcuno veniamo alle noti dolenti. Prima convocazione all’evento più desiderato del weekend. Prima convocazione in assoluto nella celebrazione delle stelle e Gerald Wallace non da una grande dimostrazione di gratitudine per chi l’ha portato fino al momento di alzare la mano all’annuncio del proprio nome. Già al sabato la sua faccia e la sua prova nella gara delle schiacciate aveva fatto storcere il naso in tanti per il fatto di essere poco presente coinvolto e felice (tanto per usare un super eufemismo ndr) di far esplodere tutto il suo talento di atleta, pensando che forse era solo emozione per tutto quello che gli stava capitando attorno. In genere si dice che tre indizi fanno una prova, ma siccome di possibilità il buon Wallace ne ha avute due, due di indizi possono bastare per dire che nemmeno alla domenica il suo nome, il suo viso ed espressione potevano essere considerati come la quinta essenza della felicità, anzi sembrava quasi uno che rimpiangeva di non essere in vacanza, o sul divano di casa a guardare tutto completamente rilassato. Insomma non quello che ci si aspettava da parte di un giocatore che finalmente, dopo tanti anni a sgomitare per emergere, aveva la sua possibilità di consacrarsi e fare il primo passo in una elite di altissimo livello. Voto 4 per Wallace. Voto 7 per Bosh.
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BENCH Di gran lunga migliore di quella della Eastern Conference. Altro che giocatori svogliati, negli occhi di coloro che venivano chiamati in corso d’opera da Karl a mettere piede in campo, si vedeva quel colore rosso fuoco che solo chi ha smania di successo e di mettersi in mostra può avere. Addirittura alcuni in campo nel momento in cui il tutto è passato con l’essere una esibizione ‘da circo’ ad una partita vera. Addirittura alcuni in doppia cifra con una facilità assolutamente disarmante per prestazioni che hanno fatto pensare ad un primo passo verso il vero cambia della guardia. Ovviamente si sta parlando dei vari Kevin Durant da tutti definito come uno dei dominatori della Lega e antagonista di quel Lebron James che nel frattempo la Lega se l’è fatta già propria (15 punti e 5 rimbalzi), si sta parlando di tale Deron Williams che come anticipato in sede di presentazione della kermesse della domenica, arriva tardi all’appuntamento ed ha dimostrato il perché tutti sarebbero pronti a sottoscrivere una tale dichiarazione (14 punti, 4 palle rubate, 6 assist e 3 rimbalzi) oppure del catalano Pau Gasol che non sarà spettacolare quanto qualcun altro, ma una garanzia quando si tratta di giocare per vincere negli ultimi minuti o se vogliami i primi di partita vera (13 punti e 6 rimbalzi). Dulcis in fundo ci sarebbe lui che non è un esordiente e non sarà certo uno del cambio della guardia ma un giocatore che rientra all’interno della prima indicazione ovvero quella degli uscenti dalla panchina che hanno preso per mano e a cui è stata affidata la gestione del tutto nei momenti caldi della situazione: Mister Big Shot Chauncey Billups. Non è stato un caso, infatti, che nei quattro minuti finali Gorge Karl abbia affidato le chiavi della fuori serie chiamata Western Conference al suo fido scudiero che non si è fatto certo pregare nel rispondere presente. Sue le triple che hanno infiammato il Dallas Stadium riaprendo la contesa con i rivali dell’Est salvati poi solo dal finale ai liberi. Per il figlio del Colorado 17 punti, 5 assist e 5/8 dalla lunga distanza. Voto 7,5.
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P PA AU U G GA AS SO OLL
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Y Yo ou u c ca an n’’tt c c m me e
LA RUBRICA
TE RA P I A E P AL LO T TO LE
Billy Cristal e Robert De Niro erano i personaggi principali di questa divertentissima commedia americana. Tyreke Evans e il cugino Jamar, sono invece i protagonisti di una sfortunata vicenda. Il ventunenne rookie Tyrek che sta impressionando mezza NBA con le sue prestazioni, tanto da guadagnarsi la più seria e autorevole candidatura al premio di Rookie of the year, è stato citato in giudizio nel processo che vede imputato il suo cugientto Jamar, di due anni più giovane. Nel 2007, l’allora sedicenne Jamar Evans si aggirava per le
A LESSANDRO
DELLI
DI
PAOLI
vie di Chester (Philadelphia), a bordo dell’auto di proprietà del talento dei Sacramento Kings, e sparò dei colpi di pistola. Come spesso accade in questi casi, sfortuna ha voluto (per non parlare della pura e semplice scelleratezza di Jamar) che i colpi esplosi colpirono e uccisero Marcus Reason, ragazzo di 19 anni che passeggiava tranquillamente. Jamar si è dichiarto colpevole e la pena si aggirerà, dunque, dai 9 ai 20 anni di carcere e la famiglia Evans dovrà sborsare una somma pari a 50 mila dollari a titolo di risarcimento. Non tutto nella vita si può scegliere. I parenti ad esempio.
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LA RUBRICA TRANSFORMERS SMITH JR Smith trova sempre un modo per far parlare di se. Questa volta il giocatore dei Nuggets ha deciso di tatuarsi sul collo il simbolo dei ‘Deception’, il gruppo ‘cattivo’ della celebre serie animata dei ‘Transformers’, da qualche anno approdata al grande schermo. Smith, che evidentemente si considera antagonista ai ‘buoni’ Autobot,
guidati da ‘Optimus Prime’, ha dichiarato così tutta la sua passione per i robot e, soprattutto per il secondo episodio in celluloide della serie, ‘La vendetta del caduto’. Fortunatamente per il pubblico cestofilo, JR Smith ha preferito andare al cinema e non ripiegare sul caro vecchio ‘Titanic’ in DVD, altrimenti, a quest’ora, sul suo collo campeggerebbe una nave gigante in procinto di affondare.
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LA RUBRICA A L L N I G H T L O N G , L E A N D R I N HO Se c’è qualche lettore che non ha mai visto ‘Almoust Famous’, un film diretto da Cameron Crowe che racconta l’inizio della sua carriera come critico musicale, ve lo suggeriamo vivamente. L’immagine, facilmente reperibile sul più famoso sito di filmati del web, di Leandro Barbosa che, a bordo del Bus dei Phoenix Suns, inizia a canticchiare e poi viene seguito dai compagni, ricorda molto una scena del piccolo capolavoro cinematografico citato.
Se la canzone intonata da Kate Hudson e compagni era ‘Tiny Dancer’ di Elton John, quella cantata da Barbosa è, invece, il successo più grande di Lionel Richie, ‘All Night Long’. Leandrinho dà il via e, in men che non si dica, Stoudemire, J-Rich, Hill, Dudley, lo seguono in una festosa e allegra cover. La regia di Steve Nash, che riprendeva il tutto, è, come sempre, brillante e fantasiosa. Ecco un bel modo di ingannare il tempo nelle lunghe trasferte che la Nba propone.
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LA RUBRICA I L C O A C H CH E S U S S U R R A V A A I G I O CA T O R I Ricordate “L’uomo che sussurrava ai cavalli”, il film di qualche anno fa, ambientato nel Montana, diretto dal grande Robert Redford? Bene immaginate Phil Jackson al posto del registaattore americano e il ‘puledro’ Bryant con le scodelle delle orecchie ben aperte per farsi versare il brodo del basket dal mitico ‘coach Zen’. Ecco, è solo immaginazione. Il dieci volte campione NBA, come da sua consuetudine, ha regalato un libro al suo ‘Black Mamba’.
Questa volta la scelta è ricaduta su “Montana 1948”: "Non legge mai i libri che gli regalo, così gliene ho dato uno sul Montana" ha detto Jackson. "Non è che voglio da lui un resoconto sul libro. E' qualcosa a cui tengo molto perché il Montana è la terra dove sono cresciuto". Il romanzo, scritto da Larry Watson, narra di una famiglia distrutta da uno scandalo. Trama interessante, chissà quale significato subliminale sarà leggibile tra le righe. Allora Kobe, partitina a playstation o lettura distensiva di un buon libro?
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NBA NEWS
Trade deadline: finale col botto
Fonte foto: http://www.nakednews.it
Era nell’aria che qualcosa sarebbe cambiato: e alla fine cosi è stato. Alcuni grandi movimenti previsti, vedi i traserimenti di Chris Bosh, Amar’è Stoudemire, Ray Allen, non si sono concretizzati, altri, altrettanto preventivati, ci sono effettivamente stati; da segnalare principalmente gli scambi che hanno portato Tyrus Thomas da Chicago (che ha rinunciato anche a John Salmone in cambio di Hakim Warrick dei Bucks) a Charlotte in cambio di Flip Murray , Acie Law e una prima scelta , Tracy McGrady da Houston a New York per Jared Jeffries e Jordan Hill, Antawn Jamison dalla capitale ai Cleveland Cavs in cambio di una prima scelta futura e Zydrunas Ilgauskas (destinato a ritornare ai Cavs, previo buyout dai Wizards) , Nate Robinson dai Knicks ai Celtics in cambio di Eddie House, JR Giddens e Walker, Marcus Camby dai Clippers ai Blazers in cambio di Travis Outlaw e Steve Blake,ancora Caron Butler , DeShawn Stevenson e Brendan Haywood dai Wizards ai Mavericks in cambio di Josh Howard, Drew Gooden e James Singleton. Cambio di maglia anche per l’oramai ex Houston Carl Landry che va ai Kings in cambio di Kevin Martin. Notevolmente rinforzati i Cavs e i Mavericks, in odore di titolo, ulteriormente alleggerite sui salari New York e Washington.
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G UGLIELMO B IFULCO DI
NBA RUMORS
New Jersey pensa a Pitino Finora le hanno provate un po’ tutte nel New Jersey per risollevare le sorti della squadra, che attualmente ha all’attivo soltanto 5 vittorie in regular season: ne ha pagato le conseguenze Lawrence Frank con il licenziamento, e il sostituto scelto in casa, Kiki Vandewhaege, non è riuscito a risanare l’ambiente. In questo contesto oramai compromesso non resta che guardare al futuro, e le basi sulle quali ricostruirlo, oltre al facoltoso magnate russo Mikhail Prokhorov, sembrano essere destinate a Rick Pitino, attuale coach nell’NCAA di Louisville ed ex coach NBA di New York Knicks e Boston Celtics. Motivi validi per convincerlo a cimentarsi nell’impresa sarebbero le speranze di portare a casa il predestinato numero 1 dei prossimi draft John Wall ( se la lotteria premierà il numero maggiore di palline recanti la scritta Nets), di accaparrare almeno uno dei prossimi free agents della prossima estate, di usufruire dell’appoggio di un proprietario al quale ,presumibilmente, Stern concederà molti benefici, e di osservare un ulteriore miglioramento dell’attuale stella della squadra, Devin Harris , comunque già consacrato come stella della lega ed eventualmente scambiabile con qualche altro big in funzione dei nuovi arrivi che ci saranno alle “retine”.
Aria tesa in casa Celtics, Rondo sbotta: «Non so se ci è convenuto»
ideato da:
Stars ‘N’ Stripes
scritto da:
Domenico Pezzella
Alessandro delli Paoli
Leandra Ricciardi
Nicola Argenziano
Nicolò Fiumi
Domenico Landolfo
Stefano Panza
Vincenzo Di Guida Guglielmo Bifulco
Stefano Calovecchia info, contatti e collaborazioni:
Davide Mamone
domenicopezzella@hotmail.it
La trade deadline ha portato nelle mani dei Boston Celtics la combo guard dei New York Knicks Nate Robinson in cambio di Eddie House, JR Giddens e Bill Walker; una scelta anche comprensibile dando uno sguardo al bollettino anagrafico degli ex campioni NBA, che nell’ultimo periodo mostrano un notevole affanno sia dal punto di vista tecnico che atletico. L’operazione, pur se rischiosa sembra essere giusta, ma non pare esserne soddisfatta la point guard titolare della squadra, Rajon Rondo che ha pubblicamente dichiarato i suoi dubbi sulla rinuncia «ad un giocatore in grado di metterne 20\30 in una singola serata..Non so se ci è convenuto, speriamo bene. Io mi limito solo a giocare..». Diffidenza un tantino ingiustificata quella del recente AllStar che evidentemente conosce poco Nate Robinson, uomo di rottura ai Knicks con percentuali realizzative anche migliori di House. Probabilmente le sue parole nascondevano una piccola preoccupazione che l’ultimo vincitore dello slam dunk contest potesse rubargli,nelle serate di grazia, minuti decisivi di match tirati. Ma di certo non lo verrebbe a dire a noi..
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AROUND THE USA
S TEFANO TEFANO L IVI IVI DI
Finalmente si torna a gioire...
Storie strane, curiose e drammatiche, quelle che aveva da raccontare questo 44esimo Super Bowl, palcoscenico della sfida New Orleans Saints – Indianapolis Colts. La storia di un ragazzotto di New Orleans, Payton Manning, diventato uno dei più grandi quarterback di tutti i tempi, che si è trovato ad affrontare la franchigia della propria città natale, dove il padre Archie ha guidato per oltre dieci anni la squadra di “scalzacani” degli anni ’70 senza grandi risultati ma rimanendo comunque un simbolo della città. La storia di Drew Brees, un ragazzo «basso» 1.83 m, troppo basso, dicevano, per diventare un campione come il ragazzotto di prima, costretto a rico-
struirsi una carriera in Louisiana dopo essere stato cacciato da San Diego conseguentemente ad un infortunio alla spalla. La storia di un trofeo, il Vince Lombardi Trophy, che porta il nome del nonno del quarterbacks coach dei Saints, Joe. La storia di una città, New Orleans, colpita dalla devastazione dell’uragano Katrina nell’agosto 2005; il disastro non è però riuscito ad intaccare lo spirito di questa gente; anche Brees, o meglio, «Breesus» come lo chiamano lì, ha contribuito alla rinascita della capitale del jazz, con la raccolta, attraverso la sua fondazione, di quasi 2 milioni di dollari utilizzati nella ricostruzioni di scuole e parchi.
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Tanti, troppi segni del destino, questi, che lasciavano intendere la strada che avrebbe intrapreso il trofeo. E così, dopo «American the Beautiful» cantata da Queen Latifah e lo «Stars Spangled Banner» eseguito dall’ american idol Carrie Underwood, finalmente si da il via alle danza. Si era messa subito male per i Santi, costretti a rincorrere sin dall’inizio. Per la maggior parte dei primi 15 minuti l’attacco nero-oro è stato spettatore non pagante. Indianapolis riesce ad andare a segno prima con un field goal di Stover da 53 yards, e poi in finale di quarto con l’haitiano Garcon, mandato in end zone da Manning in un drive da 96 yards, durante il quale la difesa ha lasciato qualche spazio di troppo alle corse di Addai, aspettandosi le solite grandi giocate del quarterback di Indianapolis. Con questo drive Indy riesce ad eguagliare il record del drive più lungo del Super Bowl fissato dai Bears nel 1985. Nel secondo quarto finalmente i Saints cominciano a giocare segnando un field goal con Hartley dopo un sack subito da Brees sulle 30 yards. La difesa di New Orleans regge bene non concedendo first downs agli avversari, mentre l’attacco fa la prima scelta coraggiosa della partita, in un quarto e goal dalle 2 yds, decide di andare per il touchdown, fallendo, e facendo ricominciare Indianapolis in condizioni pericolose, dalle quali è costretta ad uscirne con un punt, al quale i Saints rispondono con il secondo field goal a pochi secondi dalla fine del primo tempo portandosi sul 6 – 10. Dopo un mediocre halftime show dei “The Who”,iI terzo quarto comincia con quella che è stata la svolta della partita. New Orleans, al calcio d’inizio, non sceglie di consegnare la palla direttamente a Indianapolis, ma opta per un inaspettato quanto pericoloso onside kick che coglie impreparato lo special team bianco-blu. Il coraggio viene ripagato con il possesso di palla; ne segue un drive dove Brees alza il ritmo del gioco e Pierre Thomas va in TD portando il punteggio, dopo l’extra-point, sul 13-10. Indianapolis risponde prontamente. Anche Manning imprime un buon ritmo di gioco, fa del TE Clark il suo bersaglio preferito, fino ad arrivare in end zone con una corsa di Addai, trasformazione di Stover, e 13-17, controsorpasso Indianapolis. Il terzo quarto non finisce però prima di un field gol messo tra i pali da Hartley per il 16-17. L’ultimo quarto si apre con Indianapolis in attacco e finalmente un big play di Manning su un quarto tentativo, ma non si va oltre le 33 yards, da dove però Stover fallisce il field gol consegnando palla a
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New Orleans con solo metà campo da percorrere e poi percorsa senza battere ciglio. Una serie di passaggi laterali fino ad arrivare al TD messo a segno dal tatuatissimo Jeremy Shockey al suo primo Super Bowl dopo aver saltato quello con i Giants di due anni fa per infortunio. La trasformazione questa volta è da 2 punti per trovarsi con un touchdown di vantaggio sugli avversari. Manning cerca di colmare il gap tra i due team ma in inizio di drive lancia il primo intercetto della partita nelle mani di Tracy Porter che dopo aver evitato nella finale di Conference che i Vikings segnassero il TD della vittoria con un intercetto su Favre, va a porre la palla ovale in end zone, siglando il TD che di fatto mette la parola fine al XLIV Super Bowl. MVP della partita è stato eletto Drew Brees (32/39 per 288 yds, 2 TD) mentre Manning(31/45, 333 yds, 1 TD) deve rinunciare al sogno di infilare il suo secondo anello da campione NFL in 4 anni. Ormai la partita è finita, resta solo da vedere il consueto gavettone dei giocatori dei Saints al loro head coach, Sean Payton. Da quel momento i tifosi si riversano in massa in Bourbon Street dando il via, con qualche giorno d’anticipo, al leggendario “Mardì Gras”, il carnevale di New Orleans. Finalmente festeggiano gli stessi tifosi che nel 1980 si recavano allo stadio con il volto coperto da buste di carta, vergognandosi di essere tifosi di una squadra capace di perdere 14 partite consecutive. . I Saints hanno vinto contro tutti i pronostici, sia dei bookmakers che la davano a 2.60 rispetto all’ 1.45 riservato a Indianapolis, sia del presidente Obama che poche ore prima del match aveva previsto la vittoria texana. E la vittoria ha un duplice valore. Importante perchè Santi non erano mai riusciti a portare a casa il match del Super Bowl, nè tantomeno a giocarlo. Sono arrivati a Miami dopo 13 vittorie consecutive seguite da 3 sonore sconfitte in finale di regula season. Ma è ancora più importante perchè ha sancito una volte per tutte la risurrezione non solo di una squadra trovatasi in enorme difficoltà dopo la catastrofe, costretta a migrare in giro per gli Usa quando il Superdome era diventato rifugio per chi cercava di sottrarsi alla furia di Katrina, ma soprattutto di una città che torna a sorridere e a festeggiare dopo tanta sofferenza.’‘Il Mardi Gras potrebbe non finire mai. Le feste non si fermeranno» - dice Brees, «Abbiamo creduto in noi stessi, dietro di noi avevamo un’intera città. E, forse, un intero paese’‘.
La lente di ingrandimento di Stars N Stripes sulla LegaA
L ’ A n al is i . . .
Andre Collins L ’ A n a li s i. . .
Tutto sull e Fi na l Ei gh t
M A DE I N I T A LY
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Un ‘estense’ all’ombra delle ‘Torri’ MADE IN ITALY -1 IL PERSONAGGIO
DI
D OMENICO L ANDOLFO
Venuto dal Maryland, cresciuto con i valori cristiani e finito a giocare nell'università cattolico gesuita di Loyola, Andre Jerome Collins, ha scelto l'Italia come sua seconda patria, terra di santi e di pallacanestro che conta. Un ragazzo normale alto 1,75 corpo esile e snello, ma gambe solide, svelte, agili e che se le perdi di vista un decimo di secondo ti lasciano secco. Collins è stato l'oggetto del desiderio di molte squadre italiane e straniere, ma nel suo bagaglio personale porta una dote molto importante: il rispetto per tutto ciò che lo circonda. arrivato da giocatore buono, ma inviso al pubblico di fama, a Ferrara si instaura nella città estense e ne diviene nuovo e assoluto padrone. Inizia in Legadue con un campionato che ti mette tanta pressione addosso e lui risponde presente con una grande visione di gioco e una innata dote nel saper sentire il profumo del cotone dentro e fuori dall'arco. Prestazioni super record battuti, 10 triple anche in un singolo incontro, poi diviene capitano e leader di una squadra che Vince prima la Coppa di Categoria e poi ottiene la sua prima storica promozione in serie A. Un giocatore che rimane, bandiera inesauribile nell'ergersi a protagonista e nel portare in lato i colori bianconeri della squadra Emiliana, e che con le sue prodezze e col contributo di Allan Ray porta Ferrara non solo alla salvezza ma addirittura ad una classifica da zona playoff, sfiorata solo per la differenza canestri. Il suo talento ha però incantato i parquet di tutta Italia e stupito gli osservatori, e a malincuore, gui-
dato dal Signor, arriva a Bologna, si sposta di poco. All'ombra delle torri nella Virtus del presidente Sabatini avrebbe un roster intorno a se di competenza inimmaginabile, ma in un torneo estivo si rompe la mano e rimane fuori un paio di mesi. Stagione compromessa, Virtus in crisi, odore di taglio per i vari Moss e Hurd, poi verso Dicembre, proprio nella sua Ferrara, si metta in fronte la sua immancabile fascia e torna a calcare il parquet, stretto in un commosso abbraccio dal pubblico della sua seconda casa che gli perdonerà anche la vittoria felsinea. Andrè è tornato, più forte di prima e la sua grande caparbietà nel fare la cosa giusta al momento giusto ha formato il suo carattere ponendolo ai vertici della categoria europea. Può punirti da tre o in palleggio se gli lasci spazio, ma se ha la possibilità di servire un compagno per un tiro ad alta percentuale stai certo che la palla arriverà col giusto timing precisa e corretta e regalerà spettacolo e sostanza. Ultima prova forse più vicina nel tempo, ma, a mio giudizio, assai significativa, la final eight di Coppa Italia, in cui prima nel match contro Caserta, poi in quello con Avellino, dimostra i suoi due volti, quello del cecchino e quello dell'assist man, quello del individuale singolo che si prende le responsabilità quando la palla pesa e quello che pensa a mettere in ritmo i compagni. I profeti biblici erano uomini speciali che facevano della fede la loro vita, che nella patria di tanti giuristi sia arrivata finalmente un'anima benedetta?
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Ancora un sigillo senese: è doppietta... MADE IN ITALY -2 L’ANALISI...
DI
N ICOLA A RGENZIANO
All'interno di una cornice di pubblico e appassionati sostenuta da un'organizzazione impeccabile, le final 8 2009/2010 hanno dato vita ad un godibilissimo spettacolo sia tecnico in senso stretto, sia sotto il profilo di seguito e interesse. Prima di passare all'analisi tecnica non si può non parlare infatti della perfetta riuscita della manifestazione, spinta da un'eccellente struttura organizzativa messa in piedi sia dalla Scandone che dalle istituzioni locali. Le Final 8 di Avellino saranno ricordate anche per la vera festa di sport che hanno rappresentato, con cornici di pubblico calde e appassionate. Sotto il profilo dei risultati ancora una volta è stato un "Siena piglia tutto", con il Montepaschi che almeno stavolta però ha dovuto sudarsi un pò la vittoria finale contro una Virtus Bologna ancora una volta tornata dalla competizione come seconda classificata. Ma le Final 8 hanno mostrato anche molti spunti inte-
ressanti, fotografando il momento di forma di tutte le squadre partecipanti. M O N TE P A S C H I SI E N A Come sempre c'era grande attesa attorno al gruppo di Simone Pianigiani, un pò per la "speranza" che i toscani non riuscissero a far "cappotto" anche qui, un pò per capire il vero stato di forma della compagine biancoverde. Il risultato è stato chiaro: Siena nonostante l'ovvio e ciclico calo che la vede protagonista in questo momento della stagione, nonostante un Lavrinovic presente solo in finale a mezzo servizio e Mcyintire non pervenuto ha alzato alla fine la coppa dando ancora dimostrazione di compattezza, in un gruppo anche nelle "peggiori" difficoltà riesce a trovare una via d'uscita. Se c'era ancora un dubbio che il Montepaschi fosse ancora 10 piste avanti agli altri queste final 8 lo hanno tolto definitivamente.
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momentanei limiti della compagine irpina, capace di chiudere (in campo amico) con il 19% da tre punti in una gara ancora segnata dal punteggio basso. L'Air esce comunque a testa alta dalla competizione, la vittoria con L'Armani testimonia ancora una volta che il gruppo è compatto e che coach Pancotto sta facendo in merito un grande lavoro. Tecnicamente però i biancoverdi hanno mostrato ancora l'altra faccia di una squadra che in campo aperto diventa devastante, ma che in partite a basso ritmo soffre dannatamente. A N G E L I C O B I E L LA La vera sorpresa delle Final 8. Giunta in un periodo di forma tremendamente negativo, in crisi di brillantezza e risultati è riuscita comunque al primo turno a sbarazzarsi di Cantu', avversario di rango tutt'altro che facile da domare per chiunque. L'innesto di Diaz ancora non apporta benefici vista la scarsa condizione del portoricano e la poca profondità nelle rotazioni ha portato al -30 contro la schiacciasassi Siena. Ma in un momento in cui anche un solo segnale avrebbe fatto comodo i piemontesi almeno sono tornati a casa con la speranza concreta che il trend negativo (contro le squadre "normali") si sia ormai esaurito. NGC CANTU' Di contro forse la vera delusione del torneo, se non altro perchè aveva il favore del pronostico nel suo accoppiamento ed anche un momento di forma positivo. Il team di Trinchieri forse ha stranamente "sottovalutato" il rischio Biella e si è lasciata eliminare mostrando un approccio difensivo troppo morbido per chi conta almeno di fare una figura decente. La speranza in terra di Brianza è che sia stato solo un passaggio a vuoto e non la fotografia di una crisi imminente proprio ora che la classifica invece cominciava a premiare la stagione canturina. S IG M A MO N T E G R A N A R O Giungeva insieme a Bologna con il (giusto) giudizio degli addetti ai lavori come la squadra piu' in forma del campionato. Ci hanno provato i marchigiani, ma soprattutto mentalmente si solo lasciati sopraffare dal tifone Siena, subendo un parzialone durante il match che li ha portati a -17 già nel secondo quarto. Nonostante i vari tentativi di reazione orgogliosa però anche la Sigma migliore in questo momento non è stata capace di opporsi ai campioni d'Italia. Poco male per Frates che comunque sapeva di aver dovuto "subire" l'accompiamento piu' indesiderato del campionato. A R MA N I JE A N S M IL A N O La seconda sconfitta consecutiva (ancora per mano di una formazione campana) mette ancora in luce i limiti dell'Armani. Tecnicamente parlando è stata delittuosa e ingiustificabile la gara giocata contro l'Air, viste le imprecisioni e l'incapacità di riuscire ad imporre ritmo alla gara. Milano ha perso male non per lo scarto subito, ma per il gioco mostrato, non riuscendo a superare Avellino proprio li dove gli irpini sembravano svantaggiati, ovvero nel ritmo e punteggio bassi. Se della qualità dei singoli non si discute a questo punto si pone piu' di una domanda sulla mentalità del team in teoria, lo ricordiamo, candidato dall'inizio come principale antagonista ai vertici della classifica. C A NA DIA N S OL A R BOL OGN A Nonostante l'ennesimo secondo posto nella manifestazione si è Vincere le final 8 non era certo cosa certa, esser eliminati al dimostrata la squadra piu' solida del momento. Il ritorno di primo turno così è stato però delittuoso. Collins ha fatto quadrare il cerchio, la Virtus ha giocato con durezza, non lesinando sia colpi di spada che di fioretto. Ha P EP SI CASER TA avuto carattere nel vincere per due volte in un palasport avverso Paga lo scotto della grande energia mentale profusa al Palalido e (sia contro Caserta che contro Avellino), ha saputo impostare ed dopo un buon inizio di gara ha subito la verve e la compattezza affrontare tatticamente in maniera egregia le partite in cui ha migliore espressa da Bologna. Anche se però un dato di fatto vinto. L'unico rammarico resterà una finale forse giocata con resta: da quando ha perso il derby proprio al Paladelmauro la non troppa convinzione. Una cosa è certa però, i ragazzi di Pepsi non ha piu' vinto due parite di fila. Resta il rimpianto per coach Lardo ora come ora si presentano come la squadra piu' non aver almeno passato il primo turno, mancando il derby con Avellino, giocando forse una delle peggiori partite a livello di credibile per giungere alle spalle dell'inarrivabile Siena. approccio mentale di questa stagione. Di contro a Caserta questi giorni in piu' di riposo uniti al prossimo impegno in campionato A IR A VEL L INO Giocando con la spinta del pubblico è riuscita a superare l'osta- (contro il fantasma Napoli) potranno tornare piu' che utili per colo Milano nonostante fosse già chiaro che la condizione non è ricaricare le pile in vista di un rush finale ai vertici della graduadi quelle migliori. Contro Bologna però sono usciti fuori i toria e al rafforzamento all'ormai obbiettivo playoff.