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Non ancora ai livelli del Big Thre formato da Allen, Cassell e Big Dog Robinson, ma almeno torna l’aria da PO: i nuovi Bucks
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L’ANALISI 1 ‘ ZE E’ I SBAC K.. .
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LA RUBRICA -
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HOT SPOT -
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Fonte foto: http://myteamrivals.typepad.com
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PIù soffer ta del solito, ma la ‘retina’ va ai Blue Devils FOCUS
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M ICHELE TALAMAZZI
Eccezion fatta per i propri fedelissimi, Duke aveva contro tutti. Un po’ perché come tutte le squadre spesso vincenti non è mai stata troppo simpatica (per usare un eufemismo), un po’ perché la storia di Butler ha rapito migliaia di appassionati di college basketball in tutto il mondo, un po’ perché nei pronostici i Blue Devils, tra le quattro teste di serie del tabellone, erano i meno indicati per la vittoria finale. Ma, mentre Kansas, Kentucky e Syracuse sono inaspettatamente cadute, Duke, complice forse una parte di tabellone non impossibile (ma poi è tutto relativo), si è dimostrata più solida e concreta, non sbagliando un solo
colpo e tornando così sul trono a distanza di nove anni dall’ultima volta, da quel titolo 2001 griffato dalle gesta dei vari Jay Williams, Chris Duhon, Shane Battier, Mike Dunleavy e Carlos Boozer. Ed è giusto celebrare la squadra di Mike Krzyzewski, al suo quarto titolo NCAA, tanto quanto Butler, allenata dal 33enne Brad Stevens, il più giovane della storia a raggiungere una Final Four, anche perché non si ricorda una finale più equilibrata dal lontano 1989 (Michigan State-Seton Hall 80-79), con i Bulldogs che sono andati ad un buzzer-beater della stella Gordon
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co.uk Fonte foto: http://static.guim.
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Hayward (uscito dopo aver rimbalzato prima sul tabellone e poi sul ferro) dalla storia. Che li avrebbe celebrati ne più ne meno come la nuova Milan, intesa non come A.C. ma come Milan HS, il liceo dell’Indiana che nel 1954 vinse incredibilmente il titolo statale e che giocava nella Hinkle Fieldhouse. La stessa dove Stevens ha costruito con tanto lavoro e applicazione un risultato che, come ha specificato lui stesso “verrà ricordato molto più a lungo che una singola notte, aldilà dell’esito di questa gara”. Ma se è giusto che l’ateneo di Indianapolis da 4200 iscritti venga identificato come sorpresa, definirla favola pare un po’ ingenero-
so, visto che comunque è frutto della continuità del lavoro e armata dal talento di una scelta da primo giro come Hayward. Continuità che è alla base del lavoro fatto dalla stessa Duke: scorrendo il roster dei campioni ci sono quattro senior (Scheyer, Thomas, Zoubek e Davidson) e quattro junior (Smith, Singler, Johnson e Peters), con i freshman Kelly e Mason Plumlee, due tra i primi 50 liceali l’anno prima, ancora ai margini della rotazione. Una rarità per un college di alto livello, un’eccezione che però rimarca come sia inevitabile che l’esperienza e l’amalgama di queste squadre valga più del talento di tutte le altre, anche di
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chi punta su ‘one-and-done’ eccellenti, vedi la Kentucky di Wall e Cousins. Krzyzewski è uscito dal Lucas Oil Stadium come secondo allenatore più vincente della storia del college basketball, pareggiando i quattro successi di Adolph Rupp ma ovviamente guardando ancora da debita distanza l’inarrivabile John Wooden. Poco prima aveva rifiutato la proposta del magnate russo Mikhail Prokhorov, neo proprietario dei Nets, che per portarlo sul pino di New Jersey ne avrebbe fatto il coach più pagato degli Stati Uniti ad una cifra oscillante tra i 12 e il 15 milioni di dollari. Coach K non ne fa una questione di soldi, ama la sua Duke e da lì non si sposterà; del resto, se dopo il terzo titolo nel 2001 aveva rifiutato i Lakers di Kobe… La finale è stata tiratissima quanto avvincente, con un massimo vantaggio in tutti i 40’ di soli sei punti, un Gordon Hayward sfiancato dalla staffetta difensiva dei Blue Devils che ha finito per ciccare i due tiri decisivi, il primo dalla linea di fondo ed il secondo da metà campo, sulla sirena. Stevens, il giorno prima, aveva messo le mani avanti, dicendo che se la sua squadra aves-
se ripetuto la prestazione balistica fornita con Michigan State (15 su 49 dal campo), vincere sarebbe stato pressoché impossibile. I Bulldogs hanno tirato 20 su 58, ma sono arrivati a giocarsela nonostante un Hayward da 2-11 e una decina di minuti senza canestri dal campo nel secondo tempo, segno che il cuore e l’orgoglio non sono mancati a questi ragazzotti dell’Indiana. Duke si è aggrappata, come sempre, alle sue certezze, alias i ‘Big Three’ del college basketball, al secolo Jon Scheyer, Nolan Smith e Kyle Singler, quest’ultimo arrivato all’appuntamento tramite uno 0 su 10 con Baylor e uscitone come Most Oustanding Player dopo una Final Four da 40 punti e 18 rimbalzi. Se i Blue Devils, riconosciuti come una squadra ben organizzata e con una precisa disciplina tattica, hanno vinto, è anche e soprattutto perché loro tre, autori di 47 dei 61 punti della ‘Championship game’, hanno saputo darle, nei momenti necessari, quella spruzzata di talento in più necessaria pur senza essere destinati a fare sfracelli in NBA nei prossimi anni. In fondo, il college basketball è proprio questo.
Ancora una Final Four amara per Tom Izzo e gli Spartans Michigan State-Butler 50-52 Tom Izzo fa rima con Final Four: quella di quest’anno per il coach di Michigan State era la sesta negli ultimi tredici anni. Mica una cosa da poco, specie se consideriamo che a questo giro gli Spartans avrebbero potuto restarne fuori senza grossi clamori, ridimensionati nell’aspetto e nel roster dall’importante perdita, rispetto alla stagione precedente, di Goran Suton. E ancora: l’infortunio al tendine d’Achille di Kalin Lucas, point guard e leader della squadra, sembrava il preludio ad una rapida uscita dal torneo. Del resto anche altre squadre più quotate hanno pagato i problemi fisici dei propri uomini di punta, vedi Purdue con Robbie Hummel o Notre Dame con Harangody. Non gli Spartans. Perché la buona stagione, numericamente parlando, non era tanto indicatore di una Big Ten ai massimi livelli, quanto piuttosto riflesso dell’ottimo lavoro del coach di origini italiane. Che ha saputo caricare a molla i suoi in vista del
tabellone, nel quale MSU si è confermata squadra difensiva, sporca e cattiva, pronta ad esaltare le doti di Durrell Summers, diventato improvvisamente (metaforicamente parlando, ovviamente) da giocatore fisico e di energia un ‘go-to-guy’ da oltre sedici punti di media. Nella semifinale gli Spartans sono stati l’ennesima vittima illustre della ormai passata alla storia Butler, più brava ad innescare la transizione offensiva, costruendo un vantaggio da 18 punti dalle 16 palle perse forzate dalla propria difesa. Ovviamente si è decisa solo negli ultimi possessi, perché Michigan State è squadra solida e poco propensa a dare i buoi per già scappati. Altrettanto ovviamente, nel post partita Izzo ha dato ai propri avversari il credito che meritavano. “Non fossi stato coinvolto come allenatore di MSU, avrei tifato Butler” ha detto il coach degli Spartans. Che intanto è il punto di partenza per le stagioni a venire dell’alma mater di Magic Johnson.
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La corsa dei Mountaineers e di Butler si ferma sul più bello Duke-West Virginia 78-57 Tenendo fede al proprio nick i Mountaineers (gli “scalatori”) hanno alzato l’asticella della propria stagione fino al giorno della semifinale. Scalando le gerarchie, passando da piccola sorpresa a squadra di buon livello a possibile sognatrice in grande alla Final Four. Spazzati via da Duke dopo aver perso il proprio playmaker Darryl Bryant, contro i Blue Devils Da’Sean Butler ha chiuso la propria stagione con nove minuti di anticipo per la rottura del legamento crociato; un finale amaro e beffardo, ma che non deve offuscare quanto di buono fatto da Bob Huggins. L’ex coach di Cincinnati, solo cinque anni fa finito nel polverone per guida in stato di ebbrezza, è tornato in auge in barba al detto “nemo profeta in patria”, vincendo il titolo della Big East. Ci si aspettava l’esplosione della comboforward Devin Ebanks, atletismo e agilità di spicco ma non ancora del
tutto formato, ed invece a salire di colpi è stato l’altro sophmore, Kevin Jones; Butler, alla sua ultima stagione in maglia Mountaineers, è migliorato nel gioco perimetrale e nell’affidabilità dalla lunetta, fatto non di secondaria importanza per un giocatore abile a trovare il contatto altrui quando si butta dentro. Resta un ibrido, forse l’NBA lo snobberà, ma intanto può dire di aver contribuito in modo significativo al traguardo della Big East: suoi sono stati infatti i tiri decisivi contro Cincinnati e Georgetown. A decidere la qualificazione, nell’incredibile vittoria su Kentucky, è stato poi Joe Mazzulla, reinventatosi protagonista dopo il ko di Bryant a coronamento di anni difficili, tra arresti e un infortunio alla spalla. Contro Duke, però, non è bastato tutto questo e nemmeno la 1-3-1 di Huggins, quella che aveva arginato lo strapotere fisico dei Wildcats di Calipari. Troppo forte e troppo più concreta, Duke, dall’alto delle sue percentuali oltre il 50% e di sole 5 perse.
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L ’AL BO D’ORO DE L CAMPI ONATO NCAA 1939 Oregon 1940 Indiana 1941 Wisconsin 1942 Stanford 1943 Wyoming 1944+ Utah 1945 Oklahoma A&M 1946 Oklahoma A&M (2) 1947 Holy Cross 1948 Kentucky 1949 Kentucky (2) 1950 CCNY 1951 Kentucky (3) 1952 Kansas 1953 Indiana (2) 1954 La Salle 1955 San Francisco 1956 San Francisco (2) 1957+++ North Carolina 1958 Kentucky (4) 1959 California 1960 Ohio State 1961+ Cincinnati 1962 Cincinnati (2) 1963+ Loyola (Chicago) 1964 UCLA 1965 UCLA (2) 1966 Texas Western 1967 UCLA (3) 1968 UCLA (4) 1969 UCLA (5) 1970 UCLA (6) 1971 UCLA (7) 1972 UCLA (8) 1973 UCLA (9) 1974 North Carolina State
1975 UCLA (10) 1976 Indiana (3) 1977 Marquette 1978 Kentucky (5) 1979 Michigan State 1980 Louisville 1981 Indiana (4) 1982 North Carolina (2) 1983 North Carolina State (2) 1984 Georgetown 1985 Villanova 1986 Louisville (2) 1987 Indiana (5) 1988 Kansas (2) 1989+ Michigan 1990 UNLV 1991 Duke 1992 Duke (2) 1993 North Carolina (3) 1994 Arkansas 1995 UCLA (11) 1996 Kentucky (6) 1997+ Arizona 1998 Kentucky (7) 1999 Connecticut 2000 Michigan State (2) 2001 Duke (3) 2002 Maryland 2003 Syracuse 2004 Connecticut (2) 2005 North Carolina (4) 2006 Florida 2007 Florida (2) 2008+ Kansas (3) 2009 North Carolina (5) 2010 Duke (4)
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Il Wisconsin ritrova gli anni ‘80: tornano gli ‘Happy Days’ a Milwaukee FOCUS -2
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N ICOLÒ F IUMI
“In questo momento sentiamo che possiamo giocarcela con tutti. Che possiamo andare a Cleveland e stare in partita fino alla fine. Sappiamo che se giochiamo come sappiamo niente ci è precluso. Ed è quello che vogliamo fare per raggiungere i playoff.” Alzi la mano chi avrebbe pensato di sentire queste parole uscire dalla bocca di un membro dei Milwaukee Bucks, quando ormai mancano una manciata di partite alla fine della regular season, a inizio stagione. Forse anche all’interno dello stesso spogliatoio dei Bucks in pochi ci avrebbero creduto. E invece oggi siamo a inizio aprile, e facciamo i conti con dei Milwaukee Bucks lanciatissimi addirittura verso il quinto posto nella Eastern Conference, così che John Salmons può lasciarsi andare alle esternazioni di cui
sopra. Considerare la squadra di Scott Skiles come una della più grandi sorprese della stagione non è certo un azzardo. Si parla, d’altronde, di una squadra che nelle ultime tre stagioni aveva collezionato in media la miseria di 29 vittorie a stagione, giocando in un palazzo semi deserto e in uno dei mercati più snobbati dell’intero panorama NBA. E quest’estate non aveva certo fatto registrare grandi movimenti per invertire la tendenza, e stiamo usando un eufemismo. Via in rapida successione Richard Jefferson, Charlie Villanueva e Ramon Sessions. Dentro Jennings, dal draft, Delfino e Ilyasova di ritorno dalle
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a o esperienze europee e Hakim Warrick da Memphis. Insomma, si capisce come all’orizzonte sembrasse stagliarsi l’ombra di un'altra stagione da incubo, dubbio fortificato dall’infortunio, dopo sole due partite, a Michael Redd che rimaneva a quel punto l’unico giocatore su cui far ricadere le principali responsabilità offensive. Pronti via e…. 8 vittorie in 11 partite, che rivelano al mondo come molto probabilmente a Roma non avessero ben compreso il talento di Brandon Jennings e come in molti si fossero gettati in giudizi affrettati su Milwaukee. Che poi, in realtà, perde 8 delle successive 9 partite, ma poi si
riassesta e comincia a trovare i suoi nuovi equilibri. “Vedere cosa la gente pronosticava a inizio anno e dove invece siamo adesso è una bella soddisfazione”, dice Brandon Jennings, senza dubbio uno dei motivi principali di questa sorprendente cavalcata. Scelto alla posizione numero 10 dell’ultimo draft, lo scugnizzo si portava dietro tutte le perplessità che aveva destato nella Capitale. Per di più, la dirigenza, per investirlo ulteriormente di responsabilità, aveva sacrificato Ramon Sessions, reduce da un’ottima stagione in cabina di regia. Dopo le 11 partite di cui sopra, e 25.2 punti di media a referto nessuno aveva un
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singolo dubbio che la mossa fosse stata giusta. Ma sarebbe assai sbagliato fermarsi a un solo giocatore per spiegare questa improvvisa metamorfosi. E allora è giusto partire dall’allenatore, quello Scott Skiles che ha saputo dare un’identità a una squadra che a inizio anno sembrava destinata al caos più totale e che, presa pezzo per pezzo, non è poi così tanto meglio dei derelitti New Jersey Nets. L’ex coach dei Bulls è nettamente in corsa per il titolo di miglior allenatore dell’anno avendo creato una chimica perfetta in una squadra non dotata di talento superiore e che proprio per questo si guadagna le proprie vittorie lavorando in difesa, dove concede la miseria di 95,9 punti, ottavo miglior riscontro statistico di tutta la Lega. Risultato ottenuto con la grande pressione che viene messa sugli esterni, sapendo che, anche nel caso si venga battuti dal palleggio, sotto il ferro si può contare sull’intimidazione di Andrew Bogut. O meglio, si poteva contare… A conferma dalla sfortuna che, come leggenda tramanda, aleggia sulla franchigia, a una manciata di partite dall’inizio della post season il centro australiano ha subito un grave, e tremendo a vedersi, infortunio in una partita contro Phoenix. Sbilanciato al momento di una schiacciata, Bogut ha perso l’equilibrio, ricadendo pesantemente sul braccio destro, procurandosi la frattura del polso e la lussazione di gomito e spalla. Un colpo durissimo per la squadra, che stava beneficiando della miglior stagione in carriera del centrone, autore fino a quel momento di 16 punti e 10 rimbalzi di media, conditi da 2 stoppate e mezzo. “Andrew portava un sacco
di giocate di energia per noi – dice Skiles – Rimbalzi, sfondamenti presi e cose così. Ma non sono cose impossibili per gli altri. Tutti in squadra sanno che Andrew era importante per noi, ma allo stesso tempo sanno che ora dovranno elevare il proprio rendimento.” Dichiarazione che esemplifica il concetto che sta portando avanti la squadra finora. Tutti sono importanti, nessuno è fondamentale. Con il lavoro di squadra, si può sopperire alla mancanza di un elemento come Bogut. Anche se andando a guardare bene il roster, l’impresa potrebbe essere più complicata di quanto non lo sia a parole. Nel reparto lunghi, prima dell’infortunio, Bogut era l’unico giocatore interno dotato di un chili e centimetri. Kurt Thomas, infatti, è un’ala grande adattata, mentre Mbah a Moute e il positivo Ilyasova, forse sono addirittura ali piccole adattate al gioco nel pitturato. Ci sarebbero Gadzuric e Primoz Brezec, che però, fino ad oggi, erano ai margini della rotazione, ma ora potrebbero trovare qualche minuto per necessità. I Bucks, infatti, sono una squadra decisamente a trazione posteriore, e che basano molto il loro gioco sulle capacità di colpire e creare gioco degli esterni, le volte in cui non possono appoggiarsi a Bogut. Da Jennings alle triple di Bell, passando alle penetrazioni di Delfino, fermo al momento per un infortunio patito contro Miami ma pronto al ritorno in tempi brevi, fino a quello che, arrivando dai Chicago Bulls, ha portato John Salmons, altro capitolo fondamentale nel libro della stagione 2009/2010. Senza stare a raccontarsi chissacchè basterebbe sottolineare come Milwaukee dal suo arrivo abbia vinto 19 partite sulle 25 giocate, ma per completez-
LE STATISTICHE DI BRANDON JENNINGS
I MILWAUKEE BUKS IN CIFRE
m.br Fonte foto: http://www.utahjazz.co
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za ci mettiamo anche i suoi 20,2 punti a partita col 46% dal campo e il 39% da 3 punti. Segno evidente che Salmons ha portato in dote qualcosa che fino a quel momento mancava nel Wisconsin, ossia un giocatore completo, che può colpire col tiro da fuori, ma anche penetrare ed essere pericoloso dal palleggio, oltre ad essere un altro buon atleta da spendere nella fase difensiva. Il volto attuale dei Bucks è quello di una squadra che, stante l’assenza di Bogut, ha in Jennings e Salmons le principali bocche da fuoco, mentre Delfino e Ilyasova, uscendo dalla panchina, devono portare sostanza per non abbassare il rendimento della second unit che è guidata da un Luke Ridnour che come back up di Jennigs sta giocando un ottimo campionato, spalmando il suo talento su 21 minuti di impiego in cui produce 10 punti e 4 assists. Come dicevamo in precedenza, bisognerà invece trovare nuovi equilibri sotto canestro. Con l’infortunio di Bogut, verrà lanciato in quintetto l’esperto Kurt Thomas, che in non troppi minuti dalla panchina portava ancora un sostanzioso contributo, ma ora andrà rivalutato come starter. Anche perché il suo compagno di reparto è Luc Richard Mbah a Moute, giocatore di energia cui però manca la stazza per giocare nei pressi del ferro e dunque si completava bene con l’australiano che poteva andare in suo aiuto. Riuscire a ottenere qualcosa da Gadzuric o Brezec sarà molto importante, perché già Milwaukee ha un impatto fisico ridotto, solo 20 tiri liberi guadagnati a partita contro i 26 concessi sono un chiaro sintomo di come fisicamente gli avversari tendano ad imporsi, e un ulteriore abbassamento in congiunzione con l’aumento della durezza delle partite nel periodo dei playoff potrebbe essere insostenibile. Uno dei capolavori di Skiles in questa stagione è stato quello di responsabilizzare ogni giocatore mettendolo al posto giusto e facendogli capire esattamente quello che voleva. Facendo leva su questo il coach dovrà trovare il modo di far funzionare la squadra nonostante gli infortuni. “Ci sono squadre contro cui possiamo pensare di schierare Ilyasova come
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centro, altre contro cui assolutamente non possiamo – dice ancora Skiles - E’ già successo altre volte, quindi è nel bagaglio tecnico delle cose che sappiamo fare. Ersan dovrà avere ancora più impatto a rimbalzo e nel frattempo aumenteranno i minuti di Kurt Thomas, senza dimenticarci di Primoz e Dan Gadzuric.” Intanto è tempo di guardare al calendario per cercare di guadagnare la migliore posizione possibile in ottica playoffs, ottenuti matematicamente con la vittoria del 6 aprile sui Chicago Bulls. Attualmente i Bucks sono in lotta con Miami e Charlotte, contro cui è recentemente arrivata una bruciante sconfitta di un punto, per il quinto posto. Milwaukee terminerà la stagione con 3 gare casalinghe contro Nets, Celtics e Hawks e due esterne a Philadelphia e Boston. Calendario non impossibile, ma nemmeno troppo benevolo, considerando i due match contro Boston e la gara con Atlanta. Il record attuale è pari a quello di Miami che però, dal canto suo, ha il miglior calendario della tre pretendenti. Dovendo affrontare ancora 76ers, Pistons e Nets in casa, Knicks e ancora 76ers in trasferta, tutte squadre già fuori da ogni gioco, contro le quali è quindi ipotizzabile un en plein di Wade e soci. I Bobcats, comunque, staccati di due partite, hanno due brutte trasferte a New Orleans e Houston, seguite da gare casalinghe contro Detroit e Chicago intervallate dalla trasferta all’Izod Center contro New Jersey. A giocare in favore dei Bucks, se non altro, ci sono i tie breaker, favorevoli sia con Miami, contro cui sono arrivate 3 vittorie in 4 partite, che con Charlotte, 2-2 il bilancio stagionale ma miglior record contro la Eastern Conference. L’obiettivo, dunque, è quello di ottenere il quinto posto, anche se pure il sesto non sarebbe disprezzabile. Le avversarie probabili saranno Boston o Atlanta, clienti scomodi, specie per l’impatto sotto canestro, ma chissà che con l’incoscienza di Jennings, rookie del mese a Est 4 volte su 5, l’impatto di Salmons, l’esperienza di Kurt Thomas e la saggia guida di Scott Skiles da bordo campo, i ragazzi della città di Happy Days non possano diventare la Storia dei prossimi playoff. D’altronde, sognare non costa niente, e tifosi dei Bucks, dopo gli incubi degli ultimi anni, stanno cominciando ad abituarsi bene.
CENTRAL DIVISION
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SG C SF LA SITUAZIONE SALRIALE DEL TEAM DEL WISCONSIN J.Alexander C.Bell A.Bogut C.Delfino F.Elson D.Gadzuric E.Ilyasova B.Jennings L.R.M.Moute J.Meeks Michael Redd Luke Ridnour W.Sharpe K.Thomas Roko Ukic H.Warrick
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6-8 6-3 7-0 6-6 7-0 6-11 6-10 6-1 6-8 6-4 6-6 6-2 6-9 6-9 6-5 6-9
230 200 260 230 240 245 235 169 230 208 215 175 245 230 190 219
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HOT SPOT Fonte foto: http://upload.wikimedia.org
Kevin Durant
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D OMENICO P EZZELLA Eppure se ne continua a parlare troppo poco. Il giusto ovvero nella fattispecie scampoli di giornali (non certo quello dell’Oklahoma dove ormai è diventato già una sorta di eroe nazionale ndr), scampoli di video o quant’altro come per dire, già e poi ci sarebbe anche lui, ormai non bastano più. Ma è solo questione di tempo. E’ solo questione di far trascorrere il tempo fino al momento in cui le partite iniziano a contare per davvero, fino al momento in cui di sicuro qualche sua impresa resterà impressa nella mente di chiunque e poi la strada sarà completamente libera con una corsia preferenziale solo per lui cosi come per esempio avviene per il 23 in maglia Cavs ed il 24 in maglia Lakers. Al momento quello che sembra interessare è l’idea di come lo stesso Durant possa contendere a James e Bryant il titolo di migliore realizzatore della Lega prima che il suo nome finisca in un amen in una sorta di dimenticatoio temporaneo per parlare della sfida in finale che tutti si attendono nel prossimo giugno con probabili voli charter pronti a scaldare i motori per fare avanti ed indietro tra la città degli Angeli e la terra natia di The Chosen One. Un continuo parlare di un giugno che potrebbe trattarsi di ‘Cronaca di una finale annunciata’ (sempre che non vi sia qualcuno, vedi i Magic lo scorso anno, non d’accordo con il resto del mondo Nba a tal proposito ndr) che già da solo potrebbe bastare per far mettere quel piccolo velo, per far passare sul gradino più basso del podio il nuovo idolo dell’Oklahoma, se non fosse che poi a tutto questo si aggiunge anche il dopo giugno e la fatidica estate che tutti da un paio d’anni attendevano e che aspettavano quasi come quel 2012 tanto chiacchierato ed indicato sui calendari Maya. Ma nell’ombra Kevin Durant è passato dall’essere il mingherlino di Texas e Seattle Sonics con
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un talento spropositato, ma pur sempre la seconda scelta del Draft del 2008, ad una vera e propria super star. Uno status che dopo questa di stagione potrà roster celato o quanto meno non spiattellato ai quattro venti, ancora per poco. Certo la consacrazione e l’iscrizione del suo nome e cognome all’interno della particolare lista di contendente dello scettro di ‘padrone della Lega’, di cui al momento il nome dei già citati Bryant e James, sono inamovibili, la potrà avere a partire dal momento in cui dimostri quello che ancora non ha potuto dimostrare per normale decorrere degli eventi: guidare i Thunder nei playoff. Ancora una volta sarà questione di tempo, ancora una volta sarà questione di aspettare ancora qualche giorno e poi anche questo tassello andrà al proprio posto, anche questa pedina verrà sistemata sul personale scacchiere dove l’unica strategia possibile è quella di arrivare al ‘check mate’ allo scacco matto al ‘Re’ della compagnia, quello stesso James che in più di un’occasione ha evitato la questione, ance se limitata alla classifica marcatori, affermando: «Essere il miglior realizzatore della Lega non mi interessa, quello che mi interessa è il titolo». Un modo come un altro per tergiversare per non affrettare i tempi su una rivalità che senza dubbio alcuno entusiasmerà l’Nba del prossimo decennio? Probabile e non impossibile, ma al momento LBJ ha altro a che pensare, cosi come l’ex Texas che tra qualche settimana avrà la possibilità di dimostrare, come al solito, con i fatti e con le parole quello di cui è capace. Ventinove e sette punti di media, 7,6 carambole ad allacciata di scarpe e tanto per non farci mancare niente anche quasi tre cioccolatini ad uscita che non ne faranno una versione moderna di Willy Wonka, ma che in un giocatore al di sopra dei due metri non sono mai cosa disprezzabile. Questo c’è scritto sui bigliettini da visita che KD dispensa sera dopo sera nelle varie arene a stelle e strisce. Bigliettini da visita che ormai non sono più una novità, ma un consuetudine per gli scouting report e per
il coaching staff che al momento di affrontare i Thunder hanno segnato a caratteri cubitali nome, cognome, e mappatura di tiro, per capire come, quando e se è possibile arginarlo. Già arginarlo. Un qualcosa che avrebbe fatto cambiare idea anche al migliore Ethan Hunt sulla considerazione che non esistono missioni impossibili, ma solo missioni difficili. Ma come il tallone del ‘Pelide Achille’, quello di Durant al momento sembra essere limitato a due soli settori del campo in cui il talento spaventoso (lo stesso che sembra essere stato la causa dell’ira del presidente dei Blazers che alla possibilità di aver messo in scena un remake di quanto successo nel lontano Draft del 1984, per il quale non ci sono nemmeno bisogno di parole, ha sbottato alla grande preannunciando una rivoluzione societaria a partire dalla prossima stagione ndr) di cui dispone a tratti lo tradisce. Piedi dietro la linea da tre punti e angolo sinistro del campo dove proprio non riesce a metterla con continuità, anche perché con continuità l’ex Texas prova ad evitare di essere mandato laddove la difesa vuole che vada per sfruttare il suo 1/7 stagionale. Da quell’angolo, poi, le disposizioni sono chiarissime: mandarlo verso destra e lasciargli come unica soluzione il jump shoot (utilizzato tra l’altro nel 91% delle sue conclusioni per un 41% di realizzazione totale ndr) dai 5 metri visto che il 18/62 per un 29% lo consiglia vivamente. Dopo di che ti puoi solo affidare al fatto che possa sbagliare da solo, perché ultimamente è cosa abbastanza difficile specie se occupa la posizione di small forward. Qualche speranza la si può avere quando viene impiegato nello spot di shooting guard, o da numero ‘4’ atipico, ma nel suo ruolo naturale è davvero impossibile. Lo puoi mandare a destra, lo puoi mandare a sinistra (la parte preferita quando si gioca in casa con un 21/47 e 44,7% dalla lunga distanza e mattonella praticamente preferita dal quale far partire missili terra aria ndr), oppure puoi tentare di non farlo partire facendolo magari ricevere fronte a canestro (dove ama
LE STATISTICHE DI KEVIN DURANT
...COSI NELLE ULTIME CINQUE PARTITE...
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LA ‘SHOOTING SELECTION’ DELL’EX TEXAS
tirare principalmente ‘on the road’ con il 42% e 16/38) non fa nessuna differenza, lui prende parte si arresta e tira e cosa più importante fa canestro e quando poi non si ferma arriva fino al ferro con una proprietà di palleggio davvero disarmante. Nei pressi dell’anello arancione, poi, il repertorio è un pochino più ampio del jump shoot che invece è divenuto illegale in quasi tutti i 51 stati americani: layup ad una mano, layup rovesciati, schiacciate in contropiede, alley oops, voli sulle teste degli avversari grazie anche alle sue lunghe leve. Evitare di fargli finire la palla in mano entro i primi 15 secondi dell’azione è l’unico tentativo giusto (29% di realizzazioni quando riceve e fa fuoco entro i primi dieci rintocchi di lancette; 30%
Fonte foto: http:/ blogs.bet.com
quando si va dagli 11 ai 15 e d altrettanto quando sullo shoot clock si arriva al ventesimo secondo), visto che il solo 11% nei secondi finali dell’azione sono più che una speranza per evitare di sentire il soave rumore del nylon che vuol dire due punti in più ai Thunder e rimessa dal fondo e via.
Fonte foto: http:/ cdn0.sbnation.com
Fonte foto: http:/ blog.oregonlive.com
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L’ANALISI -2
S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S
DI
D OMENICO P EZZELLA
‘Zeee’ is back... «Uno dei ritorni più annunciati dopo quello di Michael Jordan». E’ stato questo il laconico, ma allo stesso tempo importantissimo commento di colui che di questi Cavaliers è il capofamiglia senza discussione alcuna. Questo il commento di chi ritiene Zydrunas Illgauskas una persona importante dentro e fuori dal campo e colui che sicuramen-
te muovendo i fili o meglio dando le coordinate al front office per muovere i fili ed arrivare nella fattispecie a Antawn Jamison, aveva posto come possibilità che trascorsi quei trenta giorni che ormai tutti conoscono e che pochi apprezzano, The Big ‘Z’ potesse tornare a casa. Ed a Cleveland lo si sa si tende, si tenderebbe ad accontentare The Chones One
S T A R S ‘ N’ S T R IP E S
Lebron James quando apre bocca per evitare che quel numero 6, il nuovo numero che accompagnerà la prossima stagione LBJ non vada ad esaltare il pubblico di altra franchigia Nba. Ma il figlio di Akron non è stato certo l’unico a gioire o a contare con impazienza lo scorrere delle ore e dei giorni che separavano uno dei simboli dalla squadra dal rivestire quella maglia e continuare nella propria scalata verso un record, forse insuperabile, di presenze in maglia Cavs. Magliette con la scritta Cavs modificata con una evidente ‘Z’ al post della ‘S’ finale, cartelloni con l’ultima lettera dell’alfabeto che alla Quiken Loans Arena diventa quella più gettonata. Emozione tangibile e struttura pronta ad esplodere, quasi come un anno fa quando lo stesso James alzò davanti ai suoi discepoli il titolo di Mvp della stagione, al momento della presentazione dove il grido ‘Zeee Zeee, Zee…’ è stato udito forte e chiaro da chiunque dentro o fuori con un telecomando in una mano e una bibita nell’altra. Lo stesso tipo di ovazione e lo stesso tipo di grido che si alzato ogni volta che il lituano ha toccato palla segnando i suoi primi punti di quella che potremo definire come la sua seconda giovinezza cestistica. Al termine del match del suo ufficiale ritorno a casa, non quello con la maglia dei Cavs, visto che il numero 11, quello di Illgauskas, era già stato avvistato qualche giorno prima, inevitabile che la maggior parte dei microfoni sono stati per lui: «E’ stato un qualche cosa di davvero emozionante – risponde con voce tremula il lituano che è stato un Wizards solo per qualche ora prima di avviarsi verso quel cammino di 30 giorni per ritornare a casa –. Un qualcosa che ricorderò per tutta la vita. E’ bello vedere che la gente apprezza quello che tu hai fatto per questi colori in tutti questi anni che sono stato a Cleveland, cosi come io apprezzo quello che questa comunità ha dato a me e alla mia famiglia, alla fine poi abbiamo anche vinto, quindi la felicità è doppia…».
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Insomma ‘Welcome Back Z’ gli avranno detto tutti, compreso colui per il quale il lituano ha dovuto sopportare un mese di stop forzato, Antawn Jamison, ma soprattutto glielo avrà detto coach Mike Brown, che riabbraccia un fido scudiero, un giocatore che conosce a memoria tutto il credo cestistico del miglior allenatore della passata stagione e che in questo momento, con Shaq fuori dai giochi, rappresenta la prima vera alternativa all’interno dell’area per il team dell’Ohio. Con lui in squadra il roster si allunga sempre di più, Cleveland recupera centimetri e rimbalzi, oltre che una mano docilissima dalla media distanza, in attesa che The Big Aristotele (le ultime sull’ex Lakers lo danno in grande forma anche se poi tutte le notizie riguardante O’Neal sono da prendere con le molle ndr) torni per rendere definitivamente i Cavaliers la formazione più attrezzata, più lunga e più completa per quanto riguarda gli elementi per arrivare all’unica cosa che potrebbe tenere ancorato James alla sua terra natia: ‘The Ring’. Finali, anello e titolo sono anche le spiegazioni date da Illgauskas nell’intervista che il lituano ha rilasciato alla sezione web di un noto giornale di Cleveland: «La mia decisione di tornare e non provare altro? Beh perché penso che Cleveland sia la città e la squadra giusta ed attrezzata a darmi la possibilità di vincere un titolo, ma soprattutto per tutte quelle ragione per cui sono rimasto qui per tredici anni. Ormai la mia famiglia si è ambientata benissimo – continua ‘Z’ – certo è stata dura pensare di non essere più in squadra dopo tredici anni di allenamenti e di presenze in palestre, ma alla fine è stato come essere infortunati, fa parte della vita, fa parte di questo sport, sei a casa, guardi i risultati e ti informi su quello che hanno fatto i tuoi compagni, visto che per me sono sempre rimasti i miei compagni». Welcome Back ‘Z’ e ora manca solo l’ultimo passo per chiudere una carriera che lo renderebbe una leggenda vivente: il titolo.
S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S
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LA CULLA DEL BASKET DI
V INCENZO D I G UIDA Il fato agisce per vie misteriose. Se New York è la culla del basket, Brooklyn ne è l’epicentro, per aver dato i natali a un certo Michael Jeffrey Jordan, per acclamazione il più grande giocatore della storia. E non si discute. Che poi sua Maestà dopo pochi anni insieme alla famiglia si sia trasferito in North Carolina è un dettaglio secondario. L’imprinting è Brooklyniano e questo ci basta. Da piccolo la prima cosa che mi veniva in mente pensando a Brooklyn era quel ponte disegnato sulla confezione delle gomme da masticare. Un’istantanea che mi accompagnato per molti anni. Solo dopo ho scoperto che sotto e attorno a quel ponte c’era molto di più. C’era la spina dorsale della comunità nera newyorkese: basket e hip hop indissolubilmente legati ancora una volta. Nel più popoloso dei borough di Ny è nato il più grande di tutti con la palla arancione a strisce nere tra le mani, nel più popoloso borough di New York ha costruito la sua leggenda uno dei più grandi MC con il microfono tra le mani: Jay-Z. “Like a momma u birth me Brooklyn, u nursed me schooled me wit Hard knocks better then, worked me they say u murked me by the time, i was 21 that shit disturbed me but u neva hurt me Hello Brooklyn, if we had a daughter guess wat? I'm a call her Brooklyn Carter”, l’atto d’amore di Shawn Carter dipinto in “Hello Brooklyn” dall’album American Gangster. “ Se avessi una figlia come la chiamerei, indovinate, Brooklyn Carter (we had a daughter guess wat ? I'm a call her Brooklyn Carter). Tutto si origina ancora sulla strada. Il basket è poesia in movimento, il rap non è musica è poesia. Attorno ai playground le due discipline si formano e si fondono. La sfida è dentro il campetto: uno contro uno, crossover, jump shot, slam dunk. La sfida è fuori il campetto, uno contro uno, beatboxer, contest, jam session. Fine anni ’70, il 66 Park a Brooklyn era un playground quotato come e forse più del Rucker. Attorno al 66 gravitava l’uomo di Brownsville, il nome Lloyd Bernard forse vi dice poco. Allora proviamo con Worl B. Free. Nato il 9 dicembre 1953, soprannominato “The Prince of Midair”, grazie al suo talento e alla sue magie è stato uno dei più grandi streetballer della storia Ha segnato qualcosa come 18.000 punti in una straordinaria varietà di modi con Sixers, Clippers, Warriors, Cavs e Rockets e, pur essendo uno dei migliori marcatori della storia NBA era alto poco o più di
New Yo r k e Brooklin
N u ov o e p i s o d i o e c a p i t o l o d e l v i a g g i o t ra i q u a r t i e r i ch e v i v o n o di baske t
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TEKSAB LED ALLUC AL
1.85. E’ passato alla leggenda per le sue spettacolari schiacciate, la mentalità vincente e le sue movenze che lo hanno sempre collocato in un mondo a parte. Il suo modo di giocare aveva uno stile funk intriso di elementi hip hop. Perché in quegli anni, intorno ai playground iniziò tutto. Immaginatevi la situazione. Gang rivali, pronte ad uccidere per il loro territorio, violenza che si respirava nell'aria a polmoni pieni e dietro ogni angolo degli edifici.. E in mezzo a questo clima caotico e di certo non pacifista si cominciò a vedere gente ballare per strada. Sull’asfalto del blacktop, invece, c’era già gente che danzava a nell’aria, come Worl B. Free, come il Doc passato da lì in quegli anni, come Nate “Tiny” Archibald”, oppure come il leggendario Connie Hawkins che al 66 Park ha fatto la storia. Disse una volta Larry Brown. “Hawk è stato Elgin prima di Elgin, Julius prima di Julius, Michael prima di Michael. È stato semplicemente a livello individuale, il più grande giocatore che io abbia mai visto”. Intorno ai playground alcuni membri delle gang di Brooklyn iniziarono a ballare il Rocking , uno stile di danza che a detta dei Rubberband Man, degli Apache e dei Devil Rebels (tutte gang di Brooklyn), mescolava i passi di Fred Astarie, Gean Kelly, di Salsa e Hustle, riproponendoli in uno stile che era come una simulazione di combattimento. La prima pietra era stata posata. L’onda lunga grazie anche all’arte del writing, del breaking e del djing si propaga negli altri quartieri newyorkesy sino a trasformarsi nell’hip hop, nel momento in cui quest’onda attraversa il Queens (l’unico quartiere che confina con Brooklyn) e raggiunge il Bronx, dove Dj Kool Herc e Afrika Bambata getteranno i primi semi della disciplina nei Block Party. In queste grandi feste all’aperto è nato il vero Hip Hop. Quello dei padri fondatori, che non si può identificare nelle cicatrici di 50 Cent o nei video pieni di donnine discinte che sculettano E’ stato dunque attorno al 66 Park, all’Ozon Park e al Soul in the Hole di Bedstuy che il connubio è iniziato. Già, “Soul in the Hole”, ovvero “anima nel buco” il più famoso playground della Grande Mela si chiama così perché è collocato leggermente sotto il livello della strada, in una zona nella quale è meglio non avventurarsi senza la compagnia di un autoctono. “Soul in the Hole” è anche un documentario di Daniell Gardner che narra la storia di Ed “Booger” Smith”, stella dei Kings, la squadra estiva di basket più acclamata di Brooklyn agli ordini di coach Kenny Jones. Uno splendido affresco di basket e vita da strada rigorosamente in the getto. La pellicola è resa sublime dalla colonna sonora firmata dai Wu Tang Clan, OC e Dead Preaz. Basket e Hip Hop sono una cosa sola e rappresentano una buona fetta della moderna cultura afromericana. Così come Jay Z, Az, Notorius BIG, Krs One, Busta Rhymes, Talib Kwely, Masta Killa, Gza, Gangstarr, Jeru The Damaja e il compianto Old Diry Bastard, devono tutto a quasi a quei breakers, quegli MC, quei Breaker e quei DJ, che alla fine degli anni ‘70 diedero vita al movimento Hip Hop, anche Michael Jordan, Carmelo Anthony, World B. Free, Loyd Daniels, Waletr Berry, Quincy Douby, Vinnie Johnson, Sam Perkins, Jhon Salley, Mark Jackson, Jamal Tinsley, Stephon Marbury (nativo di Coney Island, la parte meridionale di Brooklyn), Sebastian Telfair, Jamel Thomas, devono in eterno qualcosa all’immortale Connie “ Hawk” Hawkins. Tutti uniti da un unico comun denominatore: le strade e i playground di Brooklyn.
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SOPHOMORE
The Othe r side of ‘Gaso l’ family
Sembrava esclusivamente una trovata pubblicitaria del sempreverde e unico Jerry Buss, e invece ci sbagliavamo. Forse a torto, dal momento in cui Marc Gasol, fratello del celebre e celeberrimo ( attenendoci anche all’attualità..)Pau Gasol, già dai primi anni trascorsi nel professionismo cestistico catalano, facendo la spola tra Barcellona e Girona, aveva mostrato di saperci fare con l’arancia e di non essere il solito raccomandato forte dell’appoggio del più grande giocatore catalano della storia probabilmente, all’epoca in cui dispensava talento e prospettive nella terra di Elvis, in quei Memphis Grizzlies che, guardacaso ora sono la dimora del barbuto Marc. Parlavamo prima di trovate pubblicitarie e di marketing, e nel settore non esiste nessun altro uomo più adatto nell’idearle che l’attuale proprietario dei Los Angeles Lakers, quel Jerry Buss, che in onore al tanto agognato e vile peculio non ha mai esitato a completare il proprio roster con figurine di varie nazionalità
DI
G UGLIELMO B IFULCO
diciamo “interessanti” per il bilancio (Sun Yue..di certo non è americano né europeo), o dal nome, anzi cognome, avvertito in prima istanza come deja vù ( vediamo un po’: Coby KARL, Luke WALTON e Gasol, appunto) o ancora dal fascino retrodatato di campioni e solo quello ( Richmond, Payton, Malone). Con Marc Gasol, ergo, si era portati a pensare lo stesso, se non di più, vista l’effervescenza che ha dato alla vicenda il vecchio laureato in chimica di L.A.: è vero che Hollywood è Hollywood e il colpo di scena è sempre dietro l’angolo, ma progettare uno scambio in cui da una parte approda uno dei top 20 player dell’NBA, di giovane età, dall’altra un Carneade del parquet ( Javaris Crittenton), un giocatore già ritirato (Aaron McKie) e uno scelto l’anno prima, Marc Gasol, ma dirottato per una stagione in patria prima di intravedere la terra delle speranze, è roba da Lucifero\Belzebù: in effetti, con il senno di poi, per quanto il giovane Marc (attualmente nel venticinquesimo anno di vita) potesse essere ben visto e apprezzato, di certo non valeva nemmeno in prospettiva la metà del fratellone e lo scambio orchestrato da Mitch Kupchak fece gridare giustamente allo scandalo (a quanto pare la lezione non è servita; Jamison gratis è roba da Freud), visto il marcatissimo , anzi radicale, e immediato miglioramento delle prospettive gialloviola (da 2 primi turni di playoff a 2 finali, di cui una vinta, in attesa della terza). Eppure la sorte è strana, laddove gli uomini compiono blasfemie, calano nella realtà eventi inverosimili quasi come fossero dettati dal Fato. Il brutto anatroccolo della famiglia Gasol si è trasformato in un incantevole cigno e letta oggi quella trade si
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evita dal ridere (o piangere a seconda dei punti di vista) spasmodicamente a beneficio di un’osservazione volta a elogiare la scelta del management Grizzlies per lungimiranza anche salariale, fortuna e ci mancherebbe, e coraggio. Sono trascorse due stagioni dall’approdo nella terra di Cristoforo Colombo di Gasol, e di strada ne ha percorsa veramente parecchia lo spilungone iberico ( 2,15 per 120 Kg); il bilancio statistico rileva una prima stagione da 12 punti, circa 7 rimbalzi a gara, con quasi 2 assist e 1 stoppata di contorno: cifre leggiadre per un rookie, soprattutto se scelto nel tardo secondo giro del 2007; la stagione in corso registra cifre progredite (14.6 punti a gara, 9.3 rimbalzi, 1,3 stoppate e 2 assist a incontro), sotto tutti i parametri statistici compresa la percentuale dal campo, vale a dire un invidiabilissimo e statuario 58%. Unico tallone d’Achille sembra essere la lunetta, dove non riesce ad esprimersi con oltre un più che mediocre 55%. Tralasciando l’impatto delle statistiche, che lasciano sempre il tempo che trovano, è bene avere presente che etichette da raccomandato e giocatore sopravvalutato sono assolutamente antitetiche rispetto all’andazzo reale dello spagnolo: giocatore assolutamente superbo e funzionale se inserito in un contesto più tecnico (..maggiormente europeo, diciamolo) come lo sono stati quest anno i sorprendenti Memphis Grizzlies, Marc è un uomo di spogliatoio, duro e consistente in campo contro qualunque tipo di avversario, possiede un gran senso della posizione in difesa che gli consente di sfruttare le sue elevate doti di IQ cestistico per ricevere falli in attacco e fronteggiare i macisti di colore della lega, che, seppur non in difetto di cm e chilogrammi nei suoi confronti, dispongono di un atletismo assolutamente illegale per le leggi della fisica della razza Caucasica. La visione di gioco e il tocco morbido , tendenti a quelli del fratello ( tendenti eh!) sono inoltre qualità assolutamente non scontate in una realtà dove un Hasheem Thabeet qualunque rischia di diventare prima scelta assoluta: il talento offensivo è notevole, non devastante come quello di Pau, ma assolutamente rispettoso verso la dottrina del “ tira quando hai spazio” e le modalità di esecuzione, pur non essendo figlie dello Sky Hook Jabbariano, di certo non lasciano a desiderare. I margini di miglioramento non sono elevatissimi, ma mai sottovalutare un ragazzo di 25 anni con buoni fondamentali e buona tempra caratteriale: magari non avremo l’utopico e inespresso Sabonis, né tantomeno il nuovo Shaquille O’neal, ma sicuramente avremo un signor giocatore di pallacanestro adatto per le zone equatoriali della Lega, se avrà l’opportunità di esprimersi in contesti più ambiziosi; intanto la prova del nove è stata ampiamente e brillantemente superata: i Grizzlies sono una delle realtà più futuribili della Lega, e se è vero che la stella predestinata sembra essere il controverso O.J. Mayo, il logo l’affascinante postura di Rudy Gay, non si può certo negare che il cuore della squadra risieda in post basso dove oltre al già citato Marc Gasol, sculetta anche il sorprendente Zach Randolph. Senza una coppia cosi ben assortita nell’area amica, a meno che non hai Dirk Nowitzki o Steve Nash a guidarti, ad Ovest non rischi di giocarti i playoff.
LE STATISTICHE DI MARC GASOL
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IL PERSONAGGIO Fonte foto: http://ladiesdotdotdot.files.wordpress.com
‘Reborn Ident
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tit y’..
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di
D OMENICO P EZZELLA
Se solo ne avesse la vaga idea, se solo sapesse come mettere tutto in una bottiglina di vetro ed attaccargli sopra una bella etichetta con su la sua faccia e la scritta: «Do like me!» allora si che il suo conto in banca sarebbe nettamente al di sopra di qualsiasi topo di cifra attualmente indichino gli estremi bancari relativi a tale Hill Grant. Certo poi sarebbe anche oggetto di ricerca spietata da parte della moderna versione di mercenari, pirati o bracconieri stile Jack Sparrow, ma sicuramente potrebbe cavarsela vendendo la formula al migliore offerente. Quale formula? Beh quella dell’eterna giovinezza, o se vogliamo essere molto meno esagerati quella della seconda giovinezza, la stessa che l’ex Blue Devils (in festa per la vittoria dell’ennesimo titolo del suo indimenticabile ateneo che ha superato in extremis Butler e sul quale troverete un approfondimento focus in paertura di magazine ndr) sta vivendo da quando ha deciso di svestire la maglia dei Magic ed indossare quella dei Phoenix Suns qualche stagione or sono. Una formula che tutti stanno cercando di
Grant Hill
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captare e di scalfire dalle parole che di volta in volta il primo di coloro che sono stati considerati, nel corso degli anni, come possibili eredi di Michael Jordan, pronuncia a domanda specifica. Al momento però le risposte dell’ex Pistons non hanno certo convinto gli addetti ai lavori cosi come lo stesso ‘Sir Hairness’ aveva convinto, con l’aiuto speciale di Bugs Bunny, i Looney Tunes in uno dei suoi lavori cinematografici, dal momento che parole del tipo: «E’ stato un percorso duro da superare, sia a livello fisico che a livello mentale per superare i dubbi, ma soprattutto la paura…» non sono certo
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state esaustive o ricche di colpi di scena tali da riempire qualche colonna in più dei principali ‘Newspaper’ dell’Arizona ed in generale dell’America cestistica. Per fortuna sua questo tipo di domande non capitano certo tutti i giorni, ma in occasioni, come per esempio quella che gli è capitata il venerdi prima di Pasqua, sono il palcoscenico giusto per approfondire la materia, per scavare all’interno del segreto che ha riportato Hill ad essere un giocatore di pallacanestro quanto meno costante e di un certo livello, e magari sedersi sul sedile in pelle dalla ‘Delorian’ [per i pochi al
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mondo che non sappiano cosa sia si tratta della famosissima macchina del tempo inventata dal dottor Ernest Brown in Ritorno al Futuro con Michael J. Fox ndr] e fare un piccolo viaggio nel passato. Detroit, Pistons e Palace Auborn Hill. Tre indizi che fanno una prova ed allora al termine della sfida, tra l’altro vinta dai Suns con 17 punti, sette rimbalzi ed otto assist del diretto interessato, il suo è stato il nome più richiesto sul taccuino e nelle orecchie del ‘malcapitato’ addetto alle ‘public relation’ dei Suns. «E’ stato divertente e bello tornare a girare per le strade della città; è stato come fare un tuffo nel passato, un passato che ovviamente non dimenticherò mai, nel bene e nel male». E nel bene o nel male entrano anche a far parte personaggi del calibro di Joe Dumars, Lindsey Hunter e Alla Houston: «A prescindere di dove ti trovi adesso e per quale squadra giochi, è impossibile dimenticare determinate persone con cui hai condiviso il campo e lo spogliatoio. E’ sempre un piacere rivedere e riabbracciare degli amici». Insomma una sorta di ritorno del figliuol prodigo che non si sottrae a nessun tipo di domande, nemmeno quelle di ‘cultura generale’ o per meglio dire di ‘finanza’ sul momento difficile a livello economico che sta attraversando la ‘Motor City’: «Quando sono arrivato in questa città il cuore economico era l’industria automobilistica che era sulla cresta dell’onda. La stessa è rimasta leader in tal senso, ma spero che questo periodo difficile passi presto per tutti coloro che vi lavorano». Col solito sorriso, con la solita classe e charme, l’ex di turno si è congedato dai microfoni, telecamere e mini registratori con le ultime due domande sull’attualità cestistica della fran-
chigia del Michigan: «Non so i dettagli di quello che c’è a livello di dirigenza e quindi non sta a me parlarne, quello che mi dispiace è che si sia perso un pochino di entusiasmo attorno alla squadra e spero che possa tornare presto». Lo stesso entusiasmo che Grant Hill ha ritrovato da quando quella maledetta caviglia gli ha permesso di essere in piedi e correre sui ventotto metri di campo come era abituato prima che l’operazione, la placca e quant’altro non lo condizionasse a livello di rendimento. Negli ultimi tre anni, però, gli ‘Dei del basket’ sembrano aver posto la propria mano sul campo dell’ex Blue Devils quasi a proteggerlo ed i numeri ne sono la più nitida dimostrazione. Punti a parte (13 nel primo anno in Arizona, 12 nel secondo ed 11 abbondanti nella stagione che si appresta a muovere i primi passi nella post season ndr) sono i minuti ed il numero di partite che fanno del numero 33 una sorta di ‘rinato’. Sono state 70, infatti, le partite giocate nel 2007 con più di 30’ di impiego; praticamente tutta la stagione ed 82 partite senza mai un problema per più di 29 giri di lancette, fino ad arrivare alle 76 di questa stagione che potrebbe risultare la seconda al di sopra delle 80 presenze in campo. Il tutto potrebbe anche bastare, ma se poi all’interno dei minuti e delle presenze di questa stagione ci si mettono volate in contropiede, si quello condotto dal capellone canadese amante del ‘soccer’ europeo, i voli al di sopra del ferro e giocate che tre anni fa forse in pochi si sarebbero immaginati di poter rivedere, allora la ricetta è completa, ricetta nella quale il sorriso non deve mancare mai, guai a dirgli il contrario: «Per essere una squadra di vertice e ad alto livello prima di tutto bisogna divertirsi, ti aiuta a superare meglio le avversità».
LE STATISTICHE DI GRANT HILL
...COSI’ NELLE ULTIME 5 PARTITE...
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OCCHI PUNTATI SU...
Nba Team By Team
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Por tland Trailblazers
Nba ‘Team by Team’
Stagione costellata dagli infortuni per i Blazers. Infatti, oltre a dover rinunciare ai due centri Przybilla e Oden, entrambi operati al ginocchio, Portland ha anche fatto a meno, per gran parte della regular season, di Outlaw e Batum, per non parlare dei vari acciacchi che hanno impedito a Brandon Roy di scendere in campo regolarmente per tutte le partite. Aver centrato i playoff in anticipo, nonostante tutte queste assenze, dimostra che i restanti giocatori dei Blazers in quanto a orgoglio e attributi non vanno sotto contro nessuna delle altre 30 squadre della lega. Merito anche di coach McMillan, da 5 anni al timone della squadra dell’Oregon, che è riuscito brillantemente a superare tutti questi incidenti di percorso affidando nei momenti più difficili la gestione in campo della squadra ad Andre Miller. Il play ex Sixers, in contumacia Roy, ha elevato il suo livello di gioco fino a diventare il giocatore cardine, quello da cui passano i palloni più importanti dell’incontro. Ne è un esempio la partita in trasferta a Oklahoma City, in cui il prodotto di University of Utah, ha segnato 26 punti, migliore realizzatore per i suoi, condendoli con 4 assist e 3 recuperi, trascinando la squadra alla vittoria per 92-87. Mentre nella vittoria con Dallas, sono stati i due lunghi a fare la differenza: LaMarcus Aldridge e Marcus Camby. Per Aldridge ci sono stati 20 punti, 10 rimbalzi e 5 assist, mentre l’ex Denver, arrivato a febbraio per sopperire all’assenza di centimetri a centro area, ha chiuso l’incontro con 17 punti, 11 rimbalzi e 2 stoppate. Ultimamente è tornato a brillare pure Brandon Roy, che contro i Kings ha segnato 24 punti, con un ottimo 8/14 dal campo. In questo momento ai playoffs ci sarebbe un interessante accoppiamento contro i Lakers. Per il team di coach Jackson non sarà certo una passeggiata, visto quanto hanno dimostrato questi Blazers. L’11 aprile c’è comunque la sfida diretta allo Staples Center, una specie di antipasto per i playoffs, sicuramente tutto da gustare. Da segnalare anche la sfida contro Dallas del 9 aprile (Portland è 3-0 negli scontri stagionali contro i Mavs), e infine Roy e compagni termineranno la stagione regolare in casa contro i Warriors.
DI
R AFFAELE VALENTINO
TUTTI I NUMERI DELLA SQUADRA
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Dallas Mavericks
DI
DAVIDE M AMONE
Nba ‘Team by Team’
La squadra del pazzo proprietario Mark Cuban si sta confermando una delle papabili per giocarsi le Finals 2010. Dalla trade fatta a metà gennaio, che ha portato Caron Butler in quel di Dallas da Washington, i Mavs hanno un record di 19-7 e stanno giocando un basket davvero notevole. Intensità, ritmi più elevati, gioco in transizione e discrete soluzioni nell’attacco a metà campo, oltre ad una panchina lunga, giovane e temibile, fanno di questa squadra una delle più pericolose per togliere ai Lakers quel titolo di Campione di Conference, che si trova nella città degli Angeli da oramai due stagioni. La classifica parla di un secondo posto importante, in totale bilico, però;le ultime partite saranno
fondamentali per stabilire le prime 4 posizioni ad Ovest e per decretare chi tra Denver, Utah e appunto Mavs riuscirà a terminare seconda. Il mese di aprile non è iniziato benissimo per Nowitzky e compagnia; due sconfitte piuttosto cocenti, una contro una rivale della Eastern, una contro una delle sorprese della Western. La prima di queste due L, arrivata per mano degli Orlando Magic, concentrati in questa parte di stagione ad agguantare il secondo posto complessivo della Lega, è giunta in maniera piuttosto netta (97-82 il finale), in una partita
che non ha dato adito a molti dubbi. La seconda, invece, contro gli Oklahoma City Thunder, in un match molto combattuto ma perso in volata. Per quanto concerne il roster, gli occhi sono puntati ovviamente su Caron Butler; il record della squadra dal suo arrivo è tutto lì da vedere e quel che è certo è che si tratta di un giocatore che dà versatilità, atletismo e una vasta gamma di scelte offensive in più. Insomma, quel go to guy che Josh Howard non poteva più essere e che nessuno, per caratteristiche lo era nel roster dei Mavs.
TUTTI I NUMERI DELLA SQUADRA
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Houston Rockets
DI
DAVIDE M AMONE
Nba ‘Team by Team’
Gli uomini di coach Adelman, privi dell’infortunato Yao Ming, privi di McGrady (poi andato verso la Big Apple) hanno fatto il possibile, questa stagione, per disputare una buona RS. Nonostante la prematura, matematica mancata qualificazione ai Playoffs, l’ambiente dei Rockets può dirsi comunque soddisfatto per
il lavoro svolto, vista la mancanza di “materiale umano” a disposizione. Non dimentichiamoci che fino ad un paio di mesi fa erano in totale lotta per un posto in griglia e solo due strisce di sconfitte importanti (una a febbraio, sei L in sette partite, una a fine marzo, 4 L in 5 partite) hanno tagliato le gambe e il morale alla squadra e all’ambiente. Il rammarico c’è, se si pensa che questa squadra, nonostante siano stati tolti pezzi pregiati come Artest nell’estate 2009, nonostante gli infortuni e nonostante l’assenza di Yao
Ming, ad Est disputerebbe i Playoffs ad occhi chiusi. Sulle sconfitte di febbraio e marzo ha forse pagato anche la trade fatta con i Sacramento Kings, che ha portato Martin nel Texas e Landry in California; a causa di questo scambio, nonostante il back-court dei razzi abbia avuto un netto miglioramento dal punto di vista qualitativo, si sono un po’ rotti gli equilibri che avevano portato gli uomini di Adelman a sopperire alle chiare ed evidenti lacune tecniche rispetto alle altre concorrenti ad Ovest.
TUTTE LE STATISTICHE DELLA SQUADRA
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New Orleans Hornets
DI
DAVIDE M AMONE
Nba ‘Team by Team’
Disastro totale ed disastro irreparabile. Due termini che vanno a braccetto per descrivere gli Hornets versione 200910, che hanno miseramente fallito la propria stagione e stanno viaggiando verso un record sempre più negativo. Il punto più basso è stato toccato con la schiacciante sconfitta subita dai New Jersey Nets, peggiore squadra dell’NBA per record (e non solo), durante un match a senso unico, conclusosi 115-89 e giocato il 4 aprile. Vero, va detto, gli innumerevoli infortuni di Paul hanno inciso, ma non si tratta solo di questo;
con o senza CP3 la squadra si è sempre mostrata disunita, staccata, quasi disorganizzata e l’esonero di coach Byron Scott, a stagione inoltrata, non ha dato quella scossa sperata. Le ultime 4 L sono simbolo di una stagione fallimentare che, nonostante la presenza a roster di giocatori quali West, Paul stesso e Okafor, ha mostrato una squa-
dra spenta e, quasi, prima di obiettivi. Unica nota positiva è la stagione più che positiva di Thorton; il piccolo playmaker ha preso spesso il posto di Pau, adattandosi sia nel ruolo di PG, che di quella di Combo-guard. In entrambi i casi, tanto agonismo, tanto impegno e intensità e risultati davvero sorprendenti.
TUTTE LE STATISTICHE DELLA SQUADRA
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Memphis Griz zlies
DI
DAVIDE M AMONE
Nba ‘Team by Team’
Discorso simile a quello dei Rockets, vale per i Memphis Grizzlies, che hanno disputato una stagione regolare davvero eccellente, viste le prospettive iniziali, le difficoltà avute con Iverson e la difficile convivenza tra tutte le bocche di fuoco offensive presenti a roster. In una qualche maniera, però, Oj Mayo, Gay, Randolph e compagnia è riuscita a trovare la famosa quadratura
del cerchio e ciò che colpisce è stata la capacità, quasi naturale, di questa squadra di far divertire e di giocare un basket davvero efficace ed esteticamente di ottima fattura. L’attuale record (39-39), permetterebbe a questa squadra di giocare i Playoffs ad Est e questo sa tanto di beffa, se si considera anche che i Grizzlies hanno dovuto mollare per mancanza di forze psico-fisiche e
nervose proprio nelle ultime settimane, quando la squadra del Tennessee ha raccolto 6 sconfitte su 7 partite. Ora, i Grizzlies pensano semplicemente al loro futuro e stanno giocando questi ultimi match per concludere in maniera degna un’annata più che dignitosa, provando a ripartire la prossima stagione con una nuova consapevolezza.
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Denver Nuggets
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Momento ricco di alti e bassi per i Nuggets, che passano da belle vittorie a sconfitte che fanno riflettere. Tra le vittorie da segnalare c’è sicuramente quella contro i Toronto Raptors del nostro Andrea Bargnani, risolta grazie a un canestro allo scadere di Carmelo Anthony, sempre più decisivo nei finali di partita (secondo solo a Kobe Bryant per quanto riguarda questo particolare). Poi, in sequenza, la netta affermazione contro Portland per 109-92 e l’ultima vittoria contro i Clippers, che ha portato il team di coach Karl a superare per la terza volta consecutiva il muro delle 50 W. Oltre a questi successi, però, vi sono da segnalare soprattutto le sconfitte contro le dirette (o quasi) rivali per l'argenteria che conta. I ko contro Celtics (113-99, dove Billups è stato sovrastato da Rajon Rondo) e Magic (103-97, career high concesso a JJ Redick, 23 punti per
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R AFFAELE VALENTINO
lui) erano dei campanelli d'allarme importanti, successivamente trasformatisi in allarme rosso dopo la batosta rimediata contro una possibile avversaria nei Playoffs della Western Conference, i Mavericks. Punteggio finale che parla chiaro, 109-93 in favore di Nowitzki e compagni, con la difesa di Denver che non è riuscita a fermare il fenomeno tedesco, autore della seconda tripla-doppia in carriera (34 punti, 10 rimbalzi, 10 assist), al quale ha risposto il solo J.R. Smith (27 punti per lui), con il duo Anthony-Billups, mai entrato in partita (chiudono infatti con un complessivo 6/30 dal
campo per 21 punti totali). Davvero troppo poco per tentare l’impresa in casa dei Mavs. Questa sconfitta ha fatto riflettere molti riguardo le possibilità di Denver di raggiungere, come l’anno scorso, la finale di Conference. Infatti in questo momento, oltre ai soliti Lakers, Dallas sembra avere una marcia in più. Le prossime cinque partite, davvero impegnative, vedranno Denver scontrarsi con i Thunder, i Lakers, gli Spurs, i Grizzlies e infine terminare la stagione regolare contro i Suns. Queste partite, veri scontri diretti in vista dei PO, ci potranno dire di più sulle sorti dei Nuggets.
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P Ph ho oe en niix x S Su un ns s
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A LAIN PARENTE
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Per i soli dell’Arizona, si tratta fin qui di una stagione decisamente positiva; con Alvin Gentry, la squadra è tornata a correre, per la felicità di Steve Nash (36 primavere e non sentirle). Per nulla penalizzati dal dilemma Stoudemire
(sul mercato fino a Febbraio) e dagli infortuni di Barbosa, Phoenix ha sfruttato la maturazione di Dragic e Lopez ed il jolly di mercato Frye (11.2, 44% 3), per tornare a scollinare oltre le 50 vittorie.
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Oklahoma Cit y Thunder
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R AFFAELE VALENTINO
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La vera sorpresa della stagione sono gli Oklahoma City Thunder. Partiti per quella che doveva essere una stagione di transizione per far crescere e maturare i molti giovani presenti nel roster, si ritrovano adesso a lottare per il miglior piazzamento possibile nella Western Conference. Merito ovviamente di quel fenomeno con la maglietta numero 35, al secolo Kevin Durant, di cui leggerete più approfonditamente all’interno di questo numero. 29,7 punti di media, conditi da 7,6 rimbalzi e una leadership in campo che lo sta portando verso l’olimpo odierno dei più grandi giocatori NBA. Ma tralasciando volutamente il buon KD, il vero miracolo lo sta compiendo il suo allenatore. Scott Brooks, scuola Spurs, alla 2a stagione sulla panchina dei Thunder, è il principale favorito nella corsa a Coach of the Year. La squadra è passata dalle 23 vittorie della stagione scorsa alle 48 odierne, senza stravolgere più di tanto il roster. Mio personale Coy. Per quanto riguarda le ultime partite, i Thunder ven-
gono da 4 vittorie consecutive, ottenute a Philadelphia, a Boston, a Dallas e contro Minnesota in casa. A fare la differenza, oltre a KD, ci hanno pensato Russel Westbrook (21 punti e 10 assist contro i Celtics, ben 16 assist contro Minnie, suo career high nei passaggi decisivi), e Jeff Green che porta alla causa 15 punti e 6 rimbalzi di media. Il resto del quintetto titolare è formato da due europei: Thabo Sefolosha e Nenad Krstic, che magari non segnano tanti punti (6 di media per l’ex Biella, 8.5 per il serbo)
ma ci mettono grinta e voglia in difesa. Ne sa qualcosa Kobe Bryant, annullato da Sefolosha nell’ultima gara tra le due squadre, vinta 91-75 dai Thunder. Thabo ha infatti concesso solo 11 punti all’MVP delle scorse finali, forzandolo a tirare un pessimo 4/11. Nelle prossime partite i Thunder si ritroveranno a giocare contro tre squadre della stessa division (Denver, Utah e Portland) e in più dovranno opporsi a Phoenix e Golden State, per poi chiudere la regular season in casa contro i Grizzlies.
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U Utta ah h JJa az zz z
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Sette vittorie nelle ultime dieci partite per gli Utah Jazz di coach Sloan, alla 22a stagione a Salt Lake City, che trascinati da un meraviglioso Deron Williams sono a un passo dal raggiungere la vetta della Northwest Division. Infatti portano in dote lo stesso record dei Nuggets, ma hanno dalla loro parte un calendario più favorevole per le prossime 5 partite. I Jazz dovranno affrontare fuori casa tre squadre ormai senza ambizioni di sorta (Rockets, Warriors e Hornets), mentre contro i Thunder e i Suns giocheranno in casa, alla Energy Solutions Arena. Per quanto riguarda le precedenti partite, i Jazz hanno battuto agevolmente Toronto, Washington, New York e Golden State, perdendo la partita più importante, quella coi Lakers, dove un Boozer da 20 punti
e 18 rimbalzi non è bastato per fermare Lamar Odom, che ha deciso l’incontro con i suoi 26 punti. Boozer, appunto, è l’ago della bilancia che può far fare a questa squadra un salto di qualità importante e le premesse ci sono tutte per far si che ciò accada. Infatti dopo le molte critiche ricevute l’anno scorso per il mancato impegno e la scarsa voglia, Carlos sta zittendo tutti quanti producendo 19.6 punti e 11.3 rimbalzi ad allacciata di scarpe. Per non parlare del solito Deron Williams, oggi sicuramente tra i primi 3 playmaker della lega. Le cifre parlano
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R AFFAELE VALENTINO
chiaro, 18.4 punti e 10.6 assist per il prodotto di Illinois in 71 gare giocate. Tutto ciò, unito ai vari Okur (13.3 punti e 7 rimbalzi di media), Millsapp (11.6 punti e 6.5 rimbalzi partendo dalla panchina) e Kirilenko (11.9 punti e il solito lavoro sporco che alla fine può fare la differenza) , fa dei Jazz la mina vagante di questi Playoffs. Un avversario ostico per tutti, scomodo da affrontare in una serie di 7 partite. Magari non vinceranno il titolo, ma potranno certamente dire la loro in questa prossima postseason.
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Minnesota T’Wolves
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D OMENICO L ANDOLFO
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I numeri parlano chiaro: 15 vittorie totali, 2° peggior record della lega dietro ai Nets. Una vittoria nelle ultime 19 partite, arrivata contro Sacramento, in cui Al Jefferson ha chiuso con 19 punti e 12 rimbalzi. E’ proprio lui una delle poche note liete del team allenato dal debuttante Kurt Rambis (ex giocatore e assistente allenatore dei Lakers). Jefferson sta producendo 17.4 punti e 9.4 rimbalzi a partita, ma dopo l’infortunio al legamento crociato anteriore del ginocchio dell’anno scorso, sembra aver perso qualche passo sia in attacco che, soprattutto, in difesa. Però partendo da una base formata dallo stesso Jefferson, da Kevin Love (migliorato in ogni sezione statistica rispetto allo scorso anno), dal rookie Jonny Flynn (13.5 punti e 4.4 assist di media per l’ex Syracuse) e dalla giovane ala Corey Brewer (che ha sostanzialmente raddoppiato i punti dall’anno scorso, passando da 6.2 a 13 di media) si ha, almeno sulla carta, una squadra interessante e futuribile. Con un po’ di fortuna possono pure ambire a una delle prime 2 scelte, che porterà in dote uno tra John Wall e Evan Turner. Sempre sperando che Ricky Rubio from Barcelona voglia lasciare la città catalana per approdare nella terra
dei grandi laghi, anche se sembra molto difficile viste le ultime dichiarazioni del fenomeno spagnolo. Certo se dovesse arrivare veramente Wall, si potrebbe pensare a scambiare Rubio (che vorrebbe giocare in una città con un mercato più grande di Minneapolis) e completare la squadra con una guardia tiratrice veramente
forte. Le ultime partite di questa disastrosa stagione per i T’Wolves saranno contro Warriors, Lakers, Hornets, Spurs e Pistons. Dopo di che Rambis e il G.M Khan dovranno rimboccarsi le maniche per continuare la ricostruzione, iniziata con la cessione di KG ai Celtics nel 2007, e riportare i T’Wolves nell’elite NBA.
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Los Angeles Lakers
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A LAIN PARENTE
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Senza aver mai visto veramente in bilico il 1° posto a ovest, i giallo viola si apprestano a chiudere una regular season comunque in chiaro oscuro. Bryant e soci, hanno infatti da Natale in poi, un bilancio di 32-18. La spesso elogiata lunghissima panchina dei Lakers, non sta incidendo come ci si aspettava e se a ciò aggiungiamo l’infortunio al tendine d’Achille di Bynum, non si può certo dire, che Phil
Jackson dorma sogni tranquilli in vista dei Play Off. La nota lieta che potrebbe caricare ambiente e squadra è sicuramente quella del rinnovo triennale di Bryant, che in estate sarebbe diventato free agent. SUNS (50-27) – Per i soli dell’Arizona, si tratta fin qui di una stagione decisamente positiva; con Alvin Gentry, la
squadra è tornata a correre, per la felicità di Steve Nash (36 primavere e non sentirle). Per nulla penalizzati dal dilemma Stoudemire (sul mercato fino a Febbraio) e dagli infortuni di Barbosa, Phoenix ha sfruttato la maturazione di Dragic e Lopez ed il jolly di mercato Frye (11.2, 44% 3), per tornare a scollinare oltre le 50 vittorie.
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Los Angeles Clippers
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Per i soli dell’Arizona, si tratta fin qui di una stagione decisamente positiva; con Alvin Gentry, la squadra è tornata a correre, per la felicità di Steve Nash (36 primavere e non sentirle).
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Per nulla penalizzati dal dilemma Stoudemire (sul mercato fino a Febbraio) e dagli infortuni di Barbosa, Phoenix ha sfruttato la
maturazione di Dragic e Lopez ed il jolly di mercato Frye (11.2, 44% 3), per tornare a scollinare oltre le 50 vittorie.
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Sacramento Kings
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N ICOLÒ F IUMI
Stagione tutto sommato in linea con le Tyreke Evans (20 + 5.2 + 5.8) e il talentuoso ma fragile Martin, per Carl aspettative per Sacramento, che punta rookie israeliano Omri Casspi, mentre Landry e soprattutto per far crescere lo a costruire per gli anni avvenire. sul mercato, si è deciso di sacrificare il stesso Evans. Se il presente è opaco, il futuro appare infatti più roseo per i Kings, grazie agli TUTTE LE STATISTICHE DELLA SQUADRA ottimi investimenti di mercato. Dal Draft sono arrivati la combo guard,
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Golden State Warriors
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La querelle di inizio stagione con Steph Jackson e l’infortu n i o d i Biedri ns, hanno lasciato presto presagire, come sarebbe stata la stagione. Sono lontani i tempi dell’ u p s e t ai danni dei Mavericks. Anche se nelleultime settimane i Warriors h a n n o a lmeno deciso di regalare un piccolo sorriso al proprio coach regalandogli la storia ovvero la vittroia che lo rende uno dei coach più vincenti della Lega profe s s i o n i s tica Americana. Non sarà una serie di playoff v i n t a , ma almeno un momento di gioia e serenità l’ex Mavs l’ha avuto.
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N ICOLÒ F IUMI
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S TAR S ‘N’ STR I PES
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San Antonio Spurs
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La squadra di Gregg Popovich sta terminando questa difficile e tortuosa Regular Season in crescendo e la vittoria netta, schiacciante e fondamentale sui Los Angeles Lakers allo Staples Center, di qualche giorno fa, ha portato a Duncan e compagnia una nuova spinta emotiva. Spinta ampliata dal rientro di Tony Parker, a lungo fermo ai box per vari problemi alle articolazioni ma ora pronto a prendere il suo posto da titolare nello spot di PG e pronto per quest’ennesima post-season da disputare da protagonista. Popovich, parso a lungo quasi stanco di allenare in una stagione che non stava avendo i risvolti prefissati, sta tornando a vedere un piccolo raggio di sole e il fatto che esso arrivi ad aprile, dà sicuramente speranza a tutto l’ambiente nero-argento. Se l’altra squadra Texana, Dallas, si trovava in mezzo ad una lotta selvaggia con Nuggets e Jazz, gli Spurs invece fanno parte del terzetto che si gioca il sesto, settimo e ottavo piazzamento in questa pazzesca lotta in vista dei Playoffs. Con la sconfitta subita dai Phoenix Suns il 7 aprile (119-102, unico neo di un periodo quasi perfetto), a così poche partite dalla fine, pare oramai difficile che la squadra di Popovich possa ottenere uno dei primi quattro posti (con il conseguente fattore campo); interessante, invece, notare come i nero-argento abbiamo il medesimo record di Thunder e Blazers (48-30) ancora adesso quando mancano spiccioli di Regular Season. Il giocatore su cui la franchigia degli anni dispari può fare affidamento è sicuramente Tim Duncan; fre-
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DAVIDE M AMONE
sco, riposato, arrivato al termine di questa RS totalmente in forma e completamente riposato, il Caraibico è pronto a tornare a fare la differenza come ai vecchi
tempi e, con Ginobili, potrà segnare la rinascita di una squadra che fino ad un paio di mesi fa temeva addirittura di non qualificarsi per i Playoffs.
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Cleveland Cavaliers
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N ICOLÒ F IUMI
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I Cavs hanno ufficialmente conquistato il vantaggio del fattore campo per tutta la durata dei playoffs ipotecando il miglior record della Lega, stante anche il momento tutt’altro che brillante dei Los Angeles Lakers. LeBron e compagni stanno amministrando tranquillamente queste ultime partite di regular season, continuando a vincere con regolarità, ma concedendosi anche un po’ di riposo in vista delle ben più provanti sfide che tra poco comince-
ranno. Dopo un marzo da 13 vittorie e sole 2 sconfitte, in aprile sono arrivate 2 vittorie (Atlanta e Toronto) e una sconfitta (a Boston). Partite in cui si è tornato a vedere Zydrunas Ilgauskas che, liberato da Wizards dopo la trade Jamison, appena ne ha avuto l’opportunità si è riaccasato nella sua Cleveland, dove è tornato a vestire la maglia dei Cavalieri da 7 partite in cui è stato in campo 21 minuti, con 5 punti e altrettanti rimbalzi, ma soprattutto allungando la rotazione dei lunghi, che ancora per un po’ soffrirà l’assenza di Shaq. Ha perso così il posto nella rotazione Leon Powe, la cui stagione d’esordio con i Wine-Gold, anche se non soprattutto per motivi extra cestistici, non è stata certa indimenticabile. Ora è il momento di sfruttare le ultime partite dell’anno
come ultima occasione per riposarsi un po’ in vista dei fuochi artificio della post season, ormai a sole 4 partite di distanza. L’avversario al primo turno sarà una tra Toronto e Chicago, che al momento stanno facendo a gara a chi ai playoff… non ci vuole andare. Toronto, tra l’altro, è l’ultima vittima della band di coach Mike Brown, che ha battuto 113-101 i canadesi alla Quicken Loans Arena il 6 aprile. Con l’attuale classifica i Cavs al secondo turno incontrerebbero la vincente tra Boston e Milwaukee e in un eventuale finale di Conference, a meno di sorprese, potrebbe esserci la tanto agognata rivincita contro i Magic che l’anno scorso uccisero le speranze di titolo di LeBron, che, statene certi, quella serie di playoff se l’è legata a una dito.
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Chicago Bulls
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La domanda è abbastanza legittima a questo punto: ma i Bulls ai playoff vogliono andarci oppure no? Dopo le 10 sconfitte filate che hanno introdotto la squadra al mese di marzo ma che comunque non sono bastate a escludere Chicago dalla lotta per la post season, nella Windy City si ritrovano un gruppo che una sera ha un volto e quella dopo uno completamente opposto. Tra fine marzo c’è stato il -29 a Miami, subito dopo una bella vittoria contro Houston e comunque seguito da 4 successi consecutivi, a loro volta seguiti dalla sconfitta casalinga contro i Milwaukee Bucks privi di Andrew Bogut. Il talento come è noto non manca e nemmeno i numeri per certi versi (i Bulls sono primi nella graduatoria NBA per rimbalzi catturati a partita). Quello che manca, probabilmente sono la fame e la convinzione nei propri mezzi,
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N ICOLÒ F IUMI
che, quando ti trovi a dover rincorrere, sono una dote essenziale. Quello che i Tori potranno dare lo si vedrà bene nelle ultime cinque gare dell’anno, dove verranno ospitati i Cavs già sicuri del primo posto assoluto e dunque decisamente più abbordabili del solito, proseguendo in trasferta nel New Jersey e poi con il match cruciale a Toronto contro i Raptors, nella sfida che probabilmente sancirà quale delle due squadre passerà
come ottava e che potrebbe, di conseguenza, rendere inutili le ultime due partite contro Boston e Charlotte, lei pure partecipante interessata alla corsa post season. Per cercare di sorpassare Bargnani e compagni i Bulls possono fare affidamento sulla coppia di interni, Taj Gibson (doppia doppia in 8 delle ultime 10 partite) e Joakhim Noah, pezzo importante della squadra, che dal suo ritorno ha un record di 6-3.
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N e w Yo r k K n i c k s
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I New York Knicks (28-49) di Mike d'Antoni si avviano a concludere l'ennesima stagione travagliata, ma anche l'ultima di un lungo progetto di transizione in vista dell'estate prossima e dell'assalto a Lebron James e Dwyane Wade. Come ultimo piccolo guaio di stagione l'infortunio alla spalla per Al Harrington, che dovrà operarsi e rientrerà solo nella prossima stagione, quando con ogni probabilità non sarà più un giocatore dei Knicks. A cinque gare dalla conclusione della propria stagione intanto New York si è presa una bella soddisfazione, sconfiggendo 104-101 al Madison Square Garden i Celtics, con una gran prova non solo di Gallinari (14.6 punti e 5 rebs di media per
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S TEFANO C OLAVECCHIA
lui) ma anche di Earl Barron. Il miglior giocatore di New York della stagione resta David Lee con 20.3 punti e 11.9 rimbalzi. Prossime gare sostanzialmente ininfluenti e di contorno ai temi che circolano già da mesi nella Grande Mela: Mike d'Antoni è l'uomo adatto per far tornare vincenti i Knicks? Il contratto di David Lee va esteso o no? Tracy McGrady deve restare? Ma possiamo scommettere già da ora che per il team di Donnie
Walsh comincerà molto presto un'interminabile stillicidio di notizie e voci sull'ingaggio del secolo di Lebron o sul fallimento dei piani per strapparlo dalla sua natìa Akron. Ad ogni modo la stagione 2009-10 dei Knicks non è del tutto da buttare: buoni segnali di progresso sono giunti da Gallinari e Chandler, pezzi su cui dovrebbe reggersi il nuovo progetto, i cui contorni probabilmente si decidono dalle parti di Cleveland.
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New Jersey Nets
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La stagione che inaugurava il dopo Vince Carter è stata terrificante per i New Jersey Nets ed è ora un sollievo per team e tifosi vedere che questa volge finalmente alla conclusione. Nonostante le tre vittorie nelle ultime sei partite giocate, il record di 11-66 è eloquente e non ammette repliche, uno dei peggiori dell'intera storia dell'Nba, in cui non c'è spazio per salvare neppure le statistiche personali più cheincoraggianti del centro Brook Lopez che viaggia con 19 punti e 8.7 rebs a partita. Si guarda con pazienza alla programmazione della prossima stagione, quella della ricostruzione e della nuova proprietà russa sotto l'egida di Mikhail Prokhorov che dovrebbe essere ufficializzata dal board della lega non oltre la fine di aprile. Ancora un paio di anni di
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S TEFANO C OLAVECCHIA
pazienza prima del trasferimento a Brooklyn nella nuova arena che renderà i Nets di fatto la seconda franchigia di New York. Nel frattempo si cerca un GM, per il quale si fa il nome dell'ex dirigente (nonchè delfino di Prokhorov) del Cska Mosca Andrey Vatunin, mentre per la panchina i candidati sono due al momento: Mike Krzyzewski che ha appena vinto il titolo Ncaa con Duke ma che non pare entusiasta della chanche di allenare i Nets, e Jeff Van Gundy che non avrebbe chiuso del
tutto all'ipotesi di un ritorno in panchina. L'incertezza riguarda anche il roster della futura stagione, infatti si è tornati molto spesso a parlare di una trade che coinvolga Devin Harris a fine stagione, soprattutto se i Nets dovessero vincere la lotteria del Draft e selezionare -con ogni probabilità- la point guard John Wall dall'università del Kentucky. Insomma, dopo la peggiore delle stagioni possibili New Jersey dovrà ricostruire e i punti interrogativi sono ancora tantissimi.
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Philadelphia 76’ers
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I Philadelphia 76ers (26-51) si apprestano a chiudere una stagione costantemente condotta sottotono, in cui la franchigia ha trovato spazio sotto i riflettori solo per il clamore suscitato dal ritorno a casa di Allen Iverson e per i suoi successivi, soliti ahilui, problemi fuori dal campo.
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Mai davvero in grado di esprimere una pallacanestro convincente o comunque di competere per i playoff i nuovi Sixers senza più Andre Miller in roster ma con Elton Brand ed il suo contratto multimilionario, non hanno fatto altro che navigare a vista, non somigliando mai neppure lontanamente al team grintoso che l'anno scorso ai playoff rischiò seriamente di eliminare gli Orlando Magic al primo turno. Dalla panca Eddie Jordan ha faticato a trovare la chiave per allestire un quintetto competitivo, con grossi sbalzi di prestazione e concentrazio-
ne soprattutto dei lunghi Samuel Dalembert (comunque per lui 9.4 rebs e 8 punti di media) e Brand, mentre il giocatore più affidabile si è mostrato ancora una volta Andre Iguodala nonostante si sia espresso ad un livello di molto inferiore a quello della passata stagionecon 17.2 punti di media a partita e 5.8 assist. Sixers che entrano nelle ultime 5 gare dell'anno reduci da ben quattro stop consecutivi e cercano di iniziare a riprogettare la prossima stagione con due interrogativi su tutti: ci saranno ancora coach Jordan ed Allen Iverson?
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Toronto Raptors
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Toronto si avvicina allo sprint per l'ultimo posto playoff ad Est in evidente affanno. Dopo aver cambiato marcia e fatto sognare ai suoi fans nel mese di febbraio addirittura il sorpasso sui Boston Celtics è arrivato un brusco risveglio: la difesa catastrofica, un Josè Calderon molto al di sotto degli standard delle stagioni precedenti e sostituito in quintetto da Jarret Jack, un Hedo Turkoglu deludentissimo e molto svogliato nella sua prima annata in Canada hanno condotto i Raps al record negativo di 38-39 (pessimo il 1425 ottenuto in esterna) che lascia ancora l'ultimo posto disponibile ad Est alla portata dei Chicago Bulls che sono ora
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a sole due vittorie ora dai ragazzi di Triano (la cui posizione è fortemente in dubbio per la stagione 2010-11) e avranno la possibilità di giocarsi tutto in un win-or-go-home anticipato nel match all'Air Canada Center dell'11 aprile. Due stop pesantissimi in fila contro Golden State e poi con Cleveland sono costati ai canadesi la tranquillità per le ultime 5 partite in programma, in cui affronteranno oltre ai Bulls, anche Celtics, Hawks, Pistons e Knicks. Nel quadro di incertezza si aggiunge l'infortunio occorso a Chris Bosh (leader anche nelle statistiche di
squadra con 24 punti e 10.8 rimbalzi di media a incontro), che ha riportato una frattura facciale nel match contro i Cavaliers dopo uno scontro con Antawn Jamison nel corso del primo parziale di gioco e dovrà con ogni probabilità essere operato, questo rende i tempi di recupero ancora piuttosto incerti. Servono in ogni caso almeno tre vittorie nelle prossime partite per centrare l'obiettivo minimo stagionale dei playoff, nei quali in ogni caso, al primo turno ci sarebbe ancora una volta il durissimo ostacolo dei Cleveland Cavaliers di Lebron James.
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Washington Wizards
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D OMENICO L ANDOLFO
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Per la serie,”siamo a pasqua, resurrezione”, anche i maghetti della capitale ritrovano lo smalto dei bei tempi di una volta e si confermaano squadra da ultime
giornate, quando grazie agli high in carriera di Nick Young e Mc Gee, a quota 29 e 25, agli oltre 20 di Livingston (rigenerato) e Blatche, riescono a battere i derelitti Warriors portando il record a 24-53, quindi enneesimo buco nell’acqua. Per la squadra che vede spesso in tribuna il presidente Obama un ennesimo buco nell’acqua con la grana Arenas da pagare ancora, con tanti giovani inesperti e che senza stelle non possono
andare lontano. C’è ancora tempesta nella capitale, e ci sarà bisogno di una chiamata altissima nel draft per avere qualcosa per rimpiazzare Agent Zero e Caron Butler e Antawn Jamison che in un soffio di polvere magica sono spariti e senza rimpiazzi che valga la pena citare. Che il Mago sia stato raggirato da Cavalieri e Texani più potenti? Ai posteri dell’anno prossimo l’ardua sentenza, per adesso lottery.
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Detroit Pistons
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La stagione terrificante dei Pistons si è arricchita di un nuovo, ulteriore e poco invidiabile capitolo. Dopo la serie di 13 sconfitte cominciata il 15 dicembre 2009 e terminata l’11 gennaio 2010, i giocatori di Kuester questa volta sono arrivati a quota 11, aprendo e chiudendo il ciclo con due sconfitte ad Atlanta
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datate la prima 10 marzo e l’ultima 3 aprile 2010. Nel mezzo l’onta della sconfitta contro i Nets, due contro Cleveland e Indiana, una a testa con Chicago, Miami, Boston e Phoenix. Quella che andrà in archivio sarà, senza dubbio alcuno, una delle più brutte stagioni della storia della franchigia, se non la più brutta in assoluto. Cercare buone notizie è pressoché impossibile, a allora tanto vale ricordare i 20 assists di Will Bynum contro Washington, o il titolo di miglior rookie del mese Jonas Jerebko in febbraio, che diventa erede di giocatori del calibro di Isiah Thomas, Kelly Tripucka e Grant Hill, gli ultimi Pistons a fregiarsi del titolo, assieme
all’ex trevigiano Zelijko Rebraca nel 2002. Lo svedese è una realtà e i Pistons stanno valutando attentamente su come comportarsi con lui nel proseguo della sua esperienza in Mihcigan, visto che l’ex Biella, ogni giorno che passa, dà nuove motivazioni per prospettargli maggiori minutaggi e responsabilità in futuro. Passa così in secondo piano il buon momento di Austin Daye, che ha un posto fisso nelle rotazioni della squadra e riesce sempre a portare il suo contributo, non solo in termini di punti, alla squadra. Chiaro che, per il futuro, lui e Jerebko potrebbero finire per pestarsi un po’ i piedi e rubarsi minuti a vicenda.
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Atlanta Hawks
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I falchi della Georgia sono alla loro miglior prestazione degli ultimi 10 anni. Finalmente una squadra solida, che gioca con il suo collettivo e si permette il lusso di battere anche i Magic con una super schiacciata finale di Smith. Loro rapprendano la classica scena americana delle “big Hopes”, la squadra che sta simpatica a tutti e per cui i non tifosi possono affezionarsi.
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D OMENICO L ANDOLFO
Una squadra low budget rispetto alle altre corazzate, che al momento con il suo record di 49-28 (ancora 4 da giocare) è sola al terzo posto, con una gara piena di vantaggio sui Celtics(4829) che però devono arrivare necessariamente davanti ai rossi, in quanto sono sfavoriti nel confronto diretto. Sarebbe una bella soddisfazione arrivare davanti ai Boston, ma soprattutto evitare un quarto di finale ostico contro una squadra strana come Milwakee e prendere invece una squadra forse più tecnica come Miami (con Wade e Beaseley) ma che va molto a giornate.
Come gioco e percentuali. La crescita dal punto di vista globale di Joe Johnson e la sua redenzione a ledere dell’attacco, distribuiscono una squadra che ha tante bocche da fuoco in attacco, Bibby, Crawford, Evans, ma che costruisce le sue fortune con la tanta difesa e il tanto lavoro di Smith e Horford. Speriamo che per gli Hawks non sia finita troppo presto la benzina, dato che la svogliata sconfitta contro Charlotte ha rimesso ancora in corsa i Celtics, e costringera i rossi a qualcosa di più di un semplice allenamento nelle prossime 4 gare.
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Boston Celtics
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I Boston Celtics si avvicinano ai playoff con un record tutt'altro che entusiasmante di 48-29 sporcato ulteriormente da quattro sconfitte nelle ultime sei partite disputate, l'ultima delle quali
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S TEFANO C OLAVECCHIA
contro i New York Knicks di Gallinari, mentre l'ultima vittoria resta per ora quella ottenuta con una prestazione convincente contro i Cleveland Cavaliers per 117-113. La quarta posizione nella Eastern Conference è al riparo dalle inseguitrici Milwaukee e Miami, ma il terzo posto degli Atlanta Hawks, molto importante per il fattore campo ed obiettivo minimo ad inizio stagione, resta a due vittorie di distanza e le partite da giocare fino alla fine della regular season sono appena cinque e tutte contro squadre ancora prese dalla lotta per un posto nella griglia verso le Finals. Doc Rivers ha parecchio da ripensare sui suoi Celtics, autori di prestazioni molto spesso spiazzanti, e che nell'ultimo periodo non hanno certo brillato. Fattori di incertezza per la post-season arrivano dai troppi infortuni e dagli scricchiolii nel fisico mostrati dai giocatori più
esperti (Garnett, Allen, Wallace) negli ultimi mesi che ne hanno reso il rendimento sul parquet altalenante; allo stesso modo i motivi per sperare nell'unico obiettivo possibile - le Finals Nbaper una franchigia come i Celtics, stanno proprio nella risalita delle statistiche dopo l'All Star Game di Kevin Garnett e di Ray Allen. Al rush finale i Celtics arrivano con un record migliore in trasferta (24-14) rispetto a quello interno (24-15) e con il solito Paul Pierce come migliore realizzatore con 18.1 punti a partita, Rajon Rondo viaggia a 9.8 assist di media a partita, miglior rimbalzista del team biancoverde è Kendrick Perkins con 7.6 boards a incontro. Ultime cinque partite in esterna contro Raptors, Bucks e Bulls, in casa contro Washington e poi ancora contro Milwaukee, che alla luce del ranking di Conference è la più probabile avversaria al primo turno dei playoff.
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Indiana Pacers
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Tardivo e sorprendente risveglio dei Pacers che da metà marzo ad oggi hanno inanellato 7 vittorie e sole 2 sconfitte, con anche una striscia di 5 successi filati, battendo addirittura squadre del calibro di Oklahoma City e Utah. Difficile spiegarsi un impennata di rendimento del genere per una squadra che da mesi si trascina senza grandi motivazioni. Danny Granger è la solita macchina da punti (27 abbondanti nelle ultime cinque giocate), ma una grossa mano, ultimamente, l’ha data il reparto lunghi, che beneficia di una serie di super prestazioni di Troy Murphy, giunto a 37 doppie doppie in stagione e che ha appena interrotto una striscia di 16 partite consecutive in cui ha viaggiato in doppia cifra e nella quale le sue medie sono state 17,8 punti e 12,6 rimbalzi col 51% dal campo. Ma anche i giovani Roy Hibbert e Josh McRoberts hanno portato un contributo non disprezzabile. L’ex di Georgetown ha sfiorato la
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N ICOLÒ F IUMI
tripla doppia contro Houston e si conferma come miglior rimbalzista d’attacco della squadra, mostrando anche miglioramenti notevoli nell’affidabilità dalla lunetta, dove, dopo un inizio di stagione da poco più del 60%, ha viaggiato col 79,5% nelle seguenti 57 partite. L’ex atleta di coach Krzyewski, sempre contro Houston, ha messo a referto la sua miglior partita in carriera, uscendo dalla panchina e segnando 18 punti conditi da
12 carambole. In generale ha mostrato maggiore confidenza in campo, e nei maggiori minuti di spazio ottenuti ha dimostrato di poter meritare un po’ di fiducia da parte dello staff. La stagione si avvia alla conclusione con 5 partite, dove, tolte le due gare impraticabili con Orlando e Cleveland, si potrà cercare la trentesima vittoria stagionale, magra consolazione per una franchigia da tempo nel baratro.
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Miami Heat
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I falchi della Georgia sono alla loro miglior prestazione degli ultimi 10 anni. Finalmente una squadra solida, che gioca con il suo collettivo e si permette il lusso di battere anche i Magic con una super schiacciata finale di Smith. Loro rapprendano la classica scena americana delle “big Hopes”, la squadra che sta simpatica a tutti e per cui i non tifosi possono affezionarsi. Una squadra low budget rispetto alle altre corazzate, che al momento con il suo record di 49-28 (ancora 4 da giocare) è sola al terzo posto, con una gara piena di vantaggio sui Celtics(48-29) che però devono arrivare necessariamente davanti ai rossi, in quanto sono sfavoriti nel confronto diretto. Sarebbe una bella soddisfazione arrivare davanti ai Boston, ma soprattutto evitare un quarto di finale ostico contro una squadra strana come Milwakee e prendere invece una squadra forse più tecnica come Miami (con Wade e Beaseley) ma che va molto a giornate. Come gioco e percentuali. La crescita dal punto di vista globale di Joe Johnson e la sua redenzione a ledere dell’attacco, distribuiscono una squadra che ha tante bocche da fuoco in attacco, Bibby, Crawford, Evans, ma che costruisce le sue fortune con la tanta difesa e il tanto lavoro di Smith e Horford. Speriamo che per gli Hawks non sia finita troppo presto la benzina, dato che la svogliata sconfitta contro Charlotte ha rimesso ancora in corsa i Celtics, e costringera i rossi a qualcosa di più di un semplice allenamento nelle prossime 4 gare.
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Charlotte Bobcats
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Larry Brown e soci hanno fatto le valigie e sono saliti di un livello e hanno conquistato la settima piazza a suon di belle prestazioni, tirandosi fuori dalla bagarre dell’ottava piazza contesa adesso da Toronto in vantaggio su Chicago. Il loro record è 41-36, grande solidità in casa, davanti al patron Jordan grande lavoro di collettivo con un reoparto lungjhi pesante e chee cconta tra i vari su Chandler, Diaw e Mohamed oltre al neo arrivo Thomas. La crescita di Ray Felton, la grande voglia di vincere di un Wallace supersonico, hanno condotto gli arancioni davvero in alto come testimoniato dall’ultimo roboante successo contro Atlanta non certo l’ultima arrivata e di sicuro una squadra non già in vacanza. La squadra di Brown è contratta e imprevedibile e potrebbe trovare grandi spazi se riuscisse a centrare un colpo in trasferta. Resterà da vedere se Augustine sarà un degno cambio poer Felton, che non può fare pentole e coperchi, e se la forza sotto canestro sarà sufficiente a fermare le corazzate delle teste di serie. Curioso, ma forse interessantissimo, sarebbe il confronto con Orlando, dovee i Magic, non potendo contare sull’apporto sostanziale di un Howard che si ritroverebbe marcato da pari ruolo competenti, dovrebbero fare affidamento solo sulla truppa di esterni e quindi, nonostante anche gli uomini di Van Gundy siano una squadra da run and gun, sarebbero costretti a lanciare laa moneta e a giocare di individualismi contro una squadra che ha una difesa solida e un allenatore esperto in cabina di regia.
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Orlando Magic
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I falchi della Georgia sono alla loro miglior prestazione degli ultimi 10 anni. Finalmente una squadra solida, che gioca con il suo collettivo e si permette il lusso di battere anche i Magic con una super schiacciata finale di Smith. Loro rapprendano la classica scena americana delle “big Hopes”, la squadra che sta simpatica a tutti e per cui i non tifosi possono affezionarsi. Una squadra low budget rispetto alle altre corazzate, che al momento con il suo record di 49-28 (ancora 4 da giocare) è sola al terzo posto, con una gara piena di vantaggio sui Celtics(48-29) che però devono arrivare necessariamente davanti ai rossi, in quanto sono sfavoriti nel confronto diretto. Sarebbe una bella soddisfazione arrivare davanti ai Boston, ma soprattutto evitare un quarto di finale ostico contro una squadra strana come Milwakee e prendere invece una squadra forse più tecnica come Miami (con Wade e Beaseley) ma che va molto a giornate. Come gioco e percentuali. La crescita dal punto di vista globale di Joe Johnson e la sua redenzione a ledere dell’attacco, distribuiscono una squadra che ha tante bocche da fuoco in attacco, Bibby, Crawford, Evans, ma che costruisce le sue fortune con la tanta difesa e il tanto lavoro di Smith e Horford. Speriamo che per gli Hawks non sia finita troppo presto la benzina, dato che la svogliata sconfitta contro Charlotte ha rimesso ancora in corsa i Celtics, e costringera i rossi a qualcosa di più di un semplice allenamento nelle prossime 4 gare.
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NBA STANDING ATLANTICDIVISION
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CENTRAL DIVISION
NORTHWEST DIVISION
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EASTERN CONFERENCE
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WESTERN CONFERENCE
NBA STATS
SCORES
PG PLAYER
REBOUNDS
REBOUNDS
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LO STUDIO
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S TEFANO PANZA DI
Nba Attendence
Un aspetto spesso trascurato, almeno secondo il nostro modo di osservare l’NBA, è il seguito che una squadra riscuote tra il proprio pubblico. Nelle ultime due stagioni, forse a causa della crisi economica che ha colpito in particolar modo gli Stati Uniti, il livello medio di spettatori nelle arene NBA è pericolosamente precipitato. E questo è un dato che, oltre a riempirci di malinconia quando osseviamo nidiate di seggiolini vuoti, ha una discreta rilevanza per questioni puramente economiche.
Infatti il famoso salary cap, il tetto ingaggi oltre cui le squadre non possono (teoricamente) eccedere, è calcolato in base agli introiti derivanti dalle arene grazie ad un calcolo piuttosto complicato. Il risultato, in parole povere, è semplice: meno gente va a vedere le partite, meno le squadre potranno spendere sul mercato dei free agent. Volendo, questa catena potrebbe dilungarsi a dismisura fino a creare un circolo vizioso, perché se ci sono meno soldi per firmare free agent, alcuni di questi potrebbero
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essere attratti dalle sempre più ricche ed ambiziose sirene europee, e di conseguenza il livello qualitativo della NBA tenderebbe a scemare, suscitando quindi meno interesse da parte del pubblico che andrebbe sempre meno volentieri a seguire la propria squadra, e così via. Ma questo è un altro discorso. Se è vero, dunque, che gli spettatori americani trascurano sempre più le arene, è anche vero che continuano a persistere delle vere e proprie oasi felici che, anche con una squadra non (più) valorosissima, continuano ad accumulare raffiche di “Tutto esaurito”: è il caso dei Chicago Bulls, che dopo l’epoca di Micheal Jordan hanno vissuto un vero e proprio deperimento, quindi la lenta risalita degli ultimi anni ha risvegliato nei tifosi dell’Illinois la passione di un tempo. Sono 20.702 gli spettatori che i Bulls trascinano allo United Center ad ogni partita casalinga, vale a dire il 99% della capienza totale. È il dato più alto tra tutte le franchigie dell’NBA. Anche Portland, pur non navigando nel mare dolce dei primissimi posti della classifica, attrae tantissimo pubblico, 20.488 spettatori di media, addirittura il 102.5% della capienza complessiva (ufficiale) dell’arena. I Blazers occupano la terza piazza in questa speciale classifica, alle spalle dei Cleveland Cavs, che vantano 20.562 presenze a partita. In questo caso i tifosi dei Cavs non sono attratti soltanto dagli splendidi risultati che sta collezionando la squadra di coach Mike Brown, ma soprattutto dalla presenza di un uomo simbolo, uno show-man come forse mai si è visto in campo sportivo. Stiamo parlando ovviamente di LeBron James. L’eventuale – ma secondo molti, sempre meno probabile – cessione del Prescelto, infatti, sarebbe una tragedia per i Cavs anche dal punto di vista eco-
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nomico (La gente paga per venire a vedere LeBron.. e compra tante, tantissime magliette con numero 23), oltre che da quello dei risultati. Seguono in classifica Dallas al quarto posto (104% rispetto alla capienza massima…), New York, Utah, Lakers, Detroit, Boston, San Antonio. I Knicks, ovviamente, hanno un appeal che neanche una lunghissima serie di stagioni perdenti potrà mai cancellare, senza contare i numerosissimi turisti della Grande Mela, che almeno una volta nella vita vorrebbero poter dire di essere stati al Madison Squadre Garden, senza dubbio il palazzo più affascinante del mondo. I Pistons, dopo anni in cui era assolutamente impossibile rimediare un solo biglietto per entrare al Palace di Auburn Hills, occupano una malinconica ottava piazza in questa speciale classifica con 18668 spettatori di media, che riempiono solo l’84% dell’arena. L’anno precedente, ad esempio, con 21.887 paganti a partita, il Palace era occupato mediamente per il 99.1%, ed era il palazzo più affollato della lega. La classifica, come prevedibile, vede i derelitti New Jersey Nets sul fondo della classifica grazie ad un poco edificante 68% di campienza media, pari a 13mila spettatori ad ogni singola gara. Un dato che dovrebbe far riflettere, in quanto da sempre l’NBA ha contato sul fatto di vendere un prodotto unico, ambito e ricercato. Da notare come, 28esimi, siano piazzati i Memphis Grizzlies nonostante l’ottima stagione disputata da Randolph e compagni. Da queste parti il lavoro per convincere un pubblico storicamente più legato al College Basketball è decisamente duro. Ma le premesse instaurate quest’anno lasciano ben sperare, almeno dal punto di vista del gioco e dei risultati.
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Y Yo ou u c ca an n’’tt c c m me e A LESSANDRO
QUALCUNO VOLÒ SUL NIDO DI GILBERT
Ok non si tratta di un ospedale psichiatrico ma ‘solo’ di una casa di accoglienza e, difficilmente, vedremo il nostro Agent Zero condurre una rivolta tra i pazienti a suon di partite a pallacanestro come nel film cult recitato da Jack Nicholson. Fatto sta che Gilbert Arenas si appresta a ‘pagare’ (non la scommessa di gioco si chiaro) il suo debito con la giustizia per i noti fatti del Verizon Center. Il Giudice della Corte superiore del Distretto della Colombia, Robert E. Morin ha condannato il giocatore
ideato da:
Stars ‘N’ Stripes
scritto da:
Domenico Pezzella
Alessandro delli Paoli
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Vincenzo Di Guida Guglielmo Bifulco
Stefano Calovecchia
Davide Mamone Stefano Livi
Raffaele Valentino info, contatti e collaborazioni:
DELLI
DI
LA RUBRICA
domenicopezzella@hotmail.it
PAOLI
dei Wizards a 400 ore di servizio alla comunità ed una multa di cinquemila dollari. Arenas passerà, dunque, un mesetto circa in una casa di accoglienza e, particolare curioso della sentenza, il giocatore non potrà toccare la tanto amata palla a spicchi (pensavate la pistola eh?). Il giudice ha così sentenziato: “La faccenda si poteva risolvere in pochi minuti, invece non si sono comportati da uomini maturi tirando in gioco la faccenda del rispetto per poche centinaia di dollari”. Evidentemente il magistrato non ha mai visto i western del nostro amato Sergio Leone.
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LA RUBRICA SE MI LASCI NON VALE Sembra che il ‘Signore degli Anelli’ della NBA abbia preso alla lettera le parole della vecchia canzone di Julio Iglesias e, infatti, nelle scorse settimane, ha allontanato i propositi di pensionamento. Phil Jackson, insomma, vede ancora lontano il giorno in cui si ritirerà dalle scene del basket a stelle e strisce e si dedicherà alla sua amata fattoria nel Montana. Jacks ha rivelato al sito Nba.com che il suo stato di salute è migliorato e gli consentirà di proseguire la sua
avventura sulla panca dei ‘Lacustri’: “Fisicamente sto sempre meglio e me la sento di continuare questo progetto. Penso a George Karl che sta attraversando un brutto periodo e penso che sia un gran peccato perchè Denver ha un progetto che lo vede coinvolto direttamente. L’accordo finanziario? Non sarà un problema”. Scacciate via, dunque, anche le incertezze relative al prolungamento del contratto con i gialloviola. Insomma, almeno per ora, l’unica fattoria a cui coach Zen dedicherà attenzioni sarà quella di Farmville.
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AROUND THE USA
Road to Draft 2010
DRAFT 2010 PREVIEW Ci siamo lasciati alle spalle una stagione emozionante e manca ancora qualche mese all’inizio di una nuova stagione NFL ma siamo già ad un punto cruciale per tutte le franchigie, il Draft 2010, evento che si svolgerà tra il 22 e il 24 aprile, e sui cui i team cercheranno di costruire il proprio futuro. In queste righe cercheremo di scoprire i migliori prospetti ruolo per ruolo e proveremo a capire i bisogni delle varie franchigie in modo da prevedere le loro mosse e su quali giovani andranno a puntare. QUARTERBACKS #1 SAM BRADFORD (Oklahoma) Nonostante sarebbe stato una delle prime scelte del draft 2009 ha optato per rimanere un ultimo anno in
Oklahoma. Senza dubbio è il miglior QB del draft di quest’ anno, preciso, veloce e furbo. C’è da dire che il fisico non lo aiuta molto, e ciò potrebbe costargli qualche problema trovandosi di fronte a difensori come Ray Lewis o chi per lui. Il team che sembra averne urgente bisogno è St.Louis, dove Bulger non sembra averne più, insieme ad Avery e Jackson, potrebbe avere l’occasione di crescere nella maniera più adatta e riportare il grande football nel Missouri anche se sembrano remote le possibilità di riportare “The Greatest Show on Turf”. #2 JIMMY CLAUSEN (Notre Dame) Altro giovane fenomenale, molto versatile e veloce, con tutte le carte in regola per diventare un grande quarterback nell’NFL ma che alterna giocate straordinarie a
partite sotto la sufficienza. Il team più interessato alle sue prestazioni sembrava Washington, ma dopo il trade che ha portato McNabb nella capitale, Clausen dovrebbe essere diretto verso Cleveland, Jacksonville o Buffalo. #3 COLT McCOY (Univ. Of Texas) Dalla sua ha l’esperienza essendo starter nel college dal 2005 con 53 gare giocate, oltre 13,000 yds lanciate e 112 TD. E’ tra i migliori nei lanci di media gittata, sicuro nella tasca ma abile anche quando c’è da correre. Lascia qualche perplessità la potenza del braccio e la sua fragilità, questo potrebbe costringerlo ad affrontare un anno da backup in NFL magari in Tennessee con Vince Young a fare da chioccia. RUNNING BACKS #1 CJ SPILLER (Clemson) Corre (1,212 yds nel 2009), lancia (1 TD pass in carriera), ritorna i punts (secondo a nessuno nel college) e riceve (503 yds e 4 TD nell’ultima stagione). La sua versatilità consentirà all’attacco che si assicurerà le sue prestazioni di avere un’arma in grado di trafiggere le difese avversarie. Di contro la limitata altezza non gli consente di poter bloccare per il proprio qb nel migliore dei modi costringendolo a non essere in campo in molte azioni di passaggio. Comunque previsto tra le prime 20 scelte. #2 JONATHAN DWYER (Georgia Tech) Il running back che farebbe sicuramente comodo a molte squadre. Veloce e potente, oltre 10 TD nell’ultima stagione. Dovesse accasarsi in un team che fa delle corse il proprio punto di forza potrebbe creare qualche grattacapo agli avversari. L’head coach dei Bills ed ex allenatore di Dwyer, Chan Gailey, ha rivelato che il giocatore ha qualche problema a tenere il proprio peso sotto controllo; tuttavia nella combine ha registrato un magro 4.59 sulle 40yds nonostante fosse dimagrito di 5 kg circa. #3 RYAN MATHEWS (Fresno State) Il running back che più ha impressionato nella combine dove ha percorso le 40 yds in 4.41 e sembra avere anche delle buone mani. Gli esperti pronosticano la sua scelta tra la fine del primo round e l’inizio del secondo ma non sembra ancora pronto per affrontare una stagione da starter. WIDE RECEIVERS #1 DEZ BRYANT (Oklahoma State) Il numero uno nel suo ruolo nel draft 2010. L’importanza con i Cowboys in NCAA si è fatta sentire una volta che è stato sospeso, altrimenti Oklahoma St. avrebbe potuto dire la sua per il BCS Bowl. Ottimo fisico e dotato di grande atleticità pecca un po’ in velocità, percorre le 40yds in 4.5 ma resta comunque un giocatore che tornerebbe utile ad ogni team NFL. #2 GOLDEN TATE (Notre Dame) Ha tutte le potenzialità per diventare una star NFL. Gli scouts lo paragonano a Steve Smith dei Panthers, vista la sua velocità, 4.36 nella combine, e la sua abilità di guadagnare yards dopo la ricezione. Qualche problema mostrato nell’ultima stagione nel prendere le palle lanciate da Clausen non dovrebbe permettergli di occupare il ruolo di primo WR ma la capacità di ritornare i punt gioca a suo favore. # 3 DAMIAN WILLIAMS (USC) Grandi corse dopo la ricezione e la calamita sulle mani sono le caratteristiche di questo ventiduenne ricevitore che deve ancora migliorare sulla velocità e sull'elusività. Qualsiasi squadra prenderà Williams avrà quindi a disposizione un ricevitore abile nel possesso. TIGHT ENDS # 1 JERMAN GRESHAM (OU) Grandissimo tight end prima di saltare l'ultima stagione NCAA a causa di un infortunio al ginocciho che l'ha tenuto lontano dai campi per molti mesi. Nel 2008 era uno dei target preferiti da Bradford, quando ha concluso la stagione ad oltre 1000yds e 14 TD. In poche parole si tratta di un wide receiver nel corpo di un tight
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end. Da migliorare ancora per quanto riguarda i blocchi e sono da vedere le sue condizioni fisiche. #2 ROB GRONKOVSKY (Arizona) Nonostante anche lui sia stato fermo nel 2009 da un infortunio alla schiena, sembra avere le caratteristiche necessarie per diventare un grande TE. Le sue misure (198 cm x 118 kg) ne fanno un buon bloccatore che sa essere anche abile nelle ricezioni ma, come nel caso di Gresham, il punto interrogativo è la condizione fisica del giocatore. #3 AARON HERNANDEZ (Florida) Uno dei target preferiti da Tebow nell'ultima stagione, ha chiuso il campionato con 850 yds e 5 TD. Molto veloce (sotto i 4.6 sulle 40yds) buone mani, ma di certo bloccare non è la sua specialità visto il fisico minuto e queste caratteristiche lo fanno sembrare più un WR che un vero e proprio TE. OFFENSIVE LINE # 1 RUSSEL OKUNG (Oklahoma St.) OT Uno dei migliori prospetti dell'intero draft di quest'anno. Okung ha impressionato nel college giocando grandi partite contro le migliori difese che la Big 12 aveva da offrire. Avrebbe bisogno di qualche chilo in più per affrontare al meglio i DE dell'NFL. Sembra che in Kansas ci abbiano fatto un pensierino vista la non imbarazzante linea offensiva dei Chiefs. #2 MIKE IUPATI (Idaho) OG Nella prossima stagione, il samoano porterà sui campi NFL i suoi 150 Kg. Guardia versatile in grado di giocare anche come tackle di destra. Nell'ultima stagione non ha permesso a nessun avversario di effettuare un sack ai danni del proprio QB. Dovrebbe essere scelto tra i primi 10-15 del draft ed Oakland sembrerebbe la franchigia che più di tutte ne ha bisogno. #3 BRYAN BULAGA (Iowa) OT Proviene dal college noto per essere fucina di altri ottimi OL come Steinbach, Gallery e Yanda. Ottimo nelle situazioni di corsa per aprire i varchi nella difese avversarie, pecca un po' di versatilità e questo non gli consente di giocare anche a sinistra. DEFENSIVE LINE #1 NDAMUKONG SUH (Nebraska) DT E’ considerato uno dei migliori prospetti per il draft 2010. Ne parlano come il miglior DT da 30 anni a questa parte. Può coprire perfettamente il ruolo di DT in una difesa 4-3 o di DE in una difesa 3-4 grazie alla sua agilità nonostante pesi quasi 140 kg. Forte, atletico, versatile, intelligente, con un grande carattere. Gli scout hanno cercato i punti deboli del forte difensore, non ce ne sono molti. Forse l’unico problema per Suh potrebbe essere quello degli infortuni subiti nel primo anno del college ma si parla comunque di cinque anni fa. I Rams, ai quali spetta la prima scelta nel draft, non dovranno farsi sfuggire l’occasione di prendere nel proprio roster una delle future stelle NFL. #2 GERALD McCOY (Oklahoma) DT Ecco un altro defensive tackle con i focchi. Inserito nella top 5 del draft dagli scout, è descritto come “un’ancora” per la sua stazza, McCoy potrà comunque far affidamento sulla sua velocità, 4.96 sulle 40 yds, tempo molto basso per uno del suo peso. Leader difensivo nel college nonostante la sua giovane età, appena ventiduenne, ha dimostrato di avere anche la testa oltre che il fisico. In confronto a Suh, è forse meno forte, come ha mostrato nella combine dove si è fermato a 23 alzate su panca mentre il collega è arrivato fino a 32. #3 DERRICK MORGAN (Georgia Tech) DE
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Miglior prospetto per quanto riguarda i DE, Morgan è una buona combinazione di forza e velocità. Anche lui molto giovane, 21 anni, e questo potrebbe costargli qualcosa in esperienza tuttavia è considerato il numero uno del ranking nel suo ruolo, e ciò può solo voler dire che è già pronto per il grande salto. LINEBACKERS #1 ROLANDO McCLAIN (Alabama) MLB Quello che Ray Lewis è per i Ravens, così McClain lo è stato per ‘Bama nella difesa 3-4 di Nick Saban; ed è proprio avendo fatto esperienza in questo tipo di difesa che può essere starter alla sua prima stagione in NFL. Molto forte contro le corse e una buona capacità a coprire i tight end non essendo molto veloce da giocare come esterno per marcare a uomo i ricevitori più veloci. #2 BRANDON GRAHAM (Michigan) OLB Difensore abbastanza completo che può contare su una buona velocità e una sorprendente forza. Molto versatile, può giocare sia come OLB in una difesa 3-4 o anche come DE in una 4-3 anche se la sua limitata altezza e le braccia troppo corte hanno indotto alcuni a credere che sia più adatto al ruolo di linebacker. #3 SERGIO KINDLE (Texas) OLB Senza ombra di dubbio, il migliore LB della scorsa stagione nella Big 12. Anche lui adatto sia come uomo di linea nella 4-3 o come esterno nella 3-4. Abile a creare qualche problema al quarterback o a seminare il panico nel backfield. Cosa non gioca a suo favore? Kindle è stato vittima di numerosi infortuni e di qualche incidente che poco hanno a che fare con i campi da gioco come quello dell’estate scorsa quando finì con la sua auto in un appartamento! CORNER BACKS #1 KYLE WILSON (Boise State) Nelle combine ha dimostrato di essere il CB più appetibile. Atleticità e una buona dose di forza sono i suoi punti di forza. Non molto alto, potrà avere qualche problema contro i ricevitori più lunghi, nonostante ciò, le sue spiccate abilità sia in copertura che in marcatura gli consentiranno di essere scelto al primo round. #2 JOE HADEN (Florida) Ottimo in copertura, ha contribuito a far diventare la difesa dei Gators una delle migliori nella SEC. Tuttavia non ha impressionato molto nella combine con un mediocre 4.6 sulle 40 yds, forse troppo lento per un CB, segno che deve migliorare la fase di marcatura a uomo nonostante nel college sia riuscito a mascherare questo difetto; ma si sa, i ricevitori in NFL sono di un altro pianeta. #3 DEVIN McCOURTY (Rutgers) McCourty è forse il cornerback più intelligente tra quelli disponibili. Riesce a leggere le giocate prima che accadano. A questo abbina delle buone doti atletiche anche se non eccelle né nella capacita di intercettare i lanci né nella velocità facendolo diventare una ottima scelta nel secondo round. SECONDARY #1 ERIC BERRY (Tennessee) SS Dopo Ndamikong Suh, ecco un altro giocatore che può essere legittimato ad una possibile scelta numero uno del draft. Negli anni del college ha impressionato per i suoi interventi sui passaggi e per la capacità di causare molti turnovers tra intercetti e fumbles. #2 EARL THOMAS (Texas) E’ un safety che gioca come un cornerback, forte sia in copertura che in marcatura a uomo. Molto veloce e, come il suo collega di reparto Berry, non ha una stazza da safety, ma, a differenza dell’ex Tennessee, questa caratteristica gli ha causato molti problemi sui tackle.
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NBA NEWS
Don Nelson entra nella storia
Fonte foto: http://www.nakednews.it
Come auspicato qualche numero or sono in Stars’n Stripes, finalmente Don Nelson è riuscito a coronare il proprio obiettivo stagionale; di certo non si parla di playoff, vista l’inadeguatezza del roster della franchigia di Oakland dinanzi alle ben più attrezzate corazzate della Western Conference, bensì dell’agognatissimo primato di vittorie in carriera da Head Coach nella storia del gioco: prima di lui giaceva al comando il mite Lenny Wilkens, ma con la vittoria ottenuta dai Warriors sui TWolves pochi giorni fa, Don è ufficialmente diventato il coach più vincente della storia NBA ( 1.333 W in regular season). Un primato che aveva intenzione di raggiungere in questa stagione, la sua ultima annunciata: non che avrebbe chiesto qualche riconferma se non avesse dovuto farcela entro quest anno, ma sicuramente fermarsi a pochi cm dal traguardo sul più bello sarebbe stato inopportuno per la sua comunque gloriosa carriera. Da verificare per quanto tempo resisterà tale record, vista la vicinanza di Jerry Sloan e di Phil Jackson, che di contro comunque iniziano a patire il peso dell’anagrafe e a mostrare intenzioni di ritiro entro i prossimi anni, soprattutto il secondo.
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NBA RUMORS
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T-Mac già stufo dei Knicks? Non potevamo certo pretendere che Tracy McGrady portasse i New York Knicks ai playoffs: magari qualcuno lo sperava, ma probabilmente nemmeno un Michael Jordan reduce da prolungati infortuni e inattività ci sarebbe riuscito. L’esperimento di Walsh è ancora lungi dall’essere ritenuto un fiasco e probabilmente il prossimo luglio potremo tirare meglio le somme, e giudicare saggiamente l’esperienza di TMac nella Big Apple: intanto oltre ai propositi di accogliere 2 superstar nella capitale del mondo, sembra protrarsi un futuro inaspettato e assolutamente affascinante per the Big Sleep: un doppio ritorno al passato, ossia un accordo con la sua ex-squadra, gli Orlando Magic, assieme al suo ex compagno di squadra e cugino(?) alla lontana Vince Carter ai tempi dei Toronto Raptors. È presto per valutare la verosimilità dell’eventuale ingaggio, ma quest’ ultima ipotesi tecnicamente calzerebbe a pennello per Tmac, ben più del progetto ancora fittizio e a rischio di implosione dei Knicks. Il tempo ci dirà tutto….
Devin Harris chiama... Avery Johnson risponde? Per la serie “a volte ritornano”: Devin Harris, attuale leader dei New Jersey Nets, in attesa del previsto terremoto di Luglio , non ha esitato ad avallare le referenze di coach Avery Johnson, come futuro capoallenatore della franchigia di Prokhorov: “ Adoro Avery…tantissimo. Riuscirebbe ad allenare bene in qualunque tipo di contesto e franchigia, e se sono il giocatore NBA che oggi vedete, il merito è in gran parte suo.” Notevole attestato di stima quello della giovane point guard nei confronti del suo ex coach ai Dallas Mavericks, con i quali raggiunse nel 2006 una storica e tragica finale NBA, da protagonista assoluto. Peccato che in cima alla lista delle preferenze del magnate russo ci sia il fresco vincitore dell’ultimo torneo NCAA con Duke, nonché allenatore dell’ultima Olimpica fregiata d’oro Statunitense, Mike Krykzewski e che l’unica cosa che sembra veramente sicura di non cambiare nella squadra la prossima estate sia il nome Nets.